Biblioteca Comunale
Trento
ex libris
o ""00067 l, 08980 1111 2
K 6708980
D 2056132
G 7 i 53 14
VIA_ROMA
Sezione n. 14
BENITO MUSSOLINI
Il mio
diario di guerra
(1915-1917)
con 1 0 illustrazioni fuori testo
MILANO
Casa Editrice “Imperia
1923
IL MIO DIARIO DI GUERRA
I
I
BENITO MUSSOLINI
Il mio
diario di guerra
( 1915 - 1917 )
con I 0 illustrazioni fuori testo
IMPERIA
Casa Editrice del Partito Nazionale Fascista
MILANO - Via Pietro Verri 12
PROPRIETÀ LETTERARIA
I diritti di riproduzione e di traduzione sono
tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia
Copyright Febbraio 1923 by Casa Editrice
riservati per
e I* Olanda.
Imperia
- 2 • 1923 ■ Industrie Grafiche AMEDEO NICOLA e C.
Milano -Varese.
BENITO MUSSOLINI
della classe 1883, richiamato alle
armi il 31 agosto 1915, asse-
gnato all’ 1 1° bersaglieri, fu man-
dato al fronte il 2 settembre
successivo.
PROPRIETÀ LETTERARIA
I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per
tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l’Olanda .
Copyright Febbraio 1923 by Casa Editrice IMPERIA
I e - 2 ■ 1923 ■ Industrie Grafiche AMEDEO NICOLA e C.
Milano -Varese.
BENITO MUSSOLINI
della classe 1883, richiamato alle
armi il 31 agosto 1915, asse-
gnato all' 1 1° bersaglieri, fu man-
dato al fronte il 2 settembre
successivo.
A CHI...
A voi, miei commilitoni del fortissimo 11° bersa-
glieri, dedico queste cronache di guerra. Sono mie
e vostre. C’è in queste pagine la mia e la vostra
vita : la vita monotona ed emozionante, semplice
ed intensa che abbiamo insieme trascorso nelle indi-
menticabili giornate della trincea.
Serbo di voi tutti il più profondo ricordo. Che
voi mi avete offerto una consolante certezza laddove
non esisteva che una speranza e un atto di fede :
sulle aspre cime delle Alpi contese — nella dura e
pur tanto eroica guerra d'assedio — avete dimostra-
to che la vecchia stirpe italiana non è esaurita, ma
reca nel suo grembo i tesori di una giovinezza pe-
renne.
M.
1
SETTEMBRE-NOVEMBRE 1915
In trincea coi soldati d’Italia
9 Settembre.
Da stamani circola la notizia della nostra pros-
sima, quasi immediata partenza per la linea del
fuoco- Dove andiamo? Nessuno lo sa dire con esat-
tezza, Non importa. L’essenziale è di muoversi. Il
pensiero di passare alcuni mesi in guarnigione mi
sgomentava. La notizia della partenza si è diffusa
tra i plotoni, ma non ha sollevato una grande emo-
zione. E’ tempo di guerra : si va alla guerra. E’
naturale! D’altra parte lo stato d’animo di questi
richiamati dell’84 non è negativo. Uomini di tren-
t’anni comprendono certe necessità. Vi sono molti
Interventisti anche all’infuori dei milanesi : ne ho
conosciuto un altro, un caporale di Crespino, in
quel di Rovigo. Gli elementi di lievito non man-
cano. Una grata sorpresa mi attende. Ricevo un bi-
glietto che dice : « L’ ex-linotipista de\Y Avanti, A-
dolfo Giretto, ora residente a Rovigo, per mezzo
dell amico Battaglini, le manda i saluti più affet-
tuosi, ricordandolo ». Un caporale milanese che era
stato destinato al deposito, se n’è tornato con
zaino e fucile in compagnia per andare insieme
con tutti noi al fronte. Bel gesto! Il caporale
14
BENITO MUSSOLINI
;?i chiama Mario Morani. Giornata melanconica.
Prima pioggia autunnale. Sottile, silenziosa, insi-
stente.
11 Settembre.
Stamani, insieme con altri dodici soldati, sono
stato comandato di guardia al Tribunale di Guerra
del 3 Corpo d Armata. Ho assistito — come senti-
nella d onore allo svolgimento di due processi
poco importanti. Primo. Un territoriale di 39 anni,
imputato di abbandono di posto. Faceva il mu-
gnaio. Un povero diavolo che è livido di paura. Il
P. M. chiede un anno di reclusione, ma il Tribunale
assolve. Secondo processo: quattro imputati di un
furto di scarpe. E’ una storia complicata e noio-
sa. Il Tribunale condanna. Credevo, in verità, che
la Giustizia Militare fosse più sbrigativa, somma-
ria. E invece minuziosa, analitica. Mi è apparsa
più incline all’indulgenza di quella civile, per effet-
to, forse, di quella specie di imponderabile solida-
rietà professionale che si stabilisce fra uomini
d’arme.
12 Settembre.
Siamo stati richiamati il 31 agosto e la nostra
vita di guarnigione è già finita. Si annuncia in for-
ma ufficiale che partiremo domattina alle 7. Si an-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
15
nuncia anche, che verso mezzogiorno il colonnello
ci passerà in rivista e ci terrà una « morale ». So-
no le undici quando la tromba alla porta suona l’at-
tenti: è il colonnello che entra in caserma. Uscia-
mo nel cortile, armati senza zaino. Formiamo una
specie di quadrato. Suona un’altra volta Y attenti
11 tenente colonnello parla. Discorso terra terra.
Bisogna trovare altri accenti quando si è dinanzi
a uomini di trenta e più anni. Bisogna considerare
i soldati come uomini, non come matricole. Pei
graduati c’è un supplemento di morale, fatto dal
tenente Izzo. Io che sono soldato semplice, me ne
vado fuori.
13 Settembre.
Ore due: sveglia e in rango. Ce da ricevere la
cinquina, un paio di scarpe di fatica, una coperta
da campo e una scatoletta di carne da consumare
durante il viaggio. Quest’operazione dura un paio
d’ore. I bersaglieri si pigiano dinanzi alla fureria.
Chi fa tutto, dentro, è il sergente Fogli, ferrarese.
Grida, lavora e suda come un facchino. E’ l’alba!
— Zaino in spalla! —
In marcia verso la stazione. Il treno è pronto,
ma si parte con un lieve ritardo. Siamo 351, com-
presi i tre ufficiali — un tenente e due sottotenenti
— ■ che ci accompagnano. Occupiamo i vagoni. Nel-
l’attesa, una donna, completamente vestita di nero,
taglia i gruppi delle persone raccolte attorno al
16
BENITO MUSSOLINI
treno e si getta fra le braccia elei marito che parte.
Il marito, col ciglio asciutto, si divincola dolce-
mente dalla stretta affettuosa e incuora la donna
che si allontana — adagio — con le mani sulla
faccia, per nascondere le lacrime. E’ l’unico epi-
sodio patetico della partenza. Il nostro vagone è
adomato di rami. Una prima scossa. Un fischio
breve. Ecco : il treno va. Addio! Addio! Un agitare
convulso di mani fuori dai finestrini e un gridare
tumultuoso : Addio! Addio! Poi canti a voce spie-
gata. I mei amici gridano : Viva l’Italia! Attra-
versiamo la campagna bresciana. Vaste distese di
verde che impallidisce sotto il sole autunnale. La-
go di Garda. Non l’ho mai visto così bello! Peschie-
ra. Cittadella grigia. Mi ricorda un anno di vita
militare. Addio, vaga penisola di Sirmione incan
tevole! Siamo alle campagne veronesi, melanco-
niche, sassose. Fa caldo. Sosta a Verona. Sosta
più lunga a Vicenza. A Treviso grande movimento
di soldati. Un treno di feriti. Altri vagoni pieni di
soldati di fanteria si accodano al nostro treno, che
diventa lunghissimo e deve rallentare la marcia.
Stazioni : Conegliano, Pordenone, Sacile.
Crepuscolo serale. Nel cielo che incupisce vol-
teggia un Farman. A Casarsa lunga tappa. Si ag-
giungono al nostro treno vagoni di artiglieri. Un
vagone scoperto porta un cannone di proporzioni
spettacolose. E’ tutto circondato di fronde verdi.
Uno dei serventi agita una grande bandiera trico-
lore. Entusiasmo generale. Saluti fra i soldati del-
le varie armi. Udine — quando vi giungiamo alle
IL MIO DIARIO DI GUERRA
17
19 — è buia. Interminabili treni per i rifornimenti
sono immobili lungo chilometri e chilometri di bi-
nari. Quale somma enorme di sforzi richiede il ri-
fornimento e vettovagliamento di un esercito che
combatte! Cividale. E’ notte alta e non vedo nulla.
Ci rechiamo agli accantonamenti. Càpito coi miei
amici nel solaio di un contadino. Sonno profondo.
14 Settembre.
Sveglia alle cinque. Sento che le mie ossa sono
un po’ ammaccate. Un’ora di marcia, con uno zaino
che pesa trenta chili, mi rimetterà in forma. Sia-
mo nel cortile dell’accantonamento e attendiamo
l’ordine di partire per Caporetto. Un bambino at-
traversa la strada gridando :
— Un aeroplano! Un aeroplano! —
Ce infatti un velivolo austriaco, altissimo. Im-
mediatamente entrano in azione le batterie antiae-
ree. Si ode distintamente il loro crepitìo. Le nuvo-
lette verdognole degli shrapnels punteggiano l’o-
rizzonte.
Ma il velivolo nemico, che si è tenuto sempre a
una quota altissima, torna indietro.
Cividale: città simpatica. D’interessante: il mo-
numento ad Adelaide Ristori. Qui più ancora che
a Udine si ha l’impressione della guerra vicina.
File interminabili di camions automobili e di carri
d’ogni specie vanno e vengono incessantemente.
Scrivo queste linee nel cortile di una fattoria,
durante un alt.
Mussolini. " // mìo diario di guerra .
2
18
BENITO MUSSOLINI
Qualcuno dei miei compagni dorme. Qualcun
altro scrive. Sotto un pergolato si gioca alla mor-
ra. Giunge da lontano il rombo del cannone. Io
amo questa vita di movimento, ricca di umili e
di grandi cose.
25 Settembre.
Tappa a San Pietro al Natisene. Primo dei sette
Comuni in cui si parla il dialetto sloveno. Incom-
prensibile per me.
Il tenente Izzo ci ha invitati ieri sera a bere un
bicchiere di congedo con lui. Egli ci accompagna
sino alla linea del fuoco, poi ritornerà a Brescia,
per entrare come osservatore nel corpo aviatori.
Riunione fraterna, simpatica. Son con me Busce-
ma, Morani, Tafuri, Bocconi. Stamani, sveglia
alle sei. In marcia! Sole cocente. Il polverone sol-
levato continuamente dai camions e dalle colonne
delle salmerie ci acceca.
Ecco Stupizza, l’ultimo paese italiano prima del-
ia guerra. Troviamo della birra eccellente a un
prezzo discreto.
Di lì a poco giungiamo alla linea del vecchio
confine. A lato della strada c’è una casa e un posto
di guardia. Le insegne austriache sono scomparse.
Momento d’emozione per me che mi ricordo di
essere stato nell’ottobre del 1909 sfrattato da « tutti
i paesi e regni dell’Impero austriaco».
Il tenente grida :
— Viva l’Italia! —
IL MIO DIARIO DI GUERRA
19
10 che mi trovo in testa alla colonna ripeto il
grido, ed ecco quattrocento voci gridare in coro :
— Viva l’Italia! —
Giungiamo dopo una marcia faticosa a Robich,
primo villaggio ex austriaco- A Robich, tappa di al-
cune ore. Ci precipitiamo nell’unica osteria. Noto
un bambino di sei o sette anni che si afferra al
braccio di una pompa e ci serve di acqua. Gli do-
mando :
— Come ti chiami?
— Stanko.
- — E poi? —
11 bambino non capisce e non risponde. Lo do-
mando a una ragazza che attraversa il cortile.
— Si chiama Robancich. —
Nome prettamente slavo.
Nel prato, poco lungi, un caporale, il milanese
Bascialla, fa circolo. Ha ritagliata e l’ ha conser-
vata nel portafoglio una cartina della zona di guer-
ra. Col dito teso, egli indica il famoso e misterioso
Monte Nero.
Iscrizione trovata, due chilometri prima di Ca-
poretto, su di una cappella votiva al ciglio della
strada :
Nikdar Noben se ni Bìl zapuscen
Kiv varino Marjis Bil izzogen.
Caporetto. Non ho visto che un campanile
bianco con una guglia grigio-verde, sottile. Una
moltitudine di soldati si affolla attorno a noi per
cercare i compaesani. Ci accampiamo poco lungi
dall’Isonzo, sulla nuda terra. Miei compagni di
20
BENITO MUSSOLINI
tenda: caporale Buscema, caporale Tafuri, capo-
ral maggiore Bocconi. Nella notte romba il canno-
ne, verso Gorizia. Nell’accamp amento — vigilato
dalle sentinelle — silenzio alto. Si sente la guerra.
16 Settembre.
Mattinata fredda. Sull’Isonzo è un velo di neb-
bia. La notizia del mio arrivo a Caporetto si è dif-
fusa. Discorsi e impressioni. Due soldati d’arti-
glieria. Accidenti! A sentirli, il nostro esercito è
quasi interamente distrutto; l’Inghilterra dorme;
la Francia è spezzata; la Russia finita.
Discorsi odiosi e imbecilli che io ho sentito ripe-
tere tante volte. I due compari — che non sono
mai stati al fuoco — la piantano in tempo giusto
per evitare una energica cazzottatura. Ma ecco tre
bolognesi. Il loro morale è infinitamente migliore.
Durante la distribuzione del rancio, un capitano
medico mi cerca tra le file.
— Voglio stringer la mano al Direttore del Po-
polo d’Italia. —
Pomeriggio di chiacchiere. Episodi di guerra.
Esaltazione unanime degli alpini. L’Isonzo! Non
ho mai visto acque più cerulee di quelle dell’Ison-
zo. Strano! Mi sono chinato sull’acqua fredda e ne
ho bevuto un sorso con devozione. Fiume sacro!
IL MIO DIARIO DI GUERRA
21
17 Settembre.
Partenza. Andiamo aggregati non più al 12° ber-
saglieri, ma all’ 11°, che si trova sulla catena del
Monte Nero. Un sottotenente medico rodigino che
sta al comando di tappa, vuole conoscermi e salu-
tarmi. Mi offre una eccellente tazza di caffè. Siamo
in rango. Il tenente Izzo ci fa alcune raccomanda-
zioni. Ci dice che a un certo punto della strada
saremo a tiro del cannone nemico.
— Guai ai ritardatari! —
Il battaglione non sembra affatto preoccuparsi.
— Classe di ferro, 1’ 84! —
11 « morale » è ancora più elevato. I discorsi stu-
pidi che erano rari prima, non si odono più. C’è
dell’allegria. Un artigliere di Corticella, tale Men-
goni, mi accompagna per un tratto di strada.
Attraversiamo gli attendamenti delle salmerie e
degli alpini. L’artigliere bolognese di quando in
(filando mi precede per annunciare a gruppi di
suoi amici il mio passaggio. Molti mi salutano con
simpatia. Auguri! Valichiamo l’Isonzo. A Magozo
piccolo paese sloveno, dove non sono rimaste
che due vecchie, le quali si nutrono col rancio dei
soldati — incontriamo una colonna di prigionieri.
Li circondiamo. Sono 46. Un intero plotone, con
un cadetto e un sott ufficiale. Il loro equipaggia-
mento è buono. Siedono su due file per terra. Mol-
ti fumano. Hanno, specie gli anziani, l’aria soddi-
sfatta. Ma il cadetto, che sta dietro agli altri, è ner-
voso. Si morde le labbra. Trattiene a stento le la-
crime. Il caporale Tafuri gli dice :
22
BENITO MUSSOLINI
— Non temete, in Italia sarete trattato bene.
— Glauben Sie? — interroga dubitoso il cadetto.
E’ giovane. Non arriva ai vent’anni.
Un bersagliere di scorta mi racconta come fu-
rono catturati. Di fronte alle posizioni del 33° batt.
dell’ 11° bersaglieri c’era una trincea dall’ aspetto
formidabile. La notte scorsa è stata ordinata l’a-
vanzata. Una squadra di bersaglieri si è spinta
inosservata fin sotto i reticolati e ha fatto brillare
un tubo di gelatina, seguito da un assalto irrom-
pente alla baionetta. Gli austriaci non se l’aspetta-
vano, non sono riusciti a sparare che qualche fu-
cilata. Hanno levate le braccia. Si sono arresi.
— Bono taliano, rispettare prigioniero! —
Riprendiamo la nostra marcia. Dobbiamo rag-
giungere la quota 1270. Siamo sulla mulattiera che
va al Monte Nero. Incontriamo dei feriti. Alcuni
leggeri che fumano e sorridono. Altri più gravi.
Uno di essi ha il volto coperto da un giornale.
Sotto si vede la faccia tumefatta e insanguinata.
Due feriti austriaci. Uno leggero. Un altro più
grave: deve aver le braccia spezzate. Sono diretti
aH’infermeria — sezione della Sanità — di Ma-
goso.
Colonne lunghissime di salmerie. Senza i muli
non sarebbe possibile le guerra in montagna. I più
stanchi di noi caricano gli zaini sui muli.
Verso sera giungiamo nella zona battuta dal-
l’artiglieria austriaca. Fischiano nell’aria — col
loro sibilo caratteristico — le granate. Sono for-
midabili. Qualche bersagliere è un po’ emozionato.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
28
Io che marcio in fondo alla colonna, incoraggi©
coloro che mi stanno vicini.
Passata la prima e comprensibile emozione, la
marcia faticosa con zaino completamente affardel-
lato riprende, sotto il fuoco abbastanza accelerato
dell’artiglieria nemica. Una granata scoppia vicino
a una colonna di muli, ma non fa vittime. Un’altra
cade e scoppia in prossimità di un gruppo di ber-
saglieri e solleva un turbine di schegge.
Un bersagliere grida che è ferito. Ha avuto la
clavicola frantumata. Un’altra granata scoppia ac-
canto a un altro gruppo nel quale mi trovo io.
Spezza diversi grossi rami di un albero. Siamo
coperti di foglia e terriccio. Nessun ferito. Gli au-
striaci tirano a caso. Imbruna quando giungiamo
al comando. Siamo attesi da un maresciallo. Sia-
mo da dodici ore in marcia. Nessuno è rimasto
indietro. E si tratta di soldati dei distretti di Cre-
mona, Rovigo, Ferrara, Mantova, nati e vissuti
nelle più basse pianure d’Italia. Vecchia e sempre
giovane stirpe italica! Un bersagliere mantovano
mi avvicina e mi dice :
— Signor Mussolini, giacché abbiamo visto che
lei ha molto spirito (coraggio) e ci ha guidati nella
marcia sotto le granate, noi desideriamo di essere
comandati da lei... —
Sancta simplicitas /
Ci contano e ci dividono nei tre battaglioni del-
1’ 11° bersaglieri.
E’ l’ora della separazione. Il tenente Iz«o, che
(orna a Brescia insieme con l’ottimo caporale Bia-
gio Biagi di Cento, ci saluta. Noi, assegnati al
24
BENITO MUSSOLINI
33° battaglione, riprendiamo la marcia in fila in-
diana. Sono le dieci. Sotto a un costone fumano le
marmitte delle cucine. Ci preparano il rancio. Un
po’ scarso, ma eccellente. Pasta, brodo, un pezzo
di carne. Ma molti assetati chiedono invano del-
1 acqua. Ci stendiamo fra i macigni, all’aria aper-
ta. Non fa freddo. Notte stellata, plenilunare.
Silenzio. Spettacolo fantastico. Siamo in alto!
Siamo in alto! Già battezzati dal fuoco dei cannoni.
Così si chiude la prima giornata di guerra!
Sabato, 18 Settembre
Stamani ci hanno diviso nelle tre compagnie del
battaglione. L’operazione è stata lunga. Alcuni ca-
porali e sergenti ci hanno fatto passare il tempo,
raccontandoci episodi gloriosi dell’ 11° bersaglieri
durante i primi mesi di guerra.
Sono assegnato all 8 a . Sono con me Buscema,
Morani, Tafuri. Verso sera ci muoviamo per rag-
giungere la nostra posizione. Invece di andare per
la mulattiera, diamo la scalata — quasi verticale —
al costone. Dobbiamo giungere a quota 1870. Una
discreta altitudine, come si vede. L’ascensione ci
abbrevia di almeno tre ore il cammino, ma è fati-
cosa, tanto più che non abbiamo il bastone da
montagna e portiamo lo zaino. Gli uomini dei
« posti di collegamento » ci hanno guidato. Nes-
suno è rimasto indietro, ma siamo giunti a notte
inoltrata. Prima di giungere alla meta, passiamo
accanto a fosse di soldati italiani. Quattro o cin-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
25
que. Mi sono chinato su una rozza croce di legno
e ho letto.
Oscar De Lucia, sergente
morto il 13 settembre 1915.
Le altre croci non recano nomi. Sono fosse col-
lettive.
Poveri morti, sepolti in queste impervie e soli-
tale giogaie! Io porto nel mio cuore la vostra me-
moria!
Ci siamo accovacciati fra i sassi, sotto le stelle.
Un ufficiale è passato fra noi e ci ha ordinato di
caricare i fucili e di innastare le baionette. Nes-
suno, per nessun motivo, deve abbandonare il pro-
prio posto!
Alle dieci è incominciata l’azione. Ecco il pam
secco e fragoroso dei fucili italiani. I fucili austria-
ci affrettano il loro ta-pum. Le « motociclette della
morte » incominciano a galoppare. Il loro ta-ta-
ta-ta ha una velocità fantastica. Seicento colpi a!
minuto. Le bombe a mano lacerano l’aria. Dopo
mezzanotte il fuoco è di una intensità infernale.
Razzi luminosi solcano ininterrottamente il cielo,
mentre si spara disperatamente su tutta la linea
Raffiche di pallottole scrosciano sulle nostre teste.
■ — A terra! A terra! — si grida.
Ma io debbo alzarmi per cedere il mio posto a
un ferito che ha le braccia massacrate dallo scop-
pio di una bomba. Mi chiede con voce lamentosa
dell’acqua, ma il soldato portaferiti mi prega di
non dargliene. Copro il ferito con la mia coperta
di lana. Fa freddo. Dopo mezzanotte una esplosio-
26
BENITO MUSSOLINI
ne formidabile ci fa balzare in piedi. Una mina au-
striaca ha fatto saltare parte del cocuzzolo occu-
pato da un plotone deirà 0, compagnia. Un grande
baleno solca il cielo tempestoso e un boato pro-
fondo riempie la valle. Passano altri feriti lievi
che si recano senza aiuto al posto di medicazione.
11 fuoco di fucileria diminuisce. Verso l’alba cessa.
La prima notte di vita in trincea è stata movimen-
tata ed emozionante. Di buon mattino, i nostri
cannoni tempestano di proiettili le posizioni nemi-
che. Poi, anche i cannoni tacciono. Nella valle è
la nebbia. Sulla cima dove ci troviamo, il sole. Nel-
l’ accampamento, il silenzio pieno e pensoso dei
soldati all’indomani di una battaglia.
Tra il Monte Nero,
il Yrsig e lo Jaworcek
2 9 Settembre.
Dopo la distribuzione del caffè, adunata. Il mag-
giore Cassola, comandante del battaglione, ci tie-
ne un breve discorso di saluto e di incoraggiamen-
to. Parole affettuose e toccanti. Vicino al posto di
medicazione, dal quale ci parla il maggiore, è un
ferito, con una gamba spezzata da una scheggia di
bomba. Faccia serena. Profilo delicato. Chiede un
sorso di caffè. Una sigaretta. E lo portano via.
Fuoco stracco di fucileria tra le vedette. Nuova
adunata. E’ il capitano della compagnia, Vestrini,
che viene a salutarci. Ha la testa fasciata. Stanot-
te, mentre in piedi da prode e valoroso dirigeva il
combattimento, una pallottola nemica lo ha ferito
alla faccia. Per fortuna, non è grave. Egli ci dice :
— Il comando del battaglione vi ha destinati alla
mia compagnia. Da due giorni voi appartenete a
un Reggimento eroico che qui, su queste rocciose
cime, ha compiuto gesta memorabili. Queste terre,
che erano e sono nostre, le abbiamo riconquistate.
Non senza spargimento di sangue. Anche stanotte.
28
BENITO MUSSOLINI
una maledetta mina austriaca ha seppellito molti
dei miei bersaglieri, ma i nemici l’hanno pagata
cara. Le nostre mitragliatrici, come avete sentito,
non sono state inoperose. Voi siete qui a compiere
;1 più sacro ed il più aspro dei doveri che un cit-
tadino ha verso la patria. Ma io conto su di voi.
Siete uomini già temprati alle lotte della vita.
Quando sarete amalgamati ed affiatati cogli an-
ziani, voi sarete animati dallo stesso entusiasmo e
dall identica volontà di vincere. Voi troverete in
me, non solo il superiore, ma il padre, ma il fra-
tello. Dove potrò agevolarvi, lo farò. Fidatevi di
me. Auguri! —
Il capitano ha finito. Le sue parole, franche e
commosse, sono scese nel profondo dei nostri cuo-
ri. E’ un uomo che ispira molta fiducia e molta
simpatia. Un tenente fa un passo innanzi e grida :
— Bersaglieri dell’ottava compagnia, al vostro
capitano Vestrini, hurra!
— Hurra! Hurra! Hurra! — rispondiamo noi, a
gran voce.
I portaferiti stanno ora raccogliendo i cadaveri
uei soldati caduti stanotte. Sei, finora. Vengono
deposti ai margini della mulattiera, nell’attesa di
essere identificati e sepolti. C’è fra loro un magni-
fico tipo di abruzzese, che ho conosciuto ieri. Ha
la lesta avvolta in un telo da tenda. I morti sono
coperti. Non si vedono che le mani irrigidite, nere
per il fango della trincea. I soldati anziani passano
e non guardano.
Ho notato — con piacere, con gioia — che tra
IL MIO DIARIO DI GUERRA
29
ufficiali e soldati regna la più cordiale camara-
derie.
La vita di rischi continui lega le anime. Più che
superiori, gli ufficiali mi appaiono come fratelli. E’
bello! Tutto il formalismo disciplinare della caser-
ma è abolito. Anche l’uniforme è quasi abolita.
Proibito — anche nei ripari — di portare il berret-
to fez. Abolito il pennacchio tradizionale al cap-
pello. Caschi di lana, invece, che i soldati fregiano
esteticamente di una stelletta. Si può parlare con
un ufficiale, senza bisogno di impalarsi sull’attenti.
E’ difficile, in montagna, star sull'attenti...
Con questi ufficiali, coloro che parlano di un
rafforzamento del militarismo, con la inevitabile vit-
toria italiana, si divertono a inseguire dei fantasmi.
Il militarismo « made in Germani / » non ha attec-
chito in Italia. D’altronde questa guerra, fatta dai
popoli e non dagli eserciti di caserma, segna la
fine del militarismo di casta o professionale.
L’enorme maggioranza degli ufficiali italiani è
venuta, con la mobilitazione, dalla vita civile. Tut-
ta l’ufficialità dei subalterni è formata di tenenti e
sottotenenti di complemento che si battono e muo-
iono da pfodi.
Alcuni ufficiali mi vogliono conoscere. Ecco il
sottotenente Lohengrin Giraud. Giovane e valoro-
so. Proposto per la medaglia d’argento al valor
militare.
— Ho un nome tedesco, o piuttosto wagneriano
— mi dice — ma detesto i tedeschi.
Mi narra. L’11 settembre, la 3 a compagnia ebbe
l’ordine di attaccare il cocuzzolo dell’Vrsig, di con-
i
30
BENITO MUSSOLINI
quistarlo e di gettare in basso — dall’altra parie
— gli austriaci. La compagnia era comandata da
Umberto Villani. Un audace. Un uomo che non
sapeva nè ridere, nè sorridere. Scoccata l’ora, mez-
zogiorno e dieci, il Villani si lanciò all’assalto fra
i primissimi, alla testa del « plotone d’onore » che
egli aveva costituito fra i migliori elementi della
compagnia. Appena iniziato il combattimento, il
Villani — che stava ritto in piedi per ordinare
la disposizione delle squadre che avanzavano — fu
ferito da una fucilata. Non se ne curò. Di lì a pochi
minuti, fu abbattuto dallo scoppio di una bomba.
Ebbe appena il tempo di gridare :
— Bersaglieri della settima, avanti! A destra!
Stendetevi a destra! Viva l’Italia! —
E’ morto. Allora il comando della compagnia fu
assunto dal sottotenente milanese Giraud In pie-
di, anche lui, ferito anche lui, non però grave-
mente, incurante del pericolo e della morte, dires-
se la furiosissima battaglia, che durò venti ore.
Esaurite le bombe, si ebbe un a corpo a corpo mi-
cidiale e indescrivibile. Ma l’ azione fu coronata
da successo. Gli austriaci furono rigettati dall’altra
parte del cocuzzolo. Molti cadaveri nei burroni.
— Mi piacerebbe di averti nella settima com-
pagnia — mi dice Giraud.
Tenente Cauda, dei carabinieri, venuto a com-
battere volontario. E un sardo. Coraggio e sangue
freddo eccezionali. Parla lento, all’inglese. Tenen-
te Corbelli, romagnolo, di Russi.
Una voce :
— C’è qui il bersagliere Mussolini?
IL MIO DIARIO DI GUERRA
31
— Sono io.
— Vieni che voglio abbracciarti. —
E ci abbracciamo. E’ il capitano Festa della
10* compagnia del 157° fanteria, che occupa le no-
stre posizioni.
— La *tua campagna giornalistica per l’inter-
vento onora te e il giornalismo italiano! — aggiun-
ge, alla presenza dei bersaglieri disseminati nei
ripari.
— Questa, caro Mussolini, è una guerra terri-
bile. Abbiamo di fronte dei barbari che ricorrono
a tutte le insidie... Ma — e si volge anche agli al-
tri — coraggio e, soprattutto, religione del do-
vere! —
Se ne va. E’ basso, tarchiato, barbuto. Porta
gli occhiali. I suoi soldati parlano di lui con vene-
razione.
La mia compagnia è comandata ai posti avan-
zati, di guardia.
Tramonto. Il caporale Claudio Tommei — ro-
mano — mi offre un passamontagna e un numero
del Rugantino. Grazie. Quando, in Italia, si par-
lava di trincee, il pensiero correva a quelle in-
glesi, scavate nelle pianure basse di Fiandra e mu-
nite di tutto il comfort, non escluso — si dice — il
lermosifone. Ma le nostre, qui, a quasi 2000 metri
sul livello del mare, sono ben diverse. Si tratta
di buche scavate fra le rocce, di ripari esposti
alle intemperie.
Tutto provvisorio e fragile. E’ veramente una
guerra di giganti quella che i soldati d’Italia —
fortissimi — combattono.
32
BENITO MUSSOLINI
Non dobbiamo espugnare delle fortezze, dob-
biamo espugnare delle montagne. Qui, il macigno
è un arma e micidiale quanto il cannone!
Il vento della sera porta in alto il freddo e il
fetore dei cadaveri dimenticati.
Notte chiara, di stelle.
20 Settembre.
Appena è giorno, il capitano mi chiama. Vado
con lui alla trincea più avanzata. Riparato da due
sacchetti di terra, posso guardare, con una rela-
tiva tranquillità, il luogo conteso. E’ uno spiazzo
di forse 150 metri quadrati. Non più. Il « cocuz-
zolo » ha perduto i suoi connotati. E’ stato spia-
nato, livellato dalle bombe e dalle mine. Macigni
frantumati, grossi pali, fili di ferro, stracci di uni-
forme, zaini, borracci : segni delle tempeste. Gli
austriaci sono a treni: metri — appena — da noi.
Non si fanno vedere
Le nostre mitragliatrici non scherzano. Chi si
scopre, è fulminato.
Un siciliano coraggiosissimo, tal Failla, sta ol-
tre la trincea e getta bombe. Gli mancano, a un
certo punto. Il caporale Morani gliele porta volon-
tariamente. E appena giunto che una bomba au-
striaca gli cade vicina. Per un momento non lo
vedo più. Trepidazione. Ma ecco che si rialza e
viene di corsa verso di noi. Mi cade fra le braccia.
E soltanto ferito. Ha il volto sporco di polvere e
di sangue. Le ferite sono alle gambe. Vuole che
IL MIO DIARIO DI GUERRA
33
io lo accompagni ai posto di medicazione. Lo por-
tiamo in barella, io e il portaferiti Greco. Il Mo-
rani è calmo, tranquillo. A T on un grido, non un
gemito. Contegno da vero soldato. Il tenente me-
dico gli fa una prima sommaria medicazione e mi
assicura che le ferite non sono gravissime. Ci ab-
bracciamo. Il Morani è portato via in barella, io
torno al mio posto. Giunge un ordine scritto :
— Il bersagliere Mussolini deve presentarsi, ar-
mato, al Comando del Reggimento! —
Zaino in spalla. Un’ora di marcia. La sede del
Comando è in una modesta e rozza baracca di
legno.
— Prima di tutto — mi dice il colonnello — ho
d piacere di stringervi la mano e sono lieto di a-
vervi nel mio Reggimento; poi, avrei un incarico
da affidarvi. Voi dovreste rimanere con me. Siete
sempre in prima linea, esposto, anche, al fuoco
dell’artiglieria. Dovreste sollevare il tenente Pa-
lazzeschi di una parte del suo lavoro amministra-
tivo e dovreste scrivere, nelle ore di sosta, la storia
del Reggimento, durante questa guerra. E’ una
proposta quella che vi faccio, beninteso; non un
ordine! —
Il colonnello Giuseppe Rarbieri è un romagnolo,
di Ravenna. Ha infatti la « linea » del romagnolo.
Gli rispondo:
— - Preferisco rimanere coi miei compagni in
trincea...
— E allora non se ne parla più. Accettate un
bicchiere di vino. —
Mussolini. - Il mio diario di guerra .
3
34
BENITO MUSSOLINI
Non è buono il vino del colonnello, ma in man-
canza di meglio...
Ho chiesto e ottenuto di passare alla 7 a compa-
gnia per essere insieme col tenente Giraud.
Alcuni bersaglieri, addetti al Comando, mi ma-
nifestano le loro meraviglie per il mio rifiuto.
— Sono alla guerra per combattere, non per
scrivere! —
Risalendo il monte, passo vicino alle cucine. C’è
un enorme 305 non esploso. Poco lungi un cada-
vere di austriaco, abbandonato. Il morto stringe
ancora fra i denti un lembo di bavero della sua tu-
nica che — strano! — è ancora intatta. Ma sotto,
attraverso la carne in putrefazione, si vedono le
ossa. Gli mancano le scarpe. Si capisce! Le scarpe
degli austriaci sono molto migliori delle nostre.
Poco prima di arrivare alla trincea, incontro Gi-
raud col mio nuovo capitano, Adolfo Mozzoni. Gli
riferisco il mio colloquio col colonnello. Si congra-
lula del mio rifiuto che giudica «nobilissimo».
— Anch’io sono un po’ giornalista, — mi dice,
— e faremo insieme un giornale delle trincee...
21 Settembre.
Sono andato a salutare gli amici dell’8 a com-
pagnia. Trovo il capitano Vestrini, ferito una se-
conda volta da pallottola che gli ha attraversato
la guancia. Se ne va alfinfermeria.
Tornando dal Comando del battaglione, mi con-
segnano un giornale vecchio di quattro giorni.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
35
Posta dall’Italia, niente ancora. Pazienza. Ma un
guardafili mi passa una missiva a mano. E’ la
lettera scritta a matita di un soldato, che incon-
trai per la prima volta, durante la marcia verso la
linea del fuoco, a Planina Za-Plecan. Volle allora
che firmassi una cartolina. Si è ricordalo di me.
E’ certo Rusconi Francesco, dimorante in via Mal-
pensata, 2, a Lecco, e ora soldato di fanteria.
E’ un documento interessante, nella sua commo-
vente semplicità, e dimostra da quali spiriti siano
sorretti gli umili soldati d’Italia. Dice :
« Caro. Mussolini, sono un povero operaio sol-
dato. Tratto dagli studi a tenera età per le gravi
condizioni di famiglia, venivo posto nella grande
fiumana proletaria e da essa coinvolto. Tanto fu
il mio dolore a lasciare le scuole elementari; ma
il pensiero di portare un non lieve contributo di
sollievo alle tristi condizioni della mia famiglia,
mi rendeva orgoglioso. Per gli studi, pensavo, de-
dicherò le ore libere: così feci».
Dopo aver parlato delle lotte fra neutralisti e
interventisti, prosegue :
« Poco tempo dopo, era per me l’ora di aggiun-
gere l’opera al pensiero. Son oggi, otto mesi ».
Parla del nostro incontro e continua :
« Mi lasciò la sua firma, ma più ancora sento,
nel mio cuore e nell’anima mia, una luce viva ed
un contento che giammai scorderò e che mi ac-
compagneranno fino al compimento del destino del-
la Patria... ».
Non è semplice e non è grande il linguaggio di
questo ignoto soldato operaio?
33
BENITO MUSSOLINI
E venuto 1 ordine di dare il cambio alla 9 a com-
pagnia che occupa uno dei costoni avanzati del
Vrsig. Si parte. Marcio in testa alla colonna, in-
sieme col tenente Giraud. Tragitto lungo e fatico-
so. Attraversiamo due passaggi pericolosi. Neh
l uno cè il pericolo delle mitragliatrici; nell’altro
c è il rischio di essere schiacciati dai macigni che
gli austriaci rotolano continuamente dall’alto. Il
mio caposquadra è il calabrese Lorenzo Pinna di
Nicastro, studente, volontario. Suo padre è un in-
gegnere del Genio Civile.
Chi avrebbe mai pensato che mi sarei trovato
con Mussolini soldato semplice! Lo scrivo subito
a mio padre, che spesso mi parlava di lei. —
Nel primo passaggio scoperto, che attraversia-
mo — molto distanziati gli uni dagli altri e di cor-
sa c è il cadavere di un soldato austriaco. E’
voltato con la faccia contro terra. Rotolando dal-
l’alto, l’uniforme è andata in brandelli. La schiena
è nuda e nera come l’inchiostro. Fetore. Il tenente
Giraud ci precede sempre. Nelle sue parole, mi
sembia di scorgere qualche oscuro presentimento.
Vedi, Mussolini, qui si può morire e si muo-
re, senza combattere... —
Abbiamo appena occupato il ripidissimo pendìo
del monte, che una triste notizia si diffonde fra noi.
Il tenente Giraud è rimasto ferito gravemente dal-
la fucilata di una vedetta austriaca, mentre si re-
cava insieme col capitano e il sergente a ispezio-
nare la posizione. La pallottola gli è entrata dalla
spalla. Vedo venire verso di me il portaferiti Al-
berto De Rita che mi dice :
IL MIO DIARIO DI GUERRA
37
— Il tenente Giraud mi manda a salutarvi... —
La notizia ha rattristato profondamente tutti i
bersaglieri che amano molto il loro ufficiale e ad-
dolora me, in particolar modo. E’ sera. Ci sten-
diamo accanto agli alberi sulla nuda terra. Razzi
luminosi e pioggia di bombe.
22 Settembre.
Calma. Qualche cannonata, qualche fucilata del-
le vedette. Giornata meravigliosa di sole. Il capi-
tano Mozzoni mi chiama alla sua tenda. Trovo con
lui il sottotenente Fava, del 27° battaglione. Lun-
ga, amichevole conversazione.
23 Settembre.
Siamo a 1897 metri d altezza. 11 pendìo della
montagna è del 75-80 %. Una vera parete. Guai a
rotolare un sasso! Per salire e scendere ci giovia-
mo di una corda che, legata agli alberi, va dal
Comando della compagnia al posto estremo di col-
legamento, in fondo valle. Ieri sera, pioggia ecce-
zionale di bombe. Sono bombe che si annunciano
con un sibilo curiosissimo. Quasi umano. Sono
lanciate col fucile. Se trovano il terreno molle, non
scoppiano. Ma ieri sera sono scoppiate quasi tutte.
Nessuno di noi ha potuto chiudere occhio. Un mor-
lo e un ferito. Il morto è tal Bertelli, richiamato
dell 84, contadino di Migliarino (Ferrara). La bora-
38
BENITO MUSSOLINI
ha gli è scoppiata sopra e gli ha squarciato il pet-
to. Il ferito non è grave. Si distribuisce la posta.
Il mio compagno di trincea, l’abruzzese Giacob-
be Petrella, di Pescasseroli (Aquila), lavora furio-
samente di vanghetta e piccozzino per rendere un
pochino più solido il nostro riparo. Accanto a me
alcuni bersaglieri giocano tranquillamente a sette
e mezzo. E’ quell’ indemoniato di Marcamo che
tiene il banco.
Mi metto a giuocare anch’io e perdo. Se non
tuonasse il cannone, non sembrerebbe di essere in
guerra.
24 Settembre.
Giornata di grande sole.
Nel bosco è un lento cadere di foglie. Si diffon-
dono tra le squadre le prime notizie. Non sono
liete.
Ieri sera, sull’imbrunire, un richiamato che si
recava di corvée a prendere il pane, nel l’attraversa-
re la solita posizione scoperta, è stato fulminato da
una fucilata. Si chiama Biagio Benati, dell’84,
ferrarese anche lui.
Vedo passare gli zappatori. Il porta-mensa degli
ufficiali, tal Rossi Giuseppe, manca. Ferito? Mor- j
to? Disperso? Bombe, bombe, bombe tutta la notte,
sino all’alba. Nessun morto, alcuni feriti. Matti-
nata di sole e di cannoneggiamento. Passa un Tau- j
IL MIO DIARIO DI GUERRA
39
be altissimo. Bianco. A tremila metri. La posta.
Per noi, richiamati dell’84, nulla. E’ triste!
25 Settembre.
Stanotte dalle 2,30 alle V/4 sono montato di ve-
detta per la nostra squadra che si trova a un posto
avanzato. Era con me, altra vedetta, Barnini Wa-
shington, certaldese. Vero toscano del paese di
Boccaccio : ogni parola, due bestemmie. Sono sta-
to con orecchi ed occhi spalancati, ma nessuno si
è visto. Quattro bombe sono scoppiate a pochi me-
tri dal nostro posto. Luna velata da nubi bianche.
Veniva dal burrone il tanfo dei cadaveri dissepolti.
11 bel tempo è finito. Ieri, ancora il sole — un po’
stanco — del settembre; oggi la nebbia, la piog-
gia, il freddo dell’inverno. Turbinìo di foglie che
cadono con rumore secco sui nostri teli da tenda.
I miei compagni, della prima squadra, Pinna, Pe-
rella, Barnini, Simoni, Parisi, Di Pasquale, Bot-
tero, Pecere, accovacciati come me sulla nuda
terra, nel cavo di una roccia, dalla quale filtra l’ac-
qua, sono silenziosi. Qualcuno dorme. Piove.
26 Settembre.
Piove sempre. Da ventiquattro ore. Io sento
l’acqua fredda che mi lava la pelle e finisce nelle
scarpe. Stanotte un nostro posto di collegamento
di quattro uomini e un caporale è stato catturato
40
BENITO MUSSOLINI
dagli austriaci truccati da bersaglieri. Nessuna
nuova del porta-mensa Rossi. Il sergente Simonelli
10 dà per « disperso ». Stanotte nessun ferito. Gra-
zie all umidità del terreno, poche bombe sono scop-
piate. Il capitano Mozzoni, che ha ricevuto in dono
due bottiglie di cognac, lo ha fatto distribuire ai
bersaglieri. L atto indica il cuore e la gentilezza
dell’uomo.
Mentre scrivo, la pioggia è diventata nevischio
che batte sonoramente e rabbiosamente sulla no-
stra tenda. Il che non impedisce a Pinna e Barnini
di intonare una canzone nella quale si parla di
una «regina che si vorrebbe incoronare». Rom-
ba, a intervalli, il cannone. Ora cantiamo tutti in-
sieme :
E la bandie-era
Dei ire colo-ori
E’ sempre stata la più bella, bella, bella
Noi vogliamo sempre quella
Noi vogliamo la libertà...
Distribuzione gratuita di tabacco, sigari, siga-
rette. Parisi m’insegna : « Non bisogna accendere
in tre con lo stesso fiammifero. Altrimenti muore
11 più piccolo dei tre ».
Superstizioni delle trincee. Accendiamo in due.
Fumo.
Come si vive e come si
muore nelle linee del fuoco
27 Settembre.
Da ieri mattina non abbiamo in corpo che un
sorso freddo di caffè. Piove sempre. Da due gior-
ni, ininterrottamente. Stanotte non ho chiuso oc-
chio. Mi trovavo sotto la tenda con un tal Jannaz-
zone, un contadino del Beneventano, il quale, in-
zuppato fradicio, come me, e un po’ febbricitante,
gemeva :
— Madonna mia bella! Madonna mia bella!
— Basta, basta, Jannazzone! — gli ho detto.
— Non credete in Dio, voi? —
Non ho risposto.
Io, invece, ingannavo il tempo, le dodici ore in-
terminabili della notte, rimemorando le poesie im-
parate nel bel tempo felice e lontano della mia gio-
vinezza. Effetto delle circostanze climateriche, la
poesia che mi è tornata alla memoria, è La caduta
del Parini. Strofa a strofa sono giunto sino ai
versi :
« Ed il cappello e il vano
« Boston dispersi nella via, raccoglie ».
42
BENITO MUSSOLINI
Poi non mi sono ricordato più.
Cambiamo posizione. Andiamo in fondo valle
alle sorgenti dello Slatenik, un torrente che sbocca
nell’Isonzo, nella conca di Plezzo. Nei ripari che
gli austriaci hanno abbandonato, troviamo un po’
più di comfort. In questa zona sono ancora visi-
bili i segni della travolgente avanzata degli ita-
liani.
Sul terreno tormentato e sconvolto sono disse-
minati, in disordine, bossoli di proiettili d’ogni ca-
libro, giberne, scarpe, zaini, pacchi di cartuccie,
fucili, cassette di legno sventrate, tronchi d’alberi
abbattuti, reticolati di ferro travolti, scatolette di
carne vuole con diciture tedesche e ungheresi, faz-
zoletti, teli da tenda. Qua e là sono degli austriaci
morti e malamente sepolti. Tra gli altri un uffi-
ciale.
Qui furono distrutti due reggimenti di bosniaci
e erzegovinesi.
La posta : pacchi e lettere, ma per me e per tutti
i richiamati dell’84, niente ancora. Soffia un vento
impetuoso e freddo. Distendiamo sui cespugli, al
sole, le nostre mantelline e coperte, inzuppate di
acqua.
29 Settembre.
Due giorni e due notti di pioggia. Tempesta.
Veniva dal Monte Nero. Sono, siamo fradici si-
no alle ossa. I bersaglieri preferiscono il fuoco al-
l’acqua. Fuoco di piombo, si capisce. Ma stamani,
IL MIO DIARIO DI QUERRA
43
tepido fa dimenticare le giornate piovose. Lo Sla-
ienik — ingrossato — urla in fondo al vallone. Si
distribuisce la posta. Finalmente, dopo quindici
oiorni, c’è qualche cosa anche per me. Nel trin-
cerone che occupiamo si può accendere il fuoco.
Ogni tenda ha il suo. Qui, l’unico pericolo — oltre
a quello delle cannonate e delle pallottole vaga-
bonde — è dato dai macigni che rotolano dal-
l’Vrsig. Di quando in quando si sente gridare :
— Sasso! Sasso! —
Guai a chi non lo evita a tempo!
L’il 0 bersaglieri è stato rudemente provato, ma
il « morale » dei soldati è eccellente. Anche i poi-
lus dell’84 stanno cambiando psicologia. Diventa-
no soldati. Sembrano già lontanissimi i primi gior-
ni, quando bastava il rombo del cannone, il fischio
di una pallottola o la vista di qualche cadavere per
emozionarli. Distribuzione di alcuni indumenti in-
vernali. Sono ottimi.
30 Settembre.
Ho portato — poiché li desiderava — alcuni
numeri arretrati del Popolo al mio capitano Moz-
zoni. Era aiutante in prima; ha preferito riassumere
i! comando della compagnia. Uomo che conosce gli
uomini, soldato che conosce i soldati. I bersaglieri
gli vogliono molto bene. Non ha bisogno di ricor-
rere a misure disciplinari per ottenere che ognuno
adempia il proprio dovere. Mi offre biscotti e tre
44
BENITO MUSSOLINI
pacchetti di sigarette. E’ con lui il tenente Morri-
goni, romano, simpaticissimo e fortunato. E’ giun-
to, dal 12°, un cadetto destinato al comando del
primo plotone della nostra compagnia : Fanelli,
di Bari. Giornata tranquilla.
l a Ottobre.
Piove. Il mio capitano, in un rapporto indiriz-
zato al colonnello, fa vivi elogi del mio spirito mi-
litare e della mia resistenza alle prime e più gravi
fatiche della guerra.
Verso sera, intenso fuoco di fucileria e di mitra-
gliatrici alle falde dell’Jaworcek. Che gli altri bat-
taglioni abbiano impegnato un combattimento?
2 Ottobre.
Sono giunti altri ufficiali. I cadetti Barbieri e
Raggi. Ora i quadri della nostra compagnia sono
al completo.
Gli austriaci bombardano con granate incendia-
rie il villaggio di Cezzoga.
3 Ottobre.
Il piantone della fureria, Lamberti, mi reca un
biglietto del capitano, che dice :
» Sarebbe mio desiderio che ai bersaglieri della
IL MIO DIARIO DI GUERRA
45
compagnia fosse espresso nel modo più sentito alla
loro anima semplice e buona, il mio vivo compia-
cimento per la fusione già stabilitasi fra i vecchi e
i giovani bersaglieri; ciò che dimostra quale spi-
rito di cameratismo animi il loro cuore. La serena
giocondità, il sentimento di disciplina, la disinvolta
resistenza ai disagi cui sono sottoposti, vengono
da me così apprezzati, tanto da sentirmene fiera-
mente orgoglioso. Tutto ciò è indice di alto senti-
mento del dovere e dà affidamento della più salda
compagine qualora a nuovi cimenti si possa essere
chiamati. Al bersagliere Mussolini affido l’incarico
di scrivere un ordine del giorno di compagnia che
in una sintesi concettosa e bersaglieresca esprima
tali miei apprezzamenti, con l’esortazione a perse-
verare, e con la visione di quegli ideali fulgidissimi
di Patria e di famiglia, che costituiranno a suo
tempo il premio più sensibile per il sacrosanto do-
vere compiuto ».
Io mi domando : « Ma non è già questo un ordine
del giorno bellissimo? Che cosa posso dire, io, di
meglio e di più? ». Tuttavia, obbedisco. Fra anziani
e richiamati, si cominciano a stabilire rapporti di
amicizia. Nel primo plotone, di richiamati non ci
sono che io. Tutti gli altri sono anziani che si tro-
vano al reggimento dal principio della guerra.
Spesso mi raccontano episodi interessantissimi.
L’avanzata su Plezzo, le azioni sul Vrsig. I capo-
rali hanno riunito le squadre e leggono l’ordine
del giorno.
46
BENITO MUSSOLINI
4 Ottobre.
Cielo stellato sino a mezzanotte. Stamane nevi
ca. Ci esercitiamo al lancio di bombe.
5 Ottobre.
Stanotte sono stato quattro ore di vedetta. Pio-
veva.
6 Ottobre.
~ Zaino in spalla! —
E’ giunto l’ordine di raggiungere sullo Jaworcek
gli altri battaglioni. Ci mettiamo in marcia. Il ca-
pitano ci precede. Porta lo zaino e la caramella.
Sosta al Comando del reggimento. Discorso del
colonnello, seguito dalla lettura di un lungo elen-
co di bersaglieri della T proposti per una ricom-
pensa al valor militare.
— Bersaglieri della settima, al colonnello del-
1’ 11°, hurrà!
— Hurrà! —
Pulizia al fucile. Distribuzione di scarpe. Duran-
te queste operazioni, faccio la conoscenza di un
sergente degli alpini, di Monza, ferventissimo in-
terventista, entusiasta della nostra guerra.
Giunge l’8 a compagnia. Qualcuno mi annuncia
che il caporale Buscema è rimasto ferito da una
IL MIO DIARIO DI GUERRA
47
cannonata, il 26 settembre. Il colonnello ripete il
discorso ai bersaglieri dell’SL Crepuscolo. Si parte.
7 Ottobre.
La marcia di stanotte fra tenebre fittissime, per
una mulattiera scoscesa e fangosa, entro un bosco,
è stata dura.
Parecchie volte i plotoni hanno perduto il colle-
gamento. Alcuni bersaglieri sono caduti e non han-
no potuto proseguire. Anch’io — come tutti — so-
no caduto varie volte, ma l’unico danneggiato è
l’orologio che porto al polso. Non va più.
Dieci ore di marcia. Siamo giunti alle due del
mattino. Per fortuna, non pioveva e c’erano le
stelle. Ci siamo rintanati fra i macigni, nell’attesa
dell’alba.
8 Ottobre.
Sveglia alle cinque. Ci spostiamo verso l’ allo
di un altro centinaio di metri. Ci troviamo sotto
una delle «pareti» ripidissime dell’Jaworcek. Dal-
la cima le vedette austriache sparano continua-
mente. Mi metto a lavorare accanitamente di van-
ghetta e piccone, per farmi un buon riparo. Pe-
trella mi aiuta. Ritrovo il tenente Fava, che mi
presenta al capitano della sua compagnia, Janno-
ne. Gli amici degli altri battaglioni — appena^sa-
puto del nostro arrivo — mi vengono a cercare.
48
BENITO MUSSOLINI
Rivedo il caporal maggiore Bocconi, barbuto e un
po’ dimagrito, il caporal maggiore Strada, ex vigile
milanese, sempre pieno d’entusiasmo; il caporale
Corradini che mi racconta la straordinaria avven-
tura toccatagli. Doveva andare di guardia, con una
squadra, al quarto boschetto. Giunto a un passaggio
obbligato e scoperto, sul quale gli austriaci rotola-
vano continuamente sassi e macigni, il Corradini,
volendo appunto evitare un macigno, mise un piede
in fallo e rotolò giù, in fondo al burrone. Una not-
te intera rimase laggiù, nel fango, sotto la piog-
gia, ritenendosi ormai perduto.
— Fu il pensiero della mia piccina, che mi diede
il coraggio — egli mi dice. — A giorno fatto, ri-
salii il pendìo del monte. Nella caduta avevo per-
duto tutto : zaino, fucile, mantellina. Giunsi a un
piccolo posto di fanteria. La vedetta mi intimò
Vali. Quando il caporale del piccolo posto mi eb-
be riconosciuto come appartenente all’esercito ita-
liano, mi lasciò passare. Potei riguadagnare — sa-
no e salvo — la mia compagnia. —
Ecco Rampoldi, ex cuoco del Restaurant Casa-
nova. Lo chiamavamo Rampoldo, Rampoldino...
Ritrovo ancora vivi e in gamba i milanesi Spa-
da, Frigerio, Sandri. Viene anche a trovarmi, per
conoscermi, il caporale Giustino Sciarra, di Iser-
nia. Ha una curiosa barbetta a punta, rossigna.
Cordialità, simpatia, auguri. Si parla di un’avan-
zata imminente.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
49
9 Ottobre.
Dormito profondamente tredici ore. La stan-
chezza è passata. C’è un ferito dell’8 a compagnia
che viene portato in barella. Una pallottola lo ha
colpito mentre si scaldava al fuoco. Canticchia e
urna. Gli scelti tiratori austriaci sparano sempre
1 n forte gruppo di ferraresi viene alla mia tenda
c mi prega di porgere un saluto collettivo da man-
darsi a un giornale di Bologna. Fatto.
Corvée di riattamento alla mulattiera. Il capo-
rale milanese Bascialla, eh e stato stanotte di guar-
, 91 p ° stl più avar) zati, mi narra un episodio sin-
golare. Si è trovato — in un riparo — accanto a
un bersagliere che pareva dormisse. Egli ha pro-
vato a chiamarlo. A richiamarlo. A scuoterlo. Non
rispondeva. Non si moveva. Era morto. Il Bascial-
la ha passata tutta la notte accanto al cadavere.
Prpn-r q !f ndlC1 ‘ Raffica di artiglieria austriaca.
ShiSjp d T 1 I proIetllh - Schianto di rami. Turbine di
_c egge. Un grosso ramo, stroncato da una gra-
ata, sì è abbattuto sul mio riparo. Ci sono due
oqo V " e)l9 mia com P a gnia. Passa un morto del
39 battaglione. Un altro morto degli Alpini II
bombardamento è finito. E’ durato un’ora. I bersa-
gli escono dai ripari. Si canta. Lunga conver-
sazione col capitano Bono della 4 a compagnia.
Argomento: i colpi di scena balcanici..
B capitano Bono è un ingegno versatile e di
vasta coltura.
Non dimenticherò il tremito della sua voce
quando - me presente - essendogli giunto uno
Mussolini . U mis uSforto dj gMrrB
so
BENITO MUSSOLINI
di quei moduli speciali coi quali si chiedono ai
Reparti notizie di militari, dovette scrivere la pa-
rola : morto!
Sera di calma. Qualche fucilata solitaria delle
vedette fischia di quando in quando nella bosca-
glia.
10 Ottobre.
Mattinata meravigliosa di sole. Orizzonte limpi-
dissimo. Si ordina la statistica dei caricatori. Ogni
soldato deve averne 28. Ore dieci. Uno shrapnel
è passato fischiando sulle nostre teste. In alto. Non
trascorrono cinque minuti, che un secondo shrap-
nel scoppia con immenso fragore a tre metri di
distanza del mio « ricovero », a un metro appena
dalla tenda del mio capitano. Ero in piedi. Ho sen-
tito una ventata violenta, seguita da un grandinare
di schegge. Esco. Qualcuno rantola. Si grida:
— Portaferiti! Portaferiti! —
Sotto al mio ricovero ci sono due feriti che sem-
brano gravissimi. Un grosso macigno è letteral-
mente inaffiato di sangue. Gli ufficiali sono in pie-
di che impartiscono ordini.
— Le barelle! Le barelle! —
I feriti sono molti e bisogna chiedere le barelle
alle altre compagnie del battaglione. Ci sono an-
che dei morti: due. Uno è Janarelli, l’attendente
del tenente Morrigoni. Una palletta di shrapnel gli
è entrata dal petto e gli è uscita dalla schiena.
il mìo Diario di guerra
51
Gliel'hanno trovata fra la pelle e il farsetto a ma-
glia.
— Tenente, mi abbracci! — ha detto Janarelli.
— Per me è finita! —
Vedo il tenente Morrigoni, cogli occhi luccicanti
di lacrime.
Era tanto bravo e tanto buono! —
Lo Janarelli sembra dormire. Solo attorno alla
bocca c’è una grossa rosa di sangue. L’altro è un
richiamato dell’ 84. Una scheggia gli ha spezzato
il cranio.
Una riga rossa gli divide a metà la faccia. I feriti
sono nove, dei quali tre gravissimi e due disperati.
Zappatori, in rango colle vanghette. —
Gli zappatori si riuniscono coi loro strumenti.
Adagiano i morti su barelle fatte con rami d’al-
bero e sacchi e se ne vanno. Qui non si può fare
un cimitero. Bisogna seppellire i caduti qua e là,
nelle posizioni più riparate. L’emozione della com-
pagnia è stata fugacissima. Ora si riprende il
chiacchierio. Si fischierella. Si canta.
Quando lo spettacolo della morte diventa abi-
tudinario, non fa più impressione. Oggi, per la
prima volta, ho corso pericolo di vita. Non ci
penso.
Dopo un mese mi lavo e mi pettino. Schàmp’oùm
al marsala. 3
il
* • è . . .
Passa il tenente Francisco della 15 a compagnia’
quale mi racconta : r & >
« Ieri sera gli austriaci hanno inscenato una di-
52
BENITO MUSSOLINI
rnostrazione antitaliana. Hanno cantato in coro il
loro inno nazionale. Poi hanno gridato:,
— Kicchirichi, kicchirichi! —
« Hanno aggiunto :
— Bersaglieri dell’ll 0 , vi aspettiamo! —
« Alla fine, una voce di ufficiale ha urlato al
megafono :
— Italiani farabutti, lasciateci le nostre terre! ».
11 Ottobre.
Meravigliosa mattinata di sole. Il secondo, il
terzo, il quarto plotone defila mia compagnia, le-
vano te tende e si spostano per essere defilati dai
tiri degli shrapnels. Noi restiamo al nostro posto.
Passa un morto della 13 a compagnia. Bombarda-
mento di un’ora a shrapnel. Conversazione col ca-
pitano Bono.
'**••» > » «
La vita in trincea è la vita naturale, primitiva.
Un po’ monotona. Ecco l’orario delle mie giorna-
te. Alla mattina non c’è sveglia. Ognuno dorme
quanto vuole. Di giorno non si fa nulla. Si può
andare — con rischio e pericolo di essere colpiti
dall’implacabile « Cecchino » — a trovare gli ami-
ci delle altre compagnie; si gioca a sette e mezzo
o, in mancanza di carte, a testa e croce; quando ;
tuona il cannone, si contano i colpi. La distribu-
zione dei viveri è l’unica variazione della giorna-
ta : di liquido, ci dànno una tazza di caffè, una di
vino e un poco di grappa; di solido, un pezzo di
formaggio che può valere venti centesimi e mezza
IL MIO DIARIO DI GUERRA
53
scatoletta di carne. Pane buono e quasi a volontà.
Di rancio caldo, non è questione. Gli austriaci —
tempo fa — hanno bombardato coi 305 le cucine
e hanno fatto saltar per aria muli, marmitte e cu-
cinieri.
C’è un’ora nella giornata, che i bersaglieri atten-
dono sempre con impazienza e con ansia : l’ora
della posta che comincia a giungere regolarmente.
Ci pensa Jacobone, per il Reggimento. Nostro
« postino » è il calabrese Suraci. Quando si grida
« posta! », tutti escono dai ripari e si affollano
attorno al distributore. Nessuno pensa più alle
fucilate e agli shrapnels.
Ho scritto una lettera per Jannazzone e una per
Marcanico. Non si negano questi favori a uomini
che possono morire da un momento all’altro. La
fidanzata di Marcanico si chiama Genoveffa Pa-
ris. Questo nome mi riporta, chissà perchè, al
tempo dei « Reali di Francia ».
12 Ottobre.
Pulizia al fucile. Sole pallido. Poi, non c’è nulla
da fare. Passano i soliti feriti. C’è il bersagliere
Donadonibus che si spidocchia al sole.
— Cavalleria, a destra! Cavalleria, a sinistra! —
grida e ride, di un riso che sembra quello di un
uomo completamente felice.
Pioggia e pidocchi, ecco i veri nemici del sol-
dato italiano. Il cannone vien dopo.
Uno dei feriti dello shrapnel è morto prima di
arrivare all’infermeria reggimentale.
54
BENITO MUSSOLINI
Altra notizia triste : la fucilata di una vedetta ha
colpito a morte tal Mambrini, mantovano, mentre
stava lavorando a fortificare il suo riparo.
La guerra di posizione esige una forza e una
resistenza morale e fisica grandissime : si muore
senza combattere!
13 Ottobre.
Stanotte, sulle 23, improvviso e intensissimo
fuoco di fucileria e di mitragliatrici ai nostri avam-
posti. Siamo balzati dai nostri ripari. Un quarto
d’ora di fuoco e poi quiete sino all’alba. Mattinata
grigia. Vado di corvée colla mia squadra e mi ca-
rico di un sacco di pane. Passa un morto del 39°
battaglione, colpito da fucilata e da sassata. Si
diffonde, tra le squadre, la notizia che presto ci
sarà l’« azione ». La notizia non deprime, ma sol-
leva gli animi. E’ la prolungata inazione che
snerva il soldato italiano. Meglio, infinitamente
meglio, al fuoco, che sotto al fuoco. I bersaglieri
sono desiderosi di vendicare i compagni caduti a
tradimento.
Vicino a me si canta. E’ un inno bersaglieresco :
Piume, baciatemi
Le guance ardenti.
r*’ v a f v *- m
Piume, riditemi
Di gioia e canti;
E ripetetemi
Avanti! Avanti!
Guerra in montagna,
tra la neve e il fango
14 Ottobre.
s
Stamane, solilo passaggio di feriti non gravi.
Le vedette austriache, implacabili, non cessano un
minuto solo di sparare.
Ore quindici. L’artiglieria austriaca, dal Lipnik,
io credo, comincia a bombardare la nostra posi-
zione. Venti colpi da 280 che scoppiano in fondo
valle. Quattro non scoppiano. Grida di gioia e di
scherno partono dai nostri ripari.
Cessa il 280 e comincia il cannoncino. Lo chia-
miamo così, col vezzeggiativo, prechè, sparando
quotidianamente ci è diventato ormai familiare;
ma si tratta di un cannone da montagna da 75.
E credo che ce ne sia più d’uno. Quasi tutti gli
shrapnels battono la zona occupala dal nostro bat-
taglione. Ci mettiamo in quattro, testa a testa, con-
tro un grosso tronco d’albero che ci ripara magni-
ficamente. E’ con noi un alpino sorpreso dalla raf-
fica mentre andava a. prendere acqua. Scrosciano
le pallette, cadono le ramaglie, turbinano le foglie.
E’ finita. Troviamo qualche palletta, qualche
66
BENITO MUSSOLINI
scheggia ancora calda. Adesso sono i nostri can-
noni che cominciano a sparare.
Gli austriaci tacciono. Allegria, per noi. Passano
tre feriti, di cui uno solo relativamente grave, per-
chè ha una gamba spezzata. In fondo valle, il 280
na fatto qualche vittima. Ci sono alcuni morti —
fantaccini e bersaglieri — dei « posti di collega-
mento». Serata di calma. Qua e là si levano delle
voci che cantano. Ma non sono canzoni del reper-
torio patriottico. Sono del repertorio soldatesco e
popolare. Bisogna distinguere. Salvo una che ha
un ritornello che dice :
Trento e Trieste
Ti renderò
le altre canzoni sono ben lontane dagli avvenimenti
attuali. L’immortale Violetta tiene ancora il primo
posto.
E la Violetta
La va, la va...
Alcuni, che devono essere reduci dalla Libia,
cantano invece :
Da Tripoli a Gargaresch
Si marcia in ferrovia...
E non manca la canzonetta scollacciata, anzi
oscena :
All'osteria del numero uno...
•
Dammela ben, biondina
Dammela ben, bìondaaaa...
«
IL MIO DIARIO DI GUERRA 57
Il soldato italiano è allegro, particolarmente
quando non piove. E anche quando piove, accetta
la bagnura con molta filosofia.
\
15 Ottobre.
Notte di burrasca. Il vento mugghiava dal Monte
Nero alla Conca di Plezzo e andava a schiantarsi
contro la parete altissima e già bianca del Rom-
bon.
Mattinata grigia, incerta. Passano due bersaglie-
ri morti. Devono essere caduti stanotte ai piccoli
posti. Noi li vediamo passare, portati dai portafe-
riti e seguiti dagli zappatori che devono scavare
la fossa. Nessuno di noi domanda chi siano. Si
preferisce ignorare. Alcune ore di lavoro per riac-
comodare il nostro il riparo, sconquassato dalla
tempesta di stanotte. Fuoco stracco di fucileria tra
le vedette. Uno dei nostri spara con un fucile au-
striaco.
Tutte le mattine, al momento della distribuzione
del caffè, sorgono discussioni e battibecchi fra ber-
saglieri e bersaglieri e soprattutto fra bersaglieri e
caporali. Strano! Sono uomini che potrebbero mo-
rire da un momento all’altro e si bisticciano per un
sorso di caffè. Ma il fatto si spiega : anzitutto il
caffè è l’unico liquido che il soldato desideri e beva
con piacere e vantaggio; poi, nessuno crede di do-
ver morire e infine per un senso profondo di giu-
!
<*. •
f
58 BENITO MUSSOLINI
stizia distributiva. Quando le razioni non sono u-
guali per tutti, si grida :
— Camorra! Non fare camorra! —
Purtroppo la camorra, nel senso soldatesco del-
la parola, c’è. Al soldato che sta nelle prime linej£,
e dovrebbe essere « sacro », non giunge che la mi-
nima parte di ciò che gli spetta, giusta il regola-
mento di guerra. Caffè, cioccolata, vino, grappa
passano per troppe mani di conducenti, caporali,
piantoni. La « camorra » sembra essere un fatto
normale, ma irrita grandemente i soldati, specie
in guerra. C’è il caso di sentirli dire : « Governo
ladro!». La camorra finisce per esercitare influenza
deprimente su quello che si chiama il «morale»
delle truppe. Io penso che se, per rendere contenti
questi soldati, occorre eliminare gli abusi della
piccola camorra e distribuire razioni abbondanti
e giuste di caffè, il problema è di facile soluzione.
Importate, se occorre, tutto il caffè del Brasile...
Sono giunti gli elmetti per gli shrapnels. Sei,
per compagnia, finora. Recano sul davanti queste
due iniziali R. F. : Republique Frammise.
*
* *
L’ll° bersaglieri è il reggimento italiano per ec-
cellenza. Tutti o quasi i distretti d’Italia vi sono
rappresentati. C’è qualche sardo, ci sono dei si-
ciliani di Cefalù, dei calabresi, dei pugliesi di Bari
e Lecce, degli abruzzesi di tutte e quattro le pro-
vinole, dei napoletani di Napoli e Caserta, dei ro-
mani, dei toscani di Siena, Firenze, Massa-Carra-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
59
ra, dei marchigiani di Ancona, Ascoìi-Piceno, Pe-
saro, degli emiliani di Ferrara, dei lombardi di
Milano, Brescia, Cremona, Bergamo, Lecco. Son-
drio, Mantova; dei veneti di tutte le provincie, ad
eccezione di Udine e Belluno.
In guerra, si disprezza il denaro. Chi ne ha, lo
manda a casa Non si sa nemmeno come spendere
la cinquina. C-’è il vivandiere, ma sta molto lontano
e non ha che delle scatole di sardine. Giunge di
notte e di giorno se ne va. Il valentuomo ha paura
delle granate e degli shrapnels. Se io fossi nel co-
lonnello, lo costringerei a rimanere — con noi —
in prima linea.
16 Ottobre.
Notte eccezionalmente calma. Anche la vedetta
austriaca ha riposato. Niente ta-pum. Stamani,
sole. Passano sulle nostre teste — in alto, molto
in alto — dei proiettili d’artiglieria, ma non si ca-
pisce di dove vengano, nè dove siano diretti. Il
tenente Morrigoni, di complemento, mi annuncia
la sua promozione a capitano, di complemento.
Lascierà la compagnia. Il tenente Fanelli se ne va
aH’infermeria. Ha i piedi rovinati dal freddo e dal-
l’umidità. Due feriti di pallottole. Distribuzione di
cioccolato, mandato da un ignoto amico.
— C’è qualcuno che si ricorda di noi! —
La Libera Stampa di Locamo mi giunge con un
articolo dedicato alla memoria di Giulio Barai, ca-
duto sul campo di battaglia. Povero ed eroico ami-
co! I superstiti, fra noi, ti ricorderanno sempre!
60
BENITO MUSSOLINI
*
* *
Cader prigionieri in mano agli austriaci: ecco
un’eventualità che spaventa i miei commilitoni.
— Piuttosto morire! — dicono tutti.
Questo spiega il numero esiguo di prigionieri
italiani fatti dall’esercito austriaco. Quelli del no-
stro reggimento non arrivano alle decina e sono
stati sempre colti di sorpresa.
*
Qui, nessuno dice: «Torno al mio paese!». Si
dice: «Tornare in Italia». L’Italia appare così,
forse per la prima volta, nella coscienza di tanti
suoi figli, come una realtà una e vivente, come la
Patria comune, insomma.
17 Ottobre.
Domenica. La mattinata si annuncia calma. C’ è
in alto un sole meraviglioso. Ma, improvvisamen-
te, verso le nove, un proiettile da 280 austriaco,
passa sulle nostre teste, col suo sibilo feroce. Scop-
pia lontano, giù, verso lo Slatenik. Di lì a poco,
un secondo colpo, accorciato. Un terzo, 200 metri
più giù dal posto che occupiamo. Un quarto, dietro
a noi. Gli austriaci tirano a caso. Battono la zona.
« Tiro di sfottimento » come lo chiamiamo noi.
Ecco il sibilo del sesto colpo. Lo sento sopra di
me. Vicino, vicino, vicino, a sessanta centimetri
r
IL MIO DIARIO DI GUERRA
passa sopra le nostre teste. Io e Petrella siamo
immobili, a terra. Il minuto d attesa ci è parso
lunghissimo. Il proiettile è scoppiato a meno di tre
metri dal punto in cui ci troviamo. Con la sola cor-
rente d’aria ha scoperchiato tutto il nostro riparo.
Detonazione formidabile. Grandinare di schegge
enormi e di sassi. Un albero è stato sradicato.
Alcuni macigni frantumati. Ci troviamo letteral-
mente coperti dalla testa ai piedi di terriccio, sassi
e ramaglie.
— Sei vivo?
— Vivo! —
La cinghia del mio fucile è stata tagliata netta-
mente da una scheggia. Gavetta e tascapane sono
crivellati di proiettili. Il fucile di Petrella ha la
cassa spezzata. Tutti gli alberi vicini presentano
la corteccia lacerata.
Noi siamo miracolosamente incolumi.
Passa di corsa da un riparo all’altro l’attendente
del maggiore Cassola, il milanese podista Terzi, il
quale grida :
— Bersaglieri del 33°! Ordine del maggiore, ri-
tirarsi armati sotto al costone! —
Obbediamo. Tutto il battaglione è, ora, riunito
sotto una roccia al riparo dei colpi del 280. Passo
dinanzi al comando del battaglione. C’è il mag-
giore, il capitano Mozzoni, il capitano Vestrini. Ilo
la faccia nera di terriccio.
— Che cosa ti succede, Mussolini? — mi doman-
dano.
L’ultimo 280 mi è scoppiato vicino.
— L’hai scampata bella... —
62
BBNITO MUSSOLINI
Per la seconda volta, a distanza di sette giorni,
ho corso serio e immediato pericolo di vita. Ba-
stava che il proiettile fosse scoppiato soltanto ur
passo indietro, per ridurmi a brandelli.
Jannazzone mi dice :
— Si fussi in voi, porterei un cero a Montever-
ginel —
Il bombardamento non è continuato. Il mio, è
stato l’ultimo colpo. Ritorniamo ai nostri ripari.
Nel pomeriggio calmo, molti si fermano ad osser-
vare la buca enorme, prodotta dallo scoppio del
280. Io trovo una scheggia ancora tepida che pe-
serà un paio di chilogrammi. La metto fra i miei
cimeli di guerra. L’artiglieria di grosso calibro fa
meno vittime, forse, di quella di medio e piccolo
calibro, ma esercita una influenza deprimente sul-
lo spirito dei soldati. Il soldato di fanteria si sente
disarmato, impotente contro il cannone. Quando
l’artiglieria batte le nostre posizioni, ognuno di noi
è come un condannato a morte. Il sibilo annuncia
il proiettile e ogni soldato si domanda : « Dove
scoppierà? ». Contro il cannone non c’è alcuna di-
fesa possibile, all’infuori di quella costituita dai
« ripari » che sono poco profondi e pochissimo con-
sistenti. Si tratta di sassi ammucchiati insieme con
zolle di terra. Bisogna restare immobili, contare i
colpi e attendere che il bombardamento finisca. Per
un’altra ragione il cannone impressiona il soldato,
ed è il genere di ferite ch’esso produce. Le pallot-
tole di fucile o di mitragliatrice non straziano, co-
me un proiettile di cannone.
C’è un solo morto: un caporal maggiore degli
IL MIO DIARIO DI GUERRA
63
zappatori del 27° battaglione. Un milanese, a quan-
to mi dicono. E’ stato decapitato da una scheggia
del 280. Verso sera vado a cercar dell’acqua e pas-
so accanto al luogo dove l’hanno sepolto. E’ in un
angolo, sotto una roccia, vicino a un tourniquet
della mulattiera. Sulla croce, sotto al nome e co-
gnome, c’è un’epigrafe breve e affettuosa. Era un
valoroso. A piè della croce ci sono alcune carto-
line illustrate. Sulla terra fresca, qualcuno ha spar-
so delle foglie. Alla Casette — si tratta di due ca-
panne di legno — ritrovo il caporal maggiore mi-
lanese Garbagnati. E’ addetto ai viveri. Mi offre
da bere. C’è una colonna di muli che arrivano. Si
sentono da lontano, per il batter dei ferri sui ciot-
toli del sentiero. Serata tranquilla.
18 Ottobre.
Notte calma. Mattinata di sole. Nel pomeriggio
comincia la sinfonia dei nostri cannoni. Sparano
da tutte le cime. Noi ignoravamo 1’esistenza di
tante batterie. Ecco i 75 nostri. Hanno un sibilo e
uno scoppio secco e rabbioso.
I 149 sono imponenti. La detonazione dei loro
proiettili è quasi gioviale, nella sua profondità. I
210 hanno un boato breve e sordo. Poi, c’è il no-
stro simpaticissimo 305. Vien di lontano, di là dai
monti, come un pellegrino. Passa sulle nostre te-
ste lento e solenne. Lo si può seguire coll’udito
lungo il tragitto. Il colpo di partenza non si sente,
tanto è lontano, ma sentiamo quello d’arrivo. Lo
64
BENITO MUSSOLINI
scoppio di un 305 italiano fa tremare la monta-
gna. Se l’artiglieria nemica deprime, l’artiglieria
nostra solleva. Quando i nostri cannoni sono in
funzione, i bersaglieri si dànno alla pazza gioia.
Girano da riparo a riparo, fischiano, cantano. Ac-
compagnano i proiettili con grida, con auguri.
Il soldato di fanteria non ha che un desiderio :
quello di sentir sempre la voce dei nostri cannoni,
sempre, di notte e di giorno. Quando sono i can-
noni austriaci che sparano e i nostri tacciono, i
bersaglieri impazienti... protestano contro la no-
stra artiglieria che... risparmia le munizioni. L’a-
zione della nostra artiglieria è durata un paio
d’ore.
Passano delle corvées cariche di munizioni. Ci
sono delle casse di bombe sulle quali sta scrit-
to : Haut, Bas. Eviter les chocs. L'avanzata sem-
bra imminente. Sintomatico! I bersaglieri non di-
cono: combattimento, azione, battaglia; no: dico-
no : avanzata. Sembra, per loro, già assiomatico,
intuitivo, necessario che una battaglia nostra deb-
ba risolversi in un’avanzata. Non è sempre così.
Ma l’uso generale e unico di questo vocabolo è un
altro sintomo dello spirito di aggressività che ani-
ma i soldati italiani e della loro certezza di vin-
cere.
Ciò che più mi ha stupito e commosso in questo
primo mese di trincea, è lo stoicismo incredibile
di cui dànno prova i soldati italiani feriti. Il mio
riparo è sulla mulattiera. Ho... la finestra sulla
strada. Tutto passa sotto i miei occhi. Ho veduto
decine e decine di feriti. I lievi, quelli colpiti a un
IL MIO DIARIO DI GUERRA
65
braccio, per esempio, vanno all’infermeria da soli.
Qualcuno, che pur aveva le carni lacerate da scheg-
ge di proiettili, fumava tranquillamente una siga-
retta. Non un lamento. E’ straordinario! E’ ammi-
revole! Un mantovano, con un braccio quasi ta-
gliato da una scheggia, si reca da solo al posto di
medicazione. E dice al tenente che si affretta attor-
no a lui, per la medicazione :
— Tenente, tagli il resto! E mi faccia dare un
po’ di pagnotta! —
Questo stoicismo è il prodotto deH’atmosfera in
cui si vive. Nessun soldato ferito vuol mostrarsi
debole e pauroso del proprio sangue, dinanzi ai
compagni. Non solo. C’è una ragione più profon-
da. Non si geme per una ferita, quando si corre
continuamente il rischio di morte. La ferita è il
meno peggio. Comunque, il silenzio superbo di
questi umili figli d’ Italia dinanzi al dolore della
carne straziata dall’acciaio rovente, è una prova
della magnifica solidità della nostra stirpe.
19 Ottobre.
Notte agitata. Bombardamenti lontani e profon-
di. Dicono che è in direzione di Tolmino e Gorizia.
L’« azione » sembra, fissata per domani. Sole. Co-
mincia il concerto maestoso, formidabile delle no-
stre artiglierie. Chi sta — anche per una giornata
sola — sotto il bombardamento di un centinaio di
cannoni che sparano simultaneamente, riporta una
Mussolini. * Il mio dia i lo di guerra-
63
RtìNIfO MtlSSOtjlìJI
impressione indimenticabile, sbalorditiva. Alla se-
ra, si è intontiti. I nervi non rispondono più.
*
* £
Alcune voci del gergo di guerra, in voga nel
mio reggimento ;
scalcinato = soldato debole;
baule = cretino;
fifa = paura;
svirgola — cannonata;
omnibus = proiettile da 305;
pizzicare = ferire;
spicciarsela — - trovarsi nell’imbarazzo;
pallottola intelligente = pallottola che ferisce
soltanto;
pipa — rimprovero;
girare la matricola = idem;
far scrivere a casa -■ togliere qualcosa a un
soldato;
far fesso = idem;
far camorra = farsi la parie del leone;
essere fuori uso = inabile alle fatiche di
guerra;
marcar visita = recarsi dal medico;
vedere il mago — rimanere indietro;
avanzare verso le cucine = retrocedere;
tagliar la corda = fuggire;
portare a casa la ghirba = tornare a casa sano
e salvo.
(La ghirba è un recipiente di tela impermeabile
che serve per portare acqua, vino, caffè).
IL MIO DIARIO DI GUERRA
/•.Sf
6 /
«
* *
E’ giunto il colonnello. Anche Padre Michele,
il cappellano del reggimento, è arrivato. Ma gli
scotta il terreno sotto i piedi.
Ieri sera sono stato di corvée. Mi sono successi-
vamente caricato di cento sacchetti vuoti che do-
vranno poi — riempiti di terra — servirci per i
nostri ripari; di una cassa di bombe e di una scudo
d’acciaio che d’ora innanzi proteggerà coloro
che devono tagliare i reticolati. Ma pesa molto:
tredici chilogrammi e mezzo. Finito di lavorare a
mezzanotte. Stanchissimo. Il fuoco di fucileria de-
gli alpini sul Vrsig mi ha svegliato verso l’alba.
Tuonano i nostri cannoni, ma l’attacco, si dice, è
rinviato a domani.
Le nostre truppe avanzano
su Kiva e oltre Monfalcone
21 Ottobre.
Ieri gli austriaci hanno sparalo sui portaferiti
che passavano per la mulattiera in fondo alla val-
le. Un portaferiti è stato mortalmente colpito. E’
nella zona di Tolmino-Monte Nero che romba —
da stamani — più profondamente il cannone. Fra
un’ora dovrebbe iniziarsi l’azione del nostro reg-
gimento. Il mio battaglione è di « rincalzo » fra il
27° e il 39°. Il capitano mi ha proposto — con
motivazioni assai lusinghiere — per la promozione
a caporale. Mezzogiorno. Una voce ci grida, dal-
l’alto :
— Tutti nei ripari! —
Io tardo un poco, ma due granate che sfiorano
il nostro riparo mi spingono nella tana. S’inizia
il concerto delle artiglierie. Ore lunghe di attesa c
di immobilità. I nostri cannoni tuonano sempre
per proteggere l’avanzata di alcune squadre del
27° battaglione. Ore cinque. Usciamo dalla buca, a
dispetto del solito cannoncino austriaco che ci batte
a shrapnell Passano, nel crepuscolo, i feriti del-
BENITO MUSSOLINI
TO
l’« azione ». Un sergente è il primo. Vengono due
capitani: il Morozzo e il Mirto. Quest’ultimo ha
la testa bendata. Passa fumando, tranquillamente,
una sigaretta. Il 39° battaglione ha avuto 54 feriti
e nemmeno un morto. Intanto gli austriaci hanno
incendiato il « boschetto » per impedire la nostra
avanzata. Le fiamme altissime arrossano l'oriz-
zonte.
22 Ottobre.
Tre mine di proporzioni colossali sono state fat-
te scoppiare dagli austriaci sulla cima dell’Jawor-
cek, sollevando un turbine di macigni e di sassi.
Nessuna vittima.
Oggi, secondo giorno dell’azione. Tuonano sem-
pre i cannoni. Alla nostra sinistra, sul Piccolo Ja-
worcek, fuoco vivissimo di fucileria.
23 Ottobre.
1
Ieri sera — a notte fatta — quattro colpi da 280.
Poi, a due riprese, fuoco intenso di fucileria au-
striaca e di cannoni di piccolo calibro. Dopo, du-
rante la notte, calma. La Divisione ha mandato un
fonogramma d’augurio all’ 1 1° bersaglieri, nella ri-
correnza, tragica e gloriosa ad un tempo, di Scia-
ra-Sciat. 11 mio vice-squadra Mario Simoni, di Ca-
merino, che si trovava in Libia ed era attendente
del colonnello Fara, mi racconta spesso come si
svolse l’episodio di Spiapa-Spiaf,
IL MIO DIARIO DI GUERRA
71
Circa i risultati della nostra « azione » non sap-
piamo nulla di preciso. E’ rimasto ferito il tenente
colonnello Albarelli. Passa — fasciato al capo —
il caporal maggiore Corradini. Non è grave. Ecco
due morti, vittime del 280. Uno di essi è ridotto un
informe ammasso, avvolto in un telo di tenda. Co-
mincia in questo momento, ore dieci, la quotidiana
sinfonia dei nostri cannoni. Volo basso di corvi.
Nel pomeriggio gli austriaci hanno bombardato,
per tre ore, la posizione occupata della mia com-
pagnia. Sono gli incerti dei «rincalzi». Ci siamo
« ingrottali » in tempo. Alcuni feriti.
, • • i » » ' * i
Non comprendo perchè si faccia una distribu-
zione quotidiana di grappa ai soldati. In quantità
minima, è vero, ma si dà ai soldati una pessima
abitudine. Il « sorso » d’oggi predispone al bic-
chierino di domani. Inoltre, c’è chi riesce qualche
volta a berne troppa e offre una spettacolo poco
edificante. L’unica punizione che sia a mia cono-
scenza è stata inflitta appunto a un caporale che,
avendo abusato di grappa, è stato retrocesso.
' ' * ' ' ' ' ’ * •»**
La nostra guerra, come tutte le altre, è una
guerra di posizioni, di logoramento. Guerra gri-
gia. Guerra di rassegnazione, di pazienza, di te-
nacia. Di giorno si sta sotto terra : è di notte che
si può vivere un po’ più liberi e tranquilli. Tutta
la decorazione della vecchia guerra è scomparsa.
Lo stesso fucile sta per diventare inutile. Si va
all’assalto di una trincea colle bombe, colle mici-
dialissime granate a mano. Questa guerra è la più
72
BENITO MUSSOLINI
\
antitetica al « temperamento » degli italiani. Ep-
pure con le nostre meravigliose facoltà di adatta-
mento ci siamo abituati alla guerra delle trincee,
alla guerra del fango, dell’insidia continua, che
pone il sistema nervoso a una prova durissima. E’
straordinaria la resistenza ai disagi e al freddo
dell’alta montagna, in uomini che vengono da
paesi dove non nevica mai! Molte volte ho sorpre-
so nei discorsi dei miei commilitoni questa affer-
mazione :
Se fossimo in pianura e in campo aperto, gli
austriaci sarebbero presto spacciati! —
24 Ottobre.
Notte di calma assoluta. Mattinata deliziosa dì
sole. Il primo colpo di cannone è italiano. E’ finita
l’azione?' Non ne so nulla. Il Rampoldi, passando
dalla mia trincea, mi dice che alcuni dei nostri
reparti sono giunti sino al cimitero degli ufficiali
austriaci, ma non mi sa dire se ci siano restati.
Non tarderò a saperlo, perchè il nostro battaglione
darà fra poco il cambio al 39°. Anche il pomerig-
gio è calmo. Sono chiamato alla tenda del tenente
Giuseppe Pianu, comandante interinale della 82 a
compagnia alpini che sta per ritirarsi a quota 1270.
Il Pianu è un sardo e non gli mancano le qua-
lità fisiche e morali dei sardi. Nella tenda ci sono
altri ufficiali. Fra gli altri il sottotenente medico
Scalpelli. Chiacchiere. Posiamo tutti insieme per
un gruppo fotografico. Io tengo, nella destra, una
IL MIO DIARIO DI GUERRA
73
bomba. Il Piami — ufficiale valorosissimo — mi
narra episodi ignoti o poco noti delle prime avan-
zate italiane nella zona del Monte Nero. Accetto
il suo invito e resto a cena con lui e cogli altri.
Menu da grande ristorante : risotto, carne arrosto,
frittata, fruita, dolce. Vini : Chianti da pasto e Gri-
gnolino in bottiglie. E’ la cena di commiato. Gli
alpini, che si sono preparati — silenziosamente —
alla partenza, sfilano già per la mulattiera. Pianu
fa levare la sua tenda. Ci salutiamo, con fraterna
cordialità.
25 Ottobre.
Cielo di tempesta. Il sole non riesce a rompere
la cortina di nuvole che nasconde il Monte Nero.
Ecco : gli austriaci ricominciano a bombardarci.
Sono in funzione cannoni di molti calibri : 05,
75, 155, 280. Nel pomeriggio un colpo solo di can-
none ha ucciso quattro dei nostri. Ordine di levare
le tende e di occupare la posizione tenuta dalla 9 a
compagnia che va agli avamposti.
26 Ottobre.
Ci siamo spostali di alcune decine di metri, a
destra, in alto. Siamo ora a quota 1300 circa. Il
mio riparo è mollo meno solido di quello che ho
abbandonalo. Inutile fortificarlo : non resteremo
qui che due o tre giorni,
74
BENITO MUSSOLINI
27 Ottobre.
Nevica. La neve filtra dal nostro riparo, dove
siamo in cinque. Accendiamo il fuoco. Ora è per-
messo. Ma il fumo ci acceca. Il cannoncino inizia
la sua solita quotidiana sfottitura. Totale: colpi
50 a shrapnel. Tiro stracco ed inefficace. Alcuni
feriti. Il 4° plotone della nostra compagnia si è
renato di guardia agli avamposti.
28 Ottobre.
La nostra artiglieria bombarda le posizioni de-
gli austriaci. Giunge una triste notizia. Il nostro
plotone di guardia è stalo « provato » duramente
dall’artiglieria austriaca.
29 Ottobre.
Neve in quantità. L’aspirante ufficiale Raggi è
venuto nel mio ricovero e mi ha parlato dell’epi-
sodio di ieri. Egli è rimasto miracolosamente in-
colume. Gli austriaci prodigano le cannonate, an-
che quando il bersaglio è costituito da un soldato
solo e non meriterebbe uno spreco di munizioni.
Fatto si è che gli austriaci hanno sparato 47 colpi
da 75 contro un riparo dove stavano rannicchiali
cinque bersaglieri e l’aspirante Raggi. La penul-
tima cannonata è stala micidiale. Uno dei bersa-
glieri ha avuto braccia e gambe spezzate. Un altro
è stato ferito meno gravemente. Infine, il caporal
maggiore Camellinj, della classe dell’84, ha avuto
Ih MIO DIARIO DI GUERRA
un braccio nettamente asportato da una scheggia.
Solo ieri sera, dopo una iniezione di caffeina, pra-
ticatagli al posto di medicazione, riprese i sensi.
Volle abbracciare e baciare il capitano. Gli au-
striaci sparavano a granata. Alzo zero. Distanza
300 metri.
I miei commilitoni ignorano completamente le
vicende e i successi dell’offensiva italiana sugli al-
tri punti del fronte. Siamo in due. a leggere i gior-
nali. Io e il caporale Vismara, che riceve l’Italia.
Mi domando : « Perchè non si pubblica e non viene
diffuso fra le truppe combattenti — composte oggi
di soldati in grandissima maggioranza alfabeti —
un Bollettino degli Eserciti d'Italia? Bisettimanale
0 trisetlimanale, il Bollettino dovrebbe contenere
1 Comunicati del nostro Esercito e quelli delle Na-
zioni Alleate, unitamente a qualche articolo e rac-
conto di episodi di valore, atti a tenere elevato il
morale delle truppe ».
30 Ottobre.
Notte agitala. Ieri sera gli austriaci hanno fatto
esplodere una mina di proporzioni enormi. Pareva
che tutta la montagna dovesse «saltare». Le si-
gnorine impiegate del Credito Italiano — Sezione
di Milano — mi hanno mandato due grossi pacchi
di indumenti di lana. Prima novità gentile di que-
sta mattinata grigia di pioggia a raffiche.
I
►
L’inverno nelle trincee
dell’ alta montagna
31 Ottobre.
Giornata di sole e di calma. Corre voce che
prestissimo il nostro battaglione andrà per qual-
che tempo in riposo a Ternova, sull’ Isonzo. La
notizia rende allegri i miei commilitoni, ma io
ho ragione di ritenerla infondata. Non turbo la
loro gioia. E’ giunto un battaglione di fanteria del
120° reggimento; ecco l’origine della voce. Nei
« ricoveri » si canta, si fuma, si scrive. Nessuno
bada al monotono, insistente stillicidio della ve-
detta austriaca. Il portaferiti De Rita, di Prosino-
ne, narra le sue avventure americane. E’ stato sei
anni nel Nord-America. Si dichiara repubblicano.
— E perchè? — gli ho chiesto.
— Perchè sono stato a New-York... —
In realtà, non sa nemmeno il significato della
parola «repubblica». E’, fra l’altro, quasi anal-
fabeta. Ma è coraggioso, resistente alle fatiche. I
suoi battibecchi con l’altro portaferiti tengono alle-
gra la brigata. Un’altra voce: Tolmino è caduta...
Nel pomeriggio ricevo un invito dal caporale Giu-
78
BENITO MUSSOLINI
stino Sciarra, di Isernia, della 13* compagnia,.
Egli è stato all’Infermeria per l’arsi visitare dal
capitano e gli è riuscito di portare in trincea un
paio di bottiglie di Asti spumante. Beviamo alla
salute del Reggimento e alle fortune d'Italia. La
giornata non finisce bene. Verso le cinque fischia
uno shrapnel. Uno solo. Da un riparo si leva un
grido di dolore : ci sono tre feriti, ma, fortunata-
mente, non gravi.
1° Novembre.
Comincia — per me — il terzo mese di guerra.
Che cosa mi porterà? Notte di quiete e di sogni.
Da qualche giorno, salvo la cannonata di ieri sera,
l’artiglieria nemica tace. Anche il « cannoncino »
riposa. Che significa? Sono state trasportate altro-
ve le batterie che tiravano sulla nostra posizione?
O si prepara con una copiosa scorta di munizioni
un bombardamento in piena regola di qualche
giorno? Chissà. Nei ripari si lavora accanitamente.
Ogni tenda ha il suo fuoco. Si annuncia che Pa-
dre Michele dirà la messa al Comando. Ma, delia
mia compagnia nessuno si muove. Pomeriggio. Il
cielo incupisce. Pioggia a raffiche.
— E’ la burrasca dei giorno dei morti, — mi
dice qualcuno. Accanto a me, Rizzati, Massari e
Sandri, tutti di Ferrara, parlano tranquillamente
di canapa, di mediazioni, dei mercati, di barba-
bietole, come se non avessero altra preoccupa-
zione.
it Mio Diario Di guerra
79
Nella tenda vicina i cremonesi Balista e Schizzi
cantano una parodia del tantum-ergum. Ora la
pioggia è diventata nevischio. Terzi, l’attendente
del tenente colonnello Cassola, mi dà — passan-
do — una notizia tristissima : la morte di Corri-
doni!
Attendo, con ansia, il giornale. L’ingegnosità
dei soldati italiani si rivela nelle trincee. Avere
una candela in trincea è un privilegio, consentito
soltanto agli ufficiali, e non sempre. Ma i bersa-
glieri hanno risolto — con la massima economia
di mezzi e con la più grande semplicità di appa-
recchi il problema della illuminazione serale.
Le notti sono ora così lunghel Si prende una sca-
tola di carne in conserva vuota. Si versa dentro
un po’ d’olio di scatola di sardine, insieme a un
pò di grasso liquefatto della scatoletta di carne.
Colle pezze da piedi — debitamente sfilacciate —
si fa lo stoppino che si immerge nell’interno, men-
tre una delle sue estremità esce fuori da un buco
praticato verso il fondo della scatola. Si accende
e se lo stoppino è bene inzuppato, si ottiene una
luce un pochino più scialba di quella di una lam-
pada ad arco, ma sufficiente per leggere e scrivere
una lettera. Provare per credere.
2 Novembre.
Corridoni è caduto sul campo di battaglia. Ono-
re, onore a Luil Scrivo alcune righe per il Po-
polo dedicate alla sua memoria. Ilo comunicato la
BENITO MUSSOLINI
80
notizia al mio commilitone, il gasista milanese Pec-
ehio. Sulle prime era incredulo. Quando gli ho
mostrato la prima pagina del Popolo, ha creduto
ed ha pianto.
Nevica rabbiosamente. Tutti i monti sono già
bianchi. Ordine di affardellare gli zaini e di tenersi
pronti per partire. La nostra compagnia deve so-
stituire la 9 a , che si trova già da cinque giorni ai
posti avanzati.
Dopo due mesi comincio a conoscere i miei com-
militoni e posso esprimere un giudizio su di loro.
Conoscere è forse troppo dire. Le mie conoscenze
sono limitate al mio plotone e — un poco — alla
mia compagnia. La trincea nell’alta montagna co-
stringe ogni soldato a vivere da solo o con qualche
compagno, nella propria tana. Cerco di scrutare
la coscienza di questi uomini, fra i quali, per le
vicende guerresche, io debbo vivere e, chissà!...
morire.
Il loro «morale». Amano la guerra, questi uo-
mini? No. La detestano? Nemmeno. L’accettano
come un dovere che non si discute. Il gruppo de-
gli abruzzesi, che ha per «capo» o «comparo» il
rno amico Petrella, canta spesso una canzone che
dice :
E la guerra s’ha da fa,
Perchè il Re accussi vuol.
Non mancano coloro che sono più svegli e colti-
vati. Sono quelli che sono stati all’estero, in Eu-
ropa e in America. Hanno letto prima della guerra
IL MIO DIARIO DI GUERRA
81
qualche giornale. In guerra sono antitedeschi e
belgofili. Quando il soldato brontola, non è più per
il fatto <( guerra », ma per certi disagi o deficienze
ch’egli ritiene imputabili ai « capi ». Io non ho mai
sentito parlare di neutralità e di interventismo.
Credo che moltissimi bersaglieri, venuti da remoti
villaggi, ignorino l’esistenza di queste parole. I
moti di maggio non sono giunti fin là. A un dato
momento un ordine è venuto, un manifesto è stato
affisso sui muri : la guerra! E il contadino delle
pianure venete e quello delle montagne abruzzesi
hanno obbedito, senza discutere.
Nei primi mesi della guerra, i bersaglieri hanno
varcato il confine, cogli inni sulle labbra e la fan-
fara alla testa dei battaglioni. Dopo due mesi di
sosta a Serpenizza, venuto finalmente l’ordine di
riprendere l’avanzata, i bersaglieri hanno conqui-
stato — al passo di corsa, malgrado un turbine di
cannonate — la Conca di Plezzo e si sono trincerati
a quattrocento metri oltre la città, che gli austriaci
hanno poi, quasi completamente distrutta colle
granate incendiarie. Quando i bersaglieri narrano
gli episodi di quell’avanzata, vibra ancora nelle
loro parole la soddisfazione e l’entusiasmo della
conquista.
La vita di trincea — monotona e aspra — con-
ti assegnata soltanto dallo stillicidio quotidiano dei
morti e dei feriti, indurisce i soldati. Parlar loro,
non si può. Riunire gli uomini in prima linea, per
tener loro un discorso, significa esporli a un sicu-
ro immediato massacro da parte dell’artiglieria
nemica. E’ il « nemico », la presenza del « nemi-
Muitolini. • Il mio diario di guerra.
6
82
BENITO MUSSOLINI
co » che apia e spara a cinquanta, cento metri, ciò
che tiene elevato il « morale » dei soldati : non i
giornali che nessuno legge; non i discorsi che nes-
suno tiene...
Sono religiosi questi uomini? Non credo troppo.
Bestemmiano spesso e volentieri. Portano quasi
tutti al polso una medaglia di santo o di madonna,
ma ciò equivale a un porte-bonheur. E’ una specie
di « mascotte » sacra. Chi non paga il suo tributo
alle superstizioni delle trincee? Tutti: ufficiali e
soldati. Lo confesso: porto anch’io nel dito mi-
gnolo un anello fatto con un chiodo di ferro da ca-
vallo...
Questi soldati sono nella loro grandissima mag-
gioranza solidi, sia dal punto di vista fisico che
morale. Se il vecchio Enotrio Romano tornasse al
mondo, dinanzi a questi uomini meravigliosi nella
loro tenacia, nella loro resistenza, nella loro ab-
negazione, non direbbe più come un tempo :
La nostra Patria è vile!
Quale altro esercito terrebbe duro in una cruerra
come la nostra? °
3 Novembre.
Ieri sera ci siamo spostati di duecento metri più
in alto, a destra. Ora comprendo l’obiettivo della
nostra azione. Bisognerebbe occupare la depres-
sione fra il Vrsig e lo Jaworcek, per tagliare — io
credo — la linea della difesa austriaca. A squadre
e plotoni, abbiamo impiegato, per spostarci, quasi
IL MIO DIÀRIO DI OTTERRÀ
83
due ore. Non pioveva, per fortuna. Il mio riparo
è relativamente buono. Da stamani pioggia e neve.
La mitragliatrice austriaca spara, ma siamo « de-
filati » e finora nessuno dei nostri è rimasto ferito.
Ci troviamo in mezzo al fango. Camminare nella
mulattiera significa immergersi nella melma fino
al ginocchio. Fra i ripari corre un vero torrente
di mota. Qui, siamo più raccolti.
I cannoni austriaci tacciono sempre. I nostri
pure riposano. Anche se piove, anche se nevica o
tempesta, quando i cannoni nemici tacciono, c’è
allegria fra noi.
4 Novembre.
Ieri sera il mio plotone — il primo — è stato co-
mandato ai piccoli posti. Siamo parliti alle diciot-
to. Pioggia a scrosci. Buio pesto. Siamo montati
a uno a uno — in fila indiana — per un cammi-
namento franato e pieno di fango. Quando i razzi
luminosi degli austriaci solcavano il cielo, ci get-
tavamo di colpo a terra. Giunti alla posizione, non
è stato facile trovarmi un riparo. Non un barlume
di luce, aH’infuori di quella dei razzi, spenti i qua-
li, le tenebre erano più dense di prima. Finalmente
ci siamo cacciati, io e il mio capo-squadra Mario
Simoni, dietro a un masso roccioso.
Ho chiesto al mio capo-squadra :
— In caso di un attacco austriaco, quale la no-
stra fronte?
— * Quella a destra... —
FifìNfTO MUSSOLINI
Si
La risposta non mi ha convinto. La responsa-
bilità delle guardie avanzate sulle linee del fuoco è
terribile. Devono costituire una garanzia e una pri-
ma difesa per coloro che stanno dietro. Per for-
tuna, gli austriaci non prendono mai l’offensiva
per i primi. Possono contrattaccare, ma « attac-
care », no.
Verso mezzanotte, dopo sei ore di pioggia e di
tuoni, si fa un grande silenzio bianco. E’ la neve./'
Siamo sepolti nel fango, fradici sino alle ossa. Si-
moni mi dice :
— • Non posso muovere più le punte dei piedi. —
E la neve cade lenta, lenta. Siamo bianchi an-
che noi. Il freddo ci è penetrato nel sangue. Siamo
condannati all assoluta immobilità. Muoversi si-
gnifica «chiamare» la mitragliatrice austriaca.
Vicino a me c’è qualcuno che si lamenta. Il tenente
Fanelli lo redarguisce, con voce sommessa, ma il
bersagliere risponde e c’è nella voce una invoca-
zione quasi disperata :
— ; Tenente, sono gelato. Non mi « fido » più. —
E un meridionale. Ma anche il tenente, che è
di Bari, deve trovarsi in critiche condizioni. Poco
dopo, infatti, chiama me e il Simoni e ci manda in-
sieme dal capitano per chiedere il cambio della
guardia. Sono le quattro. La nostra guardia do-
vrebbe durare ancora quattordici ore.
Trovo il capitano nel suo riparo. Egli, insonne,
veglia. Fuma. Si trovano in sua compagnia i sot-
totenenti Raggi e Daidone.
— Ebbene?
Signor capitano, il tenente Fanelli mi man-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
85
da a dirle che i bersaglieri di guardia non resi-
stono più. Dopo sei ore di pioggia, quattro ore di
neve... —
Il capitano mi fa qualche altra domanda e poi,
volgendosi al sottotenente Raggi, gli dice :
— Lei va a dare il cambio con una squadra del
terzo plotone.
— Benissimo, capitano. Le chiedo, però, un fa-
vore: mi dia una sigaretta... —
Sono tornato al mio riparo. L’ho trovato ancora
in piedi, mentre moltissimi altri erano franati. E’,
finalmente, l’alba. E’ stata la notte più dura dei
miei due mesi di trincea.
5 Novembre.
A giorno fatto :
— Primo plotone, zaino in spalla... —
Scendiamo — per asciugarci un poco — alla
posizione che occupavamo prima. Il nostro pas-
saggio viene subito notato dalle vedette austriache.
Ta-pum. Ta-pum. Ta-pum. Sette feriti cadono uno
dopo l’altro. Di gravi non ce n’è che due. Giunti
al luogo indicato, accendiamo dei grandi fuochi.
Anche il sole viene a salutarci. Il sereno nel cielo
riconduce la gioia fra noi. Il fuoco non asciuga
soltanto i nostri indumenti infangati, ci rallegra.
Pietroantonio, un abruzzese, tornato volontaria-
mente dall’America, insieme ad altri 2000 per ser-
vire la Patria, ci racconta episodi interessanti sul-
la vita delle nostre colonie d’olire Oceano. Immen-
88
BENITO MUSSOLINI
so l’entusiasmo col quale fu accolta la nostra di-
chiarazione di guerra all’Austria. Moltitudini di
uomini assediavano i Consolati per la visita mili-
tare e il rimpatrio.
— Ho visto — dice Pietroantonio — alcuni scar-
tali mordersi per la rabbia. —
Si comprende. I milioni e milioni di italiani —
in particolar modo meridionali — che negli ultimi
venti anni hanno battuto le strade del mondo, san-
no per dolorosa esperienza che cosa vuol dire ap-
partenere a una nazione politicamente e militar-
mente svalutata.
Ho asciugato al fuoco anche le pagine di questo
diario. Alcune, coll’acqua, sono diventate indeci-
frabili.
6 Novembre.
Tornando ieri sera dalla posizione dove ci era-
vamo asciugati e rifocillati, ho trovato il mio ri-
paro occupato da altri. Gli artiglieri della Sezione
che è con noi mi hanno offerto ospitalità sotto la
loro tenda. Sono stati gentilissimi. Hanno voluto
dividere con me il loro rancio. C’è fra essi un
volontario, tal Ceccóni, vicentino. Stamani, cielo
buio, di tempesta. Al lavoro! Bisogna costruirsi il
«ricovero». Tre ore di fatica. Grande fuoco per
asciugare il terreno sul quale dovremo stenderci.
E’ giunto dalla Divisione, per telefono, l’ordine
IL MIO DIARIO DI GUERRA
87
ài partenza per il plotone accelerato degli Allievi
Ufficiali. Del mio Reggimento siamo soltanto in
cinque: io, Lorenzo Pinna, Vismara, di Milano;
Moscatiello e Inglese, di Napoli.
Lascio la compagnia. Saluto il capitano e gli
ufficiali. Tutti i bersaglieri mi gridano il loro af-
fettuoso saluto e il loro augurio. Addio! Addio!
Non sono contento. Mi ero ormai abituato alla
trincea. Scendiamo allo Slatenik. Tre ore di mar-
cia faticosa. In certi punti la mulattiera è tutta un
pantano. A quota 1270, o Trincerone, tappa. Il
maresciallo Zanotti deve farci il foglio di via. Al
Trincerone c’è il 27° a riposo. In tutti i reparti
ardono grandi fuochi. Qua e là si canta a gran
voce. Piove. Ci ripariamo nella baracca del can-
tiniere. Come letto : il rivestimento di paglia delle
bottiglie. Dormire? Niente. Poco lungi è Jacobone,
napoletano, che dirige un coro di milanesi. Si can-
ta a voce spiegata la canzone della « povera Ro-
setta » :
Ai ventisette agosto
Era una notte oscura,
Commisero un delitto
Gli agenti della Questura-..
7 Novembre.
Prima di scendere a Caporetto, ci siamo recati
alle cucine del nostro battaglione, dove i nostri
amici ci hanno regalato un caffè, come si dice in
gergo militare, « fuori d’ordinanza ». Il tempo non
88
BENITO MUSSOLINI
è malvagio. In marcia! E’ la strada di circa due
mesi fa. Ecco il laghetto di Za Kraju. Ecco il Ci-
mitero del 6° bersaglieri. Un piccolo muro di cin-
ta. In mezzo una grande croce, con tenaglia, mar-
tello, chiodi e un gallo più abbozzato che scolpito.
Attorno, attorno, le fosse. Quante? Un centinaio
e più. Una è coperta da un grosso macigno. Mi
avvicino e leggo
Sottotenente Conte Luigi Alberti.
Su un grosso macigno ce una bella epigrafe,
deturpata, però, da un errore grafico. Invece di
nuova, è scritto nuoja. Un altro masso indica una
fossa collettiva. C’è scritto sopra :
Qui tutti riuniti.
La vista di questo Cimitero solitario, a piè dei
costoni ripidi del Monte Nero, ci rende melanco-
nici e silenziosi. Incontriamo una lunga colonna
di muli che viene da Ternova. Ecco Tresenga, for-
micolante di soldati. Le campane della chiesa —
bella e grande — che suonano mezzogiorno, mi
fanno una strana impressione. A Tresenga si la-
vora. Sorgono da ogni parie baracche. Da Tre-
senga a Caporetto pochi chilometri. Bella strada.
Carrozzabile. Cominciano i segni dell’«altra vita».
Incontriamo degli ufficiali dall’uniforme impecca-
bile. Attendenti pasciuti e rubicondi, a cavallo. I
soldati hanno una cera, molto, molto meno sel-
vaggia della nostra. La guerra, vista nelle retrovie,
non è simpatica. Ecco l’Isonzo impetuoso e ceru-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
89
ieo. Caporetto. Se — in questi due mesi — in-
grandito, abbellito. Sempre lo stesso formidabile
movimento di camions e di carri d’ogni genere. I
paesani guardano con una certa curiosità i nostri
abiti laceri e infangati, le nostre mani e i nostri
volti sudici e anneriti. Noi siamo — modestamen-
te! — un po’ fieri, di essere oggetto della curiosità
della gente.
14 Novembre.
Dopo sei giorni passati a Vernazzo — ambiente
mediocre — stamani, domenica, un ordine è ve-
nuto, portato da un motociclista della Divisione,
fi I ordine dice : « Il bersagliere Mussolini torna al
reggimento ». Non domando perchè.
La notizia non mi sorprende e non mi addolora.
o un occhiata al Monte Nero, tutto incappuccialo
di neve e mi dico: «Domani s'àrò a quota 1270».
a ^.an Pietro Natisone si vede nettamente sta-
gliarsi sul fondo dell’orizzonte il famoso « Naso di
Napoleone ». I miei amici del plotone si mostrano
non meno sorpresi e molto più addolorati di me.
La trincea non ha fascino per loro, sebbene fossero
quasi tutti allogati nei « posti ufficiali » e quindi
lontani dal pericolo immediato.
Pochi- saluti, in fretta. Zaino in spalla. Mi pre-
sento in fureria. Il maresciallo c’è. Mi paga la cin-
quina, mi consegna la « bassa » di marcia e una
scatoletta di carne.
Sono nella strada. Mi fermo a San Pietro, al Co-
90
BENITO MUSSOLINI
mando di Tappa, per attendere un camion auto-
mobile che mi trasporti a Caporetto. Ma qui faccio
un incontro inatteso. Trovo Alberto Meschi, ex se-
gretario della Camera del Lavoro di Carrara, sol-
dato della territoriale. Egli mi dà un recapito
per Caporetto : si tratta di certo Oreste Ghidoni,
che ha piantato a Caporetto un negozio di tes-
suti e pannine. Ma mentre passeggiamo lungo
il marciapiede, ecco giungere il Ghidoni su di un
carro. Mi presenta. Il Ghidoni è un mantovano,
traslocatosi a Carrara. E’ già sera. Ci fermiamo
a Pilifero, villaggio a 10 chilometri da San Pietro.
All’ osteria troviamo — naturalmente — dei sol-
dati. Ci sono degli alpini che tornano dal fronte
e si recano a Targetto per il plotone allievi-capo-
rali; ci sono dei fanti del distretto di Cremona e del-
la classe dell’83 che vanno a Caporetto. Uomini
maturi, ma solidi e pieni di buon umore. Essi mi
dicono che nel cremonese non c’è miseria e la po-
polazione attende con fiducia l’esito della guerra.
15 Novembre.
Oggi è il primo anniversario della fondazione
del Popolo d'Italia. Ricordi, nostalgie. Mattinata
grigia. Partiamo da Pilifero alle 9. Per giungere
a Caporetto ci vogliono tre ore. Solito enorme mo-
vimento di camions e di carri. Si dice che il fronte
mangia per le retrovie, ma le retrovie mangiano
il fronte. Nelle retrovie c’è un vero, formidabile
esercito, mentre la linea del fuoco è un sottile velo
IL MIO DIARIO DI GUERRA
91
che sembra sfumare nella lontananza. Durante il
tragitto, il Ghidoni mi racconta i « casi » della po-
litica carrarese. Sono interessanti. Passo le ore li-
bere del pomeriggio a Caporetto. La cittadina è
sempre piena zeppa di soldati. Sono sorti qua e là
grandi baraccamenti e qualche edificio in pietra.
Verso sera, mi reco al Camposanto militare. Il nu-
mero delle croci è aumentato. Saranno quattro-
cento. Quelle degli ufficiali, una quarantina. Primo
di questi, il colonnello Negrotto. Sulla sua tomba
c’è una grande corona in bronzo degli irredenti.
Ora vado leggendo alcuni nomi sulle croci. V’è
anche qualche austriaco.
L’unica fossa che abbia dei fiori è quella di un
soldato austriaco e sulla croce sta scritto : Joseph
Waltha, dell’esercito nemico. Il fatto è sintoma-
tico.
In un angolo del Cimitero pei civili, ci sono duo
fosse senza croce e senza nome. Un soldato mi
spiega che si tratta di due gendarmi austriaci fuci-
lati dai nostri all’inizio delle ostilità.
All’estremità del Cimitero militare, che è cintalo
da un semplice filo di ferro, giunge un carro, ri-
coperto e trascinato da due soldati zappatori. Ci
sono due casse da morto. Aiuto a scaricare la pri-
ma. E’ pesante. Sono due soldati morti all’ospeda-
letto da campo. Crepuscolo. Melanconia. Ritorno
in piazza. Compero il Resto del Carlino e trovo la
prima notizia del bombardamento di Verona. Croc-
chi di soldati leggono. Molti altri vanno in chiesa.
Vado anch’io. La chiesa di Caporetto ha ai lati
due gallerie, dalle quali si sporgono i fedeli, come
92
BENITO MUSSOLINI
dalle logge Ite di un teatro. Banchi, gallerie, sca-
linata, sono gremiti di soldati. Ce anche qualche
ufficiale. Ce ne sono dei vecchi e dei giovanissimi.
Un territoriale degli alpini, accanto a me, ha negli
occhi un luccicore di lacrime. All’altare officia un
prete che intona le laudi. I soldati rispondono in
coro : « Ora prò nobis... ».
Verso la fine, accompagnati dalle note gravi e
profonde dell’organo, i soldati cantano un inno. Il
coro si leva solenne e riempie la chiesa. Io taccio :
ignoro l’aria e le parole. Il ritornello dice :
Deh, benedici, o madre,
L’italica virtù;
Fa’ che trionfino le nostre squadre
Nel nome santo del tuo Gesù-
Il coro è finito con un lungo gemito dell’organo.
I soldati sfollano.
16 Novembre.
Sono l’unico bersagliere dell’ll 0 che torni al reg-
gimento. In marcia. Vicino a Tresenza passo di-
nanzi a una polveriera. La sentinella mi guarda e
mi riconosce. E’ un soldato romagnolo del 120°
fanteria. Soffia dal Monte Nero un vento di neve.
Mi affretto. Niente tappa a Rawna. Qui ci sono
dei bersaglieri del mio battaglione venuti in cor-
vée. Mi dicono che il 33° battaglione si trova a
quota 1270 e non sull’ Jaworcek. Notizia conso-
Il mio diario di GUERRA
93
lante. Sei ore di marcia di meno. Lunga fila di
muli carichi di soldati coi piedi congelati. A Za
Kraju incontro una barella coperta. C’è un morto
che viene portato a Caporetto. Segue un caporale
che piange. Lo conosco. E’ dell’8 a compagnia. Mi
dice singhiozzando :
— Il morto è il sottotenente Mario Bottigelli,
milanese. E stato fulminato da una pallottola, ieri
.^era, mentre disponeva il suo plotone di guardia
Ora lo portiamo al Cimitero di Caporetto. —
Al Cimitero del 6° bersaglieri, mi sferza la fac-
cia una prima folata di nevischio. Il Monte Nero
non si vede più.. Neve. Neve. In trincea, dove sono
giunto dopo tre ore di marcia sotto la neve, ho ri-
trovato i miei amici, soldati e ufficiali, che mi han-
no accollo festosamente.
Notte di uragano. Eravamo nel ricovero in un-
dia Mal riparati. Freddo siberiano. Ma stamani
c e il sole.
II.
FEBBRAIO MAGGIO 1916
Dalle falde delTJaworcek
alle vette del Rombon
15 Febbraio.
Caporetto. E' la quarta volta che passo da que-
sta piccola città slovena, che i nostri occuparono
appena varcato il confine. Al Comando di tappa
trovo ancora lo stesso capitano e i sottufficiali
che c’erano nel settembre. Nulla di cambiato. La
città mi appare più pulita, oserei dire ringiovani-
ta, ma più silenziosa e deserta. Pochi soldati, po-
chi carri. Il vertiginoso movimento dei primi me-
si di guerra esiste ancora, ma è stato deviato alla
periferia dove è sorta la città militare con strade
larghe e ampie piazze. Anche la popolazione non
è cambiata. Entro in alcuni negozi e trovo ancora
le facce enigmatiche che notai la prima volta. No.
Questi sloveni non ci amano ancora. Ci subiscono
con rassegnazione e con malcelata ostilità. Pensa-
no che noi siamo di « passaggio », che non reste-
remo; e non vogliono compromettersi, nel caso in
cui ritornassero, domani, i padroni di ieri.
Pomeriggio grigio. Mi dirigo verso il Cimitero
MusaoJSni - ìt mìo diario di guerra.
7
GÈNITO MtTtìSOtllJl
98
militare. C’erano nel novembre trecento fosse, ora
ce ne sono settecento. La siepe di filo di ferro è
sostituita da un muro di cinta. La cappella reca
nella sua parte esterna questa epigrafe :
PER RIVENDICARE I TERMINI SACRI
CHE NATURA POSE A CONFINE DELLA PATRIA
AFFRONTARONO IMPAVIDI
MORTE GLORIOSA.
IL LORO SANGUE GENEROSO
RENDE SACRA
QUESTA TERRA REDENTA
2 NOVEMBRE 1915
Si scavano altre fosse laggiù... Ritrovo sulle
croci i nomi di alcuni miei compagni dell’ll 0 . Esco
dal Cimitero e mi reco al Tribunale Militare. C’è
udienza. Si discute il processo contro il sergente
Nicelli di un reggimento di fanteria, imputato di
diserzione. Il P. M. chiede l’ergastolo, ma il Tri-
bunale esclude la diserzione e condanna Nicelli,
per abbandono di posto, a venti anni di reclusione,
previa degradazione. Il Nicelli ascolta il verdetto
con indifferenza e se ne va fra i carabinieri. Segue
un soldato semplice, siciliano, imputato di un de-
litto analogo e viene assolto.
It MIO tìIARIO DI GUÈRRA
99
16 Febbraio.
Zaino in spalla, di buon mattino. A piedi sino a
Ternova, in camion da Ternova a Sepenizza. Qui
mi vien detto che la mia compagnia si trova alla
destra dell’Isonzo, in una località detta Sorgente.
In marcia! Ecco l’Isonzo sempre impetuoso,
sempre ceruleo, ma, giungendo alle sue rive, vicino
alla passarella, vengo accolto da alcune cannonate
da 280. Vecchia conoscenza. E come non bastasse
il 280, entra in azione un 305. Sosta di un’ora. Pas-
saggio del fiume. A pochi metri dalla passarella
c’è un 305 inesploso e monumentale come il cara-
biniere di guardia. Alcuni minuti di strada e sono
ai baraccamenti invernali occupati dalla mia com-
pagnia. I vecchi commilitoni, che avevano avuto
qualche notizia del mio arrivo, mi salutano e mi
abbracciano con effusione vivissima. Petrella, mio
compagno di trincea, mi bacia. Conoscenza di al-
cuni ufficiali nuovi, fra i quali il tenente Danesi,
giovanissimo, appena uscito dalla scuola di Mo-
dena. I vecchi amici sono quasi tutti presenti. La
compagnia è in rango, armata. Sono proprio ar-
rivato al momento opportuno. E’ giunto l’ordine
improvviso di salire nella zona del Rombon e pre-
cisamente sul Kukla che gli alpini hanno perduto
dopo un attacco di sorpresa. E’ già notte quando
la compagnia si mette in marcia. Notte di stelle!
Camminiamo — in silenzio — per qualche chilo-
metro, lungo la strada imperiale di Plezzo; poi,
giunti dopo Osteria al Ponte Rotto, prendiamo a
sinistra e cominciamo a salire.
100
BENITO MUSSOLINI
Panorama meraviglioso. Abbracciamo con lo
sguardo tutta la Conca di Plezzo, inondata dal
plenilunio. Otto ore di marcia. Attraversiamo Plu-
sna, rasa al suolo dagli austriaci, e giungiamo alla
tappa. In una baracca angustissima, capace di ap-
pena venti persone, troviamo posto tre plotoni.
Facciamo mucchio. E’ accanto a me un bersaglie-
re nuovo venuto cogli ultimi complementi. E’ un
contadino umbro, tale Arcioni, un tipo posato e
tranquillo, che sembra disorientato e smontato.
Mi domanda :
— Fratello, è vero che siamo venuti qui per
un’avanzata?
— Non lo so. E se anche fosse?
— Lo domando, per curiosità...
— Non so nulla. Coraggio! —
Sono stanchissimo c, appena disteso a terra, mi
addormento.
17 Febbmio.
Nevica. Corvée : tavole per le baracche e pali di
ferro per « cavalli di Frisia ». Zaino in spalla! La
compagnia si sposta tutta in prima linea, nell’ul-
lima trincea. Si fa ancora una buona marcia per
una mulattiera quasi impraticabile. Monto di ve-
detta alla estrema destra della trincea. Sono ripa-
rato da sacchetti di neve gelata e da uno scudo di
ferro. Tutto il parapetto della trincea è di sacchetti
riempiti di neve : fragilissimo. Dinanzi alla nostra
trincea c’è un reticolato in gran parte sommerso
IL MIO DIARIO DI GL' ERRA
101
dalla neve; un centinaio di metri più in su, si pro-
fila il semicerchio del reticolato austriaco. Fra i
due reticolati ci sono delle masse grige informi:
sono cadaveri abbandonati. Notte serena, di ple-
nilunio. Siamo in mezzo alla neve. L’occhio abbrac-
cia un cerchio vastissimo di montagne che mi sono
familiari. Alla mia destra si profilano il Monte Ne-
ro, il Vrala, il Vrsig, il Grande e Piccolo Jaworcek.
Spettacolo fantastico. Ordine di innastare le baio-
nette c di sparare qualche colpo, intermittente-
mente. 11 capitano Rondi, che ha il comando inte-
rinale del battaglione, passa verso la mezzanotte
in ispezione la trincea.
— Nessuno deve dormire! — egli ci dice. —
Non impressionatevi per le bombe a mano. —
Freddo acuto. Siamo completamente all’aria a-
perta. La trincea non offre ripari di sorta. Ho spa-
rato durante la notte mezza dozzina di caricatori.
Gli austriaci hanno risposto fiaccamente. C’è un
ferito, fra noi, ma leggero.
Venerdì 18 Febbraio.
Giornata serena, ma freddissima. Guardando
verso l'Italia, si vede tutta la pianura di Udine e
in lontananza, oltre le lagune, la linea azzurra, ap-
pena percettibile, dell’Adriatico.
Tre shrapnels austriaci, provenienti forse dallo
Jaworcek, battono sulla trincea degli alpini, sot-
tostante alla nostra. Vedo passare, di corsa, alcuni
,
102
BBNITO MUSSOLINI
feriti leggeri. Altri vengono trasportati in barella.
Cominciano a tuonare i nostri 149. I proiettili sibi-
lanti passano sulle nostre teste a pochi metri d’al-
tezza e piombano sulla trincea austriaca. Guar-
dando contro il sole, si vede giungere il proiettile;
sembra una bottiglia nera con un leggero movi-
mento di oscillazione. Tutti i proiettili scoppiano:
ciottoli e pali vengono a cadere sino nella nostra
trincea. Stormi di corvi volano descrivendo ampi
cerchi sulla Conca di Plezzo. Sotto alla nostra trin-
cea ce la fossa di due soldati caduti nei primi com-
battimenti. Tutta la compagnia è rimasta per ven-
tiquattro ore consecutive di vedetta alla trincea.
19 Febbraio.
La solita corvée. Bisogna andare a prendere i
viveri al Comando di Brigata. Un’ora di marcia,
faticosa. Chi ha i chiodi aguzzi o i ferri, può cam-
minare. I bersaglieri mettono i piedi nei sacchetti
per la terra e non scivolano più. Durante il tra-
gitto, 1’ artiglieria nemica ha bombardato la posi-
zione, ma la mulattiera è sotto a un costone, che
forma un angolo morto bellissimo. Sotto quelle
rocce si è sicuri e si può — come facciamo — as-
sistere tranquillamente allo scoppio fragoroso dei
proiettili nemici. Passa un generale. Lo seguono
molti ufficiali. Un sergente dell’8 a compagnia, tal
Peruzzone, genovese, è stato colpito mortalmente
da una fucilata al petto. E’ caduto senza un gemito.
Gli scavano una fossa sotto la neve. Sole grandis-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
103
simo, quasi primaverile. Si lavora a preparare
<( cavalli di Frisia » e reticolati. I soldati, nelle ba-
racche, scrivono, scrivono... Mi fermo con un
gruppo di giovani ufficiali che fraternizzano con
me. C’è il tenente medico Musacchio, il « quasi-
avvocato » Peccioli che mi ricorda le manifestazio-
ni e le barricate romane del maggio; il già avvo-
calo Rapelti, pure romano; Santi e Barbieri della
mia compagnia. Altre conoscenze : l’avv. Ghidini,
volontario negli Alpini, avvocato bolognese. Or-
dine di servizio per la mia compagnia; il primo e
secondo plotone vanno di guardia alla trincea; il
terzo e quarto devono spostare avanti i reticolati.
Ci vestono di bianco. Appena giunto al mio posto
di vedetta, all'estremità destra della trincea, la ve-
detta austriaca mi tira una dietro l’altra due fuci-
lale che si spezzano contro lo scudo. Metto la canna
del mio fucile alla feritoia e rispondo. L’austriaco
a sua volta risponde. Il duello dura alcuni minuti.
Lo spostamento dei reticolati avviene senza inci-
denti e senza vittime. Notte freddissima e stellata.
Siamo completamente all'aperto. Quindici gradi
sotto zero. Se si resta immobili, le scarpe gelano e
aderiscono al suolo duro e sonoro come un me-
tallo.
Domenica 20 Febbraio.
Sole. Poche e rade fucilate tra le vedette delle
squadre in trincea. Alcune cannonate, innocue.
Con una bottiglia di « Barbera amabile » che il bcr-
1
- 104
BENITO MUSSOLINI
sagliere Moroni Tomaso di Osimo mi ha regalato
e con lo scaldarancio, facciamo un eccellente vino
brulé che ristora i miei compagni. Ora, i cannoni
austriaci di grosso calibro tirano nella Conca di
Plezzo, verso la stretta di Saga per colpire le no-
stre batterie di 149. I 280 e i 305 scoppiano di-
nanzi e indietro, sollevando nuvole di fumo. E’ un
pezzo che gli austriaci « cercano » la nostra batte-
ria, ma non l’hanno ancora trovata. Verso sera il
sottotenente Barbieri mi dice che il colonnello
vuole vedermi. Il nostro colonnello, venuto a co-
mandare il reggimento in sostituzione di Barbiani,
si chiama Berulo cav. Giuseppe. Un uomo di me-
dia statura, asciutto, di poche parole. Capelli bian-
chi e un pizzetto pure bianco alla Lamarmora. E’
stato ferito sul Carso. Mi presento, saluto.
Una cordiale stretta di mano.
— - Ho voluto conoscervi, nel momento in cui,
compiuto il vostro dovere per un giorno e una not-
te di guardia alla trincea, siete disceso per un po’
di riposo. So che siete un buon soldato. Non ne
ho mai dubitato. —
Il colonnello passa ad altro e ini dice :
— Sono stato parecchie volte di picchetto a Mi-
lano, per causa vostra e dei vostri amici.
— Altri tempi! — rispondo.
Il colonnello vive la nostra vita, soffre degli stes-
si disagi di un semplice soldato. Egli poteva re-
stare in seconda linea con uno degli altri battaglio-
ni. ma ha voluto essere col battaglione più esposto
al pericolo. Ciò è molto simpatico e i bersaglieri
apprezzano questo gesto. Il colonnello dorme su
IL MIO DIARIO DI GL ERRA
105
alcune tavole in una specie di cuccetta alta un me-
tro da terra. Sotto di lui, a terra, dorme il suo aiu-
tante, il sottotenente milanese Olinto Fanti, mio
buon amico.
Da un altro lato dell’angusta baracca che serve
anche da «posto di medicazione» degli alpini,
dormono i tenenti medici Gargiulo e Congiu. Il
primo meridionale, l’ultimo sardo. C’è anche Don
Giovanni, cappellano degli alpini, un pezzo d'uo-
mo dall'aria assai mite.
*
« *
A proposito : la medaglieria religiosa è in dimi-
nuzione. Nei primi tempi era un irnpdrversare di
immagini sacre. I soldati ne portavano al collo, al
polso, sul berretto, nelle dita a foggia di anello.
Tutto ciò va cadendo in disuso. La tragica espe-
rienza delle prime linee ha insegnato che un amu-
leto vale l’altro, che il cornetto vale una medaglia;
e un gobbo d’avorio un Sant’Antonio. L’ultima
trovata in materia di « scongiuri » è quella di toc-
carsi le stellette (forse per analogia collo « stello-
ne? ») o di portare questa cabalistica epigrafe :
B I P ZI R 10
C eh. ZI P. S. S.
Migliaia di soldati l’hanno ricevuta passando
per i paesi della vallata del Natisene.
Sono incapace di decifrarla-
103
BENITO MUSSOLINI
21 Febbraio.
Notte di vento violentissimo e gelato. Veniva dal
Monte Nero. La tela della nostra fragile baracca
si gonfiava, mentre le traverse di legno stridevano
e pareva dovessero rompersi da un momento al-
l’altro. Pigiati gli uni su gli altri. Per muoversi dal
fondo della baracca alla porta, si cammina sui
compagni, colle ginocchia e le mani a guisa di
quadrupedi. Nessuno ha chiuso occhio. Alle quat-
tro, sono stato chiamato per la corvée dei viveri,
che bisogna andare a prendere dove si fermano i
muli, nella posizione dove si trova il Comando di
Brigata. Anche nel Rombon i nostri morti sono
disseminati qua e là, dove è stato possibile di sep-
pellirli. Sette croci allineate sorgono vicino al Co-
mando di Brigata; due più in alto; qualche altra
nei pressi della mulattiera. Mattino di calma. Il te-
nente Rapetti mi narra un episodio che dimostra
quanto giovi ad incuorare i soldati, l’esempio de-
gli ufficiali.
— Il 12° bersaglieri — mi dice Rapetti — era
a quota 1270, alle falde del Monte Nero. La nostra
trincea veniva battuta da parecchie ore da un vio-
lento fuoco di artiglieria. Il sergente Brenna aveva
avuto un momento di panico. Piuttosto che rim-
proverarlo, io mi misi in piedi sulla trincea, men-
tre granate e shrapnels fischiavano da ogni parte
Il gesto mio, temerario, incuorò i bersaglieri, più
di qualunque punizione od eccitamento. Quando,
di lì a poco tornai, trovai il sergente Brenna-, che,
impassibile e fresco tra 1'infuriare dei proiettili ne-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
4 107
mici, si mise sull’altenti e disse: — Niente di nuo-
vo, signor tenente. Presenti, diciannove come pri-
ma . —
Il colonnello ha chiesto una copia del mio «Gior-
nale di Guerra» dello Jaworcek. Ordine di servi-
zio per la notte : il primo plotone è comandato a
porre i « cavalli di Frisia » oltre la nostra trincea.
Della prima squadra andiamo volontariamente io
e Reali Oreste, milanese. Ci vestiamo di bianco e
andiamo su. Prima che spunti la luna, usciamo
dalla trincea insieme col tenente Santi. Strisciamo
per alcuni metri... Ad un certo momento, il te-
nente avverte un rumore di passi sulla neve gelata.
E’ una pattuglia di austriaci. Sosta. Tutto intorno
è silenzio. Ma le nostre vedette non dormono ed
ecco crepita il fuoco della nostra fucileria. La pat-
luglia nemica si ritira in buon ordine.
22 Febbraio.
Notte di luna, serena, ma freddissima. Si dice :
dai quindici ai venti gradi sotto zero. Ma nessuno
si sente male. Malati in lutto: quattro e più che
malati, indisposti. Cominciamo a « sfottere » gli
austriaci. Sopra a un lungo bastone piantiamo
una pagnotta di pane e sopra a un altro, issiamo
un cappello da bersagliere. Agitiamo, per qualche
tempo, i due bastoni al disopra della trincea, ma
gli austriaci non sparano. Una novità : il nostro
capitano Mozzoni è tornalo dalla licenza invernale.
Passa fra di noi salutandoci tulli, Mi annuncia che,
108
BENITO MUSSOLINI
con molta probabilità, il reggimento cambierà
fronte e andrà in C'arnia. Distribuzione di caffè,
cioccolato, burro, castagne secche. Si beve molto
cognac e mollo rhum. I liquori eccitano contro il
freddo e soprattutto tengono desti. Da notare : alle
quattro e a mezzanotte, ci viene distribuito caffè e
latte. E un record a quest’altezza! La distribuzio-
ne dei viveri è regolare e abbondante : non abbia-
mo il rancio caldo, ma tant’altra roba lo sostitui-
sce : anche il prosciutto che talvolta è veramente
squisito. Il lenente medico Musacchio mi offre la
fotografìa dello Jaworcek, con questa dedica :
All'amico Benito Mussolini
offro
affinchè gli ricordi il luogo
ov' ebbe il battesimo del fuoco <>
e la gioia suprema
di constatare nel cuore dei suoi commilitoni
le nobili qualità della stirpe italica.
Dormiamo sotto a una baracca, ma sulla neve.
Ci contenteremmo di un pochino di paglia ma
non c’è.
Mercoledì 23 Febbraio.
TV otte di guardia alla trincea. Dodici ore sotto a
una implacabile bufera di neve. Verso le due si è
udito un vivo fuoco di fucileria alla nostra destra
nelle posizioni tenute dagli alpini. Siamo balzati
It Jiiù DIARIO Di GtrfiftfiA
109
lutti i n piedi. Coperti di neve, sembravamo tanti
iantasmi usciti da una fossa. Si trattava di un at-
tacco austriaco più simulato che attuato. Il fuoco
è durato una quindicina di minuti. Stamani, al-
1 alba, 1 S a compagnia è venuta a darci il cambio.
Durante l’operazione, una pallottola sola di una
vedetta austriaca ha ucciso due dei nostri: Mas-
sari, un richiamato ferrarese dell’84 — un soldato
bravo, disciplinato, volonteroso, che era stato con
me in trincea sullo Jaworcek — e Manucci. So-
no caduti senza un grido, sul margine inferiore del
camminamento. Colpiti entrambi alla testa. Dai
buchi uscivano fiotti di sangue che invermigliava
la neve.
Fatalità!
Il Manucci era già partito per la licenza inver-
nale ed era giùnto a Tennova. Qui aspettò sei gior-
ni, perchè le licenze erano state sospese nel settore
dell Alto Isonzo. Dopo sei giorni, ricevette l’ordine
di tornare in compagnia. Giunse ieri sera. Stama-
ni è morto. Il Massari era miracolosamente scam-
pato allo shrapnel del 10 ottobre che uccise i suoi
due compagni di tenda, i ferraresi Mandinoli e Mel-
loni.
— Portaferiti! —
Ecco De Rita e Barnini. Adagiano in una co-
perta di lana i due morti e li trascinano piano sulla
neve... Un trasporlo colla barella è impossibile,
data la ripidità e il gelo del camminamento. La no-
stra trincea è fatta di neve. I sacchetti non conten-
gono che neve gelata. Le pallottole passano come
116
BÉNÌTO MUSSOLINI
attraverso la carta velina. Bisogna camminare a
schiena incurvata.
Nevica sempre.
Una valanga si è schiantata sulla baracca dove
dormono alcuni sottotenenti, le loro ordinanze,
Beali ed io. Sotto l’urto, la baracca si è chiusa co-
me un libro. Per fortuna, nessuno di noi è rimasto
ferito. Ho aiutato il lenente Malascherpa — cre-
monese — a liberarsi dai rottami e dalla neve, che,
sfondando la tela della baracca, lo aveva quasi se-
polto.
24 Febbraio.
Le solite dodici ore di guardia alla trincea. So-
no, colla mia squadra, capitato proprio nel punto
dove caddero ieri Manucci e Massari. La neve è
ancora rossa di sangue. Scendendo — a servizio
ultimato — dalla trincea, porto al maggiore Ten-
tori, comandante il battaglione Bussano degli al-
pini, una copia del Popolo, col trafiletto dedicato
al Volonteri di Monza. Il maggiore mi ricostruisce
le vicende della notte tragica — 14 febbraio —
nella quale fu tentata la riconquista delle posizioni
perdute sul Kukla. L’avvocato Alfredo Volonteri
- - volontario — morì colpito da una palla in fron-
te, mentre gridava : — Alpini del battaglione Bas-
sano, avanti, sempre avanti! —
Il maggiore Tentori mi racconta anche la fine
eroica di un caporal maggiore che, colpito al ven-
tt MtO DIARIO Dt Gl TJ ERRA
Ili
Ire, è morto dicendo : — Mi za me moro, ma moro
contento per l’Italia! Viva l’Italia! —
Nelle parole del maggiore — un uomo alto, dal
portamento nobile e marziale — vibra ancora un
intenso affetto per i caduti.
Ho assistito a sera inoltrata a una scena maca-
bra. Una cassa da morto, fatta rozzamente, è stata
caricata su un mulo. Gli alpini lavoravano in si-
lenzio. Dentro ci dev’essere — ho pensato — la
salma del povero Volonteri, che la pietà di un
amico ha dissotterrato per farla portare in giù, in
uno dei cimiteri dei pressi dell’Isonzo.
Venerdì 25 Febbraio.
Notte di tormenta. Stamani nebbia e neve si al-
ternano. Abbiamo lavorato intensamente. E’ la
guerra dei braccianti. La vanghetta vale il fucile.
Ora il nostro camminamento è profondo. Si può
stare in piedi senza pericolo di ricevere qualche
micidiale pallottola. Abbiamo rinforzato la trin-
cea con sacchetti di terra. In poche ore ne abbia-
mo riempito qualche centinaio. E’ giunto il nuovo
comandante del nostro battaglione, cav. Galassini
modenese.
» %
Il tenente medico Musacchio mi parla di uno
strano tipo di ammalato, ch’egli ha visitato stama-
ni. Si tratta di un siciliano che afferma di essere
stato « fatturato », cioè stregato, durante la licenza
112
BENITO MtfSSOLlSl
invernale. Sintomi della « fattura » : debolezza,
inappetenza, dolori vaghi e nostalgia. Comprendo
che un siciliano soffra di nostalgia, nostalgia del
sole, fra tanto gelo e tanta neve!
*
% *
Gli ufficiali subalterni del mio battaglione sono
tutti giovanissimi e ci trattano col « tu » confiden-
ziale. La notte scorsa, secondo quanto mi dice il
tenente Azzali della 6* compagnia, gli austriaci —
in vesti bianche — si sono mossi per il solito at-
tacco, ma i bersaglieri del 33°, che non hanno l’a-
bitudine disastrosa di dormire in trincea, hanno,
con cinque minuti di fuoco, sventato il tentativo.
Sabato 26 febbraio.
Nottata di guardia. Tormenta di neve sino a
mezzanotte. Il capitano ha vegliato tutta la notte
insieme con noi. Ha declamato un brano del Ne-
rone di Cossa. Per ingannare il tempo, abbiamo
canticchiato. A mezzanotte, Reali, chef de cuisine
della squadra, ci ha preparalo una specie di punch
che bruciava gli intestini; poi ci ha intrattenuti su
gli usi e costumi nord-americani. Le notizie da
Verdun hanno suscitato grande interesse fra noi.
Verso le quattro, si è udito gridare alla nostra
sinistra :
— All’armi! All’armi! —
Siamo usciti immediatamente dalle nostre bu-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
113
che — quattro in tutta la trincea — e ci siamo
messi in linea. Tutto ciò è avvenuto con la rapi-
dità del baleno.
— Le bombe! Le bombe! —
r In questo momento il nevischio ci frusta violen-
temente la faccia. Ecco le bombe, fi sacco era in
consegna alla nostra squadra.
— Fuoco! —
Ho sparato tre caricatori. Poi mi sono scaldato
le mani alla canna tepida del fucile. Gli austriaci
non hanno sparato nemmeno un colpo.
All’alba ho visto un fenomeno strano, dovuto cer-
tamente all’azione dell’elettricità. La punta delle
nostre baionette brillava come se fosse uscita dal
fuoco. Anche il capitano ha osservato il fenomeno.
• Stamani, sole. Il bianco della neve abbacina. So-
lito bombardamento degli austriaci, contro le no-
ste irreperibili batterie della stretta di Saga.
27 Febbraio.
Breve sole. Adesso nevica ininterrottamente da
quindici ore. Di guardia alla trincea. Se continua
a nevicare, la nostra situazione può diventare dif-
ficile. Oggi, per la prima volta, siamo rimasti sen-
za pane,
*
* ^
La posizione della nostra trincea non ci permet-
te, in caso di un serio attacco austriaco, nessuna
possibilità di scelta : bisogna resistere sino all’ul-
Mussolini. * Il mio diario di guerra-
8
114
BKNITO MUSSOLINI
timo uomo. La trincea è scavata proprio all’orlo
di uno scoscendimento del Kukla, che precipita
quasi a picco, per alcune centinaia di metri, sino
a! pianoro dove c’è il Comando di Brigata. Riti-
rarsi, significa precipitare, rotolare nell’abisso.
Resistere, dunque, e siamo pronti!
28 Febbraio.
Oggi abbiamo lavorato di vanghetta e badile.
Le solite fucilate tra vedette. Nessun ferito.
29 Febbraio.
Domani avrò i galloni da caporale. Un piccolo
avvenimento nella mia vita di soldato. Il capitano
ha motivato così la proposta :
«Per l'attività sua esemplare, l’alto spirito ber-
saglieresco e serenità d’animo. Primo sempre in
ogni impresa di lavoro o di ardimento. Incurante
dei disagi, zelante e scrupoloso nell’adempimento
dei suoi doveri ».
*
* *
Dialogo colto a volo ieri sera :
— Tenente Barbieri, quant’è la forza della com-
pagnia montata stasera di guardia alla trincea?
— Centosette uomini.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
118
Ma lassù non ce ne sono che settantaquàttro
contati da me.
Si vede che i «disponibili» non sono di più. —
Fra i cosiddetti « disponibili » c’è sempre qual-
che « imboscato » che « sbafa » la guardia; cioè,
non la fa,
1° Marzo.
AT ♦
Notte di guardia alla trincea. Nevica. Sono sce-
so all’alba. Battaglia a pallate di neve. Giungono,
verso mezzogiorno, alcune bombe austriache! Una
vittima. Un alpino del battaglione Bassano. Lo
portano in barella al posto di medicazione, ma ci
restano un attimo. Brutto segno! L’alpino è mor-
talmente ferito. Sulla mulattiera c’è una striscia di
sangue e di materia cerebrale. Padre Michele mi
racconta che al 27° battaglione, che trovasi alla
nostra destra, ci sono stati due morti e due feriti
da pallottole delle vedette. Anche il tenente Ra-
petti è ferito, ma non gravemente.
Giovedì, 2 Marzo.
Stanotte di guardia. Neve. Neve- Sono ubriaco
di bianco. Era con noi il capitano. Si è allogato
alla meglio nella nostra tana, gocciolante da tutte
le parti e ci ha letto moltissime pagine del libro
del povero Lucatelli : Come ti erudisco il pupo. Mi
sono divertito. Sull’alba il sonno mi ha preso. Per
116
BENITO MUSSOLINI
vincerlo ho ingoiato mezza bottiglia di rhiim che,
come dice l’etichetta, contiene tanto « alcool pari
al 21 % del suo volume ». Novità. Stamani, presto,
una valanga ha travolto quattro alpini e un mulo.
Altra novità. Son riaperte le licenze invernali.
Spetta anche a me, di diritto. Foglio rosso, tra-
dotta N. 1.
Partono con me Reali, Morano, Tinella, Morani,
il tenente Barbieri di Modena. Terza novità. An-
che il battaglione scende stasera e va a Serpenizza.
Questa notizia mi fa piacere. Il pensiero di lascia-
re i miei compagni sul Rombon turbava un po’ la
mia gioia. Durante il tragitto, gli austriaci ci spe-
discono tre shrapnels. Qualche altra cannonata
scoppia su noi, in prossimità di Osteria, sulla stra-
da maestra imperiale di Plezzo. Notte di sosta a
Serpenizza.
3 Marzo.
Le compagnie del mio battaglione sono discese
lo notte scorsa. Partenza. Poco oltre Serpenizza,
passiamo davanti ai baraccamenti dove hanno per-
nottato i' miei commilitoni. Auguri e saluti. Piove
a dirotto. Sosta a Ternova per il bagno e la visita
medica. Tappa notturna a Svina, a cinque minuti
da Caporetto. Svina è un villaggio di poche case
Notte in un solaio, sulla paglia. Non siamo molti,
E’ una delle ultime tradotte. I permissionaires ten-
gono un contegno dignitoso e corretto. Non grida,
IL MIO DIARIO DI GUERRA
117
non schiamazzi : la gioia c’è, ma è contenuta nei
cuori. Si formano dei crocchi, dove vengono nar-
rati episodi di guerra. E passano nel racconto il
Monte Nero, il Vrata, il Vrsig, lo Jaworcek, il
Rombon, le montagne dell’Alto Isonzo, santificate
dal sangue italiano.
Un mese tra le
montagne della Carnia
25 Marzo.
Cerco da cinque giorni il mio battaglione-
L’ho lasciato a Serpenizza a riposo. So che è
rimasto dieci giorni a Pinzano sul Tagliamento.
Poi è partito per la Carnia, ma per destinazione
ignota. Giro da cinque giorni, in lungo e in largo,
la Carnia, a piedi e in ferrovia. Da Tolmezzo a
Paluzza. La colonna dei bersaglieri che tornano
dalla licenza invernale è scortata da due carabi-
nieri a cavallo. Attraversiamo il ponte del But che
«irrompe e scroscia». Si marcia in ordine. Ecco
Terzo, Cedarchis, Enemonzo, Arta. Ho appena il
tempo di leggere l’epigrafe che ricorda il soggior-
no di Giosuè Carducci in questi luoghi.
Un po’ di sole. La strada s’inoltra fra abetaie
foltissime e odoranti. C’è nell’aria il lepore della
primavera. I torrenti ingrossati dal disgelo urlano
tra le gole dei monti. Verso Paluzza, la valle del
But si allarga. A Paluzza, il maggiore degli alpini,
che sta al Comando di tappa, mi dice, finalmen-
te, dove si trova il mio battaglione. Lo raggimi-
120
BENITO MUSSOLINI
gerò domani. Passo la serata a Paiuzza, popolala
da soldati di ogni arma. Il paese è intatto. L’arti-
glieria nemica non lo ha mai raggiunto. Timau,
invece, secondo quanto mi dicono abitanti di Pa-
iuzza, è una rovina. Timau è l’ultimo abitato che
si trova, prima di raggiungere le posizioni ormai
famose del Pai Piccolo, Pai Grande, Freikofel.
26 Marzo.
Giunge dal Freikofel il rombo ininterrotto del
cannone. Si combatte. Ma l’eco della battaglia vi-
cina non sembra turbare eccessivamente i citta-
dini di Paiuzza. La caratteristica chiesetta, di-
nanzi alla fontana, rigurgita di gente che ascolta
la messa. Gruppi, fra i quali sono molti soldati,
stanno davanti alla porla principale e a quelle'
laterali. Un sergente maggiore del Comando di
tappa mi informa che da Timau si sono chieste,
«tutte le ambulanze disponibili». Ciò dà un’idea
della gravità del combattimento.
Alle undici ci raduniamo per partire. Siamo ac-
compagnati dal sottolenente Menini, lombardo.
Addio Paiuzza! Attraversiamo il But e tocchia
mo Cercivento. Segue Ravascletto, dove troviamo
la neve. Siamo a 947 metri. Vecchi e donne sono
nelle strade a godersi il sole e il riposo domeni-
cale. Un particolare significativo che denota il pa-
triottismo di queste popolazioni. A Ravascletto —
paese di poche centinaia di anime — sono state
sottoscritte ben 25 mila lire per il terzo prestito
IL MIO DIARIO DI GUERRA
121
nazionale. Sosta per il rancio che confezioniamo
in casa di un contadino che ci offre le marmitte.
In marcia! Ora la strada riscende. Il panorama
che si offre allo sguardo è sempre incantevole.
Gamia pittoresca e ospitale!! Breve tappa a Pau-
laro: un villaggio. Entriamo in una casa — che
ha una certa grazia di villetta signorile — per bere
un sorso d’acqua. Ci viene offerta, con gentilezza,
dalle donne di cam. Tre ragazze: Mina, Antoniet-
ta, Maddalena. Noto un grande ritratto di Bene-
detto Cairoli e uno piccolo di Gabriele d’ Annun-
zio. Donne italianissime. Cantiamo insieme l’inno
di Oberdan. Saluti e auguri.
Ecco Comegliaus, da dove comincia la valle del
Degano. Tappa serale a Rigolato, pieno di alpini
del 3°. Sono giovani del ’96 provenienti da Tori-
no. Le osterie sono affollate di soldati. Nelle strade
non ci sono fanali. Buio pesto. Ma da un accanto-
namento, non lungi dalla strada principale, si leva
un coro :
Al 27 maggio
Al tramonto del sol,
Affondavasi una barca
Nel Lago Maggior.
Bella che dormi
Sid letto dei fior,
Svegliati e poi ricevi
Un bacio d’arnor...
Il coro lento a tre voci si diffonde con una certa
solennità nella notte stellata.
122
BENITO MUSSOLINI
27 Marzo.
l)a Rigolato a Forni ci sono 7 km. e mezzo di
strada maestra. A Forni ce il Comando del mio
battaglione. Lungo la strada, il solito movimento S
delle retrovie : biciclette, carri, camions.
Incontriamo una piccola automobile della Croce
Rossa inglese, guidata da uno chauffeur coll’inevi-
taile pipa corta in bocca. A Forni, dove giungia-
mo verso le 11, ci dicono dove si trova la mia
compagnia. Ci mettiamo al seguito della colonna
dei muli che portano i viveri. Di rimarchevole a
borni non ho visto che un palazzo delle scuole ele-
mentari, quasi grandioso. Siamo una decina di
bersaglieri. E’ con noi l’aspirante ufficiale Baldesi,
toscano. Tre ore di marcia lungo una mulattiera
che attraversa un abetaia così folta, che impedisce
al sole di giungere a terra.
A quota 1576, alla destra del torrente Borda-
glia, che nasce dal laghetto omonimo, trovo il 1°
plotone della mia compagnia. Sono arrivato. Il
plotone è ricoverato — insieme con altri bersa-
glieri ciclisti del 10° — in una baracca di legno
a Ire piani. Di fianco c’è la cucina e uno sgabuz-
zino, sulla cui porta mal connessa sta scritto pom-
posamente : Sala convegno per fumatori. Ce il fu-
mo, ci sono i fumatori, ma quanto alla sala è...
un esagerazione. La stanchezza mi concilia rapida-
mente il sonno.
i
IL MIO DIARIO DI GUERRA
123
28 Marzo.
Alba grigia. Qualche raffica di nevischio, atte-
nuata da ondate di sole. Bizzarria della montagna.
Il Comando della nostra compagnia è 300 metri
più in alto. Vi salgo per presentarmi al capitano.
Nel tragitto ho modo di orientarmi sulle nostre po-
sizioni. Siamo fortificatissimi! Tutta la neve, vi-
cino e lontano, è punteggiata dai pali dei nostri
reticolati. Di qui, non passeranno mai!
29 Marzo.
Stamani, ricognizione volontaria. Sono disceso
nella valle, sino alla confluenza del Bordaglia col
Volaja. Laggiù una squadra di alpini schyatori
si esercitava. Pomeriggio insignificante. La prima
squadra è di guardia all’accantonamento. Sono
capoposto. Notte tranquilla.
30 Marzo.
Nevica da sedici ore. Tutto è bianco. La mulat-
tiera è sommersa. Pomeriggio: nevica sempre. La
posta non è giunta. Ore lunghe. Nella baracca,
al primo, al secondo, al terzo piano — totale al-
tezza quattro metri o giù di lì — si gioca a carte,
si fuma, si canta. Io, col ventre a terra, scrivo
queste note. Tipi di soldati : Meiosi Piacentino,
lucchese, tornato daH'America. Classe 1893. E’ il
124
BENITO MUSSOLINI
vero tipo del toscano medio : asciutto, intelligente
e provvisto di una buona lingua snodata.
,. ®? n .° tornat o in Italia per l’onore — egli mi
dice, iniziando la nostra conversazione. — Cinque
anni or sono andai in America e quando fu chia-
mata la mia classe, non essendomi presentato, fui
dichiarato disertore. In America, a Richmond, ca-
rnm 6 deII ° Stato di Virginia, avevo un piccolo
commercio di confettiere. Gli affari non andavano
mate. Scoppiò la guerra europea. Quando l’Italia
entro in campo, sentii che non potevo più oltre re-
stare lontano dalla mia patria e sono tornato. Po-
tevo entrare nella Sanità, ma ho preferito un’arma
combattente e sono qui a fare il mio dovere —
j. un fatto > che i soldati tornati dall’America
costituiscono la parte migliore delle truppe al
I conte. i‘
Domattina, sveglia alle quattro. Dopo gli atlac-
chi al Pai Piccolo, bisogna vigilare. Tale è l’ordi-
ne telefonico del capitano.
L eventualità di un’azione lusinga i soldati
Nevica sempre^ Sono cadute due valanghe co.,
un boato tremendo. Non si ha notizia di vittime.
morti in seguito a valanghe non sono stati molti
in questa zona : cinque e alcuni feriti.
Dopo tanta neve, ecco una mattinata meraviglio-
sa di sole. Nella chiarità diafana, trasparente del-
1 orizzonte, si stagliano netti i profili e le merlet
IL MIO DIARIO DI CJUSRRA
123
vedono . W “ chi *tae. Lontano ni
vedono le guglie dolomitiche del Cadore
Intanto, al lavoro. La mulattiera è colma di neve
mn C eV,f nlÌen ' r aOTSSO " lte " «otto™ coprii
a e della seconda linea sono ostruiti. Dai costoni
e r?r f CÌ m ° nti di Vas e Omìadet
hno-hè n , ? ° nte ’ 81 staccano frequenti va-
r“-
l«^hi rotoeriggi. solatìo e 'SelT
tCn-r^r
stflC-ando austriaco che ci fronteggia è rima-
ignobile ^memorim^ 9 ^^* 0 ” * -nché
^ 1 ted ? Schi ~~ commenta un arguto ber-
p re "to so,TS. h L"" 0 aUri “ baIl0 " i ” “a s P ar are,
f° Aprile .
Sono capoposto della guardia al .. blockhouse ..
*’ 2 <le ' P ° S " avanzali di Prima linea, oltre il v,l-
m
BENITO MUSSOLINI
ioncello della valanga. Il « blocldiouse » N. 3 è
stato travolto e sommerso da una valanga. Per for-
tuna, era stato abbandonato in tempo e non ci sono
stale vittime. Ho con me i bersaglieri Reali Oreste
di Milano, Alcenzo Memore di Fiume Marina. Ma-
rano Arturo di Codroipo, Roggeri Pietro di Fa-
briano, Mastromonaco Giuseppe del Molise, Scac-
chetti Ezio nato a Costantinopoli da genitori man-
tovani e Tonini, piacentino.
I quattro « blockhouse » o ridotte, costituiscono
la nostra prima linea. La consegna è di difenderli
•sino all’arrivo dei rinforzi della seconda linea e se
i rinforzi non arrivano, difenderli egualmente sino
all’ultima cartuccia. Sono ridotte costruite con
grossi tronchi d’albero, resistenti a granate di pic-
colo calibro. Per giaciglio, un tavolaccio ricoperto
e reso un po’ soffice da uno strato di fronde d’a-
bete che emanano l’odore grato e resinoso delle
conifere. Nel pomeriggio, intermittente e innocuo
bombardamento a shrapnels. Passa un Taube al
tissimo, oltre il tiro possibile del nostri fucili. Fila
veloce in direzione della Valle del Degano.
2 Aprile.
Sole. Appena giorno, muoviamo in ricognizione
verso le posizioni austriache.
Siamo in cinque. La neve poco resistente ci im-
pedisce di camminare con velocità. Siamo giunti
in prossimità del Passo di Giramondo, dominato
alla sinistra per chi sale lungo il Rio Volaja dal
JL MIO DIARIO DI GUERRA
127
Picco di Giramondo che appare come un «Termi-
ne » gigantesco posto dalla natura per segnare i
contini d Italia. Verso le 10 il solito Taube è ve-
nuto sulle nostre posizioni.
Quantunque fosse molto alto, abbiamo fatto fuo-
co egualmente. Dopo il secondo rancio, quando
scendono dai monti le prime ombre della sera,
mentre sulle cime si attarda la luminosità del cre-
puscolo, i soldati si riuniscono e cantano in coro.
Sono vecchie canzoni semplici di parole e di melo-
dia, che si prestano al canto a più voci.
Ieri nel mio blockhouse » venne cantato il La-
mento del soldato per la morte delia fidanzata.
Ecco le parole. I versi sono rozzi, ma c’è in essi
una fresca vena di sentimento :
Trenta mesi che faccio il soldato
E una lettera mi vedo arrivar.
Sarà forse la mia amorosa
Che ho lasciata nel l’etto ammalò.
A rapporto, signor capitano,
Se in licenza mi vuole mandar.
In licenza ti manderia
Purché ritorni da bravo soldà.
Glielo giuro, signor capitano,
Che ritorno da bravo soldà.
Quando giungo vicino al paese,
Le campane io sento a suonar.
128
BENITO MUSSOLINI
Sarà, forse , la mia amorosa
Che la portano a sotterrar.
O becchino , che porti la bara
Per favore, riposati un po’.
Se da viva, non l'ho mai baciata,
Or c.h’è morta, la voglio baciar!
La sua bocca, ora, sente di terra,
Mentre prima odorava di fior!
Sono lo canzoni sgorgate dall’anima primitiva
del popolo. Sono passate da generazione a gene-
razione e i soldati se le sono trasmesse da una
ela&se all’altra.
Ore quindici. Riapparizione del Taube nemico,
che vola altissimo. Verso il tramonto, duello strac- *
co delle opposte artiglierie. Distribuzione del ta-
bacco governativo, con le relative tre cartoline in
franchigia.
Si scrive. Si fuma. Il fumo è una distrazione.
3 Aprile.
Grande sole. Stamani nella solita «ricognizio-
ne .. ci siamo spinti ancora più in là. Erano con me
i caporali Pietroantonio, un giovane abruzzese tnr.
posizio-
IL MIO DIARIO DI GITjgjaj^
129
ni della Sellella fra il But e l’Omladel. Le granale,
scoppiando, chiazzavano di nero la neve. Pome-
riggio di silenzio alto, .interrotto soltanto dal rom-
bo delle valanghe. Le quali non sono le valanghe
dirò così «classiche» che si formano col «sasso
che dal vertice » rotola giù nella valle. Sono in
vece, grandi strati di neve che slitta dai costoni
pm ripidi, per effetto del vento o del peso della
neve stessa. Qua e là, la montagna comincia a mo-
n ,! e f Ue r ° CCe - E la primavera? Un tenente
del battaglione ciclisti mi regala, come suo ricor -
o, una fotografia delle posizioni del Passo di Gi-
ramondo e del Volaja. Ieri, mentre gli alpini ope-
ravano il « cambio » dei piccoli posti in Bordaglia
Alta, furono scoperti dalle vedette austriache. Tre
morti dei nostri sono caduti nel camminamento
tra la neve.
4 Aprile.
Ricognizione mattutina al valico del Volaja. Sia-
mo «discesi per il torrente omonimo sepolto sotto
n n f ve :. ?sel Pomeriggio, nuova ricognizione su
Bordaglia Alta. Siamo saliti per un pendìo ripidis-
simo. Erano con ine il tenente Santi e tre alpini
della compagnia volontari alpini. Indossavano il
camice bianco. Questi volontari sono in gran par-
te carinoli e friulani. Gente del paese. Di tutte le
età. Di tutte le condizioni sociali. Sbarrando i pas-
si ai confini d’Italia, essi difendono le loro case
Je loro famiglie, i loro villaggi che sarebbero ì
Mussolini. - Il rnìr. diario dì piverrn.
130 BENITO MUSSOLINI
primi a subire le violenze dell’invasore. Gente sim-
patica. Siam giunti al laghetto di Bordaglia, com-
pletamente gelato. Dal laghetto ha origine il tor-
rente omonimo che si getta a Pierabech nel Fleons
o Degano, dopo aver ricevuto, come confluente, il
Volaja.
Il tenente Santi — che oltre ad essere il mio
superiore, è un mio amico carissimo — ci ha fatti
sostare per alcuni minuti in posizione conveniente
per vedere, senza essere visti, le linee nemiche.
Col binocolo si vedono benissimo, anche nei det-
tagli, i « blockhouses » austriaci che presidiano il
Passo di Giramondo.
Il tenente Barnaba, territoriale, della compa-
gnia dei volontari alpini, è stato lieto di incontrar-
mi, e ci ha offerto un sorso di cognac. Di lassù, 1
lo sguardo abbraccia un panorama di montagne
meraviglioso. Le Dolomiti della sinistra del Cadore
lanciano al cielo le loro guglie sottili. L'anima —
dinanzi a questa visione — si dilata e si esalta. La
montagna, come il mare, fa «sentire» l’immensità.
5 Aprile.
Nebbia, maltempo. Mattinata grigia. Nessuna
rieognizione. I soldati hanno brevi momenti di te-
traggine, seguiti da esplosioni di gioia e di alle-
gria talvolta fanciullesca. La neve se ne va. I bu-
caneve — primi fiori della montagna — comincia-
no a tappezzare i tratti scoperti. Oggi, non una
cannonata e nemmeno fucileria. Quiete assoluta.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
131
distretto 1 dN rÌPÌ di SOldatL AsCenzo Memore ) del
iistretto di Savona, marinaio di mestiere Basta
mostrargli una cartolina illustrata con una barca
per fargli sentire tutte le acute nostalgie del mare’
Nilo a F,„al Marina. I suoi racconti de la vita
marinaresca m’interessano. Fa ,1 soldato voto
I eri e odia i tedeschi. Lo chiamiamo marinaretlo
Abbiamo , "vece affibbiato ,1 soprannome' Tara-
. , a 2I .° Lucchetti che è nato e vissuto a Co-
-tantinopoli, dove la famiglia sua è rimasta sotto in
CSm g " Tr Unfti ' ™" 1 ™
lontanamente in Italia per la guerra. Ha un no’ la
silhouette del turco. Calmo, flemmatico parta in
i aliano con un leggero accento esotico un po' tur-
s.garel°a P “l Un «
untato ata r de C0 " lmMmMle dalla bocca e
do A va 1 ’ dl . riServa ’ sull ’orecchio destro. Olian-
do Ascenzo vuole « sfottere » l'Arabetto lo chiarm
“Aggregato all'Italia,,. E allora l'Ara’heHo pèSe
■ Mtano °di “ bitUale a e " SCa “ a ” P» P™" aCs
italiano,, di razza e di sentimento.
Pomeriggio. Arriva la posta. Tutta roba in ri-
tardo. La posta nuova non ha ancora come di
riamo nel nostro gergo, « trovata la strada »
Mgrue.
Giornata movimentata quella d’ogm Scrivo
minato r df e ’ 3 n ° Ue aHa ’ neI “ MockhL'se » illu-
minato da un mozzicone di candela. I miei coro
P»gm dormono. Stamani ho compiuto la solita rt
132
BENITO MUSSOLINI
cognizione. Siamo giunti sino al costone che per
la sua strana conformazione viene chiamato «spi-
na di pesce ». In quel punto la neve è alta oltre
dieci metri. Ha colmato gli scoscendimenti e for-
mato una specie di pianoro.
Durante tutta la mattinata, violento duello delle
artiglierie di medio e grosso calibro. All’ima del
pomeriggio ho ricevuto un ordine-fonogramma di
intensificare la vigilanza e di lavorare attorno al
« blockhouse » essendoci probabilità di un attacco
nemico. Ci siamo messi immediatamente al lavoro.
Mentre le artiglierie ricominciavano il loro bom-
bardamento reciproco, abbiamo scavato una trin-
cea a destra e una a sinistra della ridotta. Qui
opporremo la prima resistenza. Poi ci chiudeiemo
nel « blockhouse » che ha tante feritoie quanti so-
no gli uomini di guardia. La consegna è semplice
e categorica. I « blockhouses » devono resistere a
oltranza, sino all’ultima cartuccia. Abbiamo infatti
un’abbondante dotazione di munizioni.
Il tenente ci ha detto :
-- In caso di attacco, voi siete i « sacrificati »
se i rinforzi non giungono in tempo. —
Posa di reticolati. Oltre i posti di vedetta, i fili
di ferro dentato sono intricatissimi.
Il bombardamene nemico sul Volaja è durato
sino a notte. Due granate sono cadute poco lungi
da noi, ma senza scoppiare.
— Vigilare! Occhi aperti, stanotte, e orecchie
spalancate! —
IL MIO DIARIO DI GUERRA
133
7 Aprile.
Solita ricognizione. Ci siamo spinti oltre il co-
stone Lambertenghi, così chiamato in onore del
lenente degli alpini, che scendendo dal Volaja in
ricognizione, vi fu colpito a morte da una fucilata
austriaca. Qui, alcuni mesi fa, venne catturata dai
bersaglieri una piccola pattuglia nemica. Cielo nu-
biloso. Pochi colpi di cannone nel pomeriggio-
*
* *
II «morale». Posso scriverne dopo tanti mesi
di consuetudine coi soldati? Che cosa è il « mora-
le»? Definirlo in maniere precisa, racchiuderlo in
un breve giro di frasi come un ordine di servizio
è impossibile. Il « morale » appartiene alla cate-
goria degli «imponderabili»: non lo si misura, lo
si sente, lo si avverte, lo si intuisce. Il « morale »
è il maggiore o minor senso di responsabilità, il
maggiore o minore impulso al compimento del
proprio dovere, il maggiore o minore spirilo di
aggressività che un soldato possiede. Il « morale »
è relativo, variabile da momento a momento; da
luogo a luogo. Questo stato d’animo che si rias-
sume globalmente col termine « morale » è il coef-
ficiente fondamentale della vittoria, preminente in
confronto dell’elemento tecnico o meccanico. Vin-
cerà chi vorrà vincere! Vincerà chi disporrà delle
maggiori riserve di energia psichica volitiva. Cen-
! ornila cannoni non vi daranno la vittoria, se i sol-
dati non saranno capaci di muovere all’assalto;
134
BENITO MUSSOLINI
se non avranno il coraggio - a un dato momento
di « scoprirsi » e di affrontare la morte. Non si
può giudicare il « morale » dei soldati da un sem-
plice episodio o da un contatto occasionale. Il ge-
sto di un soldato vi può far credere che tutto l’eser-
cito sia composto di eroi, la parola di un altro vi
può far pensare esattamente il contrario. L’errore
della « generalizzazione » è quello nel quale cado-
no coloro che parlano di « morale » senza aver vis-
suto coi soldati ed essendosi limitali, invece, ad
una rapida visita o ad un fugace colloquio. 1! « mo-
rale» dei soldati in prima linea è diverso da quello
dei soldati delle retrovie; le classi anziane e le
classi giovani hanno un «morale» diverso; i sol-
dati contadini presentano differenze di « morale »
in confronto dei soldati nati e vissuti nelle citlà.
Il «morale» dei soldati che hanno battuto le vie
del mondo, è più alto di quello dei soldati che non
mossero mai piede oltre la cerchia del borgo na-
tio; le sfumature sono infinite, come innumerevoli
sono i tipi umani. Rivendico il diritto di trattare
la questione, perchè ho « studiato » coloro che mi
circondano, che dividono meco il pane, il ricovero,
i disagi, i pericoli; ho «sorpreso» i loro discorsi,
fìssati i loro atteggiamenti spirituali e nelle più
svariate contingenze di tempo e di luogo che la
guerra impone al soldato : in prima linea e in se-
conda linea; in trincea e in riposo; durante il fuo-
co, , prima e dopo il fuoco; nel treno attrezzato;
all’ospedale, nelle tradotte; al deposito di riforni-
mento, durante le marce di giorno e di notte; sot-
to la pioggia,, sotto la neve, sotto la mitraglia...
IL MIO DIARIO DI GUERRA
135
E la mia conclusione è questa : il «morale» dei sol-
dati italiani è buono : i soldati italiani sono disci-
plinati, coraggiosi, volonterosi. Sapendoli pren-
dere per i! loro verso, considerandoli capaci di ra-
gionamenti e non semplici numeri di matricola, si
può ottenere dai soldati italiani tutto ciò che si
vuole; dal lavoro oscuro della corvée all’ assalto
irruente e micidiale della baionetta.
Una compagnia in guerra ha circa 250 uomini.
Dal punto di vista del « morale » si possono di-
videre in gruppi nella maniera seguente.
Ci sono 25 soldati — artigiani, professionisti e
volontari italiani — che sentono le ragioni della
nostra guerra e la combattono con entusiasmo.
Altri 25 sono quelli tornati volontariamente dai
paesi d’Europa o da quelli d’olire Oceano. Gente
che ha vissuto; gente che ha acquistalo una certa
esperienza sociale. Sono soldati ottimi sotto ogni
rapporto. Ci sono una cinquan! na d’individui —
giovani — che fanno la guerra volentieri. Il gros-
so della compagnia — un centi naio — è rappre-
sentato da coloro che stanno fra i rassegnati e i
volonterosi : accettano il fatto compiuto, senza di-
scuterlo. Sarebbero rimasti volentieri a casa, ma
ora la guerra ce e sanno compiere il proprio do-
vere. ■"
Ci sono in ogni compagnia una quarantina di
individui indefinibili, che possono essere valorosi o
vigliacchi, a seconda delle circostanze. Il rimanen-
te si compone di refrattari, di incoscienti, di qual-
che canaglia che non sempre ha il coraggio di ri-
velarsi, per la paura del Codice Militare.
136
BENITO MUSSOLINI
Queste cifre possono variare, ma la proporzione
è quella. In definitiva, il « morale » dei soldati di-
pende da quello degli ufficiali che li comandano.
Non è il caso — ora — di dire ciò che si è fatto
per tenere alto il « morale » dei soldati italiani e
ciò che non si è fatto. Verrà il tempo anche per
questo discorso.
8 Aprite.
Sono smontato di guardia dai « posti avanzati ».
Nel pomeriggio, le solite cannonate- Chi ci bada
più?
10 Aprile.
Niente di nuovo. La nostra fatica consiste ades-
so nel rintracciare e scoprire i sentieri che la neve
ha sepolto. Squadre di operai borghesi lavorano
attivamente a costruire nuove « ridotte » e formi-
dabili sbarramenti con «tagliate» di abeti.
*
ì}s
Un volontario italo-inglese così scrive al fratello
Marano Arturo, della mia squadra; è un documen-
to interessante :
« Caro fratello, sono sette mesi che mi trovo sot-
lo le armi inglesi, ma ancora non sono stalo in
battaglia, ma se mi toccasse di andare sarei con-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
137
lento di andare a combattere con quei barbari ger-
manesi, sarei contento di morire, ma prima vorrei
che qualche gennanese mi passasse fra le mani.
Caro fratello, tu mi dici perchè non ho raggiunto
le nostre armi italiane. Se avessi potuto sarei ve-
nuto. Ho scritto al Consolato italiano a Vancouver
in Canadà e non mi ha mai risposto. Così raggiun-
si le armi inglesi e per la verità non si sta male.
Io non parlo l’inglese, ma mi « rangio » per bene.
Diamoci coraggio tutti e tre i fratelli sino alla
vittoria e dopo raggiungeremo la casa paterna tutti
e tre insieme, per non più abbandonarla».
11 Aprile.
Fatto due trincee e un sentiero che unisce tutta
la linea delle nostre «ridotte». Nel pomeriggio,
dodici cannonale a shrapnels.
12 Aprile.
f
Questa è la guerra del buio, della notte. Le
giornate trascorrono in una grande tranquillità:
le notti invece sono sempre movimentate. Si co-
mincia a combattere nel crepuscolo e si continua
a tenebre alle. Stanotte fuoco vivo di fucileria in
Bordaglia Alta. Lo scoppiettare secco dei fucili
era, di quando in quando, coperto dal fragore
delle bombe a mano.
Stamani una leggera nevicata. Poi, sole. Siamo
138
BENITO MUSSOLINI
andati ad ultimare le trincee. Quando si tratta di
questi lavori, i soldati non « battono la fiacca ». Le
due trincee dominano tutte la valle del Volaja.
Campo di tiro vastissimo, efficace, inibitorio. Me
lo ha detto il capitano Ricchieri, dei bersaglieri
ciclisti, che conosce a meraviglia queste posizioni.
Poiché l’ultima trincea in alto è stata disegnata
da me e scavata sotto la mia direzione, il capitano
Ricchieri mi tributa un piccolo elogio. Ho prepa-
rato su due tabelle di legno, che abbiamo inchio-
dato su due tronchi mozzali, i nomi delle trincee.
La più lunga , che è quella più in basso, sarà chia-
mata d’ora in poi il « Trincerane dei bersaglieri »,
quella in alto « Trincea Cadorna » in onore del
nostro generalissimo.
Voci del gergo di guerra :
trottapiano = pidocchio;
spazzolino = attendente;
sigarette = cartucce fucile modello 1891 ;
cartolina in franchigia = soldato buffo;
una busta con quattro carabinieri = lettera
assicurata.
13 Aprile.
Mattinata e pomeriggio di calma. A sera fatta,
quando eravamo già distesi sui nostri giacigli di è
paglia ormai triturata, siamo stali svegliati dal
fuoco. Le nostre mitragliatrici e quelle austriache
cantavano a gola, cioè... a «nastro» spiegato e la
fucileria crepitava intensa su Bordaglia Alla e Na-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
130
vagnist. Silenzio fatto d’attesa. Poi una voce ha
guidato :
— AH’armi! —
Alzarci, armarci, riempire il tascapane di car-
tucce è stato l’affare di un minuto primo. Siamo
discesi in attesa di ordini. Mentre i minuti passa-
vano senza ordini, io osservavo i miei commilitoni.
I giovani tradivano una certa emozione, erano im-
pazienti e temevano di giungere in ritardo a por-
tare soccorso ai «fratelli» attaccati in prima linea,
ma i vecchi, invece, se ne stavano calmi, quasi
impassibili e forse un po’ scettici... Più previdenti
dei giovani, non avevano dimenticalo il pane, e
nemmeno la cicca. Falso allarme?
Già : falso allarme. Ci rigettiamo a terra, arma-
li, per essere pronti al primo appello.
14 Aprile.
Pomeriggio di intenso bombardamento. Proiet-
tili di tutti i calibri infuocano l’aria. Gli austriaci
si svegliano. La psicologia del vecchio soldato
dinanzi al cannone è in queste espressioni. Se è
un colpo isolato, il soldato si limita ad osservare :
— E’ il buon giorno! Il buon appetito! La buona
sera! —
Se i colpi sono frequenti, vi presta una certa
attenzione. Di dove vengono? Ad ogni scoppio, si
dice :
— E’ un 75! Un 155! Un 280! Un 305! —
Diffìcile sbagliare. L’orecchio è abituato.
140
BENITO MUSSOLINI
Infine se il bombardamento è continuo, ininter-
rotto per ore e ore, una vaga inquietudine afferra
l’anima del soldato, che si domanda :
— Che cosa succede? —
Oggi il cannone non sosta. A sera ci giungono
notizie incerte sugli effetti del bombardamento. La
più provata è stata la sesta compagnia che occupa
posizioni laterali alle nostre, sul Paralba. Un
« blockhouse » avanzato è stato preso di mira. Una
granata da 155 è scoppiata in pieno sul « block-
house». Dei nove bersaglieri che lo difendevano,
sei sono morti, tre gravemente feriti. Si sono sal-
vate le due vedette perchè stavano quindici metri
più innanzi.
15 Aprile.
Sole, ma soffia un vento di tramontana gelidis-
simo. Esplorazione sulle propaggini del Volaja.
Siamo investiti da bufere di neve- Nelle ore pome-
ridiane, intenso bombardamento. Ci sono alcuni
feriti leggeri, nella mia compagnia.
I monti che ci circondano sono quasi tulli alti
più di 2000 metri :
Monte Coglians, 2781;
Passo di Giramondo, 1930;
Monte Creta Verde, 2519;
Paraìba, 2693;
Pizzo di Monte Gamico, 1363;
Pizzo Timau, 2221;
Monte Crostis, 2251.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
141
Stanotte sono stato posto di guardia con sei uo-
mini al « blockhouse » n. 2 bis. Notte plenilunare,
ma freddo cane. Il vento che veniva dalle gole del
Volaja ci tagliava la faccia.
17 Aprile.
Stamani, violento, reciproco bombardamento.
Nel pomeriggio, una ventina di granate sono scop-
piate sulla linea dei nostri « blockhouses » di se-
conda linea, ma senza far danno.
18 Aprile.
In seguito al bombardamento di ieri, il cambio
della guardia ai posti avanzali è slato eseguito pri-
ma dell’alba. Sveglia alle tre. Mattinata grigia.
La «ridotta» N. 8 che occupo io è stata la più ber-
sagliata dalla artiglieria nemica. Abbiamo raccol-
to dei cimeli. Schegge, alcune pallette di shrap-
nels, un bossolo da 125 e due spolette di shrap-
nels graduate a 64 ettometri. Neve per dodici ore
di seguito. Gli abeti incappucciati nuovamente di
bianco danno alla zona l’aspetto di un paesaggio
polare, come se ne vedono nelle vecchie illustra-
zioni di Natale. Freddo. Silenzio. Malinconia.
Ouesta guerra è il grande crogiuolo che mischia
e fonde tutti gli italiani. Il regionalismo è finito.
Degli uomini che compongono la mia squadra, il
Reali è milanese, il Balisti mantovano, il Tonini
142
BENITO MUSSOLINI
*
* 5 « *
Verso
prende...
sera, un po’ di sole. Ma poi la
neve ri-
bianca df™»! ? mo ” ta *'» ‘atta
ticaS H 11110 spettacoI ° magico, indimen-
t^cabde. Ho appreso dal Popolo, che mi arriva ab-
bastanza regolarmente, la notizia della morto r
t>aetano Serrani. Poveto antico.l Era b!,o^ e bra
»tezz“°Stama V “ "° n f. S ? ere ,aloroso - Ricordi. Tri-
;.a 8 rsfc Nai T,'' ridoua
gela. I miei cornimi, toni sono attorno alla stufa.
visotara^faloT' Un ,0m ° scir °ecale improv-
so na cambiato la neve in pioggia L’acona filtro
m coperto dalla ne'vef t^ZTr^
predispone a, sonno. E’ ££ ?„
IL MIO DIARIO DI GUERRA
143
ioline illustrate. Domani è Pasqua. Senza le car-
toline illustrale, nessuno si sarebbe ricordato della
solennità.
Pasqua del 1916.
Quando, prima dell’alba, mi sono alzato per
ispezionare la vedetta, pioveva. Poi, la pioggia è
diventata nevischio e neve. Nella « ridotta » è tutto
uno sgocciolamento. Sul piancito c'è già un bel
guazzetto.
— Fra poco si va in buca... — dice qualcuno.
Le ore trascorrono lente, interminabili. Si can-
ticchia :
Ed anche la Tenibile
Dice eli è stala in quel l a;
E’ stata a Serpenizza
A ramazzar la terra.
Non attacca. Mezzogiorno : nevica sempre. Po-
meriggio : nevica ancora. Un giornale. L’annuncio
dell’arrivo dei soldati russi in Francia, la conqui-
sta del Col di Lana e la conquista di Trebisonda
sollevano gli spiriti. Crepuscolo. Nevica sempre.
Pasqua bianca.
26 Aprile.
Notte un po’ agitata. Verso le due le mitraglia-
trici austriache hanno incominciato a «cantare»;
144
BENITO MUSSOLINI
nove bombe sono catlule in prossimità della nostra
« ridotta » ed anche alcuni shrapnels.
Corre voce che abbandoniamo questa posizione,
per recarci in altra del fronte, ma sempre in zona
Gamica. Smontato di guardia.
*
* *
Quando si è costretti a vivere in molli, bisogna
abbrutirsi quel tanto che basti per sopportare gli
inevitabili inconvenienti, d’ordine materiale, ma
soprattutto spirituale, della promiscuità.
#
*
Nel pomeriggio, una valanga enorme di neve
si è staccata da pendii dell’Omladet e ha imboccato
due canaloni : a un certo punto, la massa bianca
faceva un salto di un centinaio di metri, e riempiva
col suo fragore la valle. Finalmente il Volaja mo-
stra la sua gobba nuda e non più circondata da
nebbia e nuvole.
Verso sera violento bombardamento delle nostre
posizioni, sulla selletta, tra il Vas e l’Omladet.
C’è l’ordine di movimento. Si parte!
28 Aprile.
Sveglia di buon’ora. Il Volaja ci ha voluto re-
galare — a guisa di addio — - un’ultima bufera di
IL MIO DIARIO DI GUERRA
145
s 5iiXi"a*-:
valle non c è plù neve e fa caWo . Sec„ nda “f”
tagl"one Pe DÌe „™di Hbem C 7 " lpag ” ie del bal -
<leUa Coree, E^TL'tvTs^f,
ntratto S T n ° re Ch ! a ™ 6 P uIila - Alla parete un bel
__ 5 confi " e è m °it0 lontano di qui?
^■on molto. Due ore o più.
dopo U citine? “ PrÌm ° paese M*™
— Luckau.
— Ci siete stata?
luario , e taUi U gl. S anni A p L r!ma a della guerea^i
vano dei pelle°Tinao-m r; , T a ’ S1 la ce-
camminn q- & na ^ 1- ^ vogliono cinque ore di
fW PaSSa da PÌCTeI,ech e si rimonta 11
sgombro t i F„ I “ Ì - raCCOnla ’ P0i ’ 'episodio dello
h minaccia .H e? ? vv< ' nut0 mesi fa, sotto
minaccia di una incursione del nemico
, i- a" glo , rno ’ all’improvviso, il Sindaco ci die
luttp° r f me dl a , ndar VÌa ' Nessuno restò nel paese
con ns One'?’ CheT° Chì “ Se * abh “ d »"ate Che
contusione! Che disperazione! Le famiglie povere
Mussolini. - Il mio Mario di guerra.
IO
140
BENITO MUSSOLINI
non sapevano come fare, nè dove recarsi. Noi ci
fermammo a Ivaro, altri a Rigolata. Donne e bam-
bini piangevano. Scene da piangere. Siamo rima-
sti lontano quaranta giorni che mi sono sembrati
quarant’anni. Ma se tornassero un’altra volta, io
non partirei più, anche se fossi sicura di morire
fucilata da quei cani. Sono tanto vecchia! —
Ma il caso non si ripeterà. Le nostre difese nella
zona dell’Alto Degano sono semplicemente formi-
dabili. Scendere, significa votarsi all’inutile mas-
sacro.
Partenza per Comeglians. Nel prato sono rima-
sti alcuni bersaglieri ritardatari. Due sono ubria-
chi fradici. Li portano via in barella. Lungo la
strada, oltrepassiamo altri soldati, che il soverchio
vino bevuto ha gettato a terra. Spettacolo non edi-
ficante! La guerra nelle retrovie è cosi. In prima
linea il soldato è sobrio e schietto. Giunto nelle
retrovie, riprende le vecchie abitudini della bettola
mistificatrice. Ecco Comeglians. Grazioso. I suoi
dintorni sono, certo, fra i più panoramici di tutta
la Carnia. Questa regione afferra il cuore.
29 Aprile.
Mattinata di sole radioso. I boschi offrono al-
l’occhio tutte le più delicate sfumature del verde
primaverile, C’è della gioia nella chiarezza diafana
dell’orizzonte, nel Degano che rompe le sue acque
impetuose fra i sassi, nel bianco della chiesa soli-
tt mio diàrio Di guèrra
34 ?
taria che dall’alto di una rupe scoscesa domina il
paese, nel fumo delle nostre cucine apprestate die-
tro un costone perpendicolare, che forma — come
mi dice un competente — un angolo morto totale.
Oggi, nel paese, ce più silenzio e più ordine. Le
sentinelle vigilano agli accantonamenti. Anche Co-
meglians — come tutti gli altri paesi della Carnia
è senza uomini giovani. Si vede qualche vec-
chio; molti bambini e donne. Ho avuto occasione
di conoscere il Sindaco che è proprietario di un
albergo.
. Sono lieto — egli mi dice — di averlo avuto
mio ospite e conto di rivederlo a guerra finita.
Parlo con un innamorato della montagna :
— Quando — egli dice — sono giunto alla più
alta vetta, mi par di essere il re dei re...
30 Aprile.
Sveglia prestissimo. E’ ancora notte. Zaino in
spalla. Da Comeglians a Villa Santina ci sono
13 km. e 800 metri. Arriviamo a Villa Santina ver-
so le sei e ci fermiamo in un prato nelle vicinanze
della stazione per consumare il rancio unico. Il sot-
totenente avv. Antonino Isola, catanese, viene a
cercarmi. Ci vediamo per la prima volta, ma ci
conosciamo — epistolarmente — da molto tempo.
E ufficiale al 3° fanteria, composto esclusivamen-
te di siciliani.
Ottimi elementi, e non lo dico per regiona-
lismo! I miei piccoli siciliani hanno dato e daran-
14S
BENITO MUSSOLINI
no magnifica prova. Non desiderano che l’attacco
alta baionetta... —
Partiamo da Villa Santina alle 8,12, in treno spe-
ciale. Nei vagoni si beve, si canta. Passiamo, sen-
za fermarci, Tolmezzo e Amaro. Breve tappa a
Stazione per la Gamia, In treno sino a Chiusa-
forte. Di qui a Dogna, a piedi. Tappa notturna.
Primo Maggio.
Sveglia all’alba. Prendiamo la strada del Canal
Dogna. Una strada carrozzabile, bellissima, crea-
ta ex-novo. Prima non esisteva che una primitiva
mulattiera. Il lavoro è stato iniziato dalla 4 a com-
pagnia del 5° Genio minatori, è stato proseguito e
ultimato dalla Territoriale e da squadre di operai.
Questa strada è un lavoro che dovrebbe essere vi-
sto da quanti negano a noi — latini — ogni ca-
pacità di organizzazione e di tenacia. Questa stra-
da che, domani, costituirà una ottima via commer-
ciale fra Dogna e Touvin, rappresenta il non plus
ultra della modernità. Ad ogni svolta ci sono le
cantoniere vigilate dalle sentinelle; gallerie, scava-
te nella roccia, offrirebbero un riparo alla truppa
in caso di bombardamento della valle; ci sono del-
ie fontane a zampillo per bere; una teleferica che
abbrevia il tratto cosiddetto delle «rampe». Dopo
sette chilometri di cammino, giunti a quota 900-
1000, ci fermiamo. Siamo al posto. Parte della
compagnia si accantona in un gruppetto di case
IL MIO DIARIO DI GUERRA
149
coloniche abbandonate, il mio plotone e il secondo
piantano le tende.
Il capitano fa adunare i graduali della compa-
gnia e ci comunica che dal Comando del settore
dell’Alto Degano sono pervenuti due elogi alla no-
stra compagnia per il servizio di guerra compiuto
lassù.
*
* *
Qui, le montagne sono più scoscese di quelle
che abbiamo lasciato. Abbiamo di fronte la vera
parete del Montasio, la cui cima tocca i 2754 metri
ed è incappucciata di bianco.
2 Maggio.
Dopo tanti mesi, ho dormito nuovamente sotto
la tenda. La prima volta, dopo il mio richiamo, fu
a Caporetto, nel settembre. Sonno dolce, profon-
do, riparatore. Stamani, grande sole. In fondo,
scroscia il Dogna. La valle è angusta : meglio, non
esiste. Le montagne, a destra e particolarmente a
sinistra, scendono a picco. Poche ore di lavoro in-
fenso e abbiamo trasformato l’accampamento. Sot-
to la tenda abbiamo messo uno strato di fronde
di abete e di muschio profumato. Ai lati abbiamo
piantato degli alberi per nasconderci alla vista dal-
l’alto. Si respira. Vita semplice- Penso a Rousseau
e al suo « ritorno alla Natura ».
I
'
150 BEN ITO MUSSOLINI
3 Maggio.
Un Taube ci ha fatto una prima visita, ma vo-
lava altissimo. Conoscenza di alcuni soldati del
Genio minatori, bono interventisti. Uno di e^i
Nicola Pretto, di Valdagno (Vicenza) mi ha dato
da leggere un volume degli « Scritti ». di Giuseppe
Mazzini. Pomeriggio di calma assoluta. Ho letto la
V uff de Rimini. Peccato che il testo sia lardellato
di errori di stampa. Mazzini vi afferra. Ho divo-
rato la Lettera a Carlo Alberto ■ L’avevo letta da
studente. C’è in questo scritto di Mazzini qualche
cosa di profetico. Ho trascritto sul mio taccuino :
« Non v’è guerra possibile per la Francia ove
non sia nazionale; ove non s’appoggi sulle passioni
delle moltitudini, ove non s’alimenti d’uno slancio
comunicato ai 32 milioni che la compongono ».
E più oltre :
« Le grandi cose non si compiono coi protocolli,
bensì indovinando il proprio secolo. Il segreto del-
la Potenza è nella Volontà...».
E più oltre ancora, nello scritto intitolalo: Di
alcune cause che impedirono finora lo sviluppo
della libertà in Italia (1832) :
«Mancano i capi; mancarono i pochi a dirigere
i molti, mancarono gli uomini forti di fede e di
sacrifìcio, che afferrassero intero il concetto fre-
mente delle moltitudini — che ne intendessero ad
un tratto le conseguenze — che, bollenti di tuite
le generose passioni, le concentrassero in una sola,
quella della vittoria — che calcolassero lutti gli
elementi diffusi, trovassero la parola di vita e di
IL MIO DIARIO DI GUERRA
ordine per tutti — che guardassero innanzi, non
addietro — che si cacciassero tra il popolo e gli
ostacoli con la rassegnazione di uomini condannati
ad essere vittime dell’uno o degli altri; che scrives-
sero sulla loro bandiera riuscire o morire, e man-
tenessero la promessa ».
]\T on c ’è — in questi brani — la divinazione de-
gli eventi odierni? Quale meraviglioso « viatico »,
per un soldato combattente, gli scritti di Mazzini!
Ma chi li conosce fra questi miei 250 commilitoni?
6 Maggio.
Il reggimento, dopo dieci mesi passati nella zo-
na dell’Alto Isonzo, è venuto qui a riposo. Ne
aveva bisogno. Ma riposo, non significa ozio. Ri-
poso, se significa non combattere, vuol dire lavo-
rare. Strade, baracche, trincee, spostamento di
cannoni.
Stanotte, tempesta. Pareva che la nostra fragile
casa di tela dovesse venir spazzata via dal vento
impetuoso che mugghiava. La pioggia scrosciava
sulla tela, ma dentro non una goccia. Bisogna non
toccare la tela. Oggi, dopo cinque giorni di attesa,
la posta. Ho ricevuto fra l’altro una cartolina con
questo indirizzo : Gap. B. Mussolini Armée Ita-
Penne — Zona di Guerra (Italia). Ha impiegato un
mese giusto a trovarmi. Leggo :
152
BENITO MUSSOLINI
Du front belge , le 18-4-916.
« Un petit soldat belge ù qui vous avez rendu un
immense Service vous envoie toutes ses félicitations
et son admiration. Vous envoie aussi ses plus fer-
']T P° ur te >«■**> dee armées de la grande
,la ‘‘e- Vn pelli frère d’armes qui vous
armé >> S ° UVenl ainsi sur toute volre grande
Antoine Gaston
3.ème Section Armée Belge - B. 132-
Nd pomeriggio, Padre Michele, che non rive-
devo pm dal Rombon, è venuto alla nostra tenda.
Aon per catechizzarci. Ci ha lasciato due pacchetti
ci eccellenti sigarette brasiliane e alcune copie del-
1 °r U / SC j? 0 dl Glorgl ° del Vecchio : Le ragioni mo-
rali della nostra guerra. Bellissimo, ma troppo dif-
ficile. V! sono - nel breve testo - lunghe cita-
zioni in latino e in francese. Vi si parla di trascen-
denza e di contingenza. Buono per il pubblico del-
le Università, non per i soldati, la maggioranza
uba qUah SCnVe stentatamente alla Propria fami-
Voci del gergo soldatesco :
lima e raspa = personaggi simbolici;
un fonogramma = una cannonata.
10 Maggio.
H° conosciuto il capitano comandante la 4 a com-
pagnia minatori. Mi sono trattenuto con lui qual-
Ih MIO DIARIO DI GUERRA
153
die ora. Si chiama Simoni. Piemontese, un anti-
giolittiano e interventista fervente. Mi ha narrato
e vicende guerresche di questa zona che è la più
ranquiHa — forse — dell’intera fronte. Mi ha par-
ato d una compagnia di alpini, conosciuta in tutta
^Briganti » ^ ^ n ° mÌ8nol ° di “Compagnia
Questa compagnia non si compone affatto di ex
inquilini delle patrie galere o di gente particolar-
mente feroce. Si tratta di individui dal fegato sa-
no. Hanno conquistato delle posizioni dominanti
e ci sono rimasti, malgrado i contrattacchi ostinati
degli austriaci. Al 18, 19, 20 ottobre - mi raccon-
ta U capitano Simoni — i « briganti » dovettero
sostenere una dura battaglia. Dopo tre giorni di
violento bombardamento, gli austriaci pronuncia-
rono un violento attacco. La proporzione delle for-
^oo 116 ! tratt ° dÌ fr ° nte dei <l bri S'anti » era questa :
U3 alpini contro almeno un migliaio di nemici.
Questi mossero all’attacco, con lo zaino in spalla
e ricoperti di fronde, per dissimularsi. Dopo aver
resistito a lungo, i nostri alpini chiesero un rin-
forzo e andò in linea una compagnia di minatori.
— La mia! — mi dice con vivo e legittimo orgo-
glio il capitano Simoni. — La rotta degli austriaci
fu completa. Abbiamo contato, dico contato, 460
cadaveri nemici.
Le nostre perdile furono quasi insignificanti.
Avemmo poche decine di uomini fuori combatti-
mento. Dall’ ottobre gli austriaci rinunciarono ad
ogni azione.
154
BENITO MUSSOLINI
14 Maggio.
Ho trascorso un pomeriggio pieno di gioia e di
schietta fraternità. Alcuni soldati minatori del 5°
Genio mi hanno invitato a un amicale simposio nel
loro accantonamento che è a due passi dal nostro.
I commilitoni del Genio ci hanno preparato un
banchetto quasi sontuoso. Ilo trascorso sette ore
bellissime. Abbiamo parlato di guerra, di politica,
di vittoria. Alla fine, per suggellare il ricordo della
bella giornata e il vincolo nuovo dell’amicizia, ci
siamo scambiati dei messaggi. Non trascrivo il mio
perchè non lo ricordo, ma 1 mi piace di riportare
quello dei miei commilitoni del 5° Genio, in quanto
può documentare del « morale » dei soldati italiani
dopo un anno di guerra.
Eccolo :
« A Benito Mussolini, che intese la voce delle fu-
manti rovine del Belgio martire e della Francia
invasa e fu assertore fecondo dei diritti della, ci-
viltà contro la forza bruta, con ammirazione di ita-
liani, con affetto di commilitoni ».
Cap. magg. Nicola Pretto — Bamella
Evaristo — Giuseppe Canepari — De
Bernardi Edoardo — Serg. Salva-
dori Alceo — Ceccali Napoleone —
Vincenzo Maffei.
E’ un documento che conserverò fra i più cari
ricordi della mia vita.
Mussolini... al fronte interno
Nel partito socialista è in uso un luogo comune :
« gli eroi del fronte interno! ». E ciascuno scrittore
di giornaletti di provincia scrive la frase con un\
compiacimento tra il cattivo e l’idiota : a proposi-
to, raramente : a sproposito, quasi sempre.
Una manìa anche questa! Della quale è affetto
anche il grande Gaetano Zirardini, il quale ha trat-
tato Benito Mussolini da « eroe del fronte interno ».
Ora Mussolini mi invia una lettera personale non
destinata alla pubblicazione. Ed io — anche a ri-
schio d’una reprimenda — la stampo. Non già per
Zirardini, che non conta; ma per i non pochi Zi-
rardini più grossi e più piccoli ond’è popolata:
l’Italia!
Purché si sappia su quale fronte combatta Be-
nito Mussolini.
d. f.
18 Luglio 1916.
Caro De Falco,
Torno in questo momento da un’ « azione » nella
zona dell’Alto Fella, che mi ha tenuto in movimento
156
BENITO MUSSOLINI
due giorni e una nolle, insieme con la mia pattuglia
di volontari esploratori.
Tutto è andato bene. Il nostro fuoco cominciò
alle 15 di domenica scorsa. La fucileria nemica si
fece appena sentire. Chi lavorò fu, come al solito,
il nostro e il « loro » cannone. Quando gli austriaci
si avvidero della nostra presenza in un certo bosco
che fronteggia immediatamente le loro posizioni,
cominciarono a bombardarci in piena regola. Non
erano grossi calibri (credo fossero bocche da 75,
105, 120 e qualche 155), ma le granate piovevano
— letteralmente — a quattro a quattro, con un in-
tervallo di uno o due minuti. L’artiglieria nemica
frugò e bucò — così — per almeno un paio d’ore
o tre, tutto il bosco, dall’allo al basso. Una gra-
nala da 120, scoppiata fra me e un alpino, ferì que-
st’ultimo, ma non gravemente, a un braccio.
E il pomeriggio finì in una relativa calma, che
fu di breve durata. A notte più alta, alcune fucilate
di pattuglie richiamarono al fuoco l’artiglieria ne-
mica. Ricominciò il bombardamento a shrapnels.
Spettacolo fantastico, sinfonia in grande stile. Noi
eravamo all’addiaccio sotto una pioggftì tempora-
lesca, riparati contro il grosso tronco di un abete.
Io e l’amico Reali, testa a testa. Nel breve inter-
vallo fra uno shrapnel e l’altro, si lavorava furio-
samente di piccozzino e di mani per scavarci la
buca sempre più profonda. Il colpo di partenza ci
metteva sull’avviso. L’orecchio « abituato » distin-
gueva in quale direzione filava il proiettile e quando
si diceva : — Questo è per noi! — giù colla testa...
La fiamma dello scoppio incendiava il bosco per
IL MIO DIARIO DI GUERRA
157
un attimo e poi era il solito vasto scrosciare di
pallette, di ramaglie. Certe spolette avevano nel
sibilo qualche cosa di umano.
Sette shrapnels si abbatterono sul solo nostro
albero e non ci ferirono. Alcune pallette vennero
a schiacciarsi contro il nostro « elmo » o cagnoni,
come diciamo noi, nel gergo di guerra. Alla mat-
tina, spostandoci altrove, gettammo un’occhiata
d’addio all’albero che ci aveva salvalo e che ora
profila — melanconico — • il suo tronco spogliato.
***«•*■••••
Mussolini.
A 4L
Ili
NOVEMBRE 1916 - FEBBRAIO 1917
NOTA BENE
P° ,m '° attivo, come soldato, i primi mesi di
trincea nella zona dell’Alto Isonzo, nell’ autunno-
inverno del 1915. Coloro che, con me o dopo di me,
sono passali sui costoni tragici del Vrsig, dell’Ja-
worcelc e del Kuhh, con venti gradi sotto zero —
come nel febbraio del 1916 — non dimenticheranno
facilmente quelle durissime giornate. Ho trascorso
la seconda fase della guerra nella Carnia. Zona re-
lativamente tranquilla, ma di grandi disagi, specie
nell'inverno. La prima neve ci visitò il 20 settem-
bre. Poi siamo venuti sulle quote famose del Bas-
sissimo Isonzo. Il primo periodo di trincea sul Car-
so è già passato. Gli eventi, più notevoli sono con-
segnati nelle pagine che il Popolo pubblicherà.
E’ la guerra aspra sul Carso asprissimo. E’ la
vita e la morte nelle trincee, che segnano le nostre
tappe, sulla strada di Trieste...
Le trincee fangose e insanguinate oggi inghiot-
tono gli uomini, ma l’Europa di domani vedrà
spuntare da quei solchi tragici i fiori purpurei di
una più grande libertà.
M.
1!
Mussolini- - // mio diario di guerra.
Oltre il lago di Doberdò
30 Novembre.
Mi hanno detto che per ritrovare il mio reggi -
mento debbo andare a Strassoldo. Parto da Udine
alle 17. lì sera inoltrata quando arrivo a Stras-
Pi fse deserto, poco piacevole. Per questo
i soldati lo hanno ribattezzato: Tresoldi. E, torse
non vale di più. Nessuno mi sa dir niente di pre-
ciso. Provo da dormire in una rimessa. Mi spro-
iondo nel fieno e trovo il sonno.
Più innanzi saprò qualche cosa di positivo. Me
io assicura un compagno di viaggio, che trovo lun-
go la strada. E’ un bombardiere, che porta al brac-
cio il distintivo di « militare ardito ». L’ha ottenuto
egli mi narra — - per il coraggio di cui diede
prova, sul monte Cimone, dopo lo scoppio della
mina austriaca. Cammin facendo, il discorso cade
sulla guerra.
Hanno fatto male, gli austriaci, a dichiararci
la guerra. Li ridurremo alla « mendicazione ». —
Al Comando di tappa mi mandano in una pic-
cola località vicina. Strada lunga e pesante. Per
fortuna c’è un grande sole.
Giungo ad Aquileja, città dalla eterna impronta
164
BENITO MUSSOLINI
romana., a sera tarda. Non mi dimentico di visitare
ia cattedrale. .
T Dicembre. ^
Ma non trovo tracce del mio reggimento. E’ sta-
to in riposo, in questi paraggi, mentre io mi tro-
vavo in licenza invernale, ma da qualche giorno è
in linea. Oltre Isonzo saprò qualche cosa di pre-
ciso. Nelle strade larghe e diritte del basso Isonzo,
il movimento è semplicemente formidabile, supera
la mia immaginazione. Al bivio di Pieris trovo,
conduttore di un camion, un amico interventista
della vigilia. Monto sul camion.
Ecco l’Isonzo. Ampio, ceruleo, chiarissimo. Ron-
chi, quasi intatto. Trovo alcuni sottufficiali miei
amici che mi invitano a dividere la loro mensa.
Mentre si mangia, gli austriaci mandano quat-
tro granate dirette alla stazione. Grande sinfonia
di shrapnels contro un velivolo nemico. Alle ore
quattro, partenza. Seguo il mulo che porta la
mensa agli ufficiali della mia compagnia. Al bivio
Selz-Monfalcone, una grande colonna, fatta con
pietre appena scheggiate, reca un’epigrafe che non
mi è possibile copiare. I muli vanno in fretta. Il
movimento, salvo in alcuni punti, non è congestio-
nato. Passo sotto le cave di Selz. Ora comprendo
le difficoltà enormi che dovettero essere superate,
per espugnare quel primo grande bastione dell’al-
topiano carsico. I nostri cannoni tuonano sempre.
I segni delle battaglie sono ancora evidenti. Il ter-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
165
reno è lacerato. Trincee sconvolte. Casupole rovi-
nate, alberi divelti. Nulla è in piedi. La guerra è
passata qui, col suo terribile rullo compressore.
Negli angoli, croci solitarie e collettive. E’ il cre-
puscolo. Mi volto, per guardare la pianura dell’I-
sonzo. Laggiù, è una striscia di mare.
Doberdò è un nome. Del villaggio non restano
che mucchi di macerie. Passiamo vicino ai due
laghi o, meglio, due grossi stagni morti. Alcune
voci: è la nostra quota. Tumulto di voci. Un ca-
mion è fermo : ha portato l’acqua. Trovo i bersa-
glieri della mia compagnia. Affettuosissime strette
di mano. Mi attendevano.
— Si parlava proprio di voi, in questo momento
— mi dice un bersagliere amico, di Vernole, pro-
vincia di Lecce. Ricordo che egli mi volle portare
Jo zaino da Quel Taront a Minigos. Non dimenti-
cherò tale atto di affettuosa simpatia da parte di
questo umile contadino pugliese.
Salgo ai nostri baraccamenti o ricoveri. « Pren-
do posizione » nel baracchino del sergente-
Sera di stelle e di luna. Mi presento al colon-
nello, che si trova in primissima linea.
Nella nostra compagnia ci sono stati quattro fe-
riti da scoppio di granata. Uno dei carabinieri ad-
detti al Comando del reggimento è morto, l’altro
ferito.
Il « morale » dei bersaglieri mi sembra elevalo,
certamente superiore a quello della zona Gamica.
— Abbiamo tanti cannoni! Avanzare sarà facile! —
Un senso di fiducia è diffuso in tutti. Andremo
166
BENITO MUSSOLINI
innanzi. La parola d’ordine che circola fra noi,
è questa :
0 Duino mangia i bersaglieri, o i bersaglieri
mangiano Duino! —
Ore 10 di sera.
Mentre scrivo, i nostri cannoni urlano senza tre-
gua. Sulle quote è un bagliore di raggi e di proiet-
tori. Non so come riassumere le impressioni tu-
multuose di questa prima giornata di trincea sul
Carso. Sono profonde, complesse. Qui la guerra
si presenta nel suo aspetto grandioso di cataclisma
umano. Qui, si ha la certezza che l’Italia passerà.
Arriverà a Trieste e oltre!
2 Dicembre.
Notte tempestosa di bombardamento intenso. I
nostri cannoni non hanno avuto un momento di
tregua. Stamani piove. Sono le undici. Tre grosse
granate austriache. Continua il bombardamento da
alcune ore. Passano sulle barelle i nostri feriti.
Non sono molti e nemmeno gravi. Ma c’è un morto
lassù. Una granata lo ha schiacciato sotto una roc-
cia. Alcune granate sono cadute nel lago solle-
vando colonne di acqua. Verso sera, sono entrate
in azione le nostre batterie. Da qualche ora, gli
austriaci tacciono. I nostri cannoni tambureggia-
no. Mentre scrivo sono giunte tre grosse granate
austriache e uno shrapnel. Altre quattro. Nel mio
ricovero si gioca tranquillamente a tresetle.
Lungo le rive del lago ci sono dei frammenti di
IL MIO DIARIO DI GUERRA
107
)
membra umane. Nella selletta due cadaveri di au-
striaci stanno decomponendosi. Poco lungi, un al-
tro morto insepolto. Giungono, col vento della
sera, ondate di tank» di cadaveri. Nella selletta ci
sono due cimiteri: uno austriaco e l’altro italiano.
Ieri una grossa granata disseppellì alcuni morti.
Macabro. Ora comprendo come il solo nome di
Doberdò terrorizzi gli honved ungheresi. Espu-
gnare queste rocce : quale meravigliosa pagina di
eroismo latino!
3 Dicembre.
Ho lavorato come un mulo per costruirmi il mio
ricovero blindato. Ho un socio che rni aiuta e che
dividerà con me il posto all’albergo! Fuoco intenso
delle artiglierie per tutta la giornata. Nel pomerig-
gio. sette Caproni sono passati su di noi. A sera
fatta, incursione di velivoli nemici.
4 Dicembre.
Pioggia, stanotte. Mattinata livida e tranquilla.
Mentre scrivo passano quelli che hanno « marcato
visita ».
Il tempo è indubbiamente alleato dei tedeschi.
La pioggia ci costringe a dei « rinvìi » che permet-
tono agli altri di fortificarsi. La pioggia ci demo-
ralizza. Noi siamo figli del sole! La terra del Carso
è attaccaticcia, Non ve modo di liberarsene, E’
168 BENITO MUSSOLINI
rossa più del sangue umano. Sono stalo a fare una
visita al Cimitero ungherese o italo-ungherese. Su .
una tavola della porta sta scritto :
exoriare aliquis ex ossibus nostris ultor.
Ci sono molte croci, ma quelle del Cimitero ita- t
liano sono più numerose. Di feriti, finora, quattro
soltanto, per lo scoppio di una granata ; uno solo
di questi, grave, ma non mortale.
Pomeriggio quasi calmo.
Nel crepuscolo della sera, le gobbe delle quote
del Carso, si presentano come divorate, lacerate
dalla scabbia. Cielo nubiloso. Solito reciproco e
abbastanza innocuo cannoneggiamento serale.
Stasera, niente posta.
Una voce : il bombardamento per l’avanzata co-
mincerà stanotte. Vedremo e sentiremo. Mentre ’
scrivo, sulle creste dietro a noi è tutto un vampeg-
giare e un tuonar di cannoni. Che sia il preludio?
5 Dicembre.
Cielo buio e terra più livida ancora. Finito il
mio ricovero. E’ venuto l’ordine di spostarci. Suc-
cede sempre così. Ora mi trovo in trincea sui mar-
gini del lago di Doberdò. Radi uccelli bianchi e
neri volano sulle acque che il vento mattinale in-
crespa appena. Io lavoro a farmi una nuova tana.
Lago di Doberdò! Chi vive a lungo presso le tue
rive, perde l’abitudine umana del riso. Qui la tra-
gedia, prima ancora di essere negli uomini, è nel
IL MIO DIARIO DI GUERRA
109
terreno. Da tre ore i cannoni austriaci ci bombar-
dano. I nostri rispondono. Qualche volta non si
capisce quali siano i colpi in partenza e quali quelli
in arrivo. Nel cielo è tutto un sibilare di granate
che vanno e che vengono. Durante un bombarda-
mento, io non amo la compagnia. Mi piace di star-
mene solo. Ho la superstizione che sia più difficile
trovarmi.
Un lembo di azzurro verso Duino. I pali metal-
lici che conducevano l'energia elettrica da Mon-
falcone a Gorizia, si rincorrono per lungo tratto e
visti in lontananza, di notte, sembrano croci gigan-
tesche di un cimitero sterminato.
Quanto sangue ha bevuto e berrà questa terra
rossa del Carso?
Un tenente, che viene a trovarmi, mi dà le pri-
me notizie sugli effetti del bombardamento di sta-
mani.
I cannoni continuano ad urlare. Sono le quattro.
I- tenente che comanda la mia compagnia mi in-
vita a dividere la mensa serale degli ufficiali. Sono
con lui vari sottotenenti, di cui uno ha il comando
del mio plotone.
II ricovero è così basso, che non si può stare
nemmeno seduti. Notte. Raffiche di vento e di
pioggia. Dalle 9 alle 10 intensissimo bombarda-
mento alla nostra sinistra. E’ un mugghiare inin-
terrotto di grossi calibri. Un tambureggiamento
sordo che giunge alle orecchie come il boato di un
uragano. Piove, ma io e il mio compagno siamo
abbastanza bene riparati nel ricovero nuovo che ci
siamo costruiti in poche ore di lavoro. Anche sta-
sera, niente posta. Meglio cercare il sonno.
170
BENITO MUSSOLINI
6 Dicembre.
Stanotte, il mio compagno mi ha svegliato bru-
scamente.
— « Cristiga »! Siamo in mezzo all’acqua! —
Accendo un mozzicone di candela. Il ricovero
è inondato e l’acqua vien giù a catinelle. Ci pro-
viamo a vuotare la tana con le gavette, ma è fa-
tica inutile. Ci decidiamo a mettere tre tavole in
alto e lì ci distendiamo — bagnati fradici — ad
attendere l’alba. D’ora in ora, si accendeva un
fiammifero, per constatare la crescita dell’acqua.
Finalmente, l’alba. Verso Aquileia, c’è un vasto
tratto di sereno, ma dietro a noi, verso l’Austria, il
cielo è cupo. Se venisse il sole! Il buon giorno ci
è stato dato stamane dai cannoni austriaci : tre
colpi di piccolo calibro finora. Comincia il solito
martellamento dei nostri. Quando piove, nelle trin-
cee del lago di Doberdò, si sta peggio che sull’A-
damello in una notte di tormenta. Queste sono trin-
cee costruite sotto il fuoco dei cannoni e risentono
dell’improvvisazione. Sono muretti di sassi. I di-
spersi : ce ne uno, nostro : un bersagliere ciclista
caduto colla faccia protesa in avanti mentre anda-
va all’assalto. Vicino a lui, il moschetto con la ba-
ionetta innastata. E’ là, solitario. Perchè nessuno
si cura di seppellirlo? Forse per conservare alla fa-
miglia un’ultima illusione sul « disperso »? Un po’
di sole. Bombardamento pomeridiano inevitabile.
Loro tirano sul Kri-Kri, sul rovescio di quota 208,
e nella selletta fra prima e seconda linea nostra.
Verso la pianura s’inalzano adagio adagio tre
IL MIO DIARIO DI GUERRA
171
grandi palloni-drago. Qualche colpo dei loro fa
cilecca. Specie i grossi calibri.
Passano in alto, lentamente, quasi ansimando e
gemendo i grossissimi proiettili che vanno molto
lontano. Io, tutto solo, fuori della mia tana — a
mio rischio e pericolo — mi godo lo spettacolo au-
ditivo e visivo. Rombo di un velivolo nostro che
fila verso Gorizia. Dal Golfo di Panzane s adden-
sano nuove nubi temporalesche. Finché dura lo
scirocco non farà bel tempo. Crepuscolo tranquillo.
Sono andato a trovare un amico tenente, romano]
che ora comanda una sezione di mitragliatrici. Non
lo vedevo più dal Rombon. Egli mi ha narrato che
i disertori austriaci hanno manifestalo tutti un sa-
cro terrore dell’artiglieria italiana. Molti di loro
venivano dalla Galizia.
— Là, è un paradiso a paragone del Carso —
dicono. — L’artiglieria russa fa pum-pum-pum a
lunghi intervalli, ma non fa il fuoco a tamburo
come l’italiana. —
Il rancio giunge alla sera. E’ l’unica distribu-
zione dei viveri in 24 ore. La razione è ridotta.
L appetito è sempre quello. Serata movimentata.
Verso le nove, un attacco nemico si è delineato
alla nostra sinistra, su quota 208. Dopo un vivo
fuoco di fucileria, sono entrati in azione i no-
stri piccoli calibri. Sono uscito dal ricovero per
vedere di che si trattava. Un nostro proiettore il-
luminava la selletta fra la quota 208 e la nostra.
I utto il costone era punteggiato dallo scoppio inini
terrotlo dei nostri shrapnels e delle nostre granate.
II tambureggiare violento era di quando in quan-
172
BENITO MUSSOLINI
do soverchiato dallo scoppio dei grossi proiettili.
Tutto il costone era avvolto in una nube di fumo ,
rossigna, squarciata spesso dai raggi. Tutti i ber-
saglieri, armati, sono usciti dai ricoveri. Il fuoco
dei nostri cannoni ci elettrizza. Una quarantina di
minuti è durato il tambureggiamento. Ora è finito
Passando dai ricoveri, ho raccolto le impressioni
dei miei commilitoni.
— Qui si vede la forza degli italiani!
— Non è più come sullo Jaworceld
— Adesso sono loro che si « spicciano »!
— Devono avere avuto una buona scopola!
— Hanno fatto male a muoversi 1 tedeschi, mol-
tissimo male! — .
Passa un nostro ferito, colpito da una scheggia
di granata al piede. .
Alla 6 a compagnia c’è, stato un morto. Ora è si-
lenzio. Soltanto ìe vedette sparano straccamente.
Vicino a me, i mitraglieri di una « sezione » lavo-
rano a farsi i ricoveri. Canticchiano sommessa-
mente :
Bella bambina,
Capricciosa garibaldina,
Tu sci la stella,
Tu sei la stella di noi soldà.
La voce dei nostri cannoni: ecco l’argomento
travolgente per tenere elevatissimo il «morale» dei
soldati. Cielo velato dalla foschìa. Attorno alla lu-
na è un cerchio.
— Cerchio lontano, pioggia vicina, — mi dice
IL MIO DIAKIC DI GUERRA
173
un tenente e aggunge : — Me ne rincresce, perchè
ciò rimanda la nostra avanzata. —
Ce un po’ d’impazienza in tutti, anche nei più
negativi! Avanzare! La lotta, col suo apparato av-
venturoso, emozionante, e malgrado i suoi rischi,
affascina il soldato. La stasi debilita. L’azione rin-
franca. Stanotte bisogna dormire con un occhio
aperto.
7 Dicembre.
Tanto per cambiare, piove a dirotto. 11 nostro
ricovero è un guazzetto di acqua e di fango. Sta-
mani, in un’ora di sosta, le nostre artiglierie ave-
vano aperto un fuoco violentissimo sulle posizioni
nemiche. Ora tacciono. Quelle austriache bronto-
lano alla nostra sinistra. La pioggia è il quinto ne-
mico nostro ed è, forse, il più massacrante di tutti.
Gli automobilisti non sono imboscati perchè so-
no indispensabili. Quelli che tutte le sere ci por-
iano acqua e viveri a duecento metri di distanza
dalle nostre trincee di prima linea, rischiano la
pelle come noi. Non è molto che un camion con
un carico di granate è stato colpito in pieno, lungo
la strada di Doberdò, da un proiettile nemico . Co-
loro che lo guidavano sono andati in pezzi.
Mezzogiorno : piove sempre e più forte. Iersera,
dopo sei lunghi giorni di privazione, mi è giunto
il Popolo, primo numero dopo lo sciopero tipogra-
fico milanese.
174
EÈIÌIfO Mussatisi
8 Dicembre.
Ieri sera, sull’imbrunire, ci siamo spostati alla
trincea estrema della nostra linea. Pioveva forte.
Ci siamo allogati in una tana fangosa. Rada fuci-
leria. Sciupìo di razzi. Gli austriaci sono a 30-50
metri da noi. Ieri sera lavoravano intensamente.
Si udiva lo spicconare e il battere delle mazze. Sta-
mani non piove, ma l’orizzonte è grigio. Le arti-
glierie lavorano, ma senza impegnarsi troppo. Nei
ricoveri abbandonati dagli austriaci sul rovescio
del Debeli, abbiamo trovato delle mazze ferrate.
Da nostra trincea ha qui un tracciato così bizzarro,
che potremmo essere colpiti di fronte e di fianco.
Ma fra noi e i tedeschi è convenuto una specie
di tacito accordo, per cui non ci spariamo. Noi li
vediamo e lasciamo inoperosi i nostri fucili; essi
ci vedono (e noi ci facciamo vedere anche troppo!)
od « essi » non tirano. Siamo qui, in queste buche
di fango, inchiodati, immobili nell’attesa del nostro
destino.
La pioggia di questi giorni ha abbassato un po’
il livello del « morale » bersaglieresco. Siamo tutti
bagnati, fradici, non abbiamo che una coperta e
il cappotto : siamo privi degli zaini e non li riavre-
mo se non tornando a riposo. Non un lembo di
azzurro : cielo uniforme, bigio, come il saio di un
frate, e sgocciolante.
Gergo di guerra :
spazzola = fame;
fifhaus = rifugio sotterraneo blindato.
La nostra trincea cinge il campo deH’ultima bat-
ir. Mìo DI Ali ÌO DI «ÙfeRRA
t/S
taglia del novembre. Nelle buche dei 305 ab-
biamo raccolto e sepolto i cadaveri degli austriaci.
Attorno, un po’ di calce bianca.
9 Dicembre.
Pioviggina. Però, sembra che l’orizzonte voglia
dualmente schiarirsi. Comincia la sinfonia quoti-
diana dei grossi calibri. Gli austriaci sparano poco
con calibri piccoli. Tambureggiamento dei nostri.
Stanotte un prigioniero austriaco si è dato spon-
taneamente alle vedette della 7 a compagnia. Egli
ha raccontato che il nostro fuoco dell’altra sera ha
cagionato gravi perdite agli austriaci. Il prigio-
niero è l’unico superstite di un posto colpito in pie-
no. Gli altri tre sono morti. Una nostra pattuglia
si è recata al piccolo posto ed è tornata con tre
zaini tirolesi e sette fucili.
Pomeriggio. Un raggio melanconico di sole. Una
granata austriaca è caduta nella « loro » trincea.
Immediatamente hanno levato tre razzi per avver-
tire dell errore. Fetore di cadaveri insepolti o mal
sepolti. Sereno? Un raggio di sole ha squarciato
la fitta tendina nuvolosa che ci mortificava e adug-
giava da parecchi giorni. Ne approfittano le arti-
glierie. Un nostro 280 apre nei reticolati della loro
trincea un varco di almeno dieci metri. « Loro »
ci battono a shrapnels. C’è un ferito alla 7" com-
pagnia, ma non è grave. Il cielo si rasserena e si
rasserenano gli animi. Il concerto continua.
Un grosso proiettile è calato in pieno su alcuni
1?6
BENITO MUSSOLINI
ricoveri avanzati. Ci sono uomini fuori di com-
battimento.
10 Dicembre.
Stanotte, dalle 2 alle 3, lavorato a scavare un
camminamento fra le nostre prime linee. Nelle te-
nebre, appena rischiarate dalla luna dietro le nubi,
il campo di battaglia dell’ultima nostra avanzata
presenta un aspetto fantastico. Non si vedono, nel
terreno sconvolto e frantumato, che detriti e rot-
tami di ogni specie. Ondate di lezzo cadaverico. I
tedeschi lavorano indefessamente ogni notte dalle
sei della sera alle sei del mattino. Cento mazze
picchiano le basamine e cento mine scoppiano nel-
la notte. Questo lavoro non ci impressiona eccessi-
vamente. Noi sappiamo che nulla resisterà all’a-
zione delle nostre artiglierie. Stamani cielo gri-
gio. Ore dieci : ripresa un po’ stanca dei grossi
calibri. Il concerto si accentua, mentre l’orizzonte
si rischiara.
Jamiano, il paese che fu raggiunto e abbando-
nato nella nostra avanzata del novembre, non dista
da noi, in linea d’aria, più di 500-700 metri. Un
305 che passa ogni quindici minuti — regolarmen-
te — sulle nostre linee, mugola come un tranvai.
Pomeriggio di pioggia sottile, implacabile! Nella
trincea, silenzio. Qualcuno canticchia, ma som-
messamente, senza convinzione. Qualche colpo in-
termittente delle artiglierie aumenta la melanco-
nia. L’attacco austriaco dell’altra notte a quota 208
Il, MIO DIARIO DI OTTERRÀ
m
è stato riferito nel Bollettino del Cornando Supre-
mo in questi termini : « Sul Carso continuò ieri
1 attività dèlie artiglierie. La sera, l’avversario, do-
po violenta preparazione di fuoco, tentò due suc-
cessivi attacchi contro le nostre linee a nord-est
della quota 208 sud e fu nettamente arrestato e re-
spinto ».
11 Dicembre.
Ieri sera siamo rientrati, dagli avamposti, all’ac-
campamento. Pioveva forte. Molli sino alle ossa,
abbiamo atteso pazientemente il cambio. Nell’atto
di cedere il mio... appartamento al nuovo venuto
— ì ospite ignoto, — questi mi ha chiesto, : :
— Dove sono i tedeschi?
— Lì, a venti metri.
— Tirano col cannone?
— No, perchè siamo troppo vicini a loro.
— - Colle bombe?
— Nemmeno. —
Mezzanotte. La pioggia è cessata e il vento im-
petuoso fa galoppare le nubi. E’ terminato adesso
un violento attacco austriaco di sorpresa, contro
la nostra linea. Dormicchiavo. Sono stato svegliato
dagli scoppi striduli delle bombarde. Poi la fuci-
leria ha iniziato il fuoco. Violento. Sembra il tic-
chettio di una gigantesca macchina da scrivere.,
Sono con me, nella nuova tana, alcuni bersaglieri.
Qualcuno mi dice:
— Picchiano?
Mussolini. -.// mio diario di guerra .
12
178
BENITO MUSSflLINI
— Pare! E forte! —
Il fuoco dell’artiglieria nemica aumenta di vi-
gore. Gli shrapnels scrosciano sui ricoveri e, poi,
è tutta una pioggia di schegge e di sassi. Silenzio
d’attesa.
Un grido vicino lacera l’aria
— Portaferiti! Portaferiti! —
Ora le nostre artiglierie sono entrate in funzione.
E’ un concerto infernale.
— Giovanotti, armatevi e tenetevi pronti! — or-
dino ai compagni.
Un tenente passa correndo da riparo a riparo,
urlando :
— Bersaglieri, armatevi, ma non uscite dai ri-
coveri! —
La tempesta delle artiglierie continua, con un
crescendo indiavolato. La fucileria, sopraffatta dal-
le esplosioni, non si sente più. Lo scoppio dei
grossi proiettili fa sussultare la collina. Noi, im-
mobili, attendiamo sempre.
E’ finita. Passa un ferito alla testa, ma non è
grave. Cammina, senza scarpe, sul fango, saltel-
lando verso il posto di medicazione. Tre barelle
di feriti alle gambe. Un altro portalo a spalla. Un
ferito al braccio. Due sono gravi. Vanno senza un
lamento.
— • Sergè, quaggiù c'è uno che non si muove più.
E’ colla faccia a terra...
— E’ morto?
— Non lo so.
— Voltalo e portami il piastrino di riconosci-
mento.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
179
— E’ morto. E’ il romano. —
Un gruppo di bersaglieri è raccolto attorno al
cadavere. E stato fulminato da un palletta di
s rapnel, mentre usciva dal ricovero. Appello
delle squadre. Nel mio plotone nessun ferito. Nelle
altre compagnie ci sono alcuni uomini fuori di
combattimento.
Mattinata temporalesca. Burrasca. Le artiglierie
tacciono. Mezzogiorno solatìo. Usciamo tutti al
sole malgrado gli shrapnels. Ci asciughiamo un
pò • Nel pomeriggio i loro cannoni tirano qua e
la. Mentre scrivo, tirano sulla nostra terza linea,
ma le granate cadono nel lago sollevando colonne
di acqua. Dal punto dove mi trovo si vede un pic-
colo tratto di mare. Una domanda che i bersa-
glieri mi rivolgono spesso :
— Quanto siamo lontani da Trieste? —
Il tenente che comanda la mia compagnia è
stato promosso capitano. Gli mando le mie felici-
tazioni.
— Per «bagnare», le stellette ci vorrebbe un
barite di grappa... — commenta un bersagliere che
prima della guerra dimorava a Trieste.
Dicembre in trincea
12 Dicembre.
Finalmente un po’ di sole. Distribuzione delle
maschere nuovo modello contro i gas asfissianti e
lacrimogeni. Le nostre sono più estetiche di quelle
austriache. I bersaglieri escono dai ricoveri. Si
ripuliscono un po’. Molti barbieri piantano bottega
mori, a rischio e pericolo loro e del... cliente. Qua
e là si gioca a carte. Nel pomeriggio, tambureg-
giamento solito delle nostre artiglierie.
Un caporal maggiore del 7° bersaglieri viene
a trovarmi nella mia tana. Mi parla di Bonomi, di
Codifava Tomaso e di altri più o meno noti per-
sonaggi della politica mantovana. Mi si dichiara
neutralista, ma non di quelli «arrabbiati)). Il 7°
bersaglieri ha avuto sin qui perdite superiori alle
nostre. Il 280 scoppiato giorni fa nei ricoveri ha
latto qualche vittima.
— Io ho sempre creduto che lei fosse al fronte...
Stasera scrivo del nostro incontro a Codifava... —
Ci salutiamo con molta cordialità.
Il generale che comanda la nostra brigata viene
spesso fra noi e parla coi bersaglieri da uomo a
uomo. Ciò gli procura vive simpatie. E’ bene par-
f
BENITO MUSSOLINI
lai e spesso a quest umile gente, cercare spesso di
scendere verso queste anime semplici e primitive,*
che costituiscono ancora, malgrado tutto, uno
splendido materiale umano.
Battaglia di velivoli nella nostra quota. L’au-
striaco ha tagliato la corda. Non posso sottrarmi
alla curiosità dei bersaglieri di un reggimento che
sta alla nostra destra. Ire bersaglieri si fermano
dinanzi alla nostra tana, un po’ esitanti. Un capo-
ral maggiore mi dice :
— Scusi la nostra curiosità. Lei è...
— Sono io. —
I tre commilitoni mi stringono la mano, siedono
come possono, e iniziamo un’amichevole conversa-
zione. Il loro reggimento è stato quindici mesi nel
Trentino occidentale, attorno a Bezzecca, ed è stato
benissimo. Niente grosse battaglie e perdite insi-
gnificanti. Il mio interlocutare è bresciano, ora
dimorante a Romagnano Sesia, dove è impiegalo
nel Convitto Curioni.
13 Dicembre.
Notte di pioggia a scrosci. Primo visitatore. Un
bersagliere dell’84, mantovano, che non mi vedeva
più da molli mesi.
— Sono tanto contento di averlo ritrovato. Più
contento che se avessi trovato mio fratello... —
mi dice. — Potrò dire che anche lei è stato in que-
sto inferno e non ha « tagliato la faccia » ai suoi
vecchi compagni dell’84. —
»
Ih MIO DIARIO DI GUERRA
183
Mattinata ventosa. Il lago di Doberdò è buio.
Sento sujla pelle la prima passeggiata dei pidoc-
chi. Ci sono i corredini anti-parassitari. Già. Ma
bisognerebbe averne uno ogni quindici giorni. La
efficacia del « corredino » è limitata. Dopo quin-
dici giorni, i pidocchi passeggiano tranquillamente
su quel « corredino » che avrebbe dovuto stermi-
narli... Pidocchio più, pidocchio meno... Matti-
nata e pomeriggio di calma insolita. Sono le due
e da stamani gli austriaci non ci hanno mandato
il quotidiano 305 e nemmeno uno shrapnel. Anche
i « nostri » riposano. Il tempo è sempre nero, mi-
naccioso. I bersaglieri approfittano di queste ore
d; quiete, per pulire i fucili.
14 Dicembre.
Ogni tanto ci spostiamo da un trinceramento
all altro. I cambi sono talvolta troppo frequenti.
Ciò spiega qualche negligenza dei soldati nel mi-
gliorare trincee e ricoveri. Per una dimora troppo
breve non vale la pena di affaticarsi... Ieri fu, per
me, una giornata di tetraggine. I miei nervi « sen-
tivano » il tempo? Pare, perchè ieri sera si scatenò
un violento temporale. Tutta la notte ha piovuto.
Nessuno ha chiuso occhio.. Ancora prima dell’al-
ba, profittando di una breve sosta, siamo usciti per
migliorare un poco questi infelicissimi « baracchi-
ni ». Anche oggi piove. Torrenzialmente. Queste
tre settimane di pioggia incessante hanno eserci-
tato un’influenza depressiva sul « morale » dei sol-
(
Wf
f
184 BENITO MUSSOLINI
dati. Anche le condizioni di salute ne risentono.
Non fa freddo, ma il fango, l’umidità, il gri-'
giore dei brevi giorni e il buio pesto delle notti
lunghissime, sono altrettanti elementi che contri-
buiscono ad aumentare la musoneria di tutti. Sia-
mo venuti, qui, di notte. Le marce notturne, an-
che brevi, affaticano. Io stento molto a camminare
fra le tenebre, sotto a un cielo di inchiostro. Scarsa
attività delle artiglierie. Le mie mani hanno ora il
segno della più grande nobiltà : sono sporche della
terra rossiccia del Carso!
15 Dicembre.
Ieri sera, uno dei conducenti — i quali sono i
nostri giornali parlati — ha diffuso la notizia:
— Sul giornale « ci sta » la pace! —
Ho pensato che doveva trattarsi delle comuni-
cazioni di B. Hollweg. La notizia non ha sollevato
soverchia emozione fra di noi. Pur sapendo che
io leggo i giornali, nessuno mi ha chiesto nulla.
Questa indifferenza è sintomatica. Si è parlato
troppe volte di pace perchè non esista un tal quale
scetticismo, neH’animo dei soldati.
— Non credo più a nulla, — ha detto uno di
loro — sino a quando non vedrò le bandiere bian-
che sulle trincee. —
Nottata interminabile, di pioggia a raffiche. Fuo-
co di bombe agli avamposti.
Stamani, qualche colpo di cannone.
L’artiglieria austriaca tira à caso. Questa è la
IL MIO DIARIO DI GUERRA
185
mia impressione. Un colpo qua, un colpo là. Una
granata sulle trincee, uno shrapnel sulla strada di
Doberdò, che molto spesso finisce nel lago. Ciò
non turba il solito viavai. Solito e inevitabile. Ecco
la strofa di una canzone in voga fra noi :
O Gorizia, tu sei la più bella
E il tuo nome risuona lontano;
Or sei passata al dominio italiano,
Sarai protetta dal nostro valor !
Oggi piove, come ieri, come sempre. Pare una
maledizione. Pomeriggio di pioggia incessante.
Nel mio ricovero è tutto uno sgocciolamento. Non
c’è dubbio : il tempo è il « loro » alleato e forse il
migliore. Ci sono in queste trincee dei topi feno-
menali. Sembrano gatti e dànno anch’essi l’assalto
notturno... alle nostre pagnotte. Qua e là, per in-
gannar la noia, si canticchia :
Là ci vedrà la luna,
, La luna la spia non fa;
Là ci vedran le stelle,
Le stelle la spia non fan!
Tutte le sere, verso il crepuscolo, l’attività delle
opposte artiglierie si rianima, e nell’aria è tutto
un sibilo di «telegrammi», come diciamo noi ne!
nostro gergo. Stasera l’orizzonte è di fiamma, ver-
so la vecchia Italia. Sento lungo la strada il rom-
bo dell’automobile che ci porta l’acqua e lo sciac-
quìo sordo dei muli che vengono in lunga inter-
minabile fila. Verso le linee nemiche è un continuo
186
BENITO MUSSOLINI
scoppiare di mine. Sono i tedeschi che scavano
le loro « tane di volpe », nelle quali, al momento
buono, rimarranno sepolti. Ci sono delle trincee
austriache che è impossibile ripulire, tanto sono
piene di morti. Di qui il loro pazzo terrore delle
nostre bombarde. Si dice che una volta ci abbiano
gridato :■
— - Se voi non tirerete più con le vostre bom-
barde, noi non getteremo più i gas asfissianti. —
16 Dicembre.
Stanotte non ha piovuto. Miracolo! In compen-
so, le artiglierie hanno sparato vivamente, soprat-
tutto la nostra, sino a stamani. Tempo incerto.
Abbiamo avuto un paio di mutande, una camicia,
un paio di calze. Tutta roba eccellente. Ci siamo
cambiati. Stiamo meglio. Stamani, nei ricoveri,
l’argomento della pace è in discussione. Ma la nota
predominante è lo scetticismo, come al giungere
della prima notizia. Qualcuno, però, ha già notato
che stamani l’artiglieria tace. Sul nostro fronte,
sì, ma laggiù, verso il mare, il cannone brontola
cupamente. Soliti shrapnels distratti. Pomeriggio
di nebbia. Freddo.
17 Dicembre.
Ieri sera, verso le sei, fuoco intenso e insolito
degli austriaci sulla strada di Doberdò. I condu-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
187
centi frustavano furiosamente i muli e correvano.
Shrapnels e granate piovevano a quattro a quattro.
Ma, fortunatamente, pochissime facevano bersa-
glio. 0 cadevano nel lago o al di sopra, sul Debeli.
Mentre 1 artiglieria infuriava, noi ci siamo spostali
lungo la grande strada maestra che costeggia e do-
mina il Iago alla sinistra, e siamo venuti agli avam-
posti. E già notte. Nel cielo è un punteggiare
timido di stelle. Io le guardo con la trepida adora-
zione di un innamorato. E’ il sereno? Tornerà il
sole? Alla nostra destra, lungo il costone di quota
144, gli austriaci lanciano grosse bombe. Quando
giungono a terra, sprizzano alcune scintille, poi è
Io scoppio, talvolta fragorosissimo. Una di queste
bombe deve essere caduta in trincea, perchè si è
udito urlare:
— 0 Dio! 0 Dio! Portaferiti... —
Poi, silenzio. Gli austriaci hanno continuato an-
cora per molte ore. Le stelle sono scomparse. Il
cielo è tornato buio. Nelle tenebre del cammina-
mento, qualcuno, brancolando, mi afferra. Io gli
dico:
— Di là, di là!
— Chi sei? —
Riconosco dalla voce il capitano.
— Buona sera, capitano.
— Buona sera, Mussolini. —
Adesso i nostri piccoli calibri tempestano. Sta-
mani, pioggia. Tutta la notte, sino all’alba di sta-
mani, i nostri cannoni hanno bombardato le posi-
zioni nemiche di prima e di seconda linea. Ieri se-
ra, aH’accampamenlo, ce stalo un solo ferito del
BENITO MUSSOLINI
138
7° bersaglieri, ma grave. Ha una gamba spezzala.
Nei ricoveri si parla poco della pace tedesca.
Il discorso cade più volentieri sul riposo, che
sembra imminente. La trincea, sul Carso, impone
duri sacrifìci e più duri disagi alle truppe. Pome-
riggio di pioggia, sottile sottile. Più che nelle ossa,
sembra filtrare nelle anime.
18 Dicembre.
Tutta la notte, cioè a dire quattordici ore con-
tinue, ha piovuto. Stamani, finalmente, il sipario
uniforme delle nubi sembra levarsi. Il chiarore
promettente viene da Trieste, insieme a un venti
cello freddo. Prime notizie: la bomba dell’altra
sera ha fatto due morti e cinque feriti. Il colon-
nello passa per la nostra trincea e ci domanda :
— Come va?
— Bene — rispondiamo.
— Avete freddo?
— Non tanto. Ci vorrebbe di quando in quando
un fiaschette di vino... — <
Il colonnello si allontana.
Da qualche ora gli austriaci battono le nostre
posizioni col solito loro tiro irregolare. Due gra-
nale su quota 208, una mezza dozzina di shrapnels f
su di noi, due grosse marmitte su quota 144. Qual-
che 280 sulla seconda linea. Mezzogiorno. L’oriz-
zonte si chiarisce, ma il sole continua a fare il la-
titante.
Uno zappatore ci dice che una granala è caduta
♦
IL MIO DIARIO DI OTTERRÀ
139
tra due ricoveri del 7° bersaglieri. Ci sono quattro
morti e sette ieri ti.
Qualche discorso sulla pace tedesca. La sup-
posta condizione che l’Italia dovrebbe restituire
le terre conquistate all’Austria, suscita l'indigna-
zione generale. Scommetto che se si facesse un re-
ferendum. non si troverebbero dieci soldati pro-
pensi ad accettare questa condizione.
— Dopo tanto sangue e tanti sacrifici! —
Ora che il reggimento è tutto riunito, trovo dei
commilitoni che non rivedevo più dal settembre
dell’anno scorso, quando, giunti sullo Jaworcek.
fummo ripartiti nei diversi battaglioni. Un incon-
tro gradito è quello del sergente zappatore Tudori
Modesto di Tirano (Sondrio). E’ un operaio che
ha compreso la necessità della guerra nazionale.
— La « pace tedesca », no. Tutti desideriamo la
pace — mi dice — ma giusta e duratura! —
Mentre scrivo, gli austriaci hanno incominciato
a bombardarci.
La trincea «logora», perchè è una prigione di
fango. Il nostro carceriere è il cannone nemico
che ci costringe al silenzio e alla immobilità. Se le
trincee sono coperte, la prigionia è assoluta. Si
vede il sole a scacchi, cioè attraverso una feritoia.
L esserci adattati a questo genere di guerra è una
prova meravigliosa delle qualità individuali e com-
plesse della stirpe italiana.
Un tenente mi dice che il Duca d’Aosta ha tri-
butato un encomio solenne alla nostra Brigata Ber-
saglieri, per il contegno tenuto nelle due notti dei
contrattacchi nemici e per i lavori di rafforzamento
BENITO MUSSOLINI
100
della posizione. Un bersagliere della mia compa-
gnia, tal Silvio Filippi di Colle Val d’Elsa, che'
ora è in licenza invernale, mi manda questa car-
tolina :
« trovandomi in licenza non manco di mandarle
i più sinceri saluti, rammentandolo unilo assieme
a tutti i miei amici, ove son rimasti mollo sorpresi
di sentire che pure lei debba essere in trincea al
pari di qualunque umile soldato. Non ho mancato
di fare i saluti a Meoni, il quale li ha con molto
alletto accolti. Cesso, salutandolo, sperando di ri-
trovarlo in ottima salute. Di nuovo saluti affet-
tuosi ».
Nelle ultime ore del pomeriggio la nostra arti-
glieria intensifica i suoi tiri. Dalle quattro alle sei,
anche tra le artiglierie sembra talora stabilita una
mutua tregua, perchè nè i nostri, nè i loro, spa-
rano un colpo solo.
Sul costone esterno di quota 208 assistiamo
allo sfilare di mezzo plotone di austriaci. Le loro
sagome si profilano nettamente, nell’ultima chia-
rità del giorno. Dalle nostre linee non parte nem-
meno un colpo di fucile, malgrado la vicinanza e
la visibilità del bersaglio.
L forse una corvée. Non è nelle nostre abitudini
di innata cavalleria tirare sul nemico, quando è
inerme.
19 Dicembre.
Stanotte un gatto raspava presso i nostri reti-
colati. Sarà un «disperso» di Jamano distrutta.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
101
Ieri sera, approfittando della serata — la prima
non piovosa ho girato un po’ sul campo di
battaglia. Non vi è un metro quadrato, letteral-
mente, che non sia stato lacerato, sconvolto da
quattro o cinque granate. Ci sono ancora dei morti
abbandonati. Nostri e loro.
All’alba di stamani due bersaglieri zappatori-mi-
natori ci hanno recato la notizia della vittoria
francese. Gioia vivissima in tutti. Si discorre meno
d’ieri di pace. Intanto, per cambiare, piove. Tem-
po assassino. I bersaglieri tutti laceri, barbuti, in-
fangati, scrivono le « franchigie », dormono, si
spidocchiano, giocano a carte.
Se si raccogliesse.ro tutti i rottami di ferro —
proiettili esplosi o da esplodere, pali di ferro dei
relilocati, lamiere, arnesi, ecc., — che si trovano
su questi campi di battaglia, si caricherebbero tre-
ni e treni a tonnellate.
Verso sera, l’orizzonte ad ovest presenta una stri-
scia di carminio. Non piove più.
— A Venezia c’è il sole! — sento dire con voce
che tradisce una evidente nostalgia.
Siamo tornati or ora all’accampamento. Oggi
l’artiglieria nemica è stato silenziosissima. Soltan-
to due shrapnels distratti sono caduti nelle nostre
linee. Dialogo colto a volo nell’oscurità :
— Ritornare all’Austria le terre che abbiamo
conquistato? Questo non sarà mai!
— I nostri morti griderebbero vendetta!
— E non i morti soltanto; anche i vivi! —
Domani è l’anniversario della impiccagione di
Oberdan.
1&2
BENITO MtrSSOT.IXI
20 Dicembre.
«
Stanotte, freddo. Ma nel cielo è tutta la chiarità
che annunzia una bella giornata. Finalmente, il
sole, il sole, il sole! Passano degli aeroplani nostri
e nemici. Le nostre artiglierie lavorano, come
sempre. Otto colpi, uno dietro l’altro, sono caduti
sul trinceramento austriaco di quota 208. Gli au-
striaci non hanno aspettato gli altri e se ne sono
andati, fuggendo verso la terza linea. Parecchi
bersaglieri scendono al posto di medicazione coi
piedi congelati. Non è per il freddo, ma per l’umi-
dità e per l’acqua delle trincee. Tuttavia non sono
gravi.
L’argomento della pace continua ad essere al-
l’ordine del giorno, ma « nessuno », dico nessuna,
vuol sapere di una pace «tedesca ».
Fuoco intenso dei nostri cannoni. Gli austriaci
hanno buttato una ventina di shrapnels sui nostri
trinceramenti di terza linea.
Serata di stelle!
21 Dicembre.
— Lo stoicismo dei nostri feriti — mi diceva ieri
sera un tenente medico — è sorprendente. Giun-
gono o sono portati qui colla carne straziata e non
un lamento esce dalle loro labbra. I feriti addo-
minali conservano una coscienza lucidissima. Una
sera, sullo Jaworcek, mi fu portato un ferito che
aveva una gamba frantumata dallo scoppio in pie-
Il mio diario di guerra
193
' " y
no di una bomba. Fu lui che mi disse : — Dottore,
tagli! — Gli feci un’iniezione e gli tagliai la gamba.
Quel ferito, di cui ricordo ancora il nome, Fuma-
galli, se ne andò come era venuto, senza un la-*
mento. Le ferite più gravi sono quelle prodotte
ciallo scoppio di granate, specie se di grosso cali-
bro. Quelle di pallottola — fucile, mitragliatrice,
shrapnel — sono spesso intelligenti. —
Oggi, primo giorno d’inverno, secondo l’astro-
nomia, si annuncia con un sole scialbo. Verso il
mare ce una cortina di nubi temporalesche. Da
qualche giorno l’artiglieria nemica è inoperosa. La
nostra, invece, è sempre attivissima. Sono centi-
naia e centinaia di granate che cadono quotidiana-
mente sulle posizioni nemiche.
Pare ormai sicuro che l’avanzata è sospesa. Se
si fosse potuto dare all’Austria una risposta sul ge-
nere di quella data dalla Francia alla Germania!
SS Dicembre .
Gli austriaci ci bombardano regolarmente tutte
le sere con cannoncini da trincea, che gettano bom-
be dallo scoppio formidabile come di un 305.
Tempo nebuloso, ma non piove. Nella mattinata,
silenzio delle artiglierie. Anche la nostra tace. Le
bombe di ieri sera (ne hanno lanciate oltre trecen-
to) hanno fatto alcune vittime.
Musi olmi - Il mio diario di guerra,
13
194
ftÉNÌTO MÙSSGilSÌ
23 Dicembre. •
All’una stanotte siamo stati svegliati da un im-
provviso e vivace fuoco di fucileria nella nostra
trincea di avamposti. E’ durato una diecina di mi-
nuti. Falso allarme. Mattinata nebbiosa. Malgrado
ciò, azione intensa delle nostre artiglierie. Nel po-
meriggio abbiamo seppellito — profittando della
nebbia — un soldato del 21° fanteria. Apparteneva
alla classe dell’86, sardo. Nelle lasche aveva un
piccolo coltello e una lettera ricevuta che diceva :
« Spero presto di rivederti in licenza invernale... ».
Sera di pioggia e di malinconia.
Una visita graditissima rompe la monotonia del-
la sera piovigginosa.
Mi sento chiamare. Esco dalla tana e riconosco
Benedetto Fasciolo, il redattore del Popolo e ora
capitano di artiglieria, in compagnia di Amilcare
De Ambris, sotto-capo di marina. I miei ospiti si
allogano alla meglio nel mio sontuoso hótel, illu-
minato da un mozzicone di candela. Sono venuti a
trovarmi. Stanno al di là dell’ Isonzo. Apprezzo
come si merita questo gesto di viva amicizia. Si
parla di tante cose vicine e lontane... Dopo alcune
ore di conversazione, li accompagno sulla strada
maestra che conduce a Doberdò.
E’ notte alta. Sul costone di quota 144, i tedeschi
lanciano i soliti barilotti di esplosivo. Uno spriz-
zare di scintille, uno scoppio formidabile che fini-
sce in un gemito alto e sottile :
— Qui è la guerra! — mi dice Fasciolo, strin-
gendomi la mano.
IL MIO DIARIO 111 GUÈRRA
195
<
24 Dicembre.
La mia giornata. Al mattino non c’è « sveglia » in
trincea. 11 sonno non è misurato da un regolamento
come in guarnigione, perchè la sua maggiore é
minore durata dipende dagli... eventi. Óre otto,
piccola colazione. Poi leggo i giornali. Scrivo qual-
che « franchigia ». A mezzogiorno, cucina grassa:
ventresca, formaggio, frutta. La proporzione della
trutta eccola: un arancio, due mele, quattro fichi,
sei castagne. A turno, si capisce. Dimenticavo : un
limone, e questo quasi tutti i giorni. Nel pomerig-
gio, niente. Se c’è la nebbia, me ne vado attraverso
il campo di battaglia. Si fanno delle « trouvailles »
spesso interessanti. Il cannone ci accompagna fino
a sera. Rancio. Silenzio. Notte interminabile. Al-
t indomani... è la stessa cosa.
Vigilia di Natale. Chi ci pensa, fra noi? Cielo
p umbeo, nebbia che piove adagio adagio. Lungo
la trincea è tutto un picchiettare sui bossoli delle
granate esplose, per ricavarne i braccialetti di ra-
me da portare ai paesi... E’ lo «chic» delle trin-
cee! Pomeriggio di tranquillità. L’argomento « pa-
ce » e in ribasso. Ognuno capisce e intuisce che
non e suonata quell’ora...
Il capitano mi ha dato l’incarico di portare una
lettera di auguri al colonnello. Il colonnello è an-
dato nelle trincee avanzate. Lo attendo al ritorno.
Ag i auguri del capitano aggiungo i miei. Il colon-
nello mi dice
— Sono stato in trincea a fare gli auguri ai ber-
saglieri. Ma il miglior augurio è che il reggimento
taccia sempre bene... —
BENITO MUSSOLINI
106
All’ accampamento ho trovato una certa anima-
zione. Sono giunti dei regali di Natale. Vedo delle
bottiglie di barbera, adorne del tricolore, e pacchi
di biscotti. E’ un Comitato che manda...
Approfittando della nebbia bassa, anche oggi i f
bersaglieri si sono sparsi sul campo di battaglia,
tra prima e seconda linea, a frugare il terreno. Si
è trovato un po’ di tutto. Longo ha trovato una ma-
schera nuovo modello, austriaca, una piccola trom-
ba per segnali, un pacco di lettere spedite e da
spedire. Cercherò di decifrare il tedesco di queiri-
gnoto austriaco. Il bersagliere Spera ha trovato un
binocolo da campo. L’ho comperato. Da tanto
tempo cercavo un binocolo. La strenna natalizia
mi è venuta da un ufficiale austriaco che si « ri-
tirava » un po’ in fretta, evidentemente, verso Ja- l
miano. Sarà ancora vivo o sarà morto? Su questo
campo di battaglia, i segni della precipitosa fuga
austriaca sono evidenti e abbondanti. Zaini, ta-
scapane, coperte e una quantità inverosimile di
munizioni. Pòi baionette, foderi di baionette, bom-
be, carte e stracci. E dovunque buche e dapper-
tutto disseminati a centinaia e centinaia i bossoli
degli shrapnels. Le piogge hanno fatto crescere
il lago. Alcuni dei nostri ricoveri sono quasi som-
mersi dall’acqua. L’artiglieria austriaca non ha
sparato un sol colpo. Anche la nostra Ita sparato
pochissimo,
Natale
25 Dicembre.
Come ieri, come sempre, da un mese a questa
parte, piove. Oggi è Natale- Proprio Natale. 25
Dicembre. Terzo Natale in guerra. La data non
mi dice niente. Ho ricevuto delle cartoline illustra-
le coi soliti fanciulli e gli inevitabili alberelli. Per-
chè io riprovi un’eco della poesia di questo ritorno,
debbo rievocare la mia fanciullezza lontana. Oggi'
il cuore se inaridito come queste doline rocciose.
La civiltà moderna ci ha «meccanicizzati ». La
guerra ha portato sino alla esasperazione il pro-
cesso di « meccanicizzazione » della società euro-
pea. Venticinque anni fa io ero un bambino punti-
glioso e violento. Alcuni dei miei coetanei recano
ancora nella testa i segni delle mie sassate. No-
made d’istinto, io me ne andavo dal mattino alla
sera, lungo il fiume, e rubavo nidi e frutti. Andavo
a Messa. Il Natale di quei tempi è ancora vivo
nella mia memoria. Ben pochi erano quelli che
non andavano alla Messa di Natale. Mio padre e
qualcun altro. Gli alberi e le siepi di biancospino
lungo la strada che conduce a San Cassiano erano
irrigiditi e inargentati dalla galaverna. Faceva
198
BRUITO MUSSOLINI
freddo. Le prime messe erano per le vecchie mat-
tiniere. Quando le vedevamo spuntare al di là della'
Piana, era il nostro turno. Ricordo : io seguivo mia
madre. Nella chiesa cerano tante luci e in mezzo
all’altare — in una piccola culla fiorita — il Barn-
Lino nato nella notte. Tutto ciò era pittoresco ed
appagava la mia fantasia. Solo l’odore dell’incenso
mi provocava un turbamento che qualche volta mi
dava istanti di malessere insopportabile. Final-
mente una suonata dell’organo chiudeva la ceri-
monia. La folla sciamava. Lungo la strada, un
chiacchierio soddisfatto. A mezzogiorno fumavano
sulla tavola i tradizionali e ghiotti cappelletti di
Romagna. Quanti anni o quanti secoli sono passali
da allora? Un colpo di cannone mi richiama alla
realtà. E’ Natale di guerra.
Nella trincea è un silenzio pieno di segrete no-
stalgie. Natale magro. Dei doni mandati dal Co-
mitato, alla mia compagnia sono toccati mezza
dozzina di panettoni e altrettante bottiglie... Il
rancio poi è stato specialissimo : baccalà in umido
con palate. Figurarsi!
26 Dicembre.
Mattinata insignificante. Nel pomeriggio, im-
provviso risveglio delle nostre batterie. Un tratto
della « loro » trincea di prima linea, è saltato per
aria. Di rimando, essi hanno lanciato alcune bom-
be su quota 144. Mentre scrivo, i tedeschi lavora-
no,,. per noi. Padre Michele è venuto a trovarci,
IL MIO DIARIO DI GUERRA
199
Gli ho accennato alle polemiche suscitate dalla
mia licenza invernale e gli ho chiesto se sarebbe
pronto a rendermi testimonianza.
— Prontissimo — egli mi ha risposto. — Direi
la verità, che cioè, io l’ho visto dal primo giorno
ad oggi, sempre in prima linea. —
Erano presenti altri ufficiali.
Scrivo queste righe alla luce fumosa di uno scal-
darancio, nella più inverosimile delle posizioni.
Nel crepuscolo, si addensano lo nubi sciroccali.
Bombe.
27 Dicembre.
Stanotte abbiamo rinforzato la nostra linea di
reticolati. Fra le 22 e le 23 c’è stato un bombarda-
mento reciproco assai violento. Mattina nebulosa,
ma chiara. Mi affaccio al parapetto della nostra
trincea. Ci sono di là, a poche diecine di metri, due
soldati austriaci che conversano tranquillamente
in piedi. Più lontano, un altro soldato, fa, non me-
no tranquillamente, la sua « toilette » mattinale. Si
leva la giubba, il corpetto, la camicia; si spidoc-
ehia. A operazione ultimata, un lungo stiramento
di braccia, un’occhiata in giro, poi se ne torna len-
tamente alla tana. Io constato che da un mese non
mi lavo la faccia. L’acqua del lago è sospetta. L’ac-
qua che giunge colle ghirbe e che bisogna prele-
vare con un «bono», è troppo rara per sciuparla
a lavarsi la figura.
F’ finito or ora un bombardamento intensissimo,
200
BENITO MUSSOLINI
durato da mezzogiorno alle cinque. Il preludio è
stato austriaco. Bersaglio, come sempre, la quota
144. Grossi calibri che giungevano accoppiati. La
cima di quota 144 era avvolta nel fumo nero e
biancastro delle esplosioni, che, portato dal vento,
scendeva sul lago e annebbiava tutto l’altipiano di
Doberdò. Gli austriaci hanno continuato indistur-
bati per quasi un’ora. Poi sono intervenute le no-
stre batterie. Per due ore, fuoco d’inferno. La sei-
letta dove è la nostra trincea era tutto un rimbom-
bo, le vibrazioni d’aria scuotevano i teli da tenda
che abbiamo sulle tane, le doline sobbalzavano.
Armato del mio binocolo, mi sono messo in piedi
nel fosso della trincea, a godermi lo spettacolo. A
un certo punto c’è stata una ripresa dei loro, ma
breve. Sopraffatti dal numero e dalla potenza delle
nostre batterie, gli austriaci si sono rassegnati a
tacere. I nostri hanno continuato, implacabilmen-
te, sino alle prime ombre del crepuscolo. Nelle mie
orecchie c’è un ronzio curioso.
— E questo non è che un « aperitivo » — ci ha
detto un bombardiere che filava, correndo, lungo
un camminamento.
E’ sera. Le nuvole si stracciano... Sul mare è il
primo quarto della luna nuova... Nel cielo sono,
qua e là, delle stelle.
SS Dicembre.
Stanotte il duello delle artiglierie non ha avuto
sosta. Al tenente Gelassi che comanda gli zappatori
IL MIO DIARIO DI GUERRA
201
del 39° battaglione, ho chiesto notizie sugli effetti
del bombardamento d’ieri a quota 144,
— Insignificanti — mi ha risposto. — Quattro
o cinque feriti al 7°, un ferito all’ll 0 . Le gallerie
sono state provvidenziali... — .
Mi dice anche che ieri sera, suU’imbrunire, un
romeno si è arreso. Ma non è stalo possibile in-
terrogarlo, per mancanza di interprete.
Mattinata di sole pallido. Due Caproni, scortali
da un Nieuport, volteggiano su di noi. I cannoni
urlano già la loro canzone di morte. Moltissime
granate austriache di piccolo calibro che cadono
presso la nostra seconda linea, non scoppiano. Ne
abbiamo contate otto. Pomeriggio di sole. E’ il bel
tempo che torna?
29 Dicembre.
Notte agitata. Stamani, una nebbia bassa na-
sconde allo sguardo il lago e la pianura di Dober-
dò. Nel cielo è una nuvolaglia grigia che il sole
non riesce a disperdere. L’aspetto dei miei com-
militoni dopo la permanenza nella trincea carsica,
comincia ad essere lamentevole.
Ci sono alcuni casi sospetti di gastro-enterite
all’8* compagnia. La compagnia ha ricevuto l'or-
dine di allontanarsi. Si credeva che ci precedesse
nell’andata a riposo. Ecco : piuttosto che morire
in un lazzaretto di colerosi, preferisco di essere
sbrindellato in cento pezzi da un proiettile da 305.
Oggi i cannoni austriaci hanno buttalo qua e là
r
202 BENITO MT'SSOT JNI
i soliti colpi innocui. Si sbadiglia. Chi per noia,
chi per appetito. Questa è la guerra dcirimmobi-
lilà. *•
.Voci del gergo guerresco :
benzina = vino ;
lampione = fiasco di vino. f
30 Dicembre.
Tempo accidioso ed insidioso, da colera. Difatti
il bacillo virgola deve aver fatto la sua comparsa,
a giudicare dalle misure igieniche che si stanno
prendendo. Tutto l’accampamento è bianco di cal-
ce, che vien gettata fra i baracconi, senza rispar-
mio.
Padre Michele è passato nelle trincee, offrendo i
un distintivo tricolore e un foglietto. Ho accettato
il distintivo, poi mi sono fatto dare il foglietto. Si
tratta della
Solenne consacrazione
dei soldati del Regio Esercito Italiano
al Sacro Cuore di Gesù.
Io non commento, trascrivo. Nell’interno del fo-
glietto c’è l’« istruzione » che dice :
« La devozione al Sacro Cuore di Gesù è la gran-
de speranza dei tempi nostri. Tutto noi possiamo
ottenere mediante la fede e l’amore al Cuore di
Gesù. Egli stesso, apparendo alla Beata Marghe-
rita Maria in Francia, ha detto : « Voi non manche-
rete di soccorso che quando io mancherò di potep-
H MIO DIARIO 1)1 GUERRA
203
za». Vedete i francesi alla battaglia della Marna :
tutto pareva perduto, quando il generale Castelnau
ebbe Inspirazione d’invocare il Sacro Cuore e con-
sacrargli 1 esercito. E il risultato fu la meraviglio-
sa vittoria che salvò la Francia. Vittoria vogliamo
noi pu;e, duplice vittoria: una sui nemici politici
per la grandezza della patria nostra, l’altra su noi
stessi per purificarci ed elevarci. Ma per entram-
be, se le vogliamo grandiose, abbiamo d’uopo di
mezzi eccezionali. Ed ecco additata la devozione al
aacro Cuore di Gesù.,. ».
Poi ce anche «Un atto di Consacrazione» che
hmsce in un Credo , Pater, Ave, Gloria.
Ripeto : non commento : trascrivo, copio il do-
cumento.
31 Dicembre.
Fine d anno. Messa al 7° bersaglieri e discorso
del prete officiante. Non so chi sia. Non conosco il
suo nome. Un mio vicino che ascoltava mi ha detto
che e un abruzzese. Oratore dalla parola facile,
ila la voce squillante e quel che è l’essenziale, un
italiano nel più fervoroso senso della parola. Mi è
piaciuto, nel suo discorso, l’accenno alla pace tede-
sca che sarebbe «la pace del vincitore che pone
il piede sul petto al vinto », mentre la nostra pace
deve «consacrare la giustizia e la libertà dei po-
poli» ed ha finito con queste parole: «L’Italia an-
zi tutto e sopra lutto. ».
Avrei voluto gridargli: «Bravo!». Avrei voluto
204
BENITO MUSSOLINI
andare a stringergli la mano. Voglio qui ricordare
il primo discorso veramente ed accesamente pa-
triottico che ho sentito in sedici mesi di guerra.
Giornata grigia. Il tenente generale che coman-
da la nostra Divisione è fra noi. Sembra certa la
nostra partenza a riposo in un paese delI’Oltre I-
sonzo, nell’Italia redenta. Alcune settimane di
quiete ci tempreranno per l’azione, quando il gior-
no verrà. Gli amici interventisti che si trovano nei
paraggi cercano di vedermi. Oggi è venuto a tro-
varmi Enrico Tagliabue, di Monza, parrucchiere e
era artigliere.
E’ un interventista entusiasta, un amico del Po-
polo. Dopo cinque mesi di fronte, ha conservato
intatto e accresciuto, anzi, il suo patrimonio ideale
d’interventista. Questi umili figli del popolo, che
hanno sentito la bontà della nostra causa e la san-
tità della nostra guerra, meriterebbero di essere
« valorizzati » un po’ di più, ai fini della vittoria!
Nel pomeriggio un sole pallido schiarisce l’oriz-
zonte. La partenza è fissata per stasera. Ce l’or-
dine. Si compie oggi il mio primo mese di trincea
sul Carso. Io saluto il 1916 che muore e il 1917 che
comincia : Viva l’Italia!
Gli austriaci si sono accorti del nostro movimen-
to? Non so. Non credo. Certo è che a un dato mo-
mento, le artiglierie nemiche si sono improvvisa-
mente risvegliate. Un grosso proiettile è scoppiato
in pieno su un ricovero, ma, fortunatamente, que-
sto era vuoto. Gli austriaci ci hanno dato la buona
fine d’anno.
Saluto, marciando, il 1917
1° Gennaio 1917.
Il 1916 è morto, mentre io marciavo sulla strada
da Doberdò. Il 1917 l’ho salutato marciando. Ciò
è di buon auspicio...
Primi dieci giorni, riposo a Palazzotto, vicino
ad Isola Morosini, in un deserto fangoso. Barac-
camenti e brande. Bagno. Iniezioni anticoleriche.
Esame delle feci. Segregazione contumaciale.
Noia. Dal 10 gennaio al 20, riposo nei baracca-
menti di Santo Stefano presso Aquileja. Visita al
Museo. Conoscenza dello scultore Furlan, mila-
nese, e del pompiere Sala della III Armala, un
interventista milanese della vigilia, ancora entusia-
sta. Notte dall’11 al 12, incursione di areoplani.
Cinquantadue bombe innocue. Io pensavo alle ni-
diate di bambini veduti ruzzare nelle strade di
Aquileja. Lavori di trincea presso le Mura romane.
Scoperta di ruderi. Istruzione del lancio delle bom-
be. Maestro, un maresciallo di cavalleria. Mi dice
di aver istruito anche Malusardi e Trerè, volontari
milanesi.
É06
BÉNlTO MÙSSOtlNl
19 Gennaio. .
Ripasso l’Isonzo. Emozione. Grande fiume ce-
ruleo. Sulle vie del Tevere è nata l’Italia, sulle vie
dell Isonzo è rinata. Pieris. Ancora popolata di
donne e bambini. Nella piazzetta c’è una statua
rappresentante una donna in piedi con un libro in
mano. La leggenda dice: All Imperatrice Elisa-
bella. Il popolo eli Pieris. Il paese è intatto. Sol-
tanto qua e là, nei muri delle case abbandonate,
i occhio di una granata. Nel cortile del nostro ac-
cantonamento alcuni soldati di sanità hanno im-
piantato una scuola, frequentata da un centinaio
Ira maschi e femmine. Domando a una bambina :
— Che cosa hai imparato oggi a scuola?
— Niente.
— Vuoi un poco di pagnotta?
— xMàgnatela. —
Radi borghesi.
20 Gennaio.
Incontro con Guido Podreeca. A Ronchi per gli
alloggiamenti. Lungo la strada, poco prima °di
Ronchi, ce una tomba, che reca sulla croce : « Sol-
dato sconosciuto ». Vento freddo. Sole.
21 Gennaio.
Bora di Trieste. Freddo. Giornata insignificante,
che tempo di un « morale » pessimo. Parlottano
It MIO DIÀRIO Di CtTÈfóA
20?
II colonnello Benito se ne andato a comandare la
Brigata Cremona. Lo ha sostituito il tenente colon-
nello Capanni, che ha mandato un vibrante saluto
fill’1 1° glorioso.
26 Gennaio.
Lavoro di trincea su Dolina Berg, quota 70, pri-
mo ciglione del Carso, sopra Selz. Il campo di
battaglia. Impressionante ancora! Atterramento
forzato di un nostro velivolo vicino a Doberdò.
Croci con le corone di rosario appese. Rotoli di
carta e cestini di vimini colla telaiatura di ferro.
Morti isolati. Mucchi di cadaveri, appena ricoperti
di sacchi a terra. Piedi che sporgono. Un teschio.
Frammenti di ossa. « Pace, o fratelli » (14° fante-
ria). Ferraglie in quantità. Il mare. Laggiù, il cam-
panile quadrato di Aquile ja. Più in là un biancheg-
giare di case : Cervignano.
27-28 Gennaio.
Neve, freddo, noia infinita.
Ordine, contrordine, disordine.
30 Gennaio.
I soldati che tornano dalla licenza sono da qual-
a bassa voce del bordello che « ci sta » in Italia,
208
BENITO MUSSOLINI
perchè quei « quattro vecchietti » e le donne vo-
gliono la pace. Va da sè, che gli ufficiali pensa-,
no... ad altro. A Roma, ciurlano nel manico. Go-
verno dell'impotenza nazionale!
0
r Febbraio.
Lancialorpedini. Ilo lasciato il mio plotone de-
stinato a formare il 64° battaglione, probabilmente
in Italia. Si è costituita una seconda sezione di
lancia Bettica e me ne hanno offerto il comando.
Esercitazioni al Poligono di Ronchi.
1
9 Febbraio. 4'
Marcia alla trincea. In posizione. Notte di ple-
nilunio.
— Caporal maggiore, siamo tutti e due del ’97.
— Uno venga nel mio ricovero. —
1
10 Febbraio ,
E’ cessato il vento gelato. Mattinata di sole ra- j
dioso. Anticipazione di primavera. Piccoli lavori
al camminamento. Solito fuoco delle artiglierie.
Solito passaggio di velivoli. Alcune delle loro
granate sono cadute in pieno nelle loro trincee.
11 tiro dell’ artiglieria nemica continua ad essere
molto irregolare ed altrettanto innocuo.
IL MIO DIARIO DI GUERRA
£09
11 Febbraio.
Cannoneggiamento. Gli austriaci ci hanno tirato
con te loro bombarde, ma senza far vittime. Pochi
colpi. Scoppio solenne. Quando la bombarda ca-
de, sembra un gatto con la coda in alto.
12 Febbraio.
^ lavorai al « camminamento del morto » (austria-
co). Sul cocuzzolo ci sono ancora una decina di
cadaveri austriaci e due italiani, insepolti. Uno è
senza testa. Pomeriggio di pioggia. Vento sciroc-
cale. Il lago di Doberdò sgela. Reciproco concen-
tramento vivacissimo di fuochi d’artiglieria.
lo febbraio.
TI lago di Doberdò, tutto ricoperto di c'nne pa-
lustri, presenta l’aspetto miserevole di uno stagno
come il limitrofo « Pietra Rossa ». I giornalisti
cne lo hanno trovato «pittoresco» l’hanno vera-
mente visto? Violento fuoco. Qualche ferito. Un
autofento. Niente altro. Grande, tepido sole.
14 Febbraio.
Mattinata di sole. Passa un morto tutto ravvolto
m un telo da tenda. Pochi commilitoni lo seguono.
Mussolini. - Il mio diario di guerra .
840
BF/NITO MUSSOLINI
Un prete fa qualche gesto. I passanti si scoprono
e poi se ne vanno. Ieri sera gli austriaci hanno
buttato alcune bombe nella nostra trincea. Ai pie-'
di di queste quote, ci sono i cimiteri che le con-
sacrano. Il nostro si allarga... Il breve funerale
non ha interrotto il traffico e il movimento degli
altri. Io penso con mestizia a quell’ignoto soldato
d’ Italia che se ne va sottoterra, mentre nel cielo
si annunzia coi suoi tepori la primavera. Il can-
none lavora. Il morto è del 531° reparto mitraglie-
ri. E’ l’unica vittima della bomba di ieri sera.
Pomeriggio di cannonate. Una nostra granata è
caduta in pieno nolla loro trincea. Gridavano i
boches e scappavano. Un loro portaferiti è accor-
so. Concerto dei nostri grossissimi calibri, sulla
loro prima e seconda trincea. Dall’estrema destra
della nostra trincea ho visto Duino. Di lassù si
domina tutto il golfo di Panzano- Causa la foschìa
del mare, non ho potuto vedere Trieste. Lanciate
dieci torpedini sui loro reticolati. Per rappresaglia,
gli austriaci hanno lanciato sette granate da 152
sul rovescio di quota 144. Feriti : uno, alla rotula
del ginocchio.
15 Febbrxiio.
Sole. Stanotte ho lavorato sino alle quattro.
Quando mi sono levato dai camminamenti per tor-
nare al mio giaciglio, un quarto di luna rossa illu-
minava sinistramente il campo di battaglia. Nes-
IT, MIO DIARIO DI GUERRA
211
sauna novità, stamani. Pomeriggio, solita sinfonia.
Gergo di guerra :
un telegramma = scheggia di granata;
attaccare un bottone = tenere un discorso
noioso;
signorina = sigaretta;
sigaretta = cartuccia da fucile;
chioccia = mitragliatrice.
andare alla riparazione = andare all’ospedale.
Canzone in voga :
Al 25 luglio,
Quando matura il grano,
M'è nata una bambina
Con una rosa in mano.
Non è una paesana
E nemmeno contadina,
E’ nata in un boschetto
Vicino alla marina.
Vicino alla marina
Dove mi piace stare ,
Si vede i bastimenti
A galleggiar sul mare.
Per galleggiar sul mare,
Ci voglion le barchette,
Per far l'amor di sera,
Ci vuol le ragazzetle.
Le ragazzetle belle
L’amor non lo san fare;
212
BENITO MtrBSfltim
Noialtri bersaglieri
Glielo far fare.
*, •. •. ft « • * «■ 9 .
Gli ufficiali mi domandano con troppa insistenza
le mie opinioni circa la prossima, o lontana, fine
della guerra.
16 Febbraio.
Conosciuto il dott. Velia, fratello di Arturo.
Sole grande. Solito fuoco. Nel pomeriggio,
grande concerto. Parte della loro prima trincea
è saltata in aria. Un baracchino incendiato. Lavo-
rato sino quasi all’alba. Solito insignificante fuoco
delle artiglierie. Mezzogiorno. Sole incerto.
17 Febbraio.
Ieri sera, alle dieci, c’è stato allarme nella no-
stra trincea avanzata. Una pattuglia di austriaci
ha tentato una piccola sorpresa. Si è avvicinata ai
reticolati. Lancio di bombe fumigene. Una forte
esplosione. Tubo di gelatina sotto ai nostri reti-
colati. Due cavalli di Frisia distrutti. Lancio di
bombe. Un nostro caporale ferito. Le vedette vigi-
IL MIO DIARIO DI GUERRA
213
lavano. Fuoco di fucileria. Bombe Benaglia. Per
rappresaglia, abbiamo gettato nove torpedini sulla
loro linea. Si è sentito lo zoccolare di un rinforzo
austriaco. Tutta la notte lancio di bombe e canno-
nate. Lavorato per le piazzole di due cannoncini
da bombe, per trincea.
o 9 » I
; ' ■
18 Febbraio.
Mi accorgo che è domenica, perchè dinanzi al
Comando del reggimento c’è messa. Pochi ascolta-
tori. Solito discorso. Pomeriggio di fuoco abba-
stanza vivace delle nostre artiglierie. Pomeriggio
nubiloso. Le batterie austriache non hanno rispo-
si o che fiacchissimamente.
W I
19 Febbraio.
Fame. Il cantiniere si è circondato di cavalli di
Frisia, per evitare T assalto dei bersaglieri alle
gerle di pane. Stamani cielo grigio. Fuoco tambu-
reggiante dei nostri cannoni e dei loro. Non ho
potuto dormire, perchè la terra sobbalzava e nel-
1 aria era una vibrazione che scuoteva i nostri ri-
pari sulle doline. Le bombarde sono bruciate-
Sintomo.
20 Febbraio.
Ieri sera, sull’imbrunire, ho sparato il cannon-
cino lanciabombe. Le bombe sono cadute in piena
214
BENITO MUSSOLINI
-r
trincea dei tedeschi. Soliti cannoneggiamenti, no-
stro e toro. Mattinala ventosa. Grande messa al
Comando- Il tenente medico Scalpelli se ne va in
un ospedaletto da campo oltre Isonzo. Era in pri-
ma linea dall’inizio della guerra.
21 Febbraio.
Lavorato gran parte della notte per la postazio-
ne di un cannoncino lanciabomhe. Stamani, all’al-
ha, ho dato il buon giorno ai tedeschi, con una
bomba Excelsiòr tipo B, che è caduta in pieno nel-
la loro trincea. Il puntino rosso di una sigaretta
accesa si è spenta e probabilmente anche il fuma-
tore. Oggi ci hanno bombardato per parecchie ore ó
di seguito. Le nostre perdite non sono gravi. Tra
gli uomini fuori di combattimento ci sono due uf-
ciali, uno dei quali bombardiere. Ilo aumentalo la
dose per la buona sera. Ilo lanciato due bombe.
Bersaglio. Giornata di sole. Le postazioni sono fi-
nite. Stanotte conto di dormire a lungo.
22 Febbraio.
Sospese le licenze sia per gli ufficiali come per
i bersaglieri. Altro sintomo. Rivista alle scatolette
e munizioni. Sole. Ore tre del pomeriggio. Giungo-
no da lontano, e passano sulle nostre teste, grossi
proiettili destinati alle prime linee nemiche. Le nu-
*
IL MIO DIARIO DI GUERRA
215
vele delle esplosioni oscurano di quando in quando
il sole. Sono diventato un fumatore. Conseguenze
della trincea. Le «macedonia» sono eccellenti. Gli
austriaci rispondono con spring-granate fra la pri-
ìna e la seconda linea : due morti e cinque feriti
della mia compagnia : la quinta. Un ferito al brac-
cio fuma la sigaretta. Due sono gravi.
Ferito !
Nel pomeriggio del 23 febbraio 1917, verso le
ore 13, si eseguivano a quota 144 dei tiri d’ ag-
giustamento con un lanciabombe da trincea. Era-
no attorno a me venti uomini, compresi alcuni uffi-
ciali. La squadra era composta dai soldati più
arditi della mia compagnia. Il tiro si era svolle
senza il minimo incidente sino al penultimo proiet-
tile. Questo, invece, — e ne avevamo spedite due
casse — scoppiò nel lanciabombe- Fui investilo da
una raffica di schegge e proiettato parecchi metri
lontano. Non posso dire di più- So che venni rac-
colto quasi subito da altri bersaglieri accorsi, ada-
giato in una barella, trasportato a Doberdò per le
prime cure, portato più tardi in quest’Ospedaletto
dove trovai un’assistenza affettuosa, premurosissi-
ma. Il capitano medico dott. Giuseppe Piccagnoni,
direttore dell’Ospedale di Busto Arsizio, ed i dot-
tori, tutti e due tenenti, Egidio Calvini di San Remo
e Luigi Scipioni di Rosolini (Siracusa) mi curano
come se fossi un fratello.
218
BENITO MUSSOLINI
*
T* V
»
Duratile la degenza di Mussolini nell' Ospeda-
lelto il nemico, violando ogni legge civile ed uma-
na, bombardò quel luogo di sofferenze con ae-
roplani. Il ferilo cosi narra in una pagina del suo
Diario il doloroso fallo.
Mallina del 18 Marzo-
Ore otto. Un po’ di sole. Il solito rombo degli
aeroplani. Un ferito nuovo è giunto questa notte.
Io non ho chiuso occhio. Stamani il termometro,
37,8. Stasera, segnerà 40.
Niente medicazione. Il sibilo di una granata. E’
scoppiala vicino all’Ospedale. Un’altra. Una terza.
Un’altra ancora. Tutte a pochi metri dall’Ospedale.
L’infermiere Parisi è tranquillo.
— Possibile — egli dice — che non vedano la
Croce rossa sul tetto? Non hanno mai tirato in que-
sti quattro mesi. Dunque! —
Ancora un colpo. Il mio vicino, che ha le gambe
fracassate da una bomba, li conta : siamo a 15.
— Son pasticci — dice un ferito alla clavicola.
Le medicazioni continuano al pianterreno. Vedo
dalla porta spalancata sfilare le barelle. Salgono,
dal basso, grida di dolore. Un rombo. Uno scro-
sciare di vetri nel corridoio, nelle camerate. I no-
stri lettucci hanno sobbalzato.
— Questa è caduta più vicina delle altre — - dico
a Parisi.
IL MIO DIARIO DI OTTERRÀ
219
Ma non ho finito di pronunciare queste parole,
che un polverone bianco e denso si diffonde dalle
camerate sulle scale. Dal polverone sbucano e cor-
rono nella mia camerata, i feriti che possono cam-
minare. Quelli inchiodati al letto si sono rovesciati
giù, pazzi di terrore. I loro urli riempiono l’edi-
fìcio. Uno, nuovamente ferito alla spalla, si è roto-
lato dalle scale.
Tutti i feriti della camerata li hanno trasportati
nella mia. Il doti. Piccagnoni era a pianterreno e
slava operando un ferito gravissimo. Dopo lo scop-
pio, ha lasciato il ferito agli assistenti ed è corso
di sopra. Ha messo un po’ d’ordine. Ha rincuoralo
tutti. E’ stato ammirevole di calma e sangue fred-
do. Sistemali i feriti, è tornato giù a terminare
l’operazione. Per fortuna, i nuovi feriti non sono
gravi. Il più grave era ormai guarito. Ora una
grossa scheggia gli ha rovinato una spalla! Conti-
nuano a fasciarlo. Perde tanto, tanto sangue! Quel-
li che possono parlare, commentano :
— Sono dei vigliacchi! Degli assassini! Ci vo-
gliono uccidere per forza! —
Gi altri, che non possono parlare, fissano le pa-
reti con gli occhi spalancati. Il sibilare delle gra-
nate — poiché gli austriaci continuano a sparare
— provoca alcuni secondi di silenzio mortale. Or-
mai cadono lontano.
II dott. Piccagnoni, insieme col dolt. Velia e gii
altri due medici, ritorna nella nostra camerata ed
annuncia che nel pomeriggio tutti i feriti saranno
portati al di là delllsonzo. I volti si rischiarano.
— E io? — domando.
220
BENITO MUSSOLINI
Lei rimane. Non è trasportabile. Mi farà
compagnia! —
Pomeriggio.
T Tutti i miei compagni di dolore sono partiti.
Nell’Ospedale sono rimasti i medici, il cappellano,
gli infermieri. Di feriti, soltanto io. Silenzio grande
nel crepuscolo...
XI Re visita Benito Mussolini
e i suoi compagni feriti
{Corrispondenza di Raffaele Garinei al Secolo)
Quartier Generale, 7 Marzo.
Stamani il Re ha visitato l’Ospedaletto da cam-
po ove è ricoverato il caporal maggiore Benito
Mussolini. Tornavo giù dalle trincee di Monfalcone
e mi recavo a chiedere notizie dell’amico ferito, le
cui condizioni di salute negli scorsi giorni avevano
avuto un notevole peggioramento, allorché l’auto-
mobile grigia del Sovrano lasciava lo spiazzale che
si distende a lato della palazzina dove ha sede l’O-
spedaletto che ospita Mussolini.
11 Re era giunto mezz’ora prima, inatteso, aveva
chiesto del Direttore dell’Ospedaletto, il capitano
Giuseppe Piccagnoni, ed aveva manifestato il desi-
derio di visitare Benito Mussolini e gli altri feriti
ivi ricoverati.
Qualche istante dopo, il Sovrano entrava nelli
corsia dove Mussolini era stato trasportato allora
allora, reduce da quella che è per lui la più stra-
ziante operazione : la medicazione quotidiana. Mus-
222
BENITO MUSSOLINI
solini era leggermente abbattuto: la medicazion
era stata torse più dolorosa del solito.
Il Re ha domandato al capitano Piccagnoni qua-
le fosse il letto sul quale era adagiato Benito Mus-
solini.
E’ 11 sul secondo letto vicino alla finestra. —
Mussolini aveva frattanto riconosciuto il Re, ed
il Sovrano aveva immediatamente scorto il ferito.
Avvicinatosi al suo letto, il Re ha domandato a
Benito Mussolini :
— Come sta, Mussolini?
— Non troppo bene, Maestà. —
Il capitano Piccagnoni, interrogato dal Sovrano,
ha aggiunto particolari precisi :
~~ La febbre si è manifestala otto giorni fa,
quando sorse una complicazione infettiva nelle fe-
rite alle gambe: la temperatura superò i 40 gradi,
1 infermo passò notti agitate, in preda a delirio.
Ora la febbre è diminuita : 38 gradi. Le schegge
sono state tutte estratte e le ferite vanno rimargi-
nandosi. Ma Mussolini soffre molto. Figurarsi che
la superficie lineare di tutte le ferite che torturano
il corpo di Benito Mussolini raggiunge complessi-
vamente gli 80 centimetri. Le due ferite alle gambe
sono così ampie, che, divaricate, possono accoglie-
re un pugno di un uomo! —
Il Re ascoltava, guardando il volto del ferito
-- Deve soffrir molto, lei, pur così forte, in que-
sta dolorosa immobilità!
. un supplizio, Maestà, ma ci vuole pa-
zienza. —
Poi il Re ha chiesto a Mussolini i particolari del
*CV
IL MIO DIARIO DI OUKRR-i
223
doloroso episodio di guerra, ed il ferito li ha nar-
rali con precisione.
— Q U£ de crede sia stala la causa dello scoppio?
— ha chiesto il Re.
— Il tubo di lancio era troppo arroventato.
— Eh, già^ — ha aggiunto il Sovrano — forse
il tiro era stato troppo rapido. —
E poi, mutando discorso :
— Ricorda? Io lo vidi sei mesi fa all'Ospedale
di Cividale.
— Ricordo perfettamente; allora ero in osserva-
zione per malattia...
— Ed oggi interruppe il Re — dopo tante
prove di valore, è rimasto ferito. —
Seguì un istante di silenzio. Tutti guardavano
quel soldato valoroso, che, ammaestrando i suoi
uomini sotto il fuoco austriaco, perchè essi potes-
sero del nemico aver ragione, era caduto con pari
eroismo del soldato che in trincea è sopraffatto dal-
l’impeto dell’avversario.
Poi il Re continuò :
— L’altro giorno, sul Debeli, il generale M... mi
ha parlato molto bene di lei...
— Ho cercato sempre di fare il mio dovere con
disciplina, come ogni altro soldato : è molto buono
con me il mio generale.
— Bravo Mussolini! interruppe il Re. — Sop-
porti con rassegnazione l’immobilità ed il dolore.
— Grazie, Maestà. —
Il Re si volgeva allora verso gli altri feriti.
Al lato sinistro di Mussolini era un valoroso mu-
tilato, il sergente Gasperini, vallellincse, che fu
224
MSN ITO MtrSSOEINX
fecito dalla bomba di un aeroplano presso Do-
berdò. Anche per lui il Sovrano ebbe parole di
elogio e di incoraggiamento, e fece segnare il suo
nome ad un aiutante di campo, insieme a quello
di un altro mutilato : Antonio Bertola, siciliano.
Il Re, quindi, dopo aver salutato Benito Musso-
lini, lasciò la corsia e visitò le altre sale dell’Ospe-
dale, congratulandosi poi col Direttore capitano
Piccagnoni per l’ordine che aveva trovato.
Ho avvicinato Mussolini qualche minuto dopo
che il Re aveva lasciato l’Ospedaletto.
— Sono assai contento — egli mi ha detto —
della manifestazione di gentilezza avuta da parte
del Sovrano, e delle buone parole che ha rivolto
a me ed ai miei compagni. —
Al capezzale di Benito Mussolini
(Corrispondenza di Sandro Giuliani al Popolo d’Italia)
Dal Carso, 1° Marzo.
L’altra sera, dal Popolo d'Italia, ho appreso il
Iragico incidente di guerra che per poco non costò
la vita al nostro valoroso combattente.
La mia trepidazione, il mio dolore furono il do-
lore e la trepidazione vostra. Non occorre che ve
ne scriva.
Poco più tardi potevo procurarmi dei giornali
di Roma. Si diceva che le ferite di Mussolini erano
molte, ma non gravi; mi tranquillizzai un poco;
non tanto però da saper rinunciare all’ istintivo
proposito di correre da Lui, di abbracciarlo, di
avere una più esatta e sicura idea del suo male.
Chiesi ed ottenni subito il necessario permesso
notevole cortesia della quale sono assai grato al
Direttore della mia unità.
Dove fosse l’Ospedaletto 46 non fu possibile sa-
perlo. Non risultava che esso esistesse. Pensammo
ad un errore. Convenimmo nel credere che si trat-
tasse del 046, in funzione presso Cormons. E la
mattina dopo partii.
Massolini. - H mio diario di guerra.
15
I
^28 Basito MtàsOLifit
Quali siano stale le delusioni e l’amarezza pro-
vate arrivando, vi sarà facile immaginare. Trovai
l’Ospedaletto, ma il ferito nostro non cera! Per-
detti così, inutilmente, la mia giornata, riuscendo
tuttavia a sapere che il 46 era molto lontano : ad
Aquileja.
Tornai alla mia residenza con l’anima in pena,
sconfortato, avvlito. Mi restava una sola speranza :
quella di avere un secondo permesso. E lo ebbi,
! infatti.
Pdpartito stamani per tempo, autorizzato ad usu-
fruire d’ogni mezzo di trasporto, mi diressi ansio-
samente alla mèta. Marciai in tutti i modi, con tutti
i mezzi : con camions, con carri d’artiglieria, con
carretti carichi di materiale, in molti tratti... pedi-
bus calcantibus. Ma marciai sempre.
Alle quattro del pomeriggio, a Sagrado, mi im-
battei in Manlio Morgagni - — il direttore ammini-
strativo del nostro giornale — e nel collega Gari-
nei del Secolo. Tornavano da una visita a Musso-
lini. Appresi da essi che l’eroico soldato aveva mol-
ta febbre e che 1’ Ospedaletto 46 non era più ad
Aquileja, ma a Ronchi.
Da Sagrado a Ronchi — sei o sette chilometri —
non trovai alcun mezzo di trasporto. Giunsi lo stes-
so, però. E giunsi presto!
All’ingresso dell’Ospedaletto — situato in una
bella palazzina rimessa a nuovo dopo le « ingiu-
rie» della guerra — mi si precluse il passaggio.
Il sottufficiale d’ispezione aveva una consegna
<
JL mio diario Idi òuérsa §2?
precisa e non era disposto ad infrangerla a nessun
costo.
— I medici hanno proibito ogni visita. Ce ne
sono state troppe! il ferito è molto sofferente. Ha
la febbre a 40, stasera. Egli stesso desidera di es-
sere lasciato in pace. Mi dispiace tanto, ma è im-
possibile. —
Declinai la mia qualità di redattore del Popolo,
dissi la mia angoscia per la sorte di Lui, parlai dei
mio affetto fraterno per il mio Direttore e Mae-
stro...
Nulla!
Domandai di parlare col Direttore deli’ Ospe-
ualetto, con qualche medico... Fui accompagnato
dal tenente doti. Scipioni. Ripetei Tesser mio, lo
scopo del mio viaggio; domandai se era solo con-
cepibile che fossi venuto da tanto lontano per.. .
tornarmene via senza aver veduto Mussolini!
L’ufficiale comprese.
— Aspetti! Ma le raccomando : visita breve. —
Promisi e... non mantenni.
Due minuti dopo, ero vicino a Lui. Il nostro in-
contro fu sinceramente commosso. Io lo baciai in
fronte. Egli sorrise lietamente. I suoi occhi lumi-
nosi facevano il posto alla parola. Dicevano chiaro
che la mia apparizione inattesa era molto gradita.
Per un poco tacemmo. Lui soffriva. Io non sapevo
come cominciare...
— Come state?
— Sto bene!
— Avete molta febbre?
‘m
BENITO MUSSOLINI
— Passerà! —
La cartella termografica segnava 39,9. Gli ma-
nifestai i miei sentimenti migliori, i voti dei com-
pagni, degli amici, degli estimatori suoi, di tutti
gli onesti, di tutti i buoni, perchè la guarigione
fosse sollecita e completa.
— Guarirò completamente e presto. —
L’aiutai, insieme ad un infermiere, a cambiar
posizione nel letto. Lo interrogai sulle cause dello
scoppio.
- — Non le so bene — egli rispose- Poi raccontò
il fatto come è raccolto nel suo Diario.
Domandai a Mussolini come avvenne la sua as-
segnazione ad una squadra di lanciatorpedini.
— Nel modo più semplice — egli rispose con
grande serenità. — Il primo di febbraio potevi
andare in Italia per un periodo di tempo più o
meno lungo. Ho preferito — e l’ho fatto di mia vo-
lontà — di passare al comando di una sezione lan-
cia torpedini, agli ordini di un ufficiale. Alla guar-
nigione italiana ho preferito le doline del Carso;
sulla quota più tragica. Ecco tutto. —
Cosi dicendo, egli scrollava lievemente la testa
sul guanciale. Gli occhi si spalancarono... anche
di più.
Un sorriso di compiacenza — quel suo bel sor-
riso caratteristico, nervoso e cristallino che voi ben
conoscete — gli illuminò il volto pallido. Lo acca-
rezzai sulla fronte. Il gesto mi ricordò che egli
aveva la febbre alta. La mia presenza diventava,
involontariamente, un martirio. Lo facevo parlar
IL MIO DIARIO CI GUERRA
229
troppo. Me ne accorsi. Glielo dissi. Lo esortai a
non sforzarsi. Poi soggiunsi :
— Darò notizie di questa mia visiLa ai nostri
compagni, agli amici.
— Sì, fatelo. E dite chiaro e forte che per il
trionfo degli ideali di giustizia che guidano gli eser-
citi della Quadruplice, avrei accettato, senza rim-
pianti, anche un più duro destino. Dite che sono
orgoglioso di avere arrossato col mio sangue, nel-
l’adempimento del mio più rischioso dovere, la
strada di Trieste! —
Parliamo d’altro per un poco. Poi induco il va-
loroso al silenzio, affondando le mani in enormi fa-
sci di telegrammi e di lettere che sono sul como-
dino, su una sedia, ai piedi del letto.
Tra i primi dispacci che mi càpilano in mano,
ne trovo uno assai premuroso e cordiale del mi-
nistro Comandini. Ne vedo quindi di persone di
ogni condizione sociale : dal nobile Guido Notari
dei Duchi della Rovere ai più modesti ed umili
operai.
Il ministro Comandini ha telegrafato così :
<i Commosso per il battesimo glorioso che ti ha
" piagato e fortificato, ti mando i più fervidi voti
« di guarigione sollecita e completa ».
L eroica madre di Filippo Corridoni telegrafa da
Pausula poche parole :
« La mia famiglia è estremamente commossa e
le è vicina »*
Nelle poche parole è tutta l’anima della donna
semplice e stupenda.
Margherita e Cesare Sarfatti si esprimono così :
« Salutiamo il caro amico, l'eroico combattente ,
ammirati , trepidanti, auguranti ».
E il Dottor Risi :
« Saluto le tue gloriose ferite che in idealità no-
li buissima leniscono e guariranno ».
E l’on. Bossi, da Genova :
'< Personalmente e per il Comitato nazionale aliti-
li tedesco, auguro fervidamente di rivederti presto
a più che mai valida guida nelle lotte del fronte in-
ii terno, non meno importante del fronte esterno,
« dove ti temprasti ed emergesti tanto ».
Ma uno spoglio completo è impossibile.
Vedo, tra gli altri, dispacci assai affettuosi del
tenente medico dottor Alberto Mostari — ferito in-
sieme a Mussolini nel tragico accidente di guer-
ra — ; del collega Uccelli del Corriere della Sera,
dell’avv. Ermanno Jarach di Milano, del compagno
Calassi, di Giampaolo Manfredi da Castel di San-
gro: di un numeroso gruppo di amici di Roma;
del Gruppo socialista torinese dissidente, della Se-
zione repubblicana milanese, dei Socialisti dissi-
denti di Firenze, della Lega antitedesca di Milano,
dei giornalisti romani e milanesi, della « Fratel-
lanza Fratti» di Forlì, della « Stampa periodica »,
dei « Fascisti milanesi», dell’ ing. Vaisecchi, di
IL MIO DIARIO DI GUERRA
231
Clemente Pinti, del Comitato delle Federazioni dei
Gruppi autonomi di Milano, del Comitato di propa-
ganda patriottica pure di Milano, dell’ex Consiglie-
re comunale Luigi Bonomelli e di moltissimi e mol-
tissimi alLri.
II maggiore dei bersaglieri R. 1). dello stesso
reggimento del nostro valoroso soldato, scrive
così :
<( Caro Mussolini, non ti raccomando di farti ani-
mo. Ti offenderei, perchè ti conosco mio fiero ber-
sagliere. Ti auguro di cuore pronta guarigione per
averti ancora tra i miei e presto. Arrivederci, mio
buon camerata della trincea, e viva l'Italia!».
Alfonso Vaiana dice :
« Le idee sopravvivono agli uomini; però quando
le idee hanno assertori della vostra tempra, diven-
tano altari sui quali gli uomini si immolano volen-
tieri. Per questo vi auguro la vita e la salute ».
E il dottor Ambrogio Binda, capitano medico,
da Milano :
« Fervidissimi auguri ed un abbraccio. Ti aspet-
to qui! ».
Vedo poi lettere e telegrammi ben auguranti di
Dante Dini, di Giovanni Capodivacca, di Giselda
Brebbia, Ida Bacchi, da Milano; Camillo ed Er-
minia Guaitani da Cassano d'Adda, Luigi Boni da
Forlì, l’editore Ferdinando Zappi da Verona, un
gruppo di operai da Torino; prof. G, C. Ferrari
232
BENITO MUSSOLINI
da Imola; soldato G. B. Ronconi, Pietro Montani
da Reggio Emilia, ecc.
Mi pare di chiudere degnamente la manata di
auguri scelti a caso, con la trascrizione letterale di
questo messaggio da Ferrara :
« Egr egio, come posso augurare bene a mio fi-
" glio, combattente sul Carso, auguro a Voi, sol-
lécito Italiano socialista, una pronta guarigione.
« Vostro Angelini Giovanni, umile lavoratore ».
Quanta nobiltà e quanto cuore in queste poche
righe modeste!
11 tempo urge. Annotta. Mussolini è preso, via
via, da un accentuato torpore. Anziché a diminuire,
la febbre accenna ad aumentare. Gli sussurro qual-
che parola. Apre gli occhi, mi tende la mano, sor-
ride lievissimamente.
Che dovizia di affetti in questi telegrammi
m queste lettere!
— Veramente! — risponde il nostro eroico ber-
sagliere. — Veramente! Ringraziate gli amici che
sono stati con me in quest’ora. Ringraziateli ai
grido di «Viva l’Italia! ». —
R volto di Mussolini, incorniciato dalle bende
che gli fasciano la testa, mi appare assai più pai-
lido, ora. Anche la fronte scotta.
Mi chino su Lui. Ci scambiamo un bacio. Mi al-
lontano volgendomi verso il letto. I suoi occhi
scintillanti e neri — singolari e suggestivi tra il
candore del viso, del letto, delle fasce, di tutto -
IL MIO DIARIO DI GUERRA
888
sono di strano contrasto con tanto bianco. Ma sono
stupendamente sereni.
All uscita, mi intrattengo con i dottori Scipioni
o Calvini.
Le condizioni di Mussolini — essi mi dicono
non sono gravi. Non sono neppure così lievi
come qualcuno ha raccontato. Tutt’allro. Egli ha
molte ferite trapassanti e a fondo cieco, negli arti
inferiori. Una di esse, alla coscia destra, è vasta
circa dieci centimetri. Altre ferite interessano il
capo, la spalla destra (la clavicola è rotta) e,
piu grandemente, la mano destra, nella quale si
riscontra la lesione del carpo. Le schegge trovate
sul suo corpo, in seguito ad esami radiografici,
sommano a circa quaranta. Sono state estratte
quasi tutte in due successivi tempi (operazioni). La
febbre alta che lo ha preso non deve preoccupare.
Essa è dovuta ai processi infiammatori della ferita
alla gamba, ove profilasi il pericolo di un flem-
mone. Scemerà. In ogni modo, salvo ogni compli-
cazione, Mussolini ne avrà per almeno una cin-
quantina di giorni. Se scompare la febbre, potrà
lasciare questo Ospedaletto tra circa una setti-
mana. —
Ho raccolto queste notizie per gii amici. Mi sono
congedato con l’anima triste e sollevata insieme.
A notte alla — splende la luna e tuona il can-
none ~ butto giù queste note affrettate. Fa freddo.
*
❖ *
Lq mattina del 2 aprile Benito Mussolini, accorri -
aru
BENITO M"USSOT,INI
pagnato dal Dr. Piccagnoni, direttore dell’ Ospe-
dalelto da campo ove era stato ricoverato appena
fu ferito, giunse a Milano, accollo con vivissime at-
testazioni di affetto da parte dei Redattori del Po-
polo d'ilalia e di molli amici che ne attendevano
ansiosi l’arrivo.
Con glandi precauzioni fu tolto dal tettuccio del
treno, e trasportato all’ Ospedale territoriale della
Croce Rossa di via Arena, ove fu ricevuto dal capi-
tano clott. Ambrogio Binda, legato a Mussolini da
vincoli di fraterna amicizia.
Il Doti. Binda così parla del periodo in cui ebbe
in cura il ferito.
Lasciando il campo, Mussolini mi scriveva :
« Sono stanco, ho bisogno di riposo. Trovami un
letto nel tuo ospedale ».
Ed entrò nel mio reparto la mattina del 2 aprile.
Mussolini era enormemente deperito, fortemente
anemizzato e febbricitante.
Venne ricoveralo in una modesta stanzetta al se-
condo piano. Doveva sottostare, prima quotidiana-
mente, poi a giorni alterni, a lunghe e dolorose
medicazioni, che egli sopportò con uno stoicismo
ed una forza d’animo impressionanti anche per noi,
rotti a tutti gli orrori delle ferite prodotte dalle
armi moderne.
Non volle mai la narcosi, neppure quando si
trattò di operazioni necessarie complementari.
Era soprattutto la ferita alla gamba destra, che
per la scopertura dei lendini e dei nervi rendeva
spasimante la mgdicazjong,
IT, 5110 DIARIO DI GUERRA
235
Una sola era la sua preoccupazione : « Dimmi,
Binda, riprenderò le funzioni dell’arto? Potrò ritor-
nare in trincea? ».
Passava il suo tempo studiando il russo e l' in-
glese e leggendo opere letterarie e politiche.
Nelle ore pomeridiane aveva la costante compa-
gnia della sua Signora, della buone e gentile si-
gnora Rachele, e dei suoi figli Edda e Vittorio.
Bruno non era ancora nato.
Durante la sua degenza all’Ospedale, non vi fu
uomo politico — italiano o alleato — che, passan-
do per Milano, non abbia sentito il dovere di por-
gere un saluto ed un augurio al nostro martire.
Aveva una parola affettuosa per tutti i suoi com-
pagni d’ospedale, sui quali non voleva avere pre-
cedenza nell’attesa delle medicazioni.
Non ricordo più chi — dei grandi clinici o pen-
satori — ebbe a dire che la prima medicina per la
guarigione è la volontà. Mai, come nel caso di
Mussolini, ebbi a constatare la verità di questa af-
fermazione.
Voleva guarire, voleva che la sua gamba ripren-
desse la funzione; c non c'erano dolori che lo fer-
massero nei suoi sforzi.
Nel suo corpo rimasero c tuttora vi sono, scheg-
ge all’omero destro, alla coscia destra, alle ossa
della gamba destra c alla mano sinistra. E qual-
che volta si fanno sentire!
Nell agosto, Mussolini lasciò l'Ospedale sorreg-
gendosi cop l’aiuto delle gruccg,
236
BESIIO MUSSOLINI
*
* -s
Tutta la stampa italiana di quel tempo ha pub-
blicalo la notizia del ferimento di Mussolini con
commenti di simpatia e di rammarico.
E la stampa francese, poi, se riè pure occupata
largamente ed ha avuto per lui parole cordialis-
sime di solidarietà.
T . Tra 1 giornali esteri vanno notati : Journal des
Débats, Le Figaro, Liberté, La France, Libre Pa-
role, Homme Enchàiné, L’Eveil, La Victoire, Hu-
manité, Bataille, Action Francaise e Piadical.
Fine.
t
INDICE
I. - Settembre-Novembre 1915
^ chi- ■ t. . » Pag. 9
In trincea coi soldati d’Italia ........... » 13
Tra il Monte Nero, il Vrsig e lo Jaworcek . . » 27
Come si vive e come si muore nelle linee del fuoco » 41
Guerra in montagna, tra la neve © il fango . » 55
Le nostre truppe avanzano su Riva e oltre Mon-
falcone 0 8
L’inverno nelle trincee dell’alta montagna . . . » 7 7
II - Febbraio-Maggio 1916
Dalle falde dell’ Jaworcek alle vette del Rombon » 97
Ln mese tra le montagne della Carnia .... » H9
Mussolini al... fronte interno » 150
III - Novembre 1916 - Febbraio 1917
Nota bene
Oltre il lago di Doberdò
Dicembre in trincea . .
Natale
» 161
» 167
» 181
» 107
BASITO Mtrgàoiiifl
238
Saluto, marciando, il 1017 Pag. 205
Ferito! .... » » 217
Il Fé visita Benito Mussolini e i suoi compagni
feriti » 221
Al capezzale di Benito Mussolini » 225
CASA EDITRICE « IMPERIA ■
MILANO (3): Vìa Pietro Verri 12
É pubblicato :
BENITO MUSSOLINI
I discorsi della Rivoluzione
Prefazioni di ITALO BALBO
L, 2,80
Fateicolo in-8° di 64 pagine con copertina a due colori
Fotografia del Duce, fuori testo.
Sono i discorsi pronunziati a Udine, a Cremona, a Milano,
a Napoli, vaticinanti la marcia fascista su Roma immortale, e
degnamente presentati da Italo Balbo, generalissimo delle
milizie della nuova Italia.
In preparazione :
BENITO MUSSOLINI
È la raccolta completa degli scritti tracciati dalla vivida
penna di Mussolini nel turbinoso periodo che dalla proclama-
zione della neutralità del 1914 giunge fino ai recenti fatti
della Patria nostra.
Questa pubblicazione costituirà l’ avvenimento
:: più notevole del 1923 t
HOT ÌCA
MUNALE
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7
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5314
ENTO