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Full text of "Il ghetto di Roma"

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ETTORE NATALI 



IL GHETTO DI R 




VOLUME PRIMO 




ROMA 

STABILIMENTO TIPOQHAFICO DELLA TRIBUNA 

1887 



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135 

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N ?~. 7 



PROPRIETÀ LETTERARIA 



ng?ff?^-1^0 



Signor Princìpé, 



Non so se questo mio modesto lavoro sia per 
procura/rmi qtuilche soddisfazione. Io di una sola 
mi terrei pago, e non saprei sperarne altra più 
grande : che, qualunque esso sia, potesse a Lei 
tornare gradito, perchè mi avrebbe porto V occasione 
di attestarle pubblicamente, e in modo non in- 
degno, la mia gratitudine e Taffetto devoto che a 
Lei mi lega. 

Roma, 15 maggio 1887. 

Obbligatissimo 
ETTORE NATALI. 



All'onorevole signor Principe 

Don Maffeo Colonna di Sclvrra 
Deputato al Parlamento. 



*- ' 



m^BH 



AVVERTIMENTO 



Cominciai a scrivere del Grhetto di Roma in 
qualche articolo per un giornale letterario ; ma 
ben presto la larga messe di notizie che mi 
venne tra mano mi fece accorto che troppo 
l'argomento disorbitava dai ristretti confini 
entro i quali, sulle prime, m' ero proposto di 
contenerlo. 

Mi tentò la speranza di poter far conoscere 
qualche angolo ignorato di questa antica parte 
di Roma che stava per scomparire, e decisi di 
allargare le basi del mio lavoro. 

Non è questa un' opera di getto, e se tro- 
verà presso il pubblico accoglienza non troppo 
severa lo dovrò allo studio che ho posto a 
purgarla dai difetti propri delle compilazioni, 
evitando le note, le chiose, le citazioni e fin 
la parvenza di una erudizione indigesta. 

Le cose che andrò man mano esponendo, le ho 
attinte ai moltissimi scrittori di cose romane, 



— VIU— 

compulsando numerosi volumi e giovapudomi 
dei documenti che in gran copia si conservano 
nelle nostre Biblioteche e nei nostri Archivi. 
Altri potrà, con maggior competenza e lar- 
ghezza, trattare il quasi inesauribile argomento ; 
a me basterà il ricordo di avervi per primo 
dedicato studio ed amore. 

Roma, li 15 maggio 1887. 



E. Natali. 




La storia del popolo ebreo è una delle piii 
belle che esistano... Certo non è storia sensa 
macchia; sarebbe faori dell'amanita. 

R. Renan. Le JudaUrns cornute 
race et comme religion. 



I. 



I primi ebrei di Roma - Loro condizione al cadere della repubblica 
- Relazioni colla madre patria - Ambascerie - Pompeo, Cesare - 
Periodo imperiale - Persecuzioni - Agrippa e Berenice. 



Sono trascorsi venti secoli e della Roma impe- 
riale non rimangono che poche mine, e degli Dei 
immortali che qualche immagine vaga ; di gloria, 
di potenza , di ricchezze innumerabili altro non 
recidi che una pallida rimembranza. Passarono, 
senza lasciar qia^i traccia, patrizi, plebei, consoli, 
imperatori, signori del mondo, ed i figli degli 
ebrei, schiavi di Pompeo e di Tito, resistono an- 
cora. Intorno a sé hanno visto disfarsi in pol- 
vere l'antica Repubblica Romana, e la monarchia 
dei Cesari e di Bisanzio, e le conquiste dei barbari, 
e l'anarchia medioevale, ed il dominio dei Papi ; 
■essi hanno sopravvissuto. - Da quindici secoli è 



1 — E. Natali, Il OheUo di Homa, 



ETTORE NATALI 



caduto il superbo simulacro di Giove Capitolino^ 
che sembrava dovesse essere eterno, 

Sculptus et aeterno nunc primiim Jupiter auro, 

ma presso il Campidoglio è rimasto immobile ed 
immutato il culto di lehovah. 

In Roma, capitale d'Italia libera, il Ghetto avrebbe 
dovuto essere già demolito da un pezzo, perchè ne è 
il quartiere più obbrobrioso e più infetto. Esso sorge 
non più come una dimora disprezzata dei semiti, ma 
come violazione del diritto moderno, indegna di un 
popolo civile. Il Ghetto deve cadere, e cadrà. 

Però non è senza dolore che lo vedremo sparire 
perchè col Ghetto fini «ce la storia di un popolo : 
gli ebrei, a Roma, come pres oche ovunque è se- 
guito, si disperderanno e si confonderanno cogli 
altri uomini, rendendo ù loro eguali negli usi come 
lo sono già nei diritti. 

Ed è una storia gloriosa quella degli ebrei di 
Roma, che comincia appunto quando finisce quella 
delle nazioni giudaiche, e della quale oggi m'ac- 
cingo a scrivere l'ultima pagina. Tanto più gloriosa 
per loro che, accusati universalmante di pusillani- 
mità, harno dimostrato, fermandosi in Roma, di 
saper vivere una vita di vero e quotidiano com- 
battimento. E vi rimasero, come osserva opportu- 
namente il Gregorovius, prima sotto i Romani, di- 
struttori di Gerusalemme), e poi sotto i Papi, che 
erano i rappresentanti del Dio da loro ucci-o. 

Questa razza, ridotta in servitù, seppe difendersi 
contro i suoi tribolatori coli' astuzia, coU'ingegno, 
colla potenza che le veniva dall'oro, ammassata 
in segreto, resistendo volta a volta alle seduzioni 
della tolleranza ed ai rigori della oppressione. 



IL GHETTO DI ROMA 



La severità delle leggi, la scure del carnefice, le 
persecuzioni del popolo, nulla ha valso a farla soc- 
combere, ed ha sopravvissuto a tanti mali quanti 
avrebbero bastato a distruggere qualunque altra 
razza. Dix-huit sièdes depersecutions supportées avec 
une force cTendurence incroyible temoignent que, si 
le juif n*apas la comhatimté, il a cette autre forme 
de courage quiestlarésistance. Ho riportato volentieri 
queste parole di elogio, perchè scritte da autore 
non certo sospetto di amare soverchiamente gli 
ebrei. Intendo parlare di Edoardo Drumont, scrit- 
tore di un libro, o meglio di un libello, che ha, non 
ha guari, destato in Francia tanto rumore. 

Nelle loro meschine case, gli ebrei prestavano 
danaro ad usura; alla porta di lor luride abi- 
tazioni si affollavano le persone più nobili e piil 
potenti di Roma ; e, fra i debitori, scrivevano, sui 
loro libracci, i nomi. più illustri dell'aristocrazia, e 
perfino quelli dei Papi. 

Non vi può essere alcun dubbio che gli abita- 
tori del Ghetto siano i discendenti più diretti del 
popolo d'Israello. Essi non si sono mai mescolati 
con romani o con barbari, e, non stringendo pa- 
rentadi che fra di loro, hanno trasmesso il sangue 
più puro della stirpe semitica ai figli, ed ai figli 
dei figli. I pregiudizi religiosi, Todio e il ribrezzo 
che i cristiani avevano pei circoncisi, cui farne 
riscontro le costoro leggi, che consideravano come 
delitti gravissimi i matrimoni con i cattolici, ci 
fanno fede della perfetta conservazione della razza, 
cosa che d'altro canto ci viene dimostrata dal fatto 
che gli ebrei di Roma hanno sempre vissuto nel- 
l'isolamento, non tramandandosi per secoli e se- 
coli altro retaggio che quello dei patimenti. 



KTI'OUK HATAI/ 



-^- 



Il Calmet, il Seldeno, il Kmuss non sanno 
dire con certezza se gli ebrei venissero per la 
prima volta a stabilirsi in Roma sotto l'impero di 
Augusto , o sotto Giulio Cesare, se dopo la spedi- 
zione di Sosio, o dopo quella di Caio Cassio, o non 
piuttosto dopo la conquista di Gerusalemme fatta 
da Pompeo. 

Esaminando con cura i monumeiiti storici che 
ne rimangono, appare indubitato che fin dai tempi 
di Augusto molti ebrei avevano già in Roma di- 
mora. Augusto fece buon viso ai giudei , mal- 
grado che, alla battaglia di Azio, avessero par- 
teggiato per Antonio; e si sa che essendosi ricon- 
ciliato con Erode, re della Giudea, di cui divenne 
poscia alleato ed amico, egli mandò liberi quanti 
di loro erano caduti in sua mano prigioni. 

Cosi non è più dubbio che gli ebrei avessero già 
stanza in Roma sotto Giulio Cesare, ed è dimo- 
strato che vi godevano piena libertà di culto, e vi 
avevano stabilite pubbliche sinagoghe per le adu- 
nanze religiose. Ciò chiaramente si legge in un 
decreto di Caio riguardante gli ebrei che abitavano 
V isola di Parie, decreto che ne richiama u'^ altro 
di Cesare, il quale, vietando in Roma le adunanze 
private, eccettuava, come attesta Flavio, le con • 
venticele dei giudei. 

Infatti, la prima cospirazione contro Cesare fu 
scoperta in uno di questi simulati ritrovi, dove 
i congiurati si erano camuffati da ebrei, e dove 
fingevano di adunar^^i per pratiche religiose. 



& 



IL GHETTO DI BOMA 



Ad escludere la ipotesi che Caio Cassio fosse il 
primo a condurre in Roma una numerosa colonia 
di quella nazione, basta ricordare la testimonianza 
dello stesso Flavio, il quale racconta che Cassio, 
prima di ritirarsi nella Siria , volle vendicarsi dei 
giudei e ne fece schiavi circa diecimila, che poi, 
per le preghiere d' Ircano, Marcantonio rimandò 
liberi alle proprie case. 

A tagliar corto eu di ogni altro argomento, ba- 
sti il ricordare come a Roma esistes e già una 
colonia ebrea anche ai tempi di Sosio. Questi oc- 
cupò Gerusalemme ventisei o ventisette anni dopo 
Pompeo , ma non fece schiavi , anzi nemmeno 
venne con gli ebrei a combattimento, e si accon- 
tentò di lasciare sul trono della Giudea Erode, in 
luogo di Antigono. 

Lucio Quinzio {Rep. Rom.,Ep, IV), a proposito 
di Sosio, racconta che costui erasi vantato di con- 
durre a Roma gli abitatori della con juistata Giu- 
dea aggiogati al suo carro di trionfatore. Ed 
avendo i fatti ingloriosi smentita la vanteria, i 
romani — che anche allora si piacevano di quelle 
satire divenute poi celebri sotto il nome di pasqui- 
nate — circondarono con sbarre le case degli ebrei, 
onde Sosio non facesse scappare da Roma pure co- 
loro, di quella nazione, che vi avevano fìssa dimora. 
Resta a dire di Pompeo. La maggior parte deg i 
storici moderni fissa ai suoi tempi, ed a lui attri- 
buisce, le p:ime immigrazioni di ebrei nella capi- 
tale del mondo ; ma, per verità, nessuno dei vec- 
chi scrittori, né Flavio, nò Plutarco, né Dione Cas- 
sio , né Appiano Alessandrino , fa cenno d' altro 
se non d'aver voluto testimoni del suo trionfo re 
Aristobulo e i suoi quattro figli. Che Pompeo non 



» 



6 ETTORE NATAU I 

I 

conducesse schiavi è detto da Appiano : « Condotto ' 

« al Campidoglio Pompeo, nessuno schiavo volle ^ 

« seco nel trionfo, ma rimandoUi, a spese del pub- 
« blico erario, liberi alla patria, eccettuati i soli 
« re, e fra di essi Aristobulo. » 

È quindi infondata la credenza di molti autori 
che danr.o per prima ragione della venuta degli 
ebrei a Roma la conquista di Gerusalemme fatta 
da Pompeo. 

Vi stavano invece fino, dai tempi della gloriosa 
repubblica e lo attesta Cicerone quando , difen- 
dendo Fiacco accusato di avere nel suo protet- 
torato proibito ai giudei di esportare l'oro rac- 
colto in Gerusalemme, dice : Cum aurum judoso- 
rum quotannis ex Italia et ex omnibus vestris prò* 
vinds exportari soleref,,,. e, dopo accennato agli 
statuti sanciti dal Senato nell'anno in cui esso 
fu console, soggiunge : Exportari aurum non qpor- 
ter e so^pe antea Senatus tum, me consule, gravis^ 
8ime iudicavit. 

Quando Fiacco proibiva T esportazione si eia 
nell'anno di Roma 691, ed era già molto tempo 
che quest'oro si esportava dall'Asia e dall'Italia, 
e Cicerone invocava statuti sanciti dal Senato nel- 
l' anno 689 riguardanti gli ebrei: quindi è chiaro 
che es:i dimoravano in gran numero in Roma 
prima che Pompeo ve li portasse, risalendo la 
conquista da lui fatta di Gerusalemme appunto 
all'anno 689. 

I primi ebrei di cui si possa accertare veramente 
la venuta nella città furono Eupolemo e Giasone, 
spediti ambasciatori da Giuda Maccabeo, impotente 
a sostenere di per so la libertà del suo paese. 
Trogo, accennando ai risultati dell'ambasceria di 



IL GHETTO DI ROMA 



Eupolemo e di Giasone, osserva come i giudei fos- 
sero i primi, fra gli orientali, ad ottenere l'alleanza 
romana. 

Naturalmente, stabilita l'alleanza, delle amba- 
scerie se ne successero molte; e, fra le altre, se ne 
ricorda una importantissima dei sommi sacerdoti 
•Gionata e Simone : ora, come venivano gli amba- 
sciatori saranno venuti a poco a poco in Roma 
anche i privati , e la supposizione acquista valore 
quando si osservi, come anche in quei tempi remoti, 
ad un gran numero di ebrei piacesse lo andar ra- 
minghi pel mondo. 

Tale opinione sulla venuta degli ebrei a Roma 
non è, secondo me, soltanto una ipotesi autorizzata 
da documenti e da monumenti. Osservandole an- 
tiche iscrizioni, ricordate nel Supplemento de\Gre\ìo, 
noi vediamo questi ebrei d'Italia trascurare l'ebraico, 
la lingua dei loro padri e del loro cuore, per usare 
r idioma greco, molto alla moda in queU'epoca. 

Che poi in Grecia, come nell'Asia Minore, dimo- 
rassero molti negozianti e coloni ebrei, nessuno lo 
pone in dubbio ; ed è assai probabile che molti di 
essi fossero tratti a Roma prigionieri quando i ro- 
mani conquistarono quelle provincie, assai prima 
della impresa di Gerusalemme fatta da Pompeo. 



•*• 



Comunque, è certo che dalla Giudea, divenuta 
addirittura provincia romana, accorsero in Roma 
molti di coloro che professavano la legge di Mosè, 
«i unirono a quelli che vi erano venuti, o vi erano 
stati condotti prima della conquista di Pompeo, 



8 ETTORE NATALI 



e fondarono una colonia che presto divenne pro- 
spera e ricca, e mantenne sempre rapporti con la 
madre-patria ove le rivoluzioni e le rivolte si suc- 
cessero senza interruzione per circa due secoli. Si 
ha ricordo nella storia di una deputazione di ebrei 
venuta in Roma per presentare a Marco Antonio 
gravi accuse contro il re Erode ; ma i deputati 
non riuscirono ad esser ricevuti dal tribuno, in 
precedenza comprato con ricchi doni dal re di Gè- 
rosolima. La protezione dei romani, a caro prezzo 
acquistata, poco però valse in principio ad Erode che 
fu cacciato ugualmente dai suoi sudditi, e dovette 
venire di persona qui in Roma ove Augusto e Marco 
Antonio lo incoronarono re in Campidoglio nel mese 
di luglio dell'anno 714 dalla fondazione della città. 

Un'altra deputazione di cinquanta notabili venne 
qualche anno dipoi dinanzi al Tribunale di Augusto 
per chiedere giustizia contro le tirannie dei figli di 
Erode. Altre vennero in altri tempi. 

Il periodo imperiale può utilmente dividersi, ri- 
spetto agli ebrei, in due parti distinte : T^poca 
della protezione, o almeno della tolleranza, che 
arriva fino a Tiberio; e l'epoca di quelle feroci 
persecuzioni che fecero dire al Nuoci : vc Et hodiati 
da tutti, la vita menavano quai topi fra i gatti. » 

Cesare fu dei protettori loro il più strenuo, e, 
lui morto, gli ebrei a centinaia si recarono notte- 
tempo sulla sua tomba a spargere lagrime e fiori 
e ne portarono il lutto per otto giorni. 

Non mancano però autori poco benevoli che 
contestino agli ebrei anche questo merito della ri- 
conoscenza verso la memoria del divo Giulio, e 
spieghino il loro accorrere notturno a quella tomba 
per cagioni ben differenti ed assai meno onorevoli* 



( 



IL GHETTO DI ROMA 



< 



Sul rogo di Giulio Cesare, rogo che, come è noto, 
fu fatto tumultuariamente nel Foro , la folla dei 
clienti, dei militari e dei veterani aveva gettato 
anelli d'oro , armi ed altri oggetti "preziosi ; le 
donne vi buttarono i ricchi monili e perfino le bolle 
d'oro dei propri figli giovanetti. Aggiunge Svetonio 
che molti di estere nazioni, disposti in circolo, can- 
tavano le lodi di lui, ciascuno nella propria lingua, 
e, fra costoro, i giudei non abbandonarono il Foro 
ed 11 rogo neppure durante la notte. 

A questo punto i poco benevoli, di cui abbiamo 
detto, soggiungono che gli ebrei, speculatori sem- 
pre ed in tutti i tempi, vollero rimanere gVi ultimi 
e i soli, per frugare nelle ceneri e tra i carboni, 
onde ritrarne i metalli preziosi che non deperiscono 
per azione di fuoco. 

A mio avviso, la prima versione, quella cioè della 
gratitudine, è la più attendibile, peichè i giudei 
avevano mille ragioni di mostrarsi riconoscenti alla 
memoria di Giulio Cesare. Fra gli altri privilegi 
accordati da lui a quella nazione deve annoverarsi 
Tesenzione , per gli abitanti di Gerusalemme , dal 
pagamento del tributo negli anni che incomincia- 
vano col giorno di sabato. 

Flavio e Strabene riportano due decreti, emanati 
da Giulio Cesare, che provano sempre meglio quanta 
fosse la libertà e quale la protezione da loro go- 
duta. Con uno dei decreti Cesare concedeva la isti- 
tuzione di un Enarca che reggesse in Roma gli 
affari della nazione ebraica, e provvedesse all'ani- 
ministrazione della giustizia; con l'altro ordinava 
la restaurazione delle mura di Gerusalemme, gran- 
demente danneggiate da Pompeo. 

Ai tempi di Augusto, la colonia ebraica, composta 



10 ETTORE NATALI 



quasi esclusivamente di liberti, era numerosissima 
e s'andava ogni giorno aumentando, perchè molti 
ebrei cercavano in Roma uno scampo, un rifugio, 
essendo la patria loro desolata dalle continue di- 
scordie intestine. Allora infatti i romani erano tol- 
lerantissimi di ogni credenza religiosa, e lo stesso 
Augusto non mancò mai di spedire denari e doni a 
Gerusalemme pei sacrifici che si solevano fare, la 
Pasqua, nel tempio di Salomone. 

Un fatto, registrato nelle storie, ci dà la misura 
di questo incremento. Essendo, dopo la morte di 
Erode, venuti da Gerusalemme cinquanta deputati 
per patrocinare alcuni diritti nazionali, gli ebrei abi- 
tanti nella città li seguirono presso l'imperatore, ed 
erano in numero di ottomila. Non erano natural- 
mente di questo numero i fanciulli , i vecchi e le 
donne ; onde si può esser certi di non andar lungi 
dal vero asserendo che la colonia doveva comporsi 
di oltre ventimila individui. Il rispetto di Augusto 
per la religione d'Israello giunse fino a prescri- 
vere che la distribuzione del grano e del danaro 
agli ebrei residenti in Roma non si facesse mai nel 
giorno di sàbato. Ed essi esternarono a lui la loro 
riconoscenza imponendo ad una città, che fu fab- 
bricata nella Giudea Tanno 751 di Roma, il nome 
di Cesarea, 

Il solito Flavio ricorda uno statuto di Ottaviano 
Augusto tendente a proteggei^e gli ebrei, che a lui 
avevano ricorso, ove, fra le altre, sono le se- 
guenti parole : « I giudei si sono fatti vedere fedeli 
€ e riconoscenti ai romani non solo adesso , ma 
€ anche da prima e molto, quando imperava mio 
* padre Cesare. » 

Della libertà goduta dagli ebrei, mentre Augusto 



IL GHETTO Dt ROMA H 



era imperatore, fa fede anche Persio quando rac- 
conta le grandi feste celebrate in Roma dagli ebrei 
in nome di Erode il Grande , liberatore della loro 
nazione. 

At eum 

Herodi» venere diea, cunctaeque fceneetra 
Dispoaitce pinguem nebulam vornuere lucerncBj 
Portante^ viola», ruhrumque amplexa eatinum 
Cauda natat Thytini, tumet alba fidelia vino. 

Gli ebrei quindi, in quella solenne occasione, non 
solo si adunarono a banchettare e a bere molto 
vino in onore del loro re, ma illuminarono vaga- 
mente , come ci narra il poeta , le finestre delle 
loro case, dando prova cosi di poter dimorare libe- 
ramente in Roma, e di potervi fare pubbliche di- 
mostrazioni anche poco gradite ai romani , che 
conoscevano i sentimenti di Erode anelante di sot- 
trarre la patria al giogo imperiale. 



■*■ 



I veri maltrattamenti, la vera persecuzione, non 
solo contro i giudei di Roma, ma contro tutta la 
razza, cominciarono sotto Caligola, il pazzo impe- 
ratore che negli ultimi mesi della sua vita si la- 
sciava andare alle peggiori stravaganze, delle quali 
non ultima quella di prendere sul serio la divinità 
che egli si attribuiva. Allora, come sempre, gli ebrei 
avevano nemici tutti coloro che erano gelosi delle 
loro ricchezze, e che, secondo Dione e Filone, as- 
serivano soverchi i privilegi loro concessi dai primi 
imperatori, e dicevano che ne abusassero. 

Capitone , prefetto della Giudea , ordinò che nel 
tempio gerosolimitano fosse eretto un altare in 



12 ETTORE Natali 



onore deirimperatore , ma i giudei noi soffersero, 
e lo distrussero. Caligola ne fu punto sul vivo, e 
non volle neppur ricevere l'ambasceria condotta 
dallo storico Filone, e venuta appositamente dalla 
Giudea per giustificare la condotta del popolo 
d'Israello. Ordinò l'imperatore che la sua statua 
colossale fosse posta nella parte più sacra del tem- 
pio di Gerusalemme , e per ottenere obbedienza 
spedi ivi Petronio. Invano Agrippa, che trovavasi 
allora in Roma, cercò di calmare l'imperatore. 
E la persecuzione, crudelissima, cominciò : erano 
accusati di lesa maestà perchè non volevano ado- 
rare il divo Caligola nò prostrarsi a baciar il piede 
imperiale; imperocché l'uso del bacio del piede , 
cerimonia oggi seguita dai pontefici romani , fu 
inventata da quel pazzo che primo pretese di es- 
sere adorato come un dìo in terra. 

A mitigare V animo del nemico potentissimo , i 
giudei mandarono nuovamente in Roma un'amba- 
sceria con a capo lo stesso storico Filone, ma pare 
che l'accoglienza ricevuta dall'imperatore non fosse 
in alcun modo rassicurante, se è vero quanto narra 
Giuseppa , che cioè Filone, rivoltoci ai compagni 
impauriti , i)er rinfrancarli, pronunciasse il celebre 
detto : « Consolatevi ; Caio, dichiarandosi contro di 
« noi , pone Dio ne' nostri interessi ». 

La morte di Caligola arrivò a tempo per i giu- 
dei i (juali tutto dovevano aspettarsi dalla sua 
malevolenza. 

Il re Agrippa, rimasto in Roma, ebbe la fortuna 
di eseixiitare una benefica influenza sull'animo mite 
di Claudio, e nell'anno 41 dell'era volgare, con de- 
creto imperiale fu riconosciuto giusto il desiderio 
dei giudei di non volere nel santuario del tempio 



IL GHETTO DI ItOMA 13 



]a statua dell' imperatore. E durante il regno di 
Claudio gli ebrei fruirono di un po' di pace non 
solo, ma ottennero la* conferma di alcuni antichi 
privilegi; cosi fu risfabiìito il libero esercizio del 
loro culto, a condizione però che non turbassero 
quello degli altri. 

Con Nerone incominciarono di nuovo i guai, ed è 
nota Tatrocltà del supplizio inflitto da lui a quei due 
giudei che avevano osato di guardare troppo davvi- 
cino Poppea. Li fece legare 'insieme, a mazzo ; poi, 
poggiati che furono colla testa per terra, fece loro dar 
fuoco. E non bastò; che, sembrando all'imperatore 
troppo meschino lo spettacolo, ne fece prendere a caso 
altri quattro e li uni ai primi nello stesso supplizio. 

L'ultima ruina della nazione d'Israello segui sotto 
l'impero di Vespasiano: la loro grande e superba 
Gerusalemme data in preda alle fiamme; un mi- 
lione e centomila abitanti sepolti sotto le rovine; 
il tempio, meraviglia dell'universo, distrutto fino 
a non restarne pietra su pietra. 

Fu Tito che condusse in Roma, dalla Giudea, il 
maggior numero di schiavi, fra i quali anche molti 
cristiani, e di loro si servi per costrurre l'anfitea- 
tro Flavio, come Domiziano li adoperò dipoi alla 
costruzione dell'arco ricordante la gloria^ del fra^ 
tei Io e del padre, divi Tito e Ve^pa.siano. Strana 
fatalità! Sono sempre quegl' istessi ebrei che, nelle 
loro prime schiavitù, lavorarono agli edifizii del- 
l'Egitto e di Babilonia e che, nella loro ultima di- 
spersione, fabbricarono quell'enorme recinto, opera 
di un imperatore pagano, e che nei canti dei loro 
profeti segnava l'ultima distrazione di Gerusalemme. 

Da questa estrema ruina del tempio gli ebrei di- 
spersi e perseguitati contarono gli anni, o la nuova 



14 ETTORE NATALI 



èra fu chiamata Véra della desolazione: da quel 
giorno per loro cominciò una vita di martiri, di pri- 
gionie continue, di umiliazioni ininterrotte; ma non 
perderono mai la speranza di tempi migliori, e pro- 
seguirono per venti secoli a ripetere in ogni giorno 
di festa : Quest'altro anno ci ritroveremo a Oeru- 
salemme ! Raro esempio di perseveranza in un po- 
polo che non ha più posseduto un palmo di terra, 
una casa, una lingua, un tempio ! 

Durante l'impero di Trajano non diminuirono le 
vessazioni, e forse si accrebbero, finché per la 
seconda ed ultima volta l'imperatore Adriano 
prese Gerusalemme : gli ebrei furono scambiati, 
sui mercati di Siria , contro cavalli , perchè , a 
giudizio dell' imperatore, non valevano la spesa 
occorrente per trasportarli in Roma : da allora Ge- 
rusalemme più non esistette, ed anche il nome le 
fu mutato in quello di Elia Capitolina. Elia dal 
nome dell'imperatore Elio Adriano, e Capitolina in 
onore di Giove Capitolino, cui venne eretto un tempio 
sulla montagna di Sion. Agli antichi abitatori di Ge- 
rosolima era perfino interdetto, sotto pena di morte, 
l'ingresso nella patria amata, e dovevano travestirsi 
per andare ignorati, con immenso rischio, a pre- 
gare sulle ruine dell'antico santuario di Jehovah. 

Alla nuova città, nel cui recinto era rimasto 
compreso il Calvario ed il Santo Sepolcro, rimase 
il nome di Elia Capitolina , fino a che Costantino 
decretò che fosse nuovamente chiamata Gerusa- 
lemme. Il nome di Elia si trova ricordato negli atti 
pubblici fino all'anno 536 dell'era volgare, come 



IL GHETTO DI ROMA 15 

rilevasi dai documenti di un Concilio là tenuto in 
quell'anno. 

Anche il sepolcro di Cristo, sul Golgota, fu in 
quel tempo profanato con la erezione di un san- 
tuario dedicato alla Venere volgare, la dea del 
piacere, poiché i romani ed Adriano, non solo vol- 
lero spegnere nel sangue l'ultima insurrezione degli 
ebrei, ma tentarono distruggere tutti i monumenti 
che in Gerusalemme ricordavano l'antica gran- 
dezza dei giudei, e l'origine della nuova^ religione 
giudaico-cristiana. Il divieto di andare in Elia Ca- 
pitolina cessava per gli ebrei una sola volta ogni 
anno, e precisamente nel giorno anniversario della 
caduta di Gerosolima in potere di Tito. 

La difesa fatta dagli ebrei di Gerusalemme fu 
gloriosa, e la vittoria costò molte vite ai romani, 
come lo attesta il fatto, narrato da Dione, che 
Adriano, scrivendo al Senato, si astenne dalla for- 
mòla usata nelle lettere dagli imperatori: « Se 
« voi e i vostri figliuoli state bene, io e la mia ar- 
« mata siamo in buono stato ». 

Un po' di tregua fu concessa agli ebrei da An- 
tonino Pio col decreto riportato da Ulpiano : Eoa 
qvi judaicam superstitionem sequuntur, divi Verus 
et Antoninics, honores adipisci permiservnt, sed et 
necessitatem eia imposuerunt qui superstitionem eorum 
non Icederunt Ben presto, peraltro, le cose volsero 
nuovamente alla peggio, poiché avendo gli ebrei 
di Roma preso parte alla congiura di Cassio, ne 
furono puniti severamente e la loro condizione venne 
ridotta uguale quasi a quella degli schiavi. 

Settimio Severo rincarò la dose delle persecu- 
zioni contro i giudei ; proibì loro di far dei proseliti, 
ed avendone sconfitti alcuni da lui trovati in arme 



16 ETTORE NATALI 



nella Giudea mentre tornava dall'aver combattuto 
contro i Persi, il Senato romano, ridotto ad un'as- 
semblea di cortigiani servili, decretò all'imperatore 
un ti ionfo giudaico. E, mentre da un canto li col- 
piva di gravosissime imposte, dall'altro riconosceva 
loro la cittadinanza romana ed il dritto di esser 
chiamati alla tutda anche verso i fanciulli pagani. 
È vero però che a quei tempi il titolo di cittadino 
romano non aveva gran pregio, perchè Roma era 
ormai divenuta dimora di un'accozzaglia di vaga- 
bondi di tutte le nazioni, che v'accorrevano ad 
esercitarvi il loro mestiere di cittadini ; mestiere fa- 
cile , come osserva il nostro Cessa , a chi si con- 
tentava di un pugno di farina per giorno, e dei 
giuochi del Circo. 

Ai tempi di Settimio Severo la condizione degli 
ebrei fu forse la più misera che nella Moro tra- 
dizione ricordino. Tertulliano li dice : « Dispersi, 
«erranti lungi dal cielo loro, e banditi dal patrio 
«suolo, essi sen vanno vagando pel mondo, senza 
« nome, senzadio, senza re ; a loro neppure per dritto 
« di pellegrino si concede almeno per una volta di 
«salutare la patria terra...» E gli stessi ebrei nel 
MisoBÀ, libro compilato dalla sinagoga in quell'e- 
poca, scrivono : « Da quel di che il tempio ruinò, 
4c niun giorno splendette senza piaga, né discese dal 
« cielo rugiada di salute, ed agli stessi frutti mancò 
« il sapore » . 

Ancora un aneddoto ed ho finito coi tempi del- 
l'impero di Settimio Severo. 

S'era sparsa in Roma la voce della venuta di 
un Messia, ed era un impostore qualunque che 
andava dicendo di voler parlare all' imperatore e 
reclamarne clemenza. Settimio Severo consenti a 



IL GHETTO DI ROMA 17 



ricevere il pseudo-Messia , ma prima che comin- 
ciasse a parlare lo fece prendere da quattro uomini 
e gittare dalla finestra in istrada; quindi rivolto 
agli ebrei, disse loro: « Il vostro Messia è venuto 
« troppo presto : è meglio che lo aspettiate ancora 
« per qualche anno ». 

Né la sorte loro migliorò sotto gli altri imperatori 
pagani, che anzi gli ebrei continuarono a vagare, 
perseguitati, pel mondo, fino all'impero di Costan- 
tino , che ne mitigò alquanto la miserrima condi- 
zione. Ma a questi tempi la nazione giudaica può 
dirsi finita, ed io, d'ora innanzi, lascìerò di parlare 
degli ebrei di Roma seguendo un ordine cronolo- 
gico, per attenermi ad altro sistema, più facile e 
meno noioso, della cui bontà giudicheranno i lettori. 



•*- 



Non è facile impresa il tessere la storia del 
giudaismo romano da quei tempi ai nostri, né 
questo è 11 luogo di farlo con soverchi particolari. 
Sorvolerò pertanto cosi sugli avvenimenii di minor 
conto, come su quelli troppo noti e riportati da 
tutti quanti gli autori. 

Regnando Tiberio , il quale pel maggior tempo 
del suo impero non disturbò i giudei, cominciò 
diggià r èra de' mali. Infatti , narra Svetonio , 
Tiberio fece allontanare da Roma molti di loro ed 
ordinò che quattromila se ne deportassero in Sar- 
degna. Seiano, il favorito ed il primo ministro del- 
l' imperatore, fece eseguire rigorosamente quest'or- 
dine, dovuto in gran parte alle sue istigazioni, ma 
gustò per poco il dolce della facile vittoria. Come 

2 ~ E. Natali, Il Ghetto di Roma, 



18 ETTORE NATALI 



a tutti è noto, Sciano perde ben presto i favori 
del feroce abitatore di Capri, che lo fece precipi- 
tare dalla rupe Tarpea, condannando anche la 
famiglia di lui a subire Testremo supplizio. E sic- 
come per legge non potè vasi dar morte ad una 
vergine, fu permesso al carnefice di stuprare una 
malcapitata donzella, figVa dell'antico favorito e 
fidanzata al figlio di Claudio. Appena morto Seiano, 
Tiberio richiamò dall'esilio i liberti ebrei. Gli au- 
tori contemporanei non dicono quali ragioni consi- 
gliassero a Tiberio ed a Seiano la persecuzione contro 
gli ebrei dimoranti in Roma. Il Cevrier, nella Storia 
degli Imperatori romani^ l' attribuirebbe al fatto 
seguente : 

Quattro ebrei, mossi da zelo soverchio per la loro 
fede, riuscirono a sedurre ed a convertire certa Ma- 
diana della gente Fulvia, persona illustre par na- 
tali e ricchissima. La nuova adepta , appena 
ascritta alla religione giudaica , fu indotta a spo- 
gliarsi di tutti i danari , deg i ori e degli abiti di 
porpora da lei posseduti, che, a loro dire, dove- 
vano essere inviati al tempio di Gerusalemme. Il 
marito di Fulvia , indignato per questo fatto, ne 
menò molfo scalpore, ed andò perfino a lamentar- 
sene con l'imperatore, che immediatamente proibì 
per decreto l'esercizio della religione giudaica in 
Roma, relegando in Sardegna tutti coloro che 
non vollero ripudiarla. L'isola di Sardegna allora, 
come spesso dipoi, era infestata dal brigantaggio 
e desolata dall'aria malsana. 

Data da questa epoca anche la prima persecu- 
zione contro i cristiani, i quali, nel mondo pagano, 
non erano punto distinti dagli israieliti, ma con essi 
confusi, come vedremo più innanzi. 



IL GHETTO DI SOMA J9 



-¥■ 



A Roma, durante l'Impero, due personaggi ebrei 
^ebbero larga parte negli avvenimenti non solo della 
loro nazione , ma anche del mondo romano. La 
importanza storica di questi due personaggi — 
intendo alludere ad Agrippa ed a Berenice — il 
grado da loro occupato, e la lunga dimora da essi 
fatta nella città, mi spingono a parlarne partico- 
larmente a questo luogo. 

Agrippa, re di Giudea, trovavasi in Roma quando 
il prefetto Capitone vi portò la notizia del diniego 
opposto dai giudei all'adorazione, nel tempio di Ge- 
rusalemme, del simulacro di Caligola imperatore. TI 
re, ignaro del fatto, si recò la mattina, come era suo 
costume, a corteggiare Caligola.- Di quei tempi, al 
lecer dell'imperatore si contrastavano l'onore di as- 
sistere i sovrani di tutto il mondo, insieme ai capi 
potentissimi delle provincie più ricche e più estese, 
e tutti, prostrati, niendicavano uno sguardo benevolo, 
una parola grata, da cui dipendeva sovente la con- 
servazione o l'accrescimento dell'ambito comando. 
Appena Cesare vide, confuso nella turba degli ado-. 
ratori, il re di Giudea, gli disse senza preamboli : 
« I tuoi compatriotti che, soli, non vogliono ricono- 
« scere la mia divinità, cercano la morte e la trove- 
« ranno. Ho ordinato che si collocasse la mia statua 
« nel loro tempio, e si sono radunati, ed hanno per- 
« fino abbandonato il paese per protestare contro i 

«miei ordini » Avrebbe detto di più se Agrippa 

non fosse caduto come fulminato, tanto che dovè 



20 ETTORE NATALI 



essere trasportato dai servi alla sua abitazione quasi 
in estremo di vita. 

Appena rinvenuto, il re scrisse a Caio una lettera, 
tramandataci integra da Filone e che è un vero capo- 
lavoro di logica e di eloc^uenza. Se per essa Agrippa 
non ottenne la domandata pietà, giunse nondimeno 
a calmare alquanto l'animo dell'imperatore ed a 
far sospendere la trasmissione degli ordini severis- 
simi che stavano già per essere spediti al prefetto 
Petronio. 

Nella storia, Agrlppa è specialmente conosciuto 
per essere stato uno dei primi persecutori dei cri- 
stiani , dei quali fece carcerare il capo, Pietro di 
Galilea, e morire l'apostolo Jacopo seniore, fratello 
di san Giovanni. L'imperatore Claudio lo predili- 
geva, come lo aveva amato molto anche Caligola, 
cui doveva la sua restituzione alla tetrarchìa di 
Galilea. Agrippa mori in Roma. 

La maggiore celebrità pertanto non venne ad 
Agrippa dall' amicizia degli imperatori , né dal- 
l'aver fabbricato una nuova città in Palestina chia- 
mandola Livia dal nome della madre di Tiberio, né 
dalle persecuzioni ai cristiani, ma piuttosto dall^es- 
sere stato padre di Berenice. 

Di Berenici, molte ne ricorda la storia e greche 
ed egiziane: la nazione giudaica ne ebbe due — 
delle quali la prima , meno nota , fu figlia di Co- 
stobaro e Salome e sorella di Erode il Grande. Ai 
tempi di Augusto , si portò in Roma , seppe con 
le sue grazie ottenere l'amore deir imperatore e 
legarsi in amicizia strettissima con Antonia, figlia 
di Druso il Maggiore. 

L'altra, più nota, della quale qui discorriamo» 
fu figlia di Agrippa I, ed a dodici anni — un po' 



IL GHETTO BI ROMA 21 



prestino , a dir vero — andò sposa a Marco 
d'Alessandro Alabarco. Rimasta vedova, fu spo- 
sata dallo zio Erode, re di Calcide, regno che era 
stato donato ad Erode dall'imperatore Tiberio. 

Berenice sopravvisse giovanissima anche al se- 
condo marito e passò al letto del fratello Agrippa II, 
ma lo scandalo per questo incesto fu cosi grande 
e vivo che per finirlo si rassegnò a sposare Pole- 
mone, re di Cilicia, da lei ben presto abbandonato 
per tornare a convivere col fratello, insieme al 
quale la troviamo a Cesarea l'anno 60, quando san 
Paolo fu innanzi a lui chiamato a difendersi. 

Di questi amori incestuosi fa testimonianza 
anche Giovenale nella sesta Satira, là ove accusa 
le donne romare di profonder gran copia di da- 
naro nel comprar gemmo, e di disputarsi, a gara, 
la fortuna di possedere un diamante molto noto, 
al quale aveva cresciuto pregio l'essere stato do- 
nato, come pegno d'amore, da Agrippa a Berenice 
e l'avere quindi ornato per molti anni la mano 
della bellissima regina. 

.... deinde adamans notiasimus et Berenici* 
In digito factua pretioaior : Aunc dehU olim 
Jìarhania ivcestae^ dedit hunc Agnppa aorori, 
Observant uhi feata mero pede aabbafa regsa 
Et vetua induìgst senibua clementìa, porcia. 

È notevole come, in questi versi, il satirico Aqui- 
nate prenda argutamente a gabbo gli osservatori 
dei sabati perchè invece di uccidere i porci e quindi 
mangiarne la carne, si lasciavano morire di vec- 
chiaia. 

In seguito, Berenice si recò a Gerusalemme per 
sciogliervi un voto, e quindi, a rischio di vita, 
venne in cospetto di Gessio Floro a patrocinare la 



22 ETTOUE NATALI 



causa degli ebrei malmenati. Ma 1* intercessione 
della vaga regina non valse a raddolcire il dura 
animo del prefetto, che anzi raddoppiò nelle perse- 
cuzioni, finché il popolo ebraico, ridotto alla dispe* 
razione, non incominciò quella guerra terribile che 
ebbe termine con la distruzione di Gerusalemme, e 
che fu causa della persecuzione che, per contraccolpo^ 
ebbero a soffrire gli ebrei di Rt)ma,ai quali Vespa- 
siano tolse ogni privilegio e perfino le conces- 
sioni per le collette sacre, mutando destinazione 
al danaro ricavatone e assegnandolo in tributo a^ 
simulacro di Giove Capitolino. 

Berenice, intanto, cercava di giovare ai figli 
d^sraello facendosi della bellezza, come Debora e 
come Giuditta , arma sicura a vantaggio del 
popolo perseguitato. Si prostrò innanzi al trono di 
Vespasiano, e qualche autore, fra i moderni, assi- 
cura che il vecchio imperatore non rimase insen- 
sibile ai vezzi della figliuola di ^rolima. Tutti gir 
autori poi, antichi e moderni, attestano che Bere- 
nice riesci ad accendere una grandissima passione 
nel cuore del divo Tito, il mite imperatore che aveva 
distrutta la capitale della Giudea. E l'amore fu si 
violento che Tito l'avrebbe sposata ove non avesse 
temuto di oflFendere i romai i, che mal avi'ebbero 
tollerato sul trono imperiale una regina straniera. 

Degli amori di Tito e Berenice si giovarono, in 
vari incontri , gli ebrei, in favore dei cjua i la vez- 
zosissima donna si interpose sempre con gran ca- 
lore. Una volta, ad esempio, corse voce che un 
fanciullo, figlio di patrizio romano, fosse morto di 
veleno propinatogli da certa ebrea. Tito, nella lu- 
singa che il timore della pena farebbe scoprire 
l'autrice del delitto comandò che una ebrea tratta 



IL GHETTO DI ROMA 23 

a sorte fosse punita coirestremo supplizio. — Bere- 
nice, con preghi e con mille moine, riesci ad ot- 
tenere dall'imperatore che la donna da punirsi, 
anziché dalla sorte, potesse esser indicata da lei. 
E fu grande la sorpresa di Tito nell' apprendere 
che la donna designata al supplizio da Berenice era 
Berenice stessa. S'intende facilmente che la revoca 
del comando imperiale non si fece aspettare. 

Vuoisi che ad allontanare dal soglio e da Roma 
la donna amata Tito fosse mosso dalle parole ri- 
voltegli da Storate, filosofo greco, in presenza di 
Berenice: « Questa donna, colla sua lussuria, fi- 
« nirà per distruggere te, come tu, col tuo valore, 
4c hai distrutto Gerusalemme. » 

Però, sebbene licenziata da Tito, Berenice tornò 
vàrie volte in Roma, e dicesi che vi morisse, ma 
senza aver più alcun rapporto con l'imperatore. 

La figura di Berenice, come di donna che ha 
molto aitato, ispirò in ogni epoca artisti e poeti. 
Perocché, cosa strana ed ingiusta, il mondo si 
piace a ricordare quasi con plauso, ed a circondare 
di una aureola di romantica celebrità le donne più 
viziose, più crudeli, più pervertite, mentre copre 
di oblio quelle che eccelsero per virtù domestiche 
o cittadine. Per poche Lucrezio e Virginio, nomi- 
nate spesso in passando, la storia ricorda a cen- 
tinaia , tentando sp3SS0 di riabilitarle , le Semira- 
midi, le Aspasie, le Frini, le Cleopatre, le Messaline 
le Teodoro. Dalla Elena greca a Lucrezia Borgia, 
a Madama di Montespan, alle ultime favorite del 
terzo Napoleone, una miriade 'di donne pervertite, 
ha tormentato gli scrittori, che con romanzi e poemi 
e drammi tentarono risuscitarle; si sono scolpite 
statue, coloriti quadri, e si è cercato di presentarne 



24 ETTORE NATALI 



le figure sotto tal luce che molte fanciulle oneste , 
chi sa quante volte si saranno domandate nelle 
loro vergini menti e nel silenzio della loro came- 
retta, durante le lunghe notti insonni, se meglio 
non fosse correre il piacevole cammino che porta a 
facile celebrità, di quello che dedicarsi al culto se- 
vero delle domestiche yirtù. Comunque sia, fatto è 
che, pure in epoca a noi vicina, illustri letterati 
subirono il fcuscino della Cleopatra giudea. 

Voltaire affermava impossìbile fare dell'abbandono 
di due amanti un poema tragico; non pertanto riusci 
nel difficile compito il Racine, che ridusse a tra- 
gedia gli amori di Tito e di Berenice. Il lavoro di 
Racine fu rappresentato per la prima volta il 21 no- 
vembre 1670, e rimarrà tra i suoi migliori per la 
eleganza armoniosa dello stile e per la efficacia dei 
«entìmenti. 

Ecco come il poeta francese fa parlare Tito della 
sua amante: 

Enfin, tout ce qu'amour a de nceuJs plus puisaanta, 
Dotix reproehes, transporta sana c-'sse renaiasants, 
Soin de plaire sana art, crainte toujoura nouvelle, 
Beante f gioire, verta, je trouve tout en elle, 
Depuia deux ana entiera, ehaque jour je la voia. 
Et croia toujoura la voir pour la première foia. 

Un giorno il principe di Condé fu richiesto del 
suo giudizio.su questa tragedia ed il gran gene- 
rale rispose cogli stessi versi di Racine : 

Deputa deux aita entiera, chaqus jour je la voia. 
Et croia toujoura la voir pour la première foia. 

Né meglio di come lo fece il poeta francese si 
sarebbe potuto scolpire il rimprovero indirizzato 



IL GHETTO DI ROMA 25 

dalla Regina a Tito onnipossente imperatore, il 
quale con inutili pianti l'accompagnava fuori delle 
porte della città mentre l'aveva condannata al- 
l' esilio. 

« 

Voua été» empereuVf seigneuTy et vou« pleurez/ 



* 



Voti» m'aimez, voiu me le goutenes, 

Et cependant je par» .... 




ftc-V^-V 



II. 



I *samaritnni in Roma - Simou Mag^o - Anfiteatri di Marcello e <U 
Baibo - TcMc ri d'Israello in Roma - Le colonne del ti-mpio di 
Salomone - Pericoli e paure. 



Non è, lo ripeto, mio intendimento scrivere la 
storia del popolo ebreo; andrò solo raccogliendo 
alcune cose meno note intorno a quella piccola 
parte di esso che si stabili in Roma: piccola, ma 
importante parte, perchè Roma può dirsi la città 
madre di tutti gli ebrei d'Europa. 

Il Ghetto rimonta a' tempi di Paolo IV, che vi 
costrinse gli ebrei nel 1555, dopo aver pubblicato 
contro di loro la famosa bolla Cura nimis absurdum. 

Dal giorno che vennero a Roma, sino al ponti- 
ficato di Paolo IV, i figli d'Israele abitarono sem- 
pre ove meglio lor piac juc, confusi coi cristiani ; 
però, o per naturale vaghezza, o per meglio atten- 
dere ai loro affari, si raccolsero di preferenza in 
Trastevere , sulla riva destra , quasi incontro al 
luogo ove poi sorse Todierno Ghetto. Apprendiamo 



28 ETTORE NÀTALI 



da Giovenale che , mentre era imperatore Domi- 
ziano , stante il gran numero , doverono alcuni 
elevare le loro case nella valle d'Egeria: fu allora 
che costruirono il mirabile cimitero, scoperto, or 
sono pochi anni, presso la via Appia. 

Della dimora degli ebrei in Trastevere si hanno, 
come vedremo, innumerevoli testimonianze. Il ponte 
Fabricio, di triste rinomanza perchè di là si get- 
tavano nel fiume i cadaveri di coloro che eransi 
data la morte per disperazione, si chiamava nel 
medio evo porta Judo&omm, 

Una parte della colonia ebraica deve avere abi- 
tato, almeno durante i primi imperatori, nella valle 
Vaticana presso i giardini di Nerone, e qualcuno 
ebbe certo in quel tempo comune la sorte coi 
molti martiri cristiani , perchè nessuna differenza 
i pagani facevano fra le due religioni. 

In Roma vi erano ebrei di tutte le sètte, sorte in 
Giudea numerosissime. I samaritani, ad esempio, 
ebbero nella città un importante stabilimento fino 
ai tempi di Teodorico, innanzi al quale sostennero 
ima lite contro la curia papale pel possesso di 
una casa. 

Non è questa la sola prova della dimora in 
Roma dei samaritani, setta che, come è noto, 
aveva per molti anni combattuto in Giudea per la 
supremazia religiosa, vantando, tra gli altri titoli, 
la discendenza diretta da Giosuè. Costoro, insieme 
agli altri ebrei, si rivolsero a Teodosio per essere 
esonerati dal l'obbligo di servire come marinari sulle 
navi che trasportavano il grano dalla Spagna a 
Roma. Essendosi reso assai diffìcile il reclutare le 
ciurme, gli ultimi imperatori avevano imposto a 
tutti gli ebrei, compresi i samaritani, Tobbligo di 



IL GHETTO DI ROMA 29 

servire sulle .navi dello Stato, e solo Teodosio fece 
in pai'te ragione alle preghiere di questi disgraziati, 
liberando dall'obbligatorio servìzio i capi delle fa- 
miglie. 



■*- 



Il più noto fra i samaritani di Roma è, senza 
alcun dubbio, Simone da Gitton, conosciuto gene- 
ralmente col nome di Simone il Mago, Visse in 
Roma durante l'impero di Claudio e di Nerone, 
cioè mentre vi abitava il capo della nuova sètta 
dei cristiani, Pietro di Galilea. Fra i due, che si 
contendevano il primato religioso sui giudei dimo- 
ranti in Roma, fa lunga ed aspra la lotta. Narra 
la tradizione che il primo venisse colpito con sco- 
munica maggiore da Pietro, cui aveva proposto di 
vendergli il segreto pel quale i cristiani riuscivano 
ad operare quotidianamente prodigi. Questa l'ori- 
gine della parola simonia y che significò poi traCBco 
di cose sante o di religione. Onde anche oggi nei 
canoni ecclesiastici è detto : Si quis episcopua per 
pecunias hanc sit dignitatem consequutus, vel pre^ 
sbyter, vel diaconus, deponatur et ipse, et qui eum 
ordinavitf et a comunione omnino exaidantur, ut 
Simxm Magua a me Petto, 

Fra le tante mostruosità di cui è accusato Simone 
vi è quella di avere imposto ai molti suol seguaci 
una nuova maniera di comunione componendo le 
ostie ex menstruo et semine; ma dimenticano gli 
accusatori, fra i quali il Bernino, che a quei tempi 
non si conosceva né la comunione, né l'ostia. 

Sempre secondo la tradizione cristiana, Simon 



30 ETTiRr: NATALI 



Mago sarebbe giunto in Roma verso Tanno 41 e 
subito avrebbe incominciato a far proseliti , riva- 
leggiando con Pietro e Paolo , che cercavano in 
ogni modo di confutarlo. Un bel giorno, tutta la 
popolazione romana fu invitata ad uno spettacolo 
straordinario e si raccolse nel fóro del palazzo im- 
periale, presso il luogo dove oggi sorge la chiesa 
dei ss. Ccsma e Damiano. Nerone imperatore era 
anch'egli presente dal podio, quando, ad un ségno 
dato, Simone si slanciò dalla cima del palazzo im- 
periale e cominciò a volare, eccitando la meraviglia 
di tutti gli astanti. Dai nuovi cristiani si raccontava, 
fra gli altri prodigi , l'Ascensione di Cristo ; e Si- 
mone, che pretendeva all'adorazione del volgo, né 
voleva sembrar da meno del dio dei nuovi credenti, 
aveva, colTopera della magia, ottenuto dai demoni 
di esser trasportato per l'aria ; e volò fino a che 
Dio, cedendo alle preghiere di san Pietro, non ebbe 
obbligato i demoni ad abbandonare l'eresiarca , il 
quale precipitò , rompendosi le membra , tra gli 
spettatori alteri iti. Dello straoidinario fatto si dà 
per prova una pietra che si conserva nella chiesa 
di santa Fi*ancesca Romana, sulla quale san Pietro 
vuoisi imprimesse allora, raccolto in preghiera, il 
segno dei ginocchi in due fossette che vi si os- 
servano. 

Fino a questo punto la tradizione, che non è (jui 
il luogo di controllare. Quello che certamente è 
vero è il gran conto in cui gì' irnperatori Claudio 
e Nerone tennero Simone. Specialmente il primo, 
cioè Claudio, uomo molto dotto ed amante degli 
studii astronomici, allora dal volgo ritenuti magici, 
onorò grandemente il samaritano, fino ad erigere 
una statua in onore di lui. Il fatto della erezione 



IL GHETTO DI ROMA 31 

della statua è negato da alcuni critici moderni, ma 
è attestato da Tertulliano e da quasi lutti i santi 
padri , e specialmente dal dottissimo Cirillo Gero- 
solimitano, che nel'a Catechesi cosi lasciò scritto : 
Romanorum civitatem usque adeo decepit, ut Clavr 
dius ejus statuam erigerei cum hac auhsci iptione ; 
SiMONi Deo Sancto: La statua sarebbe stata ele- 
vata neir isola tiberina , presso il quartiere , che 
come vedremo ben presto, era abitato dagli ebrei. 



4- 



Paolo IV, il feroce teatino, che poco mancò 
non facesse dar di bianco al Giudizio di Michelan- 
gelo « a cagione delle gran nudità che vi aveva 
dipinte, y> fu uno dei papi che, con Pio V. mag- 
giormente perseguitarono gli ebrei, come Martino V 
e Sisto V furono fra i papi che più efficacemente 
li protessero. Il Ghetto sorse in uno dei luoghi 
più centrali della Roma medioevale, presso i rioni 
della Regola e di Sant'Angelo, e fra le ruine 
splendidissime dei teatri di Marcello e di Balbo, 
e del portico di Ottavia. 

Nessun contrapposto più vivo tra l'antica pompa 
di quel quartiere già pieno di templi, di portici, 
di edifici ricchissimi, e lo stato in cui ora è ri- 
dotto , un labirinto di vie strette , umide ed 
oscure. Da quel sito cosi brutto è ritornata alla 
luce la più leggiadra delle statue greche, la Fe- 
nere di Prassitele. Né hanno torto coloro che rac- 
comandano la maggiore cura neir eseguire la de- 
molizione del Ghetto, poiché altre statue, altri 



32 rrroRE natau 



monumenti sono certamente ancora nascosti sotto 
quelle povere case. Ed invero la scena del teatro 
che Augusto intitolò al giovane nipote Marcello, 
quello che fu immortalato da Virgilio coi versi che 
incominciano: Ileu miser putr;..^^ sorgeva ove 
ora è la via Rua e si prolungava sin presso al 
Tevere. Nei teatri romani le scena non erano 
meschine, ma costituivano la parte più magnifica 
dell'edificio, ed erano ornate di statue e di colonne. 
Anche il teatro dì Balbo si estendeva dalla piazza 
dei Cenci sin dentro al Ghetto, nella piazza dello 
Scuole e nella via Fiumara. Le ruine di questo han 
formato il monte de' Cenci, come quelle del teatro 
di Marcello il monte de' SaveUi. 

Lucio Cornelio Balbo, pel quale perorò Cicerone, 
eresse lo splendido edificio in memoria delle vit- 
torie riportate sui Garamanti, e lo adornò con 
molte statue rammemoranti le gesta cui egli do- 
veva gloria e ricchezze. 

Maggior quantità di opere d'arte è sperabile 
che sarà ritrovata nella parte del Ghetto più 
prossima ai portici di Ottavia. In questi erano 
compresi i templi di Giove Statore, e di Giunone 
Regina, la scuola, lacuna e due biblioteche. Olti'e 
la statua di Giove, un capo-lavoro di Policle e Dio- 
nisio figli di Timarchide, gli storici vogliono che 
fossero raccolte nei due templi statue di Policarmo» 
di Prassitele, di Dionisio, di Policle e di Filiseo, 
che Cecilie Metello aveva rapite alla Macedonia. 
Dinnanzi a questi due templi lo stesso Metello 
aveva fatto porre le 75 statue equestri di bronzo,, 
rappresentanti gli amici del grande Alessandro, il 
quale le aveva fatte fare da Lisippo. 

Come si stanno dalla civiltà moderna restituendo 



IL GHETTO 01 ROMA 33 



al prisco onore gli avanzi degli antichi e più glo- 
riosi monumenti, cosi dovrebbe farsi dei resti 
del teatro Marcello. Gli ordini jonico e dorico che 
ne decorano la parte esterna servono di esempio 
agli architetti ed alle scuole, mentre le arcate sono 
ridotte a fucine o a magazzini di stracci I La pro- 
prietà dell'edificio è quasi tutta del principe Orsini,, 
eccettuatene alcune botteghe spettanti a luoghi pii. 



■*■ 



Auguriamoci che qualcuno dei tanti capolavori, 
che popolavano quelli splendidi monumenti, torni 
alla luce. È vero che dagli incendi prima, e dalle 
invasioni dei barbari poi, quei luoghi furono grande- 
mente manomessi, e che più specialmente ebbero 
a soffrire pel saccheggio dato dalle genti guidate 
da Genserico, che predarono e distrussero quanta 
era sfuggito alla rapina dei Goti di Alarico. 

I tesori di Israello che trovavansi ancora per 
massima parte custoditi nel tempio della Pace, 
ove Tito li aveva depositati, furono da Genserico 
presi e portati a Cartagine. Fra quegli oggetti, pre- 
ziosissimi erano il mistico candelabro a sette bracci, 
le trombe di argento del giubileo, le tavole della 
Legge, la tavola d'oro massiccio, sulla quale si de- 
ponevano le offerte, il velo purpureo che doveva 
nascondere il tabernacolo agli sguardi profani, e cho 
prodigiosamente si squarciò nel* momento in cui 
spirava Gesù di Nazaret, il gemmato epJiod o pet- 
torale del gran sacerdote dalle dodici gemme ra- 
rissime che portavano scolpiti i nomi dei dodici 

3 — E. Nat*.u, Il Ghetto di Roma. 



34 ETTORE NATALI 



figliuoli di Giacobbe e padri delle 12 tribù, e cento 
e cento vasi sacri d'immenso valore, fra i quali 
quello d'oro ripieno della manna caduta nel deserto. 

Sulle stesse navi i vandali caricarono alla rin- 
fusa i tesori dai romani rapiti al tempio di Geru- 
salemme, l'arca dell'Alleanza, i simulacri di Giove 
Capitolino, ed i ricchi reliquiari che Eudosia aveva 
donato alla chiesa da lei edificata per riporvi le 
catene di s. Pietro. 

In tal modo le vicende della varia fortuna confu- 
sero insieme le venerate reliquie delle tre più grandi 
religioni che abbiano esistito in oriente, ed in occi- 
dente. Ed alla stessa rapina, causa di si strana 
riunione, fu dovuta la distruzione di buon numero 
di quelle cose preziose : imperocché, secondo Pro- 
copio, alcune delle navi di Genserico si spro- 
fondarono nel mare col ricco bottino. Le cose che 
giunsero salve in Africa furono ben presto riprese 
da Belisario, il quale ebbe la sorte di sconfìggere 
i vandali. E, per una singolare ventura, alcuni dei 
vasi del tempio di Salomone, recati da Belisario a 
Costantinopoli, furono da Giustiniano donati ad una 
chiesa di Gerusalemme, cosichè, dopo molti secoli e 
tante vicende, tornarono là donde erano stati tolti. 
I vasi finirono poi in mano degli arabi, quando si 
resero padroni di quella città. 

Dicevasi che fra i tesori perduti in quell'occasione 
fosse la veste del sommo pontefice ebreo , in- 
torno aUa quale eran disposti de' campanelli , 
tintinnahula de auro purissimo (Esodo, e. 39), « af- 
« finché da tutti se ne sentisse il suono ogni qual 
« volta il gran sacerdote entrava od usciva dal san- 
«. tuario, e si eccitassero a un profondo rispetto i le- 
« viti ed il popolo. » Fu vera iattura (!) la perdita 



IL GHETTO DI ROMA 35 



di questa veste, perchè ne seguirono lunghe discus- 
sioni fra i padri della chiesa, che non sono mai 
riusciti a mettersi d'accordo sul numero dei cam- 
panelli. Cosi, mentre s. Prospero giunge a con- 
tarne cinquanta, s. Girolamo crede che fossero 
sessantadue, e s. Clemente Alessandrino sostiene 
che erano trecentosessantasei, quanti i giorni del- 
l' anno. 



-*■ 



Né soltanto arredi preziosi furono trasportati 
in gran copia da Gerusalemme a Roma, ma pur 
anco degli oggetti di gran mole, come le colonne 
del tempio di Salomone. Di queste troviamo me- 
moria nella esposizione dei viaggi di Beniamino 
<la Tudela, che venne in Roma nel 1173 e scrisse 
le sue memorie nel 1176. 

Ritraduco e riporto le parole del dotto viaggia- 
tore israelita da una traduzione latina del Mon- 
tano : « E si trovarono, presso il palazzo degli 
« imperatori, due colonne di bronzo opera del re Sa- 
« lomone, colla iscrizione ebraica scolpita Salomone 
« FIGLIUOLO DI David, E mi dissero certi giudei abi- 
« tanti m Roma, cho ogni anno, nel nono mese, 
« quelle colonne stillavano un sudore come acqua. » 
Né quelle sole sono le antichità giudaiche che il 
celebre viaggiatore ebreo abbia veduto in Roma 
nel mille e dugento. « E vi è una cripta, continua 
« Beniamino, in cui Tito nascose, a quanto si dice, 
« i vasi portati da Gerusalemme. E presso alla riva 
« del Tevere vi è un'altra cripta in cui sono sepolti 
«e dieci uomini dabbene uccisi per distruggere il regno 



36 ETTORE NATALI 



«d'Israello. E in certo altro luogo osservai pure 
« una statua marmorea^raffigurante Salomone col 
« globo in mano, e ne vidi un'>altra di Assalonne 
4C figlio di David. » 

Come si vede, nel 200, in Roma erano molti gli 
oggetti veri, o creduti tali, che gli ebrei venera- 
vano come preziosi ricordi della patria diletta, ve- 
nerazione che dai cristiani era tollerata perchè an- 
cora non era cominciata contro gli ebrei l'èra delle 
feroci e continue persecuzioni. 

Ma torniamo alle sudanti colonne del tempio di 
Salomone. Non voglio mettere in dubbio l'afferma- 
zione del dotto viaggiatore ebreo e voglio credere 
che le colonne sudassero in certi tempi dell'anno, 
non essendo per verità cosa nuova il veder sudare 
gli oggetti di marmo o di bronzo quando soffia, 
ed a Roma purtroppo accade spesso, il vento di 
scirocco. La causa del fenomeno è troppo nota 
perchè si debba ripeterla a questo luogo. 

Le colonne del tempio di Salomone che tuttora 
si vedono nella chiesa di s. Pietro sono molte, tutte 
di marmo parie e vitinee, cioè fatte a forma di 
tralci e ricoperte di foglie di vite. Otto se ne ve- 
dono ai lati delle loggie dalle quali, nell'interno del'a 
basilica Vaticana, si mostrano le maggiori reliquie. 

Una colonna della stessa forma, ed ugualmente 
di marmo parie, è conservata in san Pietro con 
maggiore venerazione. La storia di questa colonna, 
e la ragione del culto speciale si apprendono dalla 
seguente iscrizione che vi è sopra scolpita: 

Haec est illa cólumna in qua Dominus noster 
Jesus Cristus appodiatvs dura populo praedicabat 
J)eo preces in tempio effundehat adhaerendo stabat. 



IL GHETTO DI BOMA . 37 



quae una cura aliis undecim Me circumstantibus de 
S'xlomonis tempio in triumphum hujus Basilicae hic 
locata futi ; daemones expellit et ah immundis spi- 
ritibus vexatos liberos reddit et multa miracida 
quotidie facit. Per Reverendissimum Patrem et Do- 
■fninum Card, De Ursinis ornata An. Dom, 

MCCCCXXXVIII 

Ciò che, a parlar volgare, significa ritenersi la 
-colonna come una di quelle del tempio di Salomone 
e precisamente la stessa alla quale Gesù si appog- 
giò mentre disputava, avendo appena dodici anni, 
coi dottori. E la colonna è specialmente venerata 
perchè nel medio evo si ritenne efficace a render 
liberi gl'indemonifiti ; anzi anticamente chiamavasi 
la colonna degli spiritati. 

Il caso ha voluto che il luogo, ove adesso abi- 
tano gl'israeliti (strana coincidenza I), sia stato 
che in altri tempi loro fatale, e fosse per due volte, 
a molti secoli di distanza, bagnato dalle lacrime di 
quei derelitti. 

Infatti là, ove Paolo IV racchiuse gli ebrei quasi 
come in una prigione, il Senato romano si era adu- 
nato per ricevere Vespasiano e Tito, reduci dalla 
guerra giudaica. I lamenti degli schiavi dei romani 
hanno avuto, nello stesso luogo, un' eco lontana nei 
lamenti strappati ai tardi nipoti dal terribile tri- 
bunale dell'inquisizione. 

Guai a quell'ebreo che avesse osato di uscire dal 
Ghetto se iza il vergognoso berrettone giallo, o alla 
donna che si fòsse mostrata in pubblico senza un 
velo dal colore obbrobrioso ! guai a colui che notte- 
tempo fosse stato trovato a vagare per le altre 



38 . ETTOKE NATALI 



parti della città! Spesso il rogo fu acceso sulle 
piazze della Minerva e di Campo dei Fiori per 
coloro che infrangevano cosi ridicole prescrizioni, 
ed anche senza ragione alcuna, e solo per odio ai 
seguaci della religione di Mosè. 

Nell'anno 1020, ad esempio, a cagione di un ter- 
remoto, il papa fece impiccare alcuni ebrei, inno- 
centi vittime espiatorie allora, come ai bei tempi di 
David quando furono colpiti di peste per avere 
quel re peccato con Bersabea. 

Nella vita di papa Benedetto XIII, scritta da 
Glaber, è narrato che nell'anno 1017 si scatenò su 
Roma una tempesta violenta, per la quale perirono 
molte persone, e che non cessò se non quando 
un ebreo ebbe confessato di aver fatto sfregio al- 
l'immagine di Gesù Cristo. Si comprende facil- 
mente come il disgraziato sacrilego, e varii suoi 
correligionari, fossero dannati all'estremo supplizio, 
quasi che a placare il Dio pietoso dei cristiani si 
dovessero, come alle divinità druidiche, irpmolare 
vittime umane. 



4- 



Non sarebbe da meravigliarsi se, demolendo gli 
antichi abituri del Ghetto, si trovassero dietro qual- 
che vecchio muro, o sotto il suolo di luride can- 
tine, tesori di monete o di gemme. Le paure dei 
saccheggi e delle persecuzioni, cui spesso erano 
fatti segno, avranno consigliato i più ricchi a tener 
ben nascosti danari e gemme, e forse ad alcuno 
la morte avrà impedito di rivelare ai congiunti il 
luogo ove erano state deposte. 



IL GIIRTTU DI ROMA 3& 



Le grandi precauzioni che dovevano usare gli 
ebrei per nascondere le loro ricchezze s' immaginano 
facilmente quando si pensi alle pene gravissime com- 
minate dai papi contro le usure. Di queste dovrò 
occuparmi diffusamente quando parlerò delle pro- 
fessioni e dei mestieri esercitati dagli ebrei romani ; 
qui mi basti osservare che spesso nel Ghetto erano 
occultati gli arredi sacri più preziosi, portativi da 
chi li aveva rubati, o dagli stessi preti che li i.nnf * 
gnavano per cavarne danaro. La cura nel nascon- 
dere questi oggetti doveva esser massima, poiché 
gravissime' erano le pene comminate agli ebrei 
che osassero ricevere in pegno od acquistare oggetti 
destinati all'esercizio del culto cristiano. Troviamo 
infatti che il cardinale Martino Ginnetti, con editto 
del 23 febbraio 1658, d'ordine di Alessandro VII, 
minacciava la pena di duecento scudi di multa e 
la galera agli ebrei convinti di ritenere o ricevere 
in pegno reliquiari croci od immagini di santi. 
D'altronde era per gli ebrei una necessità il tener 
gelosamente nascoste le loro ricchezze, perchè più 
volte accadde che la ciurmaglia saccheggiasse il 
Ghetto, arrivando perfino a sventrare donne e bam- 
bini per .ricercare nelle loro viscere fumanti le 
gemme che si supponeva avessero ingoiate onde 
sottrarle alle temute rapine. 

Se il lettore avrà la pazienza di leggere queste 
pagine disadorne, vedrà, come spesso, anche nei 
tempi moderni, gli ebrei abbiano avuto a soffrire 
maltrattamenti, spogliazioni e saccheggi. 

Cpmpiuta la demolizione del Ghetto, gli studiosi 
visiteranno quei luoghi per ammirare le dissepolte 
ricchezze ed i ruderi antichi segnanti la topografia 
esatta dei grandi monumenti che ivi sorgevano 



t 

*' 






40 



ETTORE NATALI 



K 



nell'epoca più splendida della romana grandezza. 
Adesso invece ci rechiamo nel Ghetto per dare un 
ultimo e mesto sguardo al rione forse più artistico 
ed importante della Roma che se ne va, ripen- 
sando alla storia gloriosa di quella razza che dette 
al mondo il più grande dei legislatori ed un dio : 
Mosè e Gesù. 



i ipBsnupll la Kon 
utHllclia. 



A Roma, è bene ripeterlo, accorrevano da ogni 
parte, come a luògo di rifugio, gli ebrei altrove 
universalmente perseguitati ; e qui vennero molti 
-di quegli infelici che nel 1290 Edoardo I cacciò 
■d'Inghilterra, e qui si ricoverarono dopo il 1395 i 
profughi dalla Francia. La più grande immigra- 
zione, per altro, si ebbe dopo la caduta di Granata, 
nei 1492, durante la terribile persecuzione che 
infieri nella Spagna contro gli infedeli. Gli ebrei 
che,- coi mori e sotto la loro dominazione, avevano 
«ontribuito alla grandezza ed alla civiltà dell'im- 
pero arabo-ispano, dovettero ramingare per stra- 
niere contrade onde sottrarsi a quei terribili tri- 
bunali dell'inquisizione, creati da Ferdinando e da 
Isabella, che proscrissero e spensero la parte più 
intelligente e laboriosa della popolazione. Sotto 



42 ETTORE NATALI 



l'impero dei Califfi vivevano in Spagna più di 30O 
mila ebrei, e non va errato, a mio avviso, chi 
affermava che la decadenza spagnuola ebbe prin- 
cipio quel giorno in cui gli ebrei furono costretti 
ad abbandonare la terra degli inquisitori, e a tra- 
sportare nel resto di Europa le ricchezze, la col- 
tura e l'industriosa attività dei Sefardim. Dal pa- 
lazzo deH'Alhambra, il re Ferdinando e la regina 
Isabella lanciarono il terribile editto di proscrizione, 
ed in quattro mesi, dal 31 marzo 1492, tutti gli 
ebrei dovettero emigrare, non solamente dalla Spa- 
gna, ma pur anco dai possedimenti spagnuoli di 
Sicilia e di Lombardia. 

Molti di loro vennero a Roma ed a Napoli, e 
prima di riunirsi ai correligionari che già vi dimo- 
ravano dovettero accampare presso il sepolcro di 
Cecilia Metella, nella foresta di Aricia, V antico 
bosco della Ninfa Egeria, precisamente nel posto 
ove molti dei loro antenati aveveno steso le loro 
tende durante l'impero di Diocleziano. Narra Gio- 
venale : 



. . . presso gli archi 
Vetusti, ove solea recarsi Numa 
Ai nottarni colloqui della Niafa; 
Ed ora il sacro fonte, il bosco e il tempio 
S'affittano ai giudei, ch'hanno soltanto 
Per tutta masserizia una gavagna 
E un pò* di fieno... 



Né di maggior valore dovettero essere le mas- 
serizie dei profughi dalla Spagna, i quali, ammessi 
alla perfine in Roma, dopo tanti stenti, trovarono 
un po' di pace e si raccolsero a pregare nella più 
antica sinagoga di loro gente, in quella fondata 
dal magno Pompeo. 



\ 

É 



IL GHETTO DI ROMA 43^ 



Queste famiglie spagnuole, fecero poi alla lor 
volta costruire scuole e sinagoghe, tuttora esi- 
stenti, e conosciute sotto il nome di ricuoia caia- 
lana, e scuola castigliana od aragonese, 

A tale proposito alcuni storici, e fra questi il 
Basnage, narrano che gli ebrei di Spagna, ra- 
minghi e poveri, furono malissimo accolti dai cor- 
religionari romani. Fu Alessandro VI, un papa 
certamente non sospetto di sentimentalismo uma- 
nitario, che impose agli ebrei di Roma di accogliere 
e soccorrere i nuovi venuti cui dette gli stessi privi- 
legi goduti dalla comunità israelitica romana. L'atto 
di Alessandro mentre fu umanitario, fu anche 
eminentemente politico, poiché divenuta più nu- 
merosa la popolazione ebraica ne potè ricavare 
parte del molto denaro occorrente all'impresa di 
Romagna condotta da Cesare Borgia. L' altra parte 
del danaro necessaria per l'agognata conquista il 
papa, poco scrupoloso, la mise insieme a' 31 mag- 
gio 1503 col nominare undici nuovi cardinali, 
ognuno dei quali pagò assai caro l'onore della 
porpora, perchè allora si guardava poco all'inte- 
resse del cielo, molto all'interesse proprio e reale. 

È fuor di ogni dubbio che le condizioni della 
popolazione israelitica romana migliorarono di molto 
per la venuta degli emigrati spagnuoli. Non por- 
tarono grandi ricchezze perchè dal feroce Tor- 
quemada fu loro proibito di asportare il denaro 
ed era stato concesso uno spazio di tempo di soli 
quattro mesi per liquidare ogni possedimento ter- 
ritoriale. In quell'occasione i disgraziati, prima di 
lasciare la Spagna, furono costretti a vendere ai 
cristiani i loro beni a vilissime condizioni. 

Qualcuno ad esempio fu obbligato, nonpotenda 



41 ETTORE NATALI 



ottenere prezzo maggiore, a cedere un palazzo per 
un giumento, od un podere per qualche metro di 
«toflPa. Ma se gli ebrei spagnoli non portarono ric- 
chezze d'ori e di gemme contribuirono ad ingen- 
iilire i costumi dei loro correligionari, e ad accre- 
scerne le attitudini ai negoziati, essendo i Sef ar- 
dirà colti e laboriosi, come quelli che erano stati 
gran parte nella civilissima dominazione degli arabi. 
Coloro che hanno seguito la storia civile dei 
popoli sanno che ogni Governo ha il popolo che 
«i merita ; cosi gli ebrei furono una razza di gente 
decaduta fisicamente e moralmente , se oppressi e 
perseguitati; mentre dettero alle lettere, alle scienze 
-ed alla finanza uomini illustri ogni volta che fu- 
rono governati da reggitori giusti ed umani. 



-^ 



Gli storici non sono concordi nel riconoscere il 
iuogo sul quale fu eretto il massimo tempio israe- 
litico dell'antica Roma, tempio di tre secoli più 
antico del Vaticano e del Lateranense. A Gre- 
gorovius sembra che dovesse sorgere in via del- 
l'Atleta, già vìa delle Palme'; altri invece ritiene che 
la sinagoga dovesse essere presso l'odierna chiesa 
-di s. Maria della Corte, cosi chiamata perchè pros- 
sima al quartiere degli israeliti, curii perchè cir- 
concisi, curtis judosis come li chiama Orazio coi 
noti versi : 



Aiebat mecunif memini bène; aed metiri 
Tempore dicam, hodie tricesima gabbata vis tu 
Curtie judaeie oppedere. 



IL GHETTO DI ROMA 45 



Il sito, nel quale è più facile si trovasse la sina- 
goga, è, a mio avviso, presso la chiesa di s. Maria 
in Cappella, (la vaga chiesuola decorata con pit- 
ture a fresco da Bartolomeo PinelH, quando il 
grande artista era ancora costretto per vivere a 
fabbricare dei pupazzetti di zucchero) ove era il 
centro del quartiere fondato con l'aiuto di Cesare 
e di Augusto, quartiere assai prossimo al ponte 
Sublicio, che nel medio evo si trova spesso ricor- 
dato col nome di pons judceorum. 

V'é una bolla di papa Leone IX (1049-1054) nella 
quale parlandosi dei ponti che uniscono alla terra- 
ferma risola tiberina si dice : « medium pontem ubi 
« judcei abitare videntur. » Nò basta, che dal Som- 
mario delle entrate ed uscite del Popolo Romana 
noi impariamo che i tre custodi di questi ponti 
erano rimunerati del loro ufficio dagli ebrei con 
due pezze di panno di prima qualità, e quindici 
scudi e mezzo ciascuno. 

Nei primi secoli dell'era volgare la sinagoga di 
Roma era ornata di colonne di marmi rarissimi e 
ricca di oggetti preziosi, che a gara vi avevano 
raccolti gli agiati liberti dei primi imperatori ; ma 
lo splendore ne incominciò a decadere col decadere 
della grandezza romana. Il culto di Jehovah per 
altro fu sempre rispettato, o per lo meno tollerato, 
ed in mezzo a tanti uragani della storia la con- 
gregazione degli ebrei di Roma rimase quasi 
come un simbolo monumentale delle radici che il 
cristianesimo teneva nel vecchio testamento , ed 
alcuni santi, fra i quali Bernardo, ne inculcavano 
la protezione, perchè la loro esistenza formava la 
prova della religione cristiana. 

Vicino alle abitazioni degli ebrei, nella regione 



46 ETTORE NATAU 



Trasteverina, mentre in Roma. avevano corso quat- 
tordici acque sanissime, vi era soltanto l'acqua Al- 
sietina, la quale era di. qualità cosi cattiva che Fron- 
tino rimane sorpreso come Augusto si decidesse 
a farvela venire poiché era nullius gratta e, immo 
etiam parum salubrem. 

Che la numerosa colonia giudaica romana ab 
tasse sulla ripa destra del Tevere è anche dimo- 
strato da molti autori che designano gli ebrei col 
solo appellativo di trasteverini^ come ad esem- 
pio Marziale nella epistola settima: 

. . . Verna e», 
Hoc quod Transtiberinu» ambulator 
Qui pallentia sulphurata fractis 
Permutai vitreis. 

Qui si vede che le industrie esercitate dal po- 
polo giudaico d'allora erano uguali a quelle del po- 
polino ebraico dei nostri giorni, cioè il vendere zol- 
fanelli, e il negoziare di vetri rotti. Da altri scrittori 
apprendiamo però che in quei tempi l'industriosa e 
sobria razza semitica era padrona del commercio, 
ed esercitava grandissima influenza in Roma tanto 
che Seneca scriveva : victoribus vieti legem dederunt 
e il poeta Rutilio, un Drumont del terzo secolo, 
esclamava addoloratissimo : 

Atque utinam nunquam Judcea subacta fuissetf 

e più sotto lo stesso scrittore affermava : 

Victoreeqne suos natio vieta premit. 

Col dimostrare che gli ebrei, sin da quando 
giunsero o furono portati per la prima volta in 
Roma, vennero posti ad abitare nella regione tras- 
teverina, si conferma la prova della condizione 



IL GHETTO DI ROMA 41 



servile di quei primi abitatori. V'era infatti l'uso, 
presso i romani antichi, di relegare gli stranieri 
schiavi in Trastevere. Quando Velletri si ribellò, 
e fu espugnata dai romani, il Senato velletrano fu 
condotto schiavo in Trastevere nel 415, come at- 
testa Tito Livio ; egualmente schiavo fu condotto, 
nella regione transtiberina, il Senato di Piperno; 
nel 542, schiavi vi furono portati i campani con 
altri ribelli dei paesi vicini. E Orazio e Marziale 
^ Giovenale dicono il rione di Trastevere luogo 
abbietto di gente abbietta. 

Filone l'Alessandrino, filosofo ebreo, nella me- 
moranda relazione della sua ambasceria a Caio ci 
è testimonio che gli ebrei erano stati posti a di- 
mora in Trastevere da Augusto, e questo quar- 
tiere da Filone è detto uno dei più salubri di 
Roma : Nec dissimulans prohari siM judaeos; alio- 
quin non passus fuisset Transtiherim, bonam urbis 
partem, teneri a judaeiSj quorum plerique erant Li- 
bertini quippe qui belli jure in potestatem redacH 
ab heris suis manomissi fuerunt permisit more 
majorum vivere. 

Ad essere più esatto, mi è d'uopo qui far notare 
che la maggior parte degli storici va errata nel 
dire essere stato Augusto che raccolse in Tra- 
stevere gli ebrèi di Roma, mentre è dimostrato 
che vi erano già dapprima, e che forse Augusto 
non fece altro se non migliorare le condizioni del 
quartiere. Si ricordi infatti la citata orazione di 
Marco Tullio Cicerone prò Fiacco,- e da essa si ve- 
drà come il grande oratore parlasse dal Foro Au- 
relio, dal tribunale degli ebrei, situato, come si sa, 
in Trastevere. Prova evidente che nel 689, quando 
Cicerone pronunciò quell'orazione, gli ebrei dimo- 



48 ETTORE NATALI 



ravano in Roma e già avevano stanza nella regione 
transtiberina. 

La tradizione cristiana conforta questa tesi lad- 
dove riporta che san Pietro, che i pagani non di- 
stinsero dagli altri di nazione giudaica, dimorò nel 
Trastevere presso l'odierna chiesa di Santa Cecilia, 
e fu ucciso in quella parte di Roma, sul monte 
Gianicolo. 

Beniamino da Tude^a ci dà una prova della di- 
mora degli ebrei in Trastevere nel brano che qui 
riporto dal suo itinerario, dimostrando cosi anche 
l'importanza avuta nel trecento dalla colonia ebraica, 
romana : 

« Da Lucca in sei giorni si va a Roma città un 
« tempo massima e capo di tutte le genti dell'im- 
« pero. Qui stavano duecento giudei ali' incirca , 
« gente dabbene, non paganti tributo ad alcuno, 
« anzi alcuni di essi sono ministri di Alessandro 
« Pontefice Massimo di tutta la religione cristiana ; 
« v'erano anche uomini dottissimi e fra i primi 
« David Magno e Fehiel ministro del papa, gio- 
« vane elegante e prudente, prefetto della casa e 
« della intera famiglia del Pontefice e come tale 
«assai famigliare nel'a dimora di lui. V'era an- 
« che il nipote di Nathan autore ,del libro e dei 
«commentarli di Baruch; v'erano pure Joab fi- 
« glio del gran Salomone e Menahem capo del 
« Sinedrio e Fehhiel abitante nel Trastevere e Be- 
« niamino figlio di Sabati di buona memoria. » 

Per non tediare i lettori, faccio loro grazia delle 
numerose prove che si raccolgono nella storia 
intorno alla dimora degli ebrei in Trastevere, e 
terminerò riportando alcune parole del Bosio, il 
quale dice : « Che l'abitazione dei giudei in Traste- 



IL GHETTO DI ROMA 49 



9 

« vere sia durata fino ai secoli poco lontani dai 
«nostri è evidente, rimanendone ancora memoria 
« presso i vecchi ebrei moderni, per tradizione avuta 
«dagli antichi loro... » 

E finalmente Giulio Mancini, nel libro in cui 
descrive le pitture ed i grafiti sopra le facciate 
delle case di Roma, parla nel seguente modo della 
dimora che nel medio evo fecero in Trastevere 
gli ebrei: « Nel vicolo del Salume (presso santa 
« Cecilia) sono alcune istorie ebree, condotte a chia- 
«roscuro, forse perchè ivi anticamente abitavano 
« gli ebrei, quando vennero oratori a Sisto, che però 
< forse vi è quella palma. » 



Nel 1300 la sinagoga di Trastevere o più non 
esisteva o non era la sola, essendovi altra sinagoga 
certamente aperta nel rione Regola, secondo afferma 
l'anonimo contemporaneo scrittore della vita di 
Cola da Rienzo, presso la casa in cui nacque e 
per molti anni visse il celebre tribuno : « Cola 
« di Rienzo fu di basso lignaggio ; lo padre suo 
« fii tavernaro (oste), ebbe nome Rienzo, la ma^ 
«dre ebbe nome Maddalena, la quale viveva di 
« panni lavare e di acqua portare. Fu nato nel 
« rione della Reola; suo abitaggio fu canto di 
« fiume fra la molinara (molini) nella via che va 
« alla Reola, direto di Santo Tomaso, sotto 'n 
« TEMPIO DE LI Giudei. » 

La madre di Cola era lavandaia, ed inoltre pro« 
cacciavasi la vita con Vticqiui portare, ossia col 

4 — E. Natali, Il Ghetto di Roma, 



50 ETTORE NATALI 



provvedere di acqua, attinta alle cisterne ed ai 
pozzi, i cittadini agiati, poiché in quei tempi non 
vi erano in Roma le fontane per la distruzione 
che avevano fatto degli aquedotti antichi le varie 
orde barbare che avevano assediata la città dopo 
la caduta dell'impero. 

A questo punto, giovandomi specialmente delle 
ricerche fatte dall'archeologo Fabio Gori, e dal 
mio povero suocero Achille Monti, è necessario 
che mi studi di precisare in qual luogo sorgesse 
la casa ove nàcque Gola da Rienzo per stabilire 
il sito su cui, nel 1300, già sorgeva una sinagoga. 

Il popolo, per antica tradizione, ed anche molti 
scrittori di cose romane, sogliono indicare come casa 
di Cóla di Rienzo una torre mezzo diruta, presso 
ponte Rotto, ed appellata nel medio evo Monzone 
o Casa di Pilato, L'errore di questa designazione 
é specialmente causato da una iscrizione nella 
quale si legge la parola Nicolaus insieme a molto 
iniziali e parole abbreviate che hanno confuso le 
menti di molti scrittori, e che, giusta l'Amidenio, 
furono scritte per fare impazzire i lettori. Il Mori- 
ssone (da Mansio^ nome solito a darsi in quel tempo 
alle case, d'onde la nostra magione) era uno dei 
forti più gagliardi, posti a quei di alla testa dei 
ponti per difenderli dalle invasioni dei saraceni — 
ed aveva appartenuto a Nicola dei Crescenzio Tutti 
i ponti di Roma erano difesi da torri inalzate sui 
ruderi di antichi edifìci ; la mole Adriana, ad esem- 
pio, nella quale stette asserragliata per qualche 
tempo la stessa famiglia dei Grescenzi, serviva a 
difesa del ponte Elio; i due ponti dell' Isols^ Tibe- 
rina erano custoditi con torri dai Caetani; presso 
questi ponti sorgevano anche le torri degli Alber- 



IL GHETTO DI ROMA 51 

teschi e de' conti dell' Anguillara, Il Monzone 
scampò all'abbattimento delle torri e de', fortini 
ordinato negli anni 1256 e 1257 dal fiero sena- 
tore Brancaleone, ma nel 1313 fu minato allorché 
Giacomo Stefaneschi, eletto capitano di Roma, aizzò 
il furore della plebe, che insieme al Monzone di- 
strusse altresì molti antichi e nuovi monumenti. 

L' errore della credenza popolare appare dunque 
evidente ; e, d'altra parte, è facile il dimostrare che 
la casa, in cui nacque ed abitò il tribuno, fu all' in- 
gresso dell'attuale Ghetto, e precisamente sulla 
fine della via Fiumara, presso la via di S, Baiv 
tolomeo de' Vaccinari fra i numeri 60 e 74. 
-Quivi hanno sempre esistito i molini, citati nella 
vita di Cola, molini mossi dalle acque delle cloache, 
e specialmente dalla fonte di Calcara, sorgente 
presso il palazzo Mattei. Si aggiunga inoltre che la 
chiesa di S. Tomaso evidentemente è quella stessa 
rifabbricata nel 1575 da Francesco Cenci, la quale 
era in corrispondenza con la via Fiumara. 

L'umile condizione della famiglia di Cola, nato 
da un oste e da una lavandaia, ci fa sempre più 
persuasi essere stato impossibile che esso abitasse 
nelle case dei Grescenzi , ima delle famiglie più 
potenti di Roma nel secolo undecime, ed essere in- 
vece più probabile che il Tribuno nascesse in un'u- 
mile casetta, È pur noto come Cola fosse considerato 
cittadino della Regola, nel qual rione s'ebbe sempre 
i più fidi partigiani; fu là che incominciò a farsi 
conoscere come letterato e come archeologo, par- 
lando al popolo dalle mine del vicino portico di 
Ottavia e dei teatri di Marcello e di Balbo. 

La conclusione che dalle cose qui riportate po- 
trebbe farsi è, a mio avviso, ohe nel 1300 già esi- 



52 ETTORE NATALI 



stesse la sinagoga israelitica presso a poco sul 
posto in cui sorgono le sinagoghe attuali e che li 
vicino abitassero di già molte famiglie d'ebrei, che 
a maggior sicurezza stavano anche allora aggrup- 
.paté per soccorrersi a vicenda. 

Si ha un' altra prova dell'esistenza di una sina- 
goga sulla ripa sinistra del Tevere, quando ancora 
gli ebrei abitavano in maggioranza sull'altra sponda, 
da Gasparo Olivieri che nel secolo decimo sesto 
pubblicò l'interessante opera, Renna in ogni stato, 
L'Olivieri, infatti, dice che presso la chiesa dei 
santi Lorenzo e Benedetto in Piscinula (vicino al 
porticato d'Ottavia) anticamente, « quando li giu- 
4c dei habitavano in Trastevere, era la sinagoga, as- 

< serendo per comproba tione di questa verità haver 
« letto in questo loco in un fragmento di marmo al- 
« cune parole hebraiche, interpretale da Melchiorre 
« Palontrotti, che dicevano: Sanctitas Deo in Je- 
« rusalem cito in diebus Congregatio sancta Cantico- 

< ruin quatuor capitum. » 

Sarebbe atto di patria carità l' intitolare, col noma 
del grande Tribuno, una delle piazze o delle strade 
che si apriranno presso il luogo dove egli è nato, 
e ciò ad onorare la memoria di chi fin dal secolo- 
decimoquarto voleva libera Roma, ed una V Italia. 

Un'altra prova dell'esistenza di molti molini sul 
luogo ora occupato dal Ghetto si desume pure da 
un editto di Enrico Gaetani, cardinale camerlengo, 
esecutore degli ordini di papa Sisto V che volle 
ingrandire il Ghetto. L'editto fu promulgato ntl 
marzo del 1589 e vi si legge: « Avendo la San- 
« tità di Nostro Signore deciso di slargare il serra- 
4C glio degli Hebrei verso il fiume, cioè dalla Mola 
< di Bernardino Molinaio fino al ponte di Quattro 



IL GHETTO DI ROMA 53 

« capi. » Dallo stesso editto si apprende che il papa 
donò al suo architetto Domenico Fontana tutti gli 
spazi vuoti fra i nuovi portoni dèi Ghetto e gli an- 
tichi perchè vi fabbricasse comode abitazioni, per 
gli ebrei, e ne prendesse adeguato annuo canone. 
Fu queste uno dei compensi coi quali il papa 
rimunerò l'opera dell'architetto cui devèsi V erezione 
dell'obelisco vaticano, e la direzione di molte delle 
opere edilizie eseguite in Roma nel breve regno 
di quell'operosissimo pontefice. 



^ 



. Se gli ebrei ebbero sempre il permesso di abi- 
tare in Roma, più o meno liberamente, accadde 
assai di rado che vi fossero tenuti in onore , 
e non si ricorda che alcuno di loro abbia avuto 
dal papa segni di distinzione speciale, se se ne tol- 
gono i medici, dei quali parleremo in seguito, ed il 
barone di Rothschild. 

Questi da Gregorio XVJ, a corto di danari, fu 
accolto con onori sovrani, e venne insignito di or^ 
dini cavallereschi per aver soccorso, al sei per cento, 
l'esauste finanze pontificie.X'esclusione dai pubblici 
uffici e da qualunque pubblico impiego o favore 
lasciarono pertanto nel più assoluto isolamento gli 
ebrei, i quali per ciò non solo all'aspetto, al vestire 
ed ai costujni erano rimasti riconoscibili, ma 
ancora più alla lingua da loro parlata, o meglio 
alla . pronuncia speciale di un dialetto molto si- 
mile al romanesco. Un ebreo era quindi dal par- 
lare riconosciuto fra mille e per il suo dialetto 
schernito. 



54 ETTORE NATALI 



Riconoscibili e riconosciuti dal resto dei citta- 
dini il governo faceva cosi poco conto di loro che, 
fino al secolo presente, non pensò mai a contarli^ 
cioè a farne una statistica. Evidentemente il loro 
numero, sempre proporzionato a quello degli altr* 
abitanti di Roma, ai tempi dell'impero dovette essere 
ragguardevole. Flavio infatti, raccontando l'amba- 
sceria mandata dagli ebrei della Siria a Cesare, 
dice che ottomila e più giudei si unirono ai legali 
suddetti nel tempio di Apollo, per il che Grotz, éup- 
ponendo esclusi da questa cifra i fanciulli,' i vecchi, 
gl'infermi, le donne la fa ascendere ad oltre ven- 
ticinquemila. Ed il numero si deve essere accre- 
sciuto ai tempi di Claudio il quale inviò un mes- 
saggio al Senato per invocare rimedi affinchè, 
crescendo col numero degli stranieri le straniere 
superstizioni, non venisse a mancare in Roma l'an- 
tica religione. Dopo la distruzione di Gerusalemme, 
quando, al dire di Giuseppe Flavio, quattro milioni 
di giudei sì dispersero pel mondo, tanti o sponta- 
neamente o per forza ne vennero a Roma, che il 
quartiere di Trastevere non fu più capace a con- 
tenerli, onde ne furono mandati ad abitare nel 
quartiere Vaticano, e presso il bosco della ninfa 
Egeria. 

Però, per quante ricerche mi abbia fatto, non 
mi fu dato di ritrovar© con esattezza il numero 
degli ebrei che abitarono Roma durante V impero, 
o che vennero dopo che Diocleziano ebbe imposto 
il fiscus judaicus : e tanto maggiori, anzi addirit- 
tura insuperabili, sono le difficoltà per stabilire il 
numero degli ebrei che hanno dimorato in Roma 
dalla caduta dell'impero ai giorni nostri. Nel 
corso dell'opera mi accadrà qualche volta di a<5- 



IL GHETTO DI ROMA 



55 



cennare approssimativamente al numero degli ebrei 
che in qualche occasione qui stettero,, per ora mi 
limito a dare soltanto le notizie esatte che mi fu- 
rono cortesemente favorite dal commendatore Bar- 
tolomeo Mazzino, benemerito assessore preposto alla 
statistica municipale. 

L'università isdraelitica, per ordine della Reve- 
renda Camera Apostolica, noverò per la prima 
volta gli ascritti alla comunità, il primo febbraio 
1809, ed il risultato di questa prima ricerca e 
di altre fatta fino al 31 dicembre 1882 ò il se- 
guente : 



Epoca 






Iscritti 


1809 febbraio 1 


. . . . 3076 


1810 






. . 3038 


1816 






. . 3047 


1821 marzo 


13 




. . 3059 


1832 






. 3538 


1837 






. 3536 


1841 






. . 3705 


1851 






. 3908 


1868 






. . 4995 


1882 dicembre 31 . 




. 5429 



Nella cifra dell'ultimo censimento (31 dicembre 
1882) non furono compresi quelli israeliti, i quali 
stabiliti in Roma dopo la sua riunione all' Italia, 
non si erano ancora iscritti alla comunità, il qual 
numero può calcolarsi ascendesse a circa 660. 




'W'''W'^''W'^'W^^'W''^^''''W^^^ 



IV. 



tolleranza a Roma - Emanuel ben Salomone - Polemisti - Scienziati 
e letterati - Viaggiatori ebrei che nacquero o risserò in Roma. 



Roma, la icittà che prima in Europa albergava 
^li ebrei viriti e schiavi, la città di dove si spar- 
sero poi, a poco a poco, per tutto il mondo, in vario 
occasioni offerse loro asilo sicuro quando altrove 
si dava la caccia ai figli d' Israello come a bestie 
feroci. Dair Oriente, ove furono perseguitati prima 
-da alcuni califfi, dovettero poi addirittura fuggire 
ai tempi delle crociate, perchè ritenuti causa di 
tutte le calamità, di tutte le guerre; i crocese- 
-gnati se la prendevano col popolo deicida, repu- 
tandolo prima causa della caduta del santo sepol- 
-cro. Vessare, uccidere gli ebrei era opera pia, era 
santa vendetta del delitto dei loro padri, che ave- 
vano chiesta ed ottenuta la morte di Gesù ; l'odio 
-contro gli ebrei fu ritenuto dovere, e l'ucciderli 
mezzo idoneo ad assicurarsi le benedizioni di Dio. 



58 ETTORE NATALI 



La ferocia era spinta al punto che, interrogato uno- 
dei princìpi crociati se si doveva andar cauti nel- 
l'uccidere persone che potevano non appartenere^ 
alla religione giudaica, questi con molto cinismo 
rispose : tuez-leSj Dieu saura reconnattre les siens. 

Molte legislazioni distinguevano V omicidio dal 
giudeicidio, che era poco o punto punito, ed alcuni 
scrittori ecclesiastici , trattando dei supplizi cui 
erano sottoposti gli ebrei, hanno scritto: « i loro 
< lamenti sono per le nostre orecchie una voluttuosa 
« armonia. » A Roma invece gli ebrei vivevano tol- 
lerati e spesso liberi, e, narra il Tudela, come ab- 
biamo visto, di averne trovati oltre duecento di- 
stinti, e per la più parte impiegati nella stessa 
corte di papa Alessandro III. È tanto vero che i 
papi nel naedio evo erano i soli sovrani di Eu- 
ropa che trattasse)'© gli ebrei con qualche ri- 
guardo, che, quando fu stabilita la sede del pa- 
pato in Avignone, molti ve li seguirono. 

Dobbiamo riconoscere che il vanto di essere 
state meno avversi agli ebrei nel medio evo 
spetta indubbiamente a Roma, ed a molte città 
d'Italia. A Roma le vere persecuzioni, le più dure 
sevizie, cominciarono negli ultimi tre secoli. Ciò 
mostra che i modi tenuti con gli israeliti furono 
in ragione della maggiore o minore civiltà de'po- 
poli. L' Italia perchè più civile delle altro nazioni 
nel medio evo fu con essi meno crudele ; rimasta 
in seguito addietro, giunse più tarda a sentire la 
giustizia ed il dovere della loro emancipazione. 
La grande immigrazione degli ebrei in Roma scemo- 
alquanto quando il giovane Teodosio, imperatore 
bizantino, emanò contro di essi leggi severissime,- 
sebbene, per intercessione dei papi, non fossero dal 



IL GHETTO DI ROMA 59^ 

prefetti romani completamente applicate. A ra-^ 
gione, riferendosi alle leggi di Teodosio, uno dei 
più diligenti storici del semitismo ha scritto che, 
con le leggi del giovane tiranno, per gli ebrei inco- 
minciò il medio evo. 

Chi per altro scriverà la storia completa degli 
ebrei di Roma dovrà ricordare i molti dotti giudei 
che vi sono nati o vi hanno vissuto, anche mentre 
i papi risiedevano in Avignone, sebbene la città 
fosse tanto depauperata di abitatori da compren- 
derne meno di trenta mila. A me basti ricordarne 
soltanto alcuni, e per primo Manoello (Emanuel ben 
Salomone) ebreo notissimo, amico di Dante, autore 
anch' egli di una Divina Commedia in ebraico, e 
primo compositore di sonetti ebraici. Forse ripen- 
sando alle belle poesie dell'amico Manoello, il divino 
poeta scriveva nel Del vulgare eloquio « Fu l'ebraica 
« idioma quello cui fabbricarono le labbra del primo 
« parlante. » Notisi che nei tempi precedenti alla for- 
mazione della lingua italiana gli ebrei parlavano 
quasi sempre il loro idioma, o il greco che cono- 
scevano assai bene. 

L'importanza che Emanuele si acquistò nella re- 
pubblica delle lettere, e Tessere stato forse il più 
grande fra i lett<^rati ebrei romani, m'impongono 
l'obbligo di intrattenermi a parlar dì lui forse anche 
più a lungo di quanto lo consentirebbe l'indole di 
questo scrìtto. Emanuele ha cantato un po' di tutto, 
l'inferno e il paradiso, il vino e le donne, ha scritto 
salmi e madrigali, e nei suoi versi trovasi sempre 
una tal quale tendenza ghibellina, una certa tinta 
di scetticismo, che lo ha fatto scomunicare dai più- 
severi rabbini, e lo ha fatto giustamente chiamare- 
da uno scrittore moderno il Voltaire degli ebrei. 



^ ETTORE NATALI 



Colla distruzione di Gerusalemme la letteratura 
-ebraica perdette la caratteristica propria nazionale, 
quella caratteristica originale che dava ai poeti ebrei 
un primissimo posto fra 1 letterati orientali ; nò 
altri, prima del romano Emanuele, fece rifulgere 
nuovamente lo splendore dell'idioma di David e di 
"Salomone. 

Wolf afferma che il romano Emanuele, figlio di 
Salomone, fosse lo stesso che il Sofroneo, e dice 
che fiorisse nell'anno del mondo 5001, ossia 1241 
dell'era cristiana. 

In Fermo, ove abitò per molti anni, Emanuele 
•scrisse la maggior parte delle sue opere, delle 
quali sono conosciute soltanto le seguenti: 

MecJiabberoth (Composizioni poetiche. — Brescia 
1491, Costantinopoli 1535, Praga 1559 e Franco- 
forte sul Meno 1713). Quest'opera comprende ven- 
tptto composizioni tra madrigali, odi e canzoni, 
parte in prosa rimata, e parte in metri diversi. Fu- 
rono precisamente le poesie raccolte in questo vo- 
lume che attirarono su Emanuele l'odio dei rabbini e 
gli anatemi dei vari sinedrii : alcune sono alquanto 
iicenziosette e tutte un po' scettiche. 

Si hanno poi dello stesso poeta vari volumi di 

•commenti sopra i Proverbi, sul Pentateuco, sopra 

i Salmi f su Giobbe, sul Cantico de' Cantici, e su 

Huth. Finalmente conoscesi di Emanuele un volume 

-dal titolo JEven Borchen, • 

Del commento sui Proverbi esistono due mano- 
scritti : uno apparteneva alla biblioteca privata del 
De Rossi, che ne fu illustratore ; l'altro si trova alla 
biblioteca Vaticana. È un codiòe in-4<>, parte car^ 
ihaceus e parte membranaeeus, di fogli. 79, scritto in 
-carattere rabbinico. Il Sabbateo afferma che il 



IL GHETTO Df ROMA 61* 

» 

commento sui Proverbi fosse stampato in Napoli, 
ùia non cita Panno della edizione. 

Nella stessa biblioteca Vaticana vi è un altra 
codice carthaceus intitolato Commentarius in Can- 
ticum Canticorum, e che forse nessuno fino ad ora 
ha mai citato. Consta di 74 fogli, è scritto in ca- 
rattere rabbinico e porta il numero LXXXV. Fu 
copiato per uso della biblioteca Vaticana da Paolo 
Eustacchio, scrittore di-lingua ebraica nella biblio- 
teca stessa, e di ciò fa fede questa postilla apposta 
dì mano stessa delPEustacchio in calce alla pagina 
settantaquattresima : Absolutus est Me liber manu 
Joannis Pavli Eustachiij hodie feria prima die ul- 
timo mensis Novem^bris anno 1592, Laus Deo nostro 
Jesu Christo et MaHae ejus òanctae genitricis. Amen. 
Paolo Eustacchio, a quanto pare, aveva copiato- 
li suo codice da un autografo allora esistente nella 
biblioteca del duca di Altemps. 

Le poesie di Emanuel ben Salomone sono quasi 
del tutto sconosciute, perchè non furono da al- 
cuno tradotte. Il solo signor De Benedetti, in occa- 
sione delle nozze del professore Alessandro D'An- 
cona con la signorina Adele Nessim, ne pubblicò 
in Pisa , nel 1871 , un brevissimo tratto. Eccone 
due frammenti che appartengono alla seconda parte 
del poema, ossia al Paradiso: 

< Avvenne che aggirandoci negli ampi luoghi 
« dell' Eden, contemplando la dignità degli uomini 
« della dottrina, io ne vidi taluni ripieni di splendore 
« e decoro innanzi alla cui bellezza e sole e luna si 
« oscuravano : ai quali era dato il passo nel mondo 
« Angelico. Ma io non ne conosceva alcuno, perchè, 
« interrogai lui che meco favellava (Domile) per sa- 
« pere delle qualità loro. E quegU mi disse : E' sono- 



^2 ETTORE NATAU 



«codesti i più delle genti del mondo che per loro 
« dottrina e pel senno più valsero e su per gli sca- 
« glioni della scala della sapienza ascesero secondo 
« lor virtute, né furono, come i padri loro, genera- 
-« zione ritrosa e rubella. Essi investigarono col pro- 
« prio intelletto quale si fosse il Fattore, quale il 
<k Creatore che per grazia sua li fé' trovarsi, e dal 
« nulla all'essere li ebbe tratti, e recati a questo 
<« mondo, e quale il fine per cui li ebbe creati. » 

E altrove: 

« Rispetto a Dio poi e' si dichiararono : il cuor 
^ nostro trema e paveirta di appellarlo con un nome. 
«Avvegnaché ogni popolo l'appella con un nome 
« particolare ; noi diciamo checché sia suo nome : 
« noi crediamo nell'Ente primo, verace, e dator della 
« vita che fu, ò e sarà, che creò il mondo allorché 
4( decretoìlo ; la sapienza sua che é a noi arcano per 
^< la sua soverchia virtù in cui ne appare. » 

Ho creduto riprodurre questi due frammenti 
tratti dall'opera che generalmente ritiensi il suo 
capolavoro, e perché ci danno a divedere il primo 
l'imitazione di Dante, ed il secondo la caratteristica 
biblica della letteratura ebraica, che con Emanuele 
cominciava allora a riapparire nell'antico splendore. 

Una famiglia di ebrei romani ancora esistente, 
quella dei Piattelli, si vanta di discendere direttamente 
^al poeta del quale mi sono fin qui intrattenuto. 

Dopo la caduta dell'impero romano, l'opera 
ebraica più antica, di cui si abbia fra i dotti me- 
moria, é una traduzione compilata in Roma circa 
l'anno 940 : é una specie di storia, e porta il nome 



IL GHETTO DI ROajA «3 



-di Josippo ben Grorion. La seconda opera giudaica, 
-sempre in ordine di data conosciuta dall' Europa, 
è un libro anonimo composto verso il 974, dtl 
titolo Tanna dehe Eìiahu, che il Gratz e 1| Steln- 
schneider ritengono scritto in Roma. In questo 
libro si parla di tradizioni ebraiche, e vi si fa il 
computo degli anni dalla creazione. 

Qui cade in acconcio il ricordare il nome di al- 
•<iuni fra i più dotti ebrei che han vissuto in Roma, 
•dal medio evo in poi, lasciando da parte i più an- 
tichi quale fu Fosco Aristo, liberto di Cesare ed 
amico di Orazio, che gli scrisse più lettere, e fra 
.le altre quella: 

■ 

UrhU amatorem Fuscum solvere jubemits 
Buri» amatore». 

Prima per altro di incominciare la enumerazione 
-dei migliori, fra gli ebrei romani, che abbiano la- 
sciato scritti meritevoli di menzione, mi sia pei> 
messo di fare pochissime considerazioni sul carat- 
tere, e suir^indole generale della letteratura se- 
mitica. 

Tralascerò dì rintracciarne la storia attraverso 
il periodo glorioso della loro potenza, quando su- 
però, in pregio di opere, tutte le letterature orien- 
tali. In quello, che può chiamarsi il periodo d'oro, 
la letteratura ebraica mantenne un carattere del 
tutto speciale, perchè la legge mosaica vietava 
agli ebrei qualunque rapporto con gli altri pò 
poli, e quindi nulla o quasi fu l'influenza delle 
letterature straniere. 

Cop Tesiglio cominciò l'epoca della decadenza e 
si arrivò man mano fino alla estinzione della 
stessa lingua. 



64 ETTORE NATALI 



Non parlo qui del Talnnid perchè mi propongo 
di farlo diffusamente in seguito ; credo che i giu- 
dei, secondo il fine cui diressero la loro attività 
letteraria, possono distinguersi in tre gruppi : autori 
di scritti riguardanti la religione cristiana ; inter- 
preti o commentatori della Bibbia o del Talmud ; e 
finalmente letterati nel senso moderno della pa- 
rola, o poeti. 

Oltre questi possono citarsi gli autori di opere 
storiche di viaggi e di scienza, specialmente di 
medicina e di astronomia. 

Per quello che riguarda i polemisti contro la. 
religione cristiana, rimando lo studioso a quell'illu- 
stratore benemerito ed infaticabile* di cose loro, 
che è stato il nostro Giovanni Bernardo. De Rossi, 
il quale, dimenticato oggi a torto, raccolse in un 
volume preziosissimo l'interessante collezione delle 
opere dei polemisjbi ebrei. 

Di questi ricorderò tre soli celebri per il rumore 
che han destato nel mondo. Essi sono : 

1° Il Goblar ben Zuruc le cui confutazioni 
del cristianesimo furono causa delle prime e più 
feroci persecuzioni papali contro il Talmud. Per 
dire le vicende del libro di Goblar, attraverso la. 
storia del popolo d'Israello, occorrerebbe scrivere 
un altro volume. È forse, dopo la Bibbia, il libro- 
ebreo che abbia maggior numero di edizioni sino 
al secolo decimosesto, e fu questa una delle prime 
opere per le quali si ricorresse dagli ebrei all'arte 
tipografica ; 

2» Nel 1512 Feithel e Sinderlein pubblicarono 
un'opera critico-polemica stupenda intitolata : Di- 
scurs ime die christen zu verdehen (sguardo intorno 
alla decadenza de'cristiani). Da quest'opera, che fu 



IL GHETTO DI ROKA 65 



condannata dalla Congregazione dell' Indice, può 
ripetersi il risveglio degli studi giudaici in . Ger- 
mania. La preziosa edizione principe ne è raris- 
sima, e credo che l'unico esemplare ora conosciuto 
sia conservato nelF archivio privato del duca di 
Rossell. 

3** Finalmente, nel 1681, gli ebrei fecero, 
sempre in Germania, pubblicare un libro o meglio 
un osceno libello che destò molto rumore dal titolo : 
Jesxts generatUmia. S'ebbe ben tosto quest'opera 
una grande notorietà, non perchè la meritasse 
come le altre sin qui ricordate, ma perchè è il 
libro più empiamente osceno che sia mai stato 
scritto. In esso, senza entrare in una vera e seria 
discussione ascetica, si mette in ridicolo l'incarna- 
zione di Cristo ed il parto di Maria. 

Ma torniamo, che ne è tempo, agli ebrei ro- 
mani che più si distinsero fra i letterati. Lo studio 
dei loro lavori è interessante non solo per le bel- 
lezze di cui essi arricchirono la letteratura ebraica , 
ma anche perchè dimostra come si svolse in am- 
biente straniero questa letteratura che, a seconda 
dei dettami di Mosè, doveva fruttificare soltanto 
sul suolo patrio. 

E, come abbiam visto, fu proprio qui in Roma 
che risorsero gli studi ebraici, come qui in Roma 
vide la luce il primo libro che valse a mettere in 
evidenza l'importanza degli autori Israeliti, e fii 
causa prima delle lunghe ed ardue discussioni che 
ancora oggi affaticano i pensatori tedeschi. Ho in- 
teso alludere ai profondi studi ed alle dottissime 

6 — E. Natali, Il Ghetto di Róma. 



\ 



66 RTTORB NATAU 



pubblicazioni di Biagio Garofalo, nato a Napoli nel 
1677, e stabilitosi in Roma ove sali in tanta fama 
da meritare Tamicizia di papa Clemente XI. • 

Del resto il lettore si farà per suo conto un'idea 
dell'importanza che hanno nel mondo letterario 
ebraico, gli scrittori che nacquero o dimorarono in 
Roma, leggendo il seguente catalogo da me com- 
pilato nel modo più completo che mi sia stato pos- 
sibile. 

Nathan ben Zechiel sapiente rabino, morto in 
Roma nel 1106, che fu discepolo del celebre Mosè 
Adarsan, e divenne capo della sinagoga. A Nathan 
si deve un dizionario del Talmud molto stimato, e di 
cui si sono fatte infinite edizioni. Nathan apparte- 
neva a distinta famiglia, poiché il padre Zechiel 

'(o Jehiel) era fattore od amministratore di papa 
Alessandro III, ed il fratello di Zechiel ebbe pur 
fama di buon letterato. 

Fra gli scrittori celebri israeliti va annoverato 
anche lo spagnuolo Abramo ben Ezra profondo 
erudito e filosofo. Viaggiò mezzo il mondo allora 
conosciuto, e fece per lungo tempo dimora in 
Roma ove compose una grammatica ed un libro 
di astronomia. Nei secoli di mezzo gli ebrei fu- 
rono viaggiatori arditissimi e pei ^viaggi mostra- 
rono una vera passione. A loro l' andare peregri- 
nando riusciva più agevole che non ai seguaci 
delle altre religioni, per la facilità di trovare in 
ogni paese fraterna ospitalità, e larghezza di au- 

. aiìio presso tutti gì' israelitu Di questi ovunque 
«e ne trovavano e tutti legati insième da stretti 



IL GHETTO DI ROMA 67 



vincoli di affetto, non solo per la comunanza della 
fede religiosa, ma più specialmente per la co- 
munanza delle aspirazioni e dei patimenti. 

Con l'applicarsi molto ai viaggi gli ebrei man- 
tennero le antiche e gloriose tradizioni dei loro 
patriarchi cui devonsi le prime e più esatte no- 
zioni della geografia. Nei libri di Mosè, di Giosuè 
e dei Giudici ritroviamo documenti assai impor- 
tanti sui popoli che in quei tempi lontani abita- 
vano nell'Asia occidentale. GostretU a errare pel 
mondo, dovettero forzatamente acquistar pratica 
dei costumi de'popoli, e delle contrade percorse 
nel loro vagabondaggio 

In Italia dove, secondo il Talmud, si raccolse 
la maggior parte degli emigrati della Palestrina, 
«ssi cominciarono a divenire pian piano i padroni 
del commercio e divennero necessariamente viag- 
giatori instancabili per stender sempre più la loro 
rete di affari ; e mentre fecero gl'interessi degli 
scambi giovarono non poco all'incremento della 
scienza. Fra i più illustri di essi credo dover an- 
noverare Faroth e Nephali venuti in Roma men- 
tre era imperatore Costantino ; e Sakob di Nemez 
nel decimo secolo; ed Hillel da Jerusalem, Judaha- 
Levy, Aben Ezra nell'undecime secolo e moltis- 
simi altri i quali tutti, chi più chi meno, si sono 
soffermati per vario tempo nella città nostra. 

Nel duecento, è grande il numero dei pellegrinaggi 
di rabini italiani, e fra essi ve ne furono molti 
romani, de'quali è impossibile rintracciare il nome 
e le opere. Basta rilevare, per l'interesse storico, 
che nel tempo dell'espansione della scienza geo- 
grafica gli ebrei romani contribuirono potente- 
mente a mantenerla in onore. 



68 ETTORE NATALI 



Esempio di arditissimi viaggiatori, nel 200, fu- 
rono e Beniamino di Tudela che compilò un 
Itinerario, inesatto se vuoisi, ma pieno di inte- 
ressanti notizie e di utili osservazioni, ed il rabino 
Pethachia, che visitò quasi tutte le sinagoghe del 
mondo. I due soli brani riguardanti Roma che si 
riscontrano neW Itinerario del Tudela, li ho ripor- 
tati in altra parte di quest'opera. 

Torniamo ad Aben Ezra, o meglio ad Abraham 
ben Meir aben Ezra. Come rilevasi dal nome 
stesso Abramo fu figlio di Meir e nipote di Ezra ; 
ignorasi in quale angolo della Spagna abbia avuto 
i natali, e molti vogliono che nascesse in Toledo, 
città ove allora fiorivano tutte le scienze ; cosi 
fra i dotti si è molto disputato intomo all'anno pre- 
ciso della di lui nascita. Il Velitz, in un recentis- 
simo opuscolo, assicura, e mi sembra dimostri, 
che Aben Ezra nacque nel 1147 e mori nel 1187. 
In Roma egli si trattenne molto e vi fu accolto- 
assai amorevolmente per la fama che si era fatta 
con i suoi originali commenti biblici. Qui venne 
dopo aver visitato la Francia e l'Inghilterra. 
Egli svincolandosi , per primo, dalle solite alle- 
gorie e chiose, si attenne, e quasi ne fu rivelatore, 
ad un metodo assai più positivo di critica, negando,, 
ad esempio, che gli ebrei avrebbero passato il 
Mar Rosso per miracolo, ed opinando invece avesse 
Mosè profittato di una bassa marea. Fu Aben uno 
dei tipi più curiosi e più celebri della letteratura 
ebraica, e lasciò 77 opere svariatissime, fra le 
quali molte poesie quasi tutte ispirate a senti- 
menti religiosi. 

Nei secoli decimoquarto e quinto il desiderio 
dei viaggi si frena un poco, ma se si viaggia di 



IL GHETTO DI ROMA 6^ 



meno, si studia di più, e l'arte della navigazione con 
le scienze affini, geometria ed astronomia, prende 
per opera degli israeliti un vigore novello. L^unico 
autore romano, che mi è riescito di rintracciare 
fra di essi è un cristiano rinnegato certo Malze- 
chio nato a Roma nel 1542, e morto a Parigi 
nel 1601. 



-*- 



Giuda ben Mosè (il ben vuol dire figlio di) anche 
esso romano, nato nel 1229, fu filosofo notissimo, e. 
conosciuto nel mondo scientifico-letterario col nome 
di Giuda Romano; debbonsi a lui molte prege- 
voli traduzioni delle opere di Aristotile. Mosè da 
Rieti letterato, vissuto in Roma nel secolo decimo 
quinto, pretende che Giuda fosse maestro del re 
Roberto di Napoli. Il Giuda merita un posto spe- 
ciale nella storia della letteratura italiana perchè 
è il primo ebreo che abbia scritto un Glossario 
nel quale, a lato di molte parole ebraiche, è ripor- 
tata la spiegazione in voci « vernacole » cioè 
italiane. 

I codici del Vaticano num. 258 e De Rossi num. 
129 contengono note di Mosè ben Sabbatai, lette- 
rato, il quale, a quanto sembra, visse a Roma 
nel 1342, e le cui opere arricchiscono le raccolte 
della Vaticana: Platone di Tivoli, traduttore e 
scrittore di grido, che visse intorno al 1135: e per 
ultimo la romana Paola, figlia di Abramo, la quale, 
nel 1288, trascriveva due grossi volumi di com- 
menti biblici, in tempi in cui perfino molti vescovi 



70 ETTORE NATALI 



segnavano spaccando la croce. Il Quirini ebreo 
romano, o per lo meno vissuto molti anni in Roma, 
nel 1496 pubblicò una grammatica ebraica, forse 
la prima completa, sotto il titolo Intkoductio ai> 

LINGUAM SAKCTAM, 

Luigi Fiori e Saul Triverio giudei, entrambi ro- 
mani, pubblicarono anch'essi due grammatiche 
ebraiche la prima nel 1648, l'altra qualche anno 
più tardi. Fra i traduttori dei quali si ha memo- 
ria, in epoca più recente, va annoverato anche 
Elia Levita, favorito del cardinale Egidi da Vi- 
terbo, traduttore dall' italiano in lingua tedesca, 
vissuto intorno al 1500. Il cardinale Giovanni 
Egidi era stato discepolo di Elia per lo studio della 
lingua ebraica, che il dotto israelita insegnò per 
anni e anni in Roma dopo averla insegnata, con 
plauso generale, neir Università di Padova, in- 
sieme alla lingua caldaica. Elia Levita si trovò in 
Roma al sacco dato dalle genti del Connestabile 
di Borbone, ed in quella occasione perdette tutte 
le sue sostanze, e ne riportò tal paura che, fuggito 
in Germania, vi rimase per molti anni. Il ni- 
pote di questo erudito, chiamato anch'esso Elia Le- 
vita, si fece cattolico, prese il nome di Giovanni 
Battista Eliano, e fattosi gesuita fu mandato da 
Gregorio nunzio presso i Marroniti ; si fece cono- 
scere nel mondo dei dotti per aver tradotto in arabo 
gli atti del Concilio di Trento. 

Alla stess'epoca, cioè nel secolo decimosesto, vi- 
veva in Roma certa Debora, poetessa abbastanza 
reputata. Cosi pure fra le letterate romane una 
certa Rebecca è citata dal Wieland nei suoi Studi 
m Roma; ma di essa non mi è riuscito di cono- 
seere altro. 



IL GHETTO DI ROMA 71 

Santi Pagliero (1527) fii uno dei cooperatori più 
assidui di Pasquino, ed a lui va attribuita la sa- 
tira lunghissima riportata a pagina 98 del libro del 
Lanucci. 

Per scampare all'assedio del Borbone, Isacco dei 
Bomi fuggi da un paese vicino a Roma, ove tro- 
vavasi, e col figlio David si ritirò a Bevagna. La 
famiglia Dei Bomi vantavasi di essere una di quelle 
venute da Gerusalemme con Vespasiano, e di aver 
avuto fra gli antenati due ebrei romani, David il 
Santo ed Elia il Ricco ; ma questo Isacco, figlio di 
David, è il più conosciuto nella repubblica lette- 
raria per aver pubblicato varie opere di molto va- 
lore, e fra le altre un dizionario, il più completo 
fra quelli fino allora conosciuti. 

A Roma nel 1546 furono stampate le Lettere di 
Sanità di Mosè ben Nachman, rabino spagnolo 
che visse 103 anni. 

È celebre anche Simeone Luzati, veneto (1638) 
che abiurò e prese il nome di Morosini; venne e 
mori in Roma dopo aver composto varie opere sullo 
stato presente della sua nazione. 

Oltre i già citati non ho saputo trovare altri 
scrittori ebrei romani di conto prima del cinque- 
cento se si toglie il David Guido che nel 1499 
scrisse una bella poesia sugli Sponsali della Luna. 



11.^ -J, .j, ^ ..L. 




i Ram» - Cenaarii papale • Libri 



Dopo tre secoli di tanto splendore, repentina- 
mente venne per gli ebrei la decadenza, neces- 
saria decadenza in quanto che fu loro tolto violen- 
Eeniente anche il mezzo di studiare. Ad essi nocque 
la stessa cultura, perchè sapendo e di letteratura 
e di astronomia e di metUcina erano riguardati 
con diffidenza dal volgo il quale considerava come 
cosasoprannaturale qualunque portato della scienza, 
ed anche soltanto il saper leggere e scrivere. 

Per avere un'idea di quanto fosse rara la qualità 
di letterato, nel senso stretto della parola, nel 
medio evo, basti il ricordare che in alcune legisla- 
zioni i condannati per delitti comimi ottenevano la 
grazia appena potessero dimostrare di saper leg- 
gere e scrivere. 

Per farà poi un esatto concetto della coltura degli 



74 ETTORE NATALI 



antichi ebrei di Roma basterà gettare uno sguardo 
sui pochi libri che sono posseduti dalle sinagoghe 
romane, e sui moltissimi codici ebraici raccolti 
nella biblioteca vaticana. 

Le cinque scuole israelitiche di Roma posseg-^ 
gono, come mi assicura il cav. D. R. Segrè, per 
gli usi rituali, parecchie copie del Pentateuco scritto 
in pergamena, ed arrotolato e messo in ordine 
secondo le norme tracciate dai dottori. 

Tanto la scuola detta del Tempio, quanto quella Ca- 
talana posseggono inoltre tutta la Bibbia manoscritta. 

La scuola Castigliana ha un Pentateuco con le 
lezioni profetiche del sabato. 

La scuola Siciliana ha un Pentateuco con il Can- 
tico dei Cantici, il libro di Ruth, i Treni di Geremia, 
l'Ecclesiaste ed il libro di Ester. 

La scuola Nuova poi ha un Pentateuco inter- 
polato, verso per verso, dalla parafrasi caldaica in 
carattere tedesco. 

Questi cinque codici risalgono a parecchi secoli, e 
sono corredati di annotazioni masoretiche. All' in- 
fuori di essi, le scuole non hanno altri codici an- 
tichi nò di gran valore paleografico, e difettano 
pure di edizioni rare, sebbene tfn tempo ne aves- 
sero moltissime. 

La ragione di tanta povertà sta in questo che 
la Romana Inquisizione, od il tribunale del Vi- 
cariato, facevano fare, sovente delle perquisizioni 
nelle scuole e nelle case del Ghetto, e vi sequestra- 
vano i manoscritti ed i libri ebraici e non ebraici, 
affidando T esame degli uni e degli altri ad un ap- 
posito revisore, generalmente frate dell'ordine di 
san Domenico, che è ovvio il supporre di non 
troppa intelligenza ed erudizicHie. 



IL GHETTO DI ROMA 75 

Udito il responso del revisore, l'Inquisizione od 
il cardinal Vicario restituivano ai rispettivi pos- 
sessori le opere manoscritte o stampate reputate 
innocue, ritenendo quelle non giudicate tali che 
proscrivevano in perpetuo. Avveniva talvolta che 
si concedesse Tuso di alcuni libri giudicati non 
del tutto censurabili, nò interamente innocui; ma^ 
prima di restituirli, il frate che li aveva esaminati 
vi cancellava i passi pericolosi, periodi, propo- 
sizioni e pagine intere, mutilandoli cosi sconcia^ 
mente, quando non s' induceva ad alterarne e fal- 
sarne lo spirito sostituendo periodi, proposizioni, 
pagine e capitoli ortodossi laddove potesse, anche 
lontanamente, ravvisarsi qualche allusione poco 
reverente, o qualche opinione un po' eterodossa. 

Le correzioni e le castrature che la censura 
papale faceva tanto ai libri, che alle produzioni 
teatrali, sono divenute ridevolmente celebri. Tutti 
sanno che si cambiò la Norma in Foresta d'Irmin- 
sul^ e che per una regola che non ammetteva de- 
roga si doveva dir non Dio ma cielo^ non libertà 
ms. lealtà. Una volta un revisore dei sujlodati do- 
veva apporre il nidla osta ad uno di quegli inno- 
centi libretti modestamente destinati a spiegare le 
azioni coreografiche. Ad un certo punto leggevasi 
«... si getta ai piedi della regina ed a lei chiede 
amore. » Il casto rappresentante dell'autorità ec- 
clesiastica rimase scandalizzato della frase im- 
morale, prese con atto sdegnoso la penna, inforcò- 
gli occhiali e cancellata la parola amare, corresse 
il perìodo a questo modo : < si getta ai piedi della 
regina ed a lei chiede il ducato del Friuli. » 

Il povero sor Cencio Jacovaccì, l'eterno impre- 
sario dell'Apollo, rise in faccia al revisore, malgrado- 



76 ETTORE NATAU 



il rispetto che il sor Cencio soleva ostentare per 
tutte le autorità costituite ; ma il libretto dovè 
metterlo in vendita con la peregrina correzione. Il 
pubblico, come al solito, prese la cosa in burletta, 
-e per vari anni i giovani più eleganti e più in- 
liraprendenti solevano richiedere d'amore le donne 
colla formula divenuta di moda : « mi dà il .du- 
cato dar Friuli I? » 

Ah uno disce omnes : e questo esempio che ho 
riportato valga a far comprendere quali e quanto 
logiche dovevano essere le coi'rezioni che si face- 
vano alle opere sequestrate agli israeliti nelle larghe 
e frequenti razzie di libri che si operavano in 
"Ghetto. 

Il primo bruciamento di libri sacri e di Bibbie 
-di cui si abbia memoria in Roma fu quello ordi- 
nato nel 302 dall'imperatore Diocleziano, il quale 
-iioì libri degli ebrei fece distruggere a migliaia e 
migliaia anche quelli dei cristiani. Ai tempi dei 
7)api, di tutte le perquisizioni ordinate nel Ghetto 
■di Roma, rimase famosa quella del 1753. L' In- 
quisizione fece in quell'epoca perquisire pure i 
<jhetti di Ancona, di Ferrara, di Senigallia, di 
Lugo, di Pesaro, di Urbino e di molti altri luoghi, 
raccogliendovi larga messe di manoscritti e di 
^stampati. 

Cosi, essendo l'archivio israelitico di Roma an- 
dato soggetto a moltissime perquisizioni, è assolu- 
tamente impossibile lo stabilire con dati di fatto 
-quali e quanti codici e libri rari e preziosi fossero 
tolti al Ghetto per accrescere il patrimonio scien- 
tifico e letterario delle biblioteche di Roma, e 
:«pecialmente di quella del Vaticano, ricchissima 
-di codici ebraici e caldaici, d'incunabuli e di libri 



IL GHETTO DI ROMA IT 



rari e di gran pregio,. che appartennero già alle 
cinque scuole israelitiche di Roma, od a sludiosi e 
bibliofili che, per le loro credenze religiose, erano 
costretti ad abitare in Ghetto. 



•*• 



Anche più ricca della Vaticana in fatto di co- 
dici ebraici fu senza dubbio la biblioteca privata 
del De Rossi; ma di questa non so dar conto e 
devo limitarmi a dire brevemente della Vaticana. 
Essa possiede 650 codici ebraici dei quali sono 
citati *: 

453 nel catalogo assemano ; 

59 id. della Urbinate ; e 

78 nel catalogo del cardinale Angelo Mai. 
Un'altra cinquantina di codici ebraici non sona 
ancora catalogati. 

Fra i catalogati, gli unici codici che, a mio av- 
viso, possono risguardare, e che molto probabil- 
mente appartennero alla sinagoga romana, sono: 

V^ Il codice CCCXX 'membranaceìis di 595 pa- 
gine, scritto parte in lettere quadrate, parte in let- 
tere rabbiniche. Appartenne prima alla biblioteca 
Palatina, e fu scritto nel quindicesimo secolo. E 
intitolato Machazar scel col Hasciana Libellus pre- 
cum, vita Sinagogae romanae] 

2^ Il codice CCCXXI in ottavo, di 231 pagine, 
scritto in carattere rabinico nel secolo decimo - 
quarto, e porta per titolo Siddur Thephilloth che- 
MENHOG Roma {ordo precumjuxta rilum Synagogae- 
romanae. 



rS ETTORE NATALI 



Il più pregevole, specialmente per antichità, 
è il codice che porta il numero XXXI. Non so 
^e abbia mai appartenuto alla sinagoga, ma è 
assai probabile. Esso è in foglio membranaceìis^ di 
112 pagine, scritto in lettere quadrate, e rimonta 
nientedimeno all'anno 1073. Porta per titolo : Com- 
-mentarius Levitictim qui Siphra vocatur e vi si 
espongono i doveri e le preghiere dei sacerdoti. 

Si è molto discusso, fra i dotti, per stabilire 
l'autore di quest'opera preziosissima, ma nulla si 
è potuto concludere. In calce del libro trovasi la 
seguente scritta : 

« Eaplicit liber iste anno ab orbe condito 4833 ah 
^ excidio Templi, quod utinam nostra hac aetate 
« qitanto cuyus re aedificetur 1005, » 

Ma basti della biblioteca Vaticana, altrimenti si 
andrebbe troppo per le lunghe : soltanto sappiano 
gli studiosi come in quella pregevolissima raccolta 
di libri siano pur conservati alcuni codici sama- 
ritani in rotoli ; uno di questi rotoli è lungo oltre 
sei metri e mezzo. 

È ben inteso che qui non ho creduto di far men- 
zione d'altro che dei codici manoscritti, perchè dei 
libri stampati ve ne sono, e nella Vaticana e 
ovunque, a iosa. 

La prima Bibbia che siasi stampata in lingua 
italiana lo fu a Venezia nel 1495 e porta il titolo 
di « Bibia vulgare historiata^ di Nicolò Malermi. » 

E meno male quando i libri preziosi tolti agli 
«brei erano trasportati in qualche pubblica biblioteca; 
■che il più delle volte erano condannati al rogo a 



IL GHETTO DI ROMA 79 



venivano solennemente bruciati perniano del car- 

nefìce. 

Fra tutti i libri giudaici, quello che dai papi fu 
fatto segno a maggiori persecuzioni è il Talmud 
•del quale pertanto dirò brevemente senza perdere 
di vista la storia degli ebrei romani. 

Il Talmvd, la parola significa insegnamento, è 
una voluminosa compilazione fatta o dai rabini rima- 
sti in Palestrina, nei primi quattro secoli dalla ca- 
duta di Gerusalemme, o da quelli di Babilonia che 
in modo più ampio fecero una raccolta di scritti 
«ino al sesto secolo dell'era volgare. 

Il primo Talmud dicesi perciò di Gerusalemme, 
l'altro più ampio e meno oscuro dicesi di Babi- 
lonia. 

I compilatori ebbero per scopo di riunire e sta- 
bilire le regole minuziose e fisse della religione 
giudaica, regole fino allora tramandate con la tra- 
dizione, la (]uale era rimasta interrotta per la ca- 
duta di Gerusalemme, e per la distruzione del 
Tempio. A ragione quindi il Reinach osserva il 
Talmud essere stato, per gli ebrei dispersi nel globo, 
una specie di patria morale che ricordava a loro 
gli usi e le leggi della patria distrutta. 

Sarebbe troppo lungo, e qui non opportuno, de- 
scrivere questo libro del quale tanti parlano, e che 
tanto pochi hanno letto. Si volle da alcuni para- 
gonarlo al Vangelo dei cattolici, od al Corano dei 
maomettani, ma la comparazione, a mio avviso, e 
erronea, poiché il Vangelo ed il Corano furono 
scritti per bandire una nuova fede, mentre il Tal- 
mud è una raccolta di massime, di precetti, di trat- 
tati, di leggi, di preghiere, di usi, di costumi, dalla 
tradizione riunite per mantenere viva una fede an- 



80 ETTORE NATALI 



tica in un popolo proscritto, perseguitato, e privo di 
una patria. Il Vangelo ed il Corano furono libri 
di combattimento, scritti per conquistare, mentre 
il Talmud è stato redatto per organizzare la resi- 
stenza, e per far argine alle aggressioni. I rabini 
compilatori del Talmud sono i loro santi padri, e 
spesso gli ebrei hanno anteposto questi scritti 
all' autorità degli stessi libri rivelati. Né deve 
dimenticarsi come questo libro sia stato compilato 
da gente proscritta in un momento di terrìbili per- 
secuzioni e da parte delle autorità pagane impe- 
riali, e da parte dei zelanti seguaci della nuova re- 
ligione che aveva avuto origine nella Giudea stessa. 
Sa quindi in alcune parti di esso s'incontra qualche^ 
polemica un po' aspra, ed un pò 'di fiele, la cosa 
è naturalissima. Sorprenderebbe il contrario. 

La prima persecuzione seria ordinata contro il 
Talmud rimonta a papa Gregorio IX. Il libro, solo 
studio e sola cura dei semiti, era quasi sconosciuto- 
ai cattolici, perchè non era stato mai tradotto in 
alcuna lingua europea. Adesso se ne sta facendo 
la traduzione in lingua francese per cura dell' Al- 
liance israélite univarselle^ ed è questa la seconda 
traduzione dopo l'inglese, della quale si è già esau- 
rita la prima edizione. 

In tutte le epoche, come osserva saggiamente- 
il Leusdenio, molti teologi censurarono i libri tal- 
mudici senza averli né veduti né letti. 

Chi si dette premura di richiamare l'attenzione 
del papa e del clero sul Talmud fu un ebreo 
apostata, di nome Nicola Donin, che denunciò il 
libro come contenente ingiurie e bestemmie contro 
la religione di Cristo. 

Le accuse dal Donin messe in voga furono quelle- 



IL GHETTO DI ROMA 81 



stesse ripetute sempre contro i giudei, anche ai 
tempi nostri, da tutti i persecutori del semitismo. 

Allora, come ora, si volle far risalire al Talmud 
la causa prima di tutte le colpe, di tutti i difetti 
degli ebrei, ed il Donin nel secolo decimoterzo disse 
del libro ebraico ciò che è stato anche recente- 
mente ripetuto dall'antisemita Drumont nella France 
Jùive. Si legge sul Talmud, dice il partigiano 
francese, che Gesù Cristo è nell'inferno affogato 
nel fango bollente, che la Vergine ha partorito 
dopo adulterio con un soldato di nome Pandara, che 
le chiese vi si chiamano cloache, e i predicatori ab- 
baiatori; vi si inculca la necessità di uccidere ì 
cristiani, e chi più ne ha più ne metta. Non è 
quindi difficile immaginare l'impressione prodotta 
da simili accuse presso popoli ed in epoche igno- 
ranti, e spiegarsi la persecuzione derivatane dopa 
la bolla scritta da papa Gregorio IX al re di 
Francia nel 1230. 

Lo storico H. Milmann parla del Talmud come 
di un monumento « straordinario dell'attività umana,» 
dell'intelligenza umana, e dell'umana pazzia. » Nel 
medio evo i teologi nemmeno si occupavano a con- 
futarlo seriamente ma si contentavano di dire, 
con sorriso di scherno, lex Judceorurriy lex pue-^ 
rorum. Monsignor Giustiniani, uno dei più dotti 
idrati dell'ordine domenicano, peritissimo nella lin- 
gua ebraica, teneva assai cari i libri talmudici e 
lasciò scritto a tale riguardo : mihi comparavi, oh- 
servoque apud me, perinde ac reges margaritas ao 
gemma s. 



6 — E Natali, Il GhAto di Roma, 



82 KTTOItB NATALI 



-*- 



Nelle scuole israelitiche di Roma si studia il 
Talmud di Babilonia meno conciso ed assai più 
chiaro ed intelligibile dell'altro di Gerusalemme. 
Ih Roma per altro, dal secolo decimoterzo, ossia 
dalla persecuzione di Gregorio IX, fino air anno 
1847, gli studi talmudici si dovettero fare, non sul 
testo originale, ma sui compendi o estratti di esso 
ridotti ad usura Délphini dall'autorità ecclesiastica, 
la quale non ebbe mai la virtù della tolleranza, 
e che, da quei compendi, cancellava e sopprimeva 
tutti i passi, per una ragione o per l'altra, rite- 
nuti poco ortodossi. 

Non ostante ciò, e forse perchè i rabini romani 
riuscivano facilmente ad eludere la sorveglianza 
dell'Inquisizione e àel Vicariato, la scuola talmu- 
dica di Roma fu, nei tempi andati, una fra le più 
floride e fiorenti, e se in progresso di tempo venne 
meno alla sua reputazione ne fu causa precipua il 
fatto che il Talmud fu proscritto, dopo GregorìoTX, 
da Innocenzo IV nel 1244, da Clemente IV nel 1265, 
da Onorio IV nel 1285, da Giovanni XXII nel 
1320, dall' antipapa Benedetto XIII nel 1415, e da 
Giulio III, Paolo IV, Pio V, Gregorio XIII e Cle- 
mente Vili; e non fu permesso che da Pio IV, 
Sisto V, Urbano VII, Gregorio XIV ed Innocenzo IX 
i quali concessero che fosse pubblicato con molte 
correzioni e tagli, e sotto un nome diverso. 

Furono sempre, o quasi sempre, gli ebrei con- 



ìl ghltto di roma 83 

vertiti che indussero i papi alle persecuzioni contro 
i libri talmudici, sfuggiti alle anteriori ricerche 
perchè gli ebrei avevano la scaltrezza di farli 
Vicopiai*e in caratteri romani, anziché in caratteri 
ebraici, riuscendo con ciò ad ingannare i cristiani, 
sulla natura del libro che, scritto diversamente, 
avrebbe destato le diflBidenze e suscitato i sospetti. 

Furono, ad esempio, alcuni neofiti che suggeri- 
rono a papa Giulio III, nel. 1554, di fare abbru^ 
ciare i libri talmudici in Roma, nel primo dei dieci 
giorni annuali di penitenza che sogliono osservare 
grisraeliti. Lo stesso papa fece dare^ alle fiamme 
i libri del Talmud poche settimane dopo in Bo- 
logna, poi in Ancona e successivamente in tutte 
le altre città • d'Italia. 

Cinque anni dopo, vale a dire nel 1559, Paolo IV 
decretò la distruzione dei libri talmudici e di tutti gli 
altri libri supposti avversi al cristianesimo che si 
potessero rinvenire : soltanto nella città di Cremona 
vennero dati alle fiamme nientemeno che 144,000 vo- 
lumi. Cosi si legge nello Scialscelet accabalà (Catena 
•della tradizione) di Ghedalià Jachia, pagina 117, 
e nel libro II pagina 25 e libro IV pagina 310 
della Bibliotheca 8 ancia di Sisto Senense. 

Seguendo V esempio di parecchi de' suoi prede- 
oessori, s. Pio V fece abbruciare 20,000 esem- 
plari del Talmud. Il libro, causa di tante preoc- 
cupazioni ai papi, fu dannato al fuoco anche da 
Clemente Vili, che, con sua bolla del 28 febbraio 
1592, confermò il divieto di tenerlo e di farne argo- 
mento di studio. 

La Congregazione dell'Indice — creata, nella 
forma attuale , nel 1600 — fra i primi libri con- 
dannati annotò il Talmud e le opere di tutti i ccm- 



84 ETTORE NATALI 



mentatori talmudici, sicché, per ordine del Sant'Uf- 
fìzio, questi libri furono solennemente bruciati in 
Roma, sulla piazza di Campo di fiori, nell'anno 1553. 



■*• 



Una grande controversia sul Talmud fu pro- 
mossa da un altro ebreo convertito, Giuseppe 
Pfeffercorn di Colonia. Si levò allora a difesa del 
libro semitico il Reucblin, uno dei più dotti soste- 
nitori del Talmud, scrittóre anche di lavori cabali- 
stici, dei quali uno, dal titolo La parola^ dedicò al. 
papa. Sollevò molto rumore questa polemica, soste- 
nuta dal Reuchlin contro i domenicani, i quali 
ne volevano dannare al rogo le opere e forse- 
anco l'autore. 

A giudice della controversia Reuchlin scelse 
Leone X, un papa dai sentimenti pagani, artista 
e non teologo, eccessivamente amante di diver^ 
tirsi e studioso di evitare le cure serie col tem- 
poreggiare ; un papa che alzava le spalle quando 
gli parlavano delle prediche di Martino Lutero, 
esclamando : « Sono liti di frati ! » Ed erano il 
principio della più grande rivoluzione religiosa del 
tempi moderni ! 

Leone X incaricò il vescovo di Spira di stu- 
diare la controversia, ed il vescovo la decise contro 
i frati domenicani: questi però non^si dettero per 
vinti, ma se ne vennero a Roma ad esporre le loro- 
ragioni innanzi alla Curia pontificia. Il papa non» 
ebbe il coraggio di dar torto ai potentissimi frati, 
ma mandò, come si usa spesso alla Corte di Roma,. 



IL GHETTO DI ROMA S5 

le cose tanto per le lunghe, che l'Inquisitore Ho- 
chs+raten, grande nemico del Reuchlin, se ne do- 
vette partire stanco e scornato, senza aver avuta 
vinta la lite. 

Dopo tal fatto, il Talmud, già dato alle stampe 
per la prima volta dal Bomberg di Venezia nel 
1520 , venne impresso pure in Anversa con pri- 
vilegio dello stesso Leone X. 

Sono certo che mi verranno accuse per non 
aver gettato l'anatema contro il Talmud ed i tal- 
mudisti, come per avere illustrato in questo scritto 
gli ebrei di Roma, ma non mi darò molto d'attorno 
per confutare gli accusatori. Mi basti qui di osser- 
vare che la persecuzione contro gli studi talmudici è 
^cessata nel 1847 per ordine di un papa. Pio IX , 
e che la difesa di questo liberale provvedimento fu 
strenuamente sostenuta da uno dei più grandi nostri 
patrioti. Massimo D'Azeglio, il cavaliere senza 
macchia, il Bajardo dell'Italia risorta. Né potrei 
meglio por termine alle cose dette intorno al 
Talmud che riportando le parole dal D'Azeglio 
scritte a pagina 41 dell'opuscolo SulV emancipazione 
'Cimle degli israeliti (Firenze 1848) : 

« Esaminando le leggi e la morale degli israe- 
« liti, dai primi tempi fino ad oggi ^ io non trovo se 
« non precetti che tendono alla carità ed all'amore 
«del prossimo, senza distinzione di culto odi fede. 

« In opposizione alle massime tendenti a stringer 
« vieppiù fra gli uomini i vincoli sociali, ve ne sono, 
« è vero, nei codici Talmudici e nei libri Rabbinici 
<fi alcune. invece che spirano odio ed intolleranza : ma 
«è da considerarsi essere i due codici Talmudici, 
«tanto il Gerosolimitano che il Babilonese, stati 
« compilati mentre ancora vigeva il paganesimo, il 



86 ETTORE NATALI 



« quale si rendeva doppiamente odioso agli israeliti 
« col peccato d'idolatria, il più abborrito da essi, e 
«colla crudeltà della persecuzione. I libri degli an- 
«tichi Rabbini furono anch'essi scritti sotto l'im- 
« pressione dell'odio e dello spavento che dovevano 
« destare le orribili sevizie del medio evo ; ma nes- 
« suna di queste autorità è accettata o riconosciuta 
« dai Rabbini o dagli Israeliti presenti ; e tenerli ca- 
« paci di porre in pratica massime unicamente deri- 
de vate da paissioni e da circostanze straordinarie 
^ sarebbe lo stesso che credere capaci i Cristiani del 
« secolo XIX di riaccendere i roghi dell' Inquisii 
< zione, » 



Oli ebrei nei ] 



Il ^ogo della schiavitù. cominciò a pesare grave 
sui figli d'israello quando, dopo l'ottocento, i papi 
incominciarono ad usufruire del potere temporale: 
' ce lo dimostrano le cerimonie con le quali si 
accompagnava ogni nuovo pontefice a prender 
possesso del soglio apostolico. Le più fastose ric- 
chezze della corte bizantina, il lusso più splendido 
dei prodighi sovrani orientali, sono un nulla a pa- 
ragone dello sfarzo onde &ceva pompa il neo eletto 
pontefice , allorché dal Vaticano si recava, a tal 
uopo, nella basilica lateranense madre e capo 
di ogni chiesa del mondo. Migliaia di gentiluo- 
mini, di paggi, di prelati, precedevano il papa, 
che a mala pena poteva reggere il peso dell' oro 
e delle gemme preziosissime di che era ricoperto. - 
Strano miscuglio di sacro e di profano 1 -— i 



88 ETTORE NATALI 



fanciulli prendevano parte al reale corteo cantando 
versi osceni, come solevasi nelle feste dell'antica 
Roma: a proposito della presa di possesso di Gre- 
gorio IX un autore lasciò scritto che puerilis lin^ 
guae garrulitas procacia Fescennina cantahat. E 
noto che i versi fescennini usavansi cantare nelle 
feste nuziali e sempre da fanciulli, forse per amore 
dei contrasti. Ce lo attestano molti scrittori e fra 
gli altri Varrone : pueri obscosnis verbis novoe 
nuptce auree recludunU 

In queste occasioni adunque il Servo dei servi 
incedeva con pompa tale, quale mai si vide adottata 
da imperatori e da re. Qualche volta anzi i sovrani 
prendevano parte alle cavalcate dei possessi pon- 
tefici — accompagnando a piedi il papa e reggen- 
dogli la staffa nell'atto che montava sulla* bianca 
ghinea. Cosi avvenne per reiezione di Bonifacio Vili 
accompagnato da Carlo II re di Sicilia e da Carlo 
Martello re d'Ungheria, che lo precedettero a piedi 
durante tutto il percorso dal Vaticano alla basilica 
lateranense. Fu in questo passetto di Bonifacio Vili 
che scoppiò in mezzo alla folla, accalcata per ve- 
dere il passaggio del corteo, una rissa feroce nella 
quale rimasero uccise quaranta persone. 

Ora, fra le rappresentanze di ogni ceto di citta- 
dini, che si affollavano sulla strada per rendere 
omaggio al pontefice eletto, doveva trovarsi anche 
una deputaziane di ebrei, con a capo il rabino, 
portante in ispalla il rotolo del Pentateuco, il libro 
pel quale gli ebrei hanno sofferto Un martirio di 
dodici secoli: lo recavano misteriosamente ve- 
lato, adorno d'oro e di gemme^ e ricoperto da un 
manto di velluto e di seta, come il figlio di un re. 
L'esemplare del Pentateuco, che dagli ebrei si pre* 



IL GHETTO DI ROMA 89 

sentava al papa, non era rilegato in libro ma. era 
formato in un volume di una sola pergamena, 
come vedesi nella biblioteca Vaticana, ove se ne con- 
serva più di uno. Quei poveretti stavansi compresi 
di timore o di timida speranza, costretti in ogni 
papa nuovo a salutare il Signore che ad essi avrebbe 
<joncesso un asilo. D'altronde era sempre con gioia 
che salutavano il nuovo eletto perchè durante la 
«ede vacante danni e mali gravissimi travaglia- 
vano la popolazione romana in balia di ardite fa- 
zioni baronali e di sgoverno inenarrabile; ogni 
nuova elezione faceva cessare l'anarchia, e dava 
allo Stato un moderatore. Sovente i disordini co- 
minciavaao prima che il papa entrasse* in agonia 
e Roma dava ogni volta il brutto spettacolo di 
inaudite licenze, di cui erano in ispecial modo 
vittime gli israeliti, a proteggere i quali nessuno 
pensava avendo ognuno in quei giorni troppo da 
fare a badare ai casi suoi. In quella che il capo 
della sinagoga porgeva al papa il libro attribuito a 
Mosè, gli ebrei leggevangli negli sguardi biechi o 
benevoli la loro sentenza, di tolleranza o di op- 
pressione, ed aprivano il cuore alla speranza se 
il santo libro era loro restituito dopo che il so- 
vrano vi aveva gettato uno sguardo e pronun- 
ciato le parole - legem probo ^ sed improbo' geritevi. 
Guai però se un papa fanatico gettava in terra 
con dispregio il Pentateuco, e con voce severa 
apostrofava il rabino, qtumdampopulusy nunc hostis! 
Quello sguardo bieco, e quell'atto sprezzante erano 
il segnale di nuove persecuzioni, che cominciavano 
appunto mentre fissavano timidamente lo sguardo 
sull'uomo che procedeva adorato come un Dio, e, 
«piandogli sul volto che appariva appena fra il 



90 ETTORE NATALI 



fumo degli incensi, cercavano di scoprire se per 
caso qualche indizio, qualche segno mostrassero 
in lui l'atteso Messia. Ciò osserva in una lettera, 
pubblicate dal Mehus, Jacopo di Scarperia : Judeos^ 
in supplicationem hanCj quum per leges suas fu- 
tarum esse principem promittatur^ qui de captivitaie 
liberaturus sit eie, eos tum experiri, an Pontifex 
noster forsitan Ule sit. 



^ 



L'uso di presentare al papa la legge mosaica 
fu seguito sen2;a interruzione dal 1145 in poi, da 
quando cioè prese possesso Eugenio III; e la ce- 
rimonia ebbe sempre luogo anche quando la coro- 
nazione ed il possesso seguivano fuori di Roma.. 
Vediamo infatti una rappresentanza della congre- 
gazione israelitica romana prender parte alle feste 
che si fecero in Aquila per l'elezione di Cele- 
stino V ; in Pisa il 7 luglio del 1049, per l'elezione 
di Alessandro V ; e finalmente in Venezia, per la 
coronazione di Pio VII. Nell'Ordine XIII è stabilita 
che venendo in Roma il riuovo papa, eletto fuori,, 
dovesse incontrarsi alle falde del monte Mario, 
presso la chiesa di S. Maria Maddalena, e che 
ivi Judei oecurrant cum Lege et Laudibus, In premio 
di queste lodi o dell'atto di omaggio gli ebrei rice-^ 
vevano dalla Camera apostolica venti soldi provvi- 
sini, ma per dimostrar sudditanza erano tenuti a 
presentare alla Camera stessa una libbra di pepe 
e due di cannella. 



IL GHETTO DI ROMA 9F 



Anche prima del possesso di Eugenio III la pre-^ 
sentazione del libro Santo era stata fatta a qual- 
che papa ; ed una volta gli ebrei lo presentarono 
contemporaneamente a due pontefici che si con- 
trastavano il soglio papale. Il cardinale Gregorio 
di S. Angelo eletto ai 15 di febbraio del 1130 do- 
vette fuggire da Roma cacciato dal partito che in 
quello stesso momento aveva eletto a pontefice 
uno della famiglia dei Pier Leone. Il cardinale^ 
Gregorio, che prese il nome di Innocenzo II, so- 
stenuto soltanto da pochi cardinali e dai Frangi- 
pane, per Genova e Pisa fuggi in Francia e fu 
trionfalmente accolto a Parigi. Fra il popolo fe- 
stante che acclamava il pontefice era una nume- 
rosa schiera di ebrei che presentò ad Innocenzo- 
il libro della legge ricoperto da un velo. Il papa 
tolse il velo e parlando loro benevolmente disse: 
« che cosi Dio tolga dai vostri cuori il velo che 
li ricopre.» Il fatto viene cosi narrato dal Suger : 
Nec etiam Judceorum Parisiensium exccscata defuit 
Synagoga, quce legis Utteram, rotu'am. scelicet ve- 
latam offerens, ab ore eius hanc mis'iricordve et 
pietatis obtinet suppUcationem : Auferat Deus omni-^ 
poterti velamen a cordibus vestris. 



4- 



Quasi nello stesso momento gli ebrei di Roma^ 
riuniti nel rione di Parione, presso al favoloso pa-- 
lazzo del prefetto Cromazio, presentavano il Pen- 
tateuco ad Anacleto, che poteva dirsi uno dei loro, 
perchè la potente famiglia dei Pierleoni era di ori- 
gine ebraica, onde il Papa fu chiamato dai suoi ne— 



^2 . ETTORE NATALI 



mici Judeus pontifex a Judceis propugnatas : difatli 
Anacleto era pronipote dell'ebreo convertito Pietro 
di Leone, ed i suoi nemici dissero che egli saccheg- 
giasse le chiese, e Judceos ajunt esse qu-cesitos, qui 
sacra vasa, et immagines deo dicatas audaciter com- 
minuerent. Il mondo riconobbe legittima l'elezione 
d' Innocenzo e non volle saperne di Anacleto, quan- 
tunque avesse avuto i suffragi di un maggior nu- 
mero di cardinali, e l'appoggio della maggior parte 
delle nobili famiglie romane, fra le quali i Tibaldi, 
gli Stefani, i Berizoni, i SantVEustacchio e molti 
altri. Non lo si volle riconoscere per le fattezze 
ebraiche del viso, dimenticando, come osserva Gre- 
gorovius, che Pietro e Paolo ebbero indubbiamente 
faccia d'ebreo più di Anacleto. S. Bernardo cui 
fu rimessa la decisione sulla legittimità di Inno- 
cenzo o di Anacleto, giudicò a favore del primo 
perchè non poteva, egli disse, ritenere legalmente 
eletto al trono pontificio uno che egli considerava 
Judaicam sobolem, 

Anacleto, fra gli antipapi, nella gerarchia catto- 
lica, è annoverato come il quarantesimo. Sono, come 
è noto, antipapi quei pontefici non riconosciuti nella 
predetta gerarchia e che furono eletti da parte dei 
-cardinali e del clero negli scismi avvenuti dal se- 
colo terzo al secolo decimoterzo. I principi cristiani 
si dividevano, e non sempre per ragioni puramente 
religiose, e chi sosteneva un pontefice e chi ne so- 
steneva un altro. Anacleto infatti potè reggersi in 
Homa, sul soglio di Pietro, per sette anni, aiutato 
efficacemente dal re di Napoli e dai romani, i 
quali dopo lui elessero un altro romano, Gregorio 
<k)niì cardinale di Santi Apostoli (Vittore IV). Ma 
«uUà maggior parte della cattolicità prevalse il 



j 



IL GHETTO DI ROMA 9^ 



partito dei re di Francia, di Pastiglia e di Ara- 
gona e gli eletti dal clero e popolo di Roma non fu- 
rono annoverati fra i pontefici di santa romana chiesa. 

Gli storici devoti al papato hanno coperto di con-- 
tumelie la memòria di Anacleto asserendo che in 
gioventù aveva menato vita tristissima tanto da 
meritare il soprannome di anticristo. Lo hanno per- 
fino accusato d'incesto, dicendolo amante della 
propria sorella Tropea Pierleoni. Non è facile scer-^ 
nere in queste accuse il vero dal falso ; nondimeno 
è prudenza il non prestarvi gran fede perchè per 
l'indole stessa degli scrittori dai quali provengono 
appaiono infarinate da troppa partigianeria. 

Di certo si sa che Anacleto fu dapprima monaco ; 
che da papa Pasquale II fu nominato cardinale dal 
titolo dei Santi Cosmo e Damiano, e da papa Ca- 
listo II trasferito al titolo di S. Maria in Tras- 
tevere. Eletto pontefice nel 1130 fu cons£tcrato 
nella chiesa di S. Pietro, e finché mori ne fu gene- 
ralmente riconosciuta l'autorità. 

Dalla famiglia dei Pierleoni la chiesa trasse 
molti altri fra i suoi dignitari, e di essa furono i 
cardinali Ugo (1173) dal titolo di S. Clemente, 
Egidio (1190) vice cancelliere della chiesa, e Guido 
(1127) vescovo di Palestrina. I Pierleoni ebbero pure 
molta parte negli affari e nel governo della città. 

E di un altro papa ebreo e monaco si trova 
traccia in una leggenda popolare, poiché anche i 
papi — e s.irebbe da meravigliare il contrario — 
ebbero le loro leggende. Venuto di Lamagna,.per 
la trafila delle grandi abbadie tedesche, come la 
papessa Giovanna, il monaco ebreo raggiunse ben 
presto le maggiori dignità della Chiesa e final- 
mente cinse la tiara. 



^i ETTORE NATAU 



Mai la navicella di Pietio corse acque migliori 
<5ome sotto il suo governo, oiide vedeva correre 
lieti e tranquilli i suoi giorni, circondato dall' am- 
mii'azione dei famigliari e dalla venerazione e dal- 
l'amor dei fedeli. 

Il papa, tutto dedito alle alte cure del suo Stato, 
non si permetteva che un solo ed innocente svago, 
il giuoco degli scacchi, nel quale sopra ogni altro 
«eccelleva. 

Convenivano alla Coite papale i migliori cam]: ioni 
del nobile passatempo, ma, nessuno poteva vantai'si 
di troppe vittorie. 

Era di primavera, ed il pontefice abitava al 
Laterano, quando corse per Roma la voce dell'ar- 
rivo di un vecchio giudeo tedesco, famoso nel giuoco 
diletto al primo servo di dio. 

Il papa volle riceverlo e secolui misurarsi : ma 
fin dalle prime mosse s'accorse di aver di fronte, 
per la prima volta forse, un avversario degno di 
lui. E la sua meraviglia raggiunse il sommo grado 
<][uando, ad una mossa decisiva , la mossa cui do- 
veva spesso le sue vittorie, trovò una risposta che 
nessuno, che non fosse di sua famiglia , avrebbe 
•dovuto conoscere. 

Come alla parata famigliare al signor D'Artagnan 
Athos conobbe, allo scuro, l'antico compagno d'armi 
e di pericoli — il papa indovinò alla risposta del 
vecchio ebreo tedesco il padre, dal quale tante av- 
venture e tanto tempo lo avevan diviso, e, levatosi 
improvviso, gli si gettò nelle braccia, sfidando il 
profondo stupore dei cortigiani. 

Quel che seguisse poi la leggenda non dice , e 
le nubi più fitte coprono del loro mistero lo scio- 
glimento del drammatico intreccio. 



n. GIIRTTO DI ROMA 95 



■f 



La costumanza del semplice omaggio al nuovo 
pontefice è anche più antica, e deve ripetere la 
sua origine dai trionfi dei Cesari ; forse ebbe a scopo, 
sul principio, di mostrare sempre meglio il trionfo 
di Cristo sul giudaismo. Nelle storie la troviamo ri- 
cordata fin dal 1119 nell'elezione di Calisto II, e, 
con qualche modificazione, seguita fino ai giorni 
nostri. Il sito ove questa cerimonia aveva luogo 
fu da prima presso la torre di ser Stefano di Pie- 
tro, ove ora è la piazza del Biscione, quindi a 
Monte Giordano ove gli ebrei si raccolsero quando 
fu eletto Nicolò V, di casa Orsini. Il popolaccio, 
facile a schernire i deboli, martoriava talmente 
gli ebrei riuniti per presentare la Bibbia , che un 
papa, Innocenzo Vili, ne fu mosso a pietà ed or- 
<linò che loro si desse un posto speciale, fra i merli 
•di Castel s. Angelo, forse senza pensare che anche 
nella scelta di quel luogo era vi alcun che di cru- 
-dele, perchè la Mole Adriana ricordava agli ebrei 
rimperatore che aveva distrutto da cima a fondo 
<jerusalemme. 

Nel secolo decimo quinto, infine, la presenta- 
zione del Pentateuco fu abolita, e gli ebrei do- 
vevano adobbare, a loro spese, l'arco di Settimio 
"Severo, ed una parte del Foro, ed ivi erano ob- 
bligati a riunirsi per far plauso al papa che vi 
passava recandosi al Lat erano. 

Il luogo, che nei tempi più prossimi a noi, doveva 



96 ETTORE NATAU 



essere adornato a spese della congregazione israeli- 
tica, era il tratto di via compreso fra l'Arco di Tito 
ed il (Colosseo, luogo maledetto per loro, perchè 
ricordava la distruzione del tempio di Salomone e 
la caduta della patria; tanto maledetto che sotto 
quell'arco nessun ebreo voleva mai passare, sicché 
nel medio evo a lato del monumento era stato 
foriftato un viottolo, pei giudei, che non sarebbero 
mai passati sotto l'arco del vincitore Sei loro padri, 
sotto quell'arco che ricordava la più terribile delle 
sventure toccate alla loro nazione. 

Qualche volta, raramente, una deputazione del 
Ghetto era ammessa a rendere omaggio al papa, 
neo-eletto, nel palazzo pontificio. L'uso allora vo- 
leva che gli ebrei stessero sempre prostrati nella 
prima delle anticamere pontificie, e nell'andarsene 
baciassero il terreno sul quale aveva posato il piede- 
dei papa, che, come gente impura, non éran cre- 
duti degni di baciarne, non dico i piedi, ma nep- 
pure il lembo delle vesti. 



IL GHETTO DI ROMA 99 



molire da Alessandro VII, verso Tanno 1668, per 
ampliare la via del Corso. 

« Nel medesimo anno, prosegue il diarista, a 
« di 10 febraro, Paolo II, fece correre un palio, e 
« fu una canna di velluto verde, una barretta^ e 
<( un paro dì calze alli Garzoni di 15 anni in giù ; 
« e lo detto palio fu corso da San Marcello fino 
« a piazza di San Marco. 

« Alli 15 del detto mese, la Sua Santità fece 
« fare un convito da mangiare nobilissimo, che 
« saria cosa incredibile a chi V udisse raccontare, 
« a cittadini tutti romani, al Senatore, e a tutti 
« li Forastieri che erano in Roma, e poi gittao 
« grandissima quantità di danari mangiato che fo.» 

« A di 16 sopradetto fu corso un palio di quat- 
« tro canne di verde da San Jacomo d' Austa fino 
« a San Marco dall'Asini. 

« A di 18 del mese di febraro, del martedì che 
« fu lo Carnebale, fu corso V altro palio de 4 canne 
« di panno celeste dalli Bufali. » 

Dalla descrizione del nostro diarista appren- 
diamo dunque che gli ebrei dovevano correre per 
uno spazio più lungo che non le altre persore chia- 
mate a dare tale spettacolo. Che la corsa degli 
ebrei avesse principio dalla piazza di san Lorenzo 
in Lucina, Paolo dello Mastro ce lo attesta anche 
nel diario dell'anno successivo, nel quale si legge : 
« A di 2 di febraro del 1467 fu corso lo palio 
« delli Judei, canne tre di panno roselo, dall' arco 
« di Santo Laurentio in Lucina fino a San Marco. » 
Non si trattava di cosa da poco, ma di uno spazio di 
oltre un chilometro, e non piccola doveva essere la 
fatica ?e qualche volta accadde che quei disgraziati 
venissero meno a metà della strada e qualcuno 



100 ETTORE NATALI 



perfino vi morisse. Ciò segui, come lo attesta l'Os- 
sani, nelle corse dell' anno 1547, nelle quali un 
ebreo corridore rimase morto. 

In un documento ricordato dal diligentissima 
Curzio Antonelli è scritto : « Lunedi i soliti otto 
« ebrei corsero ignudi il palio loro, favorito da 
« pioggia vento et freddo, degni di questi perfidi 
« mascherati di fango al dispetto della grida. » 

E di grida non era certo penuria. Per non andar 
tanto lungi trovo che l'uso dei maltrattament 
dovette durare fino all'abolizione delle corse poi- 
ché ogni anno il Governatore di Roma pubblicava 
un Bando per ricordare che sarebbe stato punito 
con tre tratti di corda e 200 scudi di multa « chi 
« ardisca ^otto qualsivoglia pretesto offendere Hebrei 
« et Hebree tanto con immonditie, et levargli le 
« berrette, et robbe che portano, et offese perso- 
« nali. » 

Questo ho letto nel Bando del '2S gennaro 1595 
di monsignor Annibale Rucellai vescovo di Car- 
cassonne, e governatore di Roma; le stesse pene 
sono minacciate nei bandi dei monsignori gover- 
natori Domenico Foschi vescovo di Tivoli, li 14 
febbraio 1596; Ferrante Taverna, li 2ò gennaio 
1603; Benedetto Ala, 11 febbraio 1605; Berlingerio 
Gessi vescovo di Rimini, 22 febbraio 1620; Giro- 
lamo Grimaldi, li 2 febbraio 1630. Li 4 febbraio 
1637 monsignor Giovanni Battista Spada minaccia ai 
trasgressori le stesse pene come se avessero oflPeso 
un cristiano, e cosi di seguito. 

Quando i romani, ribellatisi ad Eugenio IV, lo 
cacciarono via da Roma, ed imprigionarono il Car- 
dinal Camerlengo suo nipote, il papa nominò un 
Vicecamerlengo che sì chiamò Oubemator in Alma 



IL GHETTO DI ROMA 101 



Urbe. Di qui roriginedel Governatore che, uffi- 
ciale straordinario dapprima, divenne poscia ordi- 
nario, sostituendosi quasi nella giurisdizione al Se- 
natore, che a poco a poco rimase un personaggio 
subordinato alla potestà pontificia. 

Né i maltrattamenti dovevano esser cosa da poco, 
poiché quasi tutti i bandi cominciano con queste 
parole . « Volendosi provvedere alli scandali et in- 
« convenienti che sogliono nascere dalle molestie e 
« beffe che sHntende darsi giornalmente agli He- 
<k brei... » 

Nel Bando dei 22 aprile 1671 di monsignor Luigi 
Bevilacqua auditore della Rota e governatore di 
Roma, o'.tre alle solite proibizioni, si legge ; « Di- 
« chiarando che li padroni di casa saranno tenuti 
« per i loro servitori, li padri per li figliuoli, li 
« maestri per li discepoli.,. » Da tale Bando ri- 
mane confermato come nulla vi sia di nuovo sotto 
il sole, poiché qui si apprezza la responsabilità con 
lo stesso sistema di terrore e di sospetto che si se- 
gue ora in Russia. In quel felice paese si é an- 
cora in dietro di due secoli! 

Ma la severità delle pene minacciate doveva in- 
cutere ben poco terrore in tempi in cui il dritto 
d'asilo sottraeva al gastigo i rei che chiedevano 
protezione a qualunque signorotto, o prelato od 
ambasciatore. Né la sorveglianza per impedire i 
reati era sufficientemente esercitata dal Bargello 
e dai pochi birri che per abitudine lasciavano cor- 
rere per la tema della pena della frusta e della 
berlina, onde spesso erano puniti se si attentavano 
di arrestare anche il più meschino servo di qualche 
potentato. 

Quanto poi al farsi strada, durante la corsa non 



102 ETTORE NATALI 



era la cosa più facile di questo mondo, poiché le 
carrozze non si allontanavano dal Corso al comin- 
ciare dello spettacolo come ci è attestato da tutti 
i scrittori e fra gli altri da Goethe, che cosi de- 
scrive la corsa dei barberi nel 1778: 

« La corda che chiude la piazza del Popolo dalla 
« parte del Corso, si abbassa ed i cavalli si slan- 
€ ciano nella strada. Sul principio lo spazio è largo 
« abbastanza per permettere la gara fra loro ; ma 
« subito dopo si trovano chiusi fra due file di car- 
« rozze e gli sforzi per passare avanti l'uno al- 
« l'altro sono difficili, pericolosi, e non riescono 
« quasi mai, perchè, mentre i primi entrati nel 
4c Corso continuano la strada con sempre crescer.te 
« ardore, gli altri rimasti indietro cercano di rag- 
« giungerli, si urtano, si attraversano, si nocciono 
« reciprocamente. > 

Figurarsi cosa doveva esser prima pei poveri 
ebrei i quali non avevano certo la forza dei ca- 
valli - per farsi largo fra la folla - mentre si sa 
che piccolo era il numero dei soldati corsi e dei 
birri incaricati di mantenere l'ordine pubblico, e 
di curare l'obbedienza agli ordini contenuti nella 
grida. 

La qual grida poteva comminar pene quante 
voleva, che la plebaglia sfidava i tratti di corda 
pur di levarsi, il gusto di tirare fango, sassi e le- 
gnate sui corridori. A ragione Gioacchino Belli, 
il quale ha lasciato moltissimi sonetti che ci dipin- 
gono gli usi degli ebrei ed il poco conto in cui 
dessi erano tenuti dal popolino, ricordando come 
era nelle tradizioni popolari l'obbligo degli ebrei 
di dare spettacolo col correre nel carnevale fece 
il bellissimo sonetto che intitolò : « Le curze 



IL GHETTO DI ROMA 103 



d'una vorta » uno dei migliori lasciatici dairinar- 
rivabile poeta popolare romano: 

An*ro che rrobi-véochi I antro ch*aeo I 
Don Diego eh* ha studiato V animali 
Der Muratore, (1) e ha lletto co' 1* occhiali 
Guanti liibbri straccfati abbi er museo, 

Disce ch^er Ghetto adesso da' li palj 
Pe* Yvia eh' anticamente era 1' ebbreo 
Kr barbero de cuelli carnovali 
A Testacelo, e ar piazzon der Culisco, 

Pe falli curre, er popolo romano 
Je sporverava (2) intanto er giustacore 
Tutti co' un nerbo o una bbattecca in mano. 

E sta curza, abbellita de sto piato, 
L'inventò un papa, in memoria e in onore 
Della fraggellazion de G-gesucristo. 

• Qui cade in ac*.concio il notare che i cnstiani 
non erano trattati meglio degli ebrei, nelle loro 
funzioni di barberi, e che gli uni, come gli altri 
dovevano correre semi-nudi. 

Gli ebrei che erano costretti a prendere parte 
alla corsa non dovevano essere in numero minore 
di otto, e le corse di questi disgraziati avevano 
luogo sempre, anche quando pioveva. 



■^ 



^ Dal supplizio del correre, perché altrimenti non 
può chiamarsi l'inumano spettacolo, poterono alla 
perfine gli ebrei riscattarsi, pagando ogni anno alla 
Camera Capitolina una somma di 1130 fiormi di oro 

(1) Oli annali di Muratori. — (2) Batteva. 



104 ETTORE NATALI 



pei divertimenti popolari. Gli ultimi 30 fiorini fu- 
rono aggiunti in memoria dei trenta denari sbor- 
sati per la vendita di Gesù fatta da Giuda. 

Nel libro III degli Statuti Romani si prescrive 
che da questi 1130 fiorini si dovessero togliere 
ogni anno, e pagarli al suonatore della campana 
di Campidoglio, cento soldi di Provisini, perchè 
se ne potesse fare un tabarro col quale comparire 
ne' giuochi di Agone e di Testaccio, quum Eom. 
Populo debeat apparere, et stare prò honore Rei' 
publicae Romanae. Il suonatore della campana del 
Campidoglio non aveva alcun assegno fisso ed 
anzi doveva, col suo denaro, pagare tutte le spese 
occorrenti per le campane, come corde, grasso 
ed altro. Un tale ufficio era nonpertanto molto 
ambito perchè molte e molto lucrose propine vi 
andavan congiunte ; cosi aveva dritto a largo com- 
penso ogni volta che gli si faceva fare, per una 
ragione o per l'altra, qualche suonata. Quando, ad 
esempio, con la campana annunciava che si stava 
per eseguire la giustizia, vale a dire che si stava 
per conduri^e al patibolo qualche reo condannato 
dal senatore, aveva dritto alla paga di tre giuli 
per ogni suonata. Se il giustiziando era ebreo la 
campana di Campidoglio taceva. 

Altri cento soldi provisini, dei denari che gli 
ebrei pagavano ogni anno alla Camera capitolina, si 
dovevano dare al custode del leone che vivo si 
manteneva in Campidoglio. 

È noto che gli antichi romani mantenevano in* 
Campidoglio, a pubbliche spese, le oche, sacre a 
Giunone, ed i cani. Le prime erano grandemente 
onorate e si portavano tutti gli anni in trionfo per 
la ciità, perchè dalle oche il Campidoglio era stato 



IL GHETTO DI ROMA 105 



salvato, mentre i cani, pure condotti processio- 
nalmente In giro, erano accolti da segni di ludi- 
brio per aver lasciato sorprendere il famoso monte 
dai nemici. 

Un leone vivo fu mantenuto in Campidoglio, 
come ora la lupa, dal 1100 al novembre del 1414, 
nel quale anno fu ucciso per aver morto alcuni 
ragazzi. Anforio di Pietro, riportato dal Mura- 
tori, ci dice a questo proposito : Anno 1414 die 
Domenica mensis novembris, de mane fuit inter^ 
ftctus Leo Capidolii, in palatio maiori ; et hoc 
fuit factum^ quia interficiebat pueros. Itera sciatis 
quod dictus Leo exivit de Capidolio quando Petrus 
Matutii perdidit dominium Urbis, Il leone uc- 
ciso fu seppellito presso la casa Jel caporione 
di Ripa. 

Si narra dal Capogrossi che sul sacro monte 
fossero alimentati anche i maiali. I romani in- 
cominciarono a prendere i fausti augurii da que- 
sto animale sino dal tempo della misteriosa scrofa 
<ìi Alba Longa, e poi proseguirono a prevalersene 
nei sacrifici, nei contratti, nelle lustrazioni, nelle 
espiazioni, ed a poi lo eziandio per insegna nei 
vessilli delle regioni. I cento soldi provisini erano 
nel medio evo dati anche ai custodes porcorum pal- 
lata Capitola e questi animali erano adoprati pei 
giuochi del monte Te>taccio. 

Un'altra buona parte del denaro dato dagli ebrei 
si spendeva per vestire i consoli preposti ai giuochi 
ed i cancellieri capitolini. Dal 1815 al 1847 il tri- 
buto che gli ebrei dovevano pagare al Senato ro- 
mano era stal)ilito in annui scudi 831 e baiocchi 
57 e mezzo. 

Il pagamento del tributo era talmente grave per 



106 ETTORE NATALI 



le povere risorse del ristretto numero degli ebrei 
romani, che un papa, Martino V, ebbe pietà di questi 
disgraziati, e volle che gli altri ebrei dello Stato 
pontificio contribuissero nelle spese. Il papa, nel 
suo decreto, affermò constargli essere la sinagoga 
di Roma molto impoverita. 



-f 



Clemente IX, Rospigliosi, con un chirografo, di- 
retto ai Conservatori -di Roma il 28 gennaio 1668, 
concesse agli israeliti la cessazione dell'obbligo del 
correre, ed a questo papa, dai sentimenti umani, 
devono esser grati gli ebrei perchè tolse loro 
eziandio l'obbligo di mandare una squadra di vec- 
chi, che, vestiti a foggia antica e grottesca, dove- 
vano precedere, fra gli scherzi del popolaccio, la 
cavalcata del senatore, quando inaugurava le feste 
carnevalesche. 

A questo punto mi pare di qualche interesse, il 
trascrivere la grida pubblicata nel 1667, ultimo 
anno in cui corsero gli ebrei. Eccola: 



NOTIFICAZIONE. 

« Si fa intendere come in questo Cai:nevale del 
« presente anno 1667 si correranno lì Palij nelP in- 
« frascritti giorni : 

« Lunedi 14 feb. correranno gli Hebrei al loro 
-« palio di lana d'argento e turchino. 



n. GHETTO DI ROMA lOT 



« Martedì 15 detto correranno li somari al palia 
« di damasco turchino. 

« Mercoledì 16 detto correranno le Cavalle aV 
« palio di velluto verde. 

« Giovedì 17 detto correranno li Barbari al palio 
<c d'Urbino di tela d'oro. 

« Sabato 19 detto correranno li Cavalli al palio 
« di Ferrara di velluto cremisino. 

« Lunedi 21 detto correranno Barbari Cavalli e 
« Cavalle unitamente, al palio movo di broccato 
« incarnato et oro. 

« Martedì 22 detto ultimo di Carnevale corre- 
« ranno le Bufale al palio di Damasco ere- 
< misino. » 

Nell'editto pubblicato pel carnevale del 1668 sono- 
non solo abolite le cor:-e degli ebrei ma pur anco 
quelle dei somari e delle bufale, con gran van- 
taggio della pubblica incolumità, posta in serio 
pericolo dalla corsa sfrenata di una bestia sel- 
vaggia come la bufala per una strada stretta ed 
affollatissima di popolo. Le cor.?e dei vecchi, dei 
giovani e dei fanciulli erano già cesiate fin dal 
1645, con la qual data trovo stampata la se- 
guente^ notificazione che è l'ultima che ne faccia 
menzione : 

« Lunedi 20 di feb. si correrà il Palio delli He- 
« brei j^econdo il solito. 

« Martedì 21 detto si correrà il Palio di Urbino 
« Barbari, Cavalli e Cavalle mescolatamente. 

« Mercoledì 22 detto il Palio delle Cavalle. 

v< Giovedì 23 detto il Palio dei Giovani e quello- 
« dei Vecchi. 

« Sabato 25 detto il Palio dei Putti. 

« Lunedì 27 detto il Palio dei Barbari. 



108 ETTORB NATALI 



« Martedì 28 detto ultimo giorno di Carnevale, 

< il Palio di Ferrara Barbari, Cavalli et Cavalle 

< mescolatamente, et il Palio di Somari con quello 
^ delle Bufale conforme al solito. » 



4- 



Si è fatto un gran gridare contro la barbarie 
<lel far correre gli ebrei; anche questo per altro 
non mi sembra un argomento per dimostrare che 
fossero in Roma perseguitati, mentre vedemmo es' 
sere allo stesso modo destinati a correre i cristiani, 
non solo giovani o fanciulli, ma, cosa molto più 
inumana, anche i vecchi. La barbarie quindi più 
che ad odio contro gli ebrei va imputata ai feroci 
costumi di quei tempi semi-selvaggi. 

Nello stesso chirografo di Clemente IX furono 

•egualmente esonerati dall'obbligo « che il primo lu- 

« nedi di carnevale i loro fattori con ruboni accom- 

< pagnati da molti ebrei precedessero a piedi la 
-« Cavalcata solita farsi dalli magistrati della Città 

< di Campidoglio per tutto il Corso. » 

Molti storici estesamente parlano dell'origine e 
delle controversie cui dette luogo la cerimonia 
dell'omaggio che i principali del Ghetto furono te- 
nuti a presentare ai rappresentanti del popolo ro- 
mano. Il rabbino prostrato innanzi ai Conserva- 
tori doveva dire: « Con sensi di viva osservanza 
« e devozione , noi rabbino e fattori di questa 
« misera Università degli ebrei ci presentiamo 
-« avanti l'alto Trono delle EE. W. a prestargli 



IL GHETTO DI ROMA ]0^ 

« riverentemente in nome di essa Università umile^ 
« ossequio ed omaggio col pregarli a compatirci 
« de' loro benigni sguardi, che non si mancherà 
« dal nostro ceto implorare Y Altissimo, per la 
« lunga tranquillità e quiete del Sommo Pontefice 
« felicemente Regnante, e della S. Sede apostolica 
« unita alle EE. VV. ed a tutto l'inclito Senato 
« e Popolo Romano. » 

Il rabbino ed i fattori nel presentarsi iniianzt 
al magistrato romano, nelle ore pomeridiane del 
primo sabato di carnevale, dovevano porsi in gi- 
nocchio sul primo gradino del trono, ed, avutone 
il permesso, incominciavano il discorso surripor- 
tato stando in piedi e col capo chino. 

Dal primo dei conservatori, che rimaneva se- 
duto, rispondevasi nei seguenti termini : 

«Accettiamo benvolentieri l'omaggio, fedeltà, 
« soggezione, ed ossequio che voi, a [nome di tutto 
« il ceto ed Università degli ebrei rinnovate aVno- 
€ stro magistrato romano, e siccome non vogliamo 
« dubitare che sarete sempre per ubbidire al prin- 
<{ cipe , ed adempire alla sua legge, ed eseguire 
« gli ordini di questo sacro Senato, pagando il so- 
« lito tributo e dazio dovuto in conformità delle 
« tabelle di questa nostra Camera capitolina, cosi 
« di buon animo vi concediamo la nostra prote- 
« zione ed assistenza, con fiducia che sempre ve 
« ne mostrerete degni. Andate, » 

In sul principio, al pronunziare la parola andate- 
il magistrato romano faceva atto di dare un calcio 
alla rappresentanza del Ghetto, ma al cominciare 
del secolo si smise l'uso del calcio, e quindi non 
si pronunciò più la parola andate. 

Nel palazzo dei Conservatori la sala nella quale- 



110 ETTORE NATALI 



gli ebrei dovevano prestare l'omaggio era quella 
•detta del trono. Il cav. Pompili Olivieri, che come 
segretario del Senato ha assistito più di una volta 
alla cerimonia dell'omaggio, ci dà alcuni ricordi 
concernenti l'addobbo della gran sala del trono 
èenatoriale. I tre conservatori, ed il priore dei 
capo rioni prendevano posto sopra seggioloni ri- 
coperti di velluto ponsò ; il trono era elevato da 
.terra di tre gradini. Alla destra dei conservatori 
tenevasi, su di uno sgabello situato più basso, 
4'avvocato fiscale di Campidoglio vestito di tòga 
ne. a e con il capo ricoperto dal berrettone dotto- 
rale a quattro pizzi. 

Qualche volta, specialmente dopo il 1808, l'omag- 
gio fu duplicato cioè cominciò a prestarsi con le 
stesse formalità e nello stesso giorno avanti ai 
Conservatori ed avanti al Senatore: sicché i po- 
veri deputati della Comunità israelitica dovevano 
traversare la piazza del Campidoglio per recarsi 
dal palazzo Senatorio a quello dei Conservatori. 
S'immaginano facilmente i lazzi e lo contumelie 
onde erano gratificati dal volgo che in folla si re- 
cava sullo storico colle, precisamente per beffeg- 
giare gli ebrei che dovevano in queir occasione 
vestire un ridicolo costume di prammatica. 

Nel 1827, sempre secondo il diligentissimo Mo- 
randi, i deputati del Ghetto poterono prestare 
l'omaggio vestiti in abito usuale, e quindi ot- 
tennero che invece di una sola deputazione ne 
venissero due, per prestare l'omaggio contempo- 
raneamente, una al Senatore, l'altra ai Conserva- 
tori, ed evitare cosi le ingiurie ed i maltrattamenti 
ai quali erano fatti segno dal popolino che affolla- 
vasi sul loro passaggio in piazza del Campidoglio. 



ni ROMA 113 

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' Oirolanio Rusticucci nel 1592 pub- 

.■• in cui era detto: «Poiché Tespe- 

:h'»<trato, che li luoghi già assegnati in 

1' r.. librarvi le meretrici et donne diso- 

:i sono capaci, si dispone di aumentarne 

hninità israelitica doveva pertanto con gran 

arrngliere tutte quelle calamità per le quali 

•"naie veniva sospeso. E le occasioni per ve- 

. :nn facciano difetto : cosi quando un papa mo- 

i all'appressarsi delle feste carnevalesche, que- 

8 — E. Natala II Ghetto di Roma, 



112 ETTORE NATALI 

i fattori presentavano al Senatore una cambiale 
di scudi venti entro un mazzo di fiori, perchè 
erano stati esonerati dall'obbligo di parare i palchi. 
Nelle corse, ed allorché si presentavano in- 
nanzi al Senatore, gli ebrei dovevano portare il 
capo coperto dal berretto giallo, colore abborrito, 
che l'antica legge romana aveva imposto, in segno 
di obbrobrio, alle meretrici le quali dovevano rico- 
prirsi di un velo giallo e tingersi di giallo i capelli. 



^ 



Dopo la ristaurcgfione del governo pontificio,, 
cioè dal 1815. il rabbino ed i fattori, nel presen- 
tare l'omaggio dovevano vestire di nero, con cal- 
zoni corti, feraioUetto dietro il vestito, fibbie alle 
scarpe, e collare avente due piccole liste di tela 
bianca cadenti sul petto, e che il volgo chiamava 
hracvuole. 

Era inoltre rigorosamente vietato agli ebrei ^ 
anche in ciò posti alla pari con le cortigiane , di 
andare in maschera pel Corso durante il carne- 
vale. Se qualcuno , malgrado il divieto , era sor- 
preso mascherato , era preso ed immediatamente 
frustato a sangue innanzi al popolo , che andava 
in brodo di giuggiole alla vista di questa giustizia 
speciale. Il boia doveva star sempre pronto presso 
piazza di Spagna, nel luogo che ancora il popolo 
chiama via del Cavalletto, per frustare gli ebrei 
e le cortigiane che i birri avessero sorpreso nei 
pubblici divertimenti. Per ogni persona cui sommi- 



IL GHETTO DI ROMA 113 



nistrava la caritatevole correzione della frusta, il 
boia aveva diritto ad un compenso di baiocchi cin- 

• 

quantacinque (poco meno di tre lire). Non era caro f 

Vari punti del Corso erano designati per punire 
i trasgressori delle grida^ con la pena della corda, 
che ora era somministrata a tratti^ ora a campa- 
nella^ a piacere del bargello. Il castigo era dato 
alla vista del pubblico qualche minuto prima della 
corsa; i prelati, la nobiltà, i membri del corpo 
diplomatico non potevano, qualunque reato avessero 
commesso, essere sottoposti alla mortificazione della 
pubblica corda, o delle nerbate. 

La frustatura delle cortigiane e degli ebrei, sor- 
presi nel Corso in spregio del divieto, era una delle 
parti più divertenti dello spettacolo carnevalesco. 
Del resto , le feste si inauguravano per solito con 
l'esecuzione di condannati ed i più famosi malfat- 
tori erano mantenuti in carcere fino al primo 
giorno di carnevale ; in quello venivano tratti a 
piazza del Popolo , e quivi squartati o mazzolati se- 
condo Fuso dei tempi. 

Né si creda che le cortigiane facessero difetto 
nella Roma dei papi . Vi pullulavano in tal numero, 
che il cardinale Girolamo Rusticucci nel 1592 pub- 
blicò un bando in cui era detto : « Poiché l' espe- 
« rienza ha mostrato, che li luoghi già assegnati in 
« Roma per tollerarvi le meretrici et donne diso- 
« neste non sono capaci, si dispone di aumentarne 
« lo spazio )>. 

La comunità israelitica doveva pertanto con gran 
giubilo accogliere tutte quelle calamità per le quali 
il carnevale veniva sospeso. E le occasioni per ve- 
rità non facevano difetto : cosi quando un papa mo- 
riva all'appressarsi delle feste carnevalesche, que- 

8 — E. Natalt, /{ Ghetto di Roma. 



114 ETTORE NATALI 



ste venivano interdette , come accadde nel 1740, 
allorché mori Benedetto XIV, e nel 1829 per la 
morte di Leone XII. Tale proibizione fu pretesto 
ad una delle tante satire, o pasquinate, pubblicate 
quando mori quel pontefice, ultimo grande perse- 
cutore degli ebrei. La pasquinata diceva; 



Tre dispetti ci feste, o Padre S«uto : 
Accettare il papato, viver tantOi 
Morir di carneval per esser pianto. 



I divertimenti carnevaleschi erano pur anco proi- 
biti negli anni santi, ossia negli anni del giubileo 
ordinario ed allorquando al papa piaceva di pro- 
mulgare un giubileo speciale, come nell'anno 1703. 
La severità delle penitenze si volle in quell'anno 
far giungere a tale, che il vicario cardinale Gas- 
paro di Carpegua non solo proibì le feste carneva- 
lesche, ma dal 21 gennaio al 4 febbraio mise 
cinquanta scudi di multa a chi andava dalle cor- 
tigiane, ed a queste se in quei giorni ricevevano 
o andavano da uomini. Si doveva diventar santi 
per forza ! L' obbligo della assoluta astinenza 
dal peccato era imposto in certi giorni dell' anno 
e non solamente in Roma ma anche nelle altre 
città d'Italia, come, ad esempio a Venezia, la * 
città la più libera, nella vita galante, che vi fosse 
nel mondo. Ce ne dà la prova il seguente bando 
pubblicato il 12 dicembre 1438: 

«... che mo in avanti alguna meretrice sia 
« de che condition se voia non ardissa ne presuma 
« per modo alguno overo forma farse tochar de 
« pecado in la vigilia de la Natività de nostro Si- 
4c gnor , el di de la Natività co le do so feste. 



IL GHETTO DI ROMA 115 



<c tuta r edomata santa col di de la resurection 
« gloriosa et le sue feste, et eziandio tute le ve- 
« zilie et feste de la gloriosa Vergine Maria, soto 
« pena per chadauna fìada che contrafesse de 
« libr. X de pizzali et scuriade XXV et de star 
« 8 di in prexon ...» 

Alcune altre volte le feste carnevalesche non 
erano permesse per qualche straordinario avveni- 
mento, come, ad esempio, nel 1688 e 1689, anni 
in cui Innocenzo XI le vietò per cagion della guerra, 
contro i turchi, finita sotto le mura di Vienna. 



Agli ebrei, a dir vero, non era concesso spesso di 
potersi dare svago e di prender parte a pub- 
blici privati divertimenti. Ogni anno la Con- 
grega dei Sessanta pubblicava una specie di 
legge suntuaria,' detta Prammatica, per regolare 
la comunità e per impedire che i comunisti si rui- 
nassero con lo spender troppo «con l'esorbitanza di 
pompe o spassi ». 

Ho innanzi agli occhi la Prammatica stabilita 
dalla Congrega dei Sessanta il 28 maggio 1661, 
nella quale sono richiamate in vigore antiche 
disposizioni, e che, su per giù, contiene le pre- 
scrizioni che si riscontrano in alti simili emanati 
o prima o poi. Questa Prammatica del 1€61 è firmata 
da Salvatore Sonatori, rabbino, dai fattori Leone 
lair, Moise Benafer, Samuel quondam Sabato To- 



118 ETTORE NATALI 



desco , e dai deputati RafTaello Velletri , Isach 
quondam Jacobbe Giroso ed Abraham Betarbò. 
All'atto è data forza esecutiva di legge dalla fìrma 
di Ottavio arcivescovo di Patrasso, vice-gerente. 

Trascriverò alcune delle principali disposizioni 
della Prammatica: 

Era proibito far festino, ed il divieto non era 
tòlto che in tre occasioni, e cioè, la prima sera 
che lo sposo andava in casa della sposa; la sera 
della celebrazione delle nozze ; e il giorno di nascita 
del primo maschio. Anche questi festini erano retti 
da norme speciali; cosi proibivasi agli uomini di 
ballare con donne, non consentendosi danze se non 
tra donne e donne ed uomini e uomini. Infine non 
era concesso di servirsi di suonatori cristiani. 

Era lecito il dar pasto ossia radunare altri a 
convito, soltanto la sera delle nozze, e per la cir- 
concisione, nella sola casa del padre del circonciso. 
La Prammatica stabilisce minutamente i rinfreschi, 
i doni , le mercedi , infine tutto ciò che poteva 
occorrere nelle feste e nei conviti permessi. 

Le donne non dovevano andare adorne di gioielli 
e di vesti preziose. Il divieto èra tolto soltanto 
per qualche grande festa. Riguardo agli uomini 
poi, la prescrizione più strana era quella che loro 
proibiva di vestire calzoni o casacche nuove. 

A dar forza di legge alla Prammatica ^eA^ assi- 
curarne viemmeglio l'esecuzione, il rabbino commi- 
nava la scomunica ai trasgressori, ed i fattori, che 
non avevano giurisdizione alcuna penale, erano in 
obbligo di denunciare ogni mancanza al tribunale 
del vicariato per l'applicazione dei castighi cor- 
porali. 

Gli ebrei, che prima erano sotto lo imperio del 



IL GHETTO DI ROMA 119 



Senato romano, passarono negli ultimi due secoli 
sotto quello del cardinale Vicario in Roma, e nelle 
altre città alla dipendenza delle rispettive curie 
vescovili. Il Senato Romano si difese un pezzo, 
come mi riservo di narrare diffusamente in se- 
guito, prima di cedere ài Vicario di Roma la giu- 
risdizione sugli ebrei, ma dovette finire coll*obbe- 
dire agli ordini del papa. Il cardinale Vicario non 
solo aveva speciale giurisdizione sugli ebrei , ma 
pur anco sui preti, sulle monache, sulle meretrici, 
ed all'uopo assoldava sbirraglia che ne eseguiva 
gli ordini e sopraintendeva all' osservanza dei de- 
creti da lui emanati. 



■^ 



Né soltanto nelle pubbliche feste gli ebrei erano 
malmenati, ma il popolo se ne serviva sempre 
come di zimbello. Seguiva spesso che alcuno di 
questi disgraziati venisse preso a scherno, colpito 
con pugni, bersagliato con frutta fradicie dai mo- 
nelli, e ciò sotto gli occhi degli stessi birri, che 
aizzavano la plebaglia. In alcune epoche dell'anno 
le persecuzioni e le vessazioni si facevano più 
gravi : cosi durante la settimana di Passione. Al- 
lora i cristiani, esaltati dalle prediche e dal lutto 
della Chiesa, prendevano a colpi di pietra ed a 
bastonate qualunque individuo del popolo vicino si 
attentasse di uscire dal Ghetto. Né solo il popolino 
era della partita, ma gli stessi ricchi ed i nobili non 
avevano ritegno, anche in tempi recenti, d'inveire 
contro gli ebrei. Era divenuto famoso, verso la 



120 ETTOiiE NATALI 



metà del secolo passato , il marchese del Grillo, 
che divertivasi a bagnare gli ebrei con acqua bol- 
lente, a gettarli dalle finestre, e ad inventare tutti 
i giorni qualche nuovo scherzo di simil genere per 
perseguitarli in ogni maniera. Le cose giunsero al 
punto che monsignor governatore di Roma dovette 
immischiarsene, chiamare l'ineducato marchese, 
ammonirlo a smettere e a lasciare in pace quei di- 
sgraziati. Soltanto, perchè il patrizio era potente 
ed il prelato non voleva farselo nemico, nel conge- 
darlo gli disse : « Se vuole, per svago, le permetto 
di tirare ai giudii un qualche frutto. » Il Del 
Grillo non volle sentire altro; corse in casa, si mise 
alla finestra e principiò a colpire gli ebrei, che 
passavano, con delle grosse pigne. Per tal modo 
né feri parecchi, e non si potè accusarlo di aver 
trasgredito agli ordini di monsignor governatore. 
Baldassarre Castiglione, nei dialoghi del Corti- 
giano, riporta una burletta carnevalesca che messer 
Bernardo Dovizi da Bibbiena fece ad un ebreo. 
Eccone le parole : « io, essendo maschera, conobbi 
« al segno rosso che innanzi al petto avea esser 
« giudeo, giudicai aver trovato la mia ventura, e 
« subito gli corsi incontro come un famelico falcone 
« alla preda..., mostrai di conoscerlo^ e con molte 
<s parole cominciai ad indurlo a credere che il Bar- 
« gello l'andava cercando per alcune male informa- 
i « zioni che di lui s'erano avute, e confortarlo che 

« venisse meco insino alla Cancelleria, ch'io quivi 
« lo salverei. Il giudeo pauroso, e tutto tr<*mante, 
« pareva non sapesse che si fare... Io, pur fa- 
« cendogli animo, gli dissi tanto che mi montò di 
« groppa, e allora mi parve di aver a pieno compito 
^ il mio disegno, corsi subito a rimettere il cavallo 



IL GHETTO DI ROMA 121 



« per Banchi, il quale andava saltellando e tirando 
«calci.. Con questo bello spettacolo cominciarono 
« quei signori a tirarci uova dalle finestre, e io gri- 
« dava che quel che mi erain groppaera giudeo, onde 
4C s'udì subito una popolaresca voce che diceva : 
^ dagli, dagli che è giudeo, e poi tutti i banchieri 
« e quante persone v'erano, di modo che non con 
« maggior impeto cadde dal cielo mai la grandine 
« come da quelle finestre cadevano le uova. » 

L'AdemolIo ritiene che lo scherzo narrato dal 
^IJastiglione fosse fatto dal Bibbiena ad un frate e 
non ad un ebreo. 

Si schernivano gli ebrei anche sulla scena dei 
teatri, ed infatti nel 1778 gli impresari del teatro 
Pallacorda ebbero il permesso di rappresentarvi 
la Oiudiata. 

L'USO delle Giudiate non si è smesso se non 
recentemente, ed io stesso ricordo di aver assistito 
ad uno di questi spettacoli nel 1864 nella pieve di 
un villaggio presso Bracciano. Il buon curato 
di quella pieve credette di aver ammanito un 
gradito spettacolo per intrattenere i suoi amici 
il giovedì di carnevale facendo rappresentare dai 
suoi parrocchiani una disputa con un ebreo, il 
quale naturalmente era coperto di vituperi e la 
rappresentazione finiva col fingere che l'ebreo ve- 
nisse sbranato dai lupi. 

È vero che nei tempi andati non si guardava 
troppo pel sottile , in fatto di scherzi , nemmeno 
trattandosi di cristiani. Una volta, infatti, Giovan . 
Pietro Caffarelli fece una burletta così narrata da 
Teodoro Amidenio : « La state , quando vengono 
« a Roma li contadini al mietere , fanno capo in 
éik quantità grande a piazze Montanara ed Aracoeli. 



122 ETTORE NATALI 

« Si pongono a dormire sopra a questa scala alta 
« di molti scalini. Di notte il Caffarelli fece chiudere 
4( in una botte quantità di sassi, e poi lasciolla pre- 
« cipitare giù per le scale, per spaventare quei con- 
« tadini svegliati dall'improvviso strepito. E non 
« solo li spaventò, ma ne stroppiò alcuni. Il rigor 
« di papa Clemente Vili si mitigò in quella occa- 
« sione. » 

Si potrebbero scrivere molti volumi sulla crudeltà 
di certe burle solite a farsi non solo ai tempi rozzi 
dell'età di mezzo, ma in altri assai prossimi a noi. 
Per non uscir troppo dall'argomento, mi limiterò a 
riportarne un'altra soltanto. 

L'AdemoUo, togliendola dal Valesio, narra di 
una, assai curiosa, fatta ai romani la notte della 
domenica 4 febbraio 1703. A seguito di una stra- 
ordinaria inondazione del Tevere e di varie scosse 
di terremoto, furono proibiti i divertimenti carne- 
valeschi. Alcuni buontemponi, forse anche alcuni 
ladri, sparsero la voce che la madonna era ap- 
parsa al papa (Clemente XI , Albani) ed avealo 
avvisato che doveva , per il terremoto , tutta la 
città inabissarsi. « Essendo bussate le porte delle 
« case di tutti, si vidde ad un tratto la città ripiena 
« di confusione e di spavento. Miserabile cosa era 
« il veder fuggire le donne quasi nude, et alcune 
« totalmente nude, et altre con la sola camicia nel 
« mezzo di una notte freddissima, e correre verso 
« le piazze più grandi della città ; non si sentivano 
« che urli e pianti, et cantare di letanie, et altre 
« orazioni. Né solo il timore fa nelle persone di 
« bassa condizione, ma principi e principesse fug- 
« girono, similmente nudi e mezzo vestiti. » Ci voile 
del bello e del buono ai sbirri ed ai soldati per 



fv 



IL GHETTO DI RO)IÀ 123 

persuadere tutti quanti a tornarsene alle loro case. 
Alcuni cronisti dell'epoca dicono che il timore si 
propagò per opera- del diavolo; altri, più sensato^ 
sostiene che fu una trovata di qualche bell'umore 
per vendicarsi della mancanza del carnevale. 



^ 



Gli storici, e la tradizione popolare, narrano di 
migliaia di scherzi, tutti di cattivò genere, dei 
quali quasi sempre furono vittime gli ebrei e du- 
rante le feste del carnevale, e nelle altre epoche 
dell'anno. Per non tediare il lettore con raccontr 
troppo lunghi mi limiterò a riportare qui alcuna 
delle satire o delle burle più curiose e più piccanti •^ 

I pescivendi^ venditori di pesce, come quelli che 
meglio li conoscevano, perchè la pescheria stava 
a confine col Ghetto, si distinguevano sempre^ 
nel carnevale per mascherate Intese a berteggiare 
gli israeliti. Immaginarono, come narra David 
Silvagni, nel carnevale del 1709, e proprio di do- 
menica 9 di febbraio, perchè allora l' uso della 
maschera era permesso anche di domenica, una 
numerosa mascherata rappresentante il trasporto- 
funebre di un rabbino, e il suo seppellimento. La 
mascherata incontrò in guisa tale il pubblico fa- 
vore, che, sebbene gli ebrei ricorressero contro^ 
questa turpitudine, pure il figlio del re Giovanni 
di Polonia, principe Alessandro Sobiescki, il quale 
a quel tempo trovavasi in Roma, ottenne che 
fosse ripetuta ed eseguita sotto le finestre della 
sua abitazione sulla piazza della Trinità dei Monti^ 



-124 ETTORE NATALI 



E tornando per un momento alle prodezze del 
marchese del Grillo contro gli ebrei certa se ne 
racconta che merita di venir piferita. 

Una volta invitò due ebrei in sua casa e mal- 
grado le loro riluttanze, tante e tante furono le insi- 
stenze eie promesse che finirono con l'accettare. 
Li fece cenare e li trattò con gran deferenza, 
poi li fece condurre in una camera sontuosamente 
ammobigliata, con due letti, e li lasciò in libertà 
per la notte. 

I Ietti erano legati in certo modo che furono 
elevati, per mezzo di corde e rotelle, fino al sof- 
fitto, e gli ebrei già addormentati non si accor- 
sero di nulla. 

Nel mezzo della notte fece fare un gran fra- 
casso come se la casa andasse a fuoco. I due, 
svegliati di soprassalto, temendo qualche brutto 
avvenimento si buttarono, per moto istintivo, dal 
letto, e naturalmente si fracassarono le ossa mentre 
il marchese rideva a crepapancia della loro paura 
e delle loro ferite. 

L'eccentricità del marchese Del Grillo, trovò un 
imitatore appassionato in certo signor Giulio For- 
livesi, ricco borghese di Roma. Anche costui ne 
invitò alcuni cui dette lauto trattamento, e quindi 
li invitò a ballare. Gli ebrei malgrado le insistenti 
premure si rifiutarono perchè rimpinzati di cibo 
tanto da non potersi muovere. Allora il Forlivesi, 
fingendo di contentarsi, l'invitò a visitare le sale 
del suo appartamento, pregandoli a togliersi le 
scarpe perchè non sciupassero i ricchi tappeti dei 
-quali diceva adorne le sue sale. Ma i malcapitati 
furono invece fatti entrare in un gabinetto, ap- 
positamente costruito , col pavimento di lastre 



IL GHETTO DI ROMA 125- 

metalliche , e quivi improvvisamente rinchiusi. 
Allora i servi del Forlivesi cominciarono ad ac- 
cendere, [sotto le lastre delle grandi cataste di 
legna. Man mano che il metallo s'infocava, senti- 
vansi, i poveretti, bruciare le piante dei piedi onde 
tanto più saltavano quanto più il calore facevasi 
intenso. Intanto il Forlivesi con alcuni amici godeva 
dello spettacolo da alcuni spiragli aperti nella parete 
e rideva, rideva, ai versacci e alle smorfie cui il 
dolore li obbligava; furono tratti mezzo morti da 
quel forno e ringraziati per il ballo strano col qual& 
avevano divertito l'ospite poco garbato. 

Dello stesso Forlivesi altre se ne raccontano, ma 
per non andare troppo per le lunghe mi limiterò 
a trascriverne un'ultima che, più che burla, i fran- 
cesi direbbero guet-apens. 

Forlivesi dichiarò un giorno di voler vendere il 
suo palazzo con tutti i mobili. Quando glie se ne 
chiedeva il prezzo, rispondeva : unpapetto (22 soldi).. 

Un ebreo più sciocco degli 'altri gli credette. E 
fu firmato il contratto nel quale il Forlivesi si 
obbligava di vendergli il palazzo a un papetto, 
purché avesse comprato anche tutti gli altri mo- 
bili pagando ogni oggetto, fosse di valore o no, 
pure un papetto. 

Era un doppio affare per l'ebreo perchè veniva 
cosi a comprare per un papetto mobili di pregio 
e prezzo immenso. 

Ma quale fu la sua delusione quando, sceso 
nelle cantine, trovò un numero infinito di botti 
piene di spilli e chiodi piccolissimi ! Ve ne erano 
a milioni e gli conveniva sborsare, secondo il con- 
tratto, un papetto per ogni spillo e per ogni 
chiodo. 



120 ETTORE NATALI 



E finirò con gU aneddoti riportandone uno che 
ancora corre nella tradizione popolare. 

C'era in Roma un ebreo, certo Graziano, ric- 
<;hissinio. Egli faceva grandi sciupii di roba e di 
danari e si burlava della munificenza del patri- 
ziato romano. 

Il conte Viscardi gli dis?e un giorno ch'egli 
avrebbe volentieri scommesso non so che somma 
con lui se egli giungeva a fare un pranzo di tanto 
prezzo di quanto egli lo avrebbe fatto. L'ebreo 
accettò e spese moltissimo in vivande credendo 
■d'aver fatto il più che fosse possibile. 

Ma il conte Viscardi, alla sua presenza, fece 
portare un paio d'uova, le ruppe nel tegame ; poi, 
portato un pacco di cedole da mille scudi (luoghi 
di monte) con essi cosse le uova. E l'ebreo pei*- 
■dette la scommessa. 



4- 



Nel porre termine a questo secondo articolo vo- 
glio dire di un altro non ambito privilegio di cui 
gli ebrei godevano nella Roma del medio evo. 

L'opera del carnefice era qui sempre generosa- 
mente pagata. Diversa era la mercede , secondo 
i diversi supplizii che era chiamato ad infliggere. 
Se uccideva troncando il capo o strozzando, cinque 
soldi provisini : le accecature di un occhio dodici 
danari,, se di due il doppio: qìiando caecant duo- 
decim danarios prò uno quoque oculo, quando truu' 
-cani aliquod membrum similiter. Tutte queste pro- 
pine erano raddoppiate quando il carnefice doveva 
insozzare le nobili mani nel sangue di un circon- 



1!, GHETTO DI UOMA 187 



ciso. Un soldo provisino del secolo duodecimo aveva 
il valore di sei soldi moderni. Per aver un'idea del 
valore della moneta d'allora basta ricordare che, 
nel 1195, il grano si pagava quattro soldi provisini 
il quartale, ossia il rubbio , e se i some di buon 
vino, cioè dodici barili, valevano trenta soldi pro- 
visini. La moneta nei secoli duodecimo e tredicesimo 
era tanto rara e stava in cosi alto pregio che i 
giudei, i quali sempre han fatto l'arte del prestarne, 
la davano con tale profìtto che in meno di due 
anni raddoppiavano la somma data, e ciò nella 
prestanza contro pegno. 

Non era certo questo mestiere da renderli 
ben visi ai cristiani. È da notarsi però che pei 
supplizi degli ebrei qualche volta si risparmiava la 
spesa del carnefice, perchè perfino dei baroni e de^ 
cavalieri si offrivano a compiiere l'odiosa bisogna 
per ottenere da Dio la remissione dei peccati ; e si 
ripeteva alcune volte anche in Roma il fatto, narrato 
da Montesquieu, di un giudeo che accusato di be- 
stemmia contro la Madonna, e condannato ad essere 
scorticato, venne da gentiluomini, con la maschera 
sul volto, giustiziato. Costoro montarono sul palco, 
e ne cacciarono il carnefice, sicuri con ciò di aver 
ottenuto benemerenza presso Dio, e di aver meri- 
tato la remissione dei loro peccati. 

Né soltanto nel medio evo gli ebrei furono ingiu- 
stamente sottoposti ai supplizii. Tutti ricordano che 
Leone XII, emulo di Paolo IV e di Pio V nel per- 
seguitarli, appena assunto al pontificato fece con- 
dannare al supplizio del cavalletto, ed esporre alla 
berlina sulla, piazza di San Carlo a Catinari, un 
disgraziato merciaiuolo ebreo imputato di aver pro- 
ferito bestemmia. La sentenza, perchè fosse più 



nosa ai correligionari del condannalo, tu esepiitaW 
giorno in cui ricorre il Pvrim, o carnevale israe- 
litico, festa istituita anticamente a ricordare che \a 
bellezza di Ester salvò un tempo gli ebrei dalia i 

strage che Aman voleva menafne. \ 

La berlina era pena ,che si infliggeva distro \ 

ordine del Governatore di Roma , o del Cardinal ' 

Vicario, con la formula ducatur mitratus per urhtm. \ 

Il castigo di tal fatta rimonta a tempi assai remoti. \ 

Vi é un decreto, riportato dal Fabretti, dell'anti- \ 

papa Anacleto del 1131, che minaccia la pena \ 

della berlina a certi contravventori di leggi sun- 
tuarie ; ut in assella retrorsuTn sedeat, et caudam, fn 
man» feneat. Già. a que-ia pena era stato sottoposto, 
nel 067, Pietro prefetto di Roma, per ordine del- 
l'imperatore Ottone 1. Beatrice, moglie di Federico 
imperatore, presa a Milano dal popolo ammutinato, 
fu fatta girare per le strade seduta a cavallo di un 
asino, con la faccia rivolta verso la coda. L'impe- 
ratore, sdegnato per l'atroce sfregio, minacciò l'ul- 
timo esterminio dei milanesi, i quali, narra il Can- 
cellieri , non poterono salvar !a vita che sotto la 
condizione la più umiliante , dì dover tutti cavar 
coi denti un fico dal deretano di quello stesso asino, » 

sopra de! quale era stata collocata l'imperatrice. 

Dalla Giustieia a Roma deli'Ademollo traggo 
quel brano che riguaida l'esecuzione capitale di 
due ebrei che erano stati condannati a morte, e 
furono impiccati. Notisi che quando si doveva ese- 
guire giustizia contro gli ebrei dovevansi prendere 
straordinarie precauzioni per impedire al popolo 
di uccidere i condannati prima che arrivassero 
al patibolo. 11 diligentissimo Ademollo ha tratto 
le notizie, da me qui sotto riportate, da un diario 



IL GHETTO DI ROMA 129 



inidito di P. 0. Ghezzi che come confratello de- 
gli Agonizzanti aveva assistito a circa trecento ese- 
cuzioni capitali. 

La arcicon fraternità degli Agonizzanti aveva 
l'abitudine di promuovere preci e di esporre il 
Sacramento ogni volta che doveva aver luogo una 
esecuzione capitale. Quando i condannati passa- 
vano avanti la chiesa dell' arciconfraternita dove- 
vano fermarsi ivi per adorare il Sacramento esposto. 
Ck)si la vita e l'agonia del corpo venivano loro un 
poco prolungate a beneficio dell'anima! 

Ma senz'altro ecco le parole del Ghezzi : 

« Sabato 24 novembre 1736. 

« Abramo figlio d'Isacco Galvano e Angelo quon- 
« dam Rubino dell'Ariccia, ebrei romani, impiccati 
4( di mattina a Ponte S. Angelo per scasso botteghe 
« in Ghetto. Furono condotti nella carretta come gli 
« altri, ma li Confortatori, ch'erano con li Pazienti 
« non avevano la Tavoletta per mostrargliela, ma 
« bensì la tenevano nascosta quando ci fosse stata 
« apertura di conversione, perchè questi disgraziati 
« non volessero mai convertirsi, con tutto che fos- 
« sero stati adoprati tutti li mezzi possibili, e di 
« Orazione di Religiosi ; anzi facevansi vedere molto 
« allegri e baldanzosi ; ma perchè si temeva di qual- 
« che sollevazione per la moltitudine del popolo che 
« vi accorse, che credo non vi fosse alcuno che non 
« li vedesse, furono posti Quartieri di soldati uno a 
« S. Giovanni de' Fiorentini, uno a Tordinona, ed 
« uno in Panico ed altri al Banco di S. Spirito. 

« La nostra Compagnia fece la solita esposizione, 
€ ma con preci diverse del solito approvate tutte con 
« il sistema da tenersi dall' Eminentissimo Vicario, 
« anche ne' Bollettini. Seguita la giustizia, fu data al 

— E. Natali, Il Oheto di Roma, 



130 ETTORE NATALI 



« solito la Benedizione con il Tantum ergo sola— 
« mente. Le messe furono dette dello Spirito Santo, 
« e non si fece la Cerca, né la Compagnia della Mi- 
« sericordia cantava le Litanie conforme il solito, 
« ma dicevano il Rosario sotto voce con la Corona 
« in mano. Poco dopo affocati, il Bota tagliò il cape- 
« stro, e l'Aiutante non li fece andare in terra di 
« schioppo, e /urono tirati verso la Confortaria nel 
« luogo dove sogliono star le forche e li gli fu le- 
« vato le manette con li capestri, furono messi den- 
« tro una saccoccia, e consegnati al Mandataro della 
« Compagnia che. li portasse a S. Giovanni Decol- 
« lato ; li corpi poi furono portati sopra una carretta 
« dagli Ebrei sino all' Ortaccio con compagnia di 
« Sbirri alle 23 di notte. » 

Questa, e ciò torna ad onore degli israeliti, è la 
sola esecuzione capitale eseguita contro gli ebrei 
negli ultimi due secoli, e si che a condannare a 
morte non si andava a rilento, bastando Tesser con- 
vinto di aver fatto una composizione satirica con- 
tro il principato! 

Mentre si eseguiva una sentenza di morte il 
Ghetto rimaneva chiuso, ed a nessuno era permesso 
di uscirne, e ciò per precauzione poiché il popolo, ec- 
citato dalla vista del cruento spettacolo, avrebbe 
facilmente ecceduto contro gli ebrei per sfogare 
l'odio pontro la razza. 

Da ultimo, per esaurire questo argomento, deve 
notarsi che gli ebrei non erano ammessi al privi- 
legio della liberazione dal carcere ed alla grazia 
della pena di morte, che potevano fare molte con- 
fraternite di Roma. Ogni anno le confraternite, 
cosi privilegiate, si adunavano e procedevano alla 
liberazione di un qualche assassino che conduce-- 



^r^ 



IL GHETTO DI ROMA 131 

vano per le vie di Roma coronato dlilloro a guisa 
di un trionfatore. In sul principio i sodalizi che 
godevano di questo privilegio erano 15, ma dopo 
il 1600 divennero 22. Agli ebrei, se condannati, 
era tolta anche questa speranza di liberazione. 



•mtnbrlti d>l Ohett 



Vorrei possedere lo stile , dai colepi smaglianti, 
col quale Edmondo De Amicis descrisse i paesi da 
lui visitati in Oriente, perchè ora mi propongo di 
parlare della donna ebrea ; ma mi conforta nella 
mia pochezza, il pensiero che l'argomento, ristretto 
al Ghetto di Roma, è assai meno poetico di quanto 
possa sembrare ; onde se pur lo sapessi non mi rie- 
scirebbe a lumeggiarlo con i colori vivi di una ta- 
volozza da artista. Non si tratta qui — pur troppo 
bisogna confessarlo — di quella poetica e volut- 
tuosa visione dinanzi alla quale siamo rimasti am- 
mirati leggendo i canti di Salomone -. non di quelle 
dorme che furono cantale da tutti i poeti dai tempi 
più remoti fino ai nostri giorni ; di quelle donne che 
Shakspeare disse « le più belle che l'umanità abbia 
mai viste » ; dinanzi alle quali Voltaire, ammaliato 



134 ETTORE NATALI 



da tanta bellezza, esclamava: « Oh, le giudee! 
che splendida riproduzione della loro madre Eva!» 
che feciero scrivere ad Heine, il più grande poeta 
semita dei nostri giorni : « La religione cristiana 
«avrà grandi pregi, ma che superbe donne nel- 
« l'ebraismo !» ; e sospirare al Fleury : « Vi sarà 
«chi osi non desiderare l'inferno se è vero che il 
«paradiso sia chiuso alle dolci figlie di Abramo?» 

Le donne ebree di Roma sono un'altra cosa, e 
non volle certo indirizzarsi a queste il Mante- 
gazza quando con frase calda di ammirazione e 
di sentimento scriveva : « dolci figlie di Sara 
«dagli occhi vellutati, dalle labbra pubescenti e 
« dalla pelle di alabastro, o care e voluttuose figlie 
« di Rebecca ! » Qui da noi — pur troppo bisogna 
convenirne — i segni della degradazione della 
razza apparvero specialmente sul volto delle donne. 
È vero che anche nel Ghetto romano veniva fatto 
alcune volte di dover ammirare qualche vaga fan- 
ciulla dal lineamenti soavi e rassegnati, dal volto 
bianco, dai capelli folti, neri, ricciuti, dagli occhi 
pieni di voluttà e di dolcezza. Ma era una eccezione, 
quasi una stonatura; era come un fiore fresco e 
odoroso germogliante su putrido pantano, e, per 
non uscire con le similitudini dal Ghetto stesso, 
la donna ebrea stava alle altre donne come una di 
quelle finestre bifore svelte ed eleganti, avanzo 
delle case dei Boccapaduli, che si ammiravano 
ancora qua e là, alle luride facciate di quelle luri- 
dissime abitazioni'. 

Ben presto la bellezza delle nostre giovani ebree 
si avvizziva in una decrepitezza precoce, il bianco 
della pelle si faceva giallognolo, i capelli si arruf- 
favano, e dal fisico apparivano evidenti i segni del* 



IL GHETTO 01 ROMA 135 



l'avvilimento morale cagionato dall'oppressione e 
dal comune disprezzo. 

Le cause di questo fatto è facile il rintracciarle. 
La precocità dei, matrimoni, ristretti sempre tra 
un numero assai limitato di persone anzi. di pa- 
renti, non valeva certo a rinsanguare ed a rin- 
vigorire la razza. Si aggiunga a ciò la vergognosa 
immondizia nella quale quelle disgraziate nasce- 
vano, crescevano ed erano costrette a vivere. E 
l'insalubrità degli, alloggi? La popolazione del 
Ghetto era accatastata, ammucchiata in case alle 
quali nessuno mai faceva una riparazione ; man- 
cava d'aria e di luce, ma non mancava di malsane 
emanazioni e di umidità dovute all'acqua che 
pioveva dai tetti sconnessi o che vi lasciava il 
Tevere nelle sue frequenti visite, essendo il Ghetto 
situato nel punto più basso di Roma. 

Si noti che ogni abitante, del Ghetto occupava 
in media meno di due metri quadrati di spazio, 
addensamento massimo e mai raggiunto in nes- 
sun'altra contrada dalla popolazione di Roma. 

Ma non vuo' descrivere il Ghetto con le mie pa- 
role e prendo all'uopo in prestito la dipintura che 
ne fece Massimo d'Azeglio nel ricordato opuscolo 
che pubblicò nel 1848 sxxìV ETìiancipazione degli 
Israeliti : 

«Che cosa sia il Ghetto di Roma lo sanno i 
« romani e coloro che l'hanno veduto. Ma chi non 
« l'ha visitato, sappia che presso il ponte a Quattro 
« Capi s'estende lungo il Tevere un quartiere, o 
« piuttosto un ammasso informe di case è tuguri mal 
« tenuti, peggio riparati e mezzo cadenti, nei quali 
« si stipa una popolazione di 3900 persone, dove 
« invece ne potrebbe capire una metà malve- 



136 ETTOUE KATAI 1 



« lentieri. Le strade strette, immonde, la mancanza 
« d'aria; il sudiciume che è conseguenza inevita- 
« bile dell'agglomerazione forzata di troppa popo- 
ne lazione quasi tutta miserabile, rende quel soggiorno 
« tristo, puzzolente e malsano. Famiglie di quei 
« disgraziati vivono, e più di una per locale, am- 
« mucchiate senza distinzione di sessi, d'età, dì 
■« condizione, di salute, a ogni piano, nelle soffitte 
« e perfino nelle buche sotterranee, che in più fe- 
« liei abitazioni servono di cantine. » 



4. 



Ora, come si poteva egli pretendere di riscontrare^ 
nel volto e nelle fattezze delle donne costrette a 
vivere là dentro la bellezza e l'eleganza tanto de- 
cantate dai poeti e dagli scrittori ? È un vero prodi* 
gio che la razza semitica abbia potuto sopravvivere, 
perchè tutto contribuiva a farla sparire, e sarebbe, 
certo sparita se noi^ fosse stata una razza indub- 
biamente superiore e forte. 

Oggi, peraltro, le cose sono cambiate : il Ghetto- 
sparisce, e le famiglie là rinchiuse possono, anzi 
devono andare a vivere nelle nuove case, più sa- 
lubri perchè almeno non sono prive di aria o di 
luce. Oggi tutte le arti, tutte le industrie possono 
essere esercitate dagli ebrei, e le loro abitazioni 
non saranno più convertite in depositi immondi di 
stracci, come lo furono fino a quando il commer- 
ciare di stracci era il solo mestiere dalla legge loro 
consentito. Né menino lamento coloro che oggi 
vedono demolire dal piccone della civiltà le antiche 



IL GHRTTO DI ROMV 137 



■ed avite dimore. A loro mi rivolgo evocando un 
glorioso ricordo della nostra storia patria. 

Mentre Furio Camillo perorava per persuadere 
il Senato a non rimuovere da Roma la sede del- 
l'imperio , ed il popolo stava trepidando in attesa 
delle decisioni , passava pel Foro una numerosa 
coorte di legionari. Il centurione , rivoltosi air al- 
fiere, gridò, come narra T. Livio : Signiferi statue 
signum^ Me manebiinus optime ! L'insegna fu pian- 
tata. Senato e popolo decisero di non muoversi, e 
intorno a quell'insegna fu rifabbricata la città 
nuova che divenne la prima del mondo. ^ 

Cosi ora gli ebrei, cacciati dal luridume del 
quartiere più malsano della città, si raccolgano 
intorno al vessillo tricolore che sventola e pro- 
tegge e trasforma la Roma moderna, e ripetano, 
col centurione romano e con un grande moderno : 
Hic manebimus optime. Rimangano, come han di- 
visato di fare, e benedicano sempre, come fanno 
ora nelle loro preghiere e nei loro templi, alla 
memoria di tutti i martiri e del Re magnanimo 
<5he li hanno redenti, e che da plebe schernita ed 
oppressa li hanno elevati a fraternità di popolo e 
a dignità di nazione. 

Ora che le donne ebree, alla stessa guisa di tutte 
le altre, sono e figlie e spose e madri rispettabili 
o rispettate, l'igiene, l'operosità, l'uguaglianza dei 
•diritti e dei doveri faranno riapparire anche nel fisico 
i segni della vigoria e della grazia di lor razza an- 
tichissima. E tornerà presto l'ora in cui dovremo 
fermarci ammirati innanzi alla risorta bellezza 
•delle figlie di Sara e di Rachele, e dovremo ri- 
polere col poeta del Cantico de' Cantici: 

< Chi è costei che ascende come fumo dai turi- 



138 ETTORE NATALI 



« boli ! Oh sei pur bella I I capelli tuoi sono come 
« capre pascenti sul monte di Galaad ; i denti tuoi 
« branco di agnelli tosati; la statura eccelsa palma v 
« le gote spicchi di melagrana ; il petto è simile «u 
« due cavriuoli pascenti tra i gigli. » 



•*- 



Qui vuole giustizia che mi soffermi alquanto ar 
considerare se le cagioni del decadimento fisico, 
di cui tenni fin qui parola, furono solo quelle che 
ho accennato. Ve ne ha qualcun' altra — dicasi 
a lode del vero — che deve ricercarsi nei lora 
costumi e nella loro vita, come, ad esempio, l'as- 
soluta avversione che ebbero per molti secoli ai 
mestieri più laboriosi e faticosi, ed al poco conto 
nel quale dall' ebreo stesso era tenuta la donna. 
/ - Per l'ebreo non era dessa quell' essere ideale 

che a tutti gli spiriti eletti ha schiuso gli orizzonti^ 
dell'arte. Il popolo, che pure ha il più grande poema 
umano, la Bibbia, non ebbe mai per la donna quel 
sentimento delicato, puro, di cui la circondarono i 
barberi della Germania, i poeti del trecento e gli 
artisti del Rinascimento, e nella poesia ebraica, 
quando si parla di donne, non si guarda alla loro 
onestà ma alla procace bellezza, come, ad esem- 
pio, nel Cantico de* Cantici, l'idillio per eccellenza, 
attribuito a Salomone, ove la Sunamite con imagini 
da nessuna lingua possedute chiama il suo amante : 
« Il diletto mio, se noi conoscete, è bianco e rosato, 
< si discerne fra mille ; oro eletto il suo capo ; nere 
« come corvo le chiome, e ritorte come palme ; gli 



IL GHETTO DI ROMA 139^ 



« occhi quali di colombe candidissime ; le guancie 
« quasi vasi di profumo; le labbra gigli che span- 
« dono la prima fragranza; è bello come il Libano, 
« eletto come il cedro. Tal è il mio diletto, ed 
« egli mi ama ^. 

Né fu la purezza dell'amore che rese- celebri 
quelle poche grandi figure di donna immortalate 
nel poema ebraico , come Giuditta e Debora. Non 
è la castità dei costumi, non l'amore disinteressato 
che han fatto di loro due eroine; chò anzi esse, 
per servire la patria , usarono della bellezza , 
onde natura le aveva fatte ricche, in ciò molto 
diverse per dignità e purità dalle eroine del cri- 
stianesimo. Infatti nessun esempio simile dette 
alcuna delle tante sante di cui è pieno il nostro 
cielo cristiano, e gli stessi pagani ebbero della donna 
un' altra idea, e per essa un culto ben diverso. E 
si che nelle sue fonti più pure la religione , quale 
fu rivelata da Mosè, imponeva di abominare il pec- 
cato contro natura, di escludere la meretrice dalle 
figlie d'Israele, di condannare l'adultera, e di pro- 
scrivere perfino il desiderio della donna altrui ! — 
strano contrasto con la vita menata dai re d'Israello 
i più santi ed i più saggi, quali furono David e 
Salomone, che popolarono i loro harem di donne 
scelte fra le più belle egiziane od idumee o moa- 
blte. Se la donna non fu per l'ebreo dei bei tempi, 
per l'ebreo unito in nazione, fonte d'ispirazioni arti- 
stiche, ma istrumento di piacere, divenne addirittura 
più una cosa, che non una compagna per l'ebreo 
cacciato , perseguitato, profugo. Si aggiunga a tutto 
ciò il sentimento di superiorità nell'ebreo, il quale 
sa la donna esclusa dalla più solenne cerimonia 
della sua religione , cioè dalla circoncisione , e- 



J40 ETTORE NATALI 



non si tarderà a comprendere il perchè la donna 
fosse tenuta a vile dagli ebrei, che non volevano 
avesse alcuna parte negli uffici delle sinagoghe, e 
che nelle loro preghiere ogni giorno ringraziavano 
dio di non averli fatti nascere donne. 

« La poesie sémitique - osserva giustamente 
-«Ernesto Renan— nows offrt à peine une page qui 
« aitun charme de sentimentalité, Quand V amour s*y 
« exprime c'est sotts la forme d'une volupté lascive et 
<f< ondante, com.me dans Za Canti- jue des Canti ]ues, 
~« ou S0U8 la forme d*une courtoisie de harem^ camme 
-(a dans les Moultakar ». 

Da ogni pagina della loro storia traspare che 
\a parte assegnata alla donna nel mondo giudaico 
non è in alcun modo conforme alle idee della 
nostra società e del npstro secolo, e nel Talmud 
-è scritto : « La migliore fra le donne è una ma- 
liarda ». Nell'età di mezzo seguiva da noi tra 
le donne ebree quello che ora verificasi negli Stati 
orientali, ove, al dire di tutti i viaggiatori, la 
maggior parte di loro, appartenenti a classi poco 
agiate, song dedite alla prostituzione. Cominciano 
giovanissime V infame mestiere, a dieci anni, ed 
anche più presto, e quando elles ne peuvent plus 
étre marmite elles se font couvercle, A tutte le 
razze oppresse e tenute in ignoranza la facilità 
■della prostituzione , più che una vergogna od un 
•delitto, è un mezzo lecito di procacciare resistenza 
a sé ed alla famiglia. Ammaestri anche in ciò 
la storia di tutti i popoli ed il racconto di tutti i 
viaggiatori : riguardo alle ebree romane basta a 
farne testimonianza lo studio della barbara legi- 
slazione medioevale che equipara in tutto, e spe- 
«cialmente nelle pene, le donne ebree alle meretrici. 



IL GHETTO DI ROMA HI. 



Nella sinagoga, ossia nello stesso tempio cho 
uguaglia tutte le distanze perchè tutto diviene- 
ugualmente piccolo innanzi a Jehovah, la donna 
ebrea era appena tollerata, poiché vi era appena- 
ammessa, ed obbligata a starvi rinchiusa in un- 
sito apposito distinto da quello degli uomini. Ivi 
le donne dovevano rimanere nascoste dietro una- 
sp^ssa inferriata e nel Talmud si dice « Colui cho 
« insegna alla sua figlia la legge santa commetto 
« una colpa come se a lei insegnasse cose inde- 
« centi. » 



-*■ 



Né soltanto nelle cose di religione erano la 
donne . ebree ritenute quasi esseri inferiori ai loro- 
uomini. 

Basta a dimostrarlo leggere le istorie della prosti- 
tuzione in tutti i tempi e presso tutti i popoli. Nei 
tempi nostri pur anco può dirne qualche cosa, come 
ho già fatto notare, chi abbia viaggiato in Oriente. 
Ma per rimanere nella storia delle cose che sono 
successe in Roma dirò che fra le donne ebree la 
prostituzione attechi non meno che altrove nial- 
grado il severo divieto di Mosè, e qui, come 
dappertutto, furono numerosissime le imitatrici di 
Agar e di Betsabea anche perchè, bisogna conve- 
nirne, la donna ebrea ebbe sempre e dapertutto 
tendenza alla vita orientale. 

Samuele Doni nei suoi Avvertimenti agli ebrei 
scrive : 

« Le loro donne hanno perduto persino ogni 
« ombra di fede ed ogni ombra di pudore. Io le ho 



J42 ETTORE NATALI 



<t intese per le vie di Venezia e di Roma mercan- 
«teggiare il prezzo della loro onestà non avendo 
«alcun riguardo a sottoporsi a gente di fede di- 
« versa. » Se il Doni vivesse e venisse ora per le 
vie di Roma in sull'imbrunire vedrebbe che le 
donne d'ogni religione hanno ben progredito, e la 
sua meraviglia scemerebbe di molto. 

Del resto anche nella legislazione si trovano 
traccie numerose dei facili costumi delle donne 
ebree, e molti sono gli editti dell'autorità eccle- 
siastica romana per infrenare il loro mal costume. 
Può citarsi, ad esempio, un bando del 5 agosto 
1712 di Gasparo di Carpegna, cardinale di Sabina 
e vicario di Roma. In questo bando è detto essere 
stato al papa riferito come le donne ebree uscisser 
di notte dal Ghetto, sole, e si trattenessero nelle 
osterie, e passeggiassero par le strade. Ad impe- 
dire una tale trasgressione erano minacciati i soliti 
colpi di frusta e la non men solita multa di scudi 
dieci, multa pur minacciata al custode cristiano 
dei portoni del Ghetto per ogni donna che avesse 
fatto uscire nelle ore della notte. 

Ma la severità delle pene non vale mai a rimuo- 
vere gl'inconvenienti se non se ne studiano le cause 
ed i mezzi di prevenirli. Per questa ragione il ri- 
gore della legge per nulla impedi alle ebree di 
Roma di darsi, per amore o per lucro, in braccio 
ad uomini di religione cattolica. Cosi trovo che 
sotto Alessandro VI furono condannate al rogo 
oltre cinquanta donne ebree trovate ree di peccatji 
carnali, ed a questo riguardo osserva il Rogar che 
malgrado la severità della pena, se si fosse fatta 
una rigorosa inchiesta dei loro costumi, ben poche 
avrebbero potuto scampare al rogo. 



IL GHETTO DI ROMA 143 



Spigolando, come ho fatto per gli altri argo- 
menti, nelle cronache romane, riprodurrò qualche 
fatto che dimostrerà la verità del mio asserto. 

Nel 1628 fu sorpresa una cortigiana in peccato 
•d'amore con un nobile giovane romano della fa- 
miglia dei Ranuzzi, e venne, secondo i regola- 
menti, condannata alla frusta. Mentre il carne- 
fice la spogliava per eseguire la sentenza si trovò 
a passare dal luogo dèi supplizio uno che la co- 
nosceva, e che disse ai birri essere essa una 
ebrea ; su questa semplice asserzione quella di- 
sgraziata fu bruciata viva. 

Un fatto simile era avvenuto nel 1523, secondo 
narra Gioacchino Re. Una fanciulla ebrea, conver- 
tita al cristianesimo, era condannata alla frusta 
per aver dato pubblico scandalo come prostituta. 
Una persona che la conosceva, si trovò anche 
questa volta a passare mentre veniva condotta al 
supplizio , e ignorando la sua conversione alla 
fede cattolica, disse essere essa una ebrea. La 
disgraziata fanciulla fu subito bruciata, ma l'invo- 
lontario accusatore ebbe a soffrire i maltratta- 
menti della plebe, quando si venne a sapere che 
non un'ebrea ma una cristiana era stata ingiu- 
stamente dannata al rogo. 

E celebre quanto a questo riguardo avvenne 
mentre regnava il severissimo Sisto V, il quale 
estese il suo rigore non solo a punire le donne 
ebree che si davano ai cristiani, ma puranco 
i cristiani che con le donne ebree si permette- 
vano di avere commerci. Riseppe il papa che 
il figlio del duca di Parma manteneva da lungo 
tempo relazioni di amore con una fanciulla ebrea. 
.Senza frapporre alcun indugio, ordinò che il gio- 



144 ETTORE NATA4.1 



vane principe fosse arrestato e condotto in Ca- 
stello, ove doveva essere decapitato due ore dopo 
il mezzogiorno. Del fatto si commosse mezza Roma, 
e principi, ambasciatori, cardinali corsero in gran 
numero a chiedere la grazia al papa, il quale a 
tutti rispose con un diniego. Il cardinale Farnese, 
zio del prigioniero, aiutato in ciò da moltissimi 
romani, fece ritardare di due ore tutti gli orologi 
della città, impresa allora punto difficile perchè 
di ^orologi ve ne erano pochi. Ciò fatto il car-' 
dinale si recò dal pontefice e si trattenne insi- 
stendo a lungo nel richiedere la grazia pel nipote. 
Il papa persistette nel dir di no fintanto che Toro- 
logio della sua camera , il solo che non fosse 
in ritardo, non segnò l'ora dell'esecuzione. Cre-^ 
dendo Sisto che in quel punto i suoi ordini fossero 
stati eseguiti, per far mostra di voler contentare 
il cardinale gli segnò, reputandolo inutile, un de- 
creto di grazia. Cosi il giovane duca di Parma fìi 
libero, e potè, fuggire da Roma. Quando Sisto V 
seppe la cosa la prese, contro il suo solito, in buona, 
parte, e si limitò a dire alludendo al cardinale 
ed a se stesso : « un prete ha gabbato un frate. »• 



■*■ 



All' abbigliamento delle donne ebree, come a. 
quello degli Uomini, era provveduto con leggi 
di cui mi occorrerà di parlare in seguito : que- 
ste leggi descrivevano il vestiario , proibivano 
gli ornamenti di oro , ed imponevano Tobbligo- 
di coprire il capo con un velo giallo. Era curiosa. 
la loro cura nel nascondere i capelli, e procura- 



IL GHETTO DI ROMA 145 



vano infatti di tener sempre nascosto il capo da una 
cuffia, o da capelli posticci, e ciò dal giorno delle 
nozze fino alla morte. Ritenevano che se un prò- 
fano avesse veduto, o peggio toccato i loro capelli 
dopo morte, sarebbero appiccate per essi neir inferno. 

Alcune volte , specialmente nel milleducento , 
quando ancora non era incominciata la persecu- 
zione contro gì' israeliti, le donne ebree furono chia- 
mate a custodire ed» ordinare le biancherie del 
palazzo Apostolico, ed a lavorare pel papa rocchetti, 
camici ed altri abiti pontificali. Esse erano sole , 
in Roma, a conoscere Tarte del cucire ad ago d'oro, 
ossia del rattoppare o raggiustare le stoffe ed i 
drappi rotti con tale maestria da non distinguervi 
il luogo dello strappo. 

Alle donne ebree, era puranco proibito di attendere 
a qualunque studio, ed Eugenio IV proibì loro per- 
fino il far da levatrici, onde fino ai nostri giorni 
hanno dovuto limitarsi all'antico mestiere di rat- 
toppataci di abiti e di vecchie stoffe. Rimanevano 
tutta la settimana chiuse nel Ghetto, sedute a la- 
vorare innanzi alle loro misere, abitazioni, ed usci- 
vano a passeggiare per le altre vie della città 
soltanto nel pomeriggio dei giorni di sabato. Allora 
se ne vedevano nei pubblici passeggi, spesso fatte 
segno ai lazzi inurbani del popolino, ed erano fa- 
cilmente riconoscibili al volto, al Vestire, ed al modo 
di parlare. Raramente erano accompagnate dai loro 
uomini, ma andavano sempre in molte per esser 
più sicure, 

Che gli storni, e i colombi vanno in schiera 
E i daini, e i cervi, e ogni animai che teme. 



10 «» E. Natali, 71 Ghetto di Roma, 



--Fr 



r 



Abbiamo visto, e ci occorrerà in seguito di os- 
servarlo nuovamente, che gli ebrei hanno in Roma 
vissuto più liberamente che non altrove, arni 
spesso hanno trovato qui protettori negli stessi 
papi perchè , come osserva Alessandro TI, « la 
« costoro condizione è ben diversa da quella dei 
« Maomettani, contro cui la guerra è giusta per- 
« che perseguitano i credenti, e li discacciano 
« dalle loro dimora, mentre gli ebrei da per- 
« tutto stanno docili alla servitù. » In molte deci- 
sioni della Rota, supremo tribunale negli ultimi 
tempi del governo papale, secondo il cardinal 
de Luca gli ebrei dìcunlur eives et de popolo, 
ed in una decisione Rotale del 1845 è detto: « Gli 
« ebrei non sono pagani, ma adorano lo stesso 
« Dio adorato da noi, per cui non possono essere 



U8 ETTORE NATALI 



« arrestati mentre stanno nel tempio ad orare. > 
E forse a cagione di questa tolleranza non ci vien 
fatto di trovare nelle storie che gli ebrei di Roma 
abbiano cospirato contro l'autorità del papa, o 
che abbiano presa una qualunque parte nelle som- 
mosse e nelle ribellioni che spesso hàn minacciato 
e scosso l'autorità pontificia. 

GÌ' infelici attentati da loro compiuti sotto Car 
Ugola, Claudio, Traiano ed Adriano, attentati che 
furono la vera causa della loro prima ruina, sono 
i soli atti di energia che dei giudei romani registri 
la storia. Regnante Caligola, a dire il vero, non 
vi fu ribellione degli ebrei di Roma, sibbene dei loro 
fratelli di Gerusalemme che si fecero massacrare 
piuttosto che accogliere nel tempio la statua del- 
l'imperatore, innanzi alla quale il proconsole Pe- 
tronio avrebbe voluto che tutti i giudei si pro- 
strassero in adorazione. Caligola, adiratissimo per 
il diniego, si sfogò contro i giudei di Roma della 
ribellione dei giudei delia Palestina. Anche Claudio,, 
succeduto a Caligola, ebbe a reprimere alcuni 
moti sediziosi di un popolo che mal si piegava alla 
servitù, ed ordinò agli ebrei di Roma di chiudere 
la sinagoga. 

Varie ribellioni degli ebrei vi furono durante l'im- 
pero di Traiano, ed egli pure fu costretto a repri- 
merle con la violenza ; ma la repressione più forte, 
seguita dalla distruzione di Gerusalemme, ebbe 
luogo imperando Adriano. Da quei tempi sino ai. 
nostri giorni, son rimasti sempre « docili alla 
servitù ». Non si mossero, nò si commossero 
quando Arnaldo, il primo dei martiri della libertà, 
pallido e scarno pei digiuni, posava come un fan- 
tasma sui ruderi del Campidoglio, ed inveiva centra 



IL GHETTO DI ROMA 149 



i papi e i cardinali « che il tempio del Signore ave- 
« vano tramutato in una bottega da cambi, in una 
< spelonca da ladri ; » e furono sordi alla voce di 
Crescenzio, e a quella di Stefano Porcari, mi- 
seramente bruciati per aver voluto liberare Roma 
dalla servitù, come non subirono il fascino di 
Cola di Rienzo, l'ultimo tribuno romano. 

Anzi la salma violata di Cola, dell'uomo che 
un tempo era stato l'idolo di Roma, fu, per volere 
dei Colonna, i più fieri nemici del tribuno, abban- 
donata per quarantotto ore in balia dei monelli, in 
segno di disprezzo, e degli ebrei, secondo che nar- 
rasi nella di lui vita scritta da incerto autore 
e ristampata a cura di Zeffirino Re : « Là, al 
« campo dell' Austa (mausoleo di Augusto), chia- 
^mati da Sciarretta Colonna si adunarono tutti li 
« giudei in grande moltitudine ; là fu fatto un fuoco 
41 di cardi secchi, e in quel fuoco di cardi fu mes3o; 
« era grasso e per sua grassezza ardeva volentieri ; 
« stavano li giudei fortemente affaccendati, afParosi 
« ed affollati ; attizzavano li cardi perchè ardessino ; 
« cosi quel corpo fu arso, fu ridotto in polvere e 
4. non ne rimase cica. » 

Per verità gif ebrei non dovevano amar troppo 
il tribuno che di nuove ed onerose gabelle li aveva 
colpiti e che, se è vero quanto narrano il Ludovisi 
ed il Moroni, negli splendidi banchetti da lui offerti 
agli amici faceva, a divertimento dei convitati, 
venire uno di loro coperto di pelli di bufalo e con 
le corna in testa a dar di sé risevole ed abbietto 
spettacolo. 

Forse l'indifferenza, l'apatia, con le quali gli ebrei 
accoglievano i novatori, era dovuta all' abiezione 
cui essi erano stati ridotti. Cosi Mosè Mendelssohn^ 



150 ETTORE NATALI 



il filosofo riformatore del giudaismo, padre del 
celebre musicista, rispondeva a chi gli rimprove- 
rava la sommissione de' suoi correligionari : « Ci 
« si legano prima le mani, e quindi ci si muove 
« rimprovero se non sappiamo servircene! » E colle 
stesse ragioni e con la temuta precarietà del be- 
neficio e coi disinganni patiti si spiega forse l'in- 
differenza che gli ebrei hanno sempre mostrato 
per le concessioni che i papi loro largivano, onde 
Klopstock ebbe a dire a Giuseppe II d'Austria: 

Tu fais tomber leurs fers: ila le senUnt à peine 
Tunt lear hraa a* est raidi soiu le poids de la chàine. 

Più che ad ogni altra cagione, la mancanza di 
patriottismo nei giudei deve attribuirsi a quella 
specie di vita nomade che sono sempre stati costretti 
a condurre, e che non poteva far loro provare i 
sentimenti dell'amor di patria. 



-¥- 



Una sola volta gli ebrei romani, vinta la timida 
natura, perdettero la pazienza e presero parte ad 
una sollevazione popolare ; ciò segui ai 18 ago- 
sto 1559, quando si seppe la notizia della morte 
di papa Paolo IV. 

Come vedemmo, questo papa fu il più grande per- 
secutore del popolo d'Israele, dal quale perciò fu 
ripagato di odio inestinguibile ; e non è cosa mera- 
vigliosa, perché il selvaggio e fiero pontefice non si 
seppe meritare neppure l'affetto dei suoi sudditi 



IL GHETTO PI ROMA 151 



cristiani. Ta.le era V indole feroce di costui che 
sentendosi presso a morire chiamò vicino a sé i car- 
dinali e lóro raccomandò il tribunale dell'Inquisi- 
zione; ma appena per la città si conobbe che 
Paolo IV era entrato in agonia il popolo corse ad 
aprire le carceri dell'Inquisizione ed a bruciare le 
case degli inquisitori. Una statua del papa, che 
era stata eretta sul Campidoglio, fu rovesciata, e 
dagli ebrei, che in gran numero presero parte a 
quella sommossa, fu spezzata ed oltraggiata. £ 
il loro ardire fu tale, in questa occasione, che 
uno di essi osò togliersi dal capo il berretto giallo, 
e calcarlo sulla testa marmorea del pontefice, che, 
coperta in tal guisa, fu voltolata per tre giorni nel 
fango di Roma, e quindi gettata nel Tevere in- 
sieme alla mano destra della statua stessa. 

L'ira dei popolani e degli ebrei giunse al segno che 
in quei tre giorni distrussero tutte le armi ed i mo- 
numenti della famiglia Caraffa, e persino furono 
tolte e frantumate le piccole lapidi che segnavano 
l'altezza a cui era j^ervenuto il Tevere nella ter- 
ribile inondazione del 15 settembre 1557. Il suc- 
cessore di papa Caraffa, Pio V, punì severamente 
i rivoltosi, ristabili il tribunale dell'Inquisizione, e 
rincarò la dose della persecuzione contro i giudei, 
loro proibendo anche l'abitare in altre città degli 
Stati pontifici all' infuori di Roma e di Ancona, 
mentre Paolo IV li aveva -tollerati pure a Bene- 
vento e ad Avignone. 

La sommessa rassegnazione degli ebrei di Roma, 
che mancavano di qualche libertà e di qualche di- 
ritto, ma che non pagavano alcun tributo di sangue 
B pochi di danaro, non è stata però imitata dai loro 
correligionari di altre nazioni. Quei di Polonia, ad 



152 ETTORE NATALI 



esempio, hanno sempre partecipato ai disgraziati 
tentativi fatti, anche recentemente, per il ristabili- 
mento della patria autonomia. La storia poi ricorda 
più di un fatto che dimostra l'attitudine alle armi 
degli ebrei di altre nazioni. Nel 536 mostrarono 
grande valore nel difendere Napoli contro Beli- 
sario, ed a vantaggio della signoria di Teodorico che 
li aveva protetti. Nelle guerre secolari fra i mao- 
mettani ed i cristiani di Spagna, presero sempre 
parte per gli uni o per gli altri, e tanti erano gli 
ebrei assoldati nei due eserciti che alla battaglia 
di Tralaca (1086) il re di Castiglia, d'accordo col 
Califfo, differì lo scontro di un giorno per non tur- 
bare il riposo del sabato. 

Ai nostri giorni abbiamo visto lo splendido esem- 
pio di valore e di patriottismo dato dagli ebrei bul- 
gari.. Il fatto trovasi registrato nella nostra Gaz- 
zetta Ufficiale del 31 dicembre 1885, in una corri- 
spondenza da Sofia. Il principe Alessandro di 
Bulgaria distinse in modo speciale il battaglione 
formato dalle comunità israelitiche del Principato, 
e volle onorare il comandante, luogotenente Misra- 
schi, della medaglia d'oro al valore militare, e 
parlò in questo modo alla piccola legione : 

« I vostri eroici camerata, condotti sui campi di 
« battaglia, hanno dimostrato di essere i degni di- 
« scendenti dei Maccabei ; e voi stessi, nelle batta- 
« glie di Sllwnitza, .di Dragoman e di Pirot pro- 
« vaste che, per coraggio ed affetto alla patria, 
« eguagliate il glorioso esercito bulgaro. y> 

Il battaglione israelitico, forte di 500 uomini, 
perdette il quarto dei suoi combattenti a Sliwnitza, 
ed altri 85 uomini caddero in altri scontri, prima 
della battaglia di Pirot. 



IL GHETTO DI UOVA 153 



■f 



Ai movimenti patriottici, ed alle rivoluzioni se- 
guite in Roma dal 1793 al 1870 poca o niuna 
parte hanno preso gli ebrei, i quali invece teme- 
vano ogni novità persuasi come erano di appar- 
tenere a nazione condannata a 

Servir sempre o vìDcitrice o vinta. 

Appena una eco lontana giungeva in Roma delle 
memorande discussioni e dei voti che nel 1789 ave- 
vano luogo neir Assemblea francese, discussioni e 
voti che è bene qui ricordare poiché da essi ebbe 
principio una nuova èra di libertà e di ugua- 
glianza per gli israeliti di tutto il mondo. Quelli 
di Roma furono fra gli ultimi a godere di quei 
benefici, ma devono esser grati alla grande rivo- 
luzione, dalla quale • trae origine il rinnovamento 
italiano che finalmente li condusse a goderli com- 
pleti, mentre ancora in altre nazioni la tribù di 
Israello è tenuta in servaggio. 

L'Assemblea Costituente francese pose tra i prin- 
cipali canoni della dichiarazione dei diritti del- 
l' uomo quello della libertà di coscienza: Nvl ne 
doit étvti inquiete pour ses opinions, méme religieu- 
seSy pourvu que leur manifestation ne trouble pas 
Vordre puhlique établi par la hi. E, prendendo ar- 
gomento da questa massima santissima, sorse nel 
seno dell'Assemblea l'abate Grégoire a combattere 
una minaccia di persecuzione religiosa contro gli 
ebrei di Alsazia, protestando indignato: Ministre 
d'une religion qui regarde tous les hommes comma 



154 ETTORE NATALI 



frhres, finvoque V interv^ntion de V Assemblée en 
faveur d^un peuple proscrit et malheureiuc. 

Due grandi si unirono nel sostenere la causa 
giusta con tanto calore patrocinata dal sacerdote, 
e furono Robespierre e Mirabeau. 

Il primo entusiasmò l'Assemblea col dire: 

Les vices dea juifs naissent de V avili»8emenl dans 
lequel vous les avez plongés; ila seront hons quand 
ila pourront trouver quelque avantage a Vètre, 

E Mirabeau: 

Dans un gouvernement comme celui que vous eie- 
vezj il faut que tous les hommes soient des Ttommes, 

Ed il 27 settembre del 1791, dopo molte discus- 
sioni, con l'appoggio degli uomini più insigni, più 
liberali e più autorevoli, 1' Assemblea approvò la 
completa emancipazione degli ebrei ed il giudaismo 
vide da quel giorno risplendere sulla razza perse- 
guitata luminoso il sole di libertà, fonter prima di 
ogni virtù cittadina. Napoleone I, uno fra i più 
grandi legislatori dell' umanità, riunì a Parigi, 
con decreto del 30 maggio 1806, i principali rabbini 
delle sinagoghe del suo vastissimo impero, e fra 
le domande che loro rivolse ve ne fu una per co- 
noscere sino a qual punto doveva giungere l'amor 
di patria. A tale richiesta fatta dal messo impe- 
riale tutti i rabbini colà convenuti si alzarono in 
piedi e gridarono: « Fino alla morte. » Da quel 
giorno il sentimento della nazionalità rinacque 
nell'animo dei seguaci della religione mosaica. 
Avevano finalmente ritrovata una patria che loro 
apriva le braccia amorevoli, alla quale potevano 
consacrare tutta quella copia di affetti che rende 
sublimi i loro poeti ed i loro profeti quando ricor- 
dano la lontana terra dei padri. 



IL GHETTO DI ROMA 155 



•f 



Ma a Roma le idee liberali o non giungevano 
o non facevano presa, e gli ebrei rimanevano 
chiusi nel Ghetto alla mercè di un popolaccio fa- 
natico, ignorante, nemico di ogni giacobinismo. 

Anzi gli ebrei tanto più vivevano nella trepida- 
zione quanto più vedevano che le idee liberali tro- 
vavano proseliti nel ceto della borghesia romana; 
perchè sapevano di correre il pericolo di esser presi 
fra due fuochi. Cosi accadde infatti il 13 gennaio 179ii 
quando alcuni liberali tentarono una dimostrazione 
guidati dall'infelice Giuseppe Hugo di Basseville. I 
popolani, aizzati dal clero, insorsero contro i nova- 
tori e dopo aver ferito a morte il di Basseville 
andarono per saccheggiare il palazzo dell'Acca- 
demia di Francia, ma non essendovi riusciti, perchè 
vi stavano a guardia i papalini, si riversarono a 
sfogar, la loro bile contro gli ebrei e si dettero a 
saccheggiare il Ghetto 1 Come tutti i salmi finiscono 
col gloria, cosi tutti i chiassi e tutte le sommosse 
finivano a Roma col danno degli ebrei, ai quali 
toccò un altro saccheggio, con busse ed ogni sorta 
di maltrattamenti, quando dai popolani si seppe che 
in Parigi si era tagliata la testa di re Luigi XVL 

Cosi al saccheggio di molte botteghe del Ghetto 
si dettero i Trasteverini ed i popolani dei Monti 
che il 25 gennaio 1794 insorsero contro il nuovo 
Governo repubblicano insediato sul Campidoglio 
dal generale Berthier. 

Tante persecuzioni e tanti guaì tenevano natu- 
ralmente gli ebrei lontani dall'ir gerirsi nelle pub- 



1-56 ETTORE NATALI 



bliche faccende anche dopo che furono dichiarati 
liberi ed in Roma imperò un Governo secolare. 
Fra le cento e cento persone chiamate all'ammi- 
nistrazione della cosa pubblica, con gli antichi 
nomi pomposi di consoli, tribuni, pretori, e simili, 
non trovo ricordato un solo israelita, se. non si 
voglia credere a quanto ha lasciato scritto l'abate 
Benedetti nel Diario pubblicato da David Silvagni : 

« Abbiamo tre nuovi senatori, scriveva l'abate, il 
« principe Marcantonio Borghese, il duca Francesco 
« Cesarini, e l'ebreo Morpurgo. È gente che sta bene 
« con gli ebrei. » 

Per quante ricerche abbia fatte per apprendere 
chi fosse questo Morpurgo, nominato dall'abate Be- 
nedetti, non son riuscito a trovarlo, anzi ho dovuto 
notare che nessuno degli scrittori contemporanei 
parla di ebrei nominati consoli. È molto proba- 
bile che l'abate Benedetti, che in sul finire del 
«ecolo passato viveva, per ragioni politiche, all'in- 
fuori della vita pubblica, abbia preso uh equivoco e 
fatto nominare console un certo Morpurgo che in- 
vece fu, precisamente nel 1794, nominato Questore 
del dipartimento del Metauro, dipartimento corris- 
pondente alla odierna provincia di Pesaro. Il Ques- 
tore aveva attribuzioni molto simili a quelle dei no- 
stri intendenti di finanza, ed il Morpurgo, al quale 
io accenno, apparteneva a famiglia israelitica dimo- 
rante in Ancona, ma oriunda di Trieste. 

Né i liberatori di Roma furono molto teneri de- 
:gli ebrei quantunque promulgassero qui le leggi 
■di tolleranza che erano state sancite dall' Assem-t 
blea francese. 

Dal Governo della repubblica, il 16 aprile 1798, 
fu agli ebrei romani imposta una contribuzione 



IL GHETTO DI ROMA 15T 



straordinaria per trecento mila scudi, oltre ad una 
grande quantità di panni, telerie, lenzuola, abiti,, 
tovaglie, salviette ed altri oggetti che dovevana 
servire all'armata d'Italia. I capi della comunità, 
invano pregarono per ottenere una diminuzione ed a 
gran stento poterono mettere insieme la somma for- 
tissima per quell'epoca. Pei poveri ebrei era il caso 
di ripetere : Si stava meglio quando si stava peggio !' 

Del resto sarebbe ripeter sempre la solita sto- 
ria se si volesse dire di tutti i saccheggi cui do- 
vette sottostare il Ghetto dal 1793 al 1870. 

Il 27 novembre 1794, ad esempio, partiti i fran- 
cesi, ed avvicinandosi i napoletani, la plebe in- 
vase il Ghetto, e gli ebrei furono a stento salvati 
dalla guardia nazionale ; nuovi saccheggi vi furono 
nel 1815 quando fu ristaurato il Governo di Pio VII. 
In quell'incontro venne in Roma a rappresentare 
il papa, con pieni poteri, il genovese monsignor 
Rivarola, cardinale divenuto celebre poi per lo zelo 
sanfedistico, e tristamente famoso per le crudeltà, 
commesse in Romagna, quando vi andò a reggere e 
correggere la patriottica provincia di Ravenna. 

Tra i primi atti restaurativi di monsignor Ago- 
stino Rivarola è la promulgazione di una legge 
delli 12 aprile 1814 intorno agli ebrei, che sotto- 
pose di nuovo alla giurisdizione del Cardinal Vica- 
rio, e co-stringe a rinchiudersi nuovamente nel 
Ghetto quelle pochissime famiglie che se ne erano 
allontanate durante il governo dei francesi. 

Ma le persecuzioni maggiori, ai tempi moderni, 
si sono avute sotto il pontificato di Leone XII, iV 
quale ebbe per gli ebrei una feroce ed invincibile 
antipatia, li colpi con ogni eorta di sevizie, e li sot- 
topose tutti alla pedante vigilanza dell' Inquisizione» 



158 ETTORE NATALI 



Allorquando si diffuse in Roma la notizia della 
morte di Leone XII gli ebrei credevano di respi- 
rare, ma noi poterono, cbè il popolino corse in 
furia ad atterrare i cancelletti che recingevano il 
Ghetto ; ma Tatterramento dei cancelletti non era 
che un pretesto perchè si procedeva ad un tempo 
alla demolizione ed al saccheggio delle botteghe. 
I cancelletti furono fatti porre intorno al Ghetto, 
e nello stesso modo intomo alle osterie, per impedire 
ai consumatori di soffermarsi a bere nei pubblici 
negozi, la qual cosa rincrebbe assai alla plebe ed 
il papa ne fu schernito anche dopo morto con una 
delle solite pasquinate : 

Già l'alma di Leoa dal corpo uscita 
Volava a ricercar più bella vita : 
Andata al Cielo domandò l'ingressOi 
Ma tanto onore non gli fa concesso, 
Poiché Pietro avea messo a suo dispetto 
Alla porta del Cielo un cancelletto. 

A Leone, dopo il breve regno di Pio Vili, suc- 
cesse Gregorio XVI nemico d'ogni novità, il quale 
lasciò gli ebrei e il Ghetto come li aveva trovati, 
non aumentando le angherie perchè gli ebrei stet- 
tero, come sempre, tranquilli né fecero causa co- 
mune con i frdmassoni ed i giacobini nei moti del 
12 febbraio 1831. 

■*- 

Di Pio IX e della libertà concessa, mi occorrerà 
di tener parola in seguito come di colui che può 
annoverarsi fra i più benemeriti per tolleranza 
verso la religione di Israello. Fra i giorni fau-^ 
sti de' giudei di Roma va certamente annove- 



IL GHETTO DI ROMA 159 



rato quello di Pasqua del 1847, nel quale, per 
ordine di Pio IX furono rimossi, e per sempre, i 
portoni e furono abbattute le mura che rinchiu- 
devano il Ghetto. L'emancipazione degli israeliti, 
come osserva Massimo D'Azeglio, il termine di quella 
lunga e dolorosa serie di patimenti, di oltraggi e 
di ingiustizie che ebbero a sofifrir per tanti secoli, 
fu opera di Pio IX che consacrò il principio della 
tolleranza. Fu Pio IX che agli ebrei impose il 
dovere e consenti il diritto di appartenere alla 
guardia civica, a quella milizia cittadina che rese 
tanti servigi nella tutela della sicurezza pubblica, 
e nella difesa di Roma. 

Non è certo senza opposizione e senza lotta 
che il nuovo papa, assunto per un momento alla 
dignità d' interprete delle nazionali aspirazioni o 
di capo del rinnovamento italiano potè conipiere 
tali riforme. Le pressioni in contrario non pote- 
vano mancare e non mancarono; anzi l'emancipa- 
zione completa degli ebrei veniva dai reazionari, 
e specialmente dai gesuiti, additata come il colmo 
degli obbrobri cui il nuovo ordine di cose avrebbe 
condotto. Ma i tempi erano mutati. Un soffio vi- 
vificatore aveva spazzato in gran parte, anche 
nell'opinione delle masse, i vecchi pregiudizi, e 
l'Aser del padre Bresciani non aveva potenza di 
sollevare l'indignazione ee non quando, agli ultimi 
capitoli, rinnegava il suo passato glorioso dì ri- 
voluzionario ardente e fidente, per battezzarsi al 
fonte della Chiesa cattolica. 

L'affrancamento degli ebrei non era l'opera di 
un legi- latore più avanzato e veggente del po- 
polo che governava, ma del popolo stesso che l'im- 
poneva in nome di quei principii di eguaglianza, di 



160 ETTORE NATALI 



fi^tellanza e di solidarietà per le quali eranst ' 
colorati in rosso tutti i fiumi d'Europa, e che 
pochi mesi dopo dovevano innalzare i difensori di 
Roma all'altezza delle antiche epopee. 

Ed a quell'epoca vediamo sorgere e sempre più 
prender ra,dice nell'animo di quei nuovi cittadini 
l'amore per la patria novella. Gli israeliti di Roma 
si associarono a quelli di Livorno nel pubblicare 
un nobilissimo indirizzo agli italiani : 

« Voi ci chiamate fratelli, essi dicevano. Questa 
« parola varrebbe essa sola a cancellare la ricor- 
re danza di tanti secoli di umiliazioni e di dolori. 
« Questo dolce e santo nome noi lo accettiamo colla 
« coscienza di meritarlo, perchè noi pure intendiamo, 
« di cooperare al bene d'Italia nostra, che fu sempra 
« in cima de'nostri pensieri ; perchè ci sentiamo fra- 
« telli a quanti per essa perirono, a quanti s'alle-^ 
« grano all' idea del suo prossimo risorgimento, a 
« quanti son pronti a sacrificare per lei gli agi, le 
« sostanze, la vita. » 

E mostrarono di non voler far vuote frasi, come- 
appare dalla nota che qui a titolo di onore vuo'ri- 
portare per indicare i nomi di alcuni degli israe- 
liti romani che presero parte alle battaglie per 
l'indipendenza e l'unità d'Italia. 

Alle molte omissioni, se mi saranno segnalate, 
riparerò nel secondo volume di questo mio lavoretto. 

Nel 1848 pertanto dei battaglioni romani che ac- 
corsero a combattere i tedeschi, prima sui piani lom- 
bardi e quindi nelle provincie venete, facevano parte 
il prof. Pacifico Tagliacozzo, Alberto Castelnuovo, 
e Sabatino di Porto. Alla gloriosa battaglia di Cu- 
stoza (1848) mori il nostro concittadino, israelita 
dott. Esdra ucciso sul campo mentre, quale uffi- 



IL GHETTO DI ROMA 161 



ciale sanitario, stava prcdigaiido le sue cure ad un 
ferito. 

Della legione Masi faceva parte Abramo di Cori, 
Tranquillo Toscano e Lazzaro Spizzichino. 

Un altro morto sul campo di battaglia fu il 
giovane israelita, romano Alberto Fiorentino, col- 
pito al cuore da una palla di chassepot nel 1867 
alla battaglia di Mentana. 

Né parlando di patriotti posso fare a meno di 
ricordare il professore Settimio Piperno, ed il ca- 
valiere Pacifico Pacificò, eiyiigrati da Roma, ove 
sempre si erano adoperati per la causa della li- 
bertà in tutte le dimostrazioni che i Comitati na- 
zionali organizzavano per tener vivo, nei romani^ 
il sentimento liberale. Il Pacifico è nativo di An- 
cona, ma può dirsi romano e per la lunga dimora^ 
e per l'afiTetto che a Roma sempre lo ha avvinto. 

E, per quanto apparentemente esca dal mio argo- 
mento, vuo' aggiungere a questo luogo i nomi dei 
sette israeliti italiani che fecero parte della gloriosa 
schiera de' Mille. Non si tratta di cosa riguardante 
Roma, ma il nome di questi prodi va additato, alla 
riconoscenza di chi deve nella sua storia segnare 
come fau^issima la data del 20 settembre 1870 : 
imperocché senza l'impresa leggendaria dei Mille TI- 
talia non sarebbe una, Roma rimarrebbe ancora 
sotto il dominio del pontefice, e nella città nòstra 
sarebbe utopia il parlare di tolleranza religiosa e 
di uguaglianza nei diritti civili. Ma ecco senz'altro 
il nome degli ebrei che fecero parte di quella 
spedizione: Giacomo Alpron ed Angelo Donati da 
Padova, Donato Colombo da Cova, Giuseppe d'An- 
cona e David Uziel da Venezia, Riccardo Luzzatto 
da Udine ed Eugenio Ravà da Reggio d'Emilia. 

11 — E. Natali. Il Ghetto di Foma, 



162 ETTOBE hAlkU 



Prima di por fine a questo capitolo mi corre 
Tobbligo di ricordare con riverente affetto il più 
stimato fra gli israeliti viventi, il cav. Samuele 
Alatri. Egli ha molti titoli alla benemerenza dei 
suoi correligionari non solo, ma di tutta la citta- 
dinanza romana, la quale dal 1870 ad oggi lo ha 
sempre eletto consigliere comunale e provinciale, 
e a lui affidava l'ambito onoi'e di rappresentarla 
nella Camera dei deputati, nella Legislatura deci- 
maseconda. 

Legato, con vincoli di sincera amicizia, a Mas- 
simo d'Azeglio ed a Luigi Carlo Farini, s'interessò 
sempre al miglioramento della sorte degli israeliti 
romani, ed a quei due patrioti forni notizie che 
servirono moltissimo a rendere più efficace l'opera 
loro liberale ed umanitaria, che giovò a far di 
nuovo abbattere al suono dell'inno di Pio IX 
quelle porte del Ghetto che al principio del secolo 
erano state gettate in terra al suono della Marsi- 
gliese. 

Samuele Alatri entrò nella vita pubblica nel 
1848 allorché fu eletto consigliere comunale, ed 
al Campidoglio fu uno dei più utili collaboratori 
di Sturbinetti. Ristaurato il governo pontificio non 
cessò dall'occuparsi, come potè meglio, ne'pubblici 
negozi, e fu fra i più benemeriti nella formazione 
e gerenza della Banca Romana e della Cassa di 
Risparmio. 

Il 2 ottobre 1870 Samuele Alatri apparteneva 
alla Giunta di governo che con la sua fermezza 



IL GHETTO DI ROMA 163 



salvò Roma dairobbrobriosa esclusione degli abi- 
tanti della città Leonina dal plebiscito. Dopo il 1870 
fu più volte assessore per le finanze municipali, 
ebbe gran parte nel riordinamento amministrativo 
elei comune, e seppe in momenti difficili ottenere 
>dalla Banca Nazior.ale buoni patti per l'emissione 
del primo prestito che dovette contrarie l'ammini- 
strazione comunale di Roma. 

Nella Camera dei deputati, fu eletto a commis- 
sario per l'esame dei bilanci dello Stato, e quan- 
tunque fosse ascritto al partito moderato, il voto 
dell'on, Alatri fu sempre coscenzioso ed indipen- 
dente, onde più volte votò contro il Ministero dei 
suoi amici politici, come nella rilevantissima que- 
stione dai punti franchi. 

Nel 1872 fu proposto al Consiglio comunale di 
togliere l'emblema del cristianesimo dal mezzo del 
'Cimitero a Campo Varano. L'Alatri si levò a com- 
battere questa proposta, per dar prova, come egli 
disse, di tolleranza religiosa. Il giorno dipoi, questo 
fatto fu riferito a Pio TX il quale col solito spiiito 
dicesi rispondesse . « L'ho detto sempre che il sor 
-« Samuele è il più cattolico fra i consiglieri co- 
x< munali di Roma. » 



■*• 



Giustizia vuole che io qui ricordi come qualcHe 
^olta gli ebrei si armassero, e combattessero 
per respingere dal Ghetto i militi del santo uf- 
fizio che vi andavano per rapire fanciulli. Ma in 
•questi casi non si trattava di movimenti politici; 



J64 ETTORE NATALI 



e soltanto era adoperata dagli ebrei la forza per 
respingere la forza. Erano i genitori, i congiunti, 
che contrastavano i fanciulli, che con qualche spe- 
cioso pretesto il Santo uffizio voleva prendere. 
Anche l'animale il più innocuo, il più paziente, 
diventa terribile quando nella sua tana difende i 

figli. 

Ma di ciò in un prossimo capitolo, allorché par- 
lerò dell'ospizio dei catecumeni. 



XI. 



L^arte presso gli ebrei — La musica — Vittorina — Artisti ebrei 
che abitarr^no in Roma — Halévy. 



Come invano, fuori dei tempi biblici si cerche- 
rebbe l'epopea nella storia degli israeliti, cosi in- 
vano si ricercherebbe lo studio e l'amore dell'arte. 
Gli ebrei romani, come quelli di tutto il mondo, 
non mentirono le tradizioni di loro razza e sem- 
p.e si tennero lontani dalle armi, dalla politica 
e diciamolo pure anche dalle arti belle. Se se ne 
tolga qualcuno che nella fioritura trecentistica e 
nel 1400 coltivò con onore la poesia - nessuno - 
che io mi sappia, ha, almeno in Roma, eseguito 
con lode o quadri o statue. 

Àgli ebrei come ai maomettani è mancata l'i- 
spirazione religiosa; o meglio il loro culto tutto 
spirituale non si prestò come presso i greci an- 
tichi, e i cristiani, che l'arte derivarono dal culto 
dei templi e dalla religione. L'arte è in stretta 



166 ETTORE NATALI 



relazione con la natura dei popoli, e ne ha sem- 
pre seguito l'indole ed il carattere, onde l'ebreo, 
come il maomettano, nemico del culto delle im- 
magini, non permise che alcun pennello di artista 
abbellisse le nude mura della sinagoga, ove i 
credenti nella legge di Mosè dovevano adunarsi 
per adorare un dio invisibile. La sua fantasia era 
morta a quella specie di fascino mistico che ispi- 
rava il genio di Giotto, di Leonardo e di Miche- 
langelo. Né si dimentichi che gli ebrei, nel medio 
evo, attinsero la più gran parte della loro cultura 
dagU arabi della Spagna, presso i quali non vi 
furono, precisamente perchè maomettani, né pit- 
tori rè scultori di figura. 

Rigido ed osservante, l'ebreo non ha mai po- 
tuto comprendere il culto che i greci professavano 
a Venere nella bella primavera della civiltà umana,, 
come sull'alba del rinascinrento si sottrasse all'in- 
flusso dell'asceticismo cristiano che pre?e forma- 
nel mito classico della gloria verginale della Ma- 
donna. 

Agli adoratori di Jehovah è mancato anche l'im- 
pulso della fede nei santi, perchè dei santi non n» 
hanno, essi che pur ebbero tanti martiri. 



Quidam sortiti metìien^eifi aahhaia patrem 
Nil praeter nube* et eoeli numen adorant, 



ed infatti credevano i romani che gli ebrei ado- 
rassero soltanto le nubi ed il cielo, perchè il ce- 
lebre tempio di Gerusalemme era senza tetto e gir 
osservatori dei sabati vi pregavano col corpo rivolto- 
all'oriente e gli occhi inalzati al cielo. Il loro iddio- 
appariva ai profeti sempre sotto forme artistica- 



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168 ETTORE NATÀU 



la lettera colla quale il gran re faceva le sue ri- 
chieste e la risposta che n' ebbe. 

Forse rimanendo nelle loro terre e nelle loro 
città gli ebrei avrebbero più tardi fatto un passo 
avanti nelle vie dell' arte , come lo fecero in 
tempi recenti quando la libertà cessò dall'essere 
anche per loro una vana parola; combattuti, di- 
spersi, raminghi per il mondo si arrestarono, si 
rifugiarono nei loro ricordi, si preoccuparono solo 
della battaglia quotidiana che erano chiamati a 
^combattere, furono conservatori della loro vecchia 
legge. — È naturale, essa ridiveniva ancora una 
volta il vincolo ?acro che li univa in ispirito, la 
più potente loro difesa, e non potevano trasformarla. 

In memoria del tempio di Salomone che era sco- 
perto, gli ebrei, anche presentemente, assistono 
alle loro funzioni religiose sempre col cappello, o 
con lo sciamanno sul capo. 

Quel manto candidissimo, che è volgarmente 
■detto sciamanno y e che gli ebrei nomano taled, è il 
succedaneo della sacerdotale tonaca di fino lino, tra- 
puntata, di cui è parola nell' Esodo, capo XXVllI, 
versetto 39. In progresso di tempo il taled fu fatto 
anche di lana bianca, e da alcuni secoli in qua lo 
si fa di seta e lo si adorna di ricami in bianco ed 
oro. Il taled sì porta abitualmente sulle spalle, ma il 
rabbino se lo mette sul capo quando legge la Bibbia. 



-^ 



S'intende che qui si parla della civiltà ebrea 
prima dell'era moderna, poiché nessuno vorrebbe 
oggi negare sentimento artistico squisito nei correli- 



IL GHETTO DI ROMA 169 

gionari di Enrico Heine, come nessuno vorrà dire 
-che se lo scettro non è più nella casa di David, 
Tarpa del vecchio re non conservi ancora tutte 
le. sue corde. La musica è vocazione innata nella ji 
razza la quale ha dato al mondo Giacomo Me-| 
yerbeer, Felice Mendelshon, Florestano Halévy, 
<jiacomo Offembach e fra gl'italiani A bramo Base vi 
di Firenze ed Elia Levi di Venezia, quantunque » 
gl'israeliti abbiano proscritto la musica istrumen- 
tale dalle loro chiese, ritenendo più gradite a Dio 
le preghiere quali escono dal petto degli uomini 
<5he non dalle fredde canne degli organi. Queste 
note riguardano soltanto la nazione ebraica ro- 
mana che sparisce insieme al Ghetto ove per tre 
secoli è stata rinchiusa ! Oggi non rimangono che 
cittadini uguali agli altri, che lavorano in ogni 
ramo dello scibile per la prosperità della patria | 
e si chiamano in Italia, Re vere, Luzzatti Luigi, I 
Masserani, Lombroso. " 

Ed a riprova di quanto ho detto più sopra, qui 
forse cade in acconcio l'osservare come il culto 
al dio d'Israello si vada man mano modificando e 
si allontani sempre più da quelle severe prescri- 
zioni che tanto giovarono a mantenere unita la fede 
ed indomito il coraggio degli ebrei durante tanti 
secoli di persecuzioni. Con la libertà e con le ric- 
chezze aumenta ogni giorno più il desiderio di pa- 
rere, ed anche la religione giudaica, quella reli- 
gione che, più di ogni altra, era aliena dagli sfarzi 
e da ogni specie di distrazioni, ora, sempre più si 
attacca alle futili parvenze del culto estemo. Si 
torna pian piano agli usi sfarzosi dei tempi di Sa- 
lomone, che fabbricò di una lega d'oro e di ar- 
gento gl'istrumenti musicali, coi quali si rallegra- 



170 ETTORE NATALI 



vano le feste nel tempio di Gerosolima. Si torna 
ai tempi nei quali le figliuole di Silo precedevano 
il Tabernacolo danzando, e quattromila leviti erano 
educati a cantare con vario ritmo le lodi del Si- 
gnore. Nelle cerimonie ebraiche odierne si è co- 
minciato di nuovo ad introdurre la musica; forse 
perchè è finita la schiavitù. Da molti anni, infatti, 
nelle scuole (sinagoghe) israelitiche di Mantova e 
di Verona furono introdotti l'organo ed i canti 
corali. Poi questo esempio fu imitato prima dalla 
magnifica scuola di Firenze e da quella moderna 
del pari, ma assai più modesta, di Torino. 

A, Roma, solamente dopo il 1870, e nella sola 
scuola del Tempio, s'introdussero Vharmonium ed 
un coro per le grandi feste religiose. 



■^ 



Ma se gli ebrei dei primi tempi e dei tempi dr 
mezzo rifuggiron dall'arte, l'arte non li sdegnò. E 
rimangono a centinaia le opere ispirate o alla loro 
storia, riassunta nell'eterno biblico poema, o alle loro 
tradizioni, o alla orientale bellezza delle loro donne. 

Le quali, e altrove, d'altro parlando, l'abbiamo 
veduto, seppero e vincere- imperatori e domare ti- 
ranni ed ispirare poeti. 

Ricordo, nello scorso secolo, Vittorina l'amante di 
un marchese Fortiguerri che ne aveva fatto scol- 
pire ai battenti del suo portone l'immagine, a si- 
gnificare, come diceva egli àgli amici, che solo per 
lei si sarebbe, potuto arrivare al suo cuore. 

Di questa Vittorina per quanto abbia cercato 
non mi è riuscito rinvenire il vero nome che è 



IL GHETTO DI ROMA 17Ì 



passato attraverso la storia col soprannome di 
Vittorina e rient'altro. 

Non si sa quando sia nata e quando sia morta ; 
però il periodo della sua vita brillante, V apogèo 
della sua gloria fu dal 1730 al 1739, Molte cro- 
nache dell'epoca sono piene dì aneddoti che la ri- 
sguaidano, e vi si notano tutte le follie che da 
ossa furon fatto. 

Si dice che il cardinale Cienfuegos ne fosse in- 
namorato. 

Benedetto Micheli detto Jachello della Lenzarasr 
organista all'Accademia di s. Cecilia compose una 
canzone in suo onore che credo si conservi alla 
Biblioteca granducale di Weimar. 

Per attenuare lo scandalo che ne veniva dal- 
vedersi questa fanciulla ebrea sempre in compa- 
gnia di personaggi - e altissimi personaggi - cri- 
stiani, papa Clemente XII per mezzo di certi frati 
procurò di farla divenire cristiana, ma non so 
quale sia stato il frutto del suo tentativo. 

Uno 5-tudio su questa donna ebrea sarebbe inte- 
ressantissimo perchè negli aneddoti che di lei si" 
trovano sparsi qua e là, s'incontrano i nomi di 
molte fra le principali famiglie dell'aristocrazia e 
del patriziato romano. 

La prova ch'essa fosse ebrea si ha dal Fossom- 
broni 11 quale narra il tentativo di papa Cle- 
mente XII per farla divenire cristiana. 

La prova ch'essa fu romana viene da un so- 
netto del Gallina, veneziano, riportato nella C^e-- 
stomazia del Lughi. Il sonetto chiude cosi : 



Fai grande Roma perchè fu taa cuDa 
Fai grande Roma per la tua bellezza. 



172 ETTORE NATALI 



-*■ 



Nel 1872 Pio IX chiamò da Parigi il noto scul- 
tore israelita Adam-Salomon (autore del monu- 
mento del duca di Padova agli Invalidi, del genio 
della musica che si ammira al nuovo Louvre e di 
molte altre opere scultorie) affinchè eseguisse il suo 
busto, e non contento di onorare in ogni modo l'e- 
gregio artista al cattolico, con il quale amava con- 
versare spesso, gli offerse persino un appartamento 
in Vaticano. 

Il busto di Pio IX, eseguito dall'Adam-Salomon, 
è uno dei più belli e somiglianti che si conoscano. 

Parlando anzi degli ebrei odierni che hanno abi- 
tato Roma non posso dimenticare un giovane ar- 
tista, Isaac Asknazy, un pensionato del governo 
di Pietroburgo, che qualche mese fa ha qui com- 
piuto il suo corso di studii pittorici, ed è quindi 
ripartito per la terra natale. 

Egli è un curioso tipo di artista. Quantunque 
giovane ha un grave aspetto sacerdotale, la barba 
lunga e folta, quasi mosaica, le sopracciglia riu- 
nite alla radice del naso, gli zigomi sporgenti e 
duri, lo sguardo penetrante e ardente come quello 
-dei fanatici posseduti dalla febbre della fede. Viveva 
qui a Roma, all'ultimo altissimo piano d'una mo- 
dQsta casa della via dei Pontefici, in una stanza 
quasi nuda, ^^tra molte tele abbozzate. Era ta- 
-citurno, cogitabondo, solitario sempre. 

Oltre che per qualche quadro di mediocre dimen- 
sione, rappresentanti alcuni semplici episodii biblici, 



IL GHETTO DI ROMA 17^ 



e pochi studi di teste eseguiti con un certo vigore, 
merita ricordo V opera di lui maggiore, quella 
a cui attendeva da molto tempo con assiduo 
amore, e quasi con religione. 

Il quadro, amplissimo, rappresenta Mosè nel de- 
serto, frale greggi, in sull'alba. La figura di Mosè, 
piena di austerità e di forza, ma pure umana e 
vera, sta seduta sopra un masso e campeggia sola 
sul davanti del quadro, in attitudine di medi- 
tazione. L'immenso gregge delle pecore si distende 
per la campagna, riempie quasi tutta la valle per 
la quale si vedono confusamente scendere bian- 
cheggianti i torrenti : e tutta quella massa pacifica 
'di animali, sotto il cielo chiarissimo e fresco, sotto 
una luce mite, senza riflessi, è di un effetto sin- 
golare, dà alla scena una certa augusta gran- 
dezza di antichità patriarcale. 

Il quadro è immaginato ed eseguito con sem- 
plicità di mezzi pittorici, ma con acuta intensità 
di sentimento, e d'innanzi alla tela vasta si rimane 
pensosi. Quel giovane solitario che esalta le glorie 
del suo popolo, che ha una cosi profonda credenza 
nella religione dei suoi padri, e che intende con 
tutte le sue forze a fare un'arte sacra ebraica, è 
degno di ammirazione. Il quadro è partito per la 
Russia, insieme con l'artista. Il popolo d-^ Israeli o 
avrà finalmente il suo pittore in Isaac Asknazy se 
i pronostici nostri non fallano. 

Fra gli artisti stranieri ebrei, che hanno abitato 
in Roma, uno dei più celebri fu Giacomo Halévy 
maestro compositore francese, allievo del nostro- 



174 ETTORE NATALI 



Cherubini. L'Halóvy nel 1819 vinse le prix de Rome 
-6 venne per tre anni ad abitare la villa Medici. 

È celebre, fra le tradizioni allegre deirAccademia 
di Francia, lo scherzo che i compagni fecero al 
giovane maestro il giorno in cui esso arrivò a Roma. 

La scenetta è anche ricordata nella Rome con- 
temjporaine, di Edmondo About. 

È uso che i vecchi pensionati si divertano qualche 
giorno alle spalle di coloro che giungono nuovi da 
Parigi, ed anche Halóvy dovette pagare il suo 
tributo alla spensierata allegria di quella colonia 
di artistL Appena giunse, i compagni si fecero a 
lui d'attorno, e col volto composto a mestizia gli 
dissero : « Puoi mangiare e studiare qui, ma bisogna 
^he tu vada a dormire nel Ghetto fra i tuoi cor- 
religionari, perchè la legge pontificia non transige 
su queste cose. » Dopo il pranzo i compagni lo 
condussero nella stanza che avevano presa in 
affitto per lui in una delle strade più sucide del 
Ghetto. Le mobilier, scrive E. About, était choisi 
jpour faira horreur à Vhomme le moin délicat ; si 
le Ut posait sur trois pieds, e* est tout au pliis. La 
hdtesse se distinguat par une malpropreté repous- 
barite; elle promit au jeune locataire de le soigner 
camme un fils et d*avoir mille atlentions pour lui, 
(Test devant cette perspective quHl se couclia, dit-on, 
et la nuitfut si mauvaise que le lendemain il parlait 
de retourner en France. La plaisanterie n*alla pas 
si loin. Le jeune artiste rentra à VAcadémie dans 
sa chambre légitime, et il n* y perdit pas san temps. 
Mais qui sait si dans la suite j lorsque il ecrivit 
•cette belle partiture de la Juive, les souvenir s du 
.Ghetto ne lui sont pas revenus h l'esprit, 

Florestano Halévy, vinto un posto airAccademia 



IL GHETTO DI AOMA 175 



di Francia, venne a Roma il cinque dicembre 1820. 
L'unica memoria che resti di lui negli archivi del- 
l'Accademia è un rapporto dell'Accademia stessa 
che l'egregio direttore comm. Flebert mi ha fatto 
gentilmente comunicare. 

I lavóri di cui è ivi parola li scrisse nel 1821 e 
sembra che irritato per il giudizio dato::e si ec- 
clissasse da Roma, rinunciando anche alla pen- 
sione. 

II documento parmi cosi interessante ed origi- 
nale da meritar la pena di venir riprodotto. Eccolo 
senz'altro : 

INSTITUT DE FRANGE. 

ACADÉMIE BOYaLE DE BEAUX ABTS. 

Rapport avant la séauce publique de 1882. 

M, Halévy^ 

On a regu de M. Halévy pensionnaire musicien 
Mn envoiy que se compose de trois partitions : 1. Le 
psauvie Domine re in furore tuo à deux choeurs 
et à grande orchestre; 2, Une cavatine italienne 

jHmr une voix de soprano ; 3. Uh finale d'un'opera 
seria dont le sujet est la dévoument de Curtius. 

C'est dans la composition de ce final qu^on peut 
surtout réconnattre que Von avait raison de bien 
augurer des dispositions de ce jeune compositeur, 
Presque tout dans ce morceau est digne d*eloge; 
il est écrit largement. La melodie y est d'un genre 

j/racieux, noble ou terrible selon la situationy ou le 
caract^re des personnages. L^harmonie y est riche 
sans afftctation et les effects d'orchestre y sont vor 
riées et bien entendus. On regrette de ne pas poi^ 



176 EITOHE NATALI 



voir en dire autant du Psaume. Il a pam étre pé- 
niblement compose et d'un travati purement méca- 
nique. Uahus des modulations y est porte h son 
comble, et Von y rencontre fort peu de vraie me- 
lodie, Ofh dirait que Vauleur rCaurait cherché à 
plaire qu'aux personnes qui ne veulent reconnattre 
de bien et de beau en musique que Vextraordi- 
nalre. La cavatine est hien^ surtout Z'ari dante qui 
la commence. La polonaise qui la termine est quelque 
fois un peu tourmentée ; mais en general ce petit 
morceau est bien dispose pour la voix, et executé 
par une bonne chantetise^ il doit produire de Veffet. 
On invite M, Halévy à ne jamais oublier que 
dans les beaux arts il vattt mieux toucher qu'étonner.. 

Certifié conforme : 

Le Secretaire perpetue^ 
QUATREMÈRE De QuINER.' 

Avendo ricordato l'Halévy mi sembra interessante 
il parlare anche degli altri maestri ebrei che hanno 
abitato Roma, e vi hanno composta musica. Il 
primo di cui ho potuto trovare memoria fu Salo- 
mone Rossi, di Modena e fu in Roma fra il 1590 
e il 1610 e qui musicò madrigali lodatissimi che 
irovansi nella preziosa biblioteca della Reale Ac- 
cademia di Santa Cecilia. 

Giacomo Meyerbeer, israelita berlinese, uno fra 
i più illustri maestri del nostro secolo, l'autore del 
Roberto^ òbW Africana^ degli Ugonotti e di cento 
altre opere, fu a Roma nel 1823 e vi scrisse 
VAlmazor, su parole di Felice Romani. Preso da 
grave malattia fu coslretto ad- interrompere il la- 
voro e partire per tornarsene a Parigi. 



IL GHETTO DI ROMA 177 



E filialmente dal 1?30 al 1882 Ro.na si gloriò 
di albergare Felice Mendehsohn il quale qui venne 
sul novembre del 1830 e vi compose moltis ime 
opere fra. le più celebrate, come il poema Walpur- 
gisnacht per as <oU e coro — il concerto in sol mi- 
nore per pianoforte — V Hebriden-Ouverture cono- 
sciuta comunenente sotto il nome di Ouverture 
della Grotta di Fingal — ed il Capriccio in si 
m'nore^ nn^Ave Maria a otto voci e tre mottetti 
per voci di donna scritti per le suore della Tri- 
nità de' Monti. 

È curiosa questa situazione di un israelita che 
scrive per delle monache, e di monache che ri- 
corrono per musica ad un israelita. 

Forse era amore dell'arte, forse era qualche al- 
tro e meno sacro il movente. Le cronache clau- 
strali sono discrete su questo punto, e d'altra parte 
quelle religiose diedero in tale occasione prova di 
spirito cosi superiore da meritare che lo studiosa 
si fermi reverente anche dinanzi a veli che per 
avventura si potessero sollevare. 



12 -- E Natali, Il Ghetto di Romi. 



r5 



181 

.ìglio, 
■3 pc- 
ciunt 
>ltre il 
: trenta 
munita 
hi ed i 
/ava di 
Jibenter 
s' in me'- 
i curant, 
TI ita con- 
iudei del 
et quia in 
jifi'V gratis 

'obbligo di 

(Confermata 

ipi Paolo n 

'''7.9 dehenti- 

1*0 : Judaei 

>y loris ruhei 

' et pratica 

artem medi- 

probandis per 

juslitie et qua- 

ì papi verso i 
.1 Vitale di Gra- 
zi' la medicina; 
aneto, Montalto 
g io Guglielmo; 
:id Arturo de Bal- 
' muele di Cesena. 



130 ETTOUE NATALI 



gl'ande rivoluzione moderna. Nel medio evo sol 
tanto i monaci avevano conservato qualche dot— 
trina empirica, onde gli ebrei han potuto superare 
ogni altro nello studio della medicina per le co- 
gnizioni che avevano della lingua araba, in tempi 
nei quali i medici arabi della Spagna erano dot- 
tissimi. Tra i più dotti e più antichi, • Celso men- 
ziona un certo Moschion, ed un anonimo, entrambi 
medici giudei che avrebbero vissuto in Roma verso 
il sasto secolo dell'era volgare. 

Non sempre però sono stati liberi, nell'esercizio- 
dell'arte salutare, che anzi molti Concilii e molti 
papi hanno proibito agli ebrei di esercitare la me- 
dicina, come fecero, ad esempio, il Concilio Late- 
ranense ed i papi Calisto III, Paolo IV , Pio V , 
e Gregorio III. Molti altri, invece, si fecero vinceré^ 
dall'amore della vita e della sanità, e protessero 
i seguaci della legge di Mosè per l' intercessione 
del medico giudeo cui dovevano la guarigione. 

A questo proposito van ricordati Paolo III ed 
Adriano VI, che esentarono gli ebrei medici dal- 
l'obbligo di portare il tabarro rosso, obbligo im- 
posto a tutti i giudei dagli statuti di Roma, o di 
poi'tare la rotella rossa ricamata sul davanti degli 
abiti, segno che dovevano usare, per essere rico- 
nosciuti, gli ebrei di Francia e del vicereame di 
Napoli. I senatori Malatesta dei Malatesti, Be- 
nedetto Bentivogli, e Giovan Francesco Pancia- 
tici, arrivarono persino a concedere il diploma di 
cittadini romani ai medici Elia di Sabbato, Mosè 
di Lisbona, e Mosè di Tivoli ; ed Innocenzo VII, 
nel 1400, riconobbe e confermò questi diplomi. 

Il Senato romano aveva già , noi 1376 , sciolto* 
da ogni servitù pecuniaria o personale i due chi 



IL GHETTO DI ROMA 181 



rurghi israeliti Manuele ed Angelo, padre e figlio, 
•e tutta la loro famiglia, perchè in eorum arte pe- 
ritissimi, coi' die Romanis Civibus fecerunt etfaciunt 
multa servitiay et sunt in Urbe vtilissimi. Inoltre il 
Senato, il giorno 8 agosto 1385, riducéva di trenta 
fiorini il tributo che doveva pagare la comunità 
degli ebrei finché vivessero i due chirurghi ed i 
figliuoli maschi di Angelo , e ciò dichiarava di 
fare perchè essi, tra i moUi aUri meriti, libenter 
gratis serviunt et pauperibus et egevtibus in me- 
dendo subveniurt, et pecunias exigere non curant. 
Bonifacio IX confermò, nel 1399, le immunità con- 
-cesse dal Senato ad Angelo e Manuele, giudei del 
rione di Trastevere, per esser chirurghi et quia in 
dieta aite sunt cnriales, et benigni^ et Uhevter gratis 
-serviunt pauperibus j et sunt peritissimi. 

L'esenzione, pei medici ebrei , daL'obbligo di 
portare il segno rosso sul mantello è confermata 
negli Statuti corretti e riformati dai papi Paolo II 
ed Adriano VI nel capitolo: De Jìideis desienti- 
bus por! are tabarros rubeos ove è detto : Jtidaei 
■super al'is vestimentis tabarros porfent Cfloris rubei 
Exceptis medfcis expertis in theorin et pratica 
medicinoRy et actualiter exercentibus artem medi- 
cinae in Urbe ibi habitantibus , approbandis per 
Dominos Conservatores. Executores juslitie et qua- 
tuor Consiliarios, 

Né finirono qui le concessioni dei papi verso i 
medici ebrei ; Martino V permise a Vitale di Gra- 
ziano di poter ovunque esercitare la medicina; 
Nicolò V nel 1451 lo permise in Corneto, Montalto 
^ Civitavecchia a Dattilo ed al fig'io Guglielmo; 
Pio II a Mosè dì Rieti, e Sisto IV ad Arturo de Bal- 
mes di Napoli ed a Manue'lo di Samuele di Cesena. 



182 ETTORE NATALI 



Della dottrina dei medici ebrei romani fanno fede 
molte opere manoscritte che si conservano nella 
Biblioteca Casanatense, come gli Scritti di Giuseppe 
Lorki intorno agli aforismi d'Ippocrate, ed al primo 
dei Canoni di Avicenna , e la traduzione ebraica 
del Canone stesso trascritta a spese del medico 
romano Mordachai ben Isaak nel 1415. 

Mosè di Tivoli era anche medico di Ladislao re 
di Napoli, e fu ucciso in Roma nel giugno del 1408 
dal predetto Elia di Sabbato, come trovo negli 
Archiatri Pontefici del Mandosio, per invidiam 
quia erat melior medicuSy quam supra dictus Helias, 

Il favore di cui spesso godevano in Roma i me- 
dici ebrei era cosi segnalato che qualóhe volta i 
privilegi erano estesi anche alla loro famiglia, come 
nel 1515, quando fu concesso a maestro Aunzio,. 
alla moglie ed alla figlia, di poter vestire alla foggia, 
degli altri cittadini. 

Talvolta i medici ebrei furono ammessi ad abi- 
tare presso la corte del papa insieme alle loro 
iiiogli ed alle figlie, anzi una di queste donne la- 
vorò per Benedetto XIII, rocchetti, camici ed altri? 
abiti pontificali. 

Il Grassi si domanda: ma perchè tutte queste 
preferenze per tali medici ? Non sono essi pure 
forse gli uccisori di Gesù? Anzi, si risponde la 
stesso autore, chi sa che non siano stati essi f^oli 
ad averlo ucciso come ebrei, e come... medici! 

Negli Statuti di Roma occorre più volte di tro- 
vare disposizioni intorno gli ebrei. Mi valgo della 
pubblicazione dottissima che ne ha fatto recente- 



IL GHETTO DI ROMA 183 

mente l'avvocato Camillo Re per qui riportare 
tutti i provvediinenti che l'antico magistrato ro- 
mano aveva creduto di prendere per difendere o 
per punire gli ebrei che abitavano Roma. Dalle 
disposizioni stesse apparrà come fosse liberale la 
.legislazione di Roma quando, a guisa delle altre 
principali città d'Italia, era retta a comune. 

Roma non ebbe il suo vero e proprio Statuto 
prima del secolo decimoquarto, e fu soltanto in- 
torno al 1362 che se ne procedette alla compila- 
zione riunendo in un solo libro tutte le leggi che 
il magistrato romano aveva emanato per mezzo 
di bandi, e che si trovavano disordinatamente re- 
gistrate negli atti dei notari capitolini. La fonda- 
zione dello Stato popolare era avvenuta in Roma 
nella celebre notte di Pentecoste dell'anno 1347 e 
gli statuti sanzionati pochi anni di poi avevano- 
un colore politico specialmente democratico. Né è 
da stupirne, come opportunamente osserva il pro- 
fessore Camillo Re, quando si pensi che l'opera 
di Cobi di Rienzo non era stata distrutta, ma di- 
sciplinata ed inalzata a sistema di governo da 
Egidio di Albornoz. Del resto i papi allora ave- 
vano bisogno di basarsi sull'elemento popolare per 
combattere la turbo'enta nobiltà che a loro stessi 
voleva imporsi, E d'altra parte è dimostrato lo spi- 
rito democratico che ispirò gli autori degli statuti 
dalle disposizioni liberali prese per la nomina del 
senatore, là ove è dichiarato ineleggibile : qui sit 
imperator, rex, princeps, marchio, dux, comes, aut 
baro seu filius aut nepos ipsorum. 

Potrei riportare molte altre disposizioni conte- 
nute negli Statuti romani, per dimostrarne la sag- 
gezza ed il liberalismo ma non voglio allenta- 



184 ETTOME NATALI 



narmi dall'argomento, e del resto ciò che fu sta- 
bilito per gli ebrei ne è una prova evidente se si 
ponga a confronto con tutte le leggi emanate a 
loro riguardo nei tempi più civili. 

Al cap. CXCVill ad esempio fu stabilito : 

Item quod manescalci cwie (mantengo l'ortografìa 
aF/ora adoperata) capitola non possint nec debeant 
cogere nec cogi facere sess vel alium eorum nomi- 
nihìts prò eis, aliquem judeum vel judeam ad sol- 
vendnm aliquam pecunie quantitatem eis nec alieni 
ipsorum manescalcorum quacumque occasione titulo 
siie causa^ ad penam X fiorinorum auri prò qua- 
lihet ij)Sorum et vice qualibet de eorum salario re- 
tinevflorum per Camerarium Camere Urbis nisi in 
casihus per Stntiitos Urbis premissis vel ex com- 
missione Senoturis vel eorum Judicum, 

Molte legi^lazioni dei secoli meno barbari non 
<^rano benevoli come quella del Senato romano, e 
non solo ncn minacciavano alcuna pena a chi 
.estorceva danaro agli ebrei, ma forse lo enco- 
miavano, ed appena era punito con ura multa 
quegli che commette: se un giudeicidio. 

Dovrei qui ripo;tare testualmente gli alti arti- 
coli che si contengono sugli statuti e riguardano 
^11 ebrei dimoranti in Roma, ma noi faccio per 
non tediare il lettore con troppo lunghe citazioni 
nel barbaro idioma latino in uso fra i legali del 
quattrocento. Mi limiterò quindi a riferire come 
fossero minacciati di multa gli ebrei che aves- 
sero osato di lavorare alla vista del pubblico 
nelle domeniche , e r ei giorni della Madonna , 
come erano puniti se osavano di seppellire i ca- 
daveri dei loro morti al di fuori del campo appo- 
sitamente comprato dalla università israelitica per 



IL GHETTO DI AOMÀ 185 



tale uso; cosi èrano puniti con multa di venticin- 
que lire provisine se davano danaro ad usura. 
Del capitolo riguardante la compartecipazione de- 
-gli ebrei ai giuochi di Agone e di Testacelo, ho 
parlato altrove, perciò qui non mi occorre di far 
notar altro. Del resto la stessa mitezza delle pene, 
quale appare negli articoli su riportati, dimostra 
il libei alismo dei reggitori del comune di Roma in 
un'epoca nella quale per un non nulla i cittadini 
poveri erano puniti col taglio della mano, o della 
lingua, coi tormenti i più raffinati e persino con 
la pena di morte. E le multe erano anche ben 
poca cosa al paragone di ciò che toccava agli 
ebiei trasgressori degli ordini del vicariato in se- 
coli a<^sai più prossimi e per fino nella prima metà 
del secolo decimonono. E la mitezza ed il libera- 
lismo degli statuti romani al riguardo degli ebrei 
apparirebbero anche maggiori quando si ponessero 
a confronto con ciò che facevano i sovrani degli 
altri Stati nella stesa epoca come Filippo il Bello 
e Luigi IX di Francia, ed Edoardo IV d'Inghil- 
terra e molti sovrani di Lamagna. 

E a lode del vero si noti che gli statuti della 
città di Roma erano approvati dai papi. 



-*• 



E per tornare ai medici dirò che vi era chi ar- 
rivava persino a non fidarsi che dei medici ebrei, 
come narrasi di Francesco I re di Francia, che 
ne domandò uno a Carlo V, ed avendo questi 
spedito un tale che si era fatto battezzare da poco 



18t> ETTORE NATALI 

tempo, il re francese fece cacciar via il malcapitato 
neo-cristiano. Francesco chiese poi lo stesso favore 
al Sultano, il quale, da Costantinopoli, gli mandò 
un medico ebreo, che ebbe la fortuna di guarire il 
re col solo prescrivergli la cura del latte di asina. 
Né .si può dar torto a coloro che riponevano poca fede 
nella dottrina dei medici cristiani, quando si pensi 
che Giovan Matteo Fabbri ne assicura che questi 
medici giudicavano il suono delle campane come 
ricetta salutare contro il dolor di capo, e si scri- 
vevano delle opere dal titolo : De dolore capitis so- 
nitu campanarum sanato (I). • 

Si possono citare i nomi di moltissimi giudei che 
in Roma hanno esercitata la medicina con rino- 
manza, come furono Abramo de Palmis, medico 
del cardinale Gambara, che mori nel 1559; Vitale 
di Graziano ed Elia Giudeo, archiatri di Martino V; 
Samuele Sarfadi, rabbino spagnuolo, chiamato in 
Roma per curare Giulio II ; Angelo di Manuele di 
Trastevere, che nel 1592 fu annoverato fra i me-^ 
dici di Bonifazio IX ; Vitale Alatino, medico di 
Giulio III, Laudadio Balnes, da Pesaro, medico 
dell'eloquente cardinale Tiberio Crispi, romano 
vescovo di Sabina (1560). Il Balnes è ricordato 
per le sua dottrina da Amato Lusitano nel libro 
Curationem medinnalium. 

Alcuni autori vogliono che fosse medico quell'Enoc 
da Ascoli che nel secolo decimoquinto fu spedita 
da papa Niccolò V, ad acrjuistare libri in Grecia,, 
in Francia, in Alemagna, e persino nella Dacia. 

Credo che debba ritenersi di origine romana una 
famiglia che forma una catena continua di me- 
dici eruditi e distinti, cioè la famiglia Portaleone, 
in ebraico mi-Scà ar-Arje, Beniamino Portaleone^ 



IL GIlhTTO DI liO.VJA 187 



morto intorno al 1500, divenne archiatro del re di 
Napoli, poi archiatro di Galeazzo Sforza, duca 
di Milano, e finalmente occupò lo stesso posto 
presso il duca Ludovico Gonzaga di Mantova. 
A bramo , figlio di Beniamino , era archiatro dei 
duchi di Urbino, Guidobaldo e Federico, ed ebbe 
licenza di esercitare la medicina da papa Paolo UT. 
Abramo ebbe due figli medici , l'uno di nome 
Lione e l'altro Lucido, il quale da papa Clemente 
ebbe licenza di esercitare la sua professione. Era 
figlio di Beniamino Portaleone anche il medico 
Lazzaro, cui la concessione papale fu data nel 1499, 
ed era medico del conte Sassatelli, generale della 
Repubblica di Venezia nell'anno 1520. Suoi figli 
furono David ed Abramo:. il secondo fu licenziato 
da Leone X e decorato, ed era archiatro di Fede- 
rico Gonzaga ; del primo furono figli i due medici 
Guglielmo ed un altro Abramo, che studiò a Pa- 
dova al 1563 e nel 1591 ebbe la licenza di eser- 
xjitare l'arte salutare da Gregorio XIV. Di que- 
st'ultimo Abramo era figlio David, che ottenne la 
licenza da Clemente Vili nel novembre 1596. 

Molti autori hanno discusso suU'origine del nome 
e della famiglia dei Portaleone, ed io la credo ro- 
mana perchè si sa che gli ebrei hanno spesso 
preso i loro cognomi da un luogo di abitazione, ed 
a Roma evvi la via di Portaleone precisamente 
vicino alle case abitate dagli ebrei nel 1300 e 
nel 1400 , e che deve il suo nome alla vicinanza 
del teatro di Marcello- che nel medio evo era stato 
occupato dai Pierleoni, famiglia il cui capo era di 
origine ebraica , come mi è occorso di dimostrare 
in altra parte di questo scrìtto. 



.188 ETTORE NATALI 



4- 



Fra i patriarchi del' a medicina romana non deve 
-dimenticarsi Sabbatai, nominato Donnolo, medico, 
astronomo, filosofo ; nacque in Oria nel 913 ; fatto 
prigioniero dagli Arabi nel 925, imparò in Africa 
la medicina , che venne ad esercitare in Roma 
quando fu riscattato dai cristiani di Otranto. Il 
Donnolo era medico molto ricercato dai cristiani. 
Nilo, il monaco basiliano che si era ritiiato sul 
Tusculo, e che dopo morto fu annoverato fra i 
santi, venuto in Roma cadde malato. Gli amici pre- 
posero, al santo di chiamare il Donnolo ma egli lo 
respinse, secondo narrano i cronisti, pronunciando 
le seguenti parole: Unvs ex vestris hebreis dìxit 
nobis .\ Bonum (sic) esto covfidere in Dominò^ quara 

confidere in komine In vero non aliter poteris 

illudere simpliciorihus Chr'stianis, quam si tejactes, 
-quod Nilo dederis de tuis medicamentis. Il monaco 
tuf^culano mi sembra che ben si apponesse nel 
respingere da sé il medico perchè guari prima e 
visse molto, cioè fin quasi ali' età di anni novan- 
tacinque. 

Né i medici circoncisi furono ammessi soltanto 
all'onore di curare i papi, ma qualcuno fu perfino 
.annoverato fra i professori dell'Archiginnasio ro- 
mano della Sapienza,' come Giacomo Mantini, che vi 
leggeva medicina pratica mentre era papa Paolo III, 
che compose vari libri, e molti ne tradusse dal- 
.l'arabo e dell'ebraico, dedicandone uno anche a 
Leone X. Giacomo era parente di quel Graziadio 



IL GtlETTO DI ROMA . 18^' 



Man tini, medico dottissimo, che fu medico ed amico 
di Annibal Caro. 

Giacomo Mantini nel Rotolo (ruolo) dei profes- 
sori che insegnavano all' Università romana nel 
1589 è annotato soltanto come Jacobo giudeo, ed 
era tenuto a far lezione n'3Ue ore pomeridiane. Il 
Renazzi nella Storia dell* Università degli studi di 
Roma parlando di lui dice che « era di nazione 
« spagnuolo, uomo dottissimo e peritissimo in molte 
« lingue, autore di varie opere e traduzioni di^ 
« libri dalla lingua arabica ed ebraica nella latina, 
« che prestò la sua assistenza a Paolo III, sot'o il 
« cui governo furono gli ebrei assai favoriti e 
« protetti. » 

Il Liehder parla con molto onore di David Os- 
sane medico romano, ebreo, che dice nato nel 1392 
da Samuele e Laura Semi. Viaggiò TOssano a 
lungo per le varie contrade di Europa, e ne tornò 
preceduto da gran fama medica. Molti sovrani dei- 
Tepoca ricorsero alla sua scienza; pubblicò opere 
vastissime e profonde su materie mediche parti- 
colari, e fondò una scuola che da lui prese il nome. 
Il Liehder attribuisce a lui l'onore del pronto rifio- 
rire della medicina circa al 1430. 

Né è meno celebre Giacomo ^ Zafalone nato in 
Roma Panno 1630, e addottoratosi in medicina nel- 
r Università romana. Egli non solo ha lasciato 
dei trattati sulle febbri, sui veleni semplici e sopra 
varie malattie, ma si dette anche allo studio del 
Dritto; fu nominato professerà air Università di Fer- 
rara, ed ebbe posto fra i più dotti del suo secolo. 

Ma anche l'esercizio dell'arte salutare fu inter- 
detto agli ebrei con la famosa bolla di Paolo IV, 
e la proibizione durò fino ai nostri tempi. Prima 



190 ETTORE NATALI 



I 



del 1870, infatti, qualche volta si permetteva ad 
un ebreo di esercitare la medicina coi suoi corre- 
ligionari, ma egli doveva prima prestar giuramento 
di non curare alcun cristiano anche quando stesse 
in pericolo imminente di morte. 

Ho sotto gli occhi un diploma originale col quale 
il 18 dicembre 1797 Giuseppe Castelli ebreo, fu 
addottorato in medicine. Il diploma è scritto su per- 
gamena e vi si incomincia con l'invocare il nome 
di Dio e di tutti i santi come nei diplomi ordinari 
ed è rilasciato all'effetto di dare al laureato la fa- 
coltà di esercitare la medicina soltanto fra gli ebrei. 
Il Castelli, come tutti gli altii che richiedevano il 
grado dottorale, si dovette sottoporre ad un rigo- 
roso esame innanzi al protomedico, che in quel- 
Tanno era Pasquale Adinolfì, e fu tenuto, secondo 
le costituzioni, a pagare il triplo della tassa per 
la matricola solita a pagarsi dai cristiani. Al nuovo 
dottore fu fatto prestare giuramento col toccare un 
calamaro ed una penna e quindi fu rivestito del 
grado e delle insegne dottorali nel modo stesso 
usato coi cristiani, ossia fu prima fatto sedere il 
nuovo dottore Sopra una cattedra magistrale, quindi 
gli fu mes>o al dito Tanello e la toga sulle spalle, 
infine gli fu ricoperta la testa con un pileo invece 
che con la berretta a quattro pizzi usata per gli 
altri laureati. 

Il pileo (pileus o pileum) era un berretto ro- 
mano del quale coprivansi il capo gli uomini tor- 
nati in libertà ; e certamente lo stesso significato 
annettevasi alla cerimDnia in questa occasione. 
L'ebreo usciva come dal -rango dei suoi, si solle- 
vava a miglior fortuna, veniva a godere uno dei 
più desiderati diritti dei liberi, quello di esercitare 



IL GHETTO DI HOMA 191 



una professione delle più accreditate e di bandire 
dalla cattedra la parola della scienza. 

E tanto più onorevole e desiderata diveniva tal 
dignità, in quanto era impartita dall'Università di 
Roma, di quella Roma che il diploma dice enfa- 
ticamente gloriosa madre degli studii, e attrice di 
ogni virtù, che per tutte le parti del mondo va 
celebre per il culto di tutte le scienze. 

Credo che altrove siansi concesse lauree ad israe- 
liti, ma a questo culto di Roma per gli studii, 
culto che sollevava gli animi, ed in quei tempi 
è mirabile, sopra gli odii di razza e di religione, 
dava diritto ai dottori di parlare alto il linguaggio 
di cui ho dato un piccolo saggio. Erano uomini 
dediti penitus doctrinae e non erano di questo 
mondo. 




XIII. 



Rapimenti di fanciulli - Il sangue de'cristiani nelle sinagoghe 
goni • Profanazione di ostie consacrate. 



Stre- 



Come non vi ha sereno senza nubi, cosi la gloria 
che il popolo d'Israello si è acquistata nella me- 
dicina è offuscata per molti fatti riprovevoli. 

Innocenzo Vili, di casa Cibo, il papa più nepo- 
tista che abbia mai vissuto, era in fin di vita, op- 
prèsso dagli anni e dai malanni*, quando un medico 
ebreo, un ciarlatano di cui i cronisti non ricordano 
il nome, si presentò al pontefice che non se la 
sentiva troppo di lasciar la gloria di questo mondo. 
Il medico promise ad Innocenzo la guarigione con 
la trasfusione del sàngue umano, e si fece il bar- 
baro esperimento col sangue di un fanciullo cri- 
stiano, che ne mori, come quasi subito mori il 
credulo papa. 

L'accusa di sacrificare i fanciulli e le giovanetto 
cristiane pesò sulla razza semitica per lunghi 



13 — E. Natau. Il Ghetto di Roma, 



194 ETTOUE NATALI 

^ , . ■■•. ........... 

anni fin dai tempi di Appione che accusava gli 
ebrei di ritenere nel loro tempio alcuni stranieri 
fatti prigionieri, per ingrassarli prima e quindi 
offrirli in olocausto a dio. Ed anche ai nostri 
giorni si è ripetuta in un famoso processo che com- 
mosse le popolazioni ungheresi. 

Il fatto accadde nel 1882 e il processo si svolse 
a Tizia Ezlar, in Ungheria, nell'agosto 1883. 

Fu trovata ammazzata una bambina cristiana, 
e gli antisemiti accusarono del misfatto i tenitori 
della sinagoga di Esterhazy. 

Anzi andarono cosi lungi nell'odio di razza, da 
riescire, con minaccie, a far si che il figlio di 
uno degli accusati - dell' imputato principale - de- 
ponesse in giudizio contro il padre e lo zio. 

Nondimeno gli accusati furono assolti. Essi do- 
vettero abbandonare il paese, poiché, certo, sareb- 
bero rimasti vittime degli antisemiti, fra i quali 
era anche l'avvocato dell'accusa, un ungherese, del 
quale mi sfugge il nome. Egli fu addirittura feroce 
e nella sua requisitoria e durante i dibattimenti. 

Fu constatato poi, con prove irrefutabili, che 
il giovane il quale aveva denunciato i suoi parenti, 
era stato sottoposto a una specie di tortura. 

Il fatto agitò, allora, tutta la stampa d'Europa. 

Il processo durò circa venti sedute. Si citarono 
da ambe le parti numerosissimi testimoni. Quasi 
tutti gli ebrei di Esterhazy deposero, e deposero 
anche molti testi di accusa. 

Gli incidenti del processo furono innumerevoli, e 
ne fan pensare, con terrore, a ciò che doveva suc- 
cedere nel medio evo, se simili manifestazioni di 
odio religioso e di selvaggia superstizione sono 
ancora possibili in pieno secolo decimonono. 



IL GHETTO DI ROMA 195 



■*■ 



La storia infatti dei secoli XII e XIII è piena di 
rapimenti, di uccisioni di fanciulli, fatte da ebrei per 
adoperarli come medicine ad opere d'incanti. Cor- 
reva voce che essi comprassero i figli dei cristiani 
poveri per rivenderli ai musulmani, dopo avere pre- 
parati i giovanetti in modo da farne delle guar- 
die fedeli per gli harem. Se pure l'accusa alcune 
volte fo-se stata vera non dovevano menar ru- 
more i cristiani per qualche fanciullo che ve- 
niva evirato dai giudei, essendo ormai noto a 
tutti come precisamente fra i cristiani cattolici apo- 
stolici romani si sia mantenuto per lungo tempo 
il triste costume di evirare i bambini per farne dei 
soprani o dei contralti. E, senza portare della bar- 
bara usanza molti facili esempi, valga quanto asse- 
risce David Silvagni di un barbiere, in via Papale, 
che teneva scritto sulla sua bottega : qui se ca- 
strano LI CANTORI DELLE CAPPELLE PAPALI. Ogni 

commento sarebbe superfluo! 

Era pur sparso r.el volgo che gli ebrei rapis- 
sero i bambini per mangiarseli, e per ofiPrirli 
al loro dio nei sacrifici. Il popolino ha creduto, 
fino ai di nostri, e forse lo crede ancora, che nelle 
solennità pasquali si scannassero fanciulli cristiani 
per mangiarne le carni e per impastarne col san- 
gue gli azzimi tradizionali. Queste accuse sono 
state perfino smentite da bolle di papi, i quali 
se da un lato volevano che venisse punito con 
multa di soldi quaranta Judeus vel Judea, qui 
ausus vel ausa fuerU in die dominico publice in fé- 



193 ETTORE NATAU 



stivitatibus beate marie Virginis laborare, quam pe- 
nam senator auferre teneatur^ et hoc bandivi faciat 
et accusator habeat medietatem pene predicte, dal- 
l'altro cercare !:o in qualche ci. co far za di ver ire 
in loro soccorso. Cosi Innocenzo IV, nel 1247, 
scrisse esser ingiusto l'accusare gli ebrei di comuni- 
carsi col cuore e col sangue di un fanciullo cristiano 
ucciso a tal fine, ed altri in altri tempi cercare r^o 
di difenderli e di scagionarli dall'imputazione calun- 
niosa. E la credenza popolare di tali enormità era 
talmente radicata, e produceva danni cotanto forti 
da spingere alcuni pontefici a comminare la sco- 
munica contro coloro che si facevano propalatori di 
simili calunnie. Cosi fece Gregorio IX col Breve del 
9 settembre 1236 ed Innocenzo IV nel 5 luglio 1274 
e Clemente VI nel 1342 e lo stesso prima avevano 
fatto i papi Calisto, Alessandro, Celestino, Onorio e 
moltissimi altri. 

Si noti che la maggior parte delle persecuzioni con- 
tro gli ebrei in Europa ebbe appunto a movente 
l'accusa d'uccisione di un qualche fanciullo cristiano^ 
uccisione che il più delle volte si diceva fatta per 
prenderne il sangue, e mischiarlo col pane azzimo, 
o, ciò che rendeva anche più esecrando il misfatto, 
per mischiarlo con le ostie consacrate per servirsi 
quindi di que?^te ad opere di magia. Siflatte ac- 
cuse, è curioso il constatarlo, incominciarono ad 
aver voga nel dodicesimo secolo, dopo cioè che fu 
stabilito il sagramento dell' Eucaristia. Gli storici 
sono facili ad attribuire agli ebrei eccessi di tal 
fatta, ed il popolo credulo, sovente, fu spinto per 
strane coincidenze di fenomeni soprannaturali a san- 
guinosi massacri ; bastava talvolta la voce, spesso 
ad arte difiFu^^a, che un'ostia consacrata era stata col- 



IL GHETTO DI ROMA 197 



pila di pugnale, o con uno spillo, o in qualunque 
altro modo derisa. 

E nella leggenda popolare non di rado andavano 
congiunti il sacrilegio e il castigo ; castigo pauroso 
e terribile il più delle volte, quale il furore divino 
soltanto, eccitato dai reprobi, poteva infliggere. Cosi 
ricordo di aver letto in qualche cronaca antica di 
un tal giudeo che trovandosi a passare per piazza 
del Pianto mentre una processione vi entrava da 
un'altra parte, ardi volgere altrove il capo spu- 
tando quasi in ispreto dell'ostia consacrata che il 
sacerdote recava. Tanto bastò perchè Tira celeste 
piombasse sopra di lui, e lo colpisse cosi da ren- 
dergli impossibile il poter mai più ritornare la 
testa alla posizione naturale. Né valse arte di 
medico, o di cerusico, sebbene, come abbiamo ve- 
duto, e degli uni e degli altri ne avessero valen- 
tissimi le Università dei giudei. 



■*■ 



Anche la diffusione di queste accuse è dovuta 
agli ebrei convertiti, come a loro sono imputabili le 
persecuzioni contro i libri talmudici. E tanto era 
maggiore Tira degli apostati contro la religione 
dei loro avi, quanto più si distinguevano per cri- 
stiana pietà e per fervore cattolico. Un ex-rabbino, 
divenuto poi prete, ha consacrato un intero vo- 
lume, che fu ristampato a Prato or sono due anni, 
a dimostrare che nelle cerimonie religiose degli 
israeliti, e specialmente in quelle pasquali, il sangue 
cristiano è di rito. Soggiungo, a lode del vero, 
che l'ottimo sacerdote visse nel 1700, e che di 



198 ETTORE NATALI 



poi il bisogno di tali dimostrazioni si è fatto molto- 
di rado sentire. 

Certo è però che, se i rinnegati e i fanatici getta- 
vano il seme, questo non cadeva su sterili pietre, 
ma fruttificava largamente all' ombra della più 
crassa e superstiziosa ignoranza. Tanto che non 
di rado è avvenuto dipoi che qualche scrittore, 
anche tra i più scevri da odii di razza e di re-- 
ligione, abbia, sulla fede di cronache litenute ve 
ritiere, raccolto e ripetuto fatti che, o alla sana 
critica non resistono, o debbono mettersi tra quei 
casi isolati che sempre e in ogni luogo s'incontrano y 
ma che mai a popoli o religioni si possono imputare. 
Cosi, per tacer d*altri, ricorderò a questo luogo il no- 
stro Francesco Domenico Guerrazzi che in una delle 
prime edizioni dell' Asino cosi scriveva ; « Questo 
« vediamo praticato in diverse guise, o cibando 
« le vittime umane già offerte a Dio ed accettate 
4( da lui, come, sino a tutto il 1820, costuma- 
« rono i Benderusi, o gli azzimi intinti col san- 
« gue umano, come fecero gli ebrei, finché la 
« poterono fare. Che questo nei tempi barbari cc- 
« stumassero gli ebrei non sembra potersi revo- 
« care in dubbio : fra i moderni scrittori ne par- 
« lano Michewich, e Jacobe il bibliofilo. » A lode 
del vero va detto che il Guerrazzi ben presto si 
accorse della gravità dell'affermazione e nelle ul- 
time edizioni del libro soppresse il brano qui ri- 
portato. Anzi in alcune edizioni dell'opera pregevo- 
lissima il triumviro toscano fa ammenda onorevole 
dell'errore al quale aveva data parvenza di verità 
con l'autorità del suo nome. 

Infatti nella terza edizione àeW Asino (Torino 1859) 
è detto : « Diligenti ricerche ci hanno chiarito come 



IL GHETTO DI ROMA 199 



« questa inumanità non pure consentano, nia vie- 
« tino le leggi ebraiche; se qualche setta iniqua 
« l'abbia praticata non è sicuro, e in ogni caso sa- 
« rebbe fantasia e ferocia di qualche uomo belva, 
« non punto rito di popolo. » 

Ora se una persona dotta e liberale come Fran- 
cesco Domenico Guerrazzi potè prestar fede, sia 
pure per un momento, a simili laide accuse d'in- 
fanticidio, come non vi doveva credere il popolino 
nei secoli i più ignoranti, quando si udivano degli 
ebrei convertiti ripetere certe storielle, e proclamar 
dalla cattedra, come fece padre Alfonso Spina ret- 
tore dell'Università di Salamanca, che gli ebrei, 
perchè sogliono perdere ogni mese una certa quan- 
tità di sangue, avevano l'uso ed il bisogno di ci- 
barsene per rimpiazzarlo. 

E quasi tutto questo non fosse bastato, la Chiesa, 
a rafforzare la popolare credenza, aveva annove- 
rato fra i santi, e li annovera ancora, molti fan- 
ciulli che si asserivano uccisi e martirizzati dagli 
ebrei. Sarebbe facile il ricordarne parecchi come 
san Riccardo ucciso dagli ebrei nel 1179, ed il 
beato Enrico nel 1345, ed il beato Andrea nel 1462, 
e san Guglielmo ucciso dagli ebrei di Narwich, 
e san Manzio ucciso dagli ebrei lusitani, e san 
Sebastiano Novelli martirizzato da quelli di Verona, 

Uno degli ultioii processi clamorosi fatto per 
reati di tal genere è quello istruito dal Parla- 
mento di Met?, che nel 17 gennaio 1670 fece bru- 
ciar vivo Raffaello Levy, ritenendolo convinto di 
aver ucciso un fanciullo cristiano. 

Degli esempi se ne porrebbero addurre all' in- 
finito, tanto più che, lo ripeto, simili imputazioni 
sorgevano al principio di ogni speciale persecuzione. 



200 ETTORE NÀTALI 



6 la cosa non colpi soltanto gli ebrei, ma anche 
altri, come nelle epidemie avveniva per gli un- 
tori. Ad esempio, per giustificare la distruzione del 
celebre Ordine dei Templari, si mise in voga una 
diceria di tal fatta, come scrisse il Du Puy: Un en- 
fant nouvel engendré d*un Templier et d*une pucelle 
estoit cuit et rosti au feu et tonte la graisse ostée 
et dHcelle estait sacrée et oint leur idóle. La cosa 
parrà strana, ma chiunque può riscontrarne la 
verità. Anche adesso, in Oriente, la voce corsa del 
rapimento di qualche fanciullo non di rado dà 
luogo a rivoluzioni e a massacri che spargono il 
terrore in intere contrade. 

Ora fortunatamente ben pochi credono ai cruenti 
sacrifici umani, anzi ai più ripugna il prestar 
fede a tali accuse contrarie alla dottrina ed ai 
-costumi di gente cui il Talmud insegna che: 
« Dio impresse la sua immagine sulla faccia di 
« tutti gli uomini, e che chiunque cancella questa 
« immagine facendo perire una creatura umana 
« è ribelle a dio e insulta alla « maestà divina. » 

È vero che in tutte le religioni il fanatismo fa 
dimenticare i precetti della legge scritta, e non si può 
dire, ad esempio, che seguissero gli insegnamenti 
del Vangelo, il libro più umano che si conosca, 
quei fanatici spagnuoli che, ogni giorno, impicca- 
vano 12 indiani ad onore e gloria dei 12 apostoli. 

Cosi, malgrado gli insegnamenti del Talmud, 
qualcuna delle brutture apposta agli ebrei è in- 
dubbiamente vera, e, come sempre avviene, su 
qualche fatto di depravazione o di vendetta indi- 



IL GHETTO DI ROMA 201 

viduale l'opinione pubblica ha basato accuse gene- 
rali ed ingiuste, che hanno senipre più accese le 
ire e gli odii fra i seguaci del Nuovo è quelli del 
Vecchio Testamento. Si sa, ad esempio, che gli 
ebrei portavano, per venderli, in Marsiglia quei cri- 
stiani che furono presi dai turchi durante l'assedio 
di Vienna, e che i turchi eviravano, prima di 
venderli, e per odiò di razza e per ritrarne profitto 
maggiore. 

Un'altra accusa, come vedemmo, fino a tutto il 
secolo scorso ha fatto versare molto sangue e ca- 
gionato selvaggie persecuzioni : è quella che gli 
ebrei rubassero le ostie consacrate per profanarle 
a colpi di coltello fino a che dall'ostia non uscisse 
il sangue. L'accusa era strana, inverosimile, ma 
la moltitudine vi prestava fede e perseguitava di 
odio feroce la razza maledetta che con tali pro- 
fanazioni provocava l'ira di dio, e qualche fatto di 
tal genere si trova seriamente narrato anche dagli 
annalisti romani, i quali però il più delle volte si 
sono limitati ad accusare gli ebrei di stregoneria. 
- È sin dai tempi dell'impero romano che gli ebrei 
si son dedicati a pronosticare l'avvenire, alle arti 
segrete amatorie, alla fabbricazione dei filtri, alla 
evocazione degli spiriti, ed anche allora erano ac- 
cusati d'uccidere i bambini d'altre religioni, come 
trovasi nella Satira sesta di Giovenale: 

A pochi soldi 

Vende fole V ebreo per tatti i gasti. 
Passionati amator, e testamenti 
Di ricchi zitellon promette a tatti ; 
Ma pria d*ana colomba i palpitanti 
Visceri esplora, ed apre ai polli il petto, 
Ower d^un cagnolin fraga gli entragni, 
E talvolta d*un bimbo; e si fa reo 
Di colpa onde ei medesmo a danno altrui 
Delator si farebbe 



202 ETTORE NÀTALI 



Tali arti superstiziose hanno durato per tutto il 
medio evo ed anche nell'evo moderno, e narrasi' 
di vecchie ebree, le quali uscivano furtivamente^ 
dalle loro case, o dal Ghetto, e si aggiravano per la 
città a vendere filtri. L'accusa è ribadita nella bolla 
di Pio V Hebreorum gens del 1564 ove è detto; 
« Col pretesto di qualche lecito commercio si intro- 
« ducono nelle case di donne distinte, provocandole- 
« ad ogni sorta di impudicizia, e quanto è peggio 
« ancora, spingendo quelle deboli ed imprevidenti 
« creature a opere di satana, ricorrendo ad arti 
« magiche, cabalistiche e simili. » L'opinione degli 
scrittori circa la virtù delle donne ebree abbiamo 
avuto campo di vederla altrove, e non è certo lu- 
singhiera per loro. Adesso nulla certamente la 
giustifica, ma dovè esser comunissima un tempo, 
se il Martorelli chiama a dirittura postriboli le si- 
nagoghe, e se, molto prima ancora, Ovidio ricorda 
le conventicole giudaiche nella sua Arte d^ amore e 
loro consacra un distico nel suo laconismo eloquente : 

Nqc te preetereat Veneri ploratua Adonis 
Cultaque judoBO septima sacra Syro, 

Ma forse i giovanetti andavano facilmente nelle 
sinagoghe soltanto per vedere le fanciulle, come, 
secondo ne fa testimonianza il poeta greco, avve- 
niva presso gli, cileni : 

. che Bon di feste 

Avidi i giovanetti, ove li tragga 
Men grimmortali d^onorar desio 
Che la beltà delle donzelle accolte. 

Adesso, nelle sinagoghe le donne si tengono ri- 
gorosamente separate dagli uomini, ed hanno in- 
gresso speciale. Può darsi che a tal misura fos- 



IL GHETTO DI ROMA 20^- 



sero condotti , se pur non è più antica , gli ebrei- 
per evitare scandali , e non dar presa ad accuse 
ed a maldicenze. Accuse e maldicenze che non 
mancarono, è ne fan fede tutti i santi padri, nep- 
pure nei tempi dei primitivi cristiani tanto che si 
dovettero proibire le vigilie. 

Per tornare al nostro argomento aggiungerò, che 
l'esercizio dell'arte divinatoria, portato dall'Asia, 
sopravvisse presso gli ebrei fin quasi a' nostri 
giorni, né è molto che i creduli traevano ancora, 
di furto, al Ghetto per scrutare l'oracolo sulle cose 
avvenire con cerimonie strane e superstiziose. 

Ma purtroppo di tali stranezze non hanno il pri- 
vilegio solo gli ebrei e gli zingari ; bascerebbe un 
poco addentrarsi nella vita popolare per vedere 
quante salde radici mettano i pregiudizi, e quanto 
poco siasi fatto dai governanti per sradicarli. Po- 
trebbero dirne qualche cosa i tenitori di banco da 
lotto, ove affollasi il popolino che ad ogni più 
lieve avvenimento sa trovare auspicii propizi. E 
non sono pochi anche oggi giorno coloro che su 
l'altrui credulità speculano o vivono lautamente. 



•*■ 



Un'altra accusa si muove agli ebrei, quella di 
esser facili ricettatori di oggetti rubati. Anche- 
questa accusa risale a vecchia data, ma si man- 
tiene vivissima tuttavia e forse, con qualche ra- 
gione. Il piccolo commercio, cui di preferenza l'e- 
breo si dedica, la compra e vendita di robe vec- 
chie d'ogni maniera, e la facilità che i ladri tro- 
vano di smerciare in Ghetto cose che altrove nom 



204 ETTORE NATAU 



troverebbero compratori, autoj^izzano i lamenti che 
Jio sentito da qualche agente di polizia per la 
sparizione del Ghetto. Là il poliziotto cercava i 
compendii furtivi, e là il più delle volte li rinve- 
niva, perchè tutto colava in quell'immenso emporio 
di stracci e di luridume. Il Ghetto era certo un 
grande ausilio per la pubblica sicurezza, ma se qual- 
che agente di polizia perderà per un certo tempo 
il suo latino, anche i ladri men facilmente rac- 
capezzeranno il loro. 

Checché sia di queste opinioni poliziesche, non 
■certo scevre di esagerazioni, fatto è che talvolta 
per rintracciare oggetti rubati si ricorse al blocco 
completo del Ghetto, tanta era la sicurezza che là 
fossero in qualche antro nascosti. 

L'ultimo di questi assedi segui il 24 ottobre 
1849 per parte dei francesi che occupavano Roma.^ 

Si andava dicendo da qualche tempo che nel 
recinto israelitico dovevano trovarsi oggetti di gran 
valore sottratti alle chiese ed ai monasteri du- 
.rante il governo repubblicano. 

La notte del 24 ottobre pertanto i francesi oc- 
cuparono gli sbocchi di tutte le vie che conducono 
al Ghetto, proibendo il passaggio ed il transito, e 
procederono con grande severità a moltissime vi- 
site domiciliari, che si protrassero per vari giorni. 
•Furono asportate argenterie molte e molti oggetti 
preziosi, ma sembra che poco di quel che si cer- 
•<3ava venisse trovato. 

Di fronte a tali atti di autorità non deve recar 

meraviglia se l'odio e la superstizione dei cristiani 

ha prestato facile orecchio, esagerandole, alle 

colpe di un popolo deriso sino dal principio della 

.nostra èra, maledetto da tanti papi, pe;:*seguitato 



j 



IL GHETTO DI ROMA 2^5- 

dai sovrani di tutte le nazioni come da Edoardo I 
d'Inghilterra, che per diletto faceva impiccare 
fra due cani 180 giudei, o da Filippo Augusto di 
Francia, che li cacciò dai suoi Stati e ne confiscò 
tutti i beni, montanti alla terza parte del terri- 
torio del regno. 

Quanto dobbiamo rallegrarci di essere nati in 
un secolo in cui il racconto di certi fatti non 
sembra pur vero I Come dobbiamo rallegrarci che- 
per l'ebreo non debbasi più dire con Byron : 

L^ uccello ha un nido, ha un suo covll la belva 
L'uomt> ha una patria; ma nullo ha ricovero 
Il figlio d^IsrAel, fuorché la tomba. 

O.mai la loro emancipazione è un fatto com- 
piuto pressoché in tutte le parti del mondo ;. 
VEbreo erravté Ha fermato le sue tende, ed è do- 
vunque suddito leale e buon cittadino. 



Ilemente XIV s Pio IX. 



Vi ha chi sostiene sul serio che si potrebbe 
■giungere a sopprimere il semitismo soltanto con 
l'abolire la cerimonia della circoncisione, che è 
rimasta la principale, e quasi la sola cerimonia 
che gl'israeliti osservino ancora e pratichino come 
la praticava il più vecchio dei patriarchi. Abramo, 
or son più che quattromila anni. A proposito della 
quale cerimonia e delle tradizioni che l'accompa- 
gnano, alcuni pensano di farne risalire l'uso a Sa- 
turno ; da lui l'avrebbero appresa gli egiziani e da 
questi gli ebrei, presso i quali è rimasta come il bat- 
tesimo pei cristiani, ad imprimere, come dicono, il 
carattere. Naturalmente essa ha un'influenza inne- 
gabile negli usi religiosi degli adoratori di Jehovah, 
ma mal si apporrebbe, a mio avviso, chi volesse 
-abolirla per abolire il semitismo, A nessuno dei più 



208 ETTORE NATALI 



feroci persecutori degli ebrei, nemmeno a Paolo IV 
od a Pio V, né a Vincenzo Ferreri, né a Tommaso 
di Torquemada, né ad Edoardo I d'Inghilterra, né 
a Filippo il Bello di Francia, a nessuno, ripeto, è 
mai passata per la mente simile idea che pure oggi 
si discute come una cosa possibile da persone che si 
dicono liberali, e su giornali liberali. Il toccare que- 
sto rito, simbolo o suggello deiralleanza divina col 
popolo eletto, sarebbe un voler sollevare le ire di 
tutti gli ebrei, ire più veementi ancora che non 
quelle sollevate per la distruzione del tempio di Sa-^ 
lomone. 

La storia ricorda che l'imperatore Adriano, e fu 
il solo, dopo aver presa e distrutta Gerusalemme, 
proibì agli ebrei ogni usanza nazionale, e puranco 
la circoncisione. Ma questo divieto, del resto non 
osservato, fu tolto dal successore di Adriano, An- 
tonino il Pio, e da allora nessuno ha osato più 
porlo. D'altronde sono ben strane le idee di coloro 
che lo consigliano per ragioni igieniche^ mentre l' i- 
giene, specialmente nei nostri climi meridionali, 
ci porterebbe a conclusioni affatto contrarie. 

Lo ripeto, e lo ripeterò cento volte, non è con 
le persecuzioni che si riuscirà a fondere la razza 
semita nella nostra; solo, come mi sembra di avere- 
evidentemente dimostrato, l'eguaglianza civile può 
far sparire l'ebreo per lasciare il cittadino ed il pa- 
triota. 

A Roma la cerimonia della circoncisione è stata- 
celebrata sempre con grande solennità, come una 
festa, e con riti ai quali nessuno ha mai osato di- 
apportar cambiamenti da secoli, perchè gli ebrei 
sono stati ugualmente gelosi dei loro riti, come dei- 
loro dogmi. Il rabbino si scalda ancora le mani al- 



IL GHETTO DI ROMA 20^ 



braciere, adopra il coltello di pietra, perchè la, 
carne degli israeliti non può essere toccata col 
ferro, e succhia ancora le poche goccio del sangue 
che cola dalla ferita. Che male può vedere la 
società in tutto ciò? Se fosse il caso di addurre 
argomenti teologici, si potrebbe notare che Gesù 
fu circonciso, e che lo furono gli Apostoli ed i papi 
e tutti i cristiani del primo secolo della nostra èra. 
Nella nota persecuzione fatta per ordine di Do- 
miziano, furono insieme confusi e martirizzati ebrei 
e cristiani, perchè ai pagani era difficile il distin- 
guerli, mentre gli uni e gli altri erano designati 
dall'obbrobriosa ispezione che si. faceva per con- 
statare se fos-ero o no circoncisi. Svetonio, nella 
Vita di Domiziano, narra con queste parole un 
fatto dì cui era stato testimonio : Interfuisse me 
adolescentulum memini, cura a procuratore inspicC" 
retur nonagenarius senex an circumsectus esset. 



-*■ 



Una delle cause alle quali gli israeliti devono^ 
l'esser rimasti nel mondo attraverso tante per- 
secuzioni, si è l'avere essi costantemente e minu- 
tamente osservato le prescrizioni e le formalità 
della loro religione. E queste formalità, fino allo 
scrupolo, *da nessuna comunità furono tanto os- 
servate quanto da quella di Roma. Un tal fatto si 
spiega facilmente quando si pensi che i papi sono 
i sovrani d' Europa, dopo il sultano, che meno 
abbiano vessato la comunità israelitica, come ho 
dimostrato fino ad ora, e come meglio proverò ia 
appresso. 

14 — E. Natali, Il Ghetto di Roma. 



210 ETTOnE NATAwI 



Agli ebrei si è mossa una guerra atroce sotto 
il pretesto della religione, ma la causa spesso era 
ben altra, e bisogna ricercarla nelle loro ricchezze 
e nei loro crediti. A Roma i giudei non sono mai 
stati tanto ricchi come a Toledo, a Cordova, nella 
Linguadoca, nel Limosino, a York, a Strasburgo, 
a Maienza, a Norimberga ed in cento altri luoghi, 
perchè Roma non è stata mai città ricca d'indu- 
strie e di commerci; ma mentre erano espulsi dal 
reame di Napoli nel 1541, da Genova nel 1550 e 
da Milano nel 1597, a Roma sono rimasti sempre. 
Nessuno ha dato loro il bando dalla metropoli del 
cristianesimo, nemmeno quei papi i quali, come 
Clemente VII, Paolo IV o Pio V e Leone XII, ne 
furono i più acerrimi persecutori. 

La fermezza degli ebrei romani nelle loro ere* 
denze è pur dimostrata dal fatto che nelle Univer- 
sità israelitiche di Roma mai sorsero controversie 
di sorta sulla interpretazione della Bibbia, né vi 
si ebbe mai neppure un tentativo di quei scismi 
che tanto hanno dilaniato altre Università israe- 
litiche in altri paesi, ed in ispecial modo quelle 
delFAlemagna. Solo in principio del nostro secolo 
la comunità di Roma si divise in due fazioni, ma 
non per una questione dogmatica. 

Alludo qui alla questione che si disse dello scevà 
e del patah. 

Lo scevà ed il patah sono, due segni o punti vo- 
cali della lingua ebraica equivalenti rispettivamente 
alle vocali italiane e ed a, ed i due segni uniti for- 
mano il dittongo (B. La questione tenne divisa la 
Università israelitica di Roma per quasi un ven- 
tennio, cioè dal 1826 al 1845, e dette luogo non 
soltanto a dispute vivaci ma a risse nella stessa 



IL GH£TTO DI ROMA 2U 

sinagoga, ove il cardinal Vicario dovette mandare 
i suoi birri perchè non si finisse col fare a pugni 
durante la celebrazione dei riti religiosi. A conci- 
liare gli animi riesci nel 1845 un rabbino di Geru- 
salemme qui venuto per una colletta. 

Del resto non deve recar meraviglia se gli ebrei 
si appassionarono tanto per una vertenza che non 
riguardava alcun dogma, o verun rito, ma concer- 
neva unicamente la ortodossia grammaticale, o, 
per dir meglio, la pronunzia tradizionale di poche 
parole del formulario delle preghiere quotidiane. 
Non deve recar meraviglia la futilità di tali dispute 
a chi ricordi come qui a Roma anche fra i cattolici 
si sia acremente ed a lungo discusso su cose non 
certo più importanti, come avvenne quando tanto 
si disputò per sapere se i frati mendicanti potes, 
sero o no portare le brache. E, per decidere a 
favor delle brache V ardua questione, si dovette 
ricorrer all'autorevole testimonianza di un nume- 
roso stuolo di teologi e di scrittori ecclesiastici 
dopo che in alcuni conventi i frati, divisi in due 
partiti, erano venuti fra loro persino alle mani. 



^ 



Per la storia degli ebrei che ebbero dimora in 
Koma, vai la pena di ricordare il nome di quei 
papi che maggiormente li protessero. Questa lista 
dei protettori è lunga, per cui è impossibile ri- 
portarla completa : d'altronde parmi anche su- 
perfluo, dopo che di essi mi occorse tanto spesso 
discorrere in questo libro. Quanto alla lunghezza 



212 ETTORE NATALI 



( 



toma ad onore del papato, che in questo si 
mostrò sempre animato dal vero spirito evan- 
gelico, e a sostegno della mia tesi che tende a 
dimostrare come gli ebrei furono sempre in Roma 
meno perseguitati che altrove. Fra le tante ragioni 
che si possono addurre onde spiegare un tal fatto 
non deve dimenticarsi essere stati gli ebrei di 
Roma sempre tanto modesti e cosi poco potenti, 
da non dar mai ombra ai governanti, come forse 
non successe in Spagna, in Alsazia e pur anco in 
molte città della Germania, ed a tale mitezza deve 
certo aver contribuito non poco anche la tra- 
dizione pagana di cui in molte cose i papi fu- 
rono continuatori. — Antonino, Marco Aurelio e 
Commodo nei primi secoli dell'era volgare se per- 
seguitarono qualche volla i cristiani, protessero 
gli ebrei. — Più tardi Teodorico rimproverò il se- 
nato Romano per non aver saputo trattenere il 
popolo dal bruciare una sinagoga; la vera reli- 
gione cristiana, secondo il duce dei Goti, non au- 
torizzava gl'incendi ed i furti. — Quanto ai papi 
il loro zelo religioso lo sfogavano in disposizioni 
del genere di quella contenuta nel capitolo 70 del 
Concilio lateranense tenuto sotto Innocenzo III. 
Prescrivevasi cioè che In diebus lamentationiSf et 
Dominicae passionisi in publicum minime prodeant 
o qualche altra co-^a del geneie, come in molti 
luoghi di questo libro i lettori hanno potuto vedere. 

L'enumerazione dei papi protettori non potrebbe 
cominciar meglio che col nome di Gregorio il 
Grande. 

Questi, in una lettera scritta ai re di Borgogna e 
di Austrasia, si lamentò, è vero, che quei mo- 
narchi lasciassero ai giudei il traffico degli schiavi, 



IL GHETTO DI ROMA 213 



perchè temeva che i cristiani schiavi fossero a 
forza circoncisi, ma altre lettere che pur rimangono, 
e più precisamente quella diretta al vescovo di Ter- 
racina, sono un vero monumento di pietà cristiana 
e di tolleranza religiosa. 

Ci è occorso già di ricordare quanto Alessandro II 
fece a prò degli ebrei, e basterà qui l'aggiungere 
le lodi da lui indirizzate al visconte Beranger 
di Narbonne, il quale aveva salvato molti ebrei, 
e li aveva protetti, mentre erano perseguitati negli 
altri paesi di Francia : « Noi abbiamo visto con 
« piacere - scriveva il papa - che avete sottratto 
« gli ebrei alla morte. Dio non gode del sangue 
« sparso in suo nome. » 

Da Clemente VI furono fatti tradurre in latino 
i libri astronomici di Levi ben Gerson, dotto ed 
ardito astronomo,, filosofo e medico provenzale, ed 
il papa fu tanto favorevole ai figli d'Israello, che 
li accolse in Avignone mentre erano cacciati ed 
uccisi in tutti i paesi di Europa dal volgo che a 
loro dava la colpa di aver propagato, avvelenando 
le fontane, la terribile peste del 1340. 

Onorio III e Gregorio IX furono egualmente fa- 
vorevoli ai seguaci della legge di Mosè. Special- 
mente Gregorio li protesse presso i principi cri- 
stiani , li difese dall' accusa di uccidere fanciulli, 
e seppe ottenere dal re di Francia la cessazione 
dei massacri degli ebrei accusati di aver messo 
in croce un fanciullo cristiano in Parigi. 

Nicolò III nel 1278 scrisse in favore dei giudei 
una bolla la quale, secondo il Depping, « è un 
« monumento di tolleranza in quei tempi d'odio e di 
« persecuzioni religiose. » 

Martino V, in una bolla promulgata a favore de- 



214 ETTORE NATALI 



gK ebrei, scrive : « Poiché gli ebrei sono fatti come 
« gli altri uomini, ad immagine e similitudine di 
« Dio, e poiché é noto che la loro posterità sarà 
« salva, essi non devono essere molestati nelle 
« loro sinagoghe, né impediti nelle loro relazioni 
« commerciali coi cristiani. » 

Leone X permise persino a Daniele Bombergue, 
tipografo di Anversa, di stampare il Talmud con 
privilegio pontificio, e quando lo stesso Bombergue 
trasportò la sua stamperia in Venezia Leone X 
accettò la dedica di una pregevolissima edizione 
della Bibbia con le parafrasi caldaiche ed i com- 
mentari di molti rabini ; la edizione di questa 
Bibbia fu fatta sotto la direzione dell'ebreo Felice 
Pratense. In una controversia fra l'ebreo Reuchlin 
ed i domenicani, il papa dette torto a questi ukimi. 

Benedetto XIV rimproverò acèrbamente un re- 
ligioso che, predicando innanzi agli ebrei, soleva 
investirli con contumelie ed ingiurie atroci. « Que- 
« sto - disse il papa , secondo scrive il Carac- 
« ciclo - è il mezzo di allontanarli e non di av- 
« vicinarli alla vera fede, ed é contraddire agli 
« Evangelisti, che nella narrazione della passione 
« di Gesù Cristo non hanno adoperato una sola 
« parola d' indignazione contro Giuda e contro i 
« carnefici dell' uomo Dio, benché il loro delitto 
« fosse atroce. y> 



■^ 



Un papa che può dirsi abbia ereditato lo spirito 
dominatore di Gregorio VII fu Sisto V, nato da 
un'umile famiglia di guardiani di porci. Devono 



IL GHETTO DI ROMA 215 

aver provato un' ingrata sorpresa gli ebrei quando 
conobbero l'elezione del cardinal Foretti che era 
stato il favorito dei due papi più crudeli verso di 
loro, di Paolo IV e di Pio V, e che aveva con tanta 
severità, retto il posto di inquisitore a Venezia. Lo 
stesso Peretti era talmente persuaso della sua se- 
verità, che quando vide far sfregio alla statua di 
Paolo IV, esclamò: « Per Dio, se fossi adesso a 
Venezia, correrei da vivo la stessa fortuna che 
corre il papa da morto. » Né gli animi dei giudei 
si saran rinfrancati quando il neo-eletto quasi a^ 
porre il programma del suo governo, fece pas- 
seggiare lungo tutte le vie di Roma dodici carnefici, 
dei quali sei con la scure sulle spalle e sei con 
una corda, pronti ad impiccare od a decapitare 
chiunque non andava a versi dell' iroso pon- 
tefice. 

Eppure le apprensioni ed i timori dei figli di Heber 
questa volta non si avverarono, e giammai trova- 
rono invece chi li tollerò, anzi, chi li protesse 
tanto quanto il più ^temuto di tutti i papi. 

A persuadersene basta leggere la vita che di 
Sisto ha scritto Gregorio Leti, opera che ha reso 
popolari le gesta di questo avventuroso pontefice. 

Un tal Secchi, tenne come ivi narrasi, una scom- 
niessa contro un giudeo di nome Sansone Ceneda 
che negava la morte del re di Polonia. 

La scommessa era abbastanza strana, poiché se 
il vincitore era Ceneda, avrebbe guadagnato mille 
scudi, se invece lo era il Secchi, questi aveva il 
diritto di togliere una libbra di carne dal corpo del 
giudeo. Appurata la notizia il Secchi vincitore 
chiese all'ebreo l'adampimento del patto conve- 
nuto. Saputasi dal papa la cosa, volle avere alla 



216 ETTORE NATALI 



sua presenza i due scomettitori, che uscirono dal 
suo cospetto non troppo contenti del giudizio so- 
vrano, perchè Sisto V permise al Secchi di pren- 
dersi la l»bbra di carne dal corpo del Ceneda, ma 
guai se ne tagliase un'oncia di più o di meno. A 
tale sentenza gli scomettitori presi da timore dis- 
sero di aver fatto le cose per scherzo e se la 
cavarono pagando entrambi una grossa somma per 
la costruzione dell'ospedale a Ponte Sisto. 

Un'altra volta il papa fece frustare a sangue, 
per le vie del Ghetto, uno staffiere di casa Conti, 
che per dileggio aveva tolto il cappello di capo a 
un ebreo. 

Il fatto che menò più rumore fu il volgarizza- 
mento della Bibbia ordinata dal papa che la 
fece stampare nella stamperia apostolica. Per 
tale volgarizzazione, che sembrava un'empietà ai 
credenti di quei tempi, l'ascetico Filippo II di Spa- 
gna montò in gran furore e dette ordine al suo am- 
basciatore di muoverne lamento col papa. Quando 
lo spagnolo si presentò al Vaticano, per adempiere 
alla spinosa missione, Sisto gli disse: « L'abbiamo 
fatto per voi che non intendete il latino. » Non 
pertanto l'ambasciatore si trattenne per più di 
un'ora a muover lamenti a nome del re dicendo 
scandalosa la pubblicazione della Bibbia italiana. 

« Vostra Santità, disse l'OIivares, non mi ri- 
« sponde nulla, che cosa devo dire al mio Re? 
« A che pensa Vostra Beatitudine ? >► E Sisto : 
« Penso a farvi gittare da quella 'finestra, per in- 
« segnarvi come si debba parlare al Pontefice. » 



IL GHETTO DI ROMA 217 



•¥• 



Un poeta del tempo scrisse di Sisto : 

Abbiam veduto un piccol fraticello 
Riformar. Roma ed arricchir Castello, 

ed ebbe ragione, perchè nel tesoro di Castel S. An- 
gelo furono trovati cinque milioni di scudi quando 
mori il papa, e buona parte di questa somma, al- 
lora enormissima, l'avevano pagata gli ebrei. Sisto 
soleva dire che gli ebrei dovevano essere protetti 
e rispettati e che bastava toccarli nella borsa per 
risparmiare un poco quella dei sudditi cristiani ; 
nei cinque anni del suo regno non fu ucciso che 
un solo ebrèo, mentre ritornarono in Roma oltre 
200 famiglie d'israeliti che erano fuggite per le 
persecuzioni dei feroci predecessori di Sisto V. 
fcrli ebrei non movevano lamento di pagar forti 
tasse, anzi le pagavano di buon animo perchè da 
gran tempo non avevano vissuto vita cosi tran- 
quilla. 

Sisto V curò molto l'incremento della coltivazione 
del gelso e favori l'industria dei bachi da seta nello 
Stato romano. Nella corte papale vi era immenso 
consumo di seta per il grande sfoggio di abiti se- 
rici che facevano i prelati ed i cardinali. La storia 
fa menzione di due industriali, Magino di Gabriele, 
ebreo di Venezia, e Giovanni Corcione, napole- 
tano, i quali fondarono nuove fabbriche di seta 
in Roma. 

Da alcune ricerche del principe Camillo Massimo 
d'Arsoli, sembra accertato che l'ebreo Magino sia 



218 ETTORE NATALI 



stato r inventore di un segreto per trarre la seta^ 
dai bachi due volte all'anno. Di lui si parla in un 
breve del papa, datum Eomcie apud 8. Marcum d%& 
IVjunii 1587, rarissimo e singolare perchò diretto 
ad un ebreo. Il breve pontifìcio originale si trova 
nella Segreteria de' brevi, e con esso si concedeva 
al Magino la privativa della sua invenzione per 
sessantanni, oltre una quantità di privilegi e fa- 
cilitazioni ed oltre la licenza di abitare per quin- 
dici anni con la sua famiglia fuori del Ghetto. Il 
papa volle che la sua sorella Camilla Peretti— 
Mignucci, da lui già elevata al rango di princi^ 
pessa romana, fosse posta dall'ebreo a parte del 
profitto che ricaverebbe dalla fabbricazione della 
seta. Donna Camilla infatti per alcuni anni prese 
la metà dei guadagni , e volle che i filatoi della 
seta fossero posti nella magnifica villa, donata dal 
papa ai Peretti, che sorgeva presso le Terme Dio- 
cleziane. Altro premio si ebbe il Magino da Sisto V 
per un ulteriore suo ritrovato, quello cioè di for* 
mar vetri e cristalli colorati coli' olio ricavato da 
certe piante. 

Anche un rabbino francese, certo Meir, venne in 
Roma e pubblicò un' opera suU' importanza del 
commercio dei bachi da seta. Del libro del Meir 
papa Sisto accettò la dedica. 



•^ 



. Non deve nella nota dei protettori omettersi il 
pontefice Clemente XIV. Questo pontefice trattò 
«ome amico il negoziante ebreo Ambron, notissima 
allora a Roma. Per questo ebreo fu composto il 



IL GHETTO DI ROMA 21^ 

seguente epitaffio, nel quale lo scrittore finge che- 
l'ebreo morisse impiccato: 

Giace in questa feral tomba ristretto 
n cener ft-eddo dell'estinto Ambronne; 
Fa mentre visse il primo onor del Ghetto, 
Più di Mosò, più d'Esdra e più d'Aronne. 
Da Magnati fa amato e fu protetto, 
Appiccato mori coma Assalonne. 
Chi leirge, l'ama pria di pianto bagni, 
Poi preghi forca a tutti i suoi compagni. 

Dovrei continuare ancora per un pezzo a ripor- 
tare fatti per dimostrare quanto i papi furono mi- 
gliori degli altri sovrani nel proteggere gli ebrei; 
ma noi faccio perchè da quanto ho scritto fino ad 
ora la tesi è abbastanza bene dimostrata, ed anche 
meglio lo sarà in seguito. Come pure non credo- 
dover fare speciale menzione di quei pontefici che, 
come Paolo IV o Leone XII o Gregorio XVI, cre- 
dettero di non essere benevoli verso i figli di Israello. 



■*• 



Qui basterà di ricordare Pio IX, sotto il cui por- 
tificato non furono più messi i portoni del Ghetto ;. 
lui regnante, gli ebrei godettero nello Stato pontificio 
di ura libertà di cui non godono oggi quelli di 
Russia e di Rumenia. Ebbe inoltre Pio IX il me- 
rito di abolire col Motu proprio del P ottobre 1847 
l'obbligo deiromaggio e di ogni altro aito di sud- 
ditanza speciale che, come vedemmo, gli ebrei 
erano tenuti a fare verso il Senato Romano al 
principio delle feste carnevalesche. 

Sono sicuro che Leone XIII avrebbe seguito in^ 



220 ETTORE NÀTAU 



questo, diversamente che nel resto, la politica del 
suo predecessore. 

È da notarsi che i papi romani, o meglio nativi 
di Roma, come Onorio III (Savelli) Gregorio IX 
(dei conti di Segni) Nicolò III (Orsini) Martino V 
^Colonna), furono specialmente protettori degli ebrei, 
mentre né furono persecutori i papi veneti, forse 
perchè temevano la concorrènza, pei loro conna- 
zionali, di una razza cosi adatta alle faccende com- 
merciali. 



XV. 



La predica coattiva - Le dispute - Luoghi nti quali gli ebrei sono^ 
stati costretti ad udire le prediche. 



Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta, ha 
molti titoli alla riconoscenza dei romani e come in- 
terprete di Dante, e come propugnatore dello studio 
del disegno, poiché egli fece rinascere il gusto per 
le arti ornamentali, e specialmente per Toreficeria; 
ma la principale sua benemerenza, a mio avviso, 
è l'aver egli presieduto alla Giunta di Governo 
che fece il plebiscito romano. Verso il dotto patrizio 
i giudei hanno inoltre il dovere di una speciale 
riconoscenza, perchè il duca di Sermoneta seppe 
per loro ottenere da Pio IX l'esonero dall'obbligo di 
udire la predica che un religioso, quasi sempre do- 
menicano, appositamente deputato, faceva agli ebrei. 
Ciò avvenne nel 1848. 

L'origine delle prediche devesi alle antiche col- 
lazioni, o dispute, che solennemente, erano fatte 
dai cattolici cogli eretici e con gli stessi giudei* 



222 ETTORE NATAU 



La disputa più antica ricordata dalla storia ò 
quella che nelP anno 315 papa Silvestro ebbe in 
Roma con i principali dottori ebrei, e dopo la quale 
molti si convertiroro al cristianesimo. A questa di- 
sputa la leggenda attribuisce la conversione non solo 
4i un gì an numero di ebrei, ma di oltre 400,000 pagani 
fra i quali V imperatore Costantino e sua madre 
Elena ; ma ciò è completamente inesatto. Costantino 
infatti non si fece battezzare da papa Silvestro in 
Roma, ma dal vescovo Eusebio in un castello presso 
Nicomedia, poco tempo prima della sua morte. 

Altri storici, come riporta Basnage, narrano in- 
vece che i dottori ebrei ebbero una conferenza col 
pontefice Silvestro alla presenza soltanto dell'im- 
peratrice Elena. I rabbini avevano condotto* con 
loro un mago, di nome Zambres, il quale per di- 
mostrare la potenza della sua fede fece, con uno 
sguardo, cader morto un bove innanzi ai piedi del 
papa. Ma Silvestro non rimase per nulla stupito 
da tale prodigio e con una benedizione fece risu- 
scitare il bove morto, mostrando cosi un potere 
superiore, e convertendo alla fede l'imperatrice ed 
un gran numero di ebrei e di pagani. A ragione 
però pochi prestano fede a questo racconto che 
avrebbe troppa somiglianza con le gare che si 
fanno ora tra prestigiatori sul palcoscenico. 

Comunque sia, certo è che gran studio ponevasi 
dai papi e dai primi imperatori cristiani nel far 
proseliti e nell' impedire che altri ne facesse. La 
legge 7, Cod. de jìid,y si esprime chiaramente su 
questo punto : Judaeus qui cum judaicae religionis 
non esset e contraria doctrina ad suam religionem 
iraducere praesumpserit, honorum proscriptione damr- 
neiur miserumque In Triodo puniatur. 



IL GHETTO DI ROMA 223 



D'altra parte, guai a chi avesse bestemmiato la 
religione cattolica. Calisto III, con bolla dei 21 
maggio, proibì ài cristiani di accendere il fiioco 
agli ebrei, preparargli i cibi o prestargli il me- 
nomo servizio per la celebrazione del sabato o di 
altra loro festa e ordinò a tutti i giudici di proce- 
^edere rigorosamente contro gli ebrei e contro i 
saraceni, qualora proferiscano bestemmie contro 
dio, la vergine o i santi. 

È pregio dell'opera il ricordare qualcuna fra le 
più celebri dispute, come ad esempio, quelle tenute 
:a Parigi nel 1240 ed a Barcellona nelj 1263. Svol- 
gevansi con grandi solennità innanzi ai re, alle 
regine, ed ai più cospicui personaggi come la di- 
sputa pubblica del Nahmanide col battezzato fra 
Paolo, che si tenne nel 1263 in Girona per ordire 
del re Giacomo in pre^-enza di Raimondo sire 
di Peimaforte. Fra le altre è celebre quella che 
si fece in Tortosa il 7 febbraio 1413, quando 
l'antipapa Benedetto XIII ordinò che disputas- ' 
sero in sua presenza molti teologi e dottori, 
con i rabbini delle principali Sinagoghe di Spagna. 
In quell'occasione uno dei campioni più valenti del 
cattolicismo fu l'ebreo convertito Giosuè Lurki, 
medico, che col battesimo aveva preso il nome 
di Girolamo di Santa Fede. Costui nella propa- 
ganda religiosa mise tanto zelo da ottenere la 
conversione di tremila ebrei convinti dalle sue 
esortazioni, o come meglio io credo, impauriti dalle 
persecuzioni che sempre seguivano le dispute. 

J^è il fatto di Girolamo di Santa Fede è un fatto 
isolato, perchè, come abbiamo potuto vederlo altre 
volte, gli ebrei convertiti hanno messo, nel perse- 
guitare gli antichi correligionari, maggiore acca- 



224 ETTORE NATALI 



nimento che non i più ardenti seguaci dell'inqui- 
sizione . Forse i neo-battezzati in tal modo vole- 
vano ben meritare dei cristiani, e cancellare 
Tobbrobriosa macchia che rimaneva ad offuscare 
i convertiti i quali, come vedremo, erano sempre 
tenuti in sospetto e disprezzati da ogni ordine di 
cittadini. Un^altra ragione sta nel fatto che es- 
sendo rara la scienza della lingua ebraica, si dove- 
vano scegliere per le dispute coloro che avevano 
abiurato al giudaismo, dei quali non era dubbia l'eru 

dizione e la conoscenza dei libri sant». Forse per 
riparare all'ignoranza dei cristiani Clemente V nel 
1320 ordinò di erigere una cattedra di lingua 
ebraica nelle accademie. Del zelo dei neo-cattolici 
abbiamo avuto una prova anche ai di nostri, nel- 
l'abate Ratisbonne, della cui conversione par- 
lerò fra poco ; costui una volta volle tentare di 
predicare agli ebrei di Roma, ma, ad onta dei 
minacciati castighi, nessuno volle assistere al suo 
sermone. Fortunatamente non si era più ai tempi 
nei quali i giudei erano accompagnati ad udir la- 
predica a suon di frustate. 



■*- 



Le dispute orali, nel medio evo si facevano nella 
lingua parlata dal popolo. Il romano Salomone ben 
Mosè ben Jekutill, autore di un' operetta ebraica 
apologetica e polemica, vissuto verso la fine del 
secolo XIII, raccomanda instantemente ai disputa- 
tori di saper bene la lingua vernacola. 

L'operetta di Salomone conservasi nella biblioteca 



IL GHETTO DI ROMA 22& 

Casanatensee fu scritta per la difesa della religione 
giudaica contro gli assalti dei cristiani nelle pubbli- 
che dispute. L'autore espone diffusamente nell'opera 
le condizioni necessarie per riuscire ad una di- 
sputa vittoriosa, ed insegna il modo di dimostrare 
che dio è [uno^ [esistente, incorporeo, invisibile, 
immutabile, senza principio e senza fine, inespri- 
mibile e inconcepibile.. Il Salomone era figlio del ro 
mano Mosè ben iJekutiel dallo Zunz annoverata 
fra i poeti sinagogali. Nella medesima biblioteca 
Casanatense si conservano altre due opere ebraiche 
scritte per [ammaestrare al « Combattimento di 
dio » runa di Profiat Duran, e l'altra [di Jacob 
ben Ruben. 

L'obbligo per gli ebrei di assistere alla predica 
rimonta ad epoca molto antica, e forse al tempo 
di [Giustiniano imperatore [che in una [delle sue 
leggi ordinò di catechizzare ."tutti i fanciulli ebrei 
dell'età di due anni, per ottenerne più facilmente 
la conversione. 

Alcuni secoli dopo san Gregorio Magno, come si 
vede dalle sue opere, scriveva al vescovo di Ter- 
racina di indurre benignamente gli ebrei ad udire 
la parola di dio ; ma l'obbligo di udire la predica 
fu in certo modo disciplinato nel 1584 da Grego- 
rio Xin con la bolla Banda Mater Ecclesia^ nella 
quale bolla, confermando quanto avevano ideato i 
suoi predecessori, Gregorio XIII prescrisse agli 
ebrei di udire una predica alla settimana, allo 
scopo di convincerli che il Messia era già venuto. 

Sisto V, anche in questo benevolo, ridusse tale 
obbligo a tre volte all'anno. 

Nella bolla di Gregorio è prescritto che si pu- 
nissero severamente tutti gli israeliti dell'età mag- 

15 — E. Nàtali, // Ghetto di Roma, 



226 ETTORB NdkTAU 



giore di dodici anni, i quali si rifiutassero di a»- 
-sistere al sermone. Se avviva che qualcuno di 
quei disgraziati si addormentasse, mentre parlaTa 
fi sacro oratore^ era immediatamente risvegliato 
con colpi di frusta largamente somministrati da 
quattro aguzzini destinati a presiedere al buon 
andamento della cerìiAonia. Con ugual mezzo 
di sensibile persuasione erano colpiti coloro che 
non serbavano il silenzio, o come dice un autore 
di quei tempi : « acciò non stiano maliziosamente 
<c distratti, decretò il papa che vi stassero dei 
« birri con la bacchetta in mano per toccare chi 
4C dorme o non osserva il silenzio. > 

Il primo a cui Gregorio XIII affidò Tincarico di 
•convertire gli ebrei fu un ricco e dotto rabbino bat- 
tezzato di nome Andrea del Monte, che divenne 
fervente propagatore della fede. Il Del Monte, 
nato in Francia, aveva prima di abbracciare il 
cristianesimo, spiegato per molti anni il Talmud 
nella sinagoga di Roma : chiamavasi Giuseppe 
Sarfati, e prese, battezzandosi, il nuovo cognome 
per onorare il papa allora vivente, Giulio in 
delle- famiglia Ciocchi Del Monte. Fu questi che, 
indispettito dal vedere che ninno degli antichi 
correligionari si recava ad ascoltarlo, suggerì al 
papa di costringerveli con la severità delle pene. 
Gli uomini obbligati ad assistere alla predica 
dovevano essere non meno di cento, e le donne 
cinquanta ; nelF insieme dovevano rappresentare 
almeno la terza parte della popolazione israelitica. 
Non è a dire quali e quante astuzie si usassero 
per isfuggire a questa prescrizione, che per gli ebre 
era tanto più penosa, in quanto che la predica 
aveva luogo il sabato, subito dopo le funzioni della 



-j 



IL GHETTO DI ROMA 227 



sinagoga. Il predicatore, anzi, doveva spiegare, a 
modo dei cattolici, il passo del Pentateuco che in 
quel sabato era stato letto nella sinagoga, e gran 
parte del discorso era rivolto ad ingiuriare, vili- 
pendere, coprir di contumelie li ascoltatori, poiché 
l'oratore s'indispettiva e si adirava anche perchè 
la sua parola mai produceva alcun effetto, e 
sempre l' orgoglio umano resta offeso da ogni 
•modo di pensare contrario al suo. 

Né la violenza del linguaggio, né la dottrina del- 
l'oratore aveva alcuna presa sull'animo dei figli di 
Heber, perché é razza che non ama di esser con- 
vertita, come non cerca, né ha mai cercato da 
molti secoli, di convertir gli altri. Le più feroci 
persecuzioni non hanno valso ad estinguerla, e con 
lunghi anni la moderna civiltà può solo farne spa- 
rire lo spirito di tribù e di sètta, e restituire l'ebreo 
alla civiltà, uomo fra gli uomini, cittadino fra i 
-cittadini. 

Un papa maravigliossi una volta del poco frutto 
che questi sermoni producevano, e prescrisse mag- 
giore severità e sorveglianza. Fu scoperto allora 
che i giudei, per non udire la parola odiata, ave- 
vano presa l'abitudine di turarsi le orecchie con 
la cera ed il cotone. 



4- 



Durante il governo della Repubblica e del primo 
impero francese l'obbligo della predica fu tolto, 
come furono tolte tutte le altre leggi che distin- 
guevano gli ebrei dagli altri cittadini ; ma il fiero 



228 ETTORE NATALI 



Leone XII richiamò in vigore anche questa pre~ 
scrizione, e volle che la predica si facesse cinque 
volte ogni anno. 

Poiché la chiesa era profanata dalla presenza 
del popolo deicida, durante la cerimonia si levava 
dal ciborio il Sagramento, e si spogliavano gli 
altari come durante la settimana di passione. 

Allorquando ne incominciò l'uso queste predi- 
che solevano farsi nella chiesa di san Benedetto 
in Arenida nel rione Regola, antichissima parroc- 
chia filiale della basilica dei ss. -Lorenzo e Da- 
maso. In sul principio i predicatori erano due, ma 
con l'andar del tempo ne rimase uno solo, e, come 
osserva un pio scrittore del settecento, « ancor uno 
« sopravanza perchè dai cuori di sasso poco frutto 
« si cava. » Ed un solo predicatore rimase sino a 
tanto che questa istituzione fu abolita sotto il go^ 
verno della prima repubblica al cominciare del 
presente secolo. Da Leone XII, nel ripristinare la 
predica coattiva per gli ebrei, fu stabilito che si 
facesse nella chiesa di sant'Angelo in Pescheria, 
perchè più vicina al Ghetto. 

Teodoto, console e duce dei romani, zio di papa 
Adriano I, nel T70 eresse nel bel mezzo del Por^ 
tico di Ottavia la chiesa di san Paolo come ne 
serba ancora memoria un'iscrizione in marmo ivi 
esistente nella quale si legge: Theodotus a sola 
CBdificavit per intercessionem cmimae suae et reme- 
dium omnium peccatorum. L'antica chiesa di san 
Paolo, dopo il 1200, principiò a chiamarsi di san- 
t'Angelo pescivendolo per la vicinanza del mercato 
del pesce, e fu testimone di molti rivolgimenti ai 
tempi di Cola di Rienio, quando ancora aveva 
importanza e figura di basilica. Ai di nostri fu: 



IL GHKrTO DI ROMA 229 



demolita e riedificata in quello stile barocco che 
ha deturpato la maggior parte degli edifìci e mo- 
numenti di Roma. 

Della chiesa della Trinità dei Pellegrini e di 
quella di san Benedetto alla Regola si hanno 
molte notizie nel libro edito nel 1729 da G. B. 
Bovio: La Pietà trionfante. Trovo ivi scritto: 
« San Benedetto alla Renella, e nel latino in Are- 
« nulaj malamente denominato dall'ignoranza del 
« volgo alla Regola, cosi detto per la vicinanza a 
« quella parte del fiume, che Varenella comune- 
-« mente si chiama, stante l'arena che, vomitata e 
« scoperta rimane sovra la spiaggia, era una chiesa 
« antichissima e parrocchiale, le cui anime parte 
« sonò trasferite sotto la cura di san Paolo alla 
« Renella e parte sotto l'altra di san Salvatore in 
« Onda, come nell'antichissimo codice delle visite 
« apostoliche distintamente si legge. » 

Gregorovius opina che la chiesa di san Bene- 
detto fosse la stessa di quella nominata degli 
Scotti, una delle antiche abbazie di Roma. 

I molti ospizi che le varie nazioni avevano in 
Roma, non essendo suificienti ad accogliere tutti 
coloro che vi venivano pei giubilei, alcuni uomini 
zelanti, e fra questi il cacciatore delle anime Fi- 
lippo Neri, fondarono la confraternita della Trinità 
allo scopo di ospitarli e trarli da sotto i portici 
della città e dalle gradinate delle chiese ove gia- 
•cevano. Mosse da tale esempio alcune donne, e fra 
le altre, donna Elena Orsini, fecero lo stesso. A 
questa confraternita Paolo IV concesse la chiesa 
di san Benedetto, ove i confrati eressero un ora- 
torio, che fu ritenuto abbastanza capace per po- 
tervi istituire la predica agli ebrei . Dopo l'oratorio 



290 ETTORE NATAU 



i oonfì^atelli incomineiattmo a rifttbbricare di nuovo 
la chiesa coi disegni di Francesco De Sanctis. Fa 
consacrata nell'anno 1614 ed arricchita di pregevoli 
dipinti del cav. D'Arpino e di Giudo Reni. 

Mi si permetta, come digressione, d'intrattenermi 
a parlar brevemente dell'ospìzio dei pellegrini e 
della chiesa ivi attigua, poiché mi sembra strano 
il contrasto, nò so spiegarmi per qual ragione fos- 
sero a forza catechizzati gli ebrei, precisamente 
nel sito ove milioni di uomini fanatici erano rac- 
colti per acquistare indulgenze. Nella chiesa della 
Trinità si distribuivano in varie occasioni molte 
elemosine e doti alle ssitdle. I confratelli avevano 
il privilegio, una volta Tanno, di liberare un pri- 
gione reo di morte. Vi si ospitavano sempre i pel- 
legrini, ai quali tutti si lavavano i piedi da per- 
sonaggi ragguardevoli e perfino dallo stesso papa; 
Clemente Vili due volte vi sì recò a tale scopo: 
<k Occorse che lavati i piedi ad alcuni pellegrini, 
«che sembravano più poveri, d'un tratto dispar- 
« vero, dimostrando che erano angeli. » 

A prova dell'importanza di quest'ospizio- tra- 
scrivo qui il numero dei pellegrini che vi furono 
ricoverati nei vari giubilei che ebbero luogo dopo 
la sua fondazione: 



Anni 


Persone 


1575 


116,818 


1600 


324,600 


\62B 


ÌSt,760 


1650 


308,533 


1675 


311,777 


1700 


300,000 


1725 


382,140 


1750 


U6,fl3 


1775 


99,667 


1825 


263,529 



A 



H GHETTO DI ROMA 231 

Nel 1800 e nel 1850 non vi fu giubileo a ca- 
gione della repubblica francese, e della repubblica 
romana. 

Nel 1825, che fu l'ultimo anno Santo, nel quale 
ivi furono accolti i pellegrini, l'ospizio spese l'e- 
gregia somma di scudi 64,644 08, ossia lire 368,471 
e centesimi 25. 







XVI. 



Le case dei eatecnmeui - La Madonna dei Monti e S. Alfonso de* Li- 
guori — Privilegi dell' istituto e pene contro 1 trasgrensori . 
Particolari e memorie - I libri della parrocchia - Battesimi celebri 
• Cerimonie battesimali. 



Gli ebrei che non assistevano alla predica erano 
puniti con multa, ed il profitto di tali multe andava 
a vantaggio della Casa dei catecumeni, istituzione 
che risiede nella chiesa di santa Maria de' Monti. 
A tal uopo alla porta della chiesa stava un birre 
a prendere nota degli intervenuti ed a segnare i 
contumaci, che si condannavano ad un testone (lira 
una e centesimi 65) per uno, somma abbastanza 
forte per quei tempi nei quali il vino pagavasi cinque 
centesimi al litro e la carne 20 centesimi al chilo. 

L'istituzione della Casa per i catecumeni rimonta, 
come -quella della predica coattiva, al milleseicento. 
Si cominciò a pensarvi quando san Filippo Neri 
imprese a convertire gli ebrei, e vi riesci per un 
gran numero. Il santo popolare, il 21 marzo del- 
l'anno 1542, ottenne da Paolo ITI la concessione 



234 ETTORE NATALI 



della chiesa di s. Giovanni Battista in Mercatella 
per una congregazione di gentiluomini, riuniti sotto 
la presidenza di Giovanni di Sorano, allo scopo di 
mantenere ed istruire i catecumeni ed i neofiti. 

La chiesa era detta in Mercatello perchè tino a. 
li presso suoleva tenersi nel medio evo il mercato, 
che si faceva alle radici del Campidoglio. La chiesa 
di s. Giovanni in Mercatello dalla proprietà dei 
catecumeni passò ai monaci di Grottaferrata, e 
quindi alla congregazione dei marchegiani, che 
alla lor volta la cedettero a quella dei camerinesi. 
Nel settecento la confraternita dei camerinesi la 
riedificò quasi completamente con l'aiuto dato dalla, 
marchesa Girolama Ruspoli, ed allora dedicata ai 
santi Venanzio ed Anzuino e fu ridotta al modo 
come oggi si vede in via Giulio Romano, a pochii 
passi dalla gradinata dell' Aracoeli. 

Il vero fondatore della casa per la istruzione dei 
catecumeni fu Ignazio da Loiola, il quale, con* 
l'appoggio dell'ambasciatore di Spagna, ottenne da 
Paolo in, con bolla del 19 febbraio 1543, molti e 
grandi privilegi per l'opera e pei sacerdoti che vi 
erano preposti. Fu allora veramente fondato un 
monastero per le catecumene ed un ospizio per i 
catecumeni. Ed è curioso questo che le regole 
della Compagnia di Gesù proibiscono agli ebrei 
convertiti di entrare nell'ordine ; tale proibizione 
è formale e nemmeno il preposto generale può 
derogarvi. A provvedere ai mezzi occorrenti pel 
mantenimento dei ricoverati nell'ospizio, oltre il ri- 
cavato dalle multe suddette, concorreva l'Università 
israelitica con un canone annuo, imposto da Cle- 
mente Vili e da Urbano Vili, di scudi 1100, peso» 
ben grave perchè, come mi occorrerà di osservare- 



IL GHFTTO DI ROMA 235- 



in seguito, non era il solo a colpire la piccola co- 
lonia degli ebrei romani. 

Nel 1562, per concessione di Paolo IV, i caie— 
eumeni passarono nel monastero dell'Annunziata 
in via Margana, ove rimasero per poco tempo, 
poiché, dopo quattro anni. Pio V dette a quest'uso 
il palazzo dell'abolita Percettoria dei cavalieri di 
Malta a S. Basilio ai Monti. 

Papa Gregorio XIII cedendo alle istanze del car- 
dinale Sirleto, e dei gesuiti, trasferi l'opera dei ca- 
tecumeni nella chiesa della Madonna de' Monti con 
fnatu proprio de' 13 agosto 1584, ed in questa chiesa 
l'istituzione è sempre rimasta pur anco dopo che 
Leone Xn nel 1824 ivi eresse una parrocchia. 
Gregorio assegnò al collegio una pensione annua 
di mille scudi sopra l'Abadia secolare di Santa 
Croce di Fontivalle in diocesi di Gubbio, Egli era 
molto lenero di questa istituzione e voleva che i 
sacerdoti preposti alla istruzione dei convertendi e 
dei convertiti magna cum charitate et modestia t>e- 
ritatis lumen Ulis aperire conentur. Egli stesso di- 
ceva • Factus sum judcsus cum. judcRis. 

Il cardinale Guglielmo Sirleto, diacono di S. Lo- 
renzo in pane e perna, era peritissimo nella lingua 
ebraica e spesso faceva egli stesso il catechismo 
agli ebrei che stavano raccolti nella chiesa da lui 
fondata. Tanta era la perizia del cardinale Sirleto 
nella lingua ebraica che Sisto V a lui affidò l'edizione 
della Bibia, cosa che, come vedemmo, tornò tanto- 
sgradita a Filippo II di Spagna. 



:236 ETTORE NATALI 



■*• 



La chiesa della Madonna dei Monti, presso Tantica 
Suburra, come tutte quelle nelle quali spesso i ge- 
suiti hanno ingerenza, è stata eretta in seguito ad 
uno straordinario prodigio e ogni tanto è testimone 
di miracoli l'uno più dell'altro incredibili. 

Il 26 aprile 1580 il locale, ove ora sorge il tempio, 
era posseduto dalla famiglia Attavanti, fiorentina, 
e serviva a raccogliervi il fieno. La notte dal 25 
al 26 aprile si scosse la terra sotto le case degli 
Attavanti senza che gli abitatori delle case vicine 
di nulla si accorgessero; né basta, che il mattino 
una imagine della Madonna dipinta nel muro parlò 
ad un fienarolo che inavvertitamente l'aveva col- 
pita con la falce mentre stava tagliando il fieno. 
Laura Fregoso, erede della famiglia Attavanti, 
donò le sue case ed i fienili per costruirvi una 
chieda, di cui il cardinale Sirleto mise la prima 
pietra a' 23 giugno 1580. La imagine colà ritrovata 
si ebbe gran culto nella nuova chiesa, fu dichiarata 
da Gregorio XIII protettrice dei catecumeni, e da 
quel giorno i miracoli si susseguirono ; ciechi riac- 
quistarono il benefizio della luce, sordi quello del- 
l'udito, ed a san Giuseppe Calasanzio apparve una 
visione che lo avverti di fondare il suo ordine. 
. Il più strepitoso dei prodigi è senza dubbio 
quello fatto nel convento della Madonna dei Monti 
da Alfonso de' Liguori, che vi abitò mentre re- 
gnava in Roma papa Clemente XIII. I frati che 
assistevano il Lfguori lo volevano far digiunare, 
quantunque fosse malato, ma il santo, a cui poco 
andava a sangue la forzata astinenza, con un segno 



IL GHETTO DI ROMA 237 

di croce cambiò un cefalo, che gli era presentata 
da un firaticello, in un pollastro beirarrostito. Né 
questo è il luogo di parlare dei grandi miracoli 
fatti nella chiesa della Madonna de' Monti da Giu- 
seppe Labre, santo molto in voga oggigiorno, ivi 
sepolto. 



■*- 



L'ospizio dei catecumeni presso la chiesa della 
Madonna de' Monti occupa un largo spazio donato 
da Urbano Vili. Servivano a mantenerlo rendite co- 
spicue, oltre gli assegni e le multe provenienti 
dagli ebrei. Gregorio Xin, nel 1578, con bolla del 4 
settembre, concesse, come ho già notato, all'ospi- 
zio una pensione annua di cento scudi d'oro sull'ab- 
bazìa di S. Croce, pensione che fii aumentata a scudi 
1400 annui, per volere di papa Alessandro VII. 
Lo stesso papa Gregorio XUI, con bolla del 15 
maggio 1583, aveva dato all' ospizio la proprietà 
di una cappellania in Ardea. Piovvero quindi sul 
CJollegio de' catecumeni donazioni d'ogni fatta, lar^ 
gizioni pontifìcie, legati ed eredità ingentis ime. 

Il cardinale Antonio Barberini, il 22 luglio 1634, 
regalò a' catecumeni un pezzo della croce di Gesù 
racchiuso in un ricchissimo reliquiario. Moltissimi 
ebrei convertiti, nel morire, hanno lasciato cospi- 
cue eredità all'Opera de' catecumeni, come fu quella 
di annui scudi 2700 lasciata da Marco Aritonio 
Sabatini a scopo speciale di dare doti alle neofite. 



-238 ETTORE NATAU 



•*- 



Da Gregorio XIII fu stabilito che i catecumeni 
e neofiti avessero un giudice privato ed il privi- 
legio di un fòro speciale, esentandoli da qualunque 
obbedienza ad altri superiori, ed esonerandoli dalle 
tassfo. A dare un'idea della giurisdizione e del po- 
tere che aveva il giudice de' catecumeni, ricordo 
qui l'editto del cardinale Odescalchi. 

Il cardinale Benedetto Odescalchi, dal titolo di 
S. Onofrio, prima di essere eletto papa fu proposto 
a giudice ordinario dei catecumeni ed in un editto 
promulgato il 14 ottobre 1659, raccolse ed ordinò 
tutte le prescrizioni cui dovevano attenersi e gli 
ebrei ed i catecumeni. Da questo curioso documento 
riporto, abbreviandole di molto, le prescrizioni prin- 
cipali. 

Chi dissuadeva un catecumeno dal proposito di 
farsi cristiano, ancorché fosse padre o congiunto 
strettissimo, era punito, se uomo con la galera e 
con la confìsca dei beni, se donna con la frusta e 
con l'esilio. 

Ove un catecumeno fuggisse dall'ospizio era 
punito , se uomo , con cinque anni di galera , se 
donna, con la frusta, sempre con la confisca. 

Una persona di qualunque grado ardisse muovere 
rimprovero ad un catecumeno era punito con tre 
tratti di corda e con la multa di cento scudi. 

Nell'editto il cardinale Odescalchi soggiunge: 

« Nelle cose contenute nel presente , si darà fede 

« all'attestazione con giuramento d'un sol testimonio 

-« e di persona etiam inabile, e per prova anco si 



IL GHETTO DI ROMA 



< attenderanno le presunzioni e ooBgetture ad 
^ bitrio di Sua Eminenza. » 

Non £bi d'uopo dire come i beni confiscati ai rei, 

•come le multe alle quali era condannato colui che 

•contravveniva a queste ingiunzioni, andavano tutti 

a profitto della Casa dei catecumeni , la quale in 

tal modo accrebbe di molto il suo patrimonio. 

Domenico Frarli. vescovo di Veroli e giudice 
ordinario dei catecumeni, con editto del 4 dicem- 
bre 1705 confermò le ingiunzioni del cardinale Od&- 
scalchi e vi aggiunse qualche nuova pena, come, 
.ad esempio, la minaccia di sottoporre a tre tratti 
qì corda ed a cento scudi di multa qualunque ebreo 
od ebrea sotto qualsivoglia pretesto ardisse di avvi- 
cinarsi o passare a trenta canne « a tomo a tomo 
^Ue case dei catecumeni ». 

Delia stessa pena era pur minacciato qualunque 
ebreo il quale, anche pas^ando alla distanza di oltre 
trenta canne (sessanta metri), si attentava di guar- 
dare verso le finestre dell' edificio ove erano rac^ 
colti i catecumeni ed i neofiti. 

Sarebbe troppo lungo il riportare tutte le altre 
leggi emanate a favore di questa istituzione ; basti 
il notare come tutte quante non avevano che il 
doppio scopo, o di facilitare la conversione degli 
ebrei e degli infedeli, o di colpire ebrei ed infedeli 
perchè sostenessero le ingenti spese che occorrevano 
per l'ospizio. 

Né le minacele contenute nei bandi dei giudici 
preposti all'ospizio dei catecumeni erano da pren- 
dersi a gabbo. Moltissime sentenze esistono negli 
archivi per dimostrare con quanta severità suoleva 
procedere quel giudice; ad esempio, il 29 feb- 
braio 1712 il luogotenente del tribunale dei cate- 



240 ETTORE NATALI 



eumeni condannò alFesilio dagli Stati della. Chiesa 
gli ebrei Giovanni Vitale, e Salvatore di CoUevec- 
chio, per aver recato danno d'interessi al catecu- 
meno Isacco Lusci. 



•*■ 



Oltre il canone annuo dei 1100 scudi, TUniversitàr. 
israelitica doveva pagare alla Casa dei catecumeni 
una diaria di 30 baiocchi al giorno per tutto il tempo 
che ciascun ebreo vi era detenuto « per esplorarne 
la volontà » riguardo all'accettare o no il battesimo. 

Qualche volta è accaduto che un ebreo sia stato 
per quaranta giorni nell' • spizio dei catecumeni ed 
alla fine non siasi voluto più far cattolico. In tali 
casi l'impenitente era vessato in ogni maniera, e 
per prima cosa egli era tenuto a pagare all' e spizio 
il prezzo degli alimenti ivi ricevuti. Ove l'impeni- 
tente non volesse, o non potesse eseguire da per 
sé tal pagamento, era tenuta responsabile l'intera 
comunità. Valga un esempio, che riporto da una 
cronaca dell'epoca : « A di 25 febbraio 1737 Bei> 
4: zion Padovano, ebreo di 44 anni, fu portato as- 
« r ieme alle figlie (Gabriella di 20 anni , e Dolce 
« di 16 anni) ai Catecumeni e tutti tre furono batr- 
« tezzati. Ma la misera Graziosa Sara, moglie di 
«lui, essendo ostinatissima, si turava le orecchie 
4: con le dita per non udire la parola di dio. Si 
« fece di ciò dichiarazione al Santo Uffizio, il quale 
4: decretò che , secondo l'uso , fosse sottoposta ad 
4: una nuova quarantena. Cosi fu eseguito, e dopo 
4c 80 giorni ritornò al diabolico Ghetto, e pagarono 
< gli ebrei il doppio del solito per essere stato rad- 



IL GUETTO DI ROMA 241 



« doppiato il tempo del mantenimento ». Era il casa 
di dire*, fra due litiganti il terzo gode! 

Né erano accolti nell'ospizio soltanto coloro i quali 
vi si recavano di propria iniziativa per farsi cri- 
stiani, che spesso qualche ebreo vi era condotto a 
forza per esplorarne la volontà. Ma più di ogni 
descrizione varranno i molti esempi che vado qui 
a riportare per far comprendere il fine dell'Opera 
dei catecumeni, ed i mezzi che suolevano adope* 
rare, con pochissime scopo, coloro che tal fine vo- 
levano ad ogni modo raggiungere. 

Trovo in un manoscritto, appartenuto alla Casa 
dei catecumeni, le seguenti annotazioni concernenti 
avvenimenti occorsi dal 1600 al 1690 e registrati dal 
rettore dell'ospizio di quei tempi: 

4f 1602 a di 25 settembre. — Barnech Aurbron 
« fii menato in casa dal padre Cesare Palazzola e 
« consegnato ad uno il quale lo disponesse a farsi 
« cristiano.- 

« A di 28 detto, stando ostinato, si gettò da una 
« finestra del giardino. 

« A di 6 ottobre mons. Diotallevi lo menò in casa 
€ sua per convertirlo, ma lo stesso giorno scappò e 
€ ritornò al Ghetto, e fii rimenato in casa di mon- 
« signore dai genitori suoi. 

« A di 19 detto si dichiarò di voler essere cri- 
4C stiano in casa di detto monsignore: 

« A di 18 ottobre 1602 il Barnech fu battezzato, 
« cresimato, e ctimunicato da monnig^or veàcoTO 
« di Sidone in S. Pietro e si chiamò Fraoceaeo 
« Ha^ria. m 

« 1604j novembre. — Giosuè Ascarelli ebreo, e^ 
« rabbino principale in Roma, fu mandato a pigliare 
4C in carrozza per ordine di monsignore Giudice dei 

16 — E. NA.TALI, Il Ghetto di Romm. 



242 ETTORE NATALI 



« catecumeni, con sua moglie e quattro figli. Vi 
« stiede 43 giorni e fu servito nobilmente - dapoi si 
« rilasciò, perchè cosi volse esso, li quattro figli una 
« chiamata Camilla, d'anni 12, si dichiarò voler es- 
« sere cristiana dopo 10 giorni circa; Belluccia altr& 
« figliuola d'anni 8 si dichiarò fra 8 giorni ; Giuda 
4c figlio del suddetto d'anni sei si dichiarò fra cinque 
« giórni ; e Manoello altro figlio di anni 4 fra quat- 
te tro giorni disse (?) di voler essere battezzato. 

« 1605, 22 gennaro, farono tutti quattro battes- 
« sati dal sig. card. Baronio nella Chiesa Nova. » 

« 1604, 10 agosto, — Mariamme ebrea figlia 
« di Salomone Tudesco d'anni 18 venne in questa 
« Casa, cioè fu condotta per ordine del sig. Cardi- 
« naie protettore , non essendo ancor dichiarata, 
« ma si dichiarò fra pochi giorni: 

« A di 22 setteml re 1604 la suddetta fu battez- 
« zata dal sig. card. Baronio nella Chiesa Nova, 
« e si chiamò Maria. » 

« 1605, 17 aprile. — Sola zitella ebrea d' anni 18 
« in circa, figlia di Leone ebreo, mandò a dire che 
« si andasse a pigliare, per un fruttarolo, e cosi fu 
« menata in questa casa per farsi cristiana: 

« 1605 , a di 81 maggio fu battezzata dal ear- 
« dinal BelarminO) nella chiesa del Gesù, e si 
« chiamò Virginia, i» 

<f.l605j 5 maggio, — Stella zitella ebrea, figlia 
« di Jacob, fu mandata a pigliare per parola data 
« ad un catecumeno suo parente e dopo 25 giorni 
« in circa si dichiarò: 

« 1605, 81 maggio, fu battezzata dal sig card. 
« Belarmino, e si chiamò Ortensia. » 



IL GHETTO DI ROMA 24^ 



« 1841, 22 maggio. — Canosa moglie di Angelo 
4c di Finto fii presa con due figli : uno di esso Scia- 
le badai di anni 6, e Graziosa di anni 4, perchè per 
^ testimoni obbligò sé e suoi figli: 

« 1641 di* 8 jolii, Canosa ritaraò all^ebrainno 
« oatinata. Sciabadai del battesimo fo detto Gin. 
« seppe Cerasola oggi sacerdote. Gratiosa nel 
e battesimo fa detta Anna Maria de Nobili, oggi 
« monaca nel monastero della SS. Annrniriata. » 

€ 1642j 23 febbraio» — Ester moglie di Israel 
4L Terracina ebrea romana per deposizione de' testir 
< moni fu presa per esplorarsi la volontà: 

« Ija suddetta Sster ritornò in Ghetto osti- 
« nata. » 

« 1549, 2 dicembre. — G^uda d'anni 13 fii preso 
^ per deposizione de testimoni, a' quali disse voler 
«essere cristiano: 

« Ritornò aU*ebrai«mo. » 

« 1650, a dì 4 settembre. — Patientia figlia di 
« Salvatore Spoletini d'anni 12. 

€ Rina figlia del suddetto d'anni 7. Angelo figliolo 
4L del suddetto d'anni 9 ; si furono presi perchè il 
« loro padre mori in Perugia cristiano: 

« Patientia si converti e fti detta Antonia; 
« Riva si chiamò Cecilia ; Angelo al battesimo si 
e chiamò Andrea. » 

4C 1674, 42 dicembre. — Regina zitella ebrea, ro- 
4c mana, figlia di Giuseppe di Piperno d'anni 18 fu 
4k denunziata da un sartore, che voleva farsi cri- 
4k stiana: 

« La saddetta si dichiarò cristiana dopo 16 
e giorni d'ostinazione ed al battesimo fa detta 
« Anna Camilla Fortana ed ocgi è moglie di 
« Pietro Orsini ginbbonaro In Campo di Fiore*» 



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* ^ IL GHETTO DI ROMA 245 

--Azi'x e fatta rinvenire a furia di panni caldi. Essa aveva 

fatto per acqua più di mezzo miglio, era passata 
sotto ponte Quattro Capi e sotto una mola nuova 
a ponte Rotto. Eppure non aveva bevuta una goccia 
•d'acquai (sic). 

Si gridò al miracolo, folla di ebrei e di cristiani 
corse a vedere la vecchia. Accorse anche il neo- 
fito, figlio di costei, don Pietro GatiUi, che portò 
la madre alla casa propria, eppoi chiamò don Gia- 
cinto Corsi, rettore dei catecumeni. . Costuij'^dopo 
le prime cure, volle persuadere l'ebrea a farei cri- 
stiana. La vecchia rifiutò. Allora il prete, dalle 
ore 20 in poi fino alle ore 5 della notte, continuò 
a parlarle di Gesù, della Madonna, della Messa e 
•di altre cose. Alle 3 la battezzò, poi le diede l'olio 
,j/p jfj. ^ «anto, poi... la mandò all'altro mondo in odore di 

santità, perchè, dice il libro, stette per 17 ore in 
una picccola stanza senza puzzare. 

Un'altra storia, del 1755. Un certo Moìsè Funari 
mori lasciando al mondo la moglie gravida e due 
bambine sole : Debhora e Ricca. Debhora e Ricca, 
rapite alla madre e portate da uno zio neofìto 
•(Giovanni Pernio) avanti al Sant'Uffizio, furoco 
destinate al battesimo. Ma la povera Ricca ebbe 
cosi paura che, colta da infantigliole^ mort.... ma 
battezzata. Debhora mori poi dopo molti anni, di 
parto. E gli ebrei dissero che il sangue di un 
•cristiano che aveva sposato le aveva fatto male. 



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L'archivio dei catecumeni andò a fuoco nel sacco 
m -di Roma, sicché è impossibile contare i battesimi 

di operati. Però si sa che dal 1634 al 1700 furon bat- 

// tézzati 1195 ebrei ; dal 1700 al 1790, 1237. 



246 ETTORE NATALI 



Restano però registrati curiosi casi, detti di vo- 
eazione. 

Nel 30 maggio 1655 un certo Moisè, un ebreo^ 
andò al Sant'Uffizio e fece pigliare in Ghetto una 
certa Olimpia , sua promessa sposa , perchè fosse 
convertita. La poverina resistè 14 giorni, poi fu 
costretta a cedere. 

Addi 22 settembre 1638, Ricca del quondam^ 
Sabato, ofiTerta dal suo secondo marito al Sant'Uf- 
fizio, fu tenuta in quarantena fra i catecumeni per 
40 giorni. La povera donna aveva 23 anni soli^ 
ma resistè. Volle tornare in Ghetto, e vi mori 
subito per gli strapazzi, forse per le torture sop- 
portate. 

Una scena drammatica : un certo fra Giovanni 
Domenico Nazzareno, detto l'Armeno Domenicate» 
disse un giorno nella chiesa della Minerva a Tulio 
Serotino, ebreo, che gli desse un figlio a battez- 
zare. L'ebreo rifiutò, e il frate gli promise che il 
papa stesso l' avrebbe battezzato. - 8e ciò è , re- 
plicò l'ebreo, ve lo db^ per Dio, ve lo voglio dare! — 
e di li a poco si voltò e aggiunse : Io li scannerb^ 
prima tutti e cinque che n'ko ! 

La cosa fu riferita a don Albano, rettore dei 
catecumeni, poi al cardinale di Sant'Onofrio, eppoi 
a Urbano VITI, che sentenziò che l'ebreo aveva 
validamente promesso un figlio, e che se non lo 
voleva più dare, se glieli prendessero tutti. Gli 
sgherri fecero irruzione in Ghetto. E ci fu bat— 
taglia. Ma i cristiani rubarono al Serotino un 
bimbo in cuna e un altro di 7 sette anni. Li bat- 
tezzarono tutti e due. Ma la rivolta giudaica 
scoppiò, e si tenne sul fatto una congregazione. 
Papa Urbano tenne duro: il primo lo chiamò Ur- 



IL GHETTO DI ROMA 247 



bano Urbani, e la seconda Anna Urbani, e fece 
solenne la processione del battesimo , tra due file 
di armati, tenendo egli stesso, a cavallo .di una 
chinea bianca, il lattante tra le braccia. 

Un bimbo ebreo di 5 mesi, Simone...., figlio di 
Angelo, fu colto per via da una necessità urgente 
e portato dai genitori in casa di certi parenti cri- 
stiani. Coàtoro li per li lo battezzarono e lo chia- 
marono Giovanni. I genitori non seppero nulla : 
presero il bimbo e lo riportarono in Ghetto. Gli 
sgherri del Sant'Uffizio andarono a ripigliarlo colla 
forza; il bimbo mori subito, ma il vice-reggente 
aveva voluto ribattezzarlo (27 ottobre 1660). 

Nel 29 dicembre 1662 si fece una grande festa : 
il dottore Angelo Gabai, ebreo, usci di Ghetto e 
con tutta la famiglia si fece cristiano, e si chiamò 
Filippani. La famiglia Gabai era la più notabile 
di Ghetto. 

Ci son poi fia quelle carte avvisi secchi secchi 
che fanno male. 

A' di 4 settembre 1650 furono presi Pazienza, 
figlia di Salvatore Spoletino, di anni 12, Oliva, sua 
figlia (?), di anni 7, Angelo, figlio del medesimo, 
di anni 9, il che si fece per esser morto cristiano 
a Perugia il loro padre, e tutti si fecero cri- 
stiani. 

Bastava una denunzia per far torturare un 
povero ebreo: a' di 14 gennaio 1687, con fede di 
Michele Vogri, neofito, che attestò come Flaminia 
figlia di Pace Passapaglia, di anni 25, ebrea « 
aveva detto di volersi far cristiana, fu presa la 
detta donna e fu battezzata il 1^ marzo. Quaranta 
giorni di ammaestramenti ! 

Due testimoni attestano il 26 aprile 1689 a 



248 ETTORE NATALI 



monsignor Bologna che Sara , zitellaf ebrea di 19 
anni, aveva. detto di volersi fare cristiana, e mon- 
signore invade il Ghetto alla testa degli sgherri. 
Gli ebrei nascondono la ragazza e la trafugano ; 
monsignore, il notare, il rettore e la priora dei 
Cateciuneni, che erano della spedizione, arresta- 
rono la madre e il fratello. La povera Sara dovè 
consegnarsi e subire il battesimo il 5 gennaio 1590. 
Fu chiamata Maria Ancarani. 

Un ebreo, Sabato Romanello, di 20 anni, porta 
ni luglio 1693 Stella Gennazzano, moglie del- 
l'ebreo Sabato Fornaro, ai Catecumeni e la fa 
battezzare. Stella Gennazzano si divide dal marito, 
gli ruba un figlio di 4 anni e si fa difendere dal 
Sant'Uffizio contro il marito. 

Il 30 maggio 1698, Sabato Deservi offri alla 
fedCf per atto notarile del notaio Visini, quattro 
nepoti, figli del fratello Ercole Deservi. In conse- 
guenza, monsignor vice-reggente ordinò un assalto 
in Ghetto per rapire i bambini. Gli ebrei combat^- 
terono. Vinti, ricorsero al Sant'Uffizio e fecero 
battaglia in tribunale. Non giovò: i quattro bimbi 
furono battezzati ! 

Poi ci sono i mariti che, forse per lucro, portano 
le mogli al collegio dei Catecumeni. 

A' di 4 aprile 1650, una certa Consola fu por- 
tata dal marito , Salomone Pontecorvo , alla Ma- 
donna de' Monti. La poverina non aveva che 23 
anni. Resisto a una quarantena di 47 giorni e non 
volle esser battezzata. Tornò in Ghetto. 

A' di 31 gennaio 1794, Angelo Oziel, ebreo, fu 
offerto dal padre. Si rifiutò di andare a farsi bat- 
tezzare e fu fatto prendere dai birri e consegnare 
al rettore della Minerva, per paura che non dis- 



IL GHETTO DI ROMA 249 



suadesse i neofiti rinchiusi ai Monti. Il povero 
Oziel aveva 33 anni e — dicono gli atti — fu cor^ 
segnato alli fattori^ pagati, per il vitto^ tre pavoli 
al giorno. 

Era dunque anche una buona speculazione pel 
Collegio ! 

E ora ecco un caso anche più pietoso. 

Muore Salvatore D* Anticoli e lascia al mondo la 
moglie, Ester Sarsati, con una bambina di 5 anni : 
Schinchà. Un ebreo di Bordeaux, Raffaele Cuìgrè, 
va a riferire a monsignor De Rossi, vice-reggente, 
che la donna aveva fatto voto di convertirsi al 
cristianesimo. Il 19 ottobre 1737, gli sbirri arre- 
stano la donna e la bambina, e siccome gli ebrei 
si batterono , al solito , arrestarono un certo Mo- 
reno e altri. Dopo 1^ giorni gli ebrei dissero che 
la donna era incinta e chiesero che fosse rimandata 
in Ghetto. I preti la fecero visitare dalla mammana 
che non seppe dir nulla. Il Sant'Uffizio decise che 
fosse tenuta in Collegio altri 20 giorni. Passati 
questi, le furon trovati tre segni di gravidanza. E 
fu tenuta in quella prigione fino al 17 dicembre, 
giorno in cui aborti. Allora, essendo la donna te- 
nace nella sua fede, benché stanca e sfinita, fu 
rimandata in Ghetto. 

-*- 

Come i carcerati ebrei eran prosciolti pur che si 
facessero cristiani, cosi erano gli ebrei liberi molte 
volte carcerati pel solo fatto à* essersi ostinati nel- 
r errore. 



250 BTTORE NATAU 



A' di 29 dicembre 1600 , Avon , figlio di Isaac 
Pontecorvo, di 21 anno, fu preso assieme alla suBt 
promessa sposa. Egli aveva dichiarato avanti al no- 
taro di volersi far cristiano, ma la fanciulla rifiutò 
e tornò in Ghetto. L'ostinazione della donna amata 
fece pentire Avon della parola data e rifiutò di 
farsi battezzare. Monsignor vice-reggente lo fece 
arrestare in casa, e il giorno dopo lo fece mettere 
nelle carceri di Campidoglio. E ci dovè essere 
qualche ragione molto intima, perchè il vice-reg- 
gente non gli facesse nemmeno fare la quarantena. 

Un ebreo, scappato dalle galere di Francia YS 
di ottobre del 1660, preso e messo alle Carceri 
Nove, disse di volersi fare cristiano, onde lo tol-^ 
sero di prigione e lo portarono fra i Catecumeni. 
Dopo un po' si penti e dichiarò di non voler saper 
nulla del battesimo. Allora fu messo nella galera 
di Civitavecchia, a vita. 

A' di 4 settembre 1663, Isaac, figlio di Cavi, 
ebreo, fu chiuso nella Casa dei catecumeni. Pen- 
titosi di avere avuto intenzioni cristiane, volle ri- 
condurre al giudaismo un giovane polacco che era 
neofita assieme a lui. Il giudice Claudio lo fece 
pubblicamente fiustare per tutta Roma a dorso 
nudo. Era il 10 novembre I 

A' di 2 maggio 1666, Adula, di Tunisi, ebrea 
schiavo del signor Bonagurio, fu giudicato degno 
del battesimo. Mentre il curato andò a pigliare la 
biancheria pel sacro rito da monsignore, il povero 
uomo, di 32 anni, si scannò. 

Qui giova notare che questi atti di rigore che 
conturbavano gli ebrei di Roma sono un nonnuUa 
al paragone di ciò che succedeva in altri paesi. 
Come non si deve dimenticare che nei due secoli 



IL GHEtTO DI POMA 251' 



passati in molti Stati di Europa gli ebrei erano ad- 
dirittura proscritti. 

-*• 

A questo punto gli atti che sfoglio portano un- 
titolo strano : Ca$i piuttosto funesti. E narrano di 
un povero vecchio , cadente e paralitico , che per 
isfuggire al battesimo si buttò nel pozzo del Col- 
legio ed ebbe tanta forza da chiudersi sopra un 
pesante coperchio di ferro. Si chiamava : Vitale 
Prezioso. Il fatto successe alle ore 21 del di 18 
settembre 1776. 

Il poveruomo non mori subito. Un prete, dalla 
bocca del pozzo, gli gridava : - Credi tu nel santo 
Messia ? - E il vecchio rispondeva : Chi è questo 
Messia? - Il prete : Vieni su, che te lo dirò. Ma 
l'ebreo non volle attaccarsi alla fune che il prete 
gli gettò dopo un po' di dialogo. Fu tirato fuori- 
a fatica, e, messo in letto, dette in ismanie furiose, 
non volle prender nulla, né farsi cavar sangue. Lo 
legarono, e lui tenne duro tutto il giorno, lanette 
del giovedì e la mattina del venerdì. Poi accettò- 
un goccio d'acqua. Ma si ostinò nella sua fede. 
Lo misero in quarantena, poi lo rimandarono in- 
Ghetto. 

A conti fatti, nel solo secolo XVIII, fra i libri- 
battesimali della parrocchia della Madonna der 
Monti, 45 segnano tutti battesimi d'ebrei. Due fu-- 
rono battezzati da Clemente XI (vedi i brevi al 



2'2 ETTORE NATALI 



granduca di Toscana Cosimo 25 dicembre 1703 e 
15 marzo 1704) , ventisei da Benedetto XIII, tre- 
dici da Benedetto XIV, quattro da Clemente XIII. 

Tra i neofiti battezzati si sono distinti molti, 
come si rileva da una dissertazione {Ex Judaeis 
Christiani) stampata a Berlino. Lasciando da parte 
Adaranzio , nomineremo : Alfonso Da Spina , ve- 
scovo, Antonio Margarita, Cristiano Gerson, Rabbi 
Elchanon (autore del Mistero cabalistico)^ Emanuele 
Tremellio da Ferrara, Ernesto Zarvossi, Ferdinando 
Hesse , medico (che scrl^se in tedesco il Flagello 
de* giudei e altri libri), Federigo Alberto (autore del 
libro Allontanati dal male). 

Furon neofiti s. Epifanio; s. Giovanni Damasceno ; 
Giovanni PfefPer, che fece istanza all'imperatore 
Massimiliano affinchè faces.e bruciare tutti i libri 
dei giudei, e che, tornato pqscia al giudaismo, fini 
bruciato lui stesso ; Giuliano Pomerio ; Ludovico 
Carretto, medico ; Nicolò Delyra, francescano, tra- 
duttore e commentare delle scritture morto in Pa- 
rigi nel 1400; Paolo di Santa Maria, vescovo di 
Burgos, maestro di re Giovanni II figlio d'Errico IH 
re di Castiglia ; Paolo Riccio, medico di Massimi- 
liano I, che credè e scrisse deìV Animazione del 
delo, uno dei predecessori di Galileo ; Paolo Mei- 
•der, medico tenuto a battesimo nel 1500 da Alfonso 
di Castiglia, autore di un Dialogo contro i giudei 
^Colonia 1536) ; Filippo d'Aquino, professore a Pa- 
rigi, autore di un Dizionario caldaico- ebraico, tal- 
mtidico-rabbinico ; Raimondo Lulio ; Salomone Fe- 
derico Bietavetz, autore del libro Pelle serpentina 
<50ntro gli ebrei ; Alfonso, neofito, che disputando 
avanti all'antipapa Benedetto XIII procurò la con- 
versione di 3000 giudei (vedi la Bolla riferita dal 



IL GHETTO DI ROMA 25S 



Bartolucci, tomo III, pag. 731) ; Paolo Heredia ; 
Michele Adamo; Salomone Meir, che, battezzato, 
prese il nome di Prospero Rugerio, autore di varie 
opere insigni. 

La maggior parte dei catecumeni — ed è am- 
pliamento dimostrato da quanto ho scritto fino ad 
ora — eiano o fanciulli, non ancora compos sui, 
o giovanetti senza esperienza,- mentre gli adulti, 
se pur qualche volta si facevano indurre ad en- 
trare nell'Ospizio, spessissimo ne uscivano ostinati. 

Nei primi secoli dell' èra volgare, e durante 
tutto il medio evo, come non vi erano prediche 
coattive, cosi non vi era l'istituzione quasi coattiva 
anch'essa della Casa dei catecumeni. Anzi al prin- 
cipio del cristiar: esimo il catecumenato era un'isti- 
tuzione nella quale erano ammessi soltanto coloro 
che davano prova di possedere già una sufficiente 
istruzione. Prima di ricevere il battesimo si doveva 
passare per vari gradi : audientes chiamavansi co'oro 
che avevano soltanto il dritto di ascoltare la spie- 
gazione del Vangelo : i genuflectentes potevano as- 
sistere prostrati, alle preghiere dei fedeli : e quindi 
competenti od electi, cui era permesso di vivere 
come i battezzati in attesa di una di quelle feste 
solenni nelle quali era lecito amministrare il bat- 
tesimo ai catecumeni. Gli electi potevano assistere 
alla messa fino al momento della comunione, ma 

m 

dovevano uscir dalla chiesa quando il diacono si 
avanzava verso di loro dicendo: Ite, cathecumeni, 
missa est. 

Il tempo della durata del cateci: menato si è 



^1854 ETTORE NATALI 



andato man mano accorciando, e quando fu fon*- 
dato rOspìzio era di tre mesi, mentre poi si è ri- 
dotto a soli 40 giorni. 

Nelle prime basiliche, presso la porta d'ingresso, 
vi era un posto riservato pei catecumeni, e diviso 
dal rimanente del tempio per mezzo di un cancello, 
come si vede ancora in qualcuna delle chiese più 
antiche o nelle chiese fabbricate dai frati france- 
scani. 

Man mano che il cristianesimo si è diffuso, tutte 

le cerimonie con le quali si suolevano ricevere ed 

istruire i catecumeni sono andate in disuso, e quando 

si è, nel seicento, istituita la Casa pei catecumeni. 

Al vero catecumenato era finito da un pezzo. 



In stretto significato , la parola greca eatechif 
menos significherebbe uditori di un suono ; e di- 
fetti i catecumeni erano chiamati ad udire la pa^ 
rola di Dio, Una volta aperti gli orecchi alla ve- 
rità si diveniva neophytus. Quest' altra parola, 
pure di origine greca designava il nomts in fide 
il nuovo nato, o, per Stare allo stretto senso, il 
novellamente piantato. 

Pertanto, volendo procedere ordinatamente, dopo 
di avere parlato dei catecumeni è necessario occu- 
parsi brevemente dei neofiti, i quali qui in Roma 
sono raccolti in un ospizio prossimo a quello dei ca- 
tecumeni e posti sotto la dipendenza di una stessa 
Commissione di cardinali , chiamati dal Papa a 
comporre la Congregamone per la visita apostòlica 
dei Catecumeni e Neofiti. Mentre sto scrivendo 



256 ETTOBE NATALI 



queste linee, oggi 20 febbraio 1886, fanno parte 
della Congregazione i cardinali Teodoro Mertel, 
vice-cancelliere di Santa Chiesa, Tommaso Marti- 
nelli, vescovo di Sabina, ed Ignazio Meusotti, dia- 
cono di San Cesareo, segretario e deputato ammi- 
nistratore ne è monsignor Giuseppe Bucci, chierico 
della Camera Aposto' ica. 

Andrebbe grandemente errato chi credesse che 
l'ebreo, dopo es^er divenuto cristiano, potesse vi- 
vere tranquillo, e tranquillamente godere del bene- 
ficio accordato ai neofiti dal breve di Paolo III,, 
che li dichiarava cittadini della città ove aveva- 
luogo il battesimo. 

Il sospetto che i correligionari antichi cercassero 
di richiamare i neofiti alla religione avita , o che- 
essi stessi , pentiti , volessero ritornarvi , dettò ai 
papi una quantità di leggi restrittive alla libertà 
dei neo-cattolici, da potersi ripetere di loro quel 
che scrisse Dante degli spiriti menati dairinfernale* 
bufera : 

Nalla speranza gli conforta mai 
Non che di posa, ma di minor pena. 

Fino al secolo decimoquinto, come non vi furono- 
ospizi speciali pei neofiti, cosi non vi erano tribu- 
nali privilegiati per difenderli e per punirli, né era 
stata emanata a loro favore od a loro danno una. 
legislazione speciale. Anzi erano spesso adoperati 
dalle autorità ecclesiastiche a copiare o tiadurre 
opere ebraiche, ed infatti nella Biblioteca Casana- 
tense trovasi un sohar sopra i primi quattro libri 
biblici scritto da un neofito in Tivoli nel 1513, in 
un volume in foglio , di 991 pagine , pel generale 
dell'Ordine degli agostiniani. Si sa inoltre che nel 



IL GHETTO 01 ROMA 257 



Vaticano alcuni neofiti furono da vari secoli ado- 
perati a raccogliere codici ebraici ed a compilarne 
i cataloghi. Credevasi di approfittare nel miglior 
modo delle cognizioni ebraiche onde eran fomiti 
a£Gidando Loro i manoscritti, nella speranza che 
questi cosi fossero ben custoditi : in fondo però av- 
veniva il contrario, come dimostra il Berliner nelle 
sue Considerazioni sulle Biblioteche italiane. L'ul- 
timo di questi apostati , a' nostri giorni , è stato 
certo Sebastiano Solani, già rabbino, e, dopo bat- 
tezs^to, nominato amanuense nella Biblioteca Va- 
ticana. 



•*• 



Una legislazione vera e propria pei neofiti, come 
pei catecumeni, si ebbe coi papi Paolo m e Gre- 
gorio Xin, il primo dei quali raccolse nel Breve 
del 22 marzo 1542 molte prescrizioni in varie epoche 
emanate e molte ne aggiunse di suo, codificando^. 
mi si perdoni il barbarismo della parola, tutto 
quello che riguardava i neofiti non soltanto per 
proteggerli, ma specialmente per impedire che fa- 
cessero ritomo -alla religione avita. 

Il breve di Paolo III fi'a le altre cose prescrive- 
che i neofiti debbano essere maritati con cristiane 
« perchè il conversare fra loro, come l'esperienza 
« dimostra, li rendeva fragili nella fede. » 

Si era molto distanti dagli usi dei primi secoli- 
dei cristianésimo, quando era permesso, o per lo* 
meno tollerato, il matrimonio fra cristiani ed ebrei, 
come è chiarito da una decisione del concilio 
tenuto qui in Roma nell' ottocento. Poiché fu in» 

17 — E. Natali. Il Clietto di Roma 



258 ETTORE NATALI 



quel concilio che s. Zaccaria, papa (749) mosse lar- 
mento del gravissimo abuso dei matrimoni misti, e 
pronunciò l'anatema contro il cristiano che avesse 
dato la sua figlia in sposa ad un ebreo, o contro la 
vedova cristiana che si fosse rimaritata ad un uomo 
di quella religione. 

A vantaggio dei neofiti dovevano rimanere in- 
tatti i beni, anche se figli di famiglia. Se i beni 
provenivano da usura o da furto a danno di per^ 
«ona sconosciuta rimanevano di dritto in proprietà 
del convertito. Il 13 settembre 1581, Gregorio XIII 
ordinò che si facesse* l'in ventarlo dei beni posseduti 
dai genitori ebrei di un neofito, perchè non potes- 
sero in alcun modo esserne spogliati. Tale pratica 
fu confermata da Clemente XI con bolla pubblicata 
li 11 marzo del 1703, ove è detto che coloro ì 
quali vengono alla fede devono essere, dopo il 
battesimo, in miglior condizione che prima non 
erano secondo la promessa fatta da Cristo: Q«mb- 
mte primum regnum Deiy et justitiam eius, et hcec 
omnia adiìGieniur tyóbis. 

Ho sotto gli occhi moltissimi editti dei giudici 
ordinari dei catecumeni e neofiti, nei quali sono 
ripetute su per giù le stesse disposizioni. Gli editti, 

. o bandi, che più specialmente ho preso in esame, 
sono quelli del cardinale Rusticucci, delli 17 luglio 
1592; del cardinale Antonio Barberini, dal titolo 
di S. Onofrio, 7 giugno 1635; di Benedetto Ode- 
scalchi, cardinale dallo stesso titolo, 14 ottobre 
1659; e dei prelati vice gerenti Fulvio Astalli, 

'li 17 luglio 1690, Tomasso Cervini, li 10 agosto 
1718, e Domenico Zauli, li 4 dicembre 1705. In 
tutti questi bandi è scritto : che i catecumeni e 
neofiti non potevano conversare cogli ebrei né seri- 



IL GHTTTO DI ROMA 259 

vere loro, anche se parenti, sotto pena di tre tratti 
di corda; non potevano entrare, sotto qualunque 
pretesto, nel Ghetto e tanto naeno nelle sinagoghe, 
né comprare carne o pane a modo giudaico sotto 
la stessa pena. Sarebbe .incorso nella pena della 
galera quel giudeo, anche se pareipte strettissimo 
o genitore, che avesse tentato di distogliere un neo- 
fito dal proposito di rimanere nella religione cri- 
stiana. Ed i tre tratti di corda erano pure minacciati 
a quelli ebrei od ebree che avessero ardilo avvici- 
narsi per trenta canne ^.ttomo alle case dei neofiti, 
od a questi se avessero preso casa presso al Ghetto. 
Innocenzo XI fu uno di coloro che più si occu- 
parono del buon reggimento dei neofiti, ed infatti di- 
venuto papa, con editto del 10 luglio 1683, rinnovò 
le prescrizioni da lui emanate mentre era ancora 
cardinale. Di lui infatti, cioè del cardinale Bene- 
detto Odescalchi, giudice ecc., trovo, nell'Archivio 
segreto vaticano, un editto d'impunità d taglia, 
pubblicato li 27 luglio 1660 contro Tomasso Ago- 
stino, Anna sua moglie, con tre figli, tutti neofiti, 
partiti da Roma senza permesso « ad effetto (che 
Dio non voglia) d'apostatare da questa santa fede. » 
Nell'editto sono minacciate ai complici le pene della 
galera per gli uomini, e della frusta per le donne- 
Se alcuno darà degli indizi per il ritrovamento dei 
fuggiti o dei complici, coi quali indizi « si possa 
procedere alla tortura, non solo sarà tenuto secreto, 
ma se li pagheranno scudi duecento subito, » e ciò 
oltre all'impunità. Da questo documento si apprende 
come non sempre il pubblico prestasse soverchia 
fede alle promesse di premio, ed alla realtà del 
pagamento della taglia, poiché, ad assicurare del 
mantenimento della fatta promessa, il cardinale 



260 ETTORE NATAU 



Odescalchi dichiara che i danari furono già all'uopo 
depositati presso Vincenzo Ottaiani notaro. 

Secondo il risultato di una visita fatta per ordine 
pontifìcio nell'anno 1627 è constatato che il reddito 
deirospizio dei neofiti si riduceva a scudi 2331. Lo 
persone allora ivi ricoverate per due terzi provenir 
vano dal giudaismo, e gli altri dai maomettani. 
Allorquando le rendite speciali dell' istituto dei 
neofiti e catecumeni non erano sufficienti, il papa 
suppliva col far pagare un assegno dallo Stato ^ 
assegno che giunse fino alla somma di annui 
scudi 7200. 



-*- 



I primi padri della chiesa, . secondo scrive il Mo^ 
roni, proibirono di conferire gli ordini sacri ai neo- 
fiti per timore che l'orgoglio non facesse cadere la 
loro mal ferina virtù. Tuttavolta abbiamo un esempio 
in contrario nell'ordinazione a vescovo del neofito 
Ambrogio, dalla chiesa poi santificato. In quei 
primi secoli i neofiti vestivano di bianco durante 
i primi otto giorni del ricevuto battesimo, ed 
erano accolti festosamente, come nuovi fratelli, 
ogni volta che si presentavano nelle chiese per as^ 
sistere alle preci ed alle cerimonie. 

Nel conclave tenuto dopo la morte di Nicolò 
Vallorchi i voti dei cardinali si raccolsero sul ve- 
scovo Tuf^culano cardinal Bessarione , che non fu 
proclamato per l'opposizione del cardinal Cetivo, il 
quale fece osservare quanto fosve sconveniente lo 
eleggere a supremo pastore un neofito. Notisi che 
non si trattava di uno proveniente dal giudaismo». 



IL GHETTO DI ROMA 261 



lua ^ivvero dalla religione greco-scismatica, alla 
<][uale appunto aveva appartenuto il Bessarione. 

Ai nostri giorni l'Istituto dei neofiti , sempre unito 
^ quello dei catecumeni, è posto in un vasto fab- 
bricato, fatto erigere dal cardinale Barberini, fra- 
tello del papa Urbano Vili, con prospetto sulle vie 
della Madonna dei Monti e dei Neofiti. In esso 
sono conservatorii separati per gli uomini e per le 
-donne, capaci di una cinquantina di persone almeno; 
ma all'epoca in cui io li ho visitati, nel febbraio 
dell'anno 1886, non vi si trovavano ricoverate che 
dodici donne e due uomini fra catecumeni e neo- 
fiti. Le donne restano in quel luogo fino a che loro 
si sia presentata una posizione conveniente, e se 
vanno a marito ricevono una dote di scudi 150. 
Quando escono a diporto vestono abito turchino, 
con fazzoletto bianco sul capo. 

La legge delle guarentigie fece all'Istituto dei 
neofiti lo stesso trattamento che a Propaganda 
Fide ; ossia ne decretò la conservazione ordinan- 
done la conversione dei beni, i quali beni, sia detto 
qui fra parentesi, non sono stati ancora convertiti. 
L'Istituto fu rispettato anche nell'anno 1849; sol- 
tanto in una parte dei locali furono allora ricoverati 
alcuni militari feriti. 



•*- 



Dei neofiti, dopo il secolo decimoquinto molti 
ve ne furono specialmente in Spagna, che non pro- 
fessavano lealmente la religióne cattolica, da loro 
abbracciata solo per sfuggire alle persecuzioni ed 
ai castighi. Costoro erano chiamati marrani dalla 



262 ETTUHE Natali 



parola ebraica Maròr^àtha o sii maledetto^ ed erano 
perseguitati dall'inquisizione con ferocia uguale» 
e forse con odio maggiore, che non gli slessi ebrei. I 
marrani mentre adempivano in palese alle prescri- 
zioni religiose dei cattolici, di nascosto seguivano 
le ingiunzioni ed i riti^ella religione giudaica spe- 
cialmente con l'osservanza del sabato, della pasqua^ 
e con r insegnare ai figli i precetti del Talmud e 
degli altri libri sacri. Della tenacia dei marrani 
nel mantenere nelle i)roprie famiglie l'osservanza 
della religione avita si ha un esempio che_ sembra 
inverosimile. Il governo portoghese nel 1821 riapri 
le porte agli ebrei e permise in Lisbona Terezione 
di una sinagoga alla inaugurazione della quale si 
videro accorrere intere famiglie dai paesi i più lon- 
tani del regno. Erano tutti marrani, che per trecento 
e più anni avevano conservate intatte la fede e le 
tradizioni dei loro padri, senza darlo a divedere anzi 
obbedendo in palese ai precetti del culto cattolico» 
I marrani dalle provincie iberiche dovettero emi^ 
grare, ma non trovarono 'facilmente ricovero nei 
regni vicini perchè erano da tutti respinti. Lo stesso 
loro accadde in molti paesi d'Italia, come rilevo 
da un carteggio scambiato fra il vescovo di Mon- 
dovi nunzio a Torino e la Corte di Roma. Cotesto 
monsignore di Mondovi ottenne dopo molte trat- 
tative da Emanuele Filiberto, duca di Savoia, 
l'esclusione dei marrani dalle sue provincie ; sembra 
però che non tutti i governi d' Italia sottoscrives* 
sero con uguale zelo a questa legge di proscri- 
zione, e lo si rileva da una lettera scritta dal 
nunzio in Piemonte al cardinale di Como, segre- 
tario di Stato, lettera che conservasi negli archivi 
segreti del Vaticano. Eccola : 



IL OilKTTO LI UOMA 263 

« 11 signor Vargas mi disse a questi giorni, che 
« haveva di buonissimo luogo, che in Venetia si 
« trattava di far partito con marrani, assignandoli 
< un luogo per vivere a modo loro : obbligandosi 
« essi di tener in Venetia 100 mila scudi a cinque 
« per cento, et di farsi portare il vivere et le cose 
« necessarie da altre parti ; et che saranno in nu- 
«mero molto grande di fin a 500 o 600 case. Et 
«hoggi S. Altezza mi ha detto anch'Elia, che è 
« avvisata di questa prattica, soggiungendomi, che 
«S. Santità faccia mandar via questi marrani, e 
« che sua beatitudine non dovea comportar che stas- 
«sere manco altrove se non li voleva qui.» 

Né è a dire che Emanuele Filiberto fosse prin- 
cipe poco ossequiente agli ordini della curia pon- 
tifìcia, mentre all'incontro credo che della di- 
nastia sabauda pochi più di lui siensi mostrali 
arrendevoli ai desideri della Corte di Roma, 
come rilevo da un importante documento, an- 
ch'esso conservato nell'archivio secreto del Vati- 
cano al volume rV delle carte concernenti la nun- 
ziatura di Savoia. È una lettera scritta dal duca 
al Papa, un mese circa dopo avvenuta la strage 
degli Ugonotti a Parigi. Il documento nulla ha 
che vedere col libro presente, ma lo riporto ugual- 
mente per la sua speciale importanza : 

« Beatissimo Padre, 

< Piacque alla bontà d'Iddio che mentre la 
«S.** V.» poteva deliberare di farmi scrivere il suo 
« breve di 25 del ponente, hierì ricevuto, per il quale 
«benignamente mi esorta non patire che gli heretic* 
4c fugitivi di Francia si ricevano ne li Stati miei : 



264 ETTORE NATALI 



«Antivedendo io nel medemo tempo quello che 
4C Yj^ B.^^ con somma provvidenza riguardava, feci 
« spedire fino alli 7 di questo per tutti li miei Stati 
« pubblici bandi non solamente che detti fugitivi 
« non si ricevessero, ma che se ve ne erano venuti 
«alcuni, si partissero a pena della vita, et confi- 
4C scatione di beni, et in vero quando mi venne la 
«bona nova che Iddio ha vea conceduto al ReCri- 
« stianissimo l'opportunità di distruggere li predetti 
«heretici, oltre la parte de l'allegrezza che ogni 
« principe, et persona catolica . ne sentia, io con 
« molta ragione ne l'ho partecipato, et i disegni che 
« havevano d'offendermi quanto prima Thavessero 
« potuto. Et vedendo li Stati miei al primo et mag- 
« gior pericolo ; la onde riconosco essermi in ciò da 
«Dio fatta grandissima grafia. Et parimenti bacio 
«con ogni riverenza i piedi a'ia S.** Y.^ pel zelo 
« con che s'è mossa a scrivermi, et de la paterna 
« benevolenza che degna dimostrare verso di me, 
« et di questi miei popoli - con i Suoi santi ricordi, - 
«che saranno da me diligentemente osservati et 
«eseguiti come da un'ubidientissimo figliuolo della 
« Santa Madre Chiesa, et de la Sede Apostolica, et 
«servitore humilissimo et afPettuosissimo di Vostra 
« Beatitudine, supplicandola a confermarmi sempre 
« per tale ne la benigna gratia Sua. 

« Da Torino il penultimo di settembre MDLXXV. 
« Della B.°o Vostra 

« Hum. Figliuolo et Ob.™° Setvitore 
« E. Philibeet. » 



IL GHETTO DI ROMA 265 



•*- 



Ma, tornando agli ebrei, dirò che in Roma non 
vi sono mai stati marrani perchè, come vedemmo, 
fa sempre permesso il culto d'Israello; e chi si 
era finto cristiano per sfuggire in Spagna agli 
atUo^a^fì appena giungeva nella nostra città 
si dava senza ritegno ad osservare le pratiche 
della sua religione, gettando la falsa maschera 
di cattolico, per riprendere apertamente il nome 
di giudeo, e l' antico culto. A lode del vero devo 
pur osservare che i papi cercaron da principio di 
salvare i marrani da ingiuste persecuzioni, e 
Clemente VH che con molta riluttanza aveva 
permesso di introdurre Y inquisizione nel Porto- 
gallo, nella bolla di concessione mise molte clau- 
sole anche a favore dei marrani per mitigarne i 
rigori. Precauzione inutile I Gli ebrei ed i marrani 
furono perseguitati lo stesso e dal fanatismo degli 
inquisitori, più feroci degli antichi druidi, e dalla 
<2rudele ignoranza del volgo, e di quanti agogna- 
vano di por mano sulle grandi ricchezze accumu- 
late dai Sefardim. 

Contro i marrani per primo si mise Paolo IV, 
che li proscrisse da Ancona e promulgò una bolla 
speciale contro di loro : « Considerando che da 
€ 60 arni il culto ebraico è proibito in Portogallo, 
AH saranno severamente puniti dal braccio secolare 
-« gli ebrei portoghesi che saranno trovati in qua- 
«lunque parte d'Italia. » 

Le accuse le più strane erano continuamente 
propalate Ira il volgo per mettere i marrani in 
eattiva vista. Si diceva, ad esempio, che con sa- 



260 ettohe natau — il ghetto di roma 

crileghe cerimonie avevano Tuso di togliere ai 
fanciulli il battesimo ; ma l'accusa più strana con- 
tro quelli infelici è riportata da Deppìng, quando 
dice che i marrani furono ritenuti colpevoli di 
avere sparso per l'Europa la sifìlide, malattia che 
prima delle loro peregrinazioni non era conosciuta. 
Si accusavano inoltre di mangiar qualche cibo 
prima della comunione, in sfregio alle leggi eccle- 
siastiche, le quali vogliono che quelli che si comu- 
nicano siano digiuni dalla mezzanotte. Tal fatta di 
accuse furono più volte causa di persecuzioni ter- 
ribili, specialmente in Francia ed in Spagna, ove 
agli ebrei non schiettamente convertiti si è pensato 
fino dal tempo del Concilio di Toledo (anno 653),. 
celebre perchè in esso, oJtre che a punire gli ebrei, 
si pensò a stabilire pene contro i vescovi convi- 
venti pubblicamente con concubine. Peraltro una 
vera legislazione contro i marrani, e questo stesso 
modo di appellarli, non venne in uso se non dopo 
il secolo decimoquinto. 



FINK DEL PRIMO VOLUME. 



INDICE 



l — I primi ebrei di Roma - Loro condizione ài cadere deUa 
repabbllea - Relazioni colia madre patria - Ambascerie - 
Pompeo, Cesare - Periodo imperiale • Persecuzioni - 
Agrippa e Berenice ••-•.. pag, 1 

H — I samaritani in Soma - Simon Mage - Anfiteatri di 

Marcello e di Balbo - Tesori d*Israello in Roma - Le 

colonne del tempio di Salomone • Pericoli e paure. » 87 
m — Ebrei spagpraoli in Roma - Gli ebrei in Trastevere • 
Località occupata dall'antica Sinagoga - Casa di Cola 

da Rienzi - Notizie statistiche .»41 

ly — Tolleranza a Roma - Emanuel hen Salomone - Polemisti - 
Scienziati e letterati - Viaggiatori ebrei che nacquero 

o vissero in Roma. •••.... ii67 

y — Libri rari posseduti dalle scuole di Roma • Censura pa- 
pale - Libri ebraici nella Vaticana - Il Talmùd • . n 73 

VI — Gli ebrei nei possessi dei papi - Presentazione del 

Pentateuco - I Pierleoni - Due papi ebrei - Omaggi 
al papa » 87 

VII — I giuochi e le corse degli ebrei • Tributo per gli spet- 

tacoli • Abolizione dell'obbligo del correre • Omaggio 
degU ebrei al magistrato romano - Altri usi carne- 
valeschi ..bS? 

Vm -~ Leggi suntuarie contro gli ebrei - Burle - Supplizii . n 117 
IX — Le donne - Cause del loro deperimento fisico • Insalubrità 
del Ghetto - Disuguaglianza religiosa - Pervertimento 
morale - Aneddoti .»18-