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Full text of "Il mio diario di guerra : (1915-1917)"

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Trento 



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VIA_ROMA 
Sezione n. 14 







BENITO MUSSOLINI 


Il mio 

diario di guerra 

(1915-1917) 

con 1 0 illustrazioni fuori testo 



MILANO 

Casa Editrice “Imperia 
1923 








IL MIO DIARIO DI GUERRA 




I 


I 


BENITO MUSSOLINI 


Il mio 

diario di guerra 

( 1915 - 1917 ) 

con I 0 illustrazioni fuori testo 



IMPERIA 

Casa Editrice del Partito Nazionale Fascista 
MILANO - Via Pietro Verri 12 


PROPRIETÀ LETTERARIA 


I diritti di riproduzione e di traduzione sono 
tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia 

Copyright Febbraio 1923 by Casa Editrice 


riservati per 
e I* Olanda. 

Imperia 


- 2 • 1923 ■ Industrie Grafiche AMEDEO NICOLA e C. 


Milano -Varese. 


BENITO MUSSOLINI 

della classe 1883, richiamato alle 
armi il 31 agosto 1915, asse- 
gnato all’ 1 1° bersaglieri, fu man- 
dato al fronte il 2 settembre 


successivo. 


PROPRIETÀ LETTERARIA 


I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per 
tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l’Olanda . 

Copyright Febbraio 1923 by Casa Editrice IMPERIA 


I e - 2 ■ 1923 ■ Industrie Grafiche AMEDEO NICOLA e C. 


Milano -Varese. 


BENITO MUSSOLINI 

della classe 1883, richiamato alle 
armi il 31 agosto 1915, asse- 
gnato all' 1 1° bersaglieri, fu man- 
dato al fronte il 2 settembre 


successivo. 



A CHI... 

A voi, miei commilitoni del fortissimo 11° bersa- 
glieri, dedico queste cronache di guerra. Sono mie 
e vostre. C’è in queste pagine la mia e la vostra 
vita : la vita monotona ed emozionante, semplice 
ed intensa che abbiamo insieme trascorso nelle indi- 
menticabili giornate della trincea. 

Serbo di voi tutti il più profondo ricordo. Che 
voi mi avete offerto una consolante certezza laddove 
non esisteva che una speranza e un atto di fede : 
sulle aspre cime delle Alpi contese — nella dura e 
pur tanto eroica guerra d'assedio — avete dimostra- 
to che la vecchia stirpe italiana non è esaurita, ma 
reca nel suo grembo i tesori di una giovinezza pe- 
renne. 


M. 



1 


SETTEMBRE-NOVEMBRE 1915 



In trincea coi soldati d’Italia 


9 Settembre. 

Da stamani circola la notizia della nostra pros- 
sima, quasi immediata partenza per la linea del 
fuoco- Dove andiamo? Nessuno lo sa dire con esat- 
tezza, Non importa. L’essenziale è di muoversi. Il 
pensiero di passare alcuni mesi in guarnigione mi 
sgomentava. La notizia della partenza si è diffusa 
tra i plotoni, ma non ha sollevato una grande emo- 
zione. E’ tempo di guerra : si va alla guerra. E’ 
naturale! D’altra parte lo stato d’animo di questi 
richiamati dell’84 non è negativo. Uomini di tren- 
t’anni comprendono certe necessità. Vi sono molti 
Interventisti anche all’infuori dei milanesi : ne ho 
conosciuto un altro, un caporale di Crespino, in 
quel di Rovigo. Gli elementi di lievito non man- 
cano. Una grata sorpresa mi attende. Ricevo un bi- 
glietto che dice : « L’ ex-linotipista de\Y Avanti, A- 
dolfo Giretto, ora residente a Rovigo, per mezzo 
dell amico Battaglini, le manda i saluti più affet- 
tuosi, ricordandolo ». Un caporale milanese che era 
stato destinato al deposito, se n’è tornato con 
zaino e fucile in compagnia per andare insieme 
con tutti noi al fronte. Bel gesto! Il caporale 


14 


BENITO MUSSOLINI 


;?i chiama Mario Morani. Giornata melanconica. 
Prima pioggia autunnale. Sottile, silenziosa, insi- 
stente. 


11 Settembre. 

Stamani, insieme con altri dodici soldati, sono 
stato comandato di guardia al Tribunale di Guerra 
del 3 Corpo d Armata. Ho assistito — come senti- 
nella d onore allo svolgimento di due processi 
poco importanti. Primo. Un territoriale di 39 anni, 
imputato di abbandono di posto. Faceva il mu- 
gnaio. Un povero diavolo che è livido di paura. Il 
P. M. chiede un anno di reclusione, ma il Tribunale 
assolve. Secondo processo: quattro imputati di un 
furto di scarpe. E’ una storia complicata e noio- 
sa. Il Tribunale condanna. Credevo, in verità, che 
la Giustizia Militare fosse più sbrigativa, somma- 
ria. E invece minuziosa, analitica. Mi è apparsa 
più incline all’indulgenza di quella civile, per effet- 
to, forse, di quella specie di imponderabile solida- 
rietà professionale che si stabilisce fra uomini 
d’arme. 


12 Settembre. 

Siamo stati richiamati il 31 agosto e la nostra 
vita di guarnigione è già finita. Si annuncia in for- 
ma ufficiale che partiremo domattina alle 7. Si an- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


15 


nuncia anche, che verso mezzogiorno il colonnello 
ci passerà in rivista e ci terrà una « morale ». So- 
no le undici quando la tromba alla porta suona l’at- 
tenti: è il colonnello che entra in caserma. Uscia- 
mo nel cortile, armati senza zaino. Formiamo una 
specie di quadrato. Suona un’altra volta Y attenti 
11 tenente colonnello parla. Discorso terra terra. 
Bisogna trovare altri accenti quando si è dinanzi 
a uomini di trenta e più anni. Bisogna considerare 
i soldati come uomini, non come matricole. Pei 
graduati c’è un supplemento di morale, fatto dal 
tenente Izzo. Io che sono soldato semplice, me ne 
vado fuori. 


13 Settembre. 


Ore due: sveglia e in rango. Ce da ricevere la 
cinquina, un paio di scarpe di fatica, una coperta 
da campo e una scatoletta di carne da consumare 
durante il viaggio. Quest’operazione dura un paio 
d’ore. I bersaglieri si pigiano dinanzi alla fureria. 
Chi fa tutto, dentro, è il sergente Fogli, ferrarese. 
Grida, lavora e suda come un facchino. E’ l’alba! 

— Zaino in spalla! — 

In marcia verso la stazione. Il treno è pronto, 
ma si parte con un lieve ritardo. Siamo 351, com- 
presi i tre ufficiali — un tenente e due sottotenenti 
— ■ che ci accompagnano. Occupiamo i vagoni. Nel- 
l’attesa, una donna, completamente vestita di nero, 
taglia i gruppi delle persone raccolte attorno al 


16 


BENITO MUSSOLINI 


treno e si getta fra le braccia elei marito che parte. 
Il marito, col ciglio asciutto, si divincola dolce- 
mente dalla stretta affettuosa e incuora la donna 
che si allontana — adagio — con le mani sulla 
faccia, per nascondere le lacrime. E’ l’unico epi- 
sodio patetico della partenza. Il nostro vagone è 
adomato di rami. Una prima scossa. Un fischio 
breve. Ecco : il treno va. Addio! Addio! Un agitare 
convulso di mani fuori dai finestrini e un gridare 
tumultuoso : Addio! Addio! Poi canti a voce spie- 
gata. I mei amici gridano : Viva l’Italia! Attra- 
versiamo la campagna bresciana. Vaste distese di 
verde che impallidisce sotto il sole autunnale. La- 
go di Garda. Non l’ho mai visto così bello! Peschie- 
ra. Cittadella grigia. Mi ricorda un anno di vita 
militare. Addio, vaga penisola di Sirmione incan 
tevole! Siamo alle campagne veronesi, melanco- 
niche, sassose. Fa caldo. Sosta a Verona. Sosta 
più lunga a Vicenza. A Treviso grande movimento 
di soldati. Un treno di feriti. Altri vagoni pieni di 
soldati di fanteria si accodano al nostro treno, che 
diventa lunghissimo e deve rallentare la marcia. 
Stazioni : Conegliano, Pordenone, Sacile. 

Crepuscolo serale. Nel cielo che incupisce vol- 
teggia un Farman. A Casarsa lunga tappa. Si ag- 
giungono al nostro treno vagoni di artiglieri. Un 
vagone scoperto porta un cannone di proporzioni 
spettacolose. E’ tutto circondato di fronde verdi. 
Uno dei serventi agita una grande bandiera trico- 
lore. Entusiasmo generale. Saluti fra i soldati del- 
le varie armi. Udine — quando vi giungiamo alle 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


17 


19 — è buia. Interminabili treni per i rifornimenti 
sono immobili lungo chilometri e chilometri di bi- 
nari. Quale somma enorme di sforzi richiede il ri- 
fornimento e vettovagliamento di un esercito che 
combatte! Cividale. E’ notte alta e non vedo nulla. 
Ci rechiamo agli accantonamenti. Càpito coi miei 
amici nel solaio di un contadino. Sonno profondo. 


14 Settembre. 

Sveglia alle cinque. Sento che le mie ossa sono 
un po’ ammaccate. Un’ora di marcia, con uno zaino 
che pesa trenta chili, mi rimetterà in forma. Sia- 
mo nel cortile dell’accantonamento e attendiamo 
l’ordine di partire per Caporetto. Un bambino at- 
traversa la strada gridando : 

— Un aeroplano! Un aeroplano! — 

Ce infatti un velivolo austriaco, altissimo. Im- 
mediatamente entrano in azione le batterie antiae- 
ree. Si ode distintamente il loro crepitìo. Le nuvo- 
lette verdognole degli shrapnels punteggiano l’o- 
rizzonte. 

Ma il velivolo nemico, che si è tenuto sempre a 
una quota altissima, torna indietro. 

Cividale: città simpatica. D’interessante: il mo- 
numento ad Adelaide Ristori. Qui più ancora che 
a Udine si ha l’impressione della guerra vicina. 
File interminabili di camions automobili e di carri 
d’ogni specie vanno e vengono incessantemente. 

Scrivo queste linee nel cortile di una fattoria, 
durante un alt. 


Mussolini. " // mìo diario di guerra . 


2 


18 


BENITO MUSSOLINI 


Qualcuno dei miei compagni dorme. Qualcun 
altro scrive. Sotto un pergolato si gioca alla mor- 
ra. Giunge da lontano il rombo del cannone. Io 
amo questa vita di movimento, ricca di umili e 
di grandi cose. 


25 Settembre. 

Tappa a San Pietro al Natisene. Primo dei sette 
Comuni in cui si parla il dialetto sloveno. Incom- 
prensibile per me. 

Il tenente Izzo ci ha invitati ieri sera a bere un 
bicchiere di congedo con lui. Egli ci accompagna 
sino alla linea del fuoco, poi ritornerà a Brescia, 
per entrare come osservatore nel corpo aviatori. 
Riunione fraterna, simpatica. Son con me Busce- 
ma, Morani, Tafuri, Bocconi. Stamani, sveglia 
alle sei. In marcia! Sole cocente. Il polverone sol- 
levato continuamente dai camions e dalle colonne 
delle salmerie ci acceca. 

Ecco Stupizza, l’ultimo paese italiano prima del- 
ia guerra. Troviamo della birra eccellente a un 
prezzo discreto. 

Di lì a poco giungiamo alla linea del vecchio 
confine. A lato della strada c’è una casa e un posto 
di guardia. Le insegne austriache sono scomparse. 

Momento d’emozione per me che mi ricordo di 
essere stato nell’ottobre del 1909 sfrattato da « tutti 
i paesi e regni dell’Impero austriaco». 

Il tenente grida : 

— Viva l’Italia! — 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


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10 che mi trovo in testa alla colonna ripeto il 
grido, ed ecco quattrocento voci gridare in coro : 

— Viva l’Italia! — 

Giungiamo dopo una marcia faticosa a Robich, 
primo villaggio ex austriaco- A Robich, tappa di al- 
cune ore. Ci precipitiamo nell’unica osteria. Noto 
un bambino di sei o sette anni che si afferra al 
braccio di una pompa e ci serve di acqua. Gli do- 
mando : 

— Come ti chiami? 

— Stanko. 

- — E poi? — 

11 bambino non capisce e non risponde. Lo do- 
mando a una ragazza che attraversa il cortile. 

— Si chiama Robancich. — 

Nome prettamente slavo. 

Nel prato, poco lungi, un caporale, il milanese 
Bascialla, fa circolo. Ha ritagliata e l’ ha conser- 
vata nel portafoglio una cartina della zona di guer- 
ra. Col dito teso, egli indica il famoso e misterioso 
Monte Nero. 

Iscrizione trovata, due chilometri prima di Ca- 
poretto, su di una cappella votiva al ciglio della 
strada : 

Nikdar Noben se ni Bìl zapuscen 
Kiv varino Marjis Bil izzogen. 

Caporetto. Non ho visto che un campanile 
bianco con una guglia grigio-verde, sottile. Una 
moltitudine di soldati si affolla attorno a noi per 
cercare i compaesani. Ci accampiamo poco lungi 
dall’Isonzo, sulla nuda terra. Miei compagni di 


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BENITO MUSSOLINI 


tenda: caporale Buscema, caporale Tafuri, capo- 
ral maggiore Bocconi. Nella notte romba il canno- 
ne, verso Gorizia. Nell’accamp amento — vigilato 
dalle sentinelle — silenzio alto. Si sente la guerra. 


16 Settembre. 

Mattinata fredda. Sull’Isonzo è un velo di neb- 
bia. La notizia del mio arrivo a Caporetto si è dif- 
fusa. Discorsi e impressioni. Due soldati d’arti- 
glieria. Accidenti! A sentirli, il nostro esercito è 
quasi interamente distrutto; l’Inghilterra dorme; 
la Francia è spezzata; la Russia finita. 

Discorsi odiosi e imbecilli che io ho sentito ripe- 
tere tante volte. I due compari — che non sono 
mai stati al fuoco — la piantano in tempo giusto 
per evitare una energica cazzottatura. Ma ecco tre 
bolognesi. Il loro morale è infinitamente migliore. 

Durante la distribuzione del rancio, un capitano 
medico mi cerca tra le file. 

— Voglio stringer la mano al Direttore del Po- 
polo d’Italia. — 

Pomeriggio di chiacchiere. Episodi di guerra. 
Esaltazione unanime degli alpini. L’Isonzo! Non 
ho mai visto acque più cerulee di quelle dell’Ison- 
zo. Strano! Mi sono chinato sull’acqua fredda e ne 
ho bevuto un sorso con devozione. Fiume sacro! 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


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17 Settembre. 

Partenza. Andiamo aggregati non più al 12° ber- 
saglieri, ma all’ 11°, che si trova sulla catena del 
Monte Nero. Un sottotenente medico rodigino che 
sta al comando di tappa, vuole conoscermi e salu- 
tarmi. Mi offre una eccellente tazza di caffè. Siamo 
in rango. Il tenente Izzo ci fa alcune raccomanda- 
zioni. Ci dice che a un certo punto della strada 
saremo a tiro del cannone nemico. 

— Guai ai ritardatari! — 

Il battaglione non sembra affatto preoccuparsi. 
— Classe di ferro, 1’ 84! — 

11 « morale » è ancora più elevato. I discorsi stu- 
pidi che erano rari prima, non si odono più. C’è 
dell’allegria. Un artigliere di Corticella, tale Men- 
goni, mi accompagna per un tratto di strada. 

Attraversiamo gli attendamenti delle salmerie e 
degli alpini. L’artigliere bolognese di quando in 
(filando mi precede per annunciare a gruppi di 
suoi amici il mio passaggio. Molti mi salutano con 
simpatia. Auguri! Valichiamo l’Isonzo. A Magozo 
piccolo paese sloveno, dove non sono rimaste 
che due vecchie, le quali si nutrono col rancio dei 
soldati — incontriamo una colonna di prigionieri. 
Li circondiamo. Sono 46. Un intero plotone, con 
un cadetto e un sott ufficiale. Il loro equipaggia- 
mento è buono. Siedono su due file per terra. Mol- 
ti fumano. Hanno, specie gli anziani, l’aria soddi- 
sfatta. Ma il cadetto, che sta dietro agli altri, è ner- 
voso. Si morde le labbra. Trattiene a stento le la- 
crime. Il caporale Tafuri gli dice : 


22 


BENITO MUSSOLINI 


— Non temete, in Italia sarete trattato bene. 

— Glauben Sie? — interroga dubitoso il cadetto. 

E’ giovane. Non arriva ai vent’anni. 

Un bersagliere di scorta mi racconta come fu- 
rono catturati. Di fronte alle posizioni del 33° batt. 
dell’ 11° bersaglieri c’era una trincea dall’ aspetto 
formidabile. La notte scorsa è stata ordinata l’a- 
vanzata. Una squadra di bersaglieri si è spinta 
inosservata fin sotto i reticolati e ha fatto brillare 
un tubo di gelatina, seguito da un assalto irrom- 
pente alla baionetta. Gli austriaci non se l’aspetta- 
vano, non sono riusciti a sparare che qualche fu- 
cilata. Hanno levate le braccia. Si sono arresi. 

— Bono taliano, rispettare prigioniero! — 

Riprendiamo la nostra marcia. Dobbiamo rag- 
giungere la quota 1270. Siamo sulla mulattiera che 
va al Monte Nero. Incontriamo dei feriti. Alcuni 
leggeri che fumano e sorridono. Altri più gravi. 
Uno di essi ha il volto coperto da un giornale. 
Sotto si vede la faccia tumefatta e insanguinata. 
Due feriti austriaci. Uno leggero. Un altro più 
grave: deve aver le braccia spezzate. Sono diretti 
aH’infermeria — sezione della Sanità — di Ma- 
goso. 

Colonne lunghissime di salmerie. Senza i muli 
non sarebbe possibile le guerra in montagna. I più 
stanchi di noi caricano gli zaini sui muli. 

Verso sera giungiamo nella zona battuta dal- 
l’artiglieria austriaca. Fischiano nell’aria — col 
loro sibilo caratteristico — le granate. Sono for- 
midabili. Qualche bersagliere è un po’ emozionato. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


28 


Io che marcio in fondo alla colonna, incoraggi© 
coloro che mi stanno vicini. 

Passata la prima e comprensibile emozione, la 
marcia faticosa con zaino completamente affardel- 
lato riprende, sotto il fuoco abbastanza accelerato 
dell’artiglieria nemica. Una granata scoppia vicino 
a una colonna di muli, ma non fa vittime. Un’altra 
cade e scoppia in prossimità di un gruppo di ber- 
saglieri e solleva un turbine di schegge. 

Un bersagliere grida che è ferito. Ha avuto la 
clavicola frantumata. Un’altra granata scoppia ac- 
canto a un altro gruppo nel quale mi trovo io. 
Spezza diversi grossi rami di un albero. Siamo 
coperti di foglia e terriccio. Nessun ferito. Gli au- 
striaci tirano a caso. Imbruna quando giungiamo 
al comando. Siamo attesi da un maresciallo. Sia- 
mo da dodici ore in marcia. Nessuno è rimasto 
indietro. E si tratta di soldati dei distretti di Cre- 
mona, Rovigo, Ferrara, Mantova, nati e vissuti 
nelle più basse pianure d’Italia. Vecchia e sempre 
giovane stirpe italica! Un bersagliere mantovano 
mi avvicina e mi dice : 

— Signor Mussolini, giacché abbiamo visto che 
lei ha molto spirito (coraggio) e ci ha guidati nella 
marcia sotto le granate, noi desideriamo di essere 
comandati da lei... — 

Sancta simplicitas / 

Ci contano e ci dividono nei tre battaglioni del- 
1’ 11° bersaglieri. 

E’ l’ora della separazione. Il tenente Iz«o, che 
(orna a Brescia insieme con l’ottimo caporale Bia- 
gio Biagi di Cento, ci saluta. Noi, assegnati al 


24 


BENITO MUSSOLINI 


33° battaglione, riprendiamo la marcia in fila in- 
diana. Sono le dieci. Sotto a un costone fumano le 
marmitte delle cucine. Ci preparano il rancio. Un 
po’ scarso, ma eccellente. Pasta, brodo, un pezzo 
di carne. Ma molti assetati chiedono invano del- 
1 acqua. Ci stendiamo fra i macigni, all’aria aper- 
ta. Non fa freddo. Notte stellata, plenilunare. 

Silenzio. Spettacolo fantastico. Siamo in alto! 
Siamo in alto! Già battezzati dal fuoco dei cannoni. 
Così si chiude la prima giornata di guerra! 


Sabato, 18 Settembre 

Stamani ci hanno diviso nelle tre compagnie del 
battaglione. L’operazione è stata lunga. Alcuni ca- 
porali e sergenti ci hanno fatto passare il tempo, 
raccontandoci episodi gloriosi dell’ 11° bersaglieri 
durante i primi mesi di guerra. 

Sono assegnato all 8 a . Sono con me Buscema, 
Morani, Tafuri. Verso sera ci muoviamo per rag- 
giungere la nostra posizione. Invece di andare per 
la mulattiera, diamo la scalata — quasi verticale — 
al costone. Dobbiamo giungere a quota 1870. Una 
discreta altitudine, come si vede. L’ascensione ci 
abbrevia di almeno tre ore il cammino, ma è fati- 
cosa, tanto più che non abbiamo il bastone da 
montagna e portiamo lo zaino. Gli uomini dei 
« posti di collegamento » ci hanno guidato. Nes- 
suno è rimasto indietro, ma siamo giunti a notte 
inoltrata. Prima di giungere alla meta, passiamo 
accanto a fosse di soldati italiani. Quattro o cin- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


25 


que. Mi sono chinato su una rozza croce di legno 
e ho letto. 

Oscar De Lucia, sergente 
morto il 13 settembre 1915. 

Le altre croci non recano nomi. Sono fosse col- 
lettive. 

Poveri morti, sepolti in queste impervie e soli- 
tale giogaie! Io porto nel mio cuore la vostra me- 
moria! 

Ci siamo accovacciati fra i sassi, sotto le stelle. 
Un ufficiale è passato fra noi e ci ha ordinato di 
caricare i fucili e di innastare le baionette. Nes- 
suno, per nessun motivo, deve abbandonare il pro- 
prio posto! 

Alle dieci è incominciata l’azione. Ecco il pam 
secco e fragoroso dei fucili italiani. I fucili austria- 
ci affrettano il loro ta-pum. Le « motociclette della 
morte » incominciano a galoppare. Il loro ta-ta- 
ta-ta ha una velocità fantastica. Seicento colpi a! 
minuto. Le bombe a mano lacerano l’aria. Dopo 
mezzanotte il fuoco è di una intensità infernale. 
Razzi luminosi solcano ininterrottamente il cielo, 
mentre si spara disperatamente su tutta la linea 
Raffiche di pallottole scrosciano sulle nostre teste. 

■ — A terra! A terra! — si grida. 

Ma io debbo alzarmi per cedere il mio posto a 
un ferito che ha le braccia massacrate dallo scop- 
pio di una bomba. Mi chiede con voce lamentosa 
dell’acqua, ma il soldato portaferiti mi prega di 
non dargliene. Copro il ferito con la mia coperta 
di lana. Fa freddo. Dopo mezzanotte una esplosio- 


26 


BENITO MUSSOLINI 


ne formidabile ci fa balzare in piedi. Una mina au- 
striaca ha fatto saltare parte del cocuzzolo occu- 
pato da un plotone deirà 0, compagnia. Un grande 
baleno solca il cielo tempestoso e un boato pro- 
fondo riempie la valle. Passano altri feriti lievi 
che si recano senza aiuto al posto di medicazione. 
11 fuoco di fucileria diminuisce. Verso l’alba cessa. 
La prima notte di vita in trincea è stata movimen- 
tata ed emozionante. Di buon mattino, i nostri 
cannoni tempestano di proiettili le posizioni nemi- 
che. Poi, anche i cannoni tacciono. Nella valle è 
la nebbia. Sulla cima dove ci troviamo, il sole. Nel- 
l’ accampamento, il silenzio pieno e pensoso dei 
soldati all’indomani di una battaglia. 


Tra il Monte Nero, 
il Yrsig e lo Jaworcek 


2 9 Settembre. 

Dopo la distribuzione del caffè, adunata. Il mag- 
giore Cassola, comandante del battaglione, ci tie- 
ne un breve discorso di saluto e di incoraggiamen- 
to. Parole affettuose e toccanti. Vicino al posto di 
medicazione, dal quale ci parla il maggiore, è un 
ferito, con una gamba spezzata da una scheggia di 
bomba. Faccia serena. Profilo delicato. Chiede un 
sorso di caffè. Una sigaretta. E lo portano via. 
Fuoco stracco di fucileria tra le vedette. Nuova 
adunata. E’ il capitano della compagnia, Vestrini, 
che viene a salutarci. Ha la testa fasciata. Stanot- 
te, mentre in piedi da prode e valoroso dirigeva il 
combattimento, una pallottola nemica lo ha ferito 
alla faccia. Per fortuna, non è grave. Egli ci dice : 

— Il comando del battaglione vi ha destinati alla 
mia compagnia. Da due giorni voi appartenete a 
un Reggimento eroico che qui, su queste rocciose 
cime, ha compiuto gesta memorabili. Queste terre, 
che erano e sono nostre, le abbiamo riconquistate. 
Non senza spargimento di sangue. Anche stanotte. 


28 


BENITO MUSSOLINI 


una maledetta mina austriaca ha seppellito molti 
dei miei bersaglieri, ma i nemici l’hanno pagata 
cara. Le nostre mitragliatrici, come avete sentito, 
non sono state inoperose. Voi siete qui a compiere 
;1 più sacro ed il più aspro dei doveri che un cit- 
tadino ha verso la patria. Ma io conto su di voi. 
Siete uomini già temprati alle lotte della vita. 
Quando sarete amalgamati ed affiatati cogli an- 
ziani, voi sarete animati dallo stesso entusiasmo e 
dall identica volontà di vincere. Voi troverete in 
me, non solo il superiore, ma il padre, ma il fra- 
tello. Dove potrò agevolarvi, lo farò. Fidatevi di 
me. Auguri! — 

Il capitano ha finito. Le sue parole, franche e 
commosse, sono scese nel profondo dei nostri cuo- 
ri. E’ un uomo che ispira molta fiducia e molta 
simpatia. Un tenente fa un passo innanzi e grida : 

— Bersaglieri dell’ottava compagnia, al vostro 
capitano Vestrini, hurra! 

— Hurra! Hurra! Hurra! — rispondiamo noi, a 
gran voce. 

I portaferiti stanno ora raccogliendo i cadaveri 
uei soldati caduti stanotte. Sei, finora. Vengono 
deposti ai margini della mulattiera, nell’attesa di 
essere identificati e sepolti. C’è fra loro un magni- 
fico tipo di abruzzese, che ho conosciuto ieri. Ha 
la lesta avvolta in un telo da tenda. I morti sono 
coperti. Non si vedono che le mani irrigidite, nere 
per il fango della trincea. I soldati anziani passano 
e non guardano. 

Ho notato — con piacere, con gioia — che tra 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


29 


ufficiali e soldati regna la più cordiale camara- 
derie. 

La vita di rischi continui lega le anime. Più che 
superiori, gli ufficiali mi appaiono come fratelli. E’ 
bello! Tutto il formalismo disciplinare della caser- 
ma è abolito. Anche l’uniforme è quasi abolita. 
Proibito — anche nei ripari — di portare il berret- 
to fez. Abolito il pennacchio tradizionale al cap- 
pello. Caschi di lana, invece, che i soldati fregiano 
esteticamente di una stelletta. Si può parlare con 
un ufficiale, senza bisogno di impalarsi sull’attenti. 
E’ difficile, in montagna, star sull'attenti... 

Con questi ufficiali, coloro che parlano di un 
rafforzamento del militarismo, con la inevitabile vit- 
toria italiana, si divertono a inseguire dei fantasmi. 
Il militarismo « made in Germani / » non ha attec- 
chito in Italia. D’altronde questa guerra, fatta dai 
popoli e non dagli eserciti di caserma, segna la 
fine del militarismo di casta o professionale. 

L’enorme maggioranza degli ufficiali italiani è 
venuta, con la mobilitazione, dalla vita civile. Tut- 
ta l’ufficialità dei subalterni è formata di tenenti e 
sottotenenti di complemento che si battono e muo- 
iono da pfodi. 

Alcuni ufficiali mi vogliono conoscere. Ecco il 
sottotenente Lohengrin Giraud. Giovane e valoro- 
so. Proposto per la medaglia d’argento al valor 
militare. 

— Ho un nome tedesco, o piuttosto wagneriano 
— mi dice — ma detesto i tedeschi. 

Mi narra. L’11 settembre, la 3 a compagnia ebbe 
l’ordine di attaccare il cocuzzolo dell’Vrsig, di con- 

i 


30 


BENITO MUSSOLINI 


quistarlo e di gettare in basso — dall’altra parie 

— gli austriaci. La compagnia era comandata da 
Umberto Villani. Un audace. Un uomo che non 
sapeva nè ridere, nè sorridere. Scoccata l’ora, mez- 
zogiorno e dieci, il Villani si lanciò all’assalto fra 
i primissimi, alla testa del « plotone d’onore » che 
egli aveva costituito fra i migliori elementi della 
compagnia. Appena iniziato il combattimento, il 
Villani — che stava ritto in piedi per ordinare 
la disposizione delle squadre che avanzavano — fu 
ferito da una fucilata. Non se ne curò. Di lì a pochi 
minuti, fu abbattuto dallo scoppio di una bomba. 
Ebbe appena il tempo di gridare : 

— Bersaglieri della settima, avanti! A destra! 
Stendetevi a destra! Viva l’Italia! — 

E’ morto. Allora il comando della compagnia fu 
assunto dal sottotenente milanese Giraud In pie- 
di, anche lui, ferito anche lui, non però grave- 
mente, incurante del pericolo e della morte, dires- 
se la furiosissima battaglia, che durò venti ore. 
Esaurite le bombe, si ebbe un a corpo a corpo mi- 
cidiale e indescrivibile. Ma l’ azione fu coronata 
da successo. Gli austriaci furono rigettati dall’altra 
parte del cocuzzolo. Molti cadaveri nei burroni. 

— Mi piacerebbe di averti nella settima com- 
pagnia — mi dice Giraud. 

Tenente Cauda, dei carabinieri, venuto a com- 
battere volontario. E un sardo. Coraggio e sangue 
freddo eccezionali. Parla lento, all’inglese. Tenen- 
te Corbelli, romagnolo, di Russi. 

Una voce : 

— C’è qui il bersagliere Mussolini? 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


31 


— Sono io. 

— Vieni che voglio abbracciarti. — 

E ci abbracciamo. E’ il capitano Festa della 
10* compagnia del 157° fanteria, che occupa le no- 
stre posizioni. 

— La *tua campagna giornalistica per l’inter- 
vento onora te e il giornalismo italiano! — aggiun- 
ge, alla presenza dei bersaglieri disseminati nei 
ripari. 

— Questa, caro Mussolini, è una guerra terri- 
bile. Abbiamo di fronte dei barbari che ricorrono 
a tutte le insidie... Ma — e si volge anche agli al- 
tri — coraggio e, soprattutto, religione del do- 
vere! — 

Se ne va. E’ basso, tarchiato, barbuto. Porta 
gli occhiali. I suoi soldati parlano di lui con vene- 
razione. 

La mia compagnia è comandata ai posti avan- 
zati, di guardia. 

Tramonto. Il caporale Claudio Tommei — ro- 
mano — mi offre un passamontagna e un numero 
del Rugantino. Grazie. Quando, in Italia, si par- 
lava di trincee, il pensiero correva a quelle in- 
glesi, scavate nelle pianure basse di Fiandra e mu- 
nite di tutto il comfort, non escluso — si dice — il 
lermosifone. Ma le nostre, qui, a quasi 2000 metri 
sul livello del mare, sono ben diverse. Si tratta 
di buche scavate fra le rocce, di ripari esposti 
alle intemperie. 

Tutto provvisorio e fragile. E’ veramente una 
guerra di giganti quella che i soldati d’Italia — 
fortissimi — combattono. 


32 


BENITO MUSSOLINI 


Non dobbiamo espugnare delle fortezze, dob- 
biamo espugnare delle montagne. Qui, il macigno 
è un arma e micidiale quanto il cannone! 

Il vento della sera porta in alto il freddo e il 
fetore dei cadaveri dimenticati. 

Notte chiara, di stelle. 


20 Settembre. 

Appena è giorno, il capitano mi chiama. Vado 
con lui alla trincea più avanzata. Riparato da due 
sacchetti di terra, posso guardare, con una rela- 
tiva tranquillità, il luogo conteso. E’ uno spiazzo 
di forse 150 metri quadrati. Non più. Il « cocuz- 
zolo » ha perduto i suoi connotati. E’ stato spia- 
nato, livellato dalle bombe e dalle mine. Macigni 
frantumati, grossi pali, fili di ferro, stracci di uni- 
forme, zaini, borracci : segni delle tempeste. Gli 
austriaci sono a treni: metri — appena — da noi. 
Non si fanno vedere 

Le nostre mitragliatrici non scherzano. Chi si 
scopre, è fulminato. 

Un siciliano coraggiosissimo, tal Failla, sta ol- 
tre la trincea e getta bombe. Gli mancano, a un 
certo punto. Il caporale Morani gliele porta volon- 
tariamente. E appena giunto che una bomba au- 
striaca gli cade vicina. Per un momento non lo 
vedo più. Trepidazione. Ma ecco che si rialza e 
viene di corsa verso di noi. Mi cade fra le braccia. 
E soltanto ferito. Ha il volto sporco di polvere e 
di sangue. Le ferite sono alle gambe. Vuole che 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


33 


io lo accompagni ai posto di medicazione. Lo por- 
tiamo in barella, io e il portaferiti Greco. Il Mo- 
rani è calmo, tranquillo. A T on un grido, non un 
gemito. Contegno da vero soldato. Il tenente me- 
dico gli fa una prima sommaria medicazione e mi 
assicura che le ferite non sono gravissime. Ci ab- 
bracciamo. Il Morani è portato via in barella, io 
torno al mio posto. Giunge un ordine scritto : 

— Il bersagliere Mussolini deve presentarsi, ar- 
mato, al Comando del Reggimento! — 

Zaino in spalla. Un’ora di marcia. La sede del 
Comando è in una modesta e rozza baracca di 
legno. 

— Prima di tutto — mi dice il colonnello — ho 
d piacere di stringervi la mano e sono lieto di a- 
vervi nel mio Reggimento; poi, avrei un incarico 
da affidarvi. Voi dovreste rimanere con me. Siete 
sempre in prima linea, esposto, anche, al fuoco 
dell’artiglieria. Dovreste sollevare il tenente Pa- 
lazzeschi di una parte del suo lavoro amministra- 
tivo e dovreste scrivere, nelle ore di sosta, la storia 
del Reggimento, durante questa guerra. E’ una 
proposta quella che vi faccio, beninteso; non un 
ordine! — 

Il colonnello Giuseppe Rarbieri è un romagnolo, 
di Ravenna. Ha infatti la « linea » del romagnolo. 

Gli rispondo: 

— - Preferisco rimanere coi miei compagni in 
trincea... 

— E allora non se ne parla più. Accettate un 
bicchiere di vino. — 


Mussolini. - Il mio diario di guerra . 


3 


34 


BENITO MUSSOLINI 


Non è buono il vino del colonnello, ma in man- 
canza di meglio... 

Ho chiesto e ottenuto di passare alla 7 a compa- 
gnia per essere insieme col tenente Giraud. 

Alcuni bersaglieri, addetti al Comando, mi ma- 
nifestano le loro meraviglie per il mio rifiuto. 

— Sono alla guerra per combattere, non per 
scrivere! — 

Risalendo il monte, passo vicino alle cucine. C’è 
un enorme 305 non esploso. Poco lungi un cada- 
vere di austriaco, abbandonato. Il morto stringe 
ancora fra i denti un lembo di bavero della sua tu- 
nica che — strano! — è ancora intatta. Ma sotto, 
attraverso la carne in putrefazione, si vedono le 
ossa. Gli mancano le scarpe. Si capisce! Le scarpe 
degli austriaci sono molto migliori delle nostre. 
Poco prima di arrivare alla trincea, incontro Gi- 
raud col mio nuovo capitano, Adolfo Mozzoni. Gli 
riferisco il mio colloquio col colonnello. Si congra- 
lula del mio rifiuto che giudica «nobilissimo». 

— Anch’io sono un po’ giornalista, — mi dice, 
— e faremo insieme un giornale delle trincee... 


21 Settembre. 

Sono andato a salutare gli amici dell’8 a com- 
pagnia. Trovo il capitano Vestrini, ferito una se- 
conda volta da pallottola che gli ha attraversato 
la guancia. Se ne va alfinfermeria. 

Tornando dal Comando del battaglione, mi con- 
segnano un giornale vecchio di quattro giorni. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


35 


Posta dall’Italia, niente ancora. Pazienza. Ma un 
guardafili mi passa una missiva a mano. E’ la 
lettera scritta a matita di un soldato, che incon- 
trai per la prima volta, durante la marcia verso la 
linea del fuoco, a Planina Za-Plecan. Volle allora 
che firmassi una cartolina. Si è ricordalo di me. 
E’ certo Rusconi Francesco, dimorante in via Mal- 
pensata, 2, a Lecco, e ora soldato di fanteria. 

E’ un documento interessante, nella sua commo- 
vente semplicità, e dimostra da quali spiriti siano 
sorretti gli umili soldati d’Italia. Dice : 

« Caro. Mussolini, sono un povero operaio sol- 
dato. Tratto dagli studi a tenera età per le gravi 
condizioni di famiglia, venivo posto nella grande 
fiumana proletaria e da essa coinvolto. Tanto fu 
il mio dolore a lasciare le scuole elementari; ma 
il pensiero di portare un non lieve contributo di 
sollievo alle tristi condizioni della mia famiglia, 
mi rendeva orgoglioso. Per gli studi, pensavo, de- 
dicherò le ore libere: così feci». 

Dopo aver parlato delle lotte fra neutralisti e 
interventisti, prosegue : 

« Poco tempo dopo, era per me l’ora di aggiun- 
gere l’opera al pensiero. Son oggi, otto mesi ». 

Parla del nostro incontro e continua : 

« Mi lasciò la sua firma, ma più ancora sento, 
nel mio cuore e nell’anima mia, una luce viva ed 
un contento che giammai scorderò e che mi ac- 
compagneranno fino al compimento del destino del- 
la Patria... ». 

Non è semplice e non è grande il linguaggio di 
questo ignoto soldato operaio? 


33 


BENITO MUSSOLINI 


E venuto 1 ordine di dare il cambio alla 9 a com- 
pagnia che occupa uno dei costoni avanzati del 
Vrsig. Si parte. Marcio in testa alla colonna, in- 
sieme col tenente Giraud. Tragitto lungo e fatico- 
so. Attraversiamo due passaggi pericolosi. Neh 
l uno cè il pericolo delle mitragliatrici; nell’altro 
c è il rischio di essere schiacciati dai macigni che 
gli austriaci rotolano continuamente dall’alto. Il 
mio caposquadra è il calabrese Lorenzo Pinna di 
Nicastro, studente, volontario. Suo padre è un in- 
gegnere del Genio Civile. 

Chi avrebbe mai pensato che mi sarei trovato 
con Mussolini soldato semplice! Lo scrivo subito 
a mio padre, che spesso mi parlava di lei. — 

Nel primo passaggio scoperto, che attraversia- 
mo — molto distanziati gli uni dagli altri e di cor- 
sa c è il cadavere di un soldato austriaco. E’ 
voltato con la faccia contro terra. Rotolando dal- 
l’alto, l’uniforme è andata in brandelli. La schiena 
è nuda e nera come l’inchiostro. Fetore. Il tenente 
Giraud ci precede sempre. Nelle sue parole, mi 
sembia di scorgere qualche oscuro presentimento. 

Vedi, Mussolini, qui si può morire e si muo- 
re, senza combattere... — 

Abbiamo appena occupato il ripidissimo pendìo 
del monte, che una triste notizia si diffonde fra noi. 

Il tenente Giraud è rimasto ferito gravemente dal- 
la fucilata di una vedetta austriaca, mentre si re- 
cava insieme col capitano e il sergente a ispezio- 
nare la posizione. La pallottola gli è entrata dalla 
spalla. Vedo venire verso di me il portaferiti Al- 
berto De Rita che mi dice : 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


37 


— Il tenente Giraud mi manda a salutarvi... — 
La notizia ha rattristato profondamente tutti i 
bersaglieri che amano molto il loro ufficiale e ad- 
dolora me, in particolar modo. E’ sera. Ci sten- 
diamo accanto agli alberi sulla nuda terra. Razzi 
luminosi e pioggia di bombe. 


22 Settembre. 

Calma. Qualche cannonata, qualche fucilata del- 
le vedette. Giornata meravigliosa di sole. Il capi- 
tano Mozzoni mi chiama alla sua tenda. Trovo con 
lui il sottotenente Fava, del 27° battaglione. Lun- 
ga, amichevole conversazione. 


23 Settembre. 

Siamo a 1897 metri d altezza. 11 pendìo della 
montagna è del 75-80 %. Una vera parete. Guai a 
rotolare un sasso! Per salire e scendere ci giovia- 
mo di una corda che, legata agli alberi, va dal 
Comando della compagnia al posto estremo di col- 
legamento, in fondo valle. Ieri sera, pioggia ecce- 
zionale di bombe. Sono bombe che si annunciano 
con un sibilo curiosissimo. Quasi umano. Sono 
lanciate col fucile. Se trovano il terreno molle, non 
scoppiano. Ma ieri sera sono scoppiate quasi tutte. 
Nessuno di noi ha potuto chiudere occhio. Un mor- 
lo e un ferito. Il morto è tal Bertelli, richiamato 
dell 84, contadino di Migliarino (Ferrara). La bora- 


38 


BENITO MUSSOLINI 


ha gli è scoppiata sopra e gli ha squarciato il pet- 
to. Il ferito non è grave. Si distribuisce la posta. 

Il mio compagno di trincea, l’abruzzese Giacob- 
be Petrella, di Pescasseroli (Aquila), lavora furio- 
samente di vanghetta e piccozzino per rendere un 
pochino più solido il nostro riparo. Accanto a me 
alcuni bersaglieri giocano tranquillamente a sette 
e mezzo. E’ quell’ indemoniato di Marcamo che 
tiene il banco. 

Mi metto a giuocare anch’io e perdo. Se non 
tuonasse il cannone, non sembrerebbe di essere in 
guerra. 


24 Settembre. 


Giornata di grande sole. 

Nel bosco è un lento cadere di foglie. Si diffon- 
dono tra le squadre le prime notizie. Non sono 
liete. 

Ieri sera, sull’imbrunire, un richiamato che si 
recava di corvée a prendere il pane, nel l’attraversa- 
re la solita posizione scoperta, è stato fulminato da 
una fucilata. Si chiama Biagio Benati, dell’84, 
ferrarese anche lui. 

Vedo passare gli zappatori. Il porta-mensa degli 
ufficiali, tal Rossi Giuseppe, manca. Ferito? Mor- j 
to? Disperso? Bombe, bombe, bombe tutta la notte, 
sino all’alba. Nessun morto, alcuni feriti. Matti- 
nata di sole e di cannoneggiamento. Passa un Tau- j 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


39 


be altissimo. Bianco. A tremila metri. La posta. 
Per noi, richiamati dell’84, nulla. E’ triste! 


25 Settembre. 

Stanotte dalle 2,30 alle V/4 sono montato di ve- 
detta per la nostra squadra che si trova a un posto 
avanzato. Era con me, altra vedetta, Barnini Wa- 
shington, certaldese. Vero toscano del paese di 
Boccaccio : ogni parola, due bestemmie. Sono sta- 
to con orecchi ed occhi spalancati, ma nessuno si 
è visto. Quattro bombe sono scoppiate a pochi me- 
tri dal nostro posto. Luna velata da nubi bianche. 
Veniva dal burrone il tanfo dei cadaveri dissepolti. 
11 bel tempo è finito. Ieri, ancora il sole — un po’ 
stanco — del settembre; oggi la nebbia, la piog- 
gia, il freddo dell’inverno. Turbinìo di foglie che 
cadono con rumore secco sui nostri teli da tenda. 
I miei compagni, della prima squadra, Pinna, Pe- 
rella, Barnini, Simoni, Parisi, Di Pasquale, Bot- 
tero, Pecere, accovacciati come me sulla nuda 
terra, nel cavo di una roccia, dalla quale filtra l’ac- 
qua, sono silenziosi. Qualcuno dorme. Piove. 


26 Settembre. 

Piove sempre. Da ventiquattro ore. Io sento 
l’acqua fredda che mi lava la pelle e finisce nelle 
scarpe. Stanotte un nostro posto di collegamento 
di quattro uomini e un caporale è stato catturato 


40 


BENITO MUSSOLINI 


dagli austriaci truccati da bersaglieri. Nessuna 
nuova del porta-mensa Rossi. Il sergente Simonelli 

10 dà per « disperso ». Stanotte nessun ferito. Gra- 
zie all umidità del terreno, poche bombe sono scop- 
piate. Il capitano Mozzoni, che ha ricevuto in dono 
due bottiglie di cognac, lo ha fatto distribuire ai 
bersaglieri. L atto indica il cuore e la gentilezza 
dell’uomo. 

Mentre scrivo, la pioggia è diventata nevischio 
che batte sonoramente e rabbiosamente sulla no- 
stra tenda. Il che non impedisce a Pinna e Barnini 
di intonare una canzone nella quale si parla di 
una «regina che si vorrebbe incoronare». Rom- 
ba, a intervalli, il cannone. Ora cantiamo tutti in- 
sieme : 

E la bandie-era 
Dei ire colo-ori 

E’ sempre stata la più bella, bella, bella 
Noi vogliamo sempre quella 
Noi vogliamo la libertà... 

Distribuzione gratuita di tabacco, sigari, siga- 
rette. Parisi m’insegna : « Non bisogna accendere 
in tre con lo stesso fiammifero. Altrimenti muore 

11 più piccolo dei tre ». 

Superstizioni delle trincee. Accendiamo in due. 
Fumo. 


Come si vive e come si 
muore nelle linee del fuoco 


27 Settembre. 

Da ieri mattina non abbiamo in corpo che un 
sorso freddo di caffè. Piove sempre. Da due gior- 
ni, ininterrottamente. Stanotte non ho chiuso oc- 
chio. Mi trovavo sotto la tenda con un tal Jannaz- 
zone, un contadino del Beneventano, il quale, in- 
zuppato fradicio, come me, e un po’ febbricitante, 
gemeva : 

— Madonna mia bella! Madonna mia bella! 

— Basta, basta, Jannazzone! — gli ho detto. 

— Non credete in Dio, voi? — 

Non ho risposto. 

Io, invece, ingannavo il tempo, le dodici ore in- 
terminabili della notte, rimemorando le poesie im- 
parate nel bel tempo felice e lontano della mia gio- 
vinezza. Effetto delle circostanze climateriche, la 
poesia che mi è tornata alla memoria, è La caduta 
del Parini. Strofa a strofa sono giunto sino ai 
versi : 

« Ed il cappello e il vano 
« Boston dispersi nella via, raccoglie ». 


42 


BENITO MUSSOLINI 


Poi non mi sono ricordato più. 

Cambiamo posizione. Andiamo in fondo valle 
alle sorgenti dello Slatenik, un torrente che sbocca 
nell’Isonzo, nella conca di Plezzo. Nei ripari che 
gli austriaci hanno abbandonato, troviamo un po’ 
più di comfort. In questa zona sono ancora visi- 
bili i segni della travolgente avanzata degli ita- 
liani. 

Sul terreno tormentato e sconvolto sono disse- 
minati, in disordine, bossoli di proiettili d’ogni ca- 
libro, giberne, scarpe, zaini, pacchi di cartuccie, 
fucili, cassette di legno sventrate, tronchi d’alberi 
abbattuti, reticolati di ferro travolti, scatolette di 
carne vuole con diciture tedesche e ungheresi, faz- 
zoletti, teli da tenda. Qua e là sono degli austriaci 
morti e malamente sepolti. Tra gli altri un uffi- 
ciale. 

Qui furono distrutti due reggimenti di bosniaci 
e erzegovinesi. 

La posta : pacchi e lettere, ma per me e per tutti 
i richiamati dell’84, niente ancora. Soffia un vento 
impetuoso e freddo. Distendiamo sui cespugli, al 
sole, le nostre mantelline e coperte, inzuppate di 
acqua. 


29 Settembre. 

Due giorni e due notti di pioggia. Tempesta. 
Veniva dal Monte Nero. Sono, siamo fradici si- 
no alle ossa. I bersaglieri preferiscono il fuoco al- 
l’acqua. Fuoco di piombo, si capisce. Ma stamani, 


IL MIO DIARIO DI QUERRA 


43 


tepido fa dimenticare le giornate piovose. Lo Sla- 
ienik — ingrossato — urla in fondo al vallone. Si 
distribuisce la posta. Finalmente, dopo quindici 
oiorni, c’è qualche cosa anche per me. Nel trin- 
cerone che occupiamo si può accendere il fuoco. 
Ogni tenda ha il suo. Qui, l’unico pericolo — oltre 
a quello delle cannonate e delle pallottole vaga- 
bonde — è dato dai macigni che rotolano dal- 
l’Vrsig. Di quando in quando si sente gridare : 

— Sasso! Sasso! — 

Guai a chi non lo evita a tempo! 

L’il 0 bersaglieri è stato rudemente provato, ma 
il « morale » dei soldati è eccellente. Anche i poi- 
lus dell’84 stanno cambiando psicologia. Diventa- 
no soldati. Sembrano già lontanissimi i primi gior- 
ni, quando bastava il rombo del cannone, il fischio 
di una pallottola o la vista di qualche cadavere per 
emozionarli. Distribuzione di alcuni indumenti in- 
vernali. Sono ottimi. 


30 Settembre. 


Ho portato — poiché li desiderava — alcuni 
numeri arretrati del Popolo al mio capitano Moz- 
zoni. Era aiutante in prima; ha preferito riassumere 
i! comando della compagnia. Uomo che conosce gli 
uomini, soldato che conosce i soldati. I bersaglieri 
gli vogliono molto bene. Non ha bisogno di ricor- 
rere a misure disciplinari per ottenere che ognuno 
adempia il proprio dovere. Mi offre biscotti e tre 


44 


BENITO MUSSOLINI 


pacchetti di sigarette. E’ con lui il tenente Morri- 
goni, romano, simpaticissimo e fortunato. E’ giun- 
to, dal 12°, un cadetto destinato al comando del 
primo plotone della nostra compagnia : Fanelli, 
di Bari. Giornata tranquilla. 


l a Ottobre. 

Piove. Il mio capitano, in un rapporto indiriz- 
zato al colonnello, fa vivi elogi del mio spirito mi- 
litare e della mia resistenza alle prime e più gravi 
fatiche della guerra. 

Verso sera, intenso fuoco di fucileria e di mitra- 
gliatrici alle falde dell’Jaworcek. Che gli altri bat- 
taglioni abbiano impegnato un combattimento? 


2 Ottobre. 

Sono giunti altri ufficiali. I cadetti Barbieri e 
Raggi. Ora i quadri della nostra compagnia sono 
al completo. 

Gli austriaci bombardano con granate incendia- 
rie il villaggio di Cezzoga. 


3 Ottobre. 

Il piantone della fureria, Lamberti, mi reca un 
biglietto del capitano, che dice : 

» Sarebbe mio desiderio che ai bersaglieri della 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


45 


compagnia fosse espresso nel modo più sentito alla 
loro anima semplice e buona, il mio vivo compia- 
cimento per la fusione già stabilitasi fra i vecchi e 
i giovani bersaglieri; ciò che dimostra quale spi- 
rito di cameratismo animi il loro cuore. La serena 
giocondità, il sentimento di disciplina, la disinvolta 
resistenza ai disagi cui sono sottoposti, vengono 
da me così apprezzati, tanto da sentirmene fiera- 
mente orgoglioso. Tutto ciò è indice di alto senti- 
mento del dovere e dà affidamento della più salda 
compagine qualora a nuovi cimenti si possa essere 
chiamati. Al bersagliere Mussolini affido l’incarico 
di scrivere un ordine del giorno di compagnia che 
in una sintesi concettosa e bersaglieresca esprima 
tali miei apprezzamenti, con l’esortazione a perse- 
verare, e con la visione di quegli ideali fulgidissimi 
di Patria e di famiglia, che costituiranno a suo 
tempo il premio più sensibile per il sacrosanto do- 
vere compiuto ». 

Io mi domando : « Ma non è già questo un ordine 
del giorno bellissimo? Che cosa posso dire, io, di 
meglio e di più? ». Tuttavia, obbedisco. Fra anziani 
e richiamati, si cominciano a stabilire rapporti di 
amicizia. Nel primo plotone, di richiamati non ci 
sono che io. Tutti gli altri sono anziani che si tro- 
vano al reggimento dal principio della guerra. 
Spesso mi raccontano episodi interessantissimi. 
L’avanzata su Plezzo, le azioni sul Vrsig. I capo- 
rali hanno riunito le squadre e leggono l’ordine 
del giorno. 


46 


BENITO MUSSOLINI 


4 Ottobre. 

Cielo stellato sino a mezzanotte. Stamane nevi 
ca. Ci esercitiamo al lancio di bombe. 


5 Ottobre. 

Stanotte sono stato quattro ore di vedetta. Pio- 
veva. 


6 Ottobre. 

~ Zaino in spalla! — 

E’ giunto l’ordine di raggiungere sullo Jaworcek 
gli altri battaglioni. Ci mettiamo in marcia. Il ca- 
pitano ci precede. Porta lo zaino e la caramella. 
Sosta al Comando del reggimento. Discorso del 
colonnello, seguito dalla lettura di un lungo elen- 
co di bersaglieri della T proposti per una ricom- 
pensa al valor militare. 

— Bersaglieri della settima, al colonnello del- 
1’ 11°, hurrà! 

— Hurrà! — 

Pulizia al fucile. Distribuzione di scarpe. Duran- 
te queste operazioni, faccio la conoscenza di un 
sergente degli alpini, di Monza, ferventissimo in- 
terventista, entusiasta della nostra guerra. 

Giunge l’8 a compagnia. Qualcuno mi annuncia 
che il caporale Buscema è rimasto ferito da una 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


47 


cannonata, il 26 settembre. Il colonnello ripete il 
discorso ai bersaglieri dell’SL Crepuscolo. Si parte. 


7 Ottobre. 

La marcia di stanotte fra tenebre fittissime, per 
una mulattiera scoscesa e fangosa, entro un bosco, 
è stata dura. 

Parecchie volte i plotoni hanno perduto il colle- 
gamento. Alcuni bersaglieri sono caduti e non han- 
no potuto proseguire. Anch’io — come tutti — so- 
no caduto varie volte, ma l’unico danneggiato è 
l’orologio che porto al polso. Non va più. 

Dieci ore di marcia. Siamo giunti alle due del 
mattino. Per fortuna, non pioveva e c’erano le 
stelle. Ci siamo rintanati fra i macigni, nell’attesa 
dell’alba. 


8 Ottobre. 

Sveglia alle cinque. Ci spostiamo verso l’ allo 
di un altro centinaio di metri. Ci troviamo sotto 
una delle «pareti» ripidissime dell’Jaworcek. Dal- 
la cima le vedette austriache sparano continua- 
mente. Mi metto a lavorare accanitamente di van- 
ghetta e piccone, per farmi un buon riparo. Pe- 
trella mi aiuta. Ritrovo il tenente Fava, che mi 
presenta al capitano della sua compagnia, Janno- 
ne. Gli amici degli altri battaglioni — appena^sa- 
puto del nostro arrivo — mi vengono a cercare. 


48 


BENITO MUSSOLINI 


Rivedo il caporal maggiore Bocconi, barbuto e un 
po’ dimagrito, il caporal maggiore Strada, ex vigile 
milanese, sempre pieno d’entusiasmo; il caporale 
Corradini che mi racconta la straordinaria avven- 
tura toccatagli. Doveva andare di guardia, con una 
squadra, al quarto boschetto. Giunto a un passaggio 
obbligato e scoperto, sul quale gli austriaci rotola- 
vano continuamente sassi e macigni, il Corradini, 
volendo appunto evitare un macigno, mise un piede 
in fallo e rotolò giù, in fondo al burrone. Una not- 
te intera rimase laggiù, nel fango, sotto la piog- 
gia, ritenendosi ormai perduto. 

— Fu il pensiero della mia piccina, che mi diede 
il coraggio — egli mi dice. — A giorno fatto, ri- 
salii il pendìo del monte. Nella caduta avevo per- 
duto tutto : zaino, fucile, mantellina. Giunsi a un 
piccolo posto di fanteria. La vedetta mi intimò 
Vali. Quando il caporale del piccolo posto mi eb- 
be riconosciuto come appartenente all’esercito ita- 
liano, mi lasciò passare. Potei riguadagnare — sa- 
no e salvo — la mia compagnia. — 

Ecco Rampoldi, ex cuoco del Restaurant Casa- 
nova. Lo chiamavamo Rampoldo, Rampoldino... 

Ritrovo ancora vivi e in gamba i milanesi Spa- 
da, Frigerio, Sandri. Viene anche a trovarmi, per 
conoscermi, il caporale Giustino Sciarra, di Iser- 
nia. Ha una curiosa barbetta a punta, rossigna. 
Cordialità, simpatia, auguri. Si parla di un’avan- 
zata imminente. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


49 


9 Ottobre. 

Dormito profondamente tredici ore. La stan- 
chezza è passata. C’è un ferito dell’8 a compagnia 
che viene portato in barella. Una pallottola lo ha 
colpito mentre si scaldava al fuoco. Canticchia e 
urna. Gli scelti tiratori austriaci sparano sempre 
1 n forte gruppo di ferraresi viene alla mia tenda 
c mi prega di porgere un saluto collettivo da man- 
darsi a un giornale di Bologna. Fatto. 

Corvée di riattamento alla mulattiera. Il capo- 
rale milanese Bascialla, eh e stato stanotte di guar- 

, 91 p ° stl più avar) zati, mi narra un episodio sin- 
golare. Si è trovato — in un riparo — accanto a 
un bersagliere che pareva dormisse. Egli ha pro- 
vato a chiamarlo. A richiamarlo. A scuoterlo. Non 
rispondeva. Non si moveva. Era morto. Il Bascial- 
la ha passata tutta la notte accanto al cadavere. 
Prpn-r q !f ndlC1 ‘ Raffica di artiglieria austriaca. 
ShiSjp d T 1 I proIetllh - Schianto di rami. Turbine di 
_c egge. Un grosso ramo, stroncato da una gra- 
ata, sì è abbattuto sul mio riparo. Ci sono due 

oqo V " e)l9 mia com P a gnia. Passa un morto del 
39 battaglione. Un altro morto degli Alpini II 
bombardamento è finito. E’ durato un’ora. I bersa- 
gli escono dai ripari. Si canta. Lunga conver- 
sazione col capitano Bono della 4 a compagnia. 
Argomento: i colpi di scena balcanici.. 

B capitano Bono è un ingegno versatile e di 
vasta coltura. 

Non dimenticherò il tremito della sua voce 
quando - me presente - essendogli giunto uno 


Mussolini . U mis uSforto dj gMrrB 


so 


BENITO MUSSOLINI 


di quei moduli speciali coi quali si chiedono ai 
Reparti notizie di militari, dovette scrivere la pa- 
rola : morto! 

Sera di calma. Qualche fucilata solitaria delle 
vedette fischia di quando in quando nella bosca- 
glia. 


10 Ottobre. 


Mattinata meravigliosa di sole. Orizzonte limpi- 
dissimo. Si ordina la statistica dei caricatori. Ogni 
soldato deve averne 28. Ore dieci. Uno shrapnel 
è passato fischiando sulle nostre teste. In alto. Non 
trascorrono cinque minuti, che un secondo shrap- 
nel scoppia con immenso fragore a tre metri di 
distanza del mio « ricovero », a un metro appena 
dalla tenda del mio capitano. Ero in piedi. Ho sen- 
tito una ventata violenta, seguita da un grandinare 
di schegge. Esco. Qualcuno rantola. Si grida: 

— Portaferiti! Portaferiti! — 

Sotto al mio ricovero ci sono due feriti che sem- 
brano gravissimi. Un grosso macigno è letteral- 
mente inaffiato di sangue. Gli ufficiali sono in pie- 
di che impartiscono ordini. 

— Le barelle! Le barelle! — 

I feriti sono molti e bisogna chiedere le barelle 
alle altre compagnie del battaglione. Ci sono an- 
che dei morti: due. Uno è Janarelli, l’attendente 
del tenente Morrigoni. Una palletta di shrapnel gli 
è entrata dal petto e gli è uscita dalla schiena. 


il mìo Diario di guerra 


51 


Gliel'hanno trovata fra la pelle e il farsetto a ma- 
glia. 

— Tenente, mi abbracci! — ha detto Janarelli. 
— Per me è finita! — 

Vedo il tenente Morrigoni, cogli occhi luccicanti 
di lacrime. 

Era tanto bravo e tanto buono! — 

Lo Janarelli sembra dormire. Solo attorno alla 
bocca c’è una grossa rosa di sangue. L’altro è un 
richiamato dell’ 84. Una scheggia gli ha spezzato 
il cranio. 

Una riga rossa gli divide a metà la faccia. I feriti 
sono nove, dei quali tre gravissimi e due disperati. 

Zappatori, in rango colle vanghette. — 

Gli zappatori si riuniscono coi loro strumenti. 
Adagiano i morti su barelle fatte con rami d’al- 
bero e sacchi e se ne vanno. Qui non si può fare 
un cimitero. Bisogna seppellire i caduti qua e là, 
nelle posizioni più riparate. L’emozione della com- 
pagnia è stata fugacissima. Ora si riprende il 
chiacchierio. Si fischierella. Si canta. 

Quando lo spettacolo della morte diventa abi- 
tudinario, non fa più impressione. Oggi, per la 
prima volta, ho corso pericolo di vita. Non ci 
penso. 


Dopo un mese mi lavo e mi pettino. Schàmp’oùm 
al marsala. 3 


il 


* • è . . . 

Passa il tenente Francisco della 15 a compagnia’ 
quale mi racconta : r & > 

« Ieri sera gli austriaci hanno inscenato una di- 


52 


BENITO MUSSOLINI 


rnostrazione antitaliana. Hanno cantato in coro il 
loro inno nazionale. Poi hanno gridato:, 

— Kicchirichi, kicchirichi! — 

« Hanno aggiunto : 

— Bersaglieri dell’ll 0 , vi aspettiamo! — 

« Alla fine, una voce di ufficiale ha urlato al 
megafono : 

— Italiani farabutti, lasciateci le nostre terre! ». 

11 Ottobre. 

Meravigliosa mattinata di sole. Il secondo, il 
terzo, il quarto plotone defila mia compagnia, le- 
vano te tende e si spostano per essere defilati dai 
tiri degli shrapnels. Noi restiamo al nostro posto. 
Passa un morto della 13 a compagnia. Bombarda- 
mento di un’ora a shrapnel. Conversazione col ca- 
pitano Bono. 

'**••» > » « 

La vita in trincea è la vita naturale, primitiva. 

Un po’ monotona. Ecco l’orario delle mie giorna- 
te. Alla mattina non c’è sveglia. Ognuno dorme 
quanto vuole. Di giorno non si fa nulla. Si può 
andare — con rischio e pericolo di essere colpiti 
dall’implacabile « Cecchino » — a trovare gli ami- 
ci delle altre compagnie; si gioca a sette e mezzo 
o, in mancanza di carte, a testa e croce; quando ; 
tuona il cannone, si contano i colpi. La distribu- 
zione dei viveri è l’unica variazione della giorna- 
ta : di liquido, ci dànno una tazza di caffè, una di 
vino e un poco di grappa; di solido, un pezzo di 
formaggio che può valere venti centesimi e mezza 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


53 


scatoletta di carne. Pane buono e quasi a volontà. 
Di rancio caldo, non è questione. Gli austriaci — 
tempo fa — hanno bombardato coi 305 le cucine 
e hanno fatto saltar per aria muli, marmitte e cu- 
cinieri. 

C’è un’ora nella giornata, che i bersaglieri atten- 
dono sempre con impazienza e con ansia : l’ora 
della posta che comincia a giungere regolarmente. 
Ci pensa Jacobone, per il Reggimento. Nostro 
« postino » è il calabrese Suraci. Quando si grida 
« posta! », tutti escono dai ripari e si affollano 
attorno al distributore. Nessuno pensa più alle 
fucilate e agli shrapnels. 

Ho scritto una lettera per Jannazzone e una per 
Marcanico. Non si negano questi favori a uomini 
che possono morire da un momento all’altro. La 
fidanzata di Marcanico si chiama Genoveffa Pa- 
ris. Questo nome mi riporta, chissà perchè, al 
tempo dei « Reali di Francia ». 

12 Ottobre. 

Pulizia al fucile. Sole pallido. Poi, non c’è nulla 
da fare. Passano i soliti feriti. C’è il bersagliere 
Donadonibus che si spidocchia al sole. 

— Cavalleria, a destra! Cavalleria, a sinistra! — 
grida e ride, di un riso che sembra quello di un 
uomo completamente felice. 

Pioggia e pidocchi, ecco i veri nemici del sol- 
dato italiano. Il cannone vien dopo. 

Uno dei feriti dello shrapnel è morto prima di 
arrivare all’infermeria reggimentale. 


54 


BENITO MUSSOLINI 


Altra notizia triste : la fucilata di una vedetta ha 
colpito a morte tal Mambrini, mantovano, mentre 
stava lavorando a fortificare il suo riparo. 

La guerra di posizione esige una forza e una 
resistenza morale e fisica grandissime : si muore 
senza combattere! 


13 Ottobre. 

Stanotte, sulle 23, improvviso e intensissimo 
fuoco di fucileria e di mitragliatrici ai nostri avam- 
posti. Siamo balzati dai nostri ripari. Un quarto 
d’ora di fuoco e poi quiete sino all’alba. Mattinata 
grigia. Vado di corvée colla mia squadra e mi ca- 
rico di un sacco di pane. Passa un morto del 39° 
battaglione, colpito da fucilata e da sassata. Si 
diffonde, tra le squadre, la notizia che presto ci 
sarà l’« azione ». La notizia non deprime, ma sol- 
leva gli animi. E’ la prolungata inazione che 
snerva il soldato italiano. Meglio, infinitamente 
meglio, al fuoco, che sotto al fuoco. I bersaglieri 
sono desiderosi di vendicare i compagni caduti a 
tradimento. 

Vicino a me si canta. E’ un inno bersaglieresco : 

Piume, baciatemi 

Le guance ardenti. 

r*’ v a f v *- m 

Piume, riditemi 

Di gioia e canti; 

E ripetetemi 

Avanti! Avanti! 


Guerra in montagna, 
tra la neve e il fango 


14 Ottobre. 

s 

Stamane, solilo passaggio di feriti non gravi. 
Le vedette austriache, implacabili, non cessano un 
minuto solo di sparare. 

Ore quindici. L’artiglieria austriaca, dal Lipnik, 
io credo, comincia a bombardare la nostra posi- 
zione. Venti colpi da 280 che scoppiano in fondo 
valle. Quattro non scoppiano. Grida di gioia e di 
scherno partono dai nostri ripari. 

Cessa il 280 e comincia il cannoncino. Lo chia- 
miamo così, col vezzeggiativo, prechè, sparando 
quotidianamente ci è diventato ormai familiare; 
ma si tratta di un cannone da montagna da 75. 
E credo che ce ne sia più d’uno. Quasi tutti gli 
shrapnels battono la zona occupala dal nostro bat- 
taglione. Ci mettiamo in quattro, testa a testa, con- 
tro un grosso tronco d’albero che ci ripara magni- 
ficamente. E’ con noi un alpino sorpreso dalla raf- 
fica mentre andava a. prendere acqua. Scrosciano 
le pallette, cadono le ramaglie, turbinano le foglie. 
E’ finita. Troviamo qualche palletta, qualche 


66 


BENITO MUSSOLINI 


scheggia ancora calda. Adesso sono i nostri can- 
noni che cominciano a sparare. 

Gli austriaci tacciono. Allegria, per noi. Passano 
tre feriti, di cui uno solo relativamente grave, per- 
chè ha una gamba spezzata. In fondo valle, il 280 
na fatto qualche vittima. Ci sono alcuni morti — 
fantaccini e bersaglieri — dei « posti di collega- 
mento». Serata di calma. Qua e là si levano delle 
voci che cantano. Ma non sono canzoni del reper- 
torio patriottico. Sono del repertorio soldatesco e 
popolare. Bisogna distinguere. Salvo una che ha 
un ritornello che dice : 

Trento e Trieste 
Ti renderò 

le altre canzoni sono ben lontane dagli avvenimenti 
attuali. L’immortale Violetta tiene ancora il primo 
posto. 

E la Violetta 
La va, la va... 

Alcuni, che devono essere reduci dalla Libia, 
cantano invece : 

Da Tripoli a Gargaresch 
Si marcia in ferrovia... 

E non manca la canzonetta scollacciata, anzi 
oscena : 

All'osteria del numero uno... 

• 

Dammela ben, biondina 
Dammela ben, bìondaaaa... 


« 

IL MIO DIARIO DI GUERRA 57 


Il soldato italiano è allegro, particolarmente 
quando non piove. E anche quando piove, accetta 
la bagnura con molta filosofia. 

\ 

15 Ottobre. 

Notte di burrasca. Il vento mugghiava dal Monte 
Nero alla Conca di Plezzo e andava a schiantarsi 
contro la parete altissima e già bianca del Rom- 
bon. 

Mattinata grigia, incerta. Passano due bersaglie- 
ri morti. Devono essere caduti stanotte ai piccoli 
posti. Noi li vediamo passare, portati dai portafe- 
riti e seguiti dagli zappatori che devono scavare 
la fossa. Nessuno di noi domanda chi siano. Si 
preferisce ignorare. Alcune ore di lavoro per riac- 
comodare il nostro il riparo, sconquassato dalla 
tempesta di stanotte. Fuoco stracco di fucileria tra 
le vedette. Uno dei nostri spara con un fucile au- 
striaco. 


Tutte le mattine, al momento della distribuzione 
del caffè, sorgono discussioni e battibecchi fra ber- 
saglieri e bersaglieri e soprattutto fra bersaglieri e 
caporali. Strano! Sono uomini che potrebbero mo- 
rire da un momento all’altro e si bisticciano per un 
sorso di caffè. Ma il fatto si spiega : anzitutto il 
caffè è l’unico liquido che il soldato desideri e beva 
con piacere e vantaggio; poi, nessuno crede di do- 
ver morire e infine per un senso profondo di giu- 


! 


<*. • 



f 


58 BENITO MUSSOLINI 


stizia distributiva. Quando le razioni non sono u- 
guali per tutti, si grida : 

— Camorra! Non fare camorra! — 

Purtroppo la camorra, nel senso soldatesco del- 
la parola, c’è. Al soldato che sta nelle prime linej£, 
e dovrebbe essere « sacro », non giunge che la mi- 
nima parte di ciò che gli spetta, giusta il regola- 
mento di guerra. Caffè, cioccolata, vino, grappa 
passano per troppe mani di conducenti, caporali, 
piantoni. La « camorra » sembra essere un fatto 
normale, ma irrita grandemente i soldati, specie 
in guerra. C’è il caso di sentirli dire : « Governo 
ladro!». La camorra finisce per esercitare influenza 
deprimente su quello che si chiama il «morale» 
delle truppe. Io penso che se, per rendere contenti 
questi soldati, occorre eliminare gli abusi della 
piccola camorra e distribuire razioni abbondanti 
e giuste di caffè, il problema è di facile soluzione. 
Importate, se occorre, tutto il caffè del Brasile... 

Sono giunti gli elmetti per gli shrapnels. Sei, 
per compagnia, finora. Recano sul davanti queste 
due iniziali R. F. : Republique Frammise. 

* 

* * 

L’ll° bersaglieri è il reggimento italiano per ec- 
cellenza. Tutti o quasi i distretti d’Italia vi sono 
rappresentati. C’è qualche sardo, ci sono dei si- 
ciliani di Cefalù, dei calabresi, dei pugliesi di Bari 
e Lecce, degli abruzzesi di tutte e quattro le pro- 
vinole, dei napoletani di Napoli e Caserta, dei ro- 
mani, dei toscani di Siena, Firenze, Massa-Carra- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


59 


ra, dei marchigiani di Ancona, Ascoìi-Piceno, Pe- 
saro, degli emiliani di Ferrara, dei lombardi di 
Milano, Brescia, Cremona, Bergamo, Lecco. Son- 
drio, Mantova; dei veneti di tutte le provincie, ad 
eccezione di Udine e Belluno. 

In guerra, si disprezza il denaro. Chi ne ha, lo 
manda a casa Non si sa nemmeno come spendere 
la cinquina. C-’è il vivandiere, ma sta molto lontano 
e non ha che delle scatole di sardine. Giunge di 
notte e di giorno se ne va. Il valentuomo ha paura 
delle granate e degli shrapnels. Se io fossi nel co- 
lonnello, lo costringerei a rimanere — con noi — 
in prima linea. 


16 Ottobre. 

Notte eccezionalmente calma. Anche la vedetta 
austriaca ha riposato. Niente ta-pum. Stamani, 
sole. Passano sulle nostre teste — in alto, molto 
in alto — dei proiettili d’artiglieria, ma non si ca- 
pisce di dove vengano, nè dove siano diretti. Il 
tenente Morrigoni, di complemento, mi annuncia 
la sua promozione a capitano, di complemento. 
Lascierà la compagnia. Il tenente Fanelli se ne va 
aH’infermeria. Ha i piedi rovinati dal freddo e dal- 
l’umidità. Due feriti di pallottole. Distribuzione di 
cioccolato, mandato da un ignoto amico. 

— C’è qualcuno che si ricorda di noi! — 

La Libera Stampa di Locamo mi giunge con un 
articolo dedicato alla memoria di Giulio Barai, ca- 
duto sul campo di battaglia. Povero ed eroico ami- 
co! I superstiti, fra noi, ti ricorderanno sempre! 


60 


BENITO MUSSOLINI 


* 

* * 

Cader prigionieri in mano agli austriaci: ecco 
un’eventualità che spaventa i miei commilitoni. 

— Piuttosto morire! — dicono tutti. 

Questo spiega il numero esiguo di prigionieri 
italiani fatti dall’esercito austriaco. Quelli del no- 
stro reggimento non arrivano alle decina e sono 
stati sempre colti di sorpresa. 

* 

Qui, nessuno dice: «Torno al mio paese!». Si 
dice: «Tornare in Italia». L’Italia appare così, 
forse per la prima volta, nella coscienza di tanti 
suoi figli, come una realtà una e vivente, come la 
Patria comune, insomma. 


17 Ottobre. 

Domenica. La mattinata si annuncia calma. C’ è 
in alto un sole meraviglioso. Ma, improvvisamen- 
te, verso le nove, un proiettile da 280 austriaco, 
passa sulle nostre teste, col suo sibilo feroce. Scop- 
pia lontano, giù, verso lo Slatenik. Di lì a poco, 
un secondo colpo, accorciato. Un terzo, 200 metri 
più giù dal posto che occupiamo. Un quarto, dietro 
a noi. Gli austriaci tirano a caso. Battono la zona. 
« Tiro di sfottimento » come lo chiamiamo noi. 
Ecco il sibilo del sesto colpo. Lo sento sopra di 
me. Vicino, vicino, vicino, a sessanta centimetri 


r 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


passa sopra le nostre teste. Io e Petrella siamo 
immobili, a terra. Il minuto d attesa ci è parso 
lunghissimo. Il proiettile è scoppiato a meno di tre 
metri dal punto in cui ci troviamo. Con la sola cor- 
rente d’aria ha scoperchiato tutto il nostro riparo. 
Detonazione formidabile. Grandinare di schegge 
enormi e di sassi. Un albero è stato sradicato. 
Alcuni macigni frantumati. Ci troviamo letteral- 
mente coperti dalla testa ai piedi di terriccio, sassi 
e ramaglie. 

— Sei vivo? 

— Vivo! — 

La cinghia del mio fucile è stata tagliata netta- 
mente da una scheggia. Gavetta e tascapane sono 
crivellati di proiettili. Il fucile di Petrella ha la 
cassa spezzata. Tutti gli alberi vicini presentano 
la corteccia lacerata. 

Noi siamo miracolosamente incolumi. 

Passa di corsa da un riparo all’altro l’attendente 
del maggiore Cassola, il milanese podista Terzi, il 
quale grida : 

— Bersaglieri del 33°! Ordine del maggiore, ri- 
tirarsi armati sotto al costone! — 

Obbediamo. Tutto il battaglione è, ora, riunito 
sotto una roccia al riparo dei colpi del 280. Passo 
dinanzi al comando del battaglione. C’è il mag- 
giore, il capitano Mozzoni, il capitano Vestrini. Ilo 
la faccia nera di terriccio. 

— Che cosa ti succede, Mussolini? — mi doman- 
dano. 

L’ultimo 280 mi è scoppiato vicino. 

— L’hai scampata bella... — 


62 


BBNITO MUSSOLINI 


Per la seconda volta, a distanza di sette giorni, 
ho corso serio e immediato pericolo di vita. Ba- 
stava che il proiettile fosse scoppiato soltanto ur 
passo indietro, per ridurmi a brandelli. 

Jannazzone mi dice : 

— Si fussi in voi, porterei un cero a Montever- 
ginel — 

Il bombardamento non è continuato. Il mio, è 
stato l’ultimo colpo. Ritorniamo ai nostri ripari. 
Nel pomeriggio calmo, molti si fermano ad osser- 
vare la buca enorme, prodotta dallo scoppio del 
280. Io trovo una scheggia ancora tepida che pe- 
serà un paio di chilogrammi. La metto fra i miei 
cimeli di guerra. L’artiglieria di grosso calibro fa 
meno vittime, forse, di quella di medio e piccolo 
calibro, ma esercita una influenza deprimente sul- 
lo spirito dei soldati. Il soldato di fanteria si sente 
disarmato, impotente contro il cannone. Quando 
l’artiglieria batte le nostre posizioni, ognuno di noi 
è come un condannato a morte. Il sibilo annuncia 
il proiettile e ogni soldato si domanda : « Dove 
scoppierà? ». Contro il cannone non c’è alcuna di- 
fesa possibile, all’infuori di quella costituita dai 
« ripari » che sono poco profondi e pochissimo con- 
sistenti. Si tratta di sassi ammucchiati insieme con 
zolle di terra. Bisogna restare immobili, contare i 
colpi e attendere che il bombardamento finisca. Per 
un’altra ragione il cannone impressiona il soldato, 
ed è il genere di ferite ch’esso produce. Le pallot- 
tole di fucile o di mitragliatrice non straziano, co- 
me un proiettile di cannone. 

C’è un solo morto: un caporal maggiore degli 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


63 


zappatori del 27° battaglione. Un milanese, a quan- 
to mi dicono. E’ stato decapitato da una scheggia 
del 280. Verso sera vado a cercar dell’acqua e pas- 
so accanto al luogo dove l’hanno sepolto. E’ in un 
angolo, sotto una roccia, vicino a un tourniquet 
della mulattiera. Sulla croce, sotto al nome e co- 
gnome, c’è un’epigrafe breve e affettuosa. Era un 
valoroso. A piè della croce ci sono alcune carto- 
line illustrate. Sulla terra fresca, qualcuno ha spar- 
so delle foglie. Alla Casette — si tratta di due ca- 
panne di legno — ritrovo il caporal maggiore mi- 
lanese Garbagnati. E’ addetto ai viveri. Mi offre 
da bere. C’è una colonna di muli che arrivano. Si 
sentono da lontano, per il batter dei ferri sui ciot- 
toli del sentiero. Serata tranquilla. 


18 Ottobre. 

Notte calma. Mattinata di sole. Nel pomeriggio 
comincia la sinfonia dei nostri cannoni. Sparano 
da tutte le cime. Noi ignoravamo 1’esistenza di 
tante batterie. Ecco i 75 nostri. Hanno un sibilo e 
uno scoppio secco e rabbioso. 

I 149 sono imponenti. La detonazione dei loro 
proiettili è quasi gioviale, nella sua profondità. I 
210 hanno un boato breve e sordo. Poi, c’è il no- 
stro simpaticissimo 305. Vien di lontano, di là dai 
monti, come un pellegrino. Passa sulle nostre te- 
ste lento e solenne. Lo si può seguire coll’udito 
lungo il tragitto. Il colpo di partenza non si sente, 
tanto è lontano, ma sentiamo quello d’arrivo. Lo 


64 


BENITO MUSSOLINI 


scoppio di un 305 italiano fa tremare la monta- 
gna. Se l’artiglieria nemica deprime, l’artiglieria 
nostra solleva. Quando i nostri cannoni sono in 
funzione, i bersaglieri si dànno alla pazza gioia. 
Girano da riparo a riparo, fischiano, cantano. Ac- 
compagnano i proiettili con grida, con auguri. 

Il soldato di fanteria non ha che un desiderio : 
quello di sentir sempre la voce dei nostri cannoni, 
sempre, di notte e di giorno. Quando sono i can- 
noni austriaci che sparano e i nostri tacciono, i 
bersaglieri impazienti... protestano contro la no- 
stra artiglieria che... risparmia le munizioni. L’a- 
zione della nostra artiglieria è durata un paio 
d’ore. 

Passano delle corvées cariche di munizioni. Ci 
sono delle casse di bombe sulle quali sta scrit- 
to : Haut, Bas. Eviter les chocs. L'avanzata sem- 
bra imminente. Sintomatico! I bersaglieri non di- 
cono: combattimento, azione, battaglia; no: dico- 
no : avanzata. Sembra, per loro, già assiomatico, 
intuitivo, necessario che una battaglia nostra deb- 
ba risolversi in un’avanzata. Non è sempre così. 
Ma l’uso generale e unico di questo vocabolo è un 
altro sintomo dello spirito di aggressività che ani- 
ma i soldati italiani e della loro certezza di vin- 
cere. 

Ciò che più mi ha stupito e commosso in questo 
primo mese di trincea, è lo stoicismo incredibile 
di cui dànno prova i soldati italiani feriti. Il mio 
riparo è sulla mulattiera. Ho... la finestra sulla 
strada. Tutto passa sotto i miei occhi. Ho veduto 
decine e decine di feriti. I lievi, quelli colpiti a un 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


65 


braccio, per esempio, vanno all’infermeria da soli. 
Qualcuno, che pur aveva le carni lacerate da scheg- 
ge di proiettili, fumava tranquillamente una siga- 
retta. Non un lamento. E’ straordinario! E’ ammi- 
revole! Un mantovano, con un braccio quasi ta- 
gliato da una scheggia, si reca da solo al posto di 
medicazione. E dice al tenente che si affretta attor- 
no a lui, per la medicazione : 

— Tenente, tagli il resto! E mi faccia dare un 
po’ di pagnotta! — 

Questo stoicismo è il prodotto deH’atmosfera in 
cui si vive. Nessun soldato ferito vuol mostrarsi 
debole e pauroso del proprio sangue, dinanzi ai 
compagni. Non solo. C’è una ragione più profon- 
da. Non si geme per una ferita, quando si corre 
continuamente il rischio di morte. La ferita è il 
meno peggio. Comunque, il silenzio superbo di 
questi umili figli d’ Italia dinanzi al dolore della 
carne straziata dall’acciaio rovente, è una prova 
della magnifica solidità della nostra stirpe. 


19 Ottobre. 

Notte agitata. Bombardamenti lontani e profon- 
di. Dicono che è in direzione di Tolmino e Gorizia. 
L’« azione » sembra, fissata per domani. Sole. Co- 
mincia il concerto maestoso, formidabile delle no- 
stre artiglierie. Chi sta — anche per una giornata 
sola — sotto il bombardamento di un centinaio di 
cannoni che sparano simultaneamente, riporta una 


Mussolini. * Il mio dia i lo di guerra- 


63 


RtìNIfO MtlSSOtjlìJI 


impressione indimenticabile, sbalorditiva. Alla se- 
ra, si è intontiti. I nervi non rispondono più. 


* 

* £ 

Alcune voci del gergo di guerra, in voga nel 
mio reggimento ; 

scalcinato = soldato debole; 
baule = cretino; 
fifa = paura; 
svirgola — cannonata; 
omnibus = proiettile da 305; 
pizzicare = ferire; 

spicciarsela — - trovarsi nell’imbarazzo; 
pallottola intelligente = pallottola che ferisce 
soltanto; 

pipa — rimprovero; 
girare la matricola = idem; 
far scrivere a casa -■ togliere qualcosa a un 
soldato; 

far fesso = idem; 

far camorra = farsi la parie del leone; 
essere fuori uso = inabile alle fatiche di 
guerra; 

marcar visita = recarsi dal medico; 
vedere il mago — rimanere indietro; 
avanzare verso le cucine = retrocedere; 
tagliar la corda = fuggire; 
portare a casa la ghirba = tornare a casa sano 
e salvo. 

(La ghirba è un recipiente di tela impermeabile 
che serve per portare acqua, vino, caffè). 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


/•.Sf 

6 / 


« 

* * 

E’ giunto il colonnello. Anche Padre Michele, 
il cappellano del reggimento, è arrivato. Ma gli 
scotta il terreno sotto i piedi. 

Ieri sera sono stato di corvée. Mi sono successi- 
vamente caricato di cento sacchetti vuoti che do- 
vranno poi — riempiti di terra — servirci per i 
nostri ripari; di una cassa di bombe e di una scudo 
d’acciaio che d’ora innanzi proteggerà coloro 
che devono tagliare i reticolati. Ma pesa molto: 
tredici chilogrammi e mezzo. Finito di lavorare a 
mezzanotte. Stanchissimo. Il fuoco di fucileria de- 
gli alpini sul Vrsig mi ha svegliato verso l’alba. 
Tuonano i nostri cannoni, ma l’attacco, si dice, è 
rinviato a domani. 



Le nostre truppe avanzano 
su Kiva e oltre Monfalcone 


21 Ottobre. 


Ieri gli austriaci hanno sparalo sui portaferiti 
che passavano per la mulattiera in fondo alla val- 
le. Un portaferiti è stato mortalmente colpito. E’ 
nella zona di Tolmino-Monte Nero che romba — 
da stamani — più profondamente il cannone. Fra 
un’ora dovrebbe iniziarsi l’azione del nostro reg- 
gimento. Il mio battaglione è di « rincalzo » fra il 
27° e il 39°. Il capitano mi ha proposto — con 
motivazioni assai lusinghiere — per la promozione 
a caporale. Mezzogiorno. Una voce ci grida, dal- 
l’alto : 

— Tutti nei ripari! — 

Io tardo un poco, ma due granate che sfiorano 
il nostro riparo mi spingono nella tana. S’inizia 
il concerto delle artiglierie. Ore lunghe di attesa c 
di immobilità. I nostri cannoni tuonano sempre 
per proteggere l’avanzata di alcune squadre del 
27° battaglione. Ore cinque. Usciamo dalla buca, a 
dispetto del solito cannoncino austriaco che ci batte 
a shrapnell Passano, nel crepuscolo, i feriti del- 


BENITO MUSSOLINI 


TO 


l’« azione ». Un sergente è il primo. Vengono due 
capitani: il Morozzo e il Mirto. Quest’ultimo ha 
la testa bendata. Passa fumando, tranquillamente, 
una sigaretta. Il 39° battaglione ha avuto 54 feriti 
e nemmeno un morto. Intanto gli austriaci hanno 
incendiato il « boschetto » per impedire la nostra 
avanzata. Le fiamme altissime arrossano l'oriz- 
zonte. 


22 Ottobre. 

Tre mine di proporzioni colossali sono state fat- 
te scoppiare dagli austriaci sulla cima dell’Jawor- 
cek, sollevando un turbine di macigni e di sassi. 
Nessuna vittima. 

Oggi, secondo giorno dell’azione. Tuonano sem- 
pre i cannoni. Alla nostra sinistra, sul Piccolo Ja- 
worcek, fuoco vivissimo di fucileria. 


23 Ottobre. 

1 

Ieri sera — a notte fatta — quattro colpi da 280. 
Poi, a due riprese, fuoco intenso di fucileria au- 
striaca e di cannoni di piccolo calibro. Dopo, du- 
rante la notte, calma. La Divisione ha mandato un 
fonogramma d’augurio all’ 1 1° bersaglieri, nella ri- 
correnza, tragica e gloriosa ad un tempo, di Scia- 
ra-Sciat. 11 mio vice-squadra Mario Simoni, di Ca- 
merino, che si trovava in Libia ed era attendente 
del colonnello Fara, mi racconta spesso come si 
svolse l’episodio di Spiapa-Spiaf, 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


71 


Circa i risultati della nostra « azione » non sap- 
piamo nulla di preciso. E’ rimasto ferito il tenente 
colonnello Albarelli. Passa — fasciato al capo — 
il caporal maggiore Corradini. Non è grave. Ecco 
due morti, vittime del 280. Uno di essi è ridotto un 
informe ammasso, avvolto in un telo di tenda. Co- 
mincia in questo momento, ore dieci, la quotidiana 
sinfonia dei nostri cannoni. Volo basso di corvi. 
Nel pomeriggio gli austriaci hanno bombardato, 
per tre ore, la posizione occupata della mia com- 
pagnia. Sono gli incerti dei «rincalzi». Ci siamo 
« ingrottali » in tempo. Alcuni feriti. 

, • • i » » ' * i 

Non comprendo perchè si faccia una distribu- 
zione quotidiana di grappa ai soldati. In quantità 
minima, è vero, ma si dà ai soldati una pessima 
abitudine. Il « sorso » d’oggi predispone al bic- 
chierino di domani. Inoltre, c’è chi riesce qualche 
volta a berne troppa e offre una spettacolo poco 
edificante. L’unica punizione che sia a mia cono- 
scenza è stata inflitta appunto a un caporale che, 
avendo abusato di grappa, è stato retrocesso. 

' ' * ' ' ' ' ’ * •»** 

La nostra guerra, come tutte le altre, è una 
guerra di posizioni, di logoramento. Guerra gri- 
gia. Guerra di rassegnazione, di pazienza, di te- 
nacia. Di giorno si sta sotto terra : è di notte che 
si può vivere un po’ più liberi e tranquilli. Tutta 
la decorazione della vecchia guerra è scomparsa. 
Lo stesso fucile sta per diventare inutile. Si va 
all’assalto di una trincea colle bombe, colle mici- 
dialissime granate a mano. Questa guerra è la più 


72 


BENITO MUSSOLINI 


\ 


antitetica al « temperamento » degli italiani. Ep- 
pure con le nostre meravigliose facoltà di adatta- 
mento ci siamo abituati alla guerra delle trincee, 
alla guerra del fango, dell’insidia continua, che 
pone il sistema nervoso a una prova durissima. E’ 
straordinaria la resistenza ai disagi e al freddo 
dell’alta montagna, in uomini che vengono da 
paesi dove non nevica mai! Molte volte ho sorpre- 
so nei discorsi dei miei commilitoni questa affer- 
mazione : 

Se fossimo in pianura e in campo aperto, gli 
austriaci sarebbero presto spacciati! — 


24 Ottobre. 

Notte di calma assoluta. Mattinata deliziosa dì 
sole. Il primo colpo di cannone è italiano. E’ finita 
l’azione?' Non ne so nulla. Il Rampoldi, passando 
dalla mia trincea, mi dice che alcuni dei nostri 
reparti sono giunti sino al cimitero degli ufficiali 
austriaci, ma non mi sa dire se ci siano restati. 
Non tarderò a saperlo, perchè il nostro battaglione 
darà fra poco il cambio al 39°. Anche il pomerig- 
gio è calmo. Sono chiamato alla tenda del tenente 
Giuseppe Pianu, comandante interinale della 82 a 
compagnia alpini che sta per ritirarsi a quota 1270. 

Il Pianu è un sardo e non gli mancano le qua- 
lità fisiche e morali dei sardi. Nella tenda ci sono 
altri ufficiali. Fra gli altri il sottotenente medico 
Scalpelli. Chiacchiere. Posiamo tutti insieme per 
un gruppo fotografico. Io tengo, nella destra, una 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


73 


bomba. Il Piami — ufficiale valorosissimo — mi 
narra episodi ignoti o poco noti delle prime avan- 
zate italiane nella zona del Monte Nero. Accetto 
il suo invito e resto a cena con lui e cogli altri. 
Menu da grande ristorante : risotto, carne arrosto, 
frittata, fruita, dolce. Vini : Chianti da pasto e Gri- 
gnolino in bottiglie. E’ la cena di commiato. Gli 
alpini, che si sono preparati — silenziosamente — 
alla partenza, sfilano già per la mulattiera. Pianu 
fa levare la sua tenda. Ci salutiamo, con fraterna 
cordialità. 


25 Ottobre. 

Cielo di tempesta. Il sole non riesce a rompere 
la cortina di nuvole che nasconde il Monte Nero. 
Ecco : gli austriaci ricominciano a bombardarci. 

Sono in funzione cannoni di molti calibri : 05, 
75, 155, 280. Nel pomeriggio un colpo solo di can- 
none ha ucciso quattro dei nostri. Ordine di levare 
le tende e di occupare la posizione tenuta dalla 9 a 
compagnia che va agli avamposti. 


26 Ottobre. 

Ci siamo spostali di alcune decine di metri, a 
destra, in alto. Siamo ora a quota 1300 circa. Il 
mio riparo è mollo meno solido di quello che ho 
abbandonalo. Inutile fortificarlo : non resteremo 
qui che due o tre giorni, 


74 


BENITO MUSSOLINI 


27 Ottobre. 

Nevica. La neve filtra dal nostro riparo, dove 
siamo in cinque. Accendiamo il fuoco. Ora è per- 
messo. Ma il fumo ci acceca. Il cannoncino inizia 
la sua solita quotidiana sfottitura. Totale: colpi 
50 a shrapnel. Tiro stracco ed inefficace. Alcuni 
feriti. Il 4° plotone della nostra compagnia si è 
renato di guardia agli avamposti. 


28 Ottobre. 


La nostra artiglieria bombarda le posizioni de- 
gli austriaci. Giunge una triste notizia. Il nostro 
plotone di guardia è stalo « provato » duramente 
dall’artiglieria austriaca. 


29 Ottobre. 

Neve in quantità. L’aspirante ufficiale Raggi è 
venuto nel mio ricovero e mi ha parlato dell’epi- 
sodio di ieri. Egli è rimasto miracolosamente in- 
colume. Gli austriaci prodigano le cannonate, an- 
che quando il bersaglio è costituito da un soldato 
solo e non meriterebbe uno spreco di munizioni. 
Fatto si è che gli austriaci hanno sparato 47 colpi 
da 75 contro un riparo dove stavano rannicchiali 
cinque bersaglieri e l’aspirante Raggi. La penul- 
tima cannonata è stala micidiale. Uno dei bersa- 
glieri ha avuto braccia e gambe spezzate. Un altro 
è stato ferito meno gravemente. Infine, il caporal 
maggiore Camellinj, della classe dell’84, ha avuto 


Ih MIO DIARIO DI GUERRA 


un braccio nettamente asportato da una scheggia. 
Solo ieri sera, dopo una iniezione di caffeina, pra- 
ticatagli al posto di medicazione, riprese i sensi. 
Volle abbracciare e baciare il capitano. Gli au- 
striaci sparavano a granata. Alzo zero. Distanza 
300 metri. 


I miei commilitoni ignorano completamente le 
vicende e i successi dell’offensiva italiana sugli al- 
tri punti del fronte. Siamo in due. a leggere i gior- 
nali. Io e il caporale Vismara, che riceve l’Italia. 
Mi domando : « Perchè non si pubblica e non viene 
diffuso fra le truppe combattenti — composte oggi 
di soldati in grandissima maggioranza alfabeti — 
un Bollettino degli Eserciti d'Italia? Bisettimanale 

0 trisetlimanale, il Bollettino dovrebbe contenere 

1 Comunicati del nostro Esercito e quelli delle Na- 
zioni Alleate, unitamente a qualche articolo e rac- 
conto di episodi di valore, atti a tenere elevato il 
morale delle truppe ». 


30 Ottobre. 

Notte agitala. Ieri sera gli austriaci hanno fatto 
esplodere una mina di proporzioni enormi. Pareva 
che tutta la montagna dovesse «saltare». Le si- 
gnorine impiegate del Credito Italiano — Sezione 
di Milano — mi hanno mandato due grossi pacchi 
di indumenti di lana. Prima novità gentile di que- 
sta mattinata grigia di pioggia a raffiche. 



I 





► 























L’inverno nelle trincee 
dell’ alta montagna 


31 Ottobre. 

Giornata di sole e di calma. Corre voce che 
prestissimo il nostro battaglione andrà per qual- 
che tempo in riposo a Ternova, sull’ Isonzo. La 
notizia rende allegri i miei commilitoni, ma io 
ho ragione di ritenerla infondata. Non turbo la 
loro gioia. E’ giunto un battaglione di fanteria del 
120° reggimento; ecco l’origine della voce. Nei 
« ricoveri » si canta, si fuma, si scrive. Nessuno 
bada al monotono, insistente stillicidio della ve- 
detta austriaca. Il portaferiti De Rita, di Prosino- 
ne, narra le sue avventure americane. E’ stato sei 
anni nel Nord-America. Si dichiara repubblicano. 

— E perchè? — gli ho chiesto. 

— Perchè sono stato a New-York... — 

In realtà, non sa nemmeno il significato della 
parola «repubblica». E’, fra l’altro, quasi anal- 
fabeta. Ma è coraggioso, resistente alle fatiche. I 
suoi battibecchi con l’altro portaferiti tengono alle- 
gra la brigata. Un’altra voce: Tolmino è caduta... 
Nel pomeriggio ricevo un invito dal caporale Giu- 


78 


BENITO MUSSOLINI 


stino Sciarra, di Isernia, della 13* compagnia,. 
Egli è stato all’Infermeria per l’arsi visitare dal 
capitano e gli è riuscito di portare in trincea un 
paio di bottiglie di Asti spumante. Beviamo alla 
salute del Reggimento e alle fortune d'Italia. La 
giornata non finisce bene. Verso le cinque fischia 
uno shrapnel. Uno solo. Da un riparo si leva un 
grido di dolore : ci sono tre feriti, ma, fortunata- 
mente, non gravi. 


1° Novembre. 

Comincia — per me — il terzo mese di guerra. 
Che cosa mi porterà? Notte di quiete e di sogni. 
Da qualche giorno, salvo la cannonata di ieri sera, 
l’artiglieria nemica tace. Anche il « cannoncino » 
riposa. Che significa? Sono state trasportate altro- 
ve le batterie che tiravano sulla nostra posizione? 
O si prepara con una copiosa scorta di munizioni 
un bombardamento in piena regola di qualche 
giorno? Chissà. Nei ripari si lavora accanitamente. 
Ogni tenda ha il suo fuoco. Si annuncia che Pa- 
dre Michele dirà la messa al Comando. Ma, delia 
mia compagnia nessuno si muove. Pomeriggio. Il 
cielo incupisce. Pioggia a raffiche. 

— E’ la burrasca dei giorno dei morti, — mi 
dice qualcuno. Accanto a me, Rizzati, Massari e 
Sandri, tutti di Ferrara, parlano tranquillamente 
di canapa, di mediazioni, dei mercati, di barba- 
bietole, come se non avessero altra preoccupa- 
zione. 


it Mio Diario Di guerra 


79 


Nella tenda vicina i cremonesi Balista e Schizzi 
cantano una parodia del tantum-ergum. Ora la 
pioggia è diventata nevischio. Terzi, l’attendente 
del tenente colonnello Cassola, mi dà — passan- 
do — una notizia tristissima : la morte di Corri- 
doni! 

Attendo, con ansia, il giornale. L’ingegnosità 
dei soldati italiani si rivela nelle trincee. Avere 
una candela in trincea è un privilegio, consentito 
soltanto agli ufficiali, e non sempre. Ma i bersa- 
glieri hanno risolto — con la massima economia 
di mezzi e con la più grande semplicità di appa- 
recchi il problema della illuminazione serale. 
Le notti sono ora così lunghel Si prende una sca- 
tola di carne in conserva vuota. Si versa dentro 
un po’ d’olio di scatola di sardine, insieme a un 
pò di grasso liquefatto della scatoletta di carne. 
Colle pezze da piedi — debitamente sfilacciate — 
si fa lo stoppino che si immerge nell’interno, men- 
tre una delle sue estremità esce fuori da un buco 
praticato verso il fondo della scatola. Si accende 
e se lo stoppino è bene inzuppato, si ottiene una 
luce un pochino più scialba di quella di una lam- 
pada ad arco, ma sufficiente per leggere e scrivere 
una lettera. Provare per credere. 


2 Novembre. 

Corridoni è caduto sul campo di battaglia. Ono- 
re, onore a Luil Scrivo alcune righe per il Po- 
polo dedicate alla sua memoria. Ilo comunicato la 


BENITO MUSSOLINI 


80 


notizia al mio commilitone, il gasista milanese Pec- 
ehio. Sulle prime era incredulo. Quando gli ho 
mostrato la prima pagina del Popolo, ha creduto 
ed ha pianto. 

Nevica rabbiosamente. Tutti i monti sono già 
bianchi. Ordine di affardellare gli zaini e di tenersi 
pronti per partire. La nostra compagnia deve so- 
stituire la 9 a , che si trova già da cinque giorni ai 
posti avanzati. 

Dopo due mesi comincio a conoscere i miei com- 
militoni e posso esprimere un giudizio su di loro. 
Conoscere è forse troppo dire. Le mie conoscenze 
sono limitate al mio plotone e — un poco — alla 
mia compagnia. La trincea nell’alta montagna co- 
stringe ogni soldato a vivere da solo o con qualche 
compagno, nella propria tana. Cerco di scrutare 
la coscienza di questi uomini, fra i quali, per le 
vicende guerresche, io debbo vivere e, chissà!... 
morire. 

Il loro «morale». Amano la guerra, questi uo- 
mini? No. La detestano? Nemmeno. L’accettano 
come un dovere che non si discute. Il gruppo de- 
gli abruzzesi, che ha per «capo» o «comparo» il 
rno amico Petrella, canta spesso una canzone che 
dice : 

E la guerra s’ha da fa, 

Perchè il Re accussi vuol. 

Non mancano coloro che sono più svegli e colti- 
vati. Sono quelli che sono stati all’estero, in Eu- 
ropa e in America. Hanno letto prima della guerra 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


81 


qualche giornale. In guerra sono antitedeschi e 
belgofili. Quando il soldato brontola, non è più per 
il fatto <( guerra », ma per certi disagi o deficienze 
ch’egli ritiene imputabili ai « capi ». Io non ho mai 
sentito parlare di neutralità e di interventismo. 
Credo che moltissimi bersaglieri, venuti da remoti 
villaggi, ignorino l’esistenza di queste parole. I 
moti di maggio non sono giunti fin là. A un dato 
momento un ordine è venuto, un manifesto è stato 
affisso sui muri : la guerra! E il contadino delle 
pianure venete e quello delle montagne abruzzesi 
hanno obbedito, senza discutere. 

Nei primi mesi della guerra, i bersaglieri hanno 
varcato il confine, cogli inni sulle labbra e la fan- 
fara alla testa dei battaglioni. Dopo due mesi di 
sosta a Serpenizza, venuto finalmente l’ordine di 
riprendere l’avanzata, i bersaglieri hanno conqui- 
stato — al passo di corsa, malgrado un turbine di 
cannonate — la Conca di Plezzo e si sono trincerati 
a quattrocento metri oltre la città, che gli austriaci 
hanno poi, quasi completamente distrutta colle 
granate incendiarie. Quando i bersaglieri narrano 
gli episodi di quell’avanzata, vibra ancora nelle 
loro parole la soddisfazione e l’entusiasmo della 
conquista. 

La vita di trincea — monotona e aspra — con- 
ti assegnata soltanto dallo stillicidio quotidiano dei 
morti e dei feriti, indurisce i soldati. Parlar loro, 
non si può. Riunire gli uomini in prima linea, per 
tener loro un discorso, significa esporli a un sicu- 
ro immediato massacro da parte dell’artiglieria 
nemica. E’ il « nemico », la presenza del « nemi- 


Muitolini. • Il mio diario di guerra. 


6 


82 


BENITO MUSSOLINI 


co » che apia e spara a cinquanta, cento metri, ciò 
che tiene elevato il « morale » dei soldati : non i 
giornali che nessuno legge; non i discorsi che nes- 
suno tiene... 

Sono religiosi questi uomini? Non credo troppo. 
Bestemmiano spesso e volentieri. Portano quasi 
tutti al polso una medaglia di santo o di madonna, 
ma ciò equivale a un porte-bonheur. E’ una specie 
di « mascotte » sacra. Chi non paga il suo tributo 
alle superstizioni delle trincee? Tutti: ufficiali e 
soldati. Lo confesso: porto anch’io nel dito mi- 
gnolo un anello fatto con un chiodo di ferro da ca- 
vallo... 

Questi soldati sono nella loro grandissima mag- 
gioranza solidi, sia dal punto di vista fisico che 
morale. Se il vecchio Enotrio Romano tornasse al 
mondo, dinanzi a questi uomini meravigliosi nella 
loro tenacia, nella loro resistenza, nella loro ab- 
negazione, non direbbe più come un tempo : 

La nostra Patria è vile! 

Quale altro esercito terrebbe duro in una cruerra 
come la nostra? ° 


3 Novembre. 

Ieri sera ci siamo spostati di duecento metri più 
in alto, a destra. Ora comprendo l’obiettivo della 
nostra azione. Bisognerebbe occupare la depres- 
sione fra il Vrsig e lo Jaworcek, per tagliare — io 
credo — la linea della difesa austriaca. A squadre 
e plotoni, abbiamo impiegato, per spostarci, quasi 


IL MIO DIÀRIO DI OTTERRÀ 


83 


due ore. Non pioveva, per fortuna. Il mio riparo 
è relativamente buono. Da stamani pioggia e neve. 
La mitragliatrice austriaca spara, ma siamo « de- 
filati » e finora nessuno dei nostri è rimasto ferito. 
Ci troviamo in mezzo al fango. Camminare nella 
mulattiera significa immergersi nella melma fino 
al ginocchio. Fra i ripari corre un vero torrente 
di mota. Qui, siamo più raccolti. 

I cannoni austriaci tacciono sempre. I nostri 
pure riposano. Anche se piove, anche se nevica o 
tempesta, quando i cannoni nemici tacciono, c’è 
allegria fra noi. 


4 Novembre. 

Ieri sera il mio plotone — il primo — è stato co- 
mandato ai piccoli posti. Siamo parliti alle diciot- 
to. Pioggia a scrosci. Buio pesto. Siamo montati 
a uno a uno — in fila indiana — per un cammi- 
namento franato e pieno di fango. Quando i razzi 
luminosi degli austriaci solcavano il cielo, ci get- 
tavamo di colpo a terra. Giunti alla posizione, non 
è stato facile trovarmi un riparo. Non un barlume 
di luce, aH’infuori di quella dei razzi, spenti i qua- 
li, le tenebre erano più dense di prima. Finalmente 
ci siamo cacciati, io e il mio capo-squadra Mario 
Simoni, dietro a un masso roccioso. 

Ho chiesto al mio capo-squadra : 

— In caso di un attacco austriaco, quale la no- 
stra fronte? 

— * Quella a destra... — 


FifìNfTO MUSSOLINI 


Si 


La risposta non mi ha convinto. La responsa- 
bilità delle guardie avanzate sulle linee del fuoco è 
terribile. Devono costituire una garanzia e una pri- 
ma difesa per coloro che stanno dietro. Per for- 
tuna, gli austriaci non prendono mai l’offensiva 
per i primi. Possono contrattaccare, ma « attac- 
care », no. 

Verso mezzanotte, dopo sei ore di pioggia e di 
tuoni, si fa un grande silenzio bianco. E’ la neve./' 
Siamo sepolti nel fango, fradici sino alle ossa. Si- 
moni mi dice : 

— • Non posso muovere più le punte dei piedi. — 

E la neve cade lenta, lenta. Siamo bianchi an- 
che noi. Il freddo ci è penetrato nel sangue. Siamo 
condannati all assoluta immobilità. Muoversi si- 
gnifica «chiamare» la mitragliatrice austriaca. 
Vicino a me c’è qualcuno che si lamenta. Il tenente 
Fanelli lo redarguisce, con voce sommessa, ma il 
bersagliere risponde e c’è nella voce una invoca- 
zione quasi disperata : 

— ; Tenente, sono gelato. Non mi « fido » più. — 

E un meridionale. Ma anche il tenente, che è 
di Bari, deve trovarsi in critiche condizioni. Poco 
dopo, infatti, chiama me e il Simoni e ci manda in- 
sieme dal capitano per chiedere il cambio della 
guardia. Sono le quattro. La nostra guardia do- 
vrebbe durare ancora quattordici ore. 

Trovo il capitano nel suo riparo. Egli, insonne, 
veglia. Fuma. Si trovano in sua compagnia i sot- 
totenenti Raggi e Daidone. 

— Ebbene? 

Signor capitano, il tenente Fanelli mi man- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


85 


da a dirle che i bersaglieri di guardia non resi- 
stono più. Dopo sei ore di pioggia, quattro ore di 
neve... — 

Il capitano mi fa qualche altra domanda e poi, 
volgendosi al sottotenente Raggi, gli dice : 

— Lei va a dare il cambio con una squadra del 
terzo plotone. 

— Benissimo, capitano. Le chiedo, però, un fa- 
vore: mi dia una sigaretta... — 

Sono tornato al mio riparo. L’ho trovato ancora 
in piedi, mentre moltissimi altri erano franati. E’, 
finalmente, l’alba. E’ stata la notte più dura dei 
miei due mesi di trincea. 


5 Novembre. 

A giorno fatto : 

— Primo plotone, zaino in spalla... — 

Scendiamo — per asciugarci un poco — alla 
posizione che occupavamo prima. Il nostro pas- 
saggio viene subito notato dalle vedette austriache. 
Ta-pum. Ta-pum. Ta-pum. Sette feriti cadono uno 
dopo l’altro. Di gravi non ce n’è che due. Giunti 
al luogo indicato, accendiamo dei grandi fuochi. 
Anche il sole viene a salutarci. Il sereno nel cielo 
riconduce la gioia fra noi. Il fuoco non asciuga 
soltanto i nostri indumenti infangati, ci rallegra. 
Pietroantonio, un abruzzese, tornato volontaria- 
mente dall’America, insieme ad altri 2000 per ser- 
vire la Patria, ci racconta episodi interessanti sul- 
la vita delle nostre colonie d’olire Oceano. Immen- 


88 


BENITO MUSSOLINI 


so l’entusiasmo col quale fu accolta la nostra di- 
chiarazione di guerra all’Austria. Moltitudini di 
uomini assediavano i Consolati per la visita mili- 
tare e il rimpatrio. 

— Ho visto — dice Pietroantonio — alcuni scar- 
tali mordersi per la rabbia. — 

Si comprende. I milioni e milioni di italiani — 
in particolar modo meridionali — che negli ultimi 
venti anni hanno battuto le strade del mondo, san- 
no per dolorosa esperienza che cosa vuol dire ap- 
partenere a una nazione politicamente e militar- 
mente svalutata. 

Ho asciugato al fuoco anche le pagine di questo 
diario. Alcune, coll’acqua, sono diventate indeci- 
frabili. 


6 Novembre. 

Tornando ieri sera dalla posizione dove ci era- 
vamo asciugati e rifocillati, ho trovato il mio ri- 
paro occupato da altri. Gli artiglieri della Sezione 
che è con noi mi hanno offerto ospitalità sotto la 
loro tenda. Sono stati gentilissimi. Hanno voluto 
dividere con me il loro rancio. C’è fra essi un 
volontario, tal Ceccóni, vicentino. Stamani, cielo 
buio, di tempesta. Al lavoro! Bisogna costruirsi il 
«ricovero». Tre ore di fatica. Grande fuoco per 
asciugare il terreno sul quale dovremo stenderci. 

E’ giunto dalla Divisione, per telefono, l’ordine 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


87 


ài partenza per il plotone accelerato degli Allievi 
Ufficiali. Del mio Reggimento siamo soltanto in 
cinque: io, Lorenzo Pinna, Vismara, di Milano; 
Moscatiello e Inglese, di Napoli. 

Lascio la compagnia. Saluto il capitano e gli 
ufficiali. Tutti i bersaglieri mi gridano il loro af- 
fettuoso saluto e il loro augurio. Addio! Addio! 
Non sono contento. Mi ero ormai abituato alla 
trincea. Scendiamo allo Slatenik. Tre ore di mar- 
cia faticosa. In certi punti la mulattiera è tutta un 
pantano. A quota 1270, o Trincerone, tappa. Il 
maresciallo Zanotti deve farci il foglio di via. Al 
Trincerone c’è il 27° a riposo. In tutti i reparti 
ardono grandi fuochi. Qua e là si canta a gran 
voce. Piove. Ci ripariamo nella baracca del can- 
tiniere. Come letto : il rivestimento di paglia delle 
bottiglie. Dormire? Niente. Poco lungi è Jacobone, 
napoletano, che dirige un coro di milanesi. Si can- 
ta a voce spiegata la canzone della « povera Ro- 
setta » : 

Ai ventisette agosto 
Era una notte oscura, 

Commisero un delitto 
Gli agenti della Questura-.. 

7 Novembre. 

Prima di scendere a Caporetto, ci siamo recati 
alle cucine del nostro battaglione, dove i nostri 
amici ci hanno regalato un caffè, come si dice in 
gergo militare, « fuori d’ordinanza ». Il tempo non 


88 


BENITO MUSSOLINI 


è malvagio. In marcia! E’ la strada di circa due 
mesi fa. Ecco il laghetto di Za Kraju. Ecco il Ci- 
mitero del 6° bersaglieri. Un piccolo muro di cin- 
ta. In mezzo una grande croce, con tenaglia, mar- 
tello, chiodi e un gallo più abbozzato che scolpito. 
Attorno, attorno, le fosse. Quante? Un centinaio 
e più. Una è coperta da un grosso macigno. Mi 
avvicino e leggo 

Sottotenente Conte Luigi Alberti. 

Su un grosso macigno ce una bella epigrafe, 
deturpata, però, da un errore grafico. Invece di 
nuova, è scritto nuoja. Un altro masso indica una 
fossa collettiva. C’è scritto sopra : 

Qui tutti riuniti. 

La vista di questo Cimitero solitario, a piè dei 
costoni ripidi del Monte Nero, ci rende melanco- 
nici e silenziosi. Incontriamo una lunga colonna 
di muli che viene da Ternova. Ecco Tresenga, for- 
micolante di soldati. Le campane della chiesa — 
bella e grande — che suonano mezzogiorno, mi 
fanno una strana impressione. A Tresenga si la- 
vora. Sorgono da ogni parie baracche. Da Tre- 
senga a Caporetto pochi chilometri. Bella strada. 
Carrozzabile. Cominciano i segni dell’«altra vita». 
Incontriamo degli ufficiali dall’uniforme impecca- 
bile. Attendenti pasciuti e rubicondi, a cavallo. I 
soldati hanno una cera, molto, molto meno sel- 
vaggia della nostra. La guerra, vista nelle retrovie, 
non è simpatica. Ecco l’Isonzo impetuoso e ceru- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


89 


ieo. Caporetto. Se — in questi due mesi — in- 
grandito, abbellito. Sempre lo stesso formidabile 
movimento di camions e di carri d’ogni genere. I 
paesani guardano con una certa curiosità i nostri 
abiti laceri e infangati, le nostre mani e i nostri 
volti sudici e anneriti. Noi siamo — modestamen- 
te! — un po’ fieri, di essere oggetto della curiosità 
della gente. 


14 Novembre. 

Dopo sei giorni passati a Vernazzo — ambiente 
mediocre — stamani, domenica, un ordine è ve- 
nuto, portato da un motociclista della Divisione, 
fi I ordine dice : « Il bersagliere Mussolini torna al 
reggimento ». Non domando perchè. 

La notizia non mi sorprende e non mi addolora. 

o un occhiata al Monte Nero, tutto incappuccialo 
di neve e mi dico: «Domani s'àrò a quota 1270». 

a ^.an Pietro Natisone si vede nettamente sta- 
gliarsi sul fondo dell’orizzonte il famoso « Naso di 
Napoleone ». I miei amici del plotone si mostrano 
non meno sorpresi e molto più addolorati di me. 
La trincea non ha fascino per loro, sebbene fossero 
quasi tutti allogati nei « posti ufficiali » e quindi 
lontani dal pericolo immediato. 

Pochi- saluti, in fretta. Zaino in spalla. Mi pre- 
sento in fureria. Il maresciallo c’è. Mi paga la cin- 
quina, mi consegna la « bassa » di marcia e una 
scatoletta di carne. 

Sono nella strada. Mi fermo a San Pietro, al Co- 


90 


BENITO MUSSOLINI 


mando di Tappa, per attendere un camion auto- 
mobile che mi trasporti a Caporetto. Ma qui faccio 
un incontro inatteso. Trovo Alberto Meschi, ex se- 
gretario della Camera del Lavoro di Carrara, sol- 
dato della territoriale. Egli mi dà un recapito 
per Caporetto : si tratta di certo Oreste Ghidoni, 
che ha piantato a Caporetto un negozio di tes- 
suti e pannine. Ma mentre passeggiamo lungo 
il marciapiede, ecco giungere il Ghidoni su di un 
carro. Mi presenta. Il Ghidoni è un mantovano, 
traslocatosi a Carrara. E’ già sera. Ci fermiamo 
a Pilifero, villaggio a 10 chilometri da San Pietro. 
All’ osteria troviamo — naturalmente — dei sol- 
dati. Ci sono degli alpini che tornano dal fronte 
e si recano a Targetto per il plotone allievi-capo- 
rali; ci sono dei fanti del distretto di Cremona e del- 
la classe dell’83 che vanno a Caporetto. Uomini 
maturi, ma solidi e pieni di buon umore. Essi mi 
dicono che nel cremonese non c’è miseria e la po- 
polazione attende con fiducia l’esito della guerra. 


15 Novembre. 

Oggi è il primo anniversario della fondazione 
del Popolo d'Italia. Ricordi, nostalgie. Mattinata 
grigia. Partiamo da Pilifero alle 9. Per giungere 
a Caporetto ci vogliono tre ore. Solito enorme mo- 
vimento di camions e di carri. Si dice che il fronte 
mangia per le retrovie, ma le retrovie mangiano 
il fronte. Nelle retrovie c’è un vero, formidabile 
esercito, mentre la linea del fuoco è un sottile velo 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


91 


che sembra sfumare nella lontananza. Durante il 
tragitto, il Ghidoni mi racconta i « casi » della po- 
litica carrarese. Sono interessanti. Passo le ore li- 
bere del pomeriggio a Caporetto. La cittadina è 
sempre piena zeppa di soldati. Sono sorti qua e là 
grandi baraccamenti e qualche edificio in pietra. 
Verso sera, mi reco al Camposanto militare. Il nu- 
mero delle croci è aumentato. Saranno quattro- 
cento. Quelle degli ufficiali, una quarantina. Primo 
di questi, il colonnello Negrotto. Sulla sua tomba 
c’è una grande corona in bronzo degli irredenti. 
Ora vado leggendo alcuni nomi sulle croci. V’è 
anche qualche austriaco. 

L’unica fossa che abbia dei fiori è quella di un 
soldato austriaco e sulla croce sta scritto : Joseph 
Waltha, dell’esercito nemico. Il fatto è sintoma- 
tico. 

In un angolo del Cimitero pei civili, ci sono duo 
fosse senza croce e senza nome. Un soldato mi 
spiega che si tratta di due gendarmi austriaci fuci- 
lati dai nostri all’inizio delle ostilità. 

All’estremità del Cimitero militare, che è cintalo 
da un semplice filo di ferro, giunge un carro, ri- 
coperto e trascinato da due soldati zappatori. Ci 
sono due casse da morto. Aiuto a scaricare la pri- 
ma. E’ pesante. Sono due soldati morti all’ospeda- 
letto da campo. Crepuscolo. Melanconia. Ritorno 
in piazza. Compero il Resto del Carlino e trovo la 
prima notizia del bombardamento di Verona. Croc- 
chi di soldati leggono. Molti altri vanno in chiesa. 
Vado anch’io. La chiesa di Caporetto ha ai lati 
due gallerie, dalle quali si sporgono i fedeli, come 


92 


BENITO MUSSOLINI 


dalle logge Ite di un teatro. Banchi, gallerie, sca- 
linata, sono gremiti di soldati. Ce anche qualche 
ufficiale. Ce ne sono dei vecchi e dei giovanissimi. 
Un territoriale degli alpini, accanto a me, ha negli 
occhi un luccicore di lacrime. All’altare officia un 
prete che intona le laudi. I soldati rispondono in 
coro : « Ora prò nobis... ». 

Verso la fine, accompagnati dalle note gravi e 
profonde dell’organo, i soldati cantano un inno. Il 
coro si leva solenne e riempie la chiesa. Io taccio : 
ignoro l’aria e le parole. Il ritornello dice : 

Deh, benedici, o madre, 

L’italica virtù; 

Fa’ che trionfino le nostre squadre 
Nel nome santo del tuo Gesù- 

Il coro è finito con un lungo gemito dell’organo. 

I soldati sfollano. 


16 Novembre. 

Sono l’unico bersagliere dell’ll 0 che torni al reg- 
gimento. In marcia. Vicino a Tresenza passo di- 
nanzi a una polveriera. La sentinella mi guarda e 
mi riconosce. E’ un soldato romagnolo del 120° 
fanteria. Soffia dal Monte Nero un vento di neve. 
Mi affretto. Niente tappa a Rawna. Qui ci sono 
dei bersaglieri del mio battaglione venuti in cor- 
vée. Mi dicono che il 33° battaglione si trova a 
quota 1270 e non sull’ Jaworcek. Notizia conso- 


Il mio diario di GUERRA 


93 


lante. Sei ore di marcia di meno. Lunga fila di 
muli carichi di soldati coi piedi congelati. A Za 
Kraju incontro una barella coperta. C’è un morto 
che viene portato a Caporetto. Segue un caporale 
che piange. Lo conosco. E’ dell’8 a compagnia. Mi 
dice singhiozzando : 

— Il morto è il sottotenente Mario Bottigelli, 
milanese. E stato fulminato da una pallottola, ieri 
.^era, mentre disponeva il suo plotone di guardia 
Ora lo portiamo al Cimitero di Caporetto. — 

Al Cimitero del 6° bersaglieri, mi sferza la fac- 
cia una prima folata di nevischio. Il Monte Nero 
non si vede più.. Neve. Neve. In trincea, dove sono 
giunto dopo tre ore di marcia sotto la neve, ho ri- 
trovato i miei amici, soldati e ufficiali, che mi han- 
no accollo festosamente. 

Notte di uragano. Eravamo nel ricovero in un- 
dia Mal riparati. Freddo siberiano. Ma stamani 
c e il sole. 



II. 


FEBBRAIO MAGGIO 1916 



Dalle falde delTJaworcek 
alle vette del Rombon 


15 Febbraio. 

Caporetto. E' la quarta volta che passo da que- 
sta piccola città slovena, che i nostri occuparono 
appena varcato il confine. Al Comando di tappa 
trovo ancora lo stesso capitano e i sottufficiali 
che c’erano nel settembre. Nulla di cambiato. La 
città mi appare più pulita, oserei dire ringiovani- 
ta, ma più silenziosa e deserta. Pochi soldati, po- 
chi carri. Il vertiginoso movimento dei primi me- 
si di guerra esiste ancora, ma è stato deviato alla 
periferia dove è sorta la città militare con strade 
larghe e ampie piazze. Anche la popolazione non 
è cambiata. Entro in alcuni negozi e trovo ancora 
le facce enigmatiche che notai la prima volta. No. 
Questi sloveni non ci amano ancora. Ci subiscono 
con rassegnazione e con malcelata ostilità. Pensa- 
no che noi siamo di « passaggio », che non reste- 
remo; e non vogliono compromettersi, nel caso in 
cui ritornassero, domani, i padroni di ieri. 

Pomeriggio grigio. Mi dirigo verso il Cimitero 


MusaoJSni - ìt mìo diario di guerra. 


7 


GÈNITO MtTtìSOtllJl 


98 

militare. C’erano nel novembre trecento fosse, ora 
ce ne sono settecento. La siepe di filo di ferro è 
sostituita da un muro di cinta. La cappella reca 
nella sua parte esterna questa epigrafe : 

PER RIVENDICARE I TERMINI SACRI 
CHE NATURA POSE A CONFINE DELLA PATRIA 
AFFRONTARONO IMPAVIDI 
MORTE GLORIOSA. 


IL LORO SANGUE GENEROSO 
RENDE SACRA 
QUESTA TERRA REDENTA 


2 NOVEMBRE 1915 


Si scavano altre fosse laggiù... Ritrovo sulle 
croci i nomi di alcuni miei compagni dell’ll 0 . Esco 
dal Cimitero e mi reco al Tribunale Militare. C’è 
udienza. Si discute il processo contro il sergente 
Nicelli di un reggimento di fanteria, imputato di 
diserzione. Il P. M. chiede l’ergastolo, ma il Tri- 
bunale esclude la diserzione e condanna Nicelli, 
per abbandono di posto, a venti anni di reclusione, 
previa degradazione. Il Nicelli ascolta il verdetto 
con indifferenza e se ne va fra i carabinieri. Segue 
un soldato semplice, siciliano, imputato di un de- 
litto analogo e viene assolto. 


It MIO tìIARIO DI GUÈRRA 


99 


16 Febbraio. 

Zaino in spalla, di buon mattino. A piedi sino a 
Ternova, in camion da Ternova a Sepenizza. Qui 
mi vien detto che la mia compagnia si trova alla 
destra dell’Isonzo, in una località detta Sorgente. 

In marcia! Ecco l’Isonzo sempre impetuoso, 
sempre ceruleo, ma, giungendo alle sue rive, vicino 
alla passarella, vengo accolto da alcune cannonate 
da 280. Vecchia conoscenza. E come non bastasse 
il 280, entra in azione un 305. Sosta di un’ora. Pas- 
saggio del fiume. A pochi metri dalla passarella 
c’è un 305 inesploso e monumentale come il cara- 
biniere di guardia. Alcuni minuti di strada e sono 
ai baraccamenti invernali occupati dalla mia com- 
pagnia. I vecchi commilitoni, che avevano avuto 
qualche notizia del mio arrivo, mi salutano e mi 
abbracciano con effusione vivissima. Petrella, mio 
compagno di trincea, mi bacia. Conoscenza di al- 
cuni ufficiali nuovi, fra i quali il tenente Danesi, 
giovanissimo, appena uscito dalla scuola di Mo- 
dena. I vecchi amici sono quasi tutti presenti. La 
compagnia è in rango, armata. Sono proprio ar- 
rivato al momento opportuno. E’ giunto l’ordine 
improvviso di salire nella zona del Rombon e pre- 
cisamente sul Kukla che gli alpini hanno perduto 
dopo un attacco di sorpresa. E’ già notte quando 
la compagnia si mette in marcia. Notte di stelle! 
Camminiamo — in silenzio — per qualche chilo- 
metro, lungo la strada imperiale di Plezzo; poi, 
giunti dopo Osteria al Ponte Rotto, prendiamo a 
sinistra e cominciamo a salire. 


100 


BENITO MUSSOLINI 


Panorama meraviglioso. Abbracciamo con lo 
sguardo tutta la Conca di Plezzo, inondata dal 
plenilunio. Otto ore di marcia. Attraversiamo Plu- 
sna, rasa al suolo dagli austriaci, e giungiamo alla 
tappa. In una baracca angustissima, capace di ap- 
pena venti persone, troviamo posto tre plotoni. 
Facciamo mucchio. E’ accanto a me un bersaglie- 
re nuovo venuto cogli ultimi complementi. E’ un 
contadino umbro, tale Arcioni, un tipo posato e 
tranquillo, che sembra disorientato e smontato. 
Mi domanda : 

— Fratello, è vero che siamo venuti qui per 
un’avanzata? 

— Non lo so. E se anche fosse? 

— Lo domando, per curiosità... 

— Non so nulla. Coraggio! — 

Sono stanchissimo c, appena disteso a terra, mi 
addormento. 


17 Febbmio. 

Nevica. Corvée : tavole per le baracche e pali di 
ferro per « cavalli di Frisia ». Zaino in spalla! La 
compagnia si sposta tutta in prima linea, nell’ul- 
lima trincea. Si fa ancora una buona marcia per 
una mulattiera quasi impraticabile. Monto di ve- 
detta alla estrema destra della trincea. Sono ripa- 
rato da sacchetti di neve gelata e da uno scudo di 
ferro. Tutto il parapetto della trincea è di sacchetti 
riempiti di neve : fragilissimo. Dinanzi alla nostra 
trincea c’è un reticolato in gran parte sommerso 


IL MIO DIARIO DI GL' ERRA 


101 


dalla neve; un centinaio di metri più in su, si pro- 
fila il semicerchio del reticolato austriaco. Fra i 
due reticolati ci sono delle masse grige informi: 
sono cadaveri abbandonati. Notte serena, di ple- 
nilunio. Siamo in mezzo alla neve. L’occhio abbrac- 
cia un cerchio vastissimo di montagne che mi sono 
familiari. Alla mia destra si profilano il Monte Ne- 
ro, il Vrala, il Vrsig, il Grande e Piccolo Jaworcek. 
Spettacolo fantastico. Ordine di innastare le baio- 
nette c di sparare qualche colpo, intermittente- 
mente. 11 capitano Rondi, che ha il comando inte- 
rinale del battaglione, passa verso la mezzanotte 
in ispezione la trincea. 

— Nessuno deve dormire! — egli ci dice. — 
Non impressionatevi per le bombe a mano. — 

Freddo acuto. Siamo completamente all’aria a- 
perta. La trincea non offre ripari di sorta. Ho spa- 
rato durante la notte mezza dozzina di caricatori. 
Gli austriaci hanno risposto fiaccamente. C’è un 
ferito, fra noi, ma leggero. 


Venerdì 18 Febbraio. 

Giornata serena, ma freddissima. Guardando 
verso l'Italia, si vede tutta la pianura di Udine e 
in lontananza, oltre le lagune, la linea azzurra, ap- 
pena percettibile, dell’Adriatico. 

Tre shrapnels austriaci, provenienti forse dallo 
Jaworcek, battono sulla trincea degli alpini, sot- 
tostante alla nostra. Vedo passare, di corsa, alcuni 


, 


102 


BBNITO MUSSOLINI 


feriti leggeri. Altri vengono trasportati in barella. 
Cominciano a tuonare i nostri 149. I proiettili sibi- 
lanti passano sulle nostre teste a pochi metri d’al- 
tezza e piombano sulla trincea austriaca. Guar- 
dando contro il sole, si vede giungere il proiettile; 
sembra una bottiglia nera con un leggero movi- 
mento di oscillazione. Tutti i proiettili scoppiano: 
ciottoli e pali vengono a cadere sino nella nostra 
trincea. Stormi di corvi volano descrivendo ampi 
cerchi sulla Conca di Plezzo. Sotto alla nostra trin- 
cea ce la fossa di due soldati caduti nei primi com- 
battimenti. Tutta la compagnia è rimasta per ven- 
tiquattro ore consecutive di vedetta alla trincea. 


19 Febbraio. 

La solita corvée. Bisogna andare a prendere i 
viveri al Comando di Brigata. Un’ora di marcia, 
faticosa. Chi ha i chiodi aguzzi o i ferri, può cam- 
minare. I bersaglieri mettono i piedi nei sacchetti 
per la terra e non scivolano più. Durante il tra- 
gitto, 1’ artiglieria nemica ha bombardato la posi- 
zione, ma la mulattiera è sotto a un costone, che 
forma un angolo morto bellissimo. Sotto quelle 
rocce si è sicuri e si può — come facciamo — as- 
sistere tranquillamente allo scoppio fragoroso dei 
proiettili nemici. Passa un generale. Lo seguono 
molti ufficiali. Un sergente dell’8 a compagnia, tal 
Peruzzone, genovese, è stato colpito mortalmente 
da una fucilata al petto. E’ caduto senza un gemito. 
Gli scavano una fossa sotto la neve. Sole grandis- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


103 


simo, quasi primaverile. Si lavora a preparare 
<( cavalli di Frisia » e reticolati. I soldati, nelle ba- 
racche, scrivono, scrivono... Mi fermo con un 
gruppo di giovani ufficiali che fraternizzano con 
me. C’è il tenente medico Musacchio, il « quasi- 
avvocato » Peccioli che mi ricorda le manifestazio- 
ni e le barricate romane del maggio; il già avvo- 
calo Rapelti, pure romano; Santi e Barbieri della 
mia compagnia. Altre conoscenze : l’avv. Ghidini, 
volontario negli Alpini, avvocato bolognese. Or- 
dine di servizio per la mia compagnia; il primo e 
secondo plotone vanno di guardia alla trincea; il 
terzo e quarto devono spostare avanti i reticolati. 
Ci vestono di bianco. Appena giunto al mio posto 
di vedetta, all'estremità destra della trincea, la ve- 
detta austriaca mi tira una dietro l’altra due fuci- 
lale che si spezzano contro lo scudo. Metto la canna 
del mio fucile alla feritoia e rispondo. L’austriaco 
a sua volta risponde. Il duello dura alcuni minuti. 
Lo spostamento dei reticolati avviene senza inci- 
denti e senza vittime. Notte freddissima e stellata. 
Siamo completamente all'aperto. Quindici gradi 
sotto zero. Se si resta immobili, le scarpe gelano e 
aderiscono al suolo duro e sonoro come un me- 
tallo. 


Domenica 20 Febbraio. 

Sole. Poche e rade fucilate tra le vedette delle 
squadre in trincea. Alcune cannonate, innocue. 
Con una bottiglia di « Barbera amabile » che il bcr- 

1 


- 104 


BENITO MUSSOLINI 


sagliere Moroni Tomaso di Osimo mi ha regalato 
e con lo scaldarancio, facciamo un eccellente vino 
brulé che ristora i miei compagni. Ora, i cannoni 
austriaci di grosso calibro tirano nella Conca di 
Plezzo, verso la stretta di Saga per colpire le no- 
stre batterie di 149. I 280 e i 305 scoppiano di- 
nanzi e indietro, sollevando nuvole di fumo. E’ un 
pezzo che gli austriaci « cercano » la nostra batte- 
ria, ma non l’hanno ancora trovata. Verso sera il 
sottotenente Barbieri mi dice che il colonnello 
vuole vedermi. Il nostro colonnello, venuto a co- 
mandare il reggimento in sostituzione di Barbiani, 
si chiama Berulo cav. Giuseppe. Un uomo di me- 
dia statura, asciutto, di poche parole. Capelli bian- 
chi e un pizzetto pure bianco alla Lamarmora. E’ 
stato ferito sul Carso. Mi presento, saluto. 

Una cordiale stretta di mano. 

— - Ho voluto conoscervi, nel momento in cui, 
compiuto il vostro dovere per un giorno e una not- 
te di guardia alla trincea, siete disceso per un po’ 
di riposo. So che siete un buon soldato. Non ne 
ho mai dubitato. — 

Il colonnello passa ad altro e ini dice : 

— Sono stato parecchie volte di picchetto a Mi- 
lano, per causa vostra e dei vostri amici. 

— Altri tempi! — rispondo. 

Il colonnello vive la nostra vita, soffre degli stes- 
si disagi di un semplice soldato. Egli poteva re- 
stare in seconda linea con uno degli altri battaglio- 
ni. ma ha voluto essere col battaglione più esposto 
al pericolo. Ciò è molto simpatico e i bersaglieri 
apprezzano questo gesto. Il colonnello dorme su 


IL MIO DIARIO DI GL ERRA 


105 


alcune tavole in una specie di cuccetta alta un me- 
tro da terra. Sotto di lui, a terra, dorme il suo aiu- 
tante, il sottotenente milanese Olinto Fanti, mio 
buon amico. 

Da un altro lato dell’angusta baracca che serve 
anche da «posto di medicazione» degli alpini, 
dormono i tenenti medici Gargiulo e Congiu. Il 
primo meridionale, l’ultimo sardo. C’è anche Don 
Giovanni, cappellano degli alpini, un pezzo d'uo- 
mo dall'aria assai mite. 

* 

« * 


A proposito : la medaglieria religiosa è in dimi- 
nuzione. Nei primi tempi era un irnpdrversare di 
immagini sacre. I soldati ne portavano al collo, al 
polso, sul berretto, nelle dita a foggia di anello. 
Tutto ciò va cadendo in disuso. La tragica espe- 
rienza delle prime linee ha insegnato che un amu- 
leto vale l’altro, che il cornetto vale una medaglia; 
e un gobbo d’avorio un Sant’Antonio. L’ultima 
trovata in materia di « scongiuri » è quella di toc- 
carsi le stellette (forse per analogia collo « stello- 
ne? ») o di portare questa cabalistica epigrafe : 

B I P ZI R 10 
C eh. ZI P. S. S. 

Migliaia di soldati l’hanno ricevuta passando 
per i paesi della vallata del Natisene. 

Sono incapace di decifrarla- 


103 


BENITO MUSSOLINI 


21 Febbraio. 

Notte di vento violentissimo e gelato. Veniva dal 
Monte Nero. La tela della nostra fragile baracca 
si gonfiava, mentre le traverse di legno stridevano 
e pareva dovessero rompersi da un momento al- 
l’altro. Pigiati gli uni su gli altri. Per muoversi dal 
fondo della baracca alla porta, si cammina sui 
compagni, colle ginocchia e le mani a guisa di 
quadrupedi. Nessuno ha chiuso occhio. Alle quat- 
tro, sono stato chiamato per la corvée dei viveri, 
che bisogna andare a prendere dove si fermano i 
muli, nella posizione dove si trova il Comando di 
Brigata. Anche nel Rombon i nostri morti sono 
disseminati qua e là, dove è stato possibile di sep- 
pellirli. Sette croci allineate sorgono vicino al Co- 
mando di Brigata; due più in alto; qualche altra 
nei pressi della mulattiera. Mattino di calma. Il te- 
nente Rapetti mi narra un episodio che dimostra 
quanto giovi ad incuorare i soldati, l’esempio de- 
gli ufficiali. 

— Il 12° bersaglieri — mi dice Rapetti — era 
a quota 1270, alle falde del Monte Nero. La nostra 
trincea veniva battuta da parecchie ore da un vio- 
lento fuoco di artiglieria. Il sergente Brenna aveva 
avuto un momento di panico. Piuttosto che rim- 
proverarlo, io mi misi in piedi sulla trincea, men- 
tre granate e shrapnels fischiavano da ogni parte 
Il gesto mio, temerario, incuorò i bersaglieri, più 
di qualunque punizione od eccitamento. Quando, 
di lì a poco tornai, trovai il sergente Brenna-, che, 
impassibile e fresco tra 1'infuriare dei proiettili ne- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


4 107 


mici, si mise sull’altenti e disse: — Niente di nuo- 
vo, signor tenente. Presenti, diciannove come pri- 
ma . — 

Il colonnello ha chiesto una copia del mio «Gior- 
nale di Guerra» dello Jaworcek. Ordine di servi- 
zio per la notte : il primo plotone è comandato a 
porre i « cavalli di Frisia » oltre la nostra trincea. 
Della prima squadra andiamo volontariamente io 
e Reali Oreste, milanese. Ci vestiamo di bianco e 
andiamo su. Prima che spunti la luna, usciamo 
dalla trincea insieme col tenente Santi. Strisciamo 
per alcuni metri... Ad un certo momento, il te- 
nente avverte un rumore di passi sulla neve gelata. 
E’ una pattuglia di austriaci. Sosta. Tutto intorno 
è silenzio. Ma le nostre vedette non dormono ed 
ecco crepita il fuoco della nostra fucileria. La pat- 
luglia nemica si ritira in buon ordine. 


22 Febbraio. 

Notte di luna, serena, ma freddissima. Si dice : 
dai quindici ai venti gradi sotto zero. Ma nessuno 
si sente male. Malati in lutto: quattro e più che 
malati, indisposti. Cominciamo a « sfottere » gli 
austriaci. Sopra a un lungo bastone piantiamo 
una pagnotta di pane e sopra a un altro, issiamo 
un cappello da bersagliere. Agitiamo, per qualche 
tempo, i due bastoni al disopra della trincea, ma 
gli austriaci non sparano. Una novità : il nostro 
capitano Mozzoni è tornalo dalla licenza invernale. 
Passa fra di noi salutandoci tulli, Mi annuncia che, 


108 


BENITO MUSSOLINI 


con molta probabilità, il reggimento cambierà 
fronte e andrà in C'arnia. Distribuzione di caffè, 
cioccolato, burro, castagne secche. Si beve molto 
cognac e mollo rhum. I liquori eccitano contro il 
freddo e soprattutto tengono desti. Da notare : alle 
quattro e a mezzanotte, ci viene distribuito caffè e 
latte. E un record a quest’altezza! La distribuzio- 
ne dei viveri è regolare e abbondante : non abbia- 
mo il rancio caldo, ma tant’altra roba lo sostitui- 
sce : anche il prosciutto che talvolta è veramente 
squisito. Il lenente medico Musacchio mi offre la 
fotografìa dello Jaworcek, con questa dedica : 

All'amico Benito Mussolini 
offro 

affinchè gli ricordi il luogo 
ov' ebbe il battesimo del fuoco <> 

e la gioia suprema 

di constatare nel cuore dei suoi commilitoni 
le nobili qualità della stirpe italica. 

Dormiamo sotto a una baracca, ma sulla neve. 

Ci contenteremmo di un pochino di paglia ma 
non c’è. 


Mercoledì 23 Febbraio. 

TV otte di guardia alla trincea. Dodici ore sotto a 
una implacabile bufera di neve. Verso le due si è 
udito un vivo fuoco di fucileria alla nostra destra 
nelle posizioni tenute dagli alpini. Siamo balzati 




It Jiiù DIARIO Di GtrfiftfiA 


109 


lutti i n piedi. Coperti di neve, sembravamo tanti 
iantasmi usciti da una fossa. Si trattava di un at- 
tacco austriaco più simulato che attuato. Il fuoco 
è durato una quindicina di minuti. Stamani, al- 
1 alba, 1 S a compagnia è venuta a darci il cambio. 
Durante l’operazione, una pallottola sola di una 
vedetta austriaca ha ucciso due dei nostri: Mas- 
sari, un richiamato ferrarese dell’84 — un soldato 
bravo, disciplinato, volonteroso, che era stato con 
me in trincea sullo Jaworcek — e Manucci. So- 
no caduti senza un grido, sul margine inferiore del 
camminamento. Colpiti entrambi alla testa. Dai 
buchi uscivano fiotti di sangue che invermigliava 
la neve. 

Fatalità! 

Il Manucci era già partito per la licenza inver- 
nale ed era giùnto a Tennova. Qui aspettò sei gior- 
ni, perchè le licenze erano state sospese nel settore 
dell Alto Isonzo. Dopo sei giorni, ricevette l’ordine 
di tornare in compagnia. Giunse ieri sera. Stama- 
ni è morto. Il Massari era miracolosamente scam- 
pato allo shrapnel del 10 ottobre che uccise i suoi 
due compagni di tenda, i ferraresi Mandinoli e Mel- 
loni. 

— Portaferiti! — 

Ecco De Rita e Barnini. Adagiano in una co- 
perta di lana i due morti e li trascinano piano sulla 
neve... Un trasporlo colla barella è impossibile, 
data la ripidità e il gelo del camminamento. La no- 
stra trincea è fatta di neve. I sacchetti non conten- 
gono che neve gelata. Le pallottole passano come 


116 


BÉNÌTO MUSSOLINI 


attraverso la carta velina. Bisogna camminare a 
schiena incurvata. 

Nevica sempre. 

Una valanga si è schiantata sulla baracca dove 
dormono alcuni sottotenenti, le loro ordinanze, 
Beali ed io. Sotto l’urto, la baracca si è chiusa co- 
me un libro. Per fortuna, nessuno di noi è rimasto 
ferito. Ho aiutato il lenente Malascherpa — cre- 
monese — a liberarsi dai rottami e dalla neve, che, 
sfondando la tela della baracca, lo aveva quasi se- 
polto. 


24 Febbraio. 

Le solite dodici ore di guardia alla trincea. So- 
no, colla mia squadra, capitato proprio nel punto 
dove caddero ieri Manucci e Massari. La neve è 
ancora rossa di sangue. Scendendo — a servizio 
ultimato — dalla trincea, porto al maggiore Ten- 
tori, comandante il battaglione Bussano degli al- 
pini, una copia del Popolo, col trafiletto dedicato 
al Volonteri di Monza. Il maggiore mi ricostruisce 
le vicende della notte tragica — 14 febbraio — 
nella quale fu tentata la riconquista delle posizioni 
perdute sul Kukla. L’avvocato Alfredo Volonteri 
- - volontario — morì colpito da una palla in fron- 
te, mentre gridava : — Alpini del battaglione Bas- 
sano, avanti, sempre avanti! — 

Il maggiore Tentori mi racconta anche la fine 
eroica di un caporal maggiore che, colpito al ven- 


tt MtO DIARIO Dt Gl TJ ERRA 


Ili 


Ire, è morto dicendo : — Mi za me moro, ma moro 
contento per l’Italia! Viva l’Italia! — 

Nelle parole del maggiore — un uomo alto, dal 
portamento nobile e marziale — vibra ancora un 
intenso affetto per i caduti. 

Ho assistito a sera inoltrata a una scena maca- 
bra. Una cassa da morto, fatta rozzamente, è stata 
caricata su un mulo. Gli alpini lavoravano in si- 
lenzio. Dentro ci dev’essere — ho pensato — la 
salma del povero Volonteri, che la pietà di un 
amico ha dissotterrato per farla portare in giù, in 
uno dei cimiteri dei pressi dell’Isonzo. 


Venerdì 25 Febbraio. 

Notte di tormenta. Stamani nebbia e neve si al- 
ternano. Abbiamo lavorato intensamente. E’ la 
guerra dei braccianti. La vanghetta vale il fucile. 
Ora il nostro camminamento è profondo. Si può 
stare in piedi senza pericolo di ricevere qualche 
micidiale pallottola. Abbiamo rinforzato la trin- 
cea con sacchetti di terra. In poche ore ne abbia- 
mo riempito qualche centinaio. E’ giunto il nuovo 
comandante del nostro battaglione, cav. Galassini 
modenese. 

» % 

Il tenente medico Musacchio mi parla di uno 
strano tipo di ammalato, ch’egli ha visitato stama- 
ni. Si tratta di un siciliano che afferma di essere 
stato « fatturato », cioè stregato, durante la licenza 


112 


BENITO MtfSSOLlSl 


invernale. Sintomi della « fattura » : debolezza, 
inappetenza, dolori vaghi e nostalgia. Comprendo 
che un siciliano soffra di nostalgia, nostalgia del 
sole, fra tanto gelo e tanta neve! 

* 

% * 

Gli ufficiali subalterni del mio battaglione sono 
tutti giovanissimi e ci trattano col « tu » confiden- 
ziale. La notte scorsa, secondo quanto mi dice il 
tenente Azzali della 6* compagnia, gli austriaci — 
in vesti bianche — si sono mossi per il solito at- 
tacco, ma i bersaglieri del 33°, che non hanno l’a- 
bitudine disastrosa di dormire in trincea, hanno, 
con cinque minuti di fuoco, sventato il tentativo. 


Sabato 26 febbraio. 

Nottata di guardia. Tormenta di neve sino a 
mezzanotte. Il capitano ha vegliato tutta la notte 
insieme con noi. Ha declamato un brano del Ne- 
rone di Cossa. Per ingannare il tempo, abbiamo 
canticchiato. A mezzanotte, Reali, chef de cuisine 
della squadra, ci ha preparalo una specie di punch 
che bruciava gli intestini; poi ci ha intrattenuti su 
gli usi e costumi nord-americani. Le notizie da 
Verdun hanno suscitato grande interesse fra noi. 
Verso le quattro, si è udito gridare alla nostra 
sinistra : 

— All’armi! All’armi! — 

Siamo usciti immediatamente dalle nostre bu- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


113 


che — quattro in tutta la trincea — e ci siamo 
messi in linea. Tutto ciò è avvenuto con la rapi- 
dità del baleno. 

— Le bombe! Le bombe! — 
r In questo momento il nevischio ci frusta violen- 

temente la faccia. Ecco le bombe, fi sacco era in 
consegna alla nostra squadra. 

— Fuoco! — 

Ho sparato tre caricatori. Poi mi sono scaldato 
le mani alla canna tepida del fucile. Gli austriaci 
non hanno sparato nemmeno un colpo. 

All’alba ho visto un fenomeno strano, dovuto cer- 
tamente all’azione dell’elettricità. La punta delle 
nostre baionette brillava come se fosse uscita dal 
fuoco. Anche il capitano ha osservato il fenomeno. 

• Stamani, sole. Il bianco della neve abbacina. So- 
lito bombardamento degli austriaci, contro le no- 
ste irreperibili batterie della stretta di Saga. 


27 Febbraio. 

Breve sole. Adesso nevica ininterrottamente da 
quindici ore. Di guardia alla trincea. Se continua 
a nevicare, la nostra situazione può diventare dif- 
ficile. Oggi, per la prima volta, siamo rimasti sen- 
za pane, 

* 

* ^ 

La posizione della nostra trincea non ci permet- 
te, in caso di un serio attacco austriaco, nessuna 
possibilità di scelta : bisogna resistere sino all’ul- 


Mussolini. * Il mio diario di guerra- 


8 


114 


BKNITO MUSSOLINI 


timo uomo. La trincea è scavata proprio all’orlo 
di uno scoscendimento del Kukla, che precipita 
quasi a picco, per alcune centinaia di metri, sino 
a! pianoro dove c’è il Comando di Brigata. Riti- 
rarsi, significa precipitare, rotolare nell’abisso. 
Resistere, dunque, e siamo pronti! 


28 Febbraio. 

Oggi abbiamo lavorato di vanghetta e badile. 
Le solite fucilate tra vedette. Nessun ferito. 


29 Febbraio. 

Domani avrò i galloni da caporale. Un piccolo 
avvenimento nella mia vita di soldato. Il capitano 
ha motivato così la proposta : 

«Per l'attività sua esemplare, l’alto spirito ber- 
saglieresco e serenità d’animo. Primo sempre in 
ogni impresa di lavoro o di ardimento. Incurante 
dei disagi, zelante e scrupoloso nell’adempimento 
dei suoi doveri ». 


* 

* * 

Dialogo colto a volo ieri sera : 

— Tenente Barbieri, quant’è la forza della com- 
pagnia montata stasera di guardia alla trincea? 

— Centosette uomini. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


118 


Ma lassù non ce ne sono che settantaquàttro 
contati da me. 

Si vede che i «disponibili» non sono di più. — 
Fra i cosiddetti « disponibili » c’è sempre qual- 
che « imboscato » che « sbafa » la guardia; cioè, 
non la fa, 


1° Marzo. 

AT ♦ 

Notte di guardia alla trincea. Nevica. Sono sce- 
so all’alba. Battaglia a pallate di neve. Giungono, 
verso mezzogiorno, alcune bombe austriache! Una 
vittima. Un alpino del battaglione Bassano. Lo 
portano in barella al posto di medicazione, ma ci 
restano un attimo. Brutto segno! L’alpino è mor- 
talmente ferito. Sulla mulattiera c’è una striscia di 
sangue e di materia cerebrale. Padre Michele mi 
racconta che al 27° battaglione, che trovasi alla 
nostra destra, ci sono stati due morti e due feriti 
da pallottole delle vedette. Anche il tenente Ra- 
petti è ferito, ma non gravemente. 


Giovedì, 2 Marzo. 

Stanotte di guardia. Neve. Neve- Sono ubriaco 
di bianco. Era con noi il capitano. Si è allogato 
alla meglio nella nostra tana, gocciolante da tutte 
le parti e ci ha letto moltissime pagine del libro 
del povero Lucatelli : Come ti erudisco il pupo. Mi 
sono divertito. Sull’alba il sonno mi ha preso. Per 


116 


BENITO MUSSOLINI 


vincerlo ho ingoiato mezza bottiglia di rhiim che, 
come dice l’etichetta, contiene tanto « alcool pari 
al 21 % del suo volume ». Novità. Stamani, presto, 
una valanga ha travolto quattro alpini e un mulo. 
Altra novità. Son riaperte le licenze invernali. 
Spetta anche a me, di diritto. Foglio rosso, tra- 
dotta N. 1. 

Partono con me Reali, Morano, Tinella, Morani, 
il tenente Barbieri di Modena. Terza novità. An- 
che il battaglione scende stasera e va a Serpenizza. 
Questa notizia mi fa piacere. Il pensiero di lascia- 
re i miei compagni sul Rombon turbava un po’ la 
mia gioia. Durante il tragitto, gli austriaci ci spe- 
discono tre shrapnels. Qualche altra cannonata 
scoppia su noi, in prossimità di Osteria, sulla stra- 
da maestra imperiale di Plezzo. Notte di sosta a 
Serpenizza. 


3 Marzo. 


Le compagnie del mio battaglione sono discese 
lo notte scorsa. Partenza. Poco oltre Serpenizza, 
passiamo davanti ai baraccamenti dove hanno per- 
nottato i' miei commilitoni. Auguri e saluti. Piove 
a dirotto. Sosta a Ternova per il bagno e la visita 
medica. Tappa notturna a Svina, a cinque minuti 
da Caporetto. Svina è un villaggio di poche case 
Notte in un solaio, sulla paglia. Non siamo molti, 
E’ una delle ultime tradotte. I permissionaires ten- 
gono un contegno dignitoso e corretto. Non grida, 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


117 


non schiamazzi : la gioia c’è, ma è contenuta nei 
cuori. Si formano dei crocchi, dove vengono nar- 
rati episodi di guerra. E passano nel racconto il 
Monte Nero, il Vrata, il Vrsig, lo Jaworcek, il 
Rombon, le montagne dell’Alto Isonzo, santificate 
dal sangue italiano. 




Un mese tra le 
montagne della Carnia 


25 Marzo. 

Cerco da cinque giorni il mio battaglione- 
L’ho lasciato a Serpenizza a riposo. So che è 
rimasto dieci giorni a Pinzano sul Tagliamento. 
Poi è partito per la Carnia, ma per destinazione 
ignota. Giro da cinque giorni, in lungo e in largo, 
la Carnia, a piedi e in ferrovia. Da Tolmezzo a 
Paluzza. La colonna dei bersaglieri che tornano 
dalla licenza invernale è scortata da due carabi- 
nieri a cavallo. Attraversiamo il ponte del But che 
«irrompe e scroscia». Si marcia in ordine. Ecco 
Terzo, Cedarchis, Enemonzo, Arta. Ho appena il 
tempo di leggere l’epigrafe che ricorda il soggior- 
no di Giosuè Carducci in questi luoghi. 

Un po’ di sole. La strada s’inoltra fra abetaie 
foltissime e odoranti. C’è nell’aria il lepore della 
primavera. I torrenti ingrossati dal disgelo urlano 
tra le gole dei monti. Verso Paluzza, la valle del 
But si allarga. A Paluzza, il maggiore degli alpini, 
che sta al Comando di tappa, mi dice, finalmen- 
te, dove si trova il mio battaglione. Lo raggimi- 


120 


BENITO MUSSOLINI 


gerò domani. Passo la serata a Paiuzza, popolala 
da soldati di ogni arma. Il paese è intatto. L’arti- 
glieria nemica non lo ha mai raggiunto. Timau, 
invece, secondo quanto mi dicono abitanti di Pa- 
iuzza, è una rovina. Timau è l’ultimo abitato che 
si trova, prima di raggiungere le posizioni ormai 
famose del Pai Piccolo, Pai Grande, Freikofel. 


26 Marzo. 

Giunge dal Freikofel il rombo ininterrotto del 
cannone. Si combatte. Ma l’eco della battaglia vi- 
cina non sembra turbare eccessivamente i citta- 
dini di Paiuzza. La caratteristica chiesetta, di- 
nanzi alla fontana, rigurgita di gente che ascolta 
la messa. Gruppi, fra i quali sono molti soldati, 
stanno davanti alla porla principale e a quelle' 
laterali. Un sergente maggiore del Comando di 
tappa mi informa che da Timau si sono chieste, 
«tutte le ambulanze disponibili». Ciò dà un’idea 
della gravità del combattimento. 

Alle undici ci raduniamo per partire. Siamo ac- 
compagnati dal sottolenente Menini, lombardo. 
Addio Paiuzza! Attraversiamo il But e tocchia 
mo Cercivento. Segue Ravascletto, dove troviamo 
la neve. Siamo a 947 metri. Vecchi e donne sono 
nelle strade a godersi il sole e il riposo domeni- 
cale. Un particolare significativo che denota il pa- 
triottismo di queste popolazioni. A Ravascletto — 
paese di poche centinaia di anime — sono state 
sottoscritte ben 25 mila lire per il terzo prestito 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


121 


nazionale. Sosta per il rancio che confezioniamo 
in casa di un contadino che ci offre le marmitte. 
In marcia! Ora la strada riscende. Il panorama 
che si offre allo sguardo è sempre incantevole. 
Gamia pittoresca e ospitale!! Breve tappa a Pau- 
laro: un villaggio. Entriamo in una casa — che 
ha una certa grazia di villetta signorile — per bere 
un sorso d’acqua. Ci viene offerta, con gentilezza, 
dalle donne di cam. Tre ragazze: Mina, Antoniet- 
ta, Maddalena. Noto un grande ritratto di Bene- 
detto Cairoli e uno piccolo di Gabriele d’ Annun- 
zio. Donne italianissime. Cantiamo insieme l’inno 
di Oberdan. Saluti e auguri. 

Ecco Comegliaus, da dove comincia la valle del 
Degano. Tappa serale a Rigolato, pieno di alpini 
del 3°. Sono giovani del ’96 provenienti da Tori- 
no. Le osterie sono affollate di soldati. Nelle strade 
non ci sono fanali. Buio pesto. Ma da un accanto- 
namento, non lungi dalla strada principale, si leva 
un coro : 

Al 27 maggio 
Al tramonto del sol, 

Affondavasi una barca 
Nel Lago Maggior. 


Bella che dormi 
Sid letto dei fior, 

Svegliati e poi ricevi 
Un bacio d’arnor... 

Il coro lento a tre voci si diffonde con una certa 
solennità nella notte stellata. 


122 


BENITO MUSSOLINI 


27 Marzo. 

l)a Rigolato a Forni ci sono 7 km. e mezzo di 
strada maestra. A Forni ce il Comando del mio 
battaglione. Lungo la strada, il solito movimento S 
delle retrovie : biciclette, carri, camions. 

Incontriamo una piccola automobile della Croce 
Rossa inglese, guidata da uno chauffeur coll’inevi- 
taile pipa corta in bocca. A Forni, dove giungia- 
mo verso le 11, ci dicono dove si trova la mia 
compagnia. Ci mettiamo al seguito della colonna 
dei muli che portano i viveri. Di rimarchevole a 
borni non ho visto che un palazzo delle scuole ele- 
mentari, quasi grandioso. Siamo una decina di 
bersaglieri. E’ con noi l’aspirante ufficiale Baldesi, 
toscano. Tre ore di marcia lungo una mulattiera 
che attraversa un abetaia così folta, che impedisce 
al sole di giungere a terra. 

A quota 1576, alla destra del torrente Borda- 
glia, che nasce dal laghetto omonimo, trovo il 1° 
plotone della mia compagnia. Sono arrivato. Il 
plotone è ricoverato — insieme con altri bersa- 
glieri ciclisti del 10° — in una baracca di legno 
a Ire piani. Di fianco c’è la cucina e uno sgabuz- 
zino, sulla cui porta mal connessa sta scritto pom- 
posamente : Sala convegno per fumatori. Ce il fu- 
mo, ci sono i fumatori, ma quanto alla sala è... 
un esagerazione. La stanchezza mi concilia rapida- 
mente il sonno. 


i 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


123 


28 Marzo. 


Alba grigia. Qualche raffica di nevischio, atte- 
nuata da ondate di sole. Bizzarria della montagna. 
Il Comando della nostra compagnia è 300 metri 
più in alto. Vi salgo per presentarmi al capitano. 
Nel tragitto ho modo di orientarmi sulle nostre po- 
sizioni. Siamo fortificatissimi! Tutta la neve, vi- 
cino e lontano, è punteggiata dai pali dei nostri 
reticolati. Di qui, non passeranno mai! 

29 Marzo. 

Stamani, ricognizione volontaria. Sono disceso 
nella valle, sino alla confluenza del Bordaglia col 
Volaja. Laggiù una squadra di alpini schyatori 
si esercitava. Pomeriggio insignificante. La prima 
squadra è di guardia all’accantonamento. Sono 
capoposto. Notte tranquilla. 


30 Marzo. 

Nevica da sedici ore. Tutto è bianco. La mulat- 
tiera è sommersa. Pomeriggio: nevica sempre. La 
posta non è giunta. Ore lunghe. Nella baracca, 
al primo, al secondo, al terzo piano — totale al- 
tezza quattro metri o giù di lì — si gioca a carte, 
si fuma, si canta. Io, col ventre a terra, scrivo 
queste note. Tipi di soldati : Meiosi Piacentino, 
lucchese, tornato daH'America. Classe 1893. E’ il 


124 


BENITO MUSSOLINI 


vero tipo del toscano medio : asciutto, intelligente 
e provvisto di una buona lingua snodata. 

,. ®? n .° tornat o in Italia per l’onore — egli mi 

dice, iniziando la nostra conversazione. — Cinque 
anni or sono andai in America e quando fu chia- 
mata la mia classe, non essendomi presentato, fui 
dichiarato disertore. In America, a Richmond, ca- 

rnm 6 deII ° Stato di Virginia, avevo un piccolo 
commercio di confettiere. Gli affari non andavano 
mate. Scoppiò la guerra europea. Quando l’Italia 
entro in campo, sentii che non potevo più oltre re- 
stare lontano dalla mia patria e sono tornato. Po- 
tevo entrare nella Sanità, ma ho preferito un’arma 
combattente e sono qui a fare il mio dovere — 
j. un fatto > che i soldati tornati dall’America 
costituiscono la parte migliore delle truppe al 
I conte. i‘ 

Domattina, sveglia alle quattro. Dopo gli atlac- 
chi al Pai Piccolo, bisogna vigilare. Tale è l’ordi- 
ne telefonico del capitano. 

L eventualità di un’azione lusinga i soldati 
Nevica sempre^ Sono cadute due valanghe co., 
un boato tremendo. Non si ha notizia di vittime. 

morti in seguito a valanghe non sono stati molti 
in questa zona : cinque e alcuni feriti. 


Dopo tanta neve, ecco una mattinata meraviglio- 
sa di sole. Nella chiarità diafana, trasparente del- 
1 orizzonte, si stagliano netti i profili e le merlet 


IL MIO DIARIO DI CJUSRRA 


123 


vedono . W “ chi *tae. Lontano ni 

vedono le guglie dolomitiche del Cadore 

Intanto, al lavoro. La mulattiera è colma di neve 

mn C eV,f nlÌen ' r aOTSSO " lte " «otto™ coprii 

a e della seconda linea sono ostruiti. Dai costoni 

e r?r f CÌ m ° nti di Vas e Omìadet 
hno-hè n , ? ° nte ’ 81 staccano frequenti va- 

r“- 

l«^hi rotoeriggi. solatìo e 'SelT 

tCn-r^r 

stflC-ando austriaco che ci fronteggia è rima- 
ignobile ^memorim^ 9 ^^* 0 ” * -nché 

^ 1 ted ? Schi ~~ commenta un arguto ber- 
p re "to so,TS. h L"" 0 aUri “ baIl0 " i ” “a s P ar are, 


f° Aprile . 


Sono capoposto della guardia al .. blockhouse .. 
*’ 2 <le ' P ° S " avanzali di Prima linea, oltre il v,l- 


m 


BENITO MUSSOLINI 


ioncello della valanga. Il « blocldiouse » N. 3 è 
stato travolto e sommerso da una valanga. Per for- 
tuna, era stato abbandonato in tempo e non ci sono 
stale vittime. Ho con me i bersaglieri Reali Oreste 
di Milano, Alcenzo Memore di Fiume Marina. Ma- 
rano Arturo di Codroipo, Roggeri Pietro di Fa- 
briano, Mastromonaco Giuseppe del Molise, Scac- 
chetti Ezio nato a Costantinopoli da genitori man- 
tovani e Tonini, piacentino. 

I quattro « blockhouse » o ridotte, costituiscono 
la nostra prima linea. La consegna è di difenderli 
•sino all’arrivo dei rinforzi della seconda linea e se 
i rinforzi non arrivano, difenderli egualmente sino 
all’ultima cartuccia. Sono ridotte costruite con 
grossi tronchi d’albero, resistenti a granate di pic- 
colo calibro. Per giaciglio, un tavolaccio ricoperto 
e reso un po’ soffice da uno strato di fronde d’a- 
bete che emanano l’odore grato e resinoso delle 
conifere. Nel pomeriggio, intermittente e innocuo 
bombardamento a shrapnels. Passa un Taube al 
tissimo, oltre il tiro possibile del nostri fucili. Fila 
veloce in direzione della Valle del Degano. 


2 Aprile. 

Sole. Appena giorno, muoviamo in ricognizione 
verso le posizioni austriache. 

Siamo in cinque. La neve poco resistente ci im- 
pedisce di camminare con velocità. Siamo giunti 
in prossimità del Passo di Giramondo, dominato 
alla sinistra per chi sale lungo il Rio Volaja dal 


JL MIO DIARIO DI GUERRA 


127 


Picco di Giramondo che appare come un «Termi- 
ne » gigantesco posto dalla natura per segnare i 
contini d Italia. Verso le 10 il solito Taube è ve- 
nuto sulle nostre posizioni. 

Quantunque fosse molto alto, abbiamo fatto fuo- 
co egualmente. Dopo il secondo rancio, quando 
scendono dai monti le prime ombre della sera, 
mentre sulle cime si attarda la luminosità del cre- 
puscolo, i soldati si riuniscono e cantano in coro. 
Sono vecchie canzoni semplici di parole e di melo- 
dia, che si prestano al canto a più voci. 

Ieri nel mio blockhouse » venne cantato il La- 
mento del soldato per la morte delia fidanzata. 

Ecco le parole. I versi sono rozzi, ma c’è in essi 
una fresca vena di sentimento : 

Trenta mesi che faccio il soldato 
E una lettera mi vedo arrivar. 

Sarà forse la mia amorosa 
Che ho lasciata nel l’etto ammalò. 

A rapporto, signor capitano, 

Se in licenza mi vuole mandar. 

In licenza ti manderia 
Purché ritorni da bravo soldà. 

Glielo giuro, signor capitano, 

Che ritorno da bravo soldà. 

Quando giungo vicino al paese, 

Le campane io sento a suonar. 


128 


BENITO MUSSOLINI 


Sarà, forse , la mia amorosa 
Che la portano a sotterrar. 


O becchino , che porti la bara 
Per favore, riposati un po’. 


Se da viva, non l'ho mai baciata, 
Or c.h’è morta, la voglio baciar! 


La sua bocca, ora, sente di terra, 

Mentre prima odorava di fior! 

Sono lo canzoni sgorgate dall’anima primitiva 
del popolo. Sono passate da generazione a gene- 
razione e i soldati se le sono trasmesse da una 
ela&se all’altra. 

Ore quindici. Riapparizione del Taube nemico, 
che vola altissimo. Verso il tramonto, duello strac- * 
co delle opposte artiglierie. Distribuzione del ta- 
bacco governativo, con le relative tre cartoline in 
franchigia. 

Si scrive. Si fuma. Il fumo è una distrazione. 


3 Aprile. 


Grande sole. Stamani nella solita «ricognizio- 
ne .. ci siamo spinti ancora più in là. Erano con me 
i caporali Pietroantonio, un giovane abruzzese tnr. 



posizio- 


IL MIO DIARIO DI GITjgjaj^ 


129 


ni della Sellella fra il But e l’Omladel. Le granale, 
scoppiando, chiazzavano di nero la neve. Pome- 
riggio di silenzio alto, .interrotto soltanto dal rom- 
bo delle valanghe. Le quali non sono le valanghe 
dirò così «classiche» che si formano col «sasso 
che dal vertice » rotola giù nella valle. Sono in 
vece, grandi strati di neve che slitta dai costoni 
pm ripidi, per effetto del vento o del peso della 
neve stessa. Qua e là, la montagna comincia a mo- 

n ,! e f Ue r ° CCe - E la primavera? Un tenente 
del battaglione ciclisti mi regala, come suo ricor - 
o, una fotografia delle posizioni del Passo di Gi- 
ramondo e del Volaja. Ieri, mentre gli alpini ope- 
ravano il « cambio » dei piccoli posti in Bordaglia 
Alta, furono scoperti dalle vedette austriache. Tre 
morti dei nostri sono caduti nel camminamento 
tra la neve. 


4 Aprile. 

Ricognizione mattutina al valico del Volaja. Sia- 
mo «discesi per il torrente omonimo sepolto sotto 
n n f ve :. ?sel Pomeriggio, nuova ricognizione su 
Bordaglia Alta. Siamo saliti per un pendìo ripidis- 
simo. Erano con ine il tenente Santi e tre alpini 
della compagnia volontari alpini. Indossavano il 
camice bianco. Questi volontari sono in gran par- 
te carinoli e friulani. Gente del paese. Di tutte le 
età. Di tutte le condizioni sociali. Sbarrando i pas- 
si ai confini d’Italia, essi difendono le loro case 
Je loro famiglie, i loro villaggi che sarebbero ì 

Mussolini. - Il rnìr. diario dì piverrn. 




130 BENITO MUSSOLINI 


primi a subire le violenze dell’invasore. Gente sim- 
patica. Siam giunti al laghetto di Bordaglia, com- 
pletamente gelato. Dal laghetto ha origine il tor- 
rente omonimo che si getta a Pierabech nel Fleons 
o Degano, dopo aver ricevuto, come confluente, il 
Volaja. 

Il tenente Santi — che oltre ad essere il mio 
superiore, è un mio amico carissimo — ci ha fatti 
sostare per alcuni minuti in posizione conveniente 
per vedere, senza essere visti, le linee nemiche. 

Col binocolo si vedono benissimo, anche nei det- 
tagli, i « blockhouses » austriaci che presidiano il 
Passo di Giramondo. 

Il tenente Barnaba, territoriale, della compa- 
gnia dei volontari alpini, è stato lieto di incontrar- 
mi, e ci ha offerto un sorso di cognac. Di lassù, 1 
lo sguardo abbraccia un panorama di montagne 
meraviglioso. Le Dolomiti della sinistra del Cadore 
lanciano al cielo le loro guglie sottili. L'anima — 
dinanzi a questa visione — si dilata e si esalta. La 
montagna, come il mare, fa «sentire» l’immensità. 

5 Aprile. 

Nebbia, maltempo. Mattinata grigia. Nessuna 
rieognizione. I soldati hanno brevi momenti di te- 
traggine, seguiti da esplosioni di gioia e di alle- 
gria talvolta fanciullesca. La neve se ne va. I bu- 
caneve — primi fiori della montagna — comincia- 
no a tappezzare i tratti scoperti. Oggi, non una 
cannonata e nemmeno fucileria. Quiete assoluta. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


131 


distretto 1 dN rÌPÌ di SOldatL AsCenzo Memore ) del 
iistretto di Savona, marinaio di mestiere Basta 

mostrargli una cartolina illustrata con una barca 

per fargli sentire tutte le acute nostalgie del mare’ 

Nilo a F,„al Marina. I suoi racconti de la vita 

marinaresca m’interessano. Fa ,1 soldato voto 

I eri e odia i tedeschi. Lo chiamiamo marinaretlo 

Abbiamo , "vece affibbiato ,1 soprannome' Tara- 

. , a 2I .° Lucchetti che è nato e vissuto a Co- 

-tantinopoli, dove la famiglia sua è rimasta sotto in 

CSm g " Tr Unfti ' ™" 1 ™ 

lontanamente in Italia per la guerra. Ha un no’ la 
silhouette del turco. Calmo, flemmatico parta in 
i aliano con un leggero accento esotico un po' tur- 

s.garel°a P “l Un « 

untato ata r de C0 " lmMmMle dalla bocca e 
do A va 1 ’ dl . riServa ’ sull ’orecchio destro. Olian- 
do Ascenzo vuole « sfottere » l'Arabetto lo chiarm 
“Aggregato all'Italia,,. E allora l'Ara’heHo pèSe 

■ Mtano °di “ bitUale a e " SCa “ a ” P» P™" aCs 
italiano,, di razza e di sentimento. 

Pomeriggio. Arriva la posta. Tutta roba in ri- 
tardo. La posta nuova non ha ancora come di 
riamo nel nostro gergo, « trovata la strada » 


Mgrue. 


Giornata movimentata quella d’ogm Scrivo 

minato r df e ’ 3 n ° Ue aHa ’ neI “ MockhL'se » illu- 
minato da un mozzicone di candela. I miei coro 

P»gm dormono. Stamani ho compiuto la solita rt 


132 


BENITO MUSSOLINI 


cognizione. Siamo giunti sino al costone che per 
la sua strana conformazione viene chiamato «spi- 
na di pesce ». In quel punto la neve è alta oltre 
dieci metri. Ha colmato gli scoscendimenti e for- 
mato una specie di pianoro. 

Durante tutta la mattinata, violento duello delle 
artiglierie di medio e grosso calibro. All’ima del 
pomeriggio ho ricevuto un ordine-fonogramma di 
intensificare la vigilanza e di lavorare attorno al 
« blockhouse » essendoci probabilità di un attacco 
nemico. Ci siamo messi immediatamente al lavoro. 

Mentre le artiglierie ricominciavano il loro bom- 
bardamento reciproco, abbiamo scavato una trin- 
cea a destra e una a sinistra della ridotta. Qui 
opporremo la prima resistenza. Poi ci chiudeiemo 
nel « blockhouse » che ha tante feritoie quanti so- 
no gli uomini di guardia. La consegna è semplice 
e categorica. I « blockhouses » devono resistere a 
oltranza, sino all’ultima cartuccia. Abbiamo infatti 
un’abbondante dotazione di munizioni. 

Il tenente ci ha detto : 

-- In caso di attacco, voi siete i « sacrificati » 
se i rinforzi non giungono in tempo. — 

Posa di reticolati. Oltre i posti di vedetta, i fili 
di ferro dentato sono intricatissimi. 

Il bombardamene nemico sul Volaja è durato 
sino a notte. Due granate sono cadute poco lungi 
da noi, ma senza scoppiare. 

— Vigilare! Occhi aperti, stanotte, e orecchie 
spalancate! — 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


133 


7 Aprile. 

Solita ricognizione. Ci siamo spinti oltre il co- 
stone Lambertenghi, così chiamato in onore del 
lenente degli alpini, che scendendo dal Volaja in 
ricognizione, vi fu colpito a morte da una fucilata 
austriaca. Qui, alcuni mesi fa, venne catturata dai 
bersaglieri una piccola pattuglia nemica. Cielo nu- 
biloso. Pochi colpi di cannone nel pomeriggio- 

* 

* * 

II «morale». Posso scriverne dopo tanti mesi 
di consuetudine coi soldati? Che cosa è il « mora- 
le»? Definirlo in maniere precisa, racchiuderlo in 
un breve giro di frasi come un ordine di servizio 
è impossibile. Il « morale » appartiene alla cate- 
goria degli «imponderabili»: non lo si misura, lo 
si sente, lo si avverte, lo si intuisce. Il « morale » 
è il maggiore o minor senso di responsabilità, il 
maggiore o minore impulso al compimento del 
proprio dovere, il maggiore o minore spirilo di 
aggressività che un soldato possiede. Il « morale » 
è relativo, variabile da momento a momento; da 
luogo a luogo. Questo stato d’animo che si rias- 
sume globalmente col termine « morale » è il coef- 
ficiente fondamentale della vittoria, preminente in 
confronto dell’elemento tecnico o meccanico. Vin- 
cerà chi vorrà vincere! Vincerà chi disporrà delle 
maggiori riserve di energia psichica volitiva. Cen- 
! ornila cannoni non vi daranno la vittoria, se i sol- 
dati non saranno capaci di muovere all’assalto; 


134 


BENITO MUSSOLINI 


se non avranno il coraggio - a un dato momento 
di « scoprirsi » e di affrontare la morte. Non si 
può giudicare il « morale » dei soldati da un sem- 
plice episodio o da un contatto occasionale. Il ge- 
sto di un soldato vi può far credere che tutto l’eser- 
cito sia composto di eroi, la parola di un altro vi 
può far pensare esattamente il contrario. L’errore 
della « generalizzazione » è quello nel quale cado- 
no coloro che parlano di « morale » senza aver vis- 
suto coi soldati ed essendosi limitali, invece, ad 
una rapida visita o ad un fugace colloquio. 1! « mo- 
rale» dei soldati in prima linea è diverso da quello 
dei soldati delle retrovie; le classi anziane e le 
classi giovani hanno un «morale» diverso; i sol- 
dati contadini presentano differenze di « morale » 
in confronto dei soldati nati e vissuti nelle citlà. 

Il «morale» dei soldati che hanno battuto le vie 
del mondo, è più alto di quello dei soldati che non 
mossero mai piede oltre la cerchia del borgo na- 
tio; le sfumature sono infinite, come innumerevoli 
sono i tipi umani. Rivendico il diritto di trattare 
la questione, perchè ho « studiato » coloro che mi 
circondano, che dividono meco il pane, il ricovero, 
i disagi, i pericoli; ho «sorpreso» i loro discorsi, 
fìssati i loro atteggiamenti spirituali e nelle più 
svariate contingenze di tempo e di luogo che la 
guerra impone al soldato : in prima linea e in se- 
conda linea; in trincea e in riposo; durante il fuo- 
co, , prima e dopo il fuoco; nel treno attrezzato; 
all’ospedale, nelle tradotte; al deposito di riforni- 
mento, durante le marce di giorno e di notte; sot- 
to la pioggia,, sotto la neve, sotto la mitraglia... 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


135 


E la mia conclusione è questa : il «morale» dei sol- 
dati italiani è buono : i soldati italiani sono disci- 
plinati, coraggiosi, volonterosi. Sapendoli pren- 
dere per i! loro verso, considerandoli capaci di ra- 
gionamenti e non semplici numeri di matricola, si 
può ottenere dai soldati italiani tutto ciò che si 
vuole; dal lavoro oscuro della corvée all’ assalto 
irruente e micidiale della baionetta. 

Una compagnia in guerra ha circa 250 uomini. 
Dal punto di vista del « morale » si possono di- 
videre in gruppi nella maniera seguente. 

Ci sono 25 soldati — artigiani, professionisti e 
volontari italiani — che sentono le ragioni della 
nostra guerra e la combattono con entusiasmo. 

Altri 25 sono quelli tornati volontariamente dai 
paesi d’Europa o da quelli d’olire Oceano. Gente 
che ha vissuto; gente che ha acquistalo una certa 
esperienza sociale. Sono soldati ottimi sotto ogni 
rapporto. Ci sono una cinquan! na d’individui — 
giovani — che fanno la guerra volentieri. Il gros- 
so della compagnia — un centi naio — è rappre- 
sentato da coloro che stanno fra i rassegnati e i 
volonterosi : accettano il fatto compiuto, senza di- 
scuterlo. Sarebbero rimasti volentieri a casa, ma 
ora la guerra ce e sanno compiere il proprio do- 
vere. ■" 

Ci sono in ogni compagnia una quarantina di 
individui indefinibili, che possono essere valorosi o 
vigliacchi, a seconda delle circostanze. Il rimanen- 
te si compone di refrattari, di incoscienti, di qual- 
che canaglia che non sempre ha il coraggio di ri- 
velarsi, per la paura del Codice Militare. 


136 


BENITO MUSSOLINI 


Queste cifre possono variare, ma la proporzione 
è quella. In definitiva, il « morale » dei soldati di- 
pende da quello degli ufficiali che li comandano. 

Non è il caso — ora — di dire ciò che si è fatto 
per tenere alto il « morale » dei soldati italiani e 
ciò che non si è fatto. Verrà il tempo anche per 
questo discorso. 


8 Aprite. 

Sono smontato di guardia dai « posti avanzati ». 
Nel pomeriggio, le solite cannonate- Chi ci bada 
più? 


10 Aprile. 

Niente di nuovo. La nostra fatica consiste ades- 
so nel rintracciare e scoprire i sentieri che la neve 
ha sepolto. Squadre di operai borghesi lavorano 
attivamente a costruire nuove « ridotte » e formi- 
dabili sbarramenti con «tagliate» di abeti. 

* 

ì}s 

Un volontario italo-inglese così scrive al fratello 
Marano Arturo, della mia squadra; è un documen- 
to interessante : 

« Caro fratello, sono sette mesi che mi trovo sot- 
lo le armi inglesi, ma ancora non sono stalo in 
battaglia, ma se mi toccasse di andare sarei con- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


137 


lento di andare a combattere con quei barbari ger- 
manesi, sarei contento di morire, ma prima vorrei 
che qualche gennanese mi passasse fra le mani. 
Caro fratello, tu mi dici perchè non ho raggiunto 
le nostre armi italiane. Se avessi potuto sarei ve- 
nuto. Ho scritto al Consolato italiano a Vancouver 
in Canadà e non mi ha mai risposto. Così raggiun- 
si le armi inglesi e per la verità non si sta male. 
Io non parlo l’inglese, ma mi « rangio » per bene. 
Diamoci coraggio tutti e tre i fratelli sino alla 
vittoria e dopo raggiungeremo la casa paterna tutti 
e tre insieme, per non più abbandonarla». 

11 Aprile. 

Fatto due trincee e un sentiero che unisce tutta 
la linea delle nostre «ridotte». Nel pomeriggio, 
dodici cannonale a shrapnels. 


12 Aprile. 

f 

Questa è la guerra del buio, della notte. Le 
giornate trascorrono in una grande tranquillità: 
le notti invece sono sempre movimentate. Si co- 
mincia a combattere nel crepuscolo e si continua 
a tenebre alle. Stanotte fuoco vivo di fucileria in 
Bordaglia Alta. Lo scoppiettare secco dei fucili 
era, di quando in quando, coperto dal fragore 
delle bombe a mano. 

Stamani una leggera nevicata. Poi, sole. Siamo 


138 


BENITO MUSSOLINI 


andati ad ultimare le trincee. Quando si tratta di 
questi lavori, i soldati non « battono la fiacca ». Le 
due trincee dominano tutte la valle del Volaja. 
Campo di tiro vastissimo, efficace, inibitorio. Me 
lo ha detto il capitano Ricchieri, dei bersaglieri 
ciclisti, che conosce a meraviglia queste posizioni. 
Poiché l’ultima trincea in alto è stata disegnata 
da me e scavata sotto la mia direzione, il capitano 
Ricchieri mi tributa un piccolo elogio. Ho prepa- 
rato su due tabelle di legno, che abbiamo inchio- 
dato su due tronchi mozzali, i nomi delle trincee. 
La più lunga , che è quella più in basso, sarà chia- 
mata d’ora in poi il « Trincerane dei bersaglieri », 
quella in alto « Trincea Cadorna » in onore del 
nostro generalissimo. 

Voci del gergo di guerra : 
trottapiano = pidocchio; 
spazzolino = attendente; 
sigarette = cartucce fucile modello 1891 ; 
cartolina in franchigia = soldato buffo; 
una busta con quattro carabinieri = lettera 
assicurata. 


13 Aprile. 

Mattinata e pomeriggio di calma. A sera fatta, 
quando eravamo già distesi sui nostri giacigli di è 
paglia ormai triturata, siamo stali svegliati dal 
fuoco. Le nostre mitragliatrici e quelle austriache 
cantavano a gola, cioè... a «nastro» spiegato e la 
fucileria crepitava intensa su Bordaglia Alla e Na- 




IL MIO DIARIO DI GUERRA 


130 


vagnist. Silenzio fatto d’attesa. Poi una voce ha 
guidato : 

— AH’armi! — 

Alzarci, armarci, riempire il tascapane di car- 
tucce è stato l’affare di un minuto primo. Siamo 
discesi in attesa di ordini. Mentre i minuti passa- 
vano senza ordini, io osservavo i miei commilitoni. 
I giovani tradivano una certa emozione, erano im- 
pazienti e temevano di giungere in ritardo a por- 
tare soccorso ai «fratelli» attaccati in prima linea, 
ma i vecchi, invece, se ne stavano calmi, quasi 
impassibili e forse un po’ scettici... Più previdenti 
dei giovani, non avevano dimenticalo il pane, e 
nemmeno la cicca. Falso allarme? 

Già : falso allarme. Ci rigettiamo a terra, arma- 
li, per essere pronti al primo appello. 


14 Aprile. 

Pomeriggio di intenso bombardamento. Proiet- 
tili di tutti i calibri infuocano l’aria. Gli austriaci 
si svegliano. La psicologia del vecchio soldato 
dinanzi al cannone è in queste espressioni. Se è 
un colpo isolato, il soldato si limita ad osservare : 

— E’ il buon giorno! Il buon appetito! La buona 
sera! — 

Se i colpi sono frequenti, vi presta una certa 
attenzione. Di dove vengono? Ad ogni scoppio, si 
dice : 

— E’ un 75! Un 155! Un 280! Un 305! — 

Diffìcile sbagliare. L’orecchio è abituato. 


140 


BENITO MUSSOLINI 


Infine se il bombardamento è continuo, ininter- 
rotto per ore e ore, una vaga inquietudine afferra 
l’anima del soldato, che si domanda : 

— Che cosa succede? — 

Oggi il cannone non sosta. A sera ci giungono 
notizie incerte sugli effetti del bombardamento. La 
più provata è stata la sesta compagnia che occupa 
posizioni laterali alle nostre, sul Paralba. Un 
« blockhouse » avanzato è stato preso di mira. Una 
granata da 155 è scoppiata in pieno sul « block- 
house». Dei nove bersaglieri che lo difendevano, 
sei sono morti, tre gravemente feriti. Si sono sal- 
vate le due vedette perchè stavano quindici metri 
più innanzi. 


15 Aprile. 

Sole, ma soffia un vento di tramontana gelidis- 
simo. Esplorazione sulle propaggini del Volaja. 
Siamo investiti da bufere di neve- Nelle ore pome- 
ridiane, intenso bombardamento. Ci sono alcuni 
feriti leggeri, nella mia compagnia. 

I monti che ci circondano sono quasi tulli alti 
più di 2000 metri : 

Monte Coglians, 2781; 

Passo di Giramondo, 1930; 

Monte Creta Verde, 2519; 

Paraìba, 2693; 

Pizzo di Monte Gamico, 1363; 

Pizzo Timau, 2221; 

Monte Crostis, 2251. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


141 


Stanotte sono stato posto di guardia con sei uo- 
mini al « blockhouse » n. 2 bis. Notte plenilunare, 
ma freddo cane. Il vento che veniva dalle gole del 
Volaja ci tagliava la faccia. 


17 Aprile. 

Stamani, violento, reciproco bombardamento. 
Nel pomeriggio, una ventina di granate sono scop- 
piate sulla linea dei nostri « blockhouses » di se- 
conda linea, ma senza far danno. 


18 Aprile. 

In seguito al bombardamento di ieri, il cambio 
della guardia ai posti avanzali è slato eseguito pri- 
ma dell’alba. Sveglia alle tre. Mattinata grigia. 
La «ridotta» N. 8 che occupo io è stata la più ber- 
sagliata dalla artiglieria nemica. Abbiamo raccol- 
to dei cimeli. Schegge, alcune pallette di shrap- 
nels, un bossolo da 125 e due spolette di shrap- 
nels graduate a 64 ettometri. Neve per dodici ore 
di seguito. Gli abeti incappucciati nuovamente di 
bianco danno alla zona l’aspetto di un paesaggio 
polare, come se ne vedono nelle vecchie illustra- 
zioni di Natale. Freddo. Silenzio. Malinconia. 

Ouesta guerra è il grande crogiuolo che mischia 
e fonde tutti gli italiani. Il regionalismo è finito. 
Degli uomini che compongono la mia squadra, il 
Reali è milanese, il Balisti mantovano, il Tonini 


142 


BENITO MUSSOLINI 




* 

* 5 « * 


Verso 

prende... 


sera, un po’ di sole. Ma poi la 


neve ri- 




bianca df™»! ? mo ” ta *'» ‘atta 

ticaS H 11110 spettacoI ° magico, indimen- 
t^cabde. Ho appreso dal Popolo, che mi arriva ab- 
bastanza regolarmente, la notizia della morto r 
t>aetano Serrani. Poveto antico.l Era b!,o^ e bra 

»tezz“°Stama V “ "° n f. S ? ere ,aloroso - Ricordi. Tri- 

;.a 8 rsfc Nai T,'' ridoua 

gela. I miei cornimi, toni sono attorno alla stufa. 




visotara^faloT' Un ,0m ° scir °ecale improv- 
so na cambiato la neve in pioggia L’acona filtro 

m coperto dalla ne'vef t^ZTr^ 
predispone a, sonno. E’ ££ ?„ 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


143 


ioline illustrate. Domani è Pasqua. Senza le car- 
toline illustrale, nessuno si sarebbe ricordato della 
solennità. 


Pasqua del 1916. 


Quando, prima dell’alba, mi sono alzato per 
ispezionare la vedetta, pioveva. Poi, la pioggia è 
diventata nevischio e neve. Nella « ridotta » è tutto 
uno sgocciolamento. Sul piancito c'è già un bel 
guazzetto. 

— Fra poco si va in buca... — dice qualcuno. 

Le ore trascorrono lente, interminabili. Si can- 
ticchia : 

Ed anche la Tenibile 
Dice eli è stala in quel l a; 

E’ stata a Serpenizza 
A ramazzar la terra. 

Non attacca. Mezzogiorno : nevica sempre. Po- 
meriggio : nevica ancora. Un giornale. L’annuncio 
dell’arrivo dei soldati russi in Francia, la conqui- 
sta del Col di Lana e la conquista di Trebisonda 
sollevano gli spiriti. Crepuscolo. Nevica sempre. 
Pasqua bianca. 


26 Aprile. 

Notte un po’ agitata. Verso le due le mitraglia- 
trici austriache hanno incominciato a «cantare»; 


144 


BENITO MUSSOLINI 


nove bombe sono catlule in prossimità della nostra 
« ridotta » ed anche alcuni shrapnels. 

Corre voce che abbandoniamo questa posizione, 
per recarci in altra del fronte, ma sempre in zona 
Gamica. Smontato di guardia. 

* 

* * 

Quando si è costretti a vivere in molli, bisogna 
abbrutirsi quel tanto che basti per sopportare gli 
inevitabili inconvenienti, d’ordine materiale, ma 
soprattutto spirituale, della promiscuità. 

# 

* 

Nel pomeriggio, una valanga enorme di neve 
si è staccata da pendii dell’Omladet e ha imboccato 
due canaloni : a un certo punto, la massa bianca 
faceva un salto di un centinaio di metri, e riempiva 
col suo fragore la valle. Finalmente il Volaja mo- 
stra la sua gobba nuda e non più circondata da 
nebbia e nuvole. 

Verso sera violento bombardamento delle nostre 
posizioni, sulla selletta, tra il Vas e l’Omladet. 

C’è l’ordine di movimento. Si parte! 


28 Aprile. 

Sveglia di buon’ora. Il Volaja ci ha voluto re- 
galare — a guisa di addio — - un’ultima bufera di 




IL MIO DIARIO DI GUERRA 


145 


s 5iiXi"a*-: 

valle non c è plù neve e fa caWo . Sec„ nda “f” 

tagl"one Pe DÌe „™di Hbem C 7 " lpag ” ie del bal - 
<leUa Coree, E^TL'tvTs^f, 

ntratto S T n ° re Ch ! a ™ 6 P uIila - Alla parete un bel 

__ 5 confi " e è m °it0 lontano di qui? 

^■on molto. Due ore o più. 

dopo U citine? “ PrÌm ° paese M*™ 

— Luckau. 

— Ci siete stata? 

luario , e taUi U gl. S anni A p L r!ma a della guerea^i 
vano dei pelle°Tinao-m r; , T a ’ S1 la ce- 

camminn q- & na ^ 1- ^ vogliono cinque ore di 

fW PaSSa da PÌCTeI,ech e si rimonta 11 

sgombro t i F„ I “ Ì - raCCOnla ’ P0i ’ 'episodio dello 

h minaccia .H e? ? vv< ' nut0 mesi fa, sotto 

minaccia di una incursione del nemico 

, i- a" glo , rno ’ all’improvviso, il Sindaco ci die 

luttp° r f me dl a , ndar VÌa ' Nessuno restò nel paese 

con ns One'?’ CheT° Chì “ Se * abh “ d »"ate Che 
contusione! Che disperazione! Le famiglie povere 


Mussolini. - Il mio Mario di guerra. 


IO 


140 


BENITO MUSSOLINI 


non sapevano come fare, nè dove recarsi. Noi ci 
fermammo a Ivaro, altri a Rigolata. Donne e bam- 
bini piangevano. Scene da piangere. Siamo rima- 
sti lontano quaranta giorni che mi sono sembrati 
quarant’anni. Ma se tornassero un’altra volta, io 
non partirei più, anche se fossi sicura di morire 
fucilata da quei cani. Sono tanto vecchia! — 

Ma il caso non si ripeterà. Le nostre difese nella 
zona dell’Alto Degano sono semplicemente formi- 
dabili. Scendere, significa votarsi all’inutile mas- 
sacro. 

Partenza per Comeglians. Nel prato sono rima- 
sti alcuni bersaglieri ritardatari. Due sono ubria- 
chi fradici. Li portano via in barella. Lungo la 
strada, oltrepassiamo altri soldati, che il soverchio 
vino bevuto ha gettato a terra. Spettacolo non edi- 
ficante! La guerra nelle retrovie è cosi. In prima 
linea il soldato è sobrio e schietto. Giunto nelle 
retrovie, riprende le vecchie abitudini della bettola 
mistificatrice. Ecco Comeglians. Grazioso. I suoi 
dintorni sono, certo, fra i più panoramici di tutta 
la Carnia. Questa regione afferra il cuore. 


29 Aprile. 

Mattinata di sole radioso. I boschi offrono al- 
l’occhio tutte le più delicate sfumature del verde 
primaverile, C’è della gioia nella chiarezza diafana 
dell’orizzonte, nel Degano che rompe le sue acque 
impetuose fra i sassi, nel bianco della chiesa soli- 


tt mio diàrio Di guèrra 


34 ? 


taria che dall’alto di una rupe scoscesa domina il 
paese, nel fumo delle nostre cucine apprestate die- 
tro un costone perpendicolare, che forma — come 
mi dice un competente — un angolo morto totale. 
Oggi, nel paese, ce più silenzio e più ordine. Le 
sentinelle vigilano agli accantonamenti. Anche Co- 
meglians — come tutti gli altri paesi della Carnia 
è senza uomini giovani. Si vede qualche vec- 
chio; molti bambini e donne. Ho avuto occasione 
di conoscere il Sindaco che è proprietario di un 
albergo. 

. Sono lieto — egli mi dice — di averlo avuto 
mio ospite e conto di rivederlo a guerra finita. 

Parlo con un innamorato della montagna : 

— Quando — egli dice — sono giunto alla più 
alta vetta, mi par di essere il re dei re... 


30 Aprile. 

Sveglia prestissimo. E’ ancora notte. Zaino in 
spalla. Da Comeglians a Villa Santina ci sono 
13 km. e 800 metri. Arriviamo a Villa Santina ver- 
so le sei e ci fermiamo in un prato nelle vicinanze 
della stazione per consumare il rancio unico. Il sot- 
totenente avv. Antonino Isola, catanese, viene a 
cercarmi. Ci vediamo per la prima volta, ma ci 
conosciamo — epistolarmente — da molto tempo. 
E ufficiale al 3° fanteria, composto esclusivamen- 
te di siciliani. 

Ottimi elementi, e non lo dico per regiona- 
lismo! I miei piccoli siciliani hanno dato e daran- 


14S 


BENITO MUSSOLINI 


no magnifica prova. Non desiderano che l’attacco 
alta baionetta... — 

Partiamo da Villa Santina alle 8,12, in treno spe- 
ciale. Nei vagoni si beve, si canta. Passiamo, sen- 
za fermarci, Tolmezzo e Amaro. Breve tappa a 
Stazione per la Gamia, In treno sino a Chiusa- 
forte. Di qui a Dogna, a piedi. Tappa notturna. 


Primo Maggio. 


Sveglia all’alba. Prendiamo la strada del Canal 
Dogna. Una strada carrozzabile, bellissima, crea- 
ta ex-novo. Prima non esisteva che una primitiva 
mulattiera. Il lavoro è stato iniziato dalla 4 a com- 
pagnia del 5° Genio minatori, è stato proseguito e 
ultimato dalla Territoriale e da squadre di operai. 
Questa strada è un lavoro che dovrebbe essere vi- 
sto da quanti negano a noi — latini — ogni ca- 
pacità di organizzazione e di tenacia. Questa stra- 
da che, domani, costituirà una ottima via commer- 
ciale fra Dogna e Touvin, rappresenta il non plus 
ultra della modernità. Ad ogni svolta ci sono le 
cantoniere vigilate dalle sentinelle; gallerie, scava- 
te nella roccia, offrirebbero un riparo alla truppa 
in caso di bombardamento della valle; ci sono del- 
ie fontane a zampillo per bere; una teleferica che 
abbrevia il tratto cosiddetto delle «rampe». Dopo 
sette chilometri di cammino, giunti a quota 900- 
1000, ci fermiamo. Siamo al posto. Parte della 
compagnia si accantona in un gruppetto di case 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


149 


coloniche abbandonate, il mio plotone e il secondo 
piantano le tende. 

Il capitano fa adunare i graduali della compa- 
gnia e ci comunica che dal Comando del settore 
dell’Alto Degano sono pervenuti due elogi alla no- 
stra compagnia per il servizio di guerra compiuto 
lassù. 

* 

* * 

Qui, le montagne sono più scoscese di quelle 
che abbiamo lasciato. Abbiamo di fronte la vera 
parete del Montasio, la cui cima tocca i 2754 metri 
ed è incappucciata di bianco. 


2 Maggio. 


Dopo tanti mesi, ho dormito nuovamente sotto 
la tenda. La prima volta, dopo il mio richiamo, fu 
a Caporetto, nel settembre. Sonno dolce, profon- 
do, riparatore. Stamani, grande sole. In fondo, 
scroscia il Dogna. La valle è angusta : meglio, non 
esiste. Le montagne, a destra e particolarmente a 
sinistra, scendono a picco. Poche ore di lavoro in- 
fenso e abbiamo trasformato l’accampamento. Sot- 
to la tenda abbiamo messo uno strato di fronde 
di abete e di muschio profumato. Ai lati abbiamo 
piantato degli alberi per nasconderci alla vista dal- 
l’alto. Si respira. Vita semplice- Penso a Rousseau 
e al suo « ritorno alla Natura ». 


I 


' 

150 BEN ITO MUSSOLINI 


3 Maggio. 

Un Taube ci ha fatto una prima visita, ma vo- 
lava altissimo. Conoscenza di alcuni soldati del 
Genio minatori, bono interventisti. Uno di e^i 
Nicola Pretto, di Valdagno (Vicenza) mi ha dato 
da leggere un volume degli « Scritti ». di Giuseppe 
Mazzini. Pomeriggio di calma assoluta. Ho letto la 
V uff de Rimini. Peccato che il testo sia lardellato 
di errori di stampa. Mazzini vi afferra. Ho divo- 
rato la Lettera a Carlo Alberto ■ L’avevo letta da 
studente. C’è in questo scritto di Mazzini qualche 
cosa di profetico. Ho trascritto sul mio taccuino : 

« Non v’è guerra possibile per la Francia ove 
non sia nazionale; ove non s’appoggi sulle passioni 
delle moltitudini, ove non s’alimenti d’uno slancio 
comunicato ai 32 milioni che la compongono ». 

E più oltre : 

« Le grandi cose non si compiono coi protocolli, 
bensì indovinando il proprio secolo. Il segreto del- 
la Potenza è nella Volontà...». 

E più oltre ancora, nello scritto intitolalo: Di 
alcune cause che impedirono finora lo sviluppo 
della libertà in Italia (1832) : 

«Mancano i capi; mancarono i pochi a dirigere 
i molti, mancarono gli uomini forti di fede e di 
sacrifìcio, che afferrassero intero il concetto fre- 
mente delle moltitudini — che ne intendessero ad 
un tratto le conseguenze — che, bollenti di tuite 
le generose passioni, le concentrassero in una sola, 
quella della vittoria — che calcolassero lutti gli 
elementi diffusi, trovassero la parola di vita e di 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


ordine per tutti — che guardassero innanzi, non 
addietro — che si cacciassero tra il popolo e gli 
ostacoli con la rassegnazione di uomini condannati 
ad essere vittime dell’uno o degli altri; che scrives- 
sero sulla loro bandiera riuscire o morire, e man- 
tenessero la promessa ». 

]\T on c ’è — in questi brani — la divinazione de- 
gli eventi odierni? Quale meraviglioso « viatico », 
per un soldato combattente, gli scritti di Mazzini! 
Ma chi li conosce fra questi miei 250 commilitoni? 

6 Maggio. 


Il reggimento, dopo dieci mesi passati nella zo- 
na dell’Alto Isonzo, è venuto qui a riposo. Ne 
aveva bisogno. Ma riposo, non significa ozio. Ri- 
poso, se significa non combattere, vuol dire lavo- 
rare. Strade, baracche, trincee, spostamento di 
cannoni. 

Stanotte, tempesta. Pareva che la nostra fragile 
casa di tela dovesse venir spazzata via dal vento 
impetuoso che mugghiava. La pioggia scrosciava 
sulla tela, ma dentro non una goccia. Bisogna non 
toccare la tela. Oggi, dopo cinque giorni di attesa, 
la posta. Ho ricevuto fra l’altro una cartolina con 
questo indirizzo : Gap. B. Mussolini Armée Ita- 
Penne — Zona di Guerra (Italia). Ha impiegato un 
mese giusto a trovarmi. Leggo : 




152 


BENITO MUSSOLINI 


Du front belge , le 18-4-916. 

« Un petit soldat belge ù qui vous avez rendu un 
immense Service vous envoie toutes ses félicitations 
et son admiration. Vous envoie aussi ses plus fer- 
']T P° ur te >«■**> dee armées de la grande 

,la ‘‘e- Vn pelli frère d’armes qui vous 

armé >> S ° UVenl ainsi sur toute volre grande 

Antoine Gaston 

3.ème Section Armée Belge - B. 132- 

Nd pomeriggio, Padre Michele, che non rive- 
devo pm dal Rombon, è venuto alla nostra tenda. 
Aon per catechizzarci. Ci ha lasciato due pacchetti 
ci eccellenti sigarette brasiliane e alcune copie del- 

1 °r U / SC j? 0 dl Glorgl ° del Vecchio : Le ragioni mo- 
rali della nostra guerra. Bellissimo, ma troppo dif- 
ficile. V! sono - nel breve testo - lunghe cita- 
zioni in latino e in francese. Vi si parla di trascen- 
denza e di contingenza. Buono per il pubblico del- 
le Università, non per i soldati, la maggioranza 

uba qUah SCnVe stentatamente alla Propria fami- 

Voci del gergo soldatesco : 

lima e raspa = personaggi simbolici; 
un fonogramma = una cannonata. 


10 Maggio. 

H° conosciuto il capitano comandante la 4 a com- 
pagnia minatori. Mi sono trattenuto con lui qual- 


Ih MIO DIARIO DI GUERRA 


153 


die ora. Si chiama Simoni. Piemontese, un anti- 
giolittiano e interventista fervente. Mi ha narrato 
e vicende guerresche di questa zona che è la più 
ranquiHa — forse — dell’intera fronte. Mi ha par- 
ato d una compagnia di alpini, conosciuta in tutta 

^Briganti » ^ ^ n ° mÌ8nol ° di “Compagnia 

Questa compagnia non si compone affatto di ex 
inquilini delle patrie galere o di gente particolar- 
mente feroce. Si tratta di individui dal fegato sa- 
no. Hanno conquistato delle posizioni dominanti 
e ci sono rimasti, malgrado i contrattacchi ostinati 
degli austriaci. Al 18, 19, 20 ottobre - mi raccon- 
ta U capitano Simoni — i « briganti » dovettero 
sostenere una dura battaglia. Dopo tre giorni di 
violento bombardamento, gli austriaci pronuncia- 
rono un violento attacco. La proporzione delle for- 

^oo 116 ! tratt ° dÌ fr ° nte dei <l bri S'anti » era questa : 
U3 alpini contro almeno un migliaio di nemici. 

Questi mossero all’attacco, con lo zaino in spalla 
e ricoperti di fronde, per dissimularsi. Dopo aver 
resistito a lungo, i nostri alpini chiesero un rin- 
forzo e andò in linea una compagnia di minatori. 
— La mia! — mi dice con vivo e legittimo orgo- 
glio il capitano Simoni. — La rotta degli austriaci 
fu completa. Abbiamo contato, dico contato, 460 
cadaveri nemici. 

Le nostre perdile furono quasi insignificanti. 
Avemmo poche decine di uomini fuori combatti- 
mento. Dall’ ottobre gli austriaci rinunciarono ad 
ogni azione. 


154 


BENITO MUSSOLINI 


14 Maggio. 

Ho trascorso un pomeriggio pieno di gioia e di 
schietta fraternità. Alcuni soldati minatori del 5° 
Genio mi hanno invitato a un amicale simposio nel 
loro accantonamento che è a due passi dal nostro. 

I commilitoni del Genio ci hanno preparato un 
banchetto quasi sontuoso. Ilo trascorso sette ore 
bellissime. Abbiamo parlato di guerra, di politica, 
di vittoria. Alla fine, per suggellare il ricordo della 
bella giornata e il vincolo nuovo dell’amicizia, ci 
siamo scambiati dei messaggi. Non trascrivo il mio 
perchè non lo ricordo, ma 1 mi piace di riportare 
quello dei miei commilitoni del 5° Genio, in quanto 
può documentare del « morale » dei soldati italiani 
dopo un anno di guerra. 

Eccolo : 

« A Benito Mussolini, che intese la voce delle fu- 
manti rovine del Belgio martire e della Francia 
invasa e fu assertore fecondo dei diritti della, ci- 
viltà contro la forza bruta, con ammirazione di ita- 
liani, con affetto di commilitoni ». 

Cap. magg. Nicola Pretto — Bamella 
Evaristo — Giuseppe Canepari — De 
Bernardi Edoardo — Serg. Salva- 
dori Alceo — Ceccali Napoleone — 
Vincenzo Maffei. 

E’ un documento che conserverò fra i più cari 
ricordi della mia vita. 


Mussolini... al fronte interno 


Nel partito socialista è in uso un luogo comune : 
« gli eroi del fronte interno! ». E ciascuno scrittore 
di giornaletti di provincia scrive la frase con un\ 
compiacimento tra il cattivo e l’idiota : a proposi- 
to, raramente : a sproposito, quasi sempre. 

Una manìa anche questa! Della quale è affetto 
anche il grande Gaetano Zirardini, il quale ha trat- 
tato Benito Mussolini da « eroe del fronte interno ». 

Ora Mussolini mi invia una lettera personale non 
destinata alla pubblicazione. Ed io — anche a ri- 
schio d’una reprimenda — la stampo. Non già per 
Zirardini, che non conta; ma per i non pochi Zi- 
rardini più grossi e più piccoli ond’è popolata: 
l’Italia! 

Purché si sappia su quale fronte combatta Be- 
nito Mussolini. 

d. f. 

18 Luglio 1916. 

Caro De Falco, 


Torno in questo momento da un’ « azione » nella 
zona dell’Alto Fella, che mi ha tenuto in movimento 


156 


BENITO MUSSOLINI 


due giorni e una nolle, insieme con la mia pattuglia 
di volontari esploratori. 

Tutto è andato bene. Il nostro fuoco cominciò 
alle 15 di domenica scorsa. La fucileria nemica si 
fece appena sentire. Chi lavorò fu, come al solito, 
il nostro e il « loro » cannone. Quando gli austriaci 
si avvidero della nostra presenza in un certo bosco 
che fronteggia immediatamente le loro posizioni, 
cominciarono a bombardarci in piena regola. Non 
erano grossi calibri (credo fossero bocche da 75, 
105, 120 e qualche 155), ma le granate piovevano 
— letteralmente — a quattro a quattro, con un in- 
tervallo di uno o due minuti. L’artiglieria nemica 
frugò e bucò — così — per almeno un paio d’ore 
o tre, tutto il bosco, dall’allo al basso. Una gra- 
nala da 120, scoppiata fra me e un alpino, ferì que- 
st’ultimo, ma non gravemente, a un braccio. 

E il pomeriggio finì in una relativa calma, che 
fu di breve durata. A notte più alta, alcune fucilate 
di pattuglie richiamarono al fuoco l’artiglieria ne- 
mica. Ricominciò il bombardamento a shrapnels. 
Spettacolo fantastico, sinfonia in grande stile. Noi 
eravamo all’addiaccio sotto una pioggftì tempora- 
lesca, riparati contro il grosso tronco di un abete. 
Io e l’amico Reali, testa a testa. Nel breve inter- 
vallo fra uno shrapnel e l’altro, si lavorava furio- 
samente di piccozzino e di mani per scavarci la 
buca sempre più profonda. Il colpo di partenza ci 
metteva sull’avviso. L’orecchio « abituato » distin- 
gueva in quale direzione filava il proiettile e quando 
si diceva : — Questo è per noi! — giù colla testa... 

La fiamma dello scoppio incendiava il bosco per 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


157 


un attimo e poi era il solito vasto scrosciare di 
pallette, di ramaglie. Certe spolette avevano nel 
sibilo qualche cosa di umano. 

Sette shrapnels si abbatterono sul solo nostro 
albero e non ci ferirono. Alcune pallette vennero 
a schiacciarsi contro il nostro « elmo » o cagnoni, 
come diciamo noi, nel gergo di guerra. Alla mat- 
tina, spostandoci altrove, gettammo un’occhiata 
d’addio all’albero che ci aveva salvalo e che ora 
profila — melanconico — • il suo tronco spogliato. 
***«•*■•••• 


Mussolini. 



A 4L 


Ili 


NOVEMBRE 1916 - FEBBRAIO 1917 



NOTA BENE 

P° ,m '° attivo, come soldato, i primi mesi di 
trincea nella zona dell’Alto Isonzo, nell’ autunno- 
inverno del 1915. Coloro che, con me o dopo di me, 
sono passali sui costoni tragici del Vrsig, dell’Ja- 
worcelc e del Kuhh, con venti gradi sotto zero — 
come nel febbraio del 1916 — non dimenticheranno 
facilmente quelle durissime giornate. Ho trascorso 
la seconda fase della guerra nella Carnia. Zona re- 
lativamente tranquilla, ma di grandi disagi, specie 
nell'inverno. La prima neve ci visitò il 20 settem- 
bre. Poi siamo venuti sulle quote famose del Bas- 
sissimo Isonzo. Il primo periodo di trincea sul Car- 
so è già passato. Gli eventi, più notevoli sono con- 
segnati nelle pagine che il Popolo pubblicherà. 

E’ la guerra aspra sul Carso asprissimo. E’ la 
vita e la morte nelle trincee, che segnano le nostre 
tappe, sulla strada di Trieste... 

Le trincee fangose e insanguinate oggi inghiot- 
tono gli uomini, ma l’Europa di domani vedrà 
spuntare da quei solchi tragici i fiori purpurei di 
una più grande libertà. 

M. 


1! 


Mussolini- - // mio diario di guerra. 



Oltre il lago di Doberdò 


30 Novembre. 

Mi hanno detto che per ritrovare il mio reggi - 
mento debbo andare a Strassoldo. Parto da Udine 
alle 17. lì sera inoltrata quando arrivo a Stras- 
Pi fse deserto, poco piacevole. Per questo 
i soldati lo hanno ribattezzato: Tresoldi. E, torse 
non vale di più. Nessuno mi sa dir niente di pre- 
ciso. Provo da dormire in una rimessa. Mi spro- 
iondo nel fieno e trovo il sonno. 

Più innanzi saprò qualche cosa di positivo. Me 
io assicura un compagno di viaggio, che trovo lun- 
go la strada. E’ un bombardiere, che porta al brac- 
cio il distintivo di « militare ardito ». L’ha ottenuto 
egli mi narra — - per il coraggio di cui diede 
prova, sul monte Cimone, dopo lo scoppio della 
mina austriaca. Cammin facendo, il discorso cade 
sulla guerra. 

Hanno fatto male, gli austriaci, a dichiararci 
la guerra. Li ridurremo alla « mendicazione ». — 
Al Comando di tappa mi mandano in una pic- 
cola località vicina. Strada lunga e pesante. Per 
fortuna c’è un grande sole. 

Giungo ad Aquileja, città dalla eterna impronta 


164 


BENITO MUSSOLINI 


romana., a sera tarda. Non mi dimentico di visitare 
ia cattedrale. . 

T Dicembre. ^ 

Ma non trovo tracce del mio reggimento. E’ sta- 
to in riposo, in questi paraggi, mentre io mi tro- 
vavo in licenza invernale, ma da qualche giorno è 
in linea. Oltre Isonzo saprò qualche cosa di pre- 
ciso. Nelle strade larghe e diritte del basso Isonzo, 
il movimento è semplicemente formidabile, supera 
la mia immaginazione. Al bivio di Pieris trovo, 
conduttore di un camion, un amico interventista 
della vigilia. Monto sul camion. 

Ecco l’Isonzo. Ampio, ceruleo, chiarissimo. Ron- 
chi, quasi intatto. Trovo alcuni sottufficiali miei 
amici che mi invitano a dividere la loro mensa. 

Mentre si mangia, gli austriaci mandano quat- 
tro granate dirette alla stazione. Grande sinfonia 
di shrapnels contro un velivolo nemico. Alle ore 
quattro, partenza. Seguo il mulo che porta la 
mensa agli ufficiali della mia compagnia. Al bivio 
Selz-Monfalcone, una grande colonna, fatta con 
pietre appena scheggiate, reca un’epigrafe che non 
mi è possibile copiare. I muli vanno in fretta. Il 
movimento, salvo in alcuni punti, non è congestio- 
nato. Passo sotto le cave di Selz. Ora comprendo 
le difficoltà enormi che dovettero essere superate, 
per espugnare quel primo grande bastione dell’al- 
topiano carsico. I nostri cannoni tuonano sempre. 

I segni delle battaglie sono ancora evidenti. Il ter- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


165 


reno è lacerato. Trincee sconvolte. Casupole rovi- 
nate, alberi divelti. Nulla è in piedi. La guerra è 
passata qui, col suo terribile rullo compressore. 
Negli angoli, croci solitarie e collettive. E’ il cre- 
puscolo. Mi volto, per guardare la pianura dell’I- 
sonzo. Laggiù, è una striscia di mare. 

Doberdò è un nome. Del villaggio non restano 
che mucchi di macerie. Passiamo vicino ai due 
laghi o, meglio, due grossi stagni morti. Alcune 
voci: è la nostra quota. Tumulto di voci. Un ca- 
mion è fermo : ha portato l’acqua. Trovo i bersa- 
glieri della mia compagnia. Affettuosissime strette 
di mano. Mi attendevano. 

— Si parlava proprio di voi, in questo momento 

— mi dice un bersagliere amico, di Vernole, pro- 
vincia di Lecce. Ricordo che egli mi volle portare 
Jo zaino da Quel Taront a Minigos. Non dimenti- 
cherò tale atto di affettuosa simpatia da parte di 
questo umile contadino pugliese. 

Salgo ai nostri baraccamenti o ricoveri. « Pren- 
do posizione » nel baracchino del sergente- 

Sera di stelle e di luna. Mi presento al colon- 
nello, che si trova in primissima linea. 

Nella nostra compagnia ci sono stati quattro fe- 
riti da scoppio di granata. Uno dei carabinieri ad- 
detti al Comando del reggimento è morto, l’altro 
ferito. 

Il « morale » dei bersaglieri mi sembra elevalo, 
certamente superiore a quello della zona Gamica. 

— Abbiamo tanti cannoni! Avanzare sarà facile! — 

Un senso di fiducia è diffuso in tutti. Andremo 


166 


BENITO MUSSOLINI 


innanzi. La parola d’ordine che circola fra noi, 
è questa : 

0 Duino mangia i bersaglieri, o i bersaglieri 
mangiano Duino! — 

Ore 10 di sera. 

Mentre scrivo, i nostri cannoni urlano senza tre- 
gua. Sulle quote è un bagliore di raggi e di proiet- 
tori. Non so come riassumere le impressioni tu- 
multuose di questa prima giornata di trincea sul 
Carso. Sono profonde, complesse. Qui la guerra 
si presenta nel suo aspetto grandioso di cataclisma 
umano. Qui, si ha la certezza che l’Italia passerà. 
Arriverà a Trieste e oltre! 


2 Dicembre. 

Notte tempestosa di bombardamento intenso. I 
nostri cannoni non hanno avuto un momento di 
tregua. Stamani piove. Sono le undici. Tre grosse 
granate austriache. Continua il bombardamento da 
alcune ore. Passano sulle barelle i nostri feriti. 
Non sono molti e nemmeno gravi. Ma c’è un morto 
lassù. Una granata lo ha schiacciato sotto una roc- 
cia. Alcune granate sono cadute nel lago solle- 
vando colonne di acqua. Verso sera, sono entrate 
in azione le nostre batterie. Da qualche ora, gli 
austriaci tacciono. I nostri cannoni tambureggia- 
no. Mentre scrivo sono giunte tre grosse granate 
austriache e uno shrapnel. Altre quattro. Nel mio 
ricovero si gioca tranquillamente a tresetle. 

Lungo le rive del lago ci sono dei frammenti di 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


107 


) 

membra umane. Nella selletta due cadaveri di au- 
striaci stanno decomponendosi. Poco lungi, un al- 
tro morto insepolto. Giungono, col vento della 
sera, ondate di tank» di cadaveri. Nella selletta ci 
sono due cimiteri: uno austriaco e l’altro italiano. 
Ieri una grossa granata disseppellì alcuni morti. 
Macabro. Ora comprendo come il solo nome di 
Doberdò terrorizzi gli honved ungheresi. Espu- 
gnare queste rocce : quale meravigliosa pagina di 
eroismo latino! 


3 Dicembre. 

Ho lavorato come un mulo per costruirmi il mio 
ricovero blindato. Ho un socio che rni aiuta e che 
dividerà con me il posto all’albergo! Fuoco intenso 
delle artiglierie per tutta la giornata. Nel pomerig- 
gio. sette Caproni sono passati su di noi. A sera 
fatta, incursione di velivoli nemici. 


4 Dicembre. 

Pioggia, stanotte. Mattinata livida e tranquilla. 
Mentre scrivo passano quelli che hanno « marcato 
visita ». 

Il tempo è indubbiamente alleato dei tedeschi. 
La pioggia ci costringe a dei « rinvìi » che permet- 
tono agli altri di fortificarsi. La pioggia ci demo- 
ralizza. Noi siamo figli del sole! La terra del Carso 
è attaccaticcia, Non ve modo di liberarsene, E’ 



168 BENITO MUSSOLINI 


rossa più del sangue umano. Sono stalo a fare una 
visita al Cimitero ungherese o italo-ungherese. Su . 
una tavola della porta sta scritto : 

exoriare aliquis ex ossibus nostris ultor. 

Ci sono molte croci, ma quelle del Cimitero ita- t 
liano sono più numerose. Di feriti, finora, quattro 
soltanto, per lo scoppio di una granata ; uno solo 
di questi, grave, ma non mortale. 

Pomeriggio quasi calmo. 

Nel crepuscolo della sera, le gobbe delle quote 
del Carso, si presentano come divorate, lacerate 
dalla scabbia. Cielo nubiloso. Solito reciproco e 
abbastanza innocuo cannoneggiamento serale. 

Stasera, niente posta. 

Una voce : il bombardamento per l’avanzata co- 
mincerà stanotte. Vedremo e sentiremo. Mentre ’ 
scrivo, sulle creste dietro a noi è tutto un vampeg- 
giare e un tuonar di cannoni. Che sia il preludio? 


5 Dicembre. 

Cielo buio e terra più livida ancora. Finito il 
mio ricovero. E’ venuto l’ordine di spostarci. Suc- 
cede sempre così. Ora mi trovo in trincea sui mar- 
gini del lago di Doberdò. Radi uccelli bianchi e 
neri volano sulle acque che il vento mattinale in- 
crespa appena. Io lavoro a farmi una nuova tana. 
Lago di Doberdò! Chi vive a lungo presso le tue 
rive, perde l’abitudine umana del riso. Qui la tra- 
gedia, prima ancora di essere negli uomini, è nel 




IL MIO DIARIO DI GUERRA 


109 


terreno. Da tre ore i cannoni austriaci ci bombar- 
dano. I nostri rispondono. Qualche volta non si 
capisce quali siano i colpi in partenza e quali quelli 
in arrivo. Nel cielo è tutto un sibilare di granate 
che vanno e che vengono. Durante un bombarda- 
mento, io non amo la compagnia. Mi piace di star- 
mene solo. Ho la superstizione che sia più difficile 
trovarmi. 

Un lembo di azzurro verso Duino. I pali metal- 
lici che conducevano l'energia elettrica da Mon- 
falcone a Gorizia, si rincorrono per lungo tratto e 
visti in lontananza, di notte, sembrano croci gigan- 
tesche di un cimitero sterminato. 

Quanto sangue ha bevuto e berrà questa terra 
rossa del Carso? 

Un tenente, che viene a trovarmi, mi dà le pri- 
me notizie sugli effetti del bombardamento di sta- 
mani. 

I cannoni continuano ad urlare. Sono le quattro. 
I- tenente che comanda la mia compagnia mi in- 
vita a dividere la mensa serale degli ufficiali. Sono 
con lui vari sottotenenti, di cui uno ha il comando 
del mio plotone. 

II ricovero è così basso, che non si può stare 
nemmeno seduti. Notte. Raffiche di vento e di 
pioggia. Dalle 9 alle 10 intensissimo bombarda- 
mento alla nostra sinistra. E’ un mugghiare inin- 
terrotto di grossi calibri. Un tambureggiamento 
sordo che giunge alle orecchie come il boato di un 
uragano. Piove, ma io e il mio compagno siamo 
abbastanza bene riparati nel ricovero nuovo che ci 
siamo costruiti in poche ore di lavoro. Anche sta- 
sera, niente posta. Meglio cercare il sonno. 


170 


BENITO MUSSOLINI 


6 Dicembre. 

Stanotte, il mio compagno mi ha svegliato bru- 
scamente. 

— « Cristiga »! Siamo in mezzo all’acqua! — 
Accendo un mozzicone di candela. Il ricovero 
è inondato e l’acqua vien giù a catinelle. Ci pro- 
viamo a vuotare la tana con le gavette, ma è fa- 
tica inutile. Ci decidiamo a mettere tre tavole in 
alto e lì ci distendiamo — bagnati fradici — ad 
attendere l’alba. D’ora in ora, si accendeva un 
fiammifero, per constatare la crescita dell’acqua. 
Finalmente, l’alba. Verso Aquileia, c’è un vasto 
tratto di sereno, ma dietro a noi, verso l’Austria, il 
cielo è cupo. Se venisse il sole! Il buon giorno ci 
è stato dato stamane dai cannoni austriaci : tre 
colpi di piccolo calibro finora. Comincia il solito 
martellamento dei nostri. Quando piove, nelle trin- 
cee del lago di Doberdò, si sta peggio che sull’A- 
damello in una notte di tormenta. Queste sono trin- 
cee costruite sotto il fuoco dei cannoni e risentono 
dell’improvvisazione. Sono muretti di sassi. I di- 
spersi : ce ne uno, nostro : un bersagliere ciclista 
caduto colla faccia protesa in avanti mentre anda- 
va all’assalto. Vicino a lui, il moschetto con la ba- 
ionetta innastata. E’ là, solitario. Perchè nessuno 
si cura di seppellirlo? Forse per conservare alla fa- 
miglia un’ultima illusione sul « disperso »? Un po’ 
di sole. Bombardamento pomeridiano inevitabile. 
Loro tirano sul Kri-Kri, sul rovescio di quota 208, 
e nella selletta fra prima e seconda linea nostra. 

Verso la pianura s’inalzano adagio adagio tre 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


171 


grandi palloni-drago. Qualche colpo dei loro fa 
cilecca. Specie i grossi calibri. 

Passano in alto, lentamente, quasi ansimando e 
gemendo i grossissimi proiettili che vanno molto 
lontano. Io, tutto solo, fuori della mia tana — a 
mio rischio e pericolo — mi godo lo spettacolo au- 
ditivo e visivo. Rombo di un velivolo nostro che 
fila verso Gorizia. Dal Golfo di Panzane s adden- 
sano nuove nubi temporalesche. Finché dura lo 
scirocco non farà bel tempo. Crepuscolo tranquillo. 
Sono andato a trovare un amico tenente, romano] 
che ora comanda una sezione di mitragliatrici. Non 
lo vedevo più dal Rombon. Egli mi ha narrato che 
i disertori austriaci hanno manifestalo tutti un sa- 
cro terrore dell’artiglieria italiana. Molti di loro 
venivano dalla Galizia. 

— Là, è un paradiso a paragone del Carso — 
dicono. — L’artiglieria russa fa pum-pum-pum a 
lunghi intervalli, ma non fa il fuoco a tamburo 
come l’italiana. — 

Il rancio giunge alla sera. E’ l’unica distribu- 
zione dei viveri in 24 ore. La razione è ridotta. 

L appetito è sempre quello. Serata movimentata. 
Verso le nove, un attacco nemico si è delineato 
alla nostra sinistra, su quota 208. Dopo un vivo 
fuoco di fucileria, sono entrati in azione i no- 
stri piccoli calibri. Sono uscito dal ricovero per 
vedere di che si trattava. Un nostro proiettore il- 
luminava la selletta fra la quota 208 e la nostra. 

I utto il costone era punteggiato dallo scoppio inini 
terrotlo dei nostri shrapnels e delle nostre granate. 

II tambureggiare violento era di quando in quan- 


172 


BENITO MUSSOLINI 


do soverchiato dallo scoppio dei grossi proiettili. 
Tutto il costone era avvolto in una nube di fumo , 
rossigna, squarciata spesso dai raggi. Tutti i ber- 
saglieri, armati, sono usciti dai ricoveri. Il fuoco 
dei nostri cannoni ci elettrizza. Una quarantina di 
minuti è durato il tambureggiamento. Ora è finito 
Passando dai ricoveri, ho raccolto le impressioni 

dei miei commilitoni. 

— Qui si vede la forza degli italiani! 

— Non è più come sullo Jaworceld 

— Adesso sono loro che si « spicciano »! 

— Devono avere avuto una buona scopola! 

— Hanno fatto male a muoversi 1 tedeschi, mol- 
tissimo male! — . 

Passa un nostro ferito, colpito da una scheggia 

di granata al piede. . 

Alla 6 a compagnia c’è, stato un morto. Ora è si- 
lenzio. Soltanto ìe vedette sparano straccamente. 
Vicino a me, i mitraglieri di una « sezione » lavo- 
rano a farsi i ricoveri. Canticchiano sommessa- 
mente : 

Bella bambina, 

Capricciosa garibaldina, 

Tu sci la stella, 

Tu sei la stella di noi soldà. 

La voce dei nostri cannoni: ecco l’argomento 
travolgente per tenere elevatissimo il «morale» dei 
soldati. Cielo velato dalla foschìa. Attorno alla lu- 
na è un cerchio. 

— Cerchio lontano, pioggia vicina, — mi dice 


IL MIO DIAKIC DI GUERRA 


173 


un tenente e aggunge : — Me ne rincresce, perchè 
ciò rimanda la nostra avanzata. — 

Ce un po’ d’impazienza in tutti, anche nei più 
negativi! Avanzare! La lotta, col suo apparato av- 
venturoso, emozionante, e malgrado i suoi rischi, 
affascina il soldato. La stasi debilita. L’azione rin- 
franca. Stanotte bisogna dormire con un occhio 
aperto. 


7 Dicembre. 


Tanto per cambiare, piove a dirotto. 11 nostro 
ricovero è un guazzetto di acqua e di fango. Sta- 
mani, in un’ora di sosta, le nostre artiglierie ave- 
vano aperto un fuoco violentissimo sulle posizioni 
nemiche. Ora tacciono. Quelle austriache bronto- 
lano alla nostra sinistra. La pioggia è il quinto ne- 
mico nostro ed è, forse, il più massacrante di tutti. 

Gli automobilisti non sono imboscati perchè so- 
no indispensabili. Quelli che tutte le sere ci por- 
iano acqua e viveri a duecento metri di distanza 
dalle nostre trincee di prima linea, rischiano la 
pelle come noi. Non è molto che un camion con 
un carico di granate è stato colpito in pieno, lungo 
la strada di Doberdò, da un proiettile nemico . Co- 
loro che lo guidavano sono andati in pezzi. 

Mezzogiorno : piove sempre e più forte. Iersera, 
dopo sei lunghi giorni di privazione, mi è giunto 
il Popolo, primo numero dopo lo sciopero tipogra- 
fico milanese. 


174 


EÈIÌIfO Mussatisi 


8 Dicembre. 

Ieri sera, sull’imbrunire, ci siamo spostati alla 
trincea estrema della nostra linea. Pioveva forte. 
Ci siamo allogati in una tana fangosa. Rada fuci- 
leria. Sciupìo di razzi. Gli austriaci sono a 30-50 
metri da noi. Ieri sera lavoravano intensamente. 
Si udiva lo spicconare e il battere delle mazze. Sta- 
mani non piove, ma l’orizzonte è grigio. Le arti- 
glierie lavorano, ma senza impegnarsi troppo. Nei 
ricoveri abbandonati dagli austriaci sul rovescio 
del Debeli, abbiamo trovato delle mazze ferrate. 
Da nostra trincea ha qui un tracciato così bizzarro, 
che potremmo essere colpiti di fronte e di fianco. 
Ma fra noi e i tedeschi è convenuto una specie 
di tacito accordo, per cui non ci spariamo. Noi li 
vediamo e lasciamo inoperosi i nostri fucili; essi 
ci vedono (e noi ci facciamo vedere anche troppo!) 
od « essi » non tirano. Siamo qui, in queste buche 
di fango, inchiodati, immobili nell’attesa del nostro 
destino. 

La pioggia di questi giorni ha abbassato un po’ 
il livello del « morale » bersaglieresco. Siamo tutti 
bagnati, fradici, non abbiamo che una coperta e 
il cappotto : siamo privi degli zaini e non li riavre- 
mo se non tornando a riposo. Non un lembo di 
azzurro : cielo uniforme, bigio, come il saio di un 
frate, e sgocciolante. 

Gergo di guerra : 
spazzola = fame; 

fifhaus = rifugio sotterraneo blindato. 

La nostra trincea cinge il campo deH’ultima bat- 


ir. Mìo DI Ali ÌO DI «ÙfeRRA 


t/S 


taglia del novembre. Nelle buche dei 305 ab- 
biamo raccolto e sepolto i cadaveri degli austriaci. 
Attorno, un po’ di calce bianca. 


9 Dicembre. 

Pioviggina. Però, sembra che l’orizzonte voglia 
dualmente schiarirsi. Comincia la sinfonia quoti- 
diana dei grossi calibri. Gli austriaci sparano poco 
con calibri piccoli. Tambureggiamento dei nostri. 

Stanotte un prigioniero austriaco si è dato spon- 
taneamente alle vedette della 7 a compagnia. Egli 
ha raccontato che il nostro fuoco dell’altra sera ha 
cagionato gravi perdite agli austriaci. Il prigio- 
niero è l’unico superstite di un posto colpito in pie- 
no. Gli altri tre sono morti. Una nostra pattuglia 
si è recata al piccolo posto ed è tornata con tre 
zaini tirolesi e sette fucili. 

Pomeriggio. Un raggio melanconico di sole. Una 
granata austriaca è caduta nella « loro » trincea. 
Immediatamente hanno levato tre razzi per avver- 
tire dell errore. Fetore di cadaveri insepolti o mal 
sepolti. Sereno? Un raggio di sole ha squarciato 
la fitta tendina nuvolosa che ci mortificava e adug- 
giava da parecchi giorni. Ne approfittano le arti- 
glierie. Un nostro 280 apre nei reticolati della loro 
trincea un varco di almeno dieci metri. « Loro » 
ci battono a shrapnels. C’è un ferito alla 7" com- 
pagnia, ma non è grave. Il cielo si rasserena e si 
rasserenano gli animi. Il concerto continua. 

Un grosso proiettile è calato in pieno su alcuni 


1?6 


BENITO MUSSOLINI 


ricoveri avanzati. Ci sono uomini fuori di com- 
battimento. 


10 Dicembre. 

Stanotte, dalle 2 alle 3, lavorato a scavare un 
camminamento fra le nostre prime linee. Nelle te- 
nebre, appena rischiarate dalla luna dietro le nubi, 
il campo di battaglia dell’ultima nostra avanzata 
presenta un aspetto fantastico. Non si vedono, nel 
terreno sconvolto e frantumato, che detriti e rot- 
tami di ogni specie. Ondate di lezzo cadaverico. I 
tedeschi lavorano indefessamente ogni notte dalle 
sei della sera alle sei del mattino. Cento mazze 
picchiano le basamine e cento mine scoppiano nel- 
la notte. Questo lavoro non ci impressiona eccessi- 
vamente. Noi sappiamo che nulla resisterà all’a- 
zione delle nostre artiglierie. Stamani cielo gri- 
gio. Ore dieci : ripresa un po’ stanca dei grossi 
calibri. Il concerto si accentua, mentre l’orizzonte 
si rischiara. 

Jamiano, il paese che fu raggiunto e abbando- 
nato nella nostra avanzata del novembre, non dista 
da noi, in linea d’aria, più di 500-700 metri. Un 
305 che passa ogni quindici minuti — regolarmen- 
te — sulle nostre linee, mugola come un tranvai. 
Pomeriggio di pioggia sottile, implacabile! Nella 
trincea, silenzio. Qualcuno canticchia, ma som- 
messamente, senza convinzione. Qualche colpo in- 
termittente delle artiglierie aumenta la melanco- 
nia. L’attacco austriaco dell’altra notte a quota 208 


Il, MIO DIARIO DI OTTERRÀ 


m 


è stato riferito nel Bollettino del Cornando Supre- 
mo in questi termini : « Sul Carso continuò ieri 
1 attività dèlie artiglierie. La sera, l’avversario, do- 
po violenta preparazione di fuoco, tentò due suc- 
cessivi attacchi contro le nostre linee a nord-est 
della quota 208 sud e fu nettamente arrestato e re- 
spinto ». 


11 Dicembre. 

Ieri sera siamo rientrati, dagli avamposti, all’ac- 
campamento. Pioveva forte. Molli sino alle ossa, 
abbiamo atteso pazientemente il cambio. Nell’atto 
di cedere il mio... appartamento al nuovo venuto 
— ì ospite ignoto, — questi mi ha chiesto, : : 

— Dove sono i tedeschi? 

— Lì, a venti metri. 

— Tirano col cannone? 

— No, perchè siamo troppo vicini a loro. 

— - Colle bombe? 

— Nemmeno. — 

Mezzanotte. La pioggia è cessata e il vento im- 
petuoso fa galoppare le nubi. E’ terminato adesso 
un violento attacco austriaco di sorpresa, contro 
la nostra linea. Dormicchiavo. Sono stato svegliato 
dagli scoppi striduli delle bombarde. Poi la fuci- 
leria ha iniziato il fuoco. Violento. Sembra il tic- 
chettio di una gigantesca macchina da scrivere., 
Sono con me, nella nuova tana, alcuni bersaglieri. 

Qualcuno mi dice: 

— Picchiano? 


Mussolini. -.// mio diario di guerra . 


12 


178 


BENITO MUSSflLINI 


— Pare! E forte! — 

Il fuoco dell’artiglieria nemica aumenta di vi- 
gore. Gli shrapnels scrosciano sui ricoveri e, poi, 
è tutta una pioggia di schegge e di sassi. Silenzio 
d’attesa. 

Un grido vicino lacera l’aria 

— Portaferiti! Portaferiti! — 

Ora le nostre artiglierie sono entrate in funzione. 
E’ un concerto infernale. 

— Giovanotti, armatevi e tenetevi pronti! — or- 
dino ai compagni. 

Un tenente passa correndo da riparo a riparo, 
urlando : 

— Bersaglieri, armatevi, ma non uscite dai ri- 
coveri! — 

La tempesta delle artiglierie continua, con un 
crescendo indiavolato. La fucileria, sopraffatta dal- 
le esplosioni, non si sente più. Lo scoppio dei 
grossi proiettili fa sussultare la collina. Noi, im- 
mobili, attendiamo sempre. 

E’ finita. Passa un ferito alla testa, ma non è 
grave. Cammina, senza scarpe, sul fango, saltel- 
lando verso il posto di medicazione. Tre barelle 
di feriti alle gambe. Un altro portalo a spalla. Un 
ferito al braccio. Due sono gravi. Vanno senza un 
lamento. 

— • Sergè, quaggiù c'è uno che non si muove più. 
E’ colla faccia a terra... 

— E’ morto? 

— Non lo so. 

— Voltalo e portami il piastrino di riconosci- 
mento. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


179 


— E’ morto. E’ il romano. — 

Un gruppo di bersaglieri è raccolto attorno al 
cadavere. E stato fulminato da un palletta di 
s rapnel, mentre usciva dal ricovero. Appello 
delle squadre. Nel mio plotone nessun ferito. Nelle 
altre compagnie ci sono alcuni uomini fuori di 
combattimento. 


Mattinata temporalesca. Burrasca. Le artiglierie 
tacciono. Mezzogiorno solatìo. Usciamo tutti al 
sole malgrado gli shrapnels. Ci asciughiamo un 
pò • Nel pomeriggio i loro cannoni tirano qua e 
la. Mentre scrivo, tirano sulla nostra terza linea, 
ma le granate cadono nel lago sollevando colonne 
di acqua. Dal punto dove mi trovo si vede un pic- 
colo tratto di mare. Una domanda che i bersa- 
glieri mi rivolgono spesso : 

— Quanto siamo lontani da Trieste? — 

Il tenente che comanda la mia compagnia è 
stato promosso capitano. Gli mando le mie felici- 
tazioni. 

— Per «bagnare», le stellette ci vorrebbe un 
barite di grappa... — commenta un bersagliere che 
prima della guerra dimorava a Trieste. 



Dicembre in trincea 


12 Dicembre. 

Finalmente un po’ di sole. Distribuzione delle 
maschere nuovo modello contro i gas asfissianti e 
lacrimogeni. Le nostre sono più estetiche di quelle 
austriache. I bersaglieri escono dai ricoveri. Si 
ripuliscono un po’. Molti barbieri piantano bottega 
mori, a rischio e pericolo loro e del... cliente. Qua 
e là si gioca a carte. Nel pomeriggio, tambureg- 
giamento solito delle nostre artiglierie. 

Un caporal maggiore del 7° bersaglieri viene 
a trovarmi nella mia tana. Mi parla di Bonomi, di 
Codifava Tomaso e di altri più o meno noti per- 
sonaggi della politica mantovana. Mi si dichiara 
neutralista, ma non di quelli «arrabbiati)). Il 7° 
bersaglieri ha avuto sin qui perdite superiori alle 
nostre. Il 280 scoppiato giorni fa nei ricoveri ha 
latto qualche vittima. 

— Io ho sempre creduto che lei fosse al fronte... 
Stasera scrivo del nostro incontro a Codifava... — 

Ci salutiamo con molta cordialità. 

Il generale che comanda la nostra brigata viene 
spesso fra noi e parla coi bersaglieri da uomo a 
uomo. Ciò gli procura vive simpatie. E’ bene par- 


f 


BENITO MUSSOLINI 


lai e spesso a quest umile gente, cercare spesso di 
scendere verso queste anime semplici e primitive,* 
che costituiscono ancora, malgrado tutto, uno 
splendido materiale umano. 

Battaglia di velivoli nella nostra quota. L’au- 
striaco ha tagliato la corda. Non posso sottrarmi 
alla curiosità dei bersaglieri di un reggimento che 
sta alla nostra destra. Ire bersaglieri si fermano 
dinanzi alla nostra tana, un po’ esitanti. Un capo- 
ral maggiore mi dice : 

— Scusi la nostra curiosità. Lei è... 

— Sono io. — 

I tre commilitoni mi stringono la mano, siedono 
come possono, e iniziamo un’amichevole conversa- 
zione. Il loro reggimento è stato quindici mesi nel 
Trentino occidentale, attorno a Bezzecca, ed è stato 
benissimo. Niente grosse battaglie e perdite insi- 
gnificanti. Il mio interlocutare è bresciano, ora 
dimorante a Romagnano Sesia, dove è impiegalo 
nel Convitto Curioni. 


13 Dicembre. 

Notte di pioggia a scrosci. Primo visitatore. Un 
bersagliere dell’84, mantovano, che non mi vedeva 
più da molli mesi. 

— Sono tanto contento di averlo ritrovato. Più 
contento che se avessi trovato mio fratello... — 
mi dice. — Potrò dire che anche lei è stato in que- 
sto inferno e non ha « tagliato la faccia » ai suoi 
vecchi compagni dell’84. — 


» 


Ih MIO DIARIO DI GUERRA 


183 


Mattinata ventosa. Il lago di Doberdò è buio. 
Sento sujla pelle la prima passeggiata dei pidoc- 
chi. Ci sono i corredini anti-parassitari. Già. Ma 
bisognerebbe averne uno ogni quindici giorni. La 
efficacia del « corredino » è limitata. Dopo quin- 
dici giorni, i pidocchi passeggiano tranquillamente 
su quel « corredino » che avrebbe dovuto stermi- 
narli... Pidocchio più, pidocchio meno... Matti- 
nata e pomeriggio di calma insolita. Sono le due 
e da stamani gli austriaci non ci hanno mandato 
il quotidiano 305 e nemmeno uno shrapnel. Anche 
i « nostri » riposano. Il tempo è sempre nero, mi- 
naccioso. I bersaglieri approfittano di queste ore 
d; quiete, per pulire i fucili. 


14 Dicembre. 

Ogni tanto ci spostiamo da un trinceramento 
all altro. I cambi sono talvolta troppo frequenti. 
Ciò spiega qualche negligenza dei soldati nel mi- 
gliorare trincee e ricoveri. Per una dimora troppo 
breve non vale la pena di affaticarsi... Ieri fu, per 
me, una giornata di tetraggine. I miei nervi « sen- 
tivano » il tempo? Pare, perchè ieri sera si scatenò 
un violento temporale. Tutta la notte ha piovuto. 
Nessuno ha chiuso occhio.. Ancora prima dell’al- 
ba, profittando di una breve sosta, siamo usciti per 
migliorare un poco questi infelicissimi « baracchi- 
ni ». Anche oggi piove. Torrenzialmente. Queste 
tre settimane di pioggia incessante hanno eserci- 
tato un’influenza depressiva sul « morale » dei sol- 


( 


Wf 


f 


184 BENITO MUSSOLINI 


dati. Anche le condizioni di salute ne risentono. 

Non fa freddo, ma il fango, l’umidità, il gri-' 
giore dei brevi giorni e il buio pesto delle notti 
lunghissime, sono altrettanti elementi che contri- 
buiscono ad aumentare la musoneria di tutti. Sia- 
mo venuti, qui, di notte. Le marce notturne, an- 
che brevi, affaticano. Io stento molto a camminare 
fra le tenebre, sotto a un cielo di inchiostro. Scarsa 
attività delle artiglierie. Le mie mani hanno ora il 
segno della più grande nobiltà : sono sporche della 
terra rossiccia del Carso! 


15 Dicembre. 

Ieri sera, uno dei conducenti — i quali sono i 
nostri giornali parlati — ha diffuso la notizia: 

— Sul giornale « ci sta » la pace! — 

Ho pensato che doveva trattarsi delle comuni- 
cazioni di B. Hollweg. La notizia non ha sollevato 
soverchia emozione fra di noi. Pur sapendo che 
io leggo i giornali, nessuno mi ha chiesto nulla. 
Questa indifferenza è sintomatica. Si è parlato 
troppe volte di pace perchè non esista un tal quale 
scetticismo, neH’animo dei soldati. 

— Non credo più a nulla, — ha detto uno di 
loro — sino a quando non vedrò le bandiere bian- 
che sulle trincee. — 

Nottata interminabile, di pioggia a raffiche. Fuo- 
co di bombe agli avamposti. 

Stamani, qualche colpo di cannone. 

L’artiglieria austriaca tira à caso. Questa è la 




IL MIO DIARIO DI GUERRA 


185 


mia impressione. Un colpo qua, un colpo là. Una 
granata sulle trincee, uno shrapnel sulla strada di 
Doberdò, che molto spesso finisce nel lago. Ciò 
non turba il solito viavai. Solito e inevitabile. Ecco 
la strofa di una canzone in voga fra noi : 

O Gorizia, tu sei la più bella 
E il tuo nome risuona lontano; 

Or sei passata al dominio italiano, 

Sarai protetta dal nostro valor ! 

Oggi piove, come ieri, come sempre. Pare una 
maledizione. Pomeriggio di pioggia incessante. 
Nel mio ricovero è tutto uno sgocciolamento. Non 
c’è dubbio : il tempo è il « loro » alleato e forse il 
migliore. Ci sono in queste trincee dei topi feno- 
menali. Sembrano gatti e dànno anch’essi l’assalto 
notturno... alle nostre pagnotte. Qua e là, per in- 
gannar la noia, si canticchia : 

Là ci vedrà la luna, 

, La luna la spia non fa; 

Là ci vedran le stelle, 

Le stelle la spia non fan! 

Tutte le sere, verso il crepuscolo, l’attività delle 
opposte artiglierie si rianima, e nell’aria è tutto 
un sibilo di «telegrammi», come diciamo noi ne! 
nostro gergo. Stasera l’orizzonte è di fiamma, ver- 
so la vecchia Italia. Sento lungo la strada il rom- 
bo dell’automobile che ci porta l’acqua e lo sciac- 
quìo sordo dei muli che vengono in lunga inter- 
minabile fila. Verso le linee nemiche è un continuo 


186 


BENITO MUSSOLINI 


scoppiare di mine. Sono i tedeschi che scavano 
le loro « tane di volpe », nelle quali, al momento 
buono, rimarranno sepolti. Ci sono delle trincee 
austriache che è impossibile ripulire, tanto sono 
piene di morti. Di qui il loro pazzo terrore delle 
nostre bombarde. Si dice che una volta ci abbiano 
gridato :■ 

— - Se voi non tirerete più con le vostre bom- 
barde, noi non getteremo più i gas asfissianti. — 


16 Dicembre. 

Stanotte non ha piovuto. Miracolo! In compen- 
so, le artiglierie hanno sparato vivamente, soprat- 
tutto la nostra, sino a stamani. Tempo incerto. 
Abbiamo avuto un paio di mutande, una camicia, 
un paio di calze. Tutta roba eccellente. Ci siamo 
cambiati. Stiamo meglio. Stamani, nei ricoveri, 
l’argomento della pace è in discussione. Ma la nota 
predominante è lo scetticismo, come al giungere 
della prima notizia. Qualcuno, però, ha già notato 
che stamani l’artiglieria tace. Sul nostro fronte, 
sì, ma laggiù, verso il mare, il cannone brontola 
cupamente. Soliti shrapnels distratti. Pomeriggio 
di nebbia. Freddo. 


17 Dicembre. 

Ieri sera, verso le sei, fuoco intenso e insolito 
degli austriaci sulla strada di Doberdò. I condu- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


187 


centi frustavano furiosamente i muli e correvano. 
Shrapnels e granate piovevano a quattro a quattro. 
Ma, fortunatamente, pochissime facevano bersa- 
glio. 0 cadevano nel lago o al di sopra, sul Debeli. 
Mentre 1 artiglieria infuriava, noi ci siamo spostali 
lungo la grande strada maestra che costeggia e do- 
mina il Iago alla sinistra, e siamo venuti agli avam- 
posti. E già notte. Nel cielo è un punteggiare 
timido di stelle. Io le guardo con la trepida adora- 
zione di un innamorato. E’ il sereno? Tornerà il 
sole? Alla nostra destra, lungo il costone di quota 
144, gli austriaci lanciano grosse bombe. Quando 
giungono a terra, sprizzano alcune scintille, poi è 
Io scoppio, talvolta fragorosissimo. Una di queste 
bombe deve essere caduta in trincea, perchè si è 
udito urlare: 

— 0 Dio! 0 Dio! Portaferiti... — 

Poi, silenzio. Gli austriaci hanno continuato an- 
cora per molte ore. Le stelle sono scomparse. Il 
cielo è tornato buio. Nelle tenebre del cammina- 
mento, qualcuno, brancolando, mi afferra. Io gli 
dico: 

— Di là, di là! 

— Chi sei? — 

Riconosco dalla voce il capitano. 

— Buona sera, capitano. 

— Buona sera, Mussolini. — 

Adesso i nostri piccoli calibri tempestano. Sta- 
mani, pioggia. Tutta la notte, sino all’alba di sta- 
mani, i nostri cannoni hanno bombardato le posi- 
zioni nemiche di prima e di seconda linea. Ieri se- 
ra, aH’accampamenlo, ce stalo un solo ferito del 


BENITO MUSSOLINI 


138 


7° bersaglieri, ma grave. Ha una gamba spezzala. 
Nei ricoveri si parla poco della pace tedesca. 

Il discorso cade più volentieri sul riposo, che 
sembra imminente. La trincea, sul Carso, impone 
duri sacrifìci e più duri disagi alle truppe. Pome- 
riggio di pioggia, sottile sottile. Più che nelle ossa, 
sembra filtrare nelle anime. 


18 Dicembre. 

Tutta la notte, cioè a dire quattordici ore con- 
tinue, ha piovuto. Stamani, finalmente, il sipario 
uniforme delle nubi sembra levarsi. Il chiarore 
promettente viene da Trieste, insieme a un venti 
cello freddo. Prime notizie: la bomba dell’altra 
sera ha fatto due morti e cinque feriti. Il colon- 
nello passa per la nostra trincea e ci domanda : 

— Come va? 

— Bene — rispondiamo. 

— Avete freddo? 

— Non tanto. Ci vorrebbe di quando in quando 
un fiaschette di vino... — < 

Il colonnello si allontana. 

Da qualche ora gli austriaci battono le nostre 
posizioni col solito loro tiro irregolare. Due gra- 
nale su quota 208, una mezza dozzina di shrapnels f 
su di noi, due grosse marmitte su quota 144. Qual- 
che 280 sulla seconda linea. Mezzogiorno. L’oriz- 
zonte si chiarisce, ma il sole continua a fare il la- 
titante. 

Uno zappatore ci dice che una granala è caduta 


♦ 


IL MIO DIARIO DI OTTERRÀ 


139 


tra due ricoveri del 7° bersaglieri. Ci sono quattro 
morti e sette ieri ti. 

Qualche discorso sulla pace tedesca. La sup- 
posta condizione che l’Italia dovrebbe restituire 
le terre conquistate all’Austria, suscita l'indigna- 
zione generale. Scommetto che se si facesse un re- 
ferendum. non si troverebbero dieci soldati pro- 
pensi ad accettare questa condizione. 

— Dopo tanto sangue e tanti sacrifici! — 

Ora che il reggimento è tutto riunito, trovo dei 
commilitoni che non rivedevo più dal settembre 
dell’anno scorso, quando, giunti sullo Jaworcek. 
fummo ripartiti nei diversi battaglioni. Un incon- 
tro gradito è quello del sergente zappatore Tudori 
Modesto di Tirano (Sondrio). E’ un operaio che 
ha compreso la necessità della guerra nazionale. 

— La « pace tedesca », no. Tutti desideriamo la 
pace — mi dice — ma giusta e duratura! — 

Mentre scrivo, gli austriaci hanno incominciato 
a bombardarci. 

La trincea «logora», perchè è una prigione di 
fango. Il nostro carceriere è il cannone nemico 
che ci costringe al silenzio e alla immobilità. Se le 
trincee sono coperte, la prigionia è assoluta. Si 
vede il sole a scacchi, cioè attraverso una feritoia. 
L esserci adattati a questo genere di guerra è una 
prova meravigliosa delle qualità individuali e com- 
plesse della stirpe italiana. 

Un tenente mi dice che il Duca d’Aosta ha tri- 
butato un encomio solenne alla nostra Brigata Ber- 
saglieri, per il contegno tenuto nelle due notti dei 
contrattacchi nemici e per i lavori di rafforzamento 


BENITO MUSSOLINI 


100 


della posizione. Un bersagliere della mia compa- 
gnia, tal Silvio Filippi di Colle Val d’Elsa, che' 
ora è in licenza invernale, mi manda questa car- 
tolina : 

« trovandomi in licenza non manco di mandarle 
i più sinceri saluti, rammentandolo unilo assieme 
a tutti i miei amici, ove son rimasti mollo sorpresi 
di sentire che pure lei debba essere in trincea al 
pari di qualunque umile soldato. Non ho mancato 
di fare i saluti a Meoni, il quale li ha con molto 
alletto accolti. Cesso, salutandolo, sperando di ri- 
trovarlo in ottima salute. Di nuovo saluti affet- 
tuosi ». 

Nelle ultime ore del pomeriggio la nostra arti- 
glieria intensifica i suoi tiri. Dalle quattro alle sei, 
anche tra le artiglierie sembra talora stabilita una 
mutua tregua, perchè nè i nostri, nè i loro, spa- 
rano un colpo solo. 

Sul costone esterno di quota 208 assistiamo 
allo sfilare di mezzo plotone di austriaci. Le loro 
sagome si profilano nettamente, nell’ultima chia- 
rità del giorno. Dalle nostre linee non parte nem- 
meno un colpo di fucile, malgrado la vicinanza e 
la visibilità del bersaglio. 

L forse una corvée. Non è nelle nostre abitudini 
di innata cavalleria tirare sul nemico, quando è 
inerme. 


19 Dicembre. 

Stanotte un gatto raspava presso i nostri reti- 
colati. Sarà un «disperso» di Jamano distrutta. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


101 


Ieri sera, approfittando della serata — la prima 
non piovosa ho girato un po’ sul campo di 
battaglia. Non vi è un metro quadrato, letteral- 
mente, che non sia stato lacerato, sconvolto da 
quattro o cinque granate. Ci sono ancora dei morti 
abbandonati. Nostri e loro. 

All’alba di stamani due bersaglieri zappatori-mi- 
natori ci hanno recato la notizia della vittoria 
francese. Gioia vivissima in tutti. Si discorre meno 
d’ieri di pace. Intanto, per cambiare, piove. Tem- 
po assassino. I bersaglieri tutti laceri, barbuti, in- 
fangati, scrivono le « franchigie », dormono, si 
spidocchiano, giocano a carte. 

Se si raccogliesse.ro tutti i rottami di ferro — 
proiettili esplosi o da esplodere, pali di ferro dei 
relilocati, lamiere, arnesi, ecc., — che si trovano 
su questi campi di battaglia, si caricherebbero tre- 
ni e treni a tonnellate. 

Verso sera, l’orizzonte ad ovest presenta una stri- 
scia di carminio. Non piove più. 

— A Venezia c’è il sole! — sento dire con voce 
che tradisce una evidente nostalgia. 

Siamo tornati or ora all’accampamento. Oggi 
l’artiglieria nemica è stato silenziosissima. Soltan- 
to due shrapnels distratti sono caduti nelle nostre 
linee. Dialogo colto a volo nell’oscurità : 

— Ritornare all’Austria le terre che abbiamo 
conquistato? Questo non sarà mai! 

— I nostri morti griderebbero vendetta! 

— E non i morti soltanto; anche i vivi! — 

Domani è l’anniversario della impiccagione di 

Oberdan. 


1&2 


BENITO MtrSSOT.IXI 


20 Dicembre. 

« 

Stanotte, freddo. Ma nel cielo è tutta la chiarità 
che annunzia una bella giornata. Finalmente, il 
sole, il sole, il sole! Passano degli aeroplani nostri 
e nemici. Le nostre artiglierie lavorano, come 
sempre. Otto colpi, uno dietro l’altro, sono caduti 
sul trinceramento austriaco di quota 208. Gli au- 
striaci non hanno aspettato gli altri e se ne sono 
andati, fuggendo verso la terza linea. Parecchi 
bersaglieri scendono al posto di medicazione coi 
piedi congelati. Non è per il freddo, ma per l’umi- 
dità e per l’acqua delle trincee. Tuttavia non sono 
gravi. 

L’argomento della pace continua ad essere al- 
l’ordine del giorno, ma « nessuno », dico nessuna, 
vuol sapere di una pace «tedesca ». 

Fuoco intenso dei nostri cannoni. Gli austriaci 
hanno buttato una ventina di shrapnels sui nostri 
trinceramenti di terza linea. 

Serata di stelle! 


21 Dicembre. 

— Lo stoicismo dei nostri feriti — mi diceva ieri 
sera un tenente medico — è sorprendente. Giun- 
gono o sono portati qui colla carne straziata e non 
un lamento esce dalle loro labbra. I feriti addo- 
minali conservano una coscienza lucidissima. Una 
sera, sullo Jaworcek, mi fu portato un ferito che 
aveva una gamba frantumata dallo scoppio in pie- 


Il mio diario di guerra 


193 


' " y 

no di una bomba. Fu lui che mi disse : — Dottore, 
tagli! — Gli feci un’iniezione e gli tagliai la gamba. 
Quel ferito, di cui ricordo ancora il nome, Fuma- 
galli, se ne andò come era venuto, senza un la-* 
mento. Le ferite più gravi sono quelle prodotte 
ciallo scoppio di granate, specie se di grosso cali- 
bro. Quelle di pallottola — fucile, mitragliatrice, 
shrapnel — sono spesso intelligenti. — 

Oggi, primo giorno d’inverno, secondo l’astro- 
nomia, si annuncia con un sole scialbo. Verso il 
mare ce una cortina di nubi temporalesche. Da 
qualche giorno l’artiglieria nemica è inoperosa. La 
nostra, invece, è sempre attivissima. Sono centi- 
naia e centinaia di granate che cadono quotidiana- 
mente sulle posizioni nemiche. 

Pare ormai sicuro che l’avanzata è sospesa. Se 
si fosse potuto dare all’Austria una risposta sul ge- 
nere di quella data dalla Francia alla Germania! 


SS Dicembre . 


Gli austriaci ci bombardano regolarmente tutte 
le sere con cannoncini da trincea, che gettano bom- 
be dallo scoppio formidabile come di un 305. 

Tempo nebuloso, ma non piove. Nella mattinata, 
silenzio delle artiglierie. Anche la nostra tace. Le 
bombe di ieri sera (ne hanno lanciate oltre trecen- 
to) hanno fatto alcune vittime. 


Musi olmi - Il mio diario di guerra, 


13 


194 


ftÉNÌTO MÙSSGilSÌ 


23 Dicembre. • 

All’una stanotte siamo stati svegliati da un im- 
provviso e vivace fuoco di fucileria nella nostra 
trincea di avamposti. E’ durato una diecina di mi- 
nuti. Falso allarme. Mattinata nebbiosa. Malgrado 
ciò, azione intensa delle nostre artiglierie. Nel po- 
meriggio abbiamo seppellito — profittando della 
nebbia — un soldato del 21° fanteria. Apparteneva 
alla classe dell’86, sardo. Nelle lasche aveva un 
piccolo coltello e una lettera ricevuta che diceva : 
« Spero presto di rivederti in licenza invernale... ». 

Sera di pioggia e di malinconia. 

Una visita graditissima rompe la monotonia del- 
la sera piovigginosa. 

Mi sento chiamare. Esco dalla tana e riconosco 
Benedetto Fasciolo, il redattore del Popolo e ora 
capitano di artiglieria, in compagnia di Amilcare 
De Ambris, sotto-capo di marina. I miei ospiti si 
allogano alla meglio nel mio sontuoso hótel, illu- 
minato da un mozzicone di candela. Sono venuti a 
trovarmi. Stanno al di là dell’ Isonzo. Apprezzo 
come si merita questo gesto di viva amicizia. Si 
parla di tante cose vicine e lontane... Dopo alcune 
ore di conversazione, li accompagno sulla strada 
maestra che conduce a Doberdò. 

E’ notte alta. Sul costone di quota 144, i tedeschi 
lanciano i soliti barilotti di esplosivo. Uno spriz- 
zare di scintille, uno scoppio formidabile che fini- 
sce in un gemito alto e sottile : 

— Qui è la guerra! — mi dice Fasciolo, strin- 
gendomi la mano. 


IL MIO DIARIO 111 GUÈRRA 


195 


< 


24 Dicembre. 


La mia giornata. Al mattino non c’è « sveglia » in 
trincea. 11 sonno non è misurato da un regolamento 
come in guarnigione, perchè la sua maggiore é 
minore durata dipende dagli... eventi. Óre otto, 
piccola colazione. Poi leggo i giornali. Scrivo qual- 
che « franchigia ». A mezzogiorno, cucina grassa: 
ventresca, formaggio, frutta. La proporzione della 
trutta eccola: un arancio, due mele, quattro fichi, 
sei castagne. A turno, si capisce. Dimenticavo : un 
limone, e questo quasi tutti i giorni. Nel pomerig- 
gio, niente. Se c’è la nebbia, me ne vado attraverso 
il campo di battaglia. Si fanno delle « trouvailles » 
spesso interessanti. Il cannone ci accompagna fino 
a sera. Rancio. Silenzio. Notte interminabile. Al- 
t indomani... è la stessa cosa. 

Vigilia di Natale. Chi ci pensa, fra noi? Cielo 
p umbeo, nebbia che piove adagio adagio. Lungo 
la trincea è tutto un picchiettare sui bossoli delle 
granate esplose, per ricavarne i braccialetti di ra- 
me da portare ai paesi... E’ lo «chic» delle trin- 
cee! Pomeriggio di tranquillità. L’argomento « pa- 
ce » e in ribasso. Ognuno capisce e intuisce che 
non e suonata quell’ora... 

Il capitano mi ha dato l’incarico di portare una 
lettera di auguri al colonnello. Il colonnello è an- 
dato nelle trincee avanzate. Lo attendo al ritorno. 

Ag i auguri del capitano aggiungo i miei. Il colon- 
nello mi dice 

— Sono stato in trincea a fare gli auguri ai ber- 
saglieri. Ma il miglior augurio è che il reggimento 
taccia sempre bene... — 


BENITO MUSSOLINI 


106 


All’ accampamento ho trovato una certa anima- 
zione. Sono giunti dei regali di Natale. Vedo delle 
bottiglie di barbera, adorne del tricolore, e pacchi 
di biscotti. E’ un Comitato che manda... 

Approfittando della nebbia bassa, anche oggi i f 

bersaglieri si sono sparsi sul campo di battaglia, 
tra prima e seconda linea, a frugare il terreno. Si 
è trovato un po’ di tutto. Longo ha trovato una ma- 
schera nuovo modello, austriaca, una piccola trom- 
ba per segnali, un pacco di lettere spedite e da 
spedire. Cercherò di decifrare il tedesco di queiri- 
gnoto austriaco. Il bersagliere Spera ha trovato un 
binocolo da campo. L’ho comperato. Da tanto 
tempo cercavo un binocolo. La strenna natalizia 
mi è venuta da un ufficiale austriaco che si « ri- 
tirava » un po’ in fretta, evidentemente, verso Ja- l 
miano. Sarà ancora vivo o sarà morto? Su questo 
campo di battaglia, i segni della precipitosa fuga 
austriaca sono evidenti e abbondanti. Zaini, ta- 
scapane, coperte e una quantità inverosimile di 
munizioni. Pòi baionette, foderi di baionette, bom- 
be, carte e stracci. E dovunque buche e dapper- 
tutto disseminati a centinaia e centinaia i bossoli 
degli shrapnels. Le piogge hanno fatto crescere 
il lago. Alcuni dei nostri ricoveri sono quasi som- 
mersi dall’acqua. L’artiglieria austriaca non ha 
sparato un sol colpo. Anche la nostra Ita sparato 
pochissimo, 


Natale 



25 Dicembre. 

Come ieri, come sempre, da un mese a questa 
parte, piove. Oggi è Natale- Proprio Natale. 25 
Dicembre. Terzo Natale in guerra. La data non 
mi dice niente. Ho ricevuto delle cartoline illustra- 
le coi soliti fanciulli e gli inevitabili alberelli. Per- 
chè io riprovi un’eco della poesia di questo ritorno, 
debbo rievocare la mia fanciullezza lontana. Oggi' 
il cuore se inaridito come queste doline rocciose. 
La civiltà moderna ci ha «meccanicizzati ». La 
guerra ha portato sino alla esasperazione il pro- 
cesso di « meccanicizzazione » della società euro- 
pea. Venticinque anni fa io ero un bambino punti- 
glioso e violento. Alcuni dei miei coetanei recano 
ancora nella testa i segni delle mie sassate. No- 
made d’istinto, io me ne andavo dal mattino alla 
sera, lungo il fiume, e rubavo nidi e frutti. Andavo 
a Messa. Il Natale di quei tempi è ancora vivo 
nella mia memoria. Ben pochi erano quelli che 
non andavano alla Messa di Natale. Mio padre e 
qualcun altro. Gli alberi e le siepi di biancospino 
lungo la strada che conduce a San Cassiano erano 
irrigiditi e inargentati dalla galaverna. Faceva 


198 


BRUITO MUSSOLINI 


freddo. Le prime messe erano per le vecchie mat- 
tiniere. Quando le vedevamo spuntare al di là della' 
Piana, era il nostro turno. Ricordo : io seguivo mia 
madre. Nella chiesa cerano tante luci e in mezzo 
all’altare — in una piccola culla fiorita — il Barn- 
Lino nato nella notte. Tutto ciò era pittoresco ed 
appagava la mia fantasia. Solo l’odore dell’incenso 
mi provocava un turbamento che qualche volta mi 
dava istanti di malessere insopportabile. Final- 
mente una suonata dell’organo chiudeva la ceri- 
monia. La folla sciamava. Lungo la strada, un 
chiacchierio soddisfatto. A mezzogiorno fumavano 
sulla tavola i tradizionali e ghiotti cappelletti di 
Romagna. Quanti anni o quanti secoli sono passali 
da allora? Un colpo di cannone mi richiama alla 
realtà. E’ Natale di guerra. 

Nella trincea è un silenzio pieno di segrete no- 
stalgie. Natale magro. Dei doni mandati dal Co- 
mitato, alla mia compagnia sono toccati mezza 
dozzina di panettoni e altrettante bottiglie... Il 
rancio poi è stato specialissimo : baccalà in umido 
con palate. Figurarsi! 


26 Dicembre. 

Mattinata insignificante. Nel pomeriggio, im- 
provviso risveglio delle nostre batterie. Un tratto 
della « loro » trincea di prima linea, è saltato per 
aria. Di rimando, essi hanno lanciato alcune bom- 
be su quota 144. Mentre scrivo, i tedeschi lavora- 
no,,. per noi. Padre Michele è venuto a trovarci, 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


199 


Gli ho accennato alle polemiche suscitate dalla 
mia licenza invernale e gli ho chiesto se sarebbe 
pronto a rendermi testimonianza. 

— Prontissimo — egli mi ha risposto. — Direi 
la verità, che cioè, io l’ho visto dal primo giorno 
ad oggi, sempre in prima linea. — 

Erano presenti altri ufficiali. 

Scrivo queste righe alla luce fumosa di uno scal- 
darancio, nella più inverosimile delle posizioni. 
Nel crepuscolo, si addensano lo nubi sciroccali. 
Bombe. 


27 Dicembre. 

Stanotte abbiamo rinforzato la nostra linea di 
reticolati. Fra le 22 e le 23 c’è stato un bombarda- 
mento reciproco assai violento. Mattina nebulosa, 
ma chiara. Mi affaccio al parapetto della nostra 
trincea. Ci sono di là, a poche diecine di metri, due 
soldati austriaci che conversano tranquillamente 
in piedi. Più lontano, un altro soldato, fa, non me- 
no tranquillamente, la sua « toilette » mattinale. Si 
leva la giubba, il corpetto, la camicia; si spidoc- 
ehia. A operazione ultimata, un lungo stiramento 
di braccia, un’occhiata in giro, poi se ne torna len- 
tamente alla tana. Io constato che da un mese non 
mi lavo la faccia. L’acqua del lago è sospetta. L’ac- 
qua che giunge colle ghirbe e che bisogna prele- 
vare con un «bono», è troppo rara per sciuparla 
a lavarsi la figura. 

F’ finito or ora un bombardamento intensissimo, 


200 


BENITO MUSSOLINI 


durato da mezzogiorno alle cinque. Il preludio è 
stato austriaco. Bersaglio, come sempre, la quota 
144. Grossi calibri che giungevano accoppiati. La 
cima di quota 144 era avvolta nel fumo nero e 
biancastro delle esplosioni, che, portato dal vento, 
scendeva sul lago e annebbiava tutto l’altipiano di 
Doberdò. Gli austriaci hanno continuato indistur- 
bati per quasi un’ora. Poi sono intervenute le no- 
stre batterie. Per due ore, fuoco d’inferno. La sei- 
letta dove è la nostra trincea era tutto un rimbom- 
bo, le vibrazioni d’aria scuotevano i teli da tenda 
che abbiamo sulle tane, le doline sobbalzavano. 
Armato del mio binocolo, mi sono messo in piedi 
nel fosso della trincea, a godermi lo spettacolo. A 
un certo punto c’è stata una ripresa dei loro, ma 
breve. Sopraffatti dal numero e dalla potenza delle 
nostre batterie, gli austriaci si sono rassegnati a 
tacere. I nostri hanno continuato, implacabilmen- 
te, sino alle prime ombre del crepuscolo. Nelle mie 
orecchie c’è un ronzio curioso. 

— E questo non è che un « aperitivo » — ci ha 
detto un bombardiere che filava, correndo, lungo 
un camminamento. 

E’ sera. Le nuvole si stracciano... Sul mare è il 
primo quarto della luna nuova... Nel cielo sono, 
qua e là, delle stelle. 


SS Dicembre. 

Stanotte il duello delle artiglierie non ha avuto 
sosta. Al tenente Gelassi che comanda gli zappatori 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


201 


del 39° battaglione, ho chiesto notizie sugli effetti 
del bombardamento d’ieri a quota 144, 

— Insignificanti — mi ha risposto. — Quattro 
o cinque feriti al 7°, un ferito all’ll 0 . Le gallerie 
sono state provvidenziali... — . 

Mi dice anche che ieri sera, suU’imbrunire, un 
romeno si è arreso. Ma non è stalo possibile in- 
terrogarlo, per mancanza di interprete. 

Mattinata di sole pallido. Due Caproni, scortali 
da un Nieuport, volteggiano su di noi. I cannoni 
urlano già la loro canzone di morte. Moltissime 
granate austriache di piccolo calibro che cadono 
presso la nostra seconda linea, non scoppiano. Ne 
abbiamo contate otto. Pomeriggio di sole. E’ il bel 
tempo che torna? 


29 Dicembre. 

Notte agitata. Stamani, una nebbia bassa na- 
sconde allo sguardo il lago e la pianura di Dober- 
dò. Nel cielo è una nuvolaglia grigia che il sole 
non riesce a disperdere. L’aspetto dei miei com- 
militoni dopo la permanenza nella trincea carsica, 
comincia ad essere lamentevole. 

Ci sono alcuni casi sospetti di gastro-enterite 
all’8* compagnia. La compagnia ha ricevuto l'or- 
dine di allontanarsi. Si credeva che ci precedesse 
nell’andata a riposo. Ecco : piuttosto che morire 
in un lazzaretto di colerosi, preferisco di essere 
sbrindellato in cento pezzi da un proiettile da 305. 

Oggi i cannoni austriaci hanno buttalo qua e là 


r 


202 BENITO MT'SSOT JNI 


i soliti colpi innocui. Si sbadiglia. Chi per noia, 
chi per appetito. Questa è la guerra dcirimmobi- 
lilà. *• 

.Voci del gergo guerresco : 
benzina = vino ; 

lampione = fiasco di vino. f 


30 Dicembre. 

Tempo accidioso ed insidioso, da colera. Difatti 
il bacillo virgola deve aver fatto la sua comparsa, 
a giudicare dalle misure igieniche che si stanno 
prendendo. Tutto l’accampamento è bianco di cal- 
ce, che vien gettata fra i baracconi, senza rispar- 
mio. 

Padre Michele è passato nelle trincee, offrendo i 
un distintivo tricolore e un foglietto. Ho accettato 
il distintivo, poi mi sono fatto dare il foglietto. Si 
tratta della 

Solenne consacrazione 
dei soldati del Regio Esercito Italiano 
al Sacro Cuore di Gesù. 

Io non commento, trascrivo. Nell’interno del fo- 
glietto c’è l’« istruzione » che dice : 

« La devozione al Sacro Cuore di Gesù è la gran- 
de speranza dei tempi nostri. Tutto noi possiamo 
ottenere mediante la fede e l’amore al Cuore di 
Gesù. Egli stesso, apparendo alla Beata Marghe- 
rita Maria in Francia, ha detto : « Voi non manche- 
rete di soccorso che quando io mancherò di potep- 


H MIO DIARIO 1)1 GUERRA 


203 


za». Vedete i francesi alla battaglia della Marna : 
tutto pareva perduto, quando il generale Castelnau 
ebbe Inspirazione d’invocare il Sacro Cuore e con- 
sacrargli 1 esercito. E il risultato fu la meraviglio- 
sa vittoria che salvò la Francia. Vittoria vogliamo 
noi pu;e, duplice vittoria: una sui nemici politici 
per la grandezza della patria nostra, l’altra su noi 
stessi per purificarci ed elevarci. Ma per entram- 
be, se le vogliamo grandiose, abbiamo d’uopo di 
mezzi eccezionali. Ed ecco additata la devozione al 
aacro Cuore di Gesù.,. ». 


Poi ce anche «Un atto di Consacrazione» che 
hmsce in un Credo , Pater, Ave, Gloria. 

Ripeto : non commento : trascrivo, copio il do- 
cumento. 


31 Dicembre. 

Fine d anno. Messa al 7° bersaglieri e discorso 
del prete officiante. Non so chi sia. Non conosco il 
suo nome. Un mio vicino che ascoltava mi ha detto 
che e un abruzzese. Oratore dalla parola facile, 
ila la voce squillante e quel che è l’essenziale, un 
italiano nel più fervoroso senso della parola. Mi è 
piaciuto, nel suo discorso, l’accenno alla pace tede- 
sca che sarebbe «la pace del vincitore che pone 
il piede sul petto al vinto », mentre la nostra pace 
deve «consacrare la giustizia e la libertà dei po- 
poli» ed ha finito con queste parole: «L’Italia an- 
zi tutto e sopra lutto. ». 

Avrei voluto gridargli: «Bravo!». Avrei voluto 


204 


BENITO MUSSOLINI 


andare a stringergli la mano. Voglio qui ricordare 
il primo discorso veramente ed accesamente pa- 
triottico che ho sentito in sedici mesi di guerra. 

Giornata grigia. Il tenente generale che coman- 
da la nostra Divisione è fra noi. Sembra certa la 
nostra partenza a riposo in un paese delI’Oltre I- 
sonzo, nell’Italia redenta. Alcune settimane di 
quiete ci tempreranno per l’azione, quando il gior- 
no verrà. Gli amici interventisti che si trovano nei 
paraggi cercano di vedermi. Oggi è venuto a tro- 
varmi Enrico Tagliabue, di Monza, parrucchiere e 
era artigliere. 

E’ un interventista entusiasta, un amico del Po- 
polo. Dopo cinque mesi di fronte, ha conservato 
intatto e accresciuto, anzi, il suo patrimonio ideale 
d’interventista. Questi umili figli del popolo, che 
hanno sentito la bontà della nostra causa e la san- 
tità della nostra guerra, meriterebbero di essere 
« valorizzati » un po’ di più, ai fini della vittoria! 

Nel pomeriggio un sole pallido schiarisce l’oriz- 
zonte. La partenza è fissata per stasera. Ce l’or- 
dine. Si compie oggi il mio primo mese di trincea 
sul Carso. Io saluto il 1916 che muore e il 1917 che 
comincia : Viva l’Italia! 

Gli austriaci si sono accorti del nostro movimen- 
to? Non so. Non credo. Certo è che a un dato mo- 
mento, le artiglierie nemiche si sono improvvisa- 
mente risvegliate. Un grosso proiettile è scoppiato 
in pieno su un ricovero, ma, fortunatamente, que- 
sto era vuoto. Gli austriaci ci hanno dato la buona 
fine d’anno. 



Saluto, marciando, il 1917 


1° Gennaio 1917. 

Il 1916 è morto, mentre io marciavo sulla strada 
da Doberdò. Il 1917 l’ho salutato marciando. Ciò 
è di buon auspicio... 

Primi dieci giorni, riposo a Palazzotto, vicino 
ad Isola Morosini, in un deserto fangoso. Barac- 
camenti e brande. Bagno. Iniezioni anticoleriche. 
Esame delle feci. Segregazione contumaciale. 
Noia. Dal 10 gennaio al 20, riposo nei baracca- 
menti di Santo Stefano presso Aquileja. Visita al 
Museo. Conoscenza dello scultore Furlan, mila- 
nese, e del pompiere Sala della III Armala, un 
interventista milanese della vigilia, ancora entusia- 
sta. Notte dall’11 al 12, incursione di areoplani. 
Cinquantadue bombe innocue. Io pensavo alle ni- 
diate di bambini veduti ruzzare nelle strade di 
Aquileja. Lavori di trincea presso le Mura romane. 
Scoperta di ruderi. Istruzione del lancio delle bom- 
be. Maestro, un maresciallo di cavalleria. Mi dice 
di aver istruito anche Malusardi e Trerè, volontari 
milanesi. 


É06 


BÉNlTO MÙSSOtlNl 


19 Gennaio. . 

Ripasso l’Isonzo. Emozione. Grande fiume ce- 
ruleo. Sulle vie del Tevere è nata l’Italia, sulle vie 
dell Isonzo è rinata. Pieris. Ancora popolata di 
donne e bambini. Nella piazzetta c’è una statua 
rappresentante una donna in piedi con un libro in 
mano. La leggenda dice: All Imperatrice Elisa- 
bella. Il popolo eli Pieris. Il paese è intatto. Sol- 
tanto qua e là, nei muri delle case abbandonate, 
i occhio di una granata. Nel cortile del nostro ac- 
cantonamento alcuni soldati di sanità hanno im- 
piantato una scuola, frequentata da un centinaio 
Ira maschi e femmine. Domando a una bambina : 

— Che cosa hai imparato oggi a scuola? 

— Niente. 

— Vuoi un poco di pagnotta? 

— xMàgnatela. — 

Radi borghesi. 


20 Gennaio. 

Incontro con Guido Podreeca. A Ronchi per gli 
alloggiamenti. Lungo la strada, poco prima °di 
Ronchi, ce una tomba, che reca sulla croce : « Sol- 
dato sconosciuto ». Vento freddo. Sole. 


21 Gennaio. 

Bora di Trieste. Freddo. Giornata insignificante, 
che tempo di un « morale » pessimo. Parlottano 


It MIO DIÀRIO Di CtTÈfóA 


20? 


II colonnello Benito se ne andato a comandare la 
Brigata Cremona. Lo ha sostituito il tenente colon- 
nello Capanni, che ha mandato un vibrante saluto 
fill’1 1° glorioso. 


26 Gennaio. 

Lavoro di trincea su Dolina Berg, quota 70, pri- 
mo ciglione del Carso, sopra Selz. Il campo di 
battaglia. Impressionante ancora! Atterramento 
forzato di un nostro velivolo vicino a Doberdò. 
Croci con le corone di rosario appese. Rotoli di 
carta e cestini di vimini colla telaiatura di ferro. 
Morti isolati. Mucchi di cadaveri, appena ricoperti 
di sacchi a terra. Piedi che sporgono. Un teschio. 
Frammenti di ossa. « Pace, o fratelli » (14° fante- 
ria). Ferraglie in quantità. Il mare. Laggiù, il cam- 
panile quadrato di Aquile ja. Più in là un biancheg- 
giare di case : Cervignano. 


27-28 Gennaio. 

Neve, freddo, noia infinita. 

Ordine, contrordine, disordine. 


30 Gennaio. 

I soldati che tornano dalla licenza sono da qual- 
a bassa voce del bordello che « ci sta » in Italia, 


208 


BENITO MUSSOLINI 


perchè quei « quattro vecchietti » e le donne vo- 
gliono la pace. Va da sè, che gli ufficiali pensa-, 
no... ad altro. A Roma, ciurlano nel manico. Go- 
verno dell'impotenza nazionale! 

0 

r Febbraio. 

Lancialorpedini. Ilo lasciato il mio plotone de- 
stinato a formare il 64° battaglione, probabilmente 
in Italia. Si è costituita una seconda sezione di 
lancia Bettica e me ne hanno offerto il comando. 
Esercitazioni al Poligono di Ronchi. 

1 

9 Febbraio. 4' 

Marcia alla trincea. In posizione. Notte di ple- 
nilunio. 

— Caporal maggiore, siamo tutti e due del ’97. 

— Uno venga nel mio ricovero. — 

1 

10 Febbraio , 

E’ cessato il vento gelato. Mattinata di sole ra- j 

dioso. Anticipazione di primavera. Piccoli lavori 
al camminamento. Solito fuoco delle artiglierie. 

Solito passaggio di velivoli. Alcune delle loro 
granate sono cadute in pieno nelle loro trincee. 

11 tiro dell’ artiglieria nemica continua ad essere 
molto irregolare ed altrettanto innocuo. 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


£09 


11 Febbraio. 

Cannoneggiamento. Gli austriaci ci hanno tirato 
con te loro bombarde, ma senza far vittime. Pochi 
colpi. Scoppio solenne. Quando la bombarda ca- 
de, sembra un gatto con la coda in alto. 


12 Febbraio. 


^ lavorai al « camminamento del morto » (austria- 
co). Sul cocuzzolo ci sono ancora una decina di 
cadaveri austriaci e due italiani, insepolti. Uno è 
senza testa. Pomeriggio di pioggia. Vento sciroc- 
cale. Il lago di Doberdò sgela. Reciproco concen- 
tramento vivacissimo di fuochi d’artiglieria. 


lo febbraio. 

TI lago di Doberdò, tutto ricoperto di c'nne pa- 
lustri, presenta l’aspetto miserevole di uno stagno 
come il limitrofo « Pietra Rossa ». I giornalisti 
cne lo hanno trovato «pittoresco» l’hanno vera- 
mente visto? Violento fuoco. Qualche ferito. Un 
autofento. Niente altro. Grande, tepido sole. 


14 Febbraio. 


Mattinata di sole. Passa un morto tutto ravvolto 
m un telo da tenda. Pochi commilitoni lo seguono. 

Mussolini. - Il mio diario di guerra . 


840 


BF/NITO MUSSOLINI 


Un prete fa qualche gesto. I passanti si scoprono 
e poi se ne vanno. Ieri sera gli austriaci hanno 
buttato alcune bombe nella nostra trincea. Ai pie-' 
di di queste quote, ci sono i cimiteri che le con- 
sacrano. Il nostro si allarga... Il breve funerale 
non ha interrotto il traffico e il movimento degli 
altri. Io penso con mestizia a quell’ignoto soldato 
d’ Italia che se ne va sottoterra, mentre nel cielo 
si annunzia coi suoi tepori la primavera. Il can- 
none lavora. Il morto è del 531° reparto mitraglie- 
ri. E’ l’unica vittima della bomba di ieri sera. 
Pomeriggio di cannonate. Una nostra granata è 
caduta in pieno nolla loro trincea. Gridavano i 
boches e scappavano. Un loro portaferiti è accor- 
so. Concerto dei nostri grossissimi calibri, sulla 
loro prima e seconda trincea. Dall’estrema destra 
della nostra trincea ho visto Duino. Di lassù si 
domina tutto il golfo di Panzano- Causa la foschìa 
del mare, non ho potuto vedere Trieste. Lanciate 
dieci torpedini sui loro reticolati. Per rappresaglia, 
gli austriaci hanno lanciato sette granate da 152 
sul rovescio di quota 144. Feriti : uno, alla rotula 
del ginocchio. 


15 Febbrxiio. 


Sole. Stanotte ho lavorato sino alle quattro. 
Quando mi sono levato dai camminamenti per tor- 
nare al mio giaciglio, un quarto di luna rossa illu- 
minava sinistramente il campo di battaglia. Nes- 


IT, MIO DIARIO DI GUERRA 


211 


sauna novità, stamani. Pomeriggio, solita sinfonia. 
Gergo di guerra : 

un telegramma = scheggia di granata; 
attaccare un bottone = tenere un discorso 
noioso; 

signorina = sigaretta; 
sigaretta = cartuccia da fucile; 
chioccia = mitragliatrice. 
andare alla riparazione = andare all’ospedale. 
Canzone in voga : 

Al 25 luglio, 

Quando matura il grano, 

M'è nata una bambina 
Con una rosa in mano. 

Non è una paesana 
E nemmeno contadina, 

E’ nata in un boschetto 
Vicino alla marina. 

Vicino alla marina 
Dove mi piace stare , 

Si vede i bastimenti 
A galleggiar sul mare. 

Per galleggiar sul mare, 

Ci voglion le barchette, 

Per far l'amor di sera, 

Ci vuol le ragazzetle. 

Le ragazzetle belle 
L’amor non lo san fare; 


212 


BENITO MtrBSfltim 


Noialtri bersaglieri 
Glielo far fare. 



*, •. •. ft « • * «■ 9 . 

Gli ufficiali mi domandano con troppa insistenza 
le mie opinioni circa la prossima, o lontana, fine 
della guerra. 


16 Febbraio. 

Conosciuto il dott. Velia, fratello di Arturo. 

Sole grande. Solito fuoco. Nel pomeriggio, 
grande concerto. Parte della loro prima trincea 
è saltata in aria. Un baracchino incendiato. Lavo- 
rato sino quasi all’alba. Solito insignificante fuoco 
delle artiglierie. Mezzogiorno. Sole incerto. 


17 Febbraio. 

Ieri sera, alle dieci, c’è stato allarme nella no- 
stra trincea avanzata. Una pattuglia di austriaci 
ha tentato una piccola sorpresa. Si è avvicinata ai 
reticolati. Lancio di bombe fumigene. Una forte 
esplosione. Tubo di gelatina sotto ai nostri reti- 
colati. Due cavalli di Frisia distrutti. Lancio di 
bombe. Un nostro caporale ferito. Le vedette vigi- 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


213 


lavano. Fuoco di fucileria. Bombe Benaglia. Per 
rappresaglia, abbiamo gettato nove torpedini sulla 
loro linea. Si è sentito lo zoccolare di un rinforzo 
austriaco. Tutta la notte lancio di bombe e canno- 
nate. Lavorato per le piazzole di due cannoncini 
da bombe, per trincea. 

o 9 » I 

; ' ■ 

18 Febbraio. 

Mi accorgo che è domenica, perchè dinanzi al 
Comando del reggimento c’è messa. Pochi ascolta- 
tori. Solito discorso. Pomeriggio di fuoco abba- 
stanza vivace delle nostre artiglierie. Pomeriggio 
nubiloso. Le batterie austriache non hanno rispo- 
si o che fiacchissimamente. 

W I 

19 Febbraio. 

Fame. Il cantiniere si è circondato di cavalli di 
Frisia, per evitare T assalto dei bersaglieri alle 
gerle di pane. Stamani cielo grigio. Fuoco tambu- 
reggiante dei nostri cannoni e dei loro. Non ho 
potuto dormire, perchè la terra sobbalzava e nel- 
1 aria era una vibrazione che scuoteva i nostri ri- 
pari sulle doline. Le bombarde sono bruciate- 
Sintomo. 

20 Febbraio. 

Ieri sera, sull’imbrunire, ho sparato il cannon- 
cino lanciabombe. Le bombe sono cadute in piena 


214 


BENITO MUSSOLINI 


-r 


trincea dei tedeschi. Soliti cannoneggiamenti, no- 
stro e toro. Mattinala ventosa. Grande messa al 
Comando- Il tenente medico Scalpelli se ne va in 
un ospedaletto da campo oltre Isonzo. Era in pri- 
ma linea dall’inizio della guerra. 


21 Febbraio. 

Lavorato gran parte della notte per la postazio- 
ne di un cannoncino lanciabomhe. Stamani, all’al- 
ha, ho dato il buon giorno ai tedeschi, con una 
bomba Excelsiòr tipo B, che è caduta in pieno nel- 
la loro trincea. Il puntino rosso di una sigaretta 
accesa si è spenta e probabilmente anche il fuma- 
tore. Oggi ci hanno bombardato per parecchie ore ó 
di seguito. Le nostre perdite non sono gravi. Tra 
gli uomini fuori di combattimento ci sono due uf- 
ciali, uno dei quali bombardiere. Ilo aumentalo la 
dose per la buona sera. Ilo lanciato due bombe. 
Bersaglio. Giornata di sole. Le postazioni sono fi- 
nite. Stanotte conto di dormire a lungo. 


22 Febbraio. 

Sospese le licenze sia per gli ufficiali come per 
i bersaglieri. Altro sintomo. Rivista alle scatolette 
e munizioni. Sole. Ore tre del pomeriggio. Giungo- 
no da lontano, e passano sulle nostre teste, grossi 
proiettili destinati alle prime linee nemiche. Le nu- 


* 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


215 


vele delle esplosioni oscurano di quando in quando 
il sole. Sono diventato un fumatore. Conseguenze 
della trincea. Le «macedonia» sono eccellenti. Gli 
austriaci rispondono con spring-granate fra la pri- 
ìna e la seconda linea : due morti e cinque feriti 
della mia compagnia : la quinta. Un ferito al brac- 
cio fuma la sigaretta. Due sono gravi. 



Ferito ! 


Nel pomeriggio del 23 febbraio 1917, verso le 
ore 13, si eseguivano a quota 144 dei tiri d’ ag- 
giustamento con un lanciabombe da trincea. Era- 
no attorno a me venti uomini, compresi alcuni uffi- 
ciali. La squadra era composta dai soldati più 
arditi della mia compagnia. Il tiro si era svolle 
senza il minimo incidente sino al penultimo proiet- 
tile. Questo, invece, — e ne avevamo spedite due 
casse — scoppiò nel lanciabombe- Fui investilo da 
una raffica di schegge e proiettato parecchi metri 
lontano. Non posso dire di più- So che venni rac- 
colto quasi subito da altri bersaglieri accorsi, ada- 
giato in una barella, trasportato a Doberdò per le 
prime cure, portato più tardi in quest’Ospedaletto 
dove trovai un’assistenza affettuosa, premurosissi- 
ma. Il capitano medico dott. Giuseppe Piccagnoni, 
direttore dell’Ospedale di Busto Arsizio, ed i dot- 
tori, tutti e due tenenti, Egidio Calvini di San Remo 
e Luigi Scipioni di Rosolini (Siracusa) mi curano 
come se fossi un fratello. 


218 


BENITO MUSSOLINI 


* 

T* V 

» 

Duratile la degenza di Mussolini nell' Ospeda- 
lelto il nemico, violando ogni legge civile ed uma- 
na, bombardò quel luogo di sofferenze con ae- 
roplani. Il ferilo cosi narra in una pagina del suo 
Diario il doloroso fallo. 


Mallina del 18 Marzo- 

Ore otto. Un po’ di sole. Il solito rombo degli 
aeroplani. Un ferito nuovo è giunto questa notte. 
Io non ho chiuso occhio. Stamani il termometro, 
37,8. Stasera, segnerà 40. 

Niente medicazione. Il sibilo di una granata. E’ 
scoppiala vicino all’Ospedale. Un’altra. Una terza. 
Un’altra ancora. Tutte a pochi metri dall’Ospedale. 
L’infermiere Parisi è tranquillo. 

— Possibile — egli dice — che non vedano la 
Croce rossa sul tetto? Non hanno mai tirato in que- 
sti quattro mesi. Dunque! — 

Ancora un colpo. Il mio vicino, che ha le gambe 
fracassate da una bomba, li conta : siamo a 15. 

— Son pasticci — dice un ferito alla clavicola. 
Le medicazioni continuano al pianterreno. Vedo 

dalla porta spalancata sfilare le barelle. Salgono, 
dal basso, grida di dolore. Un rombo. Uno scro- 
sciare di vetri nel corridoio, nelle camerate. I no- 
stri lettucci hanno sobbalzato. 

— Questa è caduta più vicina delle altre — - dico 
a Parisi. 


IL MIO DIARIO DI OTTERRÀ 


219 


Ma non ho finito di pronunciare queste parole, 
che un polverone bianco e denso si diffonde dalle 
camerate sulle scale. Dal polverone sbucano e cor- 
rono nella mia camerata, i feriti che possono cam- 
minare. Quelli inchiodati al letto si sono rovesciati 
giù, pazzi di terrore. I loro urli riempiono l’edi- 
fìcio. Uno, nuovamente ferito alla spalla, si è roto- 
lato dalle scale. 

Tutti i feriti della camerata li hanno trasportati 
nella mia. Il doti. Piccagnoni era a pianterreno e 
slava operando un ferito gravissimo. Dopo lo scop- 
pio, ha lasciato il ferito agli assistenti ed è corso 
di sopra. Ha messo un po’ d’ordine. Ha rincuoralo 
tutti. E’ stato ammirevole di calma e sangue fred- 
do. Sistemali i feriti, è tornato giù a terminare 
l’operazione. Per fortuna, i nuovi feriti non sono 
gravi. Il più grave era ormai guarito. Ora una 
grossa scheggia gli ha rovinato una spalla! Conti- 
nuano a fasciarlo. Perde tanto, tanto sangue! Quel- 
li che possono parlare, commentano : 

— Sono dei vigliacchi! Degli assassini! Ci vo- 
gliono uccidere per forza! — 

Gi altri, che non possono parlare, fissano le pa- 
reti con gli occhi spalancati. Il sibilare delle gra- 
nate — poiché gli austriaci continuano a sparare 
— provoca alcuni secondi di silenzio mortale. Or- 
mai cadono lontano. 

II dott. Piccagnoni, insieme col dolt. Velia e gii 
altri due medici, ritorna nella nostra camerata ed 
annuncia che nel pomeriggio tutti i feriti saranno 
portati al di là delllsonzo. I volti si rischiarano. 

— E io? — domando. 


220 


BENITO MUSSOLINI 


Lei rimane. Non è trasportabile. Mi farà 
compagnia! — 


Pomeriggio. 

T Tutti i miei compagni di dolore sono partiti. 
Nell’Ospedale sono rimasti i medici, il cappellano, 
gli infermieri. Di feriti, soltanto io. Silenzio grande 
nel crepuscolo... 


XI Re visita Benito Mussolini 
e i suoi compagni feriti 

{Corrispondenza di Raffaele Garinei al Secolo) 


Quartier Generale, 7 Marzo. 

Stamani il Re ha visitato l’Ospedaletto da cam- 
po ove è ricoverato il caporal maggiore Benito 
Mussolini. Tornavo giù dalle trincee di Monfalcone 
e mi recavo a chiedere notizie dell’amico ferito, le 
cui condizioni di salute negli scorsi giorni avevano 
avuto un notevole peggioramento, allorché l’auto- 
mobile grigia del Sovrano lasciava lo spiazzale che 
si distende a lato della palazzina dove ha sede l’O- 
spedaletto che ospita Mussolini. 

11 Re era giunto mezz’ora prima, inatteso, aveva 
chiesto del Direttore dell’Ospedaletto, il capitano 
Giuseppe Piccagnoni, ed aveva manifestato il desi- 
derio di visitare Benito Mussolini e gli altri feriti 
ivi ricoverati. 

Qualche istante dopo, il Sovrano entrava nelli 
corsia dove Mussolini era stato trasportato allora 
allora, reduce da quella che è per lui la più stra- 
ziante operazione : la medicazione quotidiana. Mus- 


222 


BENITO MUSSOLINI 


solini era leggermente abbattuto: la medicazion 
era stata torse più dolorosa del solito. 

Il Re ha domandato al capitano Piccagnoni qua- 
le fosse il letto sul quale era adagiato Benito Mus- 
solini. 

E’ 11 sul secondo letto vicino alla finestra. — 
Mussolini aveva frattanto riconosciuto il Re, ed 
il Sovrano aveva immediatamente scorto il ferito. 

Avvicinatosi al suo letto, il Re ha domandato a 
Benito Mussolini : 

— Come sta, Mussolini? 

— Non troppo bene, Maestà. — 

Il capitano Piccagnoni, interrogato dal Sovrano, 
ha aggiunto particolari precisi : 

~~ La febbre si è manifestala otto giorni fa, 
quando sorse una complicazione infettiva nelle fe- 
rite alle gambe: la temperatura superò i 40 gradi, 

1 infermo passò notti agitate, in preda a delirio. 
Ora la febbre è diminuita : 38 gradi. Le schegge 
sono state tutte estratte e le ferite vanno rimargi- 
nandosi. Ma Mussolini soffre molto. Figurarsi che 
la superficie lineare di tutte le ferite che torturano 
il corpo di Benito Mussolini raggiunge complessi- 
vamente gli 80 centimetri. Le due ferite alle gambe 
sono così ampie, che, divaricate, possono accoglie- 
re un pugno di un uomo! — 

Il Re ascoltava, guardando il volto del ferito 
-- Deve soffrir molto, lei, pur così forte, in que- 
sta dolorosa immobilità! 

. un supplizio, Maestà, ma ci vuole pa- 

zienza. — 

Poi il Re ha chiesto a Mussolini i particolari del 


*CV 


IL MIO DIARIO DI OUKRR-i 


223 


doloroso episodio di guerra, ed il ferito li ha nar- 
rali con precisione. 

— Q U£ de crede sia stala la causa dello scoppio? 
— ha chiesto il Re. 

— Il tubo di lancio era troppo arroventato. 

— Eh, già^ — ha aggiunto il Sovrano — forse 
il tiro era stato troppo rapido. — 

E poi, mutando discorso : 

— Ricorda? Io lo vidi sei mesi fa all'Ospedale 
di Cividale. 

— Ricordo perfettamente; allora ero in osserva- 
zione per malattia... 

— Ed oggi interruppe il Re — dopo tante 
prove di valore, è rimasto ferito. — 

Seguì un istante di silenzio. Tutti guardavano 
quel soldato valoroso, che, ammaestrando i suoi 
uomini sotto il fuoco austriaco, perchè essi potes- 
sero del nemico aver ragione, era caduto con pari 
eroismo del soldato che in trincea è sopraffatto dal- 
l’impeto dell’avversario. 

Poi il Re continuò : 

— L’altro giorno, sul Debeli, il generale M... mi 
ha parlato molto bene di lei... 

— Ho cercato sempre di fare il mio dovere con 
disciplina, come ogni altro soldato : è molto buono 
con me il mio generale. 

— Bravo Mussolini! interruppe il Re. — Sop- 
porti con rassegnazione l’immobilità ed il dolore. 

— Grazie, Maestà. — 

Il Re si volgeva allora verso gli altri feriti. 

Al lato sinistro di Mussolini era un valoroso mu- 
tilato, il sergente Gasperini, vallellincse, che fu 


224 


MSN ITO MtrSSOEINX 


fecito dalla bomba di un aeroplano presso Do- 
berdò. Anche per lui il Sovrano ebbe parole di 
elogio e di incoraggiamento, e fece segnare il suo 
nome ad un aiutante di campo, insieme a quello 
di un altro mutilato : Antonio Bertola, siciliano. 

Il Re, quindi, dopo aver salutato Benito Musso- 
lini, lasciò la corsia e visitò le altre sale dell’Ospe- 
dale, congratulandosi poi col Direttore capitano 
Piccagnoni per l’ordine che aveva trovato. 

Ho avvicinato Mussolini qualche minuto dopo 
che il Re aveva lasciato l’Ospedaletto. 

— Sono assai contento — egli mi ha detto — 
della manifestazione di gentilezza avuta da parte 
del Sovrano, e delle buone parole che ha rivolto 
a me ed ai miei compagni. — 


Al capezzale di Benito Mussolini 

(Corrispondenza di Sandro Giuliani al Popolo d’Italia) 


Dal Carso, 1° Marzo. 

L’altra sera, dal Popolo d'Italia, ho appreso il 
Iragico incidente di guerra che per poco non costò 
la vita al nostro valoroso combattente. 

La mia trepidazione, il mio dolore furono il do- 
lore e la trepidazione vostra. Non occorre che ve 
ne scriva. 

Poco più tardi potevo procurarmi dei giornali 
di Roma. Si diceva che le ferite di Mussolini erano 
molte, ma non gravi; mi tranquillizzai un poco; 
non tanto però da saper rinunciare all’ istintivo 
proposito di correre da Lui, di abbracciarlo, di 
avere una più esatta e sicura idea del suo male. 

Chiesi ed ottenni subito il necessario permesso 
notevole cortesia della quale sono assai grato al 
Direttore della mia unità. 

Dove fosse l’Ospedaletto 46 non fu possibile sa- 
perlo. Non risultava che esso esistesse. Pensammo 
ad un errore. Convenimmo nel credere che si trat- 
tasse del 046, in funzione presso Cormons. E la 
mattina dopo partii. 


Massolini. - H mio diario di guerra. 


15 


I 


^28 Basito MtàsOLifit 


Quali siano stale le delusioni e l’amarezza pro- 
vate arrivando, vi sarà facile immaginare. Trovai 
l’Ospedaletto, ma il ferito nostro non cera! Per- 
detti così, inutilmente, la mia giornata, riuscendo 
tuttavia a sapere che il 46 era molto lontano : ad 
Aquileja. 

Tornai alla mia residenza con l’anima in pena, 
sconfortato, avvlito. Mi restava una sola speranza : 
quella di avere un secondo permesso. E lo ebbi, 

! infatti. 

Pdpartito stamani per tempo, autorizzato ad usu- 
fruire d’ogni mezzo di trasporto, mi diressi ansio- 
samente alla mèta. Marciai in tutti i modi, con tutti 
i mezzi : con camions, con carri d’artiglieria, con 
carretti carichi di materiale, in molti tratti... pedi- 
bus calcantibus. Ma marciai sempre. 

Alle quattro del pomeriggio, a Sagrado, mi im- 
battei in Manlio Morgagni - — il direttore ammini- 
strativo del nostro giornale — e nel collega Gari- 
nei del Secolo. Tornavano da una visita a Musso- 
lini. Appresi da essi che l’eroico soldato aveva mol- 
ta febbre e che 1’ Ospedaletto 46 non era più ad 
Aquileja, ma a Ronchi. 

Da Sagrado a Ronchi — sei o sette chilometri — 
non trovai alcun mezzo di trasporto. Giunsi lo stes- 
so, però. E giunsi presto! 

All’ingresso dell’Ospedaletto — situato in una 
bella palazzina rimessa a nuovo dopo le « ingiu- 
rie» della guerra — mi si precluse il passaggio. 

Il sottufficiale d’ispezione aveva una consegna 


< 


JL mio diario Idi òuérsa §2? 


precisa e non era disposto ad infrangerla a nessun 
costo. 

— I medici hanno proibito ogni visita. Ce ne 
sono state troppe! il ferito è molto sofferente. Ha 
la febbre a 40, stasera. Egli stesso desidera di es- 
sere lasciato in pace. Mi dispiace tanto, ma è im- 
possibile. — 

Declinai la mia qualità di redattore del Popolo, 
dissi la mia angoscia per la sorte di Lui, parlai dei 
mio affetto fraterno per il mio Direttore e Mae- 
stro... 

Nulla! 

Domandai di parlare col Direttore deli’ Ospe- 
ualetto, con qualche medico... Fui accompagnato 
dal tenente doti. Scipioni. Ripetei Tesser mio, lo 
scopo del mio viaggio; domandai se era solo con- 
cepibile che fossi venuto da tanto lontano per.. . 
tornarmene via senza aver veduto Mussolini! 

L’ufficiale comprese. 

— Aspetti! Ma le raccomando : visita breve. — 

Promisi e... non mantenni. 

Due minuti dopo, ero vicino a Lui. Il nostro in- 
contro fu sinceramente commosso. Io lo baciai in 
fronte. Egli sorrise lietamente. I suoi occhi lumi- 
nosi facevano il posto alla parola. Dicevano chiaro 
che la mia apparizione inattesa era molto gradita. 
Per un poco tacemmo. Lui soffriva. Io non sapevo 
come cominciare... 

— Come state? 

— Sto bene! 

— Avete molta febbre? 


‘m 


BENITO MUSSOLINI 


— Passerà! — 

La cartella termografica segnava 39,9. Gli ma- 
nifestai i miei sentimenti migliori, i voti dei com- 
pagni, degli amici, degli estimatori suoi, di tutti 
gli onesti, di tutti i buoni, perchè la guarigione 
fosse sollecita e completa. 

— Guarirò completamente e presto. — 

L’aiutai, insieme ad un infermiere, a cambiar 
posizione nel letto. Lo interrogai sulle cause dello 
scoppio. 

- — Non le so bene — egli rispose- Poi raccontò 
il fatto come è raccolto nel suo Diario. 

Domandai a Mussolini come avvenne la sua as- 
segnazione ad una squadra di lanciatorpedini. 

— Nel modo più semplice — egli rispose con 
grande serenità. — Il primo di febbraio potevi 
andare in Italia per un periodo di tempo più o 
meno lungo. Ho preferito — e l’ho fatto di mia vo- 
lontà — di passare al comando di una sezione lan- 
cia torpedini, agli ordini di un ufficiale. Alla guar- 
nigione italiana ho preferito le doline del Carso; 
sulla quota più tragica. Ecco tutto. — 

Cosi dicendo, egli scrollava lievemente la testa 
sul guanciale. Gli occhi si spalancarono... anche 
di più. 

Un sorriso di compiacenza — quel suo bel sor- 
riso caratteristico, nervoso e cristallino che voi ben 
conoscete — gli illuminò il volto pallido. Lo acca- 
rezzai sulla fronte. Il gesto mi ricordò che egli 
aveva la febbre alta. La mia presenza diventava, 
involontariamente, un martirio. Lo facevo parlar 


IL MIO DIARIO CI GUERRA 


229 


troppo. Me ne accorsi. Glielo dissi. Lo esortai a 
non sforzarsi. Poi soggiunsi : 

— Darò notizie di questa mia visiLa ai nostri 
compagni, agli amici. 

— Sì, fatelo. E dite chiaro e forte che per il 
trionfo degli ideali di giustizia che guidano gli eser- 
citi della Quadruplice, avrei accettato, senza rim- 
pianti, anche un più duro destino. Dite che sono 
orgoglioso di avere arrossato col mio sangue, nel- 
l’adempimento del mio più rischioso dovere, la 
strada di Trieste! — 

Parliamo d’altro per un poco. Poi induco il va- 
loroso al silenzio, affondando le mani in enormi fa- 
sci di telegrammi e di lettere che sono sul como- 
dino, su una sedia, ai piedi del letto. 

Tra i primi dispacci che mi càpilano in mano, 
ne trovo uno assai premuroso e cordiale del mi- 
nistro Comandini. Ne vedo quindi di persone di 
ogni condizione sociale : dal nobile Guido Notari 
dei Duchi della Rovere ai più modesti ed umili 
operai. 

Il ministro Comandini ha telegrafato così : 

<i Commosso per il battesimo glorioso che ti ha 
" piagato e fortificato, ti mando i più fervidi voti 
« di guarigione sollecita e completa ». 

L eroica madre di Filippo Corridoni telegrafa da 
Pausula poche parole : 

« La mia famiglia è estremamente commossa e 
le è vicina »* 


Nelle poche parole è tutta l’anima della donna 
semplice e stupenda. 

Margherita e Cesare Sarfatti si esprimono così : 

« Salutiamo il caro amico, l'eroico combattente , 
ammirati , trepidanti, auguranti ». 

E il Dottor Risi : 

« Saluto le tue gloriose ferite che in idealità no- 
li buissima leniscono e guariranno ». 

E l’on. Bossi, da Genova : 

'< Personalmente e per il Comitato nazionale aliti- 
li tedesco, auguro fervidamente di rivederti presto 
a più che mai valida guida nelle lotte del fronte in- 
ii terno, non meno importante del fronte esterno, 
« dove ti temprasti ed emergesti tanto ». 

Ma uno spoglio completo è impossibile. 

Vedo, tra gli altri, dispacci assai affettuosi del 
tenente medico dottor Alberto Mostari — ferito in- 
sieme a Mussolini nel tragico accidente di guer- 
ra — ; del collega Uccelli del Corriere della Sera, 
dell’avv. Ermanno Jarach di Milano, del compagno 
Calassi, di Giampaolo Manfredi da Castel di San- 
gro: di un numeroso gruppo di amici di Roma; 
del Gruppo socialista torinese dissidente, della Se- 
zione repubblicana milanese, dei Socialisti dissi- 
denti di Firenze, della Lega antitedesca di Milano, 
dei giornalisti romani e milanesi, della « Fratel- 
lanza Fratti» di Forlì, della « Stampa periodica », 
dei « Fascisti milanesi», dell’ ing. Vaisecchi, di 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


231 


Clemente Pinti, del Comitato delle Federazioni dei 
Gruppi autonomi di Milano, del Comitato di propa- 
ganda patriottica pure di Milano, dell’ex Consiglie- 
re comunale Luigi Bonomelli e di moltissimi e mol- 
tissimi alLri. 

II maggiore dei bersaglieri R. 1). dello stesso 
reggimento del nostro valoroso soldato, scrive 
così : 

<( Caro Mussolini, non ti raccomando di farti ani- 
mo. Ti offenderei, perchè ti conosco mio fiero ber- 
sagliere. Ti auguro di cuore pronta guarigione per 
averti ancora tra i miei e presto. Arrivederci, mio 
buon camerata della trincea, e viva l'Italia!». 

Alfonso Vaiana dice : 

« Le idee sopravvivono agli uomini; però quando 
le idee hanno assertori della vostra tempra, diven- 
tano altari sui quali gli uomini si immolano volen- 
tieri. Per questo vi auguro la vita e la salute ». 

E il dottor Ambrogio Binda, capitano medico, 
da Milano : 

« Fervidissimi auguri ed un abbraccio. Ti aspet- 
to qui! ». 

Vedo poi lettere e telegrammi ben auguranti di 
Dante Dini, di Giovanni Capodivacca, di Giselda 
Brebbia, Ida Bacchi, da Milano; Camillo ed Er- 
minia Guaitani da Cassano d'Adda, Luigi Boni da 
Forlì, l’editore Ferdinando Zappi da Verona, un 
gruppo di operai da Torino; prof. G, C. Ferrari 


232 


BENITO MUSSOLINI 


da Imola; soldato G. B. Ronconi, Pietro Montani 
da Reggio Emilia, ecc. 

Mi pare di chiudere degnamente la manata di 
auguri scelti a caso, con la trascrizione letterale di 
questo messaggio da Ferrara : 

« Egr egio, come posso augurare bene a mio fi- 
" glio, combattente sul Carso, auguro a Voi, sol- 
lécito Italiano socialista, una pronta guarigione. 
« Vostro Angelini Giovanni, umile lavoratore ». 

Quanta nobiltà e quanto cuore in queste poche 
righe modeste! 

11 tempo urge. Annotta. Mussolini è preso, via 
via, da un accentuato torpore. Anziché a diminuire, 
la febbre accenna ad aumentare. Gli sussurro qual- 
che parola. Apre gli occhi, mi tende la mano, sor- 
ride lievissimamente. 

Che dovizia di affetti in questi telegrammi 
m queste lettere! 

— Veramente! — risponde il nostro eroico ber- 
sagliere. — Veramente! Ringraziate gli amici che 
sono stati con me in quest’ora. Ringraziateli ai 
grido di «Viva l’Italia! ». — 

R volto di Mussolini, incorniciato dalle bende 
che gli fasciano la testa, mi appare assai più pai- 
lido, ora. Anche la fronte scotta. 

Mi chino su Lui. Ci scambiamo un bacio. Mi al- 
lontano volgendomi verso il letto. I suoi occhi 
scintillanti e neri — singolari e suggestivi tra il 
candore del viso, del letto, delle fasce, di tutto - 


IL MIO DIARIO DI GUERRA 


888 


sono di strano contrasto con tanto bianco. Ma sono 
stupendamente sereni. 

All uscita, mi intrattengo con i dottori Scipioni 
o Calvini. 

Le condizioni di Mussolini — essi mi dicono 
non sono gravi. Non sono neppure così lievi 
come qualcuno ha raccontato. Tutt’allro. Egli ha 
molte ferite trapassanti e a fondo cieco, negli arti 
inferiori. Una di esse, alla coscia destra, è vasta 
circa dieci centimetri. Altre ferite interessano il 
capo, la spalla destra (la clavicola è rotta) e, 
piu grandemente, la mano destra, nella quale si 
riscontra la lesione del carpo. Le schegge trovate 
sul suo corpo, in seguito ad esami radiografici, 
sommano a circa quaranta. Sono state estratte 
quasi tutte in due successivi tempi (operazioni). La 
febbre alta che lo ha preso non deve preoccupare. 
Essa è dovuta ai processi infiammatori della ferita 
alla gamba, ove profilasi il pericolo di un flem- 
mone. Scemerà. In ogni modo, salvo ogni compli- 
cazione, Mussolini ne avrà per almeno una cin- 
quantina di giorni. Se scompare la febbre, potrà 
lasciare questo Ospedaletto tra circa una setti- 
mana. — 

Ho raccolto queste notizie per gii amici. Mi sono 
congedato con l’anima triste e sollevata insieme. 

A notte alla — splende la luna e tuona il can- 
none ~ butto giù queste note affrettate. Fa freddo. 

* 

❖ * 

Lq mattina del 2 aprile Benito Mussolini, accorri - 


aru 


BENITO M"USSOT,INI 


pagnato dal Dr. Piccagnoni, direttore dell’ Ospe- 
dalelto da campo ove era stato ricoverato appena 
fu ferito, giunse a Milano, accollo con vivissime at- 
testazioni di affetto da parte dei Redattori del Po- 
polo d'ilalia e di molli amici che ne attendevano 
ansiosi l’arrivo. 

Con glandi precauzioni fu tolto dal tettuccio del 
treno, e trasportato all’ Ospedale territoriale della 
Croce Rossa di via Arena, ove fu ricevuto dal capi- 
tano clott. Ambrogio Binda, legato a Mussolini da 
vincoli di fraterna amicizia. 

Il Doti. Binda così parla del periodo in cui ebbe 
in cura il ferito. 

Lasciando il campo, Mussolini mi scriveva : 
« Sono stanco, ho bisogno di riposo. Trovami un 
letto nel tuo ospedale ». 

Ed entrò nel mio reparto la mattina del 2 aprile. 

Mussolini era enormemente deperito, fortemente 
anemizzato e febbricitante. 

Venne ricoveralo in una modesta stanzetta al se- 
condo piano. Doveva sottostare, prima quotidiana- 
mente, poi a giorni alterni, a lunghe e dolorose 
medicazioni, che egli sopportò con uno stoicismo 
ed una forza d’animo impressionanti anche per noi, 
rotti a tutti gli orrori delle ferite prodotte dalle 
armi moderne. 

Non volle mai la narcosi, neppure quando si 
trattò di operazioni necessarie complementari. 

Era soprattutto la ferita alla gamba destra, che 
per la scopertura dei lendini e dei nervi rendeva 
spasimante la mgdicazjong, 


IT, 5110 DIARIO DI GUERRA 


235 


Una sola era la sua preoccupazione : « Dimmi, 
Binda, riprenderò le funzioni dell’arto? Potrò ritor- 
nare in trincea? ». 

Passava il suo tempo studiando il russo e l' in- 
glese e leggendo opere letterarie e politiche. 

Nelle ore pomeridiane aveva la costante compa- 
gnia della sua Signora, della buone e gentile si- 
gnora Rachele, e dei suoi figli Edda e Vittorio. 
Bruno non era ancora nato. 

Durante la sua degenza all’Ospedale, non vi fu 
uomo politico — italiano o alleato — che, passan- 
do per Milano, non abbia sentito il dovere di por- 
gere un saluto ed un augurio al nostro martire. 

Aveva una parola affettuosa per tutti i suoi com- 
pagni d’ospedale, sui quali non voleva avere pre- 
cedenza nell’attesa delle medicazioni. 

Non ricordo più chi — dei grandi clinici o pen- 
satori — ebbe a dire che la prima medicina per la 
guarigione è la volontà. Mai, come nel caso di 
Mussolini, ebbi a constatare la verità di questa af- 
fermazione. 

Voleva guarire, voleva che la sua gamba ripren- 
desse la funzione; c non c'erano dolori che lo fer- 
massero nei suoi sforzi. 

Nel suo corpo rimasero c tuttora vi sono, scheg- 
ge all’omero destro, alla coscia destra, alle ossa 
della gamba destra c alla mano sinistra. E qual- 
che volta si fanno sentire! 

Nell agosto, Mussolini lasciò l'Ospedale sorreg- 
gendosi cop l’aiuto delle gruccg, 


236 


BESIIO MUSSOLINI 


* 

* -s 

Tutta la stampa italiana di quel tempo ha pub- 
blicalo la notizia del ferimento di Mussolini con 
commenti di simpatia e di rammarico. 

E la stampa francese, poi, se riè pure occupata 
largamente ed ha avuto per lui parole cordialis- 
sime di solidarietà. 

T . Tra 1 giornali esteri vanno notati : Journal des 
Débats, Le Figaro, Liberté, La France, Libre Pa- 
role, Homme Enchàiné, L’Eveil, La Victoire, Hu- 
manité, Bataille, Action Francaise e Piadical. 


Fine. 


t 


INDICE 


I. - Settembre-Novembre 1915 

^ chi- ■ t. . » Pag. 9 

In trincea coi soldati d’Italia ........... » 13 

Tra il Monte Nero, il Vrsig e lo Jaworcek . . » 27 
Come si vive e come si muore nelle linee del fuoco » 41 
Guerra in montagna, tra la neve © il fango . » 55 

Le nostre truppe avanzano su Riva e oltre Mon- 

falcone 0 8 

L’inverno nelle trincee dell’alta montagna . . . » 7 7 

II - Febbraio-Maggio 1916 


Dalle falde dell’ Jaworcek alle vette del Rombon » 97 

Ln mese tra le montagne della Carnia .... » H9 

Mussolini al... fronte interno » 150 


III - Novembre 1916 - Febbraio 1917 


Nota bene 

Oltre il lago di Doberdò 
Dicembre in trincea . . 
Natale 


» 161 
» 167 

» 181 
» 107 


BASITO Mtrgàoiiifl 







238 


Saluto, marciando, il 1017 Pag. 205 

Ferito! .... » » 217 

Il Fé visita Benito Mussolini e i suoi compagni 

feriti » 221 

Al capezzale di Benito Mussolini » 225 








CASA EDITRICE « IMPERIA ■ 


MILANO (3): Vìa Pietro Verri 12 



É pubblicato : 


BENITO MUSSOLINI 


I discorsi della Rivoluzione 


Prefazioni di ITALO BALBO 
L, 2,80 

Fateicolo in-8° di 64 pagine con copertina a due colori 
Fotografia del Duce, fuori testo. 


Sono i discorsi pronunziati a Udine, a Cremona, a Milano, 
a Napoli, vaticinanti la marcia fascista su Roma immortale, e 
degnamente presentati da Italo Balbo, generalissimo delle 
milizie della nuova Italia. 


In preparazione : 


BENITO MUSSOLINI 



È la raccolta completa degli scritti tracciati dalla vivida 


penna di Mussolini nel turbinoso periodo che dalla proclama- 
zione della neutralità del 1914 giunge fino ai recenti fatti 
della Patria nostra. 

Questa pubblicazione costituirà l’ avvenimento 
:: più notevole del 1923 t 






HOT ÌCA 
MUNALE 


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