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ETTORE NATALI
IL GHETTO DI R
VOLUME PRIMO
ROMA
STABILIMENTO TIPOQHAFICO DELLA TRIBUNA
1887
3>S
135
. lo 5
N ?~. 7
PROPRIETÀ LETTERARIA
ng?ff?^-1^0
Signor Princìpé,
Non so se questo mio modesto lavoro sia per
procura/rmi qtuilche soddisfazione. Io di una sola
mi terrei pago, e non saprei sperarne altra più
grande : che, qualunque esso sia, potesse a Lei
tornare gradito, perchè mi avrebbe porto V occasione
di attestarle pubblicamente, e in modo non in-
degno, la mia gratitudine e Taffetto devoto che a
Lei mi lega.
Roma, 15 maggio 1887.
Obbligatissimo
ETTORE NATALI.
All'onorevole signor Principe
Don Maffeo Colonna di Sclvrra
Deputato al Parlamento.
*- '
m^BH
AVVERTIMENTO
Cominciai a scrivere del Grhetto di Roma in
qualche articolo per un giornale letterario ; ma
ben presto la larga messe di notizie che mi
venne tra mano mi fece accorto che troppo
l'argomento disorbitava dai ristretti confini
entro i quali, sulle prime, m' ero proposto di
contenerlo.
Mi tentò la speranza di poter far conoscere
qualche angolo ignorato di questa antica parte
di Roma che stava per scomparire, e decisi di
allargare le basi del mio lavoro.
Non è questa un' opera di getto, e se tro-
verà presso il pubblico accoglienza non troppo
severa lo dovrò allo studio che ho posto a
purgarla dai difetti propri delle compilazioni,
evitando le note, le chiose, le citazioni e fin
la parvenza di una erudizione indigesta.
Le cose che andrò man mano esponendo, le ho
attinte ai moltissimi scrittori di cose romane,
— VIU—
compulsando numerosi volumi e giovapudomi
dei documenti che in gran copia si conservano
nelle nostre Biblioteche e nei nostri Archivi.
Altri potrà, con maggior competenza e lar-
ghezza, trattare il quasi inesauribile argomento ;
a me basterà il ricordo di avervi per primo
dedicato studio ed amore.
Roma, li 15 maggio 1887.
E. Natali.
La storia del popolo ebreo è una delle piii
belle che esistano... Certo non è storia sensa
macchia; sarebbe faori dell'amanita.
R. Renan. Le JudaUrns cornute
race et comme religion.
I.
I primi ebrei di Roma - Loro condizione al cadere della repubblica
- Relazioni colla madre patria - Ambascerie - Pompeo, Cesare -
Periodo imperiale - Persecuzioni - Agrippa e Berenice.
Sono trascorsi venti secoli e della Roma impe-
riale non rimangono che poche mine, e degli Dei
immortali che qualche immagine vaga ; di gloria,
di potenza , di ricchezze innumerabili altro non
recidi che una pallida rimembranza. Passarono,
senza lasciar qia^i traccia, patrizi, plebei, consoli,
imperatori, signori del mondo, ed i figli degli
ebrei, schiavi di Pompeo e di Tito, resistono an-
cora. Intorno a sé hanno visto disfarsi in pol-
vere l'antica Repubblica Romana, e la monarchia
dei Cesari e di Bisanzio, e le conquiste dei barbari,
e l'anarchia medioevale, ed il dominio dei Papi ;
■essi hanno sopravvissuto. - Da quindici secoli è
1 — E. Natali, Il OheUo di Homa,
ETTORE NATALI
caduto il superbo simulacro di Giove Capitolino^
che sembrava dovesse essere eterno,
Sculptus et aeterno nunc primiim Jupiter auro,
ma presso il Campidoglio è rimasto immobile ed
immutato il culto di lehovah.
In Roma, capitale d'Italia libera, il Ghetto avrebbe
dovuto essere già demolito da un pezzo, perchè ne è
il quartiere più obbrobrioso e più infetto. Esso sorge
non più come una dimora disprezzata dei semiti, ma
come violazione del diritto moderno, indegna di un
popolo civile. Il Ghetto deve cadere, e cadrà.
Però non è senza dolore che lo vedremo sparire
perchè col Ghetto fini «ce la storia di un popolo :
gli ebrei, a Roma, come pres oche ovunque è se-
guito, si disperderanno e si confonderanno cogli
altri uomini, rendendo ù loro eguali negli usi come
lo sono già nei diritti.
Ed è una storia gloriosa quella degli ebrei di
Roma, che comincia appunto quando finisce quella
delle nazioni giudaiche, e della quale oggi m'ac-
cingo a scrivere l'ultima pagina. Tanto più gloriosa
per loro che, accusati universalmante di pusillani-
mità, harno dimostrato, fermandosi in Roma, di
saper vivere una vita di vero e quotidiano com-
battimento. E vi rimasero, come osserva opportu-
namente il Gregorovius, prima sotto i Romani, di-
struttori di Gerusalemme), e poi sotto i Papi, che
erano i rappresentanti del Dio da loro ucci-o.
Questa razza, ridotta in servitù, seppe difendersi
contro i suoi tribolatori coli' astuzia, coU'ingegno,
colla potenza che le veniva dall'oro, ammassata
in segreto, resistendo volta a volta alle seduzioni
della tolleranza ed ai rigori della oppressione.
IL GHETTO DI ROMA
La severità delle leggi, la scure del carnefice, le
persecuzioni del popolo, nulla ha valso a farla soc-
combere, ed ha sopravvissuto a tanti mali quanti
avrebbero bastato a distruggere qualunque altra
razza. Dix-huit sièdes depersecutions supportées avec
une force cTendurence incroyible temoignent que, si
le juif n*apas la comhatimté, il a cette autre forme
de courage quiestlarésistance. Ho riportato volentieri
queste parole di elogio, perchè scritte da autore
non certo sospetto di amare soverchiamente gli
ebrei. Intendo parlare di Edoardo Drumont, scrit-
tore di un libro, o meglio di un libello, che ha, non
ha guari, destato in Francia tanto rumore.
Nelle loro meschine case, gli ebrei prestavano
danaro ad usura; alla porta di lor luride abi-
tazioni si affollavano le persone più nobili e piil
potenti di Roma ; e, fra i debitori, scrivevano, sui
loro libracci, i nomi. più illustri dell'aristocrazia, e
perfino quelli dei Papi.
Non vi può essere alcun dubbio che gli abita-
tori del Ghetto siano i discendenti più diretti del
popolo d'Israello. Essi non si sono mai mescolati
con romani o con barbari, e, non stringendo pa-
rentadi che fra di loro, hanno trasmesso il sangue
più puro della stirpe semitica ai figli, ed ai figli
dei figli. I pregiudizi religiosi, Todio e il ribrezzo
che i cristiani avevano pei circoncisi, cui farne
riscontro le costoro leggi, che consideravano come
delitti gravissimi i matrimoni con i cattolici, ci
fanno fede della perfetta conservazione della razza,
cosa che d'altro canto ci viene dimostrata dal fatto
che gli ebrei di Roma hanno sempre vissuto nel-
l'isolamento, non tramandandosi per secoli e se-
coli altro retaggio che quello dei patimenti.
KTI'OUK HATAI/
-^-
Il Calmet, il Seldeno, il Kmuss non sanno
dire con certezza se gli ebrei venissero per la
prima volta a stabilirsi in Roma sotto l'impero di
Augusto , o sotto Giulio Cesare, se dopo la spedi-
zione di Sosio, o dopo quella di Caio Cassio, o non
piuttosto dopo la conquista di Gerusalemme fatta
da Pompeo.
Esaminando con cura i monumeiiti storici che
ne rimangono, appare indubitato che fin dai tempi
di Augusto molti ebrei avevano già in Roma di-
mora. Augusto fece buon viso ai giudei , mal-
grado che, alla battaglia di Azio, avessero par-
teggiato per Antonio; e si sa che essendosi ricon-
ciliato con Erode, re della Giudea, di cui divenne
poscia alleato ed amico, egli mandò liberi quanti
di loro erano caduti in sua mano prigioni.
Cosi non è più dubbio che gli ebrei avessero già
stanza in Roma sotto Giulio Cesare, ed è dimo-
strato che vi godevano piena libertà di culto, e vi
avevano stabilite pubbliche sinagoghe per le adu-
nanze religiose. Ciò chiaramente si legge in un
decreto di Caio riguardante gli ebrei che abitavano
V isola di Parie, decreto che ne richiama u'^ altro
di Cesare, il quale, vietando in Roma le adunanze
private, eccettuava, come attesta Flavio, le con •
venticele dei giudei.
Infatti, la prima cospirazione contro Cesare fu
scoperta in uno di questi simulati ritrovi, dove
i congiurati si erano camuffati da ebrei, e dove
fingevano di adunar^^i per pratiche religiose.
&
IL GHETTO DI BOMA
Ad escludere la ipotesi che Caio Cassio fosse il
primo a condurre in Roma una numerosa colonia
di quella nazione, basta ricordare la testimonianza
dello stesso Flavio, il quale racconta che Cassio,
prima di ritirarsi nella Siria , volle vendicarsi dei
giudei e ne fece schiavi circa diecimila, che poi,
per le preghiere d' Ircano, Marcantonio rimandò
liberi alle proprie case.
A tagliar corto eu di ogni altro argomento, ba-
sti il ricordare come a Roma esistes e già una
colonia ebrea anche ai tempi di Sosio. Questi oc-
cupò Gerusalemme ventisei o ventisette anni dopo
Pompeo , ma non fece schiavi , anzi nemmeno
venne con gli ebrei a combattimento, e si accon-
tentò di lasciare sul trono della Giudea Erode, in
luogo di Antigono.
Lucio Quinzio {Rep. Rom.,Ep, IV), a proposito
di Sosio, racconta che costui erasi vantato di con-
durre a Roma gli abitatori della con juistata Giu-
dea aggiogati al suo carro di trionfatore. Ed
avendo i fatti ingloriosi smentita la vanteria, i
romani — che anche allora si piacevano di quelle
satire divenute poi celebri sotto il nome di pasqui-
nate — circondarono con sbarre le case degli ebrei,
onde Sosio non facesse scappare da Roma pure co-
loro, di quella nazione, che vi avevano fìssa dimora.
Resta a dire di Pompeo. La maggior parte deg i
storici moderni fissa ai suoi tempi, ed a lui attri-
buisce, le p:ime immigrazioni di ebrei nella capi-
tale del mondo ; ma, per verità, nessuno dei vec-
chi scrittori, né Flavio, nò Plutarco, né Dione Cas-
sio , né Appiano Alessandrino , fa cenno d' altro
se non d'aver voluto testimoni del suo trionfo re
Aristobulo e i suoi quattro figli. Che Pompeo non
»
6 ETTORE NATAU I
I
conducesse schiavi è detto da Appiano : « Condotto '
« al Campidoglio Pompeo, nessuno schiavo volle ^
« seco nel trionfo, ma rimandoUi, a spese del pub-
« blico erario, liberi alla patria, eccettuati i soli
« re, e fra di essi Aristobulo. »
È quindi infondata la credenza di molti autori
che danr.o per prima ragione della venuta degli
ebrei a Roma la conquista di Gerusalemme fatta
da Pompeo.
Vi stavano invece fino, dai tempi della gloriosa
repubblica e lo attesta Cicerone quando , difen-
dendo Fiacco accusato di avere nel suo protet-
torato proibito ai giudei di esportare l'oro rac-
colto in Gerusalemme, dice : Cum aurum judoso-
rum quotannis ex Italia et ex omnibus vestris prò*
vinds exportari soleref,,,. e, dopo accennato agli
statuti sanciti dal Senato nell'anno in cui esso
fu console, soggiunge : Exportari aurum non qpor-
ter e so^pe antea Senatus tum, me consule, gravis^
8ime iudicavit.
Quando Fiacco proibiva T esportazione si eia
nell'anno di Roma 691, ed era già molto tempo
che quest'oro si esportava dall'Asia e dall'Italia,
e Cicerone invocava statuti sanciti dal Senato nel-
l' anno 689 riguardanti gli ebrei: quindi è chiaro
che es:i dimoravano in gran numero in Roma
prima che Pompeo ve li portasse, risalendo la
conquista da lui fatta di Gerusalemme appunto
all'anno 689.
I primi ebrei di cui si possa accertare veramente
la venuta nella città furono Eupolemo e Giasone,
spediti ambasciatori da Giuda Maccabeo, impotente
a sostenere di per so la libertà del suo paese.
Trogo, accennando ai risultati dell'ambasceria di
IL GHETTO DI ROMA
Eupolemo e di Giasone, osserva come i giudei fos-
sero i primi, fra gli orientali, ad ottenere l'alleanza
romana.
Naturalmente, stabilita l'alleanza, delle amba-
scerie se ne successero molte; e, fra le altre, se ne
ricorda una importantissima dei sommi sacerdoti
•Gionata e Simone : ora, come venivano gli amba-
sciatori saranno venuti a poco a poco in Roma
anche i privati , e la supposizione acquista valore
quando si osservi, come anche in quei tempi remoti,
ad un gran numero di ebrei piacesse lo andar ra-
minghi pel mondo.
Tale opinione sulla venuta degli ebrei a Roma
non è, secondo me, soltanto una ipotesi autorizzata
da documenti e da monumenti. Osservandole an-
tiche iscrizioni, ricordate nel Supplemento de\Gre\ìo,
noi vediamo questi ebrei d'Italia trascurare l'ebraico,
la lingua dei loro padri e del loro cuore, per usare
r idioma greco, molto alla moda in queU'epoca.
Che poi in Grecia, come nell'Asia Minore, dimo-
rassero molti negozianti e coloni ebrei, nessuno lo
pone in dubbio ; ed è assai probabile che molti di
essi fossero tratti a Roma prigionieri quando i ro-
mani conquistarono quelle provincie, assai prima
della impresa di Gerusalemme fatta da Pompeo.
•*•
Comunque, è certo che dalla Giudea, divenuta
addirittura provincia romana, accorsero in Roma
molti di coloro che professavano la legge di Mosè,
«i unirono a quelli che vi erano venuti, o vi erano
stati condotti prima della conquista di Pompeo,
8 ETTORE NATALI
e fondarono una colonia che presto divenne pro-
spera e ricca, e mantenne sempre rapporti con la
madre-patria ove le rivoluzioni e le rivolte si suc-
cessero senza interruzione per circa due secoli. Si
ha ricordo nella storia di una deputazione di ebrei
venuta in Roma per presentare a Marco Antonio
gravi accuse contro il re Erode ; ma i deputati
non riuscirono ad esser ricevuti dal tribuno, in
precedenza comprato con ricchi doni dal re di Gè-
rosolima. La protezione dei romani, a caro prezzo
acquistata, poco però valse in principio ad Erode che
fu cacciato ugualmente dai suoi sudditi, e dovette
venire di persona qui in Roma ove Augusto e Marco
Antonio lo incoronarono re in Campidoglio nel mese
di luglio dell'anno 714 dalla fondazione della città.
Un'altra deputazione di cinquanta notabili venne
qualche anno dipoi dinanzi al Tribunale di Augusto
per chiedere giustizia contro le tirannie dei figli di
Erode. Altre vennero in altri tempi.
Il periodo imperiale può utilmente dividersi, ri-
spetto agli ebrei, in due parti distinte : T^poca
della protezione, o almeno della tolleranza, che
arriva fino a Tiberio; e l'epoca di quelle feroci
persecuzioni che fecero dire al Nuoci : vc Et hodiati
da tutti, la vita menavano quai topi fra i gatti. »
Cesare fu dei protettori loro il più strenuo, e,
lui morto, gli ebrei a centinaia si recarono notte-
tempo sulla sua tomba a spargere lagrime e fiori
e ne portarono il lutto per otto giorni.
Non mancano però autori poco benevoli che
contestino agli ebrei anche questo merito della ri-
conoscenza verso la memoria del divo Giulio, e
spieghino il loro accorrere notturno a quella tomba
per cagioni ben differenti ed assai meno onorevoli*
(
IL GHETTO DI ROMA
<
Sul rogo di Giulio Cesare, rogo che, come è noto,
fu fatto tumultuariamente nel Foro , la folla dei
clienti, dei militari e dei veterani aveva gettato
anelli d'oro , armi ed altri oggetti "preziosi ; le
donne vi buttarono i ricchi monili e perfino le bolle
d'oro dei propri figli giovanetti. Aggiunge Svetonio
che molti di estere nazioni, disposti in circolo, can-
tavano le lodi di lui, ciascuno nella propria lingua,
e, fra costoro, i giudei non abbandonarono il Foro
ed 11 rogo neppure durante la notte.
A questo punto i poco benevoli, di cui abbiamo
detto, soggiungono che gli ebrei, speculatori sem-
pre ed in tutti i tempi, vollero rimanere gVi ultimi
e i soli, per frugare nelle ceneri e tra i carboni,
onde ritrarne i metalli preziosi che non deperiscono
per azione di fuoco.
A mio avviso, la prima versione, quella cioè della
gratitudine, è la più attendibile, peichè i giudei
avevano mille ragioni di mostrarsi riconoscenti alla
memoria di Giulio Cesare. Fra gli altri privilegi
accordati da lui a quella nazione deve annoverarsi
Tesenzione , per gli abitanti di Gerusalemme , dal
pagamento del tributo negli anni che incomincia-
vano col giorno di sabato.
Flavio e Strabene riportano due decreti, emanati
da Giulio Cesare, che provano sempre meglio quanta
fosse la libertà e quale la protezione da loro go-
duta. Con uno dei decreti Cesare concedeva la isti-
tuzione di un Enarca che reggesse in Roma gli
affari della nazione ebraica, e provvedesse all'ani-
ministrazione della giustizia; con l'altro ordinava
la restaurazione delle mura di Gerusalemme, gran-
demente danneggiate da Pompeo.
Ai tempi di Augusto, la colonia ebraica, composta
10 ETTORE NATALI
quasi esclusivamente di liberti, era numerosissima
e s'andava ogni giorno aumentando, perchè molti
ebrei cercavano in Roma uno scampo, un rifugio,
essendo la patria loro desolata dalle continue di-
scordie intestine. Allora infatti i romani erano tol-
lerantissimi di ogni credenza religiosa, e lo stesso
Augusto non mancò mai di spedire denari e doni a
Gerusalemme pei sacrifici che si solevano fare, la
Pasqua, nel tempio di Salomone.
Un fatto, registrato nelle storie, ci dà la misura
di questo incremento. Essendo, dopo la morte di
Erode, venuti da Gerusalemme cinquanta deputati
per patrocinare alcuni diritti nazionali, gli ebrei abi-
tanti nella città li seguirono presso l'imperatore, ed
erano in numero di ottomila. Non erano natural-
mente di questo numero i fanciulli , i vecchi e le
donne ; onde si può esser certi di non andar lungi
dal vero asserendo che la colonia doveva comporsi
di oltre ventimila individui. Il rispetto di Augusto
per la religione d'Israello giunse fino a prescri-
vere che la distribuzione del grano e del danaro
agli ebrei residenti in Roma non si facesse mai nel
giorno di sàbato. Ed essi esternarono a lui la loro
riconoscenza imponendo ad una città, che fu fab-
bricata nella Giudea Tanno 751 di Roma, il nome
di Cesarea,
Il solito Flavio ricorda uno statuto di Ottaviano
Augusto tendente a proteggei^e gli ebrei, che a lui
avevano ricorso, ove, fra le altre, sono le se-
guenti parole : « I giudei si sono fatti vedere fedeli
€ e riconoscenti ai romani non solo adesso , ma
€ anche da prima e molto, quando imperava mio
* padre Cesare. »
Della libertà goduta dagli ebrei, mentre Augusto
IL GHETTO Dt ROMA H
era imperatore, fa fede anche Persio quando rac-
conta le grandi feste celebrate in Roma dagli ebrei
in nome di Erode il Grande , liberatore della loro
nazione.
At eum
Herodi» venere diea, cunctaeque fceneetra
Dispoaitce pinguem nebulam vornuere lucerncBj
Portante^ viola», ruhrumque amplexa eatinum
Cauda natat Thytini, tumet alba fidelia vino.
Gli ebrei quindi, in quella solenne occasione, non
solo si adunarono a banchettare e a bere molto
vino in onore del loro re, ma illuminarono vaga-
mente , come ci narra il poeta , le finestre delle
loro case, dando prova cosi di poter dimorare libe-
ramente in Roma, e di potervi fare pubbliche di-
mostrazioni anche poco gradite ai romani , che
conoscevano i sentimenti di Erode anelante di sot-
trarre la patria al giogo imperiale.
■*■
I veri maltrattamenti, la vera persecuzione, non
solo contro i giudei di Roma, ma contro tutta la
razza, cominciarono sotto Caligola, il pazzo impe-
ratore che negli ultimi mesi della sua vita si la-
sciava andare alle peggiori stravaganze, delle quali
non ultima quella di prendere sul serio la divinità
che egli si attribuiva. Allora, come sempre, gli ebrei
avevano nemici tutti coloro che erano gelosi delle
loro ricchezze, e che, secondo Dione e Filone, as-
serivano soverchi i privilegi loro concessi dai primi
imperatori, e dicevano che ne abusassero.
Capitone , prefetto della Giudea , ordinò che nel
tempio gerosolimitano fosse eretto un altare in
12 ETTORE Natali
onore deirimperatore , ma i giudei noi soffersero,
e lo distrussero. Caligola ne fu punto sul vivo, e
non volle neppur ricevere l'ambasceria condotta
dallo storico Filone, e venuta appositamente dalla
Giudea per giustificare la condotta del popolo
d'Israello. Ordinò l'imperatore che la sua statua
colossale fosse posta nella parte più sacra del tem-
pio di Gerusalemme , e per ottenere obbedienza
spedi ivi Petronio. Invano Agrippa, che trovavasi
allora in Roma, cercò di calmare l'imperatore.
E la persecuzione, crudelissima, cominciò : erano
accusati di lesa maestà perchè non volevano ado-
rare il divo Caligola nò prostrarsi a baciar il piede
imperiale; imperocché l'uso del bacio del piede ,
cerimonia oggi seguita dai pontefici romani , fu
inventata da quel pazzo che primo pretese di es-
sere adorato come un dìo in terra.
A mitigare V animo del nemico potentissimo , i
giudei mandarono nuovamente in Roma un'amba-
sceria con a capo lo stesso storico Filone, ma pare
che l'accoglienza ricevuta dall'imperatore non fosse
in alcun modo rassicurante, se è vero quanto narra
Giuseppa , che cioè Filone, rivoltoci ai compagni
impauriti , i)er rinfrancarli, pronunciasse il celebre
detto : « Consolatevi ; Caio, dichiarandosi contro di
« noi , pone Dio ne' nostri interessi ».
La morte di Caligola arrivò a tempo per i giu-
dei i (juali tutto dovevano aspettarsi dalla sua
malevolenza.
Il re Agrippa, rimasto in Roma, ebbe la fortuna
di eseixiitare una benefica influenza sull'animo mite
di Claudio, e nell'anno 41 dell'era volgare, con de-
creto imperiale fu riconosciuto giusto il desiderio
dei giudei di non volere nel santuario del tempio
IL GHETTO DI ItOMA 13
]a statua dell' imperatore. E durante il regno di
Claudio gli ebrei fruirono di un po' di pace non
solo, ma ottennero la* conferma di alcuni antichi
privilegi; cosi fu risfabiìito il libero esercizio del
loro culto, a condizione però che non turbassero
quello degli altri.
Con Nerone incominciarono di nuovo i guai, ed è
nota Tatrocltà del supplizio inflitto da lui a quei due
giudei che avevano osato di guardare troppo davvi-
cino Poppea. Li fece legare 'insieme, a mazzo ; poi,
poggiati che furono colla testa per terra, fece loro dar
fuoco. E non bastò; che, sembrando all'imperatore
troppo meschino lo spettacolo, ne fece prendere a caso
altri quattro e li uni ai primi nello stesso supplizio.
L'ultima ruina della nazione d'Israello segui sotto
l'impero di Vespasiano: la loro grande e superba
Gerusalemme data in preda alle fiamme; un mi-
lione e centomila abitanti sepolti sotto le rovine;
il tempio, meraviglia dell'universo, distrutto fino
a non restarne pietra su pietra.
Fu Tito che condusse in Roma, dalla Giudea, il
maggior numero di schiavi, fra i quali anche molti
cristiani, e di loro si servi per costrurre l'anfitea-
tro Flavio, come Domiziano li adoperò dipoi alla
costruzione dell'arco ricordante la gloria^ del fra^
tei Io e del padre, divi Tito e Ve^pa.siano. Strana
fatalità! Sono sempre quegl' istessi ebrei che, nelle
loro prime schiavitù, lavorarono agli edifizii del-
l'Egitto e di Babilonia e che, nella loro ultima di-
spersione, fabbricarono quell'enorme recinto, opera
di un imperatore pagano, e che nei canti dei loro
profeti segnava l'ultima distrazione di Gerusalemme.
Da questa estrema ruina del tempio gli ebrei di-
spersi e perseguitati contarono gli anni, o la nuova
14 ETTORE NATALI
èra fu chiamata Véra della desolazione: da quel
giorno per loro cominciò una vita di martiri, di pri-
gionie continue, di umiliazioni ininterrotte; ma non
perderono mai la speranza di tempi migliori, e pro-
seguirono per venti secoli a ripetere in ogni giorno
di festa : Quest'altro anno ci ritroveremo a Oeru-
salemme ! Raro esempio di perseveranza in un po-
polo che non ha più posseduto un palmo di terra,
una casa, una lingua, un tempio !
Durante l'impero di Trajano non diminuirono le
vessazioni, e forse si accrebbero, finché per la
seconda ed ultima volta l'imperatore Adriano
prese Gerusalemme : gli ebrei furono scambiati,
sui mercati di Siria , contro cavalli , perchè , a
giudizio dell' imperatore, non valevano la spesa
occorrente per trasportarli in Roma : da allora Ge-
rusalemme più non esistette, ed anche il nome le
fu mutato in quello di Elia Capitolina. Elia dal
nome dell'imperatore Elio Adriano, e Capitolina in
onore di Giove Capitolino, cui venne eretto un tempio
sulla montagna di Sion. Agli antichi abitatori di Ge-
rosolima era perfino interdetto, sotto pena di morte,
l'ingresso nella patria amata, e dovevano travestirsi
per andare ignorati, con immenso rischio, a pre-
gare sulle ruine dell'antico santuario di Jehovah.
Alla nuova città, nel cui recinto era rimasto
compreso il Calvario ed il Santo Sepolcro, rimase
il nome di Elia Capitolina , fino a che Costantino
decretò che fosse nuovamente chiamata Gerusa-
lemme. Il nome di Elia si trova ricordato negli atti
pubblici fino all'anno 536 dell'era volgare, come
IL GHETTO DI ROMA 15
rilevasi dai documenti di un Concilio là tenuto in
quell'anno.
Anche il sepolcro di Cristo, sul Golgota, fu in
quel tempo profanato con la erezione di un san-
tuario dedicato alla Venere volgare, la dea del
piacere, poiché i romani ed Adriano, non solo vol-
lero spegnere nel sangue l'ultima insurrezione degli
ebrei, ma tentarono distruggere tutti i monumenti
che in Gerusalemme ricordavano l'antica gran-
dezza dei giudei, e l'origine della nuova^ religione
giudaico-cristiana. Il divieto di andare in Elia Ca-
pitolina cessava per gli ebrei una sola volta ogni
anno, e precisamente nel giorno anniversario della
caduta di Gerosolima in potere di Tito.
La difesa fatta dagli ebrei di Gerusalemme fu
gloriosa, e la vittoria costò molte vite ai romani,
come lo attesta il fatto, narrato da Dione, che
Adriano, scrivendo al Senato, si astenne dalla for-
mòla usata nelle lettere dagli imperatori: « Se
« voi e i vostri figliuoli state bene, io e la mia ar-
« mata siamo in buono stato ».
Un po' di tregua fu concessa agli ebrei da An-
tonino Pio col decreto riportato da Ulpiano : Eoa
qvi judaicam superstitionem sequuntur, divi Verus
et Antoninics, honores adipisci permiservnt, sed et
necessitatem eia imposuerunt qui superstitionem eorum
non Icederunt Ben presto, peraltro, le cose volsero
nuovamente alla peggio, poiché avendo gli ebrei
di Roma preso parte alla congiura di Cassio, ne
furono puniti severamente e la loro condizione venne
ridotta uguale quasi a quella degli schiavi.
Settimio Severo rincarò la dose delle persecu-
zioni contro i giudei ; proibì loro di far dei proseliti,
ed avendone sconfitti alcuni da lui trovati in arme
16 ETTORE NATALI
nella Giudea mentre tornava dall'aver combattuto
contro i Persi, il Senato romano, ridotto ad un'as-
semblea di cortigiani servili, decretò all'imperatore
un ti ionfo giudaico. E, mentre da un canto li col-
piva di gravosissime imposte, dall'altro riconosceva
loro la cittadinanza romana ed il dritto di esser
chiamati alla tutda anche verso i fanciulli pagani.
È vero però che a quei tempi il titolo di cittadino
romano non aveva gran pregio, perchè Roma era
ormai divenuta dimora di un'accozzaglia di vaga-
bondi di tutte le nazioni, che v'accorrevano ad
esercitarvi il loro mestiere di cittadini ; mestiere fa-
cile , come osserva il nostro Cessa , a chi si con-
tentava di un pugno di farina per giorno, e dei
giuochi del Circo.
Ai tempi di Settimio Severo la condizione degli
ebrei fu forse la più misera che nella Moro tra-
dizione ricordino. Tertulliano li dice : « Dispersi,
«erranti lungi dal cielo loro, e banditi dal patrio
«suolo, essi sen vanno vagando pel mondo, senza
« nome, senzadio, senza re ; a loro neppure per dritto
« di pellegrino si concede almeno per una volta di
«salutare la patria terra...» E gli stessi ebrei nel
MisoBÀ, libro compilato dalla sinagoga in quell'e-
poca, scrivono : « Da quel di che il tempio ruinò,
4c niun giorno splendette senza piaga, né discese dal
« cielo rugiada di salute, ed agli stessi frutti mancò
« il sapore » .
Ancora un aneddoto ed ho finito coi tempi del-
l'impero di Settimio Severo.
S'era sparsa in Roma la voce della venuta di
un Messia, ed era un impostore qualunque che
andava dicendo di voler parlare all' imperatore e
reclamarne clemenza. Settimio Severo consenti a
IL GHETTO DI ROMA 17
ricevere il pseudo-Messia , ma prima che comin-
ciasse a parlare lo fece prendere da quattro uomini
e gittare dalla finestra in istrada; quindi rivolto
agli ebrei, disse loro: « Il vostro Messia è venuto
« troppo presto : è meglio che lo aspettiate ancora
« per qualche anno ».
Né la sorte loro migliorò sotto gli altri imperatori
pagani, che anzi gli ebrei continuarono a vagare,
perseguitati, pel mondo, fino all'impero di Costan-
tino , che ne mitigò alquanto la miserrima condi-
zione. Ma a questi tempi la nazione giudaica può
dirsi finita, ed io, d'ora innanzi, lascìerò di parlare
degli ebrei di Roma seguendo un ordine cronolo-
gico, per attenermi ad altro sistema, più facile e
meno noioso, della cui bontà giudicheranno i lettori.
•*-
Non è facile impresa il tessere la storia del
giudaismo romano da quei tempi ai nostri, né
questo è 11 luogo di farlo con soverchi particolari.
Sorvolerò pertanto cosi sugli avvenimenii di minor
conto, come su quelli troppo noti e riportati da
tutti quanti gli autori.
Regnando Tiberio , il quale pel maggior tempo
del suo impero non disturbò i giudei, cominciò
diggià r èra de' mali. Infatti , narra Svetonio ,
Tiberio fece allontanare da Roma molti di loro ed
ordinò che quattromila se ne deportassero in Sar-
degna. Seiano, il favorito ed il primo ministro del-
l' imperatore, fece eseguire rigorosamente quest'or-
dine, dovuto in gran parte alle sue istigazioni, ma
gustò per poco il dolce della facile vittoria. Come
2 ~ E. Natali, Il Ghetto di Roma,
18 ETTORE NATALI
a tutti è noto, Sciano perde ben presto i favori
del feroce abitatore di Capri, che lo fece precipi-
tare dalla rupe Tarpea, condannando anche la
famiglia di lui a subire Testremo supplizio. E sic-
come per legge non potè vasi dar morte ad una
vergine, fu permesso al carnefice di stuprare una
malcapitata donzella, figVa dell'antico favorito e
fidanzata al figlio di Claudio. Appena morto Seiano,
Tiberio richiamò dall'esilio i liberti ebrei. Gli au-
tori contemporanei non dicono quali ragioni consi-
gliassero a Tiberio ed a Seiano la persecuzione contro
gli ebrei dimoranti in Roma. Il Cevrier, nella Storia
degli Imperatori romani^ l' attribuirebbe al fatto
seguente :
Quattro ebrei, mossi da zelo soverchio per la loro
fede, riuscirono a sedurre ed a convertire certa Ma-
diana della gente Fulvia, persona illustre par na-
tali e ricchissima. La nuova adepta , appena
ascritta alla religione giudaica , fu indotta a spo-
gliarsi di tutti i danari , deg i ori e degli abiti di
porpora da lei posseduti, che, a loro dire, dove-
vano essere inviati al tempio di Gerusalemme. Il
marito di Fulvia , indignato per questo fatto, ne
menò molfo scalpore, ed andò perfino a lamentar-
sene con l'imperatore, che immediatamente proibì
per decreto l'esercizio della religione giudaica in
Roma, relegando in Sardegna tutti coloro che
non vollero ripudiarla. L'isola di Sardegna allora,
come spesso dipoi, era infestata dal brigantaggio
e desolata dall'aria malsana.
Data da questa epoca anche la prima persecu-
zione contro i cristiani, i quali, nel mondo pagano,
non erano punto distinti dagli israieliti, ma con essi
confusi, come vedremo più innanzi.
IL GHETTO DI SOMA J9
-¥■
A Roma, durante l'Impero, due personaggi ebrei
^ebbero larga parte negli avvenimenti non solo della
loro nazione , ma anche del mondo romano. La
importanza storica di questi due personaggi —
intendo alludere ad Agrippa ed a Berenice — il
grado da loro occupato, e la lunga dimora da essi
fatta nella città, mi spingono a parlarne partico-
larmente a questo luogo.
Agrippa, re di Giudea, trovavasi in Roma quando
il prefetto Capitone vi portò la notizia del diniego
opposto dai giudei all'adorazione, nel tempio di Ge-
rusalemme, del simulacro di Caligola imperatore. TI
re, ignaro del fatto, si recò la mattina, come era suo
costume, a corteggiare Caligola.- Di quei tempi, al
lecer dell'imperatore si contrastavano l'onore di as-
sistere i sovrani di tutto il mondo, insieme ai capi
potentissimi delle provincie più ricche e più estese,
e tutti, prostrati, niendicavano uno sguardo benevolo,
una parola grata, da cui dipendeva sovente la con-
servazione o l'accrescimento dell'ambito comando.
Appena Cesare vide, confuso nella turba degli ado-.
ratori, il re di Giudea, gli disse senza preamboli :
« I tuoi compatriotti che, soli, non vogliono ricono-
« scere la mia divinità, cercano la morte e la trove-
« ranno. Ho ordinato che si collocasse la mia statua
« nel loro tempio, e si sono radunati, ed hanno per-
« fino abbandonato il paese per protestare contro i
«miei ordini » Avrebbe detto di più se Agrippa
non fosse caduto come fulminato, tanto che dovè
20 ETTORE NATALI
essere trasportato dai servi alla sua abitazione quasi
in estremo di vita.
Appena rinvenuto, il re scrisse a Caio una lettera,
tramandataci integra da Filone e che è un vero capo-
lavoro di logica e di eloc^uenza. Se per essa Agrippa
non ottenne la domandata pietà, giunse nondimeno
a calmare alquanto l'animo dell'imperatore ed a
far sospendere la trasmissione degli ordini severis-
simi che stavano già per essere spediti al prefetto
Petronio.
Nella storia, Agrlppa è specialmente conosciuto
per essere stato uno dei primi persecutori dei cri-
stiani , dei quali fece carcerare il capo, Pietro di
Galilea, e morire l'apostolo Jacopo seniore, fratello
di san Giovanni. L'imperatore Claudio lo predili-
geva, come lo aveva amato molto anche Caligola,
cui doveva la sua restituzione alla tetrarchìa di
Galilea. Agrippa mori in Roma.
La maggiore celebrità pertanto non venne ad
Agrippa dall' amicizia degli imperatori , né dal-
l'aver fabbricato una nuova città in Palestina chia-
mandola Livia dal nome della madre di Tiberio, né
dalle persecuzioni ai cristiani, ma piuttosto dall^es-
sere stato padre di Berenice.
Di Berenici, molte ne ricorda la storia e greche
ed egiziane: la nazione giudaica ne ebbe due —
delle quali la prima , meno nota , fu figlia di Co-
stobaro e Salome e sorella di Erode il Grande. Ai
tempi di Augusto , si portò in Roma , seppe con
le sue grazie ottenere l'amore deir imperatore e
legarsi in amicizia strettissima con Antonia, figlia
di Druso il Maggiore.
L'altra, più nota, della quale qui discorriamo»
fu figlia di Agrippa I, ed a dodici anni — un po'
IL GHETTO BI ROMA 21
prestino , a dir vero — andò sposa a Marco
d'Alessandro Alabarco. Rimasta vedova, fu spo-
sata dallo zio Erode, re di Calcide, regno che era
stato donato ad Erode dall'imperatore Tiberio.
Berenice sopravvisse giovanissima anche al se-
condo marito e passò al letto del fratello Agrippa II,
ma lo scandalo per questo incesto fu cosi grande
e vivo che per finirlo si rassegnò a sposare Pole-
mone, re di Cilicia, da lei ben presto abbandonato
per tornare a convivere col fratello, insieme al
quale la troviamo a Cesarea l'anno 60, quando san
Paolo fu innanzi a lui chiamato a difendersi.
Di questi amori incestuosi fa testimonianza
anche Giovenale nella sesta Satira, là ove accusa
le donne romare di profonder gran copia di da-
naro nel comprar gemmo, e di disputarsi, a gara,
la fortuna di possedere un diamante molto noto,
al quale aveva cresciuto pregio l'essere stato do-
nato, come pegno d'amore, da Agrippa a Berenice
e l'avere quindi ornato per molti anni la mano
della bellissima regina.
.... deinde adamans notiasimus et Berenici*
In digito factua pretioaior : Aunc dehU olim
Jìarhania ivcestae^ dedit hunc Agnppa aorori,
Observant uhi feata mero pede aabbafa regsa
Et vetua induìgst senibua clementìa, porcia.
È notevole come, in questi versi, il satirico Aqui-
nate prenda argutamente a gabbo gli osservatori
dei sabati perchè invece di uccidere i porci e quindi
mangiarne la carne, si lasciavano morire di vec-
chiaia.
In seguito, Berenice si recò a Gerusalemme per
sciogliervi un voto, e quindi, a rischio di vita,
venne in cospetto di Gessio Floro a patrocinare la
22 ETTOUE NATALI
causa degli ebrei malmenati. Ma 1* intercessione
della vaga regina non valse a raddolcire il dura
animo del prefetto, che anzi raddoppiò nelle perse-
cuzioni, finché il popolo ebraico, ridotto alla dispe*
razione, non incominciò quella guerra terribile che
ebbe termine con la distruzione di Gerusalemme, e
che fu causa della persecuzione che, per contraccolpo^
ebbero a soffrire gli ebrei di Rt)ma,ai quali Vespa-
siano tolse ogni privilegio e perfino le conces-
sioni per le collette sacre, mutando destinazione
al danaro ricavatone e assegnandolo in tributo a^
simulacro di Giove Capitolino.
Berenice, intanto, cercava di giovare ai figli
d^sraello facendosi della bellezza, come Debora e
come Giuditta , arma sicura a vantaggio del
popolo perseguitato. Si prostrò innanzi al trono di
Vespasiano, e qualche autore, fra i moderni, assi-
cura che il vecchio imperatore non rimase insen-
sibile ai vezzi della figliuola di ^rolima. Tutti gir
autori poi, antichi e moderni, attestano che Bere-
nice riesci ad accendere una grandissima passione
nel cuore del divo Tito, il mite imperatore che aveva
distrutta la capitale della Giudea. E l'amore fu si
violento che Tito l'avrebbe sposata ove non avesse
temuto di oflFendere i romai i, che mal avi'ebbero
tollerato sul trono imperiale una regina straniera.
Degli amori di Tito e Berenice si giovarono, in
vari incontri , gli ebrei, in favore dei cjua i la vez-
zosissima donna si interpose sempre con gran ca-
lore. Una volta, ad esempio, corse voce che un
fanciullo, figlio di patrizio romano, fosse morto di
veleno propinatogli da certa ebrea. Tito, nella lu-
singa che il timore della pena farebbe scoprire
l'autrice del delitto comandò che una ebrea tratta
IL GHETTO DI ROMA 23
a sorte fosse punita coirestremo supplizio. — Bere-
nice, con preghi e con mille moine, riesci ad ot-
tenere dall'imperatore che la donna da punirsi,
anziché dalla sorte, potesse esser indicata da lei.
E fu grande la sorpresa di Tito nell' apprendere
che la donna designata al supplizio da Berenice era
Berenice stessa. S'intende facilmente che la revoca
del comando imperiale non si fece aspettare.
Vuoisi che ad allontanare dal soglio e da Roma
la donna amata Tito fosse mosso dalle parole ri-
voltegli da Storate, filosofo greco, in presenza di
Berenice: « Questa donna, colla sua lussuria, fi-
« nirà per distruggere te, come tu, col tuo valore,
4c hai distrutto Gerusalemme. »
Però, sebbene licenziata da Tito, Berenice tornò
vàrie volte in Roma, e dicesi che vi morisse, ma
senza aver più alcun rapporto con l'imperatore.
La figura di Berenice, come di donna che ha
molto aitato, ispirò in ogni epoca artisti e poeti.
Perocché, cosa strana ed ingiusta, il mondo si
piace a ricordare quasi con plauso, ed a circondare
di una aureola di romantica celebrità le donne più
viziose, più crudeli, più pervertite, mentre copre
di oblio quelle che eccelsero per virtù domestiche
o cittadine. Per poche Lucrezio e Virginio, nomi-
nate spesso in passando, la storia ricorda a cen-
tinaia , tentando sp3SS0 di riabilitarle , le Semira-
midi, le Aspasie, le Frini, le Cleopatre, le Messaline
le Teodoro. Dalla Elena greca a Lucrezia Borgia,
a Madama di Montespan, alle ultime favorite del
terzo Napoleone, una miriade 'di donne pervertite,
ha tormentato gli scrittori, che con romanzi e poemi
e drammi tentarono risuscitarle; si sono scolpite
statue, coloriti quadri, e si è cercato di presentarne
24 ETTORE NATALI
le figure sotto tal luce che molte fanciulle oneste ,
chi sa quante volte si saranno domandate nelle
loro vergini menti e nel silenzio della loro came-
retta, durante le lunghe notti insonni, se meglio
non fosse correre il piacevole cammino che porta a
facile celebrità, di quello che dedicarsi al culto se-
vero delle domestiche yirtù. Comunque sia, fatto è
che, pure in epoca a noi vicina, illustri letterati
subirono il fcuscino della Cleopatra giudea.
Voltaire affermava impossìbile fare dell'abbandono
di due amanti un poema tragico; non pertanto riusci
nel difficile compito il Racine, che ridusse a tra-
gedia gli amori di Tito e di Berenice. Il lavoro di
Racine fu rappresentato per la prima volta il 21 no-
vembre 1670, e rimarrà tra i suoi migliori per la
eleganza armoniosa dello stile e per la efficacia dei
«entìmenti.
Ecco come il poeta francese fa parlare Tito della
sua amante:
Enfin, tout ce qu'amour a de nceuJs plus puisaanta,
Dotix reproehes, transporta sana c-'sse renaiasants,
Soin de plaire sana art, crainte toujoura nouvelle,
Beante f gioire, verta, je trouve tout en elle,
Depuia deux ana entiera, ehaque jour je la voia.
Et croia toujoura la voir pour la première foia.
Un giorno il principe di Condé fu richiesto del
suo giudizio.su questa tragedia ed il gran gene-
rale rispose cogli stessi versi di Racine :
Deputa deux aita entiera, chaqus jour je la voia.
Et croia toujoura la voir pour la première foia.
Né meglio di come lo fece il poeta francese si
sarebbe potuto scolpire il rimprovero indirizzato
IL GHETTO DI ROMA 25
dalla Regina a Tito onnipossente imperatore, il
quale con inutili pianti l'accompagnava fuori delle
porte della città mentre l'aveva condannata al-
l' esilio.
«
Voua été» empereuVf seigneuTy et vou« pleurez/
*
Voti» m'aimez, voiu me le goutenes,
Et cependant je par» ....
ftc-V^-V
II.
I *samaritnni in Roma - Simou Mag^o - Anfiteatri di Marcello e <U
Baibo - TcMc ri d'Israello in Roma - Le colonne del ti-mpio di
Salomone - Pericoli e paure.
Non è, lo ripeto, mio intendimento scrivere la
storia del popolo ebreo; andrò solo raccogliendo
alcune cose meno note intorno a quella piccola
parte di esso che si stabili in Roma: piccola, ma
importante parte, perchè Roma può dirsi la città
madre di tutti gli ebrei d'Europa.
Il Ghetto rimonta a' tempi di Paolo IV, che vi
costrinse gli ebrei nel 1555, dopo aver pubblicato
contro di loro la famosa bolla Cura nimis absurdum.
Dal giorno che vennero a Roma, sino al ponti-
ficato di Paolo IV, i figli d'Israele abitarono sem-
pre ove meglio lor piac juc, confusi coi cristiani ;
però, o per naturale vaghezza, o per meglio atten-
dere ai loro affari, si raccolsero di preferenza in
Trastevere , sulla riva destra , quasi incontro al
luogo ove poi sorse Todierno Ghetto. Apprendiamo
28 ETTORE NÀTALI
da Giovenale che , mentre era imperatore Domi-
ziano , stante il gran numero , doverono alcuni
elevare le loro case nella valle d'Egeria: fu allora
che costruirono il mirabile cimitero, scoperto, or
sono pochi anni, presso la via Appia.
Della dimora degli ebrei in Trastevere si hanno,
come vedremo, innumerevoli testimonianze. Il ponte
Fabricio, di triste rinomanza perchè di là si get-
tavano nel fiume i cadaveri di coloro che eransi
data la morte per disperazione, si chiamava nel
medio evo porta Judo&omm,
Una parte della colonia ebraica deve avere abi-
tato, almeno durante i primi imperatori, nella valle
Vaticana presso i giardini di Nerone, e qualcuno
ebbe certo in quel tempo comune la sorte coi
molti martiri cristiani , perchè nessuna differenza
i pagani facevano fra le due religioni.
In Roma vi erano ebrei di tutte le sètte, sorte in
Giudea numerosissime. I samaritani, ad esempio,
ebbero nella città un importante stabilimento fino
ai tempi di Teodorico, innanzi al quale sostennero
ima lite contro la curia papale pel possesso di
una casa.
Non è questa la sola prova della dimora in
Roma dei samaritani, setta che, come è noto,
aveva per molti anni combattuto in Giudea per la
supremazia religiosa, vantando, tra gli altri titoli,
la discendenza diretta da Giosuè. Costoro, insieme
agli altri ebrei, si rivolsero a Teodosio per essere
esonerati dal l'obbligo di servire come marinari sulle
navi che trasportavano il grano dalla Spagna a
Roma. Essendosi reso assai diffìcile il reclutare le
ciurme, gli ultimi imperatori avevano imposto a
tutti gli ebrei, compresi i samaritani, Tobbligo di
IL GHETTO DI ROMA 29
servire sulle .navi dello Stato, e solo Teodosio fece
in pai'te ragione alle preghiere di questi disgraziati,
liberando dall'obbligatorio servìzio i capi delle fa-
miglie.
■*-
Il più noto fra i samaritani di Roma è, senza
alcun dubbio, Simone da Gitton, conosciuto gene-
ralmente col nome di Simone il Mago, Visse in
Roma durante l'impero di Claudio e di Nerone,
cioè mentre vi abitava il capo della nuova sètta
dei cristiani, Pietro di Galilea. Fra i due, che si
contendevano il primato religioso sui giudei dimo-
ranti in Roma, fa lunga ed aspra la lotta. Narra
la tradizione che il primo venisse colpito con sco-
munica maggiore da Pietro, cui aveva proposto di
vendergli il segreto pel quale i cristiani riuscivano
ad operare quotidianamente prodigi. Questa l'ori-
gine della parola simonia y che significò poi traCBco
di cose sante o di religione. Onde anche oggi nei
canoni ecclesiastici è detto : Si quis episcopua per
pecunias hanc sit dignitatem consequutus, vel pre^
sbyter, vel diaconus, deponatur et ipse, et qui eum
ordinavitf et a comunione omnino exaidantur, ut
Simxm Magua a me Petto,
Fra le tante mostruosità di cui è accusato Simone
vi è quella di avere imposto ai molti suol seguaci
una nuova maniera di comunione componendo le
ostie ex menstruo et semine; ma dimenticano gli
accusatori, fra i quali il Bernino, che a quei tempi
non si conosceva né la comunione, né l'ostia.
Sempre secondo la tradizione cristiana, Simon
30 ETTiRr: NATALI
Mago sarebbe giunto in Roma verso Tanno 41 e
subito avrebbe incominciato a far proseliti , riva-
leggiando con Pietro e Paolo , che cercavano in
ogni modo di confutarlo. Un bel giorno, tutta la
popolazione romana fu invitata ad uno spettacolo
straordinario e si raccolse nel fóro del palazzo im-
periale, presso il luogo dove oggi sorge la chiesa
dei ss. Ccsma e Damiano. Nerone imperatore era
anch'egli presente dal podio, quando, ad un ségno
dato, Simone si slanciò dalla cima del palazzo im-
periale e cominciò a volare, eccitando la meraviglia
di tutti gli astanti. Dai nuovi cristiani si raccontava,
fra gli altri prodigi , l'Ascensione di Cristo ; e Si-
mone, che pretendeva all'adorazione del volgo, né
voleva sembrar da meno del dio dei nuovi credenti,
aveva, colTopera della magia, ottenuto dai demoni
di esser trasportato per l'aria ; e volò fino a che
Dio, cedendo alle preghiere di san Pietro, non ebbe
obbligato i demoni ad abbandonare l'eresiarca , il
quale precipitò , rompendosi le membra , tra gli
spettatori alteri iti. Dello straoidinario fatto si dà
per prova una pietra che si conserva nella chiesa
di santa Fi*ancesca Romana, sulla quale san Pietro
vuoisi imprimesse allora, raccolto in preghiera, il
segno dei ginocchi in due fossette che vi si os-
servano.
Fino a questo punto la tradizione, che non è (jui
il luogo di controllare. Quello che certamente è
vero è il gran conto in cui gì' irnperatori Claudio
e Nerone tennero Simone. Specialmente il primo,
cioè Claudio, uomo molto dotto ed amante degli
studii astronomici, allora dal volgo ritenuti magici,
onorò grandemente il samaritano, fino ad erigere
una statua in onore di lui. Il fatto della erezione
IL GHETTO DI ROMA 31
della statua è negato da alcuni critici moderni, ma
è attestato da Tertulliano e da quasi lutti i santi
padri , e specialmente dal dottissimo Cirillo Gero-
solimitano, che nel'a Catechesi cosi lasciò scritto :
Romanorum civitatem usque adeo decepit, ut Clavr
dius ejus statuam erigerei cum hac auhsci iptione ;
SiMONi Deo Sancto: La statua sarebbe stata ele-
vata neir isola tiberina , presso il quartiere , che
come vedremo ben presto, era abitato dagli ebrei.
4-
Paolo IV, il feroce teatino, che poco mancò
non facesse dar di bianco al Giudizio di Michelan-
gelo « a cagione delle gran nudità che vi aveva
dipinte, y> fu uno dei papi che, con Pio V. mag-
giormente perseguitarono gli ebrei, come Martino V
e Sisto V furono fra i papi che più efficacemente
li protessero. Il Ghetto sorse in uno dei luoghi
più centrali della Roma medioevale, presso i rioni
della Regola e di Sant'Angelo, e fra le ruine
splendidissime dei teatri di Marcello e di Balbo,
e del portico di Ottavia.
Nessun contrapposto più vivo tra l'antica pompa
di quel quartiere già pieno di templi, di portici,
di edifici ricchissimi, e lo stato in cui ora è ri-
dotto , un labirinto di vie strette , umide ed
oscure. Da quel sito cosi brutto è ritornata alla
luce la più leggiadra delle statue greche, la Fe-
nere di Prassitele. Né hanno torto coloro che rac-
comandano la maggiore cura neir eseguire la de-
molizione del Ghetto, poiché altre statue, altri
32 rrroRE natau
monumenti sono certamente ancora nascosti sotto
quelle povere case. Ed invero la scena del teatro
che Augusto intitolò al giovane nipote Marcello,
quello che fu immortalato da Virgilio coi versi che
incominciano: Ileu miser putr;..^^ sorgeva ove
ora è la via Rua e si prolungava sin presso al
Tevere. Nei teatri romani le scena non erano
meschine, ma costituivano la parte più magnifica
dell'edificio, ed erano ornate di statue e di colonne.
Anche il teatro dì Balbo si estendeva dalla piazza
dei Cenci sin dentro al Ghetto, nella piazza dello
Scuole e nella via Fiumara. Le ruine di questo han
formato il monte de' Cenci, come quelle del teatro
di Marcello il monte de' SaveUi.
Lucio Cornelio Balbo, pel quale perorò Cicerone,
eresse lo splendido edificio in memoria delle vit-
torie riportate sui Garamanti, e lo adornò con
molte statue rammemoranti le gesta cui egli do-
veva gloria e ricchezze.
Maggior quantità di opere d'arte è sperabile
che sarà ritrovata nella parte del Ghetto più
prossima ai portici di Ottavia. In questi erano
compresi i templi di Giove Statore, e di Giunone
Regina, la scuola, lacuna e due biblioteche. Olti'e
la statua di Giove, un capo-lavoro di Policle e Dio-
nisio figli di Timarchide, gli storici vogliono che
fossero raccolte nei due templi statue di Policarmo»
di Prassitele, di Dionisio, di Policle e di Filiseo,
che Cecilie Metello aveva rapite alla Macedonia.
Dinnanzi a questi due templi lo stesso Metello
aveva fatto porre le 75 statue equestri di bronzo,,
rappresentanti gli amici del grande Alessandro, il
quale le aveva fatte fare da Lisippo.
Come si stanno dalla civiltà moderna restituendo
IL GHETTO 01 ROMA 33
al prisco onore gli avanzi degli antichi e più glo-
riosi monumenti, cosi dovrebbe farsi dei resti
del teatro Marcello. Gli ordini jonico e dorico che
ne decorano la parte esterna servono di esempio
agli architetti ed alle scuole, mentre le arcate sono
ridotte a fucine o a magazzini di stracci I La pro-
prietà dell'edificio è quasi tutta del principe Orsini,,
eccettuatene alcune botteghe spettanti a luoghi pii.
■*■
Auguriamoci che qualcuno dei tanti capolavori,
che popolavano quelli splendidi monumenti, torni
alla luce. È vero che dagli incendi prima, e dalle
invasioni dei barbari poi, quei luoghi furono grande-
mente manomessi, e che più specialmente ebbero
a soffrire pel saccheggio dato dalle genti guidate
da Genserico, che predarono e distrussero quanta
era sfuggito alla rapina dei Goti di Alarico.
I tesori di Israello che trovavansi ancora per
massima parte custoditi nel tempio della Pace,
ove Tito li aveva depositati, furono da Genserico
presi e portati a Cartagine. Fra quegli oggetti, pre-
ziosissimi erano il mistico candelabro a sette bracci,
le trombe di argento del giubileo, le tavole della
Legge, la tavola d'oro massiccio, sulla quale si de-
ponevano le offerte, il velo purpureo che doveva
nascondere il tabernacolo agli sguardi profani, e cho
prodigiosamente si squarciò nel* momento in cui
spirava Gesù di Nazaret, il gemmato epJiod o pet-
torale del gran sacerdote dalle dodici gemme ra-
rissime che portavano scolpiti i nomi dei dodici
3 — E. Nat*.u, Il Ghetto di Roma.
34 ETTORE NATALI
figliuoli di Giacobbe e padri delle 12 tribù, e cento
e cento vasi sacri d'immenso valore, fra i quali
quello d'oro ripieno della manna caduta nel deserto.
Sulle stesse navi i vandali caricarono alla rin-
fusa i tesori dai romani rapiti al tempio di Geru-
salemme, l'arca dell'Alleanza, i simulacri di Giove
Capitolino, ed i ricchi reliquiari che Eudosia aveva
donato alla chiesa da lei edificata per riporvi le
catene di s. Pietro.
In tal modo le vicende della varia fortuna confu-
sero insieme le venerate reliquie delle tre più grandi
religioni che abbiano esistito in oriente, ed in occi-
dente. Ed alla stessa rapina, causa di si strana
riunione, fu dovuta la distruzione di buon numero
di quelle cose preziose : imperocché, secondo Pro-
copio, alcune delle navi di Genserico si spro-
fondarono nel mare col ricco bottino. Le cose che
giunsero salve in Africa furono ben presto riprese
da Belisario, il quale ebbe la sorte di sconfìggere
i vandali. E, per una singolare ventura, alcuni dei
vasi del tempio di Salomone, recati da Belisario a
Costantinopoli, furono da Giustiniano donati ad una
chiesa di Gerusalemme, cosichè, dopo molti secoli e
tante vicende, tornarono là donde erano stati tolti.
I vasi finirono poi in mano degli arabi, quando si
resero padroni di quella città.
Dicevasi che fra i tesori perduti in quell'occasione
fosse la veste del sommo pontefice ebreo , in-
torno aUa quale eran disposti de' campanelli ,
tintinnahula de auro purissimo (Esodo, e. 39), « af-
« finché da tutti se ne sentisse il suono ogni qual
« volta il gran sacerdote entrava od usciva dal san-
«. tuario, e si eccitassero a un profondo rispetto i le-
« viti ed il popolo. » Fu vera iattura (!) la perdita
IL GHETTO DI ROMA 35
di questa veste, perchè ne seguirono lunghe discus-
sioni fra i padri della chiesa, che non sono mai
riusciti a mettersi d'accordo sul numero dei cam-
panelli. Cosi, mentre s. Prospero giunge a con-
tarne cinquanta, s. Girolamo crede che fossero
sessantadue, e s. Clemente Alessandrino sostiene
che erano trecentosessantasei, quanti i giorni del-
l' anno.
-*■
Né soltanto arredi preziosi furono trasportati
in gran copia da Gerusalemme a Roma, ma pur
anco degli oggetti di gran mole, come le colonne
del tempio di Salomone. Di queste troviamo me-
moria nella esposizione dei viaggi di Beniamino
<la Tudela, che venne in Roma nel 1173 e scrisse
le sue memorie nel 1176.
Ritraduco e riporto le parole del dotto viaggia-
tore israelita da una traduzione latina del Mon-
tano : « E si trovarono, presso il palazzo degli
« imperatori, due colonne di bronzo opera del re Sa-
« lomone, colla iscrizione ebraica scolpita Salomone
« FIGLIUOLO DI David, E mi dissero certi giudei abi-
« tanti m Roma, cho ogni anno, nel nono mese,
« quelle colonne stillavano un sudore come acqua. »
Né quelle sole sono le antichità giudaiche che il
celebre viaggiatore ebreo abbia veduto in Roma
nel mille e dugento. « E vi è una cripta, continua
« Beniamino, in cui Tito nascose, a quanto si dice,
« i vasi portati da Gerusalemme. E presso alla riva
« del Tevere vi è un'altra cripta in cui sono sepolti
«e dieci uomini dabbene uccisi per distruggere il regno
36 ETTORE NATALI
«d'Israello. E in certo altro luogo osservai pure
« una statua marmorea^raffigurante Salomone col
« globo in mano, e ne vidi un'>altra di Assalonne
4C figlio di David. »
Come si vede, nel 200, in Roma erano molti gli
oggetti veri, o creduti tali, che gli ebrei venera-
vano come preziosi ricordi della patria diletta, ve-
nerazione che dai cristiani era tollerata perchè an-
cora non era cominciata contro gli ebrei l'èra delle
feroci e continue persecuzioni.
Ma torniamo alle sudanti colonne del tempio di
Salomone. Non voglio mettere in dubbio l'afferma-
zione del dotto viaggiatore ebreo e voglio credere
che le colonne sudassero in certi tempi dell'anno,
non essendo per verità cosa nuova il veder sudare
gli oggetti di marmo o di bronzo quando soffia,
ed a Roma purtroppo accade spesso, il vento di
scirocco. La causa del fenomeno è troppo nota
perchè si debba ripeterla a questo luogo.
Le colonne del tempio di Salomone che tuttora
si vedono nella chiesa di s. Pietro sono molte, tutte
di marmo parie e vitinee, cioè fatte a forma di
tralci e ricoperte di foglie di vite. Otto se ne ve-
dono ai lati delle loggie dalle quali, nell'interno del'a
basilica Vaticana, si mostrano le maggiori reliquie.
Una colonna della stessa forma, ed ugualmente
di marmo parie, è conservata in san Pietro con
maggiore venerazione. La storia di questa colonna,
e la ragione del culto speciale si apprendono dalla
seguente iscrizione che vi è sopra scolpita:
Haec est illa cólumna in qua Dominus noster
Jesus Cristus appodiatvs dura populo praedicabat
J)eo preces in tempio effundehat adhaerendo stabat.
IL GHETTO DI BOMA . 37
quae una cura aliis undecim Me circumstantibus de
S'xlomonis tempio in triumphum hujus Basilicae hic
locata futi ; daemones expellit et ah immundis spi-
ritibus vexatos liberos reddit et multa miracida
quotidie facit. Per Reverendissimum Patrem et Do-
■fninum Card, De Ursinis ornata An. Dom,
MCCCCXXXVIII
Ciò che, a parlar volgare, significa ritenersi la
-colonna come una di quelle del tempio di Salomone
e precisamente la stessa alla quale Gesù si appog-
giò mentre disputava, avendo appena dodici anni,
coi dottori. E la colonna è specialmente venerata
perchè nel medio evo si ritenne efficace a render
liberi gl'indemonifiti ; anzi anticamente chiamavasi
la colonna degli spiritati.
Il caso ha voluto che il luogo, ove adesso abi-
tano gl'israeliti (strana coincidenza I), sia stato
che in altri tempi loro fatale, e fosse per due volte,
a molti secoli di distanza, bagnato dalle lacrime di
quei derelitti.
Infatti là, ove Paolo IV racchiuse gli ebrei quasi
come in una prigione, il Senato romano si era adu-
nato per ricevere Vespasiano e Tito, reduci dalla
guerra giudaica. I lamenti degli schiavi dei romani
hanno avuto, nello stesso luogo, un' eco lontana nei
lamenti strappati ai tardi nipoti dal terribile tri-
bunale dell'inquisizione.
Guai a quell'ebreo che avesse osato di uscire dal
Ghetto se iza il vergognoso berrettone giallo, o alla
donna che si fòsse mostrata in pubblico senza un
velo dal colore obbrobrioso ! guai a colui che notte-
tempo fosse stato trovato a vagare per le altre
38 . ETTOKE NATALI
parti della città! Spesso il rogo fu acceso sulle
piazze della Minerva e di Campo dei Fiori per
coloro che infrangevano cosi ridicole prescrizioni,
ed anche senza ragione alcuna, e solo per odio ai
seguaci della religione di Mosè.
Nell'anno 1020, ad esempio, a cagione di un ter-
remoto, il papa fece impiccare alcuni ebrei, inno-
centi vittime espiatorie allora, come ai bei tempi di
David quando furono colpiti di peste per avere
quel re peccato con Bersabea.
Nella vita di papa Benedetto XIII, scritta da
Glaber, è narrato che nell'anno 1017 si scatenò su
Roma una tempesta violenta, per la quale perirono
molte persone, e che non cessò se non quando
un ebreo ebbe confessato di aver fatto sfregio al-
l'immagine di Gesù Cristo. Si comprende facil-
mente come il disgraziato sacrilego, e varii suoi
correligionari, fossero dannati all'estremo supplizio,
quasi che a placare il Dio pietoso dei cristiani si
dovessero, come alle divinità druidiche, irpmolare
vittime umane.
4-
Non sarebbe da meravigliarsi se, demolendo gli
antichi abituri del Ghetto, si trovassero dietro qual-
che vecchio muro, o sotto il suolo di luride can-
tine, tesori di monete o di gemme. Le paure dei
saccheggi e delle persecuzioni, cui spesso erano
fatti segno, avranno consigliato i più ricchi a tener
ben nascosti danari e gemme, e forse ad alcuno
la morte avrà impedito di rivelare ai congiunti il
luogo ove erano state deposte.
IL GIIRTTU DI ROMA 3&
Le grandi precauzioni che dovevano usare gli
ebrei per nascondere le loro ricchezze s' immaginano
facilmente quando si pensi alle pene gravissime com-
minate dai papi contro le usure. Di queste dovrò
occuparmi diffusamente quando parlerò delle pro-
fessioni e dei mestieri esercitati dagli ebrei romani ;
qui mi basti osservare che spesso nel Ghetto erano
occultati gli arredi sacri più preziosi, portativi da
chi li aveva rubati, o dagli stessi preti che li i.nnf *
gnavano per cavarne danaro. La cura nel nascon-
dere questi oggetti doveva esser massima, poiché
gravissime' erano le pene comminate agli ebrei
che osassero ricevere in pegno od acquistare oggetti
destinati all'esercizio del culto cristiano. Troviamo
infatti che il cardinale Martino Ginnetti, con editto
del 23 febbraio 1658, d'ordine di Alessandro VII,
minacciava la pena di duecento scudi di multa e
la galera agli ebrei convinti di ritenere o ricevere
in pegno reliquiari croci od immagini di santi.
D'altronde era per gli ebrei una necessità il tener
gelosamente nascoste le loro ricchezze, perchè più
volte accadde che la ciurmaglia saccheggiasse il
Ghetto, arrivando perfino a sventrare donne e bam-
bini per .ricercare nelle loro viscere fumanti le
gemme che si supponeva avessero ingoiate onde
sottrarle alle temute rapine.
Se il lettore avrà la pazienza di leggere queste
pagine disadorne, vedrà, come spesso, anche nei
tempi moderni, gli ebrei abbiano avuto a soffrire
maltrattamenti, spogliazioni e saccheggi.
Cpmpiuta la demolizione del Ghetto, gli studiosi
visiteranno quei luoghi per ammirare le dissepolte
ricchezze ed i ruderi antichi segnanti la topografia
esatta dei grandi monumenti che ivi sorgevano
t
*'
40
ETTORE NATALI
K
nell'epoca più splendida della romana grandezza.
Adesso invece ci rechiamo nel Ghetto per dare un
ultimo e mesto sguardo al rione forse più artistico
ed importante della Roma che se ne va, ripen-
sando alla storia gloriosa di quella razza che dette
al mondo il più grande dei legislatori ed un dio :
Mosè e Gesù.
i ipBsnupll la Kon
utHllclia.
A Roma, è bene ripeterlo, accorrevano da ogni
parte, come a luògo di rifugio, gli ebrei altrove
universalmente perseguitati ; e qui vennero molti
-di quegli infelici che nel 1290 Edoardo I cacciò
■d'Inghilterra, e qui si ricoverarono dopo il 1395 i
profughi dalla Francia. La più grande immigra-
zione, per altro, si ebbe dopo la caduta di Granata,
nei 1492, durante la terribile persecuzione che
infieri nella Spagna contro gli infedeli. Gli ebrei
che,- coi mori e sotto la loro dominazione, avevano
«ontribuito alla grandezza ed alla civiltà dell'im-
pero arabo-ispano, dovettero ramingare per stra-
niere contrade onde sottrarsi a quei terribili tri-
bunali dell'inquisizione, creati da Ferdinando e da
Isabella, che proscrissero e spensero la parte più
intelligente e laboriosa della popolazione. Sotto
42 ETTORE NATALI
l'impero dei Califfi vivevano in Spagna più di 30O
mila ebrei, e non va errato, a mio avviso, chi
affermava che la decadenza spagnuola ebbe prin-
cipio quel giorno in cui gli ebrei furono costretti
ad abbandonare la terra degli inquisitori, e a tra-
sportare nel resto di Europa le ricchezze, la col-
tura e l'industriosa attività dei Sefardim. Dal pa-
lazzo deH'Alhambra, il re Ferdinando e la regina
Isabella lanciarono il terribile editto di proscrizione,
ed in quattro mesi, dal 31 marzo 1492, tutti gli
ebrei dovettero emigrare, non solamente dalla Spa-
gna, ma pur anco dai possedimenti spagnuoli di
Sicilia e di Lombardia.
Molti di loro vennero a Roma ed a Napoli, e
prima di riunirsi ai correligionari che già vi dimo-
ravano dovettero accampare presso il sepolcro di
Cecilia Metella, nella foresta di Aricia, V antico
bosco della Ninfa Egeria, precisamente nel posto
ove molti dei loro antenati aveveno steso le loro
tende durante l'impero di Diocleziano. Narra Gio-
venale :
. . . presso gli archi
Vetusti, ove solea recarsi Numa
Ai nottarni colloqui della Niafa;
Ed ora il sacro fonte, il bosco e il tempio
S'affittano ai giudei, ch'hanno soltanto
Per tutta masserizia una gavagna
E un pò* di fieno...
Né di maggior valore dovettero essere le mas-
serizie dei profughi dalla Spagna, i quali, ammessi
alla perfine in Roma, dopo tanti stenti, trovarono
un po' di pace e si raccolsero a pregare nella più
antica sinagoga di loro gente, in quella fondata
dal magno Pompeo.
\
É
IL GHETTO DI ROMA 43^
Queste famiglie spagnuole, fecero poi alla lor
volta costruire scuole e sinagoghe, tuttora esi-
stenti, e conosciute sotto il nome di ricuoia caia-
lana, e scuola castigliana od aragonese,
A tale proposito alcuni storici, e fra questi il
Basnage, narrano che gli ebrei di Spagna, ra-
minghi e poveri, furono malissimo accolti dai cor-
religionari romani. Fu Alessandro VI, un papa
certamente non sospetto di sentimentalismo uma-
nitario, che impose agli ebrei di Roma di accogliere
e soccorrere i nuovi venuti cui dette gli stessi privi-
legi goduti dalla comunità israelitica romana. L'atto
di Alessandro mentre fu umanitario, fu anche
eminentemente politico, poiché divenuta più nu-
merosa la popolazione ebraica ne potè ricavare
parte del molto denaro occorrente all'impresa di
Romagna condotta da Cesare Borgia. L' altra parte
del danaro necessaria per l'agognata conquista il
papa, poco scrupoloso, la mise insieme a' 31 mag-
gio 1503 col nominare undici nuovi cardinali,
ognuno dei quali pagò assai caro l'onore della
porpora, perchè allora si guardava poco all'inte-
resse del cielo, molto all'interesse proprio e reale.
È fuor di ogni dubbio che le condizioni della
popolazione israelitica romana migliorarono di molto
per la venuta degli emigrati spagnuoli. Non por-
tarono grandi ricchezze perchè dal feroce Tor-
quemada fu loro proibito di asportare il denaro
ed era stato concesso uno spazio di tempo di soli
quattro mesi per liquidare ogni possedimento ter-
ritoriale. In quell'occasione i disgraziati, prima di
lasciare la Spagna, furono costretti a vendere ai
cristiani i loro beni a vilissime condizioni.
Qualcuno ad esempio fu obbligato, nonpotenda
41 ETTORE NATALI
ottenere prezzo maggiore, a cedere un palazzo per
un giumento, od un podere per qualche metro di
«toflPa. Ma se gli ebrei spagnoli non portarono ric-
chezze d'ori e di gemme contribuirono ad ingen-
iilire i costumi dei loro correligionari, e ad accre-
scerne le attitudini ai negoziati, essendo i Sef ar-
dirà colti e laboriosi, come quelli che erano stati
gran parte nella civilissima dominazione degli arabi.
Coloro che hanno seguito la storia civile dei
popoli sanno che ogni Governo ha il popolo che
«i merita ; cosi gli ebrei furono una razza di gente
decaduta fisicamente e moralmente , se oppressi e
perseguitati; mentre dettero alle lettere, alle scienze
-ed alla finanza uomini illustri ogni volta che fu-
rono governati da reggitori giusti ed umani.
-^
Gli storici non sono concordi nel riconoscere il
iuogo sul quale fu eretto il massimo tempio israe-
litico dell'antica Roma, tempio di tre secoli più
antico del Vaticano e del Lateranense. A Gre-
gorovius sembra che dovesse sorgere in via del-
l'Atleta, già vìa delle Palme'; altri invece ritiene che
la sinagoga dovesse essere presso l'odierna chiesa
-di s. Maria della Corte, cosi chiamata perchè pros-
sima al quartiere degli israeliti, curii perchè cir-
concisi, curtis judosis come li chiama Orazio coi
noti versi :
Aiebat mecunif memini bène; aed metiri
Tempore dicam, hodie tricesima gabbata vis tu
Curtie judaeie oppedere.
IL GHETTO DI ROMA 45
Il sito, nel quale è più facile si trovasse la sina-
goga, è, a mio avviso, presso la chiesa di s. Maria
in Cappella, (la vaga chiesuola decorata con pit-
ture a fresco da Bartolomeo PinelH, quando il
grande artista era ancora costretto per vivere a
fabbricare dei pupazzetti di zucchero) ove era il
centro del quartiere fondato con l'aiuto di Cesare
e di Augusto, quartiere assai prossimo al ponte
Sublicio, che nel medio evo si trova spesso ricor-
dato col nome di pons judceorum.
V'é una bolla di papa Leone IX (1049-1054) nella
quale parlandosi dei ponti che uniscono alla terra-
ferma risola tiberina si dice : « medium pontem ubi
« judcei abitare videntur. » Nò basta, che dal Som-
mario delle entrate ed uscite del Popolo Romana
noi impariamo che i tre custodi di questi ponti
erano rimunerati del loro ufficio dagli ebrei con
due pezze di panno di prima qualità, e quindici
scudi e mezzo ciascuno.
Nei primi secoli dell'era volgare la sinagoga di
Roma era ornata di colonne di marmi rarissimi e
ricca di oggetti preziosi, che a gara vi avevano
raccolti gli agiati liberti dei primi imperatori ; ma
lo splendore ne incominciò a decadere col decadere
della grandezza romana. Il culto di Jehovah per
altro fu sempre rispettato, o per lo meno tollerato,
ed in mezzo a tanti uragani della storia la con-
gregazione degli ebrei di Roma rimase quasi
come un simbolo monumentale delle radici che il
cristianesimo teneva nel vecchio testamento , ed
alcuni santi, fra i quali Bernardo, ne inculcavano
la protezione, perchè la loro esistenza formava la
prova della religione cristiana.
Vicino alle abitazioni degli ebrei, nella regione
46 ETTORE NATAU
Trasteverina, mentre in Roma. avevano corso quat-
tordici acque sanissime, vi era soltanto l'acqua Al-
sietina, la quale era di. qualità cosi cattiva che Fron-
tino rimane sorpreso come Augusto si decidesse
a farvela venire poiché era nullius gratta e, immo
etiam parum salubrem.
Che la numerosa colonia giudaica romana ab
tasse sulla ripa destra del Tevere è anche dimo-
strato da molti autori che designano gli ebrei col
solo appellativo di trasteverini^ come ad esem-
pio Marziale nella epistola settima:
. . . Verna e»,
Hoc quod Transtiberinu» ambulator
Qui pallentia sulphurata fractis
Permutai vitreis.
Qui si vede che le industrie esercitate dal po-
polo giudaico d'allora erano uguali a quelle del po-
polino ebraico dei nostri giorni, cioè il vendere zol-
fanelli, e il negoziare di vetri rotti. Da altri scrittori
apprendiamo però che in quei tempi l'industriosa e
sobria razza semitica era padrona del commercio,
ed esercitava grandissima influenza in Roma tanto
che Seneca scriveva : victoribus vieti legem dederunt
e il poeta Rutilio, un Drumont del terzo secolo,
esclamava addoloratissimo :
Atque utinam nunquam Judcea subacta fuissetf
e più sotto lo stesso scrittore affermava :
Victoreeqne suos natio vieta premit.
Col dimostrare che gli ebrei, sin da quando
giunsero o furono portati per la prima volta in
Roma, vennero posti ad abitare nella regione tras-
teverina, si conferma la prova della condizione
IL GHETTO DI ROMA 41
servile di quei primi abitatori. V'era infatti l'uso,
presso i romani antichi, di relegare gli stranieri
schiavi in Trastevere. Quando Velletri si ribellò,
e fu espugnata dai romani, il Senato velletrano fu
condotto schiavo in Trastevere nel 415, come at-
testa Tito Livio ; egualmente schiavo fu condotto,
nella regione transtiberina, il Senato di Piperno;
nel 542, schiavi vi furono portati i campani con
altri ribelli dei paesi vicini. E Orazio e Marziale
^ Giovenale dicono il rione di Trastevere luogo
abbietto di gente abbietta.
Filone l'Alessandrino, filosofo ebreo, nella me-
moranda relazione della sua ambasceria a Caio ci
è testimonio che gli ebrei erano stati posti a di-
mora in Trastevere da Augusto, e questo quar-
tiere da Filone è detto uno dei più salubri di
Roma : Nec dissimulans prohari siM judaeos; alio-
quin non passus fuisset Transtiherim, bonam urbis
partem, teneri a judaeiSj quorum plerique erant Li-
bertini quippe qui belli jure in potestatem redacH
ab heris suis manomissi fuerunt permisit more
majorum vivere.
Ad essere più esatto, mi è d'uopo qui far notare
che la maggior parte degli storici va errata nel
dire essere stato Augusto che raccolse in Tra-
stevere gli ebrèi di Roma, mentre è dimostrato
che vi erano già dapprima, e che forse Augusto
non fece altro se non migliorare le condizioni del
quartiere. Si ricordi infatti la citata orazione di
Marco Tullio Cicerone prò Fiacco,- e da essa si ve-
drà come il grande oratore parlasse dal Foro Au-
relio, dal tribunale degli ebrei, situato, come si sa,
in Trastevere. Prova evidente che nel 689, quando
Cicerone pronunciò quell'orazione, gli ebrei dimo-
48 ETTORE NATALI
ravano in Roma e già avevano stanza nella regione
transtiberina.
La tradizione cristiana conforta questa tesi lad-
dove riporta che san Pietro, che i pagani non di-
stinsero dagli altri di nazione giudaica, dimorò nel
Trastevere presso l'odierna chiesa di Santa Cecilia,
e fu ucciso in quella parte di Roma, sul monte
Gianicolo.
Beniamino da Tude^a ci dà una prova della di-
mora degli ebrei in Trastevere nel brano che qui
riporto dal suo itinerario, dimostrando cosi anche
l'importanza avuta nel trecento dalla colonia ebraica,
romana :
« Da Lucca in sei giorni si va a Roma città un
« tempo massima e capo di tutte le genti dell'im-
« pero. Qui stavano duecento giudei ali' incirca ,
« gente dabbene, non paganti tributo ad alcuno,
« anzi alcuni di essi sono ministri di Alessandro
« Pontefice Massimo di tutta la religione cristiana ;
« v'erano anche uomini dottissimi e fra i primi
« David Magno e Fehiel ministro del papa, gio-
« vane elegante e prudente, prefetto della casa e
« della intera famiglia del Pontefice e come tale
«assai famigliare nel'a dimora di lui. V'era an-
« che il nipote di Nathan autore ,del libro e dei
«commentarli di Baruch; v'erano pure Joab fi-
« glio del gran Salomone e Menahem capo del
« Sinedrio e Fehhiel abitante nel Trastevere e Be-
« niamino figlio di Sabati di buona memoria. »
Per non tediare i lettori, faccio loro grazia delle
numerose prove che si raccolgono nella storia
intorno alla dimora degli ebrei in Trastevere, e
terminerò riportando alcune parole del Bosio, il
quale dice : « Che l'abitazione dei giudei in Traste-
IL GHETTO DI ROMA 49
9
« vere sia durata fino ai secoli poco lontani dai
«nostri è evidente, rimanendone ancora memoria
« presso i vecchi ebrei moderni, per tradizione avuta
«dagli antichi loro... »
E finalmente Giulio Mancini, nel libro in cui
descrive le pitture ed i grafiti sopra le facciate
delle case di Roma, parla nel seguente modo della
dimora che nel medio evo fecero in Trastevere
gli ebrei: « Nel vicolo del Salume (presso santa
« Cecilia) sono alcune istorie ebree, condotte a chia-
«roscuro, forse perchè ivi anticamente abitavano
« gli ebrei, quando vennero oratori a Sisto, che però
< forse vi è quella palma. »
Nel 1300 la sinagoga di Trastevere o più non
esisteva o non era la sola, essendovi altra sinagoga
certamente aperta nel rione Regola, secondo afferma
l'anonimo contemporaneo scrittore della vita di
Cola da Rienzo, presso la casa in cui nacque e
per molti anni visse il celebre tribuno : « Cola
« di Rienzo fu di basso lignaggio ; lo padre suo
« fii tavernaro (oste), ebbe nome Rienzo, la ma^
«dre ebbe nome Maddalena, la quale viveva di
« panni lavare e di acqua portare. Fu nato nel
« rione della Reola; suo abitaggio fu canto di
« fiume fra la molinara (molini) nella via che va
« alla Reola, direto di Santo Tomaso, sotto 'n
« TEMPIO DE LI Giudei. »
La madre di Cola era lavandaia, ed inoltre pro«
cacciavasi la vita con Vticqiui portare, ossia col
4 — E. Natali, Il Ghetto di Roma,
50 ETTORE NATALI
provvedere di acqua, attinta alle cisterne ed ai
pozzi, i cittadini agiati, poiché in quei tempi non
vi erano in Roma le fontane per la distruzione
che avevano fatto degli aquedotti antichi le varie
orde barbare che avevano assediata la città dopo
la caduta dell'impero.
A questo punto, giovandomi specialmente delle
ricerche fatte dall'archeologo Fabio Gori, e dal
mio povero suocero Achille Monti, è necessario
che mi studi di precisare in qual luogo sorgesse
la casa ove nàcque Gola da Rienzo per stabilire
il sito su cui, nel 1300, già sorgeva una sinagoga.
Il popolo, per antica tradizione, ed anche molti
scrittori di cose romane, sogliono indicare come casa
di Cóla di Rienzo una torre mezzo diruta, presso
ponte Rotto, ed appellata nel medio evo Monzone
o Casa di Pilato, L'errore di questa designazione
é specialmente causato da una iscrizione nella
quale si legge la parola Nicolaus insieme a molto
iniziali e parole abbreviate che hanno confuso le
menti di molti scrittori, e che, giusta l'Amidenio,
furono scritte per fare impazzire i lettori. Il Mori-
ssone (da Mansio^ nome solito a darsi in quel tempo
alle case, d'onde la nostra magione) era uno dei
forti più gagliardi, posti a quei di alla testa dei
ponti per difenderli dalle invasioni dei saraceni —
ed aveva appartenuto a Nicola dei Crescenzio Tutti
i ponti di Roma erano difesi da torri inalzate sui
ruderi di antichi edifìci ; la mole Adriana, ad esem-
pio, nella quale stette asserragliata per qualche
tempo la stessa famiglia dei Grescenzi, serviva a
difesa del ponte Elio; i due ponti dell' Isols^ Tibe-
rina erano custoditi con torri dai Caetani; presso
questi ponti sorgevano anche le torri degli Alber-
IL GHETTO DI ROMA 51
teschi e de' conti dell' Anguillara, Il Monzone
scampò all'abbattimento delle torri e de', fortini
ordinato negli anni 1256 e 1257 dal fiero sena-
tore Brancaleone, ma nel 1313 fu minato allorché
Giacomo Stefaneschi, eletto capitano di Roma, aizzò
il furore della plebe, che insieme al Monzone di-
strusse altresì molti antichi e nuovi monumenti.
L' errore della credenza popolare appare dunque
evidente ; e, d'altra parte, è facile il dimostrare che
la casa, in cui nacque ed abitò il tribuno, fu all' in-
gresso dell'attuale Ghetto, e precisamente sulla
fine della via Fiumara, presso la via di S, Baiv
tolomeo de' Vaccinari fra i numeri 60 e 74.
-Quivi hanno sempre esistito i molini, citati nella
vita di Cola, molini mossi dalle acque delle cloache,
e specialmente dalla fonte di Calcara, sorgente
presso il palazzo Mattei. Si aggiunga inoltre che la
chiesa di S. Tomaso evidentemente è quella stessa
rifabbricata nel 1575 da Francesco Cenci, la quale
era in corrispondenza con la via Fiumara.
L'umile condizione della famiglia di Cola, nato
da un oste e da una lavandaia, ci fa sempre più
persuasi essere stato impossibile che esso abitasse
nelle case dei Grescenzi , ima delle famiglie più
potenti di Roma nel secolo undecime, ed essere in-
vece più probabile che il Tribuno nascesse in un'u-
mile casetta, È pur noto come Cola fosse considerato
cittadino della Regola, nel qual rione s'ebbe sempre
i più fidi partigiani; fu là che incominciò a farsi
conoscere come letterato e come archeologo, par-
lando al popolo dalle mine del vicino portico di
Ottavia e dei teatri di Marcello e di Balbo.
La conclusione che dalle cose qui riportate po-
trebbe farsi è, a mio avviso, ohe nel 1300 già esi-
52 ETTORE NATALI
stesse la sinagoga israelitica presso a poco sul
posto in cui sorgono le sinagoghe attuali e che li
vicino abitassero di già molte famiglie d'ebrei, che
a maggior sicurezza stavano anche allora aggrup-
.paté per soccorrersi a vicenda.
Si ha un' altra prova dell'esistenza di una sina-
goga sulla ripa sinistra del Tevere, quando ancora
gli ebrei abitavano in maggioranza sull'altra sponda,
da Gasparo Olivieri che nel secolo decimo sesto
pubblicò l'interessante opera, Renna in ogni stato,
L'Olivieri, infatti, dice che presso la chiesa dei
santi Lorenzo e Benedetto in Piscinula (vicino al
porticato d'Ottavia) anticamente, « quando li giu-
4c dei habitavano in Trastevere, era la sinagoga, as-
< serendo per comproba tione di questa verità haver
« letto in questo loco in un fragmento di marmo al-
« cune parole hebraiche, interpretale da Melchiorre
« Palontrotti, che dicevano: Sanctitas Deo in Je-
« rusalem cito in diebus Congregatio sancta Cantico-
< ruin quatuor capitum. »
Sarebbe atto di patria carità l' intitolare, col noma
del grande Tribuno, una delle piazze o delle strade
che si apriranno presso il luogo dove egli è nato,
e ciò ad onorare la memoria di chi fin dal secolo-
decimoquarto voleva libera Roma, ed una V Italia.
Un'altra prova dell'esistenza di molti molini sul
luogo ora occupato dal Ghetto si desume pure da
un editto di Enrico Gaetani, cardinale camerlengo,
esecutore degli ordini di papa Sisto V che volle
ingrandire il Ghetto. L'editto fu promulgato ntl
marzo del 1589 e vi si legge: « Avendo la San-
« tità di Nostro Signore deciso di slargare il serra-
4C glio degli Hebrei verso il fiume, cioè dalla Mola
< di Bernardino Molinaio fino al ponte di Quattro
IL GHETTO DI ROMA 53
« capi. » Dallo stesso editto si apprende che il papa
donò al suo architetto Domenico Fontana tutti gli
spazi vuoti fra i nuovi portoni dèi Ghetto e gli an-
tichi perchè vi fabbricasse comode abitazioni, per
gli ebrei, e ne prendesse adeguato annuo canone.
Fu queste uno dei compensi coi quali il papa
rimunerò l'opera dell'architetto cui devèsi V erezione
dell'obelisco vaticano, e la direzione di molte delle
opere edilizie eseguite in Roma nel breve regno
di quell'operosissimo pontefice.
^
. Se gli ebrei ebbero sempre il permesso di abi-
tare in Roma, più o meno liberamente, accadde
assai di rado che vi fossero tenuti in onore ,
e non si ricorda che alcuno di loro abbia avuto
dal papa segni di distinzione speciale, se se ne tol-
gono i medici, dei quali parleremo in seguito, ed il
barone di Rothschild.
Questi da Gregorio XVJ, a corto di danari, fu
accolto con onori sovrani, e venne insignito di or^
dini cavallereschi per aver soccorso, al sei per cento,
l'esauste finanze pontificie.X'esclusione dai pubblici
uffici e da qualunque pubblico impiego o favore
lasciarono pertanto nel più assoluto isolamento gli
ebrei, i quali per ciò non solo all'aspetto, al vestire
ed ai costujni erano rimasti riconoscibili, ma
ancora più alla lingua da loro parlata, o meglio
alla . pronuncia speciale di un dialetto molto si-
mile al romanesco. Un ebreo era quindi dal par-
lare riconosciuto fra mille e per il suo dialetto
schernito.
54 ETTORE NATALI
Riconoscibili e riconosciuti dal resto dei citta-
dini il governo faceva cosi poco conto di loro che,
fino al secolo presente, non pensò mai a contarli^
cioè a farne una statistica. Evidentemente il loro
numero, sempre proporzionato a quello degli altr*
abitanti di Roma, ai tempi dell'impero dovette essere
ragguardevole. Flavio infatti, raccontando l'amba-
sceria mandata dagli ebrei della Siria a Cesare,
dice che ottomila e più giudei si unirono ai legali
suddetti nel tempio di Apollo, per il che Grotz, éup-
ponendo esclusi da questa cifra i fanciulli,' i vecchi,
gl'infermi, le donne la fa ascendere ad oltre ven-
ticinquemila. Ed il numero si deve essere accre-
sciuto ai tempi di Claudio il quale inviò un mes-
saggio al Senato per invocare rimedi affinchè,
crescendo col numero degli stranieri le straniere
superstizioni, non venisse a mancare in Roma l'an-
tica religione. Dopo la distruzione di Gerusalemme,
quando, al dire di Giuseppe Flavio, quattro milioni
di giudei sì dispersero pel mondo, tanti o sponta-
neamente o per forza ne vennero a Roma, che il
quartiere di Trastevere non fu più capace a con-
tenerli, onde ne furono mandati ad abitare nel
quartiere Vaticano, e presso il bosco della ninfa
Egeria.
Però, per quante ricerche mi abbia fatto, non
mi fu dato di ritrovar© con esattezza il numero
degli ebrei che abitarono Roma durante V impero,
o che vennero dopo che Diocleziano ebbe imposto
il fiscus judaicus : e tanto maggiori, anzi addirit-
tura insuperabili, sono le difficoltà per stabilire il
numero degli ebrei che hanno dimorato in Roma
dalla caduta dell'impero ai giorni nostri. Nel
corso dell'opera mi accadrà qualche volta di a<5-
IL GHETTO DI ROMA
55
cennare approssimativamente al numero degli ebrei
che in qualche occasione qui stettero,, per ora mi
limito a dare soltanto le notizie esatte che mi fu-
rono cortesemente favorite dal commendatore Bar-
tolomeo Mazzino, benemerito assessore preposto alla
statistica municipale.
L'università isdraelitica, per ordine della Reve-
renda Camera Apostolica, noverò per la prima
volta gli ascritti alla comunità, il primo febbraio
1809, ed il risultato di questa prima ricerca e
di altre fatta fino al 31 dicembre 1882 ò il se-
guente :
Epoca
Iscritti
1809 febbraio 1
. . . . 3076
1810
. . 3038
1816
. . 3047
1821 marzo
13
. . 3059
1832
. 3538
1837
. 3536
1841
. . 3705
1851
. 3908
1868
. . 4995
1882 dicembre 31 .
. 5429
Nella cifra dell'ultimo censimento (31 dicembre
1882) non furono compresi quelli israeliti, i quali
stabiliti in Roma dopo la sua riunione all' Italia,
non si erano ancora iscritti alla comunità, il qual
numero può calcolarsi ascendesse a circa 660.
'W'''W'^''W'^'W^^'W''^^''''W^^^
IV.
tolleranza a Roma - Emanuel ben Salomone - Polemisti - Scienziati
e letterati - Viaggiatori ebrei che nacquero o risserò in Roma.
Roma, la icittà che prima in Europa albergava
^li ebrei viriti e schiavi, la città di dove si spar-
sero poi, a poco a poco, per tutto il mondo, in vario
occasioni offerse loro asilo sicuro quando altrove
si dava la caccia ai figli d' Israello come a bestie
feroci. Dair Oriente, ove furono perseguitati prima
-da alcuni califfi, dovettero poi addirittura fuggire
ai tempi delle crociate, perchè ritenuti causa di
tutte le calamità, di tutte le guerre; i crocese-
-gnati se la prendevano col popolo deicida, repu-
tandolo prima causa della caduta del santo sepol-
-cro. Vessare, uccidere gli ebrei era opera pia, era
santa vendetta del delitto dei loro padri, che ave-
vano chiesta ed ottenuta la morte di Gesù ; l'odio
-contro gli ebrei fu ritenuto dovere, e l'ucciderli
mezzo idoneo ad assicurarsi le benedizioni di Dio.
58 ETTORE NATALI
La ferocia era spinta al punto che, interrogato uno-
dei princìpi crociati se si doveva andar cauti nel-
l'uccidere persone che potevano non appartenere^
alla religione giudaica, questi con molto cinismo
rispose : tuez-leSj Dieu saura reconnattre les siens.
Molte legislazioni distinguevano V omicidio dal
giudeicidio, che era poco o punto punito, ed alcuni
scrittori ecclesiastici , trattando dei supplizi cui
erano sottoposti gli ebrei, hanno scritto: « i loro
< lamenti sono per le nostre orecchie una voluttuosa
« armonia. » A Roma invece gli ebrei vivevano tol-
lerati e spesso liberi, e, narra il Tudela, come ab-
biamo visto, di averne trovati oltre duecento di-
stinti, e per la più parte impiegati nella stessa
corte di papa Alessandro III. È tanto vero che i
papi nel naedio evo erano i soli sovrani di Eu-
ropa che trattasse)'© gli ebrei con qualche ri-
guardo, che, quando fu stabilita la sede del pa-
pato in Avignone, molti ve li seguirono.
Dobbiamo riconoscere che il vanto di essere
state meno avversi agli ebrei nel medio evo
spetta indubbiamente a Roma, ed a molte città
d'Italia. A Roma le vere persecuzioni, le più dure
sevizie, cominciarono negli ultimi tre secoli. Ciò
mostra che i modi tenuti con gli israeliti furono
in ragione della maggiore o minore civiltà de'po-
poli. L' Italia perchè più civile delle altro nazioni
nel medio evo fu con essi meno crudele ; rimasta
in seguito addietro, giunse più tarda a sentire la
giustizia ed il dovere della loro emancipazione.
La grande immigrazione degli ebrei in Roma scemo-
alquanto quando il giovane Teodosio, imperatore
bizantino, emanò contro di essi leggi severissime,-
sebbene, per intercessione dei papi, non fossero dal
IL GHETTO DI ROMA 59^
prefetti romani completamente applicate. A ra-^
gione, riferendosi alle leggi di Teodosio, uno dei
più diligenti storici del semitismo ha scritto che,
con le leggi del giovane tiranno, per gli ebrei inco-
minciò il medio evo.
Chi per altro scriverà la storia completa degli
ebrei di Roma dovrà ricordare i molti dotti giudei
che vi sono nati o vi hanno vissuto, anche mentre
i papi risiedevano in Avignone, sebbene la città
fosse tanto depauperata di abitatori da compren-
derne meno di trenta mila. A me basti ricordarne
soltanto alcuni, e per primo Manoello (Emanuel ben
Salomone) ebreo notissimo, amico di Dante, autore
anch' egli di una Divina Commedia in ebraico, e
primo compositore di sonetti ebraici. Forse ripen-
sando alle belle poesie dell'amico Manoello, il divino
poeta scriveva nel Del vulgare eloquio « Fu l'ebraica
« idioma quello cui fabbricarono le labbra del primo
« parlante. » Notisi che nei tempi precedenti alla for-
mazione della lingua italiana gli ebrei parlavano
quasi sempre il loro idioma, o il greco che cono-
scevano assai bene.
L'importanza che Emanuele si acquistò nella re-
pubblica delle lettere, e Tessere stato forse il più
grande fra i lett<^rati ebrei romani, m'impongono
l'obbligo di intrattenermi a parlar dì lui forse anche
più a lungo di quanto lo consentirebbe l'indole di
questo scrìtto. Emanuele ha cantato un po' di tutto,
l'inferno e il paradiso, il vino e le donne, ha scritto
salmi e madrigali, e nei suoi versi trovasi sempre
una tal quale tendenza ghibellina, una certa tinta
di scetticismo, che lo ha fatto scomunicare dai più-
severi rabbini, e lo ha fatto giustamente chiamare-
da uno scrittore moderno il Voltaire degli ebrei.
^ ETTORE NATALI
Colla distruzione di Gerusalemme la letteratura
-ebraica perdette la caratteristica propria nazionale,
quella caratteristica originale che dava ai poeti ebrei
un primissimo posto fra 1 letterati orientali ; nò
altri, prima del romano Emanuele, fece rifulgere
nuovamente lo splendore dell'idioma di David e di
"Salomone.
Wolf afferma che il romano Emanuele, figlio di
Salomone, fosse lo stesso che il Sofroneo, e dice
che fiorisse nell'anno del mondo 5001, ossia 1241
dell'era cristiana.
In Fermo, ove abitò per molti anni, Emanuele
•scrisse la maggior parte delle sue opere, delle
quali sono conosciute soltanto le seguenti:
MecJiabberoth (Composizioni poetiche. — Brescia
1491, Costantinopoli 1535, Praga 1559 e Franco-
forte sul Meno 1713). Quest'opera comprende ven-
tptto composizioni tra madrigali, odi e canzoni,
parte in prosa rimata, e parte in metri diversi. Fu-
rono precisamente le poesie raccolte in questo vo-
lume che attirarono su Emanuele l'odio dei rabbini e
gli anatemi dei vari sinedrii : alcune sono alquanto
iicenziosette e tutte un po' scettiche.
Si hanno poi dello stesso poeta vari volumi di
•commenti sopra i Proverbi, sul Pentateuco, sopra
i Salmi f su Giobbe, sul Cantico de' Cantici, e su
Huth. Finalmente conoscesi di Emanuele un volume
-dal titolo JEven Borchen, •
Del commento sui Proverbi esistono due mano-
scritti : uno apparteneva alla biblioteca privata del
De Rossi, che ne fu illustratore ; l'altro si trova alla
biblioteca Vaticana. È un codiòe in-4<>, parte car^
ihaceus e parte membranaeeus, di fogli. 79, scritto in
-carattere rabbinico. Il Sabbateo afferma che il
IL GHETTO Df ROMA 61*
»
commento sui Proverbi fosse stampato in Napoli,
ùia non cita Panno della edizione.
Nella stessa biblioteca Vaticana vi è un altra
codice carthaceus intitolato Commentarius in Can-
ticum Canticorum, e che forse nessuno fino ad ora
ha mai citato. Consta di 74 fogli, è scritto in ca-
rattere rabbinico e porta il numero LXXXV. Fu
copiato per uso della biblioteca Vaticana da Paolo
Eustacchio, scrittore di-lingua ebraica nella biblio-
teca stessa, e di ciò fa fede questa postilla apposta
dì mano stessa delPEustacchio in calce alla pagina
settantaquattresima : Absolutus est Me liber manu
Joannis Pavli Eustachiij hodie feria prima die ul-
timo mensis Novem^bris anno 1592, Laus Deo nostro
Jesu Christo et MaHae ejus òanctae genitricis. Amen.
Paolo Eustacchio, a quanto pare, aveva copiato-
li suo codice da un autografo allora esistente nella
biblioteca del duca di Altemps.
Le poesie di Emanuel ben Salomone sono quasi
del tutto sconosciute, perchè non furono da al-
cuno tradotte. Il solo signor De Benedetti, in occa-
sione delle nozze del professore Alessandro D'An-
cona con la signorina Adele Nessim, ne pubblicò
in Pisa , nel 1871 , un brevissimo tratto. Eccone
due frammenti che appartengono alla seconda parte
del poema, ossia al Paradiso:
< Avvenne che aggirandoci negli ampi luoghi
« dell' Eden, contemplando la dignità degli uomini
« della dottrina, io ne vidi taluni ripieni di splendore
« e decoro innanzi alla cui bellezza e sole e luna si
« oscuravano : ai quali era dato il passo nel mondo
« Angelico. Ma io non ne conosceva alcuno, perchè,
« interrogai lui che meco favellava (Domile) per sa-
« pere delle qualità loro. E quegU mi disse : E' sono-
^2 ETTORE NATAU
«codesti i più delle genti del mondo che per loro
« dottrina e pel senno più valsero e su per gli sca-
« glioni della scala della sapienza ascesero secondo
« lor virtute, né furono, come i padri loro, genera-
-« zione ritrosa e rubella. Essi investigarono col pro-
« prio intelletto quale si fosse il Fattore, quale il
<k Creatore che per grazia sua li fé' trovarsi, e dal
« nulla all'essere li ebbe tratti, e recati a questo
<« mondo, e quale il fine per cui li ebbe creati. »
E altrove:
« Rispetto a Dio poi e' si dichiararono : il cuor
^ nostro trema e paveirta di appellarlo con un nome.
«Avvegnaché ogni popolo l'appella con un nome
« particolare ; noi diciamo checché sia suo nome :
« noi crediamo nell'Ente primo, verace, e dator della
« vita che fu, ò e sarà, che creò il mondo allorché
4( decretoìlo ; la sapienza sua che é a noi arcano per
^< la sua soverchia virtù in cui ne appare. »
Ho creduto riprodurre questi due frammenti
tratti dall'opera che generalmente ritiensi il suo
capolavoro, e perché ci danno a divedere il primo
l'imitazione di Dante, ed il secondo la caratteristica
biblica della letteratura ebraica, che con Emanuele
cominciava allora a riapparire nell'antico splendore.
Una famiglia di ebrei romani ancora esistente,
quella dei Piattelli, si vanta di discendere direttamente
^al poeta del quale mi sono fin qui intrattenuto.
Dopo la caduta dell'impero romano, l'opera
ebraica più antica, di cui si abbia fra i dotti me-
moria, é una traduzione compilata in Roma circa
l'anno 940 : é una specie di storia, e porta il nome
IL GHETTO DI ROajA «3
-di Josippo ben Grorion. La seconda opera giudaica,
-sempre in ordine di data conosciuta dall' Europa,
è un libro anonimo composto verso il 974, dtl
titolo Tanna dehe Eìiahu, che il Gratz e 1| Steln-
schneider ritengono scritto in Roma. In questo
libro si parla di tradizioni ebraiche, e vi si fa il
computo degli anni dalla creazione.
Qui cade in acconcio il ricordare il nome di al-
•<iuni fra i più dotti ebrei che han vissuto in Roma,
•dal medio evo in poi, lasciando da parte i più an-
tichi quale fu Fosco Aristo, liberto di Cesare ed
amico di Orazio, che gli scrisse più lettere, e fra
.le altre quella:
■
UrhU amatorem Fuscum solvere jubemits
Buri» amatore».
Prima per altro di incominciare la enumerazione
-dei migliori, fra gli ebrei romani, che abbiano la-
sciato scritti meritevoli di menzione, mi sia pei>
messo di fare pochissime considerazioni sul carat-
tere, e suir^indole generale della letteratura se-
mitica.
Tralascerò dì rintracciarne la storia attraverso
il periodo glorioso della loro potenza, quando su-
però, in pregio di opere, tutte le letterature orien-
tali. In quello, che può chiamarsi il periodo d'oro,
la letteratura ebraica mantenne un carattere del
tutto speciale, perchè la legge mosaica vietava
agli ebrei qualunque rapporto con gli altri pò
poli, e quindi nulla o quasi fu l'influenza delle
letterature straniere.
Cop Tesiglio cominciò l'epoca della decadenza e
si arrivò man mano fino alla estinzione della
stessa lingua.
64 ETTORE NATALI
Non parlo qui del Talnnid perchè mi propongo
di farlo diffusamente in seguito ; credo che i giu-
dei, secondo il fine cui diressero la loro attività
letteraria, possono distinguersi in tre gruppi : autori
di scritti riguardanti la religione cristiana ; inter-
preti o commentatori della Bibbia o del Talmud ; e
finalmente letterati nel senso moderno della pa-
rola, o poeti.
Oltre questi possono citarsi gli autori di opere
storiche di viaggi e di scienza, specialmente di
medicina e di astronomia.
Per quello che riguarda i polemisti contro la.
religione cristiana, rimando lo studioso a quell'illu-
stratore benemerito ed infaticabile* di cose loro,
che è stato il nostro Giovanni Bernardo. De Rossi,
il quale, dimenticato oggi a torto, raccolse in un
volume preziosissimo l'interessante collezione delle
opere dei polemisjbi ebrei.
Di questi ricorderò tre soli celebri per il rumore
che han destato nel mondo. Essi sono :
1° Il Goblar ben Zuruc le cui confutazioni
del cristianesimo furono causa delle prime e più
feroci persecuzioni papali contro il Talmud. Per
dire le vicende del libro di Goblar, attraverso la.
storia del popolo d'Israello, occorrerebbe scrivere
un altro volume. È forse, dopo la Bibbia, il libro-
ebreo che abbia maggior numero di edizioni sino
al secolo decimosesto, e fu questa una delle prime
opere per le quali si ricorresse dagli ebrei all'arte
tipografica ;
2» Nel 1512 Feithel e Sinderlein pubblicarono
un'opera critico-polemica stupenda intitolata : Di-
scurs ime die christen zu verdehen (sguardo intorno
alla decadenza de'cristiani). Da quest'opera, che fu
IL GHETTO DI ROKA 65
condannata dalla Congregazione dell' Indice, può
ripetersi il risveglio degli studi giudaici in . Ger-
mania. La preziosa edizione principe ne è raris-
sima, e credo che l'unico esemplare ora conosciuto
sia conservato nelF archivio privato del duca di
Rossell.
3** Finalmente, nel 1681, gli ebrei fecero,
sempre in Germania, pubblicare un libro o meglio
un osceno libello che destò molto rumore dal titolo :
Jesxts generatUmia. S'ebbe ben tosto quest'opera
una grande notorietà, non perchè la meritasse
come le altre sin qui ricordate, ma perchè è il
libro più empiamente osceno che sia mai stato
scritto. In esso, senza entrare in una vera e seria
discussione ascetica, si mette in ridicolo l'incarna-
zione di Cristo ed il parto di Maria.
Ma torniamo, che ne è tempo, agli ebrei ro-
mani che più si distinsero fra i letterati. Lo studio
dei loro lavori è interessante non solo per le bel-
lezze di cui essi arricchirono la letteratura ebraica ,
ma anche perchè dimostra come si svolse in am-
biente straniero questa letteratura che, a seconda
dei dettami di Mosè, doveva fruttificare soltanto
sul suolo patrio.
E, come abbiam visto, fu proprio qui in Roma
che risorsero gli studi ebraici, come qui in Roma
vide la luce il primo libro che valse a mettere in
evidenza l'importanza degli autori Israeliti, e fii
causa prima delle lunghe ed ardue discussioni che
ancora oggi affaticano i pensatori tedeschi. Ho in-
teso alludere ai profondi studi ed alle dottissime
6 — E. Natali, Il Ghetto di Róma.
\
66 RTTORB NATAU
pubblicazioni di Biagio Garofalo, nato a Napoli nel
1677, e stabilitosi in Roma ove sali in tanta fama
da meritare Tamicizia di papa Clemente XI. •
Del resto il lettore si farà per suo conto un'idea
dell'importanza che hanno nel mondo letterario
ebraico, gli scrittori che nacquero o dimorarono in
Roma, leggendo il seguente catalogo da me com-
pilato nel modo più completo che mi sia stato pos-
sibile.
Nathan ben Zechiel sapiente rabino, morto in
Roma nel 1106, che fu discepolo del celebre Mosè
Adarsan, e divenne capo della sinagoga. A Nathan
si deve un dizionario del Talmud molto stimato, e di
cui si sono fatte infinite edizioni. Nathan apparte-
neva a distinta famiglia, poiché il padre Zechiel
'(o Jehiel) era fattore od amministratore di papa
Alessandro III, ed il fratello di Zechiel ebbe pur
fama di buon letterato.
Fra gli scrittori celebri israeliti va annoverato
anche lo spagnuolo Abramo ben Ezra profondo
erudito e filosofo. Viaggiò mezzo il mondo allora
conosciuto, e fece per lungo tempo dimora in
Roma ove compose una grammatica ed un libro
di astronomia. Nei secoli di mezzo gli ebrei fu-
rono viaggiatori arditissimi e pei ^viaggi mostra-
rono una vera passione. A loro l' andare peregri-
nando riusciva più agevole che non ai seguaci
delle altre religioni, per la facilità di trovare in
ogni paese fraterna ospitalità, e larghezza di au-
. aiìio presso tutti gì' israelitu Di questi ovunque
«e ne trovavano e tutti legati insième da stretti
IL GHETTO DI ROMA 67
vincoli di affetto, non solo per la comunanza della
fede religiosa, ma più specialmente per la co-
munanza delle aspirazioni e dei patimenti.
Con l'applicarsi molto ai viaggi gli ebrei man-
tennero le antiche e gloriose tradizioni dei loro
patriarchi cui devonsi le prime e più esatte no-
zioni della geografia. Nei libri di Mosè, di Giosuè
e dei Giudici ritroviamo documenti assai impor-
tanti sui popoli che in quei tempi lontani abita-
vano nell'Asia occidentale. GostretU a errare pel
mondo, dovettero forzatamente acquistar pratica
dei costumi de'popoli, e delle contrade percorse
nel loro vagabondaggio
In Italia dove, secondo il Talmud, si raccolse
la maggior parte degli emigrati della Palestrina,
«ssi cominciarono a divenire pian piano i padroni
del commercio e divennero necessariamente viag-
giatori instancabili per stender sempre più la loro
rete di affari ; e mentre fecero gl'interessi degli
scambi giovarono non poco all'incremento della
scienza. Fra i più illustri di essi credo dover an-
noverare Faroth e Nephali venuti in Roma men-
tre era imperatore Costantino ; e Sakob di Nemez
nel decimo secolo; ed Hillel da Jerusalem, Judaha-
Levy, Aben Ezra nell'undecime secolo e moltis-
simi altri i quali tutti, chi più chi meno, si sono
soffermati per vario tempo nella città nostra.
Nel duecento, è grande il numero dei pellegrinaggi
di rabini italiani, e fra essi ve ne furono molti
romani, de'quali è impossibile rintracciare il nome
e le opere. Basta rilevare, per l'interesse storico,
che nel tempo dell'espansione della scienza geo-
grafica gli ebrei romani contribuirono potente-
mente a mantenerla in onore.
68 ETTORE NATALI
Esempio di arditissimi viaggiatori, nel 200, fu-
rono e Beniamino di Tudela che compilò un
Itinerario, inesatto se vuoisi, ma pieno di inte-
ressanti notizie e di utili osservazioni, ed il rabino
Pethachia, che visitò quasi tutte le sinagoghe del
mondo. I due soli brani riguardanti Roma che si
riscontrano neW Itinerario del Tudela, li ho ripor-
tati in altra parte di quest'opera.
Torniamo ad Aben Ezra, o meglio ad Abraham
ben Meir aben Ezra. Come rilevasi dal nome
stesso Abramo fu figlio di Meir e nipote di Ezra ;
ignorasi in quale angolo della Spagna abbia avuto
i natali, e molti vogliono che nascesse in Toledo,
città ove allora fiorivano tutte le scienze ; cosi
fra i dotti si è molto disputato intomo all'anno pre-
ciso della di lui nascita. Il Velitz, in un recentis-
simo opuscolo, assicura, e mi sembra dimostri,
che Aben Ezra nacque nel 1147 e mori nel 1187.
In Roma egli si trattenne molto e vi fu accolto-
assai amorevolmente per la fama che si era fatta
con i suoi originali commenti biblici. Qui venne
dopo aver visitato la Francia e l'Inghilterra.
Egli svincolandosi , per primo, dalle solite alle-
gorie e chiose, si attenne, e quasi ne fu rivelatore,
ad un metodo assai più positivo di critica, negando,,
ad esempio, che gli ebrei avrebbero passato il
Mar Rosso per miracolo, ed opinando invece avesse
Mosè profittato di una bassa marea. Fu Aben uno
dei tipi più curiosi e più celebri della letteratura
ebraica, e lasciò 77 opere svariatissime, fra le
quali molte poesie quasi tutte ispirate a senti-
menti religiosi.
Nei secoli decimoquarto e quinto il desiderio
dei viaggi si frena un poco, ma se si viaggia di
IL GHETTO DI ROMA 6^
meno, si studia di più, e l'arte della navigazione con
le scienze affini, geometria ed astronomia, prende
per opera degli israeliti un vigore novello. L^unico
autore romano, che mi è riescito di rintracciare
fra di essi è un cristiano rinnegato certo Malze-
chio nato a Roma nel 1542, e morto a Parigi
nel 1601.
-*-
Giuda ben Mosè (il ben vuol dire figlio di) anche
esso romano, nato nel 1229, fu filosofo notissimo, e.
conosciuto nel mondo scientifico-letterario col nome
di Giuda Romano; debbonsi a lui molte prege-
voli traduzioni delle opere di Aristotile. Mosè da
Rieti letterato, vissuto in Roma nel secolo decimo
quinto, pretende che Giuda fosse maestro del re
Roberto di Napoli. Il Giuda merita un posto spe-
ciale nella storia della letteratura italiana perchè
è il primo ebreo che abbia scritto un Glossario
nel quale, a lato di molte parole ebraiche, è ripor-
tata la spiegazione in voci « vernacole » cioè
italiane.
I codici del Vaticano num. 258 e De Rossi num.
129 contengono note di Mosè ben Sabbatai, lette-
rato, il quale, a quanto sembra, visse a Roma
nel 1342, e le cui opere arricchiscono le raccolte
della Vaticana: Platone di Tivoli, traduttore e
scrittore di grido, che visse intorno al 1135: e per
ultimo la romana Paola, figlia di Abramo, la quale,
nel 1288, trascriveva due grossi volumi di com-
menti biblici, in tempi in cui perfino molti vescovi
70 ETTORE NATALI
segnavano spaccando la croce. Il Quirini ebreo
romano, o per lo meno vissuto molti anni in Roma,
nel 1496 pubblicò una grammatica ebraica, forse
la prima completa, sotto il titolo Intkoductio ai>
LINGUAM SAKCTAM,
Luigi Fiori e Saul Triverio giudei, entrambi ro-
mani, pubblicarono anch'essi due grammatiche
ebraiche la prima nel 1648, l'altra qualche anno
più tardi. Fra i traduttori dei quali si ha memo-
ria, in epoca più recente, va annoverato anche
Elia Levita, favorito del cardinale Egidi da Vi-
terbo, traduttore dall' italiano in lingua tedesca,
vissuto intorno al 1500. Il cardinale Giovanni
Egidi era stato discepolo di Elia per lo studio della
lingua ebraica, che il dotto israelita insegnò per
anni e anni in Roma dopo averla insegnata, con
plauso generale, neir Università di Padova, in-
sieme alla lingua caldaica. Elia Levita si trovò in
Roma al sacco dato dalle genti del Connestabile
di Borbone, ed in quella occasione perdette tutte
le sue sostanze, e ne riportò tal paura che, fuggito
in Germania, vi rimase per molti anni. Il ni-
pote di questo erudito, chiamato anch'esso Elia Le-
vita, si fece cattolico, prese il nome di Giovanni
Battista Eliano, e fattosi gesuita fu mandato da
Gregorio nunzio presso i Marroniti ; si fece cono-
scere nel mondo dei dotti per aver tradotto in arabo
gli atti del Concilio di Trento.
Alla stess'epoca, cioè nel secolo decimosesto, vi-
veva in Roma certa Debora, poetessa abbastanza
reputata. Cosi pure fra le letterate romane una
certa Rebecca è citata dal Wieland nei suoi Studi
m Roma; ma di essa non mi è riuscito di cono-
seere altro.
IL GHETTO DI ROMA 71
Santi Pagliero (1527) fii uno dei cooperatori più
assidui di Pasquino, ed a lui va attribuita la sa-
tira lunghissima riportata a pagina 98 del libro del
Lanucci.
Per scampare all'assedio del Borbone, Isacco dei
Bomi fuggi da un paese vicino a Roma, ove tro-
vavasi, e col figlio David si ritirò a Bevagna. La
famiglia Dei Bomi vantavasi di essere una di quelle
venute da Gerusalemme con Vespasiano, e di aver
avuto fra gli antenati due ebrei romani, David il
Santo ed Elia il Ricco ; ma questo Isacco, figlio di
David, è il più conosciuto nella repubblica lette-
raria per aver pubblicato varie opere di molto va-
lore, e fra le altre un dizionario, il più completo
fra quelli fino allora conosciuti.
A Roma nel 1546 furono stampate le Lettere di
Sanità di Mosè ben Nachman, rabino spagnolo
che visse 103 anni.
È celebre anche Simeone Luzati, veneto (1638)
che abiurò e prese il nome di Morosini; venne e
mori in Roma dopo aver composto varie opere sullo
stato presente della sua nazione.
Oltre i già citati non ho saputo trovare altri
scrittori ebrei romani di conto prima del cinque-
cento se si toglie il David Guido che nel 1499
scrisse una bella poesia sugli Sponsali della Luna.
11.^ -J, .j, ^ ..L.
i Ram» - Cenaarii papale • Libri
Dopo tre secoli di tanto splendore, repentina-
mente venne per gli ebrei la decadenza, neces-
saria decadenza in quanto che fu loro tolto violen-
Eeniente anche il mezzo di studiare. Ad essi nocque
la stessa cultura, perchè sapendo e di letteratura
e di astronomia e di metUcina erano riguardati
con diffidenza dal volgo il quale considerava come
cosasoprannaturale qualunque portato della scienza,
ed anche soltanto il saper leggere e scrivere.
Per avere un'idea di quanto fosse rara la qualità
di letterato, nel senso stretto della parola, nel
medio evo, basti il ricordare che in alcune legisla-
zioni i condannati per delitti comimi ottenevano la
grazia appena potessero dimostrare di saper leg-
gere e scrivere.
Per farà poi un esatto concetto della coltura degli
74 ETTORE NATALI
antichi ebrei di Roma basterà gettare uno sguardo
sui pochi libri che sono posseduti dalle sinagoghe
romane, e sui moltissimi codici ebraici raccolti
nella biblioteca vaticana.
Le cinque scuole israelitiche di Roma posseg-^
gono, come mi assicura il cav. D. R. Segrè, per
gli usi rituali, parecchie copie del Pentateuco scritto
in pergamena, ed arrotolato e messo in ordine
secondo le norme tracciate dai dottori.
Tanto la scuola detta del Tempio, quanto quella Ca-
talana posseggono inoltre tutta la Bibbia manoscritta.
La scuola Castigliana ha un Pentateuco con le
lezioni profetiche del sabato.
La scuola Siciliana ha un Pentateuco con il Can-
tico dei Cantici, il libro di Ruth, i Treni di Geremia,
l'Ecclesiaste ed il libro di Ester.
La scuola Nuova poi ha un Pentateuco inter-
polato, verso per verso, dalla parafrasi caldaica in
carattere tedesco.
Questi cinque codici risalgono a parecchi secoli, e
sono corredati di annotazioni masoretiche. All' in-
fuori di essi, le scuole non hanno altri codici an-
tichi nò di gran valore paleografico, e difettano
pure di edizioni rare, sebbene tfn tempo ne aves-
sero moltissime.
La ragione di tanta povertà sta in questo che
la Romana Inquisizione, od il tribunale del Vi-
cariato, facevano fare, sovente delle perquisizioni
nelle scuole e nelle case del Ghetto, e vi sequestra-
vano i manoscritti ed i libri ebraici e non ebraici,
affidando T esame degli uni e degli altri ad un ap-
posito revisore, generalmente frate dell'ordine di
san Domenico, che è ovvio il supporre di non
troppa intelligenza ed erudizicHie.
IL GHETTO DI ROMA 75
Udito il responso del revisore, l'Inquisizione od
il cardinal Vicario restituivano ai rispettivi pos-
sessori le opere manoscritte o stampate reputate
innocue, ritenendo quelle non giudicate tali che
proscrivevano in perpetuo. Avveniva talvolta che
si concedesse Tuso di alcuni libri giudicati non
del tutto censurabili, nò interamente innocui; ma^
prima di restituirli, il frate che li aveva esaminati
vi cancellava i passi pericolosi, periodi, propo-
sizioni e pagine intere, mutilandoli cosi sconcia^
mente, quando non s' induceva ad alterarne e fal-
sarne lo spirito sostituendo periodi, proposizioni,
pagine e capitoli ortodossi laddove potesse, anche
lontanamente, ravvisarsi qualche allusione poco
reverente, o qualche opinione un po' eterodossa.
Le correzioni e le castrature che la censura
papale faceva tanto ai libri, che alle produzioni
teatrali, sono divenute ridevolmente celebri. Tutti
sanno che si cambiò la Norma in Foresta d'Irmin-
sul^ e che per una regola che non ammetteva de-
roga si doveva dir non Dio ma cielo^ non libertà
ms. lealtà. Una volta un revisore dei sujlodati do-
veva apporre il nidla osta ad uno di quegli inno-
centi libretti modestamente destinati a spiegare le
azioni coreografiche. Ad un certo punto leggevasi
«... si getta ai piedi della regina ed a lei chiede
amore. » Il casto rappresentante dell'autorità ec-
clesiastica rimase scandalizzato della frase im-
morale, prese con atto sdegnoso la penna, inforcò-
gli occhiali e cancellata la parola amare, corresse
il perìodo a questo modo : < si getta ai piedi della
regina ed a lei chiede il ducato del Friuli. »
Il povero sor Cencio Jacovaccì, l'eterno impre-
sario dell'Apollo, rise in faccia al revisore, malgrado-
76 ETTORE NATAU
il rispetto che il sor Cencio soleva ostentare per
tutte le autorità costituite ; ma il libretto dovè
metterlo in vendita con la peregrina correzione. Il
pubblico, come al solito, prese la cosa in burletta,
-e per vari anni i giovani più eleganti e più in-
liraprendenti solevano richiedere d'amore le donne
colla formula divenuta di moda : « mi dà il .du-
cato dar Friuli I? »
Ah uno disce omnes : e questo esempio che ho
riportato valga a far comprendere quali e quanto
logiche dovevano essere le coi'rezioni che si face-
vano alle opere sequestrate agli israeliti nelle larghe
e frequenti razzie di libri che si operavano in
"Ghetto.
Il primo bruciamento di libri sacri e di Bibbie
-di cui si abbia memoria in Roma fu quello ordi-
nato nel 302 dall'imperatore Diocleziano, il quale
-iioì libri degli ebrei fece distruggere a migliaia e
migliaia anche quelli dei cristiani. Ai tempi dei
7)api, di tutte le perquisizioni ordinate nel Ghetto
■di Roma, rimase famosa quella del 1753. L' In-
quisizione fece in quell'epoca perquisire pure i
<jhetti di Ancona, di Ferrara, di Senigallia, di
Lugo, di Pesaro, di Urbino e di molti altri luoghi,
raccogliendovi larga messe di manoscritti e di
^stampati.
Cosi, essendo l'archivio israelitico di Roma an-
dato soggetto a moltissime perquisizioni, è assolu-
tamente impossibile lo stabilire con dati di fatto
-quali e quanti codici e libri rari e preziosi fossero
tolti al Ghetto per accrescere il patrimonio scien-
tifico e letterario delle biblioteche di Roma, e
:«pecialmente di quella del Vaticano, ricchissima
-di codici ebraici e caldaici, d'incunabuli e di libri
IL GHETTO DI ROMA IT
rari e di gran pregio,. che appartennero già alle
cinque scuole israelitiche di Roma, od a sludiosi e
bibliofili che, per le loro credenze religiose, erano
costretti ad abitare in Ghetto.
•*•
Anche più ricca della Vaticana in fatto di co-
dici ebraici fu senza dubbio la biblioteca privata
del De Rossi; ma di questa non so dar conto e
devo limitarmi a dire brevemente della Vaticana.
Essa possiede 650 codici ebraici dei quali sono
citati *:
453 nel catalogo assemano ;
59 id. della Urbinate ; e
78 nel catalogo del cardinale Angelo Mai.
Un'altra cinquantina di codici ebraici non sona
ancora catalogati.
Fra i catalogati, gli unici codici che, a mio av-
viso, possono risguardare, e che molto probabil-
mente appartennero alla sinagoga romana, sono:
V^ Il codice CCCXX 'membranaceìis di 595 pa-
gine, scritto parte in lettere quadrate, parte in let-
tere rabbiniche. Appartenne prima alla biblioteca
Palatina, e fu scritto nel quindicesimo secolo. E
intitolato Machazar scel col Hasciana Libellus pre-
cum, vita Sinagogae romanae]
2^ Il codice CCCXXI in ottavo, di 231 pagine,
scritto in carattere rabinico nel secolo decimo -
quarto, e porta per titolo Siddur Thephilloth che-
MENHOG Roma {ordo precumjuxta rilum Synagogae-
romanae.
rS ETTORE NATALI
Il più pregevole, specialmente per antichità,
è il codice che porta il numero XXXI. Non so
^e abbia mai appartenuto alla sinagoga, ma è
assai probabile. Esso è in foglio membranaceìis^ di
112 pagine, scritto in lettere quadrate, e rimonta
nientedimeno all'anno 1073. Porta per titolo : Com-
-mentarius Levitictim qui Siphra vocatur e vi si
espongono i doveri e le preghiere dei sacerdoti.
Si è molto discusso, fra i dotti, per stabilire
l'autore di quest'opera preziosissima, ma nulla si
è potuto concludere. In calce del libro trovasi la
seguente scritta :
« Eaplicit liber iste anno ab orbe condito 4833 ah
^ excidio Templi, quod utinam nostra hac aetate
« qitanto cuyus re aedificetur 1005, »
Ma basti della biblioteca Vaticana, altrimenti si
andrebbe troppo per le lunghe : soltanto sappiano
gli studiosi come in quella pregevolissima raccolta
di libri siano pur conservati alcuni codici sama-
ritani in rotoli ; uno di questi rotoli è lungo oltre
sei metri e mezzo.
È ben inteso che qui non ho creduto di far men-
zione d'altro che dei codici manoscritti, perchè dei
libri stampati ve ne sono, e nella Vaticana e
ovunque, a iosa.
La prima Bibbia che siasi stampata in lingua
italiana lo fu a Venezia nel 1495 e porta il titolo
di « Bibia vulgare historiata^ di Nicolò Malermi. »
E meno male quando i libri preziosi tolti agli
«brei erano trasportati in qualche pubblica biblioteca;
■che il più delle volte erano condannati al rogo a
IL GHETTO DI ROMA 79
venivano solennemente bruciati perniano del car-
nefìce.
Fra tutti i libri giudaici, quello che dai papi fu
fatto segno a maggiori persecuzioni è il Talmud
•del quale pertanto dirò brevemente senza perdere
di vista la storia degli ebrei romani.
Il Talmvd, la parola significa insegnamento, è
una voluminosa compilazione fatta o dai rabini rima-
sti in Palestrina, nei primi quattro secoli dalla ca-
duta di Gerusalemme, o da quelli di Babilonia che
in modo più ampio fecero una raccolta di scritti
«ino al sesto secolo dell'era volgare.
Il primo Talmud dicesi perciò di Gerusalemme,
l'altro più ampio e meno oscuro dicesi di Babi-
lonia.
I compilatori ebbero per scopo di riunire e sta-
bilire le regole minuziose e fisse della religione
giudaica, regole fino allora tramandate con la tra-
dizione, la (]uale era rimasta interrotta per la ca-
duta di Gerusalemme, e per la distruzione del
Tempio. A ragione quindi il Reinach osserva il
Talmud essere stato, per gli ebrei dispersi nel globo,
una specie di patria morale che ricordava a loro
gli usi e le leggi della patria distrutta.
Sarebbe troppo lungo, e qui non opportuno, de-
scrivere questo libro del quale tanti parlano, e che
tanto pochi hanno letto. Si volle da alcuni para-
gonarlo al Vangelo dei cattolici, od al Corano dei
maomettani, ma la comparazione, a mio avviso, e
erronea, poiché il Vangelo ed il Corano furono
scritti per bandire una nuova fede, mentre il Tal-
mud è una raccolta di massime, di precetti, di trat-
tati, di leggi, di preghiere, di usi, di costumi, dalla
tradizione riunite per mantenere viva una fede an-
80 ETTORE NATALI
tica in un popolo proscritto, perseguitato, e privo di
una patria. Il Vangelo ed il Corano furono libri
di combattimento, scritti per conquistare, mentre
il Talmud è stato redatto per organizzare la resi-
stenza, e per far argine alle aggressioni. I rabini
compilatori del Talmud sono i loro santi padri, e
spesso gli ebrei hanno anteposto questi scritti
all' autorità degli stessi libri rivelati. Né deve
dimenticarsi come questo libro sia stato compilato
da gente proscritta in un momento di terrìbili per-
secuzioni e da parte delle autorità pagane impe-
riali, e da parte dei zelanti seguaci della nuova re-
ligione che aveva avuto origine nella Giudea stessa.
Sa quindi in alcune parti di esso s'incontra qualche^
polemica un po' aspra, ed un pò 'di fiele, la cosa
è naturalissima. Sorprenderebbe il contrario.
La prima persecuzione seria ordinata contro il
Talmud rimonta a papa Gregorio IX. Il libro, solo
studio e sola cura dei semiti, era quasi sconosciuto-
ai cattolici, perchè non era stato mai tradotto in
alcuna lingua europea. Adesso se ne sta facendo
la traduzione in lingua francese per cura dell' Al-
liance israélite univarselle^ ed è questa la seconda
traduzione dopo l'inglese, della quale si è già esau-
rita la prima edizione.
In tutte le epoche, come osserva saggiamente-
il Leusdenio, molti teologi censurarono i libri tal-
mudici senza averli né veduti né letti.
Chi si dette premura di richiamare l'attenzione
del papa e del clero sul Talmud fu un ebreo
apostata, di nome Nicola Donin, che denunciò il
libro come contenente ingiurie e bestemmie contro
la religione di Cristo.
Le accuse dal Donin messe in voga furono quelle-
IL GHETTO DI ROMA 81
stesse ripetute sempre contro i giudei, anche ai
tempi nostri, da tutti i persecutori del semitismo.
Allora, come ora, si volle far risalire al Talmud
la causa prima di tutte le colpe, di tutti i difetti
degli ebrei, ed il Donin nel secolo decimoterzo disse
del libro ebraico ciò che è stato anche recente-
mente ripetuto dall'antisemita Drumont nella France
Jùive. Si legge sul Talmud, dice il partigiano
francese, che Gesù Cristo è nell'inferno affogato
nel fango bollente, che la Vergine ha partorito
dopo adulterio con un soldato di nome Pandara, che
le chiese vi si chiamano cloache, e i predicatori ab-
baiatori; vi si inculca la necessità di uccidere ì
cristiani, e chi più ne ha più ne metta. Non è
quindi difficile immaginare l'impressione prodotta
da simili accuse presso popoli ed in epoche igno-
ranti, e spiegarsi la persecuzione derivatane dopa
la bolla scritta da papa Gregorio IX al re di
Francia nel 1230.
Lo storico H. Milmann parla del Talmud come
di un monumento « straordinario dell'attività umana,»
dell'intelligenza umana, e dell'umana pazzia. » Nel
medio evo i teologi nemmeno si occupavano a con-
futarlo seriamente ma si contentavano di dire,
con sorriso di scherno, lex Judceorurriy lex pue-^
rorum. Monsignor Giustiniani, uno dei più dotti
idrati dell'ordine domenicano, peritissimo nella lin-
gua ebraica, teneva assai cari i libri talmudici e
lasciò scritto a tale riguardo : mihi comparavi, oh-
servoque apud me, perinde ac reges margaritas ao
gemma s.
6 — E Natali, Il GhAto di Roma,
82 KTTOItB NATALI
-*-
Nelle scuole israelitiche di Roma si studia il
Talmud di Babilonia meno conciso ed assai più
chiaro ed intelligibile dell'altro di Gerusalemme.
Ih Roma per altro, dal secolo decimoterzo, ossia
dalla persecuzione di Gregorio IX, fino air anno
1847, gli studi talmudici si dovettero fare, non sul
testo originale, ma sui compendi o estratti di esso
ridotti ad usura Délphini dall'autorità ecclesiastica,
la quale non ebbe mai la virtù della tolleranza,
e che, da quei compendi, cancellava e sopprimeva
tutti i passi, per una ragione o per l'altra, rite-
nuti poco ortodossi.
Non ostante ciò, e forse perchè i rabini romani
riuscivano facilmente ad eludere la sorveglianza
dell'Inquisizione e àel Vicariato, la scuola talmu-
dica di Roma fu, nei tempi andati, una fra le più
floride e fiorenti, e se in progresso di tempo venne
meno alla sua reputazione ne fu causa precipua il
fatto che il Talmud fu proscritto, dopo GregorìoTX,
da Innocenzo IV nel 1244, da Clemente IV nel 1265,
da Onorio IV nel 1285, da Giovanni XXII nel
1320, dall' antipapa Benedetto XIII nel 1415, e da
Giulio III, Paolo IV, Pio V, Gregorio XIII e Cle-
mente Vili; e non fu permesso che da Pio IV,
Sisto V, Urbano VII, Gregorio XIV ed Innocenzo IX
i quali concessero che fosse pubblicato con molte
correzioni e tagli, e sotto un nome diverso.
Furono sempre, o quasi sempre, gli ebrei con-
ìl ghltto di roma 83
vertiti che indussero i papi alle persecuzioni contro
i libri talmudici, sfuggiti alle anteriori ricerche
perchè gli ebrei avevano la scaltrezza di farli
Vicopiai*e in caratteri romani, anziché in caratteri
ebraici, riuscendo con ciò ad ingannare i cristiani,
sulla natura del libro che, scritto diversamente,
avrebbe destato le diflBidenze e suscitato i sospetti.
Furono, ad esempio, alcuni neofiti che suggeri-
rono a papa Giulio III, nel. 1554, di fare abbru^
ciare i libri talmudici in Roma, nel primo dei dieci
giorni annuali di penitenza che sogliono osservare
grisraeliti. Lo stesso papa fece dare^ alle fiamme
i libri del Talmud poche settimane dopo in Bo-
logna, poi in Ancona e successivamente in tutte
le altre città • d'Italia.
Cinque anni dopo, vale a dire nel 1559, Paolo IV
decretò la distruzione dei libri talmudici e di tutti gli
altri libri supposti avversi al cristianesimo che si
potessero rinvenire : soltanto nella città di Cremona
vennero dati alle fiamme nientemeno che 144,000 vo-
lumi. Cosi si legge nello Scialscelet accabalà (Catena
•della tradizione) di Ghedalià Jachia, pagina 117,
e nel libro II pagina 25 e libro IV pagina 310
della Bibliotheca 8 ancia di Sisto Senense.
Seguendo V esempio di parecchi de' suoi prede-
oessori, s. Pio V fece abbruciare 20,000 esem-
plari del Talmud. Il libro, causa di tante preoc-
cupazioni ai papi, fu dannato al fuoco anche da
Clemente Vili, che, con sua bolla del 28 febbraio
1592, confermò il divieto di tenerlo e di farne argo-
mento di studio.
La Congregazione dell'Indice — creata, nella
forma attuale , nel 1600 — fra i primi libri con-
dannati annotò il Talmud e le opere di tutti i ccm-
84 ETTORE NATALI
mentatori talmudici, sicché, per ordine del Sant'Uf-
fìzio, questi libri furono solennemente bruciati in
Roma, sulla piazza di Campo di fiori, nell'anno 1553.
■*•
Una grande controversia sul Talmud fu pro-
mossa da un altro ebreo convertito, Giuseppe
Pfeffercorn di Colonia. Si levò allora a difesa del
libro semitico il Reucblin, uno dei più dotti soste-
nitori del Talmud, scrittóre anche di lavori cabali-
stici, dei quali uno, dal titolo La parola^ dedicò al.
papa. Sollevò molto rumore questa polemica, soste-
nuta dal Reuchlin contro i domenicani, i quali
ne volevano dannare al rogo le opere e forse-
anco l'autore.
A giudice della controversia Reuchlin scelse
Leone X, un papa dai sentimenti pagani, artista
e non teologo, eccessivamente amante di diver^
tirsi e studioso di evitare le cure serie col tem-
poreggiare ; un papa che alzava le spalle quando
gli parlavano delle prediche di Martino Lutero,
esclamando : « Sono liti di frati ! » Ed erano il
principio della più grande rivoluzione religiosa del
tempi moderni !
Leone X incaricò il vescovo di Spira di stu-
diare la controversia, ed il vescovo la decise contro
i frati domenicani: questi però non^si dettero per
vinti, ma se ne vennero a Roma ad esporre le loro-
ragioni innanzi alla Curia pontificia. Il papa non»
ebbe il coraggio di dar torto ai potentissimi frati,
ma mandò, come si usa spesso alla Corte di Roma,.
IL GHETTO DI ROMA S5
le cose tanto per le lunghe, che l'Inquisitore Ho-
chs+raten, grande nemico del Reuchlin, se ne do-
vette partire stanco e scornato, senza aver avuta
vinta la lite.
Dopo tal fatto, il Talmud, già dato alle stampe
per la prima volta dal Bomberg di Venezia nel
1520 , venne impresso pure in Anversa con pri-
vilegio dello stesso Leone X.
Sono certo che mi verranno accuse per non
aver gettato l'anatema contro il Talmud ed i tal-
mudisti, come per avere illustrato in questo scritto
gli ebrei di Roma, ma non mi darò molto d'attorno
per confutare gli accusatori. Mi basti qui di osser-
vare che la persecuzione contro gli studi talmudici è
^cessata nel 1847 per ordine di un papa. Pio IX ,
e che la difesa di questo liberale provvedimento fu
strenuamente sostenuta da uno dei più grandi nostri
patrioti. Massimo D'Azeglio, il cavaliere senza
macchia, il Bajardo dell'Italia risorta. Né potrei
meglio por termine alle cose dette intorno al
Talmud che riportando le parole dal D'Azeglio
scritte a pagina 41 dell'opuscolo SulV emancipazione
'Cimle degli israeliti (Firenze 1848) :
« Esaminando le leggi e la morale degli israe-
« liti, dai primi tempi fino ad oggi ^ io non trovo se
« non precetti che tendono alla carità ed all'amore
«del prossimo, senza distinzione di culto odi fede.
« In opposizione alle massime tendenti a stringer
« vieppiù fra gli uomini i vincoli sociali, ve ne sono,
« è vero, nei codici Talmudici e nei libri Rabbinici
<fi alcune. invece che spirano odio ed intolleranza : ma
«è da considerarsi essere i due codici Talmudici,
«tanto il Gerosolimitano che il Babilonese, stati
« compilati mentre ancora vigeva il paganesimo, il
86 ETTORE NATALI
« quale si rendeva doppiamente odioso agli israeliti
« col peccato d'idolatria, il più abborrito da essi, e
«colla crudeltà della persecuzione. I libri degli an-
«tichi Rabbini furono anch'essi scritti sotto l'im-
« pressione dell'odio e dello spavento che dovevano
« destare le orribili sevizie del medio evo ; ma nes-
« suna di queste autorità è accettata o riconosciuta
« dai Rabbini o dagli Israeliti presenti ; e tenerli ca-
« paci di porre in pratica massime unicamente deri-
de vate da paissioni e da circostanze straordinarie
^ sarebbe lo stesso che credere capaci i Cristiani del
« secolo XIX di riaccendere i roghi dell' Inquisii
< zione, »
Oli ebrei nei ]
Il ^ogo della schiavitù. cominciò a pesare grave
sui figli d'israello quando, dopo l'ottocento, i papi
incominciarono ad usufruire del potere temporale:
' ce lo dimostrano le cerimonie con le quali si
accompagnava ogni nuovo pontefice a prender
possesso del soglio apostolico. Le più fastose ric-
chezze della corte bizantina, il lusso più splendido
dei prodighi sovrani orientali, sono un nulla a pa-
ragone dello sfarzo onde &ceva pompa il neo eletto
pontefice , allorché dal Vaticano si recava, a tal
uopo, nella basilica lateranense madre e capo
di ogni chiesa del mondo. Migliaia di gentiluo-
mini, di paggi, di prelati, precedevano il papa,
che a mala pena poteva reggere il peso dell' oro
e delle gemme preziosissime di che era ricoperto. -
Strano miscuglio di sacro e di profano 1 -— i
88 ETTORE NATALI
fanciulli prendevano parte al reale corteo cantando
versi osceni, come solevasi nelle feste dell'antica
Roma: a proposito della presa di possesso di Gre-
gorio IX un autore lasciò scritto che puerilis lin^
guae garrulitas procacia Fescennina cantahat. E
noto che i versi fescennini usavansi cantare nelle
feste nuziali e sempre da fanciulli, forse per amore
dei contrasti. Ce lo attestano molti scrittori e fra
gli altri Varrone : pueri obscosnis verbis novoe
nuptce auree recludunU
In queste occasioni adunque il Servo dei servi
incedeva con pompa tale, quale mai si vide adottata
da imperatori e da re. Qualche volta anzi i sovrani
prendevano parte alle cavalcate dei possessi pon-
tefici — accompagnando a piedi il papa e reggen-
dogli la staffa nell'atto che montava sulla* bianca
ghinea. Cosi avvenne per reiezione di Bonifacio Vili
accompagnato da Carlo II re di Sicilia e da Carlo
Martello re d'Ungheria, che lo precedettero a piedi
durante tutto il percorso dal Vaticano alla basilica
lateranense. Fu in questo passetto di Bonifacio Vili
che scoppiò in mezzo alla folla, accalcata per ve-
dere il passaggio del corteo, una rissa feroce nella
quale rimasero uccise quaranta persone.
Ora, fra le rappresentanze di ogni ceto di citta-
dini, che si affollavano sulla strada per rendere
omaggio al pontefice eletto, doveva trovarsi anche
una deputaziane di ebrei, con a capo il rabino,
portante in ispalla il rotolo del Pentateuco, il libro
pel quale gli ebrei hanno sofferto Un martirio di
dodici secoli: lo recavano misteriosamente ve-
lato, adorno d'oro e di gemme^ e ricoperto da un
manto di velluto e di seta, come il figlio di un re.
L'esemplare del Pentateuco, che dagli ebrei si pre*
IL GHETTO DI ROMA 89
sentava al papa, non era rilegato in libro ma. era
formato in un volume di una sola pergamena,
come vedesi nella biblioteca Vaticana, ove se ne con-
serva più di uno. Quei poveretti stavansi compresi
di timore o di timida speranza, costretti in ogni
papa nuovo a salutare il Signore che ad essi avrebbe
<joncesso un asilo. D'altronde era sempre con gioia
che salutavano il nuovo eletto perchè durante la
«ede vacante danni e mali gravissimi travaglia-
vano la popolazione romana in balia di ardite fa-
zioni baronali e di sgoverno inenarrabile; ogni
nuova elezione faceva cessare l'anarchia, e dava
allo Stato un moderatore. Sovente i disordini co-
minciavaao prima che il papa entrasse* in agonia
e Roma dava ogni volta il brutto spettacolo di
inaudite licenze, di cui erano in ispecial modo
vittime gli israeliti, a proteggere i quali nessuno
pensava avendo ognuno in quei giorni troppo da
fare a badare ai casi suoi. In quella che il capo
della sinagoga porgeva al papa il libro attribuito a
Mosè, gli ebrei leggevangli negli sguardi biechi o
benevoli la loro sentenza, di tolleranza o di op-
pressione, ed aprivano il cuore alla speranza se
il santo libro era loro restituito dopo che il so-
vrano vi aveva gettato uno sguardo e pronun-
ciato le parole - legem probo ^ sed improbo' geritevi.
Guai però se un papa fanatico gettava in terra
con dispregio il Pentateuco, e con voce severa
apostrofava il rabino, qtumdampopulusy nunc hostis!
Quello sguardo bieco, e quell'atto sprezzante erano
il segnale di nuove persecuzioni, che cominciavano
appunto mentre fissavano timidamente lo sguardo
sull'uomo che procedeva adorato come un Dio, e,
«piandogli sul volto che appariva appena fra il
90 ETTORE NATALI
fumo degli incensi, cercavano di scoprire se per
caso qualche indizio, qualche segno mostrassero
in lui l'atteso Messia. Ciò osserva in una lettera,
pubblicate dal Mehus, Jacopo di Scarperia : Judeos^
in supplicationem hanCj quum per leges suas fu-
tarum esse principem promittatur^ qui de captivitaie
liberaturus sit eie, eos tum experiri, an Pontifex
noster forsitan Ule sit.
^
L'uso di presentare al papa la legge mosaica
fu seguito sen2;a interruzione dal 1145 in poi, da
quando cioè prese possesso Eugenio III; e la ce-
rimonia ebbe sempre luogo anche quando la coro-
nazione ed il possesso seguivano fuori di Roma..
Vediamo infatti una rappresentanza della congre-
gazione israelitica romana prender parte alle feste
che si fecero in Aquila per l'elezione di Cele-
stino V ; in Pisa il 7 luglio del 1049, per l'elezione
di Alessandro V ; e finalmente in Venezia, per la
coronazione di Pio VII. Nell'Ordine XIII è stabilita
che venendo in Roma il riuovo papa, eletto fuori,,
dovesse incontrarsi alle falde del monte Mario,
presso la chiesa di S. Maria Maddalena, e che
ivi Judei oecurrant cum Lege et Laudibus, In premio
di queste lodi o dell'atto di omaggio gli ebrei rice-^
vevano dalla Camera apostolica venti soldi provvi-
sini, ma per dimostrar sudditanza erano tenuti a
presentare alla Camera stessa una libbra di pepe
e due di cannella.
IL GHETTO DI ROMA 9F
Anche prima del possesso di Eugenio III la pre-^
sentazione del libro Santo era stata fatta a qual-
che papa ; ed una volta gli ebrei lo presentarono
contemporaneamente a due pontefici che si con-
trastavano il soglio papale. Il cardinale Gregorio
di S. Angelo eletto ai 15 di febbraio del 1130 do-
vette fuggire da Roma cacciato dal partito che in
quello stesso momento aveva eletto a pontefice
uno della famiglia dei Pier Leone. Il cardinale^
Gregorio, che prese il nome di Innocenzo II, so-
stenuto soltanto da pochi cardinali e dai Frangi-
pane, per Genova e Pisa fuggi in Francia e fu
trionfalmente accolto a Parigi. Fra il popolo fe-
stante che acclamava il pontefice era una nume-
rosa schiera di ebrei che presentò ad Innocenzo-
il libro della legge ricoperto da un velo. Il papa
tolse il velo e parlando loro benevolmente disse:
« che cosi Dio tolga dai vostri cuori il velo che
li ricopre.» Il fatto viene cosi narrato dal Suger :
Nec etiam Judceorum Parisiensium exccscata defuit
Synagoga, quce legis Utteram, rotu'am. scelicet ve-
latam offerens, ab ore eius hanc mis'iricordve et
pietatis obtinet suppUcationem : Auferat Deus omni-^
poterti velamen a cordibus vestris.
4-
Quasi nello stesso momento gli ebrei di Roma^
riuniti nel rione di Parione, presso al favoloso pa--
lazzo del prefetto Cromazio, presentavano il Pen-
tateuco ad Anacleto, che poteva dirsi uno dei loro,
perchè la potente famiglia dei Pierleoni era di ori-
gine ebraica, onde il Papa fu chiamato dai suoi ne—
^2 . ETTORE NATALI
mici Judeus pontifex a Judceis propugnatas : difatli
Anacleto era pronipote dell'ebreo convertito Pietro
di Leone, ed i suoi nemici dissero che egli saccheg-
giasse le chiese, e Judceos ajunt esse qu-cesitos, qui
sacra vasa, et immagines deo dicatas audaciter com-
minuerent. Il mondo riconobbe legittima l'elezione
d' Innocenzo e non volle saperne di Anacleto, quan-
tunque avesse avuto i suffragi di un maggior nu-
mero di cardinali, e l'appoggio della maggior parte
delle nobili famiglie romane, fra le quali i Tibaldi,
gli Stefani, i Berizoni, i SantVEustacchio e molti
altri. Non lo si volle riconoscere per le fattezze
ebraiche del viso, dimenticando, come osserva Gre-
gorovius, che Pietro e Paolo ebbero indubbiamente
faccia d'ebreo più di Anacleto. S. Bernardo cui
fu rimessa la decisione sulla legittimità di Inno-
cenzo o di Anacleto, giudicò a favore del primo
perchè non poteva, egli disse, ritenere legalmente
eletto al trono pontificio uno che egli considerava
Judaicam sobolem,
Anacleto, fra gli antipapi, nella gerarchia catto-
lica, è annoverato come il quarantesimo. Sono, come
è noto, antipapi quei pontefici non riconosciuti nella
predetta gerarchia e che furono eletti da parte dei
-cardinali e del clero negli scismi avvenuti dal se-
colo terzo al secolo decimoterzo. I principi cristiani
si dividevano, e non sempre per ragioni puramente
religiose, e chi sosteneva un pontefice e chi ne so-
steneva un altro. Anacleto infatti potè reggersi in
Homa, sul soglio di Pietro, per sette anni, aiutato
efficacemente dal re di Napoli e dai romani, i
quali dopo lui elessero un altro romano, Gregorio
<k)niì cardinale di Santi Apostoli (Vittore IV). Ma
«uUà maggior parte della cattolicità prevalse il
j
IL GHETTO DI ROMA 9^
partito dei re di Francia, di Pastiglia e di Ara-
gona e gli eletti dal clero e popolo di Roma non fu-
rono annoverati fra i pontefici di santa romana chiesa.
Gli storici devoti al papato hanno coperto di con--
tumelie la memòria di Anacleto asserendo che in
gioventù aveva menato vita tristissima tanto da
meritare il soprannome di anticristo. Lo hanno per-
fino accusato d'incesto, dicendolo amante della
propria sorella Tropea Pierleoni. Non è facile scer-^
nere in queste accuse il vero dal falso ; nondimeno
è prudenza il non prestarvi gran fede perchè per
l'indole stessa degli scrittori dai quali provengono
appaiono infarinate da troppa partigianeria.
Di certo si sa che Anacleto fu dapprima monaco ;
che da papa Pasquale II fu nominato cardinale dal
titolo dei Santi Cosmo e Damiano, e da papa Ca-
listo II trasferito al titolo di S. Maria in Tras-
tevere. Eletto pontefice nel 1130 fu cons£tcrato
nella chiesa di S. Pietro, e finché mori ne fu gene-
ralmente riconosciuta l'autorità.
Dalla famiglia dei Pierleoni la chiesa trasse
molti altri fra i suoi dignitari, e di essa furono i
cardinali Ugo (1173) dal titolo di S. Clemente,
Egidio (1190) vice cancelliere della chiesa, e Guido
(1127) vescovo di Palestrina. I Pierleoni ebbero pure
molta parte negli affari e nel governo della città.
E di un altro papa ebreo e monaco si trova
traccia in una leggenda popolare, poiché anche i
papi — e s.irebbe da meravigliare il contrario —
ebbero le loro leggende. Venuto di Lamagna,.per
la trafila delle grandi abbadie tedesche, come la
papessa Giovanna, il monaco ebreo raggiunse ben
presto le maggiori dignità della Chiesa e final-
mente cinse la tiara.
^i ETTORE NATAU
Mai la navicella di Pietio corse acque migliori
<5ome sotto il suo governo, oiide vedeva correre
lieti e tranquilli i suoi giorni, circondato dall' am-
mii'azione dei famigliari e dalla venerazione e dal-
l'amor dei fedeli.
Il papa, tutto dedito alle alte cure del suo Stato,
non si permetteva che un solo ed innocente svago,
il giuoco degli scacchi, nel quale sopra ogni altro
«eccelleva.
Convenivano alla Coite papale i migliori cam]: ioni
del nobile passatempo, ma, nessuno poteva vantai'si
di troppe vittorie.
Era di primavera, ed il pontefice abitava al
Laterano, quando corse per Roma la voce dell'ar-
rivo di un vecchio giudeo tedesco, famoso nel giuoco
diletto al primo servo di dio.
Il papa volle riceverlo e secolui misurarsi : ma
fin dalle prime mosse s'accorse di aver di fronte,
per la prima volta forse, un avversario degno di
lui. E la sua meraviglia raggiunse il sommo grado
<][uando, ad una mossa decisiva , la mossa cui do-
veva spesso le sue vittorie, trovò una risposta che
nessuno, che non fosse di sua famiglia , avrebbe
•dovuto conoscere.
Come alla parata famigliare al signor D'Artagnan
Athos conobbe, allo scuro, l'antico compagno d'armi
e di pericoli — il papa indovinò alla risposta del
vecchio ebreo tedesco il padre, dal quale tante av-
venture e tanto tempo lo avevan diviso, e, levatosi
improvviso, gli si gettò nelle braccia, sfidando il
profondo stupore dei cortigiani.
Quel che seguisse poi la leggenda non dice , e
le nubi più fitte coprono del loro mistero lo scio-
glimento del drammatico intreccio.
n. GIIRTTO DI ROMA 95
■f
La costumanza del semplice omaggio al nuovo
pontefice è anche più antica, e deve ripetere la
sua origine dai trionfi dei Cesari ; forse ebbe a scopo,
sul principio, di mostrare sempre meglio il trionfo
di Cristo sul giudaismo. Nelle storie la troviamo ri-
cordata fin dal 1119 nell'elezione di Calisto II, e,
con qualche modificazione, seguita fino ai giorni
nostri. Il sito ove questa cerimonia aveva luogo
fu da prima presso la torre di ser Stefano di Pie-
tro, ove ora è la piazza del Biscione, quindi a
Monte Giordano ove gli ebrei si raccolsero quando
fu eletto Nicolò V, di casa Orsini. Il popolaccio,
facile a schernire i deboli, martoriava talmente
gli ebrei riuniti per presentare la Bibbia , che un
papa, Innocenzo Vili, ne fu mosso a pietà ed or-
<linò che loro si desse un posto speciale, fra i merli
•di Castel s. Angelo, forse senza pensare che anche
nella scelta di quel luogo era vi alcun che di cru-
-dele, perchè la Mole Adriana ricordava agli ebrei
rimperatore che aveva distrutto da cima a fondo
<jerusalemme.
Nel secolo decimo quinto, infine, la presenta-
zione del Pentateuco fu abolita, e gli ebrei do-
vevano adobbare, a loro spese, l'arco di Settimio
"Severo, ed una parte del Foro, ed ivi erano ob-
bligati a riunirsi per far plauso al papa che vi
passava recandosi al Lat erano.
Il luogo, che nei tempi più prossimi a noi, doveva
96 ETTORE NATAU
essere adornato a spese della congregazione israeli-
tica, era il tratto di via compreso fra l'Arco di Tito
ed il (Colosseo, luogo maledetto per loro, perchè
ricordava la distruzione del tempio di Salomone e
la caduta della patria; tanto maledetto che sotto
quell'arco nessun ebreo voleva mai passare, sicché
nel medio evo a lato del monumento era stato
foriftato un viottolo, pei giudei, che non sarebbero
mai passati sotto l'arco del vincitore Sei loro padri,
sotto quell'arco che ricordava la più terribile delle
sventure toccate alla loro nazione.
Qualche volta, raramente, una deputazione del
Ghetto era ammessa a rendere omaggio al papa,
neo-eletto, nel palazzo pontificio. L'uso allora vo-
leva che gli ebrei stessero sempre prostrati nella
prima delle anticamere pontificie, e nell'andarsene
baciassero il terreno sul quale aveva posato il piede-
dei papa, che, come gente impura, non éran cre-
duti degni di baciarne, non dico i piedi, ma nep-
pure il lembo delle vesti.
IL GHETTO DI ROMA 99
molire da Alessandro VII, verso Tanno 1668, per
ampliare la via del Corso.
« Nel medesimo anno, prosegue il diarista, a
« di 10 febraro, Paolo II, fece correre un palio, e
« fu una canna di velluto verde, una barretta^ e
<( un paro dì calze alli Garzoni di 15 anni in giù ;
« e lo detto palio fu corso da San Marcello fino
« a piazza di San Marco.
« Alli 15 del detto mese, la Sua Santità fece
« fare un convito da mangiare nobilissimo, che
« saria cosa incredibile a chi V udisse raccontare,
« a cittadini tutti romani, al Senatore, e a tutti
« li Forastieri che erano in Roma, e poi gittao
« grandissima quantità di danari mangiato che fo.»
« A di 16 sopradetto fu corso un palio di quat-
« tro canne di verde da San Jacomo d' Austa fino
« a San Marco dall'Asini.
« A di 18 del mese di febraro, del martedì che
« fu lo Carnebale, fu corso V altro palio de 4 canne
« di panno celeste dalli Bufali. »
Dalla descrizione del nostro diarista appren-
diamo dunque che gli ebrei dovevano correre per
uno spazio più lungo che non le altre persore chia-
mate a dare tale spettacolo. Che la corsa degli
ebrei avesse principio dalla piazza di san Lorenzo
in Lucina, Paolo dello Mastro ce lo attesta anche
nel diario dell'anno successivo, nel quale si legge :
« A di 2 di febraro del 1467 fu corso lo palio
« delli Judei, canne tre di panno roselo, dall' arco
« di Santo Laurentio in Lucina fino a San Marco. »
Non si trattava di cosa da poco, ma di uno spazio di
oltre un chilometro, e non piccola doveva essere la
fatica ?e qualche volta accadde che quei disgraziati
venissero meno a metà della strada e qualcuno
100 ETTORE NATALI
perfino vi morisse. Ciò segui, come lo attesta l'Os-
sani, nelle corse dell' anno 1547, nelle quali un
ebreo corridore rimase morto.
In un documento ricordato dal diligentissima
Curzio Antonelli è scritto : « Lunedi i soliti otto
« ebrei corsero ignudi il palio loro, favorito da
« pioggia vento et freddo, degni di questi perfidi
« mascherati di fango al dispetto della grida. »
E di grida non era certo penuria. Per non andar
tanto lungi trovo che l'uso dei maltrattament
dovette durare fino all'abolizione delle corse poi-
ché ogni anno il Governatore di Roma pubblicava
un Bando per ricordare che sarebbe stato punito
con tre tratti di corda e 200 scudi di multa « chi
« ardisca ^otto qualsivoglia pretesto offendere Hebrei
« et Hebree tanto con immonditie, et levargli le
« berrette, et robbe che portano, et offese perso-
« nali. »
Questo ho letto nel Bando del '2S gennaro 1595
di monsignor Annibale Rucellai vescovo di Car-
cassonne, e governatore di Roma; le stesse pene
sono minacciate nei bandi dei monsignori gover-
natori Domenico Foschi vescovo di Tivoli, li 14
febbraio 1596; Ferrante Taverna, li 2ò gennaio
1603; Benedetto Ala, 11 febbraio 1605; Berlingerio
Gessi vescovo di Rimini, 22 febbraio 1620; Giro-
lamo Grimaldi, li 2 febbraio 1630. Li 4 febbraio
1637 monsignor Giovanni Battista Spada minaccia ai
trasgressori le stesse pene come se avessero oflPeso
un cristiano, e cosi di seguito.
Quando i romani, ribellatisi ad Eugenio IV, lo
cacciarono via da Roma, ed imprigionarono il Car-
dinal Camerlengo suo nipote, il papa nominò un
Vicecamerlengo che sì chiamò Oubemator in Alma
IL GHETTO DI ROMA 101
Urbe. Di qui roriginedel Governatore che, uffi-
ciale straordinario dapprima, divenne poscia ordi-
nario, sostituendosi quasi nella giurisdizione al Se-
natore, che a poco a poco rimase un personaggio
subordinato alla potestà pontificia.
Né i maltrattamenti dovevano esser cosa da poco,
poiché quasi tutti i bandi cominciano con queste
parole . « Volendosi provvedere alli scandali et in-
« convenienti che sogliono nascere dalle molestie e
« beffe che sHntende darsi giornalmente agli He-
<k brei... »
Nel Bando dei 22 aprile 1671 di monsignor Luigi
Bevilacqua auditore della Rota e governatore di
Roma, o'.tre alle solite proibizioni, si legge ; « Di-
« chiarando che li padroni di casa saranno tenuti
« per i loro servitori, li padri per li figliuoli, li
« maestri per li discepoli.,. » Da tale Bando ri-
mane confermato come nulla vi sia di nuovo sotto
il sole, poiché qui si apprezza la responsabilità con
lo stesso sistema di terrore e di sospetto che si se-
gue ora in Russia. In quel felice paese si é an-
cora in dietro di due secoli!
Ma la severità delle pene minacciate doveva in-
cutere ben poco terrore in tempi in cui il dritto
d'asilo sottraeva al gastigo i rei che chiedevano
protezione a qualunque signorotto, o prelato od
ambasciatore. Né la sorveglianza per impedire i
reati era sufficientemente esercitata dal Bargello
e dai pochi birri che per abitudine lasciavano cor-
rere per la tema della pena della frusta e della
berlina, onde spesso erano puniti se si attentavano
di arrestare anche il più meschino servo di qualche
potentato.
Quanto poi al farsi strada, durante la corsa non
102 ETTORE NATALI
era la cosa più facile di questo mondo, poiché le
carrozze non si allontanavano dal Corso al comin-
ciare dello spettacolo come ci è attestato da tutti
i scrittori e fra gli altri da Goethe, che cosi de-
scrive la corsa dei barberi nel 1778:
« La corda che chiude la piazza del Popolo dalla
« parte del Corso, si abbassa ed i cavalli si slan-
€ ciano nella strada. Sul principio lo spazio è largo
« abbastanza per permettere la gara fra loro ; ma
« subito dopo si trovano chiusi fra due file di car-
« rozze e gli sforzi per passare avanti l'uno al-
« l'altro sono difficili, pericolosi, e non riescono
« quasi mai, perchè, mentre i primi entrati nel
4c Corso continuano la strada con sempre crescer.te
« ardore, gli altri rimasti indietro cercano di rag-
« giungerli, si urtano, si attraversano, si nocciono
« reciprocamente. >
Figurarsi cosa doveva esser prima pei poveri
ebrei i quali non avevano certo la forza dei ca-
valli - per farsi largo fra la folla - mentre si sa
che piccolo era il numero dei soldati corsi e dei
birri incaricati di mantenere l'ordine pubblico, e
di curare l'obbedienza agli ordini contenuti nella
grida.
La qual grida poteva comminar pene quante
voleva, che la plebaglia sfidava i tratti di corda
pur di levarsi, il gusto di tirare fango, sassi e le-
gnate sui corridori. A ragione Gioacchino Belli,
il quale ha lasciato moltissimi sonetti che ci dipin-
gono gli usi degli ebrei ed il poco conto in cui
dessi erano tenuti dal popolino, ricordando come
era nelle tradizioni popolari l'obbligo degli ebrei
di dare spettacolo col correre nel carnevale fece
il bellissimo sonetto che intitolò : « Le curze
IL GHETTO DI ROMA 103
d'una vorta » uno dei migliori lasciatici dairinar-
rivabile poeta popolare romano:
An*ro che rrobi-véochi I antro ch*aeo I
Don Diego eh* ha studiato V animali
Der Muratore, (1) e ha lletto co' 1* occhiali
Guanti liibbri straccfati abbi er museo,
Disce ch^er Ghetto adesso da' li palj
Pe* Yvia eh' anticamente era 1' ebbreo
Kr barbero de cuelli carnovali
A Testacelo, e ar piazzon der Culisco,
Pe falli curre, er popolo romano
Je sporverava (2) intanto er giustacore
Tutti co' un nerbo o una bbattecca in mano.
E sta curza, abbellita de sto piato,
L'inventò un papa, in memoria e in onore
Della fraggellazion de G-gesucristo.
• Qui cade in ac*.concio il notare che i cnstiani
non erano trattati meglio degli ebrei, nelle loro
funzioni di barberi, e che gli uni, come gli altri
dovevano correre semi-nudi.
Gli ebrei che erano costretti a prendere parte
alla corsa non dovevano essere in numero minore
di otto, e le corse di questi disgraziati avevano
luogo sempre, anche quando pioveva.
■^
^ Dal supplizio del correre, perché altrimenti non
può chiamarsi l'inumano spettacolo, poterono alla
perfine gli ebrei riscattarsi, pagando ogni anno alla
Camera Capitolina una somma di 1130 fiormi di oro
(1) Oli annali di Muratori. — (2) Batteva.
104 ETTORE NATALI
pei divertimenti popolari. Gli ultimi 30 fiorini fu-
rono aggiunti in memoria dei trenta denari sbor-
sati per la vendita di Gesù fatta da Giuda.
Nel libro III degli Statuti Romani si prescrive
che da questi 1130 fiorini si dovessero togliere
ogni anno, e pagarli al suonatore della campana
di Campidoglio, cento soldi di Provisini, perchè
se ne potesse fare un tabarro col quale comparire
ne' giuochi di Agone e di Testaccio, quum Eom.
Populo debeat apparere, et stare prò honore Rei'
publicae Romanae. Il suonatore della campana del
Campidoglio non aveva alcun assegno fisso ed
anzi doveva, col suo denaro, pagare tutte le spese
occorrenti per le campane, come corde, grasso
ed altro. Un tale ufficio era nonpertanto molto
ambito perchè molte e molto lucrose propine vi
andavan congiunte ; cosi aveva dritto a largo com-
penso ogni volta che gli si faceva fare, per una
ragione o per l'altra, qualche suonata. Quando, ad
esempio, con la campana annunciava che si stava
per eseguire la giustizia, vale a dire che si stava
per conduri^e al patibolo qualche reo condannato
dal senatore, aveva dritto alla paga di tre giuli
per ogni suonata. Se il giustiziando era ebreo la
campana di Campidoglio taceva.
Altri cento soldi provisini, dei denari che gli
ebrei pagavano ogni anno alla Camera capitolina, si
dovevano dare al custode del leone che vivo si
manteneva in Campidoglio.
È noto che gli antichi romani mantenevano in*
Campidoglio, a pubbliche spese, le oche, sacre a
Giunone, ed i cani. Le prime erano grandemente
onorate e si portavano tutti gli anni in trionfo per
la ciità, perchè dalle oche il Campidoglio era stato
IL GHETTO DI ROMA 105
salvato, mentre i cani, pure condotti processio-
nalmente In giro, erano accolti da segni di ludi-
brio per aver lasciato sorprendere il famoso monte
dai nemici.
Un leone vivo fu mantenuto in Campidoglio,
come ora la lupa, dal 1100 al novembre del 1414,
nel quale anno fu ucciso per aver morto alcuni
ragazzi. Anforio di Pietro, riportato dal Mura-
tori, ci dice a questo proposito : Anno 1414 die
Domenica mensis novembris, de mane fuit inter^
ftctus Leo Capidolii, in palatio maiori ; et hoc
fuit factum^ quia interficiebat pueros. Itera sciatis
quod dictus Leo exivit de Capidolio quando Petrus
Matutii perdidit dominium Urbis, Il leone uc-
ciso fu seppellito presso la casa Jel caporione
di Ripa.
Si narra dal Capogrossi che sul sacro monte
fossero alimentati anche i maiali. I romani in-
cominciarono a prendere i fausti augurii da que-
sto animale sino dal tempo della misteriosa scrofa
<ìi Alba Longa, e poi proseguirono a prevalersene
nei sacrifici, nei contratti, nelle lustrazioni, nelle
espiazioni, ed a poi lo eziandio per insegna nei
vessilli delle regioni. I cento soldi provisini erano
nel medio evo dati anche ai custodes porcorum pal-
lata Capitola e questi animali erano adoprati pei
giuochi del monte Te>taccio.
Un'altra buona parte del denaro dato dagli ebrei
si spendeva per vestire i consoli preposti ai giuochi
ed i cancellieri capitolini. Dal 1815 al 1847 il tri-
buto che gli ebrei dovevano pagare al Senato ro-
mano era stal)ilito in annui scudi 831 e baiocchi
57 e mezzo.
Il pagamento del tributo era talmente grave per
106 ETTORE NATALI
le povere risorse del ristretto numero degli ebrei
romani, che un papa, Martino V, ebbe pietà di questi
disgraziati, e volle che gli altri ebrei dello Stato
pontificio contribuissero nelle spese. Il papa, nel
suo decreto, affermò constargli essere la sinagoga
di Roma molto impoverita.
-f
Clemente IX, Rospigliosi, con un chirografo, di-
retto ai Conservatori -di Roma il 28 gennaio 1668,
concesse agli israeliti la cessazione dell'obbligo del
correre, ed a questo papa, dai sentimenti umani,
devono esser grati gli ebrei perchè tolse loro
eziandio l'obbligo di mandare una squadra di vec-
chi, che, vestiti a foggia antica e grottesca, dove-
vano precedere, fra gli scherzi del popolaccio, la
cavalcata del senatore, quando inaugurava le feste
carnevalesche.
A questo punto mi pare di qualche interesse, il
trascrivere la grida pubblicata nel 1667, ultimo
anno in cui corsero gli ebrei. Eccola:
NOTIFICAZIONE.
« Si fa intendere come in questo Cai:nevale del
« presente anno 1667 si correranno lì Palij nelP in-
« frascritti giorni :
« Lunedi 14 feb. correranno gli Hebrei al loro
-« palio di lana d'argento e turchino.
n. GHETTO DI ROMA lOT
« Martedì 15 detto correranno li somari al palia
« di damasco turchino.
« Mercoledì 16 detto correranno le Cavalle aV
« palio di velluto verde.
« Giovedì 17 detto correranno li Barbari al palio
<c d'Urbino di tela d'oro.
« Sabato 19 detto correranno li Cavalli al palio
« di Ferrara di velluto cremisino.
« Lunedi 21 detto correranno Barbari Cavalli e
« Cavalle unitamente, al palio movo di broccato
« incarnato et oro.
« Martedì 22 detto ultimo di Carnevale corre-
« ranno le Bufale al palio di Damasco ere-
< misino. »
Nell'editto pubblicato pel carnevale del 1668 sono-
non solo abolite le cor:-e degli ebrei ma pur anco
quelle dei somari e delle bufale, con gran van-
taggio della pubblica incolumità, posta in serio
pericolo dalla corsa sfrenata di una bestia sel-
vaggia come la bufala per una strada stretta ed
affollatissima di popolo. Le cor.?e dei vecchi, dei
giovani e dei fanciulli erano già cesiate fin dal
1645, con la qual data trovo stampata la se-
guente^ notificazione che è l'ultima che ne faccia
menzione :
« Lunedi 20 di feb. si correrà il Palio delli He-
« brei j^econdo il solito.
« Martedì 21 detto si correrà il Palio di Urbino
« Barbari, Cavalli e Cavalle mescolatamente.
« Mercoledì 22 detto il Palio delle Cavalle.
v< Giovedì 23 detto il Palio dei Giovani e quello-
« dei Vecchi.
« Sabato 25 detto il Palio dei Putti.
« Lunedì 27 detto il Palio dei Barbari.
108 ETTORB NATALI
« Martedì 28 detto ultimo giorno di Carnevale,
< il Palio di Ferrara Barbari, Cavalli et Cavalle
< mescolatamente, et il Palio di Somari con quello
^ delle Bufale conforme al solito. »
4-
Si è fatto un gran gridare contro la barbarie
<lel far correre gli ebrei; anche questo per altro
non mi sembra un argomento per dimostrare che
fossero in Roma perseguitati, mentre vedemmo es'
sere allo stesso modo destinati a correre i cristiani,
non solo giovani o fanciulli, ma, cosa molto più
inumana, anche i vecchi. La barbarie quindi più
che ad odio contro gli ebrei va imputata ai feroci
costumi di quei tempi semi-selvaggi.
Nello stesso chirografo di Clemente IX furono
•egualmente esonerati dall'obbligo « che il primo lu-
« nedi di carnevale i loro fattori con ruboni accom-
< pagnati da molti ebrei precedessero a piedi la
-« Cavalcata solita farsi dalli magistrati della Città
< di Campidoglio per tutto il Corso. »
Molti storici estesamente parlano dell'origine e
delle controversie cui dette luogo la cerimonia
dell'omaggio che i principali del Ghetto furono te-
nuti a presentare ai rappresentanti del popolo ro-
mano. Il rabbino prostrato innanzi ai Conserva-
tori doveva dire: « Con sensi di viva osservanza
« e devozione , noi rabbino e fattori di questa
« misera Università degli ebrei ci presentiamo
-« avanti l'alto Trono delle EE. W. a prestargli
IL GHETTO DI ROMA ]0^
« riverentemente in nome di essa Università umile^
« ossequio ed omaggio col pregarli a compatirci
« de' loro benigni sguardi, che non si mancherà
« dal nostro ceto implorare Y Altissimo, per la
« lunga tranquillità e quiete del Sommo Pontefice
« felicemente Regnante, e della S. Sede apostolica
« unita alle EE. VV. ed a tutto l'inclito Senato
« e Popolo Romano. »
Il rabbino ed i fattori nel presentarsi iniianzt
al magistrato romano, nelle ore pomeridiane del
primo sabato di carnevale, dovevano porsi in gi-
nocchio sul primo gradino del trono, ed, avutone
il permesso, incominciavano il discorso surripor-
tato stando in piedi e col capo chino.
Dal primo dei conservatori, che rimaneva se-
duto, rispondevasi nei seguenti termini :
«Accettiamo benvolentieri l'omaggio, fedeltà,
« soggezione, ed ossequio che voi, a [nome di tutto
« il ceto ed Università degli ebrei rinnovate aVno-
€ stro magistrato romano, e siccome non vogliamo
« dubitare che sarete sempre per ubbidire al prin-
<{ cipe , ed adempire alla sua legge, ed eseguire
« gli ordini di questo sacro Senato, pagando il so-
« lito tributo e dazio dovuto in conformità delle
« tabelle di questa nostra Camera capitolina, cosi
« di buon animo vi concediamo la nostra prote-
« zione ed assistenza, con fiducia che sempre ve
« ne mostrerete degni. Andate, »
In sul principio, al pronunziare la parola andate-
il magistrato romano faceva atto di dare un calcio
alla rappresentanza del Ghetto, ma al cominciare
del secolo si smise l'uso del calcio, e quindi non
si pronunciò più la parola andate.
Nel palazzo dei Conservatori la sala nella quale-
110 ETTORE NATALI
gli ebrei dovevano prestare l'omaggio era quella
•detta del trono. Il cav. Pompili Olivieri, che come
segretario del Senato ha assistito più di una volta
alla cerimonia dell'omaggio, ci dà alcuni ricordi
concernenti l'addobbo della gran sala del trono
èenatoriale. I tre conservatori, ed il priore dei
capo rioni prendevano posto sopra seggioloni ri-
coperti di velluto ponsò ; il trono era elevato da
.terra di tre gradini. Alla destra dei conservatori
tenevasi, su di uno sgabello situato più basso,
4'avvocato fiscale di Campidoglio vestito di tòga
ne. a e con il capo ricoperto dal berrettone dotto-
rale a quattro pizzi.
Qualche volta, specialmente dopo il 1808, l'omag-
gio fu duplicato cioè cominciò a prestarsi con le
stesse formalità e nello stesso giorno avanti ai
Conservatori ed avanti al Senatore: sicché i po-
veri deputati della Comunità israelitica dovevano
traversare la piazza del Campidoglio per recarsi
dal palazzo Senatorio a quello dei Conservatori.
S'immaginano facilmente i lazzi e lo contumelie
onde erano gratificati dal volgo che in folla si re-
cava sullo storico colle, precisamente per beffeg-
giare gli ebrei che dovevano in queir occasione
vestire un ridicolo costume di prammatica.
Nel 1827, sempre secondo il diligentissimo Mo-
randi, i deputati del Ghetto poterono prestare
l'omaggio vestiti in abito usuale, e quindi ot-
tennero che invece di una sola deputazione ne
venissero due, per prestare l'omaggio contempo-
raneamente, una al Senatore, l'altra ai Conserva-
tori, ed evitare cosi le ingiurie ed i maltrattamenti
ai quali erano fatti segno dal popolino che affolla-
vasi sul loro passaggio in piazza del Campidoglio.
ni ROMA 113
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' Oirolanio Rusticucci nel 1592 pub-
.■• in cui era detto: «Poiché Tespe-
:h'»<trato, che li luoghi già assegnati in
1' r.. librarvi le meretrici et donne diso-
:i sono capaci, si dispone di aumentarne
hninità israelitica doveva pertanto con gran
arrngliere tutte quelle calamità per le quali
•"naie veniva sospeso. E le occasioni per ve-
. :nn facciano difetto : cosi quando un papa mo-
i all'appressarsi delle feste carnevalesche, que-
8 — E. Natala II Ghetto di Roma,
112 ETTORE NATALI
i fattori presentavano al Senatore una cambiale
di scudi venti entro un mazzo di fiori, perchè
erano stati esonerati dall'obbligo di parare i palchi.
Nelle corse, ed allorché si presentavano in-
nanzi al Senatore, gli ebrei dovevano portare il
capo coperto dal berretto giallo, colore abborrito,
che l'antica legge romana aveva imposto, in segno
di obbrobrio, alle meretrici le quali dovevano rico-
prirsi di un velo giallo e tingersi di giallo i capelli.
^
Dopo la ristaurcgfione del governo pontificio,,
cioè dal 1815. il rabbino ed i fattori, nel presen-
tare l'omaggio dovevano vestire di nero, con cal-
zoni corti, feraioUetto dietro il vestito, fibbie alle
scarpe, e collare avente due piccole liste di tela
bianca cadenti sul petto, e che il volgo chiamava
hracvuole.
Era inoltre rigorosamente vietato agli ebrei ^
anche in ciò posti alla pari con le cortigiane , di
andare in maschera pel Corso durante il carne-
vale. Se qualcuno , malgrado il divieto , era sor-
preso mascherato , era preso ed immediatamente
frustato a sangue innanzi al popolo , che andava
in brodo di giuggiole alla vista di questa giustizia
speciale. Il boia doveva star sempre pronto presso
piazza di Spagna, nel luogo che ancora il popolo
chiama via del Cavalletto, per frustare gli ebrei
e le cortigiane che i birri avessero sorpreso nei
pubblici divertimenti. Per ogni persona cui sommi-
IL GHETTO DI ROMA 113
nistrava la caritatevole correzione della frusta, il
boia aveva diritto ad un compenso di baiocchi cin-
•
quantacinque (poco meno di tre lire). Non era caro f
Vari punti del Corso erano designati per punire
i trasgressori delle grida^ con la pena della corda,
che ora era somministrata a tratti^ ora a campa-
nella^ a piacere del bargello. Il castigo era dato
alla vista del pubblico qualche minuto prima della
corsa; i prelati, la nobiltà, i membri del corpo
diplomatico non potevano, qualunque reato avessero
commesso, essere sottoposti alla mortificazione della
pubblica corda, o delle nerbate.
La frustatura delle cortigiane e degli ebrei, sor-
presi nel Corso in spregio del divieto, era una delle
parti più divertenti dello spettacolo carnevalesco.
Del resto , le feste si inauguravano per solito con
l'esecuzione di condannati ed i più famosi malfat-
tori erano mantenuti in carcere fino al primo
giorno di carnevale ; in quello venivano tratti a
piazza del Popolo , e quivi squartati o mazzolati se-
condo Fuso dei tempi.
Né si creda che le cortigiane facessero difetto
nella Roma dei papi . Vi pullulavano in tal numero,
che il cardinale Girolamo Rusticucci nel 1592 pub-
blicò un bando in cui era detto : « Poiché l' espe-
« rienza ha mostrato, che li luoghi già assegnati in
« Roma per tollerarvi le meretrici et donne diso-
« neste non sono capaci, si dispone di aumentarne
« lo spazio )>.
La comunità israelitica doveva pertanto con gran
giubilo accogliere tutte quelle calamità per le quali
il carnevale veniva sospeso. E le occasioni per ve-
rità non facevano difetto : cosi quando un papa mo-
riva all'appressarsi delle feste carnevalesche, que-
8 — E. Natalt, /{ Ghetto di Roma.
114 ETTORE NATALI
ste venivano interdette , come accadde nel 1740,
allorché mori Benedetto XIV, e nel 1829 per la
morte di Leone XII. Tale proibizione fu pretesto
ad una delle tante satire, o pasquinate, pubblicate
quando mori quel pontefice, ultimo grande perse-
cutore degli ebrei. La pasquinata diceva;
Tre dispetti ci feste, o Padre S«uto :
Accettare il papato, viver tantOi
Morir di carneval per esser pianto.
I divertimenti carnevaleschi erano pur anco proi-
biti negli anni santi, ossia negli anni del giubileo
ordinario ed allorquando al papa piaceva di pro-
mulgare un giubileo speciale, come nell'anno 1703.
La severità delle penitenze si volle in quell'anno
far giungere a tale, che il vicario cardinale Gas-
paro di Carpegua non solo proibì le feste carneva-
lesche, ma dal 21 gennaio al 4 febbraio mise
cinquanta scudi di multa a chi andava dalle cor-
tigiane, ed a queste se in quei giorni ricevevano
o andavano da uomini. Si doveva diventar santi
per forza ! L' obbligo della assoluta astinenza
dal peccato era imposto in certi giorni dell' anno
e non solamente in Roma ma anche nelle altre
città d'Italia, come, ad esempio a Venezia, la *
città la più libera, nella vita galante, che vi fosse
nel mondo. Ce ne dà la prova il seguente bando
pubblicato il 12 dicembre 1438:
«... che mo in avanti alguna meretrice sia
« de che condition se voia non ardissa ne presuma
« per modo alguno overo forma farse tochar de
« pecado in la vigilia de la Natività de nostro Si-
4c gnor , el di de la Natività co le do so feste.
IL GHETTO DI ROMA 115
<c tuta r edomata santa col di de la resurection
« gloriosa et le sue feste, et eziandio tute le ve-
« zilie et feste de la gloriosa Vergine Maria, soto
« pena per chadauna fìada che contrafesse de
« libr. X de pizzali et scuriade XXV et de star
« 8 di in prexon ...»
Alcune altre volte le feste carnevalesche non
erano permesse per qualche straordinario avveni-
mento, come, ad esempio, nel 1688 e 1689, anni
in cui Innocenzo XI le vietò per cagion della guerra,
contro i turchi, finita sotto le mura di Vienna.
Agli ebrei, a dir vero, non era concesso spesso di
potersi dare svago e di prender parte a pub-
blici privati divertimenti. Ogni anno la Con-
grega dei Sessanta pubblicava una specie di
legge suntuaria,' detta Prammatica, per regolare
la comunità e per impedire che i comunisti si rui-
nassero con lo spender troppo «con l'esorbitanza di
pompe o spassi ».
Ho innanzi agli occhi la Prammatica stabilita
dalla Congrega dei Sessanta il 28 maggio 1661,
nella quale sono richiamate in vigore antiche
disposizioni, e che, su per giù, contiene le pre-
scrizioni che si riscontrano in alti simili emanati
o prima o poi. Questa Prammatica del 1€61 è firmata
da Salvatore Sonatori, rabbino, dai fattori Leone
lair, Moise Benafer, Samuel quondam Sabato To-
118 ETTORE NATALI
desco , e dai deputati RafTaello Velletri , Isach
quondam Jacobbe Giroso ed Abraham Betarbò.
All'atto è data forza esecutiva di legge dalla fìrma
di Ottavio arcivescovo di Patrasso, vice-gerente.
Trascriverò alcune delle principali disposizioni
della Prammatica:
Era proibito far festino, ed il divieto non era
tòlto che in tre occasioni, e cioè, la prima sera
che lo sposo andava in casa della sposa; la sera
della celebrazione delle nozze ; e il giorno di nascita
del primo maschio. Anche questi festini erano retti
da norme speciali; cosi proibivasi agli uomini di
ballare con donne, non consentendosi danze se non
tra donne e donne ed uomini e uomini. Infine non
era concesso di servirsi di suonatori cristiani.
Era lecito il dar pasto ossia radunare altri a
convito, soltanto la sera delle nozze, e per la cir-
concisione, nella sola casa del padre del circonciso.
La Prammatica stabilisce minutamente i rinfreschi,
i doni , le mercedi , infine tutto ciò che poteva
occorrere nelle feste e nei conviti permessi.
Le donne non dovevano andare adorne di gioielli
e di vesti preziose. Il divieto èra tolto soltanto
per qualche grande festa. Riguardo agli uomini
poi, la prescrizione più strana era quella che loro
proibiva di vestire calzoni o casacche nuove.
A dar forza di legge alla Prammatica ^eA^ assi-
curarne viemmeglio l'esecuzione, il rabbino commi-
nava la scomunica ai trasgressori, ed i fattori, che
non avevano giurisdizione alcuna penale, erano in
obbligo di denunciare ogni mancanza al tribunale
del vicariato per l'applicazione dei castighi cor-
porali.
Gli ebrei, che prima erano sotto lo imperio del
IL GHETTO DI ROMA 119
Senato romano, passarono negli ultimi due secoli
sotto quello del cardinale Vicario in Roma, e nelle
altre città alla dipendenza delle rispettive curie
vescovili. Il Senato Romano si difese un pezzo,
come mi riservo di narrare diffusamente in se-
guito, prima di cedere ài Vicario di Roma la giu-
risdizione sugli ebrei, ma dovette finire coll*obbe-
dire agli ordini del papa. Il cardinale Vicario non
solo aveva speciale giurisdizione sugli ebrei , ma
pur anco sui preti, sulle monache, sulle meretrici,
ed all'uopo assoldava sbirraglia che ne eseguiva
gli ordini e sopraintendeva all' osservanza dei de-
creti da lui emanati.
■^
Né soltanto nelle pubbliche feste gli ebrei erano
malmenati, ma il popolo se ne serviva sempre
come di zimbello. Seguiva spesso che alcuno di
questi disgraziati venisse preso a scherno, colpito
con pugni, bersagliato con frutta fradicie dai mo-
nelli, e ciò sotto gli occhi degli stessi birri, che
aizzavano la plebaglia. In alcune epoche dell'anno
le persecuzioni e le vessazioni si facevano più
gravi : cosi durante la settimana di Passione. Al-
lora i cristiani, esaltati dalle prediche e dal lutto
della Chiesa, prendevano a colpi di pietra ed a
bastonate qualunque individuo del popolo vicino si
attentasse di uscire dal Ghetto. Né solo il popolino
era della partita, ma gli stessi ricchi ed i nobili non
avevano ritegno, anche in tempi recenti, d'inveire
contro gli ebrei. Era divenuto famoso, verso la
120 ETTOiiE NATALI
metà del secolo passato , il marchese del Grillo,
che divertivasi a bagnare gli ebrei con acqua bol-
lente, a gettarli dalle finestre, e ad inventare tutti
i giorni qualche nuovo scherzo di simil genere per
perseguitarli in ogni maniera. Le cose giunsero al
punto che monsignor governatore di Roma dovette
immischiarsene, chiamare l'ineducato marchese,
ammonirlo a smettere e a lasciare in pace quei di-
sgraziati. Soltanto, perchè il patrizio era potente
ed il prelato non voleva farselo nemico, nel conge-
darlo gli disse : « Se vuole, per svago, le permetto
di tirare ai giudii un qualche frutto. » Il Del
Grillo non volle sentire altro; corse in casa, si mise
alla finestra e principiò a colpire gli ebrei, che
passavano, con delle grosse pigne. Per tal modo
né feri parecchi, e non si potè accusarlo di aver
trasgredito agli ordini di monsignor governatore.
Baldassarre Castiglione, nei dialoghi del Corti-
giano, riporta una burletta carnevalesca che messer
Bernardo Dovizi da Bibbiena fece ad un ebreo.
Eccone le parole : « io, essendo maschera, conobbi
« al segno rosso che innanzi al petto avea esser
« giudeo, giudicai aver trovato la mia ventura, e
« subito gli corsi incontro come un famelico falcone
« alla preda..., mostrai di conoscerlo^ e con molte
<s parole cominciai ad indurlo a credere che il Bar-
« gello l'andava cercando per alcune male informa-
i « zioni che di lui s'erano avute, e confortarlo che
« venisse meco insino alla Cancelleria, ch'io quivi
« lo salverei. Il giudeo pauroso, e tutto tr<*mante,
« pareva non sapesse che si fare... Io, pur fa-
« cendogli animo, gli dissi tanto che mi montò di
« groppa, e allora mi parve di aver a pieno compito
^ il mio disegno, corsi subito a rimettere il cavallo
IL GHETTO DI ROMA 121
« per Banchi, il quale andava saltellando e tirando
«calci.. Con questo bello spettacolo cominciarono
« quei signori a tirarci uova dalle finestre, e io gri-
« dava che quel che mi erain groppaera giudeo, onde
4C s'udì subito una popolaresca voce che diceva :
^ dagli, dagli che è giudeo, e poi tutti i banchieri
« e quante persone v'erano, di modo che non con
« maggior impeto cadde dal cielo mai la grandine
« come da quelle finestre cadevano le uova. »
L'AdemolIo ritiene che lo scherzo narrato dal
^IJastiglione fosse fatto dal Bibbiena ad un frate e
non ad un ebreo.
Si schernivano gli ebrei anche sulla scena dei
teatri, ed infatti nel 1778 gli impresari del teatro
Pallacorda ebbero il permesso di rappresentarvi
la Oiudiata.
L'USO delle Giudiate non si è smesso se non
recentemente, ed io stesso ricordo di aver assistito
ad uno di questi spettacoli nel 1864 nella pieve di
un villaggio presso Bracciano. Il buon curato
di quella pieve credette di aver ammanito un
gradito spettacolo per intrattenere i suoi amici
il giovedì di carnevale facendo rappresentare dai
suoi parrocchiani una disputa con un ebreo, il
quale naturalmente era coperto di vituperi e la
rappresentazione finiva col fingere che l'ebreo ve-
nisse sbranato dai lupi.
È vero che nei tempi andati non si guardava
troppo pel sottile , in fatto di scherzi , nemmeno
trattandosi di cristiani. Una volta, infatti, Giovan .
Pietro Caffarelli fece una burletta così narrata da
Teodoro Amidenio : « La state , quando vengono
« a Roma li contadini al mietere , fanno capo in
éik quantità grande a piazze Montanara ed Aracoeli.
122 ETTORE NATALI
« Si pongono a dormire sopra a questa scala alta
« di molti scalini. Di notte il Caffarelli fece chiudere
4( in una botte quantità di sassi, e poi lasciolla pre-
« cipitare giù per le scale, per spaventare quei con-
« tadini svegliati dall'improvviso strepito. E non
« solo li spaventò, ma ne stroppiò alcuni. Il rigor
« di papa Clemente Vili si mitigò in quella occa-
« sione. »
Si potrebbero scrivere molti volumi sulla crudeltà
di certe burle solite a farsi non solo ai tempi rozzi
dell'età di mezzo, ma in altri assai prossimi a noi.
Per non uscir troppo dall'argomento, mi limiterò a
riportarne un'altra soltanto.
L'AdemoUo, togliendola dal Valesio, narra di
una, assai curiosa, fatta ai romani la notte della
domenica 4 febbraio 1703. A seguito di una stra-
ordinaria inondazione del Tevere e di varie scosse
di terremoto, furono proibiti i divertimenti carne-
valeschi. Alcuni buontemponi, forse anche alcuni
ladri, sparsero la voce che la madonna era ap-
parsa al papa (Clemente XI , Albani) ed avealo
avvisato che doveva , per il terremoto , tutta la
città inabissarsi. « Essendo bussate le porte delle
« case di tutti, si vidde ad un tratto la città ripiena
« di confusione e di spavento. Miserabile cosa era
« il veder fuggire le donne quasi nude, et alcune
« totalmente nude, et altre con la sola camicia nel
« mezzo di una notte freddissima, e correre verso
« le piazze più grandi della città ; non si sentivano
« che urli e pianti, et cantare di letanie, et altre
« orazioni. Né solo il timore fa nelle persone di
« bassa condizione, ma principi e principesse fug-
« girono, similmente nudi e mezzo vestiti. » Ci voile
del bello e del buono ai sbirri ed ai soldati per
fv
IL GHETTO DI RO)IÀ 123
persuadere tutti quanti a tornarsene alle loro case.
Alcuni cronisti dell'epoca dicono che il timore si
propagò per opera- del diavolo; altri, più sensato^
sostiene che fu una trovata di qualche bell'umore
per vendicarsi della mancanza del carnevale.
^
Gli storici, e la tradizione popolare, narrano di
migliaia di scherzi, tutti di cattivò genere, dei
quali quasi sempre furono vittime gli ebrei e du-
rante le feste del carnevale, e nelle altre epoche
dell'anno. Per non tediare il lettore con raccontr
troppo lunghi mi limiterò a riportare qui alcuna
delle satire o delle burle più curiose e più piccanti •^
I pescivendi^ venditori di pesce, come quelli che
meglio li conoscevano, perchè la pescheria stava
a confine col Ghetto, si distinguevano sempre^
nel carnevale per mascherate Intese a berteggiare
gli israeliti. Immaginarono, come narra David
Silvagni, nel carnevale del 1709, e proprio di do-
menica 9 di febbraio, perchè allora l' uso della
maschera era permesso anche di domenica, una
numerosa mascherata rappresentante il trasporto-
funebre di un rabbino, e il suo seppellimento. La
mascherata incontrò in guisa tale il pubblico fa-
vore, che, sebbene gli ebrei ricorressero contro^
questa turpitudine, pure il figlio del re Giovanni
di Polonia, principe Alessandro Sobiescki, il quale
a quel tempo trovavasi in Roma, ottenne che
fosse ripetuta ed eseguita sotto le finestre della
sua abitazione sulla piazza della Trinità dei Monti^
-124 ETTORE NATALI
E tornando per un momento alle prodezze del
marchese del Grillo contro gli ebrei certa se ne
racconta che merita di venir piferita.
Una volta invitò due ebrei in sua casa e mal-
grado le loro riluttanze, tante e tante furono le insi-
stenze eie promesse che finirono con l'accettare.
Li fece cenare e li trattò con gran deferenza,
poi li fece condurre in una camera sontuosamente
ammobigliata, con due letti, e li lasciò in libertà
per la notte.
I Ietti erano legati in certo modo che furono
elevati, per mezzo di corde e rotelle, fino al sof-
fitto, e gli ebrei già addormentati non si accor-
sero di nulla.
Nel mezzo della notte fece fare un gran fra-
casso come se la casa andasse a fuoco. I due,
svegliati di soprassalto, temendo qualche brutto
avvenimento si buttarono, per moto istintivo, dal
letto, e naturalmente si fracassarono le ossa mentre
il marchese rideva a crepapancia della loro paura
e delle loro ferite.
L'eccentricità del marchese Del Grillo, trovò un
imitatore appassionato in certo signor Giulio For-
livesi, ricco borghese di Roma. Anche costui ne
invitò alcuni cui dette lauto trattamento, e quindi
li invitò a ballare. Gli ebrei malgrado le insistenti
premure si rifiutarono perchè rimpinzati di cibo
tanto da non potersi muovere. Allora il Forlivesi,
fingendo di contentarsi, l'invitò a visitare le sale
del suo appartamento, pregandoli a togliersi le
scarpe perchè non sciupassero i ricchi tappeti dei
-quali diceva adorne le sue sale. Ma i malcapitati
furono invece fatti entrare in un gabinetto, ap-
positamente costruito , col pavimento di lastre
IL GHETTO DI ROMA 125-
metalliche , e quivi improvvisamente rinchiusi.
Allora i servi del Forlivesi cominciarono ad ac-
cendere, [sotto le lastre delle grandi cataste di
legna. Man mano che il metallo s'infocava, senti-
vansi, i poveretti, bruciare le piante dei piedi onde
tanto più saltavano quanto più il calore facevasi
intenso. Intanto il Forlivesi con alcuni amici godeva
dello spettacolo da alcuni spiragli aperti nella parete
e rideva, rideva, ai versacci e alle smorfie cui il
dolore li obbligava; furono tratti mezzo morti da
quel forno e ringraziati per il ballo strano col qual&
avevano divertito l'ospite poco garbato.
Dello stesso Forlivesi altre se ne raccontano, ma
per non andare troppo per le lunghe mi limiterò
a trascriverne un'ultima che, più che burla, i fran-
cesi direbbero guet-apens.
Forlivesi dichiarò un giorno di voler vendere il
suo palazzo con tutti i mobili. Quando glie se ne
chiedeva il prezzo, rispondeva : unpapetto (22 soldi)..
Un ebreo più sciocco degli 'altri gli credette. E
fu firmato il contratto nel quale il Forlivesi si
obbligava di vendergli il palazzo a un papetto,
purché avesse comprato anche tutti gli altri mo-
bili pagando ogni oggetto, fosse di valore o no,
pure un papetto.
Era un doppio affare per l'ebreo perchè veniva
cosi a comprare per un papetto mobili di pregio
e prezzo immenso.
Ma quale fu la sua delusione quando, sceso
nelle cantine, trovò un numero infinito di botti
piene di spilli e chiodi piccolissimi ! Ve ne erano
a milioni e gli conveniva sborsare, secondo il con-
tratto, un papetto per ogni spillo e per ogni
chiodo.
120 ETTORE NATALI
E finirò con gU aneddoti riportandone uno che
ancora corre nella tradizione popolare.
C'era in Roma un ebreo, certo Graziano, ric-
<;hissinio. Egli faceva grandi sciupii di roba e di
danari e si burlava della munificenza del patri-
ziato romano.
Il conte Viscardi gli dis?e un giorno ch'egli
avrebbe volentieri scommesso non so che somma
con lui se egli giungeva a fare un pranzo di tanto
prezzo di quanto egli lo avrebbe fatto. L'ebreo
accettò e spese moltissimo in vivande credendo
■d'aver fatto il più che fosse possibile.
Ma il conte Viscardi, alla sua presenza, fece
portare un paio d'uova, le ruppe nel tegame ; poi,
portato un pacco di cedole da mille scudi (luoghi
di monte) con essi cosse le uova. E l'ebreo pei*-
■dette la scommessa.
4-
Nel porre termine a questo secondo articolo vo-
glio dire di un altro non ambito privilegio di cui
gli ebrei godevano nella Roma del medio evo.
L'opera del carnefice era qui sempre generosa-
mente pagata. Diversa era la mercede , secondo
i diversi supplizii che era chiamato ad infliggere.
Se uccideva troncando il capo o strozzando, cinque
soldi provisini : le accecature di un occhio dodici
danari,, se di due il doppio: qìiando caecant duo-
decim danarios prò uno quoque oculo, quando truu'
-cani aliquod membrum similiter. Tutte queste pro-
pine erano raddoppiate quando il carnefice doveva
insozzare le nobili mani nel sangue di un circon-
1!, GHETTO DI UOMA 187
ciso. Un soldo provisino del secolo duodecimo aveva
il valore di sei soldi moderni. Per aver un'idea del
valore della moneta d'allora basta ricordare che,
nel 1195, il grano si pagava quattro soldi provisini
il quartale, ossia il rubbio , e se i some di buon
vino, cioè dodici barili, valevano trenta soldi pro-
visini. La moneta nei secoli duodecimo e tredicesimo
era tanto rara e stava in cosi alto pregio che i
giudei, i quali sempre han fatto l'arte del prestarne,
la davano con tale profìtto che in meno di due
anni raddoppiavano la somma data, e ciò nella
prestanza contro pegno.
Non era certo questo mestiere da renderli
ben visi ai cristiani. È da notarsi però che pei
supplizi degli ebrei qualche volta si risparmiava la
spesa del carnefice, perchè perfino dei baroni e de^
cavalieri si offrivano a compiiere l'odiosa bisogna
per ottenere da Dio la remissione dei peccati ; e si
ripeteva alcune volte anche in Roma il fatto, narrato
da Montesquieu, di un giudeo che accusato di be-
stemmia contro la Madonna, e condannato ad essere
scorticato, venne da gentiluomini, con la maschera
sul volto, giustiziato. Costoro montarono sul palco,
e ne cacciarono il carnefice, sicuri con ciò di aver
ottenuto benemerenza presso Dio, e di aver meri-
tato la remissione dei loro peccati.
Né soltanto nel medio evo gli ebrei furono ingiu-
stamente sottoposti ai supplizii. Tutti ricordano che
Leone XII, emulo di Paolo IV e di Pio V nel per-
seguitarli, appena assunto al pontificato fece con-
dannare al supplizio del cavalletto, ed esporre alla
berlina sulla, piazza di San Carlo a Catinari, un
disgraziato merciaiuolo ebreo imputato di aver pro-
ferito bestemmia. La sentenza, perchè fosse più
nosa ai correligionari del condannalo, tu esepiitaW
giorno in cui ricorre il Pvrim, o carnevale israe-
litico, festa istituita anticamente a ricordare che \a
bellezza di Ester salvò un tempo gli ebrei dalia i
strage che Aman voleva menafne. \
La berlina era pena ,che si infliggeva distro \
ordine del Governatore di Roma , o del Cardinal '
Vicario, con la formula ducatur mitratus per urhtm. \
Il castigo di tal fatta rimonta a tempi assai remoti. \
Vi é un decreto, riportato dal Fabretti, dell'anti- \
papa Anacleto del 1131, che minaccia la pena \
della berlina a certi contravventori di leggi sun-
tuarie ; ut in assella retrorsuTn sedeat, et caudam, fn
man» feneat. Già. a que-ia pena era stato sottoposto,
nel 067, Pietro prefetto di Roma, per ordine del-
l'imperatore Ottone 1. Beatrice, moglie di Federico
imperatore, presa a Milano dal popolo ammutinato,
fu fatta girare per le strade seduta a cavallo di un
asino, con la faccia rivolta verso la coda. L'impe-
ratore, sdegnato per l'atroce sfregio, minacciò l'ul-
timo esterminio dei milanesi, i quali, narra il Can-
cellieri , non poterono salvar !a vita che sotto la
condizione la più umiliante , dì dover tutti cavar
coi denti un fico dal deretano di quello stesso asino, »
sopra de! quale era stata collocata l'imperatrice.
Dalla Giustieia a Roma deli'Ademollo traggo
quel brano che riguaida l'esecuzione capitale di
due ebrei che erano stati condannati a morte, e
furono impiccati. Notisi che quando si doveva ese-
guire giustizia contro gli ebrei dovevansi prendere
straordinarie precauzioni per impedire al popolo
di uccidere i condannati prima che arrivassero
al patibolo. 11 diligentissimo Ademollo ha tratto
le notizie, da me qui sotto riportate, da un diario
IL GHETTO DI ROMA 129
inidito di P. 0. Ghezzi che come confratello de-
gli Agonizzanti aveva assistito a circa trecento ese-
cuzioni capitali.
La arcicon fraternità degli Agonizzanti aveva
l'abitudine di promuovere preci e di esporre il
Sacramento ogni volta che doveva aver luogo una
esecuzione capitale. Quando i condannati passa-
vano avanti la chiesa dell' arciconfraternita dove-
vano fermarsi ivi per adorare il Sacramento esposto.
Ck)si la vita e l'agonia del corpo venivano loro un
poco prolungate a beneficio dell'anima!
Ma senz'altro ecco le parole del Ghezzi :
« Sabato 24 novembre 1736.
« Abramo figlio d'Isacco Galvano e Angelo quon-
« dam Rubino dell'Ariccia, ebrei romani, impiccati
4( di mattina a Ponte S. Angelo per scasso botteghe
« in Ghetto. Furono condotti nella carretta come gli
« altri, ma li Confortatori, ch'erano con li Pazienti
« non avevano la Tavoletta per mostrargliela, ma
« bensì la tenevano nascosta quando ci fosse stata
« apertura di conversione, perchè questi disgraziati
« non volessero mai convertirsi, con tutto che fos-
« sero stati adoprati tutti li mezzi possibili, e di
« Orazione di Religiosi ; anzi facevansi vedere molto
« allegri e baldanzosi ; ma perchè si temeva di qual-
« che sollevazione per la moltitudine del popolo che
« vi accorse, che credo non vi fosse alcuno che non
« li vedesse, furono posti Quartieri di soldati uno a
« S. Giovanni de' Fiorentini, uno a Tordinona, ed
« uno in Panico ed altri al Banco di S. Spirito.
« La nostra Compagnia fece la solita esposizione,
€ ma con preci diverse del solito approvate tutte con
« il sistema da tenersi dall' Eminentissimo Vicario,
« anche ne' Bollettini. Seguita la giustizia, fu data al
— E. Natali, Il Oheto di Roma,
130 ETTORE NATALI
« solito la Benedizione con il Tantum ergo sola—
« mente. Le messe furono dette dello Spirito Santo,
« e non si fece la Cerca, né la Compagnia della Mi-
« sericordia cantava le Litanie conforme il solito,
« ma dicevano il Rosario sotto voce con la Corona
« in mano. Poco dopo affocati, il Bota tagliò il cape-
« stro, e l'Aiutante non li fece andare in terra di
« schioppo, e /urono tirati verso la Confortaria nel
« luogo dove sogliono star le forche e li gli fu le-
« vato le manette con li capestri, furono messi den-
« tro una saccoccia, e consegnati al Mandataro della
« Compagnia che. li portasse a S. Giovanni Decol-
« lato ; li corpi poi furono portati sopra una carretta
« dagli Ebrei sino all' Ortaccio con compagnia di
« Sbirri alle 23 di notte. »
Questa, e ciò torna ad onore degli israeliti, è la
sola esecuzione capitale eseguita contro gli ebrei
negli ultimi due secoli, e si che a condannare a
morte non si andava a rilento, bastando Tesser con-
vinto di aver fatto una composizione satirica con-
tro il principato!
Mentre si eseguiva una sentenza di morte il
Ghetto rimaneva chiuso, ed a nessuno era permesso
di uscirne, e ciò per precauzione poiché il popolo, ec-
citato dalla vista del cruento spettacolo, avrebbe
facilmente ecceduto contro gli ebrei per sfogare
l'odio pontro la razza.
Da ultimo, per esaurire questo argomento, deve
notarsi che gli ebrei non erano ammessi al privi-
legio della liberazione dal carcere ed alla grazia
della pena di morte, che potevano fare molte con-
fraternite di Roma. Ogni anno le confraternite,
cosi privilegiate, si adunavano e procedevano alla
liberazione di un qualche assassino che conduce--
^r^
IL GHETTO DI ROMA 131
vano per le vie di Roma coronato dlilloro a guisa
di un trionfatore. In sul principio i sodalizi che
godevano di questo privilegio erano 15, ma dopo
il 1600 divennero 22. Agli ebrei, se condannati,
era tolta anche questa speranza di liberazione.
•mtnbrlti d>l Ohett
Vorrei possedere lo stile , dai colepi smaglianti,
col quale Edmondo De Amicis descrisse i paesi da
lui visitati in Oriente, perchè ora mi propongo di
parlare della donna ebrea ; ma mi conforta nella
mia pochezza, il pensiero che l'argomento, ristretto
al Ghetto di Roma, è assai meno poetico di quanto
possa sembrare ; onde se pur lo sapessi non mi rie-
scirebbe a lumeggiarlo con i colori vivi di una ta-
volozza da artista. Non si tratta qui — pur troppo
bisogna confessarlo — di quella poetica e volut-
tuosa visione dinanzi alla quale siamo rimasti am-
mirati leggendo i canti di Salomone -. non di quelle
dorme che furono cantale da tutti i poeti dai tempi
più remoti fino ai nostri giorni ; di quelle donne che
Shakspeare disse « le più belle che l'umanità abbia
mai viste » ; dinanzi alle quali Voltaire, ammaliato
134 ETTORE NATALI
da tanta bellezza, esclamava: « Oh, le giudee!
che splendida riproduzione della loro madre Eva!»
che feciero scrivere ad Heine, il più grande poeta
semita dei nostri giorni : « La religione cristiana
«avrà grandi pregi, ma che superbe donne nel-
« l'ebraismo !» ; e sospirare al Fleury : « Vi sarà
«chi osi non desiderare l'inferno se è vero che il
«paradiso sia chiuso alle dolci figlie di Abramo?»
Le donne ebree di Roma sono un'altra cosa, e
non volle certo indirizzarsi a queste il Mante-
gazza quando con frase calda di ammirazione e
di sentimento scriveva : « dolci figlie di Sara
«dagli occhi vellutati, dalle labbra pubescenti e
« dalla pelle di alabastro, o care e voluttuose figlie
« di Rebecca ! » Qui da noi — pur troppo bisogna
convenirne — i segni della degradazione della
razza apparvero specialmente sul volto delle donne.
È vero che anche nel Ghetto romano veniva fatto
alcune volte di dover ammirare qualche vaga fan-
ciulla dal lineamenti soavi e rassegnati, dal volto
bianco, dai capelli folti, neri, ricciuti, dagli occhi
pieni di voluttà e di dolcezza. Ma era una eccezione,
quasi una stonatura; era come un fiore fresco e
odoroso germogliante su putrido pantano, e, per
non uscire con le similitudini dal Ghetto stesso,
la donna ebrea stava alle altre donne come una di
quelle finestre bifore svelte ed eleganti, avanzo
delle case dei Boccapaduli, che si ammiravano
ancora qua e là, alle luride facciate di quelle luri-
dissime abitazioni'.
Ben presto la bellezza delle nostre giovani ebree
si avvizziva in una decrepitezza precoce, il bianco
della pelle si faceva giallognolo, i capelli si arruf-
favano, e dal fisico apparivano evidenti i segni del*
IL GHETTO 01 ROMA 135
l'avvilimento morale cagionato dall'oppressione e
dal comune disprezzo.
Le cause di questo fatto è facile il rintracciarle.
La precocità dei, matrimoni, ristretti sempre tra
un numero assai limitato di persone anzi. di pa-
renti, non valeva certo a rinsanguare ed a rin-
vigorire la razza. Si aggiunga a ciò la vergognosa
immondizia nella quale quelle disgraziate nasce-
vano, crescevano ed erano costrette a vivere. E
l'insalubrità degli, alloggi? La popolazione del
Ghetto era accatastata, ammucchiata in case alle
quali nessuno mai faceva una riparazione ; man-
cava d'aria e di luce, ma non mancava di malsane
emanazioni e di umidità dovute all'acqua che
pioveva dai tetti sconnessi o che vi lasciava il
Tevere nelle sue frequenti visite, essendo il Ghetto
situato nel punto più basso di Roma.
Si noti che ogni abitante, del Ghetto occupava
in media meno di due metri quadrati di spazio,
addensamento massimo e mai raggiunto in nes-
sun'altra contrada dalla popolazione di Roma.
Ma non vuo' descrivere il Ghetto con le mie pa-
role e prendo all'uopo in prestito la dipintura che
ne fece Massimo d'Azeglio nel ricordato opuscolo
che pubblicò nel 1848 sxxìV ETìiancipazione degli
Israeliti :
«Che cosa sia il Ghetto di Roma lo sanno i
« romani e coloro che l'hanno veduto. Ma chi non
« l'ha visitato, sappia che presso il ponte a Quattro
« Capi s'estende lungo il Tevere un quartiere, o
« piuttosto un ammasso informe di case è tuguri mal
« tenuti, peggio riparati e mezzo cadenti, nei quali
« si stipa una popolazione di 3900 persone, dove
« invece ne potrebbe capire una metà malve-
136 ETTOUE KATAI 1
« lentieri. Le strade strette, immonde, la mancanza
« d'aria; il sudiciume che è conseguenza inevita-
« bile dell'agglomerazione forzata di troppa popo-
ne lazione quasi tutta miserabile, rende quel soggiorno
« tristo, puzzolente e malsano. Famiglie di quei
« disgraziati vivono, e più di una per locale, am-
« mucchiate senza distinzione di sessi, d'età, dì
■« condizione, di salute, a ogni piano, nelle soffitte
« e perfino nelle buche sotterranee, che in più fe-
« liei abitazioni servono di cantine. »
4.
Ora, come si poteva egli pretendere di riscontrare^
nel volto e nelle fattezze delle donne costrette a
vivere là dentro la bellezza e l'eleganza tanto de-
cantate dai poeti e dagli scrittori ? È un vero prodi*
gio che la razza semitica abbia potuto sopravvivere,
perchè tutto contribuiva a farla sparire, e sarebbe,
certo sparita se noi^ fosse stata una razza indub-
biamente superiore e forte.
Oggi, peraltro, le cose sono cambiate : il Ghetto-
sparisce, e le famiglie là rinchiuse possono, anzi
devono andare a vivere nelle nuove case, più sa-
lubri perchè almeno non sono prive di aria o di
luce. Oggi tutte le arti, tutte le industrie possono
essere esercitate dagli ebrei, e le loro abitazioni
non saranno più convertite in depositi immondi di
stracci, come lo furono fino a quando il commer-
ciare di stracci era il solo mestiere dalla legge loro
consentito. Né menino lamento coloro che oggi
vedono demolire dal piccone della civiltà le antiche
IL GHRTTO DI ROMV 137
■ed avite dimore. A loro mi rivolgo evocando un
glorioso ricordo della nostra storia patria.
Mentre Furio Camillo perorava per persuadere
il Senato a non rimuovere da Roma la sede del-
l'imperio , ed il popolo stava trepidando in attesa
delle decisioni , passava pel Foro una numerosa
coorte di legionari. Il centurione , rivoltosi air al-
fiere, gridò, come narra T. Livio : Signiferi statue
signum^ Me manebiinus optime ! L'insegna fu pian-
tata. Senato e popolo decisero di non muoversi, e
intorno a quell'insegna fu rifabbricata la città
nuova che divenne la prima del mondo. ^
Cosi ora gli ebrei, cacciati dal luridume del
quartiere più malsano della città, si raccolgano
intorno al vessillo tricolore che sventola e pro-
tegge e trasforma la Roma moderna, e ripetano,
col centurione romano e con un grande moderno :
Hic manebimus optime. Rimangano, come han di-
visato di fare, e benedicano sempre, come fanno
ora nelle loro preghiere e nei loro templi, alla
memoria di tutti i martiri e del Re magnanimo
<5he li hanno redenti, e che da plebe schernita ed
oppressa li hanno elevati a fraternità di popolo e
a dignità di nazione.
Ora che le donne ebree, alla stessa guisa di tutte
le altre, sono e figlie e spose e madri rispettabili
o rispettate, l'igiene, l'operosità, l'uguaglianza dei
•diritti e dei doveri faranno riapparire anche nel fisico
i segni della vigoria e della grazia di lor razza an-
tichissima. E tornerà presto l'ora in cui dovremo
fermarci ammirati innanzi alla risorta bellezza
•delle figlie di Sara e di Rachele, e dovremo ri-
polere col poeta del Cantico de' Cantici:
< Chi è costei che ascende come fumo dai turi-
138 ETTORE NATALI
« boli ! Oh sei pur bella I I capelli tuoi sono come
« capre pascenti sul monte di Galaad ; i denti tuoi
« branco di agnelli tosati; la statura eccelsa palma v
« le gote spicchi di melagrana ; il petto è simile «u
« due cavriuoli pascenti tra i gigli. »
•*-
Qui vuole giustizia che mi soffermi alquanto ar
considerare se le cagioni del decadimento fisico,
di cui tenni fin qui parola, furono solo quelle che
ho accennato. Ve ne ha qualcun' altra — dicasi
a lode del vero — che deve ricercarsi nei lora
costumi e nella loro vita, come, ad esempio, l'as-
soluta avversione che ebbero per molti secoli ai
mestieri più laboriosi e faticosi, ed al poco conto
nel quale dall' ebreo stesso era tenuta la donna.
/ - Per l'ebreo non era dessa quell' essere ideale
che a tutti gli spiriti eletti ha schiuso gli orizzonti^
dell'arte. Il popolo, che pure ha il più grande poema
umano, la Bibbia, non ebbe mai per la donna quel
sentimento delicato, puro, di cui la circondarono i
barberi della Germania, i poeti del trecento e gli
artisti del Rinascimento, e nella poesia ebraica,
quando si parla di donne, non si guarda alla loro
onestà ma alla procace bellezza, come, ad esem-
pio, nel Cantico de* Cantici, l'idillio per eccellenza,
attribuito a Salomone, ove la Sunamite con imagini
da nessuna lingua possedute chiama il suo amante :
« Il diletto mio, se noi conoscete, è bianco e rosato,
< si discerne fra mille ; oro eletto il suo capo ; nere
« come corvo le chiome, e ritorte come palme ; gli
IL GHETTO DI ROMA 139^
« occhi quali di colombe candidissime ; le guancie
« quasi vasi di profumo; le labbra gigli che span-
« dono la prima fragranza; è bello come il Libano,
« eletto come il cedro. Tal è il mio diletto, ed
« egli mi ama ^.
Né fu la purezza dell'amore che rese- celebri
quelle poche grandi figure di donna immortalate
nel poema ebraico , come Giuditta e Debora. Non
è la castità dei costumi, non l'amore disinteressato
che han fatto di loro due eroine; chò anzi esse,
per servire la patria , usarono della bellezza ,
onde natura le aveva fatte ricche, in ciò molto
diverse per dignità e purità dalle eroine del cri-
stianesimo. Infatti nessun esempio simile dette
alcuna delle tante sante di cui è pieno il nostro
cielo cristiano, e gli stessi pagani ebbero della donna
un' altra idea, e per essa un culto ben diverso. E
si che nelle sue fonti più pure la religione , quale
fu rivelata da Mosè, imponeva di abominare il pec-
cato contro natura, di escludere la meretrice dalle
figlie d'Israele, di condannare l'adultera, e di pro-
scrivere perfino il desiderio della donna altrui ! —
strano contrasto con la vita menata dai re d'Israello
i più santi ed i più saggi, quali furono David e
Salomone, che popolarono i loro harem di donne
scelte fra le più belle egiziane od idumee o moa-
blte. Se la donna non fu per l'ebreo dei bei tempi,
per l'ebreo unito in nazione, fonte d'ispirazioni arti-
stiche, ma istrumento di piacere, divenne addirittura
più una cosa, che non una compagna per l'ebreo
cacciato , perseguitato, profugo. Si aggiunga a tutto
ciò il sentimento di superiorità nell'ebreo, il quale
sa la donna esclusa dalla più solenne cerimonia
della sua religione , cioè dalla circoncisione , e-
J40 ETTORE NATALI
non si tarderà a comprendere il perchè la donna
fosse tenuta a vile dagli ebrei, che non volevano
avesse alcuna parte negli uffici delle sinagoghe, e
che nelle loro preghiere ogni giorno ringraziavano
dio di non averli fatti nascere donne.
« La poesie sémitique - osserva giustamente
-«Ernesto Renan— nows offrt à peine une page qui
« aitun charme de sentimentalité, Quand V amour s*y
« exprime c'est sotts la forme d'une volupté lascive et
<f< ondante, com.me dans Za Canti- jue des Canti ]ues,
~« ou S0U8 la forme d*une courtoisie de harem^ camme
-(a dans les Moultakar ».
Da ogni pagina della loro storia traspare che
\a parte assegnata alla donna nel mondo giudaico
non è in alcun modo conforme alle idee della
nostra società e del npstro secolo, e nel Talmud
-è scritto : « La migliore fra le donne è una ma-
liarda ». Nell'età di mezzo seguiva da noi tra
le donne ebree quello che ora verificasi negli Stati
orientali, ove, al dire di tutti i viaggiatori, la
maggior parte di loro, appartenenti a classi poco
agiate, song dedite alla prostituzione. Cominciano
giovanissime V infame mestiere, a dieci anni, ed
anche più presto, e quando elles ne peuvent plus
étre marmite elles se font couvercle, A tutte le
razze oppresse e tenute in ignoranza la facilità
■della prostituzione , più che una vergogna od un
•delitto, è un mezzo lecito di procacciare resistenza
a sé ed alla famiglia. Ammaestri anche in ciò
la storia di tutti i popoli ed il racconto di tutti i
viaggiatori : riguardo alle ebree romane basta a
farne testimonianza lo studio della barbara legi-
slazione medioevale che equipara in tutto, e spe-
«cialmente nelle pene, le donne ebree alle meretrici.
IL GHETTO DI ROMA HI.
Nella sinagoga, ossia nello stesso tempio cho
uguaglia tutte le distanze perchè tutto diviene-
ugualmente piccolo innanzi a Jehovah, la donna
ebrea era appena tollerata, poiché vi era appena-
ammessa, ed obbligata a starvi rinchiusa in un-
sito apposito distinto da quello degli uomini. Ivi
le donne dovevano rimanere nascoste dietro una-
sp^ssa inferriata e nel Talmud si dice « Colui cho
« insegna alla sua figlia la legge santa commetto
« una colpa come se a lei insegnasse cose inde-
« centi. »
-*■
Né soltanto nelle cose di religione erano la
donne . ebree ritenute quasi esseri inferiori ai loro-
uomini.
Basta a dimostrarlo leggere le istorie della prosti-
tuzione in tutti i tempi e presso tutti i popoli. Nei
tempi nostri pur anco può dirne qualche cosa, come
ho già fatto notare, chi abbia viaggiato in Oriente.
Ma per rimanere nella storia delle cose che sono
successe in Roma dirò che fra le donne ebree la
prostituzione attechi non meno che altrove nial-
grado il severo divieto di Mosè, e qui, come
dappertutto, furono numerosissime le imitatrici di
Agar e di Betsabea anche perchè, bisogna conve-
nirne, la donna ebrea ebbe sempre e dapertutto
tendenza alla vita orientale.
Samuele Doni nei suoi Avvertimenti agli ebrei
scrive :
« Le loro donne hanno perduto persino ogni
« ombra di fede ed ogni ombra di pudore. Io le ho
J42 ETTORE NATALI
<t intese per le vie di Venezia e di Roma mercan-
«teggiare il prezzo della loro onestà non avendo
«alcun riguardo a sottoporsi a gente di fede di-
« versa. » Se il Doni vivesse e venisse ora per le
vie di Roma in sull'imbrunire vedrebbe che le
donne d'ogni religione hanno ben progredito, e la
sua meraviglia scemerebbe di molto.
Del resto anche nella legislazione si trovano
traccie numerose dei facili costumi delle donne
ebree, e molti sono gli editti dell'autorità eccle-
siastica romana per infrenare il loro mal costume.
Può citarsi, ad esempio, un bando del 5 agosto
1712 di Gasparo di Carpegna, cardinale di Sabina
e vicario di Roma. In questo bando è detto essere
stato al papa riferito come le donne ebree uscisser
di notte dal Ghetto, sole, e si trattenessero nelle
osterie, e passeggiassero par le strade. Ad impe-
dire una tale trasgressione erano minacciati i soliti
colpi di frusta e la non men solita multa di scudi
dieci, multa pur minacciata al custode cristiano
dei portoni del Ghetto per ogni donna che avesse
fatto uscire nelle ore della notte.
Ma la severità delle pene non vale mai a rimuo-
vere gl'inconvenienti se non se ne studiano le cause
ed i mezzi di prevenirli. Per questa ragione il ri-
gore della legge per nulla impedi alle ebree di
Roma di darsi, per amore o per lucro, in braccio
ad uomini di religione cattolica. Cosi trovo che
sotto Alessandro VI furono condannate al rogo
oltre cinquanta donne ebree trovate ree di peccatji
carnali, ed a questo riguardo osserva il Rogar che
malgrado la severità della pena, se si fosse fatta
una rigorosa inchiesta dei loro costumi, ben poche
avrebbero potuto scampare al rogo.
IL GHETTO DI ROMA 143
Spigolando, come ho fatto per gli altri argo-
menti, nelle cronache romane, riprodurrò qualche
fatto che dimostrerà la verità del mio asserto.
Nel 1628 fu sorpresa una cortigiana in peccato
•d'amore con un nobile giovane romano della fa-
miglia dei Ranuzzi, e venne, secondo i regola-
menti, condannata alla frusta. Mentre il carne-
fice la spogliava per eseguire la sentenza si trovò
a passare dal luogo dèi supplizio uno che la co-
nosceva, e che disse ai birri essere essa una
ebrea ; su questa semplice asserzione quella di-
sgraziata fu bruciata viva.
Un fatto simile era avvenuto nel 1523, secondo
narra Gioacchino Re. Una fanciulla ebrea, conver-
tita al cristianesimo, era condannata alla frusta
per aver dato pubblico scandalo come prostituta.
Una persona che la conosceva, si trovò anche
questa volta a passare mentre veniva condotta al
supplizio , e ignorando la sua conversione alla
fede cattolica, disse essere essa una ebrea. La
disgraziata fanciulla fu subito bruciata, ma l'invo-
lontario accusatore ebbe a soffrire i maltratta-
menti della plebe, quando si venne a sapere che
non un'ebrea ma una cristiana era stata ingiu-
stamente dannata al rogo.
E celebre quanto a questo riguardo avvenne
mentre regnava il severissimo Sisto V, il quale
estese il suo rigore non solo a punire le donne
ebree che si davano ai cristiani, ma puranco
i cristiani che con le donne ebree si permette-
vano di avere commerci. Riseppe il papa che
il figlio del duca di Parma manteneva da lungo
tempo relazioni di amore con una fanciulla ebrea.
.Senza frapporre alcun indugio, ordinò che il gio-
144 ETTORE NATA4.1
vane principe fosse arrestato e condotto in Ca-
stello, ove doveva essere decapitato due ore dopo
il mezzogiorno. Del fatto si commosse mezza Roma,
e principi, ambasciatori, cardinali corsero in gran
numero a chiedere la grazia al papa, il quale a
tutti rispose con un diniego. Il cardinale Farnese,
zio del prigioniero, aiutato in ciò da moltissimi
romani, fece ritardare di due ore tutti gli orologi
della città, impresa allora punto difficile perchè
di ^orologi ve ne erano pochi. Ciò fatto il car-'
dinale si recò dal pontefice e si trattenne insi-
stendo a lungo nel richiedere la grazia pel nipote.
Il papa persistette nel dir di no fintanto che Toro-
logio della sua camera , il solo che non fosse
in ritardo, non segnò l'ora dell'esecuzione. Cre-^
dendo Sisto che in quel punto i suoi ordini fossero
stati eseguiti, per far mostra di voler contentare
il cardinale gli segnò, reputandolo inutile, un de-
creto di grazia. Cosi il giovane duca di Parma fìi
libero, e potè, fuggire da Roma. Quando Sisto V
seppe la cosa la prese, contro il suo solito, in buona,
parte, e si limitò a dire alludendo al cardinale
ed a se stesso : « un prete ha gabbato un frate. »•
■*■
All' abbigliamento delle donne ebree, come a.
quello degli Uomini, era provveduto con leggi
di cui mi occorrerà di parlare in seguito : que-
ste leggi descrivevano il vestiario , proibivano
gli ornamenti di oro , ed imponevano Tobbligo-
di coprire il capo con un velo giallo. Era curiosa.
la loro cura nel nascondere i capelli, e procura-
IL GHETTO DI ROMA 145
vano infatti di tener sempre nascosto il capo da una
cuffia, o da capelli posticci, e ciò dal giorno delle
nozze fino alla morte. Ritenevano che se un prò-
fano avesse veduto, o peggio toccato i loro capelli
dopo morte, sarebbero appiccate per essi neir inferno.
Alcune volte , specialmente nel milleducento ,
quando ancora non era incominciata la persecu-
zione contro gì' israeliti, le donne ebree furono chia-
mate a custodire ed» ordinare le biancherie del
palazzo Apostolico, ed a lavorare pel papa rocchetti,
camici ed altri abiti pontificali. Esse erano sole ,
in Roma, a conoscere Tarte del cucire ad ago d'oro,
ossia del rattoppare o raggiustare le stoffe ed i
drappi rotti con tale maestria da non distinguervi
il luogo dello strappo.
Alle donne ebree, era puranco proibito di attendere
a qualunque studio, ed Eugenio IV proibì loro per-
fino il far da levatrici, onde fino ai nostri giorni
hanno dovuto limitarsi all'antico mestiere di rat-
toppataci di abiti e di vecchie stoffe. Rimanevano
tutta la settimana chiuse nel Ghetto, sedute a la-
vorare innanzi alle loro misere, abitazioni, ed usci-
vano a passeggiare per le altre vie della città
soltanto nel pomeriggio dei giorni di sabato. Allora
se ne vedevano nei pubblici passeggi, spesso fatte
segno ai lazzi inurbani del popolino, ed erano fa-
cilmente riconoscibili al volto, al Vestire, ed al modo
di parlare. Raramente erano accompagnate dai loro
uomini, ma andavano sempre in molte per esser
più sicure,
Che gli storni, e i colombi vanno in schiera
E i daini, e i cervi, e ogni animai che teme.
10 «» E. Natali, 71 Ghetto di Roma,
--Fr
r
Abbiamo visto, e ci occorrerà in seguito di os-
servarlo nuovamente, che gli ebrei hanno in Roma
vissuto più liberamente che non altrove, arni
spesso hanno trovato qui protettori negli stessi
papi perchè , come osserva Alessandro TI, « la
« costoro condizione è ben diversa da quella dei
« Maomettani, contro cui la guerra è giusta per-
« che perseguitano i credenti, e li discacciano
« dalle loro dimora, mentre gli ebrei da per-
« tutto stanno docili alla servitù. » In molte deci-
sioni della Rota, supremo tribunale negli ultimi
tempi del governo papale, secondo il cardinal
de Luca gli ebrei dìcunlur eives et de popolo,
ed in una decisione Rotale del 1845 è detto: « Gli
« ebrei non sono pagani, ma adorano lo stesso
« Dio adorato da noi, per cui non possono essere
U8 ETTORE NATALI
« arrestati mentre stanno nel tempio ad orare. >
E forse a cagione di questa tolleranza non ci vien
fatto di trovare nelle storie che gli ebrei di Roma
abbiano cospirato contro l'autorità del papa, o
che abbiano presa una qualunque parte nelle som-
mosse e nelle ribellioni che spesso hàn minacciato
e scosso l'autorità pontificia.
GÌ' infelici attentati da loro compiuti sotto Car
Ugola, Claudio, Traiano ed Adriano, attentati che
furono la vera causa della loro prima ruina, sono
i soli atti di energia che dei giudei romani registri
la storia. Regnante Caligola, a dire il vero, non
vi fu ribellione degli ebrei di Roma, sibbene dei loro
fratelli di Gerusalemme che si fecero massacrare
piuttosto che accogliere nel tempio la statua del-
l'imperatore, innanzi alla quale il proconsole Pe-
tronio avrebbe voluto che tutti i giudei si pro-
strassero in adorazione. Caligola, adiratissimo per
il diniego, si sfogò contro i giudei di Roma della
ribellione dei giudei delia Palestina. Anche Claudio,,
succeduto a Caligola, ebbe a reprimere alcuni
moti sediziosi di un popolo che mal si piegava alla
servitù, ed ordinò agli ebrei di Roma di chiudere
la sinagoga.
Varie ribellioni degli ebrei vi furono durante l'im-
pero di Traiano, ed egli pure fu costretto a repri-
merle con la violenza ; ma la repressione più forte,
seguita dalla distruzione di Gerusalemme, ebbe
luogo imperando Adriano. Da quei tempi sino ai.
nostri giorni, son rimasti sempre « docili alla
servitù ». Non si mossero, nò si commossero
quando Arnaldo, il primo dei martiri della libertà,
pallido e scarno pei digiuni, posava come un fan-
tasma sui ruderi del Campidoglio, ed inveiva centra
IL GHETTO DI ROMA 149
i papi e i cardinali « che il tempio del Signore ave-
« vano tramutato in una bottega da cambi, in una
< spelonca da ladri ; » e furono sordi alla voce di
Crescenzio, e a quella di Stefano Porcari, mi-
seramente bruciati per aver voluto liberare Roma
dalla servitù, come non subirono il fascino di
Cola di Rienzo, l'ultimo tribuno romano.
Anzi la salma violata di Cola, dell'uomo che
un tempo era stato l'idolo di Roma, fu, per volere
dei Colonna, i più fieri nemici del tribuno, abban-
donata per quarantotto ore in balia dei monelli, in
segno di disprezzo, e degli ebrei, secondo che nar-
rasi nella di lui vita scritta da incerto autore
e ristampata a cura di Zeffirino Re : « Là, al
« campo dell' Austa (mausoleo di Augusto), chia-
^mati da Sciarretta Colonna si adunarono tutti li
« giudei in grande moltitudine ; là fu fatto un fuoco
41 di cardi secchi, e in quel fuoco di cardi fu mes3o;
« era grasso e per sua grassezza ardeva volentieri ;
« stavano li giudei fortemente affaccendati, afParosi
« ed affollati ; attizzavano li cardi perchè ardessino ;
« cosi quel corpo fu arso, fu ridotto in polvere e
4. non ne rimase cica. »
Per verità gif ebrei non dovevano amar troppo
il tribuno che di nuove ed onerose gabelle li aveva
colpiti e che, se è vero quanto narrano il Ludovisi
ed il Moroni, negli splendidi banchetti da lui offerti
agli amici faceva, a divertimento dei convitati,
venire uno di loro coperto di pelli di bufalo e con
le corna in testa a dar di sé risevole ed abbietto
spettacolo.
Forse l'indifferenza, l'apatia, con le quali gli ebrei
accoglievano i novatori, era dovuta all' abiezione
cui essi erano stati ridotti. Cosi Mosè Mendelssohn^
150 ETTORE NATALI
il filosofo riformatore del giudaismo, padre del
celebre musicista, rispondeva a chi gli rimprove-
rava la sommissione de' suoi correligionari : « Ci
« si legano prima le mani, e quindi ci si muove
« rimprovero se non sappiamo servircene! » E colle
stesse ragioni e con la temuta precarietà del be-
neficio e coi disinganni patiti si spiega forse l'in-
differenza che gli ebrei hanno sempre mostrato
per le concessioni che i papi loro largivano, onde
Klopstock ebbe a dire a Giuseppe II d'Austria:
Tu fais tomber leurs fers: ila le senUnt à peine
Tunt lear hraa a* est raidi soiu le poids de la chàine.
Più che ad ogni altra cagione, la mancanza di
patriottismo nei giudei deve attribuirsi a quella
specie di vita nomade che sono sempre stati costretti
a condurre, e che non poteva far loro provare i
sentimenti dell'amor di patria.
-¥-
Una sola volta gli ebrei romani, vinta la timida
natura, perdettero la pazienza e presero parte ad
una sollevazione popolare ; ciò segui ai 18 ago-
sto 1559, quando si seppe la notizia della morte
di papa Paolo IV.
Come vedemmo, questo papa fu il più grande per-
secutore del popolo d'Israele, dal quale perciò fu
ripagato di odio inestinguibile ; e non è cosa mera-
vigliosa, perché il selvaggio e fiero pontefice non si
seppe meritare neppure l'affetto dei suoi sudditi
IL GHETTO PI ROMA 151
cristiani. Ta.le era V indole feroce di costui che
sentendosi presso a morire chiamò vicino a sé i car-
dinali e lóro raccomandò il tribunale dell'Inquisi-
zione; ma appena per la città si conobbe che
Paolo IV era entrato in agonia il popolo corse ad
aprire le carceri dell'Inquisizione ed a bruciare le
case degli inquisitori. Una statua del papa, che
era stata eretta sul Campidoglio, fu rovesciata, e
dagli ebrei, che in gran numero presero parte a
quella sommossa, fu spezzata ed oltraggiata. £
il loro ardire fu tale, in questa occasione, che
uno di essi osò togliersi dal capo il berretto giallo,
e calcarlo sulla testa marmorea del pontefice, che,
coperta in tal guisa, fu voltolata per tre giorni nel
fango di Roma, e quindi gettata nel Tevere in-
sieme alla mano destra della statua stessa.
L'ira dei popolani e degli ebrei giunse al segno che
in quei tre giorni distrussero tutte le armi ed i mo-
numenti della famiglia Caraffa, e persino furono
tolte e frantumate le piccole lapidi che segnavano
l'altezza a cui era j^ervenuto il Tevere nella ter-
ribile inondazione del 15 settembre 1557. Il suc-
cessore di papa Caraffa, Pio V, punì severamente
i rivoltosi, ristabili il tribunale dell'Inquisizione, e
rincarò la dose della persecuzione contro i giudei,
loro proibendo anche l'abitare in altre città degli
Stati pontifici all' infuori di Roma e di Ancona,
mentre Paolo IV li aveva -tollerati pure a Bene-
vento e ad Avignone.
La sommessa rassegnazione degli ebrei di Roma,
che mancavano di qualche libertà e di qualche di-
ritto, ma che non pagavano alcun tributo di sangue
B pochi di danaro, non è stata però imitata dai loro
correligionari di altre nazioni. Quei di Polonia, ad
152 ETTORE NATALI
esempio, hanno sempre partecipato ai disgraziati
tentativi fatti, anche recentemente, per il ristabili-
mento della patria autonomia. La storia poi ricorda
più di un fatto che dimostra l'attitudine alle armi
degli ebrei di altre nazioni. Nel 536 mostrarono
grande valore nel difendere Napoli contro Beli-
sario, ed a vantaggio della signoria di Teodorico che
li aveva protetti. Nelle guerre secolari fra i mao-
mettani ed i cristiani di Spagna, presero sempre
parte per gli uni o per gli altri, e tanti erano gli
ebrei assoldati nei due eserciti che alla battaglia
di Tralaca (1086) il re di Castiglia, d'accordo col
Califfo, differì lo scontro di un giorno per non tur-
bare il riposo del sabato.
Ai nostri giorni abbiamo visto lo splendido esem-
pio di valore e di patriottismo dato dagli ebrei bul-
gari.. Il fatto trovasi registrato nella nostra Gaz-
zetta Ufficiale del 31 dicembre 1885, in una corri-
spondenza da Sofia. Il principe Alessandro di
Bulgaria distinse in modo speciale il battaglione
formato dalle comunità israelitiche del Principato,
e volle onorare il comandante, luogotenente Misra-
schi, della medaglia d'oro al valore militare, e
parlò in questo modo alla piccola legione :
« I vostri eroici camerata, condotti sui campi di
« battaglia, hanno dimostrato di essere i degni di-
« scendenti dei Maccabei ; e voi stessi, nelle batta-
« glie di Sllwnitza, .di Dragoman e di Pirot pro-
« vaste che, per coraggio ed affetto alla patria,
« eguagliate il glorioso esercito bulgaro. y>
Il battaglione israelitico, forte di 500 uomini,
perdette il quarto dei suoi combattenti a Sliwnitza,
ed altri 85 uomini caddero in altri scontri, prima
della battaglia di Pirot.
IL GHETTO DI UOVA 153
■f
Ai movimenti patriottici, ed alle rivoluzioni se-
guite in Roma dal 1793 al 1870 poca o niuna
parte hanno preso gli ebrei, i quali invece teme-
vano ogni novità persuasi come erano di appar-
tenere a nazione condannata a
Servir sempre o vìDcitrice o vinta.
Appena una eco lontana giungeva in Roma delle
memorande discussioni e dei voti che nel 1789 ave-
vano luogo neir Assemblea francese, discussioni e
voti che è bene qui ricordare poiché da essi ebbe
principio una nuova èra di libertà e di ugua-
glianza per gli israeliti di tutto il mondo. Quelli
di Roma furono fra gli ultimi a godere di quei
benefici, ma devono esser grati alla grande rivo-
luzione, dalla quale • trae origine il rinnovamento
italiano che finalmente li condusse a goderli com-
pleti, mentre ancora in altre nazioni la tribù di
Israello è tenuta in servaggio.
L'Assemblea Costituente francese pose tra i prin-
cipali canoni della dichiarazione dei diritti del-
l' uomo quello della libertà di coscienza: Nvl ne
doit étvti inquiete pour ses opinions, méme religieu-
seSy pourvu que leur manifestation ne trouble pas
Vordre puhlique établi par la hi. E, prendendo ar-
gomento da questa massima santissima, sorse nel
seno dell'Assemblea l'abate Grégoire a combattere
una minaccia di persecuzione religiosa contro gli
ebrei di Alsazia, protestando indignato: Ministre
d'une religion qui regarde tous les hommes comma
154 ETTORE NATALI
frhres, finvoque V interv^ntion de V Assemblée en
faveur d^un peuple proscrit et malheureiuc.
Due grandi si unirono nel sostenere la causa
giusta con tanto calore patrocinata dal sacerdote,
e furono Robespierre e Mirabeau.
Il primo entusiasmò l'Assemblea col dire:
Les vices dea juifs naissent de V avili»8emenl dans
lequel vous les avez plongés; ila seront hons quand
ila pourront trouver quelque avantage a Vètre,
E Mirabeau:
Dans un gouvernement comme celui que vous eie-
vezj il faut que tous les hommes soient des Ttommes,
Ed il 27 settembre del 1791, dopo molte discus-
sioni, con l'appoggio degli uomini più insigni, più
liberali e più autorevoli, 1' Assemblea approvò la
completa emancipazione degli ebrei ed il giudaismo
vide da quel giorno risplendere sulla razza perse-
guitata luminoso il sole di libertà, fonter prima di
ogni virtù cittadina. Napoleone I, uno fra i più
grandi legislatori dell' umanità, riunì a Parigi,
con decreto del 30 maggio 1806, i principali rabbini
delle sinagoghe del suo vastissimo impero, e fra
le domande che loro rivolse ve ne fu una per co-
noscere sino a qual punto doveva giungere l'amor
di patria. A tale richiesta fatta dal messo impe-
riale tutti i rabbini colà convenuti si alzarono in
piedi e gridarono: « Fino alla morte. » Da quel
giorno il sentimento della nazionalità rinacque
nell'animo dei seguaci della religione mosaica.
Avevano finalmente ritrovata una patria che loro
apriva le braccia amorevoli, alla quale potevano
consacrare tutta quella copia di affetti che rende
sublimi i loro poeti ed i loro profeti quando ricor-
dano la lontana terra dei padri.
IL GHETTO DI ROMA 155
•f
Ma a Roma le idee liberali o non giungevano
o non facevano presa, e gli ebrei rimanevano
chiusi nel Ghetto alla mercè di un popolaccio fa-
natico, ignorante, nemico di ogni giacobinismo.
Anzi gli ebrei tanto più vivevano nella trepida-
zione quanto più vedevano che le idee liberali tro-
vavano proseliti nel ceto della borghesia romana;
perchè sapevano di correre il pericolo di esser presi
fra due fuochi. Cosi accadde infatti il 13 gennaio 179ii
quando alcuni liberali tentarono una dimostrazione
guidati dall'infelice Giuseppe Hugo di Basseville. I
popolani, aizzati dal clero, insorsero contro i nova-
tori e dopo aver ferito a morte il di Basseville
andarono per saccheggiare il palazzo dell'Acca-
demia di Francia, ma non essendovi riusciti, perchè
vi stavano a guardia i papalini, si riversarono a
sfogar, la loro bile contro gli ebrei e si dettero a
saccheggiare il Ghetto 1 Come tutti i salmi finiscono
col gloria, cosi tutti i chiassi e tutte le sommosse
finivano a Roma col danno degli ebrei, ai quali
toccò un altro saccheggio, con busse ed ogni sorta
di maltrattamenti, quando dai popolani si seppe che
in Parigi si era tagliata la testa di re Luigi XVL
Cosi al saccheggio di molte botteghe del Ghetto
si dettero i Trasteverini ed i popolani dei Monti
che il 25 gennaio 1794 insorsero contro il nuovo
Governo repubblicano insediato sul Campidoglio
dal generale Berthier.
Tante persecuzioni e tanti guaì tenevano natu-
ralmente gli ebrei lontani dall'ir gerirsi nelle pub-
1-56 ETTORE NATALI
bliche faccende anche dopo che furono dichiarati
liberi ed in Roma imperò un Governo secolare.
Fra le cento e cento persone chiamate all'ammi-
nistrazione della cosa pubblica, con gli antichi
nomi pomposi di consoli, tribuni, pretori, e simili,
non trovo ricordato un solo israelita, se. non si
voglia credere a quanto ha lasciato scritto l'abate
Benedetti nel Diario pubblicato da David Silvagni :
« Abbiamo tre nuovi senatori, scriveva l'abate, il
« principe Marcantonio Borghese, il duca Francesco
« Cesarini, e l'ebreo Morpurgo. È gente che sta bene
« con gli ebrei. »
Per quante ricerche abbia fatte per apprendere
chi fosse questo Morpurgo, nominato dall'abate Be-
nedetti, non son riuscito a trovarlo, anzi ho dovuto
notare che nessuno degli scrittori contemporanei
parla di ebrei nominati consoli. È molto proba-
bile che l'abate Benedetti, che in sul finire del
«ecolo passato viveva, per ragioni politiche, all'in-
fuori della vita pubblica, abbia preso uh equivoco e
fatto nominare console un certo Morpurgo che in-
vece fu, precisamente nel 1794, nominato Questore
del dipartimento del Metauro, dipartimento corris-
pondente alla odierna provincia di Pesaro. Il Ques-
tore aveva attribuzioni molto simili a quelle dei no-
stri intendenti di finanza, ed il Morpurgo, al quale
io accenno, apparteneva a famiglia israelitica dimo-
rante in Ancona, ma oriunda di Trieste.
Né i liberatori di Roma furono molto teneri de-
:gli ebrei quantunque promulgassero qui le leggi
■di tolleranza che erano state sancite dall' Assem-t
blea francese.
Dal Governo della repubblica, il 16 aprile 1798,
fu agli ebrei romani imposta una contribuzione
IL GHETTO DI ROMA 15T
straordinaria per trecento mila scudi, oltre ad una
grande quantità di panni, telerie, lenzuola, abiti,,
tovaglie, salviette ed altri oggetti che dovevana
servire all'armata d'Italia. I capi della comunità,
invano pregarono per ottenere una diminuzione ed a
gran stento poterono mettere insieme la somma for-
tissima per quell'epoca. Pei poveri ebrei era il caso
di ripetere : Si stava meglio quando si stava peggio !'
Del resto sarebbe ripeter sempre la solita sto-
ria se si volesse dire di tutti i saccheggi cui do-
vette sottostare il Ghetto dal 1793 al 1870.
Il 27 novembre 1794, ad esempio, partiti i fran-
cesi, ed avvicinandosi i napoletani, la plebe in-
vase il Ghetto, e gli ebrei furono a stento salvati
dalla guardia nazionale ; nuovi saccheggi vi furono
nel 1815 quando fu ristaurato il Governo di Pio VII.
In quell'incontro venne in Roma a rappresentare
il papa, con pieni poteri, il genovese monsignor
Rivarola, cardinale divenuto celebre poi per lo zelo
sanfedistico, e tristamente famoso per le crudeltà,
commesse in Romagna, quando vi andò a reggere e
correggere la patriottica provincia di Ravenna.
Tra i primi atti restaurativi di monsignor Ago-
stino Rivarola è la promulgazione di una legge
delli 12 aprile 1814 intorno agli ebrei, che sotto-
pose di nuovo alla giurisdizione del Cardinal Vica-
rio, e co-stringe a rinchiudersi nuovamente nel
Ghetto quelle pochissime famiglie che se ne erano
allontanate durante il governo dei francesi.
Ma le persecuzioni maggiori, ai tempi moderni,
si sono avute sotto il pontificato di Leone XII, iV
quale ebbe per gli ebrei una feroce ed invincibile
antipatia, li colpi con ogni eorta di sevizie, e li sot-
topose tutti alla pedante vigilanza dell' Inquisizione»
158 ETTORE NATALI
Allorquando si diffuse in Roma la notizia della
morte di Leone XII gli ebrei credevano di respi-
rare, ma noi poterono, cbè il popolino corse in
furia ad atterrare i cancelletti che recingevano il
Ghetto ; ma Tatterramento dei cancelletti non era
che un pretesto perchè si procedeva ad un tempo
alla demolizione ed al saccheggio delle botteghe.
I cancelletti furono fatti porre intorno al Ghetto,
e nello stesso modo intomo alle osterie, per impedire
ai consumatori di soffermarsi a bere nei pubblici
negozi, la qual cosa rincrebbe assai alla plebe ed
il papa ne fu schernito anche dopo morto con una
delle solite pasquinate :
Già l'alma di Leoa dal corpo uscita
Volava a ricercar più bella vita :
Andata al Cielo domandò l'ingressOi
Ma tanto onore non gli fa concesso,
Poiché Pietro avea messo a suo dispetto
Alla porta del Cielo un cancelletto.
A Leone, dopo il breve regno di Pio Vili, suc-
cesse Gregorio XVI nemico d'ogni novità, il quale
lasciò gli ebrei e il Ghetto come li aveva trovati,
non aumentando le angherie perchè gli ebrei stet-
tero, come sempre, tranquilli né fecero causa co-
mune con i frdmassoni ed i giacobini nei moti del
12 febbraio 1831.
■*-
Di Pio IX e della libertà concessa, mi occorrerà
di tener parola in seguito come di colui che può
annoverarsi fra i più benemeriti per tolleranza
verso la religione di Israello. Fra i giorni fau-^
sti de' giudei di Roma va certamente annove-
IL GHETTO DI ROMA 159
rato quello di Pasqua del 1847, nel quale, per
ordine di Pio IX furono rimossi, e per sempre, i
portoni e furono abbattute le mura che rinchiu-
devano il Ghetto. L'emancipazione degli israeliti,
come osserva Massimo D'Azeglio, il termine di quella
lunga e dolorosa serie di patimenti, di oltraggi e
di ingiustizie che ebbero a sofifrir per tanti secoli,
fu opera di Pio IX che consacrò il principio della
tolleranza. Fu Pio IX che agli ebrei impose il
dovere e consenti il diritto di appartenere alla
guardia civica, a quella milizia cittadina che rese
tanti servigi nella tutela della sicurezza pubblica,
e nella difesa di Roma.
Non è certo senza opposizione e senza lotta
che il nuovo papa, assunto per un momento alla
dignità d' interprete delle nazionali aspirazioni o
di capo del rinnovamento italiano potè conipiere
tali riforme. Le pressioni in contrario non pote-
vano mancare e non mancarono; anzi l'emancipa-
zione completa degli ebrei veniva dai reazionari,
e specialmente dai gesuiti, additata come il colmo
degli obbrobri cui il nuovo ordine di cose avrebbe
condotto. Ma i tempi erano mutati. Un soffio vi-
vificatore aveva spazzato in gran parte, anche
nell'opinione delle masse, i vecchi pregiudizi, e
l'Aser del padre Bresciani non aveva potenza di
sollevare l'indignazione ee non quando, agli ultimi
capitoli, rinnegava il suo passato glorioso dì ri-
voluzionario ardente e fidente, per battezzarsi al
fonte della Chiesa cattolica.
L'affrancamento degli ebrei non era l'opera di
un legi- latore più avanzato e veggente del po-
polo che governava, ma del popolo stesso che l'im-
poneva in nome di quei principii di eguaglianza, di
160 ETTORE NATALI
fi^tellanza e di solidarietà per le quali eranst '
colorati in rosso tutti i fiumi d'Europa, e che
pochi mesi dopo dovevano innalzare i difensori di
Roma all'altezza delle antiche epopee.
Ed a quell'epoca vediamo sorgere e sempre più
prender ra,dice nell'animo di quei nuovi cittadini
l'amore per la patria novella. Gli israeliti di Roma
si associarono a quelli di Livorno nel pubblicare
un nobilissimo indirizzo agli italiani :
« Voi ci chiamate fratelli, essi dicevano. Questa
« parola varrebbe essa sola a cancellare la ricor-
re danza di tanti secoli di umiliazioni e di dolori.
« Questo dolce e santo nome noi lo accettiamo colla
« coscienza di meritarlo, perchè noi pure intendiamo,
« di cooperare al bene d'Italia nostra, che fu sempra
« in cima de'nostri pensieri ; perchè ci sentiamo fra-
« telli a quanti per essa perirono, a quanti s'alle-^
« grano all' idea del suo prossimo risorgimento, a
« quanti son pronti a sacrificare per lei gli agi, le
« sostanze, la vita. »
E mostrarono di non voler far vuote frasi, come-
appare dalla nota che qui a titolo di onore vuo'ri-
portare per indicare i nomi di alcuni degli israe-
liti romani che presero parte alle battaglie per
l'indipendenza e l'unità d'Italia.
Alle molte omissioni, se mi saranno segnalate,
riparerò nel secondo volume di questo mio lavoretto.
Nel 1848 pertanto dei battaglioni romani che ac-
corsero a combattere i tedeschi, prima sui piani lom-
bardi e quindi nelle provincie venete, facevano parte
il prof. Pacifico Tagliacozzo, Alberto Castelnuovo,
e Sabatino di Porto. Alla gloriosa battaglia di Cu-
stoza (1848) mori il nostro concittadino, israelita
dott. Esdra ucciso sul campo mentre, quale uffi-
IL GHETTO DI ROMA 161
ciale sanitario, stava prcdigaiido le sue cure ad un
ferito.
Della legione Masi faceva parte Abramo di Cori,
Tranquillo Toscano e Lazzaro Spizzichino.
Un altro morto sul campo di battaglia fu il
giovane israelita, romano Alberto Fiorentino, col-
pito al cuore da una palla di chassepot nel 1867
alla battaglia di Mentana.
Né parlando di patriotti posso fare a meno di
ricordare il professore Settimio Piperno, ed il ca-
valiere Pacifico Pacificò, eiyiigrati da Roma, ove
sempre si erano adoperati per la causa della li-
bertà in tutte le dimostrazioni che i Comitati na-
zionali organizzavano per tener vivo, nei romani^
il sentimento liberale. Il Pacifico è nativo di An-
cona, ma può dirsi romano e per la lunga dimora^
e per l'afiTetto che a Roma sempre lo ha avvinto.
E, per quanto apparentemente esca dal mio argo-
mento, vuo' aggiungere a questo luogo i nomi dei
sette israeliti italiani che fecero parte della gloriosa
schiera de' Mille. Non si tratta di cosa riguardante
Roma, ma il nome di questi prodi va additato, alla
riconoscenza di chi deve nella sua storia segnare
come fau^issima la data del 20 settembre 1870 :
imperocché senza l'impresa leggendaria dei Mille TI-
talia non sarebbe una, Roma rimarrebbe ancora
sotto il dominio del pontefice, e nella città nòstra
sarebbe utopia il parlare di tolleranza religiosa e
di uguaglianza nei diritti civili. Ma ecco senz'altro
il nome degli ebrei che fecero parte di quella
spedizione: Giacomo Alpron ed Angelo Donati da
Padova, Donato Colombo da Cova, Giuseppe d'An-
cona e David Uziel da Venezia, Riccardo Luzzatto
da Udine ed Eugenio Ravà da Reggio d'Emilia.
11 — E. Natali. Il Ghetto di Foma,
162 ETTOBE hAlkU
Prima di por fine a questo capitolo mi corre
Tobbligo di ricordare con riverente affetto il più
stimato fra gli israeliti viventi, il cav. Samuele
Alatri. Egli ha molti titoli alla benemerenza dei
suoi correligionari non solo, ma di tutta la citta-
dinanza romana, la quale dal 1870 ad oggi lo ha
sempre eletto consigliere comunale e provinciale,
e a lui affidava l'ambito onoi'e di rappresentarla
nella Camera dei deputati, nella Legislatura deci-
maseconda.
Legato, con vincoli di sincera amicizia, a Mas-
simo d'Azeglio ed a Luigi Carlo Farini, s'interessò
sempre al miglioramento della sorte degli israeliti
romani, ed a quei due patrioti forni notizie che
servirono moltissimo a rendere più efficace l'opera
loro liberale ed umanitaria, che giovò a far di
nuovo abbattere al suono dell'inno di Pio IX
quelle porte del Ghetto che al principio del secolo
erano state gettate in terra al suono della Marsi-
gliese.
Samuele Alatri entrò nella vita pubblica nel
1848 allorché fu eletto consigliere comunale, ed
al Campidoglio fu uno dei più utili collaboratori
di Sturbinetti. Ristaurato il governo pontificio non
cessò dall'occuparsi, come potè meglio, ne'pubblici
negozi, e fu fra i più benemeriti nella formazione
e gerenza della Banca Romana e della Cassa di
Risparmio.
Il 2 ottobre 1870 Samuele Alatri apparteneva
alla Giunta di governo che con la sua fermezza
IL GHETTO DI ROMA 163
salvò Roma dairobbrobriosa esclusione degli abi-
tanti della città Leonina dal plebiscito. Dopo il 1870
fu più volte assessore per le finanze municipali,
ebbe gran parte nel riordinamento amministrativo
elei comune, e seppe in momenti difficili ottenere
>dalla Banca Nazior.ale buoni patti per l'emissione
del primo prestito che dovette contrarie l'ammini-
strazione comunale di Roma.
Nella Camera dei deputati, fu eletto a commis-
sario per l'esame dei bilanci dello Stato, e quan-
tunque fosse ascritto al partito moderato, il voto
dell'on, Alatri fu sempre coscenzioso ed indipen-
dente, onde più volte votò contro il Ministero dei
suoi amici politici, come nella rilevantissima que-
stione dai punti franchi.
Nel 1872 fu proposto al Consiglio comunale di
togliere l'emblema del cristianesimo dal mezzo del
'Cimitero a Campo Varano. L'Alatri si levò a com-
battere questa proposta, per dar prova, come egli
disse, di tolleranza religiosa. Il giorno dipoi, questo
fatto fu riferito a Pio TX il quale col solito spiiito
dicesi rispondesse . « L'ho detto sempre che il sor
-« Samuele è il più cattolico fra i consiglieri co-
x< munali di Roma. »
■*•
Giustizia vuole che io qui ricordi come qualcHe
^olta gli ebrei si armassero, e combattessero
per respingere dal Ghetto i militi del santo uf-
fizio che vi andavano per rapire fanciulli. Ma in
•questi casi non si trattava di movimenti politici;
J64 ETTORE NATALI
e soltanto era adoperata dagli ebrei la forza per
respingere la forza. Erano i genitori, i congiunti,
che contrastavano i fanciulli, che con qualche spe-
cioso pretesto il Santo uffizio voleva prendere.
Anche l'animale il più innocuo, il più paziente,
diventa terribile quando nella sua tana difende i
figli.
Ma di ciò in un prossimo capitolo, allorché par-
lerò dell'ospizio dei catecumeni.
XI.
L^arte presso gli ebrei — La musica — Vittorina — Artisti ebrei
che abitarr^no in Roma — Halévy.
Come invano, fuori dei tempi biblici si cerche-
rebbe l'epopea nella storia degli israeliti, cosi in-
vano si ricercherebbe lo studio e l'amore dell'arte.
Gli ebrei romani, come quelli di tutto il mondo,
non mentirono le tradizioni di loro razza e sem-
p.e si tennero lontani dalle armi, dalla politica
e diciamolo pure anche dalle arti belle. Se se ne
tolga qualcuno che nella fioritura trecentistica e
nel 1400 coltivò con onore la poesia - nessuno -
che io mi sappia, ha, almeno in Roma, eseguito
con lode o quadri o statue.
Àgli ebrei come ai maomettani è mancata l'i-
spirazione religiosa; o meglio il loro culto tutto
spirituale non si prestò come presso i greci an-
tichi, e i cristiani, che l'arte derivarono dal culto
dei templi e dalla religione. L'arte è in stretta
166 ETTORE NATALI
relazione con la natura dei popoli, e ne ha sem-
pre seguito l'indole ed il carattere, onde l'ebreo,
come il maomettano, nemico del culto delle im-
magini, non permise che alcun pennello di artista
abbellisse le nude mura della sinagoga, ove i
credenti nella legge di Mosè dovevano adunarsi
per adorare un dio invisibile. La sua fantasia era
morta a quella specie di fascino mistico che ispi-
rava il genio di Giotto, di Leonardo e di Miche-
langelo. Né si dimentichi che gli ebrei, nel medio
evo, attinsero la più gran parte della loro cultura
dagU arabi della Spagna, presso i quali non vi
furono, precisamente perchè maomettani, né pit-
tori rè scultori di figura.
Rigido ed osservante, l'ebreo non ha mai po-
tuto comprendere il culto che i greci professavano
a Venere nella bella primavera della civiltà umana,,
come sull'alba del rinascinrento si sottrasse all'in-
flusso dell'asceticismo cristiano che pre?e forma-
nel mito classico della gloria verginale della Ma-
donna.
Agli adoratori di Jehovah è mancato anche l'im-
pulso della fede nei santi, perchè dei santi non n»
hanno, essi che pur ebbero tanti martiri.
Quidam sortiti metìien^eifi aahhaia patrem
Nil praeter nube* et eoeli numen adorant,
ed infatti credevano i romani che gli ebrei ado-
rassero soltanto le nubi ed il cielo, perchè il ce-
lebre tempio di Gerusalemme era senza tetto e gir
osservatori dei sabati vi pregavano col corpo rivolto-
all'oriente e gli occhi inalzati al cielo. Il loro iddio-
appariva ai profeti sempre sotto forme artistica-
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168 ETTORE NATÀU
la lettera colla quale il gran re faceva le sue ri-
chieste e la risposta che n' ebbe.
Forse rimanendo nelle loro terre e nelle loro
città gli ebrei avrebbero più tardi fatto un passo
avanti nelle vie dell' arte , come lo fecero in
tempi recenti quando la libertà cessò dall'essere
anche per loro una vana parola; combattuti, di-
spersi, raminghi per il mondo si arrestarono, si
rifugiarono nei loro ricordi, si preoccuparono solo
della battaglia quotidiana che erano chiamati a
^combattere, furono conservatori della loro vecchia
legge. — È naturale, essa ridiveniva ancora una
volta il vincolo ?acro che li univa in ispirito, la
più potente loro difesa, e non potevano trasformarla.
In memoria del tempio di Salomone che era sco-
perto, gli ebrei, anche presentemente, assistono
alle loro funzioni religiose sempre col cappello, o
con lo sciamanno sul capo.
Quel manto candidissimo, che è volgarmente
■detto sciamanno y e che gli ebrei nomano taled, è il
succedaneo della sacerdotale tonaca di fino lino, tra-
puntata, di cui è parola nell' Esodo, capo XXVllI,
versetto 39. In progresso di tempo il taled fu fatto
anche di lana bianca, e da alcuni secoli in qua lo
si fa di seta e lo si adorna di ricami in bianco ed
oro. Il taled sì porta abitualmente sulle spalle, ma il
rabbino se lo mette sul capo quando legge la Bibbia.
-^
S'intende che qui si parla della civiltà ebrea
prima dell'era moderna, poiché nessuno vorrebbe
oggi negare sentimento artistico squisito nei correli-
IL GHETTO DI ROMA 169
gionari di Enrico Heine, come nessuno vorrà dire
-che se lo scettro non è più nella casa di David,
Tarpa del vecchio re non conservi ancora tutte
le. sue corde. La musica è vocazione innata nella ji
razza la quale ha dato al mondo Giacomo Me-|
yerbeer, Felice Mendelshon, Florestano Halévy,
<jiacomo Offembach e fra gl'italiani A bramo Base vi
di Firenze ed Elia Levi di Venezia, quantunque »
gl'israeliti abbiano proscritto la musica istrumen-
tale dalle loro chiese, ritenendo più gradite a Dio
le preghiere quali escono dal petto degli uomini
<5he non dalle fredde canne degli organi. Queste
note riguardano soltanto la nazione ebraica ro-
mana che sparisce insieme al Ghetto ove per tre
secoli è stata rinchiusa ! Oggi non rimangono che
cittadini uguali agli altri, che lavorano in ogni
ramo dello scibile per la prosperità della patria |
e si chiamano in Italia, Re vere, Luzzatti Luigi, I
Masserani, Lombroso. "
Ed a riprova di quanto ho detto più sopra, qui
forse cade in acconcio l'osservare come il culto
al dio d'Israello si vada man mano modificando e
si allontani sempre più da quelle severe prescri-
zioni che tanto giovarono a mantenere unita la fede
ed indomito il coraggio degli ebrei durante tanti
secoli di persecuzioni. Con la libertà e con le ric-
chezze aumenta ogni giorno più il desiderio di pa-
rere, ed anche la religione giudaica, quella reli-
gione che, più di ogni altra, era aliena dagli sfarzi
e da ogni specie di distrazioni, ora, sempre più si
attacca alle futili parvenze del culto estemo. Si
torna pian piano agli usi sfarzosi dei tempi di Sa-
lomone, che fabbricò di una lega d'oro e di ar-
gento gl'istrumenti musicali, coi quali si rallegra-
170 ETTORE NATALI
vano le feste nel tempio di Gerosolima. Si torna
ai tempi nei quali le figliuole di Silo precedevano
il Tabernacolo danzando, e quattromila leviti erano
educati a cantare con vario ritmo le lodi del Si-
gnore. Nelle cerimonie ebraiche odierne si è co-
minciato di nuovo ad introdurre la musica; forse
perchè è finita la schiavitù. Da molti anni, infatti,
nelle scuole (sinagoghe) israelitiche di Mantova e
di Verona furono introdotti l'organo ed i canti
corali. Poi questo esempio fu imitato prima dalla
magnifica scuola di Firenze e da quella moderna
del pari, ma assai più modesta, di Torino.
A, Roma, solamente dopo il 1870, e nella sola
scuola del Tempio, s'introdussero Vharmonium ed
un coro per le grandi feste religiose.
■^
Ma se gli ebrei dei primi tempi e dei tempi dr
mezzo rifuggiron dall'arte, l'arte non li sdegnò. E
rimangono a centinaia le opere ispirate o alla loro
storia, riassunta nell'eterno biblico poema, o alle loro
tradizioni, o alla orientale bellezza delle loro donne.
Le quali, e altrove, d'altro parlando, l'abbiamo
veduto, seppero e vincere- imperatori e domare ti-
ranni ed ispirare poeti.
Ricordo, nello scorso secolo, Vittorina l'amante di
un marchese Fortiguerri che ne aveva fatto scol-
pire ai battenti del suo portone l'immagine, a si-
gnificare, come diceva egli àgli amici, che solo per
lei si sarebbe, potuto arrivare al suo cuore.
Di questa Vittorina per quanto abbia cercato
non mi è riuscito rinvenire il vero nome che è
IL GHETTO DI ROMA 17Ì
passato attraverso la storia col soprannome di
Vittorina e rient'altro.
Non si sa quando sia nata e quando sia morta ;
però il periodo della sua vita brillante, V apogèo
della sua gloria fu dal 1730 al 1739, Molte cro-
nache dell'epoca sono piene dì aneddoti che la ri-
sguaidano, e vi si notano tutte le follie che da
ossa furon fatto.
Si dice che il cardinale Cienfuegos ne fosse in-
namorato.
Benedetto Micheli detto Jachello della Lenzarasr
organista all'Accademia di s. Cecilia compose una
canzone in suo onore che credo si conservi alla
Biblioteca granducale di Weimar.
Per attenuare lo scandalo che ne veniva dal-
vedersi questa fanciulla ebrea sempre in compa-
gnia di personaggi - e altissimi personaggi - cri-
stiani, papa Clemente XII per mezzo di certi frati
procurò di farla divenire cristiana, ma non so
quale sia stato il frutto del suo tentativo.
Uno 5-tudio su questa donna ebrea sarebbe inte-
ressantissimo perchè negli aneddoti che di lei si"
trovano sparsi qua e là, s'incontrano i nomi di
molte fra le principali famiglie dell'aristocrazia e
del patriziato romano.
La prova ch'essa fosse ebrea si ha dal Fossom-
broni 11 quale narra il tentativo di papa Cle-
mente XII per farla divenire cristiana.
La prova ch'essa fu romana viene da un so-
netto del Gallina, veneziano, riportato nella C^e--
stomazia del Lughi. Il sonetto chiude cosi :
Fai grande Roma perchè fu taa cuDa
Fai grande Roma per la tua bellezza.
172 ETTORE NATALI
-*■
Nel 1872 Pio IX chiamò da Parigi il noto scul-
tore israelita Adam-Salomon (autore del monu-
mento del duca di Padova agli Invalidi, del genio
della musica che si ammira al nuovo Louvre e di
molte altre opere scultorie) affinchè eseguisse il suo
busto, e non contento di onorare in ogni modo l'e-
gregio artista al cattolico, con il quale amava con-
versare spesso, gli offerse persino un appartamento
in Vaticano.
Il busto di Pio IX, eseguito dall'Adam-Salomon,
è uno dei più belli e somiglianti che si conoscano.
Parlando anzi degli ebrei odierni che hanno abi-
tato Roma non posso dimenticare un giovane ar-
tista, Isaac Asknazy, un pensionato del governo
di Pietroburgo, che qualche mese fa ha qui com-
piuto il suo corso di studii pittorici, ed è quindi
ripartito per la terra natale.
Egli è un curioso tipo di artista. Quantunque
giovane ha un grave aspetto sacerdotale, la barba
lunga e folta, quasi mosaica, le sopracciglia riu-
nite alla radice del naso, gli zigomi sporgenti e
duri, lo sguardo penetrante e ardente come quello
-dei fanatici posseduti dalla febbre della fede. Viveva
qui a Roma, all'ultimo altissimo piano d'una mo-
dQsta casa della via dei Pontefici, in una stanza
quasi nuda, ^^tra molte tele abbozzate. Era ta-
-citurno, cogitabondo, solitario sempre.
Oltre che per qualche quadro di mediocre dimen-
sione, rappresentanti alcuni semplici episodii biblici,
IL GHETTO DI ROMA 17^
e pochi studi di teste eseguiti con un certo vigore,
merita ricordo V opera di lui maggiore, quella
a cui attendeva da molto tempo con assiduo
amore, e quasi con religione.
Il quadro, amplissimo, rappresenta Mosè nel de-
serto, frale greggi, in sull'alba. La figura di Mosè,
piena di austerità e di forza, ma pure umana e
vera, sta seduta sopra un masso e campeggia sola
sul davanti del quadro, in attitudine di medi-
tazione. L'immenso gregge delle pecore si distende
per la campagna, riempie quasi tutta la valle per
la quale si vedono confusamente scendere bian-
cheggianti i torrenti : e tutta quella massa pacifica
'di animali, sotto il cielo chiarissimo e fresco, sotto
una luce mite, senza riflessi, è di un effetto sin-
golare, dà alla scena una certa augusta gran-
dezza di antichità patriarcale.
Il quadro è immaginato ed eseguito con sem-
plicità di mezzi pittorici, ma con acuta intensità
di sentimento, e d'innanzi alla tela vasta si rimane
pensosi. Quel giovane solitario che esalta le glorie
del suo popolo, che ha una cosi profonda credenza
nella religione dei suoi padri, e che intende con
tutte le sue forze a fare un'arte sacra ebraica, è
degno di ammirazione. Il quadro è partito per la
Russia, insieme con l'artista. Il popolo d-^ Israeli o
avrà finalmente il suo pittore in Isaac Asknazy se
i pronostici nostri non fallano.
Fra gli artisti stranieri ebrei, che hanno abitato
in Roma, uno dei più celebri fu Giacomo Halévy
maestro compositore francese, allievo del nostro-
174 ETTORE NATALI
Cherubini. L'Halóvy nel 1819 vinse le prix de Rome
-6 venne per tre anni ad abitare la villa Medici.
È celebre, fra le tradizioni allegre deirAccademia
di Francia, lo scherzo che i compagni fecero al
giovane maestro il giorno in cui esso arrivò a Roma.
La scenetta è anche ricordata nella Rome con-
temjporaine, di Edmondo About.
È uso che i vecchi pensionati si divertano qualche
giorno alle spalle di coloro che giungono nuovi da
Parigi, ed anche Halóvy dovette pagare il suo
tributo alla spensierata allegria di quella colonia
di artistL Appena giunse, i compagni si fecero a
lui d'attorno, e col volto composto a mestizia gli
dissero : « Puoi mangiare e studiare qui, ma bisogna
^he tu vada a dormire nel Ghetto fra i tuoi cor-
religionari, perchè la legge pontificia non transige
su queste cose. » Dopo il pranzo i compagni lo
condussero nella stanza che avevano presa in
affitto per lui in una delle strade più sucide del
Ghetto. Le mobilier, scrive E. About, était choisi
jpour faira horreur à Vhomme le moin délicat ; si
le Ut posait sur trois pieds, e* est tout au pliis. La
hdtesse se distinguat par une malpropreté repous-
barite; elle promit au jeune locataire de le soigner
camme un fils et d*avoir mille atlentions pour lui,
(Test devant cette perspective quHl se couclia, dit-on,
et la nuitfut si mauvaise que le lendemain il parlait
de retourner en France. La plaisanterie n*alla pas
si loin. Le jeune artiste rentra à VAcadémie dans
sa chambre légitime, et il n* y perdit pas san temps.
Mais qui sait si dans la suite j lorsque il ecrivit
•cette belle partiture de la Juive, les souvenir s du
.Ghetto ne lui sont pas revenus h l'esprit,
Florestano Halévy, vinto un posto airAccademia
IL GHETTO DI AOMA 175
di Francia, venne a Roma il cinque dicembre 1820.
L'unica memoria che resti di lui negli archivi del-
l'Accademia è un rapporto dell'Accademia stessa
che l'egregio direttore comm. Flebert mi ha fatto
gentilmente comunicare.
I lavóri di cui è ivi parola li scrisse nel 1821 e
sembra che irritato per il giudizio dato::e si ec-
clissasse da Roma, rinunciando anche alla pen-
sione.
II documento parmi cosi interessante ed origi-
nale da meritar la pena di venir riprodotto. Eccolo
senz'altro :
INSTITUT DE FRANGE.
ACADÉMIE BOYaLE DE BEAUX ABTS.
Rapport avant la séauce publique de 1882.
M, Halévy^
On a regu de M. Halévy pensionnaire musicien
Mn envoiy que se compose de trois partitions : 1. Le
psauvie Domine re in furore tuo à deux choeurs
et à grande orchestre; 2, Une cavatine italienne
jHmr une voix de soprano ; 3. Uh finale d'un'opera
seria dont le sujet est la dévoument de Curtius.
C'est dans la composition de ce final qu^on peut
surtout réconnattre que Von avait raison de bien
augurer des dispositions de ce jeune compositeur,
Presque tout dans ce morceau est digne d*eloge;
il est écrit largement. La melodie y est d'un genre
j/racieux, noble ou terrible selon la situationy ou le
caract^re des personnages. L^harmonie y est riche
sans afftctation et les effects d'orchestre y sont vor
riées et bien entendus. On regrette de ne pas poi^
176 EITOHE NATALI
voir en dire autant du Psaume. Il a pam étre pé-
niblement compose et d'un travati purement méca-
nique. Uahus des modulations y est porte h son
comble, et Von y rencontre fort peu de vraie me-
lodie, Ofh dirait que Vauleur rCaurait cherché à
plaire qu'aux personnes qui ne veulent reconnattre
de bien et de beau en musique que Vextraordi-
nalre. La cavatine est hien^ surtout Z'ari dante qui
la commence. La polonaise qui la termine est quelque
fois un peu tourmentée ; mais en general ce petit
morceau est bien dispose pour la voix, et executé
par une bonne chantetise^ il doit produire de Veffet.
On invite M, Halévy à ne jamais oublier que
dans les beaux arts il vattt mieux toucher qu'étonner..
Certifié conforme :
Le Secretaire perpetue^
QUATREMÈRE De QuINER.'
Avendo ricordato l'Halévy mi sembra interessante
il parlare anche degli altri maestri ebrei che hanno
abitato Roma, e vi hanno composta musica. Il
primo di cui ho potuto trovare memoria fu Salo-
mone Rossi, di Modena e fu in Roma fra il 1590
e il 1610 e qui musicò madrigali lodatissimi che
irovansi nella preziosa biblioteca della Reale Ac-
cademia di Santa Cecilia.
Giacomo Meyerbeer, israelita berlinese, uno fra
i più illustri maestri del nostro secolo, l'autore del
Roberto^ òbW Africana^ degli Ugonotti e di cento
altre opere, fu a Roma nel 1823 e vi scrisse
VAlmazor, su parole di Felice Romani. Preso da
grave malattia fu coslretto ad- interrompere il la-
voro e partire per tornarsene a Parigi.
IL GHETTO DI ROMA 177
E filialmente dal 1?30 al 1882 Ro.na si gloriò
di albergare Felice Mendehsohn il quale qui venne
sul novembre del 1830 e vi compose moltis ime
opere fra. le più celebrate, come il poema Walpur-
gisnacht per as <oU e coro — il concerto in sol mi-
nore per pianoforte — V Hebriden-Ouverture cono-
sciuta comunenente sotto il nome di Ouverture
della Grotta di Fingal — ed il Capriccio in si
m'nore^ nn^Ave Maria a otto voci e tre mottetti
per voci di donna scritti per le suore della Tri-
nità de' Monti.
È curiosa questa situazione di un israelita che
scrive per delle monache, e di monache che ri-
corrono per musica ad un israelita.
Forse era amore dell'arte, forse era qualche al-
tro e meno sacro il movente. Le cronache clau-
strali sono discrete su questo punto, e d'altra parte
quelle religiose diedero in tale occasione prova di
spirito cosi superiore da meritare che lo studiosa
si fermi reverente anche dinanzi a veli che per
avventura si potessero sollevare.
12 -- E Natali, Il Ghetto di Romi.
r5
181
.ìglio,
■3 pc-
ciunt
>ltre il
: trenta
munita
hi ed i
/ava di
Jibenter
s' in me'-
i curant,
TI ita con-
iudei del
et quia in
jifi'V gratis
'obbligo di
(Confermata
ipi Paolo n
'''7.9 dehenti-
1*0 : Judaei
>y loris ruhei
' et pratica
artem medi-
probandis per
juslitie et qua-
ì papi verso i
.1 Vitale di Gra-
zi' la medicina;
aneto, Montalto
g io Guglielmo;
:id Arturo de Bal-
' muele di Cesena.
130 ETTOUE NATALI
gl'ande rivoluzione moderna. Nel medio evo sol
tanto i monaci avevano conservato qualche dot—
trina empirica, onde gli ebrei han potuto superare
ogni altro nello studio della medicina per le co-
gnizioni che avevano della lingua araba, in tempi
nei quali i medici arabi della Spagna erano dot-
tissimi. Tra i più dotti e più antichi, • Celso men-
ziona un certo Moschion, ed un anonimo, entrambi
medici giudei che avrebbero vissuto in Roma verso
il sasto secolo dell'era volgare.
Non sempre però sono stati liberi, nell'esercizio-
dell'arte salutare, che anzi molti Concilii e molti
papi hanno proibito agli ebrei di esercitare la me-
dicina, come fecero, ad esempio, il Concilio Late-
ranense ed i papi Calisto III, Paolo IV , Pio V ,
e Gregorio III. Molti altri, invece, si fecero vinceré^
dall'amore della vita e della sanità, e protessero
i seguaci della legge di Mosè per l' intercessione
del medico giudeo cui dovevano la guarigione.
A questo proposito van ricordati Paolo III ed
Adriano VI, che esentarono gli ebrei medici dal-
l'obbligo di portare il tabarro rosso, obbligo im-
posto a tutti i giudei dagli statuti di Roma, o di
poi'tare la rotella rossa ricamata sul davanti degli
abiti, segno che dovevano usare, per essere rico-
nosciuti, gli ebrei di Francia e del vicereame di
Napoli. I senatori Malatesta dei Malatesti, Be-
nedetto Bentivogli, e Giovan Francesco Pancia-
tici, arrivarono persino a concedere il diploma di
cittadini romani ai medici Elia di Sabbato, Mosè
di Lisbona, e Mosè di Tivoli ; ed Innocenzo VII,
nel 1400, riconobbe e confermò questi diplomi.
Il Senato romano aveva già , noi 1376 , sciolto*
da ogni servitù pecuniaria o personale i due chi
IL GHETTO DI ROMA 181
rurghi israeliti Manuele ed Angelo, padre e figlio,
•e tutta la loro famiglia, perchè in eorum arte pe-
ritissimi, coi' die Romanis Civibus fecerunt etfaciunt
multa servitiay et sunt in Urbe vtilissimi. Inoltre il
Senato, il giorno 8 agosto 1385, riducéva di trenta
fiorini il tributo che doveva pagare la comunità
degli ebrei finché vivessero i due chirurghi ed i
figliuoli maschi di Angelo , e ciò dichiarava di
fare perchè essi, tra i moUi aUri meriti, libenter
gratis serviunt et pauperibus et egevtibus in me-
dendo subveniurt, et pecunias exigere non curant.
Bonifacio IX confermò, nel 1399, le immunità con-
-cesse dal Senato ad Angelo e Manuele, giudei del
rione di Trastevere, per esser chirurghi et quia in
dieta aite sunt cnriales, et benigni^ et Uhevter gratis
-serviunt pauperibus j et sunt peritissimi.
L'esenzione, pei medici ebrei , daL'obbligo di
portare il segno rosso sul mantello è confermata
negli Statuti corretti e riformati dai papi Paolo II
ed Adriano VI nel capitolo: De Jìideis desienti-
bus por! are tabarros rubeos ove è detto : Jtidaei
■super al'is vestimentis tabarros porfent Cfloris rubei
Exceptis medfcis expertis in theorin et pratica
medicinoRy et actualiter exercentibus artem medi-
cinae in Urbe ibi habitantibus , approbandis per
Dominos Conservatores. Executores juslitie et qua-
tuor Consiliarios,
Né finirono qui le concessioni dei papi verso i
medici ebrei ; Martino V permise a Vitale di Gra-
ziano di poter ovunque esercitare la medicina;
Nicolò V nel 1451 lo permise in Corneto, Montalto
^ Civitavecchia a Dattilo ed al fig'io Guglielmo;
Pio II a Mosè dì Rieti, e Sisto IV ad Arturo de Bal-
mes di Napoli ed a Manue'lo di Samuele di Cesena.
182 ETTORE NATALI
Della dottrina dei medici ebrei romani fanno fede
molte opere manoscritte che si conservano nella
Biblioteca Casanatense, come gli Scritti di Giuseppe
Lorki intorno agli aforismi d'Ippocrate, ed al primo
dei Canoni di Avicenna , e la traduzione ebraica
del Canone stesso trascritta a spese del medico
romano Mordachai ben Isaak nel 1415.
Mosè di Tivoli era anche medico di Ladislao re
di Napoli, e fu ucciso in Roma nel giugno del 1408
dal predetto Elia di Sabbato, come trovo negli
Archiatri Pontefici del Mandosio, per invidiam
quia erat melior medicuSy quam supra dictus Helias,
Il favore di cui spesso godevano in Roma i me-
dici ebrei era cosi segnalato che qualóhe volta i
privilegi erano estesi anche alla loro famiglia, come
nel 1515, quando fu concesso a maestro Aunzio,.
alla moglie ed alla figlia, di poter vestire alla foggia,
degli altri cittadini.
Talvolta i medici ebrei furono ammessi ad abi-
tare presso la corte del papa insieme alle loro
iiiogli ed alle figlie, anzi una di queste donne la-
vorò per Benedetto XIII, rocchetti, camici ed altri?
abiti pontificali.
Il Grassi si domanda: ma perchè tutte queste
preferenze per tali medici ? Non sono essi pure
forse gli uccisori di Gesù? Anzi, si risponde la
stesso autore, chi sa che non siano stati essi f^oli
ad averlo ucciso come ebrei, e come... medici!
Negli Statuti di Roma occorre più volte di tro-
vare disposizioni intorno gli ebrei. Mi valgo della
pubblicazione dottissima che ne ha fatto recente-
IL GHETTO DI ROMA 183
mente l'avvocato Camillo Re per qui riportare
tutti i provvediinenti che l'antico magistrato ro-
mano aveva creduto di prendere per difendere o
per punire gli ebrei che abitavano Roma. Dalle
disposizioni stesse apparrà come fosse liberale la
.legislazione di Roma quando, a guisa delle altre
principali città d'Italia, era retta a comune.
Roma non ebbe il suo vero e proprio Statuto
prima del secolo decimoquarto, e fu soltanto in-
torno al 1362 che se ne procedette alla compila-
zione riunendo in un solo libro tutte le leggi che
il magistrato romano aveva emanato per mezzo
di bandi, e che si trovavano disordinatamente re-
gistrate negli atti dei notari capitolini. La fonda-
zione dello Stato popolare era avvenuta in Roma
nella celebre notte di Pentecoste dell'anno 1347 e
gli statuti sanzionati pochi anni di poi avevano-
un colore politico specialmente democratico. Né è
da stupirne, come opportunamente osserva il pro-
fessore Camillo Re, quando si pensi che l'opera
di Cobi di Rienzo non era stata distrutta, ma di-
sciplinata ed inalzata a sistema di governo da
Egidio di Albornoz. Del resto i papi allora ave-
vano bisogno di basarsi sull'elemento popolare per
combattere la turbo'enta nobiltà che a loro stessi
voleva imporsi, E d'altra parte è dimostrato lo spi-
rito democratico che ispirò gli autori degli statuti
dalle disposizioni liberali prese per la nomina del
senatore, là ove è dichiarato ineleggibile : qui sit
imperator, rex, princeps, marchio, dux, comes, aut
baro seu filius aut nepos ipsorum.
Potrei riportare molte altre disposizioni conte-
nute negli Statuti romani, per dimostrarne la sag-
gezza ed il liberalismo ma non voglio allenta-
184 ETTOME NATALI
narmi dall'argomento, e del resto ciò che fu sta-
bilito per gli ebrei ne è una prova evidente se si
ponga a confronto con tutte le leggi emanate a
loro riguardo nei tempi più civili.
Al cap. CXCVill ad esempio fu stabilito :
Item quod manescalci cwie (mantengo l'ortografìa
aF/ora adoperata) capitola non possint nec debeant
cogere nec cogi facere sess vel alium eorum nomi-
nihìts prò eis, aliquem judeum vel judeam ad sol-
vendnm aliquam pecunie quantitatem eis nec alieni
ipsorum manescalcorum quacumque occasione titulo
siie causa^ ad penam X fiorinorum auri prò qua-
lihet ij)Sorum et vice qualibet de eorum salario re-
tinevflorum per Camerarium Camere Urbis nisi in
casihus per Stntiitos Urbis premissis vel ex com-
missione Senoturis vel eorum Judicum,
Molte legi^lazioni dei secoli meno barbari non
<^rano benevoli come quella del Senato romano, e
non solo ncn minacciavano alcuna pena a chi
.estorceva danaro agli ebrei, ma forse lo enco-
miavano, ed appena era punito con ura multa
quegli che commette: se un giudeicidio.
Dovrei qui ripo;tare testualmente gli alti arti-
coli che si contengono sugli statuti e riguardano
^11 ebrei dimoranti in Roma, ma noi faccio per
non tediare il lettore con troppo lunghe citazioni
nel barbaro idioma latino in uso fra i legali del
quattrocento. Mi limiterò quindi a riferire come
fossero minacciati di multa gli ebrei che aves-
sero osato di lavorare alla vista del pubblico
nelle domeniche , e r ei giorni della Madonna ,
come erano puniti se osavano di seppellire i ca-
daveri dei loro morti al di fuori del campo appo-
sitamente comprato dalla università israelitica per
IL GHETTO DI AOMÀ 185
tale uso; cosi èrano puniti con multa di venticin-
que lire provisine se davano danaro ad usura.
Del capitolo riguardante la compartecipazione de-
-gli ebrei ai giuochi di Agone e di Testacelo, ho
parlato altrove, perciò qui non mi occorre di far
notar altro. Del resto la stessa mitezza delle pene,
quale appare negli articoli su riportati, dimostra
il libei alismo dei reggitori del comune di Roma in
un'epoca nella quale per un non nulla i cittadini
poveri erano puniti col taglio della mano, o della
lingua, coi tormenti i più raffinati e persino con
la pena di morte. E le multe erano anche ben
poca cosa al paragone di ciò che toccava agli
ebiei trasgressori degli ordini del vicariato in se-
coli a<^sai più prossimi e per fino nella prima metà
del secolo decimonono. E la mitezza ed il libera-
lismo degli statuti romani al riguardo degli ebrei
apparirebbero anche maggiori quando si ponessero
a confronto con ciò che facevano i sovrani degli
altri Stati nella stesa epoca come Filippo il Bello
e Luigi IX di Francia, ed Edoardo IV d'Inghil-
terra e molti sovrani di Lamagna.
E a lode del vero si noti che gli statuti della
città di Roma erano approvati dai papi.
-*•
E per tornare ai medici dirò che vi era chi ar-
rivava persino a non fidarsi che dei medici ebrei,
come narrasi di Francesco I re di Francia, che
ne domandò uno a Carlo V, ed avendo questi
spedito un tale che si era fatto battezzare da poco
18t> ETTORE NATALI
tempo, il re francese fece cacciar via il malcapitato
neo-cristiano. Francesco chiese poi lo stesso favore
al Sultano, il quale, da Costantinopoli, gli mandò
un medico ebreo, che ebbe la fortuna di guarire il
re col solo prescrivergli la cura del latte di asina.
Né .si può dar torto a coloro che riponevano poca fede
nella dottrina dei medici cristiani, quando si pensi
che Giovan Matteo Fabbri ne assicura che questi
medici giudicavano il suono delle campane come
ricetta salutare contro il dolor di capo, e si scri-
vevano delle opere dal titolo : De dolore capitis so-
nitu campanarum sanato (I). •
Si possono citare i nomi di moltissimi giudei che
in Roma hanno esercitata la medicina con rino-
manza, come furono Abramo de Palmis, medico
del cardinale Gambara, che mori nel 1559; Vitale
di Graziano ed Elia Giudeo, archiatri di Martino V;
Samuele Sarfadi, rabbino spagnuolo, chiamato in
Roma per curare Giulio II ; Angelo di Manuele di
Trastevere, che nel 1592 fu annoverato fra i me-^
dici di Bonifazio IX ; Vitale Alatino, medico di
Giulio III, Laudadio Balnes, da Pesaro, medico
dell'eloquente cardinale Tiberio Crispi, romano
vescovo di Sabina (1560). Il Balnes è ricordato
per le sua dottrina da Amato Lusitano nel libro
Curationem medinnalium.
Alcuni autori vogliono che fosse medico quell'Enoc
da Ascoli che nel secolo decimoquinto fu spedita
da papa Niccolò V, ad acrjuistare libri in Grecia,,
in Francia, in Alemagna, e persino nella Dacia.
Credo che debba ritenersi di origine romana una
famiglia che forma una catena continua di me-
dici eruditi e distinti, cioè la famiglia Portaleone,
in ebraico mi-Scà ar-Arje, Beniamino Portaleone^
IL GIlhTTO DI liO.VJA 187
morto intorno al 1500, divenne archiatro del re di
Napoli, poi archiatro di Galeazzo Sforza, duca
di Milano, e finalmente occupò lo stesso posto
presso il duca Ludovico Gonzaga di Mantova.
A bramo , figlio di Beniamino , era archiatro dei
duchi di Urbino, Guidobaldo e Federico, ed ebbe
licenza di esercitare la medicina da papa Paolo UT.
Abramo ebbe due figli medici , l'uno di nome
Lione e l'altro Lucido, il quale da papa Clemente
ebbe licenza di esercitare la sua professione. Era
figlio di Beniamino Portaleone anche il medico
Lazzaro, cui la concessione papale fu data nel 1499,
ed era medico del conte Sassatelli, generale della
Repubblica di Venezia nell'anno 1520. Suoi figli
furono David ed Abramo:. il secondo fu licenziato
da Leone X e decorato, ed era archiatro di Fede-
rico Gonzaga ; del primo furono figli i due medici
Guglielmo ed un altro Abramo, che studiò a Pa-
dova al 1563 e nel 1591 ebbe la licenza di eser-
xjitare l'arte salutare da Gregorio XIV. Di que-
st'ultimo Abramo era figlio David, che ottenne la
licenza da Clemente Vili nel novembre 1596.
Molti autori hanno discusso suU'origine del nome
e della famiglia dei Portaleone, ed io la credo ro-
mana perchè si sa che gli ebrei hanno spesso
preso i loro cognomi da un luogo di abitazione, ed
a Roma evvi la via di Portaleone precisamente
vicino alle case abitate dagli ebrei nel 1300 e
nel 1400 , e che deve il suo nome alla vicinanza
del teatro di Marcello- che nel medio evo era stato
occupato dai Pierleoni, famiglia il cui capo era di
origine ebraica , come mi è occorso di dimostrare
in altra parte di questo scrìtto.
.188 ETTORE NATALI
4-
Fra i patriarchi del' a medicina romana non deve
-dimenticarsi Sabbatai, nominato Donnolo, medico,
astronomo, filosofo ; nacque in Oria nel 913 ; fatto
prigioniero dagli Arabi nel 925, imparò in Africa
la medicina , che venne ad esercitare in Roma
quando fu riscattato dai cristiani di Otranto. Il
Donnolo era medico molto ricercato dai cristiani.
Nilo, il monaco basiliano che si era ritiiato sul
Tusculo, e che dopo morto fu annoverato fra i
santi, venuto in Roma cadde malato. Gli amici pre-
posero, al santo di chiamare il Donnolo ma egli lo
respinse, secondo narrano i cronisti, pronunciando
le seguenti parole: Unvs ex vestris hebreis dìxit
nobis .\ Bonum (sic) esto covfidere in Dominò^ quara
confidere in komine In vero non aliter poteris
illudere simpliciorihus Chr'stianis, quam si tejactes,
-quod Nilo dederis de tuis medicamentis. Il monaco
tuf^culano mi sembra che ben si apponesse nel
respingere da sé il medico perchè guari prima e
visse molto, cioè fin quasi ali' età di anni novan-
tacinque.
Né i medici circoncisi furono ammessi soltanto
all'onore di curare i papi, ma qualcuno fu perfino
.annoverato fra i professori dell'Archiginnasio ro-
mano della Sapienza,' come Giacomo Mantini, che vi
leggeva medicina pratica mentre era papa Paolo III,
che compose vari libri, e molti ne tradusse dal-
.l'arabo e dell'ebraico, dedicandone uno anche a
Leone X. Giacomo era parente di quel Graziadio
IL GtlETTO DI ROMA . 18^'
Man tini, medico dottissimo, che fu medico ed amico
di Annibal Caro.
Giacomo Mantini nel Rotolo (ruolo) dei profes-
sori che insegnavano all' Università romana nel
1589 è annotato soltanto come Jacobo giudeo, ed
era tenuto a far lezione n'3Ue ore pomeridiane. Il
Renazzi nella Storia dell* Università degli studi di
Roma parlando di lui dice che « era di nazione
« spagnuolo, uomo dottissimo e peritissimo in molte
« lingue, autore di varie opere e traduzioni di^
« libri dalla lingua arabica ed ebraica nella latina,
« che prestò la sua assistenza a Paolo III, sot'o il
« cui governo furono gli ebrei assai favoriti e
« protetti. »
Il Liehder parla con molto onore di David Os-
sane medico romano, ebreo, che dice nato nel 1392
da Samuele e Laura Semi. Viaggiò TOssano a
lungo per le varie contrade di Europa, e ne tornò
preceduto da gran fama medica. Molti sovrani dei-
Tepoca ricorsero alla sua scienza; pubblicò opere
vastissime e profonde su materie mediche parti-
colari, e fondò una scuola che da lui prese il nome.
Il Liehder attribuisce a lui l'onore del pronto rifio-
rire della medicina circa al 1430.
Né è meno celebre Giacomo ^ Zafalone nato in
Roma Panno 1630, e addottoratosi in medicina nel-
r Università romana. Egli non solo ha lasciato
dei trattati sulle febbri, sui veleni semplici e sopra
varie malattie, ma si dette anche allo studio del
Dritto; fu nominato professerà air Università di Fer-
rara, ed ebbe posto fra i più dotti del suo secolo.
Ma anche l'esercizio dell'arte salutare fu inter-
detto agli ebrei con la famosa bolla di Paolo IV,
e la proibizione durò fino ai nostri tempi. Prima
190 ETTORE NATALI
I
del 1870, infatti, qualche volta si permetteva ad
un ebreo di esercitare la medicina coi suoi corre-
ligionari, ma egli doveva prima prestar giuramento
di non curare alcun cristiano anche quando stesse
in pericolo imminente di morte.
Ho sotto gli occhi un diploma originale col quale
il 18 dicembre 1797 Giuseppe Castelli ebreo, fu
addottorato in medicine. Il diploma è scritto su per-
gamena e vi si incomincia con l'invocare il nome
di Dio e di tutti i santi come nei diplomi ordinari
ed è rilasciato all'effetto di dare al laureato la fa-
coltà di esercitare la medicina soltanto fra gli ebrei.
Il Castelli, come tutti gli altii che richiedevano il
grado dottorale, si dovette sottoporre ad un rigo-
roso esame innanzi al protomedico, che in quel-
Tanno era Pasquale Adinolfì, e fu tenuto, secondo
le costituzioni, a pagare il triplo della tassa per
la matricola solita a pagarsi dai cristiani. Al nuovo
dottore fu fatto prestare giuramento col toccare un
calamaro ed una penna e quindi fu rivestito del
grado e delle insegne dottorali nel modo stesso
usato coi cristiani, ossia fu prima fatto sedere il
nuovo dottore Sopra una cattedra magistrale, quindi
gli fu mes>o al dito Tanello e la toga sulle spalle,
infine gli fu ricoperta la testa con un pileo invece
che con la berretta a quattro pizzi usata per gli
altri laureati.
Il pileo (pileus o pileum) era un berretto ro-
mano del quale coprivansi il capo gli uomini tor-
nati in libertà ; e certamente lo stesso significato
annettevasi alla cerimDnia in questa occasione.
L'ebreo usciva come dal -rango dei suoi, si solle-
vava a miglior fortuna, veniva a godere uno dei
più desiderati diritti dei liberi, quello di esercitare
IL GHETTO DI HOMA 191
una professione delle più accreditate e di bandire
dalla cattedra la parola della scienza.
E tanto più onorevole e desiderata diveniva tal
dignità, in quanto era impartita dall'Università di
Roma, di quella Roma che il diploma dice enfa-
ticamente gloriosa madre degli studii, e attrice di
ogni virtù, che per tutte le parti del mondo va
celebre per il culto di tutte le scienze.
Credo che altrove siansi concesse lauree ad israe-
liti, ma a questo culto di Roma per gli studii,
culto che sollevava gli animi, ed in quei tempi
è mirabile, sopra gli odii di razza e di religione,
dava diritto ai dottori di parlare alto il linguaggio
di cui ho dato un piccolo saggio. Erano uomini
dediti penitus doctrinae e non erano di questo
mondo.
XIII.
Rapimenti di fanciulli - Il sangue de'cristiani nelle sinagoghe
goni • Profanazione di ostie consacrate.
Stre-
Come non vi ha sereno senza nubi, cosi la gloria
che il popolo d'Israello si è acquistata nella me-
dicina è offuscata per molti fatti riprovevoli.
Innocenzo Vili, di casa Cibo, il papa più nepo-
tista che abbia mai vissuto, era in fin di vita, op-
prèsso dagli anni e dai malanni*, quando un medico
ebreo, un ciarlatano di cui i cronisti non ricordano
il nome, si presentò al pontefice che non se la
sentiva troppo di lasciar la gloria di questo mondo.
Il medico promise ad Innocenzo la guarigione con
la trasfusione del sàngue umano, e si fece il bar-
baro esperimento col sangue di un fanciullo cri-
stiano, che ne mori, come quasi subito mori il
credulo papa.
L'accusa di sacrificare i fanciulli e le giovanetto
cristiane pesò sulla razza semitica per lunghi
13 — E. Natau. Il Ghetto di Roma,
194 ETTOUE NATALI
^ , . ■■•. ...........
anni fin dai tempi di Appione che accusava gli
ebrei di ritenere nel loro tempio alcuni stranieri
fatti prigionieri, per ingrassarli prima e quindi
offrirli in olocausto a dio. Ed anche ai nostri
giorni si è ripetuta in un famoso processo che com-
mosse le popolazioni ungheresi.
Il fatto accadde nel 1882 e il processo si svolse
a Tizia Ezlar, in Ungheria, nell'agosto 1883.
Fu trovata ammazzata una bambina cristiana,
e gli antisemiti accusarono del misfatto i tenitori
della sinagoga di Esterhazy.
Anzi andarono cosi lungi nell'odio di razza, da
riescire, con minaccie, a far si che il figlio di
uno degli accusati - dell' imputato principale - de-
ponesse in giudizio contro il padre e lo zio.
Nondimeno gli accusati furono assolti. Essi do-
vettero abbandonare il paese, poiché, certo, sareb-
bero rimasti vittime degli antisemiti, fra i quali
era anche l'avvocato dell'accusa, un ungherese, del
quale mi sfugge il nome. Egli fu addirittura feroce
e nella sua requisitoria e durante i dibattimenti.
Fu constatato poi, con prove irrefutabili, che
il giovane il quale aveva denunciato i suoi parenti,
era stato sottoposto a una specie di tortura.
Il fatto agitò, allora, tutta la stampa d'Europa.
Il processo durò circa venti sedute. Si citarono
da ambe le parti numerosissimi testimoni. Quasi
tutti gli ebrei di Esterhazy deposero, e deposero
anche molti testi di accusa.
Gli incidenti del processo furono innumerevoli, e
ne fan pensare, con terrore, a ciò che doveva suc-
cedere nel medio evo, se simili manifestazioni di
odio religioso e di selvaggia superstizione sono
ancora possibili in pieno secolo decimonono.
IL GHETTO DI ROMA 195
■*■
La storia infatti dei secoli XII e XIII è piena di
rapimenti, di uccisioni di fanciulli, fatte da ebrei per
adoperarli come medicine ad opere d'incanti. Cor-
reva voce che essi comprassero i figli dei cristiani
poveri per rivenderli ai musulmani, dopo avere pre-
parati i giovanetti in modo da farne delle guar-
die fedeli per gli harem. Se pure l'accusa alcune
volte fo-se stata vera non dovevano menar ru-
more i cristiani per qualche fanciullo che ve-
niva evirato dai giudei, essendo ormai noto a
tutti come precisamente fra i cristiani cattolici apo-
stolici romani si sia mantenuto per lungo tempo
il triste costume di evirare i bambini per farne dei
soprani o dei contralti. E, senza portare della bar-
bara usanza molti facili esempi, valga quanto asse-
risce David Silvagni di un barbiere, in via Papale,
che teneva scritto sulla sua bottega : qui se ca-
strano LI CANTORI DELLE CAPPELLE PAPALI. Ogni
commento sarebbe superfluo!
Era pur sparso r.el volgo che gli ebrei rapis-
sero i bambini per mangiarseli, e per ofiPrirli
al loro dio nei sacrifici. Il popolino ha creduto,
fino ai di nostri, e forse lo crede ancora, che nelle
solennità pasquali si scannassero fanciulli cristiani
per mangiarne le carni e per impastarne col san-
gue gli azzimi tradizionali. Queste accuse sono
state perfino smentite da bolle di papi, i quali
se da un lato volevano che venisse punito con
multa di soldi quaranta Judeus vel Judea, qui
ausus vel ausa fuerU in die dominico publice in fé-
193 ETTORE NATAU
stivitatibus beate marie Virginis laborare, quam pe-
nam senator auferre teneatur^ et hoc bandivi faciat
et accusator habeat medietatem pene predicte, dal-
l'altro cercare !:o in qualche ci. co far za di ver ire
in loro soccorso. Cosi Innocenzo IV, nel 1247,
scrisse esser ingiusto l'accusare gli ebrei di comuni-
carsi col cuore e col sangue di un fanciullo cristiano
ucciso a tal fine, ed altri in altri tempi cercare r^o
di difenderli e di scagionarli dall'imputazione calun-
niosa. E la credenza popolare di tali enormità era
talmente radicata, e produceva danni cotanto forti
da spingere alcuni pontefici a comminare la sco-
munica contro coloro che si facevano propalatori di
simili calunnie. Cosi fece Gregorio IX col Breve del
9 settembre 1236 ed Innocenzo IV nel 5 luglio 1274
e Clemente VI nel 1342 e lo stesso prima avevano
fatto i papi Calisto, Alessandro, Celestino, Onorio e
moltissimi altri.
Si noti che la maggior parte delle persecuzioni con-
tro gli ebrei in Europa ebbe appunto a movente
l'accusa d'uccisione di un qualche fanciullo cristiano^
uccisione che il più delle volte si diceva fatta per
prenderne il sangue, e mischiarlo col pane azzimo,
o, ciò che rendeva anche più esecrando il misfatto,
per mischiarlo con le ostie consacrate per servirsi
quindi di que?^te ad opere di magia. Siflatte ac-
cuse, è curioso il constatarlo, incominciarono ad
aver voga nel dodicesimo secolo, dopo cioè che fu
stabilito il sagramento dell' Eucaristia. Gli storici
sono facili ad attribuire agli ebrei eccessi di tal
fatta, ed il popolo credulo, sovente, fu spinto per
strane coincidenze di fenomeni soprannaturali a san-
guinosi massacri ; bastava talvolta la voce, spesso
ad arte difiFu^^a, che un'ostia consacrata era stata col-
IL GHETTO DI ROMA 197
pila di pugnale, o con uno spillo, o in qualunque
altro modo derisa.
E nella leggenda popolare non di rado andavano
congiunti il sacrilegio e il castigo ; castigo pauroso
e terribile il più delle volte, quale il furore divino
soltanto, eccitato dai reprobi, poteva infliggere. Cosi
ricordo di aver letto in qualche cronaca antica di
un tal giudeo che trovandosi a passare per piazza
del Pianto mentre una processione vi entrava da
un'altra parte, ardi volgere altrove il capo spu-
tando quasi in ispreto dell'ostia consacrata che il
sacerdote recava. Tanto bastò perchè Tira celeste
piombasse sopra di lui, e lo colpisse cosi da ren-
dergli impossibile il poter mai più ritornare la
testa alla posizione naturale. Né valse arte di
medico, o di cerusico, sebbene, come abbiamo ve-
duto, e degli uni e degli altri ne avessero valen-
tissimi le Università dei giudei.
■*■
Anche la diffusione di queste accuse è dovuta
agli ebrei convertiti, come a loro sono imputabili le
persecuzioni contro i libri talmudici. E tanto era
maggiore Tira degli apostati contro la religione
dei loro avi, quanto più si distinguevano per cri-
stiana pietà e per fervore cattolico. Un ex-rabbino,
divenuto poi prete, ha consacrato un intero vo-
lume, che fu ristampato a Prato or sono due anni,
a dimostrare che nelle cerimonie religiose degli
israeliti, e specialmente in quelle pasquali, il sangue
cristiano è di rito. Soggiungo, a lode del vero,
che l'ottimo sacerdote visse nel 1700, e che di
198 ETTORE NATALI
poi il bisogno di tali dimostrazioni si è fatto molto-
di rado sentire.
Certo è però che, se i rinnegati e i fanatici getta-
vano il seme, questo non cadeva su sterili pietre,
ma fruttificava largamente all' ombra della più
crassa e superstiziosa ignoranza. Tanto che non
di rado è avvenuto dipoi che qualche scrittore,
anche tra i più scevri da odii di razza e di re--
ligione, abbia, sulla fede di cronache litenute ve
ritiere, raccolto e ripetuto fatti che, o alla sana
critica non resistono, o debbono mettersi tra quei
casi isolati che sempre e in ogni luogo s'incontrano y
ma che mai a popoli o religioni si possono imputare.
Cosi, per tacer d*altri, ricorderò a questo luogo il no-
stro Francesco Domenico Guerrazzi che in una delle
prime edizioni dell' Asino cosi scriveva ; « Questo
« vediamo praticato in diverse guise, o cibando
« le vittime umane già offerte a Dio ed accettate
4( da lui, come, sino a tutto il 1820, costuma-
« rono i Benderusi, o gli azzimi intinti col san-
« gue umano, come fecero gli ebrei, finché la
« poterono fare. Che questo nei tempi barbari cc-
« stumassero gli ebrei non sembra potersi revo-
« care in dubbio : fra i moderni scrittori ne par-
« lano Michewich, e Jacobe il bibliofilo. » A lode
del vero va detto che il Guerrazzi ben presto si
accorse della gravità dell'affermazione e nelle ul-
time edizioni del libro soppresse il brano qui ri-
portato. Anzi in alcune edizioni dell'opera pregevo-
lissima il triumviro toscano fa ammenda onorevole
dell'errore al quale aveva data parvenza di verità
con l'autorità del suo nome.
Infatti nella terza edizione àeW Asino (Torino 1859)
è detto : « Diligenti ricerche ci hanno chiarito come
IL GHETTO DI ROMA 199
« questa inumanità non pure consentano, nia vie-
« tino le leggi ebraiche; se qualche setta iniqua
« l'abbia praticata non è sicuro, e in ogni caso sa-
« rebbe fantasia e ferocia di qualche uomo belva,
« non punto rito di popolo. »
Ora se una persona dotta e liberale come Fran-
cesco Domenico Guerrazzi potè prestar fede, sia
pure per un momento, a simili laide accuse d'in-
fanticidio, come non vi doveva credere il popolino
nei secoli i più ignoranti, quando si udivano degli
ebrei convertiti ripetere certe storielle, e proclamar
dalla cattedra, come fece padre Alfonso Spina ret-
tore dell'Università di Salamanca, che gli ebrei,
perchè sogliono perdere ogni mese una certa quan-
tità di sangue, avevano l'uso ed il bisogno di ci-
barsene per rimpiazzarlo.
E quasi tutto questo non fosse bastato, la Chiesa,
a rafforzare la popolare credenza, aveva annove-
rato fra i santi, e li annovera ancora, molti fan-
ciulli che si asserivano uccisi e martirizzati dagli
ebrei. Sarebbe facile il ricordarne parecchi come
san Riccardo ucciso dagli ebrei nel 1179, ed il
beato Enrico nel 1345, ed il beato Andrea nel 1462,
e san Guglielmo ucciso dagli ebrei di Narwich,
e san Manzio ucciso dagli ebrei lusitani, e san
Sebastiano Novelli martirizzato da quelli di Verona,
Uno degli ultioii processi clamorosi fatto per
reati di tal genere è quello istruito dal Parla-
mento di Met?, che nel 17 gennaio 1670 fece bru-
ciar vivo Raffaello Levy, ritenendolo convinto di
aver ucciso un fanciullo cristiano.
Degli esempi se ne porrebbero addurre all' in-
finito, tanto più che, lo ripeto, simili imputazioni
sorgevano al principio di ogni speciale persecuzione.
200 ETTORE NÀTALI
6 la cosa non colpi soltanto gli ebrei, ma anche
altri, come nelle epidemie avveniva per gli un-
tori. Ad esempio, per giustificare la distruzione del
celebre Ordine dei Templari, si mise in voga una
diceria di tal fatta, come scrisse il Du Puy: Un en-
fant nouvel engendré d*un Templier et d*une pucelle
estoit cuit et rosti au feu et tonte la graisse ostée
et dHcelle estait sacrée et oint leur idóle. La cosa
parrà strana, ma chiunque può riscontrarne la
verità. Anche adesso, in Oriente, la voce corsa del
rapimento di qualche fanciullo non di rado dà
luogo a rivoluzioni e a massacri che spargono il
terrore in intere contrade.
Ora fortunatamente ben pochi credono ai cruenti
sacrifici umani, anzi ai più ripugna il prestar
fede a tali accuse contrarie alla dottrina ed ai
-costumi di gente cui il Talmud insegna che:
« Dio impresse la sua immagine sulla faccia di
« tutti gli uomini, e che chiunque cancella questa
« immagine facendo perire una creatura umana
« è ribelle a dio e insulta alla « maestà divina. »
È vero che in tutte le religioni il fanatismo fa
dimenticare i precetti della legge scritta, e non si può
dire, ad esempio, che seguissero gli insegnamenti
del Vangelo, il libro più umano che si conosca,
quei fanatici spagnuoli che, ogni giorno, impicca-
vano 12 indiani ad onore e gloria dei 12 apostoli.
Cosi, malgrado gli insegnamenti del Talmud,
qualcuna delle brutture apposta agli ebrei è in-
dubbiamente vera, e, come sempre avviene, su
qualche fatto di depravazione o di vendetta indi-
IL GHETTO DI ROMA 201
viduale l'opinione pubblica ha basato accuse gene-
rali ed ingiuste, che hanno senipre più accese le
ire e gli odii fra i seguaci del Nuovo è quelli del
Vecchio Testamento. Si sa, ad esempio, che gli
ebrei portavano, per venderli, in Marsiglia quei cri-
stiani che furono presi dai turchi durante l'assedio
di Vienna, e che i turchi eviravano, prima di
venderli, e per odiò di razza e per ritrarne profitto
maggiore.
Un'altra accusa, come vedemmo, fino a tutto il
secolo scorso ha fatto versare molto sangue e ca-
gionato selvaggie persecuzioni : è quella che gli
ebrei rubassero le ostie consacrate per profanarle
a colpi di coltello fino a che dall'ostia non uscisse
il sangue. L'accusa era strana, inverosimile, ma
la moltitudine vi prestava fede e perseguitava di
odio feroce la razza maledetta che con tali pro-
fanazioni provocava l'ira di dio, e qualche fatto di
tal genere si trova seriamente narrato anche dagli
annalisti romani, i quali però il più delle volte si
sono limitati ad accusare gli ebrei di stregoneria.
- È sin dai tempi dell'impero romano che gli ebrei
si son dedicati a pronosticare l'avvenire, alle arti
segrete amatorie, alla fabbricazione dei filtri, alla
evocazione degli spiriti, ed anche allora erano ac-
cusati d'uccidere i bambini d'altre religioni, come
trovasi nella Satira sesta di Giovenale:
A pochi soldi
Vende fole V ebreo per tatti i gasti.
Passionati amator, e testamenti
Di ricchi zitellon promette a tatti ;
Ma pria d*ana colomba i palpitanti
Visceri esplora, ed apre ai polli il petto,
Ower d^un cagnolin fraga gli entragni,
E talvolta d*un bimbo; e si fa reo
Di colpa onde ei medesmo a danno altrui
Delator si farebbe
202 ETTORE NÀTALI
Tali arti superstiziose hanno durato per tutto il
medio evo ed anche nell'evo moderno, e narrasi'
di vecchie ebree, le quali uscivano furtivamente^
dalle loro case, o dal Ghetto, e si aggiravano per la
città a vendere filtri. L'accusa è ribadita nella bolla
di Pio V Hebreorum gens del 1564 ove è detto;
« Col pretesto di qualche lecito commercio si intro-
« ducono nelle case di donne distinte, provocandole-
« ad ogni sorta di impudicizia, e quanto è peggio
« ancora, spingendo quelle deboli ed imprevidenti
« creature a opere di satana, ricorrendo ad arti
« magiche, cabalistiche e simili. » L'opinione degli
scrittori circa la virtù delle donne ebree abbiamo
avuto campo di vederla altrove, e non è certo lu-
singhiera per loro. Adesso nulla certamente la
giustifica, ma dovè esser comunissima un tempo,
se il Martorelli chiama a dirittura postriboli le si-
nagoghe, e se, molto prima ancora, Ovidio ricorda
le conventicole giudaiche nella sua Arte d^ amore e
loro consacra un distico nel suo laconismo eloquente :
Nqc te preetereat Veneri ploratua Adonis
Cultaque judoBO septima sacra Syro,
Ma forse i giovanetti andavano facilmente nelle
sinagoghe soltanto per vedere le fanciulle, come,
secondo ne fa testimonianza il poeta greco, avve-
niva presso gli, cileni :
. che Bon di feste
Avidi i giovanetti, ove li tragga
Men grimmortali d^onorar desio
Che la beltà delle donzelle accolte.
Adesso, nelle sinagoghe le donne si tengono ri-
gorosamente separate dagli uomini, ed hanno in-
gresso speciale. Può darsi che a tal misura fos-
IL GHETTO DI ROMA 20^-
sero condotti , se pur non è più antica , gli ebrei-
per evitare scandali , e non dar presa ad accuse
ed a maldicenze. Accuse e maldicenze che non
mancarono, è ne fan fede tutti i santi padri, nep-
pure nei tempi dei primitivi cristiani tanto che si
dovettero proibire le vigilie.
Per tornare al nostro argomento aggiungerò, che
l'esercizio dell'arte divinatoria, portato dall'Asia,
sopravvisse presso gli ebrei fin quasi a' nostri
giorni, né è molto che i creduli traevano ancora,
di furto, al Ghetto per scrutare l'oracolo sulle cose
avvenire con cerimonie strane e superstiziose.
Ma purtroppo di tali stranezze non hanno il pri-
vilegio solo gli ebrei e gli zingari ; bascerebbe un
poco addentrarsi nella vita popolare per vedere
quante salde radici mettano i pregiudizi, e quanto
poco siasi fatto dai governanti per sradicarli. Po-
trebbero dirne qualche cosa i tenitori di banco da
lotto, ove affollasi il popolino che ad ogni più
lieve avvenimento sa trovare auspicii propizi. E
non sono pochi anche oggi giorno coloro che su
l'altrui credulità speculano o vivono lautamente.
•*■
Un'altra accusa si muove agli ebrei, quella di
esser facili ricettatori di oggetti rubati. Anche-
questa accusa risale a vecchia data, ma si man-
tiene vivissima tuttavia e forse, con qualche ra-
gione. Il piccolo commercio, cui di preferenza l'e-
breo si dedica, la compra e vendita di robe vec-
chie d'ogni maniera, e la facilità che i ladri tro-
vano di smerciare in Ghetto cose che altrove nom
204 ETTORE NATAU
troverebbero compratori, autoj^izzano i lamenti che
Jio sentito da qualche agente di polizia per la
sparizione del Ghetto. Là il poliziotto cercava i
compendii furtivi, e là il più delle volte li rinve-
niva, perchè tutto colava in quell'immenso emporio
di stracci e di luridume. Il Ghetto era certo un
grande ausilio per la pubblica sicurezza, ma se qual-
che agente di polizia perderà per un certo tempo
il suo latino, anche i ladri men facilmente rac-
capezzeranno il loro.
Checché sia di queste opinioni poliziesche, non
■certo scevre di esagerazioni, fatto è che talvolta
per rintracciare oggetti rubati si ricorse al blocco
completo del Ghetto, tanta era la sicurezza che là
fossero in qualche antro nascosti.
L'ultimo di questi assedi segui il 24 ottobre
1849 per parte dei francesi che occupavano Roma.^
Si andava dicendo da qualche tempo che nel
recinto israelitico dovevano trovarsi oggetti di gran
valore sottratti alle chiese ed ai monasteri du-
.rante il governo repubblicano.
La notte del 24 ottobre pertanto i francesi oc-
cuparono gli sbocchi di tutte le vie che conducono
al Ghetto, proibendo il passaggio ed il transito, e
procederono con grande severità a moltissime vi-
site domiciliari, che si protrassero per vari giorni.
•Furono asportate argenterie molte e molti oggetti
preziosi, ma sembra che poco di quel che si cer-
•<3ava venisse trovato.
Di fronte a tali atti di autorità non deve recar
meraviglia se l'odio e la superstizione dei cristiani
ha prestato facile orecchio, esagerandole, alle
colpe di un popolo deriso sino dal principio della
.nostra èra, maledetto da tanti papi, pe;:*seguitato
j
IL GHETTO DI ROMA 2^5-
dai sovrani di tutte le nazioni come da Edoardo I
d'Inghilterra, che per diletto faceva impiccare
fra due cani 180 giudei, o da Filippo Augusto di
Francia, che li cacciò dai suoi Stati e ne confiscò
tutti i beni, montanti alla terza parte del terri-
torio del regno.
Quanto dobbiamo rallegrarci di essere nati in
un secolo in cui il racconto di certi fatti non
sembra pur vero I Come dobbiamo rallegrarci che-
per l'ebreo non debbasi più dire con Byron :
L^ uccello ha un nido, ha un suo covll la belva
L'uomt> ha una patria; ma nullo ha ricovero
Il figlio d^IsrAel, fuorché la tomba.
O.mai la loro emancipazione è un fatto com-
piuto pressoché in tutte le parti del mondo ;.
VEbreo erravté Ha fermato le sue tende, ed è do-
vunque suddito leale e buon cittadino.
Ilemente XIV s Pio IX.
Vi ha chi sostiene sul serio che si potrebbe
■giungere a sopprimere il semitismo soltanto con
l'abolire la cerimonia della circoncisione, che è
rimasta la principale, e quasi la sola cerimonia
che gl'israeliti osservino ancora e pratichino come
la praticava il più vecchio dei patriarchi. Abramo,
or son più che quattromila anni. A proposito della
quale cerimonia e delle tradizioni che l'accompa-
gnano, alcuni pensano di farne risalire l'uso a Sa-
turno ; da lui l'avrebbero appresa gli egiziani e da
questi gli ebrei, presso i quali è rimasta come il bat-
tesimo pei cristiani, ad imprimere, come dicono, il
carattere. Naturalmente essa ha un'influenza inne-
gabile negli usi religiosi degli adoratori di Jehovah,
ma mal si apporrebbe, a mio avviso, chi volesse
-abolirla per abolire il semitismo, A nessuno dei più
208 ETTORE NATALI
feroci persecutori degli ebrei, nemmeno a Paolo IV
od a Pio V, né a Vincenzo Ferreri, né a Tommaso
di Torquemada, né ad Edoardo I d'Inghilterra, né
a Filippo il Bello di Francia, a nessuno, ripeto, è
mai passata per la mente simile idea che pure oggi
si discute come una cosa possibile da persone che si
dicono liberali, e su giornali liberali. Il toccare que-
sto rito, simbolo o suggello deiralleanza divina col
popolo eletto, sarebbe un voler sollevare le ire di
tutti gli ebrei, ire più veementi ancora che non
quelle sollevate per la distruzione del tempio di Sa-^
lomone.
La storia ricorda che l'imperatore Adriano, e fu
il solo, dopo aver presa e distrutta Gerusalemme,
proibì agli ebrei ogni usanza nazionale, e puranco
la circoncisione. Ma questo divieto, del resto non
osservato, fu tolto dal successore di Adriano, An-
tonino il Pio, e da allora nessuno ha osato più
porlo. D'altronde sono ben strane le idee di coloro
che lo consigliano per ragioni igieniche^ mentre l' i-
giene, specialmente nei nostri climi meridionali,
ci porterebbe a conclusioni affatto contrarie.
Lo ripeto, e lo ripeterò cento volte, non è con
le persecuzioni che si riuscirà a fondere la razza
semita nella nostra; solo, come mi sembra di avere-
evidentemente dimostrato, l'eguaglianza civile può
far sparire l'ebreo per lasciare il cittadino ed il pa-
triota.
A Roma la cerimonia della circoncisione è stata-
celebrata sempre con grande solennità, come una
festa, e con riti ai quali nessuno ha mai osato di-
apportar cambiamenti da secoli, perchè gli ebrei
sono stati ugualmente gelosi dei loro riti, come dei-
loro dogmi. Il rabbino si scalda ancora le mani al-
IL GHETTO DI ROMA 20^
braciere, adopra il coltello di pietra, perchè la,
carne degli israeliti non può essere toccata col
ferro, e succhia ancora le poche goccio del sangue
che cola dalla ferita. Che male può vedere la
società in tutto ciò? Se fosse il caso di addurre
argomenti teologici, si potrebbe notare che Gesù
fu circonciso, e che lo furono gli Apostoli ed i papi
e tutti i cristiani del primo secolo della nostra èra.
Nella nota persecuzione fatta per ordine di Do-
miziano, furono insieme confusi e martirizzati ebrei
e cristiani, perchè ai pagani era difficile il distin-
guerli, mentre gli uni e gli altri erano designati
dall'obbrobriosa ispezione che si. faceva per con-
statare se fos-ero o no circoncisi. Svetonio, nella
Vita di Domiziano, narra con queste parole un
fatto dì cui era stato testimonio : Interfuisse me
adolescentulum memini, cura a procuratore inspicC"
retur nonagenarius senex an circumsectus esset.
-*■
Una delle cause alle quali gli israeliti devono^
l'esser rimasti nel mondo attraverso tante per-
secuzioni, si è l'avere essi costantemente e minu-
tamente osservato le prescrizioni e le formalità
della loro religione. E queste formalità, fino allo
scrupolo, *da nessuna comunità furono tanto os-
servate quanto da quella di Roma. Un tal fatto si
spiega facilmente quando si pensi che i papi sono
i sovrani d' Europa, dopo il sultano, che meno
abbiano vessato la comunità israelitica, come ho
dimostrato fino ad ora, e come meglio proverò ia
appresso.
14 — E. Natali, Il Ghetto di Roma.
210 ETTOnE NATAwI
Agli ebrei si è mossa una guerra atroce sotto
il pretesto della religione, ma la causa spesso era
ben altra, e bisogna ricercarla nelle loro ricchezze
e nei loro crediti. A Roma i giudei non sono mai
stati tanto ricchi come a Toledo, a Cordova, nella
Linguadoca, nel Limosino, a York, a Strasburgo,
a Maienza, a Norimberga ed in cento altri luoghi,
perchè Roma non è stata mai città ricca d'indu-
strie e di commerci; ma mentre erano espulsi dal
reame di Napoli nel 1541, da Genova nel 1550 e
da Milano nel 1597, a Roma sono rimasti sempre.
Nessuno ha dato loro il bando dalla metropoli del
cristianesimo, nemmeno quei papi i quali, come
Clemente VII, Paolo IV o Pio V e Leone XII, ne
furono i più acerrimi persecutori.
La fermezza degli ebrei romani nelle loro ere*
denze è pur dimostrata dal fatto che nelle Univer-
sità israelitiche di Roma mai sorsero controversie
di sorta sulla interpretazione della Bibbia, né vi
si ebbe mai neppure un tentativo di quei scismi
che tanto hanno dilaniato altre Università israe-
litiche in altri paesi, ed in ispecial modo quelle
delFAlemagna. Solo in principio del nostro secolo
la comunità di Roma si divise in due fazioni, ma
non per una questione dogmatica.
Alludo qui alla questione che si disse dello scevà
e del patah.
Lo scevà ed il patah sono, due segni o punti vo-
cali della lingua ebraica equivalenti rispettivamente
alle vocali italiane e ed a, ed i due segni uniti for-
mano il dittongo (B. La questione tenne divisa la
Università israelitica di Roma per quasi un ven-
tennio, cioè dal 1826 al 1845, e dette luogo non
soltanto a dispute vivaci ma a risse nella stessa
IL GH£TTO DI ROMA 2U
sinagoga, ove il cardinal Vicario dovette mandare
i suoi birri perchè non si finisse col fare a pugni
durante la celebrazione dei riti religiosi. A conci-
liare gli animi riesci nel 1845 un rabbino di Geru-
salemme qui venuto per una colletta.
Del resto non deve recar meraviglia se gli ebrei
si appassionarono tanto per una vertenza che non
riguardava alcun dogma, o verun rito, ma concer-
neva unicamente la ortodossia grammaticale, o,
per dir meglio, la pronunzia tradizionale di poche
parole del formulario delle preghiere quotidiane.
Non deve recar meraviglia la futilità di tali dispute
a chi ricordi come qui a Roma anche fra i cattolici
si sia acremente ed a lungo discusso su cose non
certo più importanti, come avvenne quando tanto
si disputò per sapere se i frati mendicanti potes,
sero o no portare le brache. E, per decidere a
favor delle brache V ardua questione, si dovette
ricorrer all'autorevole testimonianza di un nume-
roso stuolo di teologi e di scrittori ecclesiastici
dopo che in alcuni conventi i frati, divisi in due
partiti, erano venuti fra loro persino alle mani.
^
Per la storia degli ebrei che ebbero dimora in
Koma, vai la pena di ricordare il nome di quei
papi che maggiormente li protessero. Questa lista
dei protettori è lunga, per cui è impossibile ri-
portarla completa : d'altronde parmi anche su-
perfluo, dopo che di essi mi occorse tanto spesso
discorrere in questo libro. Quanto alla lunghezza
212 ETTORE NATALI
(
toma ad onore del papato, che in questo si
mostrò sempre animato dal vero spirito evan-
gelico, e a sostegno della mia tesi che tende a
dimostrare come gli ebrei furono sempre in Roma
meno perseguitati che altrove. Fra le tante ragioni
che si possono addurre onde spiegare un tal fatto
non deve dimenticarsi essere stati gli ebrei di
Roma sempre tanto modesti e cosi poco potenti,
da non dar mai ombra ai governanti, come forse
non successe in Spagna, in Alsazia e pur anco in
molte città della Germania, ed a tale mitezza deve
certo aver contribuito non poco anche la tra-
dizione pagana di cui in molte cose i papi fu-
rono continuatori. — Antonino, Marco Aurelio e
Commodo nei primi secoli dell'era volgare se per-
seguitarono qualche volla i cristiani, protessero
gli ebrei. — Più tardi Teodorico rimproverò il se-
nato Romano per non aver saputo trattenere il
popolo dal bruciare una sinagoga; la vera reli-
gione cristiana, secondo il duce dei Goti, non au-
torizzava gl'incendi ed i furti. — Quanto ai papi
il loro zelo religioso lo sfogavano in disposizioni
del genere di quella contenuta nel capitolo 70 del
Concilio lateranense tenuto sotto Innocenzo III.
Prescrivevasi cioè che In diebus lamentationiSf et
Dominicae passionisi in publicum minime prodeant
o qualche altra co-^a del geneie, come in molti
luoghi di questo libro i lettori hanno potuto vedere.
L'enumerazione dei papi protettori non potrebbe
cominciar meglio che col nome di Gregorio il
Grande.
Questi, in una lettera scritta ai re di Borgogna e
di Austrasia, si lamentò, è vero, che quei mo-
narchi lasciassero ai giudei il traffico degli schiavi,
IL GHETTO DI ROMA 213
perchè temeva che i cristiani schiavi fossero a
forza circoncisi, ma altre lettere che pur rimangono,
e più precisamente quella diretta al vescovo di Ter-
racina, sono un vero monumento di pietà cristiana
e di tolleranza religiosa.
Ci è occorso già di ricordare quanto Alessandro II
fece a prò degli ebrei, e basterà qui l'aggiungere
le lodi da lui indirizzate al visconte Beranger
di Narbonne, il quale aveva salvato molti ebrei,
e li aveva protetti, mentre erano perseguitati negli
altri paesi di Francia : « Noi abbiamo visto con
« piacere - scriveva il papa - che avete sottratto
« gli ebrei alla morte. Dio non gode del sangue
« sparso in suo nome. »
Da Clemente VI furono fatti tradurre in latino
i libri astronomici di Levi ben Gerson, dotto ed
ardito astronomo,, filosofo e medico provenzale, ed
il papa fu tanto favorevole ai figli d'Israello, che
li accolse in Avignone mentre erano cacciati ed
uccisi in tutti i paesi di Europa dal volgo che a
loro dava la colpa di aver propagato, avvelenando
le fontane, la terribile peste del 1340.
Onorio III e Gregorio IX furono egualmente fa-
vorevoli ai seguaci della legge di Mosè. Special-
mente Gregorio li protesse presso i principi cri-
stiani , li difese dall' accusa di uccidere fanciulli,
e seppe ottenere dal re di Francia la cessazione
dei massacri degli ebrei accusati di aver messo
in croce un fanciullo cristiano in Parigi.
Nicolò III nel 1278 scrisse in favore dei giudei
una bolla la quale, secondo il Depping, « è un
« monumento di tolleranza in quei tempi d'odio e di
« persecuzioni religiose. »
Martino V, in una bolla promulgata a favore de-
214 ETTORE NATALI
gK ebrei, scrive : « Poiché gli ebrei sono fatti come
« gli altri uomini, ad immagine e similitudine di
« Dio, e poiché é noto che la loro posterità sarà
« salva, essi non devono essere molestati nelle
« loro sinagoghe, né impediti nelle loro relazioni
« commerciali coi cristiani. »
Leone X permise persino a Daniele Bombergue,
tipografo di Anversa, di stampare il Talmud con
privilegio pontificio, e quando lo stesso Bombergue
trasportò la sua stamperia in Venezia Leone X
accettò la dedica di una pregevolissima edizione
della Bibbia con le parafrasi caldaiche ed i com-
mentari di molti rabini ; la edizione di questa
Bibbia fu fatta sotto la direzione dell'ebreo Felice
Pratense. In una controversia fra l'ebreo Reuchlin
ed i domenicani, il papa dette torto a questi ukimi.
Benedetto XIV rimproverò acèrbamente un re-
ligioso che, predicando innanzi agli ebrei, soleva
investirli con contumelie ed ingiurie atroci. « Que-
« sto - disse il papa , secondo scrive il Carac-
« ciclo - è il mezzo di allontanarli e non di av-
« vicinarli alla vera fede, ed é contraddire agli
« Evangelisti, che nella narrazione della passione
« di Gesù Cristo non hanno adoperato una sola
« parola d' indignazione contro Giuda e contro i
« carnefici dell' uomo Dio, benché il loro delitto
« fosse atroce. y>
■^
Un papa che può dirsi abbia ereditato lo spirito
dominatore di Gregorio VII fu Sisto V, nato da
un'umile famiglia di guardiani di porci. Devono
IL GHETTO DI ROMA 215
aver provato un' ingrata sorpresa gli ebrei quando
conobbero l'elezione del cardinal Foretti che era
stato il favorito dei due papi più crudeli verso di
loro, di Paolo IV e di Pio V, e che aveva con tanta
severità, retto il posto di inquisitore a Venezia. Lo
stesso Peretti era talmente persuaso della sua se-
verità, che quando vide far sfregio alla statua di
Paolo IV, esclamò: « Per Dio, se fossi adesso a
Venezia, correrei da vivo la stessa fortuna che
corre il papa da morto. » Né gli animi dei giudei
si saran rinfrancati quando il neo-eletto quasi a^
porre il programma del suo governo, fece pas-
seggiare lungo tutte le vie di Roma dodici carnefici,
dei quali sei con la scure sulle spalle e sei con
una corda, pronti ad impiccare od a decapitare
chiunque non andava a versi dell' iroso pon-
tefice.
Eppure le apprensioni ed i timori dei figli di Heber
questa volta non si avverarono, e giammai trova-
rono invece chi li tollerò, anzi, chi li protesse
tanto quanto il più ^temuto di tutti i papi.
A persuadersene basta leggere la vita che di
Sisto ha scritto Gregorio Leti, opera che ha reso
popolari le gesta di questo avventuroso pontefice.
Un tal Secchi, tenne come ivi narrasi, una scom-
niessa contro un giudeo di nome Sansone Ceneda
che negava la morte del re di Polonia.
La scommessa era abbastanza strana, poiché se
il vincitore era Ceneda, avrebbe guadagnato mille
scudi, se invece lo era il Secchi, questi aveva il
diritto di togliere una libbra di carne dal corpo del
giudeo. Appurata la notizia il Secchi vincitore
chiese all'ebreo l'adampimento del patto conve-
nuto. Saputasi dal papa la cosa, volle avere alla
216 ETTORE NATALI
sua presenza i due scomettitori, che uscirono dal
suo cospetto non troppo contenti del giudizio so-
vrano, perchè Sisto V permise al Secchi di pren-
dersi la l»bbra di carne dal corpo del Ceneda, ma
guai se ne tagliase un'oncia di più o di meno. A
tale sentenza gli scomettitori presi da timore dis-
sero di aver fatto le cose per scherzo e se la
cavarono pagando entrambi una grossa somma per
la costruzione dell'ospedale a Ponte Sisto.
Un'altra volta il papa fece frustare a sangue,
per le vie del Ghetto, uno staffiere di casa Conti,
che per dileggio aveva tolto il cappello di capo a
un ebreo.
Il fatto che menò più rumore fu il volgarizza-
mento della Bibbia ordinata dal papa che la
fece stampare nella stamperia apostolica. Per
tale volgarizzazione, che sembrava un'empietà ai
credenti di quei tempi, l'ascetico Filippo II di Spa-
gna montò in gran furore e dette ordine al suo am-
basciatore di muoverne lamento col papa. Quando
lo spagnolo si presentò al Vaticano, per adempiere
alla spinosa missione, Sisto gli disse: « L'abbiamo
fatto per voi che non intendete il latino. » Non
pertanto l'ambasciatore si trattenne per più di
un'ora a muover lamenti a nome del re dicendo
scandalosa la pubblicazione della Bibbia italiana.
« Vostra Santità, disse l'OIivares, non mi ri-
« sponde nulla, che cosa devo dire al mio Re?
« A che pensa Vostra Beatitudine ? >► E Sisto :
« Penso a farvi gittare da quella 'finestra, per in-
« segnarvi come si debba parlare al Pontefice. »
IL GHETTO DI ROMA 217
•¥•
Un poeta del tempo scrisse di Sisto :
Abbiam veduto un piccol fraticello
Riformar. Roma ed arricchir Castello,
ed ebbe ragione, perchè nel tesoro di Castel S. An-
gelo furono trovati cinque milioni di scudi quando
mori il papa, e buona parte di questa somma, al-
lora enormissima, l'avevano pagata gli ebrei. Sisto
soleva dire che gli ebrei dovevano essere protetti
e rispettati e che bastava toccarli nella borsa per
risparmiare un poco quella dei sudditi cristiani ;
nei cinque anni del suo regno non fu ucciso che
un solo ebrèo, mentre ritornarono in Roma oltre
200 famiglie d'israeliti che erano fuggite per le
persecuzioni dei feroci predecessori di Sisto V.
fcrli ebrei non movevano lamento di pagar forti
tasse, anzi le pagavano di buon animo perchè da
gran tempo non avevano vissuto vita cosi tran-
quilla.
Sisto V curò molto l'incremento della coltivazione
del gelso e favori l'industria dei bachi da seta nello
Stato romano. Nella corte papale vi era immenso
consumo di seta per il grande sfoggio di abiti se-
rici che facevano i prelati ed i cardinali. La storia
fa menzione di due industriali, Magino di Gabriele,
ebreo di Venezia, e Giovanni Corcione, napole-
tano, i quali fondarono nuove fabbriche di seta
in Roma.
Da alcune ricerche del principe Camillo Massimo
d'Arsoli, sembra accertato che l'ebreo Magino sia
218 ETTORE NATALI
stato r inventore di un segreto per trarre la seta^
dai bachi due volte all'anno. Di lui si parla in un
breve del papa, datum Eomcie apud 8. Marcum d%&
IVjunii 1587, rarissimo e singolare perchò diretto
ad un ebreo. Il breve pontifìcio originale si trova
nella Segreteria de' brevi, e con esso si concedeva
al Magino la privativa della sua invenzione per
sessantanni, oltre una quantità di privilegi e fa-
cilitazioni ed oltre la licenza di abitare per quin-
dici anni con la sua famiglia fuori del Ghetto. Il
papa volle che la sua sorella Camilla Peretti—
Mignucci, da lui già elevata al rango di princi^
pessa romana, fosse posta dall'ebreo a parte del
profitto che ricaverebbe dalla fabbricazione della
seta. Donna Camilla infatti per alcuni anni prese
la metà dei guadagni , e volle che i filatoi della
seta fossero posti nella magnifica villa, donata dal
papa ai Peretti, che sorgeva presso le Terme Dio-
cleziane. Altro premio si ebbe il Magino da Sisto V
per un ulteriore suo ritrovato, quello cioè di for*
mar vetri e cristalli colorati coli' olio ricavato da
certe piante.
Anche un rabbino francese, certo Meir, venne in
Roma e pubblicò un' opera suU' importanza del
commercio dei bachi da seta. Del libro del Meir
papa Sisto accettò la dedica.
•^
. Non deve nella nota dei protettori omettersi il
pontefice Clemente XIV. Questo pontefice trattò
«ome amico il negoziante ebreo Ambron, notissima
allora a Roma. Per questo ebreo fu composto il
IL GHETTO DI ROMA 21^
seguente epitaffio, nel quale lo scrittore finge che-
l'ebreo morisse impiccato:
Giace in questa feral tomba ristretto
n cener ft-eddo dell'estinto Ambronne;
Fa mentre visse il primo onor del Ghetto,
Più di Mosò, più d'Esdra e più d'Aronne.
Da Magnati fa amato e fu protetto,
Appiccato mori coma Assalonne.
Chi leirge, l'ama pria di pianto bagni,
Poi preghi forca a tutti i suoi compagni.
Dovrei continuare ancora per un pezzo a ripor-
tare fatti per dimostrare quanto i papi furono mi-
gliori degli altri sovrani nel proteggere gli ebrei;
ma noi faccio perchè da quanto ho scritto fino ad
ora la tesi è abbastanza bene dimostrata, ed anche
meglio lo sarà in seguito. Come pure non credo-
dover fare speciale menzione di quei pontefici che,
come Paolo IV o Leone XII o Gregorio XVI, cre-
dettero di non essere benevoli verso i figli di Israello.
■*•
Qui basterà di ricordare Pio IX, sotto il cui por-
tificato non furono più messi i portoni del Ghetto ;.
lui regnante, gli ebrei godettero nello Stato pontificio
di ura libertà di cui non godono oggi quelli di
Russia e di Rumenia. Ebbe inoltre Pio IX il me-
rito di abolire col Motu proprio del P ottobre 1847
l'obbligo deiromaggio e di ogni altro aito di sud-
ditanza speciale che, come vedemmo, gli ebrei
erano tenuti a fare verso il Senato Romano al
principio delle feste carnevalesche.
Sono sicuro che Leone XIII avrebbe seguito in^
220 ETTORE NÀTAU
questo, diversamente che nel resto, la politica del
suo predecessore.
È da notarsi che i papi romani, o meglio nativi
di Roma, come Onorio III (Savelli) Gregorio IX
(dei conti di Segni) Nicolò III (Orsini) Martino V
^Colonna), furono specialmente protettori degli ebrei,
mentre né furono persecutori i papi veneti, forse
perchè temevano la concorrènza, pei loro conna-
zionali, di una razza cosi adatta alle faccende com-
merciali.
XV.
La predica coattiva - Le dispute - Luoghi nti quali gli ebrei sono^
stati costretti ad udire le prediche.
Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta, ha
molti titoli alla riconoscenza dei romani e come in-
terprete di Dante, e come propugnatore dello studio
del disegno, poiché egli fece rinascere il gusto per
le arti ornamentali, e specialmente per Toreficeria;
ma la principale sua benemerenza, a mio avviso,
è l'aver egli presieduto alla Giunta di Governo
che fece il plebiscito romano. Verso il dotto patrizio
i giudei hanno inoltre il dovere di una speciale
riconoscenza, perchè il duca di Sermoneta seppe
per loro ottenere da Pio IX l'esonero dall'obbligo di
udire la predica che un religioso, quasi sempre do-
menicano, appositamente deputato, faceva agli ebrei.
Ciò avvenne nel 1848.
L'origine delle prediche devesi alle antiche col-
lazioni, o dispute, che solennemente, erano fatte
dai cattolici cogli eretici e con gli stessi giudei*
222 ETTORE NATAU
La disputa più antica ricordata dalla storia ò
quella che nelP anno 315 papa Silvestro ebbe in
Roma con i principali dottori ebrei, e dopo la quale
molti si convertiroro al cristianesimo. A questa di-
sputa la leggenda attribuisce la conversione non solo
4i un gì an numero di ebrei, ma di oltre 400,000 pagani
fra i quali V imperatore Costantino e sua madre
Elena ; ma ciò è completamente inesatto. Costantino
infatti non si fece battezzare da papa Silvestro in
Roma, ma dal vescovo Eusebio in un castello presso
Nicomedia, poco tempo prima della sua morte.
Altri storici, come riporta Basnage, narrano in-
vece che i dottori ebrei ebbero una conferenza col
pontefice Silvestro alla presenza soltanto dell'im-
peratrice Elena. I rabbini avevano condotto* con
loro un mago, di nome Zambres, il quale per di-
mostrare la potenza della sua fede fece, con uno
sguardo, cader morto un bove innanzi ai piedi del
papa. Ma Silvestro non rimase per nulla stupito
da tale prodigio e con una benedizione fece risu-
scitare il bove morto, mostrando cosi un potere
superiore, e convertendo alla fede l'imperatrice ed
un gran numero di ebrei e di pagani. A ragione
però pochi prestano fede a questo racconto che
avrebbe troppa somiglianza con le gare che si
fanno ora tra prestigiatori sul palcoscenico.
Comunque sia, certo è che gran studio ponevasi
dai papi e dai primi imperatori cristiani nel far
proseliti e nell' impedire che altri ne facesse. La
legge 7, Cod. de jìid,y si esprime chiaramente su
questo punto : Judaeus qui cum judaicae religionis
non esset e contraria doctrina ad suam religionem
iraducere praesumpserit, honorum proscriptione damr-
neiur miserumque In Triodo puniatur.
IL GHETTO DI ROMA 223
D'altra parte, guai a chi avesse bestemmiato la
religione cattolica. Calisto III, con bolla dei 21
maggio, proibì ài cristiani di accendere il fiioco
agli ebrei, preparargli i cibi o prestargli il me-
nomo servizio per la celebrazione del sabato o di
altra loro festa e ordinò a tutti i giudici di proce-
^edere rigorosamente contro gli ebrei e contro i
saraceni, qualora proferiscano bestemmie contro
dio, la vergine o i santi.
È pregio dell'opera il ricordare qualcuna fra le
più celebri dispute, come ad esempio, quelle tenute
:a Parigi nel 1240 ed a Barcellona nelj 1263. Svol-
gevansi con grandi solennità innanzi ai re, alle
regine, ed ai più cospicui personaggi come la di-
sputa pubblica del Nahmanide col battezzato fra
Paolo, che si tenne nel 1263 in Girona per ordire
del re Giacomo in pre^-enza di Raimondo sire
di Peimaforte. Fra le altre è celebre quella che
si fece in Tortosa il 7 febbraio 1413, quando
l'antipapa Benedetto XIII ordinò che disputas- '
sero in sua presenza molti teologi e dottori,
con i rabbini delle principali Sinagoghe di Spagna.
In quell'occasione uno dei campioni più valenti del
cattolicismo fu l'ebreo convertito Giosuè Lurki,
medico, che col battesimo aveva preso il nome
di Girolamo di Santa Fede. Costui nella propa-
ganda religiosa mise tanto zelo da ottenere la
conversione di tremila ebrei convinti dalle sue
esortazioni, o come meglio io credo, impauriti dalle
persecuzioni che sempre seguivano le dispute.
J^è il fatto di Girolamo di Santa Fede è un fatto
isolato, perchè, come abbiamo potuto vederlo altre
volte, gli ebrei convertiti hanno messo, nel perse-
guitare gli antichi correligionari, maggiore acca-
224 ETTORE NATALI
nimento che non i più ardenti seguaci dell'inqui-
sizione . Forse i neo-battezzati in tal modo vole-
vano ben meritare dei cristiani, e cancellare
Tobbrobriosa macchia che rimaneva ad offuscare
i convertiti i quali, come vedremo, erano sempre
tenuti in sospetto e disprezzati da ogni ordine di
cittadini. Un^altra ragione sta nel fatto che es-
sendo rara la scienza della lingua ebraica, si dove-
vano scegliere per le dispute coloro che avevano
abiurato al giudaismo, dei quali non era dubbia l'eru
dizione e la conoscenza dei libri sant». Forse per
riparare all'ignoranza dei cristiani Clemente V nel
1320 ordinò di erigere una cattedra di lingua
ebraica nelle accademie. Del zelo dei neo-cattolici
abbiamo avuto una prova anche ai di nostri, nel-
l'abate Ratisbonne, della cui conversione par-
lerò fra poco ; costui una volta volle tentare di
predicare agli ebrei di Roma, ma, ad onta dei
minacciati castighi, nessuno volle assistere al suo
sermone. Fortunatamente non si era più ai tempi
nei quali i giudei erano accompagnati ad udir la-
predica a suon di frustate.
■*-
Le dispute orali, nel medio evo si facevano nella
lingua parlata dal popolo. Il romano Salomone ben
Mosè ben Jekutill, autore di un' operetta ebraica
apologetica e polemica, vissuto verso la fine del
secolo XIII, raccomanda instantemente ai disputa-
tori di saper bene la lingua vernacola.
L'operetta di Salomone conservasi nella biblioteca
IL GHETTO DI ROMA 22&
Casanatensee fu scritta per la difesa della religione
giudaica contro gli assalti dei cristiani nelle pubbli-
che dispute. L'autore espone diffusamente nell'opera
le condizioni necessarie per riuscire ad una di-
sputa vittoriosa, ed insegna il modo di dimostrare
che dio è [uno^ [esistente, incorporeo, invisibile,
immutabile, senza principio e senza fine, inespri-
mibile e inconcepibile.. Il Salomone era figlio del ro
mano Mosè ben iJekutiel dallo Zunz annoverata
fra i poeti sinagogali. Nella medesima biblioteca
Casanatense si conservano altre due opere ebraiche
scritte per [ammaestrare al « Combattimento di
dio » runa di Profiat Duran, e l'altra [di Jacob
ben Ruben.
L'obbligo per gli ebrei di assistere alla predica
rimonta ad epoca molto antica, e forse al tempo
di [Giustiniano imperatore [che in una [delle sue
leggi ordinò di catechizzare ."tutti i fanciulli ebrei
dell'età di due anni, per ottenerne più facilmente
la conversione.
Alcuni secoli dopo san Gregorio Magno, come si
vede dalle sue opere, scriveva al vescovo di Ter-
racina di indurre benignamente gli ebrei ad udire
la parola di dio ; ma l'obbligo di udire la predica
fu in certo modo disciplinato nel 1584 da Grego-
rio Xin con la bolla Banda Mater Ecclesia^ nella
quale bolla, confermando quanto avevano ideato i
suoi predecessori, Gregorio XIII prescrisse agli
ebrei di udire una predica alla settimana, allo
scopo di convincerli che il Messia era già venuto.
Sisto V, anche in questo benevolo, ridusse tale
obbligo a tre volte all'anno.
Nella bolla di Gregorio è prescritto che si pu-
nissero severamente tutti gli israeliti dell'età mag-
15 — E. Nàtali, // Ghetto di Roma,
226 ETTORB NdkTAU
giore di dodici anni, i quali si rifiutassero di a»-
-sistere al sermone. Se avviva che qualcuno di
quei disgraziati si addormentasse, mentre parlaTa
fi sacro oratore^ era immediatamente risvegliato
con colpi di frusta largamente somministrati da
quattro aguzzini destinati a presiedere al buon
andamento della cerìiAonia. Con ugual mezzo
di sensibile persuasione erano colpiti coloro che
non serbavano il silenzio, o come dice un autore
di quei tempi : « acciò non stiano maliziosamente
<c distratti, decretò il papa che vi stassero dei
« birri con la bacchetta in mano per toccare chi
4C dorme o non osserva il silenzio. >
Il primo a cui Gregorio XIII affidò Tincarico di
•convertire gli ebrei fu un ricco e dotto rabbino bat-
tezzato di nome Andrea del Monte, che divenne
fervente propagatore della fede. Il Del Monte,
nato in Francia, aveva prima di abbracciare il
cristianesimo, spiegato per molti anni il Talmud
nella sinagoga di Roma : chiamavasi Giuseppe
Sarfati, e prese, battezzandosi, il nuovo cognome
per onorare il papa allora vivente, Giulio in
delle- famiglia Ciocchi Del Monte. Fu questi che,
indispettito dal vedere che ninno degli antichi
correligionari si recava ad ascoltarlo, suggerì al
papa di costringerveli con la severità delle pene.
Gli uomini obbligati ad assistere alla predica
dovevano essere non meno di cento, e le donne
cinquanta ; nelF insieme dovevano rappresentare
almeno la terza parte della popolazione israelitica.
Non è a dire quali e quante astuzie si usassero
per isfuggire a questa prescrizione, che per gli ebre
era tanto più penosa, in quanto che la predica
aveva luogo il sabato, subito dopo le funzioni della
-j
IL GHETTO DI ROMA 227
sinagoga. Il predicatore, anzi, doveva spiegare, a
modo dei cattolici, il passo del Pentateuco che in
quel sabato era stato letto nella sinagoga, e gran
parte del discorso era rivolto ad ingiuriare, vili-
pendere, coprir di contumelie li ascoltatori, poiché
l'oratore s'indispettiva e si adirava anche perchè
la sua parola mai produceva alcun effetto, e
sempre l' orgoglio umano resta offeso da ogni
•modo di pensare contrario al suo.
Né la violenza del linguaggio, né la dottrina del-
l'oratore aveva alcuna presa sull'animo dei figli di
Heber, perché é razza che non ama di esser con-
vertita, come non cerca, né ha mai cercato da
molti secoli, di convertir gli altri. Le più feroci
persecuzioni non hanno valso ad estinguerla, e con
lunghi anni la moderna civiltà può solo farne spa-
rire lo spirito di tribù e di sètta, e restituire l'ebreo
alla civiltà, uomo fra gli uomini, cittadino fra i
-cittadini.
Un papa maravigliossi una volta del poco frutto
che questi sermoni producevano, e prescrisse mag-
giore severità e sorveglianza. Fu scoperto allora
che i giudei, per non udire la parola odiata, ave-
vano presa l'abitudine di turarsi le orecchie con
la cera ed il cotone.
4-
Durante il governo della Repubblica e del primo
impero francese l'obbligo della predica fu tolto,
come furono tolte tutte le altre leggi che distin-
guevano gli ebrei dagli altri cittadini ; ma il fiero
228 ETTORE NATALI
Leone XII richiamò in vigore anche questa pre~
scrizione, e volle che la predica si facesse cinque
volte ogni anno.
Poiché la chiesa era profanata dalla presenza
del popolo deicida, durante la cerimonia si levava
dal ciborio il Sagramento, e si spogliavano gli
altari come durante la settimana di passione.
Allorquando ne incominciò l'uso queste predi-
che solevano farsi nella chiesa di san Benedetto
in Arenida nel rione Regola, antichissima parroc-
chia filiale della basilica dei ss. -Lorenzo e Da-
maso. In sul principio i predicatori erano due, ma
con l'andar del tempo ne rimase uno solo, e, come
osserva un pio scrittore del settecento, « ancor uno
« sopravanza perchè dai cuori di sasso poco frutto
« si cava. » Ed un solo predicatore rimase sino a
tanto che questa istituzione fu abolita sotto il go^
verno della prima repubblica al cominciare del
presente secolo. Da Leone XII, nel ripristinare la
predica coattiva per gli ebrei, fu stabilito che si
facesse nella chiesa di sant'Angelo in Pescheria,
perchè più vicina al Ghetto.
Teodoto, console e duce dei romani, zio di papa
Adriano I, nel T70 eresse nel bel mezzo del Por^
tico di Ottavia la chiesa di san Paolo come ne
serba ancora memoria un'iscrizione in marmo ivi
esistente nella quale si legge: Theodotus a sola
CBdificavit per intercessionem cmimae suae et reme-
dium omnium peccatorum. L'antica chiesa di san
Paolo, dopo il 1200, principiò a chiamarsi di san-
t'Angelo pescivendolo per la vicinanza del mercato
del pesce, e fu testimone di molti rivolgimenti ai
tempi di Cola di Rienio, quando ancora aveva
importanza e figura di basilica. Ai di nostri fu:
IL GHKrTO DI ROMA 229
demolita e riedificata in quello stile barocco che
ha deturpato la maggior parte degli edifìci e mo-
numenti di Roma.
Della chiesa della Trinità dei Pellegrini e di
quella di san Benedetto alla Regola si hanno
molte notizie nel libro edito nel 1729 da G. B.
Bovio: La Pietà trionfante. Trovo ivi scritto:
« San Benedetto alla Renella, e nel latino in Are-
« nulaj malamente denominato dall'ignoranza del
« volgo alla Regola, cosi detto per la vicinanza a
« quella parte del fiume, che Varenella comune-
-« mente si chiama, stante l'arena che, vomitata e
« scoperta rimane sovra la spiaggia, era una chiesa
« antichissima e parrocchiale, le cui anime parte
« sonò trasferite sotto la cura di san Paolo alla
« Renella e parte sotto l'altra di san Salvatore in
« Onda, come nell'antichissimo codice delle visite
« apostoliche distintamente si legge. »
Gregorovius opina che la chiesa di san Bene-
detto fosse la stessa di quella nominata degli
Scotti, una delle antiche abbazie di Roma.
I molti ospizi che le varie nazioni avevano in
Roma, non essendo suificienti ad accogliere tutti
coloro che vi venivano pei giubilei, alcuni uomini
zelanti, e fra questi il cacciatore delle anime Fi-
lippo Neri, fondarono la confraternita della Trinità
allo scopo di ospitarli e trarli da sotto i portici
della città e dalle gradinate delle chiese ove gia-
•cevano. Mosse da tale esempio alcune donne, e fra
le altre, donna Elena Orsini, fecero lo stesso. A
questa confraternita Paolo IV concesse la chiesa
di san Benedetto, ove i confrati eressero un ora-
torio, che fu ritenuto abbastanza capace per po-
tervi istituire la predica agli ebrei . Dopo l'oratorio
290 ETTORE NATAU
i oonfì^atelli incomineiattmo a rifttbbricare di nuovo
la chiesa coi disegni di Francesco De Sanctis. Fa
consacrata nell'anno 1614 ed arricchita di pregevoli
dipinti del cav. D'Arpino e di Giudo Reni.
Mi si permetta, come digressione, d'intrattenermi
a parlar brevemente dell'ospìzio dei pellegrini e
della chiesa ivi attigua, poiché mi sembra strano
il contrasto, nò so spiegarmi per qual ragione fos-
sero a forza catechizzati gli ebrei, precisamente
nel sito ove milioni di uomini fanatici erano rac-
colti per acquistare indulgenze. Nella chiesa della
Trinità si distribuivano in varie occasioni molte
elemosine e doti alle ssitdle. I confratelli avevano
il privilegio, una volta Tanno, di liberare un pri-
gione reo di morte. Vi si ospitavano sempre i pel-
legrini, ai quali tutti si lavavano i piedi da per-
sonaggi ragguardevoli e perfino dallo stesso papa;
Clemente Vili due volte vi sì recò a tale scopo:
<k Occorse che lavati i piedi ad alcuni pellegrini,
«che sembravano più poveri, d'un tratto dispar-
« vero, dimostrando che erano angeli. »
A prova dell'importanza di quest'ospizio- tra-
scrivo qui il numero dei pellegrini che vi furono
ricoverati nei vari giubilei che ebbero luogo dopo
la sua fondazione:
Anni
Persone
1575
116,818
1600
324,600
\62B
ÌSt,760
1650
308,533
1675
311,777
1700
300,000
1725
382,140
1750
U6,fl3
1775
99,667
1825
263,529
A
H GHETTO DI ROMA 231
Nel 1800 e nel 1850 non vi fu giubileo a ca-
gione della repubblica francese, e della repubblica
romana.
Nel 1825, che fu l'ultimo anno Santo, nel quale
ivi furono accolti i pellegrini, l'ospizio spese l'e-
gregia somma di scudi 64,644 08, ossia lire 368,471
e centesimi 25.
XVI.
Le case dei eatecnmeui - La Madonna dei Monti e S. Alfonso de* Li-
guori — Privilegi dell' istituto e pene contro 1 trasgrensori .
Particolari e memorie - I libri della parrocchia - Battesimi celebri
• Cerimonie battesimali.
Gli ebrei che non assistevano alla predica erano
puniti con multa, ed il profitto di tali multe andava
a vantaggio della Casa dei catecumeni, istituzione
che risiede nella chiesa di santa Maria de' Monti.
A tal uopo alla porta della chiesa stava un birre
a prendere nota degli intervenuti ed a segnare i
contumaci, che si condannavano ad un testone (lira
una e centesimi 65) per uno, somma abbastanza
forte per quei tempi nei quali il vino pagavasi cinque
centesimi al litro e la carne 20 centesimi al chilo.
L'istituzione della Casa per i catecumeni rimonta,
come -quella della predica coattiva, al milleseicento.
Si cominciò a pensarvi quando san Filippo Neri
imprese a convertire gli ebrei, e vi riesci per un
gran numero. Il santo popolare, il 21 marzo del-
l'anno 1542, ottenne da Paolo ITI la concessione
234 ETTORE NATALI
della chiesa di s. Giovanni Battista in Mercatella
per una congregazione di gentiluomini, riuniti sotto
la presidenza di Giovanni di Sorano, allo scopo di
mantenere ed istruire i catecumeni ed i neofiti.
La chiesa era detta in Mercatello perchè tino a.
li presso suoleva tenersi nel medio evo il mercato,
che si faceva alle radici del Campidoglio. La chiesa
di s. Giovanni in Mercatello dalla proprietà dei
catecumeni passò ai monaci di Grottaferrata, e
quindi alla congregazione dei marchegiani, che
alla lor volta la cedettero a quella dei camerinesi.
Nel settecento la confraternita dei camerinesi la
riedificò quasi completamente con l'aiuto dato dalla,
marchesa Girolama Ruspoli, ed allora dedicata ai
santi Venanzio ed Anzuino e fu ridotta al modo
come oggi si vede in via Giulio Romano, a pochii
passi dalla gradinata dell' Aracoeli.
Il vero fondatore della casa per la istruzione dei
catecumeni fu Ignazio da Loiola, il quale, con*
l'appoggio dell'ambasciatore di Spagna, ottenne da
Paolo in, con bolla del 19 febbraio 1543, molti e
grandi privilegi per l'opera e pei sacerdoti che vi
erano preposti. Fu allora veramente fondato un
monastero per le catecumene ed un ospizio per i
catecumeni. Ed è curioso questo che le regole
della Compagnia di Gesù proibiscono agli ebrei
convertiti di entrare nell'ordine ; tale proibizione
è formale e nemmeno il preposto generale può
derogarvi. A provvedere ai mezzi occorrenti pel
mantenimento dei ricoverati nell'ospizio, oltre il ri-
cavato dalle multe suddette, concorreva l'Università
israelitica con un canone annuo, imposto da Cle-
mente Vili e da Urbano Vili, di scudi 1100, peso»
ben grave perchè, come mi occorrerà di osservare-
IL GHFTTO DI ROMA 235-
in seguito, non era il solo a colpire la piccola co-
lonia degli ebrei romani.
Nel 1562, per concessione di Paolo IV, i caie—
eumeni passarono nel monastero dell'Annunziata
in via Margana, ove rimasero per poco tempo,
poiché, dopo quattro anni. Pio V dette a quest'uso
il palazzo dell'abolita Percettoria dei cavalieri di
Malta a S. Basilio ai Monti.
Papa Gregorio XIII cedendo alle istanze del car-
dinale Sirleto, e dei gesuiti, trasferi l'opera dei ca-
tecumeni nella chiesa della Madonna de' Monti con
fnatu proprio de' 13 agosto 1584, ed in questa chiesa
l'istituzione è sempre rimasta pur anco dopo che
Leone Xn nel 1824 ivi eresse una parrocchia.
Gregorio assegnò al collegio una pensione annua
di mille scudi sopra l'Abadia secolare di Santa
Croce di Fontivalle in diocesi di Gubbio, Egli era
molto lenero di questa istituzione e voleva che i
sacerdoti preposti alla istruzione dei convertendi e
dei convertiti magna cum charitate et modestia t>e-
ritatis lumen Ulis aperire conentur. Egli stesso di-
ceva • Factus sum judcsus cum. judcRis.
Il cardinale Guglielmo Sirleto, diacono di S. Lo-
renzo in pane e perna, era peritissimo nella lingua
ebraica e spesso faceva egli stesso il catechismo
agli ebrei che stavano raccolti nella chiesa da lui
fondata. Tanta era la perizia del cardinale Sirleto
nella lingua ebraica che Sisto V a lui affidò l'edizione
della Bibia, cosa che, come vedemmo, tornò tanto-
sgradita a Filippo II di Spagna.
:236 ETTORE NATALI
■*•
La chiesa della Madonna dei Monti, presso Tantica
Suburra, come tutte quelle nelle quali spesso i ge-
suiti hanno ingerenza, è stata eretta in seguito ad
uno straordinario prodigio e ogni tanto è testimone
di miracoli l'uno più dell'altro incredibili.
Il 26 aprile 1580 il locale, ove ora sorge il tempio,
era posseduto dalla famiglia Attavanti, fiorentina,
e serviva a raccogliervi il fieno. La notte dal 25
al 26 aprile si scosse la terra sotto le case degli
Attavanti senza che gli abitatori delle case vicine
di nulla si accorgessero; né basta, che il mattino
una imagine della Madonna dipinta nel muro parlò
ad un fienarolo che inavvertitamente l'aveva col-
pita con la falce mentre stava tagliando il fieno.
Laura Fregoso, erede della famiglia Attavanti,
donò le sue case ed i fienili per costruirvi una
chieda, di cui il cardinale Sirleto mise la prima
pietra a' 23 giugno 1580. La imagine colà ritrovata
si ebbe gran culto nella nuova chiesa, fu dichiarata
da Gregorio XIII protettrice dei catecumeni, e da
quel giorno i miracoli si susseguirono ; ciechi riac-
quistarono il benefizio della luce, sordi quello del-
l'udito, ed a san Giuseppe Calasanzio apparve una
visione che lo avverti di fondare il suo ordine.
. Il più strepitoso dei prodigi è senza dubbio
quello fatto nel convento della Madonna dei Monti
da Alfonso de' Liguori, che vi abitò mentre re-
gnava in Roma papa Clemente XIII. I frati che
assistevano il Lfguori lo volevano far digiunare,
quantunque fosse malato, ma il santo, a cui poco
andava a sangue la forzata astinenza, con un segno
IL GHETTO DI ROMA 237
di croce cambiò un cefalo, che gli era presentata
da un firaticello, in un pollastro beirarrostito. Né
questo è il luogo di parlare dei grandi miracoli
fatti nella chiesa della Madonna de' Monti da Giu-
seppe Labre, santo molto in voga oggigiorno, ivi
sepolto.
■*-
L'ospizio dei catecumeni presso la chiesa della
Madonna de' Monti occupa un largo spazio donato
da Urbano Vili. Servivano a mantenerlo rendite co-
spicue, oltre gli assegni e le multe provenienti
dagli ebrei. Gregorio Xin, nel 1578, con bolla del 4
settembre, concesse, come ho già notato, all'ospi-
zio una pensione annua di cento scudi d'oro sull'ab-
bazìa di S. Croce, pensione che fii aumentata a scudi
1400 annui, per volere di papa Alessandro VII.
Lo stesso papa Gregorio XUI, con bolla del 15
maggio 1583, aveva dato all' ospizio la proprietà
di una cappellania in Ardea. Piovvero quindi sul
CJollegio de' catecumeni donazioni d'ogni fatta, lar^
gizioni pontifìcie, legati ed eredità ingentis ime.
Il cardinale Antonio Barberini, il 22 luglio 1634,
regalò a' catecumeni un pezzo della croce di Gesù
racchiuso in un ricchissimo reliquiario. Moltissimi
ebrei convertiti, nel morire, hanno lasciato cospi-
cue eredità all'Opera de' catecumeni, come fu quella
di annui scudi 2700 lasciata da Marco Aritonio
Sabatini a scopo speciale di dare doti alle neofite.
-238 ETTORE NATAU
•*-
Da Gregorio XIII fu stabilito che i catecumeni
e neofiti avessero un giudice privato ed il privi-
legio di un fòro speciale, esentandoli da qualunque
obbedienza ad altri superiori, ed esonerandoli dalle
tassfo. A dare un'idea della giurisdizione e del po-
tere che aveva il giudice de' catecumeni, ricordo
qui l'editto del cardinale Odescalchi.
Il cardinale Benedetto Odescalchi, dal titolo di
S. Onofrio, prima di essere eletto papa fu proposto
a giudice ordinario dei catecumeni ed in un editto
promulgato il 14 ottobre 1659, raccolse ed ordinò
tutte le prescrizioni cui dovevano attenersi e gli
ebrei ed i catecumeni. Da questo curioso documento
riporto, abbreviandole di molto, le prescrizioni prin-
cipali.
Chi dissuadeva un catecumeno dal proposito di
farsi cristiano, ancorché fosse padre o congiunto
strettissimo, era punito, se uomo con la galera e
con la confìsca dei beni, se donna con la frusta e
con l'esilio.
Ove un catecumeno fuggisse dall'ospizio era
punito , se uomo , con cinque anni di galera , se
donna, con la frusta, sempre con la confisca.
Una persona di qualunque grado ardisse muovere
rimprovero ad un catecumeno era punito con tre
tratti di corda e con la multa di cento scudi.
Nell'editto il cardinale Odescalchi soggiunge:
« Nelle cose contenute nel presente , si darà fede
« all'attestazione con giuramento d'un sol testimonio
-« e di persona etiam inabile, e per prova anco si
IL GHETTO DI ROMA
< attenderanno le presunzioni e ooBgetture ad
^ bitrio di Sua Eminenza. »
Non £bi d'uopo dire come i beni confiscati ai rei,
•come le multe alle quali era condannato colui che
•contravveniva a queste ingiunzioni, andavano tutti
a profitto della Casa dei catecumeni , la quale in
tal modo accrebbe di molto il suo patrimonio.
Domenico Frarli. vescovo di Veroli e giudice
ordinario dei catecumeni, con editto del 4 dicem-
bre 1705 confermò le ingiunzioni del cardinale Od&-
scalchi e vi aggiunse qualche nuova pena, come,
.ad esempio, la minaccia di sottoporre a tre tratti
qì corda ed a cento scudi di multa qualunque ebreo
od ebrea sotto qualsivoglia pretesto ardisse di avvi-
cinarsi o passare a trenta canne « a tomo a tomo
^Ue case dei catecumeni ».
Delia stessa pena era pur minacciato qualunque
ebreo il quale, anche pas^ando alla distanza di oltre
trenta canne (sessanta metri), si attentava di guar-
dare verso le finestre dell' edificio ove erano rac^
colti i catecumeni ed i neofiti.
Sarebbe troppo lungo il riportare tutte le altre
leggi emanate a favore di questa istituzione ; basti
il notare come tutte quante non avevano che il
doppio scopo, o di facilitare la conversione degli
ebrei e degli infedeli, o di colpire ebrei ed infedeli
perchè sostenessero le ingenti spese che occorrevano
per l'ospizio.
Né le minacele contenute nei bandi dei giudici
preposti all'ospizio dei catecumeni erano da pren-
dersi a gabbo. Moltissime sentenze esistono negli
archivi per dimostrare con quanta severità suoleva
procedere quel giudice; ad esempio, il 29 feb-
braio 1712 il luogotenente del tribunale dei cate-
240 ETTORE NATALI
eumeni condannò alFesilio dagli Stati della. Chiesa
gli ebrei Giovanni Vitale, e Salvatore di CoUevec-
chio, per aver recato danno d'interessi al catecu-
meno Isacco Lusci.
•*■
Oltre il canone annuo dei 1100 scudi, TUniversitàr.
israelitica doveva pagare alla Casa dei catecumeni
una diaria di 30 baiocchi al giorno per tutto il tempo
che ciascun ebreo vi era detenuto « per esplorarne
la volontà » riguardo all'accettare o no il battesimo.
Qualche volta è accaduto che un ebreo sia stato
per quaranta giorni nell' • spizio dei catecumeni ed
alla fine non siasi voluto più far cattolico. In tali
casi l'impenitente era vessato in ogni maniera, e
per prima cosa egli era tenuto a pagare all' e spizio
il prezzo degli alimenti ivi ricevuti. Ove l'impeni-
tente non volesse, o non potesse eseguire da per
sé tal pagamento, era tenuta responsabile l'intera
comunità. Valga un esempio, che riporto da una
cronaca dell'epoca : « A di 25 febbraio 1737 Bei>
4: zion Padovano, ebreo di 44 anni, fu portato as-
« r ieme alle figlie (Gabriella di 20 anni , e Dolce
« di 16 anni) ai Catecumeni e tutti tre furono batr-
« tezzati. Ma la misera Graziosa Sara, moglie di
«lui, essendo ostinatissima, si turava le orecchie
4: con le dita per non udire la parola di dio. Si
« fece di ciò dichiarazione al Santo Uffizio, il quale
4: decretò che , secondo l'uso , fosse sottoposta ad
4: una nuova quarantena. Cosi fu eseguito, e dopo
4c 80 giorni ritornò al diabolico Ghetto, e pagarono
< gli ebrei il doppio del solito per essere stato rad-
IL GUETTO DI ROMA 241
« doppiato il tempo del mantenimento ». Era il casa
di dire*, fra due litiganti il terzo gode!
Né erano accolti nell'ospizio soltanto coloro i quali
vi si recavano di propria iniziativa per farsi cri-
stiani, che spesso qualche ebreo vi era condotto a
forza per esplorarne la volontà. Ma più di ogni
descrizione varranno i molti esempi che vado qui
a riportare per far comprendere il fine dell'Opera
dei catecumeni, ed i mezzi che suolevano adope*
rare, con pochissime scopo, coloro che tal fine vo-
levano ad ogni modo raggiungere.
Trovo in un manoscritto, appartenuto alla Casa
dei catecumeni, le seguenti annotazioni concernenti
avvenimenti occorsi dal 1600 al 1690 e registrati dal
rettore dell'ospizio di quei tempi:
4f 1602 a di 25 settembre. — Barnech Aurbron
« fii menato in casa dal padre Cesare Palazzola e
« consegnato ad uno il quale lo disponesse a farsi
« cristiano.-
« A di 28 detto, stando ostinato, si gettò da una
« finestra del giardino.
« A di 6 ottobre mons. Diotallevi lo menò in casa
€ sua per convertirlo, ma lo stesso giorno scappò e
€ ritornò al Ghetto, e fii rimenato in casa di mon-
« signore dai genitori suoi.
« A di 19 detto si dichiarò di voler essere cri-
4C stiano in casa di detto monsignore:
« A di 18 ottobre 1602 il Barnech fu battezzato,
« cresimato, e ctimunicato da monnig^or veàcoTO
« di Sidone in S. Pietro e si chiamò Fraoceaeo
« Ha^ria. m
« 1604j novembre. — Giosuè Ascarelli ebreo, e^
« rabbino principale in Roma, fu mandato a pigliare
4C in carrozza per ordine di monsignore Giudice dei
16 — E. NA.TALI, Il Ghetto di Romm.
242 ETTORE NATALI
« catecumeni, con sua moglie e quattro figli. Vi
« stiede 43 giorni e fu servito nobilmente - dapoi si
« rilasciò, perchè cosi volse esso, li quattro figli una
« chiamata Camilla, d'anni 12, si dichiarò voler es-
« sere cristiana dopo 10 giorni circa; Belluccia altr&
« figliuola d'anni 8 si dichiarò fra 8 giorni ; Giuda
4c figlio del suddetto d'anni sei si dichiarò fra cinque
« giórni ; e Manoello altro figlio di anni 4 fra quat-
te tro giorni disse (?) di voler essere battezzato.
« 1605, 22 gennaro, farono tutti quattro battes-
« sati dal sig. card. Baronio nella Chiesa Nova. »
« 1604, 10 agosto, — Mariamme ebrea figlia
« di Salomone Tudesco d'anni 18 venne in questa
« Casa, cioè fu condotta per ordine del sig. Cardi-
« naie protettore , non essendo ancor dichiarata,
« ma si dichiarò fra pochi giorni:
« A di 22 setteml re 1604 la suddetta fu battez-
« zata dal sig. card. Baronio nella Chiesa Nova,
« e si chiamò Maria. »
« 1605, 17 aprile. — Sola zitella ebrea d' anni 18
« in circa, figlia di Leone ebreo, mandò a dire che
« si andasse a pigliare, per un fruttarolo, e cosi fu
« menata in questa casa per farsi cristiana:
« 1605 , a di 81 maggio fu battezzata dal ear-
« dinal BelarminO) nella chiesa del Gesù, e si
« chiamò Virginia, i»
<f.l605j 5 maggio, — Stella zitella ebrea, figlia
« di Jacob, fu mandata a pigliare per parola data
« ad un catecumeno suo parente e dopo 25 giorni
« in circa si dichiarò:
« 1605, 81 maggio, fu battezzata dal sig card.
« Belarmino, e si chiamò Ortensia. »
IL GHETTO DI ROMA 24^
« 1841, 22 maggio. — Canosa moglie di Angelo
4c di Finto fii presa con due figli : uno di esso Scia-
le badai di anni 6, e Graziosa di anni 4, perchè per
^ testimoni obbligò sé e suoi figli:
« 1641 di* 8 jolii, Canosa ritaraò all^ebrainno
« oatinata. Sciabadai del battesimo fo detto Gin.
« seppe Cerasola oggi sacerdote. Gratiosa nel
e battesimo fa detta Anna Maria de Nobili, oggi
« monaca nel monastero della SS. Annrniriata. »
€ 1642j 23 febbraio» — Ester moglie di Israel
4L Terracina ebrea romana per deposizione de' testir
< moni fu presa per esplorarsi la volontà:
« Ija suddetta Sster ritornò in Ghetto osti-
« nata. »
« 1549, 2 dicembre. — G^uda d'anni 13 fii preso
^ per deposizione de testimoni, a' quali disse voler
«essere cristiano:
« Ritornò aU*ebrai«mo. »
« 1650, a dì 4 settembre. — Patientia figlia di
« Salvatore Spoletini d'anni 12.
€ Rina figlia del suddetto d'anni 7. Angelo figliolo
4L del suddetto d'anni 9 ; si furono presi perchè il
« loro padre mori in Perugia cristiano:
« Patientia si converti e fti detta Antonia;
« Riva si chiamò Cecilia ; Angelo al battesimo si
e chiamò Andrea. »
4C 1674, 42 dicembre. — Regina zitella ebrea, ro-
4c mana, figlia di Giuseppe di Piperno d'anni 18 fu
4k denunziata da un sartore, che voleva farsi cri-
4k stiana:
« La saddetta si dichiarò cristiana dopo 16
e giorni d'ostinazione ed al battesimo fa detta
« Anna Camilla Fortana ed ocgi è moglie di
« Pietro Orsini ginbbonaro In Campo di Fiore*»
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* ^ IL GHETTO DI ROMA 245
--Azi'x e fatta rinvenire a furia di panni caldi. Essa aveva
fatto per acqua più di mezzo miglio, era passata
sotto ponte Quattro Capi e sotto una mola nuova
a ponte Rotto. Eppure non aveva bevuta una goccia
•d'acquai (sic).
Si gridò al miracolo, folla di ebrei e di cristiani
corse a vedere la vecchia. Accorse anche il neo-
fito, figlio di costei, don Pietro GatiUi, che portò
la madre alla casa propria, eppoi chiamò don Gia-
cinto Corsi, rettore dei catecumeni. . Costuij'^dopo
le prime cure, volle persuadere l'ebrea a farei cri-
stiana. La vecchia rifiutò. Allora il prete, dalle
ore 20 in poi fino alle ore 5 della notte, continuò
a parlarle di Gesù, della Madonna, della Messa e
•di altre cose. Alle 3 la battezzò, poi le diede l'olio
,j/p jfj. ^ «anto, poi... la mandò all'altro mondo in odore di
santità, perchè, dice il libro, stette per 17 ore in
una picccola stanza senza puzzare.
Un'altra storia, del 1755. Un certo Moìsè Funari
mori lasciando al mondo la moglie gravida e due
bambine sole : Debhora e Ricca. Debhora e Ricca,
rapite alla madre e portate da uno zio neofìto
•(Giovanni Pernio) avanti al Sant'Uffizio, furoco
destinate al battesimo. Ma la povera Ricca ebbe
cosi paura che, colta da infantigliole^ mort.... ma
battezzata. Debhora mori poi dopo molti anni, di
parto. E gli ebrei dissero che il sangue di un
•cristiano che aveva sposato le aveva fatto male.
\' -R
:j •; i.
occLc:.:-
o:..'- te
e co:.'
ìDtis-
■*•
L'archivio dei catecumeni andò a fuoco nel sacco
m -di Roma, sicché è impossibile contare i battesimi
di operati. Però si sa che dal 1634 al 1700 furon bat-
// tézzati 1195 ebrei ; dal 1700 al 1790, 1237.
246 ETTORE NATALI
Restano però registrati curiosi casi, detti di vo-
eazione.
Nel 30 maggio 1655 un certo Moisè, un ebreo^
andò al Sant'Uffizio e fece pigliare in Ghetto una
certa Olimpia , sua promessa sposa , perchè fosse
convertita. La poverina resistè 14 giorni, poi fu
costretta a cedere.
Addi 22 settembre 1638, Ricca del quondam^
Sabato, ofiTerta dal suo secondo marito al Sant'Uf-
fizio, fu tenuta in quarantena fra i catecumeni per
40 giorni. La povera donna aveva 23 anni soli^
ma resistè. Volle tornare in Ghetto, e vi mori
subito per gli strapazzi, forse per le torture sop-
portate.
Una scena drammatica : un certo fra Giovanni
Domenico Nazzareno, detto l'Armeno Domenicate»
disse un giorno nella chiesa della Minerva a Tulio
Serotino, ebreo, che gli desse un figlio a battez-
zare. L'ebreo rifiutò, e il frate gli promise che il
papa stesso l' avrebbe battezzato. - 8e ciò è , re-
plicò l'ebreo, ve lo db^ per Dio, ve lo voglio dare! —
e di li a poco si voltò e aggiunse : Io li scannerb^
prima tutti e cinque che n'ko !
La cosa fu riferita a don Albano, rettore dei
catecumeni, poi al cardinale di Sant'Onofrio, eppoi
a Urbano VITI, che sentenziò che l'ebreo aveva
validamente promesso un figlio, e che se non lo
voleva più dare, se glieli prendessero tutti. Gli
sgherri fecero irruzione in Ghetto. E ci fu bat—
taglia. Ma i cristiani rubarono al Serotino un
bimbo in cuna e un altro di 7 sette anni. Li bat-
tezzarono tutti e due. Ma la rivolta giudaica
scoppiò, e si tenne sul fatto una congregazione.
Papa Urbano tenne duro: il primo lo chiamò Ur-
IL GHETTO DI ROMA 247
bano Urbani, e la seconda Anna Urbani, e fece
solenne la processione del battesimo , tra due file
di armati, tenendo egli stesso, a cavallo .di una
chinea bianca, il lattante tra le braccia.
Un bimbo ebreo di 5 mesi, Simone...., figlio di
Angelo, fu colto per via da una necessità urgente
e portato dai genitori in casa di certi parenti cri-
stiani. Coàtoro li per li lo battezzarono e lo chia-
marono Giovanni. I genitori non seppero nulla :
presero il bimbo e lo riportarono in Ghetto. Gli
sgherri del Sant'Uffizio andarono a ripigliarlo colla
forza; il bimbo mori subito, ma il vice-reggente
aveva voluto ribattezzarlo (27 ottobre 1660).
Nel 29 dicembre 1662 si fece una grande festa :
il dottore Angelo Gabai, ebreo, usci di Ghetto e
con tutta la famiglia si fece cristiano, e si chiamò
Filippani. La famiglia Gabai era la più notabile
di Ghetto.
Ci son poi fia quelle carte avvisi secchi secchi
che fanno male.
A' di 4 settembre 1650 furono presi Pazienza,
figlia di Salvatore Spoletino, di anni 12, Oliva, sua
figlia (?), di anni 7, Angelo, figlio del medesimo,
di anni 9, il che si fece per esser morto cristiano
a Perugia il loro padre, e tutti si fecero cri-
stiani.
Bastava una denunzia per far torturare un
povero ebreo: a' di 14 gennaio 1687, con fede di
Michele Vogri, neofito, che attestò come Flaminia
figlia di Pace Passapaglia, di anni 25, ebrea «
aveva detto di volersi far cristiana, fu presa la
detta donna e fu battezzata il 1^ marzo. Quaranta
giorni di ammaestramenti !
Due testimoni attestano il 26 aprile 1689 a
248 ETTORE NATALI
monsignor Bologna che Sara , zitellaf ebrea di 19
anni, aveva. detto di volersi fare cristiana, e mon-
signore invade il Ghetto alla testa degli sgherri.
Gli ebrei nascondono la ragazza e la trafugano ;
monsignore, il notare, il rettore e la priora dei
Cateciuneni, che erano della spedizione, arresta-
rono la madre e il fratello. La povera Sara dovè
consegnarsi e subire il battesimo il 5 gennaio 1590.
Fu chiamata Maria Ancarani.
Un ebreo, Sabato Romanello, di 20 anni, porta
ni luglio 1693 Stella Gennazzano, moglie del-
l'ebreo Sabato Fornaro, ai Catecumeni e la fa
battezzare. Stella Gennazzano si divide dal marito,
gli ruba un figlio di 4 anni e si fa difendere dal
Sant'Uffizio contro il marito.
Il 30 maggio 1698, Sabato Deservi offri alla
fedCf per atto notarile del notaio Visini, quattro
nepoti, figli del fratello Ercole Deservi. In conse-
guenza, monsignor vice-reggente ordinò un assalto
in Ghetto per rapire i bambini. Gli ebrei combat^-
terono. Vinti, ricorsero al Sant'Uffizio e fecero
battaglia in tribunale. Non giovò: i quattro bimbi
furono battezzati !
Poi ci sono i mariti che, forse per lucro, portano
le mogli al collegio dei Catecumeni.
A' di 4 aprile 1650, una certa Consola fu por-
tata dal marito , Salomone Pontecorvo , alla Ma-
donna de' Monti. La poverina non aveva che 23
anni. Resisto a una quarantena di 47 giorni e non
volle esser battezzata. Tornò in Ghetto.
A' di 31 gennaio 1794, Angelo Oziel, ebreo, fu
offerto dal padre. Si rifiutò di andare a farsi bat-
tezzare e fu fatto prendere dai birri e consegnare
al rettore della Minerva, per paura che non dis-
IL GHETTO DI ROMA 249
suadesse i neofiti rinchiusi ai Monti. Il povero
Oziel aveva 33 anni e — dicono gli atti — fu cor^
segnato alli fattori^ pagati, per il vitto^ tre pavoli
al giorno.
Era dunque anche una buona speculazione pel
Collegio !
E ora ecco un caso anche più pietoso.
Muore Salvatore D* Anticoli e lascia al mondo la
moglie, Ester Sarsati, con una bambina di 5 anni :
Schinchà. Un ebreo di Bordeaux, Raffaele Cuìgrè,
va a riferire a monsignor De Rossi, vice-reggente,
che la donna aveva fatto voto di convertirsi al
cristianesimo. Il 19 ottobre 1737, gli sbirri arre-
stano la donna e la bambina, e siccome gli ebrei
si batterono , al solito , arrestarono un certo Mo-
reno e altri. Dopo 1^ giorni gli ebrei dissero che
la donna era incinta e chiesero che fosse rimandata
in Ghetto. I preti la fecero visitare dalla mammana
che non seppe dir nulla. Il Sant'Uffizio decise che
fosse tenuta in Collegio altri 20 giorni. Passati
questi, le furon trovati tre segni di gravidanza. E
fu tenuta in quella prigione fino al 17 dicembre,
giorno in cui aborti. Allora, essendo la donna te-
nace nella sua fede, benché stanca e sfinita, fu
rimandata in Ghetto.
-*-
Come i carcerati ebrei eran prosciolti pur che si
facessero cristiani, cosi erano gli ebrei liberi molte
volte carcerati pel solo fatto à* essersi ostinati nel-
r errore.
250 BTTORE NATAU
A' di 29 dicembre 1600 , Avon , figlio di Isaac
Pontecorvo, di 21 anno, fu preso assieme alla suBt
promessa sposa. Egli aveva dichiarato avanti al no-
taro di volersi far cristiano, ma la fanciulla rifiutò
e tornò in Ghetto. L'ostinazione della donna amata
fece pentire Avon della parola data e rifiutò di
farsi battezzare. Monsignor vice-reggente lo fece
arrestare in casa, e il giorno dopo lo fece mettere
nelle carceri di Campidoglio. E ci dovè essere
qualche ragione molto intima, perchè il vice-reg-
gente non gli facesse nemmeno fare la quarantena.
Un ebreo, scappato dalle galere di Francia YS
di ottobre del 1660, preso e messo alle Carceri
Nove, disse di volersi fare cristiano, onde lo tol-^
sero di prigione e lo portarono fra i Catecumeni.
Dopo un po' si penti e dichiarò di non voler saper
nulla del battesimo. Allora fu messo nella galera
di Civitavecchia, a vita.
A' di 4 settembre 1663, Isaac, figlio di Cavi,
ebreo, fu chiuso nella Casa dei catecumeni. Pen-
titosi di avere avuto intenzioni cristiane, volle ri-
condurre al giudaismo un giovane polacco che era
neofita assieme a lui. Il giudice Claudio lo fece
pubblicamente fiustare per tutta Roma a dorso
nudo. Era il 10 novembre I
A' di 2 maggio 1666, Adula, di Tunisi, ebrea
schiavo del signor Bonagurio, fu giudicato degno
del battesimo. Mentre il curato andò a pigliare la
biancheria pel sacro rito da monsignore, il povero
uomo, di 32 anni, si scannò.
Qui giova notare che questi atti di rigore che
conturbavano gli ebrei di Roma sono un nonnuUa
al paragone di ciò che succedeva in altri paesi.
Come non si deve dimenticare che nei due secoli
IL GHEtTO DI POMA 251'
passati in molti Stati di Europa gli ebrei erano ad-
dirittura proscritti.
-*•
A questo punto gli atti che sfoglio portano un-
titolo strano : Ca$i piuttosto funesti. E narrano di
un povero vecchio , cadente e paralitico , che per
isfuggire al battesimo si buttò nel pozzo del Col-
legio ed ebbe tanta forza da chiudersi sopra un
pesante coperchio di ferro. Si chiamava : Vitale
Prezioso. Il fatto successe alle ore 21 del di 18
settembre 1776.
Il poveruomo non mori subito. Un prete, dalla
bocca del pozzo, gli gridava : - Credi tu nel santo
Messia ? - E il vecchio rispondeva : Chi è questo
Messia? - Il prete : Vieni su, che te lo dirò. Ma
l'ebreo non volle attaccarsi alla fune che il prete
gli gettò dopo un po' di dialogo. Fu tirato fuori-
a fatica, e, messo in letto, dette in ismanie furiose,
non volle prender nulla, né farsi cavar sangue. Lo
legarono, e lui tenne duro tutto il giorno, lanette
del giovedì e la mattina del venerdì. Poi accettò-
un goccio d'acqua. Ma si ostinò nella sua fede.
Lo misero in quarantena, poi lo rimandarono in-
Ghetto.
A conti fatti, nel solo secolo XVIII, fra i libri-
battesimali della parrocchia della Madonna der
Monti, 45 segnano tutti battesimi d'ebrei. Due fu--
rono battezzati da Clemente XI (vedi i brevi al
2'2 ETTORE NATALI
granduca di Toscana Cosimo 25 dicembre 1703 e
15 marzo 1704) , ventisei da Benedetto XIII, tre-
dici da Benedetto XIV, quattro da Clemente XIII.
Tra i neofiti battezzati si sono distinti molti,
come si rileva da una dissertazione {Ex Judaeis
Christiani) stampata a Berlino. Lasciando da parte
Adaranzio , nomineremo : Alfonso Da Spina , ve-
scovo, Antonio Margarita, Cristiano Gerson, Rabbi
Elchanon (autore del Mistero cabalistico)^ Emanuele
Tremellio da Ferrara, Ernesto Zarvossi, Ferdinando
Hesse , medico (che scrl^se in tedesco il Flagello
de* giudei e altri libri), Federigo Alberto (autore del
libro Allontanati dal male).
Furon neofiti s. Epifanio; s. Giovanni Damasceno ;
Giovanni PfefPer, che fece istanza all'imperatore
Massimiliano affinchè faces.e bruciare tutti i libri
dei giudei, e che, tornato pqscia al giudaismo, fini
bruciato lui stesso ; Giuliano Pomerio ; Ludovico
Carretto, medico ; Nicolò Delyra, francescano, tra-
duttore e commentare delle scritture morto in Pa-
rigi nel 1400; Paolo di Santa Maria, vescovo di
Burgos, maestro di re Giovanni II figlio d'Errico IH
re di Castiglia ; Paolo Riccio, medico di Massimi-
liano I, che credè e scrisse deìV Animazione del
delo, uno dei predecessori di Galileo ; Paolo Mei-
•der, medico tenuto a battesimo nel 1500 da Alfonso
di Castiglia, autore di un Dialogo contro i giudei
^Colonia 1536) ; Filippo d'Aquino, professore a Pa-
rigi, autore di un Dizionario caldaico- ebraico, tal-
mtidico-rabbinico ; Raimondo Lulio ; Salomone Fe-
derico Bietavetz, autore del libro Pelle serpentina
<50ntro gli ebrei ; Alfonso, neofito, che disputando
avanti all'antipapa Benedetto XIII procurò la con-
versione di 3000 giudei (vedi la Bolla riferita dal
IL GHETTO DI ROMA 25S
Bartolucci, tomo III, pag. 731) ; Paolo Heredia ;
Michele Adamo; Salomone Meir, che, battezzato,
prese il nome di Prospero Rugerio, autore di varie
opere insigni.
La maggior parte dei catecumeni — ed è am-
pliamento dimostrato da quanto ho scritto fino ad
ora — eiano o fanciulli, non ancora compos sui,
o giovanetti senza esperienza,- mentre gli adulti,
se pur qualche volta si facevano indurre ad en-
trare nell'Ospizio, spessissimo ne uscivano ostinati.
Nei primi secoli dell' èra volgare, e durante
tutto il medio evo, come non vi erano prediche
coattive, cosi non vi era l'istituzione quasi coattiva
anch'essa della Casa dei catecumeni. Anzi al prin-
cipio del cristiar: esimo il catecumenato era un'isti-
tuzione nella quale erano ammessi soltanto coloro
che davano prova di possedere già una sufficiente
istruzione. Prima di ricevere il battesimo si doveva
passare per vari gradi : audientes chiamavansi co'oro
che avevano soltanto il dritto di ascoltare la spie-
gazione del Vangelo : i genuflectentes potevano as-
sistere prostrati, alle preghiere dei fedeli : e quindi
competenti od electi, cui era permesso di vivere
come i battezzati in attesa di una di quelle feste
solenni nelle quali era lecito amministrare il bat-
tesimo ai catecumeni. Gli electi potevano assistere
alla messa fino al momento della comunione, ma
m
dovevano uscir dalla chiesa quando il diacono si
avanzava verso di loro dicendo: Ite, cathecumeni,
missa est.
Il tempo della durata del cateci: menato si è
^1854 ETTORE NATALI
andato man mano accorciando, e quando fu fon*-
dato rOspìzio era di tre mesi, mentre poi si è ri-
dotto a soli 40 giorni.
Nelle prime basiliche, presso la porta d'ingresso,
vi era un posto riservato pei catecumeni, e diviso
dal rimanente del tempio per mezzo di un cancello,
come si vede ancora in qualcuna delle chiese più
antiche o nelle chiese fabbricate dai frati france-
scani.
Man mano che il cristianesimo si è diffuso, tutte
le cerimonie con le quali si suolevano ricevere ed
istruire i catecumeni sono andate in disuso, e quando
si è, nel seicento, istituita la Casa pei catecumeni.
Al vero catecumenato era finito da un pezzo.
In stretto significato , la parola greca eatechif
menos significherebbe uditori di un suono ; e di-
fetti i catecumeni erano chiamati ad udire la pa^
rola di Dio, Una volta aperti gli orecchi alla ve-
rità si diveniva neophytus. Quest' altra parola,
pure di origine greca designava il nomts in fide
il nuovo nato, o, per Stare allo stretto senso, il
novellamente piantato.
Pertanto, volendo procedere ordinatamente, dopo
di avere parlato dei catecumeni è necessario occu-
parsi brevemente dei neofiti, i quali qui in Roma
sono raccolti in un ospizio prossimo a quello dei ca-
tecumeni e posti sotto la dipendenza di una stessa
Commissione di cardinali , chiamati dal Papa a
comporre la Congregamone per la visita apostòlica
dei Catecumeni e Neofiti. Mentre sto scrivendo
256 ETTOBE NATALI
queste linee, oggi 20 febbraio 1886, fanno parte
della Congregazione i cardinali Teodoro Mertel,
vice-cancelliere di Santa Chiesa, Tommaso Marti-
nelli, vescovo di Sabina, ed Ignazio Meusotti, dia-
cono di San Cesareo, segretario e deputato ammi-
nistratore ne è monsignor Giuseppe Bucci, chierico
della Camera Aposto' ica.
Andrebbe grandemente errato chi credesse che
l'ebreo, dopo es^er divenuto cristiano, potesse vi-
vere tranquillo, e tranquillamente godere del bene-
ficio accordato ai neofiti dal breve di Paolo III,,
che li dichiarava cittadini della città ove aveva-
luogo il battesimo.
Il sospetto che i correligionari antichi cercassero
di richiamare i neofiti alla religione avita , o che-
essi stessi , pentiti , volessero ritornarvi , dettò ai
papi una quantità di leggi restrittive alla libertà
dei neo-cattolici, da potersi ripetere di loro quel
che scrisse Dante degli spiriti menati dairinfernale*
bufera :
Nalla speranza gli conforta mai
Non che di posa, ma di minor pena.
Fino al secolo decimoquinto, come non vi furono-
ospizi speciali pei neofiti, cosi non vi erano tribu-
nali privilegiati per difenderli e per punirli, né era
stata emanata a loro favore od a loro danno una.
legislazione speciale. Anzi erano spesso adoperati
dalle autorità ecclesiastiche a copiare o tiadurre
opere ebraiche, ed infatti nella Biblioteca Casana-
tense trovasi un sohar sopra i primi quattro libri
biblici scritto da un neofito in Tivoli nel 1513, in
un volume in foglio , di 991 pagine , pel generale
dell'Ordine degli agostiniani. Si sa inoltre che nel
IL GHETTO 01 ROMA 257
Vaticano alcuni neofiti furono da vari secoli ado-
perati a raccogliere codici ebraici ed a compilarne
i cataloghi. Credevasi di approfittare nel miglior
modo delle cognizioni ebraiche onde eran fomiti
a£Gidando Loro i manoscritti, nella speranza che
questi cosi fossero ben custoditi : in fondo però av-
veniva il contrario, come dimostra il Berliner nelle
sue Considerazioni sulle Biblioteche italiane. L'ul-
timo di questi apostati , a' nostri giorni , è stato
certo Sebastiano Solani, già rabbino, e, dopo bat-
tezs^to, nominato amanuense nella Biblioteca Va-
ticana.
•*•
Una legislazione vera e propria pei neofiti, come
pei catecumeni, si ebbe coi papi Paolo m e Gre-
gorio Xin, il primo dei quali raccolse nel Breve
del 22 marzo 1542 molte prescrizioni in varie epoche
emanate e molte ne aggiunse di suo, codificando^.
mi si perdoni il barbarismo della parola, tutto
quello che riguardava i neofiti non soltanto per
proteggerli, ma specialmente per impedire che fa-
cessero ritomo -alla religione avita.
Il breve di Paolo III fi'a le altre cose prescrive-
che i neofiti debbano essere maritati con cristiane
« perchè il conversare fra loro, come l'esperienza
« dimostra, li rendeva fragili nella fede. »
Si era molto distanti dagli usi dei primi secoli-
dei cristianésimo, quando era permesso, o per lo*
meno tollerato, il matrimonio fra cristiani ed ebrei,
come è chiarito da una decisione del concilio
tenuto qui in Roma nell' ottocento. Poiché fu in»
17 — E. Natali. Il Clietto di Roma
258 ETTORE NATALI
quel concilio che s. Zaccaria, papa (749) mosse lar-
mento del gravissimo abuso dei matrimoni misti, e
pronunciò l'anatema contro il cristiano che avesse
dato la sua figlia in sposa ad un ebreo, o contro la
vedova cristiana che si fosse rimaritata ad un uomo
di quella religione.
A vantaggio dei neofiti dovevano rimanere in-
tatti i beni, anche se figli di famiglia. Se i beni
provenivano da usura o da furto a danno di per^
«ona sconosciuta rimanevano di dritto in proprietà
del convertito. Il 13 settembre 1581, Gregorio XIII
ordinò che si facesse* l'in ventarlo dei beni posseduti
dai genitori ebrei di un neofito, perchè non potes-
sero in alcun modo esserne spogliati. Tale pratica
fu confermata da Clemente XI con bolla pubblicata
li 11 marzo del 1703, ove è detto che coloro ì
quali vengono alla fede devono essere, dopo il
battesimo, in miglior condizione che prima non
erano secondo la promessa fatta da Cristo: Q«mb-
mte primum regnum Deiy et justitiam eius, et hcec
omnia adiìGieniur tyóbis.
Ho sotto gli occhi moltissimi editti dei giudici
ordinari dei catecumeni e neofiti, nei quali sono
ripetute su per giù le stesse disposizioni. Gli editti,
. o bandi, che più specialmente ho preso in esame,
sono quelli del cardinale Rusticucci, delli 17 luglio
1592; del cardinale Antonio Barberini, dal titolo
di S. Onofrio, 7 giugno 1635; di Benedetto Ode-
scalchi, cardinale dallo stesso titolo, 14 ottobre
1659; e dei prelati vice gerenti Fulvio Astalli,
'li 17 luglio 1690, Tomasso Cervini, li 10 agosto
1718, e Domenico Zauli, li 4 dicembre 1705. In
tutti questi bandi è scritto : che i catecumeni e
neofiti non potevano conversare cogli ebrei né seri-
IL GHTTTO DI ROMA 259
vere loro, anche se parenti, sotto pena di tre tratti
di corda; non potevano entrare, sotto qualunque
pretesto, nel Ghetto e tanto naeno nelle sinagoghe,
né comprare carne o pane a modo giudaico sotto
la stessa pena. Sarebbe .incorso nella pena della
galera quel giudeo, anche se pareipte strettissimo
o genitore, che avesse tentato di distogliere un neo-
fito dal proposito di rimanere nella religione cri-
stiana. Ed i tre tratti di corda erano pure minacciati
a quelli ebrei od ebree che avessero ardilo avvici-
narsi per trenta canne ^.ttomo alle case dei neofiti,
od a questi se avessero preso casa presso al Ghetto.
Innocenzo XI fu uno di coloro che più si occu-
parono del buon reggimento dei neofiti, ed infatti di-
venuto papa, con editto del 10 luglio 1683, rinnovò
le prescrizioni da lui emanate mentre era ancora
cardinale. Di lui infatti, cioè del cardinale Bene-
detto Odescalchi, giudice ecc., trovo, nell'Archivio
segreto vaticano, un editto d'impunità d taglia,
pubblicato li 27 luglio 1660 contro Tomasso Ago-
stino, Anna sua moglie, con tre figli, tutti neofiti,
partiti da Roma senza permesso « ad effetto (che
Dio non voglia) d'apostatare da questa santa fede. »
Nell'editto sono minacciate ai complici le pene della
galera per gli uomini, e della frusta per le donne-
Se alcuno darà degli indizi per il ritrovamento dei
fuggiti o dei complici, coi quali indizi « si possa
procedere alla tortura, non solo sarà tenuto secreto,
ma se li pagheranno scudi duecento subito, » e ciò
oltre all'impunità. Da questo documento si apprende
come non sempre il pubblico prestasse soverchia
fede alle promesse di premio, ed alla realtà del
pagamento della taglia, poiché, ad assicurare del
mantenimento della fatta promessa, il cardinale
260 ETTORE NATAU
Odescalchi dichiara che i danari furono già all'uopo
depositati presso Vincenzo Ottaiani notaro.
Secondo il risultato di una visita fatta per ordine
pontifìcio nell'anno 1627 è constatato che il reddito
deirospizio dei neofiti si riduceva a scudi 2331. Lo
persone allora ivi ricoverate per due terzi provenir
vano dal giudaismo, e gli altri dai maomettani.
Allorquando le rendite speciali dell' istituto dei
neofiti e catecumeni non erano sufficienti, il papa
suppliva col far pagare un assegno dallo Stato ^
assegno che giunse fino alla somma di annui
scudi 7200.
-*-
I primi padri della chiesa, . secondo scrive il Mo^
roni, proibirono di conferire gli ordini sacri ai neo-
fiti per timore che l'orgoglio non facesse cadere la
loro mal ferina virtù. Tuttavolta abbiamo un esempio
in contrario nell'ordinazione a vescovo del neofito
Ambrogio, dalla chiesa poi santificato. In quei
primi secoli i neofiti vestivano di bianco durante
i primi otto giorni del ricevuto battesimo, ed
erano accolti festosamente, come nuovi fratelli,
ogni volta che si presentavano nelle chiese per as^
sistere alle preci ed alle cerimonie.
Nel conclave tenuto dopo la morte di Nicolò
Vallorchi i voti dei cardinali si raccolsero sul ve-
scovo Tuf^culano cardinal Bessarione , che non fu
proclamato per l'opposizione del cardinal Cetivo, il
quale fece osservare quanto fosve sconveniente lo
eleggere a supremo pastore un neofito. Notisi che
non si trattava di uno proveniente dal giudaismo».
IL GHETTO DI ROMA 261
lua ^ivvero dalla religione greco-scismatica, alla
<][uale appunto aveva appartenuto il Bessarione.
Ai nostri giorni l'Istituto dei neofiti , sempre unito
^ quello dei catecumeni, è posto in un vasto fab-
bricato, fatto erigere dal cardinale Barberini, fra-
tello del papa Urbano Vili, con prospetto sulle vie
della Madonna dei Monti e dei Neofiti. In esso
sono conservatorii separati per gli uomini e per le
-donne, capaci di una cinquantina di persone almeno;
ma all'epoca in cui io li ho visitati, nel febbraio
dell'anno 1886, non vi si trovavano ricoverate che
dodici donne e due uomini fra catecumeni e neo-
fiti. Le donne restano in quel luogo fino a che loro
si sia presentata una posizione conveniente, e se
vanno a marito ricevono una dote di scudi 150.
Quando escono a diporto vestono abito turchino,
con fazzoletto bianco sul capo.
La legge delle guarentigie fece all'Istituto dei
neofiti lo stesso trattamento che a Propaganda
Fide ; ossia ne decretò la conservazione ordinan-
done la conversione dei beni, i quali beni, sia detto
qui fra parentesi, non sono stati ancora convertiti.
L'Istituto fu rispettato anche nell'anno 1849; sol-
tanto in una parte dei locali furono allora ricoverati
alcuni militari feriti.
•*-
Dei neofiti, dopo il secolo decimoquinto molti
ve ne furono specialmente in Spagna, che non pro-
fessavano lealmente la religióne cattolica, da loro
abbracciata solo per sfuggire alle persecuzioni ed
ai castighi. Costoro erano chiamati marrani dalla
262 ETTUHE Natali
parola ebraica Maròr^àtha o sii maledetto^ ed erano
perseguitati dall'inquisizione con ferocia uguale»
e forse con odio maggiore, che non gli slessi ebrei. I
marrani mentre adempivano in palese alle prescri-
zioni religiose dei cattolici, di nascosto seguivano
le ingiunzioni ed i riti^ella religione giudaica spe-
cialmente con l'osservanza del sabato, della pasqua^
e con r insegnare ai figli i precetti del Talmud e
degli altri libri sacri. Della tenacia dei marrani
nel mantenere nelle i)roprie famiglie l'osservanza
della religione avita si ha un esempio che_ sembra
inverosimile. Il governo portoghese nel 1821 riapri
le porte agli ebrei e permise in Lisbona Terezione
di una sinagoga alla inaugurazione della quale si
videro accorrere intere famiglie dai paesi i più lon-
tani del regno. Erano tutti marrani, che per trecento
e più anni avevano conservate intatte la fede e le
tradizioni dei loro padri, senza darlo a divedere anzi
obbedendo in palese ai precetti del culto cattolico»
I marrani dalle provincie iberiche dovettero emi^
grare, ma non trovarono 'facilmente ricovero nei
regni vicini perchè erano da tutti respinti. Lo stesso
loro accadde in molti paesi d'Italia, come rilevo
da un carteggio scambiato fra il vescovo di Mon-
dovi nunzio a Torino e la Corte di Roma. Cotesto
monsignore di Mondovi ottenne dopo molte trat-
tative da Emanuele Filiberto, duca di Savoia,
l'esclusione dei marrani dalle sue provincie ; sembra
però che non tutti i governi d' Italia sottoscrives*
sero con uguale zelo a questa legge di proscri-
zione, e lo si rileva da una lettera scritta dal
nunzio in Piemonte al cardinale di Como, segre-
tario di Stato, lettera che conservasi negli archivi
segreti del Vaticano. Eccola :
IL OilKTTO LI UOMA 263
« 11 signor Vargas mi disse a questi giorni, che
« haveva di buonissimo luogo, che in Venetia si
« trattava di far partito con marrani, assignandoli
< un luogo per vivere a modo loro : obbligandosi
« essi di tener in Venetia 100 mila scudi a cinque
« per cento, et di farsi portare il vivere et le cose
« necessarie da altre parti ; et che saranno in nu-
«mero molto grande di fin a 500 o 600 case. Et
«hoggi S. Altezza mi ha detto anch'Elia, che è
« avvisata di questa prattica, soggiungendomi, che
«S. Santità faccia mandar via questi marrani, e
« che sua beatitudine non dovea comportar che stas-
«sere manco altrove se non li voleva qui.»
Né è a dire che Emanuele Filiberto fosse prin-
cipe poco ossequiente agli ordini della curia pon-
tifìcia, mentre all'incontro credo che della di-
nastia sabauda pochi più di lui siensi mostrali
arrendevoli ai desideri della Corte di Roma,
come rilevo da un importante documento, an-
ch'esso conservato nell'archivio secreto del Vati-
cano al volume rV delle carte concernenti la nun-
ziatura di Savoia. È una lettera scritta dal duca
al Papa, un mese circa dopo avvenuta la strage
degli Ugonotti a Parigi. Il documento nulla ha
che vedere col libro presente, ma lo riporto ugual-
mente per la sua speciale importanza :
« Beatissimo Padre,
< Piacque alla bontà d'Iddio che mentre la
«S.** V.» poteva deliberare di farmi scrivere il suo
« breve di 25 del ponente, hierì ricevuto, per il quale
«benignamente mi esorta non patire che gli heretic*
4c fugitivi di Francia si ricevano ne li Stati miei :
264 ETTORE NATALI
«Antivedendo io nel medemo tempo quello che
4C Yj^ B.^^ con somma provvidenza riguardava, feci
« spedire fino alli 7 di questo per tutti li miei Stati
« pubblici bandi non solamente che detti fugitivi
« non si ricevessero, ma che se ve ne erano venuti
«alcuni, si partissero a pena della vita, et confi-
4C scatione di beni, et in vero quando mi venne la
«bona nova che Iddio ha vea conceduto al ReCri-
« stianissimo l'opportunità di distruggere li predetti
«heretici, oltre la parte de l'allegrezza che ogni
« principe, et persona catolica . ne sentia, io con
« molta ragione ne l'ho partecipato, et i disegni che
« havevano d'offendermi quanto prima Thavessero
« potuto. Et vedendo li Stati miei al primo et mag-
« gior pericolo ; la onde riconosco essermi in ciò da
«Dio fatta grandissima grafia. Et parimenti bacio
«con ogni riverenza i piedi a'ia S.** Y.^ pel zelo
« con che s'è mossa a scrivermi, et de la paterna
« benevolenza che degna dimostrare verso di me,
« et di questi miei popoli - con i Suoi santi ricordi, -
«che saranno da me diligentemente osservati et
«eseguiti come da un'ubidientissimo figliuolo della
« Santa Madre Chiesa, et de la Sede Apostolica, et
«servitore humilissimo et afPettuosissimo di Vostra
« Beatitudine, supplicandola a confermarmi sempre
« per tale ne la benigna gratia Sua.
« Da Torino il penultimo di settembre MDLXXV.
« Della B.°o Vostra
« Hum. Figliuolo et Ob.™° Setvitore
« E. Philibeet. »
IL GHETTO DI ROMA 265
•*-
Ma, tornando agli ebrei, dirò che in Roma non
vi sono mai stati marrani perchè, come vedemmo,
fa sempre permesso il culto d'Israello; e chi si
era finto cristiano per sfuggire in Spagna agli
atUo^a^fì appena giungeva nella nostra città
si dava senza ritegno ad osservare le pratiche
della sua religione, gettando la falsa maschera
di cattolico, per riprendere apertamente il nome
di giudeo, e l' antico culto. A lode del vero devo
pur osservare che i papi cercaron da principio di
salvare i marrani da ingiuste persecuzioni, e
Clemente VH che con molta riluttanza aveva
permesso di introdurre Y inquisizione nel Porto-
gallo, nella bolla di concessione mise molte clau-
sole anche a favore dei marrani per mitigarne i
rigori. Precauzione inutile I Gli ebrei ed i marrani
furono perseguitati lo stesso e dal fanatismo degli
inquisitori, più feroci degli antichi druidi, e dalla
<2rudele ignoranza del volgo, e di quanti agogna-
vano di por mano sulle grandi ricchezze accumu-
late dai Sefardim.
Contro i marrani per primo si mise Paolo IV,
che li proscrisse da Ancona e promulgò una bolla
speciale contro di loro : « Considerando che da
€ 60 arni il culto ebraico è proibito in Portogallo,
AH saranno severamente puniti dal braccio secolare
-« gli ebrei portoghesi che saranno trovati in qua-
«lunque parte d'Italia. »
Le accuse le più strane erano continuamente
propalate Ira il volgo per mettere i marrani in
eattiva vista. Si diceva, ad esempio, che con sa-
260 ettohe natau — il ghetto di roma
crileghe cerimonie avevano Tuso di togliere ai
fanciulli il battesimo ; ma l'accusa più strana con-
tro quelli infelici è riportata da Deppìng, quando
dice che i marrani furono ritenuti colpevoli di
avere sparso per l'Europa la sifìlide, malattia che
prima delle loro peregrinazioni non era conosciuta.
Si accusavano inoltre di mangiar qualche cibo
prima della comunione, in sfregio alle leggi eccle-
siastiche, le quali vogliono che quelli che si comu-
nicano siano digiuni dalla mezzanotte. Tal fatta di
accuse furono più volte causa di persecuzioni ter-
ribili, specialmente in Francia ed in Spagna, ove
agli ebrei non schiettamente convertiti si è pensato
fino dal tempo del Concilio di Toledo (anno 653),.
celebre perchè in esso, oJtre che a punire gli ebrei,
si pensò a stabilire pene contro i vescovi convi-
venti pubblicamente con concubine. Peraltro una
vera legislazione contro i marrani, e questo stesso
modo di appellarli, non venne in uso se non dopo
il secolo decimoquinto.
FINK DEL PRIMO VOLUME.
INDICE
l — I primi ebrei di Roma - Loro condizione ài cadere deUa
repabbllea - Relazioni colia madre patria - Ambascerie -
Pompeo, Cesare - Periodo imperiale • Persecuzioni -
Agrippa e Berenice ••-•.. pag, 1
H — I samaritani in Soma - Simon Mage - Anfiteatri di
Marcello e di Balbo - Tesori d*Israello in Roma - Le
colonne del tempio di Salomone • Pericoli e paure. » 87
m — Ebrei spagpraoli in Roma - Gli ebrei in Trastevere •
Località occupata dall'antica Sinagoga - Casa di Cola
da Rienzi - Notizie statistiche .»41
ly — Tolleranza a Roma - Emanuel hen Salomone - Polemisti -
Scienziati e letterati - Viaggiatori ebrei che nacquero
o vissero in Roma. •••.... ii67
y — Libri rari posseduti dalle scuole di Roma • Censura pa-
pale - Libri ebraici nella Vaticana - Il Talmùd • . n 73
VI — Gli ebrei nei possessi dei papi - Presentazione del
Pentateuco - I Pierleoni - Due papi ebrei - Omaggi
al papa » 87
VII — I giuochi e le corse degli ebrei • Tributo per gli spet-
tacoli • Abolizione dell'obbligo del correre • Omaggio
degU ebrei al magistrato romano - Altri usi carne-
valeschi ..bS?
Vm -~ Leggi suntuarie contro gli ebrei - Burle - Supplizii . n 117
IX — Le donne - Cause del loro deperimento fisico • Insalubrità
del Ghetto - Disuguaglianza religiosa - Pervertimento
morale - Aneddoti .»18-