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Sunford Unlvereity U(
6105 119 004 005
IL PROPUGNATORE
NUOVA SERIE
IL PROPUGNATORE
NUOVA SERIE
PERIODICO BIMESTRALE
DIRETTO
GIOSUÈ CARDUCCI
COMPDJ^TO
I. Sia mu LIGI, I. USUI, e. irati, g. uizon,
s. wEpimo, i mm, o. min
Voi. IV. - Parts I.
BOLOGNA-
PRESSO ROMAGNOLI-DALL- ACQUA
UbniHiliton dtllt ÌL Cumiaim |«' Ttsti di Liogu
. 1891
IL PROPUGNATORE
NUOVA SEHIE
IL PROPUGNATORE
NUOVA SERIE
PEItlODICO BIMESTRALE
GIOSUÈ CARDUCCI
COHPnJkTO
1. uccn liiu ucA, T. ai, e. futi, g. uzzoli,
s. miinco, I. zm, o. zniini
Voi. IV. - Parta I.
BOLOGNA
PRESSO ROMAGNOLI-DALL' ACQUA
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. 1891
Proprietà Letteraria
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Bologna 1S91. Tipi Fata e Garagn&ni
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SER PIERO BONACCfbfel
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S IL SUO
CAMMINO DI DANTE
• • •.
Le dae Epistole di ser Piero Bonaccorsi a frate
Romolo de' Medici, che ora presento ai cultori delle cose
dantesche, non costituiscono an vero e proprio com-
mento , ana interpretazione cioè dei sensi reconditi e
dei passi oscuri della Commedia. Bensì è facile vedere
che nella candida esposizione dell'orditura del Poema il
buon notaio ebbe un intento speciale : ei volle nella prima
delle due Epistole rappresentare particolarmente air a-
mico la struttura dei tre regni oltremondani; nella se-
conda toccare più strettamente della cronologia del viaggio
dantesco. — L' importanza delle dae questioni, e il tempo
in cui furono scritte me le fecero parer degne di studio.
La mancanza poi di notizie sull' autore mi spinse a ri-
cercarne neir Archivio fiorentino, onde ho potuto ricavare
la biografia del Bonaccorsi e qualche cenno sulla sua
famiglia.
L
La consorteria Buonaccorsi è delle più estese ed
intricate di Toscana, e per conseguenza delle meno stu-
•..'
b . •/. :• • G. BRUSCHI
diate e.nJte. H'Gamurrini nella sua Historia genealo-
gicq'4^m 'famiglie Toscane et Umbre non fa che no-
ipinàrtfe qua e là membri staccati, senza darne uno
. •;;.'•. studio particolare. Il Passerini non ne parla che alla
sfuggita in una delle note alla Manetta de" Ricci (1); e il
Tiribillini al tomo II delle Famiglie Fiorentine , dopo un
breve preambolo sulla difficoltà di trattare di questa con-
sorteria, pur citando in fondo del suo artìcolo Monaldi e
Ammirato , Marchesi e Gamurrini , ripete alla lettera
ciò che ne ha scritto il Passerini, a cui bisogna ri-
mettersi. — Il Passerini adunque distingue meglio che
nove consorterie di questo nome: i Buonaccorsi Pina-
dori, detti cosi da una pinna d' oro dipinta nel loro stem-
ma ; i Buonaccorsi di Vanni , ascritti all' arte degli 0-
rafi (2); i Buonaccorsi Passerini, i più antichi di tutti,
trovandosi fin dal 1196 un Bonaccorso Passerini nel con-
siglio del Comune; i Bonaccorsi di Noferi, derivati da
Simone di^Messer Buonaccorso da Passignano, priore
nel 1302; i Buonaccorsi di Obese, a cui appartiene
Ghese di Bonaccorso priore nel 1319; i Bonaccorsi Cer-
bini, sorti durante il principato, e venuti da Montopoli; e
finalmente, per tacere d' altri, i Buonaccorsi Corazzai , a
cui appartiene il nostro ser Piero.
€ I Buonaccorsi Corazzai (3), detti più in antico dei
Valdigiani da Brustugliole, luogo della loro origine, por-
tarono per stemma un leone d'oro rampante in campo
azzurro e tenente una roncola dorata. Cominciarono ad
ottenere il priorato nella persona di Piero di Bonaccorso
corazzalo nel 1402 , e da quell' epoca al 1510 lo
(1) Ademollo, Alarietta de' Ricci, Fir. Chiari, 1845, VI, 1987.
(2) Vedi C. Guasti, LetUre di un Notaro, Firenze, 1880, voi. I,
pag. XXIV.
(3) Passerini, op. ciL, pag. 1989.
SER PIERO BONAOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 7
conseguirono sei ^olle. Ser Buonaccorso di Piero fu no-
taro della Signorìa nel 1427, ambasciatore a Siena nel
1410, in Savoia nel 1422 ; ser Piero, suo figlio, fu can-
celliere dei Signari nel 1441; ser Bonaccorso di Leo-
nardo nel 1502, 1508 ; e ser Giuliano suo figlio nel 1506,
1506 e 1513. Leonardo suo fratello fu da Leone X
ascrìtto tra i cavalierì dell' ordine di San Pietro e deco-
rato del titolo e privilegi di Conte Palatino. Mancò questa
casa in Tiberio Gaetano di Bonaccorso Maria d' Angelo,
morto il 20 ottobre 1724 >.
La provenienza dei nostri corazzai dal Mugello è mani-
festa anche dalla rassegna dei loro beni nelle Portate al
Catasto (1); che anzi il nome stesso di Brustugliole nel-
l'Alpe di S. Godeiizo da cui anticamente furono chia-
mati, apparisce nella descrizione di uno dei poderi (2).
Del capostipite Bonaccorso non trovo memoria ; bensì
Piero di Bonaccorso appare nello squittinio del 14 febbraio
1381 (2) : egli è ascritto al gonfalone Lion d' oro del
quartiere S. Giovanni. Nel 1385, per rogito di ser Naddo
di ser Nepo di Montecatini (3) , prende a fitto una bot-
tega da corazzalo nel corso Àdimari , ora Calzaioli , da
Vieri di Cambio de' Medici; nel 1402 ascende pel bi-
ci) Archivio di Stato. Portate al Catasto del 1427, Drago, S. Gio-
vanni : e Item uno podere con ebase da oste et da lavoratore , et co-
lombaio, con terre aratore, vigniate, prati, pasture, boscbi posti nel po-
polo di S.ta Maria d*Àgniano, podesterìa di Dicbomano, luogbo detto
Àlpignano, cioè nella montagna di S. Ghodenzio, di lungi da Firenze
miglia 23. Nel quale si contenghono: due ebase, poste nel popolo di
s.to Lorenzo a Brustugliole, con forno per metà con mona Isabella, G-
gliuola fu di Giuliano >.
(2) Delizie degli erud. tose, Tom. XVI, pag. ^18.
(3) Protocolli di ser Naddo di ser Nepo da Montecatini, n. 11, an.
1384-1388, a e. 10 v.
8 a. BRUSCHI
mestre Gennaio-Febbraio alla prima magistratura della
Repubblica (1).
Morendo , lasciava la roncola del corazzalo ali* uno
dei figliuoli , Giuliano ; all' altro , Bonaccorso, più alta
via aveva aperta neir arte dei giudici e dei notai.
Di Giuliano non ho trovato notizie, tranne ¥ aver egli
lasciata una figliuola Elisabetta, la quale andò mo-
glie di un Banco da Verrazzano (2). Ser Bonaccorso,
erede del buon nome paterno, ne continuò la fortuna;
fu ambasciatore a Siena nel 1410 e in Savoia nel 1422;
nel 1427 notaro dei Signori. Nel Catasto dello stesso
anno cosi egli rassegnava la sua numerosa famiglia :
€ Ser Bonachorso di Piero Bonachorsi d'età d'anni 46;
Mona Innocenzia sua donna d'età d'anni 27 (3); Lio-
nardo suo figliuolo d'età d'anni 25, Piero d'anni 20,
Antonio d'anni 12, Ismeralda d'anni 1 1 , Giuliano di
anni 8 , Oretta d' anni 13 , Marsilia d' anni 7 » . Fra le
€ bocche B non è noverata la Fioretta, già maritata, né
l'unica fante, o più propriamente schiava, la Margherita,
la quale si descrive fra le sustanzie: < Item, una schiava
a nome Margherita, chostòmì fiorini 42, da Domenicho
Atavanti da Chastel Fiorentino » ; e subito dopo : t Item
una mula, ch'io tengho , chostòmi fi. 17 >.
A mantenere la numerosa famiglia, ser Bonaccorso
oltre ai proventi dell' arte sua, avea sei poderi nell' avita
(1) Priorìsta del Segaloni, ms. alla Rìccardiana, d. 2023, 202^, Tom.
n, 42.
(2) Portate del 1430. Drago, S. Giovanni: e Item Monna Betta
donna che fu di Bancho da Verrazzano dee avere fiorini novanta . . ».
Vedi nota 7.
(3) È chiaro dall' età dei Ogli che monna Innocenzia era seconda mo-
glie di ser Itonaccorso. Essa é nominata ancora nelle Portate del 1430,
e comparisce fra i creditori per la sua dote di 650 fiorini; dopo questo
tempo non ne é più memoria.
SEB PISBO BONAOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 9
Val di Sieve (1) ; ma 1' agricoltura gli rendeva ben
poco: le scarse moggia di grano, orzo, fave, mìglio e
panico, le some di vino, e il porco di prammatica che
ciascun podere gli dava, non bastavano ; onde ser Bonac-
corso doveva ricorrere ai prestiti, dividendo i saoi debiti
fra una moltitudine di amici e parenti che divenuti cre-
ditori riempiono dei loro nomi le pagine delle portate.
Fra questi nomi si possono notare il setaiuolo Goro
di Stagio Dati , Marco d' Antonio Palmieri speziale ,
un lanaiuolo, Piero di Francescho di ser Gino, e final-
mente Nanni di ser Lapo Mazzei. Il Nannino, secondo
de'quattro figliuoli rimasti al simpatico notaio da Prato (2),
del quale il babbo scriveva orgoglioso all' amico Datini
nel 1407, ch'era e ito al setaiuolo :», apparisce genero
di ser Bonaccorso e cognato perciò del nostro ser Piero,
che ha credito ancora di 100 fiorini, come e resto della
dota della Fioretta sua donna e figliuola del detto ser
Bonaccorso > . Non credo che il vecchio ser Lapo, morto
ai 30 d' Ottobre del 1412 , vedesse nuora nella propria
casa la Fioretta di ser Bonaccorso; ma certo gran co-
munanza di costumi e di affetti doveva essere fra i due
notai, se nel 1427 del vincolo coniugale troviamo uniti
i loro figliuoli (3).
(1) Uno podere con chase pel signiore et lavoratore, con terre
Tigniate, prative, boschate et sode, poste nel popolo di San Donato al
Ci>chio di Mugiello . . . El detto podere lavorano a mezo Giovanni et
Bartolo di Filippo del detto popolo. Hanno di prestanza il. 63; hanno
un paio di bovi di stima il. 20. El detto podere rende l'anno a ser
nonachorso, trato i semi, mogia tre di grano, some otto di vino, mogio
uno tra miglio et paniche, mogio uno tra fave, orzo et pelta , porci due,
pagati i temporìli, resto opi anno neto, uno . . . >. E cosi presso a
poco gli altri poderi.
(2) Guasti, Lettere di un notato^ I, cxli.
<:)) Dalla pag. LXVIII del Proemio citato ricavo che un fratello di
scr Lapo era corazzalo.
10 G. BRUSCHI
Accasata la Fioretta (1), ser Bonaccorso provvide
diversamente alle dae ultime figliuole, la Lauretta e
la Marsilia. t Item ho a dare — scriveva nella lista
dei debiti — al munistero di San Domenicho di Cha-
faggio di Firenze fl. 220 per le dote della Lauretta
et Marsilia mie figliuole, le quali monachai di dicembre
1425, et promisi di dare loro detti fiorini 220 poi uno
anno che fusse fatto la pacie della presente guerra: in
questo mezo ne dò loro ogni anno fl. 12. — Item a
Bancho et Mariotto di Sandro di Filippo cholterrai, per
resto d' uno letto tolsi da lloro per due mie fanciulle che
io monachai, fl. 3 ». Dopo circa 50 anni, in uno stru-
mento del 1474 rogato da ser Piero loro fratello, suora
Lauretta e suora Marsilia sono ancora vive , e insieme
colle altre monache, fra' cui casati figurano le principali
famiglie fiorentine, rappresentano il capitolo del mona-
stero (2).
Dalle Portate al catasto del 27 sappiamo altresì
che i Bonaccorsi non avevano fino allora casa pro-
pria (3); ma nel 1428 Guglielmo di Piero di Corso
Adimarì , bisognoso di danaro chiedeva in prestito a
ser Bonaccorso trecento fiorini d'oro t in su una sua
chasa posta nel chorso degli Adimarì, nel popolo di
santo Christofano >. Il contratto scadeva ad Ognissanti
(1) Portate al catasto: e Item, debbo dare a Marcho di Giovanni
Dati funaiuolo fiorini 70, mi prestò più tempo fa quando maritai la detta
Fioretta mia figliuola. — Item, a ser Lorenzo di Jacopo Dati fl. 30 mi
prestò quando maritai la detta mia figliuola. — Item , debbo dare ad
Andrea di Bancho Setaiuolo fl. otanta, per resto d*uno chermisi levai
da llui pella detta Fioretta, quando la maritai ...».'
(2) Protocolli di ser Piero di ser Bonaccorso ad annum.
(3) Nel 1427 ser Bonaccorso rapporta: e In Firenze non ho chasa:
sto a pigione in una chasa di mona Checha .... et paghone ranno
fl. XXVII».
SEB PIEBO BONAGCOBSl £ IL CAMMINO DI DANTE 11
del 1431 ; ma Guglielmo Àdimarì Don potè compiere la
restitQzioDe, e cosi la casetta sull' angolo del Corso passò
dalle mani degli antichi nobili nei naovì popolani (1).
Ser Bonaccorso rogava ancora nel 1429 (2). Prima
dichiadere gli occhi vedeva la bottega del corazzalo
passata in altre mani, ma in compenso al suo secondo-
genito Piero aperta la via del notariato, che doveva poi
divenir tradizionale della famiglia e prepararle V adito ai
titoli delia corte medicea.
II.
Nella famiglia , che ho cercato di far rivivere ,
nacque a di 17 Luglio 1410 il nostro ser Piero (3).
D' ingegno aperto e di fermo volere, compiè ben presto
il corso della notarla in quello studio dì Firenze ,
che a ragione si vantava di essere la scuola dei notai,
come Bologna era dei legisti ; e a 19 anni , vestito
dell'abito nero e col calamaio alla cintola, compariva in
pubblico a rogare (4). E di guadagnarsi il vitto rogando
Don mancava il bisogno. Nel Gennaio del 1430 (stile
fiorentino) si è già fatto un gran vendere: le « su^tan-
zie » sono ridotte alla casa in Corso Àdimari e a un
podere con un « poderetto picholo » nel Mugello; ep-
■
(1) Portale del 1U6, Drago, S. Giovanni.
{t) Protocolli di ser Bonaccorso di Piero Bonaccorsi. Non formano
che un sol volume per Tanno 1429.
(3) Libro delle Età, Tomo II, e. 214.
(4) Protocolli di ser Piero di ser Bonaccorso, B. 493. Sono cinque
volumi, assai ben conservati, che vanno dal 9 maggio 1429 al 13 Aprile
i i77 : possono fornire notizie per la storia della Val di Sieve in quel
tempo, riferendosi la maggior parte dei rogiti a persone di quella località.
n segno del tabellionato di ser Piero é una croce sopra un piede a
rabeschi.
12 G. BRUSCHI
pure di debiti da togliere ne restano ancora più dì mille
fiorini, tanto che i quattro figliuoli superstiti di ser Bo-
naccorso, Lionardo e ser Piero di età maggiori, e An-
tonio e Giuliano minori, e stanno sospesi a pigliare la
redità , ma bene ricerchano achordo cho' loro chredi-
tori » (1).
In queste strettezze penso che il nostro notaio, al-
lora di 21 anno, trattone forse anche dall'indole sobria
e tranquilla, rinunziasse affatto a ogni idea di metter fa-
miglia da sé, per consacrarsi invece tutto a quella dei
suoi fratelli. Di questi, il maggiore, Lionardo, che ha 26
anni, ci appare senza occupazione alcuna (la bottega da
corazzaio sottostante alla casa T hanno a pigione Antonio
e Nuto spronai da Bologna); degli altri due, Antonio
ha 16 anni, Giuliano 11. E ser Piero si dà a lavorare
per essi, li rappresenta innanzi al Comune; fa da No-
taio all'arte dei vinattieri, ma gli 11 fiorini dì guadagno
ser Amerigo Vespucci « li fa istagire per fiorini nove,
dice ne debba avere » . Nel 1433 lo stato delle cose non
è punto cangiato, sicché quei primi anni dalla morte del
padre dovettero correre tristi e stentati. Nelle portate del
46 trovo una monna Pippa d'anni 30, donna dì Lio-
nardo, con quattro figliuoli, l'Antonia e la Ginevra sui
10 anni, Bonaccorso dì 7, e Antonio appena nato. In
questi nomi il buon ser Piero, secondo il caro uso d'al-
lora vedeva rifatti il padre , la sorella Ginevra, e il fra-
tello Antonio; del quale dopo il 1433 non è più me-
moria nelle portate, mentre Giuliano, l'ultimo de' fra-
telli, € fa casa e va a gravezza per sé ». Se non che
col crescere delle bocche crescono le diflìcoltà del vivere:
i balzelli e ì catasti sotto la pesante mano del vecchio
Cosimo piovono, e ser Piero bada a scongiurare i Si-
(1) Portata del 30 gennaio 1430.
SSR PIERO BONAOCOBSI B IL CAMMINO DI DANTE 13
gnorì officiali, e grida : e Non abbiamo alcbano esercitio,
et siamo con assai iocaricbi, et maximamente di faDciuUe
graode in chasa senza alchuna prò visione di dote > (1).
Intaoto attende indefesso all' arte del notariato come mo-
strano i suoi protocolli ; serve il Comune nell' Ufficio
d^ difetti , ma di 20 fiorini di salario non gliene
Tiene ano ; dèe avere fiorini sette dal Monte Vecchio :
e da chattivo assegnamento stimansi due > ; i soldati
del Piccinino gli portano via dai due poderi del
Mogello tutti i buoi , eppure egli compera ancora
colà e uno pezzo di terra di staiora sei o circa
per fiorini 13 , e la metà d' uno mulino per fio-
rini 36 Vs > ; ina l' affare gli va male , ed egli lamen-
tando di avervi messo due tanti che non ne ha cavato
finisce esclamando : e Et sia vago di mulini chi si
vuole! ).
Il frutto di tante fatiche il buon notaio lo racco-
glieva tutto fra le pareti domestiche, delle quali egli
era come il sostegno e l' angelo tutelare. Nel bimestre
Maggio-Giugno del 1468 vedeva ancora i Bonaccorsi
sedere in palagio nella persona del suo minor fratello
Giuliano ; di Giuliano che ha già moglie e figliuoli e
possiede per non diviso co' fratelli, un terzo della casa ,
della bottega e de' due poderi (2). Poco dopo ,
verso il 1470 , dei due figliuoli di Lionardo , il mag-
giore Bonaccorso, che come lo zio e V avolo è già no-
taio, conduce sposa una monna Lessandra; e il secondo,
Antonio, che ha aperta botlegha in Calimala, una monna
Cosa. Le due spose allietarono la casa di numerosi fi-
(1) Portale del 4451 e 1457.
(i) Nel liso Giuliano é già morto, lasciando Lorenzino suo figlio
d'anni 15, Oretta d'anni 12, zoppa e rattratta, e Lessandra d'anni
9. Lorenzino fu priore nel 1505 (Selt.-0lt.) e nel 1520 (Mag.-Giug.).
14 a. BRUSCHI
gliaoli; fra' cui nomi nondimeno le portate registrano
una Lisabetta di Bonaccorso e un Annibale di An-
tonio, nati sotto il tetto di Corso Adimari da fanti di
casa, prima che vi entrassero le due mogli legittime (i).
Ser Piero lavorò, rogò continuamente fino alla fine :
l'ultimo suo strumento è del 13 Aprile 1477: il primo
di Giugno usciva di vita, e veniva e riposto in sancto
Lorenzo > come nota il libro dei becchini. Morendo, le-
gava a suora Oretta sua sorella e a suora Ginevra sua
nipote, monache in S. Domenico di Cafaggio, ogni anno
a loro vita fiorini 4 per limosina. Con più gentile pen-
siero, memore forse degli stenti sofferti per dotar le fi-
glio dei fratelli , lasciava all' ospedale degl' Innocenti di.
Firenze fiorini 150 ^ più per maritar fanciulle (2).
III.
Questa la vita esterna di ser Piero.
Della sua vita interna buona parte ci ha rivelato
egli stosso in una operetta, cui pose il titolo di Quch-
dragesimale, e che mi è avvenuto di trovar manoscritta
nolla Biblioteca Riccardiana (3). Stimava egli e pruden-
tia (li non chulactare né ghambectare a pancha, ma di
trii)artiro il tempo in questa vita: et le primitie ogni
(1) (lampione del 1480. In questo anno Lionardo e monna Pippa
Hono ancora vivi, ma vecchi et poco sani; ser Bonaccorso loro figlio
ha otto flghuoli, fra i quali Giuhano, che fu cancelliere de* Signori nel
15(N(, 1508 e i513, e Lionardino che fu ascrìtto da Leone X tra
i c;tvalierì dell'ordine di S. Pietro e decorato del titolo e privilegi di
conto palatino. A ipicsto titolo è dovuta probabilmente l'aggiunta d*una
L e del .¥ coi gigli nello scudo di famiglia. Vedi Priorìsta del Segaloni,
già citato.
(!£) Campione del U80 all'Archivio di Stato.
(3) Codice Riccardiano, 1402.
SBR PIREO BONàOOOBSI E IL CAMMINO DI DANTE 15
giorno dare a Dio; le seconde in alchun' arte giusta
exercitarsi, per satisfare al chorpo di vieto e di vestito;
di po' pigliarsi alcban discreto spasso, ambulando o quie-
scendo » (e. 2 ')•
E in una di queste quieti, una mattina del Febbraio
1463 (stile fior.), per giovare altrui prese la penna,
e cominciò a scrivere il suo libro ; nel quale volle lasciare
come la somma de' suoi studi , delle sue meditazioni
e della sua esperienza. Quella mattina era il primo di
Quaresima, onde il titolo di Quadragesimale. Per la
forma scelse quella della visione , suggeritagli senza
dubbio dallo studio della Commedia; per il che Po-
peretta va noverata fra le imitazioni dantesche , seb-
bene per la scarsità, anzi nullità dell' arte segni forse
r ultimo stadio di decadenza del genere. Avrebbe vo-
lato ser Piero scriverla in versi , per « farla più grata
d pia dilecta > ; ma non gli riusci che a raccoglierla
in una prosa versificha, come la chiama lui, una stor-
piatura cioè di versi e di prosa , senza misura né rima ;
Unto più dolorosa in quanto che son sempre i di-
vini endecasillabi dell' Alighieri quelli che pagano le
spese. E ser Piero sa che la sua prosa versifica e non
suona né stropiccia 1' orecchio a molti curiosi per
difecto di lima >, ma < non se ne cura i», perché egli
dà 11 suo vino di' vulghari; e se questi avranno « il gusto
sano, il suo vino darà loro refecto, chosi a berlo in una
scodella di legno, chome a berlo in una ta^a d' argento >
(e. 1 ^). In quanto ai non vulgari , anche ad essi egli
ha avuto riguardo, ed ha creduto in questo « essere
stato assai discreto, ornando la faccia et la testa di
Quaresima di certi gioielli et latin notabili d' alquante
seotentie, autorità et doctrine di più sacri santi et savii
doctori ».
16 G. BBUSCHI
Ad altri potrà sembrare che discrezione più bene
intesa sarebbe stata io scrivere un po' meglio il suo vol-
gare: ma in questo mancarono al nostro ser Piero più
che il volere le forze. La differenza di stile e di lingua
che passa fra il Quadragesimale e il Cammino, che lo
precede di un trentanni, mostra che qualcosa ei volle
fare per avvicinarsi anche per questa via ai non vulgari;
ma il dissidio oramai forte nella seconda metà del sec. XV
fra la lingua parlata e la scritta lo tradì: abbandonando
quella, non raggiunse questa, e quando credè levarsi non
fece che camminar sui trampoli.
Nel Quadragesimale ser Piero si presenta anzitutto
dotato di una forte fede religiosa : novella prova codesta,
se pur bisognasse, che anche nel secolo degli uma-
nisti, « più si studia nelle sue manifestazioni d' ogni sorta
e nei più reconditi recessi la vita fiorentina, e più si vede
che nel vecchio Comune guelfo durava ancora, in mezzo
a mille vicissitudini , un vivo sentimento religioso > (1).
La rubrica della prima giornata (sono in tutte quin-
dici) ha cosi: € Giornata prima, in che si considera il
subito corso giudicio etterno. Per non perder tempo ma
ben distribuirlo. Dove Fulgentia gratia prefata Apparisce
a questo huomo e portalo in Parnaso Dinanzi a Sophia
et a ogni scientia. Et fello docto, sospeso et ammirato
Per un sospiro exclamoso a' savi del mondo » .
Lasciando stare la forma ampollosa , è facile vedere
che il pensiero che sta primo in mente all' autore è <i il
subito corso al giudizio etemo», alla cui considerazione egli
solo nella sim cameretta, sazio già degli spassi del mondo,
tutto trema con San Girolamo (fol. 2. r.). È vero che ac-
canto alla Fede che gli parla per le Scritture ed i Pa-
dri, sorge il ricordo degli antichi saggi, i quali pur molte
(1) A. D* Ancona, Varietà storiche, Serie II, p. 189.
SEK PIERO BONAOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 17
cose dissero e fecero per vivere rettameDle, e però Fulgen-
tia, che è figura della grazia, portalo in Parnaso. « Quivi io
vidi gente di molto valore Ragionare e disputare diverse
chose. Con sermon gravi et pieni di autoritadi (e 5 ')
Socrate è'I primo di tutti chostoro, Che in chose divine
misse suo studio, né però intese il prefeclo vero. Platone è
l'altro, che fu suo discepolo, E pur di Dio col senso andò
ghustando; Aristotile il terzo, et di Platon fu dilecto > (e. 5 ^),
e via via, Epicuro, Aristippo, Biante, Tullio, Plinio naturale,
Seneca morale, Orfeo musico,Virgilio, Omero e gli altri saggi
di Grecia e Roma. Ma tutti costoro fra i molti beni che
conobbero, non giunsero a quello che è Punico e vero,
e r ammirazione si chiude con un compianto : e 0 sa-
pienti del^ mondo, miseri lassi. Che della vista della mente
infermi. Fidanza aveste ne' ritrosi passi. Che vi giovan le
vostre scientie. In che mai cognoscesti il vero, Che è
r oggiepto dello intellecto umano ? Meglio per voi sarebbe
stato Saper la via et per fede correr a ddio! » (e. 6 *■). Quindi,
come già Virgilio non lasciò troppo a lungo Dante fra
gli spiriti magni del Limbo, cosi anche Fulgenzia non la-
scia ser Piero fra quelli del Parnaso, e Poi a mme: par-
tiànci omai da Uoro ». Morti sono, e io ti vo' tra i vivi, Se
crederai a mia pedagogia > . A condurti colà « pietà fu che
mi punse, Et per muoverte a ridomandarmi Et io aver
cagion d' aluminarti Di molti error che fanno le genti, Che
son chagion di perpetui pianti » (e. 6 O-
11 motivo della prima giornata ritorna e si svolge
nelle due seguenti. Con lunghe citazioni dalle scritture
e dai Padri prova che né Filosofia né Scientia si salva
senza fede cattolica, e ricordandosi dei visi mesti che
gli antichi saggi aveano in Parnaso, grida ai presenti il
dantesco: « Or superbite e via col viso altero. Figlioli
d' Eva ! . . » . Quindi passa a discorrere delle sette arti
liberali, e pur riconoscendone i pregi, ne deplora Ta-
VoL IV, Parte I. 2
18 0. BRUSCHI
buso, e finisce col medesimo pensiero che esse danno
bensì e la scìentia, che è cognitione di chose temporali > ,
ma e non hanno la sapientia che gusta le eterne >.
Nella quarta e nelle seguenti l' autore pone in bocca
a Fulgentia una sommaria esposizione dei principi morali
del cristianesimo; parla del bene e del male, de' vizi e
delle virtù, della natura umana, della sua dignità e mi-
seria. Le parole colle quali chiude la giornata decima, ci
fanno entrare nella cameretta di ser Piero poi che ne
è partita Fulgentia, e ci danno un nuovo tocco della sua
ingenua pietà, e Rimaso io solo nel mio dolgo secreto.
Questo Vener santo per far ragion con Dio Et cbalchu-
landò il bilancio del conscio quaterne Vidi con Dio tal
debito facto Che senza gratia et virtù di Cbristo Mai
per me solo gli arei satisfacto. Ma dopo il mio examine
et congnoscimento, Genuflesso levai la mente a Dio, Et
colle man giunte gli saectai un sospiro. Dal mio chuore
si fervente et chaldo Che passò i cieli et ogni choro, Et
in pace con Dio fermò un pacto, Il qual io mi tengho
nel mio secreto. Et la santa fede di ciò m' è testimonio,
Che tornò amme con quel sospiro Chome va e torna
un razo doppio ». Nella giornata XII, che fu il di di
Pasqua, caduta quell'anno il 1.*" di Aprile, t Si mena lo
spirito a vedere il Paradiso ; Et vede lo splendore di
tucto r universo. Et vede Maria in una rosa incharnata:
Et qui per proprio degli angeli si tracta >. Di Maria fa
le lodi in tutta la giornata XIII; nella XIV Fulgentia
espone a ser Piero e la dottrina per intelligentia di Chri-
sto y> ; nella XV , dopo avergli mostrata la Trinità , cosi
finisce: « Et questo voglio per ultimo suggello Sia no-
tato da te nel ttuo quaderno Poi eh' io t'arò rimesso giù
nel mondo. Dove ogni giorno per ispasso salutifero. Per
tempo d' un' ora, nel tuo secreto Ti conforto a star con-
templativo. Et troverai in questo guadagno molto ....
SEB PIERO BONAOOORSI E IL CAMMINO DI DANTE 19
Et perché tu perderesti troppo tempo A voler far di mia
doctrina scripto, Però lascia la praticha e rendi la penna
A chi la vuol di te più grata, Più lepida , limata , misu-
rata e fiorita. Et tu spechulando nella scriptura sacra. Che
pare a philotopi innecta et ingrata. La troverai salutifera
et di sapientia pregna. Et decto questo, Fulgenzia con un
razo Mi choperse et prese, e chome un vento Giù nel
mondo mi sentii dallei ridocto. Et nel mio chorpo desto
in mio segreto. Mi lasciò in pace segnato et benedecto.
Et ella al cielo: Te Demn laudamus, chantando e vo-
lando ).
Questo è in pieno secolo XV il vivo ascetismo del
nostro notaio fiorentino; ascetismo (giova notare) che
non gli impediva di soddisfare agli obblighi dell' arte sua
e a quelli più gravi ancora generosamente assunti nel
governo deir azienda fraterna. E gli uni e gli altri invero
doveano lasciargli ben poco tempo alla diletta solitaria
meditazione, se Io scriverne il frutto gli avrebbe tolto
troppo alla giornata, e se questa stessa operetta del Qua-
dragesimale dovette egli interrompere nel decimo di « per
faccende d' importanza in suo magistrato » , e non ripi-
gliarlo che più di un mese dopo, come egli stesso dice
in una nota (1).
IV.
Il discorso sin qui intorno alla pietà del nostro no-
taio, avrà anche mostrato in parte la sua cultura. Sarebbe
veramente lavoro difficile del pari che infruttuoso il ri-
(1) A carte i6 r., in margine: t Qui ser Piero essendo assalito
et ocbupato da faccende in suo magistrato, bisognò por da parte questa
of^eretta. Ma di poi Venerdì santo la riprese et finilla mercholedi ultimo
di paschua >.
20 Q. BRUSCHI
cercare le fonti a cui egli attinse. Svariatissimo era ai
suoi tempi il numero delle Fiorite, de' Tesori, delle Sen-
tenze, delle Somme filosofiche, morali e teologiche ; nuo-
vissima fra queste la Somma del santo vescovo Anto-
nino, che per l'ampiezza delle cose trattate e per l'uo-
mo dalla cui penna era uscita, dovette essere più che
r altre note a ser Piero. Molto egli conosce le Scritture,
specialmente i Vangeli, le Epistole di S. Paolo e i Salmi ;
dei Padri cita di preferenza S. Agostino nel libro delle
Confessioni e S. Girolamo nelle Epistole, spesso anche
S. Gregorio Magno e Lattanzio. Tra i filosofi cristiani
conosce e ricorda Boezio , e Cassiodoro (1) , ai quali
aggiunge immancabilmente in coda delle sue citazioni
marginali Ovidio , Plinio , Seneca nei suoi trattati ed
epistole, e non di rado anche Tullio. In questi ultimi ser
Piero non cerca altro che la sodezza della dottrina ; della
forma non gli è rimaso che qualche latinismo, che stona
e deturpa la purezza del suo volgare. Abbastanza bene
informato si mostra degli antichi filosofi e delle loro scuole,
di cui espone i principi diversi con sufficiente esattezza.
Di critica classica non è a cercarne: t Parnaso è un
monte in Grecia dove gli antichi andavano a' mparar fi-
losofia, scientia et sapientia >. Conosce fisica e medicina ;
ma è ancora la scienza di Aristotele, di Plinio e degli
Scolastici. Gli elementi primi sono ancora la terra, l' aria,
l'acqua e il fuoco; e l'uomo che di tutti gli animali è
il più perfetto, è di tutti e quattro codesti elementi for-
mato: « di terra, in charne ed ossa, d'aqua, negli ho-
mori, d'aria, nel polmone che sempre si muove et è un
ventilabro del chuore, acciò che per troppo chaldo et
secho non ardesse, per l'elemento del fuocho che Dio
(1) Non ammetto che Boezio sia filosofo pa^no per la sola ragione
negativa eh* egli nel De Consolatione non nomini Cristo né la Vergine.
SER PIERO BONAOCORSl E IL CAMMINO DI DANTE 21
fi misse, e per questo è di socto lato et di sopra acbuto,
pigliando forma di fiamma et di fuocho » (e. 24 *).Curiosa
è ancora la descrizione del cervello diviso in ventricoli e
cellule, in cui sono rinchiuse le virtuti. Le quali non pos-
sono escire a fare alcuna operazione se non va ad aprirle
\\ tnoto, che e vermis è nominato, Et ha sua residentia
ael centro del cerabro ... Et ha sua factione et suo cholore
Chome un lombricho animai verme ; et quanto egli è più
soctile meglio serve et più actamente , et queir buomo
che r à molto soctile è d' achutissimo ingiegnio e prespi-
chace; et quel che l' à grande et grosso, è molto tardo et
dirozzo ingiegno... > (fol. 27-28).
V.
Gli studi danteschi del nostro ser Piero dovettero
comiDciare certo assai per tempo. Che fino dal 1430 egli
desse opera a procacciarsi il testo della Commedia, appari-
sce da un documento delle portate al Catasto del 1430 ap-
pQDto, nel quale fra la lista dei creditori trovo : « Bar-
tolomeo di miniatore, che sta dal palagio del Podestà,
de avere fiorini tre per miniature del Dante che fa ».
A parer mio il Dante di cui si parla qui è il codice Ric-
cardiano 1038, cartaceo, in foglio, del secolo XV di 244
carte, con titoli e argomenti in inchiostro rosso, con grandi
iniziali fregiate a colori nelle cantiche e più piccole ad
ogni canto ; di poco bella scrittura, ma facile a leggersi e
ben conservato. La lunga pratica del carattere di ser
Piero, fatta sui testi autografi del Cammino, del Quadra-
gesimale, delle portate e dei suoi protocolli air Archivio
di stato, non mi lascia dubbio che il testo del codice
in lettera corsiva e gli argomenti in lettera quadrata siano
di mano del nostro notaio, mentre le iniziali, troppo fini
e differenti di forma, debbono appartenere a Bartolomeo
22 G. BRUSCHI
miniatore, a cui si assegnano i tre fiorini di credito. —
Le prime 11 carte contengono: 1"* Detti dove Dante tratta
dei mali pastori della Chiesa, e codesto ridurre sotto
capi unici detti dantesclìi di identico argomento è con-
forme all' indole di ser Piero, il quale anche altrove fa
lo stesso, a proposito degli Angeli, per esempio, di Dio, ecc.
^ tre prologhi, accompagnati ciascuno dalle tavole degli
argomenti di ogni canto. Il primo in fronte all'Inferno, che
comincia: Dante poeta sovrano gloria della lingtm latina...,
è quello che in altri codici (per es. nel riccard. 1036)
viene attribuito al Petrarca e fu stampato in fronte della
Nidobeatina. Il secondo è tolto dal Buti; il terzo dal-
l' Ottimo. E tutta la prima Cantica ha note marginali ,
di mano pure di ser Piero, toUe dall' Ottimo ; il poema
si chiude a carte 218, senza sottoscrizione di autore o di
tempo. — Delle altre carte, quelle dalla 219 alla 224 hanno
i Capitoli, senza nome, di Iacopo di Dante e di Bosone
da Gobbio, infine dei quali si legge : « Explicit repilogatio
atque in brevissimo totius comedie pte pulcerrime Recapi-
tulatio per primeu {sic! Pierum?) compositoris operis filium
ordinata. Deo gratias, amen ». Il codice termina con la
Lectera di ser Piero a frate Romolo, ossia col Cammino.
Un secondo documento delle cure bibliografiche dan-
tesche del Bonaccorsi é il codice Laurenziano-Gaddiano,
n."" 131 del pluteo XC superiore; il quale al Bandini
non sembrò punto spregevole per le note marginali e pei
documenti intorno a Dante che contiene. È un volume
in foglio, cartaceo, di 88 carte, di buona lettera e ben con-
servato: ha nelle carte 8-81 la cantica del Paradiso, di
carattere tondo, mezzo gotico ; ogni canto è preceduto
da una figura astronomica in penna e assai rozzamente
colorata. Sul verso del foglio 81 si legge: « Explicit
tertia pars Comoediae elegantissimi et excelsi Poeta Dantis
Aldighieri fiorentini tractans de Paradiso. Qui scripsit
SER PIERO BONàOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 23
scribat semper cum Domino vivai, vivai in coelis sem-
per com Domino feiix. Scriplus fuil de anno MGGGGXL ».
Fra r nitìmo e il penultimo rigo di questa soscrizione
Ti SODO le traccie di una raschiatura, a proposito della
quale il Bandini nota: « hoc loco aderat nomen scri-
ptoris , quod postea penitus erasum fuit » {Cut , V,
VA). Ma la qualità del carattere e dei documenti
che accompagnano la cantica, portò me a ficcar ben
gli occhi nella raschiatura , e nei vestigi debolissimi
di alcQoe lettere potei leggere la nota firma Pierus ser
Bonachursu notarius florentinus. — Ser Piero adun-
qne del 1440 aveva finito di scrivere la Gantica del Pa-
radiso, accompagnandola di figure astronomiche e di note
marginali italiane e latine, tolte le prime dal commento
deO' Otómo, le altre forse da quello di Pietro di Dante.
Sdì fogli che precedono e seguono quelli del testo ,
agginnse secondo il suo costume altre cose riguardanti
il divino Poeta. E anzi tutto, sul verso del foglio 1, mem-
branaceo, scrisse assai minutamente un estratto della vita
di Dante del Boccaccio, ricopiando ciò che è più notabile
de' sua chostumi, E tratto forse dall' aneddoto boccaccesco
delle donne veronesi, aggiunse in fondo al foglio que-
sti altri due : « Dicesi valgharmente che essendo Dante
in Ravenna in istudio, et leggendo come doctore varie
opere, et un di circha la chasa dello studio pubbliche
ragunandosi molti doctori et scientiati et sebo lari, et in
più cerchi disputandosi di varie chose, in uno fra gli altri
si ragionava della scientia di Dante. Et un doctore da
bene disse: " Voi disputate della scientia di un villano „ ; il
perché e' fu ripreso. Et lui di nuovo disse: " Io dico che
Dante è un villano „. Et lui fu dimandato della chagione.
Et egli rispose : *' Perché Dante à decto ogni cosa degna
di memoria et fama nelle sue opere poetiche, et non ha
lasciato dir nulla ad altri, et però è villano „ . — Et un
24 G. BRUSCHI
altro si levò, che era emulo di Dante, et disse: *' Et che à
egli però decto Dante? Io non stimo tutte le opere di
Dante cento soldi!,,. Et questo fu riportato a Dante che
era in un di quei cerchi di disputanti et abbochossi con
decto suo emulo [e chiesegli che] cerchava dallui. Ve-
dendo questo suo emulo disse a dDante: '' Io stimo le tue
opere al presente molto meno che cento soldi et mollo
meno che prima „ . Sicché a proposito dobbiamo molto
guardarsi dall' ira che ci toglie la fama > .
Questi due aneddoti danteschi furono riportati già
dal Bandini nel Catalogo, e di là riprodotti dal Papanti
nel suo noto libro sotto titolo di Anonimo; ora giu-
stizia vuole che si riconosca a ser Piero almeno il me-
rito di averceli tramandati; tanto più che il secondo
non si trova riportato da altri scrittori, e che del primo
è solo un accenno nelle Chiose del Falso Boccaccio pub-
blicate dal Vernon (Fir., Piatti, 1846), dove a pag. 717,
leggesi che « Dante si chiama il villano perché e' no* la-
sciò a dire ad altri nulla ». — Il testo da me dato è più
esatto di quello del Papanti, che copiò il Bandini, e ri-
duce a una sola , e questa assai breve , le lacune del
foglio.
Dal foglio 2 r. a tutto il settimo ser Piero trascrìsse
la terza parto della sua Epistola a frate Romolo, quella
cioè che riguarda il Paradiso, aggiungendovi la seconda
Epistola al medesimo che tratta della cronologia del Poema.
Dal fol. 8 r. all' 81 v. segue, come ho già notato, la can-
tica del Paradiso. In fondo al fol. 81 v. si legge : « Co-
mincia il libro delta vita et studi et costumi di Dante
Alighieri et di messer Franciescho Petrarcha, composta
nuovissimamente da messer Lionardo chancelliere fio-
rentino ». Questo nuovissimamente concorda assai bene
colla data del codice, 1440, dacché si sa che le due Vile
furono scritte dal Bruni nel maggio del 1436. Ser Piero
SER PIERO BONACCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 25
le ritrascriveva anche nel codice Rediano A, 5, dopo l' E-
pistola a frale Romolo, accompagnandole con varie note
marginali. La prima dice: « Questa opera alla qnale
messer Lionardo dice aver posto fine , quando co-
minciò questa , fu la Puliticha di Aristotile , la quale
ad istanzia et richiesta del re d' Inghilterra traslatò
di Greco in Latino ». Più giù, a proposito del matri-
monio di Dante con monna Gemma Donati, nota: «Tre
fanciulle amò Dante , ciò è Parvolecta da Pistoia, Gen-
tucha da Lucha, Felice da Firenze. Parvolecta da Pistoia,
come apare in cap.** 3r del Purghatorio. dove qui Bea-
trice ne fa menzione. Amò etiandio una fanciullecta da
Lncba, et fanne menzione nel purghatorio cap.° 24, ove
dice : Et mormorava et non so che Gentucha , et in
decto cap.** dice: Femina è nata et non porta anchor
benda. Et anchora amò una fanciullecta figliuola di Folcho
Portinari da Firenze, chiamata felice, et mori fanciul-
lecta, il perché dell' animo di Dante non fu mai par-
lila ; però che e' la prende per sua guida nel!' opera della
sua Commedia et chiamala Beatrice, figurata per la sacra
teologia. Di lei in più luoghi ne fa menzione, ma spezial-
mente dimostra essere stato preso da suo amore nel
Purghatorio, in cap. 30"* et 3V. » Su questa volata di ser
Piero a proposilo di Beatrice ritornerò più in là, quando
il medesimo soggetto si presenterà nell' esame del Cam-
mino.
Alle parole di messer Lionardo: « Fu Dante paria-
tore rado et tardo, ma nelle sue risposte molto sottile )>,
riporta in margine questa nuova lezione del noto aned-
rtoto del bufl"one che motteggiava Dante: « Dante Ali-
ghieri — Tu mi pari un banchieri — Ai fatto un quaderno
— Che vai all'inferno — Ma tu v'andrai — Et non ri-
loraerai: — furono queste parole già decte a Dante da
un buffone. — Tu mi assomigli alla terza vochale —
26 6. BRUSCHI
Et dammen se' che la precedente — et men che la se-
guente — Duplichata vali : — questa fu la risposta di
Dante. Nota che la terza vocbale significa .i., che è una
pichola chosa; la precedente lettera significha .h. che ri-
lieva nulla; la seguente duplicata significa due .k. che
rilievano .k. k : la conclusione che gli fé' Dante si è che
gli disse che e' valeva meno che un » — E data
questa spiegazione, quasi preso da scrupolo di aver of-
feso la maestà del gravissimo cancelliere , aggiunge :
€ Non credere lectore che sien queste parole di messer
Lionardo, ma vulgharmente si dice che furon vere, et son
qui chiosate per roborar il decto di messer Lionardo che
dice che Dante fu sottil nelle sue risposte. » La le-
zione di questo aneddoto è sconosciuta al Papanti (1),
e si discosta dalle tre che egli riporta, sia nella risposta
di Dante sia nella proposta del buffone, la quale ricorda
piuttosto il motivo delle donne veronesi che non quello
della piccola persona di Dante.
Altre note marginali hanno dati cronologici suU' ori-
gine dei Bianchi e Neri, dei Guelfi e Ghibellini, sulla
nascita e morte di Dante, Petrarca e Boccaccio. In fine
delle due vite è una notizia latina della vita di Giovaimi
Boccaccio (non contiene nulla di nuovo), che non mi pare
tolta né dal Villani né dal Manetti. Sul foglio membra-
naceo che fa da copertina al codice, ser Piero scrisse la
canzone del Petrarca alla Madonna, e in ultimo il noto
sonetto :
Correndo gli anni del nostro Signore
(1) Dante secondo la tradizione e i novellieri y Livorno, Vigo,
1873, pagg. 127, 165, 181.
SEB PIEBO BONACOORSI B IL CAMMINO DI DANTB 27
VI.
Mi SODO tratteonto alquanto nella descrizione di questi
dae codici, perché da essi si ha non poco lame per l'a-
nalisi dei lavoro principale del nostro notaio, le due Epi-
stole a frate Romolo ; qaella cioè che tratta della topografia
dantesca e che è intitolata Cammino di Dante , e V altra
che più si attiene alla cronologia e che è senza titolo.
Nei codici in cai ci sono pervenute, nessuna delle lettere
ha data di tempo; però a me pare fuor di dubbio che
siano anteriori al 1440, se nel codice Gaddiano 131, già
esaminato, e finito appunto del 1440, si trova la terza
parte del Cammino, quella che cioè riguarda il Paradiso,
innanzi alla stessa cantica terza della Commedia. — Una
conferma indiretta di questa data ricavasi dall'indole
della lingua, più viva e semplice che nel Quadragesi-
male, scrìtto del 1463; e dall'indirizzo più ascetico che
prese più tardi 1' animo del Bonaccorsi, quale si rivela
del Quadragesimale (1).
L'operetta del Bonaccorsi sebbene tramandata a noi
il) parecchi codici (io ne ho veduti cinque in Firenze :
(lue altri ne cita il De Batines, Tom. I, pag. 485), pure
(1) Dali cronologici dcriyanti dalF amico frate Romolo, a cui le
li^uere erano dirette, non mi é riuscito trovarne. Negli alberi gcnca-
lu^'ici dei Medici pubblicati dal Litta e dal Reumont non ne è
ricordo, e neppure nelle Carte del Convento S. Croce, ora all'Archivio
di Stalo. — Mi é slato, é vero, assicuralo che nella corrispondenza
medicea avanti il principato ci sono lettere in cui si (irma un fra
Romolo ; ma quella corrispondenza , come ora si trova , senza ordine
cronologico né indice, ó tale mare magnum che a percorrerlo non
liasicrebbero due mesi, e a me di far ciò é mancato il tempo.
28 G. BRUSCHI
è restala col suo autore generalmente sconosciuta (1).
Dei numerosi scrittori della storia letteraria toscana, due
soli ne hanno qualche accenno, il Cinelli e il Ferroni.
Il Cinelli a faccia 1465 della sua Toscana Utterata (2)
cosi ha: t Piero di ser Buonaccorso, di professione no-
taio e però ser Piero addimandato, poeta che compilò
un Trattato di certe gentilezze e virtù della natura^ ms.^
ed un' altra opera intitolata Cammino di Dante. Ambedue
conservansi nella libreria Strozzi, voi. 307, in 4** > . — Ora
al n. 307 della libreria Strozzi corrisponde bensì il codice
magliabecchiano clas. VII, n. 1104, che è una copia au-
tografa del Cammino di Dante^ ma non si trova affatto
il Trattato in versi.
Il Ferroni, stravolge il nome del nostro notaio, chia-
mandolo ser Piero di ser Luna Corso; e ciò in una
(1) I cinque codici fìoreDtìni sono: 1® il Magiìabechìano ilOi,
ci. VII, cartaceo, autografo, in quarto piccolo; 2** i Riccardiani, 1038,
del quale ho già parlato, e il 1122 anch'esso autografo, in quarto pic-
colo, che ho preso come testo; 3^ i due Laurenzianì, il Rediano 3,
A. membranaceo, in quarto piccolo, che non ha la seconda Epistola a
frate Romolo ed è forse copia; e il Gaddiano 131, pi. 90 sup. , auto-
grafo, cartaceo in fol., che contiene la seconda Epistola e la terza parte
della prima. — Il De Batines (Tom. I., p. 485 segg. dell* edizione di
Prato, e a pag. 165 delle Giunte e correzioni inedite pubblicate dal
Biagi, Fir. 1888) ne cita un sesto presso il dottor Giulìanelli, ed un set-
timo nella Biblioteca del duca Caetani di Sermoneta in Roma. Questo
codice egli dice del tutto analogo al Rice. 1122 e dippió fornito di sei fogli
nei quali una mano più recente ha data una descrizione di esso codice,
dei due della Laurenziana e qualche informazione sul suo autore. Codeste
informazioni sarebbero state per me assai preziose e non poche fatiche
mi avrebbero risparmiato; ma non ostante le molte ricerche il codice
non è stato reperibile; e a me non resta che ringraziare sinceramente
il Principe Onorato Caetani per la benigna parte da lui stesso presa nella
ricerca del manoscritto.
(2) Ms. alla Magliabechiana.
SEB PIEBO BONAOOOBSI E IL CAMMINO DI DANTE 29
Lettura air Accademia della Crusca (1) nella quale combat-
tendo r accusa di plagio che dopo la scoperta della Vi-
sione di Frate Alberico, si dava a Dante dal Gaetani, dal
Bottarì, dal Dionisi, esclama: e Tanta è la differenza insigne,
che passa tra quel fanciullesco fantasma o vaneggiamento e
la genuina dipintura che fece dell'invenzione del poeta,
a richiesta e lume di Frate Romolo de' Medici, ser Piero
di ser Luna Corso nella succinta operetta Cammino di
Dante per lo Inferno, Purgatorio e Paradiso, quanto ne
corre dal focoso entusiasmo di viver libero del severo
Catone e l'umile ed austera a mi tempo rassegnazione
di no solitario! »
Ma lasciando da parte le enfasi, non sempre utili al-
l'esattezza storica, dei nostri letterati di buona memoria,
il Cammmo del Bonaccorsi può dirsi con verità una ge-
nuina e felice dipintura della invenzione del poema nella
sua parte più plastica ed artistica. A frate Romolo ser
Piero non vuol dare e le moralità et spositioni del testo....,
ma solamente la lectera secondo che ella suona, et il suo
cammino.... » . Egli assicura l' amico che di teologi e filosofi
ce n'è stati parecchi uguali a Dante ed anche superiori
lui, ma ninno ha preso mai più leggiadra materia e con
più ordine Tha trattata; non dubita punto che inteso
che a\Tà la lettera, si invoglierà a voler poi vedere
più oltre. Con questa fiducia egli stese in sei giorni
all'amico tutta l'orditura del poema, abbreviandolo e ci-
tandolo per lo più a mente (2); e quando l'esposizione
(1) AUi della Crusca, I, 134, Fir. 1819.
(ì) Uaa prova manifesta se ne ha a fol. 12 r. del Cammino,
dove esponendo il contenuto del C. XVII dell' Inferno, a proposito del
rimbombo del Flegetonte che Dante sentiva discendendo sulle spallaccc
di Gerìooe (i' sentia già della man destra il gorgo Far sotto noi un
30 G. BRUSCHI
della lettera si traeva dietro poco o tanto qualche inter-
pretazione, seguendo V Ottimo, che era quello fra' pubblici
et noti commenti che più gli andava a genio e più avea
trascritto ne' suoi codici. Mente chiara e nel pieno pos-
sesso del poema, non ne abbandona V ordine meraviglioso,
e cerchio per cerchio tocca anzitutto del luogo, indi delle
qualità dei peccati, delle pene e dei ministri di queste,
e da ultimo nomina i principali personaggi. Scrivendo poi
senza prevenzioni cattedratiche, nella brevità delle pro-
porzioni ritiene assai spesso dell'efficacia dantesca; cosi
per es. quando descrive la bufera infernale del II cerchio.
Cerbero, il castigo degli sciagurati che mai non fur vivi,
Gerione, ecc.
Degno di speciale attenzione mi sembra il passo finale
della seconda cantica, dove cosi parla di Beatrice : < Et qui
etiandio truova Dante Beatrice, la qual riprende Dante
d'assai defecti commessi per lui dopo la morte d'essa
Beatrice, che come è detto, è figurata per la sacra theo-
logia et al mondo fu amorosa di Dante et figliuola dì
Folco Portinari fiorentino. Et fra l' altre cose che Dante è
ripreso da Ilei è perchè al tempo della vita d'essa Bea-
trice, che morì parvoletta et non maritata, Dante viveva
virtuosamente nel suo amore et attendeva a studi sacri
et laudabili opere virtuose; et dipoi eh' essa Beatrice mori,
esso Dante variò, perché cominciò attendere a studi poe-
tici et fictioni d' auctori mondani certo tempo, ma di poi
si ritornò pure al soave gusto et salutifero di theologi > .
Da questo passo a parer mio si può raccogliere che
cosa pensasse la tradizione volgare dantesca nella prima
orribile stroscio) passa a spiegare T orìgine dei quattro flumi dalla
statua del monte Ida; il che Dante fa nel C. XIV. Àltrì esempi di
simili trasposizioni si possono vedere qua e là leggendo il testo del Cam-
mino,
SER PIEBO BONAOCOBSI E IL CAMMINO DI DANTE 31
metà del sec. XV della Beatrice di messer Giovanni Boc-
caccio. Nella nota marginale di ser Piero alla Vita di Dante
scrìtta dal Brani, che ho già sopra riportata e che secondo
me è posteriore al Cammino, la fanciulla di Dante è chia-
mata Felice. Ma Felice o Beatrice che fosse, appar chiaro
eh' ella è bensi restata la figlia di Folco Portinari, ma che
fnari parvoletta e non maritata : la monna Bice insomiHa ,
donna di Simone de' Bardi non entrava negli ideali danteschi
del secolo XV più di quello che entri nel XIX; e cosi
ella sparisce nei biografi o commentatori di questo pe-
riodo, i quali pur conoscono e seguono più o meno il
Boccaccio (1).
VII.
Come nel Quadragesimale, cosi nel Cammino, ser
Piero volle accompagnare la sua parola con figure illu-
strative, cioè con quattro maggiori tavole rappresentanti i
^^a regni, e con più altre minori vignette a penna e colori
^'sseminate pei margini del testo. Ammessa, come ho dimo-
^^rato, la data dell'operetta anteriore al 1440, egli in ciò non
'^«"^ avuto predecessori; si trovano, è vero, anche in codici
^^'i secolo XIV 0 figure del Paradiso rappresentato coi
^^Uti circoli concentrici del sistema tolemaico, o scene
Particolari dell' una delle tre cantiche ; ma una rappre-
^^^ntazione di tutte tre, no; e questo è il merito che va
'^^'onosciulo al nostro notaio (2). Egli sente bensi tutta
'^ dii&coltà del nuovo lavoro, ma gli sta fissa innanzi l' i-
(1) V. Vite di Dante di FiL. Villani ; Leon. Bruni ; Giann.
l"^ Netti; ed. Galletti, Fir. 1847 e Adolfo Barigli, Storia lett., V,
(2) Vedi De Batlnes, Tom. I, parte T, nel paragrafo : Illustrazioni
" i^ante.
32 G. BRUSCHI
dea e non retrocede, e Non fate ediflchatione — scrive a
fra Romolo — in questa fighura d' Inferno, però che non si
può fighurare né designare in superfìcie di charta se-
condo la intentione dell' autore, ma sarò da voi e daro-
velo intendere : et questa semplice figbnra ho facta per
darvene un pocho >.
La prima di queste figure, che si trovano in tutti e
cinque i codici, sempre eguali per forma e rozzezza —
il che esclude ogni altra mano e molto più quella di un
miniatore — , tenta rappresentare nella grandezza del foglio
tutti i tre regni insieme. Con circoli concentrici sono si-
gnificati i nove cieli; nel mezzo è una specie di pira-
mide che rappresenta il Purgatorio con in cima il Paradiso
terrestre ; la piramide poggia sopra una piaggia ritonda,
che, è tutta circondata dal 77ìare oceano ed ha V iscrizione :
isola; nel suo mezzo una macchia nera cioè il: bucho
(T inferno.
La seconda figura dà lo spaccato dell* inferno o del
globo della terra, come dice la scritta. Neil' interno del
globo le divisioni dell' inferno sono rappresentate mediante
archi di cerchio concentrici; ma questi vogliono raffi-
gurare non le linee dei gironi che corrono intorno all'a-
bisso infernale a forma d' imbuto, ma le volte, le quali fon-
date sulle due pareti verticali dell' abisso chiudono fra sé
le varie specie di peccatori ; dall' una all' altra poi si passa
per un ritondo bucho mediano, per un pozzo praticato nello
spessore di ciascuna volta, sino all' ultima che rappresenta
la ghiaccia, in mezzo a cui giganteggia la spaventosa
figura di Lucifero, che coi piedi passa il centro del
globo.
La struttura che dell'inferno è data nella figura
e ridescritta nel testo del Cammino (< In questa prima
cantica intende l' auctore monstrare il sito... ecc. > ),
SBB PIEBO BONAOCOBSI E IL CAMMINO DI DANTE 33
DOD ha Dalla che fare con quella della concavità intorno
a cai corrono i gironi, quale oggi è comunemente se-
guita e che ha per primo investigatore, dicesi, Antonio
Hanetti. Essa invece richiama alla mente un famoso mo-
Domento, anteriore di circa un secolo all'opera del Bo-
naccorsi , Y affresco cioè dell' Inferno nella cappella degli
Strozzi di S. Maria Novella, attribuito al grande Andrea
di Clone , Orcagna , ma più probabilmente opera del
fratello Nardo o Lionardo, (1). In questo affresco spic-
catissima è la rappresentazione dei gironi infernali in
altrettante volte concentriche , le quali sono ad arte
spezzate perché mostrino il loro contenuto. Un' ana-
loga costruzione apparisce , sebbene meno chiara-
mente , nell' altro celebre dipinto del Campo Santo di
Pisa , già creduto anch' esso dell' Orcagna , ma che ora
la critica assegna con più probabilità ai Lorenzetti (2).
h interpretazione delle volte, fondate l'una in sull'altra
pare adunque la prima che fin dal tempo di Dante si
de^ della struttura del suo inferno : la segue ancora
oella prima metà del quattrocento il Bonaccorsi , fedele
anche in ciò alla vecchia tradizione ; sulla fine del
quattrocento si manifesta 1' altra della concavità, che
riceve la sua formola nei ragionamenti e nei disegni di
AntOQio di luccio Manetti. — Del quale è giusto dire
che egli ci si presenta primo investigatore ; ma inesatto
r affermare in genere di lui, che primo cominciasse a stu-
(1) Vedi le Vite del Vasari pubblicate da G. Milanesi , Fir.
Sansoni, 1878, Tom. I, p. 595.
(2) I Sigg. Crowe e Gavalcasellb a pag. 440 del Tom. I della
kn Storia della Pittura in Italia, T altri buiscoDO ai fratelli Lorenzetti
Sieoesi, Goritì nella prima metà del trecento. — Il Milanesi • loc. cit. •
'PPOgSi^to 3<1 un documento anonimo del sec. XVI le congettura di Ber-
oardo DaddL
VoL IV, Parte I. 3
34 G. BBUSCHI
diare di proposito la topografia dell' inferno dantesco (1).
E forse nella stessa teoria che da lai prende ora il nome,
molto egli si giovò dell' opera e del consiglio di due sonmii,
a cui era legato per vincoli di amicizia e di studi, Filippo
Brunelleschi, vo' dire, e maestro Paolo dal Pozzo Tosca-
nelli. Del primo, vissuto nei più begli anni della fioritura
artistica toscana (1377-1446), il Vasari afferma, che molta
opera diede allo studio delle cose di Dante le quali fu-
rono da lui bene intese circa i siti e le misure, e spesso
nelle comparazioni allegandolo, se ne -serviva né suoi ra-
gionamenti (2). Maestro Paolo dal Pozzo, l'illustre amico
e consigliere di Cristoforo Colombo, tenuto come il primo
astronomo e matematico del tempo (1397-1482), sebbene
più giovane, insegnò al Brunelleschi geometria, e nella
lunga familiarità di ben 40 anni e ne' ragionamenti, nei
quali Filippo « con il naturale della pratica esperienza
rendeva si ragione di tutte le cose che spesso confon-
deva il suo maestro > , è impossibile che ambedue non
aprissero la loro mente su codesti siti e misure, spianando
cosi parte dell' aspra e selvaggia via all' amico e scolaro,
Antonio di Tuccio Manetti.
(1) Cosi, per es. dice il Prof. Michelangeli a pag. 37 del suo
studio: Sul disegno dell' Inferno Dantesco, Boi., Zanichelli, i886.
(i) Vasari, Vita di Filippo Brunelleschi II, p. 333. ed. Milanesi,
Fir. Sansoni, 1888. — Ad alcuno potrà parere di scarso valore F auto-
rità del Vasari, il quale scrìsse degli studi del Brunelleschi sopra Dante,
più che 100 anni dopo la morte del grande àrteOce; mentre di tali studi
nulla si tocca dal Manetti, che Filippo conobbe di persona e ne scrìsse
la Tita. Ma il manoscritto di Antonio Manetti, pubbhcato prìma sotto
Anonimo nel 181:2, e poi nuovamente col nome del suo Autore da G. Mi-
bnesi (Fir., Le Monnier, 1887), si trova oggi mutilo alla Magliabe-
chiana. II Vasari (il cui testo è identico nella sostanza con queUo
delle duo stampe citate) potè trovarlo integro e ad esso attingere la
nolìiìa rìferìta.
SEB PISBO BONAOCOBSI E IL CAMMINO DI DANTE 35
E quanto la via fosse invero aspra e selvaggia appar
chiaro dalla rìtenatezza del Manetti stesso, il quale nulla,
vivente (1423-1497), pubblicò de' suoi studi in argo-
mento, ma privatamente li comunicava agli amici; e più
ancora dalla discordia di codesti amici che delle sue opi-
nioni si fecero interpreti (1). Perocché a Cristoforo Lan-
dino, il quale nel 1481, dichiarando il sito, forma e mi-
sura dell'Inferno, e misura di giganti e di Lucifero....
assicurava averle comprese e massime per 1' opera del
nostro Antonio di Tuccio Manetti >, sorse a contrastare
nel 1506 Girolamo Benivieni nei noti dialoghi circa el
sitOj forma et misure delt Inferno (2), perché nel leg-
gere la notizia di Cristofano s*era riscontro in cosa che
non cosi bene quadra con la sua fantasia (del Manetti).
Né passò molto — 1544 — che il lucchese Vellutello
prese a contraddire tutta insieme la scuola fiorentina,
nella quale, diceva, t7 cieco aver preso per sua guida
F orbo ; rimprovero questo che più tardi mosse il giovine
Galileo (1587) a difenderne l'onore nelle due Lezioni al-
l' Accademia Fiorentina (3). Anche ai nostri giorni la
questione è tutt' altra che esaurita, e la sfinge misteriosa
continua e continuerà ad attrarre i commentatori di
Dante (4).
La montagna del Purgatorio offre molto minori
difficoltà che la pianta d' Inferno, dove più profonda ed
(i) Vedi Michelangeli, lib. ciL pag. 35 e seg.; Ottavio Gigli, Studi
MM Dante^ Firenze, Le Monoier, 1855, pag. X.
(!^) Firenze, per F di Giunta nel 1506.
(3) 0. Gigli, lib. ciL pag. V. e segg. — M. Barbi Della fortuna di
DanU nel secolo XYl. Pisa, Nislri, 1890, Gap. HI.
(i) Vedi Raffaello Fornaciari nella Introduzione alle Tavole del
Castani. Fir, Sansoni 1877, e A. Bartou , Storia della Lett. ItaL,
foL VI, parte P, pag. 45-6, nota.
36 G. BRUSCHI
originale spicca la mente creatrice deli' Alighieri. Ser
Piero adunque nella terza delle sue flgure ha dipinto,
conforme al pensiero dantesco, suir isoietta senz' alberi, il
monte distinto in due parti, la inferiore o antipurgatorio,
che forma cinque valli, e la superiore o purgatorio pro-
priamente detto, distinto in sette cornici o balzi concen-
trici, che man mano restringendosi conducono alla spia-
nata del paradiso terrestre. Che anzi la parte inferiore,
— cui egli nel commento chiama talora anche base dove
è fondato il monte, intendendo per monte il purgatorio
propriamente detto — , è molto sviluppata e prende ben
la metà di tutta V altezza ; il che non osservarono ge-
neralmente i disegnatori, come nota il Michelangeli (1)
rimpicciolendo troppo le proporzioni della parte inferiore
non badando cosi alla circostanza, espressa dal poeta,
dell' alto volo eh' ei fece dormendo nelle braccia di Lucia
dalla valletta de'fiori fino alla Porta del Purgatorio (C. IX).
Sulla spiaggia dell' isoletta è figurato il bucho d'inferno,
onde uscirono i Poeti a riveder le stelle. Esatta è la
posizione astronomica che assegna al Purgatorio e nel-
r altro emisferio di là opposto a lerusalem a piombo >;
nel dichiarar la quale fa evidentemente sue espressioni
che si trovano qua e là in luoghi disparati dell'O^/tmo; il
che prova, come ho già altrove notato, eh' ei io cita a
mente per la gran pratica che ne aveva. Dell' OtUmo
sono pure le suddivisioni de' negligenti in cinque specie (2).
La quarta figura rappresenta con circoli concentrici
i nove cieli e l'Empireo; figura assai facile e comune,
come quella che riproduce le sfere del sistema tolemaico,
notissimo al Medio Evo. Epperò su di essa non mi fermo.
(1) Lib. cìt. pag. 4-5.
(2) Proemio dell* Ottimo alla Cantica del Purgatorio^ ed. Torri,
Pisa, 1822.
SKR PIERO BOKAOOOBSI B IL CAMMINO DI DANTE 37
Altre figarìne sui margini rappresentano più mi-
DQti particolari , come i tre cerchietti dei violenti e le
mMolge dei fratidulentiy Gerione che scende nuotando
Del baratro, il pozzo de' giganti, l' aquila del cielo di Giove,
DDa strana scala in quello di Saturno, ecc.
Vili.
Hi resta da dire un'ultima parola sulla seconda
Lettera di ser Piero a Frate Romolo; la quale, come
mostra il suo esordio, fa da appendice alla prima, e mi-
Dore per mole non è tuttavia meno importante dell' altra.
Tatti sanno che nel viaggio dantesco alla questione della
ria che tenne il Poeta si congiunge immediatamente l' altra
del tempo in che lo compie. Or bene, anche intorno a questa
il Bonaccorsi ci ha esposto con V usata semplicità la sua
opJDioDe. Non è inutile aggiungere che anche in co-
desta sintesi della cronologia della Commedia egli non
ba amto predecessori ; epperò il suo lavoro va riguar-
dato come il primo fatto di proposito su tal materia.
La questione della cronologìa non è meno arruffata
di quella della topografia : le dissensioni maggiori sono
nella prima data del Poema, quella cioè che segna il prin-
cipio dell' azione ; minori sulla determinazione dell' orario
particolare nel percorrere i tre regni. — Dietro al Boc-
caccio, il Landino e il Vellutello fra gli antichi, il Bianchi,
il Fraticelli, l'Andreoli, il Camerini fra' moderni pongono
il principio del poema nella notte precedente al Venerdì
Santo, tra il 24 e il 25 Marzo del 1300; la qual notte,
contando gli anni ab Incamatione secondo 1' uso fio-
rentino, era intermedia fra l'anno 1300 e il 1301. Il
Tommaseo, Giusto Grion, il Vedovati stanno per la stessa
natte, ma dell'anno seguente 1301. Altri osservando
38 G. BBUSCHI
che nel 1300 la notte tra il Giovedì e il Venerdì Santo
cadde secondo il calendario ecclesiastico fra il 7 e i' 8
Aprile, assegnano a questo tempo il principio della vi-
sione: cosi fa il GiambuUari, seguito dal Lanza, Loria,
De-Sanctis e Antonelli. Altri finalmente, come il Mi-
nich, fanno intraprendere il viaggio nella notte del 3
al 4 Aprile del 1300; TArrivabene in quella dal 4 al 5;
si discosta considerevolmente da tutti il Giuliani, mettendo
la visione sul principio del giorno 14 Marzo 1300, ora
in cui e la mente pellegrina Più dalla carne e men
da* pensier presa Alle sue vision quasi è divina > (1).
Ser Piero sta per la notte fra il 24 e il 25
marzo, intermedia però non fra il 1300 e il 1301, bensì
fra il 1299 e il 1300, computando, s'intende, secondo
l'uso fiorentino.
Questa data egli la desume dall' analisi della nota
terzina del XXI dell' Inferno :
ler, pili oltre cinqu* ore che quest' otta,
Mille dugento con sessanta sei
Anni compier, che qui la via fu rotta
E cosi via via allegando con scrupolosa esattezza
tutti i passi del Poema che danno lume alla cronologia
del viaggio, ricava che il Poeta consumò una notte e un
giorno nella selva, una notte ed un giorno per correre
l'inferno fino alla ghiaccia, una notte ed un giorno an-
cora nel passare dalla ghiaccia alla tomba di Lucifero e
quindi uscire in sull'alba all'isola del Purgatorio; tre
notti e due giorni nel percorrere l'antipurgatorio e il
(1 ) Y. Dott. Giovanni Agnelli, Sulla cronografia Dantesca in
Alighieri y fase. Gennaio 1890.
SER PIERO BONAOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 39
Porgatorìo; ao sesto di lo spese mezzo nel Paradiso ter-
restre, e r altra metà nei tre cieli della Luna, di Mer-
curio e di Venere. Fin qui egli segue il computo del
tempo, perché in questo cielo, die' egli, s' apunta et Imi'
sce r ombra del sole nel nadair della terra; et più su
non i nocte né ombra che tengha i razi del sole, ma ri-
mane in di chiaro et in luce perpetua. Qui mancandogli
però i dati, smette il calcolo : i commentatori che vogliono
seguitare, sono costretti anche qui come per le misure
delle cavità infernali e del monte del Purgatorio, ad ab-
bandonarsi ad ipotesi più o meno fondate, che trovano
nondimeno nella mutua discordia la propria condanna.
G. Bruschi
LA VITA E LE OPERE
DI
6I0YANNI ANDREA DELL' AN6UILLARA
I.
Giovanni Andrea dell' Angoillara nacque nel primo
trentennio (1) del secolo decimosesto a Satri. Tutti i bìo-
(1) n Mazzuchelu, Scrittori d'Italia, congettura ch'egli sia nato
nel 1517; ma non mi pare che la sua opinione possa accettarsi intera-
mente. Egli dice : TAnguiliara in un Capitolo indirizzato al Madruzzo car-
dinal di Trento afferma d*avere 28 anni, e si congratula con esso lui
perché ha ottenuto cosi giovane il cappello cardinalizio:
Chi rimira la carne vostra e Tossa
Più che in lucido vetro si comprende
Quale onor fate alla berretta rossa.
E sete ora soggetto da faccende:
Or che farete in età più matura,
Non farete allor cose stupende?
D Madruzzo fu eletto cardinale nel 15i5, nel quale anno si recò a
Roma; ora, conclude il Mazzuchelli, se si suppone che il Capitolo del-
l' Anguillara sia stato scritto intomo al l&i5 quando il Madruzzo era
in Roma, è lecito dedurre che il poeta, che allora avea 28 anni, sia nato
nel 1517. Se non che TAnguilIara slesso dice nel medesimo Capitolo, che
quand'egli scriveva, il cardinale trovavasi a Trento e non a Roma:
Se ciò non basta, che vogliate alquanto
Con vostri occhi vedermi a la presenza,
Statevene con questo inGno a tanto
Ch'io venga a Trento a farvi riverenza.
Dunque il Capitolo è posteriore al 15i5, e la data della nascita del
poeta dev'essere posteriore al 1517. Ma non possiamo fissare alcun anno.
M. PSLABZ — GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA 41
grafi di lai si accordano nel credere eh' egli sia nato bas-
tavmie, e danno poca fede a quel che il poeta dice della
soa famiglia in un Capitolo :
Ramo del ceppo son de TAnguillara
C ha per ins^a Parme de TaDguille
Che in molte parti de Y Italia è chiara.
Già producea guerrieri a mille a mille,
N* ha prodotti a* di nostri una decina
Ch* arebbon preso gatta con Achille.
Per fama quei seguir tal disciplina,
Per fama io mi son volto ad altri studi
Come il fallito mio destin m* inclina (1).
io credo che il poeta si stimasse discendente da quella
bmiglia Angoillara (2) di nobile stirpe, celebre nella
storia di Roma e nota più di tutto per quell'Orso del-
l'Angoillara che , senatore, incoronò Francesco Petrarca
sol Campidoglio, e per quell'Everso conte dell'Anguillara,
che tanto diede da fare ai pontefici per essere passato,
noico nella sua famiglia, a parte ghibellina.
Documenti che confermino appartenere il nostro
Andrea a questa discendenza non ne abbiamo : vero è
(i) Questo Capitolo, che è quello diretto ai cardinale dì Trento, si
^n manoscritto in un codice della biblioteca Universitaria di Bologna
(vedi Àp|>endice), e a slampa in varie raccolte di poesie del cinquecento.
B dou. Ksìao BoNUCCi ne fece una ristampa insieme con un poemetto
pve deIl*ÀnguiUara neUe Delizie degli Eruditi Bibliofili Italiani: Stanze
pr lo natale di Monsignor lo Duca d'Anjou di M. Gio. Andrea del'
^'Anguiìlara, In Firenze^ presso Giacomo Molini, MDCCCXÌY, La le-
TòfXA del codice non è sempre concorde con quella delle stampe. Indi-
cherò sempre se cito dalle stampe o dal ms. Il passo sopra riferito ò
tolto dal ms.
(2) D ToxASSETTi, Della Campagna Romana, in Arch. d. Soc. Rom.
^ Storia Patria, voi. V, fase. IV, pag. 639, nota 2, crede che fosse
« m bastardo deDa nobile famiglia dei conti deH'AnguiUani. >
42 M. PELAEZ
che recentemente è stato pubblicato il Regesto delle Per-
gamene della Familia Anguillara (1), ma i documenti
contenuti in esso non arrivano al nostro Andrea. E nem-
meno parla di lui un codice delia Barberina di Ro-
ma, (2) in cui insieme con altre è una brevissima sto-
ria della famìglia Anguillara. Ma vi trovo accennati al-
cuni personaggi celebri nell'armi, de' quali alcuni furono
al servigio della repubblica di Venezia, e altri al soldo
del Pontefice. Questo confermerebbe quel che dice il
nostro poeta de' suoi antenati guerrieri. Il codice bar-
berino inoltre c'informa che la famiglia Anguillara nel
secolo XV era divisa in parecchi rami laterali ; non è quindi
inverosimile che ad alcuno di questi appartenesse il nostro
Andrea; il quale nel Capitolo al Cardinal di Trento dice :
Ramo del ceppo son de l'ADgaiDara (3).
Né si deve opporre alla discendenza del poeta da una
nobile famiglia la miseria in mezzo alla quale egli passò
tutta la sua vita; poiché l'Anguillara stesso nel medesimo
Capitolo ci avverte della decadenza della sua famiglia.
Dopo aver detto che i suoi antenati per fama si volsero
al mestiere dell'armi, prosegue:
Per fama io mi son volto ad altri studi
Come il fallito mio destiti m' iDcIina (4).
(1) R. Società Romana di Stona Patria, Regesto dtlle Pergamene
della famiglia Anguillara^ Roma, nella Sede della Società alla Biblioteca
Vallicellìana, 1887, pag. 7.
(2) Codice barberiniano LUI. 84.
(3) Cosi leggo nei codice bolognese. Le stampe che ho riscontrate
hanno: e De la Stirpe son io de TÀnguillara. »
(4) Cito anche qui dal cod. bologn. Le stampe hanno altre dae dif-
ferenti lezioni: e Si come il fato e '1 mio destin m'inclina » (ediz. ciL
del BoNUCci) e e Si come il fato e '1 mio poter m' inclina > (Rime pia-
cevoli, parte terza, in Venezia, MDCXXVII).
GIOTANNI ANDBBA DBLL* ANOmLLABA 43
Nulla sappiamo de' parenti e de' primi anni del poeta,
ma egli dovè presto da Sutri venire a Roma, dove crebbe
e fu educato, siccome egli stesso ci fa sapere in una canzone
composta pel suo ritorno in quella città dopo tre lustri
d'assenza :
Passando ho scorto il loco ove io son nato,
Or dove fui nutrito raflSguro
Presso air antico muro
Ond'alza al cielo il Panteone il corno:
Vi ritrovo gli stessi che vi furo
Meco nudriti, benché abbian cangiato
Sembiante abito e stato. (1)
In Roma attese probabilmente agli studi di giurispru-
deuza, nella quale fu dottore:
E SODO
Dottor di leggi che legge ....
E codici e paragrafi e digesti
Bartoli e Baldi m'hanno consumato
E tutti i sensi conquassati e pesti (2).
Ma dovette anche occuparsi di lettere, e in ispecial modo
della poesia, nella quale cominciò in questo tempo a e-
sercitarsi. Egli ricorda infatti d'avere scritto in Roma molte
delle sue rime :
(1) Vedi la canzone in Appendice ▼. 16 e segg. Lo Zilioli ne* Poeti
i^W, il NAZZuaiELLi, e tutti gli altri che parlarono deli' Anguillara,
^^'s^ ch'egli venne in Roma in età più matura, quando per le ristret-
^ io coi trova?asi fu costretto a cercare un impiego presso un libraio.
(2) Capitolo al cardinal di Trento in op. cit. loc. cit Stampe e ms.
'«'o concordi.
44 M. PELABZ
Queste son pur quell' onorate sponde
Del Tebro dove lungamente vissi,
E rime in copia scrissi
Conformi all'età mia verde ed acerba (1).
Ad avventare romane accenna lo Zilioli, aatore che
merita poca fede, nei Poeti Italiani: e Usci Angnillara
di casa sua povero, e male in farnese, per procacciarsi
con la virtù il modo di vivere: et avendo in Roma di
prima giunta ritrovato commodo trattenimento appresso
un libraio al quale serviva nella correzione dei libri, guastò
presto con la temerità e libidine sua quella poca pro-
sperità, che avea incontrata: perciocché innamorato della
moglie del Patrone, e scopertosi T adulterio, fu costretto
partirsi di quella casa, e perseguitato da colui anco ab-
bandonar la città ) (2).
Ma prima di proseguire, vediamo il ritratto che il
poeta fa di sé medesimo in quel capitolo al cardinal
Madruzzo, che è una specie di autobiografia, poi che
vi espone la sua triste condizione, le sue miserie, i suoi
patimenti e, per farsi conoscer meglio dal cardinale, fa
il proprio ritratto. Circa il tempo in cui fu scritto nulla
possiamo affermare di certo; e abbiamo già accennato
innanzi, in una nota, per quale ragione non sia da ac-
cettare la congettura del M azzuchelli ; soltanto sappiamo
che in questo tempo il poeta trovavasi al servizio di
monsignor Leone Orsino, giacche al principio del capitolo
lo nomina come persona eh' egli vedeva ogni giorno.
(1) Appendice, canz. ciL ?. 61 e segg.
(2) L'Autografo dell'opera dì Alessandro Ziliou trovasi, come é noto,
nella Biblioteca Aprosiana di Yentimiglia; io cito dalla copia che è nella
Marciana di Venezia, CI. X', P, p. 11 4.
GIOYANNI ANDREA DELL* AN6UILLABA 45
Da che si leva, insin che torna a letto,
Non fa mai altro Monsignor Orsino,
Come se non ci fosse altro soggetto (1).
Il capitolo coDSta di dae parti : nella prima, dopo
arer esposte le sue misere condizioni , il poeta domanda
al cardinale mi privilegio :
Voi che dì ccMtesia, di splendor regio
Si come intendo dir tutti avanzate.
Fatemi fare un ampio privilegio ,
Dove si veggia come m'accettate
Fra vostri eletti, e privilegiati
In questa nostra sfortunata etate.
Nella seconda parte, pensando che il cardinale voglia
conoscere questo chiedente y Giovanni Andrea cosi parla,
QQ po' scherzosamente, di sé dopo i versi che ho riferiti
intorno alla sua famiglia :
Or, monsignor, mettetevi gli occhiali
Ch'io vi voglio mostrare un corpo umano
Di fattezze stupende ed immortali.
Io sono un uom fra piccioli mezzano
E fra mezzani picciolo e fra grandi
Mi si potrebbe dir eh' io fossi un nano.
E s'awien ch'alcun grande mi domandi
Per parlarmi a l'orecchia cheto cheto.
Bisogna ch'ei s' impiccioli, io m' ingrandi.
* ^ ^<>si leggo nel cod. bolognese. Le stampe hanno :
Oh Dio! come gioisce, e come gode
L'antico mio padran Leone Orsino
Quando racconta qualche vostra lode.
46 H. PELAEZ
Volto ordinario e dì natura lieto,
Se la sorte crudel noi fesse tristo,
Che mi persegue in pubblico e in segreto.
La fronte spaziosa e rocchio negro
E tutto il capo né grosso né asciutto,
E grande e sano e non picciolo et egro:
Vo* concluder infìn che *1 capo tutto,
Ancor che non si possa dire eletto.
Non si pub dir spiacevole né brutto.
Ma le fattezze c'han le spalle e '1 petto
Non sana buon Tiziano a rìtrarle,
E non le squadrerebbe un architetto.
Ghé la pancia, lo stomaco e le spalle
Paiono un mappamondo, ove si vede
Pili d*un monte d'un piano e d'una valle (1).
In questo corpo stravagante e raro
Stassi un animo libero e sincero
Ch'a ciaschedun che lo conosce è caro (2).
(1) Carlo Pinti in un epigramma latino che si trova a car. 305
degli iUuslrium Mulierum et illusirium Litteris virorum Elogia a tulio
Coesore Capacio conscripta, Neopoh\ Apud lacobum Carlinumy i608,
ha Yohito rappresentare deforme anche il volto dell'Anguillara :
Turpis ut hic vultus terret plerosque tuentes:
Ànguis ita haud horrens Laocoonlis erat.
Àt quantum huie, Musae, debemus solvere vati:
Edidit hic vigili carmina eulta manu ;
Hoc duce Naso sonis varias decantat Etruscis
Priscorum in formas corpora versa Deùm.
Hac miro ducit studio te copia rerum,
Dulcibus hic numeris verba ligata tenenL
(t) Vedi il testo edito dal Bonucci in Delizie etc Le stampe e il
ms. sono concordi.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUILLABA 47
Anche lo Zilioli (1) ci dice che era e conosciuto da
tutti per la gobba grande ch'egli avea sulle spalle > tanto
che fu chiamato il Gobbo dell* Anguillara. Questo sopran-
nome fece cadere in errore il Crescimbeni, il quale re-
gistrò il Gobbo delt Anguillara come poeta diverso da
Giovanni Andrea, e II Gobbo dell' Anguillara da Sutri ,
Dottore, e Poeta piacevole, e satirico, fiori ai tempi da
Gregorio XIV circa il 1590. Visse egli in Roma ben ve-
duto dai personaggi della Corte, e particolarmente dal
cardinal Farnese: con tuttocìò v'ebbe poca fortuna. Ebbe
stile facilissimo e assai gratioso e mordace > (2) Ma
Giovanni Andrea fu precisamente di Sutri, dottore, pro-
tetto, come vedremo, dal cardinal Farnese; quindi è lecito
credere che i due poeti menzionati dal Crescimbeni siano
una persona sola; di che possiamo trovare una conferma
in una canzone dell' Anguillara manoscritta nella Biblioteca
Barberina, con innanzi questo titolo: Canzone di M. Gio.
Andrea alias del Gobbo da Sutri (3).
Il
Da Roma l' Anguillara passò a Venezia; e lo Zilioli
ci narra anche qui le peripezie che ebbe durante il viag-
gio e poiché assalito da malandrini per viaggio, perse
talli quei pochi denari e quelle robbe, che con tanti su-
dori s'avea acquistati, e quasi la vita ; onde fatto me-
li) Op. cit. loc. ciL
ii) ùmmentarii all' Istoria della Volgar Poesia, Venezia, Baseggio,
^'30, Tol. IV, pag. 84. Di Giovanni Andrea dell' Anguillara parla nella
btoria della Volgar Poesia, Roma, Antonio De Rossi, 17il, pag. i60.
(3) Vedi la canzone in appendice. Anche il Mazzuciielli, Scrittori
(fhdia^ crede che i due poeti citati dal Crescimbeni siano una persona
sob.
48 M. PELAEZ
schino, e vagabondo qaa e là tatto stracciato e pieno di
pidocchi arrivò finalmente in Venezia, dove ricevuto cor-
tesemente dal Franceschi Libraro Sanese trovò qualche
sollevamento alle passate calamità servendo in quella
stamparla. » Che cosa facesse a Venezia non sappiamo;
ma è falso ciò che dicono lo Zilioli e tutti quelli che
attinsero da lui copiandosi Y un l'altro , che T Ànguil-
lara traducesse le Metamorfosi a richiesta del Franceschi
e per il prezzo di duecento scudi (1). Giacché la prima
edizione dei primi libri dell' opera fu fatta a Parigi e non
a Venezia , come avrebbe dovuto avvenire se l' inca-
rico di tradurre le Metamorfosi fosse stato dato all'An-
guillara dal Franceschi. La prima edizione veneziana poi ,
come si vedrà in seguito, usci pei tipi del Valgrisi, non
del Franceschi. Certamente l'Anguillara si trovava a Vene-
zia nel 1553 ed avea finito in questo tempo il primo li-
bro delle Metamorfosi (2); compiuto il quale, nel mede-
simo anno si recò a Parigi e lo fece stampare con una
lettera dedicatoria a Enrico II, re di Francia, lettera che
egli avea già scritta quando trovavasi a Venezia, come
apparisce dalla data di essa : Di Venetia il mese di Marzo
MDLIII (3). Nello spazio di due anni l'Anguillara, conti-
(1) D GiMMA, Elogi Accademici, Napoli, Carlo Troise MDCCII p. 336,
dice che l'Anguillara rìcevelte seicento scudi dall'editore e una collana
d'oro dal re di Francia Enrico II.
(2) Delle Metamorforsi d'Ovidio Libro 1 di Gio. Andrea Dell' An-
guillara ad instanza di Alberto di Grafia di Lucha, detto il Toicano,
In 4^, Questa edizione non contiene né il luogo, né la data di stampa.
Io l'assegno all'anno 1553, ricavando questa data dalla lettera di dedica
a Enrico II, che si trova a principio dell'edizione di tre libri faUa nel
1555 e che dev'essere certamente una riproduzione di quella stampata a
principio dell'edizione del primo libro.
(3) L'autore inseri pure in questo primo libro cinquantasei ottave
per celebrare Enrico II e la sua famiglia.
aiOVANNI ANDREA DELL* ANGUI LLARA 49
Duando a stare a Parigi, condusse a termine altri dae
libri delle Metamorrosi e li pubblicò insieme col primo
pure a Parigi (1). Segue a questi tre libri una lettera di
scusa al lettore per la ritardata pubblicazione: < Non vi
meravigliate, benigni lettori, sMo da la pubblicazione del
mio primo libro in qua de le Metamorfosi io non ho dato
foora che questi, essendo ciò accaduto si per haver vo-
luto più tosto far poco, e con diligenza, che molto e tra-
scuratamente, havendo avuto riguardo più a Thonor che
a qualsivoglia altra cosa, si per non mi essere io fer-
mato da allhora in qua sempre in un loco per la mia
avversa fortuna che non ha mai confortato l' animo mio
con la disposizione dei tempi, dei luoghi, delle persone
e dei negotìi in modo ch'io mi sia potuto fermare. > Non
sappiamo dove siasi recato in questi due anni, nò quali
avversità lo abbiano molestato. Certamente non viaggiò
in Italia, giacché dalla data di una sua lettera al Varchi,
scritta da Lione (2), si ricava che nel 1560 si trovava in
questa città; e da una canzone a Caterina de' Medici, che
una sola volta andò in Francia. La canzone, che cele-
bra le lodi della regina, appartiene agli ultimi anni della
vita del poeta, il quale nel congedo si scusa con la ve-
ti) De le Metamorfosi di | Oridio - Libri HI | Al Re chiarissimo
et I Iotìuìss. I Henrico li di Giovanni Andrea dell' Anguillara | In Parigi
I Per Andrea Wechelo a Y insegna dei Cavallo alato | MCLV. Questa e-
dizìoDe è molto rara; io ne ho veduto un esemplare nella Biblioteca Ange-
li» di Roma, mutilo di una parte del prìmo libro, del secondo libro e
^ di aoa parte del terzo. Neil' ultima carta si legge un sonetto dell' An-
guillara a una gentildonna. Questa edizione parigina di tre libri fu ripro-
dotta oelk) stesso anno a Venezia : Delle j Metamorfosi | D' Ovidio | Libri
Di I Al Re Cristianissimo et Invittiss. | Henrico II | Di Giovanni Andrea
! dell'ÀDgaillara | In Vinegia | Vincenzo Valgrisi 1555.
&) Vedi Appendice, lettera I.
VoL IV, Parte I 4
50 M. PELAEZ
dova di Enrico II di non essere più ritornato, alladendo
ai torbidi degli Ugonotti:
Se perch* io Don toroassi altri m* incolpa,
GaDzon, dr, che la colpa non fu mia.
Che la nuova di Dio nemica setta
Tutta sangue e vendetta,
Che turbò in Francia U buon stato di pria
A me troncò la via,
E s'or di nuovo a gir non m'apparecchio,
Ben ardente desio mi sprona e punge.
Ma come infermo, e vecchio
Potrei passar tant'Alpi e gir si lunge? (1).
L*Anguillara probabilmente dovè essere ammesso
nella corte di Enrico II e dovè conoscervi alcuni per-
sonaggi, come ad esempio, la Dachessa di Yalentinois, per
la quale egli scrisse tre sonetti e un capitolo in terza
rima (2).
Ma torniamo al primo libro delle Metamorfosi. La
pubblicazione di esso come saggio pare abbia dato oc-
(1) Canzone di Messer Giovanni Andrea Dell' Anguillara A Catte-
rina de Medici Reina di Francia Con tre sonetti creduti del medesimo.
Uno a Carlo IX Re Cristianissimo E gli altri due sulla morte del Car-
dinal Vitellozzo Vitelli, in Anecdota Lilleraria ex Mss. codicibus erula. Voi.
I, Romae apud Gregorium Settariuni ad insigne Homeri public. auctoriL
p. Ì31-439. L*autore di questi Anecdota dice d'aver tratto queste rime
da un codice appartenente già a Monsignor Felice Contelori.
(2) De le rime Di diversi nobili Poeti toscani Raccolte da M. Dio-
nigi Atanagi. In Venezia Appresso Lodovico Avanzo i565. Lib. II cor.
ii-i3. Vi si contengono ancora altri due capitoli deirAnguillara, d'argo-
mento religioso. In uno il poeta fa la confessione a Dio e si pente de'suoi
falli; nel secondo si lamenta di coloro che non vogliono adorare le ioi-
magini di Dio e dei Santi, perché non credono che un crocifisso, un qua-
dro possa rappresentare una divinità. Del resto i due capitoli non hanno
alcun pregio.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUI LLAR A
51
casione a crìticbe acerbe, cui i[ poeta accenna in quella
lettera di scusa al lettore che è nell' edizione dei primi tre
libri. In essa si lamenta che uomini pur valenti sentano
troppo di sé e disprezzino chiunque non sia al paro di
loro. E aggiunge che, se certi invidiosi gliene daranno
nuovamente occasione, egli sarà costretto a metter fuori
€ cose che faranno non solo ridere i savi^ ma i matti
ancora, e la scimmia farà gli atti suoi, e il pedante par-
lerà per lettera, e per volgare a lettere di spetiali, ed il
mondo allettato dal diletto che ha dello stil satirico, ba-
vera gran piacere, perché saran cose che per l'univer-
sale daran più tosto nel dolce che ne 1' amaro ; è vero
che daran ne l'amaro per più d'uno e non saranno (come
si dice qui in Francia) troppo joUe per qualcuno » (1). Chi
sia stato l'autore di queste censure è ignoto; forse TAn-
goillara si riferisce a quelle che ebbe in Italia da Ludovico
Dolce, delle quali parleremo appresso. Sappiamo invece,
e dalla medesima lettera, che in questo tempo era pro-
letto e stipendiato dal cardinal Farnese (2) (non è noto per
qoale ufficio), e* che col favore di esso sperava compiere al
più presto la desiderata versione delle Metamorfosi, e Hora
che il Magnanimo e non mai abbastanza lodato Cardinal Far-
nese supplisce di quel che bisogna a quell'otio et a quella
comodità eh' io desiderava, s'altro non s'interpone voi
haverele li 12 libri che restano fra si breve tempo che
darà (orse non poca meraviglia al mondo. Tanto più ch'io
mi sforzerò di far che siano tali che molti conoscano di
^sersi nei loro giuditij grandemente ingannati » (3). Nello
Oì Vedi edtz. cit. dei primi tre libri delle Metamorfosi.
(^) Che TAnguillara sia stato protetto e più volte aiutato dal Far-
■^ s ricada anche da un capitolo che il Nostro gli ha diretto e del
J^ Meremo appresso. Cfr. Append. capitolo I ed appresso dove parlo
^^mii dell' Anguillara.
^^) ^edi lettera nell'ediz. cit dei primi tre libri deUe Metamorfosi.
52 M. PELAEZ
Stesso aDDO 1555, in coi pubblicò i primi tre libri delle
Metamorfosi, l'Anguiiiara diede alle stampe le Stanze per
lo Natale di Monsignor lo dìica d' Anjou (1) per celebrare
il quinto anniversario della nascita del duca. Immagina egli
in questo suo poemetto che Iride discesa dal cielo venga ad
annunziare alla Gallia qual premio le è stato concesso da
Dio, in merito delle sue vittorie e della grandezza da lei
acquistata sovra gli altri popoli, colla nascita di un tanto
principe. Enumera tutte le virtù di cui sarà adomo, e le
personifica in tante donzelle che seguono il carro di Iride
per andare ad ornar di lor medesime il neonato. Que-
st'ultima parte è una semplice enumerazione, ed ha po-
chissimo valore poetico; ma la prima p arte del poemetto,
ove sono descritti la stagione primaverile, i due carri e
il seguito di Iride e della Gallia, ha una certa vaghezza
che ci fa pensare ai migliori esempi di ottave classiche.
Non sarà discaro qualche saggio del poemetto: la prima-
vera vi è descritta cosi:
Girando il mondo il Dio che lo coloPa,
Già facea col Monton Tottavo cerchio,
L'Equator da man manca Egli e rAurora
Avean, ma non lontan però soperchio;
Spiravan tal virtù Favonio e Flora,
Ch'alcun non fean le nuhi al elei coperchio;
E le viole, e gli altri primi fiorì
Tutta Paria spargean di grati odori.
Le provvide api al ben pubblico amiche,
Ch'avea già il verno assediate e cinte,
(1) Stanze Nel | Natale di Monsignor | lo duca D' Anjou | Di Gio-
vanni Andrea de V An | Guillara | In Parigi | Per Andrea Wechello a
l'insegna del I Cavallo Alalo | MDLV. Fu ristampato, come ho già detto
dal Bonucci in Deliiùi eie. Io cito da quest'ultima edizione.
GIOVANNI ANDBEA DELL* ANOUILLARA 53
Ch'avendo poco mei le cere antiche,
Eran molto vicine a restar vinte,
L'ambrosia già prendean da piagge apriche,
Di vaghi e novi fior sparse e dipinte,
Per ristorar, al lor comun governo.
Quel nettar ch'elle avean mangiato il verno (1).
h carro della Gallia è accompagnato ai due lati dal
Senno e dal Valore:
E ambedue con umiltade alteri
Un era valoroso e l'altro saggio (2).
Ma poi li descrive più particolarmente, e pare di sen-
tire r Ariosto quando fa il ritratto della . Discordia, della
Gelosa :
È il Senno uom di prudenza e di consiglio,
E lo dimostra il vestir lungo e grave,
La barba bianca e '1 suo severo ciglio,
E raccerto parlar basso e soave;
Ch'ei dice con tal forza e con tal grazia,
Ch'ognun riman contento e lo ringrazia.
Stalle appresso il Valor, dal lato manco,
Di più feroce aspetto e qualitate,
Un uom robusto valoroso e franco,
Su M più bello de la virile etate.
D'armi, fuor che la testa, è tutto bianco
D'oro e di gemme alteramente ornate.
L'elmo gli pende appresso, e in ogni parte
Dipinge il suo bel corpo il fiero Marte (3).
IP Op eli. ottava 2 e 7.
'*' ^p. cit oUava 16.
^^' Op. cii. ottava 17 e 18.
54 M. PELAEZ
Cadde in errore il GiDguené (1) quando scrìsse che
l'Anguillara era di ritorno in Italia dae anni dopo la pub-
blicazione de' primi tre libri delle Metamorfosi. Abbiamo
infatti già visto che egli si trovava ancora io Francia nel
1560. Seguitava a lavorare intorno alle Metamorfosi :
nel Giugno di quell'anno trovavasi a Lione, donde scri-
veva al Varchi a Firenze: e Io sono intomo al decimo
libro, e penso che io barrò Anita tutta l'opera a Febraio
e verrò costà al più tardi a Marzo se altro impedimento
non nasce. Le ne mando per Messer Camillo Spannocchi,
compitissimo gentiluomo una favola del nono libro per
saggio de le cose che io fo ora, harrei caro d' intenderne
il suo parere e la prego a tenermi ne la sua buona gratia
et a conservar dal lato suo la nostra antica amicìzia » (2).
Della sua dimora a Lione ci fa fede, oltre questa lettera,
quello che Gabriello Simeoni dice nel suo Dialogo Pio
intorno all'accoglienza fatta all'Anguillara in quella città
da un certo Matteo Balbani lucchese : e La cortesìa usata
da costui al gentilissimo spirito dell' Anguillara, honoran-
dolo et trattandolo come un suo proprio fratello in casa
sua, s' ha non solamente obbligato me, ma quanti uomini
virtuosi amatori di virtù si trovano al mondo, perché mi
pare che molto si possa gloriare la città di Lucca che di
lei sia uscito un così nobile, magnanimo et discreto cit-
tadino » (3). Né solamente buona accoglienza dev' essere
stata quella di Matteo Balbani; poiché di ben altro l'An-
guillara gli rende grazie alla flne delle sue Metamorfosi
con due ottave:
(1) Histoìre Uttéraire d'Italie, Milano, Giusti 1821; Pane U, cap.
XK; VI, 90.
(2) Vedi append. lettera I.
(3) Dialogo Pio et speculativo Con diverse sentenze latine et t-o/-
gari di M. Gabriel Simeoni fiorentino. In Lione, appresso Guglielmo Ro-
viglio, 1560.
GIOVANNI ANUBEA DELL* ANGUILLARA 55
•
Godi, Balban, della tua interna luce
C3ìe scorge Tavvenir sf di lontano;
Godi, Matteo, del frutto che produce
La tua sf liberal natura e mano.
Questa fatica mia, ch'or mando in luce.
Nasce dal tuo giudizio intero e sano:
C3)e prevedendo e provvedendo il tutto.
Questo, quale ei si sìa, n' è nato frutto.
Dappoiché non poss' io supplir secondo
Fora il desire, a tanto benefizio,
Bastiti almen, eh' io faccia fede al mondo
Del tuo cor liberal, del tuo giudizio (1).
Del tempo nel quale rAngoillara fa in FraDcia ab-
biamo ancora una sua lettera ad Annibal Caro , cui egli
invia m commento al Decamerone stampatosi a Lione.
Dice di non conoscere l'autore, però lo loda assai e ag->
gioDge che il commento è fatto e con tanta facundia ed
eieganzia che pare che il Boccaccio sia venuto a com-
mentare sé stesso > (2). Nel Giugno del 1561 l' Anguil-
(1) U Metamorfosi d'Ovidio ridoUe da Giovanni Andrea dell' An-
cnuARA in oliava rima, Milano, Tipografia de' Classici ilaliani, 1805;
libro XV, st 231 e 235. Per luUe le citazioni delle Metamorfosi mi
lenirò sempre di questa edizione , che é la migliore che abbiamo.
(2) Qoesla lettera fu pubblicala per la prima volta neir Effemeridi
letterarie di Roma, tomo VI, p. 398 (Anno 1822). Una nota che la precede
^iice che fu trascritla e di mano di Lucantonio Ridolfi nelle risguarde
à'm libro assai raro, del quale ragiona Tepislola e ha per titolo Ragio-
momento havuto in Lione da Gaudio de Herberé gentiluomo franzese
ft da Alfssandro degli liberti gentiluomo fiorentino sopra alcuni luoghi
^fi^ ùnto novelle del Boccaccio. Lione appresso Rovi Ilio nell' anno
/5o7. 1 Domenico Maria Manni nella sua Storia del Decameron (pag.
•'6) crede che del ragionamento possa essere autore Luca Antonio Ridolfi.
^ 000 pare che si possa fare questa ipotesi, perché TAnguillara cono-
'^^ il Ridolfi (Vedi appendice, lelt. I) e dice di non conoscere Tautore
<^i libro sul Roccaccio. Una copia manoscritta della lettera dell'Anguillara
<^ cui s' é parlato si trova nella Riblioleca Nazionale di Firenze nella cas-
^ deOe lettere del Varchi, n. 113.
56 M. PELABZ
lara si trovava a Venezia, e prima era stato a Firenze,
come ricaviamo da una lettera scritta ai Varchi da quella
città : e Qaando io partii da Fiorenza lasciai che il signor
Joseppe Bettusi procurassi il mio privilegio (1), né posso
sapere quel che s'abbia fatto perché non m' ha mai scritto.
Però prego V. S. se egli fin a quest'ora non l'ha im-
petrato che '1 potrà saper facilmente, che '1 voglia pro-
curar per me. Confido nella sua cortesia che so quanto
suole essere officiosa per gli amici che non mancherà di
aiutarmi si come mi ha aiutato in cosa di più importanza
di questo... » (2). In questo tempo egli avea già com-
piute le Metamorfosi ed a Venezia occupavasi della stampa
di esse: e sono stampati già 33 fogli, scrìve al Varchi,
fino a la metà de' l'ottavo, et al principio d' Agosto sarà
finito tutto » (3). Le Metamorfosi adunque cominciate a
Venezia furono finite probabilmente a Lione , come il
poeta stesso dice (4). Ma V edizione che usciva ora com-
(1) Giuseppe Betussi, che come si ricava da questa lettera co-
nobbe rAnguillara, è Tautore del Raverta. Cfr. Mazucchelu, Scrittori
d'Italia, Non sappiamo nulla di questo privilegio che 1' AnguiUara
chiedeva.
(2) Vedi append. lettera II.
(3) Vedi append. lettera li.
(4) Vedi append. lettera l. 11 sig. Starabba ha pubblicato nellMr-
chivio Storico Siciliano, voi II, pag. 210 un documento riguai*dante Gio.
Andrea deirAnguillara. e È una lettera viceregia (trovasi nel Registro del
Prolonolaro del Regno dell'Anno V. indiz. 1561-62, f. 145 v.) del 9
Gennaio 1562, con la quale si accorda all'Anguillara la privativa di po-
tere spacciare in Sicilia la sua versione delle Metamorfosi d'Ovidio
Dal documento si ricava ch'egli ottenne quel privilegio per la interferenza
di Alfonso Ruiz Protonotaro del Regno. Questo Ruiz fu congiunto col ce-
lebre matematico Carlo Venti miglia, ed è fama che da lui questi avesse
ereditato la collezione archeologica di cui il Can. Domenico Schiavo pub-
blicò un brano d'inventario (in Mem, per serv, alla St, Lett. di SiciL
lì, 186). Queste notizie bastano per farci supporre il Ruiz un uomo colto
ed amante degli studi e studiosi: il che spiegherebbe com'ei fosse io
relazione coli'Anguillara. >
GIOVANNI ANDBEA DELL* ANOUILLARA 57
pietà per la prima volta non era più dedicata solamente
a EDrìco II, come le precedenti di soli tre libri: anche
prima che l'Anguiliara imprendesse la pubblicazione del-
Topera intera, il re era morto, e gli erano succeduti
FVancesco II, che tenne il regno pochi mesi, e Carlo IX.
A qnest' ultimo pensò TAnguillara, perché non andassero
affatto perdute le sue fatiche, col pericolo di restar senza
compenso; e con alcune ottave poste alla flne del libro
quindicesimo gì' invia:
.... col maggior, eh* io posso, affetto
Quest' opra ereditaria di tuo padre :
Per lui le diei principio, e 1 più n' ho scritto
Sotto il favor del suo gran nome invitto (1).
Queste ottave di dedica dovettero essere scritte in
Italia: infatti TAnguillara rivolgendosi al re gli dice:
Lontan m'inchino al tuo real cospetto,
Ed al valor della tua santa madre.
Poi ricorda al sovrano che pensi a una ricompensa
qualsiasi :
(1) Vedi per questo e per i luoghi sepenti che cito, rìfcrentìsi a
Cario IX, le ottave 230, 231, 232, 233 del lib. XV. Nella nuova edizione
completa delle Metamorfosi e in tutte ({uelle che vennero dopo non si
riscontrano più le cinqunntasei ottave del secondo libro dedicate ad Kn-
rìco 11 e alla sua famiglia, alle quali accennai in una delle note precedenti.
Di quelle ottave solamente una fu lasciata:
Né spegnerai, come di molti eroi,
L' Invitto nome di Ilenrico secondo
etc.
È carìoso che TAnguillara abbia soppresso queste ottave che si riferi-
scono alla famiglia di Enrico II, che era quella stessa di Carlo IX, e facca
seoipre quindi al caso suo. Certo é però che non si ritrovano in nessuna
deUe edizioni posteriori.
58 IL PELAEZ
E sebben Falto affar d* un tanto regno
Tien la tua mente in altro oggi occupata.
Dàlie talvolta un guardo, e qualche s^o
Mostrami in cortesia che ti sia grata.
III.
La versione delle Metamorfosi è l'opera maggiore
compiuta dair Auguillara e alla qaale egli raccomandò
meglio il suo nome. Senza dubbio delle tante traduzioni
che si fecero nel cinquecento delle Metamorfosi d'Ovidio
quella di Giovanni Andrea dell' Anguillara, sebbene non
sia senza difetti, e non possa dirsi veramente una ver-
sione, è l'unica che abbia resistito al tempo. Fin dal se-
colo decimoquarto troviamo registrate nella nostra storia
della Letteratura versioni delle Metamorfosi (1) in prosa
e in versi; ma quasi tutte, se togli in alcune il pregio della
lingua, hanno poco valore e giacciono ormai dimenticate.
La versione che fece l'Anguillara nel secolo dell'Ariosto
levò gran rumore fra' contemporanei.
Abbiamo già detto come il poeta si lamentasse in
Francia a proposito di certe ingiurie a lui dirette
quando pubblicò il primo libro come saggio. Io credo
che quei lamenti debbano riferirsi alle critiche che gli
mosse in Italia un altro traduttore delle Metamorfosi,
Ludovico Dolce. Il quale avea incominciato anch' egli una
versione dell'opera d'Ovidio in versi sciolti, ma non ap-
pena seppe che l'Anguillara attendea a ridurre lo stesso
poema in ottava rima, invidioso delia gloria che avrebbe po-
tuto conseguire il poeta sutrino, mutò disegno e tradusse in
(i) Vedi il catalogo, non del tutto completo, di queste traduzioni
neirarticolo del Brambilla inserito nel Politecnico XVUI, 1863, Le tras-
formazioni di Ovidio e t traduttori di esse.
OIOYANNI ANDREA DELL' ANGUILLARA 59
Ottave le Metamorfosi, con rintendìmento di superare il ri-
vale. Ecco come il Dolce annunziava ai dotti l'opera sua: e E
di molte opere da me più volte promesse, tra pochi mesi
0 giorni si daranno le trasformazioni d' Ovidio, le quali
per avventura saranno di qualità che ad alcuni pedanti o
simie si leveranno le occasioni (se essi haveranno giu-
dicio) dì affaticarsi (il che sia detto senza offendere al-
cuno) in perder carte » (1). Il Ruscelli in quelle acerbissime
critiche che fece di quest' opera del Dolce scriveva
riferendosi al citato passo : e 0 voi, Signor mio, che con
quelle parole, tiraste cosi bravi calci contra il gentilissimo
M. Gio. Andrea dell' Anguillara, perché già udivate il ro-
more che tutti i dotti e giudiziosi faceano di que) primo
libro, che in quei tempi egli qui per tutto diceva e dava
nome di voler pubblicare, potete hor esservi chiarito
quanto il mondo habbia creduto al giudicio di sé stesso
e non al vostro solo » (2).
Quando poi il Dolce pubblicò nel 1570 a Venezia
la sua versione, vi prepose un proemio nel quale biasi-
mava l'Anguillara d' aver fatto un poema quasi in tutto
diverso da Ovidio. Nondimeno, per quanto generalmente
fedele, la versione del Dolce non ha alcun pregio né si
legge più. Chi abbia curiosità di saperne qualche cosa ,
legga il discorso del Ruscelli e vedrà come la giudica-
vano i contemporanei.
Ma, eccetto queste critiche di Lodovico Dolce, l' o-
pera dell'Anguillara fu generalmente approvata da' suoi
contemporanei; della qual cosa, oltre il Ruscelli, ci fa te-
stimonianza il Varchi, il quale avendone viste alcune stanze
prima che il poema fosse terminato, disse eh' erano tali
(i) Tre Discorsi di Girolamo Ruscelli a M. Lodovico Doke. In Ve-
nezia MDLllL pag. 87.
(2) Ruscelli, op. cit. pag. 88.
60 M. PELAEZ
che gli facevano credere che i Toscani avessero ad avere
Ovidio più bello che i latini; poi soggiunge : e Questo so
bene io di certo che quelle mi dilettavano più che i
versi latini non facevano » (1). E sappiamo inoltre che
egli avea acconsentito di rivedere la versione delle Me-
tamorfosi prima che fosse data alle stampe. La qual cosa
avea fatto molto piacere all'Anguillara, che cosi ne scrì-
veva all' autore dell' Ercolano ringraziandolo : e Per quello
che mi ha mostrato messer Lucantonio Ridolfi ne la let-
tera di V. S. ho conosciuto eh' io non mi sono ingan-
nato ne la confidenza che io ho sempre avuto ne la sua
bontà e dottrina. Et ho speranza, poi che con tanto buono
animo abbraccia l' impresa, di volere rivedere l'opra che
egli sa, che io non barrò consumato il tempo invano,
perché la conosco di si buon giuditio che non l'ab-
bracciarebbe se la conoscesse, per quel che n'ha potuto
vedere, talmente fuor di squadra che non fosse atta a ri-
cevere correttione alcuna > (2).
La lode che i contemporanei tributarono all'An-
guillara oggi a noi pare soverchia, e il giudizio del Varchi,
il più illustre fra quei lodatori, esagerato. Ma nessuno può
credere ch'egli fosse buon giudice di poeti, quando si sa che
gli parve bellissima e degna di molta lode anche la ver-
sione dì Ludovico Dolce. Il poema di Ovidio si prestava
molto per l'indole sua ad essere allargato ed ampliato a pia-
cere con episodi romanzeschi; e l'Anguillara infatti se-
guendo il testo Ovidiano man mano esplica in tutta la
loro storia quelle favole che Ovidio accenna solamente.
Cosi è nel libro quarto, nel quale Alcitoe, figlia di Minia ,
(\) Ercolano, Firenze MDCCXXX, nella Stamperia di S. A. R. per
gli Tarlini e Franchi. Quesito IX, pag. 332.
(2) Vedi append. lett. I. Non abbiamo altre notizie dalle quali appaia
che il Varchi rivedesse veramente l'opera dell'Anguillara.
GIOVANNI ANDREA DELL' ANGUI LLARA 61
Don volendo prender parte alle feste che si celebrano in
onore di Bacco perché:
Bacchum
ProgeDiem negat esse lovis... . (1).
e propone alle sue ancelle che ciascuna racconti per di-
letto uDa novella. Alcitoe comincia per prima ed espone
aUe sue ascoltatrici alcuni titoli di novelle perché scel-
gano la più gradita. E poiché tutti scelgono la favola
di Piramo e Tisbe , Alcitoe incomincia la narrazione
della pietosa istoria de' due amanti. In Ovidio Alcitoe
eoomerando il titolo di alcune novelle accenna con
OD verso o due al contenuto di esse ; V Augnili ara in-
vece le svolge tutte accrescendo cosi il poema di uno ve
Metamorfosi. Talvolta introduce delle favole tolte da altre
opere d'Ovidio, com'è quella che narra i lamenti d'Arianna,
che si legge fra le epistole del poeta latino (2). Ma
rAogoillara non riesce sempre felice nelle amplificazioni
ed aggiunte, perché egli non era veramente poeta ed ar-
tista, sibbene un facile e talvolta felice scrittore di versi.
Non mancano le ottave belle , le descrizioni leggiadre ;
ma spesso il voler troppo descrivere, il desiderio di entrare
ne' più minuti particolari fa si ch'egli sciupi qualche de-
licato episodio che la pur facile vena del poeta sulmonese
ba sapoto con pochi tratti ritrarre a meraviglia.
Non dispiacerà al lettore che, per saggio del modo
di tradurre dell' Anguillara , io metta qui a confronto
<IQalche brano della sua versione col testo latino. Pren-
diamo l'episodio di Piramo e Tisbe, favola che pare
sia ravenzione d' Ovidio. Ognuno ne conosce 1' argo-
li) Lib. IV, Y. 2-3. Per questo e per gli altri luoghi che citerò mi
seno deU' edizione del Mcrkel, Lipsia, Teubner MDCCCLXXXL
(iì L'ÀNGUILLARA V inserì nel libro Vili della sua versione.
62 M. PELAEZ
mento, e sa eoo quanta leggiadrìa sia narrata la favola
dal poeta latino. Orbene V Ànguillara colle sue amplifica-
zioni poco a proposito ha tolto la semplicità all'affettuosa
novella e quindi gran parte della sua bellezza artistica.
Ovidio cosi ci dipinge la bellezza dei due amanti:
Pyramus et Thisbe, iuvenum pulcherrìmus alter,
Altera, quas orìens habuit, praelata puellis (1).
E l'Anguillara:
Fra pili lodati giovani del mondo
Non fu allor né il più accorto, né il pili bello,
Né di parlar più dolce e più facondo,
Né ch'invitasse più gli occhi a vedello.
Il collo grato angelico e giocondo
Non dava indizio ancor del primo vello.
Né saprei dir chi s'avesse più parte
Nel grato viso suo Venere, o Marte.
Marte tanto v'avea, quanto il facea
Virile, e vigoroso ne l'aspetto:
Le grazie avea della Ciprigna Dea,
Che danno agli occhi altrui maggior diletto:
Tanto ch'ogni mortai, come il vedea
Dicea di non trovar più grato obbietto.
E s' ei tutti eccedea di quella etade
I giovani di grazia, e di bellezza,
Tisbe avea si dolce aere, e tal beitade.
Tal virtù, tal valor, tal gentilezza.
Che le donne che allora eran più rade.
Passò d'ogni beltà, d'ogni vaghezza (2).
0) Lib. IV, V. 55^.
(2) Ub. IV, otta?a 35.
OIOYANNI ANDREA DELL' ANGUILLARA 63
Poi finisce dicendo per tutti e due la medesima cosa ;
per Piramo:
E le donne il voleano tutte quante,
Chi per consorte aver, chi per andante.
per Tisbe:
Ed ogni uoro, d'ogni etade, e d*ogni sorte
La volea per anaante e per consorte.
Ovidio seguita:
Notitiam primosque gradus vicinia fecit:
Tempore crevit anaor (1).
E qui TAuguillara riesce a descrivere con una certa leg-
giadria il progresso di quest'amore, che ebbe il suo prin-
cipio neiraffetto reciproco di due amici d'infanzia:
Era l'amor cresciuto a poco a poco,
Secondo erano in lor cresciuti gli anni;
E dove prima era trastullo e gioco.
Scherzi, corrucci, e fanciulleschi inganni,
Quando fur giunti a quella età di foco,
Dove comincian gli amorosi affanni.
Che l'alma nostra ha si leggiadro il manto
E che la donna e l'uom s'amano tanto.
Era tanto l'amor, tanto il desire.
Tanta la fiamma onde ciascuno ardea.
Che l'uno e l'altro si vedea morire,
Se pietoso Imeneo non gli giungea:
E tanto era maggior d'ambi il martire.
Quanto il voler dell' un l'altro scorgea (2).
(1) Lib. IV, y. 59-60.
C2) Lib. IV, ottava 37 e 38.
64 M. PELAEZ
Ovidio coDtiDQa acceDoando solamente ai ritrovi de'dae
amanti (1), ma l'Ànguillara si compiace di descrivere più
particolarmente uno di questi ritrovi, e ci rappresenta i
due amanti felici di rivedersi, ma ad un tratto turbati dal
pensiero che non potranno mai compiere i loro voti.
In prima giunta l'una e l'altra vista
Lo splendor che desia, contempla, e gode ;
Gioia infinita poi l'orecchia acquista
Del soave parlar ch'ascolta ed ode:
Ma poi la mente quel pensier attrista,
E tutta dentro la conturba, e rode.
Che lor rammenta il ben vietato e tolto;
E fa che ad ambi fl pianto irrighi il volto.
La donna più veloce nel pensiero.
Pili tenera di cor primiera piange,
L'uom, sebbene è più forte e più severo,
Vedendo pianger lei, l'alma triste ange.
Ella, che '1 vorria lieto, apre il sentiero
Al gaudio, e con bel modo il dolor frange,
Ride, e rallegra : in questo, e in quello avviso
La donna è prima al pianto e prima al riso.
Ck)n un bel modo a lui ritorna a mente
Qualche beli' atto eh' ei già fece e ride.
Che '1 fé' in presenza d' infinita gente
E cosi ben che alcun non se ne avvide :
Ei che quel vago riso vede, e sente.
Che di dolcezza l'alma gli divide.
S'allegra ride e gode, e le rammenta
Qualche cosa di lei che la contenta (2).
Qui r Anguillara nella rappresentazione de' varii senti-
menti che agitano il cuore de' due amanti e nella forma
(1) Lib. IV, V. 71-77.
(2) Lib. IV, olUva 45-47.
OIOTANNI ANDREA DELL' ANOUILLARA 65
Stessa dell' elocozione non credo resti iDferiore all'Ariosto
là dove ci narra gli episodi più affettuosi del suo poema.
Ma nel resto il Nostro è assai infelice; e nella narra-
zione della fuga de' due amanti, troppo minutamente de-
scrìtta, introduce alcuni particolari che alterano la sempli-
cità e la bellezza dei versi ovidiani; come, ad esempio,
quello dalle chiavi false che Pìramo e Tisbe si procurano per
aprire nella notte le porte delle loro case (1), e quello della
bevanda che Tisbe somministra a una zia perché non si
svegli nell'ora in cui ella deve partirsi di casa; giacché:
Seco l'innamorata damigella
In una stanza ogni notte dormia;
E ben le convenia essere accorta,
Per ingannar si diligente scorta.
E però avea d'un vin dato la sera
À quella vecchia accorta e vigilante,
Il qual con certa polvere che v'era,
Di far dormir tant'ore era bastante (2).
La tragica fine de' due amanti, cosi bella e commo-
'[^Qte negli esametri ovidiani, diventa una sequela noio-
sissima di ottave nell'Anguillara, se ne togli quei punti
io Cui l'autore segue più da presso il poeta latino; e in
cp^sii neppure riesce sempre bene. Solamente le parole
Aelte da Tisbe, quando si trova davanti allo sposo mo-
reuie, non rimangono inferiori al testo latino, se pure non
lo superano. Dice Ovidio :
Hiscuit, et gelidis in vultibus oscula iìgcns
« Pyrarae claraavil, quis te mihi casus ademit?
Pyrame, responde: tua te carissime Thisbe
Nominat, exaudi, vultusque attolle iacentes I » (3).
(1) Ub. IV, oUava 77 e 78.
tì) Uh, IV, ottava 87 e 88.
(3) Lab. IV, V?. UUÌU.
VoL IV, Parte I. 5
66 M. PELABZ
E rAngoillara:
Bacia più volte il suo pallido volto,
E chiama l'amor suo più che può forte:
Dolce Piramo mio, chi mi t*ha tolto?
Rispondi a T infelice tua consorte:
Chi della vita tua lo stame ha sciolto?
Qual fato o qnal cagion ti die la morte?
Rispondi a chi tu sai che tanto t*ama,
A la tua cara 'Hsbe che ti chiadia (1).
Poco dopo Piramo muore, e Tisbe che vuol seguitarlo
nel destino, s'uccide anch'essa:
Dixit, et aptato pectus mucrone sub imum
Incubuit ferro, quod adhuc a caede tepebat (2).
Cosi finisce l' episodio nel poeta latino, che ha manife-
stato una grande potenza drammatica nella rappresenta-
zione della tragica fine de' due miseri amanti. Nel poema
italiano invece la morte di Tisbe è ritardata tanto che
essa abbia il tempo di lamentarsi per una diecina d'ot-
tave, e di raccontare il destino suo e quello di Piramo
a un pellegrino che capita li per caso e che poi deve
andare a riferir tutto ai genitori de' due amanti. E la
morte pietosa di Tisbe, perde con ciò tutto il colorito
drammatico e il vigore della passione che ha nel poeta
latino.
Nel modo stesso che la storia di Piramo e di Tisbe,
da noi esaminata , traduce 1' Anguillara il resto delle
Metamorfosi. E mi pare si possa stabilire che il
poeta sutrino avea una grande facilità di far versi, ma
non il senso squisito dell' arte , non un ingegno vera-
(1) Lib. IV, 162-163.
(2) Uh. IV, ottava 132.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANOUILLARA 67
mente poetico. Forse avrebbe potato far meglio, come
rivelano qna e là, qaasi sprazzi di luce istantanea, talune
ottave veramente belle, ma la sua prolissità, e la forma
troppo spesso imperfetta rendono la sua versione in
moltissime parti noiosa a leggersi. Il Trezza in una re-
censione della versione delle Metamorfosi fatta dal Bram-
billa cosi parlava di Giovanni Andrea: e L'Anguillara
stemperò nelle sue ottave, alle quali non manca una certa
agevolezza, le imagini del poeta: è traduttore capriccioso
cbe stravena ogni tanto in variazioni bizzarre ; volgarizza
Ovidio cosi per far prova d' ingegno, ma non ha V istinto
fine dell'artista (1). > E il Brambilla stesso nella prefa-
zione alla sua versione, passando in rassegna i varii tra-
duttori delle Metamorfosi, giunto all'Anguillara cosi dice:
( LWnguillara possiede la facilità di far versi, non di far
poesia; la facilità dello Sgricci, non quella dell' Ariosto.
È spesse volte negligentissimo e disadorno; di rado ha
la piacevole sprezzatura del Berni e la naturalezza ele-
gante del Poliziano : il suo stile a quando a quando è
poetico e mostra in lui T attitudine a scriver bene, ma
per lo più mancante di lima e prolisso i» (2).
IV.
Il successo della traduzione delle Metamorfosi allettò
il poeta ad un' altra opera simile. Infatti nel 1564 egli
pubblicò come saggio il primo libro dell'Eneide di Vir-
(i) l'Arte nei Miti di G. Trezza. Politecnico 1846, voi. XX.
(•) Ihtfazione alla versione delle Metamorfosi. Milano, Sonzogno
*^» pag. 25.
68 M. PELAEZ
gilio, ridotto anch'esso ìd ottava rima (1). Il nuovo poema
è dedicato al Magnanimo Cardinal di Trento:
Io che già il grande Henrico hebbi secondo
Che fu del Franco imperio imperatore,
Mentre la prima orìgine del mondo
Cantai nel regno suo col suo favore,
E con stile hor pietoso, bora iracondo
Fei trasformar Hiacinto, e Aiace in fiore.
Fin che tutte da me furon cantate
Le forme in novi corpi trasformate:
Chiedo hor secondo al mio novo argomento
Che ila spero maggior di rima, e d*arte.
Te, Signor mio, te, Cardinal di Trento,
Moderno Augusto a le moderne carte,
Mentre con più coraggio ardisco e tento
Voler cantar Y horrende arme di Marte,
E quel grande huom eh' a Danno il figlio uccise
E fu figliuol di Venere e d*Anchise (2).
Dopo la dedica il poeta passa a giudicare l'opera
che sarà per compiere e colla quale spera di acquistare
grande gloria:
Non paia al saldo tuo giudicio intero
Questo agli homeri mici troppo gran peso;
Che se M favor che da te bramo, e chero,
E quel del ciel non mi sarà conteso,
(1) Della Eneida j Di Virgilio | Libro primo Ridotto da Giovanni An-
drea I Dell*Ànguillara in oliava rima | ÀI Magnanimo Cardinal di Trento |
In Padova | Appresso Grazioso Perchacino j 1564. Questa edizione fu ri-
prodotta l'anno seguente a Venezia da Domenico Farri.
(2) Lib. I, \'2. Per questa e per le altre citazioni mi servo del-
r edizione moderna parmense dei due libri dell'Eneide: // libro Primo e
il Secondo dell' Eneida di Virgilio Ridotti in Ottava Rima da Gio-
vanni Andrea Dell*Anguillara diligentemente ristampati. Parma, Per
Giuseppe Paganino MDCGCXXXI.
OlOYANNI ANDREA DELL' ANGUILLABA 69
Portarlo ìd breve tempo al tempio io spero
(Perché vi resti eternamente appeso)
Dove l'eternità s'acquista e gode
Non senza d'ambedue contento, e lode (1).
Neil' nltima carta dell' edizione di questo primo libro
si legge QDa nota cariosa: e Tutti quelli che ringratie-
nmo l'autore del dono almeno con parole o con lettere
saranno trovati da Enea nei campi Elisi, dove saranno
da Ancbise lodati: gli altri per avventura si ritroveranno
neir inferno non senza colpa loro. La risposta s'indirizzi
aVenetia alla Libreria della Serena. > Da questa nota
s'è creduto che l'Anguillara facesse stampare a sue spese
il volumetto e lo mandasse in dono a' suoi amici ed ai
letterati; e infatti egli stesso ci dice in una lettera al duca
di Parma e Piacenza , della quale parleremo appresso ,
che mandò il volumetto a tutti i principi d' Italia. Abbiamo
poi altre testimonianze di ciò nelle dediche apposte agli e-
semplari che ci rimangono di questa versione dell'Eneide (2)
e in una canzone colla quale il poeta invia alla principessa
di Firenze il secondo libro tradotto (3).
(1) Op. cit ottava 4.
[ì) L'esemplare che ho veduto io nella Biblioteca Angelica di Roma
coolieoe b dedica seguente: e Al Signor Angelo de* cesi | Gio-
vimi Andrea deli'Anguillara | dona di propria mano. » Abbiamo inoltre
Qoa lettera coUa quale il Nostro invia al Duca di Parma e Piacenza que-
^ primo libro dell* Eneide. Di essa parleremo appresso.
(3) Canzone | di Giovanni Andrea | DeirAnguillara | alla Serenissima
Principessa di Fiorenza | Con licenza et privilegio | In Fiorenza | Appresso
i (dODti 1 1566.
Canzon, di' eh* io dirò con novi studi
L*alte virtudì, ond'ella bave la palma
De le doti de l'alma,
E ch'ella intanto in te vegga e conosca,
E nel libro eh' io mando^ ov arde Troia,
Quanto ogni cosa tosca
Sia per portare a lei contento e gioia.
70 M. PELAEZ
Ma rAnguilIara, che sperava di poter condurre a
termine l'opera in breve tempo, dne anni dopo non avea
finito che il secondo libro (1); e lo inviava al Cardinal
di Trento, scusandosi di non aver potuto fare di più.
e Quando, Magnanimo Signor mio, io promisi a V. S. il-
lustrissima nel principio di quest'opera di condurla in
breve al suo segno, non pensai che V infermità del corpo,
e rinquietudine dell'animo nata da la mutation di loco a
loco, e da mill'altre cure, che per brevità si tacciono, mi
havessero a perseguitar tanto, quanto mi hanno perse-
guitato, però se in due anni dopo la promessa non le
mando altro libro finito, che questo secondo, non mi
chiami mancator de la mia parola, poi che tutto è nato
da legitimo impedimento, e rendasi sicura, che se per
r avvenire io mi potrò ritirare a quella quiete , eh' io
spero in breve , userò tal diligenza nel finir gli altri ,
che supplirò a quanto in questi due anni contra mia
volontà ho mancato j) (2). La quiete a cui il poeta
pensava era Sutri, la sua patria, come scrive nel Giugno
del medesimo anno a Francesco Bolognetti a Bologna.
« 11 Cardinal di Trento desidera ch'io finisca il Ver-
gilio, et mi ha detto di volermi assegnare il vitto per
me, et per un servitore in vita mia, che me lo possa
spendere dove piace a me, di modo ch'io sono sforzato
a finirlo, però penso di ritirarmi a Sutri. dove spero di
finirlo in due anni, e poi voglio ad ogni modo abbrac-
ciare un poema nuovo e forse in questo mezzo avremo
comodità di parlarne insieme » (3). Non sappiamo se
(1) Il Secondo Libro | Della Eneida | Di Vergilio | RidoUo da Gio-
vanni I Andrea DeirÀnguillara | In ottava rima | Al Magnanimo | Cardinal
di I Trento | In Uoma | Appresso Giulio Bolani degli Accolli | In Banchi,
nella strada Paolina 1566.
(2) Lettera dedicatoria neir ediz. cit. del secondo libro dell* Eneide.
(3) Questa lettera trovasi a pag. 407-9 degli Anecdota LiUeraria
che abbiamo già citati.
aiOYANNI ANDREA DELL* ANGUILLABA 71
siasi ritirato a Sutri, come desiderava; ma forse tradusse
qualche altro libro dell' Eneide, se è vero quel che Cesare
Capaccio scrive ne' suoi Elogi e Summa cum felicitate
aliquot etiam Virgili libros Anguillara transtulit et in turpi
corpore nobile ingenium ostentavit > (1). Ma all' infuori
di questa non abbiamo altre testimonianze.
I due libri dell' Eneide non ebbero la fama delle
Metamorfosi, naturalmente per non avere il poeta com-
piuto l'opera. Nondimeno Annibal Caro gli tributò molte
lodi, e ringraziandolo di una copia di essi che il poeta
gli avea mandato scriveva : e ... vi ringrazio del dono che
m avete mandato ; il quale ho per tale, che non mi ba-
sta l'animo di darvene la ricompensa eh' io potrei d'un' al-
tra traduzione di fino a quattro libri del medesimo Vir-
gilio, che ancor io per una certa prova mi trovo aver
(alto in versi sciolti. Penserò dunque a ricompensarvene
con altro, per non venire a paragon con voi d'una cosa
medesima > (2). Se non che i posteri, con tutto il ri-
spetto dovuto all' illustre traduttore di Virgilio , lungi
dair accettare questo giudizio, resero piena giustizia alla
Mia infedele^ come fu chiamata la versione del Caro e
le diedero su tutte la palma. L' Anguillara non fece una
iradozione dell' Eneide, come non ne avea fatto una delle
Metamorfosi; nell'uno e nell'altro caso egli prese la ma-
teria da' poeti latini e ne compose un poema italiano,
srìeggiante i poemi romanzeschi che in quel tempo erano
in voga. Con tutto ciò il poeta verseggiando nella nostra
lingua la materia dell' Eneide, non ampliò e non aggiunse
lanto quanto avea fatto nelle Metamorfosi. Questo trova
Is sua ragione nell'indole diversa de' due poemi latini: le
(1) Op. cit loc. cit
(2) Voi. II, pag. 376 delle Lettere familiari, Padova, Giuseppe Co-
■^ CIDI3CCXXV.
72 M. PELAEZ
Metamorfosi essendo la Darrazione di favole molteplid
DOD legate veramente da un' unità assolata, poteano fa-
cilmente accogliere nnovi miti e non essere danneggiate
nella tessitura generale; T Eneide invece, poema epico nel
vero senso della parola, con unità d' argomento, non po-
teva essere allargata con nuove favole e nuove invenzioni
senza che l'armonia delle parti fosse turbata. Qui TAn-
guillara si contenta solamente di ampliare i concetti vir-
giliani, descrizioni, battaglie: e non vi riesce sempre
bene. Facciamo qualche raffronto. Il famoso verso:
TaDtae molis erat RomaDam condere gentem (1).
non guadagna punto nell' ottava che ne ha cavato fuori
il Nostro:
Senza difficoltà dod si può dare
Un stabii fondamento a Talte imprese,
E però d'uopo fu che intorno al mare
Scorresse ogni disagio, ogni paese:
Che dovendo il Roman nome fondare
Che in ogni ragion Y imperio stese,
Dovea fondailo com' era prescritto
Un popolo indefesso aspro et invitto (2).
La minaccia di Nettuno mi sembra invece resa ab-
bastanza bene. Virgilio:
Quos ego..... Sed motos praestat componere fluctas.
Post mihi non simUi poena commissa luetis (3).
(1) Eneide, lib. I, v. 33. Per il testo ?ii^ano cito sempre F edizione
del Sabbadini; Torino Loescher 1884.
(2) Op. cit lìb. [.
(3) Edii. cit lib. I, ?. 135-136.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA 73
L'ÀDcniUara :
Bench' io contra di voi.... ma si conviene
Pria Tarmata salvar ch'ondeggia ed erra,
Prima colmar conviene il mare e il tempo,
Poi il castigo di voi Oa sempre a tempo (1).
La descrizione della casa dei venti, se non raggiunge
la bellezza delForiginale, non rimane tuttavia molto infe-
riore ad esso. Eccone un brano. Virgilio :
Ali indignantes magno cum murmure mentis
Circum claustra fremunt, celsa sedet Aeolus arce
Sceptra tenens mollitque animos et temperat iras (2).
^'Anguillara traduce ed amplia felicemente:
Di natura essi impazienti e fieri
E vaghi di goder là luce, e '1 giorno,
Fremono entro a que' claustri, e i monti alteri
Tremare mormorar fan d' ogn' intorno ;
Ma quindi ognun di loro uscir non speri.
Se *I Re, che in tribunale alto e adorno
Superbo siede, e tien Io scettro e regge
Non dice chi vuol eh* esca e con qual legge (3).
^ cosi non mancano nella descrizione della tempe-
f^^^y Sorta per desio di Giunone, alcune belle ottave
^^ traducono talvolta e talvolta ampliano il testo. Quando
P''<>cella è al colmo, cosi è ritratta dall' Anguillara :
^^) Exliz. ciL lib. I.
(2) EdÌL CiL Ub. I, w. 55-57.
(3) EUlii. cit Ub. I.
74 M. PELAEZ
Fremono i venti rei, morraoran Tonde,
E r aere in pioggia e in giel tutto si sface.
H lampo chiama il tuono e il tuon risponde,
E porta spesso in giiì Teterea face.
Tanto che Tuman grido si confonde:
Stride e comanda ognun, nulla si face
E gli oltraggi e gli strazi d'ogni sorte
Minaccian presta e inevitabil morte (1).
Né è meno bella la descrizione della calma.
Lieta Cimathoe toglie il corso a Tonde,
E le Nereidi con la propria palma
Perché la classe frìgia non s'affonde
Sollevan liete, e' il mar tornano in calma.
Per Tacque intanto lucide, e gioconde
Se ne va Dori gloriosa, e alma ;
Va su '1 carro Nettuno, e si compiace
D'aver tanto romor ridutto in pace (2).
Abbiamo accennato ad ana lettera di Giovanni Andrea
dell' Anguillara al Duca di Parma e Piacenza colla qaale
gT invia da Padova nel 1564 il primo libro delT Eneide. II
poeta era solito mandarne a tutti i principi d'Italia perché
tutti concorressero ad aiutarlo; a ciascun d'essi poi scriveva
che da lui desiderava un aiuto maggiore perché si vedesse
che egli era il suo primo Patrono, e Come sia finito il
resto, le manderò il volume intero, scrive al duca; ma é
necessario, acciocché io il possa finire, che ella mi mandi
quelTaiuto che si richiede alla sua grandezza e magna-
nimità, et al mio amore e bisogno. Io ne mando per
questo efi'etto a tutti i principi d'Italia, perché tutti con-
corrano ad aiutarmi: ma vorrei bene che il Duca di
(1) Ediz. cit. lib. I.
(2) Ediz. cit. lib. I.
OIOYANNI ANDREA DELL' ANGUI LLARA 75
Panna facesse conoscere al mondo che egli è più mio
patron degli altri, e che mi ama più degli altri; si comMo
SODO a S. Ecc.za più servitor che agli altri e la osservo
più degli altri. > La fine della lettera è curiosissima : il
poeta scherza col Duca e gli promette di mandarlo al-
rinferoo quando sarà arrivato al sesto libro dell'Eneide,
se non corrisponderà degnamente a' suoi desideri : e E
piaccia a Dio che non mi bisogni mandare e lei e gli
altri tutti a casa del Diavolo, e che Enea non abbia troppo
da fare ne l' Inferno a parlare con tante anime dannate,
quante io son per mandarvene se non fanno il debito loro.
Si die ella si porti bene meco, se non vuole andare a
r inferno, prima che mora > (1).
Oltre le Metamorfosi e una parte dell' Eneide pare
che TAnguiUai^a abbia ridotto pure in ottava rima V Ars
amndi di Ovidio : il qual lavoro probabilmente è da cre-
dere posteriore ai primi due poemi, perché mentre l'An-
goillara attendeva a questi non ne fa mai cenno in nes-
suna lettera (2). Ad ogni modo la versione dell' Ars a-
mndi è stata sempre inedita , né io per quante rìcer-
cbe abbia fatto, ho potuto ritrovarla. Che Giovanni An-
drea l'abbia fatta si rileva dalla prefazione agli Anecdota
(1) Questa lettera fu pubblicata la pi-ima volta dal Ronchini nel
primo Tolume delle Lettere d'uomini illustri conservate in Parma nel
fi Archivio di Stato. Parma, Dalla Reale Tipografia MDCCCLHI; pag. 63,
^ questa lettera sì può arguire come TAnguillara avesse intenzione d'ag-
giungere altre cose nel sesto libro dell* Eneide e probabilmente vendi-
carsi per mezzo della discesa di Enea air Inferno (lib. VI) di quei prin-
cipi che aveano fatto orecchie di mercante alle sue sfacciale domande.
[ì) Potrebbe essere il poema che V Anguillara aveva intenzione di
scrJTere quando, finita 1* Eneide, voleva ritirarsi a Sutri. Abbiamo visto
che a questo egli accenna in una lettera al Bolognctti : e .... penso di ri-
^nni a Sutri dove spero di finirlo (il poema dell* Eneide) in due anni
^ 1^ voglio ad ogni modo abbracciare un poema nuovo.... » Anecdota
littnma cit pag. 410.
76 M. PELAEZ
Ldtteraria più volte citati. In questa prefazione si legge:
e Se tu, lettore, non avessi altra idea del talento poetico
di Giovanni Andrea dell' Anguillara, che la presente can-
zone, tu ne avresti un'assai meschina. Sovvengati della
sua bella versione delle Metamorfosi, e del primo libro
dell'Eneide che t'indicai in questi anegdoti nella prefa-
zione a Monsignor Zondadarì, e vedrai che Giovanni An-
drea se non era gran poeta, era certo leggiadro e felice
versificatore. Io non dubito che sia egualmente bella an-
che la versione pure in ottava rima che egli fece del-
l' Arte di amare d'Ovidio, la quale inedita e scritta di sua
mano conservasi in Ferrara > (1). E il P. Stefano Mar-
cheselli nella lettera seconda inserita nella Nuova Rac-
colta d'opuscoli scientifici e filologici fa pure menzione di
quest'opera dell' Anguillara. e Quanto ad Ovidio del-
YArte amatoria, non sarà discaro agli amatori delle no-
stre lettere, ch'io faccia loro sapere esistere presso eru-
dita persona qui in Ferrara una traduzione in ottava ri-
ma felicissimamente lavorata dal famoso Giovanni Andrea
dell'Anguillara di propria mano dell'autore > (2).
V.
Nel Giugno del 1561, come abbiamo detto (3), l'An-
guillara era a Venezia, e vi si trovava ancora il 22 Mag-
gio 1563, come si vede da una lettera che scrisse al duca
(1) Anecdota Litteraria pag. 4^.
(2) Nuova Raccolta d' opuscoli scientìfici e filologici^ Venezia
MDCCLXXII, presso Simone Occhi. Tomo 22. Feci ricercare, ma invano,
la detta versione a Ferrara dall'egregio Prof. Severino Ferrari, al quale
rendo qui le debite grazie.
(3) Cfr. appendice lett. II.
GIOVANNI ANDBEA DELL* ANQUILLARA 77
Cosimo 1 (1), della quale ci occuperemo appresso, e forse
Ti restò fino ai primi mesi del 1564. Nel Maggio di que-
sto anno era a Padova e attendeva alla pubblicazione del
primo libro dell' Eneide, e nel Febbraio del 1565 ritornò
a Venezia dove pubblicò per la seconda volta il primo
libro dell' Eneide (2) e una sua tragedia intitola Edg)o (3).
L'Àngnillara l'avea già scritta probabilmente durante il suo
soggiorno in Francia, e nell'anno 1556 l'avea fatta stam-
pare (4) e rappresentare in Padova nella casa di Luigi Cor-
oaro, come si ricava da un' epistola di Girolamo Negri a
Paolo Ramusio scritta appunto in quell'anno : e Anguil-
larios Descio quis, poeta plebeius, exeunte febrnario mense
proximo fabulam daturus est Populo Patavino. Tota ut
audio Etnisca est. Apparatus fit maximus in aedibus
Alojsii Comeliì. Si libuerit quaternas horas perdere bue
(i) Fu pubblicata la prima volta dairautografo che trovasi nel car-
teggio di Cosimo I, da Cesare Guasti nel Giornale Storico degli Archivi
a Toscana voi II, pag. 2i\, Una copia di questa lettera si trova nella
Marciana di Venezia nel Codice XL della classe X' it. a pp. 23^ - 27^.
n Nispi-Iandi nella sua Storia dell' Antichissima città di Suti^i, Roma,
Desidpri-Ferretti, 1887, in un breve cenno che fa della vita dell' Anguil-
iara dice che questa lettera fu pubblicata dal Gamba nelle Memorie dei-
WiteiKo Veneto, ma non dà altre indicazioni più precise. Io non ho po-
tuto trovare, per quante ricerche abbia fatto, questo fascicolo delle
^mrif. Se è vera la notizia del Nispi-Landi, la lettera dell' Ànguillara
sarebbe stata pubblicata prima che dal Guasti, dal Gamba che, come è
00(0, morì nel 18ii. Siccome il Gamba fu negli ultimi anni della sua
Tit2 bibliotecario della Marciana di Venezia , cosi credo eh' egli abbia
pubblicato la lettera dell' Ànguillara di sulla copia che si conserva ap-
puDto io quella biblioteca.
{ì) Vedi nota 1 a pag. 68.
(3) Edipo, Tragedia, In Venezia presso il Pam, 1565.
(i) Edipo I Tragedia di Gio. Andrea | Dell' Ànguillara | allo illustris-
simo signore | il Sign. leronimo Foccarì | in Padova | Per Lorenzo Pa-
squatto I MDLVI.
78 M. PELAEZ
accedito > (1). II Tiraboschi e tutti qnelli che in appresso
parlarono di questa tragedia dissero che nel 1565 fu
rappresentata per la seconda volta a Vicenza e che per l'ocr
casione i Vicentini fecero costruire apposta un teatro, t E
fu questa tragedia medesima che venne poi recitata con
somma pompa nel 1565 in Vicenza, colla quale occasione
quei cittadini dal famoso loro architetto Palladio fecero co-
struire un magnifico teatro di legno nel Palazzo della
Ragione > (2). Ma il Tiraboschi, che dice di aver attinto
questa notizia dal Temanza (Vita di Andrea Palladio) non
è esatto. Infatti odasi quel che dice veramente il Temanza:
e I Signori Vicentini che nella magnificenza emularono
mai sempre le più cospicue città della Lombardia diedero
nel Carnevale del 1561 nuovi saggi della grandezza del-
l'animo loro, colla rappresentazione della tragedia intito-
lata Edipo. Perciò fecero costruire dal Palladio un teatro
di legno nella sala del Palazzo della Ragione. Fu egli cor
tale maestria e magnificenza rizzato, che potevasi forse
paragonare agli antichi. Vi dipinse il Fasolo ed il Zolotti
eccellenti pittori. La rappresentazione fu fatta con tanta
pompa e dispendio si grande che recò a tutti sorpresa » (3).
Da quel che dice il Temanza in vero non si ricava che
V Edipo rappresentato a Vicenza sia quello dell' Anguil-
lara, giacché nelle sue parole non si trova nominato l' au-
tore del dramma. Quel che però si può affermare è che il
teatro del quale fu autore Andrea Palladio nel 1561 era
già edificato. Non solamente: ma in questo stesso teatro
l'anno seguente fu rappresentata la Sofonisba del Tris-
(1) Epistole, p. 120 dell'edizione romana, 1767.
(2) Tiraboschi, Sioria della letteratura italiana; Firenze, Holini
I^ndi e C. MDCCCXII, Tomo VII. Parte III, pag. 1280.
(3) Vita di Andrea Palladio Vicentino, egregio architetto, scritti
da Tommaso Temanza, In Venezia HDCCLXH presso Giambattista Pa
squali, p. 17.
GIOYANNI ANDBBA DELL* ANQUILLARA 79
sioo, siccome avverte nel medesimo luogo il Temanza (1).
L' Ed^ deir Angoillara d' argomento greco , come mo-
stra il titolo, non è una traduzione, come tante se ne fe-
cero nel cinquecento de' drammi greci, ma un rifacimento.
1d esso il poeta segui principalmente Sofocle e v' intro-
dusse alcuni particolari dell' Edipo di Seneca (2). Alla
favola poi del mito di Edipo fece seguire una parte delle
lotte fra Eteocle e Polinice, figli del re di Tebe che for-
mano l'argomento di un altro dramma greco / sette a Tebe.
lootiledire come tutta la tragedia non abbia alcun pregio,
guasta specialmente da quest'ultima inutile aggiunta a un'a-
zione che ba il suo pieno sviluppo nel riconoscimento
della colpa di Edipo. Quindi non si può considerare né
00 bnon lavoro originale, né una mediocre traduzione di
Sofocle, e nemmeno una felice imitazione del poeta greco.
1 latini l'avrebbero chiamata una contammatio, perché
coDìprende le due favole di Edipo e de' Sette a Tebe ;
Dia è ana infelice contaminatio, è un vero pasticcio co-
oie la disse il Symonds : e A more repulsive tragicomedy
thao Ibis pasticcio of Sofocles and Seneca, can scarcely
bd imagined > (3). Poco a proposito sono le aggiunte
dell'Anguillara, poco a proposito quelle prese in prestito
da Seneca : sopratutto la prima scena fra 1' indovino
Tiresia e la figlia, introdotta dal Nostro, toglie tutto
r interesse del dramma, perché ne preannunzia già lo
(1) L.a stessa cosa conferma Sihestro Castellini nella sua Descrizione
dfìk ritta di Vicenza dentro dalle mura; Vicenza, Tipogr. Vescovile di
Giuseppe Staider 1885. Se V Edipo di cui parla il Temanza in questo
bw^ fosse quello dell' Anguillara , allora sarebbe stato rappresentato a
Vicenza due volte nel 1561 e nel 1565.
[ì) Vedi il bellissimo esame che ha fatto di questa tragedia Francesco
Ii'Ovmio nei suoi Saggi Critici^ Napoli, Morano 1 879, pag. 272 e segg.
(3) Renaissance in Italy. Londra, Smith, Clder and C. 1881, Parte II,
80 M. PELAEZ
scioglimento. Né i contemporanei del poeta la gindi-
carono più benevolmente. Infatti Giason de Nores par-
lando de' viziosi episodi della tragedia dà un giudi-
zio severo di quelli dell' Anguillara colle seguenti pa-
role: « Tai si può dir che siano quelle gionte del-
l' Anguillara attaccate fuor di proposito , ed oltre ogni
convenevolezza, e necessità della favola di Edipo di So-
focle. Imperocché ovvero egli ha aggregato episodi non
necessari!, ovvero Sofocle ha mancato d'introdurre quei
che grandemente si richiedevano. La qual cosa noi dav-
vero non crediamo > (1).
VI.
Per gli anni dal 1561 al 1565 non sappiamo altro
se non che il Nostro nel '62 era a Venezia ed assistè alla so-
lenne entrata del duca di Ferrara Alfonso II d'Este, a
cui indirizzò una canzone (2) ; nel '63 vi si trovava an-
cora e nel '64 era a Padova, come ne fanno testimo-
(1) Parte prima della Poetica a car. 18. Id Padova appresso Paolo
Maictto 1588.
(!2) Canzone | ÀIF Illustrissimo | et Eccellentissimo | Signore Duca |
di Ferrara | DelPÀnguillara | In Venezia 1562. L' Anguillara avea scritto
questa canzone, per avere, secondo il solito, una ricompensa dal duca,
ma questi non soddisfece il desiderio del poeta, il quale se ne lamenta
nella lettera a Cosimo I: e .... non mi voglio mai più impacciar con
principi perchè non m* ìntravenga cogli altri quello che m* è intravenuto
col duca di Ferrara che per havei^li presentato una canzone fatta da
me a lui e per lui nella superba entrata ch*egli fece in Venezia non mi
vuol più né veder né parlare, come se io Ta vessi ingiuriato a lodarlo. >
Vedi la citazione a pag. 77 nota 1. Questa canzone al duca di Ferrara
è stata ristampata, or non è molto, dal Prof. Patrizio Antolini per Nozze
Agnclli-Albieri, Dicembre MDCCCLXXXIX, Tipografia Argentana. Rin-
grazio qui il Prof. Antolini che cortesemente, dietro mia richiesta, me
ne inviò una copia.
GIOYANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA 81
nianza due lettere: la prima scritta da Venezia al duca
Cosimo I, la seconda da Padova al duca di Parma e
Piacenza. Queste lettere sono di una importanza gran-
dissima, perché ci rivelano il carattere dell' Angoillara, e
ci dimostrano come egli, che era tanto cortigiano e basso
adnlatore di principi quando avea bisogno di loro, tuttavia
li trattasse alcuna volta acerbamente. Della lettera al duca
di Parma e Piacenza abbiamo già parlato (1) : la cagione
della lettera a Cosimo fu questa. Il poeta avea indirizzato nel
Dicembre del 1562 una canzone a Cosimo de' Medici, della
quale non posso dir nulla perché non mi è riuscito di tro-
Tarla (2). Il duca di Firenze né rispose né gli mandò alcuna
ricompensa, come il poeta desiderava. L'Anguillara, pas-
sati sei mesi da quel tempo, nel Maggio del 1563, gli
scrisse una lettera nella quale, lamentandosi dapprima di
ooD avere avuto alcuna risposta, entrò di poi nel sospetto
che il duca non avesse ricevuto la canzone. < La qual
cosa mi fece cominciare a credere, che ella non l'avesse
arata; perché sapendo io per vere relazioni quanto ella
sia diligente e cortese nel rispondere, mi pareva impos-
sibile, se l'havesse havuta, che non mi havesse almen
renduto canzon per canzone, come par che da un tempo
in qua si sia cominciato a usare, e come da più d'uno,
da poi ch'io cominciai a canzonare mi è stato risposto » (3).
Continua l'Anguillara dicendo che il Duca di Fiorenza
non potrà rispondergli, come altra volta fece il Duca di
Ferrarajl quale avendo ricevuto dal Nostro una canzone
in morte del Duca di Guisa (4) fratello di lui, fece scri-
(1) Vedi a pag. 75 nota 1'.
(ì) La trovo citata dal Mazzuchelli e da altri : Canzone al Duca
di Firenze. Io Padova per Grazioso Perchacino 1562, in 4°, in un foglio
solo.
(3) Lett. dt. a Cosimo.
(i) Non ho trovato questa canzone, né Tho vista citato da alcuno.
VoL IV, Parte I. 6
82 ^■
vere al (k^u òf sk» Si^icnftxì {ht wm rìgiurdaDdo
qodb dirétui&ccitr i> p>efSr:<;jt i^ 'ì:^:^ & Ferrara, qoesti
Doo aT<4 ikini iS'jTirc' ci ridcttpectsanielo. e La qoal
rispcisia UÀ cfani$c b b:«roiL e mi trafissa ia un mede-
smo puDló: i^cbè itM s^iy mi esrkis^ daUa risposta
del kc p»dr:4>e. ma da qatiisM dei Cafdmal di Loreoa (1);
ooD aTeodù b mia caia«ooe mTeslìild per diritlo filo la
perHwa di S. SizDcrà ReTcreodisàBa e dod pafiando
di lei > *i*' ^ b camoDe di coi porta qui rAogoiDara
si rifeffttce dv^Hiameoie a Cctsìmo. qimMli noo resta a
credere altro che Q Daca o-jq rabt4a hceTuta. Nel qoal
caso D pcKia io pre:ga che se b faccia dare da doD Sil-
Tano Razn, monaco di CamaldoS. che Tarea amta e aYca
mandato a suo tempo ima splendida ricompensa al poeta.
€ Che don Silvano n*babbìa copa ne son sìcoro, perché
non solo mi rispose di baverta avnta e me ne ringratiò
con parole, ma in ricompensa mi mandò on presente di
bTori in tele finissime. Tanto che se tntli quelli ai qnafi
bo diretto canzoni mi arassero risposto in questa maniera
€ mi troverei barer più tele e più lavori nelle casse che
versi in stampa > (3k E si consideri ancora che b canione
non riguardava affatto il Uberai frate Camaldolese. A que-
sto punto comìDcia nella lettera una sfuriata contro tutti i
principi del tempo ai quali dà il titolo di asini perché
non sanno giudicare e rettamente compensare le opere
de' poeti. € Questa è pure una gran cosa, che i frati,
che altre volte solevano ha ver dell'asino, habbiano oggi
del Duca e del Cardinale, et ascoltano i canti de' poeti
con l'orecchio d'Augusto, e i duchi e i cardinali che altre
(t) Pare che rAnguiUan abbia mandato b suddetta camoiie anche
al Cardinale di Lorena.
(2) LelL ciL
(3) LetL ÓL
QIOYANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA 83
Tolte solevano averdeirAugasto, abbiano hoggi del frate,
per non dire dell' asino et ascoltino i versi de' poeti con
Torecchie di Mida ! 0 Apollo, to mettesti già un par d'o-
recchie d'asino al re Mida, per far conoscere a Sua Mae-
stà et al mondo, che egli havea avuto un giudizio da
asino a giudicar che il canto di Pane fosse miglior del
tuo, che sei il maestro, e il piffero delle muse ! E tu le
mettesti al re Mida, solo perché in quel tempo non si
troTÒ altri che Mida di quel giudicio. Ma se tu hoggidi
haressi a metter l' orecchie dell' asino a tutti coloro che
Del giudicare i canti de' poeti hanno il giudicio del re
Mida, ti bisognerebbero tante orecchie d'asino che faresti
restar senza orecchie tutti gli asini di Toscana e di Ro-
magna. Hor se la Eccellenza Vostra mi dirà che in que-
sta lettera io ho dell' asino, scrivendo a chi scrivo , e fa-
cendo tante volte menzion dell'asino senza una riverenza
al mondo, io non risponderò già che ha avuto dell'asino
anch'ella a star sei mesi senza rispondermi (che io voglio
parlare con quei rispetto che debbo) ma dirò bene au-
dacissimamente che il disprezzo che ella ha usato verso
la persona mia non ha avuto del Duca; che non credo
però che de' par miei ne trovi le migliaia per le siepe
di Tboscana come delle more selvatiche : e poi, quando
in questo io havessi havuto alquanto dell' asino, non sa-
rebbe meraviglia, perché io sono stato tanto in corte, et
ho praticato tante corti e con tanti asini, che è uno stu-
pore, che io non sia un asino stesso » (1). E non finisce
ancora d' insolentire , ma seguita dicendo che i principi
^no appunto il rovescio dell'asino d'Apuleio, che mentre
questo avea l' effìgie d' asino e la mente d' uomo, quelli
hanno r effìgie d'uomo e la mente dell'asino. E d'ora in-
nanzi non vuole più impacciarsi con Principi, perché non
(1) Leu. ciL
84 M. PELABZ
accada nuovamente quello che gì' intervenne a Venezia
per l'entrata solenne del Duca di Ferrara. E qui narra
di un* altra disgrazia toccata ad una sua canzone. Noi ab-
biamo detto che l'Anguillara trovavasi nel '62 a Venezia
nella solenne entrata del Duca di Ferrara, al quale in-
sieme con altri egli fece omaggio d' una canzone (1) : .or-
bene i suoi compagni ebbero un segno di ricompensa o
come dicevasi < di riconoscimento » ; il nostro poeta noa
ricevette nulla perché, dicevano i ministri del Duca, egli
era stato riconosciuto altra volta a Ferrara prima ch&
< canzonasse » (2). Cosicché il Nostro al colmo dello
sdegno esclama nella lettera a Cosimo: < Pur bavere^
imparato.... di non dir mai più bene né de' morti né de'
vivi e spezialmente di que' vivi che m' bau fatto del bene. >
La lettera di cui abbiamo parlato è tutta una sa-
tira a Cosimo e al duca di Ferrara, satira che trascende
invero i limiti del giusto e dell' onesto. L' Anguillara stesso
ci dice che la presente lettera dovea essere una satira
in versi, ma eh' egli la scrìsse in prosa , ricordandosi di
quello che una volta gli avea detto in Francia un Fio-
rentino, cioè < che se le lettere di cambio si facessero
in versi, non se ne pagherebbe mai ninna (3) ». Ed il
Nostro questa volta attendeva senza dubbio la risposta
del duca, il quale scrisse nel margine della lettera Su-
mario, il che volea dire che i suoi segretarii dovessero
rispondere al poeta; ma la risposta non fu trovata da Ce-
sare Guasti, che ne fece ricerca fra le carte di Cosimo
quando pubblicò la lettera dell' Anguillara secondo 1' au-
tografo fiorentino (4). L' Anguillara però non si lagna
(1) Vedi a pag. 80 nota 2.
(t) L'Anguìiiara dunque fu certamente una volta a Ferrara.
(3) I^tL ciL a Cosimo I.
(4) Vedi nota 1 a pag. 77.
GIOVANNI ANDREA DELL' ANGUILLARA 85
i del doca; quindi è a credere che qualcosa abbia a-
x>. Del resto le sue promesse di non impacciarsi
i co' prìncipi , scrivendo canzoni per loro , non furono
iDtenute. Infatti nel 1564 diresse una canzone a Mas-
diano II eletto imperatore de' Romani (1) per esor-
lo a muovere guerra ai Turchi, e redimere i paesi
testati dalla inimica religione. Negli ultimi versi poi gli
oflre servitore e da lui spera essere protetto:
Ogonn vederti brama
Lo scettro io mao de V uno e Y altro Impero ;
E se r acquisterai, si come spero ,
Io sarò poscia quel (né sarò solo)
Che farò gire a volo
L' invitto nome tuo da Y Indo al Mauro ;
E i cìel propitio anch' io forse havrò tanto,
Ch'ambi omeran di lauro
Te le molte vittorie, e me il mio canto.
Canzone al maggior huom, che viva, e regni
Di' che si degni d' accettar per servo
Me che tanto l' osservo,
E fa' il mio core a lui vedere aperto ;
Di' poi con humillà che mi par giusto,
S' io son di qualche merto,
Ch' a la mia Musa anch' io trovi un Augusto (2).
Vel Maggio e nel Giugno del 1566 l' Anguillara trovavasi
I fioma, e forse prima era stato a Firenze , dove stam-
ò nel medesimo anno pei Giunti una canzone alla
(1) Canzone | di Gio. Andrea | deli' Angiiillara | A Massimiano se-
nio I eletto iraperator | de Romani | del 1564. | Non v' è indica-
le dei luogo di stampa; neiia prima carta é impresso uno stemma
esco.
(2) Canz. cit.
86 M. PELAEZ
Serenissima Principessa di Fiorenza (1). Del tempo delia
saa dimora a Roma abbiamo dae lettere scritte a Fran-
cesco Bologoetti a Bologna (2). Dalla prima delle quali
ricaviamo che il poeta continuava ad attendere alla ver-
sione dell'Eneide e che il Cardinal di Trento gli avea
promesso per finirla < il vitto per me, e per mi servi-
tore in vita mia, che me lo possa spendere dove piace
a me » (3) ; e dalla seconda che nel Giugno del '66 era
stato invitato dal Bolognetti a recarsi a Bologna, ma che
non potè accettare l' invito < essendo necessitato per sa-
tisfation del suo Patrone di andar seco a Città di Ca-
stello e quivi dimorar questa state » (4). In questo tempo
scrisse pure una canzone a Pio V nella quale ci fa
sapere che trovavasi infermo:
GanzoD
Digli eh' io col mio inchiostro
L'adoro infermo, e come io mi rihabbia,
Dio m'aprirà le labbia,
E per la bocca mia vorrò che s' oda
Il suo honor, la sua gloria e la sua loda (5).
Né oltre il 1566 abbiamo altre notizie di lui, se non che
volea negli ultimi anni della sua vita ritirarsi a Sutri per
finire il Virgilio (6). Certamente dovette vivere vecchio ,
(1) Canzone citata a pag. 69, nota 3.
(2) Si trovano negli Anecdota Litterarìa più Tolte citati, a pp.
409 e 410. Intorno a Francesco Bolognetti, Tedi Mazzuchelu, Scrittori
d: Italia.
(3) Lett cit in Anecd, litt.
(4) Lett cit in Anecd. litt,
(5) Canzone | di Giovanni Andrea | Dell' Anguillara | a Papa Pio
Quinto I In Roma per Antonio Biado stampatore Camerale; l'anno 1566.
(6) Vedi lett cit in Anecd. litt.
GIOVANNI ANDREA DELL' ANGUILLARA 87
com'egli accenna nella canzone a Caterina dei Medici:
Ma come infermo e vecchio
Potrei passar tanfAlpe e gir si lunge?
Forse nel 1572 era ancora vivo, come appare da un cenno
biografico che si trova in una Raccolta di Rime (1). Se-
condo alcuni mori a Roma in un'osteria di Tor di Nona (2),
secondo altri a Sutri (3) di malattia procacciata dalla sua
vita disordinata. E invero a Sutri v' è ancora la tradizione
che morisse nella tenuta chiamata Castellaccio presso la
Via Aurelia, e che nella chiesa di quella tenuta fosse
sepolto, e sulla sua tomba si leggesse quest'epitaffio da
lui stesso dettato :
Io che mi giaccio qui posto a riverso,
Fui gobbo, fui di Sutri e fui dottore;
Fui di Nasone amico e traduttore.
Non dico più per non guastare il verso (4),
Colla quale tradizione s' accorderebbe il disegno che avea
fatto il poeta di ritirarsi negli ultimi giorni a Sutri, come
abbiamo in altro luogo accennato.
(1) Scelta di stanze di diversi antùri toscani raccolte da M. Ago-
stino Ferentilli et con aggiunta di stanze non più messe in luce. Ve-
nezia, Giunti 1584.
(2) Gdima, op. cit. Pan. I, pag. 270.
(3) Cosi una breve notizia biografica preposta ad alcune poesie del
Nostro nella Raccolta di Rime friacevoli di diversi, edizione di Vicenza.
Non ho potuto vedere questa raccolta di rime; ho tolto la notizia da
una nota del M azzuchelli , Scrittori d' Italia. Il Crescimbeni ne' suoi
Commentari etc. loc. cit dice che fiori nel 1590.
(i) 6. ToMASSETTi, Della Campagna Romana in Arch. d. Soc. Rom.
di Storia Patria, voi. V, fase. IV, pag. 639, nota 2.
88 M. PEIiAEZ
VII.
Queste le poche notizie che insieme cogli accenni
ritrovati qua e là negli scritti ho potuto raccogliere in-
torno a Giovanni Andrea dell' Anguillara (1). Ora non sarà
inutile dare un' occhiata alle poesie minori del Nostro, le
quali, benché poche, rispecchiano il carattere di luì e ci
rivelano meglio la sua indole e l'umor suo sempre al-
legro , malgrado gf imbrogli ne' quali trovavasi spesso
involto. Non parlo di tutte quelle canzoni (2) che
scrisse a tanti principi per mendicare quattrini e nelle
quali si mostra cortigiano e adulatore della peggiore
specie. D' altronde esse nulla hanno che fare colla
poesia. L' Anguillara ogni volta che trovavasi ad aver
bisogno di denari, scriveva una canzone a un prìncipe,
a un papa o ad un cardinale, tesseva le loro lodi e pro-
mettendo di magnificarli in altra opera maggiore, chiedeva
loro un soccorso. Forse nessuno de' principi d' allora
fu privo di una canzone dell' Anguillara , e le poche che
(1) Biografie dell' Ànpillara si trovano nel Mazzucchelli , Scrittori
d'Italioy e negli altri storici della letteratura nostra i quali però riproducono
sempre quel che avea detto il primo. Il Mazzucchelli cita una biografia
deir Anguillara scritta da Camillo Zuccato « la quale unita ad altre opere
spettanti alla traduzione delle metamorfosi d' Ovidio dell' Anguillara si con-
servava in Padova presso Alberto Zuccato al tempo del Tomasini, che ne
fa menzione nella Biblioth. Patav. a car. 123. » Per quante ricerche
abbia fatto, non ho potuto trovare questa biografia scritta dallo Zuccato.
Più recentemente ha dato un breve cenno biografico dell' AnguiUara, ma
con molte inesattezze, il Nispi-Landi nella Storia dell' antichissima città
di Sutri, che ho già citato.
(2) A quelle che ho già citato qua e là secondo si presentava Tocca-
sione, aggiungo la seguente : Canzone | di | Gio. Andrea dell' Anguillara
allo Illustre Signor | Gio. Francesco | Fallato | In Padova | appresso
Gratioso Perchacino | 1562.
GIOVANNI ANDBBA DELL' ANGUILLARA 89
ci restano non sono forse tutte quelle cb' egli scrisse.
Parliamo invece dei capitoli berneschi cbe il Nostro
compose intomo a fatti cbe riguardano la sua vita e
intorno ad altri varii argomenti. Sono in tutto sette, due
de' quali inediti vedono la luce per la prima volta nel-
r appendice cbe segue a questo lavoro (1).
Del primo capitolo, diretto al Cardinal di Trento (2),
conosciamo la seconda parte, nella quale il poeta fa la
soa biografia al Madruccio, e cbe mi pare si possa ravvici-
nare pel genere alle ottave dove il Borni scherzosamente
Spinge sé stesso (3). Nella prima parte il poeta, dopo
(1) I. Capiiob al Cardinal di Trento, Abbiamo già dato a pag. 41.
Doto 1 le indlGazioni bibliografiche. Qui aggiangiamo che fu stampato an-
che h le opere di Francesco Bemi.
U. Capitolo al Cardinal Farnese, Si trova a car. 68 della Selva
ài mie cou piacevoli di molti nobili ed elevati ingegni. In Genova
presso Antonio Bellone, 1570 in 12.® Ma non mi é riuscito di poter tro-
^ questa raccolta di poesie. Si trova ms. nel cod. 2758 della Univer-
^tà dì Bologna. Cfr. app.
in. Capitolo delle Mosche. Per quello che io so, é inedito, e trovasi
■B. nel cod. 2758. ▼. app.
IV. Capitolo nella Sedia Vacante del papa futuro. Anche questo,
P^ quel ch'io so, é inedito. Trovasi ms. nel cod. 2758; cfr. app.
V. Capitolo in lode dell' Anello; VI. Capitolo in lode del vino;
VII Capitolo sul pagar la Senso, Si trovano stampati in varie raccolte
<li poesie; io li ho veduti nelle Rime piacevoli del Borgogna, Ruscelli,
Saxsovino, Do.ni, Lasca, Remigio, Anguillara, Sansedonio, e d'altri
^>ci ingegni. Parte terza. In Venezia MDCXXVII. Vi si ti*ova anche il
Capitolo al Cardinal di Trento,
(2) Vedi pag. il, AI Madruccio V Anguillara dedicò anche alcune ot-
tave scriue per celebrare una fontana che il Cardinale avea fatto co-
stmire a Trento nel 1562.
L'argomento principale é il paragone fra l'abbondanza delle acque
cenate dalla fontana e la generosità del Madruccio nel donare. Vedi
^if tcritte a la Fontana del Magnanimo Cardinale di Trento nella
^^ta di rime del Ferentilli, che abbiamo altrove citata.
(3) Orlando innamorato rifatto da Francesco Berni , libro III,
90 M. PELAEZ
un piccolo preludio, nel quale dice come tutti parlino del
Cardinal di Trento, invoca la Musa in questo modo:
Deh! Muse, ora spogliatevi in camisa,
Sbrachisi Apollo, e levisi la giubba
E fate tutti quanti una divisa.
Soccorrete al cervel che s' avviluppa,
E di quel buon liquor portate alquanto
Si eh* io possa con voi fare una zuppa.
Deh ! per V amor di Dio non state tanto,
Ch* io son per fare un' opra assai cattiva,
S' una di voi non mi si mette accanto (1).
Continua poi offrendo al Cardinale di essergli servitore,
ma dì una maniera speciale. Odasi:
Signor, io m' ho ne Y animo proposto
Di farvi servitù, ma d* una sorte
Che non vi rechi utilità né costo (2).
E poi gli spiega con un paragone questo genere di ser-
vizio: egli vuol dare tutto sé stesso al Cardinale, come
si dà in voto a una divinità un' immagine di cera, la quale
si appende all' altare e li resta fìssa senza che dia né tolga
utilità al tempio:
Una statua di cera, un uom di legno
Fate conto eh' io sia fatto per voto
Da mastro che non ha troppo disegno.
Che qualche eletto spirito, e divoto
Offerisce ad un santo alla cui chiesa
Lo fige ove si sta fermo et immoto.
(1) Edis. cit in Delizie etc
Gap. cit
GIOYANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA 91
Non ha quel tempio utilità né spesa,
Pur guarda il santo a l' anima di quello,
Che verso lui di devozione è accesa (1).
È vero che la sua persona non è per le forme fisiche
delle più perfette , ma il poeta , soggiunge , non ha più
cara ma che sé stesso, quindi :
Se me stesso vi dono, che vi pare
S* io vi do quello che pib stimo e pregio ? (2)
Ma eccoci alla conclusione : V Anguillara ha cercato di ral-
legrare un po' il Cardinale perché poi non gli faccia troppa
impressione la domanda sua:
Voi che dì cortesia di splendor regio
Si come intendo dir tutti avanzate
Fatemi fare un ampio privilegio
Dove si veggia come m' accettate
Fra vostri eletti e privilegiati
In questa nostra sfortunata etate (3).
Seguono le lodi del Cardinale, cui augura che diventi
presto papa; e infine il poeta fa quei ritratto di sé stesso
che abbiamo già veduto. Si narra che il Cardinal di Trento
preso dalla piacevolezza di questo capitolo facesse dare
3l poeta tante braccia di velluto quanti sono i terzetti
del capitolo (4).
Un altro curioso capitolo del Nostro è quello scritto
^^dla Sedia Vacante al Papa Futuro (5). A quale
(1) Gap. cit.
(ì) Gap. cit.
(3) Gap. ciL
(i) GiovANNADREA GiGLio, Dialogo I, pag. 17. Ma non abbiamo al-
^ leslimooianze.
(5) Vedi appendice. Capitolo II.
92 M. PELAEZ
anno sia da assegnare non sappiamo; ma, come il titolo
stesso ci fa vedere, dovette essere composto nell' inter-
vallo di tempo fra la morte di un ponteflce e la elezione
del nuovo (1). Giovanni Andrea deli' Ànguillara sempre
al corto di denari, e sempre in cerca del modo di rac-
coglierne con poca fatica e molto diletto, come dice egli
stesso dirigendosi a questo papa futuro:
Ho padre santo uo sf fatto cervello
Che senza faticar vorrei godere
Se si potesse trovare fl modello (2),
avea tradotto una commedia di Plauto, Y Anfitrione (3)
col disegno di farla rappresentare per ricavarne un gua-
dagno:
Cosi m'immaginai d'esercitarmi
In cose da guadagno e da sollazzo
Et insieme arricchire e trastullarmi (4).
Se non che la fortuna non gli arrise: infatti la prima
volta che l' Ànguillara rappresentò l' Anfitrione, quelli che
erano deputati alla vendita de' biglietti non solamente gli
rubarono molti ducati, ma fecero entrare anche moltis-
sima gente nel teatro senza che pagasse nulla. E questi
tali che aveano fatto cosi brutto giuoco al poeta erano
tutti preti:
(1) Nel Capitolo non v' è il più piccolo accenno che possa dar modo
di stabilire la data di esso.
(2) Gap. cit.
(3) Non abbiamo altre notizie di questa versione.
(4) Gap. cit
GIOYANNl ANDREA DELL' ANGUI LLARA 93
Vergogna e vitupero della corte:
Che per coprir la lor miseria estrema
D* avermi poi dicean fatto star forte,
Ma che quando V autor prese quel tema
Da comporci un poema cosi fatto
La luna al fermo dovea esser scema (1).
Cosicché Giovanni Andrea fa obbligato a correre di qua
di là per le case di coloro che aveano assistito alla rap-
presentazione e tentare se gli riasci va di avere qael che
gli spettava. Di ano cosi ci narra:
Dn ce ne fu sf cortese e dabbene
Che disse: andate dal mastro di casa
Che farà appunto quanto si conviene.
n maggiordomo al primo me la basa,
Dopo mi dice che non fa niente
E comincia ad andar meco di rasa.
Al Padron torno vista la presente.
Il qual mi fece dir eh* io ritornassi
Perché era travagliato de la mente.
Ci tomai cento volte, e persi i passi;
AlQn m* accorsi eh* era risoluto
Non volermi dar nulla s* io crepassi.
Assai mainerebbe del tempo perduto,
Ma pili m' increbbe d' aver logorate
Un par di scarpe eh* avea di velluto (2).
Qael che segae forma la seconda parte del capitolo, nella
quale il poeta dopo aver levato alle stelle il papa futuro
gli chiede un soccorso. Egli ci dice che tatti i suoi di-
segni riguardo alle rappresentazioni dell'Anfitrione furon
(1) Cap. cit
«2) Gap. dL
94 H. PELAEZ
troncati dalla morte del papa. Ha non sappiamo perché :
forse l'invettiva contro la corte pontiflcia che abbiamo
riportato potrebbe farci credere che le rappresentazioni
della commedia di Plauto si facessero sotto gli aospicii
del pontefice, e che morto questo fosse caduta la for-
tuna del poeta. Quindi, dice Giovanni Andrea, la morte
del papa per voi è stata una fortuna, per me una ro-
vina. Dunque:
M' aresti a porger la mano adiutrice
Da poi che '1 vostro giubbilo e 1 mio affanno
Nascono tutti e due da una radice.
Bisognerebbe qui s' io non m* inganno,
A volersi portar da galantuomo,
Ck)mpensar col vostro utile il mio danno (1).
Egli promette di mandarlo ai posteri col suo canto; ma :
Quello che s' ha da far facciasi tosto
Per dar speranza alli miei creditori
Che mi fan camir^r sempre nascosto.
Che come voglio di casa uscir fuori,
Truovo piene le strade e d'ogni intorno
Di birri, mandatari e di cursori.
Talor disegno andare a mezzogiorno,
E drizzo a traroontina, e tanto giro
Ch' al luogo desiato fo ritorno.
Non ho talvolta a gir di sasso un tiro
Che cerco più d* un miglio di paese
Per tanti chiassi e vicoli m'aggiro (2).
Non fu questa certamente la sola volta che l'Anguìl-
lara si trovò pieno di debiti e senza l' ombra di un quat-
(1) Gap. cit.
(2) Gap. cit.
QIOYANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA 95
trino. In un altro capitolo, di cai parleremo or ora, ci
racconta che pe' debiti fa tratto in prigione; onde egli
pensò rivolgersi al Cardinal Farnese perché lo aiutasse a
soddisfare i creditori, e, cogliendo l' occasione che trova-
Tasi anche avvinto fra lacci d' amore, gli scrìve an capi-
tolo nel qaale scherzosamente mette a confronto i mali
d'amore e quelli della prigione (1).
S* odir volete, Monsignor Farnese,
Un crude! caso stravagante e bello
Tenete al mio cantar Y orecchie tese.
Io son prigion d' Amor e del Bargello
E non so da qnal peggio io sia trattato
0 dalla sbirreria o dal mastello (2).
E qaesto gli dà occasione per fare una lunga enumera-
zione dei mali che gli vengono dall'Amore (3) e dal
Bargello ; ma peggiori sono i mali d' amore , egli si la-
menta più della sua donna che del carcere:
Che se la vista sua dolce mi vieta
Peggio mi fa che se '1 mio guardiano
Mi minacciasse di pormi in segreta;
(1) Non sappiamo nulla circa Tanno in cui fu composto il Capitolo,
e nemmeno in quale città si trovasse prigione il Nostro. Vedi App. Ca-
pitolo I.
(ì) Capit cit
(3) Nulla sappiamo intomo agli amorì di Giovanni Andrea dell' An-
guillara. Il Crescimbeni fra gli esempi che dà ne' suoi Commeniarii
de' poeti da lui passati in rassegna, riporta un sonetto amoroso del No-
stro, che si trova pure stampato nell'edizione de' primi tre libri delle
Metamorfosi, come abbiamo già accennato.
Parecchi altri ne avremmo, se fossero veramente dell' Anguillara
queOi che si trovano nel Codice bolognese 2759. Vedi a questo propo-
sito le poche notizie premesse aU' Appendice.
E se si tarba il bel sembiante amanu,
Non sentirei al cuor maggior tristezza
Se mi tagliasse 1* una e Y altra mano.
E se talvolta ella mi scrive e sprezza
Peggio non mi farìa se mi vedessi
Appresentare al collo una cavezza (1).
Ma non credo che l'Angaillara parli sul serio in questi
versi dappoiché dice anche:
Ho sempre la mia donna nel pensiero
E la trovo tanta asina e indiscreta
Che tutto mi dilagno e mi dispero (2).
Dei due mali, l'Amore e la prigione, a quello non pub
mettere riparo, giacché:
Questa è cosa che pende dal destino
0 liberarmi o Tarmici crepare (3):
a questo si, ma occorrono quattrini. Quindi il poeta, il
lettore ha già indovinato, ne chiede al Farnese, e si oda
con quale delicata maniera:
A questo non so come provvedere
S* io non ricorro come è la mia usanza
Al mio solito babbo al mio messere (4).
Abbiamo già detto che il Farnese provvedeva ai bisogni
del poeta quando questi attendeva a compiere la ver-
sione delle Metamorfosi: in questo stesso capitolo ora il
(1) CapiL cit.
(2) Capit cit
(3) Capit cit
(4) Capit cit
eiOYANNI ANDBBA DBLL' ANOUILLABA 97
nostro ci fa sapere che il Farnese già un' altra volta s' a-
doperò per trarlo di prigione:
E se '1 giudice ben non fu contento
Per esser voi troppo gran personaggio
A me bastò vedere il vostro intento (1).
Ha non l' abbia per cattiva creanza il Cardinale , seguita
''Anguiiiara:
SMo ho tenuto e tengo questa via
E terrò sempre in voi questa speranza.
Anzi, signor, s' io tenessi la via
Con altro mezzo o con altra persona
Mi pania farvi una gran villania (2).
I tre capitoli di coi abbiamo parlato finora si possono
'^^'^cinare a quelli del Borni, pure in forma d'epistola;
Q^^ntre sono da paragonarsi con quelli del medesimo poeta
i" lode delle pesche e delle anguille ecc. i capitoli del-
l'Anguillara sulle Mosche, ['Anello, la Sema, il Vino. Il
pnmo è indirizzato a un tal Signor Tadeo, gli altri tre sono
diretti a un tal Signor Trivisano, ma di nessuno sappiamo
iu qaal tempo sia stato scritto. Il capitolo suW Anello è
uu^ semplice enumerazione di tutte le cose che hanno
(1) Capii, cit Un altro accenno al Cardinal Farnese come suo Sì-
giK)re lo Ut)T0 nella canzone a Massimiano II, che ho citata a pag. 85, n. 1:
Ti chiama in questa età senza paraggio
E sopra ogn* altro amabile, e cortese
U mio Signor Farnese,
Parlo del Duca, il qual t'ammira, e dice
C'hai tutte le Tirtù, tutte le parti.
Che fanno un huom felice,
E tutte le scientie, e tutte Tarti.
(ì) Capìt ciL
VoL IV, ParU I. 7
96 M. PELAEZ
la forma di cerchio, e sulle qaali il poeta scherza e
quell'equivoco osceno che allora piaceva. Nel capiu
sulle Mosche l'Ànguillara con molta vivacità e con mo
spirito parla delle noie che esse recano:
Mille lingue latine e mille tosche
Con mille penne e mille calamari
Non son bastanti a biasimar le mosche (1).
È felicissimo il Nostro quando descrive sé stesso eh
d'estate, non sa liberarsi da un tanto fastidio e coi
di qua di là in piazza, all'aperto, sempre inutihnente pe
che sempre perseguitato da queste bestiuole.
Chi morde da sto lato, e chi da quello,
Le mani, il naso, l'orecchio e la bocca
Ch' oramai m' han cavato di cervello ;
Chi passa, chi m'accenna e chi mi tocca,
Chi rodendo mi va, chi mi strapazza
Chi mi giostra, chi m' urta e chi m' imbrocca.
Non mi vai stare in casa o andare in piazza
E tener sempre mai la rota in mano:
Non mi giovano l' elmo e la corazza (2).
E giunge a tale disperazione che desidererebbe divent:
un ragno per poter distruggere tutte le mosche:
M'arrabbio, struggo e mi vien fantasia
Di voler diventar un giorno un ragno
Per metter fra le mosche la moria (3).
Il capitolo sul Vino fu composto per celebrare il vi
(1) Vedi Àppend. Capit III.
(2) CapiL cit.
(3) Capit ciL
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA 99
del signor TrìvìsaDo ; il poeta comincia col dire che tal
'ifoore DOD è indegno del cantar del Bemi :
Quegli altri con assai più chiaro suono
Cantato han de li cardi e de le pesche
E non di questo vin di cui ragiono.
Come queste sue fiche e fave fresche
JBan fatto di Parnaso una taverna
E con miir altre favole burlesche,
Era pur degno del cantar del Berna
E di quegli altri ancor ( né in ciò m' abbaglio )
Questo vin vostro di dolcezza eterna (1).
Perciò esorta il possessore ad essere più avaro cogli altri
<^i questo vino, e a chi gliene chiede far la risposta di
Cisti fornaro, riferendosi alla nota novella del Boccaccio:
Felice voi, che sue dolcezze rare
Gustate a tutto pasto, e a tutte Y ore,
E innanzi, e dietro, e coofie a voi pare.
Di grazia, caro e bello mio signore.
Fatemi grazia, eh' io possa talvolta
Far con questo vin vostro almen V amore.
So che da voi non è cortesia tolta,
Ma d' una cosa sol dubito forte,
Ch' io veggio molti fiaschi andare in volta.
Siate un pochette in ciò, vi prego, avaro
Contro vostra natura, e a quei fiasconi
Fate risposta di Cisti fornaro.
Non siate lai^o a questi imbrìaconi.
Che son senza vergogna, e a dirvi il vero
Questa non è bevanda da bucconi (2).
^^> Vedi Rime piacevoli ecc. già citate.
<^) Op. cJL
100 M. PELAEZ
Egli si sente venir meno dal piacere pensando a qaesto
vino e si muore dal desiderio di berne nn poco:
Ed io struggendo vo da loco a loco,
E fra me dico, piglia tu quel fiasco
E io un cantone confortati un poco.
Cosi, come Fenice, moro e nasco
Allor che m' invitate a bere un tratto.
Che v' accorgete eh* io, morendo, casco.
Di poi avverte questo felice possessore del buon vino
che se un giorno potrà avere quel fiasco, si rifarà del
tempo perduto:
Siate pur avvertito al vostro fatto
Che se quel fiasco un di mi viene a lato
Di tutto '1 tempo perso mi riscatto:
Mi sento ad or ad or mancare il fiato
E bramo, più che capra il sale o foglia,
Di ber di questo vino inzuccherato.
Io vi avertisco, e poi non ve ne doglia.
Che s* io ci metto il naso come uom saggio
Vi giuro a fé' di cavarmi la voglia.
Terrò ben modo con quel vostro paggio
Che '1 si contenterà farmi la scorta
Finché del fiasco averò tolto il saggio.
Ma tosto si rappacifica col Trivisano e lo prega amiche-
volmente che gli faccia mostra della benevolenza che ha
per il poeta regalandogli un' ampolla di vino :
E se voleste in ciò pur contentarme,
Fate che venghi con la carafiina
H vostro paggio a la stanza a trovarme;
Ma lo vorrei per tempo la mattina.
* •
OIOVANNl ANDREA DELL* ANGUILLARA' :-'//\, 101
L'ultimo capitolo di Giovanni Andrea dell' Angnìi^fai' .
sul pagar la Sensa si riferisce all'antica usanza veneziana-'
secondo la quale per la festa dell'Ascensione si faceva
in città una fiera e ciascuno era solito regalare qualcosa
(e questa era detta la Sensa) al parente o all'amico. Il
Nostro pure soleva ricevere in questa occasione un regalo
dai signor Trivisano , ma pare che nell' anno in cui fu
scritto il capitolo questi si sia dimenticato del poeta. Il
quale piacevolmente con quel capitolo gli ricorda l'usanza:
Hor fate pur, che questa settimana
Da voi a me pagata sia la seusa
Che basta a dirla a la veneziana.
Né altro ho da aggiungere intorno a questi capitoli che
mi sembrano la parte migliore dell' operosità poetica di
Giovanni Andrea. In ispecie quelli in lode del Vino e
sulle Mosche di poco cedono, secondo me, ai più belli del
Beroi, che diede il nome a questo genere di poesia.
Vili
A Giovanni Andrea dell' Anguillara non spetta un
posto alto fra i poeti del cinquecento, sebbene al tempo
suo godesse fama di valente scrittore ed ottimo poeta.
Appartenne all'Accademia dello Sdegno (1), e sappiamo
che per la morte della Faustina Mancina vi lesse un so-
netto che poi fece parte della raccolta di poesie scritte
(1) L'Accademia dello Sdegno fu sotto Paolo III fondata dai cele-
bri letterati Girolamo Ruscelli, Tommaso Spiga e Giambattista Paladino.
Ebbe )»er protettore il Card. Alessandro Farnese. Vedi Quadrio, Storia e
Ragione d'ogni Poesia^ Libro I, Dist. I, Gap. II.
.• •
••• • •
102./*.\X' ' M. PELAEZ
• • •
.'.j^/qiaella gentildonna (1). Fu in relazione col Varchi,
'•à)ì Caro, col Tolomei (2), e non è improbabile che ab-
bia conosciuto Torquato Tasso, insieme col quale pare si
sia trovato a dimorare per alcun tempo in casa del Da-
nese Cataneo (3). Il Tasso stesso parla di lui nella se-
conda delle sue lettere poetiche, dove ci dice che V An-
guillara avea fatto gli argomenti in ottava rima all'Or-
lando Furioso pel prezzo di mezzo scudo l'uno (4).
Fu amico pure a Francesco Bolognetti poeta e se-
nator Bolognese, e possediamo due lettere scritte a lui
dal Nostro. Una delle quali è importante per il giudizio
che TAnguillara dà sul Petrarca e suir Ariosto a pro-
posito del Costante, poema epico del Bolognetti. Gio-
vanni Andrea dopo averlo letto scriveva all'autore che
egli avea superato in quanto a la disposizione de la fa-
vola agli episodi, et a V imitazion degli antichi, tutti i
moderni che aveano scritto in ottava rima. € In quanto
(1) La raccolta ha per titolo: Tempio fabbricato a Giovanna d' A-
ragona. 11 sonetto dell* Ànguillara tro\'asi a carL 295. Questa raccolta sì
trova manoscritta nel cod. palat CGXXXIX. Cfr. Palermo, mss. Paiat
Firenze 1883, voi. I, A25.
(2) Abbiamo una Icltora del Tolomei all' Anguillara che trovasi in
Lettere di AL Claudio Tolomei Libri Sette con nuova aggiunta ristami
paté e con somma diligenza ricorrette. In Venezia, appresso Domenico e
Cornelio de*NicoIini 1559. La lettera non ha alcuna data, ma siccome
il Tolomei morì nel 1555 cosi credo poterla assegnare al periodo di
tempo in cui T Anguillara dimorò a Roma nei primi anni della sua vita.
(3) Vedi G. Mazzoni, Tra Libri e Carte. Roma, Pasqualucci, 1887,
pag. 93, nota 2. E giacché qui ho occasione di citare un libro del Prof.
Mazzoni non posso tenenni dal ringraziarlo pubblicamente di tutte le in-
dicazioni ch'ebbe la cortesia di fornirmi per questo mio lavoro, preve-
nendo spesso anche le mie preghiere.
( i) Si trovano noli' Orlando Furioso con gli argomenti di Giovanni
Andrea dell' Anguillara e le allegorie dell Orologi. Venezia per Gio-
vanni Varisco 1563. Fu riprodotta nel 1568. Si sa che anche il Tasso
avea intenzione di fare gli argomenti al Furioso.
QIOVAKNI ANDREA DELL' ANOUILLARA 103
aDcora a la cnitnra de la eiocnzioDe, et de lo stile non
ha da avere invidia ad alcuno de' moderni, e per non
fare scandalizzare gli affezionati dell'Ariosto questo sol dirò,
che mi par di conoscere in lui più felicità di natura, ma
non già né più coltura né più arte, et in questo V. S.
si ha contentare poiché in quanto alla felicità della natura
r Ariosto, secondo il mio giudizio, è stato non men felice
del Petrarca, se bene il Petrarca è stato di gran lunga
più culto e più osservato.... » (1). Ma il Costante è ca-
duto giustamente in dimenticanza, e l'Anguillara, met-
tendo a paragone il Bolognetti cogli altri due grandi, si
è mostrato assai poco conoscitore dell' arte , come poco
valente artista era stato nelle sue opere. Tuttavia se
non fu scrittore di gran pregio, appartiene a quella
schiera di minori de' quali bisogna pur tener conto nella
Storia delle lettere italiane. Quelli che precedono i grandi
scrittori ci danno la storia dello svolgimento e de' pro-
gressi dì quegli elementi che poi perfezionati producono
le grandi opere d' arte ; quelli che seguono i sommi scrit-
tore ci mostrano un altro aspetto della letteratura, V imita-
zione. E fra questi è da porre Giovanni Andrea dell'An-
goillara per la sua versione delle Metamorfosi che arieg-
gia i poemi romanzeschi, per V Edipo che attinge da So-
focle e da Seneca, e per i pochi capitoli giocosi che ri-
cordano il Berni.
Mario Pelaez.
(1) Queste due lettere sono quelle che si trovano negli Anecd. Litt
e delle quali abbiamo già parlato.
104 M. PELAEZ
APPENDICE
L'appendice che segue consta dì due lettere, tre capitoli
ed una canzone. Ho tratto le prime dalia Biblioteca Nazionale
di Firenze dalla cassetta delle lettere dirette al Varchi (numeri
tl2 e tl3) dove si conservano autografe (1). I tre capitoli,
due de' quali ora per la prima volta veggono la luce in gue-
st'appendice, si trovano nel codice 2758 della Universitaria di
Bologna. « È un codice cartaceo di 84 carte, in formato di un
8"" ordinario, rilegato in pergamena. Appartenne all'Abbazia di
S. Salvatore, fu portalo in Francia nelle rapine notissime e porta
ancora il bollo rosso « Biblioihèque Natioìiale R. F. » Fu
restituito nel 1815. A tergo porta scritto: « Anguillara: Rime
Ms. » (2). Nella prima carta v'è il principio di una dedica che
è stata cancellata, e nel resto della seconda carta si legge una
nota di mano del settecento, che è forse del Pozzetti bibliote-
cario di S. Salvadore (3). Fra le altre cose la nota dice : « Nel
suo genere è buon ms. e lo credo originale, nulla ostando al-
cune giunte ridicole d' altro carattere che nulla hanno che fare
con queste ottime rime, benché talvolta piiì del dovere facete. »
Due infatti sono le mani che scrissero questo codice, ambedue
però del seicento o almeno della fine del cinquecento. Ha non è
(1) Mi è caro ricordare qui l'egregio Doti. Giorgio Cecioni, rapito
or non é molto all' affetto degli amici e agli studi, il quale cortesemente
m'inviò una copia di queste lettere.
(2) Tolgo questa descrizione da una prima notizia del codice che
gentilmente mi favori il Bibliotecario della Universitaria di Bologna Prof.
Olindo Guerrìni. Colgo qui l'occasione per ringraziamelo pubblicamente.
(3) Cosi congettura il Guerrini.
GIOVANNI ANDREA DELL' ANOUILLARA 105
orìginaie, come ho potuto vedere dal confronto colle lettere auto-
grafe delPAnguillara. Dico non autografo per la parte che ri-
guarda r Anguillara, giacché non credo che tutto quello che
contiene il codice appartenga al Nostro (1). Esso comprende
una settantina dì sonetti quasi tutti aaiorosi, qualche madri-
gale, quaranta ottave intitolate Fato di Coridoncy due can-
zoni, ana delle quali amorosa, Taltra per la vittoria di Lepanto;
poi d* altro carattere quattro capitoli (2) che sono senza dubbio
deD' Anguillara, perché il poeta vi si fa conoscere, e finalmente
akuni epigrammi latini nelPultima carta.
H contenuto dei sonetti non ci dà indizio del loro autore,
essi SODO scritti sulla falsariga del Petrarca, simili a tanti altri
che piovvero nel cinquecento. Perciò io penso che il codice ori-
gìoarìameote sia stato scritto per raccogliere i sonetti, e che
poi rimaste bianche alcune carte di esso qualcuno vi abbia
aggiunto i quattro capitoli delPAnguillara; tanto più che fra i
sonetti, k canzoni, i madrigali e i capitoli del Nostro si trova
una carta bianca che può essere stata lasciata a bella posta da
chi ha copiato i capitoli, sapendo che questi formavano una cosa
a sé e che erano di autore diverso.
La canzone che segue i tre capitoli è pubblicata di su un
codice miscellaneo del secolo XVI (XXIX-193) della Biblioteca
Barberina di Roma. I codici di cui mi son giovato sono ab-
bastanza chiari e non lasciano alcun dubbio sulla loro lezione.
Io li ho riprodotti esattamente riducendo solamente la grafia
e r interpunzione all'uso moderno.
M. P.
(1) Noto intanto che sotto al sonetto e Se voi lieto e giocondo.... >
«ODO le iniziali D. V. M. , e sotto Taltro e Quel che veste di stelle >
le iniziali M. V. con questa nota dello stesso annotatore della prìma carta
del codice: e Queste due lettere iniziali aggiuntevi, sembrano indicare
che é di autore diverso dall' Anguillara. > Avverto ancora che il codice
conserva tracce di carte tagliate.
(t) Tre SODO quelli pubblicati in quest'appendice; il quarto è il ca-
pitolo al Cardinal di Trento.
106 M. PELAEZ
Molto magnifico maggior miOj
Per quello che mi ha mostrato messer Lucantonio Ridolfi (1)
ne la lettera di V. S. ho coDOscìuto che io dod mi sodo in-
gannato ne la confidentia che io ho sempre havuto ne la sua bontà
e dottrina. Et ho speranza poi che con tanto buono animo ab-
braccia r impresa di volere rivedere Topra che egli sa, che io
non barrò consumato il tempo invano, perché la conosco di sf
buon giuditio che non T abbracciarebbe se la conoscesse, per
quel che n'ha potuto vedere, talmente fuor di squadra che non
fosse atta a ricevere correttione alcuna. Benché la sua bontà e
cortesia è tale che, quale ella Thavesse giudicata, non harrebbe
mancato de la sua solita benignità e di darie quella miglior
forma che havesse potuto ricevere. Io sono intomo al decimo
libro, e penso che io barrò finita tutta l'opera a Febraio, e
verrò costà al più tardi a Marzo, se altro impedimento non
nasce.
Le ne mando per messer Camillo Spannocchi (2) compi-
tissimo gentilhuomo una favola del nono libro per saggio de le
cose che io fo ora. Harrei caix) d'intenderne il suo parere; e
la prego a tenermi ne la sua buona grazia et a conservar dal
lato suo la nostra antica amicitia, come ho io fatto e farò
sempre dal mio. E si degni raccomandarmi a messer Pietro
Paolo Spinoso; per mille volte viva felice. Di Lione a 6 di
Giugno 1560.
Servitore
Giovanni Andrea de l' Anguillara.
(1) Autore di un Ragionamento iutomo al Decamerone edito nel 1555
a Lione pei tipi del Rovillio.
(2) Di questo Spannocchi non si ha alcuna notizia.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA 107
IL
Molto magnifico Signor mio.
Quando io partii di Fiorenza lasciai che '1 Signor loseppe
Bettusi procurasse il mio privilegio (1), né posso saper quel che
scabbia fatto, perché non m* ha mai scrìtto. Però prego V. S.,
se egli fio a quest* hora non T ha impetrato, che '1 potrà sapere
facilmente, che M voglia procurar per me. Confido ne la sua
cortesia, die so quanto suole essere ofiiciosa per gli amici, che
000 mancherà di aiutarmi sicome mi ha aiutato in cosa di
più importanza di questo. Sono stampati già 33 fogli fino a la
metà de Tettavo, et al principio d'Agosto sarà finito tutto. Non
U dirò altro perché non ho tempo; la prego a raccomandarmi
a don Silvano (2) et a gli altri amici. Di Venezia , a li 18 di
Giogoo 1561.
Servitore Giovanni Andrea dell' Anouillara.
(a tergo)
Al molto magnifico messer Benedetto
Varchi maggior mio honorandLssimo
A Fiorenea.
I.
Al Cardinal Farnese (3)
S'odir volete. Monsignor Farnese,
Un crudel caso stravagante e bello,
Tenete al mio cantar r orecchie tese.
(i) Nulla sappiamo di questo privilegio che TAnguillara chiedeva.
iì) Silvano Razzi autore delie vile del Varchi, di Pier Soderini etc.
(3) Bibl. Univ. ras. 2758 car. 58-61. Ho già avvertilo a pag. 89
^ 1, che questo capitolo é in una raccolta di rime eh' io non ho potuto
^^are. L' ho ristampato di sul codice bolognese, parendomi una delle
P^he cose buone scrìtte dall' Anguillara, e perché ha importanza per la
^iHograGa.
106 M. PELASZ
Io son prigion d' Amor e del Bargello
E non so da qual peggio io sia trattato
0 da la sbirreria, o dal mastello (1).
Mi tien da un canto kxnor si travagliato,
Pien di tosco di rabbia e gelosia
Che non mi lascia mai ripigliar fiato.
Da l'altro mi vien poi la sbirrerìa
Con nuovi indizi ogni di travagliando
A contemplazion di qualche spia.
M' ha dato Amor del mio cervello bando,
Ma mi fan bene i birri stare in Cristo,
Tanto van la mia vita esaminando:
Ed han già tanto rivolto, e rivisto
Che dove io ero infatti un uom dabbene
M' hanno quasi scoperto per un tristo.
Ho nel career d'Amor travagli e pene.
In questo almen, che sia tema e paura
Non patir più di quel che si conviene (2).
Se mi querelo , Amor non se ne cura,
Se mi querelo, se ne ride e sguazza
Quel che d'assassinarmi ha preso cura.
Se con le sue quadrella Amor m' ammazza.
Colui che vuole aver di me la palma
Fa quel che può per condurmi a la mazza.
Pormi cerca ciascun piti grave salma;
Quel mi distrugge dentro e questo fuore,
L' un mi tormenta il corpo, e V altro l' alma.
È mal trovarsi in servitù d'amore,
Ma di tal gente di pietà rubella
È cosa da morirsi di dolore.
Di liberarmi non se ne favella :
Quel mi ritiene, e questo non mi lascia,
C han tutti duo gli occhi a la scarsella.
(1) La lezione del codice é chiara; ma io non so quale interp
zione dare alla parola mastello in questo luogo.
(2) Anche qui per quanto chiara la lenone del codice, il sei
oscuro.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA 109
Sun mi processa, l'altro non mi cassa,
E tengono ambi, per darmi la stretta,
Contro a la vita mia più cani a lassa.
0 Dio che l'abbia fatta cosi netta 40
Che cosi m'abbia saettato e preso
Un cieco, un putto ignudo, una fraschetta!
0 Dio che crudeltà, eh' un e' ha conteso
Con tante avversità de la fortuna
Da quattro birri non si sia difeso I 45
Già tanto mal per mio mal si raguna,
Gh'a me roedesmo son venuto a noia,
Né trovo refrigerio in cosa alcuna.
Disposto è Amor che di sua mano muoia.
L'altro avversario per levai^U il tratto 50
Fa quel che può per darmi in mano al boia
A tal eh' io, che fui sempre mezzo matto.
Hi truovo involto in tal confusione
Ch' io ho paura non scappare affatto.
E ho trovato e trovo al paragone, 55
Or chi lo crederebbe ed è pur vero,
Che peggio mi fa Amor che la prigione.
Ho sempre la mia donna nel pensiero
E la trovo tanto asina e indiscreta
Che tutto mi dilagno e mi dispero. 60
Che se la vista sua dolce mi vieta,
Peggio mi fa che se 'I mio guardiano
Mi minacciasse di pormi in segreta ;
E se si turba il bel sembiante umano.
Non sentirei al cuor maggior tristezza 65
Se mi tagliasse Y una e Y altra mano.
E se talvolta ella mi schiva e sprezza,
Peggio non mi farla se mi vedessi
Appresentare al collo una cavezza.
Di questi due nemici e' ho qui messi 70
Uno ce n' è che non si può schivare ;
Vorrei eh' a l'altro almen si provvedessi.
110 M. PELAEZ
In quanto a ia faccenda de F amare,
Questa è cosa che pende dal destino ,
0 liberarmi o farmici crepare.
L* altra inviata V ho per tal camino
Che potrei liberarmi a mio piacere,
S* io potessi trovar qualche quatrìno.
A questo non so come provedere
S* io non ricorro, com' è la mia usanza.
Al mio soh'to babbo, al mio messere.
E non l'abbiate per mala creanza
S* io ho tenuto e tengo questa via,
E terrò sempre in voi questa speranza;
Anzi, Signor, s* io tenessi la via
Con altro mezzo o con altra persona.
Mi parrla farvi una gran villania.
Già ( 1 ) un' altra opera assai buona,
Che v'obbligaste in pubblico instrumento
Per potermi cavar di Tor di Nona.
E se '1 giudice ben non fu contento,
Per esser voi troppo gran personaggio,
A me bastò vedere il vostro intento.
Ed ho del vostro cuor fatto tal saggio
Che s' altre volte ben mi vi donai,
Vi fo' di me di nuovo un nuovo omaggio.
Se bene avete per me fatto assai.
Fate ancor questo: accordate il Bargello,
Altramente io non son per uscir mai,
E morrommi in prigione di martello.
IL
Nella Sedia vacante al Papa futuro (2)
Deh padre santo, ascoltatemi un tratto,
0 siate oltramontano, ovver latino,
Ch' io noi so dir che non sete ancor fatto.
(1) Nel cod. dopo la parola Già troTO puntini; forse faceste
parola che manca.
(2) Bis. ciL car. 62-69.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA IH
Dmilemente a' vostri pie m* inchino
Et nunc protU et tunc per raccontarvi 5
Un mio sciaguratissimo destino.
Senza eh* io voglia altro proemio farvi,
0 con vaghi color di poesia
Dir qualcosa di voi per adescarvi,
Vi dirò la mia mera fantasia, 10
Senza che di voi parli, come quello
Che scrìve ad un che non. sa chi si sia.
Ho, padre santo, un si fatto cervello.
Che senza faticar vorrei godere.
Se si potesse trovare il modello. 15
Il sommo bene ho posto nel piacere,
Né pensate però eh' io me ne vada
Fuor de Y uso comune e del dovere.
Senza stentar, per non tenervi a bada.
Cercato ho d' arricchir pili d' una fiata, 20
Né saputo ho giammai trovar la strada.
E finalmente l'avevo trovata.
Se la morte del vostro antecessore
Non mi dava una matta bastonata.
L'anno passato mi venne un umore 25
Di voler metter per accomodarmi
In compromesso la roba e Y onore.
Cosi m' iraaginai d' esercitarmi
In cose da guadagno e da solazzo
Ed insieme arricchire e trastullarmi. 30
Fu 'I mio tenuto un caprìccio si pazzo,
E penso vi debbe esser stato detto
De la spesa ch'io feci in quel palazzo;
Ma come volse un fato maledetto
Che mi persegue e non mi lascia mai, 35
Sorti queste disegno un tristo effetto.
La prima volta eh' io rappresentai
L'Anfitrion di Plauto tradotto,
0 Dio che bravo granchio eh' io pigliai !
112 M. PELAEZ
Un branco di quei preti v' avea sotto
C* hanno il cappuccio or pagonazzo or rosso,
Ora di panno, ora di cianabellotto (1).
Eran tutti c*arebbono riscosso
(^ni gran personaggio da pirati.
Se fosse stato maggior d' un colosso.
E fur si pidocchiosi e sciagurati,
Che non sol non cercar trarmi d'impaccio.
Ma mi rubaro di molti ducati.
Gli uomini che introdussero io gli taccio.
Che fero entrar, senza pagarmi tanto
Ch' io potessi comperare un laccio.
Questo è il granchio chMo presi, o Padre Santo:
Ch' io mi credea per avermi aitare
Che s* imp^nasser la berretta e M manto.
Fra questi tre ne voglio eccettuare
Che per tenermi su fecero a gara
Acciò eh' io non m' avessi a spaventare.
Tutti tre di progenie illustre e chiara
Ch' altrove canteronne : e questi furo
Santa Fiora, Santo Angelo e Ferrara.
Gli altri chi fosser dirlo non mi curo;
Basta che meco si portar di sorte,
Ch' io non potei mai pili pisciare al muro.
Vergogna e vitupero della Corte,
Che per coprir la lor miseria estrema
D'avermi, poi dicean, fatto star forte;
Ma che quando l'autor prese quel tema
Da comporci un poema cosi fatto.
La luna al fermo dovea esser scema.
E che Plauto insomma avea del matto,
E eh' io era maggior bestia di lui
S* io credea far del suo mestici ritratto.
(1) Tela fatta di pel di capra, e anticamente di pel di can
dal quale tolse il nome.
GIOVANNI ANDREA DIìILl' ANGUILLARA 113
E ci ebber per due bestie tutti dui
I buon compagni, e tutti gli altri appresso
Ch'adular il parer de' maggior sui. 75
Poniamo che sia ver, eh' io noi confesso,
Io meritava pur d' esser pagato
Da ciaschedun che ci aveva intromesso.
S' un va in bordello, poi che s' è allacciato.
Non de' dare alla druda i suoi baiocchi 8()
Se ben l'avesse tutto infranciosato?
El questi, il dirò pur, questi capocchi
Non ne fer pur una minima mostra.
Ha volentier m' arian cavati gli occhi.
Infamia e à'sonor de l'età nostra! 85
f: r ho detto, e ridicolo sebbene
Fosse un di quelli la santità vostra.
Un ce ne fu si cortese e dabbene
Che disse: andate dal mastro di casa
Che farà a punto quanto si conviene. 90
H maggiordomo al primo me la basa.
Dopo mi dice che non fa niente
E comincia ad andar meco di rasa.
Ài padron torno, vista la presente,
n qual mi fece dir eh' io ritornassi 95
Perché era travagliato de la mente.
Ci tomai cento volte e persi i passi,
AJfin m'accorsi ch'era risoluto
Non volermi dar nulla s' io crepassi.
Assai m' increbbe del tempo perduto, 100
Ma più m' increbbe d'aver logorate
Un par di scarpe eh' avea di velluto.
Or qui si vider tutte le brigate
In mio biàsmo voltar, tutte le lingue
Si videro in mio danno congiurate. 105
Altro direto, s' avvien eh' io m' impingue,
Dicea fra me, se mai giunge quel tempo
Che 'I suo mortai nemico il caldo estingue.
Voi IV, Parte 1 8
114 M. PELAEZ
Era troppo per me venuto a tempo,
Cominciava per me 1* età de 1* oro,
Ha per me se n' aodò troppo per tempo.
Mi riusciva si grasso il mio lavoro
Ch'ogni giorno di festa io mi buscava
I miei cento ducati d'oro in oro.
S'altri di me burlossi, io mi burlava
D'altri e faceva cosi brava vita,
Che pili d' un galantuomo m' invidiava.
C^ni malvagia lingua era ammutita,
Perché quelli cento occhi di civetta
Le davan ogni volta una mentita.
Per arricchirmi io correva a staffetta.
Mi crescea ogn' or più Y animo e la lena.
Ma mi fu dato di capo d'accetta;
E r insalata avea gustato appena,
Appena era venuto l'antipasto
Di cosi ricca e cosi brava cena.
Ch'ogni disino mi fu rotto e guasto.
Che quel tir6 le calze nel cui seggio
Meritamente voi sete rimasto.
In quanto a me non mi potea dir pe^io.
Ma in quanto a voi non potrà miglio dire,
Per quanto io ne considero e ne veggio.
Perché se quel non veniva a morire.
Voi non sareste giunto dove sete,
Io non sarei finito di fallire.
E i)er ciò avete quel che voi volete,
Per ciò potete cavarvi ogni voglia.
Per ciò mi muoio di fame e di sete.
Per ciò vestite cosi ricca spoglia.
Io come un San Giovanni appunto; voi
Crepate d'allegrezza, ed io di doglia.
Voi sete un solo e parlate per voi.
Ed io che sono un Andrea e un Giovanni
Per io favello sebben siamo doi.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUI LLARA 115
Va la soa morte cavato d'affanni, 145
M' ha la sua morte colmo nonché pieno
Di mille intrichi e di mille malanni.
Goa volto allegro giocondo e sereno
C^nun si getta nelle vostre braccia,
V'adora come un dio né più né meno; 150
Con volto turbo ognun mi fugge o caccia:
E per dirvelo a un tratto, la fortuna
À me mostrato ha il culo a voi la faccia.
£ per non raccontarle ad una ad una.
Si sfortunato io son, voi si felice 155
Quanto uom si fosse mai sotto la luna.
M' aresii a porger la mano adintrìce
Da poi che *1 vostro giubilo e M mio affanno
Nascono tutti due da una radice.
Bisognerebbe qui s'io non m'inganno, 16()
A volersi portar da galantuomo,
Ck)mpensar col vostro utile il mio danno.
Già non bisogna d' insegnarvi corno.
Che, a quel che mi pronostica la musa
Voi sarete un gran Papa ed un bravo uomo ; 165
Ed ella non terrà la bocca chiusa
Se le userete qualche gentilezza,
Quel che da pochi principi oggi s' usa.
E forse til eh' (^gi la schiva e sprezza
L'averà su la cima de la testa 170
Se le farete voi qualche carezza;
E dove or dorme fia svegliata e desta,
E sarà sempre mai, per compiacervi,
A vostra posta apparecchiata e presti.
Or se felice il Signor vi conservi 175
In questo seggio, non gli anni di Pietro,
Ma quei che i corvi vivono e li cervi.
Drizzate un poco a me gli occhi e '1 pensiero,
r.b'io non facessi qualche bagattella
Che mi levasse d' impaccio da vero. 180
116 M. PELAEZ
Ma ad onta de la mia malvagia stella.
Viver vo' in corte, e quando ogn' altra manchi
Non mi mancherà mai corte Savella.
Mai non saranno li miei versi stanchi
In dir di voi, s* averò tanta grazia
Che la santità vostra mi rinfranchi;
Mai la mia musa non si vedrà sazia
Di cantar le vostre opre e scelte e bnivt»
S* ammazzerete questa mia disgrazia.
Ogni cosa sarà pesata e grave,
E saprò far d* un ago un pai di ferro
E d*una paglia parere una trave.
Il vostro nome, se pria non m* atterro.
Per aria a volo il vo' portar per tutto.
Se negli artigli a mio modo V afferro.
Di me sete per trar qualche costrutto;
Vi loderete un di del fatto mio
Se questa cosa farà qualche frutto.
Ho speranza in Messer Domenedio
Che scoccherete Papa a V improvista
Appunto tal qual vi desidero io;
Che, come questa storia arete vista,
Motu proprio fra i vostri sarò posto,
Sebben non sarò scritto in su la lista.
Quello che s'ha da fiir, facciasi tosto
Per dar speranza alli miei creditori
Che mi fan caminar sempre nascosto;
Che come voglio di casa uscir fuori
Truovo piene le strade e d'ogni intorno
Di birri, mandatari e di cursori.
Talor disegno andare a mezzogiorno
E drizzo a tramontana, e tanto giro
Ch* al luogo desiato fo ritorno.
Non ho Uil volta a gir di sasso un tiro.
Che cei*co più d' un miglio di paese,
Per tanti chiassi e vicoli m'aggiro.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUILL ARA 117
DehI Padre santo dabbene e cortese,
Non si negano già le spese a un cane:
Io m'accordo al peggio per le spese,
E vo' gridando : pane, pane, pane! 220
III,
Capitolo delle Mosche (1)
Mille lingue latine e mille tosche
Con mille penne e mille calamari
Non son bastanti a biasimar le mosche;
Eà io Signor Tadeo forz' è eh' impari
D'esser oggi poeta a mio dispetto 5
Per dir di questi animaletti avari.
0)n tutto ciò mi par d' esser costretto,
Se ben non son poeta né oratore,
A scrivervi oggi di questo soggetto;
Perché infatti mi trovo a tutte T ore 10
Morso e trafitto da queste bestiole
Che m' han piglialo a divorar il cuore.
Come si leva la mattina il sole
Mi sono addosso, e m' han coperto tutto
Di rase rosse e di gigli e viole, 15
Tal che mi trovo tanto mal condutto
Che mi vergogno quasi d'esser vivo.
Tutto segnato, trafitto e distrutto.
Dunque mi scuserete s'io vi scrivo
Con un poco di collera, e non dite 20
Ch'io vi paio perciò troppo corrivo.
Son tanto fastidiose e tanto ardite
Che le pulci, le piattole e i pidocchi
Son manna, mele, zucchero e pennite (2).
^j' Ms. cit car. 81 -84.
'*) Pennita era in antico una sorta di pasta fatta di farina d'orzo
'■ ''' '«chero.
118 M. PELAEZ
Non mi giova adoprar lance né stocchi : 25
Per dirvi brevemente il fatto mio,
M*han recamato tutto sino agli occhi.
Tutto il giorno mi sento un mormorio
Attorno al capo, un romore, un bordello
Che mi fan benedir Domenedio. 30
Chi morde da sto lato, e chi da quello,
Le mani, il naso, l'orecchie e la bocca
Ch' oramai m' han cavato di cervello ;
Chi passa, chi m'accenna e chi mi tocca
Chi rodendo mi va, e chi mi strapazza 35
Chi mi giostra, chi m' urta e chi m' imbi'occa.
Non mi vai stare in casa o andare in piazza
E tener sempre mai la rota in mano;
Non mi giovano ¥ elmo e la corazza.
Mi guardo, aiuto, e mi difendo invano 40
Da queste male bestie, e tutti quanti
Dicon eh' io m' assomiglio a San Giuliano.
Riniego, mi farete dir, i santi
Se non vorrei piuttosto star prigione
Che uccidermi si fatte bestie inanti. 45
Volete peggio? quando le persone
Si mettono alla mensa per mangiare,
Ne vìen questa canaglia in processione :
Sempr' esse son le prime a cominciare
E voglion fare a tutti la credenza 5(^
Con quel zu zu che mi fa disperare.
Mangiano la mia parte in mia presenza,
E non mi lascian più mangiare in pace;
Pensate s'io vi posso aver pacenza.
Animai maladetto empio e rapace 5.^
Pili d' un mergo, d' un nibbio e di un' arpia
Che tutto il mondo fastidisce e spiace I
M' arrabbio, struggo, e mi vien fantasia
Di voler diventar un giorno un ragno
Per metter tra le mosche la moria. 60
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUI LLAR A 119
a
Hi parrebbe di fare un gran guadagno
Se dissipassi queste fere ingorde
Che niangian sempre naai quel del compagno.
In casa mia lascio le mura lorde
Per non guastare ai ragni i lor lavori, 65
Le lor reti, le trappole e le corde:
a dà la mosca poi mille martori,
E quando non ci può far altro male
Si caccia nel bicchiero ai bevitori.
Non è nel mondo più sporco animale, 70
Volete cosa più vituperosa
Che de le mosche si fa il caviale?
La mosca è si insolente e fastidiosa.
Che affanna, martorizza e fa morire
Un pover* uomo quando si riposa. 75
Le mosche spesso mi fan maladire
E mi fan rinegar S. Ballarano
L'anno di state quando sto a dormire.
Terzolo, Astor, pellegrino e villano
Cacciatevi nel cui le vostre prede 80
Se costei non potete aver in mano.
Sentirsi rodere una mano o un piede
E non potervi usar arte o governo,
Son certe cose da perder la fede.
Sia benedetto e lodato V inverno 85
Stagion valente, stagion gloilosa
Che ci assicura da si grand* inferno!
Scrìvete tutti quanti in versi e in prosa
In vituperio d*una creatura
Si ribalda crudele e fastidiosa. 90
Io credo eh' ebbe fatto la natura
La coda a tutti quanti gli animali
Per guardarli da tal disavventura;
Ed io per liberar da tanti mali
Certe povere genti, li vorrei 95
Metter la coda dietro ai naticali.
Massime a certi amici vostri e miei.
120 M. PELAEZ
Canzone di M. Gio: Andrea Alias
DEL Gobbo da Sutri (1).
Voi che stendeste, imperiosi Monti,
Di Roma il nome a l'ultimo conGne
Mentre T altrui mine
V ornar di Marmi, Bronzi, Arme e Trofei
Ch' io già lasciai propinqui al vostro fine
Chinate a terra T orgogliose fronti
Nudi deserti e inconti.
Nel più forte vigor degli anni miei.
Ditemi in cortesia, saper vorrei
Dove ascosi voi siete; io pur mi giro
Or verso il Lazio or verso il lito tosco
E non vi riconosco;
E pur gli amati miei parenti miro,
Gli antichi amici, e il materno idioma
Mi pare udir de la mia Patria Roma.
Passando ho scorto il loco ove io son nato,
Or dove fui nutrito raffiguro
Presso all'antico muro
Ond*alza al ciclo il Panteonc il conio,
Vi ritrovo gli stessi che vi furo
xMeco nutriti, benché abbin cangiato
Sembiante, abito e stato,
E tutti ci allegriam del mio ritomo.
Ma quando vo' passando altrove il giorno
Dove ammirar solea gli antichi marmi
E cerco il Quirinal, cerco il Tarpeo,
Che Cesare e Pompeo
Fer, tal fu il pregio lor, venire a l'armi,
Non so trovargli, anzi tante opre nove
Vi scorgo che mi pre essere altrove.
(1) Ms. Barbar. XXIX. 193 car. 338-341.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUILLARA 121
Talòr mi volgo a me medesmo e dico:
€ In qual parte sod giunto! in qual contrada
Questa superba strada
Tende dì Dedal opra e di Vulcano? »
E quanto piii tal novità m* aggrada 35
Quanto men riconosco il loco antico
Del patrio seno amico
Tanto più mi rassembra esser lontano.
« Se questo non è il sen prisco romano,
Soggiungo dopo, in qnal parte del mondo 40
Si trovan cosi nobili pendici
Di tanti altri edifici
Ornate? » E fra me stesso mi confoDdo
S'io sogno di goder la patria mia,
S' io sto né in ciel, né in terra o dove sia. 45
Aspri frammenti di teatri e d* archi
Gnor de' nostri padri invitti e giusti
Di consoli, d'Augusti
Lasciai partendo in qne' be' colli e 'd questi
Che d'edere e de' pruni e d'altri arbusti 5U
Appresso a lor erano ascosi e carchi
Da ' ricevuti incarchi,
Languidi afflitti addolorati e mesti.
Fabrichc or non mortali, anzi celesti
Vi trovo, ed inarcar mi fan le ciglia 55
Le statue, le colonne e gli architravi
Ch' a nostri padri ed avi.
Credo, fariano invidia e meraviglia.
Né saprei dir se Cesare o Marcello
Vedesse il patrio sen si ricco e bello. 60
Queste son pur queir onorate sponde
Del Tebro, dove lungamente vissi
E rime in copia scrissi
Conformi all'età mia verde ed acerba.
Ma dovunque però gli occhi m' affissi 65
Non vi so ritrovar chi mi nasconde
123 M. PELAEZ
La gloria di queste onde;
La Mole d'Adrìfano alta e superba
Pur or la raffiguro, eh' ancor serba
Qualche orma de T antica sua sembianza,
Benché M ricco artificio unico e nuovo.
Ch'aggiunto vi ritrovo,
Tanto la forma sua primiera avanza
Gh* io non la scorsi per l' altere mura
Che la fan pili robusta e più secura.
È questo il Vaticano è questo il Tempio
Nuovo di Salamon dicato a Pietro
Ch' io già tre lustri addietro
Lassai nel mio partir tanto imperfetto?
Qual greco inchiostro, qual latin, qual metro
Basta a lodar il tuo mirando esempio?
Ben di desire io m' empio,
Aia sei troppo alto al mio basso intelletto.
0 raro ingegno, o Dedalo architetto.
Ceda r Anfiteatro e '1 Panteone
E quanti ne fer mai Parti ed Argivi
A ' lor bugiardi divi,
A Giove a Palla, a Venere, a Giunone
Che questo eccede per comun giudizio
D* altezza, di materia e d'artifizio.
Ma veggio dove io sono, e perchè tanto
Mi par Roma illustrata in ogni parte
Che pili l'antiche carte
Non ponno fare invidia all'età nostra;
Mentre vo '1 Vaticano a parte a parte
Mirando fuor del tempio adomo e santo
Vengo in stupor di quanto
Obietto agli occhi miei si porge e mostra.
Già fur Flamini e fu (1) la gloria vostra
(t) Il Ms. ha piif, r emeDdazioDo fv mi pare naturale.
GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUI LL ARA 123
D'aver fatta la patria illustre e bella 100
Di Cerchi, scene, ADflteatri e Tempi.
Ma ceda a questi tempi
i^ prisca età, vinca Tetà novella,
E s' alcun v' è lontan che non me *1 creda
Ritorni a Roma e poi risponda e ceda. 105
ne vien da man Pia, da petto Pio,
Colli sacri a Quirin, si grande onore
Tanta gloria e splendore.
Ornamenti si rari e si diversi
Deh! poi ch'abonda in voi tanto favore 110
Presso al Vicario del figliuol d* Iddio,
Diteli eh' io desio
In onor de' due Pii vei^r miei versi ;
E eh' al cantar d' Enea già mi conversi
Perchè fu Pio, perch' ei fu la radice 1 1 5
Del gran splendor del mio nido materno,
E perchè chiaro scerno
Che dal moderno Pio sperar ne lice
Quanto sperar e desiar si potè.
Vorrei scolpirlo in sempiterne note. 120
a da quel di pietà si vivo raggio
Che nella santa sua fronte risplende,
Ch' a voi queir onor rende
Che v'avea tolto il tempo e 'I rio destino
Bramo aiti al disio eh' el cor m' accende 125
A fargli de' miei versi eterno omaggio.
Voi cadevate io caggio,
Voi risorgete, io vieppiù ogn' or m' inclino
Ma s' averò dal suo Lume (1) divino
Quel velo (2) di pietà eh' avete voi 1 30
C ha dato nova vita al nome vostro
^* ' ^'el margine del codice si legge Rutne,
v-> Così il codice; non sarebbe forse da correggere con zelo?
124 M . PELEAZ — GIOVANNI ANDREA DELL* ANGUILLAIA
Spero che 1 tosco inchiostro
Nel cantar di due Pii famosi Eroi
M'ornerà non vo'dir d'ostro né d'oro.
Ma forse ben d' un sempiterno alloro. 1 35
Canzon, vanne umiiemente a' santi pie
Di quel ch'in terra il seggio ha più sublime
E e' ha tanto illustrato il Tebro e 'I Lazio ,
E di' eh' io non mai sazio
Sarò di dire i suoi gran merti in rime, 140
E già sacro al suo spirto illustre e divo
Uuant'opro, quanto intendo (1) e quanto scrivo.
(1) Nel margine del ms. si legge: qtumto parlo.
CURZIO GONZAGA
RIMATORE DEL SEGOLO XVI
CENNI SULLA SUA VITA E SULLE SUE OPERE
La famiglia Gonzaga è, tra le nobili d'Italia, una
delle più meritamente celebri, non tanto, ad usare le
parole di Dante, per il pregio della borsa e della spada,
onde s'ornò, quanto, e non è gloria minore, perché ai
fasti, che la illustrarono e nell'armi e nella politica e
nella religione, essa aggiunse quelli eziandio delle lettere;
sicché, se da una parte molti de' nostri poeti cinquecen-
tisti trovarono larga materia a sciogliere i loro canti in
onor d' essa , che con tanta munificenza dava protezione
e aiuto ai cultori delle lettere , dall' altra fra gli stessi
(lonzaga vediamo fiorire non indegnamente la poesia, e le
muse sorridere a cotesti principi, che la cultura della
mente e dell'animo pregiaron quanto gli esercizi caval-
lereschi, conciliando felicemente con le gravi cure di stato
gli ozi grati e fecondi delle lettere.
Sarebbe non inutile per la storia della nostra lette-
ratura il tener parola di tutti que' Gonzaga, che appunto
qualche lode si meritarono nella poesia; avendo natural-
mente riguardo a non prestar cieca fede alle adulatrìci
t^gerazioni dei contemporanei, i quali molto spesso nei
126 A. FELLONI
loro giadizi, sì lasciarono abbagliare dalla potenza e dalla
fama d'ona si illustre famiglia.
Ma non è concesso, come vorrei, alle mie povere
forze, il compiere qaesto lavoro (1), il quale offrirebbe
occasione a molte ricerche, che per ora non mi sono
possibili ; sicché mi restringerò a parlare d' uno di questi
principi poeti, il quale, chiamato un giorno famosissimo,
e tenuto per uno de' più felici ingegni poetici d' Italia ,
oggi è quasi del tutto dimenticato, e assolutamente ban-
dito, come troppi altri, dalle nostre storie letterarie ; seb-
bene egli possa avere un certo interesse , specie per la
storia del poema eroico in Italia, avendo infatti scritto,
quasi contemporaneamente al Tasso, un poema, // Fi-
damante, eh' è da studiarsi, se non come lavoro d' arte,
almeno come documento del gusto e delle idee che su tal
genere di poesia si aveano in quel tempo. Certo agli occhi
nostri non sono giustificate le lodi di che i contemporanei
furono larghi a Curzio Gonzaga; anzi esse ci possono parere
esagerate e poco meno che ingiuste. Ma a dare un quadro
completo di ciò che fu la poesia in un determinato tempo,
è necessario studiarla con quelle idee e que'criteri, tra i quali
essa nacque e fiorì, ammirando e studiando bensi special-
(1) Vedine un tentativo in Tiràbosciii, St. della leti, ttoi., Venezia^
1^3-25, a spese di Giuseppe Antonelli, T. VII, parte I, pagg. 74-104; Betti-
nelli, Delle lettere e delle arti mantovane, Mantova, Pazzoni, 1774; Volta,
Compendio cronologico' cri lieo della storia di Mantova, Mantova, Agazzi,
18:28.I/Affò lasciò manoscritte alcune brevissime memorie sui Gonzaga che
si distinsero nella Poesia. L'autografo si conserva nella biblioteca Maldotti in
Guastalla (Busta n.® 85) ed ha per titolo // Parnaso Gonzaga , ovvero
Memorie di quei Sigiwri e Signore della casa Gonzaga, che coltivarono
la volgar Poesia. Anche il conte Carlo D*Aiirx) lasciò manoscritte delle
notizie sugli Uomini illustri mantovani, che si conservano nell'Archivio
storico Gonzaga di Mantova; in esse parla naUirahnente anche dei Gonzaga
letterati.
CURZIO GONZAGA lUMATORE DEL SEGOLO XVI 127
Mte i grandi scrittori, che la lor fama intatta tra-
UDdarono ai posteri , senza però disprezzar quelli , che,
jindicati grandi an tempo, oggi agli occhi nostri son di-
renati pigmei.
I.
Poche notizie ci ftirono conservate, sparse qua e là,
nla vita di Carzio Gonzaga ; io farò del mio meglio per
breTemente raccoglierle ed ordinarle, correggendo qualche
errore e alcune cose aggiungendo ad altri sfuggite.
Curzio appartiene a quel ramo della famiglia Gon-
ap, che fu detto dei Signori di Mantova , e eh' ebbe
per capostipite un Corrado, vissuto verso la metà del
lec XIV. La sua nascita si vuol porre da alcuni all' anno
1536; ma di ciò non vi ha documento (1). Gli fu padre
Luigi di Giampietro , da non confondersi con altri due
Luigi— uno dei quali detto Rodomonte — che vissero pure
B quel tempo e a cui, come osserva l'Affò, < se non in
lotto, in parte almeno i caratteri stessi convennero >,
ODde facilmente le imprese dell' uno furono con quelle
degli altri confuse (2). Alla quasi contemporaneità di
fiesti tre Luigi nella famiglia Gonzaga accennò anche il
»K»lro Curzio nel e. XXXV del suo Fidamante, dove,
Passando in rassegna i più illustri personaggi di casa
^^ga, dice:
Vedin qui tre stretti in uo groppo appresso
Quasi tirar ad un medesmo segno,
Gol nome di Luigi a tutti impresso.
(ì) Cfr. Volta, Op. ciL Tomo HI, pag. 205 ; Luta , Famiglie no-
a. VoL V, Famiglia Gonzaga, tav. XIX. Cosi anche il D' Arco nelle
tate Memorie; egli pem, col Litta, sbaglia, come vedremo, ponendo la
Dnoa di Curzio ad arciprete della cattedrale di Mantova nel 1540.
(S) Affo , Vita di Luigi Gonzaga detto Rodomonte , Parma ,
rmignaoi, MDCCLXXX , pag. 20.
128 A. BELLONl
E a proposito di sao padre aggiunge :
Hor del terzo Luigi degno è e' bora
Trattomi adietro via più inanzi conte,
Saggio, grave, prudente et di canora
Cetra, et d* altre più gratìe illustri et conte.
Che d' Isabella (1) honor di quella etate.
Specchio d'ogni valor, d*ogni honestate,
Tre n'havrà figli, due de'quai nomati
Silvio et Claudio verran, d'intera fede.
Di senno et di bontà, di gratie ornati.
Et de i paterni don ciascuno herede.
E '1 terzo fìa Costui (2), che gli honorati
Pregi tuoi, gloriosi oltre ogni fede
(Tutto che in burnii Tosco stile) al mio
Creder torrà dal sempiterno oblio.
L' Ariosto, nel canto XXXVII, st. vm, dell' Orlando fu-
rioso, ricordò il nostro Luigi, come ha dimostrato l'Affò (3).
assieme all'altro detto Rodomonte, coi seguenti versi:
ce ne son dui [Luigi]
Di par da Marte e dalle Muse amati,
Arabi del sangiio, che regge la terra
Che 1 Menzo fende e d' alti stagni serra.
Da queste parole si ricava che il padre di Curzio era
valente non meno nell' armi che nelle lettere, e sappiamo
(I) Costei è Isabella d*OuaTÌaoo Lampognani, seconda nK^e di
liUigi, che, vedovo di Agnese Stanga Torelli, la sposò nel 15:27, e n*ebbe
tre tì^li, Clamlio, Silvio e Curzio. Cfr. Affò, loc dt, e Lìtta, loc cit
(i) Cioè rauUHV del Poeuia, Cunìa
(3) Op. cit pag. ^ e segg.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XYI
129
infatti, che si dilettò di poesia latina e italiana, riascendo
non ispregevole verseggiatore (1). Cosi Curzio aveva nel
padre suo an esempio nobilissimo di quel felice connubio
tra le doti di principe e di letterato, cbe fu, come ho fatto
notare più sopra , frequentissimo nei principi di casa
Gonzaga. E all'amore e al culto degli studi ben poteva
indirizzar Luigi il figlio suo, specialmente quando, forse
dopo il 1538 (2), si ritirò in Borgoforte, ove nella più per-
fetta tranquillità gli era dato attendere esclusivamente
alle predilette cure letterarie.
Curzio era, come pare, destinato dal padre a vestir
r abito clericale; infatti lo vediamo nominato arciprete
della cattedrale di Mantova con decreto 4 dicembre
1543 (3). Egli però non deve aver assunto mai gli or-
dini sacri, se potè in seguito rinunciare non pur a tale
dignità, ma eziandio alla veste ecclesiastica.
Già verso il 1554 doveva aver qualche fama nella
poesia; troviamo infatti un suo sonetto stampato, in
quell'anno, nel Tempio alla Divina S. Donna Giovanna
(f Aragona (4); e pure al 1554 apparterrebbe, secondo
l'Aliò, un sonetto diretto ad Ippolita Gonzaga, quand'ella,
(1) Secondo il Litta, loc. cit., Luigi fu presso Massimiliano Sforza,
diica dì Milano, che nel 1513 lo fece senatore; e il marchese Gianfrancesco
di MantoTa Io ebbe a suo consigliere secreto e tanta fiducia poneva in lui,
che nel testamento ordinò non si trattasse senza suo intervento alcun
affare di Stato. Quanto alle poesie di Luigi cfr. Affò, Op. cit.
(i) L*Affò, Op. cit., pag. 22, cita una lettera diretta da Luigi, ai
2f> d'Aprile del 1538 da Mantova, a Don Ferrante Gonzaga, viceré di
Sicilia, nella quale dice che gli occhi e la roano non gli servivano più
bene e che sentiva i suoi giorni avvicinarsi alla fme. L'Affò suppone
quindi che dopo questo tempo Luigi sì sia ritirato in Borgoforte. Mori
pare, nel 15i9.
(3) Veggasì questo decreto in Appendice.
(i) In Venetia, per Plinio Pietrasanta, MDLIII; pag. 24i. 11 so-
netto comÌDcia cosi : Già ride il cielo e V caia d' ogn intomo,
VoL IV, I>anc I 9
130 A. BELLONI
congiuntasi in matrimonio con Don Antonio Caraffa duca
di Mondragone, passò con lo sposo da Milano a Napoli (1).
Oltre che alle muse però dovette Curzio attendere
in questi suoi giovani anni anco all' esercizio delle armi ,
nel quale, al dire del D' Arco (2), diede prove di grande
intrepidezza e di molto valore. Se ciò sia vero, non so,
ma lo si può forse arguire dalla particolar stima ch'ebbe
più tardi di lui, come vedremo, Don Giovanni d'Austria.
Del resto nuli' altra memoria rinvenni della sua vita in
questi anni, se non una lettera del 1556, scritta d' Urbino
da Girolamo Muzio, Giustinopolitano , a Don Ferrante
Gonzaga, viceré di Sicilia (3), nella quale si parla di una
question d' onore tra il nostro Curzio e un tal Raffaello
Ghinizzano. Par che la faccenda fosse di non lieve im-
portanza, se lo stesso Don Ferrante se ne occupava e
ne trattava col Muzio. Curzio infatti per tale affare, se
non ebbe, corse pericolo d'avere la pena della prigione.
Di che si trattava ? Dalla citata lettera s' intende, che Curzio
aveva offeso e provocato il Ghinizzano e che questi avea
risposto mettendo la mano in sul pugnale. La cosa do-
vette accadere alla corte del Duca di Mantova, alla tavola;
e appunto il Muzio dice che Curzio non aveva havuto niun
torto a far quello che egli fece , da farlo in quel luogo
in fuori, e aggiunge : due sono le cose, che .... si hanno
a considerare, V una la offesa fatta al S.** Duca, t altra
la querela, che è fra le due parti, et che, quanto alla
(i) Rime dell' lllustriss. Sig. CURTIO Gonzaga, già ricorrette, ordi-
nate et accresciute da lui, et hora di nuovo ristampate atn gli argo-
menti ad ogni compositione. In Venetia, al segno del Leone, MDXCl.
Parte V*, pag. 162. Il sonetto comincia: Varca {et oh pur non sia d'e-
terno pianto).
(2) Nelle citale memorie manoscritte.
(3) Lettere di Girolamo Muzio GiustinopolitatM, conservate nel-
r Archivio governativo di Parma, Parma, Carmigoani, iS64.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 131
offesa del S" Duca, è degno che il S" Curtio ne faccia la
penitenza.... E la penitenza par dovesse essere un po'
dura, percb' era voler del Duca , che Curzio fosse posto
in prigione, dove, dice il Muzio, poiché sarà slato quel
tempOy che parrà a Sua Ecc.^, vorrà che vada a casa di
messer Raphaello Ghinizzano a restituirgli V onor suo.
A tale fatto si riferisce pure un sonetto del Muzio
al Nostro, ed una risposta di quest' ultimo per le rime (1).
Non ostante quest' avventura, che potrebbe farci so-
spettare in Curzio un carattere un pò* troppo vivace, ei
dovè procacciarsi stima ed affetto alla corte di Mantova,
e ne abbiamo una prova in ciò, che il famoso cardinal
Ercole Gonzaga, che resse per alquanti anni il governo
del ducato durante la minorità dei nipoti, affidò proprio
a lai 1' incarico d' andar qual suo particolare inviato
a Carlo V, in occasione della pace di Cateau-Cambrésis
del 1559 (2). Pochi mesi dopo Curzio accompagnava
a Roma lo stesso cardinal Ercole, mentre era vacante
la sede pontificia per la morte di Paolo IIII ; e da Roma
scrìveva a Don Ercole II d'Este, Duca di Ferrara, ren-
dendogli conto delle grandi accoglienze fatte al cardinale (3).
IL
Curzio era allora nel fior dell'età e in Roma trovò
la sirena ammaliatrice, che lo adescò e fece schiavo. Di
(1) Rime dell' lUustriss. %. CuRTio GONZAGA, eie., parte V, pag.
IW).
(i) Veggasi in Appendice la lettera con cui il cardinal Ercole ìn-
«iava a Carlo V Curzio Gonzaga.
(3) Lettere di Principi le quali o si scrivotw da Principi o a Prin-
npi, o ragionan di Principi. Libro primo. In Venetia, presso Francesco
Toldi, MDLXXIII, pag. 197.
132 A. BELLONI
questo primo amore (che non fu di breve durala , se
prestiam fede alle parole del poeta:
Lasso, che già san fugge il decim' anno
Che a me stesso iniquo.
Poca terra mortai feci idol mio (1); )
il Gonzaga parla a lungo nella prima parte delle sue Rime,
dalle quali si ricava, che la donna, in cui egli avea riposto
il suo affetto, non n' era degna, dacché ebbe il coraggio,
come ivi si dice, d' abbandonare capricciosamente il po-
vero innamorato, quando più fervida ardeva in lui la fiamma
della passione.
Curzio sfogò il corruccio ne' versi ; maledisse V error
suo ; fermò nel pensiero di dannare appresso i suoi andati
mal ispesi anni (2); e volse grazie ferventissime al cielo
che r avea liberato d' un indegno amore. Ma ben presto
ricadde nella pania , e par che questa volta oggetto
della nova passione sia stata una donna d'alto casato,
come si può arguire anche dal soprannome, col quale
egli la chiama, di Orsa, che ci fa supporre in lei una
gentildonna di casa Orsini (3). A costei, astro novello,
sciolse il suo canto il nostro poeta ; ma da quello in fuori
che ci dicon le sue rime, nuir altro della Grand' Orsa
ci è dato sapere. Certo T amor di Curzio per lei fu
duraturo, poiché ad essa egli dedicò non pur la prima
edizione, del 1582, del suo Fidamante, ma quella ancora
del 1591.
(i) Rime, etc. Parte 1, pag. 15.
(2) Si veggano in Appendice le lettere di Curzio, dalle quali traggo
tutte le citazioni, che non hanno un'indicazione speciale.
(3) Sul frontispizio del Fidamante si vede una colomba che vola
verso la costellazione dell* Orsa maggiore, e intorno il motto : E sole altro
mn haggio, a proposito del quale vedi appresso.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 133
Cosa facesse il nostro Carzio a Roma, non si sa con
sicurezza; era, pare, al seguito del cardinale Ercole, il
quale lo aina?a e stimava per le rare virtù ch'erano
in lui.
Riapertosi nel 1562, sotto il pontificato di Pio lY,
il Concilio di Trento, al cardinal di Mantova fu data in-
combenza di rappresentarvi la S. Sede in qualità di primo
legato. Curzio però se ne rimase in Roma, come si può
vedere da due lettere da lui indirizzate di là al cardinale,
in data del Luglio 1562 (1). In queste lettere egli parla
della freddezza universale della Corte di Roma : ma con-
fessa d* altra parte di non darsi troppe brighe quanto
al visitarla ; sicché pare eh' egli si tenesse un po' in disparte
evitando le noie che la sua posizione poteva procurargli.
Più volentieri attendeva agli studi ; e, nelle lettere sovrac-
c^nnate al cardinal Ercole troviamo queste parole: < È piac-
ciuto a Mons.'' 111.'°'' Rorromeo (non so da qual buono
spirito mosso) di chiamarmi motu proprio, onoratissi.^^
nella sua Academia, come più particolarmente Y. S.
111.™ potrà intendere dal S.' Arrivabene ». Qui si ac-
cenna all'Accademia delle Notti Vaticane, aperta, in
Yaticano, dal cardinal Rorromeo, nella quale , dice il Tasso,
€ il Ca vallerò Sperone, e 'I conte Rartolomeo da Porzia,
e l'abbate Ruggiero, e '1 Signor Curzio Gonzaga, e 'I
baron Sfrondato, e l'Amalteo, ed altri uomini illustri ed
eccellenti solevano leggere e disputare > (2). In questa
Accademia per lo appunto Curzio recitò una orazione in
lode della lingua volgare, come ci attesta Maddalena
Campiglia, letterata vicentina, ch'ebbe grande ammira-
ci) Vedile in Appendice.
(2) Tasso, / dialoghi, a cura di Cesare Guasti. Firenze, Felice Le
Moonier, 1858-59. Voi. Il, pag. 336 (Dialogo De la dignità).
134 A. BELLONI
zìoDe ed amicizia pel nostro poeta (1), nella prefazione
alla commedia di Curzio Gli Inganni (2). Questo è pure
ricordato da Uberto Foglietta nei saoi dialoghi De Ungtiae
latinae tisu et praestantia (3), ove introduce, come inter-
locutore, anche il Nostro, e dice che in questa orazione
Curzio € id suscepit demonstrandum, non modo oportere,
sed necesse quoque esse latina lingua oimssa, quae
obsolverìt. Italo populari sermone hominum cogitationes
et actiones, quin etiam doctrinas ipsas litterarum monu-
mentis hoc tempore mandari > . E in ultimo il
Foglietta dà questo giudizio sulf orazione : € Elaborata . . .
erat inprimis et copiosa ac cum verbis illuminata, tnm
sententiis variata >. Sembra però che Curzio non
si dilettasse molto delle adunanze di cotesta Accademia;
infatti, scrivendo al cardinal Ercole, egli dice alludendo
ad esse: € Gli è bene vero, Ill.™° S/ mio, che l'haver da
tornar bora a scuola e con tanta incomodità, come pur
convien, eh' io faccia, tal volta mi dà fastidio grandiss.^ et
se sapessi come sbrigarmene con onor mio per certo
che lo farei > .
(1) A lui essa dedicò la sua favola pastorale Fiori, pubblicata in
Vicenza nel 1588; a scriver la quale dice d* essere stata ispirata dalla
lettura del FidamantPy a cui fece poi, nell'ed. del 1591, gli argomenti
in ottave. Nel 1589 pubblicò una ecloga pastorale Colisa, in cui sotto i
nomi di Fiori e d' Edreo sono adombrati la Campiglia stessa e Curzio
Gonzaga, il
Regio Pastor gentil, per cui va il Mincio
Superbamente altero e il Po vicino
Le corna inclina e i\ liquido cristallo
Di lui umilemente in grembo accoglie.
Veggasi lo studio: Maddalena Campiglia, poetessa vicentina del sec. XVI.
di B. MORSOLIN in AUi della Accademia Olimpica di Vicenza, voi.
XVII, 1882.
(2) In Venetia, appresso Giovan Antonio Rampazetto, 1592.
(a) Ilamburgi, apud Theodor. Christoph. Felguier, MDCCXXIII, pag. 77.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 135
E d' altra parte il nostro Curzio ci teneva a far sa-
pere di non essere uomo di lettere per professione,
ma solo per passatempo. Infatti egli scriveva al cardinal
Ercole a proposito sempre dell' Accademia vaticana : < Io
lemo che quel S.' 111.°*** con tutta quella onoratiss.* com-
pagnia s'babbiano a trovar grandem.^ ingannati del sa-
per Olio, stando cb' ogni altra professione, cbe quella delle
lettere come pur chiaramente si sa, è stata sempre la
mia, tutto cb' io babbia qualche volta, se ben pochissime,
doppo ch'io son in Roma, detto qualche cosetta e più
per passatempo che per istudio > . E altrove : € Quanto
poi a quello che V. S.** 111.°** dice eh' io le ho promesso
d'impartirle alcune impennate dell'inchiostro mio con-
sacrato alla eternità, le rispondo che veram.^ non mi par
mai d'haver osato tanto, percbé se pur nel passato tal
volta mi son disposto (tirato dalle passioni del crudo et
alato arciero) a formar qualche doloroso accento in ritmo
Fu sol per scherzo et per mostrar di fuori
Sol a mia donna i mal graditi amorì ... ».
E più tardi scriveva nella prefazione al Fidamante: a È
noto a tutti quelli, che di me hanno avuta qualche cono-
scenza, che da ì trent' anni adietro della mìa età, questa
non è stata professione mia et che per molti altri seguenti
appresso mi vi applicai più per scherzo i» , e qui se-
guono i due versi sopra riferiti.
Il 2 marzo 1563 moriva in Trento, mentre presiedeva
il concilio ivi raccolto, il cardinale Ercole ; e cosa facesse
in seguito Curzio non sappiamo; che non ci è dato se-
guirne le vicende della vita, se non alcuni anni dopo,
con la debole scorta delle notizie oiTerteci dalle sue poesie.
136 A. BELLONI
III.
Il 7 ottobre 1571 avvenne, come si sa, la battaglia
di Lepanto. Il nostro Curzio in quei giorni era afflitto da
grave infermità, per il che non gli fu possibile, come
ardentemente bramava, stringere egli pure la spada contro
il Turco. E nelle sue rime troviamo l'eco dolorosa del
rimpianto, ond'egli salutò i fortunati a cui era dato in
sorte
Rintuzzar tanf orgoglio, o pur concesso
Sparger per Cristo (o voi beati) il sangue (1).
Egli, un giorno si forte e sì baldo, ora dovea rimanersi
inoperoso spettatore delle glorie altrui,
Quando feroce il cor, guerriera Y alma
Hebbi su '1 fior de' miei verd' anni, intomo
Volando già pace tranquilla et alma
Et fean Marte et Bellona in ciel soggiorno.
Hor ch'egro et stanco, vo' di giorno in giorno
Mancando, et vivo quasi inutil salma.
Scendono in terra, e 1 tracio mostro il corno
S' arma ver noi et Y una et Y altra palma (2).
E di non aver partecipato alla battaglia di Lepanto dice
apertamente egli stesso:
Di quel conflitto si famoso et chiaro
Non fui già a parte et n' ebbi un tal dolore
Che poscia unqua io non tenni il viver caro (3).
(1) Rime, eie. pag. 207.
(2) Id., ibid.
(3) Id., pag. ne.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 137
la qael tempo trovavasi egli a Roma, come rileviamo da
alcuDi versi d'un capitolo consolatorio, scritto al conte
Francesco Landrianì, maestro di campo della Santa Lega,
al qnale era morta la moglie; ove dice
perchè *1 mio fato obliquo
Me sempre torce dal mio dritto calle.
Et Palma e *1 corpo mi percote iniquo?
Oh pur non fosse! I passi a voi, le spalle
Hor hor voltar mi vedrìa Roma a lei,
Né potria ritardarmi o monte o valle (1).
Accaduta la battaglia , Carzio s' accese d' entusiasmo al-
l'annunzio della grande vittoria, e in tre canzoni tentò
descriverla; ma, se debbo dire il vero, mi pare che i
^ersi abbiano male espresso il sentimento del poeta,
dacché non si sente in essi queir arder lirico, che solo
PQò darci grande e vera poesia (2). E tanto più salta agli
occhi tal deficenza, per ciò che il poeta coli' ultimo verso
<^6lla sua terza canzone,
E co '1 rio Trace guerra, guerra, guerra,
^i fa tornare alla mente la splendida canzon del Petrarca
air Italia.
Rimessosi un poco in salute, volle il nostro Curzio
recarsi air armata dei collegati ; e di questa risoluzione
^è notizia con un sonetto al cavalier Guarnelli, ove
dice che, sebbene ancora infermo et stanco, non può
taltavia resistere al desiderio dell' alma vigorosa et forte
di seguir (f Austria il Duce invitto et franco, e che spera
^ poter egli pure combattere o che ahneno si possa
«lire di lui
(1) Id., pag. 228.
(i) Id., pag. 209 e segg.
138 A. BELLONI
d* Ogni altra voglia schivo
Sempre in questo desir visse e morto (1).
E in altro sonetto afferma:
... sol d'Austria ai gran Duce altero
n cor sacr' io, cui viene homai che ceda
Et d* Amore et d'Apollo il pregio e 1 grido (2).
Inoltre all' abbate Claudio Gonzaga sno fratello scriveva:
0 me felice, o sante voglie et pie
Frate, s' anch' io fossi chiamato un giorno
Co 'I mio sangue a lavar le colpe mie.
0 pur, se tinto et del nemico adomo
Et d'alte spoglie carco io fessi un die
Così caro et bramato a voi ritomo (3)
Né v' ha ragione, credo, per sospettare, che cotesti sen-
timenti del poeta fossero falsi o esagerati, che essi si
spiegano facilmente pensando, come Curzio avesse dedicato
gli anni suoi primi, secondo ogni probabilità , all' esercìzio
dell' armi. Anzi forse per questo, come addietro osservai,
egli entrò singolarmente nelle grazie di Don Giovanni
d'Austria, il quale volle onorarlo di doni e gli regalò un
ginnetto; del che lo stesso Curzio ebbe a meravigliarsi,
poiché non avendo preso parte alla battaglia di Lepanto,
non poteva ritenere che questo fosse quasi il premio del
servizio prestato, onde si spiegò il dono cosi:
(1) Id., pag. :22i.
(2) Id., pag. 222.
(3) Id., pag. 224.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DfiL SECOLO XVI 139
Ma forse il feste, il gran deseire in carte
Scorto, eh' hebb' io di far palese al mondo.
Quanto il valor vostro infinito saglia (1).
Infatti in altre poesie Carzio avea mostrato intenzione
d'esaltare col canto D. Giovanni, e appunto in un sonetto
dice d' essersi accinto ad opera ove
del Cavaliere invitto udrassi
D' Austria famoso, come sol co ' 1 nome
Faccia, già vinto il mar, tremar la terra (2).
E domanda aiuto alla musa ; perchè, ei dice.
Grand' opra io tento, et s' a V arder mi dai
Pari la forza ergermi al ciel mi fido (3).
Or qual' è quest' opera, in cui doveasi udire i7 grido di
Aforfe, e Amor cedere e farsi muto ? Forse il Fidamantéf
Ma in tatti i trentasei canti di questo lunghissimo poema
soltanto poche ottave del canto XXX parlano di D. Gio-
vanni d' Austria ; né quindi può credersi che codesta sia
l'opera cui alludeva il poeta. Forse Curzio mutò poi pen-
siero, e credette più confacenti alla tempra del suo ingegno
'e anenlure dell' Amante fedele.
IV.
in appresso ritroviamo di nuovo il nostro Gon-
zaga a Roma, dov'era certamente nel 1575; che in-
fatti nella citata prefazione al Fidamante egli attesta di
(1) Id., pag. 2^.
ii) Id., pag. 234.
(3) Id., ibid.
140 A. BELLONI
avere cominciato qaesto sao poema > in quell'alma et bene-
detta città r Agosto deir anno santo del LXXV > . Colà
si trovava pure nel Luglio del 1577, come si rileva da
una lettera , che gli scrisse Torquato Tasso , racco-
mandandogli una sua supplica, diretta ai Cardinali dell' In-
quisizione, della quale contemporaneamente avea inviato
altra copia, anche a Scipione Gonzaga. Dice in quella
lettera il Tasso: < Quanto ella ha costì di grazia e di
favore, non Io può impiegare in più onesta causa che in
questa: ed io, se 'I signor duca sarà informato del vero
riconoscerò la vita e V onore da vostra Signoria illustris-
sima, a la quale non dirò altro, se non che tanta spe-
ranza ho di vita e non più, quanta n'aspetto dal suo
favore > (1). Questa lettera ci attesta che una qualche
relazione col Tasso il nostro Curzio l'ebbe (anzi il Serassi
la chiama a dirittura grande amicizia) e ci è indizio
della posizione ragguardevole, che il Gonzaga teneva in
Roma.
Dopo il lungo soggiorno nell' eterna città Curzio
fece ritomo alla patria, dove si trovava certamente nel
maggio 1581, come si rileva da una lettera diretta da
Alberto Lavezzola a Diomede Borghesi in Mantova, in
casa dell' ill.mo sig. Curzio Gonzaga, al quale il La-
vezzola mandava i suoi saluti per mezzo del Borghesi (2).
(1) T. Tasso, Lettere, ed. Guasti, Firenze, 1854-55, voi. I, pag. 256.
(2) Vengasi questa lettera in Opere di Torquato Tasso colle con-
troversie sulla Gerusalemme, ed. RosiNi. Pisa, presso Niccolò Capunro,
1821-32; voi. XXIII, Controversie sulla Ger., pag. 90. Il Gonzaga
dunque era in relazione tanto col Lavezzola quanto col Borghesi , oppo-
sitori ambedue del Tasso in fatto d*arte; noto ciò perché alle Tolte le
amicizie influiscono sulle opinioni. De! resto nulla sappiamo di quel
che pensasse il Gonzaga sulla Gerusalemme; per ciò appunto ho cre-
duto bene far rilevare queste sue relazioni. Col Borghesi il Gonzaga
si consultò qualche volta in fatto di lingua, come si ricava da due let-
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XYI 141
In Mantova era ancora sul principio del 1582, e lo
si ricava dalla citata prefazione al Fidamante, ove dice
d*aver terminato il poema in quella città e in sul co-
minciar di quell'anno. E a questo punto s'apre per il
nostro Curzio un perìodo di vita affatto tranquilla e dedi-
cata agli studi.
Il Volta afferma che il Gonzaga venne più volte in-
vitato a illustri carìche in vane corti, ma ch'egli persi-
stette nel suo ozio letterario (1). E il D'Arco nelle già
citate memorie manoscritte, dice, non del tutto esatta-
mente, come si può vedere da quanto dissi più sopra:
e Al 1575 ritornato in patria più non partì rifiutando
molte onorevoli magistrature offertigli da diversi principi
italiani e stranieri > . Nessuno de' due scrittori però ri-
porta documenti, che confermino codesta asserzione, sì
che io ne lascio ad essi la responsabilità. Il fatto si è
che parecchi accenni si possono mettere insieme per
dimostrare che Curzio s' occupava ora con lena maggiore
dei suoi studi.
Battista Guarini in sua lettera del 22 luglio 1583 a
Francesco Maria Vialardi, narra come tornando da una
gita fatta a Milano , s' era fermato a Guastalla, ove nella
piccola, ma splendida corte del principe Ferrante II, aveva
trovato Curzio Gonzaga, Muzio Manfredi « et altri ancora,
ma quello eh' importa più la bellissima Signora contessa
di Sala (2) con un drappello di gentilissime dame; et
Kre dal Borghesi stesso a lui scrìtte, che si leggono nella II parte delle
ÌAttgre di D. R In Venetia, appresso Francesco de' Franceschi Sanese ,
^^^, pagg. ^ a, 36 b.
(1) Op. cit. T. Ili, Uh. XIII, parag. VII, pag. 205.
iì) Costei é Barbara Sanseverìno San vitale contessa di Sala, donna
bellissima e colla. Cfr. G. B. Intra, Una pagina della giovinezza del
PnVipe Vincenzo Gonzaga, in Archivio storico italiano^ Serie IV, T.
IVlli, disp. 5.' 1886, pag. 196 segg.
142 A. BELLONl
quivi il Signor D. Ferrante, che altre volte haveva udito
a Ferrara una parte di quella favola (il Pastor Fido),
volle di nuovo udir la medesima, in presenza di quella
bellissima compagnia. Et si ne fecero et si ne dissero
tante meraviglie, e particolarmente il Signor Cnrtio, che
non r aveva sentita più , che se si prestasse loro fede
non si sarebbe veduta cosa un pezzo fa la più bella > (1).
In altra lettera il Guarini, scusandosi col Principe
Vincenzo di non potergli mandare il Pastor fido, che
quegli desiderava far rappresentare in occasione delle
sue nozze con Eleonora de' Medici , dice : t Potrebbe
trovare per avventura qualche nuova comedia non più
veduta tra i suoi medesimi di Mantova, dove so che
sono ingegni nobilissimi, et particolarmente il Sig/ Cartio,
III.'"^ mio Sig/« > (2).
Ferrante Gonzaga era, come si sa, fautore ed amico
di scienziati e poeti e la sua corte era t quasi una delle
più floride Accademie, cui i migliori ingegni gloriavansi
di chiedere giudizio su le opere loro > (3). Il Guarini
la chiama vaso delle Muse e di D. Ferrante dice:
« Non fece mai tanto senno la poesia quanto all' bora,
che con tutte le sue più rare et pellegrine eccellenze
per illustrarsi, cred' io , si ridusse nel nobilissimo inge-
gno del Sig/ Don Ferrando Gonzaga , dov' ella abbon-
dantissima d' ogni cosa, senza haver a combattere né col
(1) Lettere del Signor Cavaliere Battista Guarini, nobile ferra-
rese. In Vcnetìa, MDXGV, Appresso Gìo. Ballista Gioiti senese, al segno
della Minena, pag. 198. Gfr. V. Rossi, Battista Guarini e il Pastor
fido, Torino, Loescher, 1886; pag. 180.
(2) A. D'Ancona, // teatro mantovano nel set, XVI, in Giorn, St.
della leti. ital. , voi. VII, pag. 53.
(3) L Affò, Istoria della città e del Ducato di Guastalla, Gua-
stalla, MDGCLXXXVII, T. Ul, Ub. X, pag. 72.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SEGOLO XYI 143
disagio, né con le tribulaziooi, può, s'io dod erro, col
Dobilissimo suo soggetto contender di nobiltà > (1).
Anche tenendo conto della esagerazione , che certo
sarà in queste parole , esse , con altre testimonianze ,
ci attestano che D. Ferrante era uomo di non mediocre
ingegno e di fine coltura ; e la sua compagnia dovea
tornar ben gradita al nostro Curzio. Della relazione di
famigliarità, che fu tra lor due, fanno fede alcune lettere,
che pubblico in appendice, nelle quali troviamo accenni
a gite di Curzio a Guastalla e a visite di D. Ferrante in
Borgoforte, ove il Nostro soggiornava. In una del 6 agosto
'85, Curzio annunzia a D. Ferrante T arrivo in Borgoforte
del Patrizio , il noto autore della Poetica (2), e lo invita
\ mantenere la fatta promessa dì recarsi egli pure
colà, quando vi fosse andato appunto il Patrizio , col quale
si capisce che il principe aveva espresso il desiderio di
trovarsi per goderselo. Lo prega quindi di stabilire il
giorno della sua visita e di condur seco Muzio Manfredi.
Da an' altra delie sovra citate lettere, scritta il 7 set-
tembre '85 da un tal Crema, gentiluomo fattore di Claudio
Gonzaga, il fratello di Curzio, rileviamo che il Patrizio
si fermò alquanto tempo in Borgoforte , e che durante
il suo soggiorno colà rivide il poema di Curzio, il Fida-
^mte, eh' era stato pubblicato, ma imperfettissimo, già
nel 1582 (3); promettendogli anche di scrìvere delle
(1) Lettere del Signor Cavaliere Battista Guarini, etc. In Venetia,
presso Gk). Battista Ciotti, sanese, al segno dell' Aurora, MDGIII ; pag. 99.
{ì) Su Francesco Patrizio v. un articolo di 0. GuERRim nel Propugna-
^^^d XII, 1879, dbp. 1 e II, pag. 172-230.
(3) La seconda edizione del Fidamante è appunto dell' anno 1585,
^ cu anenne la revisione del Patrizio. Delle edizioni del poema darò
■^ io una breve bibliograOa alla line di questo lavoro.
144 A. BELLONl
Deche volgari in onore di quei poema (1), per il che
Curzio gli fece dono di 24 braccia di tabe di seta.
In appresso mancano, per alcuni anni, notizie del
nostro Curzio. Nel 1591 egli fu a Venezia, come si
rileva dalla dedicatoria di Antonio Amici, preposta ali' edi-
zione falla in queir anno del Fidamante. E pare che a
Venezia siasi tratlenuto per alquanto tempo ; infatti ,
Maddalena Campiglia, grande ammiratrice, come vedem-
mo, del nostro Curzio, nella prefazione citata alla com-
media Gli Inganni dice: « Buona parte del verno pas-
sato io lo dispensai in Venetia, ove esso ( Curzio ) sia
anchora per stanza quasi tulto il tempo dell' anno > (2).
Ma inlanto il poela invecchiava e gli effetti dell' età
cominciarono ben presto a farglisi senlire. In un soDetto
che deve esser stalo scrino verso quel tempo, egli si
duole della podagra che lo tormentava (3), ed anche
nelle sue lellere parla di codesto male.
Nel 1595 il Duca Vincenzo faceva dono comune al
Gonzaga e a un di lui pronipote Luigi, di Palazzolo nel
Monferrato , con dirillo al titolo di Marchesi. Curzio aveva
(1) Queste deche volgari non sono che la Poetica del Patrizio pub-
blicata in Ferrara, per Vittorio Baldini, stampator ducale. MDLXXXVI.
11 Patrizio prima di pubblicare la sua opera volle sottoporla ali* esame di
Curzio, e infatti lo stampatore, nelF avvertenza a chi legge, citando i
giudizi venutigli da diverse parti sulla poetica del Patrìzio riporta anche
(]uanto gliene aveva scrìtto Curzio Gonzaga da Mantova, il quale, come
si capisce dalle sue parole, si limitò a fare alcune correzioni intomo alla
lingua, protestando però di farlo < con ogni riverenza, che si conviene
al debito di un discepolo verso il maestro >.
(2) Intorno a Ferrante Gonzaga v. Tiraboschi, St. della leti. Hai.,
VII, pagg. 86 e segg., 256, 1769. Cfr. D'Ancona, Il teatro mantovano
etc. in Giorn, Si, V, pag. 55, n. 2.
(3) Rime, pag. 235.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SE(X)LO XVI 145
intenzione di recarsi nei suo possesso, ma, scrivendo a
D. Ferrante , accenna a certi intoppi che gli si at-
iracersavano , onde pensava di allungar la sita an-
data a Palazziwlo; e altrove dice: « Mi è fatta ogni
goerra, perchè non vada a Palazzuolo e credo che m' hab-
biano tolto la nave, a cui havea data capara, e senza ia
quale impossibile è la mia andata >. Chi gli facesse la
guerra non so; certo è che Curzio, impedito di recarsi
a Palazzuolo, pensava d' andare a stabilirsi presso D.
Ferrante in Guastalla, come si ricava dalle sue lettere.
Intanto egli si disponeva a chiudere la sua vita con
un'opera che gli accrescesse onore presso gli uomini, e
grazia presso Dio, e cosi die principio alla fabbrica in
Borgoforte di « una bellissima Chiesa sotto il tìtolo del-
l' Annunziazione della Madre di Dio, con commode stanze
congiunte per alcuni sacerdoti, onde compìacquesi di
quest'anno investirne la Religione de' Servi, che solen-
nemente ne pigliò il possesso, assignandole alcune rendite
di propri beni in perpetuo per il mantenimento di detti
Padri > (1).
In questa chiesa egli volle essere sepolto, quando
neir aprile del 1599 , chiuse per sempre gli occhi alla
luce (2).
Visti cosi brevemente i casi della vita di Curzio
Gonzaga, passiamo a dir poche cose delle sue opere e
io ispecial modo del suo poema II Fidanzante.
(1) Ippolito Donesmondi, Dell' Istoria ecclesiastica di Mantova. Io
Miintofa MDCVI. Parte II, lib. IX, pag. 352.
(ì) W Volta, Op. cit. pag. 205, pone la morie di Curzio Gonzaga
u io dì Agosto del 151^, e pochi perìodi dopo ai 5 di Aprìle.
Voi. lY, Parte f iO
146 A. BlìlLLOM
V.
Quest' opera venne alla luce la prima volta , come
avvertii già più sopra, in Mantova nel 1582, e il poeta
dice di averla cominciata in Roma nel 1575 ; qnindi, al-
lorché usci scorretta, mutila e all' insaputa dell' autore, la
Gerusalemme Liberata, il Gonzaga doveva aver già in
gran parte pensato e scritto il suo poema; il quale tut-
tavia credo possa dirsi in alcuni punti una imitazione della
Liberata, ed è, a mio avviso, degno d' esser studiato, non
già come opera d' arte, ma perché è un portato naturale
di quelle stesse idee, che, nel campo della crìtica, die-
dero orìgine alle lunghe ed accanite controversie sul poe-
ma del Tasso. Unico pregio infatti del Fidamante è quello
d'esser condotto con grande perizia dei canoni aristote-
lici e con molto artificio nella macchina generale dell'a-
zione. Ora, queir età, la quale andava man mano per-
dendo il senso estetico del bello e si preoccupava più di
piccole questioni pedantesche , che non dell' arte vera
e grande , poteva ben compiacersi , che il Gonzaga
avesse saputo obbedire ad Aristotele meglio che non
r avesse fatto il Tasso, e per ciò dargli lode ed esaltarlo,
mentre oggi noi lo puniamo con 1' oblio dell' aver osato
emulare 1' autor del Goffredo. E a trarre dalla di-
menticanza r opera sua m' indusse , oltre la convin-
zione, che lo studio di qualsiasi periodo letterario va com-
piuto con paziente ricerca, nulla omettendo e trascurando
anche di ciò che a prima giunta par inutile e insigni-
ficante, il pensiero, che ad un completo lavoro sugli imi-
tatori del Tasso, quale ho in animo di mettere insieme (1),
(1) Queslo capitolo e i seguenti, un po' ampliati nel presente lavoro,
fonneranno parte iV uno studio al ({uale da tempo attendo su L epopea
dopo il Tasso.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SEGOLO XVI 147
giovi eh' io m'apra la via offrendo un largo esempio di ciò,
che fu la produzione epica subito dopo la Gerusalemme
Liberata. La qual cosa, benché in limiti più ristretti, fece
anche il Gingnené (1), che volendo dare l'idea d'un
poema epico posteriore a quello del Tasso , scelse , ap-
punto questo ; del quale io pure, servendomi anzi qualche
volta dell' analisi fattane dal critico frencese, cercherò alla
meglio di presentare ai lettori il riassunto.
Cauto I. — Nel luogo, ove un tempo sorgeva l' an-
tica Troia, una nuova città era stata fondata da un po-
tentissimo principe di nome Radamante (2). Questi discen-
dente dalla famosa schiatta dei re d' Ilio, aveva assai
peregrinato pel mondo durante la sua giovinezza. Al pari
d' Ulisse egli avea visto molte città e molte corti , e
possedendo fine cortesia e singolare prudenza , aveva
inspirato amore a molte gentili donne. Giunto final-
mente alla città di Mantova era rimasto preso dalla
bellezza meravigliosa d'una principessa, da cui aveva
avuto poi un figlio (l'eroe, come tosto vedremo, del
poema), ch'egli però credeva fosse morto insieme alla
madre, quando costei, temendosi abbandonata dallo sposo,
s' era gettata, col fanciullo tra le braccia, nelle acque del
Mincio. Radamante, tornato in Asia, e fondata, come ab-
biam detto, la nuova città di Troia, aveva sleso larga-
mente intorno il suo dominio.
Un giorno ( e qui comincia 1' azione del poema ) ,
recatosi a visitare i lavori del porto, che stavasi allora
appunto costruendo, vede avanzarsi dal mare verso la
(i) Histoire Uttéraire d' Italie^ tomo V, pag. 470 segg. Milano,
Miicrcxx.
(t) NcUa prima edizione del Fidamante il nome del re era Gara-
mante.
148 A. BELLONl
spiaggia nna navicella, che aveva i remi, le vele, le corde
dorate e pareva essa stessa fatta di perle. Da questa mi-
rabile navicella scendono un cavaliere e una dama , la
quale, volgendosi con cortesi maniere al re e offrendogli
in dono un ramo incantato d'alloro unito ad uno specchio
magico, gli presenta il cavaliere come il più fedele a-
mante che fosse stato al mondo, e che potendo con la
sua virtù conquistare scettri e corone , di nuli' altro si
curava che del suo amore per una donna ingrata e in-
sensibile. Egli offre il suo braccio e i suoi servigi a
Radamante, purché questi gli conceda V armatura d'Achille
della quale venne in possesso nel modo che si narra al
canto III, e che è necessaria al cavaliere per compiere
la difficile impresa di liberare la sorella della dama che
l'accompagna. Radamante accoglie cortesemente i nuovi
e misteriosi ospiti e li alberga nel suo palazzo, di cui fa
ad essi ammirare le grandi bellezze.
Frattanto è annunziato 1' arrivo d' una solenne am-
basciata , che il re riceve in tutta la pompa e la ma-
gnificenza del regale apparato. Questa ambasciata viene da
parte di Orcano, gran Khan deir India e della Persia, che
propone al re di Troia d' unirsi a lui nella guerra , che
stava per muovere contro il re di Sicilia, venuto a con-
tesa con Faraote, re d'Egitto, figlio d' Orcano. Questi
promette a Radamante, come premio dell'alleanza, la
Grecia, la Francia e l'Illiria.
Durante questa udienza giunge un altro ambasciatore,
che chiede instantemente d'essere ammesso alla pre-
senza di Radamante. Egli è un inviato del re di Sicilia.
Questi aveva una figlia bellissima di nome Clizia, la quale
era andata sposa a Tancredi, figlio del re di Creta. Il
re d'Egitto Faraote, che si fingeva amico di Tancredi,
era stato invitato alla festa nuziale in Sicilia. Ma, con nero
tradimento, ei fece in modo che la nave, la quale do-
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 149
YeTa coDdorre gli sposi a Creta, approdasse invece in
Egitto, dove egli, preso Tancredi, l'uccise, facendo pri-
gioniera la bella Clizia. La quale (come è narrato poi in
principio del canto II) era, insieme a sei altre nobili don-
zelle, destinata a cader nelle mani di Orcano , affinchè
s'avesse da avverare un presagio, fatto da certi maghi
al gran re, a tenor del quale questi avrebbe potuto con-
seguir r immortalità solo allora che avesse avuto in sua
balia sette donzelle di stirpe regale. Il re di Sicilia, uni-
tosi a quello di Creta, sta per muovere guerra a Faraote,
ma, per opporsi con speranza di vittoria alla immensa
armata, che Orcano aveva preparato per difendere il fi-
glio, chiede alleanza e soccorso a Radamante. Questi
ascolta il racconto del messo con grande orrore; ma
non gli dà alcuna risposta definitiva.
Canto II. — Radamante aduna il consiglio de' suoi;
si discute la questione delle alleanze e degli aiuti. Vari
SODO da prima i pareri, ma infine si decide che Rada-
mante s' unisca al re di Sicilia, come quegli eh' era il più
debole e l' offeso. Tuttavia per non irritare Orcano , si
evita di dargli un aperto rifiuto , e i suoi ambasciatori
vengono licenziali e rimandati al loro re con ricchi do-
nativi. Segretamente intanto si avverte il messo del re di
Sicilia, che le sue domande sarebbero stato esaudite.
In questo mezzo Ormisda, fidato servo di Rada-
mante, aveva cercato, per incarico del suo re, di aver
notìzie sui due ospiti misteriosi. Egli ritorna e dice a
Radamante, che la dama nacque nella città di Mantova e
ch'ella è signora di tutta l'Etruria; che il cavaliere poi
brama tener celato l' esser suo , ma sembra possedere
tutte le virtù.
All'udir rammentare la terra amata Radamante si
scolora in viso, e sospira; che dolci ricordi si ridestano
iieir animo suo. Cedendo alle inchieste di Ormisda , egli
150 A. BELLONI
narra a lui la storia del suo passato. Nacque egli la sul
Tebro, di Enea Silvio e d* una ninfa di quel fiume , che,
impaurita del fallo commesso, fuggi col bambino , cer-
cando altre terre tra gli stenti della miseria. Giunta nella
città degli Antenorei, vi trovò cortese accoglienza, e, colà
cresciuto , il fanciullo die manifeste prove della sua
nobiltà, finché uscito d* adolescenza si mise a peregri-
nare per r Italia e venne anche in Mantova, ove innamorò
della figlia del Re, Sulpizia, la quale dopo aver resistito
per cinque anni, non volendo venir meno ai doveri di
sposa, cedette alla fine , quando il suo consorte, giovane
di rei costumi, venne a morte. Viveva Radamante felice
neir amor di Sulpizia, allorché una maga osò distrugger le
gioie di lui, togliendolo alle braccie dell'amata per con-
durlo in un suo palazzo incantato e quivi trattenerlo
tra le più soavi delizie. Alcun tempo dopo egli apprese
che Sulpizia, oppressa dal dolore credendosi dimenticata
dall'amante, aveva, in un accesso di disperazione, posto
fine ai suoi giorni, gettandosi nel Mincio, insieme al te-
nero frutto de' suoi amori.
Canto Ili. — Radamante ordina, il giorno seguente,
un gran sacrifizio al Sole, perché questo Dio sia propizio
ai due ospiti. Durante il banchetto, che segue la festa,
egli prega il cavalier straniero di svelargli chi mai fosse la
bella, ma severa e insensibile donna, per ottenere l' amor
delia quale egli s' era accinto a sostenere le più ardue im-
prese. Il guerriero soddisfa il desiderio del re e comincia
il suo racconto.
Canto IV. — La bella di cui è innamorato è figlia
al re della grande Esperia ; a lei quando nacque il padre
avea imposto il nome di Ippolita. Fin dai primi suoi anni
ella fu consacrata a Diana; si nutrì alcuna volta di latte
ferino, e, cresciuta, di null'altro prese vaghezza, che della
caccia, inseguendo da prima gli animali tioùdi e fuggitivi
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 151
e affrontando poi leoni, tigri, orsi, de' cui velli piacevale
ornarsi, meglio che di monili, di perle e d' oro. Essendo
il padre di lei venuto a guerra coi popoli d' Africa , ed
essendo stato vinto con grave perdita delle sue armate,
Ippolita, bramosa di riparar tal disastro, varcò il mare,
rìuni intorno a sé le milizie, le riordinò, e potè cosi con-
seguir molte vittorie, soggiogando sette regni della costa
africana e trascinandone i re incatenati a ornar il suo
trionfo , per il che il nome di Ippolita le venne a
buon dritto mutato in quello glorioso di Vittoria. E qui
il cavaliere descrìve il trionfo della bella guerriera e con-
fessa che mai su lui avea tanto potuto la bellezza di
Ippolita, quanto potè quella della trionfante Vittoria. Ma
la forte donzella cresciuta tra l' armi , sprezzava l' amore.
Il cavaliere per piacerle combatté e vinse un gigante
africano, che ella aveva fatto prigioniero, e si nelle caccie,
che nei tornei compi imprese, che destavano in lui stesso
meraviglia.
Canto V. — Il cavaliere continuando il suo racconto
narra, che la sua Donna indisse una volta un torneo,
pronta a sostenere contro chiunque, che un amante a
nulla più deve aspirare che ad un sorriso e ad un sa-
luto della donna amata. In questa giostra, a cui sì pre-
sentarono tutti i più celebri guerrieri , ella riusci com-
pletamente, e tra T ammirazione universale, vittoriosa.
Posto fine al suo dire, il cavaliere prende congedo
da Radamante e lascia alla corte di lui la dama , che lo
accompagnava , a liberar la cui sorella appunto allora ei
s'accìngeva. Berenice (tale è il nome della dama) s'addolora
f ler la partenza del suo compagno , temendo che , privo
del suo soccorso, non «abbia a soffrir danno ed insidie
da parte delta maga Argentina , figlia d' Creano , donna
bellissima, piena di grazie, e regina in Cipro.
152 A. BELLONI
Ella vorrebbe da ultimo conoscere a pieno V orìgine
del Cavaliere, e siccome sa che fino dai suoi primi anni
egli era stato sotto la tutela del dio Proteo , che solo
ne conosceva i futuri destini, così, uscendo di notte dalla
Reggia di Radamante, sale sulla sua barca incantata e va
a trovare il dio nel suo antro.
Canto VI. — Proteo appaga cortesemente il desi-
derio della donna e le narra una lunga e curiosa istoria.
Giove aveva dato in isposa al re di Cuba una figlia d' Ino
e di Etiopia ; tutti gli Dei eran scesi dal cielo per pren-
der parte alla festa nuziale , e tra gli altri i mag-
giori fiumi , accompagnati da torrenti , ruscelli , rivi e
fonti. Nel bel mezzo della cerimonia Proteo, preso da
divino furore, aveva profetato, che una donna gen-
tile, credendosi tradita dall'amante, si sarebbe gettata
nelle acque del Mincio insieme al tenero figlio, cui l'O-
ceano soltanto avrebbe potuto salvare. Questi allora
aveva imposto al Mincio di ingiungere alle sue ninfe
che se ne stessero pronte per raccogliere vivo dal-
l'onde il bambinello. Esse infatti un giorno recarono a
Proteo entro picciota cesta tutta fiorita un fancinlletto,
cui il dio accolse tra le sue braccia e allevò con grande
amore. Il bambino crebbe fortissimo ; sicché , mentr' era
ancora in culla, strozzò due serpenti, e in appresso unico
suo ditetto fu r inseguire le fiere fuggitive in caccia. Il dio
nutriva di lui alte speranze; ma un di, per volere divino, il
fanciullo gli venne rapito. Proteo si dolse di ciò con Giove,
il quale gli concesse di consultare le Parche. Queste gli
predissero, che il giovanetto avrebbe ottenuto un giorno
la donna più bella e più fiera, che mai fosse al mondo;
che dal loro sangue sarebbe uscita una stirpe famosa, la
quale dovea poi dividersi in due rami, di cui 1' uno sa-
rebbe stato detto d'Austria (da Àustrìo, primo nome del
giovanetto), l'altro Gonzaga (da Gonzago, nome dato al
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 153
fanciullo da Proteo, e che, dice il poeta , in lingua osca
vuol dire colto dal lago). Le parche aggiunsero poi che
questi due rami si sarebbero ricongiunti per produrre,
sotto il doppio nome d' Austria e Gonzaga , migliaia
d*Eroi, che Proteo, terminando il suo racconto nomina
e fa conoscere a Berenice, meravigliato nell' udirlo.
Canto VII. — Intanto sopraggiunge Teti, che viene
a visitar Proteo. Berenice, pregata dalla Dea, le narra il
triste caso di Sulpizia, con maggiori particolari, che non
avesse fatto Radamante (canto lì) , a lango descrivendo
in ispecial modo, la disperazione della povera abbando-
nata.
In tale maniera si svolge, molto artificiosamente, il
fik) dell'intreccio, e si vede che il Fidamante, o il Gon-
zaga, progenitore di tutti i Gonzaga, è figlio dello stesso
Radamante, che V aveva avuto da Sulpizia e lo credeva
morto.
Canto VIII. — Berenice, dopo la sua visita a Proteo,
ritorna alla nuova Troia, dove Radamante profondamente
preoccupato di quanto gli pare d'intraveder nel futuro,
le chiede, come mai, mentre il Fidamante era innamorato
d' od' altra, ella sembrava tuttavia si strettamente le-
gata a lui. Berenice risponde narrando la propria storia.
La sua famiglia, che discendeva dall' indovino Ti-
resia, dominava da lunghi anni nell'Etruria; ella stessa,
dopo la morte di due suoi fratelli, vi aveva regnato , e
siccome per l'arte magica ereditata dagli avi, possedeva
la scienza del futuro, la sua reputazione s' era sparsa fino
nei più lontani paesi, donde molti convenivano a lei per
conoscere il loro avvenire. Il Fido amante , avendo per-
duto le traccio della sua bella guerriera, né sapendo in
qual paese dovesse andare a cercarla, venne egli pure a
implorare Tarte della famosa maga.
154 A. BELLONI
Questa al vederlo provò quel sentimento soave, che
invano mille amanti s'erano sforzati d'inspirare in lei.
Ella tentò di piacergli, di stornarlo dal suo primo amore,
di offrirgli le occasioni più seducenti ; ma in fine vedendo
che tutto era inutile, anziché disperarsi , presa d' ammi-
razione per la fedeltà del giovane guerriero, pose al suo
servigio l' arte sua , e costruì quella mirabile navicella,
dalla quale li vedemmo scendere in principio del poema
e che li guidò, per virtù di magia, a trovare la
bella e insensibile Vittoria, in Italia, vicino alle foci del
Metauro. Essa si disponeva a lontana e perigliosa spe-
dizione; né si mostrò men fiera e men cruda verso il
suo amante, esigendo ch'egli non si presentasse a lei,
se non quando si fosse coperto di gloria vincendo tutti
i mostri, liberando il mare di tutti i pirati , rompendo
tutti gli incanti, difendendo tutte le dame ingiustamente e
indegnamente oppresse, sostenendo il diritto a prezzo di
tutte le fatiche, di tutti i danni e riportando le spoglie
di tutti i più famosi guerrieri.
Il giovane amante non sì scoraggiò e, sostenuto dalla
forza dell' amore, s' accinse a compiere le imposte cose,
accompagnato nelle sue imprese dalla buona Berenice,
la quale ora appunto si dispone a narrare al re di Troia
le mirabili gesta dell' invitto guerriero. E a tale racconto
sono destinali i due canti seguenti.
Canto IX. — Il Fidamante, vincendo tutti gli strani
ostacoli, che, per forza di magia , gli vengono opposti ,
distrugge i' incanto detto della Pazienza , che in mille e
incredibili forme era esercitato da due scaltre Sibille, il
cui castello si sprofonda, allorquanto il cavaliere, pene-
tratovi, spezza due vasi di vetro, entro i quali stavano
gli spiriti, che operavano tante orrìbili cose con possanza
infernale, e s' imposessa del magico Specchio e del ramo
incantato d' alloro.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 155
Cakto X. — Compiuta tale mirabile impresa, e li-
berati coloro, ch'eran prigionieri nell'incantato castello,
il Fidamante muove contro i corsari d'India; dà prove
mirabili del suo valore, e salva tutti i prigionieri, liberan-
doli dall'indegna schiavitù, in cui erano tenuti da quei
feroci pirati. Giulia, amante d' Àrione, ottenuta la libertà,
vorrebbe uccidersi; ma, trattenuta dal Fidamante, gli narra
la storia de' suoi amori.
Finito questo lungo e complicato racconto di Bere-
nice, il nodo dell'intreccio è ormai sciolto, ed ora non
si tratta che di far si, che il Fidamante ritorni dalla spe-
dizione intrapresa per liberar la sorella di Berenice ; che
egli sia messo alla testa dell' esercito, che deve muovere
contro Orcano ; eh' egli vi riporti le più splendide vitto-
rie; che v'incontri la sua bella, venuta pur essa in difesa
del re di Sicilia; e che faccia sotto agli occhi di lei tali cose
da indurla a concedere il suo amore a un cosi prode
guerriero e a un cosi costante amatore. Tutto ciò si
svolge appunto nei rimanenti canti, i quali, essendo tutti
intessuti d'episodi, riassumerò per sommi capi soltanto.
Canto XI. — Dopo la sua partenza dalla nuova
Troia, il Fidamante, fatto lungo cammino, viene a cadere
nei lacci delta maga Argentina , la quale , per distorlo
dalle sue imprese , lo alletta con mille ailascinanti lu-
singhe e cerca trattenerlo promettendogli il godimento
dei più dolci e inebrianti piaceri. Ma il Fidamante trova
la forze di resistere alla virtù ammaliatrici della maga e
riesce vincitore dell'incanto.
Trova il vecchio Natan, che gli narra l'incestuosa
origine e le orrende prove del feroce Armedonte.
Canto XII. — Il Fidamante, proseguendo il cammino,
s'imbatte presso una fonte, in un cavaliere, che si la-
menta per la crudeltà della sua donna, insensibile all' a-
more. Egli è Agamone, che, richiesto, narra i suoi adanni
156 A. BELLONI
i quali ebbero princìpio dal giorno in coi, incontratosi
in una giostra con una bella e forte guerriera di nome
Vittoria, ne innamorò perdutamente senza speranza d'es-
ser corrisposto. A tal racconto il Fidamante comprende
d'avere innanzi a sé un rivale e quindi, sfldatolo, com-
batte con lui e lo vince.
Canto XIII. — Il nostro eroe raggiunge il fine prin-
cipale dell'intrapresa spedizione, e libera la sorella di
Berenice.
Canto XIV. — Costei frattanto scopre ai re di Troia
l'intimo pregio del ramo incantato d'alloro, nel quale,
mercé lo specchio magico, è dato leggere i nomi di molte
illustri donne, delle quali Berenice tesse l'elogio.
Armedonte, udita la fama meravigliosa del Fidamante,
viene, mosso dall' invidia, a sfidarlo. Egli tien prigioniere
due donzelle e dice di volerle bruciare, pronto a combat-
tere contro chiunque osasse opporglisi. In tal guisa spera
di venire a singoiar tenzone col Fidamante, non sapendo
eh' egli è assente. Molti guerrieri si avanzano ad afifron-
taro Armedonte, che tutti li vince, finché una pioggia
provvidenziale, provocata per incanto, da Berenice, dà ter-
mine alla pugna.
Canto XV. — Armedonte, facendosi scala de' suoi
giganti, sale sulle mura altissime di Troia e dà l'assalto
alla città, spargendo ovunque il terrore e facendo orri-
bile strage degli abitanti. Era la notte. Radamante de-
statosi corre alla difesa e, raccolti i suoi, respinge gli
assalitori che tutti vengono uccisi, tranne Armedonte,
il quale ripara sulle sue navi.
Canto XVI. — Date le vele ai venti, il feroce guer-
riero abbandona quelle infauste spiagge; ma giunto in
alto mare vien colto da nna tempesta, che distrugge le
sue navi e disperde le sue genti pei flutti. Egli solo si
salva e a nuoto giunge a toccar la spiaggia di Cipro. Qui
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 157
è il regno incaotevole d' ArgeotìDa, la quale coi suoi fa-
scini ammalia cosi quel feroce, che lo induce, deposte le
armi, a giacer presso lei attendendo a lavori donneschi.
Canto XVII. — Il Fidamante intanto ritoma a Troia ;
è posto a capo delle milizie che stanno per muovere
contro Orcano.
Onesti aveva mandato dei nunzi alla figlia Argentina
per avere Armedonte, del quale intendeva valersi nella
prossima guerra. Argentina per mostrare ai messi, a
quale abiezione giungano coloro, che sono da lei fatti
prigionieri, prepara una giostra, nella quale i cavalieri
hanno cavalli di legno, ed ella s' avanza cavalcando il po-
vero Armedonte, che si presta con merevigliosa mansue-
tudine al vite ed umiliante giuoco. Dopo ciò essa parte
da Cipro con Armedonte per unirsi all' esercito del padre.
Canto XVIII. — Orcano muove con le sue schiere
contro r Europa. lasio gli rimprovera la sua troppa au-
dacia e la stolta superbia. Egli l'uccide; ma ne vede
poi, spaventato, innanzi a sé nella notte l'immagine ter-
ribile e minacciosa.
Il Fidamante prende congedo dal re di Troia, e con
la flotta si dirige verso l' Egitto. Quivi giunto, trova Vit-
toria, venuta ella pure per combattere Orcano. Si fa la
rassegna delle truppe alleate.
Canto XIX. — Nel campo tutti riposano tranquilli;
non però il Fidamante e Vittoria. Questa sente serpeg-
giarsi in petto il foco d'amore, né vorrebbe confessare
a sé stessa d'aver ceduto a quella passione a cui per
tanto tempo ebbe a resistere. Il Fidamante d' altra parte,
vagheggiando nella mente l' imagine di lei , che gli parve
men severa e men restia all'amore, è agitato da mille
pensieri, e trapassa dalie speranze più dolci al timore,
che ingannevole presagio di sensi più miti sia stata la
fiamma, che repentina balenò negli occhi di lei.
158 A. BELLOIfl
Canto XX. — S'impegna battaglia e il Fidamaote
salva Vittoria, ch'era in pericolo di cader nella mischia.
Canto XXI. — Creano per rendersi immortale, sa-
criflca, consigliato dai saoi maghi, la figlia Ismine ; la coi
madre Atossa, una delle trecento mogli del fiero tiranno,
dopo aver tentato invano di salvarla, offrendosi ella stessa
al sacrifizio, s'uccide vinta dal dolore.
Giunge intanto notizia della sconfitta toccata alle
genti di Faraote; la città, oppressa dall'assedio e ormai
ridotta all'estremo; vorrebbe ribellarsi, ma Faraote, fin-
gendo di voler offrire se stesso ai nemici piuttosto che
Pelusio dovesse arrendersi, riesce a calmare gli animi.
Canto XXII. — Orcano, guidato da una maga, scende
a visitare il regno degli inferi.
Canto XXIII. — La furia Megera si presenta in so-
gno a Vittoria sotto le parvenze della madre di lei; la
rimprovera di non esser più, come per lo innanzi, in-
sensibile all' amor del Fidamante e le insinua nel core
il veleno dei sospetti.
Assunta l'apparenza d'un messo di Faraote, la furia
va ad eccitare Argentina e Armedonte, affinchè s'affret-
tino verso l'Egitto.
Intanto si presenta a Vittoria il cavaliere Agamone,
che le narra le prodezze fatte innanzi a lui dal Fidamante
e ne esalta la virtù. Ella allora si pente d'avere, per
eccitamento della furia, fatto onta al suo fedele ponen-
dolo dietro tutte le squadre. Agitata da mille contrari
pensieri lo richiama col pretesto dell'arrivo d' Agamone.
In questo mezzo i re alleati di Sicilia e di Creta, ven-
gono ad incontrare il Fidamante e Vittoria, vincitori. Que-
st' ultima però punta d'invidia (sempre per opera della
furia) nel vedere le accoglienze fatte al guerriero suo com-
pagno, delibera di mandarlo a vincere un incanto a Menfi.
Canto XXIV. — Megera ìnstilla il suo veleno nel-
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SEGOLO XVI 159
r animo del re di Creta eccitaDdovi sospetti sul conto di
Vittoria. Si presenta poi al re di Sicilia, sotto figara del
Fidamante, che gli annunzia il trionfo dei nemici, dovuto
alla propria lontananza. Entra inflne in petto a Yipercano
e vi desta sentimenti ambiziosi e d' invidia , eh' eccitano
colui a provocare una sedizione, la quale vien sedata da
Vittoria , che persuade con dolci modi i ribelli all' obbe-
dienza, e che, stringendo vieppiù l' assedio, riesce ad im-
pedire, ch'entrino soccorsi nella città di Pelusio.
Intanto una flotta di navi greche, capitanata da Pe-
rìandro, che soleva scorrere il mare, per impedire che
qualsiasi aiuto potesse giungere alla città assediata, s' in-
contra con r armata d' Argentina , che veniva verso
r Egitto. S* impegna una terribile battaglia, nella quale
Annedonte fa strage de' Greci.
Canto XXV. — Le squadre del Fidamante rifiutano
di combattere fino a che non torni il loro duce.
Vittoria chiama allora per consiglio Alfenore, il quale
pensa di sedare la ribelliore con un inganno. Va prima
tra i suoi, e dicendo loro, che le schiere del Fidamante
s'erano ammutinate perchè, contro il voler di Vittoria,
voleano andar prima all'assalto, eccita in essi lo spirito
di emulazione, sicché tutti dichiarano di voler per sé
r onore della precedenza.
Passa quindi tra i guerrieri del Fidamante, dice loro
la medesima cosa e ottiene lo stesso effetto.
Sedato il tumulto , si stabilisce di dare V assalto a
Pelusio il mattino seguente.
Appena sorta l' aurora^ comincia T oppugnazione della
città; Vittoria sale sulle mura e dà prove di straordinario
valore; ma mentre tenta di porre il piede sul secondo
muro, vien ferita da un dardo; ella però continua a com-
battere.
A questo punto sopraggiunge Armedonte, il quale.
160 A. BELLOffl
abbattuti i più forti gaerrieri, sfida con parole di scherno il
Fidamante a venirgli innanzi.
Canto XXVI. — Episodio di Virginia e Ck)stanza,
di cui parleremo più innanzi.
Canto XXVII. — Gli Egizi fanno una sortita, ma
sono respinti nella città.
Canto XXVIII. — Gli Itali e i Greci ritomaDO nuo-
vamente alle loro fortezze. Armedonte s'avanza; cade
nel Nilo, presume di far con lui contrasto, corre pericolo
di affogare e a stento ripara nella città.
Argentina intanto s'abbandona ad ogni maniera di
lascivie ; s' invaghisce d' altro giovane amante.
Canto XXIX. — Vittoria comprende, come l'esito
della guerra sia compromesso per l'assenza del Fi-
damante.
Questi frattanto, giunto a Menfi, libera da una ma-
snada di ladroni un vecchio, che gli narra chi fece l'in-
canto, contro cui deve andare il Fidamante ; e come sulle
rive del Nilo vi fosse un terrìbile cocodrìllo, che infestava
il paese. A saziarne la fame si davano a lui dei giovanetti,
fatti prigionieri nei luoghi vicini. Una fanciulla per sal-
vare ramante, destinato ad esser vittima del mostro,
vorrebbe sostituirsi a lui nel sacrifizio; egli non vuole.
Tutti e due allora affrontano insieme la morte, ma il
Fidamante uccide Y orribile mostro e salva i due giovani,
che sono Arione e Giulia.
Canto XXX. — A questo punto giungono delle
Ninfe, che svelano l'incanto al Fidamante, donandogli
una preziosa corona. Egli, va alla meravigliosa colonna del
Nilo, ove vede scolpite le grandi vittorie, le prosperità,
i regni, le monarchie, che avranno i discendenti suoi.
Armedonte intanto non esce più a combattere, ad-
dolorato per i mali portamenti di Argentina.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 161
Vittoria richiama a sé con lettere e con promesse il
Fidamante.
Canto XXXI. — Giunge Tomiri al campo Egizio e
combatte valorosamente; ma Agamone ne sbaraglia le
squadre.
Argentina pone indosso al suo novello Amante le
armi di Armedonte. Questi fugge disperato e tenta d'im-
piccarsi, ma Argentina lo salva e lo consola uccidendo
l'altro suo drudo.
Canto XXXII. — Armedonte esce nuovamente, ri-
conciliatosi con Argentina, a battaglia; e incute tale spa-
vento nei nemici, che i due re, di Sicilia e di Creta,
Tanno tosto da Vittoria per indurla a partir con loro. Ma
intanto giunge avviso che è tornato il Fidamante, il quale
con elette prove rincora i suoi e infligge gravi perdite
ai nemici; sfida Armedonte, e combatte con lui a cavallo
e a piedi.
Canto XXXIII. — L' esito del duello rimane dubbio.
Uno spirito infernale e mandato da Orcano a Fa-
raote e ad Argentina per sturbare la nuova disfida corsa
tra i campioni delle due parti. Ma il duello ha luogo pa-
rimente; e il Fidamante resta vincitore.
Giunge Orcano tratto per l'aria da demoni e con
un forte esercito, che s'accampa là presso.
Canto XXXIV. — Vittoria e il Fidamante delibe-
rano d'afi^rontare le schiere d' Orcano. Faraote inteso che
r esercito del padre era stato assalito si perde d' animo
e fugge.
Il Fidamante entra in Pelusio e lo mette a ferro e
a fuoco. Faraote è preso , lacerato e dato preda ai
canL
Vittoria, anziché mantenere le sue promesse, impone
al Fidamante di portare a lei la testa d' Orcano.
Voi. IV, Pane 1 1 1
162 A. belloni
Canto XXXV. — Questi per consiglio d' uno spi-
rito d'Averno si presenta al Fidamante per ottenere coi
suoi meravigliosi doni il corpo del Aglio. L'Eroe sdegna
di approfittare dell'occasione per uccidere Orcano e gli
concede il corpo di Faraote, rifiutando i doni.
Va quindi al castello d' Orcano per espugnarlo ; vede
il tiranno volar per l'aria sopra un carro; disperato,
s' imbarca in una navicella e s' afSda al mare ; è colto da
una tempesta; Proteo lo salva ed egli si trova ai piedi
del monte Parnaso, sul quale lo conduce Apollo, che gli
addita i più famosi principi ed eroi e gli dà il cavallo
alato Pegaseo.
Canto XXXVI. — Questo lo solleva per l' aria ; gli
mostra la terra, gli predice la venuta di Cristo e la re-
denzione del mondo per lui. 11 cavaliere può per un
istante mirare la luce divina, che lo abbaglia.
11 cavallo alato scende quindi dal cielo e porta il
Fidamante presso il castello d' Orcano; questi esce a
battaglia ed è vinto. Il cavaliere libera Radamante e Be-
renice eh' eran stati fatti prigioni da Orcano; il re di Troia
riconosce nel liberatore il proprio figlio. 11 Fidamante
presenta a Vittoria il capo d' Orcano; ma ella, per quel -
r istinto guerresco eh' è in lei , anziché concedergli tosto
il suo amore, lo sfida a battaglia; solo vincendola egli
potrà possederla. I due amanti si dispongono a com-
battere ; ma Amore e Diana s' accordano di por fine
all'inconsulta resistenza di Vittoria; e quindi, mentre i
due prodi campioni stanno per incrociar le spade, im-
provvisamente vien meno nei loro animi lo sdegno, che
Cinzia e Cupido non visti son discesi dal cielo a riunirli
per sempre.
(Continua)
A. Bellom
INDICE DELLE GA.RTE
DI
PIETRO BILANOIONI
CoatribiU alla bibliignii delle riie Tolgirì dei priii tre seeob*.
(CooUnuaz. da pag. 394, N. S., VoL IH, Parte li)
PARTE I.
RIIE COR ROIE D'IUTORE
F
I. Fabnicci (de*) Incontrino.
-f^er ecniraro di bene (canz.)
Ms.: *Vat 3793, e 576 [Incontrino de Fabrucci di Fi-
IL Falconieri Jacopo.
degne danne delia chiara fonte (son.) (1)
Ms.: *Univ. Boi 1739, e. 1406 [Jacobus de Falconeriis de
^ * orentia).
Ediz.: Crescimbeni, ed. Yen., Ili, 159 [Jacopo Falconieri].
m. FaytineUi Pietro.
1. Amico alcun non è eh' altri soccorra (son.)
Mss.: *Laur., pi XL, 48 [Burchiello]. *Mofick. 9 [e. s.]
•Nagiiab. VII, 7, 1168, e 114 [Anselmo Calderone]; •VII,
(t) A Francesco Petrarca, che rìsp. col son.: Siccome della
«wdre di Felonie.
164 a K L. FRATI
F, m 3, 1009, e. 187 [anon.] •Riccard. 1103, e. 101 [e. s.] 'Laur.
fÀytinelli ^^' ^'^^ ^^^' ^' ^^36 [e. s.]
p. Edizz. : Burchiello, Sonetti, (Firenze, 1 490 e), e. 63 [B u r e h i e 11 o] :
Londra, 1757, p. 246 [Di Antonio Pucci]. G. M. Barbieri, On-
dine d, poesia rimata. Modena, 1790, p. 167 (il solo 1.^ ▼.) [Mugnooe
Fatinelli]. Villarosa, Raccolta palermitana^ voL IV, p. SU
[Antonio Pucci]. Pietro de' Fattinelli detto Mdgmone, Rime
ora p. la prima volta pubbl. da L Del Prete. Bologna, 1874 (Scelta,
n.^" 139), p. 106 [Pietro de' Faytinelli].
2. Ercol, Cibele, Vesta e la Minerva (soo.)
Uss.: *Laur., pi. XLI, 15, e 36 [anon.] *Laur. Gadd. 198,
e 83 [Mugnone Fantinelli]. ^Laur. Red 184, e. 81 [Ant
da Ferrara]. Barber. XLV, 47, e. 149 [Mugnone]. •Cod.
Bossi ora Trivulz. 1058, e. 71 [Mugnone Fantinelli]. * Riccard.
1088, e. 62 [anon.]: * 1103, e. 107 [e s.]: ' 1156, e. 2 [e. s.]
'Marucell. C, 155, e. 68 [e. s.] *MagUab. VII, 3, 1010 (ora II, iO),
ce. 906 e 164a [Niccolò Tinnucci e Mangnone Fantinelli].
*Palat 200, e. 46a [anon.] *Moiickiano 1, ce. 30 e 107 [Mugnone
Fantinelli].
Ediz.: Faytinelli, Rime, ed. Del Prete. Bologna, 1874, p. 103.
3. Già per minacce guerra non si venee (son.)
Ms. : * Barber. XLV, 47, e. 151 [Mugnone].
Ediz. : Faytinelu, Rime, ed. Del Prete, p. 83.
4. In puona verità non nC è avviso (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e. \21 [Mugnone di fai tinelli da
Lucha].
Ediz. : Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 99.
5. Io non sconfesso, Morte comunale (son.)
Ms.: 'Barber. XLV, 47, e. 175 [Mugnone].
Ediz.: Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 101.
6. Io non vo* dir, eh' io non viva turbato (son.)
Ms.: *Chig. L, IV, 131, e. 668 [Mucchio da Lucha ne* Fan-
tinelli].
Ediz.: Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 88.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 165
7. V orgoglio e la superbia poco regna (son.) F, m
Ms.: •Barber. XLV, 47, e. 152 [Mugnone].
Edix.: Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 104.
8. Mugghiando va il Leon per la foresta (sOQ.)
Edizz.: Crescimbeni, ed. Yen., I, 173 [Mugnone da Lucca].
Faytimelli, i^fifif , ed. Del Prete, p. 94.
9. Non speri il pigro re di Carle erede (son.)
Bis.: 'Barber. XLV, 47, e. 150 [Mugnone].
Ediz. : Fattinelu, Rime, ed. Del Prete, p. 75.
10. 0 spirito gentile^ o vero Dante (son.)
EdìB.: Crescimbeni, ed. Yen., IH, 141 [Faytinelli]. A. Cappi,
La Biblioteca Clastense illustrata ne' principali suoi codd. ecc. Rimini,
1847, p. 38 [Faytinelli]. Cino da Pistoia, Rime, ed. Carducci,
p. 200 [a non.] Faytinelu, Rime, ed. Del Prete, p. 111.
11. Onde mi dee venir giuochi e soUaeei (son.)
Ms. : * Barber. ILV, 47, e 174 [Mugnone].
Ediz.: Faytlnelu, Rime, ed. Dei. Prete, p. 91.
12. PercV uom ti mostri un bel parlare e rida (son.)
Mss.: Riccard. 1103, e. 138 a [a non.] •Barber. XLV, 47, e.
176 [Mugnone].
Ediz. : Faytlnelli, Rime, ed. Del Prete, p. 105.
13. Poi rotti sete a scoglio presso a riva (son.)
Ms.: "Barber. XLV, 47, e. 152 [Mugnone].
Ediz. : Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 85.
14. iS" io veggo in Lucca bella il mio ritomo (son.)
3is.: Barber. XLV, 47, e 152 [Mugnone].
Ediz. : Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 93.
15. Se si combatte, il mio core si fida (son.)
Ms.: * Barber. XLV, 47, e. 151 [Mugnone].
Ediz.: Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 81.
faytinelli
p.
166 a B L. FRATI
|i ^ 16. Si mi castrò^ percK io non sia castrone (son.)
FEDERICO n Ms.: *Barber. XLV, 47, e 150 [Mugnone].
Ediz. : Faytinelu, Rime, ed. Del Prete, p. 77.
17. Spenf è la cortesia^ spenf è largheeea (canz.)
Hs. : *Laur. Med. PaL 119, e 127 6 [Mughione da Lunga].
Ediz.: Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 108.
18. Uom può saper ben fisica e natura (son.)
Ms.: •Barbar. XLV, il, e. 176 [Mugnone].
Edìz.: Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 97.
19. Veder mi par già quel dalla Faggiuola (sod.)
Ms.: *Barber. XLV, 47, e 151 [Mugnone].
Ediz.: Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 87.
20. Voi gite molto arditi a far In mostra (son.)
Ms.: *Barber. XLV, 47, e 172 [Mugnone].
Ediz.: Faytinelli, Rime, ed. Del Prete, p. 79.
rV. Federico IL
1. Arca di miele (firamm.)
Ediz.: Annales Aretini io Rer, Itai, Scr., XXIV, 860 [Imperator
Federigus venit Arretium et in discessu suo protulìt
baec verba contra Arretinos].
2. Della primavera (canz.)
Ms.: Vat. 3793, e. 14 [a non.]
Ediz.: Valeruni, Poeti del primo secolo, I, 58 [Federico li
Imperadore].
3. Di dolor mi awien cantare (canz.)
Ms.: Val. 3793, e. U [a non.]
Ediz.: Valeriani, Poeti, I, 55, [Federico II Imperadore].
4. Dolce mio drudo, eh vattene (son.)
Ms.: 'Vat 3793, e 13 [Re Federigo].
S. GBMINIANO
INDICE DELLE CABTE DI P. BILANCIONI, P. L* 167
V. Federico di Geri d' Arezzo. F, vii
FOLGORE
t. Gli antichi e hei pensier eonvien eV io ledasi (sojl) da
Mss.: •ViccnUno G, 2, 9, 8, e 118 [a non.] •Boi Uni?. 1289,
e 60 a [e s.]
Edis.: Crescimbeni, ed. Yen., IH, 177 [Federigo d' Are»»o].
Lami, Catal, mss. Riccarda, p. 187 [e. 5.] Petrarca, Sonetti inediti
tratti da due antichi codici esistenti nel Civico Museo Correr di Venezia
[ed. A. Sagredo]. Venezia, Gasparrì, 1872, ^p. 27 [Fra rime del
Petrarca].
2. In ira al cielo, al mondo e alla gente (son.)
Mss.: -Cod. Parmense 1081, e. 18 6 [S. M. F. P.] • Vicentino
G, 2, 9, 8, e 18 [anon.]
EdizL: Lazi, CataL mss, Rice,, p. 187 [Federico di messer
Geri d'Arezzo]. Petrarca, Rime, Padoya, Cornino, 1722, p. 358
[Petrarca].
3. Solo soletto, ma non di pensieri (son.)
Mss.: 'God. del Museo Correr B, 5, 7, e. 52 ò [Fra rime del
Petrarca]: 'B, 5, 29, e. 72 [e. s.] •Boi. Uni?. 1289, e. 75fl
[anon.j •fiibl. Com. di Vicenza, cod. G, 2, 9, 8, e. 25 [anon.]
•Chig. L, IV, 131, e, 736 [Marchionne Torrigiani].
Edizz.: Crescimbeni, ed. Yen., V, 56 [Marchionne Torrigiani).
Barbieri. Origine della poesia rimata, p. 166 (i soli vv. 1-2) [Fede-
ri }:o (i* Arezzo]. Petrarca, Sonetti ined. tratti dadueant, codici
esìstenti mI Museo Correr [ed. A. Sagredo]. Venezia , Gasparrì, 1852
[Fra rime del Petrarca].
VL Filippo da Messina.
Ahi sire Iddio^ cosi forte fu lo punto (son.)
Cdiz.: Fioretto di Croniche degli Imperadori, testo di lingua del
buon secolo jfubbl. a cura di L. Del Prete. Lucca, Rocchi, 1858, p.
\^ [Filippo da Messina].
VIL Folgore da S. Gemioiano.
1. Alla brigata nobile e cortese (son.)
Ms. : Barber. XLV, 47, e 128 [Folgore].
168 a R L. FRATI
Fy TU Edizz.: Allacci, Poeti anL, p. 317 [Folgore da S. Gemi-
FOLGORE niano], Valewani, Poeti, II, 171 [e. s.] NANNUCCI^ Manuale.
DA I, 341 [e. s.]
3.GEiaGNAN0
2. Alla domane alV apparir del giorno (son.)
Bis.: Barber. XLV, 47, e. 161 [Folgore da S. Geminiano].
Edizz.: Allacci, Poeti ant., p. 339 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Valbiuani, Poeti, II, 193 [e. s.]
3. Amico caro, non fiorisce ogni erba (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e 128 [Folgore].
Ediz.: Allacci, Poeti ant., p. 316 [Folgore da S. Gemi-
niano].
4. Cortesia^ cortesia, cortesia clamo (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e. 47 [Folgore da S. Geminiano].
Ediz.: ALLAca, Poeti ant., p. 314 [Folgore da S. Gemi-
niano].
5. Cosi faceste voi o guerra o pace (son.)
Bis.: Barber. XLV, 47, e. 171 [Folgore].
Edizz.: Allacci, Pk^i ant., p. 340 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Valeriani, Poeti, 11, 194 [e. s.]
6. ly agosto si vi do trenta castella (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e. 131 [Folgore].
Edizz.: Allacci, Poeti ant., p. 325 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Valeriani, Poeti, li, 179 [e. s.]
7. ly aprii vi do la gentile campagna (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e. 130 [Folgore].
Edizz.: Allacci, Poeti ant., p. 321 [Folgore da S. Gemi-
niano].
8. jD' ottobre nel contai che ha buono stallo (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e 132 [Folgore].
Edizz.: Allacci, Poeti ant., p. 327 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Valeriani, Poeti, U, 181 [e s.]. Nannucci^ Manuale,
I, 344 [e s.].
Dn)ICB DELLE GAfiTE DI P. BILANCIONI, P. L* 169
9. Di febbraio vi dono bella eaccia (son.) F, vn
Ms.: Barber. XLV, il, e. 129 [Folgore]. fouk)RE
Edizz.: Allacci, Poeti ant, p. 319 [Folgore da S. Gemi- s.gbmi6NAN0
Diano]. Valeruni, Poeti, U, 173 [e. s.]. Nannucci*, Manuale,
l 343 [e. s.]
10. Di giugno dowi una montagnetta (son.)
Ms.: Barber. XLV, il, e. 130 [Folgore].
Edizz.: Allacci, Poeti anU, p 323 [Folgore da S. Gemi-
Diano]. Valeriani, Poeti, II, 177 [e. s.]
11. Dì luglio in Siena sulla saliciata (son.)
Ms.: Barber. XLV, il, e. 131 [Folgore].
Edizz.: ÀLLAca, Poeti anU, p. 324 [Folgore da S. Gemi-
niaDo]. Valeriani, Poeti, II, 178 [e. s.]
12. Di maggio si vi do molti cavagli (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e. 130 [Folgore].
Edizz.: Allacci, Poeti anU, p. 321 [Folgore da S. Gemi-
ni ano]. Valeriani, Poeti, \\, 176 [e. s.]
13. Di margo si vi do una peschiera (son.)
Bb.: Barber. XLV, 47, e. 129 [Folgore].
Edizz.: Allacci, Poeti ant., p. 320 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Valeriani, Poeti, li, 174 [e. s.]
14. Di settembre vi do diletti tanti (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e 131 [Folgore].
EdizL: Allacci, Poeti ant., p. 326 [Folgore da S. Gemi-
oiaoo]. Valeruni, Poeti, II, 180 [e. s.]
15. Discrezione incontanente venne (son.)
Ms. : Riccard. 2794, e. 67 a [Folgore da san Gimignano].
Edizz.: Cor AZZINI, Miscellanea di cose ined. o rare, p. 231 [Fol-
gore da S. Gemignano]. Nannucci*, Manuale, 1, 348 [e. s.]
16. E di decembre una città in piano (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e. 132 [Folgore].
170 a » L. FEATI
V, vu Edizz.: Allacci, Poeti ant.^ p. 329 [Folgore da S. demi
FOLGORB niano]. Yaleriani, Poeti, U, 183 [e s.]
DA
s.GEiaGNANO 17. E di novembre petriuolo e 7 btigno (son.)
Ms.: Barber. XLV, il, e 132 [Folgore].
Edizz.: Allacci, Poeti ant,, p. 328 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Yaleriani, Poeti, II, 182 [e. s.]
18. Ecco ProdcMa^ che tosto lo spoglia (son.)
Ms.: Riccard. 2795, e. 67 a [Folgore da san Geminiano].
Edizz.: CoRAZZiNT, Miscellanea, p. 230 [Folgore da S. Gemi-
niano]. NANNUca^ Manuale, I, 346 [e s.]
19. Ed ogni giovedì tomeamento (soo.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e 160 [Folgore da S. Geminiano].
Edizz.: Allacci, Poeti ant, p. 336 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Yaleriani, Poeti, li, 190 [e s.]
20. Ed ogni venerdì gran caccia e forte (son.)
Ms. : Barber. XLV, 47, e 161 [Folgore da S. Geminiano].
Edizz.: Allacci. Poeti ant,, p. 337 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Yaleriani, Poeti, II, 191 [e. s.]
21. Eo non ti lodo^ Dio, e non ti adoro (son.)
Mss. : 'Barber. XLV, 47, e. 172 [Folgore da S. Geminiano].
*Cod. Boncompagni 7, e. 95.
Ediz.: A. Borgognoni nel Propugnatore, V. S., I, 308 (i soli w, 1-8)
[Folgore da S. Geminiano].
22. Fior di virtù si è gentil coraggio (son.)
Vedi Alighieri Dante.
23. Criugne allegrezea con letizia e festa (son.)
Ms. : Riccard. 2795, e. 67a [Folgore da san Geminiano].
Fidizz.: CoRAZZiNi, Miscellanea, p. 231 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Nannucci*, Manuale, I, 348 [e. s.]
Iin>ICB DELLE CABTE DI P. BILaNCIONI, P. L" 171
24. Chièlfi, per fare scudo delie reni (son.) ftvn
Ms.: Barber. XLV, 47, e 172 [Folgore]. fowore
Edizz.: Allacci, Pùetì ant,, p. 341 [Folgore da S. Gemi- s. geminiano
Diano]. Valeìuani, Poeti, II, 195 [e. s.]
25. Il martedì li do un nuovo mondo (sod.)
Bis.: Barber. XLV, 47, e 160 [Folgore da S. Geminiano].
Edizz.: Allacci, Poeti ant.^ p. 334 [Folgore jda S. Gemi-
oiaoo]. Yaleriani, Poe/f, U, 188 [e. s.]
26. Il sabato diìeiio ed aìlegreeea (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e. 161 [Folgore da S. Geminiano].
Edizz.: Allacci, Poeti ant., p. 338 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Valkriani, Poeti, U, 192 [e s.]
27. Io dono voi nel mese di gennaio (sod.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e 129 [Folgore].
Edizz.: Allacci, Poe/» an/.,p. 318 [Folgore da S. Geminiano].
Valeriani, Poeti, U, 172 [e s.] Nannucci', Manuale, l, 342 [e. s.]
28. Io ho pensato di fare un gioiello (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, g. 159 [Folgore da S. Geminiano].
EdizL : Allacci, Pof/tan/.,p. 332 [Folgore da S. Geminiano].
Valeriani, Poeti, II, 186 [e. s.] Nannucci*, Manuale, l, 344 [e. s.]
29. Ogni mercoredi corredo grande (son.)
Ms. : Barber. XLV, 47, e. 160 [Folgore da S. Geminiano].
Edizz.: Allacci, Poe/ian/., p. 335 [Folgore da S. Geminiano].
Valeriani, Poeti, lì, 189 [e. s.] Nannucci», Manuale, I, 345 [e. s.]
30. Ora si fa un donsfello cavalieri (son.)
Ms.: Riccard. 2795, e. 67a [Folgore da san Geminiano].
Edizz.: GoRAZZiNi, Miscellanea, p. 229 [Folgore da S. Gemi-
niano]. Nannucci', Manuale, I, 346 [e. s.]
31. Quando la luna e la stella diana (son.)
Edizz.: Allacci, Pof/tan/.,p. 333 [Folgore da S. Geminiano].
Valeruni, Poeti, li, 187 [e. s.] Nannucci >, Manuale, I, 345 [c.s.]
172 a " L. FRITI
f , vm 32. Quando la voglia signoreggia tanto (son.)
FORESTA (D.) y^^ , ^^^^^ ^^^ ^^^ ^ ^^^ [Folgore da S. Gemioiano].
Chig. L, Vili, 305 [a non.]
Edizz. : Allacci, Poeft' an/., p. 331 [Folgore da S. Geminiano].
Valewani, Poeti, II, 185 [e. s.]
33. Sonetto mio, a Niccolò di Misi (sod.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e. 132 [Folgore].
Edizz.: Allacci, Poe/tan/.,p. 330 [Folgore da S. Geminiano].
Valeriani, Poeti, II, 184 [e. s.]
34. Umiltà dolcemente lo riceve (son.)
ìfs.: Riccard. 2795, e 67 a [Folgore da san Gemignaoo].
Edizz.: GORAZziNi, Mitcellanea, p. 230 [Folgore da S. Gemi-
niano]. NANNUCCI^ Manuale, I, 346 [e. s.]
Vm. Foresta (Dalla) Antonio.
1. Per un boschetto sanaa compagnia (sod.)
Bis.: Riccard. 1103, e. 97 a [Son. d'Antonio de la Foresta
mandato a lorenzo moschi] (1).
2. Tosto ch'io intesi il domandato omaggio (son.)
Ms.: * Riccard. 1103, e 98 6 [Sonetto d' Antonio de
la Foresta mandato per risposta a Lorenzo Moschi] (2).
3. Una fanciulla che m' ha il cor ferito (son.)
Mss.: *Laur. SS. Annunz. 122, e. 108a [anon.] •Magliab.
VII, 6, 1066, e. 13 [e. s.] •Chig. L, IV, 131, e. 679 [e s.]
•Cod. Vicentino contenente il Filostrato del Boccaccio, c 88 [c. s,]
'Riccard. 1103, e. 98 a [Antonio da la Foresta da Firenze
mandato a Lorenzo Moschi] (3).
(1) Lorenzo Moscm rispose col son.: Avegna che 7 mio ingegno
debol sia [a e. 97 6 del cod. Rice. 1103].
(2) Responsivo al son. di Lorenzo Moschi : Data mia dona gentile
u mesagio [cod. Rice. 1103, e. 986].
(3) A e. 98 a e 6 segue la risp. del Moscm : Se mi richorda bene
r ò già udito.
s.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 173
IX. Forestani Simone detto il Savìozzo. ^^ ^
FORESTANI
1. Addio ehi sia eh^ io me ne vo cantando (canz.)
Ms.: Canonie it 81 nella Bodleiana di Oxford, e. 76 [Simonis
de S e n i s].
2. Amor che le verdi ombre everse in ghiaccio (caDZ.)
Mss.: Yat 3212, g. 45 [Simone da Siena] ^Senese G, IV,
16, e 142 b [Simone Serdini Forestani da Siena detto
il Safiozzo. Ganzon morale fatta per una fanciulla in-
namorata d'un gentil giovinetto].
3. Amor con tanto sformo ormai m^ assale (canz.)
Ns.: Canonie iL 81 nella Bodleiana di Oxford, e. 76 [Simonis
de S e n i s].
4. Amor, ti porto scolorito il volto (canz.)
Bis.: ^Senese C, IV, 16, e. 156 a [Simone Serdini Forestani
da Siena detto il Saviozzo].
5. Afnor^ tu sai che sempre «' fui suggetto (son.)
Ms. : * Laur. SS. Annunz. 122, e. 31 a [Maestro Simone Ser-
dini da Siena].
6. Animo pellegrino, in cui amore (son.)
Ms.: • Senese C, IV, 16, e. 162 h [Simone ser Dini Fore-
stani da Siena detto il Saviozzo].
7. Beati son coloro^ o vero Iddio (ott)
Ms.: MoOck. 1. della GoTemativa di Lucca. [Saviozzo].
8. Ben è verace V amor cV io ti porto (son.)
Ms.: * Senese C, IV, 16, e. 161 a [Simone ser Dini Fore-
stani da Siena detto il Saviozzo].
9. Benedictus dominus Deus Israel (canz.)
Mss.: Laur. Med. Pai. 118, e. 45[Simone Serdini da Siena].
Bibl. Naz. Firenze, palat 199, e. 53 ò [Maestro Simone Saviozzo
174 a » L. FRATI
I, IX da Siena]. Riccard. 2732, e. 87 ò : 1126, e. 117 a [M."* Simone
FORESTANI ^^ Siena] VaL 3212, e. 5i [e. s.] Chig. M, IV, 79, e. 98 [e s.]
s. BoL Univ. 2574, e. 132 LSimon da Siena]. Canonie. iL 50 odia
Bodleiana di Oxford, e 65 b [a non.] * Senese Ls VII, 15, e 36 fr
[Simone Serdini da Siena]: *C, IV, 16, e. 106 a [Simone
ser Dini Forestani. Nella creatione dMnnocentio VII].
10. Cerbero invoco e il suo crudo latrare (sod.)
Mss.: Riccard. 1091, e 127 [Antonio da Bacchereto].
Barber. XLV, 129, e. 127 [a non.] Laur., pL LIIXIX sup., 35, e.
20 [e s.]: pL LXXXIX inf., 44, e. 171 [e s.] Magliab. VII, 3,
1009, e. 83 [e. s.]: VII, 3, 1010 (ora H, 40), g. 200 a [Maestro
Antonio di gbuido]. Bibl. Naz. Firenze, paIaL 419, e 99 [Si-
mone Forestani]. Riccard. 2823, e 65 [e. s.]
Edizz.: Serafino Aquilano, Opere, Firenze, Giunti, 1516, e 108
[Seraf. Aquilano] Cerbero invoco, il qual narra come una fan-
ciulla abbandonata dal suo innamoralo si lamenta, e conta le bellezze
di lui, e poi per disperata si buttò in Mongibello. Firenze , appresso
Giovanni Baleni, 1584, in 4.® [Simone Forestani].
11. Chiaro discemo e vedo cK ognor manca (sod.)
Ms.: * Boi. Univ. 1739, e 37 6 [Simonis Seneusis].
12. Clemente padre^ onnipotente Iddio (sod.)
Ms.: *Bol. Univ. 1739, e. 37 ab [Simonis Seneusis].
13. Colsemi al primo sonno della morte (cap.)
Mss.: Laur., pi. XLI, 34, e. 92 [Saviozzo]. Magliab. VII, 3,
1010 (ora II, 40), e. 120 a [Saviozzo overo Simone da Siena].
Riccard. 1114, e. 172.
14. Come per dritta linea V occhio al sole (cap.)
Mss.: Laur., pi. XC inf., 35, e. 62 [Maestro Simon da Siena]:
pi. XG inf., 37, e. 227 [Simone ser Dini da Siena detto
Saviozo]: pi. XL, 38, e. 3 [Pietro Alighieri]. Laur.
Strozz. 160. Laur. Med. Pai. 118, e. 48. Laur. SS. Annunz. 109,
e. 336 [Maestro Simone Saviozzo da Siena]. Magliab. VII,
107 [anon.]: VII, 956, e. 21 a [Simone Saviozo da Siena]:
VII, 1009, e 113a [Simone da Siena]: VIU, 23, e. Ub [e. s.] :
INDICE DELLE CABTE DI P. BILANCIONI, P. I.*" 175
VII!, 1^78, e 5 [Simone di ser Dini da Siena detto SaviozzoJ: F, ix
VII, 10, 1103, e lOSo. Bibl. Naz. Firenze, palai. 199, e. 57 a fqrestani
[Maestro Simone Saviozzo]: 204, g. 2836 [Simone Serdini s.
da Siena detto il Saviozzo]: 214, e. 29 a [e. s.] Riccard.
2823, e 62: 162, e 240 ò [Magistri Simonis de Sardinibus
de Senis]: 2732, e 846: 2815, e. 59. VaL 3212, e. 59
[Simone da Siena]. Chig. M, IV, 78, e. 90 [e. s.] BoL Univ.
2574, e. 127 [e s.]. Canonie iL 81 nella Bodleiana di Oxford [Simonis
de Senis]. R. BibL di Stuttgart, cod. 10 de' filo!., e. 38 [Simone
da Siena]. ^Senese 1, VII, 15, e. 286 [Simone ser Dini d
Siena]: *C, IV, 16, e 986 [Si crede di Simone padre di
Saviozzo e zio d'altro Simone]. 'Bibl. Naz. di Napoli, cod.
mi, C 1 [Simonis de Senis].
Edizz. : Dantis Aligeru, De vulg. ehq. libri duo. Parisiis, Io. Gor-
boo, 1577, p. 76. Rime e prose del buon secolo [ed. T. Bini]. Lucca,
Giosti, 1852, p. 38.
15. Corpi celesti e tutte V altre stelle (cap.)
Xss.: Laur., pL XC inf. , 35 I, e. 60 [Maestro Simone da
Siena]. Laur. SS. Ànnunz. 122, e 636 [Simone Serdini da
Siena]. Magliab. VIII, 23, e. 726 [Simone da Siena chiamato
Saviozzo]: XXXIV, 1, e. 132a [Simone Serdini da Siena]*
Riccard. 2823, e 606 [Messer Simone]: 2815, e. 57 6: 1154,
e 3066 [Simone da Siena]. VaL 3212, e. 626 [e. s.] Ca-
nonie, it 81 nella Bodleiana di Oxford [Simonis de Senis]. R.
Bibl. di Stuttgart, cod. 10 de*tìlol., e. 36 [Simone da Siena].
16. Decoris alma angelico tesoro (sod.)
Vedi Alighieri Dante.
17. Deh non v* incresca di trovare affanno (son.)
Ms.: 'Senese C, IV, 16, e. 163a [Simone Ser Dini Forestani
da Siena detto il Saviozzo].
18. Diffusa grafia in la tua santa mente (son.)
Blss. : 'Senese I, VII, 15, e. 206 [Simone Serdini da Siena]:
C IV, 16 [e s.] Chig. M, IV, 79, e. 81 [e. s.] Boi. Univ. 2574,
e 121 [e S.J
176 a » L. FRATI
F, IX 19. Diletta a Dio^ e sola albergo e loco (son.)
FORESTANI
g. Mss.: Laur. SS. Ànnunz. 122, e. 6i a [Simone Serdini da
Siena]. Magliab. XXXIV, 1, e. i23a [Simone Serdini]. Ric-
card. 1154, e. 1896 [Simone da Siena]. Chig. M, IV. 79, e S6
[e s.] Boi. Univ. 2574, e 125 [e. s.] Canonie, it 81, e, 78
[Simonis de Senis]. ^Senese I, VII, 15, e. 25a [Simone Ser-
dini da Siena]: *C, IV, 16, e. 946 [Saviozzo].
Ediz.: Rime e prose del buon secolo [ed. Bini]. Lucca, 1852, pp.
41 e 61.
20. Domine^ ne in furore tuo arguas me (son.)
Mss.: Laur. Med. Pai. 118, e. 44 [Simone da Siena]. Laur.
SS. Ànnunz. 122, e. 50 a [Simone Serdini da Siena]. Magiiab.
VII, 1171, e. IlOfl [Saviezze]: VII, 7, 1125, e. 286 [Simone
da Siena cioè il Saviezze]. Bibl. Naz. Firenze, palat. 199, e 47 fr
[Maestro Simone Saviozzo da Siena]. Riccard. 1091, e
1166 [Saviozzo da Siena Simone di Nanni]: 2732, e. 89:
1154, e. 193 a [Simone da Siena]. Marucell. C, 152, e. 128 a.
VaL 3212, e. 57 h [e. s.] Chig. M, IV, 79, e. 84 [e s.] Boi. U-
niv. 2574, e. 123 [e. s.]. Canonie. 81, e. 76 [Simonis de Senis]:
50, e. 54 b [Simone da Siena]. Perugino G, 85 [e. s.] * Se-
nese I, IX, 18, e. 486 [Simone da Siena. Canzone ove priega
il Conte Ruberto da Poppi gli perdoni un certo errore e
promette a la canzone di coronarla se M cava di prigione
e cosi fu]: I, VII, 15, e. 24fl [anon.]: C, IV, 16, e 93ff
[anon.]: H, XI, 54, e. 23a [Maestro Simone da Siena. Canz.
fatta quando il Conte di Poppi T aveva in prigione].
21. Donne leggiadre e pellegrini amanti (serv.)
Mss.: Cbig. M, IV, 79, e. 75 [Simone da Siena]. Boi. Univ.
2574, e. 117 [Simon da Siena]. Canonie, iu 81, e. 77 [Simonis
de Senis]. Estense 111, D, 22, e. 135 a, Par. II [anon.] * Se-
nese I, VII, 15, e. 15a [Simone Serdini da Siena]: *C, IV,
16, e. 120 fl [e. s.]
22. Esercitava il vero mio civile (son.)
Ms. : ^Riccard. 1091, e. HO [Simone di Vanni da Siena).
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONT, P. I.* 177
23. Esser non può che nel terrestre sito (son.) F, ix
FORESTANl
Mss.: * Senese I, VII, 15, e. 246 [Simone Serdini da Siena]: g.
•C, IV, 16, e 13i b [e. s.]: M. IX, 18, e. 61 a [Simone da
Siena al signor Karlo de* Malatesti]. Laur. SS. Annunz. 122,
e M8 fl [e 5.] Chig. M, IV, 79, e 85 [e. s.] Boi. Univ. 2574, e.
124 [Simon da Siena].
24. Figìiuol mio^ sie leale e costumato (son.)
Vedi Pucci Antonio.
25. Fra candide viole or gelsi or rosa (son.)
Blss.: I^ur. SS. Annunz. 122, e. 59 a [Simone Serdini da
Siena] •Senese C, IV, 16, e. 162 a [e. s.]: • I, IX, 18, ,c. 64 a
[Simone da Siena. Per una a Rimino donna d'un gentil
giovane].
26. Fra il suan dell' ora e gli arboscelli scussa (canz.)
Mss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 226 a [Simone Serdini da
Siena]. Marucell C, 152, e. 131 a [Simone da Siena] *Se-
nese C, IV, 16, e. 151 ò [Simone ser Dini Forestani da Siena]:
* i, IX, 18, e 56 a [Simone da Siena. Canzon a recomen-
datione del Conte Ruberto da Poppi a Firenze, mo-
strando come Firenze mi mostra desegnati nel suo petto
molti di loro de*quali parla di cinque dimostrando lor
probità e ricordando gratitudine et cetera, 1396].
27. Fra le più belle loggie e gran palagi (canz.)
Mss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 58a [Simone Serdini da
Siena]. Marucell. C, 152, e. 1286 [Simone da Siena]. Chig.
M, IV, 79, e 70 [e. S.I Boi. Univ. 257 4, e. 114 [e. s.] Ca-
oonic ìl 81, e. 76 [Simonis de Senis]. ^Senese I, IX, 18, e.
50a Simone da Siena]: M, VII, 15, e 9 6 [e. s.]: * C, IV,
ir», e. 86 a [Del figliuolo di Simone ser Dini Forestani '
da Siena].
28. Frusto è del fragil legno antenna e sarte (son.)
Yedi Alighieri Dante.
Voi IV, Parte L 12
178 e. B L. FRATI
I, IX 29. Fugga virtù le corti o sensi acervi (son.)
FORESTAN! v j- *,. u • n .
g. Vedt Alighien Dante.
30. Gloriasi il celeste^ e Vuntan langue (canz.)
Mss. : Laur. SS. Annunz. i22, e. 2216 [Simone Serdini da
Siena]. * Senese I, IX, 18, e. 43 a [Simone da Siena. Can-
zon doTe laudando la ?ita di mess. Gio. d'Azzo degli
, Ubaldini da Firenze piange dolendosi della morte sua]::
•C, IV, 16, e. U9fl [e. s.]
31. CHorfosa virtH cui forte vibra (soo.)
Vedi Alighieri Dante.
32. / non servati voti^ e i molti errori (sod.)
Ms.: *Bol. Univ. 1739, e. 38 a [Simonis Senensis].
33. Il fronte^ il visOy anai dipana, «7 sole (caoz.)
Blss.: Ghig. M, IV, 79, e. 68 [Simone da Siena]. 'Senese
I, IX, 18, e. 536 [e. s. Ganzon a Palla degli Strozzi da Fi-
renze come innamorato d'una giovane si lamenta della
partita d'essa la quale andò a marito a Padova]: *l,
VII, 15, e. 36 [anon.]: 'G, IV, 16, e. 826 [Per Palla Strozzi.
Del Saviozzo Figliolo si crede]. Laur. SS. Annunz. 122, e.
225 a [Simone Serdini da Siena]. Manicell. G, 155, e. 1296
[Simone da Siena] (1).
34. Il tempo fugge e V ore son si brevi (serv.)
Mss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 516 [Simone Serdini da
Siena]. Magliab. VII, 1171, e. 119 a [e. s.] Palai. 199, e. Ub
[Maestro Simone Saviozzo da Siena]. Riccard. 1114, e. 1796:
1154, e. 185a [Simone da Siena]. Marucell. G, 152, e. 132 6
[anon.] Ganonic. it. 81, e. 78 [Simonis de Senis]. * Senese
I, IX, 18, e. 58 a [Simone da Siena]: * G, IV, 16, e. 124 6
[Simone ser Dini Foreslani da Siena].
Ediz. : Rime e prose del 6. s. [ed. Bini]. Lucca, Giusti, 1852, pp.
41 e 61.
(1) In questi due ultimi codici la canz. comincia : Se il fronie, il
viso, etc.
INDICE DBLLB CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 179
35. Ingrata de tuoi fidi patria civi (son.)
Sii: BoL UdW. 1739, e 36 a [Simonis Senensis].
36. Io invoco e priego quello eterno Iddio (ott.)
Ns.: MoQck. 1 della Goveniativa di Lucca [Saviozzo].
37. Io non so che si sia ombra o disgrasia (canz.)
Mss.: Chig.M, IV, 79, e 103 [Simone da Siena]. Boi. Univ.
^74, e 136 [e s.] Canonie it 81 nella Bodleiana di Oxford, e. 78
/Simonis de Senis]: 50, e. 56 6 [Simone da Siena]. Senese
l VII, 15, e 42 fl [Simone Serdini]: C, IV, 16, e. ÌU a
[Simone ser Dini Forestani da Siena].
38. Io veggio bene ornai che tua podestà (son.)
Vedi Alighieri Dante.
39. Io vidi Amor deificare in parte (sod.)
Mss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 55 ò [Simone Serdini da
^ìeaa]. ^Senese I, VII, 15, e. 13 b [Simone Serdini da
^ieoaj. Boi. Univ. 2574, e. 116 [Simon da Siena]. Estense IH,
D,i2, e 47, Par. Il [Ulisse]. Chig. M, IV, 79, e. 74 [e. s.]
Ediz.: Crcscimbeni, ed. Ven., Ili, 209 [Simone di ser Dino
Forestani].
40. L' alta beltà di quel collegio santo (canz.)
Mss.: Laur., pL XC inf., 47, e. Ili [Simon da Siena]: pi.
LXXXIX inf., 4i, e. 160 [a non]: pi. XL, 43, e. 115 [Giovanni
dì Nello da S. Gemignaoo].
Ediz. : In lode di bella donna , Canzoni , etc. [ed. Giuseppe Ar-
cangeli]. Prato, Alberghetti, 1852, in 8.^ [Antonio Pucci].
41. Zr' inclita fama e le magnificV opre (canz.)
Mss.: Magliab. VII, 10, 1103, e. Ili a. Riccard. 1126, e. 112 6
jM.*" Simone da Siena]. * MoQck. 1 [Simone da Siena].
* Ribl Naz. di Napoli, cod. XIII, C, 1, in line [Simonis de Senis].
42. U invidiosa gente e '2 mal parlare (serv.)
Mss.: Magliab. VII, 3, 1008 (ora VD, 4), e. 30 [a non]. Chig.
M, IV, 3U, e 87 [Simone da Siena] Senese C, IV, 16, e. 116 o
r, IX
FORESTANI
8.
180 a K L. FRATI
f, IX [SimoDe da SienaJ. Bibl. Naz. Firenze, palat. 200, e 30 a
FORESTANI [anOD.]
s.
43. V umil aspetto^ altero e pellegrino (madr.)
Mss.: Chig. M, IV, 79, e. 81 [Simone da Siena] Boi. Uoiv.
2574, e. 121 [Simon da Siena]. 'Senese G, IV, 16, e 13i a
[Simone Ser Dini Forestani detto il Sa?iozzo].
44. La gloria^ la fastidia e melodia (son.)
Ms.: *MagIiab. VII, 10, 1103, e. 44 ò [Lo infrascripto sonetto
feci io Simone dì ser Dini da Siena a laude del poeta
Dante et messer Giouan Bocchacci che nella sopradetta
prosa (1) dice di lui a pieno].
45. Le infastidite labbia, in cui già posi (canz.)
Mss.: Laur. Med. Pai. 118, e 43 [Saviozzo]: pi. XC inf., 35,
p. 58 [Simon da Siena]: pL XLII, 32, p. 5B [a n o n.] Magliab.
VII, 107, e 39 6 [Saviozzo]: Vili, 23, e. 70 a [Simone da
Siena]: Bibl. Naz. Firenze, palat. 199, e. 49 6 [Maestro Simone
Saviozzo da Siena]: 419, e. 139 [anon.j Riccard. 1091,
e. ili [Simone di Vanni dd Siena. Saviozzo]: 2823, e. 58
[Simone da Siena]: 2815, e. 55 6 [e. s.]: 1154, e. 182 b
[e. s.] Vat. 3212, e. 62 [e. s.] Chig. M, IV, 79, e. 89 [e. s.]
Boi. Univ. 2574, e. 126 [e. s.] Canonie. 81 nella Bodleiana di Oxford,
e. 77 [Simonis de Senis]: 50,0. 59 [Simone da Siena). R.
Bibl. di Stuttgart, cod. 10 de'filol. , e. 34 |c. s.] Boi. Univ. 15«, e,
82 6. Estense 111, D, 22, e. 94 6, Par. 11 [Simonis Sen. despc-
rata]. 'Senese 1, VII, 15, e. 26 b [Simone Serdini da Siena]:
* C, IV, 16, e. 96 b [Si crede del nipote di Simone].
46. Le soavi orme e quella gentil fera (son.)
Mss.: 'Senese 1, li, 18, e. 63 a [Simone da Siena. In for-
ma di donna per la scientia]. Laur. SS. Ànnunz. 122, e. 229
b [Son. fecie il detto Simone (Serdini da Siena) e parla
della scientia in forma di donna].
(1) Questo son. segue nel cod. Magliab. alla Vita di Dante del
Boccaccio.
FORESTANI
S.
INDICE DELLE CABTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 181
47. Levasi al del dalle terrestre ed ime (son.) F, ix
Mss,: •Senese I, VII, 15,c. 44 fc [Simone Serdini da Siena]:
C IV, 16, e. 130 h [e. s.] BoL Univ. 2574, e. 4i7 [Simon da
Siena]. Chig. M, IV, 79, e 75 [e. s.] Cod. Oltelio nella Comu-
nale di Udine, e. i59 [e. s.]
48. Liber credei delC amoroso strale (son.)
Hs.: Laur. SS. Annunz. i22, e 65 a [Simone Serdini da
Siena].
49. Lor che Titon si scopre il chiaro manto (son.)
Vedi Alighieri Dante.
50. Madens sub undis radiantis Phoebi (son.)
Sfss.: Laur SS. Annunz. i22, e. 2276 [Maestro Simon Serdini
da Siena]. 'Senese C, IV, i6, e. 91 a [Simone ser Dini Fo-
restani]: I, VII, 15, e 21 ò [Simone Serdini da Siena]-
L IX, 18, e 60 6 [Simone da Siena. Ad dominum Malate-
stam domini Galeotti]. Chig. M, IV, 79, e. 81. Boi. Univ.
257i, e Hi [Simon da Siena].
Ediz.: Battagliai, Comment. sulla corte letter. di Sigismondo Ma-
latesta, Rìmini, 1794, p. 121 [Simon Sardinis de Senis].
51. Madre celeste^ stella mattutina (canz.)
Mss.: Laur. Med. Pai. 118, e. 46. Bibl. Naz. Palat. 199, e. 35 a
[Maestro Simone Saviozzo da Siena]. * Senese C, IV, 16,
e. Ii7 [Simone Serdini. A laude della Vergine Maria].
Edizz. : Rime e prose, del b. s. [ed. Bini]. Lucca, Giusti, i852, p.
41]. Due Canzoni morali inedite. Roma, Chiassi, 1858.
5^ Madre di Cristo gloriosa e pura (capitolo).
Laur., pL XC inf., 37, e. 222 [S i m o n e ser Dini da Siena detto
SaTiozzo]. Laur. Med. Palat. il8, e. 49. Laiu*. SS. Annunz. i22,
e. f)5ò [Simone Serdini]: 109, e. 19a [Simone Saviozzo da
Siena]. Magliab. II, 405, e. 1206 [Saviozzo]: I, 34 (già VII,
4, 153) e 258 6 [anon.] Bibl. Naz. Firenze, palaL i99, e. 64 b
(Maestro Simone Saviozzo da Siena]: 204, e. 2816 [Si-
mone Serdini d.® il Saviozzo]. Riccard. iii4, e. i77: il33.
182 a K L. FRATI
F, IX e. 75: 1007, in line [Saviozzo da Siena]. VaL 3212, e. 53 6
FORESTANI I Simone da giena]. Chig. M, IV, 79, e. 93 [e. s.] Boi. Udìt.
s. 2574, e. 429 [Simon da Siena]. Canonie, it. 81 nella Bodleiaoa
di Oxford, e. 77 [Simonis de Senis]: 180, e. 30 [anoo.]
Chig. L, VII, 266, e. 110. Marciano, ci. IX ilal., 182, e. 137. BibL
Capitolare di Verona, cod. cdxci , e. 203 [Simone Sa?iozzo da
Siena]. * Senese I, VII, 15, e. 31 b [Simone Serdìni da
Siena]: *C, IV, 16, e 1176 [Simone ser Dini Forestani.
Per la peste del 1390].
Edizz.: Spicilegium Romanum [ed. Mai]. Romae, 1839, voi. Vili,
pp. XXIV-XXVII. Rime e prose [ed. Bini]. Lacca, Giusti, 1852, p. 40.
Capitolo a Maria Vergine composto per la peste del i390 ora per la
prima volta pubblicato [ed. G. Milanesi]. Siena, 1845, in 8.^
53. Misericordia abbi di tne^ Signore (ott.)
Ms. : MoQck. 1 della GovernatÌTa di Lucca [Saviozzo].
54. Misericordia, Iddio^ che piti difendere (son.)
Ms. : *Bol. Univ. 1739, e. 37 a [Simonis Senensis].
55. Morte mi tolse il benedetto lume (son.)
Mss. : 'Senese 1, VII, 15, e. 20 a [Simone Serdini da Siena]:
C IV, 16, e. 132fc [e. s.] Boi. Univ. 2574, e. 121 [Simon da
Siena]. Chig. M, IV, 79, e. 80 [e. s.]
56. Mossemi al primo sonno della notte (son.)
Mss.: Val. 3212, e. 526 [Simon da Siena). 'Senese C, IV,
16, e. 1596 [Simone Serdini].
57. Nel tempo die ci scalda il dolce segno (canz.)
Mss. : Laur. SS. Annunz. 122, e. 76 [Simone Serdini da Siena].
ManiceU. C, 152, e. 129 r [Simone da Siena]. Chig. M, IV, 79,
e. 72 [e. s.] Boi. Univ. 2574, e. 115 [Simon da Siena]. Ca-
nonie, it. 81 nella Bodleiana di Oxford, e. 76 [Simonis de Senis ].
•Senese I, IX, 18, e. 52a [Simone da Siena]: M, VII, 15, e
12a: *C, IV, 16, e. 886 [Del Ogliolo di Simone ser Dini
Forestani. Per Giovanni Colonna].
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCTONI, P. I.* 183
58. Nel tempo giovenil che Amor e' invita (canz ) p, ix
FORESTANI
Mss.: Manicell. C, 152, e. 130 ò [Simone da Siena]. Chig. ^^
M, IV, 79, e 69 [e. s.] Boi. Univ. ^74, e. 113 [e. s.] Canonie.
ìL 81 nella Bodleìana di Oxford [Simonis de Senis] * Senese I,
IX. 18, e 55 a [Simone da Siena. Canzon per Johanni
Sederini da Firenze il quale nel verde tempo di sua
buona iuventù s'inamorò d'una nobile giovane detta Cosa
del detto loco.]: M, VII, 15, e. 8 a [anon.l*. •C, IV, 16,
e 8i ò [Simone ser Bini Forestani].
59. Non fiori, erbette, impallidite e lasse (soo.)
Vedi Alighieri Dante.
60. Non pensi tu stranier tacendo amore (madr.)
Ms.: Laur. SS. Annunz. iti, e 54 a [Maestro Simone Ser-
dini da Siena a pititione di Malatesta].
61. Non per tranquillo pelago si scopre (son.)
Mss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 56 a [Simone Serdini da
Siena]. * Senese I, VII, 15, e. 20 6 [e. s.]: M, IX, 18, e. 046
[Simone da Siena]: *C, IV, 16, e 133 a [Simone ser Bini
Forestani]. Boi. Univ. 2574, e. 121 [Simon da Siena]. Chig.
M, IV, 79, e. 80 [e. s.] Estense III, B, 22, e. 48 a. Par. Il [Ulix is] (1).
62. Non vide mai la fiammeggiante aurora (son.)
Mss.: 'Senese C, IV, 16, e. 18 6[Simone Serdini da Siena|:
I, VII, 15 [e. s.] Boi Univ. 2574, e. 120 [Simon da Sienaj.
i:big. M. IV, 79, e. 79 [e. s.) F^lense III, D, 22, e. 47 6, Par. 11
[Ulixis].
63. Novella monarchia^ giusto signore (canz.)
Mss.: Laur, pi. XC inf., 351, e. 48 6 [Simon da Siena chia-
mato Saviozo]: XC inf., 37, e. 222 [Simone ser Dini da
Siena chiamato Saviozo]. Laur. Med. Pai. 118, e. 44. Laur.
(1) Questo e il seguente son. seguono nel cod. ad un son. intestato
(e. 46 b): Ulixis Job. Gonelle, cioè di Ulisse a Gio. Concila, cui
f (lirello il son.
j
184 e. « L. FRATI
I* IX SS. Annunz. 12!2, e. 59 6 [Simone Serdi.ni da Siena]. Magiiab.
PORESTANi ^*'^> ^^» ^- ^^^' ^^^*- ^^- Firenze, palaL 499, e. 5i b [Maestro
s. Simone Saviozzo da Siena. Al ducha vecchio conte di
vertù]: 204, e. 279 [Simone Serdini da Siena detto
il Sa?iozzo]: 2823, e. 56: 2815, e. 536: 115i, e 266a
[Simone da Siena]. Val. 3212, e. 49 [e. s.] Chig. M, IV,
79, e. 96 [e. s.] Boi. Univ. 2574, e. 131 [Simon da Siena].
Canon. iL 81 nella Bodleiana di Oxford, e. 78 [Simonis de Senis].
Bibl. di Stuttgart, cod. 10 de' Gioì., e. 32 [Simone da Siena].
Senese 1, VII, 15, e. 34 ò (e s.]: C, IV, 16, e 103 b [Del
figliuolo di Simone al Conte di Virtù].
Edizz.: Misceli di cose ined. o rare [ed. Corazzini] Firenze,
Baracchi, 1853, pp. 317-20. Dante, Canzoniere [ed. Fraticelu]
2.' ediz., p. 334.
64. 0 alta fiamma di quel sacro manie (canz.)
Mss.: VaL 3212, e. 47 [Simon da Siena]. * Senese C, IV,
16, e. 145 a [Simone Serdini. Canz. morale fatta per la
morte del Marchese Niccolò da Este].
65. 0 dio di verità, eternai vita (ott.)
Ms.: Magiiab. XXXIV, 1, e. 124 b [Fra rime del Saviozzo].
66. 0 divine bellezze ai nostri dime (son.)
Mss.: 'Senese 1, VII, 15, e. lia [Simone Serdini da SienaJ:
C, IV, 16, e. 130fl [Simone ser Dini Foreslani]. Chig. M, IV,
70, e. 75 [Simone da Siena]. Boi. Univ. 2574, e. 117 | e. s.]
Cod. Otielio nella Comunale di Udine, e. 159 [Pandolfo Malatesta].
67. 0 folle, 0 lieve gioventute ignota (canz.)
Mss.: Laur. pi. XC inf., 35 I, e. 47 [Maestro Simon da Siena
chiamato SaviozoJ. Laur. SS. Annunz. 122, e 56 a [Simone
Serdini da Siena). Magiiab. Vili, 23, e. 66 a: li, 40, e. 121 a
[Saviozzo]. Riccard. 1114, e 1756: 2823, e. 546: 2815,
e. 52: 1154, e. 1886 [Simone da Siena]. Vat. 3212, e. 42
[e s.] Canonie, it. 81 nella Bodleiana di Oxford, e. 78 [Simonis
de Senis]. R. Bibl. di Stuttgart, cod. 10 de* filol., e. 30 [e. s.]
INDICE DELLB CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.'^ 185
Senese I, II, i8, e, i5n [e. s. Canzon contra i giovani presi F, ix
d* amore carnale]: C, IV, 16, e. 128 a [anon.] Torestani
s.
68. 0 infinita podestà divina (canz.)
Mas.: Riccard. ili 4, e. 1736- Val. 3214, e. 40. Senese C,
IV, 16, e 1386 [Simone ser Dinì Forestani. Canz. contro
i sette peccati mortali].
69. 0 magnanime donne, in cui beltade (son.)
Blss.: Boi. Univ. 1738, e. 11 [Simone da Siena]. Canonie,
it. 81 nella Bodleiana di Oxford [Simonis de S e n i s]. Senese I, VIII,
36, e i [anon.] Vat. 3212, e. 226 [e. s.] Laur., pi. XC, inf.,
35 L, e 82 [e. s.] ManicelL C, 155, e. 42 [e. s.] Laur. Med.
PaL 118, e 51 [e s.] R. BibL di Stuttgart, cod. 10 de' filol, e. 60
[e s.] Magliab. VII, 3, 1010, e. 224 [e. s.] Bibl. Naz. Firenze,
palaL 419, e 101 [e s.] (1)
Edizz. : Storia d* una fanciulla tradita da un suo amante di m.
Simone Forestani da Siena [ed. F. Zambrini]. Bologna, 1862 (Scelta,
n* 6), p. 17.
70. 0 maligne influenae, o moti etemi (canz.)
Mss.: Chig. il, IV, 79, e. 99 [Simone da Siena]. Boi. Univ.
2574, e 133 [e. s.] ^Senese I, VII, 15, e. 38 a [Simone Serdini
da Siena]: *C, IV, 16, e. 109 a [Simone ser Dini Forestani].
71. 0 poco albergo^ u' son le sacre membra (son.)
Mss. : Riccard. 1154, e. 313 b [Saviozzo]. * Senese C, IV, 16,
e. 131 b [anon.]: I, VII, 15, e. 19 a [Simone Serdini da
Siena]. Boi. Univ. 2574, e. 120 [Simon da Siena]. Chig.
M, IV, 79 [e s.]
72. 0 Signor mio, T sol ti vo' pregare (ott)
Ms.: Moilck 1 della Governativa di Lucca. [Saviozzo].
73. O specchio di Narciso^ o Ganimede (canz.)
(1) Mutila in principio: comincia alla sL XVII.
186 a K L. FRATI
F, IX ìiss.: Laiir., pi. XL, i3, e. 5 b [a non.]: pi. XC sup., 56, e.
^^j^gif^fd 45 b [Maestro Simone Savìozzo da Siena]: pL XC inf., 35
8. -I, e. 140 [anon.) Laur. Med. PaL 118, e. 50 [Savìozzo].
Laur. SS. Annunz. \fì, e 57 6 [Simone Serdini da Siena]. Ma-
gliab. VII, 1009, e. 77 b [anon.]: VII, 1171, e 113 b [e. s.]
Bibl. Naz. di Firenze, palat 199, e 60 6 [Mastro Simone Saviozzo da
Siena]: 200, e 79 a [anon.]: 241, e 54 [e. s.] : 419, e
139. Riccard. 1154, e. 221 a [Simone da Siena]. * Cod. del
March. Filippo Raffaelli [Saviozzo]. Boi Univ. 2574, e. 110 [Si-
mone da Siena]. Canonie. iL 81 nella Bodleiana di Oxford, e. 76
(Simonis de Senis]. Estense X, B, 10. pag. i3[anon.]: 1II,D,
22, e. 102 fl. Par. IL' [e. s.] •Senese C, V, 14, e. 7 a [e s.]:
•I, VII, 15, e. 5 a: * C, IV, 16, e. 135 a [Simone ser Dini
Forestani].
Edizz.: Canzone di Simone da Siena. S. n. t (sec XV) in 8., ce
4 n. n., car. rot (nella Misceli IV, I, 52 della BibL Comunale di Siena).
Forestani Simone, Cerbero invoco, ecc. Firenze, Giovanni Baleni, 1584,
in 4.»
74. Par che natura il diUttabil stime (soo.)
Mss.: * Senese I, VII, 15, e. 14 6 [Simone Serdini da Siena]:
C, IV, 16, e. 130 b [Simone ser Dini Forestani]. Boi. Univ.
2574, e. 117 [Simon da Siena]. Chig. M, IV, 79, e. 75 [e s.]
75. Partita s' è la luce e gita via (son.)
Mss.: Riccard. 1154, e. 313 b [Saviozzo]. 'Moùck. 8 nelb
Governativa di Lucca [e. s.]
76. Per gran forza d' amor commosso e spinto (cap.)
Ms.: BibL Naz. di Firenze, palaL 199, e. 73 (i [Maestro Simone
Saviozzo da Siena].
77. Per pace etema, inestimabil gloria (canz.)
Bfss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 62 b [Simone Serdini da
Siena]. MagUab. VII, 1171, e. 112 a, Riccard. 1026, e. 51 a
[anon.]: 1154, e. 191 b [Simone da Siena]. Chig. M, IV,
79, e. 95 [e. s.] BoL Univ. 2574, e. 130 [Simone da Siena].
Canonie, il. 81 nella Bodleiana di Oxford. * Senese I, IX, 18, e. 42 a
INDICE DBLLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. l/ 187
[Simone da Siena]: I, VII, 15, e. 33&[anon.]: C, IV, 16, F, ix
e 102 fl [Simone]. 'forestanT
Ediz.: Rime e prose [ed. T. Bini]. Lucca, Giusti, 1852, pp. 41-61. s.
[Simone Forestani].
78. Perché fuggendo il tempo fuggon gli anni (canz.)
Ms.: Canonie, il. 81 nella Bodleiana di Oxford [Simonis de
Senis].
79. Perché V opere mie mostran già il fiore (sod.)
Blss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 54 [Simone Serdini da Siena].
Magliab. VII, 721, e 120 a [Simon de Senis diclus Saviotius].
Riccard. 1154, e. 185 a [Simone da Siena]. MarucelL C, 155,
e 63 (e s.] Chig. M, IV, 79, e. 83 [e. s.] Bologn. Uni?. 2574,
e 122 [e s.] Canonie it. 81 nella Bodleiana di O\ford [Simonis de
Senis]. R. Bibl. di Bellino, mss. it. quarL n.*" 16, e. 188 a [ÌA^ Ant.
da Firenze]. 'Senese I, VII, 15, e. 22 6 [Simone Serdini
da Siena]: *C, IX, 16, e. 91 a [e. s.].
Edizz.: Rime e prose [ed. T. Bini]. Lucca, 1852, pp. 41 e 61
[Simone Forestani]. Canzoni ined. di Antonio degli Alberti
pubbiie. p. e. di Silvio Andreis. Rovereto, 1865, p. 33 [Ant. degli
Alberti]. Cfr. Alberti (Degli) Antonio.
80. Pili Acheronte^ Flegeton^ e Stige (sod.)
Vedi Aligbierì Dante.
81. Poco '{ pentire al re Laomedonte (son.)
Mss.: Senese I, VII, 15, e. 25 a [Simone Serdini da Siena]:
C, IV, 16, e. 134 h [Simone ser Dini Forestani]. Boi. Univ.
2:»7l, e 125 [Simon da Siena]. Chig. M, IV, 79, e. 86 |c. s.]
82. Poi che Fortuna al doloroso petto (canz.)
Mss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 223 h [Simone Serdini da
Siena]. Manicell. C, 152, e. 132 a [anon.] Vat. 3212, e. 43 6
Canonie. iL 81, e. 78 [Simonis de Senis]. 'Senese 1, IX, 18,
e 47 a [Simone da Siena]: C, IV, 16, e. 141 a [Simone ser
Dini Forestani].
FORESTANI
S.
188 a « L. FRATI
F, IX 83. Preziosa virttìj in cui forte vibra (son.)
Vedi Alighieri Dante.
84. Qual possa sempiterna o qual destino (sod.)
Mss. : ^Senese I, IX, 18, e. 636 [Simone da Siena. Per la
figliuola del Re Karlo di Durazo]. Laur. SS. Annuoz. 122,
e. 230 a [e. 8.1
85. Quello antico disio^ amore e fede (son.)
Blss. : Senese 1, VII, 15, e. 20 a [Simone Serdinì]: C, IV,
16, e. 1326 [Simone ser Dini Forestani]. Boi. Uni?. 2574, e.
i21 [e. s.] Chig. M, IV, 70, e. 80 [e. s.]
86. Questa mia palumbella ella è fenice (son.)
Ms.: *Bol. Univ. 2574, e. HO [Simon da Siena].
87. Questa misera vitay aspra e serena (sod.)
Mss.: Senese G, IV, 16, e. 132 a [Simone ser Dini Forestani]:
M, VII, 15, e. 19 6 [Simone Serdini da Siena]. Boi. Uni?.
2574, e. 120 [Simon da Siena]. Chig. M, IV, 79, e 80 [e s.]
88. Questa nostra speranza e nostra fede (son.)
Mss. : Senese G, IV, 16, e. 1336 [Simone ser Dini Forestani]:
I, VII, 15, e. 21 fl [e. s.] Chig. M, IV, 79, e. 81 [Simone da
Siena]. BoL Univ. 2574, e. 121 [e. s.]
89. Reciproca le fiamme al costui petto (son.)
fifs.: *Bol. Univ. 1739, e. 38 a [Simonis Senensis].
90. Rutilante bellezza, anima degna (son.)
Mss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 54 6 [Simone Serdini da
Siena]. "Senese C, IV, 16, e. 161 6 [Simone ser Dini Fore-
stani deTiittadini da Siena d.^ il Saviozzo].
91. S' io vidi Amor deificare in parte (son.)
Vedi sopra, n.® 39.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 189
92. Sacro e leggiadro fiume (caDZ.) F, ix
Biss. : Chig. M, IV, 79, e. 66 [Simone da Siena]. Caoonic.it. g
81 nella Bodleiana di Oxford [Simonis de Senis]. * Senese I, VII,
15, e Sa [Simone Serdini da Siena]: *C, IV, 16, e. 81 a
[Simone Ser Bini Forestani].
93w Se fussi più savio che non fu Salomone (sod.)
Ms.: * Senese C, IV, 16, e. 1606 [Simone Ser Dini Fore-
stani de' Cittadini da Siena detto il Saviozzo].
94. Se Ganimede piacque agli alti dei (quail)
Bis.: Perugino G, 86, e 1346 [anon.]
95. Se gli angelici cori ebber mai Iddia (madr.)
Mss.: *BoL Uni?. 2574, e 1216 [Simon da Siena]. 'Senese
1, Vn, 15, e 21 a [Simone Serdini da Siena].
96. Se il fronte^ il viso^ anai diana e 7 sole (canz.)
Vedi sopra, n."" 33.
91. Se r usitate rime in cui piti volte (son.)
Mss.: Laur. SS. Ànnunz. 122, e. 59 6 [Simone Serdini da
Siena]. ' Senese I, VII, 15, e. 13 6 [e. s.] : C, IV, 79, e. 74 [e. s.J
Boi. Univ. 257 i, e. 116 [Simon da Siena]. Chig. M, IV, 79, e.
Ti [Simone Serdini da Siena]. ^Estense III, B, 22 (1), e. 34
della P. Il [Simonis de Senis, se Té 'I vero (2)]. Boi. Univ.
12>^J, e. 77 a [anon.] *Cod. della Comunale di Vicenza contenente
il Canzoniere del Petrarca, c. 115 [Fra rime del Petrarca].
98. Se in fama di tal sangue prezioso (sod.)
Mss.: 'Senese I, IX, 18, e. 61 6 [Simone da Siena. A lan
ColomnaJ. Laur. SS. Annunz. 122, e. 2286 [e. s.]
(1) Segnato precedentemente IX, A, 27 : onde le due indicazioni
nelle carte bilancioniane.
(2) Questa dubbiosa aggiunta dello scrittore del cod. fu \m cancel-
lata con un tratto di penna.
190 a " L. FRATI
ff n: 99. Se lacrime, dchr^ piatiti e martiri (son.)
FORESTANI
s. Mss. : * Laur. SS. Annunz. 122, e. !229a [Simone da Siena |.
•Senese I, IX, i8, e. 626 [e. s.] •Marc, ci. IX iL, 352, e 29 a
[Dante].
Ediz. : G. WiTTE nel Jahrh, d. deutschen Danie-GeselUckaft^ voi.
Ili, 294 [Dante].
100. Se le colonne^ o fra Cariddi e Scilla (son.)
Mss. :• Senese I, VII, 15, e. 19 a [Simone Serdini da Siena):
C, IV, 16, e. 131 a [e. s.] Boi. Univ. 2574, e. 120 [Simon da
Siena]. Chig. M, IV, 79, e. 79 [e. s.|
101. Se le tempie d^ Apollo omai s' ancilla (canz.)
Mss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 222 b [Simone Serdini da
Siena]. Marucell. G, 152, e. 131 6 [a non.] Boi. Univ. 2574,
e. 122 [Simon da Siena]. Chig. M, IV, 79. e. 82 [e. s.] Ca-
nonie, it 81 nella Bodleiana di Oxford [Simonis de Seni s]. Se-
nese I, IX, 18, e. 466 [Simone da Siena. A laude del signor
Malatesta di messer Pandolfo Malatesli signor di Pesaro]:
•I, VII, 15, e. 216 [Simone Serdini da Siena]: • C, IV, 16,
e. 1076 [e. s. In Laude del signor Malatesta).
102. Se mai con alto e prezioso stile (canz.)
Mss.: 'Laur. SS. Annunz. 122, e. 66 a [Simone da Siena).
Estense III, D, 22, e. 131 6 della P. Il [a non.] * Senese I, VII, 15,
e 19 6 [Simone Serdini da Siena].
103. Sempre mai fu dacché la prima gente (son.)
Mss.: Senese C, IV, 16, e. 132 a [Simone ser Dini Fore-
stani]: I,VII, 15, e. 19 6 [Simone Serdini da Siena).
Chig. M, IV, 79, e. 80 Boi. Univ 2474, e. 120 [Simon da Siena].
104. Signor mio caro, i' son già stanco e Uisso (son.)
Ms.: 'Laur. SS. Annunz. 122, e. 66 a [Simone Serdini da
Siena).
FORKSTANI
S.
INDICE DELLE CARTE DI P BILANCIONI, P. I.* 191
105. Signor mio, esalai V orcus%on mia (ott) F, ix
Ms.: MoììcIl 1. Della GovernaUva di Lucca [Savio zzo].
106. Signor^ ti piaccia d* esaldir mio priego (ott)
Bis.: MoOck. 1. nella GovernaUva di Lucca [SaYiozzo].
107. Signore Iddio che 7 mondo volgi e giri.
Vedi Alighieri Dante.
108. Signore^ io ho a te forte gridato (ott)
Ms.: MoQck. 1. nella GoveroatiTa di Lucca [SaYiozzo].
109. Soavi passij o versi pianti in riso (sod.)
Mss.: ^Senese I, IX, 18, e. 64a[Simon« da Siena per una
a Rimino donna d'un gentil giovane]. Laur. SS. Annunz.
1±2, e- 230 ò [e. 8.]
110. Soccorrimi per Dio cV io sono a porto (cap.)
Mss.: Magliab, VH, 3, 1008 (ora VII, 4), e. 33 [a non.] *Bibl.
Nai Firenze, palat. 200, e. 78 a [e. s.]: •419, e. 134 fc. s.] (i).
Senese l, IX, 18, e. Ili bis a \cs.] M, Vili, 36, e. 44 [e. s.] (2):
*C, lY, itì, e. 157 b [Simone ser Dini Forestani da Siena^
detto il Saviozzo].
111. Sopra un bel legno armato navigando (sod.)
Mss.: ' Senese L IX, 18, e. 62 6 [Simone da Siena. Quando
presso il monte Sancto Angiolo in Puglia navicò].
Laur. SS. Annunz. 122, e. 229 6 [Sonetto fecie il detto Si-
mone (Serdini da Siena) quando era presso al monte
^anto Angiolo e navicava in Pugla].
11?. Sovente in me pensando come Afnore (serv.)
Ms. : Bibl. Naz. di Firenze, palat. 199, e. 69 a [Maestro Simone
Saviozzo da Siena. In questi versi si fa mentione di molti
nobilissimi huomìni che s'ànno lasciato vincere allo
amore, et i casi et i mali che perciò sono seguiti].
i\ì Seguita ad una canz. intestata a Sigismondo Malatesta.
(i) Mutilo in principio.
192
e. K L. FBATI
F, X
1 13. Tornato è il sol che la mia mente alberga (sod.)
Vedi Alighieri Dante.
FRANCESCO
co.
114. Veggio cangiarmi alla giornata il pelo (sod.)
Vedi Piacentini Marco.
1 15. Verdi selve aspre e fiere (canz.)
Mss.: *Senese I, IX, 18, e. 41 a [Simone da Siena]: I, VII,
15, e, 1 a [Simone Sardini da Siena]: C, IV, 16, e. 79 6
[Simone ser Dini Forestani de* cittadini da Siena detto il
Saviozzo]. Laur. SS. Annunz. 122, e. 220 a [Simone Serdioi
da Siena]. Laur., pi. XC sup., 56, e. 93 [Canz. di Maestro
Simone Saviezze per la donna dello Illustriss. Signore
Malatesta da Cesena].
116. Vince ragion pur vince il pravo senso (sod.)
Ms.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 2286 [Maestro Simon Serdini
da Siena fecie al signior d'Imola].
117. Vittorioso Cesar, nuovo Augusto (sod.)
Mss.: 'Senese I, VII, 15, e. 40 a [Simone Serdini da Siena]:
*C, IV, 16, e. Ili h [anon. In morte del Conte Alberico da
llarbiano quando fu fatto Gran Conestahile il Conte Guido
Antonio da Monte feltro]. Bibl. Naz. di Firenze, palat. 190, e.
6(> b [Maestro Simone Saviezze da Siena. Canz. per lo
conte d* Urbino, quando fu facto gran conestabile pollo
re Vincilao in Perugia].
X. Francesco Conte di Caserta.
Sterile stava la vostra magione (sod.) (1).
Ms. : *Bibl. del Seminario di Padova, cod. 59, e 59 [Fr. Comes
Casertanus).
(1) A Francesco di Vannozzo, che rispose col son. : io credo ben
rhe Socrate o Platone,
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANaONI, P. I." 193
XI. Francesco di Piavano. F, xiv
FRANCESCO
V abito sacro dato noi dal cielo (son.) co.
DI POPPI
Ms.: ^Ambros. E, 56 supra [Magìster Franciscus de Fia-
T a D o].
XII. Francesco da Firenze.
Delle gravi doglie e pene (canz.)
Ms. : * VaL 3793, e 62 6 [Mastro Francesco di Firenze]
Francesco degli Organi.
Vedi Landini Francesco.
Xm. Francesco da Orvieto.
Io non descrivo in altra guisa Amore (canz.)
Mss.: Kiccard. 1050, e. 59 a [Frane, da Orvieto]. Moiick.
(y nella GovematiTa di Lucca [e. s.] Barber. XLV, 47, e. 124
[Frane da Barberino].
Edizz.: Lami, Calai, d, codd. Riccardiani, Livorno, 1756, p. 200
[Frane, da Orvieto]. Franc. da Barberino, Docum, d'amore
[ed. Ubaldini]. Roma, 1640, p. 359 [Franc. da Barberino].
XIV. Francesco Conte di Poppi
1. 0 gentil fior^ che in tutto il mondo spiri (canz.)
Ediz. : Testi di lingua ined. Iratli dai codici della Bihl. Vaticana
j ttl (i. Manzi |. Boma, De Bomanis, 1816, p. 94 [Lamento del Conte
di Poppi).
2. O Papa santo, se ben pensi il quarto (son.) (1).
Ms. : BibL Naz. di Firenze, palat E, 5, 7, 40, e. 171 a [Conte
di Poppi].
( i ) HespoDsivo al son. di Antonio di Matteo di Meglio : 0 puro
^ santo padre Eugenio qtuwto.
Voi. IV, I»arle l 13
194 a 8 L. FRATI
F, XVI 3. Omè^ omè^ omèj omè dolente (caDZ.)
DiVANNOZZO ^•' '^'cc^rd. 1091, e. 182 [Don Pellegrino Castiglìonil:
1126 [Lamento del Conte di Poppi]. Laur. Med. Pai. 119,
e. 5. Àjnbr. G. 35, e. 1 (1) [Inchomincia il lamento che
ffa el chonte Francesco di Poppi quando ne fu chac-
ciato da' Fiorentini]. Magliab. VII, 1145, e 3^^ [Lamento
del Conte di Poppi].
4. Piangendo e ricreduto (canz.)
fifss.: Magliab. VII, 3, 1010, e. 115 [Canzona fatta pel Conte
di Poppi]. Laur., pi. XLI, 34, e. 76. 'Senese II, XI, 65 [Can-
zona fatta per Francesco da Poppi giàConte di Batlifolle
di Casentino oggi Contado di Firenze].
5. Saggio è chi intende ben V altrui fallire (2).
Ms. : Bibl. Naz. di Firenze, paiat E, 5, 7, 40, e. 1706 [Conte di
Poppi].
XV. Francesco di Tura.
Nìuno aspetti il tempOy quando V ha (balL)
Ediz. : Lami, CataL dei Mss. Rkcard,, p. 101 (Francesco di
Tura da Firenze).
XVI. Francesco di Vannozzo.
1. A guisa d' uom che simil spera gratta (sOQ.) (3)
Ms. : *Cod. 59 della Bibl. del Seminario di Padova, e. 62 [Ucsp.
F(rancisci) V(annotii)].
(1) Di questi codici i primi quattro recano pure la rìsp.: La gloria
trionfale e il dolce nome.
(2) Responsivo al son. di Antonio di Matteo di Meglio: Folle è
chi falla per l altrui fallire.
(3) Responsivo al son. di Pietro della Rocca : Se giammai tempo
al mio piacer s' adatta.
INDICE DBLLB CABTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 195
2. Ad un poretto doloroso e tristo (son.) F« xvi
Ns.: • Ceni. 59 Semin. Pado?., e. 5i [F(ranciscus) V(annolius)]. Francesco
' *• ^ ' '^ DI VANNOZZO
3. Ahi lasso tne^ che tutta notte i' penso (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semio. Padov., e. 31 [Idem F(ranciscus) V(an-
ootius)].
4. Alla question che per te si propone (sod.)
Ms.: *Cod.59 Semin. Padov., e 46 [R(espoDSÌo) F(rancisci)
Y(aDDotii)].
5. Alle tuo vere eanee e dure frasche (sod.)
Ms. : Xod. 59 Semin. Padov., e 15 [Idem F(ranciscus) V(an-
ootius)].
6. Amor or treppa^ ride^ gioca e godi (son.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 48 [F(ranciscus) V(aDnotius)|.
7. Amor^ tu mi dovresti aconsigliare (son.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 51 [F(raDciscus) V(an-
ootius) ].
8. Anima che da Dio graeia prendesti (son.)
Ms.: 'Cod. 59 Semin. Padov., e. 20 [F(rancisci) V(an-
iiuiii ) Responsio].
9. Animo peregrin che antivedesti (son.)
Ms. : 'Cod. 59 Semin. Padov., e. 19 [F(ranciscus Vannolius)'
anima ad corpus|.
10. Arimino son io^ per la Romagna (son.)
Ms. : VM. 59 Semin. Padov., e 69 [Cantilena Francisci
V(annotii) prò Comite Virtutum, VII].
lùliz. : A. Sagredo in Arch, star. itaL, N. S., voi. XV, P. 11, p. 154
I *■•• s. 1
11. Assai si può sghignare o far di muso (son.)
Ms. : 'Cod. 59 Semin. Padov., e 67 [Franciscus V(annotius)].
196 a B L. FRATI
F, xvi 12. Assai son matti cJhe san far mattoni (son.)
DI vannÒzzo ^^' • * ^^^ ^^ Serain. Padov. , e. 44 [Idem F(raDciscus)
V(annolius)].
13. Bel me mesier^ e fiè quel che devea (son.)
fifs.: Cod. 59 Semin. Padov., e. 14 [Franciscus Vannotius (a
Marsilio da Carrara)].
Ediz.: Ant. da Tempo, Trattato delle rime volg. [ed. G. Grion].
Bologna, Romagnoli, 1869, p 2^ [Francesco Vannocci a Marsi-
lio da Carrara].
14. Bench'io non sia degno i' vi rispondo (son.) (1)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 12 [Ad Dom(inum) Mar-
s(ilium) de Car(raria) F(ranciscus) V(annotius)].
Ediz.: G. Cittadella, Storia della dominazione Carrarese in
Padova. Padova, 1842, voL I, p. 466 [Francesco Vannozzo].
15. BencK io non sia si della mente sano (son.) (2)
fifs.: * Cod. 59 Semin. Padov., e. 12 [Responsio F(rancisci)
Van(notii)].
16. BencV oggi al mondo mal licito sia (sod.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 21 [Idem: F(rancisci Van-
notii) Responsio].
17. Car signor mio, se vuoi ben dominare (son.)
Ms.: * Cod. 59 Semin. Padov., e. 33 [Idem F(ranciscus)
V(annotius)].
(1) Responsivo al son. di Marsilio da Carrara: A voi^ ientil
Franzesco di Vannozzo.
(2) Respons. al son. di Niccolò del Bene : // roman Scipion detto
Africano.
INDICB DBLLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 197
18. Cavcdier mioj quanto piti fugge il tempo (son.) (I) F, xvi
Ms.: ' Cod. 59 Semin. Padov., e. 22 [Responsio Fran(cisci) ''RANCESCo
Van(Dotii)].
19L Chi non sa volterar a la buonazza (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semio. Padov., e. 21 [Idem F(ranciscus)
Y(aDnotìus)].
20. Chi vuol giuocar in corte da Luealbacco (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e 68 [Franciscus y(annotius)].
21. Colui che 'n saper legge s' assottiglia (sod.)
Ms.: * Cod. 59 Semin. PadoT., e. 67 [Franciscus y(annotius)].
22. Com' più profonda il cielo e 7 mondo abissa (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 53 [Franciscus V(annotius)].
23. Come eh* io sia da te^ donna, lontano (canz.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 57 [F(ranciscus) y(annotius)].
24 Conciosiacosa che quel laureato (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 51 [Franciscus y(annotius)].
25. Centra Fortuna non si puote andare (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 10 [Franciscus yan(notius)!].
26. Corona santa, eh' è da Dio mostrata (son.)
Ms. : 'Cod. 59 Semin. PadoY., e. 68 [Cantilena Francisci V(an-
ootii) prò Comite Yirtulum, 11].
Ediz.: A Sagredo in Arch. stor. Hai,, N. S., voi. XY, P. II, p. 150
[e 5.1
27. Correndo del Signor mille e trecento (canz.)
Ms.: Cod. 59 Semin. Padov., e. 8 ò [Franciscus Yannotius].
(1) Respons. al son. di Gaspare di Lanzaroto, mandato al Van-
ouzzo da parte di Niccolò Contarìni veneziano, che incom. : Francesco mio,
nm già V andar del tempo.
198 e. R L FRATI
F, XYi Ediz.: Ant. da Tempo. Tratlaio delle rime volgari [ed. G. Grion].
FRANCESCO Bologna, 1869, p. 295 [Canzone di Francesco Vannocci].
Di VANNOZZO
28. Credi, liuto miOy che per un cento (sod.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 17 |F(raocisci Vannolii)
Respoosio].
^. Da me sedar mi sai cV io starò fermo (son.)
fifs.: God. 59 Seroin. Padov., e 53 [F(ranciscus) V(aDnotius)].
30. Da poi che mi convien di qua partire (ball.)
Ms.: *God. 59 Semin Padov., e. 53 [Fraociscus V(annotius)].
31. Da poi che v' è piaciuto a me mostrare (son.)
Ms.: 'Cod. 59 Semin. Padov., e. 57 [Replicai io ad idein(d.T. )]
32. Degna sei cV io V adori, alma gentile (son.)
Mss.: * God. 59 Semin. Padov., e. 54 [F(ranciscus) V(aDnolìus)].
'Estense III, D, 22, e. 356, Parie 11.' |anon.]
33. Deh peregrina dea, fwn far dimora (son.)
Ms.: 'God. 59 Semin. Padov., e. 52 [F(ranciscus) V(annolius)].
34. Di te mi giova a^sai, Benita mia (sod.)
Ms.:'Cod. 59 Semin. Padov., e. 20 [Idem Francischus V(an-
notius)J.
35. Dio ti conservi Carità del mondo (son.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 69 [G a u t i 1 e 11 a Francisci V(an-
nolii) prò Gomite Yirtutum, Y].
Ediz.: A. Sagredo in Arch. star. Hai, N. S., voi. XV, P. II, p. 153
[e. s.]
36. E tUy perla gentil, che di falcone (son.)
Ms.: *God. 59 Semin. Padov., e 49 [F(ranciscus) V(anno-
tius) ad idem].
Ediz.: Quattro sonetti inediti di Francesco Vanozzo [ed. D. Barba-
ran]. Padova, lip. del Seminario, 1870, p. 13 [Sonetto scrilo ad
Antonio della Scala signor di Verona].
TNDICB DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. L* 199
37. E ben ch'io non sia degno^ V vi rispondo (son.) F, xvi
,, .. o il Francesco
V-^^/l sopra, n. li. DIVANNOZZO
38. Era tramezzo V alba ed il mattino (canz.)
Ms. : God. 59 Semìn. Padov., e. 6 [FraDciscus Vannotius].
Ediz.: Rime di Francesco Yannozzo [ed. N. Tommaseo]. Padova,
tip. del Semloarìo, 1825, p. 7 [Canzone in lode di Cane della
Scala signore di Verona]. N. Tomma seo, Dizionario d* estetica,
alitano, 1860, voi. I, p. 340 (le sole su IV, V e Vili). [Francesco di
Vannozzo]. Rime di CiNO da Pistoia [ed. G. Carducci]. Firenze ,
1862, p. 566 [Francesco Vannozzo. In lode di Cane della
Scala signor di Verona].
39. Et io son il Mastin che mi lamento (son.)
Ms.: 'Cod. 59 Semin. Padov., e. 60 [F(ranciscus) V(annolius):
Mastinus loquitur].
40. Francesco mio^ se tu non tieni il freno (son.)
Ms.: ' Cod. 59 Semin. Padov., e. 48 [Franciscus V(annotius)].
41. Fratel, tu sai che nel superno regno (son.) (1)
Ms.: 'Cod. 59 Semin. Padov., e. 26 [Resp(onsio) Franc(isci)
Van(notii)].
42. Graio e gentil giardino adorno e fresco (son.)
Ms.: Cod. 59 Semin. Padov., e. 44 [tra rime del Vannozzo].
Edizz. : Saggio di rime di quattro poeti del sec. XIV [ed. N. ToM-
M.\SE0|. Firenze, Pezzati, 1829, p. 17 [Di Francesco Vannozzo
al giardino dove é solita venire la sua donna]. N. Tom-
iA2!>E0, Dizionario d'estetica. Milano, 1860, voi. I, p. 429 [e. s.]
Rime di CiNO DI PiSTOJA [ed. G. Carducci]. Firenze, Barbèra, 1862,
p. 572. (Francesco Vannozzo].
(i) Responsivo al son. di Bartolomeo da Castel della Pieve:
Li itanca navicella del mio ingegno.
200 a « L. FRATI
F, xvi 43. Gentil Catella mia, che del mio male (sod.)
FRANXESCO
DiVANNOZzo ^^•' ^^' ^^ Semin. Padov., e. 52 [tra rime del Vanoozzo].
Edizz.: Saggio di rime di quattro poeti del »ec, XIV [ed. N. Tox-
MASEO]. Firenze, Pezzati, 1829, p. 23 [Sonetto di Francesco Van-
oozzo alla sua cagnolina]. Quattro sonetti ined. di Fkaììcesco
Vanozzo [ed. D. Barbar an]. Padova, 1870, p. 16]. [Sonetto in cui
il poeta si lagna del suo disgraziato amore con la fida
cagnolina].
44. Giravan gli occhi miei di dolor pregni (son.)
Bis.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 20 [Idem F(rancìscus) V(an-
notius)].
45. GV incanti di Sibilla e di Cassandra (son.) (1)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 25 [Resp(onsio) Fr(ancisci)
Van(notiì)].
46. Godete ognun^ che Amor m'ha reso graeia (sod.)
Ms.: Cod. 59 Semin. Padov., e. 5i (Idem F(ranciscus) V(an-
notius)].
Ediz. : Quattro sonetti inediti di Francesco Vanozzo [ed. D. Bar-
baran]. Padova, 1870, p. 15 [Sonetto erotico].
47. Gran male Jia fatto quel che mi V ha tòlto (son.)
Ms.:*Cod. 59Semin. Padov.,c. 19 [V(annotius) Franc(iscus)].
48. Gran tempo fa cV ogni giorno più lenta (son.)
Ms.:* Cod. 50 Semin. Padov., e. 42 [Franciscus V( annoti us)].
49. Haimi lassato per diletto d' arpa (son.)
Ms.: • Cod. 59 Semin. Padov., e. 16 [Idem F(ranciscus) V(an-
notius)].
(1) Responsivo al son. di Antonio del Gaio: Francesco, se la tuo
Mia calandra.
INDICE DBLLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 201
50. I belli accenti di tuo rime accorte (son.) (1) F, xvi
Ms.: *Cod. 59 Semin. Rado?., e. 66 [Resp(oDsìo) Franc(isci) ^^j vannozzo
VanD(otii)].
51. H bel destino, che dal del f è dato (sod.)
Ms.:Cod. 59 Semin. Pedo?., e. 68 [Cantilena Franciscì V(an-
notii) prò Cornile Virtutum, I].
Edis. : A. Sagredo in Archivio stor. Hai, N. S., voi. XV, P. II, p.
U9 [e s.] Due sonetti ined, del 1387 di Francesco di Vannozzo
r^ronese [ed. G. Grion]. Padova, Prosperìni, 1866, p. 5 [Italia].
52. Il gioco tristo che gli uomini sciocchi (sod.)
M&: *Cod. 59Seniin. Padov., e. 33 [Idem F(ranciscus) V(an-
notius)].
53. Il gran morbeeBO e le delicie prave (sod.) (2)
Ms.: ' Cod. 59 Semin. Padov., e. 27 [Responsio Franc(isci)
Van(notiì)].
54. H mio poco intelletto si dispone (sod.)
Ms.: 'Cod. 59 Semin. Padov., e 45 [A. N. F. P.]
55. Il poco amor che m* ha il mio signor caro (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 50 [Francìscus V(annotius)].
56. Il poder basso col voler altiero (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e 25 [F(ranciscus) V(annotius)].
57. Il tuo f ratei, Francesco, a te mi manda (son.)
Ms.: 'Cod. 59 Semin. Padov., e. 18 [Idem F(ranciscus) V(an-
notius)].
(1) Responsivo al son. di Jacopo Gradenigo: Vuol mia fortuna e
mnUdftta sorte,
(i) Responsivo al son. di Bartolomeo da Castel della Pieve:
Morte ha tenuto del mio cor la chiave.
202 a R L. FRATI
F, xvi 58. Il tuo parlar che dolcemente assaggia (son.) (1)
D£ VANNOZZo ^* • * ^' ^^ ^erain. Padov., e. 34 [ R e s p{o n s i o) F r a n o(i s e i ^
Van(notii)|.
59. Il vostro dolce amor eh' è senea metta (son.) (2)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 36 lResp(onsio) Franc(isci)
yan(notii)].
60. Il vostro dolce aspetto e la gran fama (son.)
Ms.: Cod. 59 Semin. Pado?., e. 46 a [Idem F(raaciscus) V(an-
n oli US)].
61. Il vostro senno e 7 vostro andar in corso (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., c.63 [F(ranciscus) V(annotìus)].
62. Io credo ben che Socrate o Platone (sod.) (3)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 60 [Resp(onsio) FraDcOsci)
Van(notii)].
63. Io dico te, da prima dissi voi (son.) (4)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 45 |Fi*anc(iscus) Van(notius)
ad Nich(olaum) Del Bene].
64. Io me son encapado in una trapela (sod.)
Ms.: Cod. 59 Semin. Padov., e. 28 [Francisciis Vannotius].
Ediz.: Ant. da Tempo, Trattato delle rime volgari [ed. G. Grion],
Bologna, 1869, p. 2i [Francesco Vannocci].
( I ) Responsivo al son. di Niccolò de' Senechi : 0 specchio di virtù
da cui diraggia.
(2) Responsivo al son. di Pietro della Rocca: Io non credea che
una amistà j)erfetta,
(3) A Francesco Conte di Caserta in rìsp. al son.: Sterile stara
la vostra masone.
(4) A Niccolò Del Bene, che rispose col son.: Fu gloriosa mia
fama dappoi.
INI»ICE DELLE CABTB DI P. BILaNCIONI, P. L'^ 203
65. Io mi eredia questo foco allentare (sod.) F, xvi
Ms.: Cod. 59 Semìn. Padov., e. 46 a [S(onettus) F(rancisci) divannozzo
V(anDotn)].
Ediz. : Saggio di rime di quattro poeti del sec, HIV, [ed. N. Tom-
maseo]. Firenze, 1829, p. 28 [Di Francesco Vannozzo].
66. Io mi veggio mancare i sensi tutti (son.)
Bis.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. i5 [Idem Franciscbus V(an-
notius)].
67. Io nacqui d* una volpe e d' un bel bracco (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semìn. Padov., e. 15 [Idem Franciscbus V(an-
notius)].
Ediz.: Antonio da Tempo, Trattato delle rime volgari [ed. G.
Grion]. Bologna, 1869, p. i9 [Francesco Vannocci].
68. lo porgo grazie mille al bel sermone (son.) (1)
Ms. : *Cod. 59 Semin. Padov.. e. 46 [Replicatio F(rancisci)
Yan(notii)].
69. Io posso assai per l ' aere reguardare (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 50 [Franciscus V(annotius)].
70. Io sento andare intorno tante gatte (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 61 [Franciscus V(annolius)].
71. Io son Ferrara con gioiosa vista (son.)
Ms.: Cod. 59 Semin. Padov., e. 69 [Cantilena Francisci V(an-
notii) prò Comite Virtutum, IVJ.
Ediz.: A. Sa CREDO in i4rcA. stor, itaL, N. S., voi. XV, P. II, p. 152
[e. s. ]
72. Io san fratello d' ogni amor tirannico (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., c.63 [Franciscus V(annotius)].
(1) Replica al son.: Alla question che per te si proponi.
204 e. R L, FRATI
F, XVI 73. Io son venuto, dolce il mio signore (son.)
FRANCESCO
N VANNozzo ^^•- *^^* ^^ Semin. Padov., e. 17 [F(ranciscus Vannotius):
liutus loquitur].
74. Io t' ho sempre portato tanto atnore (son.)
Ms.: * Cod. 59 Semin. Padov., e i8 [F(rancisci Vaoootii)
Responsio].
75. Io tei voglio pur dir, bel mio sonetto (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Pado?.,c. i8 [Idem F(ranciscus) V(an-
notius)].
76. Io trovo molti eh' han capi di vaghe (son.)
Ms.: *Ck)d. 59 Semin. Padov., e. 14 [Idem Francìschus V(an-
notius)].
77. Io veggio ben che i cieli ora me sfida (son.)
Ms.: *God. 59 Semin. Padov., e. 50 [Francìscus y(an notius)].
78. Io veggio ben che il mio qui star m' anoglia (soo.)
Ms.: 'Cod. 59 Semin. Padov., e. 54 [Franciscus V(annotius)].
79. Io veggio ben che tu se' gionto al passo (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 12 [Idem F(ranciscus V(anno-
lius) ad Nicolaum de Leone].
80. Io veggio molti in alto far giudaica (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 13 [(Francìschus Vannotius)
ad Nicolaum de Leone].
81. Italia, figlia mia^ prendi diletto (son.)
Ms.: Cod. 59 Semin. Padov., e. 70 [Cantilena Francisci V(an-
notii) prò Cornile Virtutum, Vili]
Edizz.: A. Sagredo in Arch. stor. ital., N. S., voL XV, P. II, p. 155
[e. s.] Due solvetti imd. del 1387 di Francesco di Vannozzo
veronese [ed. G. Grion]. Padova, Prosperini, 1866, p. 7 [Roma].
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. L* 205
82. V animo altero col tuo magno core (sod.) F, xvi
Ms,: • Cod. 59 Semin. Pado?., e. 48 [Fran(ciscus) V(anDolius) j^^vannozzo
ad idem].
83. Z' atto geniti, magnanimo et altero (son.)
Ms.: *God. 59 SeoÙD. Pado?., e. 33 [Idem F(ranciscus) V(an-
n oli US)].
84. La bianca nebbia eh' a la stanca pende (madr.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e 52 [F(ranciscus) V(annotius)].
85. La donna che vi fa nel foco stare (sod.)
Bis.: *(k)d. 59 Semin. Padov., e. 57 [F(ranciscus) V(annotius)].
86. La mente mia che sta colma d' affanno (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Pado?., e. 66 [Franciscus V(annotius)
ad bellec(tum)]. (1)
87. La nostra ingrata e rusticata voglia (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e 32 [Responsio F(rancisci)
V(annotii)].
88l La pioggia, U vento e quella nebbia nera (caDZ.)
Ms.: * Cod. 59 Semin. Padov., e 55 [F(ranciscus) V(annotius)]
89. La rima vostra piena di dispetto (sod.) (2)
Ms.: TiOd. 59 Semin. Padov., e. 36 [Respon(sio) Fr(ancisci)
VaD(ootii)].
90. La santa grazia del sommo splendore (sod.) (3)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e i2 [Franc(iscus) Van(notius)
ad Ghedinum].
(1) A Jacopo Gradenigo soprannominato Belletto.
{2) Responsivo al son. di Pietro della Rocca: Taltibio mio, ogni
mortai diletto.
(3) Responsivo al son. di Gidino da Sommacampagna : Magnifica
corona di valore.
206 a B L. FRiTi
F, XVI 91. La vostra opinion eh' oggi verdeggia (sod.) (1)
FRANCESCO
I VANNOzzo ^^' *^^* ^^ ^inin* Padov., e. 32 [Resp(onsìo) Franc(isci)
Van(notii)].
92. Leggiadro mio giardin^ lucido e bello (soa.)
Ms.: *Cod. 59 Semio. Padov., e. 41 (Idem Francischus V(an-
Dotius)].
93. Leone isnello con le ereni sparte (sod.)
Mss: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 32 [Idem Francìsciis V(an-
notius)]. *Cod. Trìvulz. 32, e. 73 [Yacobo da Ymolla].
94. Libertà eh' io ho tanto chiamata (son.)
Ms.: Cod. 59 Semin. Pado?., e. 69 [Cantilena Francisci V(an-
notii) prò Cornile Virtutum, VI].
Ediz.: A. Sagredo in Arch, stor. Hai. N. S., voi. XV, P. 11, p. 151
[e s.]
95. Liuto mio, deh quanto pianger deggio (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 16 IF(ranciscus) V(annotius)].
96. Longinquo dalla parte e dalla voglia (son.) (2)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 61 [F(ranciscus) Van(notius)
ad Dom(inum) Petr(um) De la rocha].
97. Mal può far nuUa chi non ha fornello (son.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 13 [Idem Francischus
V(annotius)].
(1) Responsivo al son. di Giovanni Dondi: Quando il del con suo
stelle favoreggia.
(2) A Pietro della Rocca, che rispose col son.: Molnl son fatto
come al vento foglia.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I." 207
98. MoUo m' aggrada il ben che ti conspira (sod.) (1) F, xvi
FRANCESCO
Ms.:*God. 59 Semin. Pado?., e. !28.[Resp(onsio) FraDc(isci) ^j vannozzo
Van(nolii)].
99. MoUo mi piace il tuo dolce sermone (sod.)
Ms.: * Co(L 59 Semin. Padov., e. 60 [F(ranciscus) V(anno-
lius): Mastinus loquitur].
100. Non eredo mai da te ricever pace (son.)
Ms.: * Cod. 59 Semin. Padov., e. 43 [Idem F(ranciscus)
Viaonotias)].
101. Non è virtù dov* è la fede rara (son.)
Ms. : *Cod. 59 Semin. Padov., e 3i [Idem F(ranciscus)
V(aDnotias)|.
102. Non pianger più^ Signor^ non pianger, padre (son.)
Ms. : ' Cod. 59 Semin. Padov., e. 42 [Fra rime del Vannozzo].
103. Non può falso colar tener coperto (ball)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 47 [F(ranciscus) V(anno-
lius)).
104. Non si dà morte, si coni credi, tosto (son.)
Ms. : *Cod. 59 Semin. Padov., e. 43 [Franc(iscus) Van(notius)J.
105. Nulla fu mai tra noi da noi diviso (son.)
Ms.: * Cod. 59 Semin. Padov., e. 49 [F(ranciscns) V(anno-
lius) ad idem].
106. NuUa saper nulla vai dir né fare (son.)
Ms: • Cod. 59 Semin. Padov., e. 35 [Idem F(ranciscus) V(an-
uolius)].
< 1 ) Kcsponsivo al son. di Bartolomeo da Castel della I*ieve :
Ih quei vaghi pensier eh' Amor t' inspira.
208 a B II. FRATI
F, XVI 107. Nuovamente una donna assai pietosa (son.) (1)
DI VANNOZZO ^^''' * ^- ^^ Semin. Pado?., e. 26 [Fran(ciscus) Van(no-
tius) ad Mag(istrum) Johaoem].
108. 0 cor di doglia pieno e di martiri (son.)
Hs.: *Cod. 59 Semin. Padov., e 50 [Franciscus V(anDotius)].
109. 0 di nobiltà colonne e ponti (sod.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e 48 [Franciscus V(anDO-
tius)].
HO. 0 solitario^ vago, ignoto cucco (son.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 19 [Idem F(ranciscus)
V(annotius)].
Ediz. : Saggio di rime di quattro poeti del sec. XI V [ed. N. Tox-
MASEO] Firenze, Pezzati, 1829, p. 22 (ì soli vv. 13-U) [Francesco
di Vannozzo].
ili. 0 teste sciocche, o viste rude e losche (son.)
Ms.: " Cod. 59 Semin. Padov., e. 19 [Idem F(ranciscus)
V(annotius)].
112. Oriative, Signor, che di certano (son.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 3i [Idem F(ranciscus) Y(aD-
notius)].
113. Farmi che unguanno avrai poco formento (son.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 31 [Idem Franciscbus
Y(annotius)].
114. Pascolando mi vado a passi lenti (son.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 52 [Franciscus V(aDno-
tius)].
(1) A Giovanni Dondi, che rispose col son. : La donna che ti sembra
cordogliosa.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 209
lt5. Pascolando mia mente il dolce prato (canz.) F, xvi
Ms.: Cod. 59 Semìn. Padov, e. 1 [Franciscus Vannotius]. i^j y^nnozzo
Edia,: Rime di Francesco Vannozzo [ed. N. TommaseoI. Padova,
ùp. del Seminano, 18^5, p. 27 [Canzone morale fatta per la
divìsa del Conte di Virtù Duca di Milano]. N. Tombiaseo,
DisfOfurno d' estetica. Milano, 1860, ?ol. I, p. 431 (framm.) [France-
sco di Vannozzo].
U6. Per andar forte non si fa buon furto (son.)
Ns. : * Cod. 59 Semin. Pado?., e ii [Idem Francischus V(an-
oolius)].
117. Per bene^ per amore e per dispetto (ball.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Pado?, e. 65 [Franciscus V(anno-
lius)J.
118. Per fin che 'l mondo non permette usatufa (ball)
Xs. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 66 [Franciscus V(anno-
119. Per quel balsamo puro che distilla (son.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 20 [Idem F(ranciscus)
V(aonotius)].
120. Per tue parole e per tuo dimorare (son.) (1)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov., e. 47 [Replicatio F(rancisci)
V(aonotii )|.
121. Perché amicizia al mondo si convene (son.) (2)
Ms. : • Cod. 59 Semin. Padov., e. 22 [Resp(onsio) F(ranci-
nci) Van(notii)].
<1) A un certo Verette, responsivo al son.: Francesco mio, di ciò
Him ti turbare.
(2) Responsivo al son. di Gaspare di Lanzaroto: Francesco^ e
fum è cosa, e tu 7 sai bene.
Voi. IV, l'arte I . 14
210 a K L. FBATI
'^ ^ 122. Perché tu sei della ca' del liane (son.)
FRANCESCO ^ '
DIVANNOZZO Ms.: * Cod. 59 Semin. Padov., e 17 [Idem F(ranciscus)
V(annotius)].
123. Perdonimi ciascun s' io parlo troppo (frott)
Ms.: Cod. 59 Semin. Padov., e 37 [Franciscus Vannotius].
Ediz.: Ant. da Tempo, Trattato delle rime volgari [ed. G. Grion]-
Bologna, 1869, p. 298 [Frottola dì Francesco Vannocci].
124. Piacer di corpo e di mente aUegreaaa (son.)
Ms. : * Cod. 59 Semin. Padov.,c. 46 [S(onettus) F(rancisci)
V(annotii) ad Spinolam].
125. Pirrici panni che tener volete (son.)
Ms.: *God. 59 Semin. Padov.,c. 54 [Franciscus V(anDotius)|.
126. Più di Ruberto Giache e Feliparte (son.)
Ms. : Cod. 59 Semin. Padov. , e. iO [Franciscus Vannotius
(a Gidino da Sommacampagna)].
127. Poi cK a V ardita penna la man diedi (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 11 [Idem Franciscus (Van-
notius) ad Petrarchamj.
128. Poi cK io ti vidi^ dolce Signor mio (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 48 [Franciscus Vannotius).
Ediz.: Quattro sonetti inediti di Francesco Vanozzo [ed. D. Bar-
baranJ. Padova, tip del Seminario, 1870, p. 14 [Sonetto diretto
a personaggio d* illustre casato , forse il Conte di
Virtó].
129. Poi che 'l mio dir col tuo si tosto adoi (son.) (1)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 45 [Resp(onsio) Fr(ancisci »
Van(notii)].
(1) Respons. al son. di Niccolò Del Bene: Fu gloriosa mia fama
dappoi.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. L*^ 211
130. QuaV ira etema ti fece volare (son.) (1) F, xti
Ms,: • Cod. 59 Semin. Pado?., e. 47 [S. Fran(cisci) Van- d£v^nozzo
(notii)].
131. Quancf io mi volgo atomo e pongo mente (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 59 [F(raDciscus) V(annotius)].
13^ (Quando a vederti awien che gli occhi intoppe (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 42 [Idem F(ranciscus) y(an-
ivoiias)].
i33^ Quando conosci il vìbìo delV amico (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Pado?. ,c. i3[Idem Francischus V(an-
OOtJUS)].
/3i Quando ricerco il poggio di mia mente (son.)
Ms.: * Cod. 59 Semin. Padov., e. 15 [Idem F(ranciscus) V(an-
ootius) ad Antoniom del Gayo].
135. Quel che già mi rincrébbe ora mi piace (sod.)
Ms.: * Cod. 59 Semin. Pado?., e. 67 [Franciscus V(annotius)]*
136. Quel grado iniquo che del don mi senti (son.)
Ms : *Cod. 59 Semin. Padov., e. 33 [Idem Franciscus V(an-
Botias)].
137. Quel primo fruito che daU* alto verbo (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 36 [Responsio F(rancisci)
V(an notii)].
138. Qui sono é pensier miei fermati e pronti (son.)
Ms.: * Cod. 59 Semin. Padov., e. 51 [Franciscus V(anno-
tiu$)J.
(i) Ad un certo Verette, che rìsp. col son.: Francesco mio, de zo
non ti turbare.
212 a B L. FRATI
F, XVI 139. Biposto avete al mio parere U velo (son.) (1)
IANCE8C0
DI VANNOZZO
FRANCESCO j^^^. . ^^ r^,j g^^j^ Padov., c. 23 [Franciscus Vannoiiosl
Ediz.: &>ii^//i inediti di Ghidino da Somxacaiipagna [ed. R.
SoMO]. Verona, Merlo, 1858, p. 7 (i soli w. 5-8) [Francesco &
Vannoiio].
140. S'io non temessi^ amico^ di turbare (sod.)
Ms.: *God. 59 Semin. Padov., e. 57 [Responsio d. F(rancìsci
Vannotii)].
141. STio 80 ben caleular cotesto detto (sod.)
Ms. : ' Cod. 59 Semin. Padov. , e. 19 [1 d e m F( ra n e i se li u s) Y(a ih
nolias): Responsio].
142. S* un verme penenoso mi piagasse (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e 67 [Franciscus V(annotius)].
143. Sacci^ Signor j che la sera e 7 tnaitino (son.)
Vedi appresso, n.** lii.
144. Sappia Sifft.or, che la sera e 7 maiHìio (son.)
Ms.: Cod. 59 Semin. Padov., e 18 (Idem F(ranciscus) V(an-
notius)].
Ediz.: AxT. DA Tempo, Trattalo delle rime riìitfari [ed. (i. (.ìriun).
Bologna. 1869. p. 'ìi) (Francesco Vannocci a Marsilio da
Carrara].
145. S<p con scritture teco io non ripeto (soD.) (2)
Ms.: 'ix>d. 59 Semin. Padov., e «fó |Resp(onsio) Frunc(i>ci)
Van(notii)].
(1) RespiM». al son. di Gidi.no d.% Soiuacampag.na : Prima che
Gìoi'^ atrsse l' atto cielo,
yi) Respons. al sod. di Jacopo Grademco sopraoDominalo Belletto:
.Vo, il gran tempo trascorso^ il misto peto.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCTONI, P. L'' 213
U6. Se Die m' aide alle vagnele, campar (frolt) F, xvi
FRANCESCO
Mss. : Cod. 59 Semin. Padov. , e. 28 6 [Fra rime del V a n - £)( vannozzo
nozzo]. Laur. SS. Annunz. 122, e. 108 [Vannozzo].
Ediz.: Ant. da Tempo, Trattato delle rime volgari [ed. G. Grion).
Bologna, 1869, p. 327 [Francesco Vannocci].
147. Se '{ tuo novo sonetto ben intendo (sod.) (1)
Ms.: Cod. 59 Semin. Pado?., e. 24 [Franciscus Vannotius
(a Gidino da Sommacampagna)].
Ediz.: Ant. da Tbmpo, Trattato delle rime volgari [ed. G. Grion].
Kologna, 1869, p. 23 [Francesco Vannocci a Gbidino da
Sommacampagna].
148. Se veritade che al signor plasette (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 28 [Franciscus V(annotius)].
149. Si come franco e pronto lion forte (soo.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Pado?., e 44 [Idem F(ranciscas) V(an-
Qotius)].
130. Sia benedetto il vespro e 7 predicare (son.)
M5.: Cod. 59 Semin. Padov., e. 16 [Franciscus Vannotius].
Edìzz. : Saggio di rime di quattro poeti del sec. XIV [ed. N. Tom-
maseo]. Firenze, 1829, p. 20 [Di F. Vannozzo per aver veduta
la sua donna dormire in Chiesa]. N. Tommaseo, Diziona-
rio d' esletica. Milano, 1860, voi. !, p. 430 [e. s.] Rime di Gino da
Pistoia [ed. Carducci]. Firenze, 1862, p. 571 [Francesco Van-
nozzo].
151. Signor mio caro, il gran dolor eh' io sento (sod.)
.Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 17 [F(ranciscu8 Vannotius):
liutus loquitur].
(T) Kespons. al son. rìnterzato trilingue di Gidino da Somma-
.AMPAGNA : Precaro frate mio^ t' io ben comprendo.
214 a " II. FRATI
F, XVI ^52. Socrate, Plato, il buon Vergilio e Danti (son.) (1)
FRANCESCO ^'' * ^^* ^^ Semin. Padov., e 14 [Ad Pelr(um) Monia-
Di VANNOZZO narium Resp(onsio) F(rancisci) V(annotii)].
153. Spetto Maestro mio, molto mi giova (sod.) (2)
Ms. : Cod. 59 Semin. Pado?., e. 23 [Franciscus Vannotius].
Ediz. : Sonetti inediti di Gridino da Sommacabipagna [ ed. B. Sorio).
Verona, Merlo, 1858, p. 8 [Responsio Francisci Vannozzi].
154. Spesso adivien che duo lepri caccia (sod.)
Ms.: ' Cod. 59 Semin. Padov., e 34 [Idem F(ranciscus) V(an-
notias)].
155. Talor io sento al cor doglie si fatte (sod.)
Ms.: * Cod. 59 Semin. Padov., e. 42 [Franciscus VaD<notias)].
156. Tamburlo mio, sareste mai quel messo (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 43 [Idem Francischus V(an-
n oli US)].
157. Tanti son gli sf ir falchi e gli falconi (sod.)
Ms. : *Cod. 59 Semin. Padov., e. 21 [Franciscus V(annotius)].
158. Tanto è profondo il suon di vostre corde (soo.) (3)
Ms.: Cod. 59 Semin. Padov., e. 10 [Franciscus Vannolius].
159. Tornato è l velo. Amor, che mi dà pena (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 53 [F(ranciscus Vannotius)).
(1) Respons. al son. di Pietro Montanaro: Come ciò sia, che due
diversi amanti.
(2) Respons. al son. di Gidino da Sommacabipagna: Nel Testamento
Vecchio non si trova,
(3) Respons. al son. di Gidino da Sommacampagna : La parie ythel-
lina sempre morde.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 215
160. Tu dei saper che 7 ftMco e la calura (son.) (1) F, xvn
Ms.: 'Cod. 59 Semin. Padov., e. 24 [Ad Ghedinum F(ranci- pandolfo
SC1IS) VaD(notias)].
161. Tu sei si fatto della voce roco (son.) (2)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e. 27 [Responsio Franc(iscì)
VaD(Dotii)].
162. Vento noioso che fin de l aurora (son.)
Ms.:* Cod. 59 Semin. Padov., e. 55 [Franciscus y(annotius)].
163. Venuto il di che 7 vano amor sotterro (son.)
Ms.: " Cod. 59 Semin. Padov., e. 43 [Idem F(ranciscus) V(an-
noiius)].
164. Vinegia franca io son per lo cui amore (son.)
Ms.: Cod. 59 Semin. Padov., e. 68 [Cantilena Francisci
Vonnotìi) prò Cornile Virtutum, IH].
iùliz.: A. Sagredo in Arch, star, itaUy N. S., voi. XV, P. II, p. 151
XYIL Franchi (De*) Pandolfo.
Rugge T ungaro^ stride^ duole e plora (son.)
Edizz.: Cre«ìcdibeni , ed. Yen., V, 61 [Pandolfo Guidone
il »• ' F ra n e h i]. Di Giovanni V., Della prosa volg, in Sicilia ne' secoli
XIII, XIV, XV. Firenxe, 1862, p. 45 [Pandulfo de' Franchi].
(1) Responsivo al son. di Gidino da Sommacampagna : La possa,
FraU, che ha Sacra Scrittura, pobbl. dal SORIO in Sonetti inediti di
TiKiDiNO DA SoMSiACAMPAGNA. Verona, A. Merlo, 1858, p. 9.
(2) Respons. al son. di Bartolomeo da Castel della Pieve: Io
ardo e piango e non s'ammorza il foco.
216 a « L, FRATI
y, XIX
FRB8C0BALDI XVIII. FrescobalcU Battista.
DINO
Dono figlifiol di Don idest di prete (son.)
Ms.: 'MagUab. VH, 8, 1097, e 152 a [Batista Freschobaldi].
XIX. Frescobaldi Dino.
1. Al vostro dir, che d* amor mi favella (son.)
filss.: Laur., pi. XG inf.,37, e. 91 [Dino Frescobaldi]. Bibl.
Naz. di Firenze, palat. 204, e. 121 e segg. [e. s.] Parig. già 7767
ora 554, e. 93 [e. s.] Vat 3213, e. 74 b [e. s.] Chig. L, VIU,
305, e. 77 a [e. s.] Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 47 a [e. s.]
Ediz.: Yalbriani, Poeti^ voi. II, p. 527 [Dino Frescobaldi].
2. Amor^ se tu s^ vago di costei (sod.)
Mss.: Laur., pL XG inf., 37, e. 90 [Dino Frescobaldi]. Bibl.
Naz. di Firenze, palaL 204, e. 121 e segg. [e. s.] Parìg. già 7767
ora 554, e. 91 [e. s.] Vat 3213, e. 73 b [e. s.] Chig. L, VOI,
305, e. 76 a [e. s.] Cod. Bossi 36 ora TrÌTulz. 1058, e 44 6 [e s.]
Ediz.: Valeriani, Poeti, voi. Il, p. 514 [Dino Frescobaldi].
3. Deh giovanetta^ de begli occhi tuoi (son.)
Mss.: Laur., pi. XC inf., 37, e. 93 [Dino Frescobaldi] Bibl.
Naz. di Firenze, palai. 204, e. 121 e segg. [e. s.] Parig. già 7767
ora 554, e. 9i [e. s.] Vat. 3213, e. 76 [e. s.] Gbig. L, Vili, 305,
e. 99 6 [e. s.] God. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 46 b [e s.]
Ediz.: Valeriani, Poeti, voi. II, p. 525 [Dino Frescobaldi].
4. Donna^ dagli occhi tuoi par che si mova (sod.)
Mss.: Laur., pi. XC inf. ,37, e. 90 [Dino Frescobaldi]. BibL
Naz. di Firenze, palat. 204, e. 121 e segg. [e. s.) Parigino già 7767
ora 554, e. 90 [e. s.] Vat. 3213, e. 73 [e. s.] Chig. L, Vili, 305,
e. 76 a Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 44. 6. [e. s.]
Ediz.: Valeriani, Poeti, voi. II, p. 513 [Dino Frescobaldi].
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. l/ 217
5. Giovane^ che cosi leggiadramente (son.) F, xix
Mss.: Uur., pL XC inf., 37, e. 92 [Dino Fresco bai di]. Bibl. ^'RESCOBALDI
Naz. di Firenze, paiau 204, e. 121 e segg. (e. s.] Val. 3213, e. 75
[e s.] Chig. L, Vili, 305, e. 115 [e. s.] Cod. Bossi 36 ora Tri-
vtilz. 1058, e 45 6 [e. s.]
6. In quella parte^ ove Itice la stella (son.)
Mss.: Laur., pL XC inf., 37, e. 93 [Dino Frescobaldi] Bibl.
Naz. di Firenze, palaL 204, e 121 e segg. [e. s.] Parìg. già 7767
ora 554, e 93 [e. s.J Val. 3213, e. 76 [e s.] Chig. L, Vili,
:U)5, e 115 6 [e. S.1 Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 46 6 [e. s.]
7. U alma mia trista seguitando il core (son.)
Ms.: Vat 3214, e. 135 (Dino di Lambertuccio Fresco-
baldi].
Cdìzz.: L. Manzoni in Rivista di filoL romanza. Imola, 1873, voi.
L p. 86 [Dino di Frescobaldi].
& La foga di quelV arco^ che s' aperse (son.)
Mss.: Laur.,pL XC inf., 37, e. 93 [Dino Frescobaldi]. Bibl.
Naz. di Firenze, palai. 20i, e. 121 e segg. [e. s.] Parìg. già 7767
ora 554. e. 94 [e s.J Vat 3213, e 76 [e. s.]: 3214 [e. s.] Chig. L,
Vili, 305, e. 115 fe [e. s.] Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e.
i6. [e. 5.)
Cdizz.: Francesco da BKnBznim, Documenti (T amore. Boma, 1640,
Tavola, s. v. trare (il t. 12) [Dino Frescobaldi]. Valeriani ,
/V/f, ¥oL II. p. 52i [Dino Frescobaldi].
9. Morte avversaria^ poi eh' io son contento (canz.)
E4ìi.: Trucchi, I, 258 [Dino Frescobaldi].
10. Non spero di trovar giammai pietate (son.)
Mss.: Laur., pi. XC inf., 37, e. 92 [Dino Frescobaldi]. Bibl.
Naz. dì Firenze, palai. 204, e. 121 e segg. [e. s]. Parìg. già 7767
ora 554, e. 93 [e. s.] Val. 3213, e. 75 b [e. s.] Chig. L, Vili,
:)iJ^K e 115 [e. s.] Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. IO a [c. s.]
Fìlizz.: Francesco da Barberino, Documenti d'amore. Boma, 16i0,
Tavola, s. v. quadra (i vv. 5 e 6) [Dino Frescobaldi]. Valeriani,
fv//, Tol. Il, p. 519 [Dino Frescobaldi].
218 a K L. FRATI
F, XIX 11. Per gir verso la spera la Fenice (canz.)
'''^WNO^'^' Mss.: Laur., pi. XC inf., 37, e. 56 e segg. [Dino Frescobaldij.
Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204, e. 121 e se^. [e. s.] Parig. già
7767 ora 554, e. 90 [e. s.J Vat 3^13, e. 72 b [e. s.] Chig. U
Vni, 305, e. 55 [e. S.1 Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 79 [e $.]
Edìz.: Valeriani, Poeti, voi. Il, p. 510 [Dino Frescobaldi].
12. Per qualunque cagian nasce la cosa (son.)
Ms.: Chig. L, Vili, 305, ce. 72 e 100 [a non.]
Ediz.: Francesco da Barberino. Docùm d'amore Berna, 1640,
Tavola, s v. rivolle e conoscenza (i w. 1-4) [Dino Frescobaldi].
13. Per tanto pianger, che i miei occhi fanno (son.)
Mss.: Laur., pi. XG inf., 37, e. 92 [Dino Frescobaldi] Bibl.
Naz. di Firenze, palaL 204, e. 121 e segg. [e. s.] Parig. già 7767
ora 554, e. 93 [e. s.] VaL 3213, e. 75 é [e s.] Chig. L, Vili,
305, e 115 [e. s.] Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e 46 a [e. s.]
Ediz.: Valeriani, Poeti, voi. Il, p. 518 [Dino Frescobaldi].
14. Poscia eh' io veggio T anima partita (son.)
Mss.: Laur., pi. XC inf., 37, e. 91 [Dino Frescobaldi] Bibl.
Naz. di Firenze, palat. 204, e. 121 e segg. [e. s.] Parig. già 7767
ora 554, e. 92 [e. s.] VaL 3213, e. 74 h [e. s.] Chig. L, VOI,
305, e. 76 [e. s.] Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 45 6 [e. s.]
Ediz.: Valeriani, Poeti^ voi. II, p. 521 [Dino Frescobaldi].
15. Poscia che dir convienmi ciò eh' io sento (canz.)
Mss.: Laur., pi. XC inf., 37, e. 56 e segg. [Dino Frescobaldi].
Bibl. Naz. di Firenze, palat. 204, e. 121 e segg. [e s.] Parìg. già
7767 ora 554, e. 87 [e. s.] Vat. 3213, e. 70 b [e. s.] Chig. L,
Vili, 305, e. 54 [e. s.] Vat. 3214. Cod. Bossi 36 ora Trivulz.
1058, e. 78 [e. s.]
Ediz.: Valeriani, Poeti, voi. Il, p. 505 [Dino Frescobaldi].
16. Quanta nel mio lamentar sento doglia (canz.)
Ms.: • Vat 3214, e. 124 [Dino di Frescobaldi].
Ediz.: L. Manzoni in Rivista di filoL romanza, Imola, 1873, voL I,
p. 85 [Dino di Frescobaldi].
INDICE DELLE CABTE DI P. BILANCIONI, P. l/ 219
17. Quest' altissima stella che si vede (son.) _Zl3?L_
FRESGOBALDI
Mss.: Laur.,pL XG inf., 37, e 92 [Dino Frescobaldi]. Bibl. dino
Naz. di Firenze, palaL 204, e. 121 e segg. [e. s.] Parig. già 7767
ora 554, a 93 [e. s.] Val. 3213, e. 75 a [e. s.] Chig. L, Vili,
305, e. 115 [e. s] Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 45 6 [e. s.j
•
18. Quest' è la giovinetta^ eh' Amor guida (sod.)
Mss.: Laur., pL XG inf., 37, e. 91 [Dino Frescobaldi]. Bibl.
Naz. di Firenze, palat 204, e. 121 e segg. [e. s.] Parig. già 7767
ora 554, e 91 [e s.] VaL 3213, e. 74 [e. s.J Chig. L, VIU, 305,
e. 76 [e. s.] Casanat. d, V, 5 [Dante]. Chig. già 1124, e. 124.
Edizz.: Crescdibeni, ed. Ven., Ili, 121 [Dino Frescobaldi].
Valeriani, Poe/t, ?ol 11, p. 517 [e. s.] Rime ined. di quattro poeti
|ed. D. Carbone]. Roma, Barbèra, 1872 [Dante].
Cfr. Alighieri Dante.
19. Tanta è V angoscia che nel cor mi trovo (sod.)
Mss.: Laur., pL XC inf., 37, e. 90 [Dino Frescobaldi]. Bibl.
Naz. di Firenze, palat. 204, e. 121 e segg. [e. s.] Parig. già 7767
ora 554, e. 91 [e. s.] Vat. 3213, e. 73 b [e. s.] Chig. L, Vili,
305, e 76 [e s.] Cod. Bossi 36 ora Trìvulz. 1058, e. 44 [e. s.]
Ediz.: Valeruni, Poeti, voi. Il, p. 515 [Dino Frescobaldi].
20. Un sol pensier, che mi vien nella mente (canz.)
.Mss.: Laur., pL XC inf., 37, e. 56 [Dino Frescobaldi]. Bibl.
.Naz. di Firenze, palat. 204, e. 121 e segg. [e. s.] Parig. già 7767
ora 554, e. 86 [e. s.] Vat. 3213, e. 70 [e. s.] Chig. L, Vili, 305,
e. 53 b [e. s.] Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 78 [e. s.J
Ediz.: Valeriani, Poeti, voi. II, p. 503 [Dino Frescobaldi].
21. Una stella con si nuova helleaaa (sod.)
Mìfs.: Laur., pL XC inf., 37, e. 90 [Dino Frescobaldi]. Bibl.
Naz. di Firenze, palat 204, e 121 e segg. [e. s.] Parig. già 7767
ora 554, e 91 [e. s.] Vat. 3213, e. 74 [e. s.] Chig. L, Vili,
rw»."., e. 76 6 [e. s.] Cod. Bossi 36 ora Trivub. 1058, e. 45 a [c.s.]
Kdiz.: Valeriani, Poeti, voi. Il, p. 516 [Dino Frescobaldi|.
220 a « L. FRATI
Fi xz 22. Voi che piangete nello staio amaro (sod.)
FRESGOBALOI
Mss.: Laur., pi. XC mr.,37, c56 e segg. [Dino FrescobaldiJ.
Bibl. Naz. dì Firenze, palat. 204, a 121 e segg. [e. s.] Parìg. già 7767
ora 554, e. 89 [e s.] Vat 3213, e. 71 é [e. s.] Chig. L, Vili
305, e 54 6 [e. s.] Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 79 [e s.]
Ediz.: VALERiAin, Poeti, voi. II, p. 508 [Dino Frescobaldi].
XX. Frescobaldi GiovaniiL
1. Chi vuol veder una leggiadra donna (son.)
Ms.: CasanaL d, V, 5, e. 133 [Gio. Lambertuccì ].
2. Della mia mente^ ove 7 desio s* informa (son.)
Ms.: Gasanat d, V, 5, e. 132 [Gio. Lambertucci].
3. Due forosette, ser Ventura, bionde (som)
fifss. : Gasanat d, V, 5, e, 129 [Gio. Lambertucci]. Laur.
pi. XLs e. 47 b [Matteo Frescobaldi].
4. Io veggio^ ser Ventura, la matricola (son.) (1)
Mss.: *Laur., pi. XL1I, 38, e. 30 [Giovanni Lambertucci].
'Laur., pL XL, 49, e. 56 6 [e. s.) Riccard. 1094, e. 145 a [e s.)
Canon. ìtal. 111 nella Bodleiana dì Oxford, ce. 7-9 [a non.]
5. Mal va 'l mio ingegno infermo sanza grucciole (son.) (2)
Mss.: Laur. Red. 184 (già 151), e. 127 b [Gio. Frescobaldi].
6. Non fu giammai fanciuì vago di lucciola (son.)
Ms.: Ghìg. L, IV, 131, e. 673 [Lambertuccio Frescobaldi].
(1) A Ser Ventura Monaci.
(2) Respons. al son. dì Maestro Lazaro da Padova: Fresco mi
caro, qui tra mille lucciole.
INDICE DELLE CABTE DI P. BILANCIONI, P. l/ 221
7. Ottavanie, otto venti han sempre vinto (son.) (1) F, xxi
Mss.:-Uur. Red. i84,c. 134[Giovan Frescobaldi]. * Rie- ''*^^^^|^'^'^^
c»ni. 931, e. 506 [Giovanni Frescobaldi a Ottavante Barducci
essendo a lite con Piero Bandini].
8. Poi che fortuna v' è tanto lunatica (son.)
Mss.: Laur., pi. XL1I, 38, e. 30 [Giovanni Lambertucci].
'Laur., pL XL, 49, ce. 30 e 56 [e. s.] *Riccard. 1094, e. 145 a
[e. s.l
9. Ricordo per chi passa in Inghilterra (sod.)
.Mss.: *Laur. Red. 184 (già 151), e 185 6 [anon.] MoOck. 6
(lìiovanni Frescobaldi].
Ediz.: Peruzzi, Scorta del Commercio e dei Banchieri di Firenu.
Firenze, Cellini, 1868, p. 154 [Giovanni Frescobaldi].
10. Ventura^ i' sento di quella panatica (sod.)
Ms.: Casanat d, Y, 5, e. 132 [Gio. Lambertucci].
11. Volendo seguitare il mio disegno (sod.)
Mss.: Cod. Venturi, e. 126 [G."* Frescobaldi]. 'Àmbros. G,
Xì, e. 29 [Giovanni Frescobaldi].
Ediz.: // Borghini [ed P. Fanpani], voi. 1, p. 52 [Giovanni Fre-
scobaldi. La palla al calcio.]
XXI. Frescobaldi Lambertncio.
1. Com' forte forte era forte Vora (caDZ.)
Ms.: 'VaL 3793, e 167 a [Messer Lambertucio |.
2. Con vana erranza fate voi riparo (sod.)
Ms.: 'Vat. 3793, e. 168 a [Messer Lambertucio].
(1) A Ottavante Barducci, che rispose col. son.: Spentelo spento
mitt infogno ho già spinto, contenuto nel cod. * Riccard. 931 , e. 50 b
(Risposta d'Oltavaote Barducci].
HESCORALDI
MATTEO
222 C. > L. FRATI
ly xxu 3. Fera scienga al vostro core è giunta (soil)
Ms.: 'Val. 3703, e. 167 h [Messer Lambertucio].
4. Forte mi maraviglio perché serra (son.)
Bis.: *VaL 3793, e. 168 a [Messer Lambertucio].
5. Poi che volgete e rivolgete faccia (son.)
Ms.: *Val. 3793, e. 168 h [Messer Lambertucio].
6. Vostro adimando secondo cV appare (sod.)
Ms.: VaL *3793, e. 168 h [Messer Lambertucio Fresco-
baldi].
XXJL Frescobaldi Hatteo.
1. A voi, egregi e sapienti viri (son.)
Mss.: Vat. 3213, e. 508 a [Matteo di Dino Frescobaldi |.
MagUab. II, IV, 250, e. 116 a [Francesco d'Àltobianco degli
Alberti].
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 69.
2. Accorr* uomo, accorr' uomo, i' son rubato (son.)
Mss.: MagUab. VII, 3, 1010 (ora 11, iO), e. 218 b [anon.] Val.
3:213, e. 502 a [Matteo di Dino Frescobaldi].
Fdizz.: Giorn, arcad. (1819), voi. Il, p. 46 [Matteo di Dino
Frescobaldi]. G. Pcrticari, Opuscoli. Lugo, Melandri, 1823, p.
481 [e. s.] G. Perticari, Opere. Bologna, Guidi, 1839, voi. II, p.
269 [e. s.J Trucchi, 11, 71 [Matteo Frescobaldi]. Rime
di CiNO DA Pistoia [ed. G. Carducci]. Firenze, Barbèra, 1862 , p. 2i4
[e. s.]
3. Amico^ che domandi e vuo' sapere? (canz.)
Ms.: Magliab. VII, 993 [Matteo di Dino Frescobaldi].
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci). Pistoia, 1866, p. 27.
4. Amor, dacché ti piace pur eh' io dica (son.)
Ms.: Magliab. VII, 993 [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.:NANNUCCi^Affl»ttfl/c,1, 337 [Matteo Frescobaldi]. Scelia
di poesie liriche dal primo sec. della lingua fino al i 700, Firenze, Le Mounier,
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I * • 223
1J<a9, in i.' Rime di Gino da Pistoia fed. G. CarducciI. Firenze, Bar- p,
béra, 1862, p. 249 [Matteo Frescobaldi]. M. Frescobaldi, fliwie krescobaldi
[ed. G. Carducci]. Pistoia, 4866, p. 25. Matteo
5. Atnor fa ì anno nella primavera (son.)
Mss.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 217 6 [a non.] Val.
3213, e. 501 [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz. : Rime di Matteo Frescobaldi ara per la prima volta pub-
blieaSe [ed. Gius. Manuzzi]. Firenze, 1864, p. 8. E. Frescobaldi, Rime
[ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 49.
6. Cara Firenze mia, se V alto Iddio (canz.)
Mss.: Magliab. YU, 3, 1010 (ora U, 40), e. 220 a [Chanzona
di matteo di Dino Frescobaldi parlando di Firenze).
VaL 3213, e. 500 [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.: Vern alla patria di Lirici Hai. dal sec, XIV al XV U, rac-
rolti per cura di L F. PoLiDORi. Firenze, 1847, p. 16 [Gio. Boccac-
cio]. Miscellanea di case inedite o rare [ed F. GorazziniJ. Firenze,
IK53. Rime di CiNO da Pistoia [ed. G. Carducci]. Firenze, Bar-
bèra, 1862, p. 258 [Matteo Frescobaldi]. M. Frescobaldi,
Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 30.
7. Chi vuol veder visibilmente amore (balL)
Ms. : Magliab. VII, 3. 1010 (ora II, 40), e. 220 a e segg. [Del detto
uatteo (Frescobaldi)].
Edizz.: Matteo Frescobaldi, Ballate [ed. L. F. Polidori]. Firenze,
ISi4, p. 11. L. F. Polidori in Giornale arcad, (1845), voi CHI,
p. :f81» [Matteo di Dino Frescobaldi]. M. Frescobaldi, /i^tme
[ed. G. Carducci]. Pbioia, 1866, p. 83.
8. Com' pili riguardo F onesta bellezza (sod.)
Ms. : Cbig. L, IV, 131, e. 751 [Il medesimo Matteo (Fre-
>cobald i)].
EdizL : Crescimbeni, ed. Ven., Ili, 138 [Matteo Frescobaldi].
Raccolta di rime ant, tose. Palermo, Assenzio, 1817, HI, 395 [e. s.]
Rime di Qno DA Pistoia, [ed. G. Carducci]. Firenze, Barbèra, 1862,
p. 2i3[ Matteo Frescobaldi]. M. Frescobaldi, Atme [ed. G. Car-
dlcci]. Pistoia, 1866, p. il.
9. Con tre saette Amor nel cor mi venne (soo.)
Mss.: Chig. L, IV, 131, e. 752 [Il medesimo Matteo (Fresco-
baldi)). 'Laiir. Red. 184(giàl51),c. 112fr[Matteo Frescobaldi].
Cdiz. : M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 40.
MATTEO
224 a B L. FRATI
F, xxu 10. Deh cantate con canto di dolceaaa (ball.)
FRESCOjULDi Ms.: Magliab. VII, 3, iOlO (ora li, 40), e. 220 a e segg. [Ballala
del detto (Matteo Frescobaldi)].
Edìzz.: M. Fhescobaldi, Ballate [ed. L. F. Polidori] Firenze, Iftil,
|). 9. L F. Polidori in Giornale arcad. (Ì815), ?ol. CHI, p. 279
[Matteo di Dino Frescobaldi]. Rime di Gino da Pistoia
[ed. G. Carducci]. Firenze, Barbèra, 1862, p. 256 [e. s.]
11. Deh confortate gli occhi miei dolenti (ball.)
Ms.: Magliab. VII, 3, lOlO (ora II, 40), e. 220 a e segg. [Ballata
del detto (Matteo Frescobaldi)].
F/dizz.: Misceli di cose ined. o rare [ed. F. Corazzim]. Firenze,
1853. Rime di Gino da Pistoia [ed. G. Carducci). Firenze, Bar-
bèra, 1862, p. 254 [Matteo Frescobaldi]. M. Frescobaldi, /?imf
[ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 79.
12. Deh non fuggire quello cV hai più volte (SOD.)
Mss.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 218 a |anon.] VaL
3213, e. 301 h [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.: M. Frescobaldi, Rime [ed G. Ma.nuzzi]. Firenze, 1864, p. 9:
[ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 58.
13. Deh quanto vien chi vuol seguire Amore (son.)
Mss.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 46), e. 219 ^ | anon.] Vnu
3213, e. 502 ò [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.: Trucchi, 11, 74 [Matteo Frescobaldi]. M. FreS4:o-
raldi, A/m^ [ed. G. Carducci]. Pistoia 1866,p. 39. Rime di Clno da
Pistoia [ed. G. Carducci]. Firenze, 1862, p. 246.
14. Donna^ dove dimora (ball.)
Ms.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, IO), e. 220 a e segg. [Ballata
del detto matteo (Frescobaldi)].
Edizz.: M. Frescobaldi, Ballate [ed. L F. Polidori]. Firenze, 1 8 i l, p.l6.
L F. Polidori in Giornale, arcad. (1845), voi. CHI, p. 283 [Matteo
di Dino Frescobaldi]. M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci).
Pistoia, 1866, p. 86.
15. Donna gentil, nel tuo vago conspetto (canz.)
Ms.: Vat. 3213, e. 505 b [Matteo di Frescobaldi).
VA'ia.: M. Frescobaldi, Rime [ed. L. F. Polidori). Firenze, 1864,
p. 11: [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 21.
INDICE DELLE CAETE DI P. BILANCIONI, P. I.^ 225
16. Danne leggiadre e giovani donzelle (ball.) F, xxn
Ms.: MagUab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 220 a e segg. [Ballata frescobaldi
di Matteo detto (Frescobaldi)]. Matteo
Edizz.: M. Frescobaldi, Ballate [ed. L. F. Polidori]. Firenze, 1844,
p. 14. F. L Polidori in Giornale arcad, (1845), voi. CHI, p. 281
[Matteo di Dino Frescobaldi]. Rime di Gino da Pistoia
[ed. G. Carducci]. Firenze, Barbèra, 1862, p. 248 [e. s.] M. Fresco-
baldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 85.
17. Due forosette, ser Ventura, bionde (son.) (1)
Mss.: Casanatd, y, 5,c. 129[GioTanni Lambertucci]. *Laur.,
pL XL, 46, a 47 6 [Matteo Frescobaldi].
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 75.
18. £' ini par chiaro veder che nel verno (son.)
Ms3.: MagUab. VII, 3, lOlO (ora II, 40), e. 218 a [ano n.] VaU
:iil3, e. 502 ff [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz. : M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Manuzzi]. Firenze, 1864, p. T:
[ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 48.
19. Fra ponti e scale e pietre ed onde (son.)
Ms.: Magliab. VII, 3, lOlO (ora II, 40), e. 214 a [anon.]
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 52.
20. Già eh' io n' ho tolti % boscoli selvaggi (son.)
Mss.: 'VaL 3213, e. 505 a [Matteo di Dino Fresco-
baldi). Magliab. VII, 3, 1010 (ora li, 40), e. 214 b [Sonetto
Tatto per Giachinotto Boschoii].
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 63.
21. Giachinotto di boscori selvaggi (son.)
IVf/i sopra, n.® 2i).
22. Giovinetta, tu sai (ball.)
Ms.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 220 a e segg. [Ballata
del detto matteo frescobaldi].
Edizz.: M. Frescobaldi, ^fl//tf te [ed. L. F. Polidori]. Firenze, 1844, p. 7.
F. L PouDORi in Giorn. arcad. (1845), ?ol. CHI, p. 278 [Matteo di
(I) A Ser Ventura Monaci, che risp. col son.: Se tu se gioioso
me doglia confonde.
Voi. IV, Parte I 15
226 e. K L. FRATI
F, xxu I^»no Frescobaldi]. Rime di Cino da Pistoia [ed. G. CARDUca].
FRESCOBALDi '''^'"C'^ze, Barbèra, 1862, p. 251 [e. s.] M. Fhescobaldi, Rime [ed. G.
MATTEO Carducci]. Pistoia, 1866, p. 80.
23. Gli occhi ho di lagrimar già staìichi e lassi (sod.)
Mss.: *Val. 3213, e. 503 b [Matteo di Dino Frescobaldi].
Magliab. VII, 3, 110 (ora 11, 40), e. 214 a [a non.]
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 56.
24. Il diavol v* ha condotto a tanto straaio (son.)
Mss.: Chig. L, IV, 131, e. 7i9 [Sonetto di Matteo Fresco-
baldi a Don Bonifatio da Santa Trinità]. *Laur. Red. 184
(già 151), e. 112 b [Matteo Frescobaldi].
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 70.
25. Io fui già mio, e d* ogni laccio sciolto (son.)
Ms.: Vat. 3213 e. 509 [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. ManuzziJ. Firenze, 1864, p. 6 :
[ed. G. Carducci]. Pistoia, i866, p. 54.
26. Io mi risolvo come neve al sole (son.)
Mss. : Magliab. VII, 33 [Giovanni Acquettini]. ' Vat. 3213,
e. 508 b [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.: BuONACCORSO da Montemagno. Prose t Rime con annota-
zioni ed alcune Rime di Nicolò Tinucci [ed. G. B. Casotti]. Firenze,
1718, p. 249 [B. da Montemagno]. Sonetti di ignorato autore
tolti da un codice del sec. XIV. Venezia, Alvisopoli , 1831 [In-
certo). Rime di BuoNACCORSO da Montemagno il vecchio [ed,
M. Dello Busso]. Napoli, Ferrante, 1862. [B. da Montemagno].
M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 60.
27,. Io veggo il tempo della primavera (son.)
Mss.: Vat. 3213, e. 502 b [Matteo di Dino Frescobaldi].
Magliab. VII, 3, 1010 (ora 11, 40), e. 219 a [anon.)
Edizz.: Giornale arcad. (1819), voi. Il, p. 15 [Matteo di Dino
Frescobaldi]. G. Perticari, Opuscoli, Lugo, Melandri, 1823,
p. 182 [e. s.] G. Perticari, Opere. Bologna, 1839, voi. Il, p. 269
[e s.) Rime di Gino da Pistoia [ed. G. Carducci]. Firenze, 1862,
p. 255. .M. Frescobaldi, Rime (ed. G. Carducci]. Pistoia, 18<;6, p. 50.
INDICE DELLE CABTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 227
28. La bella stella che mi regge e guida (son.) y, xxn
Mss.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 217 6 [anon]. Val. ^^^t^^
;$il3, e 501 [Matteo dì Dino Frescobaidì].
Edìzz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Manuzzi]. Firenze, 1864, p. 5;
[ed. G. CARDUca]. Pistoia, 1866, p. 45.
29. La dolce donna che sotto ner* ombra (sod.)
Mss.: Chig. L, IV, 131, e. 751 [Il medesimo Matteo (Fre-
scobaldi)]. *Laur. Red. 184 (già 151), e. 113 b [Matteo
Frescobaldi].
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 42.
30. La gioia^ ove trionfa ogni beltade (son.)
Mss.: Vat 3213, e. 503 6 [Matteo di Dino Frescobaldi].
Magliab. VII, 3, 1010 (ora li, 40), e. 114 a [anon.]
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 44.
31. Lagrime^ pianto^ lutto e dolor crudo (sod.)
Mss.: MagUab. VII, 3, lOlO (ora II, 40), e. 214 a [anon.] Vat.
3213, e. 5ai a [Matteo dì Dino Frescobaldi].
Edìzz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Manuzzi]. Firenze, 1864, p. 9:
[ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 65.
32. Le nitid* acque, lucide e tranquille (son.)
Mss.: * VaL 3213, e. 505 b [Matteo di Dino Frescobaldi].
.Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 215 a [Sonetto fatto per
Lorenzo Cha?alchanti].
Ediz. : M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 53.
33. Mille sospir nel cor, mille volanti (son.)
Mss.: * Vat. 3213, e. 503 ò [Matteo di Dino Frescobaldi].
M.iifliab. VII, 3, 1010 (ora II, IO), e. 214 a [anon.]
&1ÌZ.: M. FreS4:obaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 51.
34. Molto m' allegro di Firenze, ov' io (canz.)
Ms.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 220 a e segg. [Risposta
ilei detto (.Matteo Frescobaidì) alla chanzone per le rime].
VÀ'izl: Miscellanea di cose inedite o rare [ed. F. Corazzini]. Fi-
renze, 1853. M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866,
p. 32.
228 a B L. FRATI
F, xxu 35. Neri del Ricco, poi che t' è picLciuto (son.)
FRESCOBALDI
MATTEO ^^-' ^^^S* '"« '^t ^^^> c* "^^^ [^' medes.^ Matteo (Fre-
scobaldi) a Neri di Recco]. * Laur. Red. 184 (già 151).
e. 113[Matteo Frescobaldi].
Edìz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 67.
36. Non mi conforta lo sperar tornare (ball.)
Ms.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, iO), e. 2^ a e segg. [Ballata
del detto matteo (Frescobaldi)].
Edizz.: M. Frescobaldi, Ballate [ed. L. F. Polidori |. Firenze, 1 8i i, p. 1 3.
M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1 866, p. 8i. L. F. Po-
lidori in Giornale arcad. (1845), voi. CUI, p. 281 [Malico di Dino
Frescobaldi]. Rime di CiNO da Pistoia [ed. G. CARDUca]. Fi-
renze, Barbèra, 1862, p. 255 [e. s.]
37. 0 Anffony o Narciso novello (son.)
Mss.: * Val. 3213, e. 501 b [Matteo di Dino Fresco-
baldi]. MagUab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e 217 ò [anon.]
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 73.
38. 0 infelice punto, o giorno ed ora (son.)
Ms.: VaL 3213, e. 508 b [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.: Trucchi, 11, 75 [Matteo Frescobaldi]. M. Fres« .o-
baldi. Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 62. Rime di uso
DA Pistoia [ed. G. Carducci]. Firenze, Barbèra, 1862, p. 257.
39. Per me più fugge^ che il dimon la croce (son.)
Mss.: Chig. L, IV, 131, e. 752 [Il medesimo Matteo (Fresco-
baldi)). *Uur.Red. 184 (già 151), e. 113 [Matteo Frescobaldi|.
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime (ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 5*J.
40. Per riposarsi in su le calde piume (son.)
Mss.: Laur. SS. Annunz. 122, e. 132 b [anon.] VaL 321:»,
e. 508 a [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.: D. Rossetti, Petrarca, Giulio Celso e Boccacrio. ìllusirn'
iione bibliologica. Trieste, 1 828, p. 387 (Petrarca |. M. Frescobaldi,
Rime [ed. G. Manuzzi]. Firenze, 1864: [ed. G. Carducci]. Pistoia,
1866, p. 72.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 229
41. Piangete, alme gentih piangi^ virtute (sod.) F, xxii
FRESCOBALDI
Mss.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora li, 40). e. 214 6 [a non.] Val. matteo
3il3, e. 504 a (Matteo di Dìdo Frescobaldi |.
tÀlizz.: N. Frescobaldi, Rime [ed. G. Manuzzi]. Firenze, 1864,
p. 7: [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 68.
42. Poi che in Sardigna vi conviene andare (sod.)
.Mss.: Cbig. L, lY, 131, e. 750 [Sonetto del detto Don Bo-
nifazio (di Santa Trinità)]. Laur. Red. 184 (già 151), e 112
[Matteo Frescobaldi].
Edizz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 71.
43. Qual per paura o per freddo o quartana (son.)
Mss.: Chig. L, IV, 131, e. 750 [Il medesimo Matteo (Fre-
scobaldi) a Neri di Ceccho]. *Laur. Red. 184 (già 151),
e. 112 b [Matteo Frescobaldi].
Ediz.: M. Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 66.
44. Quanto piti fiso miro (ball.)
Ms.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 220 aesegg. [Ballata
pur del detto (Matteo Frescobaldi)].
Edizz.: M. Frescobaldi, Ballate [ed. L. F. Polidori]. Firenze, 1844,
p. 18. L. F. PouDORi in Ginm. arcad. (1845), voi. CRI, p. 284
[Matteo di Frescobaldi).
45. Quelle splendide risa e qttesti sguardi (son.)
Mss : Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 215 a [ano n. | Val.
3:213, e. 505 6 [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.: M. Frescobaldi, Rime [ed G. Manuzzi]. Firenze, 1864, p. 5:
[ed. G. CARDUca]. Pistoia, 1866, p. 57.
46. Se io credessi che virtù in donna (ball.)
Ms.: MagUab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 220 a esegg. [Ballala
de detto (Matteo Frescobaldi)].
Edizz.: M. Frescobaldi, Ballale [ed. L. F. Polidori]. Firenze, 1 84 i, p. 1 9.
L F. Polidori in Giorn, arcad. (1845), voi. CUI, e. 285 [Matteo di
Rino Frescobaldi].
2»
a K L. Fiun
F. XX2
miTTEO
4T. Senzi riposo unquatìco esser mi trovo (soo.)
M>s.: Ma^Ijb. VII. 3. lOlO (ora II, 40), e ili a [a uoo.] Ti.
a^tL\ e. Àu : ^Matteo di Dino Frescobaldi].
Edioj N. ¥KEsa»MJ}uRime [ed. G. Mìlntzzi]. Firenze, 1864, p. 19:
^ed. G. CAAi'Cca]. PbioU. 1S66, p. 6i.
4& Serenissimo mio caro signore (son.)
Msà.: Ma^b. VU. ^ 1Ù10 (ora II, iO), e. 21iff [anon.] TU
;^IÒL e 505 a ^Matteo di Dino Frescobaldi].
EdBL: M. FrescObildl Rime [ed. G. Manuzzi]. Fireme, 186i,p.il:
^ed. G. ÙLRM'ca ]. Pbtoia. 1866. p. 55.
49. 5^ INI consumo, donna, quand* io senio (ball)
M>.: Magiiab. VIL J, 1010 (ora 11, 40), e 2^ a e segg. [Balliti
del detto matteo i Frescobaldi)].
Edin.: M. Frescobaldi, Bailaie [ed. L F. Polidori]. Fireme i8i4,p. Il
L F.POLIDORI in Giorn. anad. M845), voi. CUI, p. 280 [Matteo ii
Dino Frescobaldi]. M. Frescobaldi, Rime [ed. G. GARDroa^
Pisu»ìa, !A«6, p- :i«.
50. Sdean dolci parer le fiamme e i colpi (son.)
Mss.: MagUab. ViL 3, iOlO (ora li, 40), e !215 a [anon.] Ti
3il3. e. 5i^ a [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edio.: M. Frescobaldi. Rime [ed. G. Manl'zzi]. Firenze, 186ì,|lì1:
[ed. G. aRDi'ca]. Pistoia, 1866, p. 64.
51. TanV è la nobiltà, eh* ognor si vede (ball.)
Ms.: Majrliaii. VII, 3. lOIO ^ora 11. 40>, z.ìHòa % segg. [BaliiU
di Matteo deiliMFrescobaldi)].
Edizz.: M. Frescobaldi, Ballale [ed. L. F. Polidori]. Firenze,184i(t A
LF. Pouihwi in Giorn. atxad. (1845), voi. CI», p. 280 [Matteo <ì
Dino Frescobaldi]. Rime </# Cixo da Pistoia [ed. G. CARDCca]i
Firenze, Barbèra. I8t>i, p. tVl [e. s.]. M. Frescobaldi, fliW [eit
Carducci]. Pistoia, 18tì6, p. 82.
52. Una fera gentil più cK* altra fera (son.)
Mss. : Bibl. Naz, di Parigi, cod. 535 (ora 558), e. 37. Val 3211
e. 509 a [Matteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.: TRUCCin, Il 73 [Matteo Frescobaldi]. Kmii
Cixo DA Pistoia [ed. G. Carducci]. Firenze. Barbèra, 1862, p. W5
[e. s.] M. Frescobaldl Rime [ed. G. CARDUca]. Pistoia, 4866, p. 46.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCTONI, P. L* 231
53. Uno splendido lume che nC avvampa (son.) F, xxiii
Mss.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 214 a [anon.l Val.
^il3. e. 503 a [Malteo di Dino Frescobaldi].
Edizz.:TBGCCHi, II, 72 [Matteo Frescobaldi]. M. Fresco-
BAL.DL, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 43.
rA, Ventura son, che a tutto il mondo impero (SOD.)
Mss.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 214 ò [a non. So-
netto fatto per la ventura]. Vat. 3213, e. 504 6 [Matteo
di Dino Frescobaldi].
Edia.: Trucchi, II, 76 [Matteo Frescobaldi]. M. Fresco-
ni auh, Rime [ed. G. Carducci]. I^stoia, 1866, p. 74.
^. Vostra gentil malizia (ball.)
Ms.: Magliab. VII, 3, 1010 (ora II, 40), e. 220 a e segg. [Ballata
^^i detto (Matteo Frescobaldi)].
Edizz. : M. Frescobaldi , Ballate [ed. L. F. Polidori]. Firenze ,
18U, p. 20. L. F. Polidori in Giom, arcad. (1845), voi. CHI,
p. ^ [Matteo di Dino Frescobaldi]. Rime (/t Gino da
Pistoia [ed. G. Carducci]. Firenze, Barbèra, 1862, p. 261 [e. s.]
^ Frescobaldi, Rime [ed. G. Carducci]. Pistoia, 1866, p. 88.
XXm Facci Vanni.
1. Per me non luca mai né sol né luna (son.)
YA\z.\ Crescimbeni, ed. Ven., Ili, 99 [Vanni Fncci].
2. Posto I»' ho in cuor di dir ciò che w' avviene (son.)
Mss.: Chig. L, IV, 131, e 768 [Vanni Fucci]. BibL Naz. di
Tirefize, paiat 200, e. 45 [e. s.]. Laur. SS. Ànnunz. 122, e. 231
[a non.] Laur., pL XLII, 28, e. 35 [e. s.] liaur. Med. palat. 119,
e 135 [e. s.] Laur. Bed. 184, e. 121 [e. s.] Marucell. C, 155,
e 67 [e s.]
FAìu,: .Allacci, Poeti antichi, p. 185 [Del Burchiello da
Fiorenza]. Burchiello, Sonetti. landra, 1757, p. 175 [Bur-
chiello].
(Continua) C r L. Frati
PUCCI V.
MISCELLANEA
LÀ SECONDA AIASCERIÀ DI FRANCESCO PETRARCA
A VENEZIA
Tra la repubblica di Venezia e i signori di Pado?a
a mezzo il secolo XIV^ era nata tale inimicizia da finire
solamente coir eccidio degli ultimi Carraresi. I sussidi che
Francesco il Vecchio aveva dati nel 1356 a Lodovico re
d' Ungheria, una controversia avvenuta nel 1360, la que-
stione deir isola di S. Ilario furono fatti che prepararono
la guerra del 72; della quale fu occasione la domanda
dei Veneziani che si distruggessero alcune castella fatte,
come essi dicevano, sul loro territorio.
Il Papa, Firenze, Pisa favoreggianti il Carrarese in-
vano s'adoperavano per la pace; invano furon nominati
degli arbitri per determinare meglio i confini (1).
(1) Compromesso del 1372, penultimo di aprile; ropto in Venezia,
tra Jacobo Moro procuratore di S. Marco, Lorenzo Dandolo, Jacobo de
Friuli, Taddeo Giustinian e Pantaleone Barbo da una parte; fiodovìco
Forzate cav., Frugerino di Capodivacca, Arsendino de Ai-sendi di Forlì
dottore delle leggi, maestro Giov. dair Orologio fisico e Jacopino de Gaf-
farelli dall'altra, arbitri per la circonscrizione de* confini. Presenti gli am-
basciatori di Ungheria, di Firenze, di Pisa. Archivio di Stato in Ve-
nezia, Patti sciolti, serie 1', b. 12, n." 245; Sindacati, I, p. H9, i2\.
MISCELLANEA 233
La guerra cominciò ìd su la fine del 1372 colle ru-
berìe e cogli incendi dell' esercito veneziano in quel dì
Padova mentre le genti del Carrarese mandavano a sacco
il contado di Treviso cavalcando fin sotto la città.
Francesco da Carrara giungeva a corrompere alcuni
nobili veneziani e tentava di far ammazzare quelli da lui
maggiormente temuti (1): la Repubblica aiutava Marsilio
da Carrara a commettere il fratricidio.
Ebbe Francesco buoni aiuti dal re d'Ungheria, suo
alleato naturale, dai duchi d'Austria, prima suoi nemici,
comperati poi colle città di Feltro e Belluno.
I Veneziani sconfitti al passo della Piave presso Nar-
vesa, a Fossa Nova vicino alle lagune; il di primo di lu-
glio 1373, guidati dai nobili Leonardo Dandolo e Pietro
Della Fontana, attaccarono 3000 ungheri, 2000 cavalieri
e gran numero di fanti del signore di Padova, ottenendo
compiuta vittoria.
De' nemici 200 rimasero uccisi , più che 300 furon
fatti prigioni, fuggirono gli altri per le paludi di Lova.
Presero i Veneziani le bandiere del re e del Carrarese;
condussero tra i prigionieri a Venezia il voivoda di Tran-
silvania, Bonifacio Lupi capitano de' Padovani , trenta dei
migliori cavalieri ungheri ed italiani (2).
Le esortazioni del Papa e, più che ogni altra cosa,
la volontà del re d'Ungheria determinarono il Carrarese
a domandare la pace: conclusa questa il 21 settembre
1373, tra molte imposizioni obbliga vasi Francesco, o pure
(1) Cfr. DeU*ARCH. di Venezia, Consiglio di X, Misti, reg.^ 6.
«2) Archivio di Stato di Venezia, Poeta, voi. V®, p. 6.' — 11
Maggior Consiglio deliberava che il gioiiio di S. Marnale, anniversario
dì vittorie contro Zara, contro i Turchi in Romania e da ultimo contro
i Padovani e gli Ungheri, fosse giorno solenne. Maggior Consiglio, No-
n'Ha, f. I36b (143b).
234 MISCELLANEA
il figlio SUO, a recarsi a Venezia a firie di rendere omag-
gio alla ducale signoria, domandando perdono dei mali
e delle offese fatte alla Repubblica (1).
Andrea Redusio, il quale scrisse la sua cronaca pro-
babilmente verso il 1427, narrando del viaggio di Fran-
cesco Novello a Venezia cosi racconta : e ... astate se
gessit Carriger, et assumto filio unico Francisco Novello,
illum associatum Francisco Petrarcha poèta unico atque
illustri, Venetias misit ad pedes Ducalis Dominii, pacem
omnimodam supplicaturum, quem nullo modo praestitis-
set, si sibi fortuna obsequens extitisset. Apud quos dum
poèta et orator eximius pervenisset, in sua oratione de-
fecit more alani. Nam viso Senatu Venetorum obstupuit,
non minus quam Cinna ad Romanorum Senatum a Pyrrho
destìnatus. Et ob hoc in alteram diem poètae atque ora-
toris eximii oratio ad integrum suffecta, vi cuius est pax
ipsa fermata. Tantam in se continuit venustatem, quod
visu et auditu adstantium ab extra omnes praesentes ran-
cores sustulit et amovit, intrinseca tamen utrimque ma-
nente perfidia > (2).
Il Giornale dei Letterati d' Italia (3), riferendo il
passo del Redusio di su un manoscritto, fu il primo a
render nota la circostanza che il Petrarca si smarrisse e
mancasse more alani della voce, confuso e stupito dalla
maestà del veneto senato.
(1) e Item quod prefatus Dominus Franciscus de Carraria Imperìalis
Vicarius suprascrìptus venire debeat Venelìas, vei mittere magnificum Do-
minum Franciscum filium eius, ad presentìam Ducalis Dominij , ad facien-
dum reverentiam et petendum veniam ab ipso Ducali Domioio de omnibus
iniurijs et ofiensis eidem Ducali Dominio quomodocunque illalis ». Arch.
DI Stato, Poeta Ausiriae, Januae^ Paduae eie., f. 42. *>
(2) Rer. Ital, Script.; L XIX, col. 751.
(3) Venezia, i7ii; tomo Vm, pag. 196.
MISCELLANEA 235
Segaitano pure il Rednsio, il Muratori ne' suoi An-
naU (1), il Baldelli (2) ed il Fracassetti (3). L'abate De
Sade (4) ricorda il Gior. def Lett, d' Italia ed ancora
Andrea Redasio; giustamente notando Terrore del La
Bastie (e d'altri) il quale attribuiva all'eloquenza del
Petrarca la pace, allora già pubblicata. Il Verci nella Storia
della Marca Trivigiana (5) , pur essendo copioso di no-
tizie intorno a questa guerra, si contenta di tradurre le
parole del De Sade. Giovanni Cittadella (6) aggiunge nuove
citazioni a quelle dei precedenti, cioè fa menzione di una
cronaca Papafava, dei due Catari insieme col Dani, col
Muratori, col Verci. Certo al fatto particolare dello smar-
rimento del Petrarca non accennano né il Dani, né An-
drea e Galeazzo Catari: egli è che il Cittadella soleva
raccogliere in una sola nota la citazione di fonti rispon-
denti a particolari diversi di uno stesso fatto.
(1) Milano, i7U; anno 1373, p. 364.
(2) Del Petrarca e delle sue opere, Firenze, Gaetano Cambiagi, 1797;
p. 156.
(3) Lettere di f.* Petrarca volgarizzate, Firenze, 1865; v. ili, p.
il. Trovasi invece nelle Adnotationes in epistolas F. Petrarcae (Firmi,
1890) a p. 184: e Die quippe V Kal. Octobris anni MCCCLXXIII in
con>peclum Patnim Conscrìptorum Franciscus noster el Carrariensis con-
stilere. OraUonem vero quam mente conceperat quum ille, memoria
extemplo deCciente, pronunciare nequivisset, coactus postridie Senalus
audiit, el poetae eloquentiam laudibus efferens Carrarienses in gratiam
suam libenter recepii t.
(4) Mémoiret pour la vie de F. Petrarque, Amsterdam, 1767; t. IH,
p. 792.
(5) Venezia, 1789; t. XIV, pp. 231-232.
(6) Storia della dominazione Carrarese in Padova, Padova, 1842;
s, 1, p. 337. Cosi nella memoria Petrarca a Padova e ad Arqm , in
Padora a F. Petrarca, 1874; pp. 44-46 il Cilladelia fa notare quanto
al poeta dovesse riuscir gravoso il partecipare air umiliazione d* un vinto
e pronunciare, dopo r incoronazione sul Campidoglio, parole di supplicante.
236 MISCELLANEA
Il Romanin, nella Storia documentata di Venezia (1),
osservando che Gian Jacopo Caroldo segretario del con-
siglio de' Dieci nulla diceva che il poeta non avesse po-
tuto proseguire 1' esposizione del suo discorso (2); dubitò
che il racconto del Rednsio fosse inverosimile, tanto più
che il Petrarca e era avvezzo alle ambasciate, né era la
prima volta che si presentasse al senato veneziano ».
Per lo Zanotto (3) invece il silenzio d'un cronista
non basta per negare il racconto di altri riputati cronisti
e storici; in ciò seguito dall' Hortis (4), il quale fa no-
tare che il Caroldo, scrivendo nella prima metà del se-
colo XVI, non meritava molta considerazione.
Il Fulin (5) tentò di risolvere criticamente la que-
stione esaminando, con accuratezza, più che sessanta
cronache della Marciana; essendoché « i Veneziani me-
glio di ogni altro dovevano conoscere le circostanze che
accompagnarono la venuta del Carrarese >.
Di tutti questi cronisti, buon numero non ricordano
né pure il viaggio del Novello a Venezia, altri parlano
(1) Venezia, Pietro Naratovicb. 1855; l. HI, p. 2i6, n.' 2.
(2) e Ali 27 gionse a Venetia il signor Francesco Novello da Carrara,
figliolo del signor di Padoa , col ({uale venne Y eccellerne poela messcr
Francesco Peliurcha. 11 giorno da poi, udita messa, fu inlrodutlo nella
sala del Maggior Consiglio, fece riverenza allo eccelso duce et serenissima
Signoria. Et dipoi che *1 Pelrarcha hebbe recitata la oratione in laude
della pace, ornatissima, il signor Francesco Novello domandò perdono
per nome del signor suo padre de tutte le ingiurie et offese fatte alla
Ducal Signoria, secondo la forma de la pace, et alla partita sua gli fu-
rono dati in dono ducati 300 ». Caroldo, Cronaca Veneta, cod. Mar-
ciano, ci. VII ilal., n.*» ex X vili'; p. 351b
(3) // Palazzo Ducale, Venezia, 1861 ; L IV, p. 187, n. 2.
(4) Scrini inedili di F. Petrarca, Trieste, 1874; p. 119, n. 1.
(5) // Petrarca dinanzi alla Signoria di Venezia, Dubbi e ricerche,
in Petrarca e Venezia, Venezia, 1874; pp. 310-327.
MISCBLLAKEA 237
del Carrarese e non del Petrarca: dae soli fanno ecce-
zione, il Caroldo e la cronaca attribuita a Gaspare Zan-
chemol (1); ma non v'è una parola in essi del preteso
smarrimento: indizio che o non conoscevano questa cir-
costanza 0 pure non la credevano : anzi il Fulin sospetta
che gli amanuensi abbiano interpolato il racconto (2).
Nessun veneziano accenna ad un fatto che avrebbe
aggiunto grandezza e rispetto al nome della Repubblica;
rimane il solo Redusio, nemico ai Carraresi, plagiario di
Ricobaldo Ferrarese, dei Cortusi e forse anche d' altri in
quei luoghi dove apparisce originale (3).
Dopo il Fulin, il Koerting (4) imagina quanto dovesse
riuscir penoso al Petrarca comparire, supplice, dinanzi a
quella stessa assemblea che lo aveva già ascoltato ora-
ci) Cod. Marciano, clas. VH', MCCLXXIV; pag. 4i5b
(2) Si tace infatti del Petrarca nel cod. creduto autografo del Ca-
roldo (Marciano, cL VII it, cod. DCCCUI; p. 51^), e cosi in una co^ia
della Zancheruola già posseduta dal cav. Àngeloni Barbiani.
Però in quello che é ritenuto il miglior esemplare della cronaca
Zancheniol (codd. Brera; AG, X, 15-16, del sec. XV, membranacei in
foglio, una volta Marciani) a pag. 362* del voi. 11 trovasi scritto:
e Al sig. Francescho chaualicr più zouene da Carrara voiando exe-
f|uir la volunta del padre el qual non poteva andar a Venexia per le
occupation hauute é sta mandado ala presenlia dola ducal Signoria a
far la debita Heuerentia e domandar perdonanza de ogni inzurie et oflexe
a quello ducal dominio per ziascaduno modo fatto. Et cussi esso Fran-
cesco più zovene andò li con el qual andò belissima compagnia de ho-
minj hoooreuelli chaualierì e doctorj de leze e de altri nobili in numero
condecente et tra questi e! poeta unico et notissimo in el mundo cellebre
de fama et chome homo da eser memorado Franzescbo Petrarcha etru-
sebo al qual fu commesso roffitio del parlar per el signor de Padoa ».
Devo copia di questo luogo alia gentilezza del dolt. Carlo Magno.
(3) In chroniroH A. Redusiis praefatio. Ber. It. Sciip.; XIX, p, 739.
(i) Petrarca s Leben utid Werke, Leipzig, 1878; p. 44i.
238 MISCELLANEA
tore del potente arcivescovo di Milano ; e quanto avrebbe
dovuto commuovere il vecchio poeta il ricordo degli inizi
lusinghieri della sua vita politica, allor quando il Papa lo
aveva mandato alla corte del re di Napoli.
Il prof. Antonio Zardo (1), cercata invano la cronaca
Papafava già ricordata dal Cittadella, accetta le conclu-
sioni del Fulin, non essendo naturale che il Petrarca,
pratico per lunga consuetudine di Venezia e de' suoi go-
vernanti, si smarrisse innanzi a costoro.
Alle argomentazioni de' critici dà ragione in parte uno
scrittore il quale, per ragioni di tempo e luogo, è
molto più autorevole che Andrea Redusio od altri.
Neil' archivio della famiglia Papafava de' Carraresi
trovasi una cronaca anonima della guerra del 1372 di
autore contemporaneo, molto probabilmente di un se-
gretario 0 di un notaio della cancelleria carrarese (2).
Indizi che egli fosse addentro nelle cose politiche
di quel tempo sono i molti e precisi particolari della sua
narrazione, molte lettere di principi e signori a France-
sco il Vecchio e di costui a quelli e a' suoi capitani, tra-
dotte in forma volgare e introdotte nell' opera. Ecco il
racconto quale vi si legge dell' ambasciata a Venezia e
il volgarizzamento del discorso del Petrarca (3):
(1) // Petrarca e i Carraresi. Milano, 1887; pp. 165-170.
(2) È il cod. 22, cartaceo in i\ del sec. XV", di carte 152 (153)
di una slessa mano meno le tre prime : apparteneva alla famiglia Brazolo.
L'originale del sec. XIV^ già posseduto dal conte Roberto Papafava,
bellissimo codice membranaceo in foglio con miniature , passò in qualche
biblioteca straniera nel principio di questo secolo ; né per molte ricerche
mi fu possibile rintracciarlo. Il Cittadella malamente citò e adoperò la
copia.
(3) Cod. Papafava 22, pp. U3'-U3.b
miscellanea 239
Como el Magnifico Signore meser Francesco Nouello
DA Carrara andò a Venesia, secondo la forma che
SE CONTIGNIUA IN UN DI CAPITULI SOURASCRIPTl , ET LE
PAROLE CHE FO FACTE IN LO SO APRESENTARSE A BfESER
LO DUSE.
« Como dise Terentio comedo: Amantium ire re-
dintegratio amoris est. Illustri e Magnifici Signori; per
la gran aarìetà dei humori che naturalmente è producti
in lo corpo del bom homo, elio aduien spesse fiade eh' el
dicto corpo se altera per alguna sourabondantia di dicti
humori: et cosi per le desordenade passion che aduien
fra 'l pare e 'l Bolo, i quali per dependentia de sangue è
una carne, spesso nasce dissension d' animi. Per simele per
ie uarij appetiti intro le stranij persone, le quale per seruisij
per lo passado facti T un a l' altro era facti de un uolere,
spesso se ingenera ranchori, rixe et guerre con accesi
animi. Ma o lo auegna poi che infra queste persone, cosi
alterade diuise et comosse ad ira et fra le quale è sta le
guerre et i scandali, se faga reconciliation d'animi; F au-
torità de Tarentìo allegada de soura ha allora luogo: go
è che le ire et i corruci di quilli i quali se ama enno
reìntegration da maore amore perché l'amor nouamente
reìntegrado liga quilli fra i quali è sta le contention, con
tanto più fermo groppo quanto è sta maore le soe dis-
sensione. Et cosi, io no dubito, fra la ducale Signoria de
questa benedecta cita de Venesia e 'I Magnifico Signor
messer Francesco da Carrara, reconciliadi insembre, con
animi sinceri douer perpetualmente durare el fructo de
la pase a la qual, per la gratia de messer Domenedio,
<*lli enno uignudi. Per le qual cose cosi proposte el Ma-
snilìco Chaualiero messer Francesco Nouello da Carrara,
uoianJo exequire et complire la uolontà del Magnifico so
240 MISCELLANEA
pare messer Francesco da Carrara, el qual per altre oc-
cupation che elio ha habudo no è possudo uìgnir, qui è
uignudo a la presentia de la vostra ducale Signoria a
renderle debita reuerentia et domandarle perdonan^a de
tutte rinc^urie et offese che a la dieta Signoria per elli
fosse in algun modo sta facte >.
Et cosi el dicto messer Francesco rendè la reueren-
tia et domanda la perdonanga. Con lo qual Magnìfico Si-
gnor messer Francesco Nouello da Carrara andò a Ve-
nesia una gran comitiua de nobili chaualieri et doctori
de lege et de altri bomini in numero assai intro i quali
fo el notissimo poeta, homo de alta et celebre fama,
degno de farne sempre memoria, messer Francesco Pe-
trarca per nation toschano. Al quale, per lo predicto Ma-
gnifico Signore, in quella parte fo commesso lo officio
de douer dir le parole et cosi fé' in la forma che de
soura è dicto; ben che per la soa uechiega et per una
infirmila, la quale elio hauea habuda et de la quale elio
no era ancora guarido, la uose ie tremò un poche : comò
da quilli che i' era fo rasonado » .
L' orazione fu pronunziata il 2 ottobre neil' ora di
terza, dopo la messa in S. Marco (1): lo stesso giorno
gr inviati padovani, tolta licenza dal doge e dalla Signo-
ria , montarono in barca co' prigionieri ed arrivarono la
mattina seguente a Padova, essendo rimasti la sera ad
Oriago.
Tutti, eccetto il Fulin e il Koerting, parlarono della
maestà del veneto Senato , mentre V orazione fu proffe-
(1) Galeazzo e Andrea Catari; cronaca di Gerolamo Savina. 11
Caroldo riporta la data al 28 Settembre; T anonimo Torriano o Fo-
SCARINIANO al 29: però essendo il Caroldo scrittore del XVP sec. e il
secondo posteriore al 1474, è da preferire la data dei Catari. Cfr. L.
Bailo, Di alcune fonti per la storia di Treviso in Arch. Ven.; L XVII,
p. 401-405.
MISCELLANEA 241
rita nel coDspetto della Signoria e nella presenza dei no-
bili del Maggior Consiglio (1), tra i quali molti erano
giovani intomo a vent'anni. Né l'orazione era fatta per
persuadere alla pace, ma era piuttosto una semplice pre-
sentazione del giovine signore, nella quale l'oratore do-
veva soltanto attenuare ruminazione di render riverenza :
non necessario quindi rinnovare il giorno dopo la ceri-
monia, se mai il Petrarca avesse perduta la parola.
L'autore della cronaca Papafava, raccogliendo i ra-
gionamenti di chi era stato presente al fatto racconta che
al Petrarca tremò la voce per vecchiezza, per malattia
sofferta e mal guarita : noi aggiungiamo che l' obbligo di
far scuse non doveva certo dare forza e scioltezza alla
parola del vecchio e debole poeta; tanto più quand'egli
fiovea chiedere quelle scuse per suo amico venuto in
tanta sciagura. Cosi la narrazione dell' anonimo cronista è
piti naturale e probabile che la leggenda del Redusio e
la negazione dei crìtici.
ViTTOiuo Lazzarini
(I) iJALKAZZo (jATAiu, GEROLAMO SAVINA, Caroldo, ci'oiiaca alili
iHiiU) j Daniele Uaiibako.
Voi iV, Pane 1 16
L' ANNO DELLA NASCITA DI L80N BATTISTA ALBERTI
Varie sono le opinioni dei critici intorno all'anno in
cai nacque L. B. Alberti. Alcuni credono o credettero,
che fosse il 1398; altri, fra cui il Tiraboschi (1) e Virgi-
nio Cortesi (2), il 1414; Lorenzo Mehus, in una sua vita
inedita dell'Alberti, conservata nel cod. B. VI. 40 della
Marucelliana, il 1416 (3); il Pozzetti (4) e, dopo di lui,
il Mancini (5) il 1404; e finalmente G. S. Scipioni (6) e
Achille Neri (7) il 1407. È inutile occuparsi qui delle
prime due date; perché il 1414 fu dimostrato assurdo
' dal Mancini stesso con argomenti validissimi, come io già
accennai in un altro mio articolo (8); e, quanto al 1398,
è reso impossibile dal fatto che certamente Leon Battista
nacque da Lorenzo dopo il suo esilio da Firenze e questo
(1) Storia della Ietterai, italiana.
(2) // governo della famiglia, Studio critico.
(3> Vedi G. S. ScrPiONi, Di una vita inedita di Leon Battista Al-
berti {Giorn. star, della Letler. ital. Anno 1, 1883, voi. II).
(4) L. Bapt, Alberti laudatus ecc. Firenze, 1789.
(5) Vita di Leon Battista Alberti. Firenze, Sansoni, 1882; v. ^'mn
docum. e notiz. sulla vita e sugli scritti di Leon Battista Allferti { in
Archiv. stor. ital. Disp. 2 e 3 del 1887).
(6) Leon Battista Alberti e Agnolo Pandolfini, Lettere al Dottor
Rodolfo Renier (in Preludio, Anno VI, n." 5 e segg. ).
(7) La nascita di Leon Battista Alberti (in Giornale ligustico di
Archeolog., Storia e Letterat. Anno IX, fase. V).
(8) Le opere di L. B. Alberti pubblicale da Girolamo Mancini (in
Vita Nuova, Anno U, n.** 16, 20 Aprile 1890).
MISCELLANEA 243
ebbe laogo nel geDoaio 1401. lantile è pure fermarsi a
considerare la data messa innanzi dal Mehns, perché gli
argomenti, che contraddicono al 1414, valgono, a più
forte ragione, contro il 1416. Restano dunque da esami-
nare le due date 1404 e 1407; e specialmente quest'ultima.
Lo Scipioni porta principalmente due ragioni a so-
stegno della sua ipotesi. Una è che, a 30 anni, Leon
Battista ripulì una sua commedia, il Filodosso, scritta 10
anni prima, e la dedicò a Leonello d' Este facendola ac-
compagnar da una lettera del Bracciolini (1): ora, sic-
come questa correzione fu fatta nel 1436 o '37, è chiaro,
dice lo Scipioni, che nel 1406 o nel 1407 dovè nascere
Leon Battista (2). L'altra ragione è la seguente, e Nel
De jure, scritto, come si sa di certo, a Bologna nel 1437,
Leone afferma di avere da sei anni lasciati gli studi le-
gali, dal qual tempo segui il Pontefice. Questo vuol dire
che egli li lasciò nel '31. Ma della Vita sappiamo che
allora aveva ventiquattro anni: dunque egli era nato nel
1407 > (3). Questi i due argomenti dello Scipioni.
Altri due ne aggiunse Achille Neri (4): o, meglio,
(1) Si noti che qui il ragionamento dello Scipioni é abbastanza con-
fuso. Egli parìa degli studii di L. B. , dei maltrattamenti che i suoi pa-
renti gF infliggevano e della sua malattia, durante la convalescenza della
quale scrìsse il Filodosso. « Dopo dieci anni che era andata (la com-
media} girando senza nome di padre, egli la accoglie amorevolmente, la
rìpulj<ce e la rìmettc al pubblico sotto il suo proprio nome e la tutela
di Lionello. Dunque tutto questo egli fa a trentanni e nel 1436 o 37,
pcc. > . Questo dunque non si sa proprìo come venga fuorì : tuttavia V età
di 30 anni assegnata a L. B. é (dal suo punto di vista) esatta, comesi
vedrà Ora poco quando io parìerò di un articolo d'Achille Nerì il (|uale
(*sprìme molto più chiaramente il concetto stesso.
(t) Preludio, Anno VI, pag. 49.
(3) Ivi.
(i) La nascita di Leon Battista Alberti (in Giornale ligustico di
Archeolog,, Star, e Letter,, Anno II, fase. V).
244 MISCELLANEA
ano ne aggiunse dì naovo, e questo anche il sig. Orazio
Bacci , che pure accetta la data sostenuta da lui ,
chiama tutto induttivo e , per conseguenza , di nessun
valore (1); T altro lo prese dallo Scipioni esprìmendolo
con altre parole. Il 30 settembre 1437 (egli dice), Leone
scrive in Bologna l'operetta De jure; e e l'anno stesso
ai 12 ottobre il Poggio pur da Bologna accompagna a
Lionello d'Este il Filodosso ricorretto, che da dieci anni
era andato vagando anonimo, deturpato da infiniti errori,
il che ci risospinge all' ottobre del 1427; se si considera
quindi che egli afferma aver composto quella commedia
€ non maiorì annis XX », cadiamo all' ottobre del
1407 » (2).
Considerato pertanto che la prima delle ragioni ad-
dotte dal Neri non ha valore, e considerato che quest'ul-
tima è, in fondo, una cosa stessa con quella prima di
G. S. Scipioni, restano due gli argomenti in favore del
1407; e cioè: T, nel 1437 Leone ricorregge una com-
media, scrìtta 10 innanzi, quando egli ne aveva 20; 2^,
nel De Jure, scrìtto nel 1437, dice di aver lasciato gli
studii legali da 6 anni, ossia nel '31, e la Vita dice che
quando lasciò gli studii Leon Battista era in età di anni 24.
(1) Spigolature Alberliatie , in Vita Nuova, anno U, n.® 21 (25
maggio 1890). — Il ragionamento del Neri è il seguente. Dopo avere
accennato a un docum. del 15 maggio 1408 da cui si rileva che Lorenzo
Alberti sposò in quest'anno, probabilmente una Margherita Benini, ag-
giunge: questo « non escluderebbe certo che Leon Battista fosse nato
prima del 1408 o da nodo illegittimo, o da madre legittima morta forse
a Genova nella peste del 1406; ma la ipotesi che mi sembra più plau-
sibile è che egli sia nato a Genova al cadere del 1407 , o sui primi
del 1408, da legame illegittimo, sanato poi colle nozze » (1. ciL, pag.
167).
(2) Ivi.
MISCELLANEA 245
È innegabile che queste prove tratte dalle opere
stesse dell'Alberti fanno ana certa impressione: anzi li
per li sembrerebbe che ogni disputa dovesse venir tron-
cata da testimonianze in apparenza cosi precìse offerte
da L. Battista medesimo (1). Disgraziatamente non è cosi.
Prima di tutto è da osservare che la lettera di Poggio
Bracciolini a Leonello d'Este, per presentargli il Filo-
dosso, ha nella data soltanto Bononiae die XV Octobris
secondo l' edizione Bonucci; Bononie semplicemente, se-
condo il cod. laurenziano 20, plut. 47, dove questa let-
tera si legge insieme ad altre moltissime del Bracciolini (2) :
manca l'anno. Ora, siccome sappiamo che nel 1436 e
nel 1437 Eugenio IV fu a Bologna e Poggio, allora Se-
gretario apostolico, si trovava con lui, si è fissato l'anno
(1) Nel Proemio al Filodo$$o { v. Opere volg, di Leon Battista Al-
berti edite da ànicio Bonucci. Firenze, 1843-49, Voi. f ), L. B. dice che
la commedia e annos decem vagata est t (pag. CXXIV), e avanti aveva
detto: e Itaque nostra, ut docui, fabula materiam habeat non inelegan-
tem, ncque quam ab adulescenti, non roaiorì annis XX editam, quispiam
doctos minime ìnvidus despiciat t (pag. CXXflf). E la Vita anonima
scrìve che Y Alberti, per il troppo studio, ammalò gravemente, due volte,
finché, lasciati gli studii legali t di 24 anni, alla fisica ed alle matema-
tiche intendeva » (Op. volg., ediz. Bonucci, pag. XCV). Quanto al De
Jure, che fosse scrìtto nel 1437 ce lo attesta il cod. Ambrosiano 1, 193
inf. , nel quale si legge alla fine del De Jure stesso : « Die s. Hieronymi
bora XVUl completum. fnceptum vero ejus vigilia bora XXlll, anno
MCCCCXXXVIl Bononiae» (v. Mancini, Vita di L B. Alberti. Firenze,
Sansoni, 1882, pag. 160).
(2) Essa ba il numero d' ordine CVI, segnato nel margine del codice.
Termina precisamente cosi: « Vale et me ama. Bononie ». Non so se
in altrì codd. è contenuta e se porta anche T anno : ma non pare, perché
il Bonucci dice chiaramente che Tanno manca e congettura essere il 1436
0 *37, per la ragione a cui io accenno; e lo Scipioni stesso, col dire
che L. B. rìcorresse e dedicò a Leonello d'Este il Filodosso nel 1436
0 '37 mostra di non conoscere nessuna data precisa, ma di averìa an-
ch' egli congetturata, probabilmente per hi medesima ragione.
246 MISCELLANSA
1436 0 il 1437 come quello in cui Leon Battista corresse
il Filodosso. Ma, come ognun vede, è una congettura:
probabile, se si vuole, ma pur sempre una congettura;
poiché il Bracciolini avrebbe potuto trovarsi a Bologna,
se non altro per pochi giorni, anche anteriormente, e
allora avere scritto la sua lettera a Leonello d*Este. Il
1^ argomento adunque perde già un poco della sua forza.
Quanto al 2°, avviene precisamente lo stesso. Il De
Jure, diretto a Francesco Goppini, cosi incomincia : e Etsi
a vestris Jure consultorum scriptis cum has ad te darem
litteras Goppine quod iam pridem illis relictis ad philo-
sophiae studia redissem eram alienus, ofScii tamen esse
duxi ea in re expectationi tuae satisfacere : in qua et iuris
quasi formulas quae dissuetudine quadam lectitandi ex
nostra pene exciderant memoria repeterem ; et me tuorum
commodorum esse cupidissimum intelligeres. Nosti quidem
quam haec legum facultas memorem ac perinde assiduum
studiosum exigat. Nobis autem annus iam ferme sextus
elapsus est, postea quam pontificem sequimur: quo nul-
lum penitus legum commentarium vidimus. Ita vexati, ita
acti casibus fuimus, ut neque loco consistere neque li-
brorum copia perfrui licuerit. Quae res ecc. » {\), Da
queste parole non si rileva niente affatto, come scrive lo
Scipioni, che nel De Jure « Leone afferma di avere da
sei anni lasciati gli studi legali, dal qual tempo segui il
Pontefice »; ma bensi di avere da sei anni seguito il
Pontefice, dal qual tempo, per le sue tante occupazioni,
non potè più occuparsi degli studii legali. Questo non
vuol già dire che proprio nel 31 si fosse laureato in di-
ritto canonico: poteva benissimo aver preso la laurea
(1) Leonis Baptistae Alberti Opera (ediz. antica conserrata nella
Nazionale dì Firenze, alla quale, se io non ho mal guardalo, manai la
data e V indicazione del luogo dove fu stampata ).
MISCELLANEA 247
prima, aver continuato ad occuparsi dei suoi studii legali,
finché non ebbe un ufBcio presso il papa, e solo da
questo momento essere stato costretto ad abbandonarli.
Ed ammesso ciò, il combinar la notizia della Vita ano-
nima, che Leone lasciò gli studii a 24 anni, coli' altra del
De Iure, non ha più che ben poco valore.
Ecco dunque a che cosa si riducono queste due rni-
partantissime prove. Ammettiamo tuttavia, per un mo-
mento, che esse esistan realmente: che cioè Leon Bat-
tista abbia ricorretto il Filodosso nel 1437 ed abbia scritto
nel De Iure di aver lasciato gli studii legali (nel senso
di lasciare il Collegio dei dottori dove si conferivan le
lauree) nel 1431. Allora si va incontro ad un certo nu-
mero di difiBcoltà che farebbero quasi credere che l'Al-
berti stesso, 0 per sbadataggine o per dimenticanza, non
fosse stato esatto nelle sue indicazioni.
Intanto, quando fu che Leon Battista cominciò a
studiar legge ? Ce lo dice egli stesso : e Mortuo Laurentio
Alberto patre meo, cum ipse apud Bononiam iuri pon-
tificio operam darem, in ea disciplina enitebar ita profi-
cere, ut meis essem carior, et nostrae domui orna-
mento > (1), delle quali parole il significato più ovvio,
a mio parere , sarebbe che già studiava in Bologna
prima che morisse il padre; ma, per non aver troppo
vantaggio, io accetto qui V interpetrazione dello Scipionì,
e cioè che dopo la morte del padre Leon Battista e se
ne andò a studiare dritto canonico a Bologna.... portato
via da Padova da suo zio Ricciardo a cui il padre morendo
lo raccomandò > (2). Ora, Lorenzo Alberti mori nel
1421 : di ciò fa testimonianza la lapide posta sul suo se-
polcro che si trova nella basilica di S. Antonio di Padova
{\) Proem. al Filodassois. Op. volg, edite dal Bonucci, pag. CXXIII).
Cf) \, cit, pag. 48.
248 MISCELLANEA
6 che è stata più volte pubblicata (1). Ebbene, domando
io. Se Leon Battista cominciò a studiare diritto canonico nel
1421, come mai terminò nel 1431, ossia dieci anni dopo?
Eppnre, per tali studi! bastavano 5 anni, e Per l'esame di
diritto pontificio era necessario aver studiato leggi civili e
canoniche cinque anni interi, se lo scolaro altra volta non
era stato approvato da chi ne avesse avuta facoltà, o non
avesse sostenuto altro esame privato; nel qual caso erano
sufficienti tre anni di studio > (2). Come può ammettersi
dunque che Leon Battista, il quale pure cosi fortemente
eniiebatur proficere, ci mettesse precisamente il doppio? o si
vorrà dire che quelle due malattie, di cui parla la Vita
anonima fecero perdere a lui 5 anni di studio? Ciò
mi pare davvero difficile ad ammettere, tanto più che
anche la Vita anonima parla si della gravità ma non di
lunghezza di queste malattie: quindi ecco una prima dif-
ficoltà, se si ritiene che Leon Battista affermi di aver la-
sciato gli studii legali nel 1431.
E v'è, ammettendo questa data, un'altra difficoltà
non meno grave. Dagli ultimi mesi del 1428 sino alla
fine del 1431, l'Università bolognese fu chiusa in causa
delle discordie cittadine. Ciò si rileva indubbiamente da
(1) Vedila in: Bernardo Gonzati, La basilica di S. Antonio di
Padova descritta ed illustrata, Padova, Bianchi, 1854 (voi. II, pag. Ut»);
e Luigi Passerini, Gli Alberti di Firenze, Genealogia, Storia e Docu-
menti, Firenze, Cellini, 1870 (voi. I, pag. 130). Questa data, importan-
tissima per le conseguenze ctie se ne possono trarre, ha avuto la somma
cortesia di veriGcare il sig. Vincenzo Crescini, professore nella UniversiLi
di Padova, al quale sento il dovere di porgere le più vive grazie. Da
questo nuovo esame della lapide resulta essere veramente Lorenzo Alberti
morto il 28 maggio U!21.
{^) Carlo Malagola, Statuti delle Università e dei Collegi dello
Studio bolognese. Bolopa, Zanichelli, MDCCCLXXXVII , pag. XV della
Prefazione.
MISCELLANEA 249
una Cronica di Bologna la quale, dopo aver narrato il tu-
malto che « a di primo di Agosto (1428) la notte a otto
ore si levò in Bologna > per opera dei Canetoli, e la
zuffa che ne segni fra la parte di questa e quella dei
Bentivoglio partigiani della Chiesa , e il governo popolare
instaurato dai Canetoli, e le guerre successive con papa
Martino V, e la pace finalmente conclusa, scrive all' anno
1431 : e A di 22 di Ottobre incominciossi a render ra-
gione nel Palazzo del Podestà di Bologna. Per tre anni
passati a cagion della guerra e delle tribulazioni , che
abbiamo avuto, possiam dire, che mai non si sia renduta
ragione in civile. A di 24 si principiò in Bologna lo Stu-
dio di tutte le facoltà. Per cagione delle guerre circostanti
credesi, che gli Studj di Firenze, di Siena, di Padova, e
di Pavia si svieranno per tal modo, che quel di Bologna
sì rifermerà bene. Speriamo, che non passerà Natale, che
qui avremo più di 500 Scolari » (1). Ora, dice il Man-
cini, e Battista confessa d'essersi laureato nelle leggi a
Bologna >; dunque e è giuocoforza concludere che ri-
cevè la laurea innanzi che le turbolenze cittadine faces-
sero serrare lo Studio. Infatti al momento in cui lo Studio
bolognese venne riaperto ,* Battista era già impiegato o
stava per impiegarsi nella curia romana, come attesta la
bolla > (2) : una bolla di papa Eugenio IV diretta a Leon
Battista medesimo, che il Mancini riporta per intero.
Qualcuno potrebbe obiettare che dell' essersi l'Alberti
laureato in Bologna non e' è nelle sue opere un' attesta-
zione precisa. Infatti, nel Proemio al Filodosso, egli dice di
aver dato apud Bononiam iuri pontificio operam; e, poco
(1) (ironica di Bologna di fra nartolomeo delia Pugliola, dall'anno
noi iioo all'anno i<K)i, continuata poi da altri scrittori sincroni Gno al
liTl (in MuRATom, Rer, Ital. Script,, toI. XVlll, pag. 641).
(i) Suovi docum. e notiz. ecc. pag. 194.
250 MISCELLANEA
più sotto, scrive, a proposito della stessa commedia:
e Deniqne annos decem vagata est, qnoad e studiis pon-
tificiis, am'eo analo et flamine donatus, excessi > (1). Bologna,
a proposito della laurea , non è rammentata neppm*e :
dmiqoe, Leon Battista potrebbe essersi addottorato in
qualche altro luogo, tanto più che gli Statuti delle Uni-
versità non impedivano il passaggio dall'una all'altra. Una
seconda obiezione che potrebbe farsi è la seguente. L'Uni-
versità bolognese si riapri, come dice il cronista, il 24
di ottobre ; d' altra parte , negli Statuti universitarii , non
era determinata l'epoca precisa degli esami necessarii
per ottenere la laurea: dunque, negli ultimi due mesi
del 1431, avrebbe potuto L. Battista addottorarsi.
Quanto alla prima delle due obiezioni osservo che,
quantunque nel Proemio 2i\ Filodosso, Leon Battista non dica
esplicitamente di aver preso la laurea in Bologna, pure è
naturale, direi quasi necessario, argomentarlo dalle sue pa-
role. Se in questo Proemio avesse detto soltanto che in
Bologna cominciò a studiare, e in un'altra sua opera si
leggesse la frase quoad e sttuliis pontifidis aureo anulo
et flamine donatus excessi, allora il concludere che a Bo-
logna si laureò sarebbe un poco arbitrario e alquanto
dubbio. Ma si noti che ambedue le indicazioni si trovano
nel Proemio stesso, nella medesima pagina o in due pa-
gine consecutive, in una esposizione continuata che l' Al-
berti fa per spiegare come mai scrisse il Filodosso e
come mai lo corresse. Quando si trova che uno dice: io
cominciai a studiare diritto pontificio a Bologna, fui trat-
tato aspramente dai parenti presso cui mi trovavo, mi
ammalai e in convalescenza scrissi una commedia che
andò vagando per dieci anni tantoché, nel frattempo,
uscii dagli studii pontificii ; quando uno dice cosi, e basta,
(1) Op. volg,, voi. l, pag. CXXIV.
MISCELLANEA 251
senza rammentare nessun' altra città , domando io se è
giustificato intendere che si laureasse altrove che a Bo-
logna.
A questo proposito, io mi rivolsi al sig. Mancini per
sapere da lui se anche in altre sue opere, o soltanto nel
Proemio al Filodosso, l'Alberti parlasse del luogo dove
prese la laurea. E il sig. Mancini mi ha dato gentilmente
questa risposta: «Precisamente nel proemio del Filodosso
r Alberti accenna agli studii legali fatti in Bologna. Non
dice d' essersi laureato colà , ma troppe circostanze por-
tano a crederlo. I crediti vantati dai cugini per mante-
nercelo a studio, la presenza in Bologna del questore
Alberto Alberti, ed il lascito testamentario fatto da Bat-
tista per istituire in Bologna due posti di studio destinati
a giovani di casa Alberti indicano che egli si laureò a
Bologna > . Ed io pure sono di questo parere : tanto più,
lo ripeto, che la prova ricavata dal Proemio al Filodosso
ha, per me, una grandissima importanza.
Resta dunque la seconda obiezione: che, cioè, am-
messo che Leon Battista si laureasse in Bologna, nulla vieta
supporre che vi si laureasse negli ultimi mesi del 1431. Ma
io pongo qui un dilemma: quando si chiuse l'Università
bolognese , nel 1428, Leon Battista o aveva finito il corso
degli studii legali o non Taveva finito ; se non l'aveva finito,
appena riapertasi l'Università, avrebbe dovuto comple-
tarlo prima di prendere la laurea e quindi non è ammis-
sìbile che si addottorasse nel novembre o nel dicembre
del 1431 ; se l' aveva finito , come mai aspettò tre anni
a dar l'esame finale invece di prenderlo in un'altra uni-
versità, dal momento che (mi servo della ragione addotta
dagli avversarti) gli Statuti universitarii non lo proibivano?
Insomma riesce dillicile conciliare insieme tutti questi
faUi: e quindi, quando ci si ostini a ritenere il 1431
come r anno della laurea di L. Battista si urta, oltreché
252 MISCELLANEA
Della prima a cui ho già accennato, anche in questa
seconda difficoltà.
Procediamo nelle nostre osservazioni. Si dice che le
parole stesse di Leon Battista mostrano aver egli scritto il
Filodosso nel 1427. Ebbene, la Vita anonima racconta
che Leone, applicatosi agli studi, gravemente infermò; e
allora e a consolazione di sé stesso, né avendo allora più
che vent' anni, intermesse le leggi, fra la convalescenza e
la cura scrisse il Filodossio commedia > (1). Poi, ripresi
gli studii e ostinatamente affaticandosi in essi, di nuovo
ammalò gravissimamente, finché dovè lasciarli e darsi alla
fisica ecc. (2). Dunque, Leon Battista ebbe due malattie ,
e fu nella convalescenza della prima che scrisse il Filodosso;
e siccome la composizione, di questo si dice essere del-
l'ottobre 1427, cosi fu nel 1427 che egli si ammalò per la
prima volta. Ma allora si che riesce incomprensibile come
l'Alberti, senza che dovesse neppure interromper gli studii
per malattia, non li avesse già terminati nel 1427, quando
li aveva cominciati nel 1421 . e bastavano a prender la
laurea 5 anni!
Ma c'è qualche cos'altro. Il dialogo Della Famiglia
si finge tenuto a Padova, quando Lorenzo Alberti stava
per morire. Ciò è detto chiaramente nel principio del
lib. 1 : « Mentre che Lorenzo Alberti nostro padre era in
Padova , grave di queir ultima infermità che ce lo tolse
di vita, più di aveva grandemente desiderato vedere Ric-
ciardo Alberto suo fratello ; del quale sentendo che subito
sarebbe a visitarlo, ne prese grandissimo conforto, ecc. » (3).
E là a Padova, in casa degli Alberti si tiene il dialogo.
Interlocutori del lib. II sono: Lionardo, Leon Battista e
(1) Op. volg.y voi. I, pag. XCUL
(2) Ivi, pag. XCV.
(3) Op. volg.y voi. II, pag. 21.
MISCELLANEA 253
Carlo Alberti. Si noti che siamo all'anno 1421, e, per
conseguenza, se si ammette la data del 1407 per la na-
scita di Leon Battista, questi era allora un ragazzo di 14
anni. Potrà far dunque maraviglia il sentire che Lionardo,
a un certo punto, gli dice: e Quasi, Battista, come se a
te non stesse a mente la sentenzia del tuo Marco Cice-
rone , il quale tu suoli tanto lodare ed amare, che giudica,
niuna cosa essere più flessibile e duttibile quanto la ora-
zione > (1). Ma, poiché Leon Battista aveva un ingegno
straordinario e uno straordinario amore allo studio, am-
mettiamo pure che già a quell'età fosse familiare di Ci-
cerone e degli altri classici e degli storici antichi, come ap-
parisce dalle grandi citazioni che egli medesimo fa in segui-
to. Quello però che è addirittura meraviglioso è il modo
come questo ragazzo di 14 anni discorre dell'amore. « Non
credo > egli dice e a noi giovani (sì noti questo noi gio-
vani) sia lecito ostare all'amore, né forse biasimo se-
guirlo» (2). E continua esaltando l'amore al disopra del*
r amicizia, e termina il suo ragionamento cosi: e Ma io
non voglio seguire più oltre in questa materia, che troppo
temo non ti parere, quasi come se io difendessi la causa
mia propria. Rendoti certo, Lionardo, io non amo: e
benché in me io non senta questa forza dello amore,
pur quanto da molti mi rammento avere udito assai e
letto, mi pare in gran parte di acconsentire a queste
poche ragioni quali addussi, con le quali forse mi sono
mostro troppo in questa sentenzia fermo, e troppo in-
dulgente verso l'amore. Ma pensa tu quale tu mi trove-
resti, se io con queste ragioni insieme tenessi in me quelle
faci con che amore si fa adorare e gloriare: non dubi-
tare che io statuirei lo Amore essere sopra, non dirò
(1) Op. volg., voi. 11, pag. ìfì.
ii) Ivi, pag. 129.
254 MISCELLANEA
l'amicizia, ma a qualunque gloriosa cosa, degno molto e
divino » (1).
In verità a me, leggendo queste parole, torna a
mente ciò che il Carducci scrisse a proposito di una
certa poesia dove è narrato l' innamoramento dei due
bambini Dante Alighieri e Beatrice Portinari. Dopo aver
riportato la seguente strofa in cui parla Dante:
Amo tutto: e rosa e candido
Gelsomino e violetta;
Ed adoro un' angioletta
Che mi penso aver vicin,
€ santi scapaccioni ! > esclama il Carducci (2). Ed io provo
una voglia matta di ripetere la medesima esclamazione a
messer Leon Battista degli Alberti che si permetteva di
discorrere, a 14 anni, in quel modo, e a messer Lio-
nardo, uomo savio, che lo stava a sentire e discuteva
con lui. Mi si potrebbe forse obiettare, che l'azione del
dialogo è del 1421, ma il dialogo, in realtà, fu scritto
quando già Leon Battista era adulto, e quindi egli non si
accorse che faceva parlar sé stesso come avrebbe parlalo
allora, non come avrebbe parlato a 14 anni. Sta bene: ma
non sapeva forse l'Alberti quanti anni aveva nel 1421 ? e,
se era davvero un ragazzo, perché non mise l'azione del
dialogo ad altra epoca? chi lo costringeva a farlo avve-
nire nel 1421 quando mori Lorenzo? e chi lo costrin-
geva, se mai, a non mettere altri interlocutori (come fa
negli altri libri) piuttostoché sé medesimo e suo fratello
Carlo minore a lui?
(1) Op. volg,, voi. II, pag. 136.
(2) Critica e Arte (in Confessioni e Battaglie, IV voi. delle Opere
pag. 253).
MISCELLANEA 255
Tutte queste che sono andato esponendo non mi
paiono piccole difficoltà: e sarebbe in verità cosa ardua
il conciliarle colle indicazioni deir Alberti, quando queste
indicazioni fossero precise e chiare. Sennonché io ho già
accennato non essere state interpetrate giustamente. Quanto
all'anno in cui Leon Battista lasciò gli studii e che i so-
stenitori del 1407 affermano essere il 1431, ho già detto
che dalle parole del De Iure non si rileva menomamente,
parlandosi ivi del tempo in cui egli cominciò a seguire
il pontefice (che fu appunto il 1431, come si rileva dalla
bolla), non già di quello in cui abbandonò gli studii di
diritto canonico. E quanto air anno della composizione
del Filodosso , che dicono essere il 1427 perché V Alberti
ricorreggendolo nel 1437, asserisce di averlo scritto da 10
anni, mi si permetta affermare che ciò non è esatto.
Esaminiamo brevemente, anche a costo di ripetere in
parte cose già dette, il Proemio di Leon Battista al
Filodosso.
Egli dice, dunque: « Mortuo Laurentio ecc. » (v.
sopra), venni a Bologna a studiare; ma e fuere Inter meos »
alcuni e qui inhumaniter nostro jam jam surgenti et piene
flurescenti nomini vehementius inviderent. » Io sopportai
pazientemente questa inumanità e € hanc, in eo, quo
tum eram constitutus merore incommodorum meorum et
acerbitatis illorum consolandi mei gratia, fabulam
scripsi. Quam quidem inelimatam, et penìtus rudem fa-
mìliarìs quidam mei studiosissimus subripuit, furtimque
ìllam horis paucissimis quam celerrime transcripsit. Ex
quo factum est ut ad meas mendas, scribendi istius fe-
stinatione, multa vitia adiicerentur. » Tuttavia egli € me
invito » ne fece « copiam vulgo. » La commedia ebbe
un grandissimo successo; ma, e per l'imperizia di alcuni
e per la mala fede di altri, vi si aggiunsero nuovi errori
ed oscenità. Io, a chi chiedeva di dove era stata tratta,
356 mSCELLANEA
€ per commentnm », persuasi « ex vetustissimo illam
esse Codice excerptam », e tutti facilmente assentirono.
« Nam, et comicum dicendi genus, et prìscnm quid-
piam redolebat, neque difficile credito erat adulescentem
Pontificiis scriplis occupatum, me ab omni eloqnentiae
laude abborrere. » Cosi « annos decem vagata est... Cum
autem ad haec studia philosophiae rediissem, baec fabula
elimatior, et honestior, mea emendatione, facta, ecc. » (1).
Ora è chiaro: da questo racconto che l'Alberti fa del
come nacque la sua commedia e del come fu conosciuta
senza nome d'autore, si rileva che nel 1437 (se pure,
come ho notato più sopra, è veramente questo Tanno della
correzione) la commedia era divulgata da 10 anni, non
già da 10 anni composta. L'Alberti dice di averla scrìtta
per consolarsi dell'afflizione che gli cagionavano la sua
malattia e l'acerbità dei parenti. Ma sappiamo noi quando
fu questa malattia? intanto, secondo la vita anonima sa-
rebbe non molto dopo che aveva cominciato gli studii,
quindi nel '23 o '24 o anche prima. Ed è proprio ne-
cessario ammettere che l'amico conoscesse subito la com-
media di L. Battista ? 0 non è anche possibile che questi
glie la facesse leggere quando già era trascorso lungo
tempo dalla sua composizione? Leon Battista l'aveva scritta
unicamente per consolar sé medesimo, non già per farla
conoscere agli altri: tanto è vero che, quando l'amico
glie r ebbe portata via e l'ebbe copiata e messa in giro,
l'Alberti dice che lo fece suo malgrado (me invito). Che
se alcuno mi accusasse di troppa sottigliezza e dicesse che
dalle parole di Leon Battista apparisce una certa continuità
di tempo fra la composizione e la divulgazione del Filo-
dosso, io risponderei che questo può esser vero ma che,
d'altra parte, nulla, assolutamente nulla, vieta di ricono-
(4) Opere volg,, voi. 1.
MISCELLANEA 257
scere in qaelle parole ana discontinuità, una interruzione.
Non limata e rude la commedia poteva essere anche
dopo mollo tempo : né vi è niente di strano ad ammettere
che Leon Battista dopo averla scritta, V abbia lasciata dor-
mire membrtmis inttis positis. Ora, questo solo io dico, e
credo che ognuno sarà disposto a concedermelo : quando
a sostegno di una opinione si cita un passo di un autore,
e questo passo si presta ugualmente bene a due inter-
petrazioni diverse una delle quali impugna l'opinione
stessa, quella che pareva una prova, non è più tale e
non serve più al nostro scopo. Insomma, a non voler
cavar sangue di dove non e' è, bisogna pur confessare
che le indicazioni che si trovano nelF opere dell'Alberti
sono cosi vaghe da non offrire nessuna sicurezza per
Tanno della sua nascita. Certo, queste mie ragioni non
sono ragioni positive, ma negative; non dimostrano es-
sere la data del 1407 impossibile assolutamente, ma di-
mostrano bensi (almeno mi sembra) che le prove ad-
dotte in suo favore non son sufficienti; anzi che man-
cano prove, e che, per di più, vi sono delle difficoltà le
quali rendono il 1407 meno probabile dì altri anni. Se
in seguito nuovi argomenti dimostreranno che l'opinione
dello Scipioni è giusta, io non andrò certamente cavil-
lando per combatterla e, di fronte a prove di fatto, ri-
conoscerò perdere il loro valore (sebbene rimarrebber
sempre un po' strane) le difficoltà che ho notate adesso.
Ma per ora, finché le cose stanno così, credo di non er-
rare asserendo che la data del 1407 (1) che a prima
vista, parrebbe aver per sé gli argomenti più incontra-
(1) Si noti poi che anche lo Scipioni e il Neri non la (issano cosi
uviolutamente, ma dicono che l'Alberti nacque o nel 1406 o nel li07 o
persino, come congettura il Neri, nel U08. Sicché anche nella loro o-
pinione non vi é nulla di certo.
258 MISCELLANEA
Stabili, è invece poco men che un* ipotesi campata in
aria.
Per il 1404, le ragioni addotte dal sig. Mancini son
note: non occorre quindi che io le ripeta qui e le esa-
mini partitamente. Dirò solo quello che già dissi nel mio
primo articolo, che cioè esse ragioni un certo valore
1 hanno ma non sono davvero decisive per la data che
il sig. Mancini sostiene, e manca loro quella forza di ve-
rità che occorre per indurre altri ad accettare incondi-
zionatamente, come anno della nascita di Leon Battista,
il 1404. Egli potrebbe esser nato, o un poco dopo o un
poco prima: per asserirlo manca qualunque indizio. Tut-
tavia, io ritengo che, fra le varie date proposte, essa
abbia per sé le maggiori probabilità e sia la più razio-
nale : sebbene al sig. Orazio Bacci sembri solamente « la
meno assurda » fra tutte quelle che non sono il 1407.
Che poi il Gaspary, cosi dotto ed acuto, abbia scritto :
€ Das viel umstrittene Geburtsjahr weist ùberzeugend
als 1406 oder 1407 nach G. Scipione Scipioni » (1), non
fa meraviglia, considerato che fautore di un' intera Storia
letteraria non può tornare ad esaminare da sé tutte le
singole questioni, ma è costretto a valersi dei risultati
delle ricerche altrui e valersene con piena fiducia, quando
essi hanno l'aspetto della verità. Ora, tale aspetto di ve-
(1) Geschìchte rfer italienischen Literatur. Voi. li (Die italienischf
Literatur in der Renaissance zeit). Anhang hihliographischer und Kriti-
scher Bemerkungen, pag. 662!. Egli cita Karticolo del Mancini pubblicalo
nellMrcAiV. stor. ital. (Nuovi docum. e notiz. ecc.), facendo notare
che il Mancini si attiene sempre alla data del liO-i: al che, aggiunge,
rispose mit Recht lo Scipioni nel Giorn. slor. d. Letter. ital. X, !255.
Questo e Tart. di cui fece parola, nelle Spigolature Albertiane^ anche il
sig. Orazio Bacci, mostrando di ritenerlo come importante. Ma, in realiii,
in esso lo Scipioni non fa che ripetere quello che egli medesimo aveva
scritto nel Preludio, in quelle lettere al Renier di cui parlo sopra.
MISCELLANEA 259
rìtà hanno appunto gli argomenti dello Scipioni; ma, e-
saniinati più da vicino, non resistono alla critica. Io, per
me, al punto a cui stanno le cose, credo che la con-
gettura più probabile (dico congettura, perché nulla o-
serei afTermare) sia questa: che Leon Battista Alberti
nascesse intomo al 1404 ; che, per conseguenza, alla morte
del padre fosse un giovane di 17 o 18 anni; che allora
andasse a studio a Bologna , se pure non v' era già ;
che verso il 1424 scrivesse il Filodosso; che questo
venisse divulgato subito, nel caso che la correzione
della commedia possa ritenersi anteriore di 2 o 3 anni
al 1436 0 '37, o, se questa è veramente la data della
correzione, sia^ capitato alle mani dell'amico di lui solo
2 0 3 anni dopo che era stato composto; che Leon Bat-
tista si addottorasse a Bologna nel 1426 o '27, certo
prima del '28; e che, finalmente (su questo non ci può
esser dubbio perché è lui stesso che ce lo dice), dopo
10 anni che andava per il pubblico, abbia ricorretto la
sua commedia giovanile, il Filodosso.
Ecco quale mi sembra, ripeto, la congettura più
probabile. Del resto, non pretendo davvero di aver ri-
solto la questione: tult'altro! Anzi, credo di poter ripe-
tere quello che scrissi, in nota, nel citato mio articolo:
adhuc sub judice Us est, E se mi sono deciso a racco-
l^liere e pubblicare queste mie poche osservazioni, l'ho
fallo vedendo quanto favore acquisti l'anno sostenuto
dallo Scipioni: affinché a poco a poco non invalga l'uso di
far passare per vera una data che, fino ad ora, è asso-
Inlamente problematica.
Irenko Sanesi.
LEONE ALLACCI
E LA PALATINA DI HEIDELBERG
I.
Del viaggio di Leone Allacci ad Heidelberg e del tra-
sporto della Biblioteca Palatina da questa città in Roma ,
che egli, non nltima delle sue benemerenze, compi, ab-
biamo principale notizia da una Relazione dell 'Allacci stes-
so (1), poco fa ristampata credendo di pubblicarla per
la prima volta (2), e da una Monografia del Padre Ago-
(1) L'autografo é a e. 177-183' del Manoscritto Vallicellìano B. 38:
« Breve Belatione del viaggio che Leone Allacio fece in Gennania per
condur la Bibiiotheca Palatina in Roma donata dal Serenissimo duca di
Baviera alla Santa Sede Apostolica i; ed una copia nella stessa Valli-
celliana, fra le Carte Allacci, Filza LXXXIV, 5. Un compendio, e Bela-
tione della condotta dei libri della Libraria di Hidelberga in Roma, fatta
da Leone Allacio >, è nel Ms. cit., e. 187'-188^ e nelle Carte dette.
Filza CXXVI, 20, quesf ultimo con aggiunte autogr. inGne: e questo pub-
blico io (Docum. IX), crescendogli pregio qualche giudizio su alcuno dei
codici trasportati, che manca nella Relazione più estesa. La quale, insie-
me con i primi sei documenti pubblicati dal Theiner, trovasi in copia,
come avvertcci il signor Beltrani (vedi le note successive) anche nel
cod. Vaticano 77G2.
Ci) < Relazione $ul trasporto della Biblioteca Palatina da Heidel-
berg a Roma scritta da Leone Allacci ed ora per la prima volta pub-
blicata da Giovanni Beltranl Con notizie storiche e bibliografiche.
(Rivista Europea Rivista Internazionale: voi. XX Vili, pagg. 5-31. Ed
anche in estratto ). Questa Belazione era già stata pubblicata da Giovanni
Cristoforo Felice Bahr neir articolo Zur Geschichie der EntfUhrung
der Heidflberger Bibliothek ( Heidelberger Jahrbiicher der Literatury Jahr.
ìidì, BJ 31-32, pagg. 486 e segg.).
\oì, IV, Parte I 17
262 CURZIO MAZZI
stìDo TheiDer (1), una rarità bibliografica tra noi: alle
quali , se poco e' è da aggiongere , si può sempre , pur
soltanto ravvicinando e coordinando scritti e documenti
dispersi in Riviste, specialmente straniere, far cor-
redo d'altre notiziole; e, soprattutto, dare più vera
luce con altri ricordi dall'esecutore di quel trasporto,
dal medesimo Allacci, lasciatici nelle lettere scritte men-
tre stette, per questa missione, fuori d'Italia, e che
raccolse, unico esempio nel suo Epistolario (2), in un
minutario, e questo poco regolare, distratto poi con im-
provvido consiglio, dalle cose sue, riunendolo alla parte
antica dei codici della Vallicelliana (3). E libero fortuna-
(1) Schenkung der Heidelberger Bibliothek durch Maximilian I
Heriog und Churfursten von Bayern an Papst Gregor XV. Und ihre
Versendung nach Rom, Mit Originalschrifien von AuGUSTiN Theixer
Priester des Oratoriums, Mùnchen, Verlag der Lit, Art Aaslalt 18U,
pagg. V-105, 8.** Il 0/ Gessert dette di questa monografia una recen-
sione nel Serapeum. Sechster Jahrgang (1845), pagg. 1-11, che il di-
rettore dice fra altre ragioni di pubblicare « zumeist aber, weil in dìeser
» Angelcgenlieit auch die Stimine eines Mitgliedcs der katholisclien Kirchc
» zur Steuer der Wahrheit nielli wenig beitragl. Die Leser des Serapcums
» >verd(Mi dabcr gewiss auch dein spiitcr mitzutheilenden , gegenwiirtig
9 der Redaction noch nicht zugckommenen Aufsatzc ilber die Tbei-
• ner*sche Schrift gleiclies Interesse sclienken >. Nel medesimo volume
del Serapeum, pagg. 113-127, 129-144, 145-159, il trasporto della Pa-
latina, Die Entfiihrung der Heidelberger Bibliothek nach Rom im Jahre
i623, fu raccontato dal Prof. 0."" Giovanni Cristiano Felice B.\hr ,
Primo Bibliotecario in Heidelberg, « mit besonderer Berùcksichtigung der
Schrifl von Auguslin Theincr », e con diversi intendimenti da quelli di
lui e del Gessert.
(2) Per l'Epistolario delP Allacci vedi il mio articolo, Tre Epista-
larii nella Vallicelliana di Roma. Notizia: nella Rivista delle Biblio-
teche, II (1889), 103-112.
(3) Forma le ultime carte, 192'-244t, del cit. Ms. ValliceUiano B.
38, che ora crebbero lino a e. 262, per aver io aggiunta un'altra parte
di esso minutario ritrovata fra le cose dell'Allacci. A questo Ms. messo
insieme in grandissima parte di lettere e documenti che si inferiscono al
LEONB ALLAOCI E LA PALATINA DI HEIDELBEBO 263
tamente dalle preoccnpazioni che dovette avere il Theioer
Dell' usare parcamente d' alcune di queste lettere, da tutte
deriverò, senz'odio e senza amore, intera la narrazione;
lasciando all' Allacci ed agli altri che ebbero mano in que-
sta pratica , il discorso, stando noi a sentire, per quanto
sarà possibile, le proprie loro parole.
Ai 28 di ottobre del 1622 in venerdì, nel giorno
dei santi apostoli Simone e Giuda, partiva da Roma
l'Allacci, avendo compagno di viaggio un suo servitore;
e per Firenze, Bologna e Venezia incamminavasi ad uscire
d'Italia. Portava seco un Breve a tutti i fedeli del re-
gnante pontefice Gregorio XV (1), altro di lui a Mas-
similiano I duca di Baviera (2), il conquistatore della
Palatina e munifico donatore di essa alla Santa Sede, un
terzo al generale conte Giovanni De Tilly (3), segretario
del duca; portava lettere del cardinale Ludovico Ludo-
trasporto della Palatina, fu data la collocazìoae alla lettera 6, ripetendo
il numero 38, e fu apposto il titolo e Lettere per la Libraria Palatina,
cioè appartenenti al trasporto fatto da Leone Allazio della Palatina; non
già che sieno di proprietà della Palatina >. Ha due numerazioni: una, in
nero, adesso saltuaria; altra più moderna, in rosso, che seguo nelle ci-
tazioni. Alcune delle lettere furono registrate da altra mano che quella
dell* Allacci.
(1) e Datum Romae apud S. Mariam Majorem sub annulo Piscatoris
die XXIII octobris MDCXXII pontitìcatus nostri anno secundo >. Esiste
nella Vallicelliana in originale, Ms. ciL 6. 38, e. 176, e, in copia, Carte
dette, Filza CXXVI, 1: e fu pubblicato dal Theiner, Schenkung ecc.
Docum. Ili, pagg. 52-53.
(^) € Datum Romae apud S.Mariam Majorem die 15 octobris MDCXXII
pontitìcatus nostri anno secundo i. Ne sono due copie nella Vallicelliana;
M$. cit B. 38, e. 185, Carte Allacci, Filza CXXVI, 2: e fu pubblicato
dal Theiner, Schenkung ecc., Docum. L pagg. 49-50.
(3) e Datum Romae apud S. Mariam Majorem etc. , die 15 octobris
ìftii pontificatus nostri anno secundo ». Due copie n'ha la Vallicelliana;
Ms. ciL B. 38, e 186; Carte dette, Fib» CXXVI, 3: lo pubblicò il
TiUvLNEH, Schenkung ecc., Docum. II, pagg. 51-52.
264 CUBZIO MAZZI
visi, CamarleDgo di Santa Chiesa e SoprìDieodeote dello
Stato Ecclesiastico, al daca (1) e conte (2) medesimi, al
Nanzio Zaccbia in Venezia (3), agli nfiBciali dello stato
ecclesiastico e degli altri stati (4): i quali docmnenti an-
nunziavano la commissione afiBdata air inviato del papa,
confermandola in Ini, e cercavangli favore per condurla a
bnon termine ; che certo la rendevano malagevole le dif-
ficoltà dì trasportare tanta copia dì codici e libri, biso-
gnosi nel viaggio di core gelose, le vie disastrose in in-
verno, mal sicure in contrade devastate dalla guerra, at-
traverso popoli divisi dalle fazioni, né molto amici del
nome cattolico. Oltre quelle scritture recava l' Allacci
doni, non al duca Massimiliano, ma al suo segretario
conte De Tilly , e al segretario del segretario , Vittorio
Gìgli da Imola ; recava indulgenze e medaglie sacre, com-
missioni d'acquisto di libri per la Vaticana e per gli
amici, lavori inediti suoi ed altrui. Del modo poi come
il trasporto della Biblioteca doveva eseguirsi, prescrive-
vano con norme peculiari due Istruzioni date all' Allacci:
l'una, da Scipione Cobelluzzi, cardinale di S. Susanna,
Bibliotecario Vaticano, ma compilata dal Custode della
Vaticana Niccolò Alemanni (5); l'altra, dal cardinal Camar-
(1) In data 15 ottobre 1622. La Vallicelliana oe possiede due copie ;
Ms. cit. B. 38, e. 184; Carte dette, Filza CXXVI, 5. Anche questa fu
pubblicala dal Theiner, Schenkung ecc., Docum. IV, pagg. 53-54.
{2) Nella Vallicelliana, Carte dette, Filza CXXVI, 7, n' è, incompleta,
una copia, che certamente aveva la stessa data 15 ottobre 1622.
(3) Datata 23 ottobre 1622. La trascrisse TAlhicci nel suo minuta-
rio, Ms. cìL B. 38, e 253': ed un' altra copia sta neDe Carte dette, Fjka
CIXVI, 6.
(4) Con la stessa data 23 ottobre 1622. Nella Vallicelliana éwi rorì>
ginale, Ms. cit 6. 38, e. 165; ed una copia, Carte dette. Filza CXXVI,
4. La stampò il Theiner, Schenkung ecc., Docum. V, pagg. 54-^.
(5) Una copia è nella Vallicelliana; Carte dette. Filza CXXVL 10; e
fu pubblicata dal Theiner, Schenkung^ ecc., Docuol VI, pagg. 55-57.
La ripubblico anche io, Docum. I.
LSOKE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 265
leDgo Ludovisi (1). Alla quale ultima, giuntaci in più ma-
ooscrìtti, toccò, fin dai primi anui del secolo passato, e
io Germania, l' onore della stampa e d' una versione la-
tina. Ambedue concordano neir ordinare, che della Pala-
tina doveva essere trasportata la parte manoscritta tutta,
codici e carte sciolte, insieme con le memorie di essa
adatte a far viaggio; delle opere a stampa, invece, sola-
mente quelle giudicate opportune; e nel raccomandare
d'incassare bene e di far buona guardia per via, chie-
dendo, se occorresse, scorte di soldati. Più lunga però
dell' altra, contiene l' Istruzione del cardinale Ludovisi più
copiose e minute indicazioni sul trasporto; ci dice come
fu dato all' Allacci l' Indice della Palatina e che si trovava
(1) La VaUicelliana n'ha una copia; Carte dette, Filza GIXVI, 9;
ed anche questa fu pubblicata dal Theiner, Schenkung ecc., Docum.
VII, pagg. 57-63.
Altre copie sono a Vienna, a Milano e nella Marucelliana. Dal Ms.
fieonese la pubblicò molto scorrettamente, Federico Wolken, Ueber die
dem AllaUut aU BevoUmàchtigtem des Papstes Gregor XV zur Ueber~
nakme der B. Palatina im Jahre i6S2 ertheilte Instruction (nei Neue
Jakrbueker fur Philohgie und Paedagogik, pubb. da Seebode, Jahn e
Klotz: Supp. voi. V, pagg. 5-17: Lipsia, 1837). DelMs. milanese, stato
e di monsignor Agucchia, che ora si conserva nella Biblioteca del conte
Borromeo, segnato lettera M tom. % nel quale vi sono raccolte molte
istnuioni date ai Nunzi della S. Sede presso diverse corti d'Europa »,
dava notizia da Milano (1756, marzo 20) Angelo Fumagalli a Raffaele
Veroazza, mandandogli una trascrizione (Carte dette, Filza CLVl, 41). Dal
Ms. Marucelliano, C. 29, sec XVII, fog. 108-112, la pubblicava Fran-
cesco RoEDiGER nel Bibliofilo, VI (1885), pagg. 165-168.
Fu tradotta in latino e cosi pubblicata da Michele Federico Quaoe,
Leonii Allatii de Bibliotheca Palatina Romam transportanda, quam ex
italico mt. Bibliothecae Mayerianae eruit et latine vertit Frìd, Quade,
Grvphiswaldiae, 1708, 4.® ristampata poi dal Baumgarten, Nachrichten
fM einer Hallitchen Bibliotkek, Halle, 1748-51, 8*; tom. Ili, pag. 522;
e dal Gerdes, Miscellanea Groningana: Amstelodami, 1726, 8^; tom.
IV pag. 5^5.
La ripubbUco ancor io; Docum. II.
266 CURZIO MAZZI
nella Vaticana >; che per le prime spese furono conse-
gnate a lui lettere di credito per mille scudi da riscuo-
tersi in Monaco, e datigli in mano, per 1' andata, ritorno
ed allestimento suoi, scudi cinquecento ; avvertendolo an-
cora e che per camino, e massimamente per paesi so-
spetti, sarà sempre meglio Y andare in abito corto come
persona negoziante del dominio veneto > (1).
Che la pietà del duca Massimiliano, stato già in altri
tempi uno degli zelanti patrocinatori per la santificazione
d' Ignazio di Loyola, di Filippo Neri e di Teresa di Gesù,
lo conducesse a donare la Palatina, lascia intendere il
Theiner (2). Quanto poi fra le ragioni del dono avesse
parte, oltre quella pietà, il desiderio di sdebitarsi cosi dei
denari avuti in prestito dalla Santa Sede per proseguire
la guerra contro T eresia, ricercano, in principio dei loro
scritti, né con intendimenti del tutto uguali, il Theiner
(1) Vedi Docum. II. 0 Theiner che pubblica, Schenkung ecc., Do-
cum. VI e VU, ambedue queste Istruzioni nel loro testo italiano, ma non
g^à per il primo (ved. not. 1 pag. 265), com'egli sembra credere, le
riavvicina e confronta: e Diese zweite Instruklion > quella del cardinale
Ludovisi e erganzt nun alle jene Parlikularìtaten , die Alemanni, mehr
» Geleherter als Geschàflsmann , auch wolil anzugeben nielli geoignet
• war, und giebt ausser dcn von diesem entworfenen Verliallung^regeln
9 noch andere welche sich auf die Reise des Alaeci und auf seinc vom
> heiligen Stuhie in dieser Angelegenheit erhallenen Auftriige beim Her-
j zog von Bayern beziehen. Ilier ist ihm mit ausserordcnllicheni Scliar-
> fsinn, mit grosser Erfahning und mit seltener Sachkenntnìss jcder
> Schritt, den et zur Ausfuhrung seines Geschàfles zu thun batte, genau
9 vorgezeichnet ». £ riferita nel testo delia sua Monografìa la Istruzione
dell'Alamanni o del Cardinale di S. Susanna, traducendola però in te-
desco, continua: e Man sieht, dass diese Instruklion mit aller Kennlniss
» eines erfahrnen, ernsten und direkt scin Ziel verfolgenden Bibliolhekars
> abgefdssl ist: die des Kardinal Kàmmerers (Ludovisi) vereinigt mil
» denselben Vorzùgen zugleich die der Umsicht und Feinheit eines grossen
» Staatsmannes >. Schenkung ecc., pagg. 6-9.
(2) Theiner, Schenkung ecc., pagg. 12-15.
LEONE ALUOCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 267
Stesso ed il Bahr , (1) aggìungeDdo quest' ultimo a tali
ragioni le sollecitazioni fatte con i saoi Nunzi dalla Corte
di Roma; e recando insieme col Wilken (2) in prova di
antichi desideri, di disegni formati da lunga mano, quel
Catalogo della Palatina già esistente, come ho detto, in
Roma. Al quale è data dal Theiner una più innocente ori-
gine per opera di Giovanni Giorgio Herward von Hoenburg
cancelliere del duca di Baviera Guglielmo, che per ordi-
ne dì lui ed in servigio della ducale Biblioteca di Monaco
lo compilò, verosimilmente nell'anno 1580; poi fatto cono-
scere dal dotto gesuita Giacomo Gretser al Padre Antonio
Possevino , quando , tra il 1578 e T 83, nelle sue missioni
in Svezia, Polonia e Russia, fu più volte alla corte bavarese,
per trattare affari importanti della Santa Sede con i duchi
Alberto e Guglielmo di Baviera ; dal Possevino finalmente in
una sua opera adoperato, come vedremo (3), per i codici
greci di materia sacra ed ecclesiastica (e di soli codici
greci era probabilmente formato), donandolo poi al pon-
tefice Gregorio XIII (4). Delle brame della Santa Sede sulla
Palatina è una traccia, nelle carte che ho tra mano, in
una lettera senza sottoscrizione, ma certamente del car-
dinale Ludovisi, diretta al cardinale Zollerò (Itelio Fede-
rico Zolleren) con la quale si ringrazia per V avviso dato
della presa di Heidelberg, che, sebbene avuto già da più
parti e specialmente dal Nunzio di Colonia « che si tro-
vava con r Elettore di Magonza », pure è stato gradito
allo scrivente ed al papa per la maggior certezza che se
(1) Il Bahr nelF articolo cui dette origine la monografìa del Theiner.
Vedi a pag. S62, noL 1.
{ì) Nella Geschichte der Bildung^ Beraubung und Vernichtung der
nlin* Heidelbergischen Biìchersammlutigen, pag. 237. V. a pag. 275.
(3) V. a pag. 276.
(i) TiTEiNRR, Schenkung ecc., pagg. 23-24.
268 CURZIO MAZZI
ne dà « col testimonio delle proprie del Serenissimo si-
gnor duca di Baviera ». S' augura prossima la conquista
delle altre due piazze del Palatinato « e tanto più che H
» Nunzio nostro di Fiandra si è portato con molta lode
» nell' impedir o almeno differir la sospensione dell' armi,
» trovando vìa da portarne la risolutione più alla lunga
» per dar tempo all' armi di Tilli , et acciò che non si
» effettui il partito al quale inclinano li Spagnoli; io dico
» che U Palatino depositi in mano loro le nominate piazze,
» con patto di averlile da restituire fra un anno o fatta
» 0 non fatta la pace; nel corso del quale anno duri la
» tregua ». Del felice successo si congratulerà lo scri-
vente con esso duca; « e lo ringratierò ancora dell' in-
» tentione data ai nostri Nuntij della Libreria Palatina per
» aggiungerla alla Vaticana, in quanto n' avremo bisogno ;
> si come dalla Serenissima Infanta, se fosse toccato al
» Cordua di far quell'impresa, ce n'era stato fatto do-
> no. Ond'io supplico ancora Vostra Signoria Illustrissi-
» ma di significare a Sua Altezza quanto Nostro Signore
» gradisca la sua prontezza, e di pregarla a farne riuscir
» l'effetto; perchè si manderà quanto prima colà alcuna
» persona intendente a riconoscerla et a pigliar tutto
» quello che farà a proposito per servitio della Vatica-
» na ». E s' invia copia delle relazioni venute in cifra di
trattative passate fra il Nunzio di Colonia e quello di
Magonza « in essecutione dell'ottimo consiglio di Vostra
Signoria Illustrissima ». Tale lettera è datata dalla villeg-
giatura « di Frascati, li 7 di ottobre 1622 » (1), pochi giorni
prima che la « persona intendente », che poi fu Leone
Allacci, partisse da Roma per andare a prendere la Pa-
latina.
(1) Ms. cil. B. 38, e. -243-244 (copia).
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 269
Ma il Tiaggio comiDciava con auspicii poco lieti: poiché
nel passare per Firenze (dove più tardi ebbe l'Allacci
corrìspoDdenza col Magliabechi e col cardinale Leopoldo
dei Medici (1)), quattro soli giorni dopo la partenza di
Roma e il di di tatti li santi a buonissima bora > cosi
egli scrive, e il cavallo del mio servitore cadette di tutti
qaatro i piedi in un subito, che non potè esser agiu-
tato e colse sotto il servitore: dove, per Dio gratia,
(dove di raggione doveva esser tutto fracassato) non
hebbe altro male so non che se li smosse un piede;
il quale, per rimetterlo a suo luogho è stato di bisogno
che s'andasse cercando per queste case sperse del
stato fiorentino un certo tale che era unico a simil
efetto; si trovò e accomodò la gamba in tanto che
detto servitore, se bene non può fermar il piede in
terra, non sente però quello eccessivo spasimo che
sentiva il primo di. Spero in Dio che si sanarà presto > .
Più, egli prosegue, oravi sospetto di strade mal sicure*
Da Firenzuola a Bologna, s' era sparso fama che le
strade non erano nette e che s' era rubato ; e cosi m' è
convenuto passarsi in compagnia >; ma non fu altro
oltre il sospetto: sicché e mercordi sera, gionto a Bolo-
gna anchor che tardi , e le porte fossero serrate , per
non perder tempo, havuta licenza dai superiori, m'im-
barcai nel canale per Ferrara, dove credevo esserci al
far del di; ma il vento cosi impetuoso e la pioggia
tanto crudele hanno impedito che io anchora a que-
st' bora , dicissette , mi trovi in detto canale , d' onde
scrivo >: mentre sollecita per essere a Venezia do-
menica, se sarà possibile. Il viaggio, conchiude, è stato
fin qui un po' disastroso per le strade cattive, i venti,
(1) Vedi la Notizia citata (pag. 262, not. 2) dell'Epistolario del-
l' Allacci.
270 CURZIO MAZZI
le pioggìe coQtìDue e le nevi nei mooti : ma tatto questo
non ha impedito il cammino da continuarsi allegramente
senza che altro lo interrompa più; e ne darà notizia di
luogo in luogo secondo si desidera (1).
Dopo questa, le lettere dell'Allacci immediatamente
successive, delle quali ci ha conservato le minute, sono
da Monaco, ai 30 novembre : onde sul passaggio da Fer-
rara e Venezia, ove conferì col Nunzio per averne aiuti
al ritomo, e del viaggio fino in Baviera, conosciamo so-
lamente quel poco che ne dice nella Relazione. Al car-
dinale Ludovisi scriveva : e Alli 26 di novembre sono ar-
> rivato a Monacho, dove risiede il signor duca di Ba-
> viera; non ho possuto più presto perché le vie sono
> cosi guaste e minate che quello camino che altre volte
> si faceva in un di è bisognato si facesse a pena in doi,
» col caminarci appresso (per di più) di notte : con la
» Iddio gratia sono sano e salvo >. Il primo giorno di
decembre, ammesso all'udienza del duca, gli presentò il
Breve di Sua Santità, mostrandogli anche a parole, nel
modo che seppe migliore, quanto grato e benevolo verso
di lui fosse il paterno animo di Sua Santità ; porgendogli
poi la lettera di esso cardinale Ludovisi, gli spiegò con
quale affetto e con quale ammirazione per il suo valore
fosse scritta: e Sua Altezza « con gesti e con parole >
rispose e « mostrò d' aggradire ogni cosa, dicendo che
> ancora non cognosceva d' haver servito quella Sedia
» secondo la sua volontà e debito, e particolarmente
> Nostro Signore Gregorio XV, al quale vorrebbe che se
1» li offerisse occasione di farli cosa grata e mostrarli la
» sua devotione, al quale si ricognosce in molte maniere
(1) Lettera (1622, novembre 3) dell* Allacci, dal Canale di Bologna,
senza indirizzo; ma certamente o al card. Ludovisi o al card, di S. Su-
sanna. Ms. cit. B. 38, e. 253' (minuta autogr.).
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 271
> obbligato, si come aDcho a V. S. III."'*; ma li dispia-
> ceva bene, che questa Bìbliotheca non corrispoDdesse
> all' aspettatione che di quella si tiene in Roma et al
» suo desiderio che vorrebbe che fosse molto più, e che
> da canto suo non solo in questo ma in ogni altra cosa
> haverebbe cercato di dar gusto e sodisfattione a Nostro
> Signore; e cosi darebbe gli ordini necessari] ». E gli
ordini furono che, essendo il paese deserto e le strade
perigliose, T Allacci ne tenesse una e fuor di mano, la
quale pare più sicura si come è più lunga >; e a lui
dette patente si come viaggiasse per servizio deir Altezza
Sua e non d' altri affinché da tutti avesse aiuti ; e dissegli
ancora e che bisognava sbrigarsi presto, perché T Infanta
» ha ve va dato parola al Palatino di restituirli la sua re-
> sidenza d'Idelberga, il che, quando avvenisse, non si
» potria più sperare di levar libri >. Al qual desiderio,
che la Biblioteca si conduca sollecitamente, l'Allacci si
disse prontissimo: e In tanto, per una certa commodità
> che era offerta a Sua Altezza di non so che cariaggi
> da Idelberga, ha fatto venir alcuni pezzi di libri manu-
> scrìtti greci e latini che si servavano fuor della libraria
» in una capella e già me l'ha fatti vedere e stanno a
» mia requisitione : li codici latini manuscritti sono al
» numero di cento ed uno, li greci settanta tre : alli quali
> si unirà il resto, che si dice che sono assaissimi e quasi
» incredibile il numero ». Della spesa per la condotta,
non può dir niente per anco; ed i mille talleri o scudi
non potrà ritirarli in Heidelberg, poiché i mercatanti
dì Monaco ai quali è diretta la polizza non hanno corri-
spondenti là: ond'egli non li riscuote, temendo di por-
tarti seco; e piuttosto cercherà se potrà farseli pagare per
mezzo d' alcuno dell' esercito. Del viaggio avranno cura
in Germania quei signori, dal confino a Roma seguirà le
risoluzioni che il cardinale Ludovisi gli farà conoscere
272 CURZIO MAZZI
per parte del Nunzio di Venezia (1). Questi codici, che
trovò già trasportati da Heidelberg io Monaco e welche
> bei der fùrstlìchen Bibliotheca zu Miinchen nit vorban-
> den vnd von Heibelberg dahin transferìert worden
> A."" 1622 » , come ha il loro Catalogo (2) compilato al
tempo di questo trasporto, furono dall' Allacci consegnati
ad Isaia Leucber, bibliotecario del duca in Monaco ; e di
questi scrìveva, nello stesso giorno 30 novembre al car-
dinale di S. Susanna, mentre ripetevagli molte cose dette
già al Ludovisi : e L' Indice delli libri non se li può man-
> dare j9^r extensum; potrà haverne notitia,se ordinerà che
> si conferisca il numero che io mando ; perché nell' Indice
> che ho lasciato in poter suo si truoverà ogni cosa di-
» chiarata »; cioè i titoli e gli scrìtti di questi codici, sui
quali egli aveva per i primi poste le mani, apparireb-
bero chiaramente ricercandoli in quel Catalogo della Pa«
latina, che già vedemmo esistente in Vaticana, anche se-
guendo i soli numerì che li designano nella lettera pre-
sente: nella quale conferma che < le spese sono ecces-
sive e tanto che paiono incredibili >, che i mille talleri
non potrà riscuoterli in Heidelberg, né vuol portarli da
Monaco seco perché € sarebbe come buttarìi, tanto è
perverso il camino che mi rimane i»; e, mandando i rin-
graziamenti dei fratelli Gìgli, avvisa come in quel giorno
medesimo parte per Heidelberg: viaggio difficile e peri-
glioso, da tenere in pensiero il duca ancora, e che forse
per questo s' allungherà in più giornate (3). Il duca stesso,
(1) Lettera {\6^% novembre 30) dell'Allacci, da Monaco, al card.
Ludovico Ludovisi. Ms. cit. B. 38, e. 253* -254' (minuta autogr.).
(2) Nel Ms. cit. B. 38, a e. 128'-129t e 136'-137i due esemplari
originali di questo Catalogo pubblicato dal Theiner, Schenkung ecc.
Docum. XXIV, pagg. 81-87. Ripubblicato anche da me, Docum. IH.
(3) Lettera (1622, novembre 30) dell'Allacci, da Monaco, al card,
di S. Susanna. Ms. cit. B. 38, e. 245' (minuta autog.). — La lista dei
LEONE ALLAOCI E LA PALATINA DI HEIDELBERO 273
con sua lettera dei 29 Dovembre, l'aveva inviato e rac-
comandato al vescovo di Eicbstadt ed al Capitolo del
daomo di Wiìrzbarg (1), per i quali laoghi egli doveva
passare; ed ordinava che, lasciandolo viaggiare libera-
mente, fosserglì somministrati i cavalli al prezzo usuale (2).
e Secondo V ordine et indirizzo del signor duca di
> Baviera ho cercato d' arrivare nel campo delti soldati
> che servono al signor conte De Tilli, che altrimente
» saria stato impossibile senza dar in mano d'inimici o
> d'assassini: il che è stato anchora difiBcilissimo per la
» penuria che vi è d' ogni cosa ; poiché in questo viag-
» gio, vicino ad Idelberga non c'è pane, non vino, non
> cavalli, non altra commodità ; mancho d' andare a piedi
> per la malagevolezza della strada > . Cosi in una lettera
al Cardinale Ludovisi descrìve il viaggio suo da Monaco
verso Heidelberg l'Allacci, che seguita dicendo come, ar-
rivato nel campo, non era nuova certa dove il conte fos-
Dumerì con i quali erano contrassegnati i codici della Palatina di Hei-
delberg, che r Allacci trovò già trasportati in Monaco, manca nella mi-
Dilla; e dovette essere in una carta a parte. — Dei due Gigli cosi scrì-
veva in questa lettera stessa: e II signor Aurelio Gigli ringratia assais-
• Simo Vostra Signoria Illustrìssima dal favore che riceve il signor Vit-
1 torìo suo fratello, per mezzo di Sua Signoria Illustrìssima, da Nostro
» Signore, e li vive aflezionatissimo servitore >. Qual fosse tal favore
non apparisce; né credo si alluda qui ai doni dall' Allacci recati e pre-
sentati più tardi al segretario del generale e conte Giovanni De Tilly,
Vittorìo Gigli; del quale il fratello Aurelio, mercatante e banchiere, ri-
sedeva io Hatisbona. Ambedue ebbero molto a trattare con l' Allacci, in
questo negozio del trasporto della Palatina, anche per la trasmissione dei
denari inviati da Roma.
(i) L'originale di questa lettera, e datum in vnserer Stalt MQnchen »,
del duca Massimiliano é nel Ms. ciL B. 38, e. 138''; e fu pubblicata dal
Theiner, Schenkung ecc., pag. 18, in nota.
if) Anche T originale di quest'Ordine, dato nello stesso giorno 20
novembre 1622, é nel Ms. cit. B. 38, e. 122.
274 CUBZIO MAZZI
se, se in Vormazia, io FraDConia o altrove: onde pana-
gli per la migliore d' andare in Heidelberg e di là, con
Inaiato dei suoi, raggiungerlo: ma ivi, tanto il governa-
tore Enrico di Mettemich, e che è il Decano della città
di Vinfen >, e quanto il segretario » del conte, e cava-
lier Vittorio Gigli > , per la diflBcoltà di trovare esso con-
te, lo consigliarono di fermarsi in Heidelberg aspettan-
dolo; e intanto gli consegnarono le chiavi: ed in questo
modo egli pose piede per la prima volta nella Palatina (1).
Della quale non intendo rifare la storia, né potrei adequa-
mente, contentandomi di ricordarne alcuni punti principali.
Erano ad essa venuti in dono i codici del vescovo Lamberto
Brum (2) ; nel 1431 , quelli deir Elettore Luigi (3) ; nel
1584, altri di Ulrico Fugger (4); l'Elettore Federico V
avea disposto nell'ottobre del 1621 che le fosse asse-
gnata , come già all' archivio di famiglia , una sede più
sicura dai pericoli della guerra (5); ed in vero nel giu-
gno dell' anno successivo erano stati riparati altrove tutti
(1) Leltera (1622, decembre 23) dell' Allacci , da Heidelberg, al
card. Ludovisi. Ms. cil. B. 38, e. 247^-^ (minuta autogr.); Theiner, Schen-
kung ecc., pagg. 63-64.
(2) Heller J. Zur Geschichie der Heidelberger Bihliothek (Sera-
peum, VI. Jahrg. (1845), pagg. 251-253.
(3) Catalogtis librorum quos dono dtdit Elector Aloysius Palatiaae
(ii^i) ( Commentationes Societatis Theodoro-Palatinae : lom. I, pagg.
406-420).
(4) HOFFMANN F. L. Ueber ein ìnventarium der Bihliothek Ulrich
Fugger 's vom Jahre i51i (Serapeum, IX Jahi^. (1848), pagg. 289-
300^ 305-309.
(5) U Rescritto dell'Elettore Federìgo al suo Cancelliere Giovanni
Cristoforo von der Gnìn ed ai Consiglieri di Heidelberg, e datum aus
Grauenhagen den Vis octobrisÀ^ 1621 », e la risposta del Cancelliere e del
Consiglio, € datum Haidelberg den 26 ocL A'' 1621 », stanno, nel loro
testo tedesco, nel Ms. cit. B. 38, e. 66r-t : e furono pubblicati dal Thelnek,
Schenkwig ecc., pagg. 4^, in nota.
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 275
i codici Fnggeriani, ed altri non pochi (1) per ordine del
Cancelliere Griin. Del resto quella storia fu narrata com-
piutamente dal Wilken (2), con minore larghezza dal
Fridrich (3), e dal Wundt (4) ; ed in speciali periodi il-
lustrata, 0 pubblicando singoli documenti confermata (oltre
che dal Theiner, dal Gessert, dal Bàhr, dal Quade, dal-
l' Heller, e dall' Hoffmann, già ricordati), ancora dair Hof-
fmann (5), dal Lebrecht (6), dal Mone (7), dal Ruland
(1) Di questi Godici il Catalogo, nell' originale tedesco e in una co-
pia latina sincrona, é nel Ms. ciL B. 38, e. 106'- 107^, e fu pubblicato
da! Theiner, Schenkung ecc., pagg. 77-78, Docum. XXII: io lo ripubblico
nel Documento IV.
(2) WiLKEN Federigo, Geschkhte der Bildung Beraubung und
Vemickiung der alien Heidelhergischen Biichersammlungen, Ein Bey-
trag, zur LtieràrgescMchte vornehmlich des funfzehnten und sechszehn-
ten Jahrkunderts. Nebst einem meist beschreibenden Verzeichniss der im
Jakr Ì8i6 vom dem Pabst Piu$ VII der Universitàt Heidelberg zu-
rwckgegeben Handschrìften und einigen Schriftproben. — Heidelberg,
Aug. Oswald, 1817. 12": con 2 tav.
(3) Friedrich A., Geschicht der nach Rom entfuhrten Heidelberger
BilAioihek, — Karlsruhe, 1716. 8*
(i) Wundt C. C, Programma de celeberrima quondam Bibliotheca
Heidelbergensi. — Heidelbergae, 1776. 4"
(5) IIOFFNANN Federico Lorenzo, Ein Verzeichniss von Handschri-
fien der ckemaligen Heidelberger Bibliolhek {Serapeum, Jahrg. XI, pagg.
161-173, 177-188, 193-202).
(6) Lebrecht F., Zur Geschichte der Heidelberger Handschrifien
in Rom fyeuer Anzeiger fiir Bibliogr. u. Bibliothekw., Jahrg. 1862,
N. 856, pagg. 365-370). Estratto dall'opera, dello stesso autore Han-
dschrifien underste Ausgaben des Babylonischen Talmud. Abth.I: Handsch,
(Berlin, Rosenthai und Co., 1862, 8^) ( Wissenschaftlicher Blàtter aus
fler VnUl Ephraim 'schen Lehranstalt in Berlin.)
(7) Mo.VE F. 1., Zur Geschicte der Heidelberger Bibliotheken (ZeiU
xhrifì fiir die Geschichte des Oberrheins, Bd. XIV. lift 2. (Karlsruhe,
Braufi, pagg. I'i2-li8).
276 CURZIO MAZZI
(1), da un anonimo (2) , e da altri che vedremo in se-
guito, più opportunamente (3): né vuoisi tacere che quando
l' inviato dei papa si presentò a prenderne possesso, già i
dotti italiani avevano conoscenza, per opera d'un erudito
italiano, Antonio Possevino (4), dei manoscritti greci di
cose sacre ed ecclesiastiche in essa Palatina conservati.
Ma lasciamo di nuovo parlare TÀllacci, che, nella mede-
sima lettera sopra ricordata prosegue: < E cosi, entrato
> dentro, rimasi alla prima quasi perso per la quantità delli
> libri e numero loro che pare infinito » : ed anche descri-
vendola più ampiamente, specie rispetto agli stampati:
< Essa è grandissima, e vasta di vaso, piena di scanzie
» e di libri, se bene con poco ordine; e chi la volesse
» condurre intiera, non basterieno cinquecento carri; e la
> condotta sarebbe superflua, per esser trenta e quaranta
» volte r istesso libro stampato neir istesso luogho, tem-
» pò e forma: che certo non posso imaginarmi a che
» efifetto si facesse una simil raccolta. É vero che di un
» auttore ristesse opere sono stampate in varij luoghi
» et anni e da diversi stampatori, e sarebbe cosa cnrio-
» sa r haver in una libreria insieme unite tutte V impres-
» sioni d' uno auttore ; ma V haverle a condurre da Hi-
> delberga a Roma, non riesce né la spesa né la fatica.
(i) R ULANO Antonio, Zur Geschichte der cdten nack Rom entfùhrten
Biblìothek zu Heidelberg (Serapeum^ Jahrg. XVII, pagg. 185-191. 193-
224, 225-235).
(2) Zur Geschichte der Heidelberger Bibliotkeca Palatina (Augsburge
Allgemeine Zeiiung. Beilage zu Nr. 30, pagg. <i37-i39, Nr. 31, pagg.
Ì47-Ì48,
(3) Vedi nelle ultime pagine.
(4) Heidelbergensis Bibliotkecae auctorum graece manoscriptorum ,
qui ad re^ sacras et ecclesiasticas periinent, Catalogus. A pagg. 92-125
deir Appendice al tom. lU neir opera Apparatus Sacri (Veoeliis, apud
Societalem Venelam, MDCVI. Voli. 3, fog.)
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 277
E di questi libri, si come non vi era ordine, cosi an-
cbora non era Indice che mostrasse il tutto ; ed il vo-
lerli confrontare sarebbe faticha di più e più mesi;
cosi scielgo il meglio, e quello che non mi pare a pro-
posito lo lascio: tanto più, che la metà di detta libre-
rìa contiene in sé tutto libri d' heretici e loro seguaci ,
e che dianzi molti havevano facoltà di levare libri a
gusto loro ; se bene non credo che manchino molti de'
manoscrìtti > (1). Pur tale abbondanza non lo smarrì,
né lo trattenne dal dare le prìme cure ai codici. « Con
tutto ciò », egli continua a scrìvere al Ludovisi, e senza
> perdervi tempo, considerando che nel portar li libri
> era più di bisogno poco peso e solecitudine che altro,
» mi diedi a rìcognoscere li libri scritti a mano di varìe
> lingue ; e vedendo che le coperte di tavola erano gros-
» se e, per li ferrì aggiunti , di peso grandissimo , non
> senza qualche faticha, ho levato quelle coperte che non
(1) Lettera (4622, decembre 23) dell'Allacci, da Heidelberg, al card.
LodofisL Ms. dt B. 38, e. 257t-2i8' (minuta autogr.); Theiner, Schen-
kung ecc., pagg. 64 e 65. — E forse nello stesso giorno 23 decembre
(U nÙDuta é sema data), scrifendo al card, di S. Susanna, diceva degli
stampati della Palatina, e Chi la potesse aver tutta in Roma come sta,
t sarebbe certo cosa nominatissima e di gran gloria, per esser d' uno
• (<fc) e deIl*istesso auttore tutte F impressioni in varie forme, luoghi,
» hngue, che sino adesso insiano state date in luce, se bene equa (sic)
> sono deU*istessa impressione, forma et anno, alle vuolte trenta e qua-
» ranta codici legati in un'istessa maniera, che manche li Hbrari che
i vendono Ubrì ne tengono tanti » . Onde, scelto il meglio degU stampati ,
000 potendo, per il timore della imminente restituzione di Heidelberg al
Palatino, scegliere egualmente i codici, né essendovi e Indice che possi
mostrar l'ordine o il contenuto », li ha presi tutti quanti, numerando i
btini in altra serie dai greci « poiché non havevano tutti numero parli-
Gobre > : e cosi U ha già incassati tutti di qualsivoglia lingua, soltanto
levando le tavole e i ferri ( e né a Roma bisognavano tanti legni » ; aveva
scrìtto e poi cancellò), in 61 casse. Ms. cit B. 38, e. 248^ (minuta autog.);
Carte Albcci, Filza CLIU, 1 1 (copia).
VoL IV, Parte I 18
278 CURZIO MAZZI
n mi parevano di molto conto; e cosi ordinati, postili
» nelle casse per questo effetto accomodate. E già ho
» piene di libri manuscritti casse sessanta una, che sa-
ì> ranno appresso pezzi tre milla : e poi ho cominciato a
» scegliere gli stampati, fra' quali non mancherà cosa da
> portarsi a Roma » (1). Se non che, dopo quel primo
stupore destato dalla ricchezza della Biblioteca, diminuì la
meraviglia in lui avvezzo ai tesori della Vaticana : onde in
una lettera air Alemanni dà questo giudizio della Palatina
e dell' ordinamento suo : « E per sua sodisfattione deve
> sapere che questa celebratissima bibliotheca non mi
» riesce né secondo la fama né secondo il credito che
> di lei da tutti s' era conceputo : e questo non per de-
» fetto di libri, che abondano d'ogni sorta in ogni ma-
» teria, ma per la pocha cura di quelli che (ne) hanno
» tenuto cura, e negligenza manifesta di bibliothecarij ,
» che in tanto tempo non sono stati da tanto di formar
ì> un Indice et ordinar questi libri; né parlo adesso delli
» stampati, dove pare che la colpa sia meno, ma de'
K» manuscritti e principalmente greci e latini, già che in
» essa (Biblioteca) non se ne può bavere una metrica
D notizia d' essi ; né mancho V huomo puoi bavere questa
» sodisfattione di saper quale sia il loro numero; ma
» ogni cosa si sia maneggiata alla cieca. Io equa dentro
ì> insin bora non ho possuto trovar Indice che mi gui-
jt dasse a cosa ferma, se non delli greci, delti quali io
» già ne portavo uno da Roma, dove minutissimamente
i> metteva il loro numero e li trattati che in essi si con'
» tenevano; quale me 1' ho trovato fìdelissimo a Monacho
(1) Lettera (1622, decembre 23) dell'Allacci, da Heidelberg, al car-
din. Ludovisi. Ms. cit. B. 38, e. 217^ (minuta autogr.); Theiner, Schenkung
ecc. pag. 64.
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 279
dove m' è occorso confrontarne alcuni (1). Il pigliarne
al presente nuovo Indice, e voler riveder e confrontare,
saria dì troppo lunga consideratione e maneggio; et
io ho pressa di partirmi, e portar meco quello che
si può portare, il resto lasciarlo. E cosi ho segnato li
libri greci manuscritti col loro numero, li latini con
uno nuovo, accominciando da uno, doi, e cosi segui-
tando insino che duravano; e questo numero servirà
per Indice: e cosi segnati, Tho già incassati. A Roma
poi, se Dio vorrà, con maggior cura si farà il loro In-
dice e si ricognosceranno ; perché equa non vi è tempo
da perdere, intanto che a me solo conviene far ogni
cosa, per esseme carestia del tutto. Non ha dubio che
babbino da manchar parechi , poiché , come io truovo
per ricevute, molti erano dati fuori a questo et a
quello, e molti il bibliothecario se n'haveva portati in
casa; li quali non si potranno ricuperare: li primi, per-
ché non si truovano quelle persone, ma son anchora
loro svaniti col Palatino; li secondi, perché quando fu
presa Hidelberga , li soldati posero sossopra ogni cosa
in casa del Grutero , e parte ne buttorno in strada ,
parte stracciorno, parte n' abbrusciorno. E per dir
quel che sento, io non credo che delli manuscritti
manchi gran quantità ; che delli stampati non mi si dà
noia. Vorrei poter haver V Indice pronto, per poterglielo
mandare ; ma non posso mandare quel che non ho. Se
pur V. S. Ill.ma però delli libri manuscritti greci vuole
più esatta cognitione, potrà legere F Indice di questa
(1) Quelli dal duca di Baviera fatti già trasportare da Heidelberg in
Monaco, e qui mostrati airAllaecì al suo primo presentarglisi. Vedi a
pa^'. ^71. Questo passo conferma che il Catalogo della Palatina di Heidel-
tier^% esistente in Vaticana e dato ali* Allacci nel suo partire da Roma,
<x>mpreiideva soltanto i codici greci. Vedi a pag. 265-267.
280 CURZIO MAZZI
> Bibliotecba stampato dal Possevino, il quale pocho o
> niente dififerìsce dall' Indice di questa Bibliotheca > (1).
In questo tempo il conte De Tilly rispose per lettera alle
sollecitazioni deirAUacci, che attendesse in Heidelberg a
mettere in ordine i libri, e comandò ai suoi ministri di
soccorrerlo, come ce n'era bisogno, poiché, egli racconta:
É cosa da non credere che in questa dttà cosi fiorita
altre vuolte, bora, per la guerra, non si truovi cosa nis-
suna: e prima si durò faticba di truovar li maestri, li quali
0 non intendevano o non volevano intendere il far
delle casse a modo che potessero due dì loro esser
peso sujQQciente a un mulo, perchè equa caricano in
altra maniera. Procurati li maestri, non ci erano ta-
vole; onde bisogno che si pigliassero le scantie della
Libreria : le quali non bastando , il sig. Decano (2)
diede delle tavole che nel castello servivano per fodre
delle camere del Palatino. Fatte le casse, non e' è né
pece né canavazzo ne corde per complir di saldar le
casse. Si mandò a Francoforti alcuni cittadini acciò faces-
sero la provisione ; furono presi da quelli di Fracandal
(Frankental) e posti carcerati; le dopo averli spogliati di
denari che arrecavano, vicino a quindici milla talleri (3),
ed ogni altra cosa, con gran difQcoltà li lasciomo an-
(1) Lettera (16^, decembre 23) dell'Allacci, da Heidelberg, probabil-
mente all'Alamanni. Ms. ciL B. 38, e. 255''-^ (minuta autogr. e senza nome
della persona cui fu diretta); Theiner, Schenkung ecc., pagg. 21-22.
Che nella Palatina non fossero Indici e Cataloghi é negato dal Bahr
nella sua recensione della monografia del Theiner; e da altri che scrìs-
sero di quella Bibliotaca.
(2) 11 Decano di Winfen e Governatore d'Heidelberg, cioè il prìncipe
Enrìco di Metternich.
(3) Questi denarì son troppi per la provviste di canavaccio, di pece
e di corde : dovettero in gran parte esser loro proprìi di questi cittadini,
forse mercatanti che andavano a Francofone ancora per loro traffici.
LBONE ALLAOCI S LA PALATINA DI HEIBELBERO 281
» dare: e però dì nuovo, già che quella vìa era inter-
» celta, si mandò a Spira; ma ivi non si trovò tanto
I canavazzo che potesse bastare a quaranta casse: però di
» nuovo si mando a Yuorm (Worms) anchora non son tor-
» nati. Insino il canape per far le corde s' è mandato a
» pigliar di fuori. Siamo ridotti a tale, che non vi è se
t non un aco grosso che chiamano sacorafe (?) ; né s' è
» possuto aver più in tutta questa città , per cucir (1) il
> canavazzo sopra le casse (2). » Nel fare le quali casse
di maniera che due fossero giusto peso per una soma,
com' è detto sopra , e non s' è possuto > dice egli in
altra lettera e in tutto servar questa misura, parte per
» il mancamento delle tavole, che non erano abastanti e
> bisognava che di quelle che fossero se ne servissimo
t come erano, o grandi o picciole, e cosi né mancho ba-
t stavano : onde mi bisognò che guastassi li dispartimenti
> di detta Bibliotheca, fatti di tavola e che la separavano
> dalla chiesa; e cosi in un istesso tempo ho soccorso
> me e restituito alla chiesa il suo pristino vaso, che era
» stato impedito da costoro per far questa Bibliotheca > (3).
Né a provvedere le tavole e le altre cose necessarie,
poteva sperarsi aiuto dalla presenza e autorità del conte
De TiUy; che anzi venne nuova come, cavalcando, eragli
caduto il cavallo: di che, senza averne gran danno, sen-
tiva forti dolori ai fianchi: onde l'Allacci dovette conti-
ci) Afeva scrìtto ancora: e e se si rompe bisognerà che si cusia con
li pontareDi •; ma poi cancellò.
(2) Lettera (i622, decembre 23) dell'Allacci, da Heidelberg, al card.
Ludovisi. Ms. cit B. 38., e. 247^ (minuta autogr.); Theiner, Schenkung,
pagg. 64-65.
(3) E seguita: e se bene é stato qualcheduno che mostrò di non
ha?erlo a caso: non me ne son curato, ho cercato il fatto mio ». Let-
tera (1623, aprìle 12) dell'Allacci, da ìfonaco, al card. Ludomi. Ms. cit.
a 38., e. 260^ (minuU autog.)
282 CURZIO MAZ2I
nuare, come poteva, a mettere in ordine le casse; « le
> quali bisogna che io solo le ordini col servitore per
> non poter truovar persona alla quale si possi rhuomo
> fidare, et in particolare a quello che appartiene alla
> Libraria > (1). Quella mancanza in Heidelberg d' ogni
cosa necessaria a far le casse per trasportare la Palatina,
pare anche a noi incredibile, come air Allacci: il quale
nell'essere in città nemica, di recente conquistata, e ve-
nuto per spogliarla d' uno dei suoi ornamenti più pregia-
ti, vedeva giustamente la cagione di tutto ciò, e l'additava
al cardinale di S. Susanna, augurandosi di trovarsi pre-
sto fuori degli inimici del papa e li quali arrabiano oggi
> più che mai, né ponno patire che questa Libreria s' ab-
> bia da levar di qui e condursi fuora, e poi in potere
> del Sommo Pontefice; e quando mi vedono, pare che
> vedano un orso o un leone; e sensibilmente, quando
> passo, li sento sospirare e dolere intrinsecamente, se
> bene all'esteriore bisogna che stiano savij > (2). De'
quali sentimenti furono eredi fin ne' tempi nostri coloro
che, scrivendo della Palatina, ne chiamano il trasporto a
Roma « Entfùhrung », « Beraubung », « Vemich-
tung » (3).
(i) Lettera (1622, decerobre 23) dell*Allacci, da Heidelberg, al cani.
LudoTisi. Ms. cil. B. 38., e. 247^-248 r (minuta autogr.); Theixer, Schenhutig
ecc. pag. 65. — E al card, di S. Susanna: e Io mi ritruovo equi in
penuria d'ogni cosa, né vale denaro né favore a poter haver cosa che
sia necessaria. In sin bora ho superato la metà; credo che supererò il
resto » : ripetendo che deve far tutto da sé per non sapere in chi fidar-
si. Lettera (s. data; ma probabilmente 1622 decembre 23) dell* Allacci, da
Heidelberg, al card, di S. Susanna. Ms. cit B. 38., e 248^249^ (minuta
autogr.)
(2) Lettera (1623, gennaio 12) dell'Allacci, da Heidelberg, al card,
di S. Susanna. Ms. cit B. 38. e. 254^ (minuta autog.); Theiner, Schen^
kung ecc., pagg. 67-68.
(3) V. a pagg. 261-62, 275-76.
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 283
Nel riporre i manoscritti nelle casse notava F Allacci i
latini con una numerazione a parte e con altra i greci, senza
un esame troppo minuto del contenuto degli uni e degli
altri, ma tenendo a riscontro l'Indice di essi portato da
Roma; non formava un vero e proprio Catalogo, ma un
semplice Inventario; li « ricognosceva >, com'egli ci ha
detto : e ci ha detto ancora che ai codici toglieva il peso
eccessivo delle coperte quando fossero di assi con ferra-
menti (1). Il quale < sgravamento delle coperte », ci
spiega, € è stato tanto necessario, poiché importava tanto e
» con l'occupar il luogho et il peso (poiché, se si fosse fatto
> altrimenti, saria stato impossibile la condotta), poiché im-
» portava tanto quanto li doi terzi delli libri che mecho con-
» duco. E per mia curiosità ho posto da parte tutte quelle
» coperte, per veder quanto luogho occupavano e quanto
» pesavano, e trovai che non bastavano mancho tredici carri,
» e fu giudicato che pesassero passa duecento centinara.
» Dove però la coperta non era di troppo peso, o haveva
» r arme del Palatino, o era fatta d' avorio o con fìgure,
> mi parse meglio di portarli più presto con le coperte
» che lasciarli : e di questi saranno stati pochissimi » (2).
Delle opere a stampa che sappiamo già essere un numero
grandissimo (3), ci dice essersi governato cosi: « Nella
» scielta delli libri stampati ho havuto riguardi alli authori
• più segnalati, alle materie più curiose, alle stampe più
> belle e pretiose, e se fra questi fosse alcuno stampato
> in carta pecora, che sono stati parecchi; et in quelli
» delli heretici, alli più antichi, li quali, secondo che mi si
» riferiva dall' istessi heretici, l'havevano più e più volte
(i) V. a pagg. 276-78.
ii) Lettera (1623, aprile 12) dell* Allacci, da Monaco, al card. Lu-
dofisi. Ms. cit. B. 38., e. 260^ (minuta autogr.)
<3) V. a pag. 276-78.
284 CURZIO MAZZI
> malati nelle altre edizioni: e dove in questi libri tro-
> vavo sottoscritto il nome dell'autore di propria mano
> che presentava quel libro o al Palatino o ad altra per-
> sona, perché pareva che quel libro havesse fede come
» se fosse l'originale dell' istesso autore, l'ho condotto
> meco; e di questi ho trovato assai. Li altri l'ho lasciati,
> insieme con quelli delli catbolici, acciò si abbia da ese-
> guire quello che se li ordinerà » (1). Dei manoscritti
invece non accadeva far scelta, perché s' avevano a tra-
sportare di preferenza e tutti; se non che averli tutti
quanti ne possedette la Palatina non era agevole impresa :
€ S' era pubblicato » , egli racconta, « che da questa lì-
> breria fossesì cavata una gran quantità di libri: ìnsino
» adesso non si conosce, et io ho havuto in poter mio
> alcune ricevute; e, fattone diligenza, mi si dice che
> quelli tali sono nove o dieci anni sono morti, o che
> erano forestieri et in questi disturbi (della guera) se
> la son colta e qui non hanno lasciato nissuno per loro.
> Però neancho in questo lascerò di fare il possibile e
> ricuperare quello che si può. Né in questo principio
> cosi subito si poteva conoscere simil mancanza, perchè
» fra li libri stampati erano inserti dimoili libri manu-
» scritti, sparsi in equa et in là, et bisogna che Thuo-
» mo , per rachoglier quelli , vada rivedendo tutti. Se
i> in questa diligenza mi sarà scapato uno, credo non
» mi sarà scapalo il secondo. Subito phe bavero finito
» d'accomodar le casse, men anderò al sig. conte De
» Tilli, acciò possa haver la commodità delli carri, che
> senza tal authorità e forza è impossibile >. Né tal ri-
cerca dei manoscritti concessi fuori di Biblioteca può
compirsi con agio, perché a tutavia si va dubitando della
(1) Lettera (Lettera 1623, aprile 12) dell'Allacci, da Monaco, al
card. Ludovisi. Ms. ciL B. 38., e. 259^ e 260'' (minuta autogr.)
LEONE ALLAOCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 285
restitutione (di Heidelberg); e chi può, porta via del stato
ciò che ha guadagnato > (1): meno male che, dei « parechi >
temati persi, altrove ci ha detto « se bene non credo che
manchino molti de' manoscritti » (2).
Le ricevute che V Allacci scrive d' aver avute in suo
potere erano, come chi dicesse oggi, il Registro del pre-
stito; due quintemetti a foggia di vacchetta, ne' quali la
stessa mano, che il Theiner dice esser quella del Grutero,
registrò dai 1589 al 1621, né sempre in ordine, i titoli
dei codici dati a studiare fuori di Biblioteca, e i nomi di chi
r ebbe , senza notar quasi mai la restituzione ; e Apocha-
rum et schedularum ad eas pertinentium super libros e
Bibliotheca Archipalatina mutuo acceptos Catalogus > ;
< Catalogus alter chirographorum et ad ea pertinentium
schedularum super libros Bibliothecae Archipalatinae aliis
commodatos » (3); e rimasti poi presso l'Allacci, sono tuttora
fra le carte di lui nella Yallicelliana, d' onde primamente
li pubblicò il Theiner ed ora li ripubblico io (4). I co-
dici, che appariscono dati a prestito anche in servigio di
librai editori, spesso non uscivano di Biblioteca se non
eravi un fideiussore ; due manoscritti arabi son dati
e obligatis 200 libris » ; ma, d' altra parte, la registrazione
del codice imprestato fatta soveute col solo numero di
esso, 0 col nome solo dell' autore, o col solo titolo som-
marissimo, appare oggi manchevole assai. Da ciò trae il
Theiner (5) una conferma della poca cura, notata già
(1) Lettera (1622, dicembre 23) dell'Allacci, da Heidelberg, al card,
di S. Susanna. Ms. cit. B. 38., e. 249'' (minuta autogr.)
(2) V. a pagg. 277, 279; ed anche 286.
(3) Ms. cit B. 38., e. 166'-17i.
(i) Theiner, Sckenkung ecc., Docum. XXV, pagg, 87-105. E qui
Docum. V.
(5) Sckenkung ec. pag. 2Ì-25.
286 CURZIO MAZZI
dall' Allacci e da Giuseppe Scaligero, ond'era governata
la Palatina; il che si nega dal Wilken (1) e dagli altri
contradditori.
Ma il soccorso sperato e invocato del conte generale
De Tilly era per giungere. A lui sarebbe andato incon-
tro r Allacci , se non n* avesse avuto certezza che fra
tre giorni verrebbe: e sebbene i tre di poco mancasse
che non diventassero tre settimane, per i grandi afifari
del conte, pur questa sua tardanza e il non essere andato
a cercarlo recarono questo benefizio, che, invece d' esse-
re dieci 0 quindici giorni perduti, egli ha quasi finito di
assettare i codici della Palatina, e meglio ha potuto esa-
minare ciò che incassava « e cercar meglio li ripostigli.
> D' onde m' è venuto fatto che io ho trovato molte ri-
> cevute (2), e qualche antichità, e, quello che più importa,
» alcuni originali di Lutero e di Melanchthone ; che se io
» mi fosse partito di equi, et andato vagando per trovare
» il sig. conte, senza dubbio non Fhaveria trovati. Con
» le ricevute, si spera di poter recuperare qualche
» cosa; anchor che pochi o nissuno si truovi di quelli
» scritti (3), e se vi è qualcheduno , dice che non
» può restituire, che li soldati hanno posto sottosopra
» ogni cosa. Questo è certo, che non si può perdere (sic),
B perchè s' userà ogni diligenza. L'antichità, è uno mazzo
]» di palme, secondo che io m'imagino, scritto antiche;
» ma io non so né che lettere siano le scritte , né
» che materia si contengano; un volume assai lungho
» scritto in lingua syriaca; un altro in lingua maronitica.
1» L'originale di Luthero sono alcune sue Lettere (e)
(1) Geschicthe ecc. pag. 150.
(2) Di coloro che avevano estratti Godici dalla Palatina.
(3) Delle persone registrate, scritte, come coloro ai quali erano stati
imprestati i codici.
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 287
> Prediche ; e' trattateli di Melanchthone sodo li Comen-
> tarìj sopra i Salmi sino al Salmo 50 » (1). Delle quali
scoperte l' animo suo di bibliotecario certo esultò , quanto
era contristato per quelli smarrimenti e non restituzioni;
nei quali non giurerei che in qualche parte non entrassero
1 desiderii pietosi di salvare in questo modo alcuno di quei
manoscritti dalla generale loro trasmigrazione, veduta con
dolore dai dotti, usati a valersi della Palatina. Finahnente
il conte De Tilly giunse davvero in Heidelberg ai 14
gennaio, la sera; e l'Allacci chiesta udienza, gli fu innanzi
il giorno appresso, a' di 15, dando parte dell'abboccamento
avuto col duca, mostrandogli una lettera di lui ricevuta
per corriere espresso: e « li presentai j^ (egli seguita,
rendendo conto al cardinale Ludovisi) « il Breve di No-
» stro Signore e le Lettere di V. S. lU.ma, e li esposi
• ampiamente la mente di Sua Santità, e sua (2), con-
> forme il tenor di esse: e m'allarghai nel mostrargli
> che per grande che sia il suo valore, noto a tutto il
> mondo, e la stima che della sua persona tengono e
> dell'obbligo che li hanno a nome della religione ca-
> tholica, non lo stimino niente meno per la sua singo-
» lare pietà Christiana e devotione; per la quale Sua
» Beatitudine l' abbracciava sotto la protettione delli santi
) Apostoli e di quella santa Fede, e li dava largamente
> la sua beneditione, e lo raccomandava alla Maestà Di-
» vina per benefìcio pubblico; e per alcun piccolo se-
» gnale di ciò, io li portavo da presentare alcune cose
» spirituali, che Sua Beatitudine li mandava. E cosi li
> presentai il quadro della Madonna, la corona d'agata
(1) Lettera (1623, gennaio 16) dell* Allacci, da Heidelberg, al card.
LudoTisi. Ms. ciL B. 38., e. 249^ (minuta autogr.)
(i) Cioè di esso cardinale Ludovisi, Camarlengo di Santa Chiesa e
Soprìntendente dello Stato ecclesiastico.
288 CURZIO MAZZI
» le quattro medaglie , due d' oro e dui d' argento , al-
> quanti agnusdei, et alfine il numero consegnatomi delle
» medaglie, acciò che col mezzo delli padri religiosi che
» sono nell'esercito le distribuisse fra li soldati e li
> esortasse a guadagnar V indulgenze ; e li diedi nota del-
> l'indulgenze che tenevano. Li soggiunsi, che, essendo
> inteso che esso desiderava certe gratie spirituali da
> Sua Santità, se si sapesse più in particolare il deside-
> rio suo, che lo consolarebbe prontamente per la pa-
> terna volontà che li porta. Indi, a nome di Y. S. Ill.ma,
» mi distesi con larghezza di parole, al possibile affettuose,
> nel renderli testimonio del suo desiderio di servirlo » (1) :
e nel particolare della Biblioteca, espose il già fatto e
quanto rimaneva da fare per condurla in salvo a Monaco.
Alle quali parole ed offerte rispose con pari effusione il
conte, dicendosi lieto di poter mettere per la Santa Chiesa
l'avere e la vita, riconoscendo dal cielo le vittorie otte-
nute, e che ben volontieri sentirebbe si trovasse nella
Biblioteca cosa di gusto di Sua Santità. Per ì libri e co-
dici dati in prestito, ordinò si ricercassero minutamente;
del modo migliore per trovar carri (cosa ben più impor-
tante , dacché delle opere a stampa imprestate n' esisteva
quasi di tutte altro esemplare in Palatina) conferì con al-
cuni suoi colonnelli, ed egli stesso, andando aRatisbona,
vedrà di trovarli per via, affinché non sia differita troppo
la partenza, quasi pronta, delle casse. Né tanta buona
disposizione del conte fu lasciata cadere; « ma essendo-
mi mostrata », egli continua, « nel castello la Biblioteca
» privata del Conte (Palatino), dove sono molti Ubri di
> molto buona, anchor che di non pretiosa, legatura, e
(i) Pare debba intendersi che scrivendo al card. Ludoyisi manda-
vagli copia della lettera del re di Spagna all'Infanta trattanti questa re-
stituzione d'Heidelberg.
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBEBO 289
> parechi libri mannscritti, belli et antichi, mi son sfac-
> ciato a domandargliela, per anirla con quest'altra; e
> m'andai si maneggiando nel mio parlare e raggioni, che
> mi concesse che la pigliassi > : e chiesti i ritratti dei
vecchi Conti e Contesse palatini che l' adornavano, per ri-
porli nella naova sede della Biblioteca in Roma, furono
concessi anche questi. Non senza sollecitazioni per parte
del De Tilly all'Allacci di far presto, perchè e equi tut-
tavia si va dubitando della restitutione > di Heidelberg:
€ et il sig. conte m' ha detto, che se questo succedesse,
1 sarebbe infalibilmente l' ultima ruina della religione in
> queste parti: et il suo desiderio sarebbe, che si come
i questa città è stata la principal causa di tutte T heresie
> di Germania, cosi anchora dovesse rimanere schola
> delli catholici , perché da questo solo dependerebbe
> l'estirpatione di tutte T heresie di queste parti. La so-
t spensione delle armi già è seguita, e levato V assedio di
» Fracandal, per ordine dell' Infanta : il quale {Franken-
> tal) non haverebbe havuto difficoltà di pigliar esso conte
> (De TiUy), né l' bavera, quando se li comanderà. Sono
» poi le copie delle lettere del re di Spagna all'Infanta
» sopra questo negotio. Cose che tutte accrescono la
» sospittione. Io, in ogni modo, lavoro come se s' bavesse
» da fare d' bora in bora questa restitutione; e mi sbrì-
» gherò prestissimo, se li carri non mi tratengono > (1).
(1) Lettera (1623, gennaio 16) dell'Allacci, da Heidelberg, al card.
l^oTisi. Ms. cit. B. 38, e. 249S 250" e 250^ (minuta autogr.). Curioso
é che TAllacci nel riferire in questa Lettera il discorso da lui fatto al
De TiDy usi quasi testualmente le parole stesse che nella Istruzione del
cardinale Ludofisi da?angli norme per quel discorso medesimo. — Con
qualche ditersità descrìve T Allacci al cardinale di S. Susanna questo
acquisto della Palatina privata e l'incontro suo col generale e conte De
filly; ii quale, espostagli l'ambasciata e Teduto il Breve del papa e la
Lettera del cardinale Ludovisi, e gradi sommamente questo officio e tanto
290 CURZIO MAZZI
La qual restituzione d' Heidelberg al Palatino, già dal duca
Massimiliano (1) ed ora dal conte De Tilly accennata nel
loro primo incontro con V Allacci come un pericolo
per il trasporto della Biblioteca con esortazione a far
presto, dovette essere sentita volentieri, se di « alcuni
comissarij spagnoli », giunti, come dicevasi, per trattarla,
annunziava l'Allacci di là, scrivendo « dalli cittadini sono
stati comodamente rigalati », tenendosi « per certo che
questo habbia da seguire »; sebbene egli non lo credesse,
non sembrandogli per quelle trattative quello il luogo,
€ dove non vi è persona che di ciò possa disponere »:
e conchiudeva « tutto questo è mio martire, mentre vedo
» che da un canto mi soprasta questa somma difiBcoltà,
» dall'altra non mi trovo modo né maniera di poterla Scan-
io zare. Sollecito, grido, importuno: non fo niente, che
» non vi è la commodità; che se ci fosse, l'haverei » (2).
Procacciante senza dubbio era il messo del papa, e lo
prova l'acquisto della privata Biblioteca Palatina, che non fa
senza contrasti e che dovette compiersi con qualche accorgi-
mento. Quando l'Allacci andò in castello a prendere i ritratti
concessigli, s'accorse d'essersi troppo indugiato: «troppo
» m'aggirai nelli quadri ; me li trovai manchi, perché uno
» il di innanzi era entrato e fattosene scelta: pure vidi
» che m'ha detto che io vedessi se vi era in questa città altro libro
» che giudicasse che dovesse esser di gusto a Nostro Signore, che lo
» pigliasse; ma qua (soggiunse) non è scappata né coperta né libro, ma
» tutti sono andati per fiamma e fuoco. » E T Allacci, veduta € simil
prontezza », pigliò ardire e chiese i libri, i manoscritti, i documenti ed
i ritratti che erano nel castello del Patatino, e li ottenne. Lettera (16i3,
gennaio 17) dell* Allacci, da Heidelberg, al card, di S. Susanna. Ms. cit.
B. 38, e. 20 i' (minuta autogr.)
(1) Ved. a pagg. 271. 277 (in nota), 285, 289: ed anche a pag. 26S.
(2) Lettera (1623, gennaio 12) delFAllacci, da Heidelberg, senza in-
dirizzo. Ms. ciL B. 38, e. 254 r-^ (minuta autogr.)
LEONE ALLAOCI B LA PALATINA DI HEIDELBERO 291
» alcune teste d' imperatori, che a me mi parevano assai
» buone e belle; e potria essere che mi gabassi, perché
» non me n' intendo di pittura » (1). Costui tentò ancora
di fare il tiro della libreria , com' eragli riuscito per i
quadri: « Questo tale domandava anchora le chiavi della
» libreria ; ma chi Y aveva , istrutto cosi da me , disse
> che rhaveva il servitore del sig. conte, il quale al-
» rhora non era in Hidelberga; e cosi la scapammo,
> insino che venne il conte, il quale mi la concesse > (2).
Chi fosse quest* « uno » e « questo tale », non appari-
sce ; ma si può affermare che dovette essere un fido del
cavaliere Vittorio Gigli; il quale lasciato in Heidelberg
apposta per questa faccenda della Palatina, non se ne
dette poi alcuna cura (sicché dovettero prendersene pen-
siero il governatore di Heidelberg Enrico di Metternich,
ed il vescovo di Spira Giovanni Cristoforo von Soetern),
e r acquisto della Palatina privata contrariò apertamente
finché potè, mancando all' aspettazione che di lui si aveva
in Roma, ed alla fedeltà verso il conte De Tilly, del quale
egli era uno dei segretari : tutto ciò con meraviglia grande
e forse scandalo del buon Allacci, che avevagli portato
un Breve di Gregorio XV ed una collana da parte del
Camarlengo di Santa Chiesa, cardinale Ludovisi (3). Della
(1) Lettera (1623, gennaio 16) dell^Allacci, da Heidelberg, al card.
Ludovisi. Ms. ciL B. 38, e. 25(K (minuta autog.) E nella lettera (dei 17
gennaio) al card, di S. Susanna, qui sopra citata, dice di questa privata
Biblioteca: e Lì libri sono in mio potere e già si fanno le casse; delli
quadri un di inanzi non so chi haveva fatto scelta. »
(2) Lettera (1623, gennaio 17) dell' AUacci, da Heidelberg, al card,
di S. Susanna. Ms. cit. B. 38., e. 204' (minuta autogr.)
(3) LeUera (1623 gennaio 17) dell'Allacci, da Heidelberg, al card,
di S. Susanna qui sopra citata. Che se ci dice in questa T Allacci, nes-
suno aver contrariato per la Biblioteca e i quadri di castello tranne
esso Vittorio, tirando in lungo la faccenda Ono all'arrivo del conte,
anche per la Biblioteca pubblica si portò cosi di mala voglia da non la-
292 CURZIO MAZZI
Libreria in questo modo salvata dava poi rAllacci infor-
mazioni cosi : « Quanto più vo mesticando (sic) la Biblio-
» teca privata del Palatino tanto più trovo libri manu-
» scritti, che, se non saranno di tutta sodisfatlione ,
» perché la maggior parte è in lingua germanica, non
» però saranno ingrati; tanto più che credo che siano
> cose che appartengono alla casa loro. Io piglio ogni
» cosa; anchora le Bulle loro, anchor che non para che
» appartengano a questa Sedia. Ho trovato solo uno
» Breve di Leone Decimo al Palatino in racomandatione
» del Gaietano, e lo porterò; cosi anchora se trovo al-
sciarsi tro?are quando Topera sua sarebbe stata utile, o, colto all' im-
provviso, si partiva con la scusa di negozi urgenti: cosi che fu ventura
se non ci fu mai propriamente bisogno di lui; che ora, dopo molte ri-
chieste e dopo avuti quei regali, non ha per anco scritte le risposte al
papa e al cardinale Ludovisi; né le scriverà, dicendosi che si partirà dal
signor conte. Le quali cose protesta di scrivere l'Allacci affinché si sap-
pia e chi in questo negotio m' ha agiutato e chi non; et alle volte quanto
siano vere le relationi », meravigliandosi come e il signor Crivelli habbia
fatta quella informatione in pregiudicio di quelli che veramente s'impie-
gorno in servizio del Nostro Signore. » Benemeriti davvero son stati il
conte De Tilly, che, nella presa dlleidelberg, pose guardie e sentinelle
alla Biblioteca, ed il governatore Enrico di Mellemich dandosi cura di
suggellarne le porte, come ora attende a far rìcercare i hbri e codici
dati in prestito, in ciò aiutato dall'altro segretario del conte, Guglielmo
Yberlin, che attende anche a scrivere tutti gli ordini opportuni. Anzi lo
zelo del Metternich nel provvedere per la condotta della Palatina fino
alle più piccole cose, e canavazzo, pezze, stuppe per far le corde », oltre
le tavole per le casse ed i carri, é tale, come V Allacci scrive in altra
lettera al cardinale Ludovisi (1623, gennaio 16: Ms. ciL B. 38, e. ^oO'';
minuta autogr.), che ben merita d'essere (secondo il desiderio dello ste4^
conte De Tilly) da esso cardinale favorito presso il papa; poiché nella
conquista del Palatinato ha fatto più egli solo con l'arme e la prudenza,
che molti e molti altri: sicché di quello stato si rimetteva interamente il
maneggio a lui: uomo nobile e parente, anzi nipote, dell' arcivescovo di
(Treveri?), benevolo verso la Chiesa, educato già nel Collegio Germanico
in Roma.
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBEBG 293
» tro » (1). E deve aver trovato, dappoiché pochi giorni
appresso scrìveva al cardinale Ludovisi della medesima
Biblioteca Palatina privata : « non posso dir quanto gusto
» sento d*haverla chiesta e havuta, tanto ci ho trovato delli
» manuscritti, e di cose anchora che rilievano, ho trovato
» assai più di quello che m' imaginavo; e Iddio sia quello
» che mi feliciti per V avenire, come in questo m' ha fatto
» somma gratia » (2). Dei ritratti esistenti in questa pri-
vata Biblioteca, dopo che altri ebbe fatta la scelta rac-
contataci sopra, osserva : « io non ho trovato cose a mia
soddisfattione » (3) ; pur nonostante quelle teste d' impe-
ratori, che parevangli buone e belle, lo tentarono; onde
seguita a dirci « provai staccharne una dalla cornice per
» avvolgerla, e subito per T antichità la tela si rompeva
» in minutissimi peseti, come se fosse hostia; e cosi mi
» risolsi a lasciarle: pigliarò però alcuni Palatini veo^hi,
» e li primi di questa casa, li quali credo che non fa-
» ranno simìl effetto, e sono curiosi da vedere per la
I due fratelli Gigli, Aurelio, banchiere in Ratisbona, e Vittorio, ai
servigi del conte De Tilly, dovettero fin dal principio aver olTerta Topera
loro, come apparisce da una risposta (162!2, decembre 24: Carte Allacci;
Filza CXXVl, 8: copia) del card. Ludovisi ad Aurelio d'accettazione e di
ringruziamento per le proflerte d'aiuto da darsi in Germania all' Allacci,
che a quel giorno già era là.
(1) lettera (1623, gennaio 17) dell' Allacci, da Heidelberg, a Sci-
pione Gobelluzzi, card, di S. Susanna. Ms. cit. B. 38., e. ^Oi' (minuta
autogr.)
(2) liCttera (1023, gennaio 26) deirAUacci, da Heidelberg, al card.
Ludovisi. Ms. cit. B. 38., e. 250^ (minuta autogr.) — Aveva scritto e e
di cose anchora che rilievano e che qualcheduno di questi prìncipi biso-
gnerà che le domandi a Nostro Signore. Ho trovato assai t Poi
cancellò.
(3) Lettera (1623, gennaio 17) dell'Allacci, da Heidelberg, al card.
<li S. Siisimna Ms. cit. B. 38., e. 204'' (minuta autogr.)
VoL IV, Pane ! 19
294 CUKZIO MAZZI
» varietà dell' habiti » (1). Alcune dì qaeste tele adun-
que furono riposte insieme con i codici e i documenti,
nelle casse preparate per il trasporto a Roma: ed il do-
lore che n' ebbe il vinto principe, il quale, perduto già il
ducato, vedeva ora trafugate e disperse le memorie degli
avi suoi, non intese l'Allacci o poco generosamente lo
scherni, quando riferiva: « pubblicamente si dice che il
» Palatino arabbia più per la perdita di questa libreria
» che di tutto il resto del stato, non potendo patire che
> s'habbia da condurre a Roma » (2).
Ma la buona ventura accompagnava l'Allacci in questa
sua commissione germanica. Era anche allora in Heidelberg,
oltre le due fin qui ricordate, una Riblioteca nella Uni-
versità 0 Sapienza (3), ricca di manoscritti antichi e pre-
giati ; fra i quali i settantasei eh' ei ne scelse, e, per opera
del conte De Tilly, come dice il Theiner (4) e com' è pro-
babile, ebbe, ci appariscono anch' oggi nella nota allora
compilata (5) : e l'Allacci, tacendo della cooperazione del
conte in questo particolare e invece accennando a trat-
tative non brevi, cosi ragguagliava del suo nuovo acqui-
sto: < Nella Riblioteca di questa Accademia ho trovato
» alcune scritture vecchie, in doi tomi in foglio, che tutte
(1) Leltera (1623, gennaio 16) dell'Allacci, da Heidelberg, al card*
Ludovisi. Ms. cit. B. 38., e. 250^ (minuta autog.)
(2) Lettera (1623, gennaio 26) dell'ÀUacci, da Heidelberg, al card.
Ludovisi. Ms. cit. B. 38., e. 250^ (minuta autog.)
(3) Mone F. L, Zur Geschichte der Heidelberger Bibtiotheken (cit
a pag. 275.) — Zwei Dokumente zur Geschichte der Heidelberger Uni-
versitatsbiblioiek (Neuer Anzeiger fur Bibliogr. und Bibliotekw. Jahrg.
1864. N. 838, pag. 324-328).
(4) Theiner, Schenkung ecc., pag. 38.
(5) Ms. cit. B. 38, e 145^—147' (originale); e Carte Allacci, Filza
GXXVII, (copia). Pubblicata dal Theinek, Schenkung ecc. Docum. XXIII,
pagg. 78-81. E qui ripubblicata, Doc. VI.
LEONE ALLAOCI E LA PALATINA DI HEIDELBERO 295
> appartengono o sono Atti del Concilio Basilense o Gon-
> stantiense ; che se bene non è V originale , pare però
> cosa degna per la saa antichità. E cosi ancora ho trovo
> alcuni altri libri manoscritti e sono alquanti; li quali
» non so se li potrò bavere : non mancherò però di pro-
> curare, e già ho cominciato a trattare questo negotio;
» et in loco di quelli libri, li darò altri tanti duplicati
» delli libri stampati che io bisogna che lasci qui, li quali
> però saranno dei catolici ; che delli heretici, anchor che
> a loro non ne manchino, non mi pare cosa giusta di
» fargliene copia > (1). Ma più largamente ancora, in una
posteriore lettera al cardinale Ludovisi, parlava di tal nuovo
acquisto, dicendogli : e Con questi libri della Libraria Pa-
» latina venghono anchora i libri manuscritti del Collegio
> della Sapientia, che sono stati parechi et antiquissimi :
» li ho acquistati non senza qualche travaglio, perchè bi-
» sognò che io negotiassi con li professori di quel Studio
» e con r Università d' Idelberga, la quale n' era patrona ;
» tutti calvinisti pessimi, et atroci inimici del nome pon-
» tificio, e che già arrabiavano per quell'altra che se li
> levava. Me l'hanno dati, ed io in ricompensa del ser-
» vitio fatto li ho dati altri libri stampati della Libraria
> publica, li quali mi conveniva lasciar in Hidelberga, e
» di pocho conto. Siamo rimasti tutti doi contenti cosi:
> io con li manuscritti, quelli con li stampati. Mi dispiace
» che non habbia possuto liaver nova d' altri libri manu-
> scritti in quelli paesi, perché mi dice l' animo che l' ha-
» verei impetrati dalli patroni : il tempo e la solecitudine
» non mi concedeva mancho più » (2;. Delle trattative con
ì professori serba forse traccia anche la nota dei libri a
stampa dati in cambio dei codici ; la quale registrandoli in
(1) Lettera (1623, gennaio 27) dell'Allacci, da Heidelberg, al card,
dì S. Su^nna. Ms. cil. B. 38., e. 250.r-t. (minuta autogr.)
(2) Lettera (1623, marzo 7) dell' Allacci, da Monaco, al card. Lu-
dotisi. Ms. ciL B. 38, e. 257^—258^ (minuta autogr.)
296 CURZIO MAZZI
serie diverse, per sesto, si rifa dagli ìd folio ; quasi una se-
conda nota d'aggiunta per riuscire nell' intento (1): e, messa
a confronto con l'altra dei manoscritti ottenuti, ci rivela qual
buon affare sapesse conchiudere V Allacci con i libri « di
poclìo conto » ceduti. Cosi egli aveva oramai raccolto un
bel numero di codici e libri: onde più tardi, compiuto
già il trasporto, potè dire, con un certo orgoglio, che par-
tito da Roma per andare a prendere una biblioteca, n'a-
veva invece condotte tre (2) : due Palatine, la pubblica e
la privata, e questa della Sapienza. Dei volumi per tal
modo venuti in sua mano, sembra che avesse una certa
libera disposizione, sebbene dalle Istruzioni ricevute in
Roma non apparisca. Ai 12 febbraio di queir anno me-
desimo 1623 lascia in deposito presso il governatore
Enrico di Metternich , senza dircene la ragione , otto
libri di canto corale, cioè due Antifonarii, tre libri di
Responsori , uno della Passione dì Gesù Cristo , altro
delle Lezioni dei Morti ed altro di Prefazioni (3) : e nello
(1) Questa nota é nel Ms. cit B. 38, e. 153' — lòS**; e la riferisco
nel Docum. VII.
(2) Lettera (16i23, marzo 12) dell'Allacci, da Monaco, a Niccolò
Alamanni. La riferisco più innanzi.
(3) La ricevuta oiiginale con la firma autografa del Metternich, é
nel cit Ms. B. 38., e. 72^
€ Fateor ego infrascriptus me a reverendissimo domino Leone Ailacio
» subseipientes cantus choralis libros quinque in folio pergamene maiori
» et tres in simili folio minori conscriptos ac subscriptione propriae manus
» et sigilli praefati domini Leonis Allacij signatos, in deposito accepisse:
) scilicet duo Antiphonaria, tres libros Responsoriorum et versiculorum,
» librum unum Passionis Christi, unum Lectionum mortuonim, ac unum
» Praefationum ; quos eidem vel Summo Pontifici, quando libuerit, resti -
» tucre sum paratissimus. In fìdem hoc loco recognitionis subscripsi ac
9 sigillo meo munivi. Actum Heidelbergae 12 februarij anni 1623.
(l. s.) Henricus a Metter-
nich prò tempore
locum tenens
Heidelbergensis. »
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 297
Slesso giorno dona a Gottardo Voegelin, libraio e stam-
patore in Heidelberg, nn opuscolo chinese a stampa di
trentadue fogli (1).
I codici cosi raccolti erano dall' Allacci registrati, egli
stesso ce l'ha detto, con nn numero progressivo, sepa-
ratamente i greci dai latini; alleggeriti delle pesanti co-
perture in asse, se non avessero pregio artistico o storico
per il manoscritto; e riposti per il trasporto nelle casse
formate in gran parte con gli scaffali della Palatina stessa
e con le tavole che nel castello di Heidelberg rivestivano
le pareti nell'abitazione del vinto Elettore. Né le sole
casse parvero custodia sufficiente, rispetto alla lunghezza
del viaggio ed alla delicata qualità di ciò che trasporta-
(1) La oscura rìceTula scritta tutta di pugno del Voegelin, e con la
testimoDÌanza autografa del Metternich, è nello stesso Ms. B. 38., e. 105':
e Gotthardus ego Voegelinus, Glectoralis Palatinatus typographus et
bibliopola Haidelbergensis, hac propria scripturae manus meae, coram
magistratu et Gubernatore metropolis huius nobilissimo ?iro domino
Heinrìco a Metternich, domino meo perquam clemente, ostensa et
exarata, generoso domino Leoni AUatio, posteaquam is notitià sui me
dìgnatus est, in grati animi et obsenrantìae signum, e librorum post
captam nuper hanc melropolim mihi superslitum reliquiolis, dono de-
disse libellum grandioribus characteribus quos tamen interstringuunt
minutiores, lingua, chartà atque typo Chinensium editum, et olim a me
cum aliis sui sirailibus Francofurti ad Moenum in mercatu comparatum,
qui contioet folia integra coHigata triginta duo, cum dimidio quod prae-
cedìt folio non impresso. In doni huius et dictura librum nec domino
AUatio nec mihi aliunde esse, fidem atque testimonium sincerum, haec
manu mea scrìpsi, eademque nomen etiam meum subscripsi, et sigillum
familiae meae haereditarium appressi. Actum Haidelbergac XII februarii
A.* MDCXXIH.
(L s.) (l s.) Gotthardus Voegelinus
Haic me donatiooi simul ac manu propria
traditioni me interfuisse
(ateor ego Henrìcus a Met-
ternich. t
298 ctmzio mazzi
vasi : di che 1* Istruzione del cardinale Ludovisi parlava
chiaramente (1), ed ebbe esecuzione per quanto fu possi-
bile. € Le casse > ci dice l'Allacci, < le volevo vestire
> col canavazzo impegolato : ma non lo trovando, né es-
> sondo commodità di farlo di nuovo per mancamento
> della resina e della pece ; e quando fosse stata la com-
> modità, la spesa era intolerabile, che non mi bastavano
» seicento o sette cento tolleri; col consiglio di qualche
> praticho, s' è risoluto intomo intomo alle casse far un
» strato di paglia lunga, alto tre o quattro detta (dita), e poi
» cuscirvi su il canavazzo e legarlo con fune forti, e cosi
> sarebbon state assicurate dair acqua : nondimeno s' è
» usato questo, che dove le tavole pareva che non s' u-
» nissero bene, si poneva la stuppa e sopra quella la pece.
» M' hanno assicurato che questo basterebbe ; e da quello
> che ho visto insin bora, a me pare che basterà. S'an-
sa derà rimediando di mano in mano, secondo il bisogno.
> Le casse piene sempre stavano in libreria insino che
> fossero inchiodate, il che si faceva in mia presenza e
> da uno solo, non volendomi in questo fidar d'altri:
» cosi poi si calavano giù nella chiesa, si rimettevano
» dentro in una cancellata di ferro indietro il choro, et
» ivi s' accomodava il resto , non permettendo che
» vi entrasse nissun altro se non il maestro et un sol-
» dato che T agiutava » (2). Cosi tutti i manoscritti , e
dei libri a stampa quelli trascelti, presero il lor posto entro
le casse, e queste furono apparecchiate al lungo viaggio.
Della Palatina rimaneva tuttavia la restante parte degli
stampati, che sappiamo esser grande quantità, pur com-
presi anche questi nella donazione, ma che l'Allacci cre-
(1) Vedi Documento lì.
(2) Lettera (1623, aprile 12) dell* Allacci, da Monaco, al card. Lu-
dovisi. Ms. cit. B. 38., e. SGC (minuta autogr.)
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 299
dette di non dovere o di non potere trasportare; dei
qaali non è parola alcuna nelle Istruzioni note. Frattanto
però altri ordini circa questo particolare erano spediti da
Roma, e il loro tenore ci si fa noto in una risposta del-
l'Allacci al cardinale Ludovisi: « Alli 9 del presente
» (aprile) per via di Ratisbona mi sono state mandate
» due di V. S. Ili»»; l'una delli 4 di febraro l'altra delli
» 11. Ho letto attentamente tutto quello che mi s'ordi-
» nava, e fattone reflessione, per potermene poi valere
» neir occasione (1). Quando ero in Hidelberga, più volte
» col sig. Governatore consultamo sopra questo negotio,
» di quello che s'havesse da far delli libri heretici; e
» convenivamo in questo d'abbruciarli; e già si sarebbe
» eseguito. Ma vedendo la malvaggità de' cittadini et il
» non potersi in tutto fidar nelli soldati, la maggior parte
» delli quali erano heretici, giudicamo meglio per allhora
» il trattenersi: tanto più che a me, mentre tenevo anchora
» la libraria in Hidelberga, non riuscivano (sic) li tumulti
» per ogni cosa che potesse nascere; et io, per dir la
» verità, non volevo che altri havesse pigliato esempio et
> havesse tentato nelli miei libri quello che io tentavo
» nelli altri; il che sarebbe stato cosa facile perché li
» libri bisognava che stessero in chiesa per non capir
» nella sacrestia; et erano più pericolosi per la paglia
» che li era legata intorno. E questo fu il maggior trava-
» glio che mai m'habbia havuto in queste parti, non solo in
» Hidelberga, ma anchora nel viaggio quando tornavo, il du-
» bio che qualcheduno non li desse fuocho: e cosi più vuolte
» di notte (2) andava per visitarli. Adesso che sono assi-
(1) Seguiva: e In alcuna cosa non sono più a tempo; come a far
1* incendio delli libri heretici. » Poi cancellato.
(2) Areva scritto: e di notte mi levavo dal letto per visitarli. » Po
cancellò.
300 CURZIO MAZZI
» carati questi (1), si può ordinare dì quelli altri quello
» che comanderà V. S. Ilh% che V eseguirò ; perchè io
» non li ho consegnati in poter di nissuno acciò n' habbia
» a disponere, ma sigillate tutte le porte {della Biblio-
» teca) (2) col mio sigillo, ho consegnate le chiavi d'esse
» al sig. Governatore che le tengha ad instanza di Nostro
» Signore. Mi duole non haver possuto esser istromento
» di questo incendio in honor d' Iddio ; se bene mi con-
» solo che quelli che ho lasciati li ho talmente strapaz-
» zati, delli legati parlo, e posti in confusione li sciolti,
» che non pare più libreria, ma mina: ho mandato a
» male dei libri sciolti delli heretici, che essi da tutte le
» parti del mondo andavano raccogliendo e che non ha-
» vevano havuto tempo da farli legare, passa la valuta
» di trenta miUa tolleri; tanti ne erano ! e lì ho talmente
» aconci che sarà impossibile che mai più se ne possa
» mettere uno insieme : et in questi freddi eccessivi, molti
» delli legati (3) di di e di notte m' hanno tenuta calda
» la stufa. Di queste carte disperse, n'ho data una buona
» parte a molti soldati, per quando carìchano li loro mo-
» schetti. Delli manuscritli, o sia stalo d' heretici o de' ca-
» tholici, non è andato a male nissuno; ma tutti se ne
» vengono alli piedi di Nostro Signore, acciò sentano la
» loro sentenza. Et in questo n' ho havuto gusto parti-
(1) Cioè i libri incaminati verso Roma, e giunti in Monaco d*onde
egli scrive; compiuta già la parte prima del viaggio e la più pericolosa,
perchè attraverso un paese di nemici e di non cattolici.
(2) E subito dopo partito da Heidelberg scriveva al conte De Tilly:
e Le porte della Libraria V ho tutte sigillate col mio sigillo, e consegnate
» le chiavi al sìg. Decano, acciò possano servir a qualsivoglia ordine. >
Lettera (1623, febbraio 17) dell' Allacci, da Neckarsuhn, al conte De
Tilly: Ms. cit. B, 38., e. 21 It.
(3) Aveva scrìtto: e molti delli legati e con le loro coperte, t Poi
cancellò.
LEONE ALLAOCI E LA PALATINA DI HEIDELBERO 301
» colare perchè si vede T infamia di questi manigoldi: io
» credo che in lingua italiana o in latina poche Pasqui-
» nate siano fatte contro la chiesa o contro il Sommo
» Pontefìce che non siano state raccolte equi : l' ho poste
» tutte insieme e se ne vengono a Roma; cosi anchora
» molti e molti avisi, e molte lettere, le quali F ho trovate
» non solo nella Bibliotheca pubblica, ma nella privata
» del Palatino (1).
II
Questa dunque, descritta da colui stesso che loro
la fece, si fu la condizione dei rimanenti stampati della
Palatina non trasportati a Roma, che il Theìner sulla trac-
cia d' una lettera dell' Aldringer dice dati in dono ai frati
Francescani (2). Per gli altri da trasportarsi e per i ma-
(1) LeUera (1623, aprile i2) dell' Allacci, da Mocaco, al card. Lu-
dovisi. Bfs. ciL B. 38., e. 259.t (minuta aatogr.)
(ì) Srkenkung ecc. pag. 27. Dove descrìve T Allacci intento alla
scelta delle opere a stampa della Palatina e deren Masse, nach seiner
» Aussage so gross war, dass sie allein Qber 500 Frachtwagen anfuUen
» wurden, hatten sie alle mitgenommen werden mQssen » : onde preso il
meglio, e doch weil es meistens Werke der Reformaloren warcn, so liess
• sie Abcci zQruck. Eine bedeutcnde Anzahl dieser zuruckgelassenen BQ-
> cher verschenkte er auf Aldrìngers Gesucht an mehrere Franziskaner-
» kfóster der Urogegend. » E rìmanda ai Docum. Vili ( lettera dell* Al-
lacci al car. Ludovisi: 1622, decembre 23), IX (altra dì lui ai card, di
S. Susanna: 1623, gennaio 12), dei quali mi sono già valso, ed al Xll
che é una lettera di Giovanni Aldrìnger (1623, gennaio 28: di casa)
airAllacci, cui scrìve e io la supplico di favorìre i Padri di S. Franc&sco
con alcuni librì acciocché vegghino che la mia intercessione abbi trovato
luogo 1 (Carte Allacci, Filza CXLV, 4: copia). I quali librì, se furon
dati, il che non apparisce, furon certo di cattolici, dopo che dì quelli
degli eretici non aveva voluto dame l'Allacci neppure alla Sapienza di
Heidelberg in cambio dei codici che n'ebbe. Vedi a pag. 295.
30^2 CURZIO MAZZI
noscritti , che farono tutti quanti n' aveva la Biblioteca,
era un primo passo averli registrati e riposti nelle casse ;
un piccol passo, rispetto alla lunga via da Heidelberg a
Roma. Né tra le varie vie scegliere la migliore e il più
adatto modo di trasporto, che in gran parte dipendeva
dalla via scelta, fu agevol cosa. Dapprima si fu incerti,
se cominciare il viaggio per acqua o per terra; poiché
non si trovava carro e in sorte alcuna », e per acqua non
si poteva essendo gelati i flumi; ed anche potendo, bi-
sognerebbero poi sempre i carri e si troverebbero più
difficilmente, finito il viaggio per acqua: pur l'Allacci
confidando che a ciò provvedere il conte De Tilly si la-
scerà guidare da lui e dagli altri pratici del paese ; dacché
« tutti si confrontano con l'opinione del sig. duca di Baviera,
» che è condurla per via d' Herbipoli ( Wurtzburg), poiché
» si passa per meno paesi d' inimici , se bene non in
» tutto; e si cercherà d'andar con la guardia che pa-
» rerà necessario che quando la Libreria poi si
» conducesse a Monacho, secondo tutti affermano, saria
» secura, et io cercheria poi indrizzar il camino a Roma
» sempre per paesi delli Austriaci * (1). E il Tilly, ap-
punto giunto in Heidelberg, nel primo colloquio con l'Al-
lacci ebbe a confessarli che il trasporto delle casse era
molto arduo, si per la difficoltà di trovar carri, si per le
strade cosi triste, dove i carri affondavano senza potere
andar innanzi, come spesso era accaduto nel condurre le
artiglierie : onde, chiamati a consiglio anche alcuni colon-
nelli, fu stabilito di scrivere a Spira e a Magonza per
aver carri ; di mandare nelle città, ancorché non soggette,
e indurle a darli, o prenderli a forza; di promettere a
(1) Lettera (1622, decembre 23) dell* Allacci, da Heidelberg, al card.
Ludovisi. Ms. cit. B. 38; e. 248/ (minuta autogr.) Theiner, Schen-
kung ecc., Docum. VUI, pag. 66.
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 303
quelli del Wùrtemberg che portaDdo le casse dei libri a
Monaco, ivi poi avrebbero facoltà di caricar sale nel ri-
tonio, sebbene di ciò ne fosse già parola con quelli che
trasportavano le artiglierie, che son passa cento carri,
mentre per la Biblioteca ne bisognavano forse trenta. In-
tanto il conte stesso andando a Ratisbona, vedrà, per via,
di trovar carri, e solleciterà il duca. Mentre T Allacci, che
già quasi è in ordine, se niente si sgelerà il Neckar, man-
derà le casse contr' acqua a Wimpfen dove si deve fare
la radunata dei carri, là dove, sebbene città imperiale, ri-
siede un presidio del duca di Baviera, come in tutti i
paesi circonvicini (1). Dei quali carri era « tanta carestia,
» che per parecchie e parecchie miglia d' intorno non se
» ne può veder uno, anchor che si volesse caricar d'oro
» e donarlo al padrone > ; sebbene non si manchi « di
» far la diligenza per trovarli e con minacce e con altri
» modi, che cosi ha ordinato il sìg. conte » (2). L'Allacci
stesso non si stava inoperoso. Ai 17 gennaio egli scriveva
a Filippo Cristoforo von Soetern vescovo di Spira (3) e
allo stesso duca Massimiliano (4), chiedendo la loro coo-
(1) Lettera (1623, gennaio 16) dell'Allacci, da Heidelberg, al card.
Ludovisi. Ms. cit. B. 38, e. 250/ (minuta autogr.).
(2) Lettera (1623, gennaio 17) dell'Allacci, da Heidelberg, al card,
di S. Susanna. Ms. cit. B. 38, e. 201.' (minuta autogr.). E si lamenta,
che già sarebbe fuori di Heidelberg se non fosse questo impedimento
dei carri, nato dair esser tutti in servigio del duca per condurre le ar-
tiglierìe in Baviera: e rìpete che, se i diacci non l'impediranno, spera
di condurre le casse per il Neckar a Winfen dove staranno sicure, finché
si troTÌDo i carrì.
(3) Lettere (1623, gennaio 17) dell'Allacci, da Heidelberg, a Fi-
Uppo Cristoforo von Soetern vescovo, di Spira. Ms. ciL B. 38, e. 204.
(minuta autogr.).
(i) LeUera ( 1623, gennaio 17) deU' Allacci, da Heidelberg, a Mas-
similiano duca di Baviera. Ms. cit. B. 38, e. 20iJ (minuta autogr.).
304 CURZIO MAZZI
perazione per aver carri : e di nuovo, ai 22, per lo stesso
motivo, ancora ai vescovo di Spira (1), e ai Luogotenente
dell' Ordine Teutonico (2) , e all' « Auditore Generale di
D. Gonsalvo di Cordova per sua Cisarea Maestà » (3);
promettendo al Luogotenente certa la mercede , sicuro e
senza pericolo il ritorno, « e quando volessero andare
> innanzi (oltre Wimpfen), li prometto di farli caricar di sale
> fino a Monacho, che già di ciò n' ho parola da Sua Al-
» tezza Serenissima >: con l'Auditore Generale ripete le
stesse assicurazioni, conferma che i carri « serviranno
insino a Yinfen, o, al più lungho insino al paese dei
Theuthonico >, ed offre la gratitudine del pontefice; e
professando di non aggiunger altro, temendo di far torto
alla nazione di lui, prosegue: « Li haverei mandato alcune
» medaglie benedette che hanno l'indulgenze di S. Isi-
» doro, indulgenze grandissime e a pochi concesse, ed
> alcuni Agnusdei; ma le mie robe non sono ancor
» gionte: fratanto verranno, e con li carri farò parte a
> V. S. in maniera che potrà consolare qualche suo
> amico; e li manderò le copie dell'indulgenze ». Dei
quali interpellati sembra rispondesse il solo vescovo di
Spira, scusandosi che le devastazioni della guerra toglie-
vangli di mandare pure un sol cavallo, soggiungendo: « ut
» tamen Consilio non desimus, Dominatio Yestra Domi-
» num Decanum Wimpinensem, Locumtenentem Heidel-
(1) Lettera (1623, gennaio 22) dell' Allacci , da Heidelberg, a Fi-
lippo Cristoforo von Soetern, vescovo di Spira. Ms. cit, B. 38, e. 205..
minuta autogr.).
(2) Lettera (1623, gennaio 22) dell'Allacci, da Heidelberg, al Luo-
gotenente deir Ordine Teutonico. Ms. ciL B. 38, e 205.' (minuta autogr.)^
(3) Lettera (1623, gennaio 22) delF Allacci, da Heidelberg, al detto
Auditore. Ms. ci. B. 38, e. 205.', (minuta autogr.) e Carte Allacci, Filza
CXXVl, il (copia).
LEONE ALLAOCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 305
» bergensem, sub viriate obedientiae monere poterit, ut
> is in praefectura sua, praecipue in Sintzbeim et Bret-
» tbeim, equos necessarios subministret ; et si subditi
» nolint, eos armata manu cogat. Ita hoc modo Sanctìs-
» Simo Domino Nostro et Dominationi Vestrae abunde
» satisfierì poterit* » ^1); e di nuovo ai 25 gennaio rispondeva
parergli e vaide lepidum » che il Luogotenente d^Heidel-
berg, quasi in tutto il Palatinato non fosservi altrove ca-
valli e carri, non volendo chiederli a quei di Bruxelles,
tornasse ingiustamente a domandarli a lui, ai suoi miseri
sudditi, ridotti alla estrema miseria dalle rapine; conchiu-
dendo come e inquisitione facta constat paucissimos quidem
aliquos, sed tales, inveniri, qui si omnes in unum solum cur-
mm adigerentur, ferundis propriis ossibns, non vehendis
ODeribus,aptos et sufBcientes fore » (2). Onde l'Allacci dovette
confessare al cardinale Ludovisi, che tante sue lettere, quelle
€ insino ai campo delti Spagnoli >, e gli stessi « ordini rigo-
rosissimi » del Conte, non avevano fatto venire pure un carro
solo, tutti requisiti com' erano dai commissarìi del duca
di Baviera, che già n* avevano raccolti più di cinquecento
per mandare Y artiglierie a Monaco ed altri ne cercano :
sicché avrà egli nuovo ricorso alla suprema autorità del
duca, conferirà col vescovo di Spira, o dovrà prendere altri
partiti, riponendo le casse nella fortezza di Spira, e quindi,
munito d'un passaporto dell' arciduca Leopoldo d' Austria
che le dica sue e comandi ai soldati e sudditi suoi di di-
fenderle, s'imbarcheranno nel Reno e si condurranno con-
tr' acqua sino a Breisach e poi a salvamento pel Tirolo:
(1) LeUera (1623, gennaio 21) di Filippo Crìsloforo von Soetern,
vescoTO di Spira, da Udenheino, ali* Allacci. Ms. cit B. 38, e. 2/ (orìg.
e firma autogr. ) Th^iner , Schenkung , ecc. , Docum. X , pagg. 68-69.
(2) Lettera (1623, gennaio 25) dello stesso vescovo e dal medesimo
luogo all*AllaccL Bis. cit. B. 38, e. 5' (orig. e firma autogr.)
306 CURZIO MAZZI
la quale via, se riesce più lunga, è meno dispendiosa, per il
tratto in acqua, e più sicura , passando per una città sola di
nemici, Argentina (Strasbourg); mentre V altra via, la con-
sueta, per Basilea e Monaco attraversa almeno quattro luo-
ghi e di inimici e perfidi, delli quali Thuomo non si può fidare
niente > : ma di tutto terrà parola a voce col vescovo di Spi-
ra, se potrà trovare un cavallo per andare a lui (1). E invero,
dopo aver scrìtto di nuovo ai 29 gennaio, al duca, ri-
chiedendo carri (2) preparava, nel caso che questi man-
cassero, il nuovo itinerario. Già nel primo giorno di feb-
braio era in Spira a conferire in proposito col vescovo,
dacché Giovanni Aldringer si era, prima di partire trattenuto
quel giorno in Heidelberg, aspettando l'Allacci, cui scrìve,
egli, imperiale e Feldmarschall », alcune notizie sul viag-
gio circa le scorte dei soldati (3): e le pratiche erano già
(1) Lettera (1623, gennaio 26) dell* Allacci, da Heidelberg, al card.
Ludovisi. Ms. cit. B. 38, e. 250.t-251/ (minuta autogr.).
(2) Lettera (1623 gennaio 29) dell* Allacci, da Heidelbei^, a Mas-
similiano, duca di Baviera. Ms. cit. B. 38, e. 210.' (minuta autogr.).
(3) Lettera (1623, febbraio 1) di Giovanni Aldringer, da Heidelberg,
a Leone Allacci. Ms. cit. B. 38. e. 8 (autogr.) Thciner, Schenkung eco-
Docum. XI V, pagg. 71-72 — Non potendo più a lungo aspettare in Hei-
delberg ch'egli ritorni da Spira, dove il soggiorno prolungato crede dia
buona speranza per il viaggio, gli manda, insieme con la presente, una
lettera pervenuta per mezzo del signor Gigli, e soggiunge : e Tengo che
» Vostra Signoria sia per fare il viaggio d'Alsazia; ma quando ciò non
> segua, e che ella abbia da servirsi del camino verso Baviera, le serva
» per aviso che qui potrà avere il convolo {la scorta) sin a >Vimpfcn, e
> dì là potrà essere convoiato con la gente che vi è in presidio, sincbó
» arriverà nel territorio d*Ala (Aalen), ove pure troverà il reggimento
» del sig. colonnello Truchers, che potranno convolarlo sin a Elwang
» (Elwangm), e più oltre occorrendo. » Però converrà che il Commis-
sario Generale « ne scriva alli signori il di cui territorio s*ha da passare,
> ricercandoli per il quartiere et per il passo, ed altre cose ancora; e
» starà poi a Vostra Signoria dare qualche cosa alli soldati. » La carica
militare dell* Aldringer ci è data dal Theiner, Schenkung ecc. pag. 32.
LEONE ALLACCI E LA PALATINA DI HEIDELBERG 307
condotte innanzi, se ai 5 dello stesso febbraio Leopoldo
arciduca d'Anstrìa rispondevagli , rassicurandolo quanto
alla città d'Argentina (1), e per il rimanente viaggio at-
traverso i suoi stati spedivagli, nello stesso giorno 5, un
ampio passaporto o salvacondotto d'esenzione da ogni
gravezza, con ordine che le casse e il loro duce fossero
da ogni suddito rispettate e difese (2).
(Continua)
Curzio Mazzi
<1) Lettera (1623, rebl)i*aio 5) di Leopoldo arciduca d'Austria, da
Ruffach (e Rubeaci >), a Leone Allacci. Ms. ciu B. 38, e. 16 (orig. e
tìrma autogr.) Theiner , Schenkung ecc. Docum. XVII , pag. li. Crede
miglior Tia quella per acqua fino ad Argentina: e per il sicuro prose-
guimento per terra, oltre questa città, scrìve di provvedere.
(H) L'orìginale di questo salvacondotto, datato anch'esso da RufTach
•Il 5 febbraio 16:23, formi ora la e. 125 del cit Ms. B. 38.
SER PIERO BONACCORSI
E IL SUO
CAMMINO DI DANTE
(Gontinuaz. e Gne da pag. 5, N. S., Voi. IV, Parte I)
Fratri Romulo de Medicis Conventuali in Sancta Cruce
DE FLORENTIA PlEBUS SER BONACHURSIJ SaLTJTEM.
Somma dilectione della vostra paternità mi commuove a
scrivervi, Reverendo padre, ricordandomi della vostra richiesta
e mia promissione factavi già fa più di Et questo fu di darvi
per iscripto succintamente il cammino che fé* il nostro elegantis-
simo e superlativo poeta fiorentino Dante Àldighieri per la sua
commedia, la quale distinse e divise in tre cantiche, cioè In-
ferno Purgatorio e Paradiso. À che bench'io sia stato lungo,
non voglio però che passi senza satisfarvi della mia promessa.
Et se per questo presente mio scrìpto io non satisfacessi
appieno alFampla materia tractata con sottilissimo ingiegnio, mi
fido nel ocdmo intellecto vostro e buona memoria con che
saprete meglio pigliare e ritenere che io porgiere o monstrare,
congniosciendo bene che a tanta materia la mia fantasia è troppo
bassa. Ma chi fa quello che sa o può non è tenuto a piii, e però mi
pongho inferiore a qualunque questa opera meglio intende e
dimostra di me. E come a bocha vi dissi, non è mia intentione
di darvi le moralità e spositioni del testo , perchè sarebbe
troppo lungo , e presumptlone la mia par^igonandomi con
lectera in tanta opera, benché i)er intenderia più tempo ci abbi
speso. Ma sonci stali molti egregii doctori, i quali sopra di ciò
anno facti e scrìpti prolixi comenti publici e noti : da quegli
ne potrete avere opiima doctrina. Io solamente intendo di darvi
la lettera secondo ch'ella suona e sen^a moralità il suo schietto cam'
mino, non tochando etiamdio tucto, ma le parti più principali e
più notabili. Et questo per mostrarvi l'ordine mirabile che tenne
SER PIERO BONACCORSl E IL CAMMINO DI DANTE 309
nel suo poema il prefato poeta; nel quale e pel quale ordine par
ohe sia più famoso e più d' ingiegnio commendato che per mo-
strare esser perito e docto in theologia philosofia et nelle secte
liberali, come in verità fu ; però che de' Theologi , philosaphi
e altri nelle liberali arti ce n'è stati assai come lui e più docti,
come pe* publici e alti volumi di cantori de Spirito sancto e
philosophi e altri scientifici chiaramente è manifesto. Ma ninno
p;ir che si truovi aver presa più alta e leggiadra materia e
con più ordine averla tractata di lui. Si che nelF ordine suo
bello mi par che sia da esser sommamente commendato: et
in ogni altra sua cosa, ma in questo più ecellentemente. Sf che
in questo suo ordinato cammino sarà il mio scrivere, il quale
inteso, che arete, credo sarà causa eflBciente ad invitarvi a ve-
der poi più oltre che quello che suona la lectera, socto la quale
son nascose grandissime moralitadi et profonda scientia. E
questo sia la commentatione et lo intellecto del testo; il quale
se diliberrete dipoi leggiere e intendere , m' offero esser con
voi parato, se vi piacerà, acciò che insieme repetendo e dispu-
tandone, ne possiamo avere più perfecta cognitione et doctrina.
Et rendomi certo che veduto che Taremo tucto e insieme ra-
cholto, vi parrà da quello aver preso non minor fructo che da
altro volume quantunque sacro e famoso del vostro studio di
convento. Et forse giudicarete il mio esser temerario parlare
a dir cosi Ma il fine sia testimonio del vero: e però comin-
cieremo.
( *) Nel nome della individua trinità padre, figliuolo e spirito
sancto, sotto la cui reverentia et honore degnamente si dee pro-
cedere ad ogni acto, e senza il cui aiuto niun principio diritta-
mentis si fonda, dico, adunque che essendo il prefato poeta no-
stro nel mezo cammino di sua vita, si ritrovò di nocte in una
selva scura, né come in quella s*era intrato si ricordava, ma
ismarrita la via andava per essa errando. E finalmente dopo
molta paura pervenne appiè d* um colle nel principio del gior-
no, la cui estremità et altezza era irradiata dal sole che già
(') Nel codice qui s* incomincia a capo di un altro foglio e con
kiien iniziale più grande.
\ul IV, Parlo I. 20
310 G. BRUSCHI
nasceva. Sicché veggiendosi uscir della obscura selva dove la
passata nocte ebbe assai passata paura, et veggiendo il sole et
il giorno chiaro, assai si rallegrò, et prese via per la piaggia
diserta. Et quasi al cominciare dell* erta gì* apparve incontro
una lonza, animai prompto, che tanto lo impedì nel suo cam-
mino, che fu per ritornare in drieto più volte volto. Ma pur pi-
gliando cuore per rispetto del di chiaro, la trapassò s^uitando
air insù per suo cammino. Et passata questa lonza, inconta-
nente gì* apparve un leone et una lupa; e di questa lupa di
nuovo hebbe tal paura venendogli contro, che perde la speranza
del salire al poggio, quantunque dal leone si riparasse: e ri-
volto adietro dalla detta lupa era ripinto nella selva. E mentre
che lui rimirava in basso, gì' apparve Virgilio poeta mantovano,
ad cui esso Dante si racomandò , e mostrogli la fiera per cui
s*era rivolto verso la selva, dicendo: Aiutami da Ilei famoso e
saggio etc. Et in questo Virgilio lo persuade e conforta a pi-
gliare altra via et a doverlo seguitare, promettendogli salutifero
cammino e volergli monstrare lo 'nferno e purgatorio , e nel
fine d* esso purgatorio lasciarlo ad guida d* una anima degna
che lo conduce^ ad vedere Iddio e* luoghi de' beati , dove Vir-
gilio dice non lo poter condurre lui, perchè in sua vita fu al
mondo innanzi all'advento di Christo, et fu ribellante alla suo leg-
gie, E con queste parole e più altre facte insieme, Virgilio
prese il cammino, e Dante ben disposto gli seguitò drieto. E
camminando insieme e facta già sera. Dante richiese , Virgilio
che Io examini se gli par [)0ssente a seguitarlo in tanto cam-
mino preso: e Virgilio gli dice di sì, tacitamente allegandogli
che giù vi sono andati altri, cioè Ene^, etc. E Dante gli ri-
sponde e dice: se vi andò Enea e poi vi andò San Paolo credo
fusse dispositione di dio per buon fructo che di ciò dipoi do-
veva seguire, cioè a fortitìcalione della fede. Ma io non eneii,
non pavolo sono, e però me degnio acciò né io né altri il
crede; e, quasi rivolto di proposito, aspectava la risposta di Vir-
gilio, n quale vedendolo offeso da viltà e quasi ambiguo e
dubioso a seguitarlo, cominciò a riconfortarlo con vere i-agioni, et
dissegli la cagione della sua apparitione a llui in su la piaggia
a scamparlo dal pericolo suo e dalla lupa. La quale apparì-
SER PIERO BONAOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 311
tione procedette di volontà di dio et di tre donne benedecte,
cioè Beatrice, Lucia e Rachael di paradiso, e a llor petitione
uscì dal limbo d' inferno dov' era ettemalnìente collocato, e
quindi venne al soccorso di lui: e però senza più dire se di-
sponessi a seguitarlo, poiché in suo aiuto aveva nel cielo le
tre donne beate. E queste parole arduamente acciesono et in-
fìammorono l'animo dell'autore a seguitar Virgilio; e cosi ben
d'accordo entrarono nel cammino alto e Silvestro; e prima per
l'inferno.
In questa» prima cantica intende l'autore monstrare il sito
0 ver luc^o dove è posto questo inferno; e di poi la sua
proportione e forma, et oltre ad questo le pene e' tormenti
nelle quali etternalmente son punite l'anime di coloro che muoiono
in disgrada di dio pe' lor peccati; et i demoni ministri di que-
sto inferno. E primo finge l'auctore che questo luogo sia nel
centro della terra, presupponendo ch'ella sia ritonda come una
mela, secondo che per astrologia si dimostra. E che nel mezo
0 ver centro di questo inferno sia quel puncto ponderoso di
tiicto l'universo, a che tragono, pontano, o voglian dire sono
sospinte tucte le cose gravi e ponderose del mondo. E vuol
che sia luogo equalmente e più di lungi dal cielo e luogo
dì beati che esser pos&i, perchè è il puncto et il centro di tucta
la spera. E questo inferno secondo suo fictione è proportionato
in forma d'una conca, cioè largo più da bocca che in fondo.
Et dividelo in nove cerchi], come dicessi nove volte, fondate
l'una sopra l'altra in questa conca, et in su la sponda di que-
sto inferno pone una porti aperta e nel suo cardinale pone
scripti questi versi terribili, cioè: Per me si va nella città do-
lente, Per me si va nell' eltemo dolore. Per me si va fra la
perduta gente, etc. Et drento alla decta porta pone uno fiume
grande che circunda tucto l' inferno, che si chiama fiume di
Caronta. E qui pone l'anime di coloro che in questo mondo vissono
senza fama e senza loda; e la pena loro è che nudi corrono con-
tinuamente drìeto a una insegna o ver bandiera di fanfalucha in-
torno a questo fiume; e la cagione del lor currere è perchè sono
perseguitati e trafitti da innumerabile quantità di vespe, mo-
312 G. BRUSCHI
sche e tafani senza alcuna posa, e fannogli solleciti, dove nel
mondo furono sonnolenti e pigri. E delle decte punture cade
lor appiè sangue e puza , la qual per la lor via fa una broda
verminosa e puzolente. Et in questo luogo pone per ministro
e dimonio Caron, vecchio e antiquo et tucto velluto e canuto ,
il quale con una barchetta passa per questo fiume tucte Tanime
che vanno allo inferno. E passato il fiume, andando verso il
centro, trovorono la valle d'abisso profonda oscura e nebulosa ,
nella quale scendendo, Virgilio e Y anctore introrno nel primo
cerchio di inferno detto limbo, nel quale tracia come di sotto
se dirà.
In questo primo cerchio detto limbo pone Fauctore T anime
dì fanciugli innocenti e non batezati; et oltre a questo ivi pone
un castello sette volte cerchiato d'alte mura e circundato d' uno
bello finmicello. Nel quale castello pone V anime degli antichi
giusti pieni di virtù e d'ogni politica e moral vit:r, e benché
non avessin fede captolicha, che furono innanzi all'advento di
Ghristo, nientedimeno observorono in loro et in ogni altri ragione
e giustitia; e qui trovano Homero, Oratio, Ovidio e Lucano. E
di questo luogo se partì Virgilio quando andò al soccorso di
Dante dalla lupa in su la piaggia per volontà e comandamento
di dio e delle tre donne beate. E più, ci trovorono Aristotile,
Cesare, e più altri nel testo nominati. E le pene di questi in-
nocenti et antichi giusti sono soli sospiri senza guai; i quali so-
spiri nascono dalla lor consideratione, pensando che quivi son
collocati etternalmente, né mai potranno vedere Iddio né l'ani-
me beate; e non per alcuna altra pena o tormento che lor
sentono. E in questo luogho dice Virgilio a Dante che andò Yhesù
Christo e trassene l'anime di Adamo e di Abel, Noè, di Abraam,
Isaac , lacob e di molti altri , e fecegli beati'; e questo fu
mentre che lui stecte morto. E così, camminando verso il mezo
di questo primo cerchio, entrorono per uno ritondo luogo o-
scuro e buio nel secondo cerchio.
Secondo cerchio d' inferno, nel quale pone un giudice il
cui nome è Minos, dinanzi al quale comparischono tucte l' a-
nime che vanno all' inferno, e da Ihii sonno examinate e con-
dannate a quella pena che merita il lor peccato. E qui tracti
SBR PIERO BONaOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 313
lei peccato della luxuria e di liixuriosi; la pena de* quali è
;he sono menati e rivoltati di su di giù. di qua di là, da uno
^ento impetuoso e terribile che si chiama bufferà infernale, per
jna campagna et aria buia, nella quale non si vede Pun l'altro;
; però tucta volta se percuotono insieme Tanime a una a una,
I due a due, a dieci a dieci et a schiera a schiera, secondo
:he son portate e menate dalla detta bufferà, la quale è etter-
nale, e muj^hia come fa il mare per tempesta. E qui trovarono
anime di Semiramis regina di Eibillonia, di Paris, di Elena,
di madonna Didone di Cartagine, di Cleopatra luxuriosa e di
più altri : et infine V anime di Francescha da Ravenna e di
Favolo Malatesta da Rimine, cognati e morti d'un tempo per tal
vitio di luxuria, con che parlorono molte cose. E per pietà
del lor caso e morte. Dante usci quasi del senso: e, quasi dor-
mendo, di questo secondo cerchio insieme con Virgilio disce-
soDO giù nel terzo che men luogho cìgnia.
Terzo cerchio, dove tracta del peccato della gola ; e qui
pone uno demonio infernale in forma quasi di cane, salvo che
va ritto in su due pie d'uccello, col ventre largo et unghiate
le mani e' piedi, con tre teste e capi che ssi raggiungono in-
sieme in una gola, colla barba unta et atra, e cogli occhi di
brascia. E costui pone, in figura di questo pechato di gola,
colle canne aperte e vorace, e chiamalo Cerbero fiera crudele
e diversa ; e va urlando per questo terzo cerchio si terribil-
mente che Tanime che drentro vi sono punite ne portano gran
|)ena, et vorrebono più tosto esser sorde per non esser intro-
nate da esse grida. Et oltre a questo, esso Cerbero graffia, adun-
chi;! et squarcia la pelle a esse anime quivi collocate; e non
basta questa Pena, che etiamdio piove loro adosso continua-
mente grandine grossa et acqua tincta e neve. E tra costoro
trova un fiorentino chiamato Ciaccho di tal vitio maculato,
con chi parla molte cose. E cosi di questo cerchio scesono giù
nel quarto che è più strecto.
Quarto cerchio, dove si punisce il peccato dell' avaritia
e prodigalità. E qui trova V autore il gran nimico della
umana generatione, cioè Plutone lupo voracissimo e bestiale
che dopo il pasto à più fame che prima , e qui è posto in
314 G. BRUSCHI
figura di questo peccato dell* avarìtia e ministro in questo
quarto cerchio. E qui si puniscono ranime in tal peccato cor-
ropte et disordinate; e la noaggior parte pone che sieno gran
preti, papi, cardinali e veschovi e prelati , perchè io tal vilio
par che sieno oggi più corropti e disordinati che altra gente.
La pena di costoro è che ab eterno anno a rivoltare pesi e
balle di robba per forza di pecto e di poppa, Tuno contro l'al-
tro percotendosi insienae, e fatto il colpo ritornano alle poste.
Et in questa giostra ab etemo verranno a i duri cozzi insieme,
acciocché si possano satiare tenendo il petto e cuore in su le
dette balle di robba, se è possibile satiai*$i, che non è. E qui
parla Virgilio a Dante molte cose de* facti della Fortuna del
mondo, che ha cosi tra branche et in sua potestà questa robba
del mondo. Et infine, dirizzandosi co* passi verso il mezo e centro
di questo cerchio, giunsono sopra una fontana che bolliva et
traboccava acqua turba, e da Ilei nascie un fiume che sciende
nel quinto cerchio ; e seguitando allo ingiù questo fiume, insie-
me co llui entrorono in detto quinto cerchio detto stige infernale.
Quinto cerchio dMnferno, il quale pone V auctore che sia
una pianura e palude aquatico grandissimo, che s'empie della
soprascripta fontana d'acqua turba e broda bollente. Et in que-
sto padule pone attuffati quattro peccati, cioè: accidia, ira, in-
vidia et superbia; e la pena dell'anime che qui sono punite |ier
questi peccati è, che chi sta sotto l'acqua e broda bullente in
tucto, e chi in parte, secondo la sua offesa ; e chi si |>ercuote
la testa con un altro, e chi si morde e divora co' denti, e chi
si tronca a brano a brano per rabbia che gli divora per di-
vina vendecta e giustitia. E camminando per questo padule,
Virgilio e r auctore viddono due tori-e da lunga farsi cenno
(li fuoco per l'aire buia, che erano ministri diabolici di quel
luogo che stavano attenti a chi entrava in Sligie. Et incontanente
su |)er le sucide onde di quel lagume vidono verso lor venire
per nave un galeotto, e giunto, a llor disse: « Or se' giunta anima
fella », rivoltandosi a Dante. «Flegias, flegias, tu gridi a voto!»
gli rispuose Virgilio, perchè voluntà di dio è che costui vegha
questi luoghi, etc; e però per passare Stigie qua t'accosta col
tuo legna Et intraio in nave et trapassato per questo sucido
SBR PIERO BONACCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 315
la^me e luogo buio e tenebroso, trovarono messer Phìiippo
.\.i^enti fiorentino spirito bizzarro. E qui s*adempiè Tanimo del-
rauetore, perchè vidde questo noesser Philippo bizzarro, preso
lalle fangose gienti che quivi erano sooìroerse et attuffate; et
invihipporollo cento volte di sotto e di sopra in quel fango
3 broda come se fusse un porco, divorandosi lui co* denti per
bizzarrìa etc Et canominando verso il mezo di questo padule, tro-
vorono una gran città chiamata Dite, con molti spinti infer-
nali da cielo piovuti in su le porte, a ccui Virgilio fece cenno
di voler parlare di secreto. E tracti alla porta, Virgilio gli ri-
chiese della intrata di Dite: e despectamente gliel negorono,
serrandogli in sul pecto impetuosamente la porta. E però, ri-
tractosi a Dante che s'era aspectato adrieto, e ragionando in-
sieme della loro diversità, subitimente giunse da dio soccorso,
perchè vidono venir pel padule uno angelo, e con impeto grande
giunse alla porta di Dite, e con una verghetta la fracassò tucta,
e a llor drento disse: ai! piovuti dal cielo, gente despecta! etc.
E dipoi a Virgilio et a Dante accennò benignamente che con
sicurtà ornai intrassono in Dite. Et così entrorono drento, che è
in ordine al sexto cerchio d* inferno.
Sexto cerchio d' inferno, cioè città di Dite, cerchiata di mura
ferrigne; et i ministri e guardiani della città sono furie e
spiriti diabolici, cioè Megera, Àlecto e Thesiphone, con serpen-
tagli e cerastrì per capelli e per crini, e per furia coir unghia
si fendono i pectL Questa città è piena di sepulchri rilevati in
forma d'arche con coperchi alquanto sospesi: et in questi se-
polchrì se puniscono gli eretici in fiamme di fuoco. E pone
I auctore che detti coperchi staranno cosi alquanto sospesi in-
tìno al giudicio; ma dipoi, quando Y anime riharanno i corpi,
staranno chiusi et suggellati per dare all'anime et a' corpi maior
tormento, non avendo il fuoco alcuna uscita e sfogatione. E
tracta Tauctore che di decti sepolchri uscivano grandissimi la-
menti, et accostossi a uno con chi parlò molte cose; il quale
fu messer Farinata degli Uberti fiorentino, et in un altro trovò
Anastaxio papa quarto, come nel testo appare. Et finalmente
ritractosi a Virgilio e camminando verso il centro e mezo di
questa città, trovorono una profondità puzolente et ritonda, a
316 6. BRUSCHI
guardia della quarera U Minothauro, infamia e vergogna di
Grethi. Et intrati e discesi in questa profondità , trovoroDO il
septimo cerchio, il quale è distinto et diviso in tre gironi, co-
me di sotto se dirà.
Septimo cerchio, nel quale si punisce il peccato della vio-
lentia. E perchè la violentia si può usare in tre modi , cioè
contro al proximo, contro a ssè medesimo e contro a ddio ^ però
divide questo septimo cerchio in tre gironi. Lo primo è un
fosso di sangue bullito, dove fondo e cupo, e dove basso, in-
tomo del quale vanno centauri a mille a mille armati d'archi
e di saette, saettando all'anime che sono nel sangue punite , le
quali escono più fuori d'esso sangue che da Minos non sono
state giudicate; che chi v'è giudicata tucta sotto e chi inGno a
gola, e chi a cintola e chi a ginocchio, e cosi discurrendo,
più e meno secondo che violentemente ha offeso il proximo.
E qui si puniscono l'anime de' tyranni, e di coloro che ferono
forza e violenza al proximo privandolo dell' avere e della per-
sona, come sono ladroni di strade o tyranni o simili. H secondo
girone pone che sia uno bosco di sterpi e pruni salvatichi, ne'
quali sterpi e pruni pone si puniscano l'anime di coloro che
usarono violenza contro a ssè medesimi privandosi della pro-
pria vita 0 biscazando e distruggiendo senza regola il loro
bavere e substantia : et esso facto che s'uccidono sé medesimi ,
l'anime loro son balestrate e traportate per giudicio in questo
luogo; e dove Fortuna le balestra, quivi jiascie uno di questi sterpi
drente al quale è punita. Et per questo corrono continuamente
demoni in forme di cagnie nere drieto all'anime che andassino va-
gando et indugiando la pena, e quelle dilacerano coi denti cruda-
mente. Nel terzo girone pone uno renaio scoperto, sopra del quale
piuovono continuamente con un piovare lento dilatate falde e
bioccoli di fuoco e zolpho, come fa la grossa neve nell' alpe e
montagnie di verno. E in questo renaio se puniscono l'anime
di coloro che ferono violentia a dio in tre modi; però parie
questo girone in tre parti. Nella prima si punisce chi fa vio-
lentia contro a Dio colla lingua , negandolo e biastemmandolo.
Nella seconda chi gli fa violentia sprezzandolo colla lingua e
SBR PIERO BONACCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 317
col chuore. Nella terza chi gli fa violentia spregiandolo colla
lingua, col chuore e colle opere , che sono i sodomiti e ga-
morrici, che sprezano la natura humana. I primi vanno con-
ti Guarnente attorno attorno per questo renaio, scotendosi e
reparandosi il meglio che possono colle mani or quinci or
quindi da falde e bioccoli che piovono loro addosso per di-
vina arte e vendetta. I secondi stanno a sedere e fermi , e si-
milmente si scuotono colle mani meglio che possano dalle falde
e bioccoli di fuoco e zolpho, che paiono cani che si morsi-
chino nel tempo di state per pulce o mosche che gli trafigano.
I terzi stanno arrovescio, e colle braccia tese in forma di cro-
cifissi, ricevendo sopra il lor pecto e corpi le dette falde di
fuoco e bioccoli di zolpho senza potersi aiutare o arrostare
colle mani. E questa rena è tanto riscaldata dal decto fuoco
e zolpho che vi piove , che giungendovi su par che giunga
sopra a una esca, si s'accende et infiamma et abbrucia tucte
e tre queste qualità d'anime del renaio che paiono arrosti lar-
dati al fuoco. E qui finge 1' auctore trovar Ser Brunecto
Latini da Firenze , con chi parlò molte cose, come appare
nel testo. E finalmente Virgilio e V auctore arrivorono so-
pra un gran burrato ritondo e ripente, offuscato, nebuloso e
acquatico, nel quale apparì loro Gerione, bestia fraudolente in-
fernale, con una gram faccia de uomo giusto e d* un serpente
tucto r altro busto, col dosso pieno di rotelle e di mischiato
colore e colla coda coperta e biforcuta. La qual bestia è posta
qui in figura di questo peccato di fraudulentia : e con costei
tenne Virgilio pacto di farsi scendere sé e Dante in que-
sto burrato nebuloso sopra le sue spallacele piene di rotelle. E
facto il pacto, gli montò addosso, e dìxe a Dante che gli salisse
dinanzi, perchè Virgilio voleva essere in mezo tra lui e la coda
biforcuta di Gerione, la quale ancora teneva coperta nelFacqua,
et acciò che da quella non fusse puncto. E Dante tucto isbi-
gottito di salire addosso a ssì paurosa bestia, tucto trepido et
ismorto, a' conforti di Virgilio gli si gittò addosso ; e si volle
dire: tiemmi e aiutami, Virgilio!, ma la parola a bocca per
paura non venne. Ma quel caro maestro docto e saggio di
Virgilio fu da ssè accorto, e sovvennelo al suo bisogno, et poi
318 Q. BRUSCHI
dixe à Gerìone: muoviti ornai, le rote sien larghe e lo scen-
dere piano, e pensa la sonia che tu hai. Et alior Gerìone
la testa rivolse inverso il mezo del burrato dove prima aveva
la coda, e notando largo in giù verso Poetavo cerchio, finge
l'auctore già sentire uno gran rimbombo del fosso del sangue
che di sopra avea lasciato, che è il terzo fiume d* inferno detto
Flegietonte, il quale sgorgava giù in questo burrato e cadeva
nelFoctavo cerchio di Malebolge. E questo fiume dice Tauctore
che nasce da una statua che è nel monte Ida, nel!' isola di
Crethi, colla testa d*oro e pecto e braccia d* argento, il corpo
è di rame, et il resto è di ferro, salvo che il destro pie è terra
cotta. La quale lagrima, e di suo lacrime nasce un fiumi-
cello che fora la terra et entra in questo inferno, e fa quattro
fiumi, cioè: Àcheroota, Stygie, Flegetonte, Gocyto. E questa
statua è figura per la innocente e nocente età del mondo etc
E finalmente Gerione puose Virgilio e Dante in fondo, cioè
nelPoctavo cerchio d' inferno decto malebolge; e scaricatosi da
dosso Virgilio e Dante, n*andò per suo fatti.
Octavo cerchio d* inferno detto Malebolgie. Questo luogo è
tucto di pietra e di colore ferrigno, e è distincto e diviso in
dieci malebolgie, cioè in dieci gironi Tuno drento all'altro e
fondato et ordinato in circolo ritondo a modo di fossi facti in-
torno intorno a fortezze, e ristringonsi a uno a uno e di mano
in mano secondo che più e meno sono presso al mezo over
centro di questo octavo cerchio. Nel qual mezo e centro è un
pozo profondissimo guardalo da quattro giganti, donde si scende
poi nel nono et ultimo cerchio d' abisso, dove sta Lucifero. E
notite che per passare da una bolgia, air altra sono ordinati
pontici^li. E ritornando alla prima bolgia, dice Fautore che
questa è piena di demonii cornuti con iscurriate e ferze in
mano, che corrono drieto all'anime isferzandole e iscorregiandole
crudamente senza riposo. E qui si punisce con questa pena li
ruffiani e le ruffiane, che corrono e saltano come cervi e ca-
vrioli al tocco delle scurriate e isferzate, che tocche le prime
già le seconde e tei-ze non aspectano. E tra costoro finge
Tanctore trovare Venedico Caccianimici che ingannò la Ghisola
bella a far la voglia del marchese etc., et Gianson greco che
ingannò Isyphile, et altri assai.
SEB PIERO BONAOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 3l9
Bolgia seconda, la quale è piena di merda e di sterco pri-
vato, nella quale sono attuffati e puniti i lusinghieri da spiriti
diabolici di quel luogo; tra i quali Gnge Fautore trovare Alesso
Ànteminerì da Lucha si di merda lordo che appena lo riconobe,
et madonna Thaida puttana e scapigliata fante, che sì graf-
fiava coir unghie merdose, etc.
Bolgia terza, dove son puniti i simoniaci ; e costoro sonno
propaginati in tombe terragnie a capo di sotto e infocate drento
per modo che gli fanno si guizare co i pie e colle gambe di
fuori, che niuna stramba gli terrebbe ligati per esse gambe.
Fra quali truova Papa Nicola degli Orsini in questo vitio ma-
cubto, e più altri.
Bolgia quarta, nella quale sono puniti gl'indovini; e per
divina giustitia hanno il capo e viso rivolto arritroso, cioè il lato
dinanzi dirieto, si che piangendo e lagrimando e andando nudi,
bagnano colle lagrime le natiche e le parte pudende dirieto. Et
le femmine portano le treccie e li capegli sparti sopra le poppe.
E tra costoro tinge trovare Tire^, che mutò sembiante di ma-
schio in femmina, e madonna Manto, orìgine di Mantova, e
Michele Scotto, e più altri in tal vitio maculati.
Bolgia quinta, nella qual son puniti i barattieri di com-
muni e signiorì, attuffati e sommersi in pegola che per divina
arte bolle. Et intorno a questa pegola sono molti demoni in
forma d' ucellacci e di cani e di lupi, coli' alia e con raffi,
uncini e forchette lunghe in mano, arroncìgliando raspando e
pungendo qualunque anima escie più fuori della peghola che
non debba; i nomi dei quali sono: Barbariccia, Draghignazo,
Farfarello, Libicocho, Graffiancane, Malebranche, Àlichino, Cal-
chabrina, Cagniazo, Rubicante e Ciriatto e più altri coH'alia aperte
e sopra i pie leggieri. Et finge Fauctore trovare fra questi im-
[legolati frate Ghomita e più altrì in tal baratterìa vitiati. E
stanno in questa peghola come ranocchii in acqua, e alle volte
col muso 0 reni scoperti per rìnfrescharsi alquanto: e questo
quando veghono da i demoni non poter essere arroncigliati e
ns|)ati. E alle volte vien fallito loro, perch^. volando e saltando
detti demoni sopra la peghola continuamente arraffiano et ar-
roncigliano dette anime e tralgono suso fuor della pegola: e
320 G. BRUSCHI
cosi traete fuori sono dilaDiate, inforcate e strambeOate da
mille uncini, raffi e forchette di decti demoni. Et in questa
bolgia parmi che Tauctore parli più legiadramente e con più
piacevoleza che in altra bolgia.
Bolgia sexta, dove son puniti gì* ipocriti et falsi propbeti,
i quali vanno ipocritamente con cappe in capo, che di fuor
paiono dorate e drente sono di grosso piombo, e sotto le quali
criepano di peso andando intomo intorno in questa bolgia come
si va a precessione. E qui finge Fautore trovare due frati go-
denti, cioè frate Catalano et frate Loderigo da Bologna e più
altri.
Bolgia septima, dove son puniti i ladroni. E costor sono
in questa bolgia piena di serpe , serpentigli , cerastrì e draghi
di diverse maniere; i quah s* avolgono a piedi, a gambe, a
pance, bracia e a ccollo di queste sciagurate anime ; tra le quali
trovò Chacho che fu ladrone nel monte Aventino, e qui è posto
in figura di centauro, con tante serpe et serpentelli addosso che
in marema non si vide mai tali , et addosso gli giacca uno
drago. E più, ti'a costoro finge trovare un pistoiese con chi
Fautore fé lungo ragionamento proverbiandosi insieme, et in-
fine rivolto a Dante con ambedue le fiche , colle pugna facte
disse : togli , addio e a ttè le squadro. DalF ora in qua dice
Dante che le serpe gli furono amiche , perchè una gli ssi gittò
al collo et avviluppogliesi alla gola più volte stringendolo forte,
come dicessi : io non voglio che più parli. E oltre a questo
un draghe di sei pie vide correndo verso uno spirito e dicendo:
ov'è, ov'è l'acerbo?; et aventoglisi dinanzi, e col ceflFo gli prese
et adentogli la faccia , co' pie dinanzi gli prese le braccia , co'
pie di mezo gli avinse la pancia e co' pie di dietro gli prese
le coste , et tra le gambe gli mise la coda e su per le reni
gliene ritese per modo che cllera non mai s' abarbicò a muro
in tal maniera; e stringendolo e succiandolo, incontanente di-
ventò verde e di mischiato colore come esso serpente: et così
di due figure si convertirono in una.
Bolgia octava, dove son puniti i fraudolenti lusinghieri;
la pena de' quali è che sono fasciati e aviluppati a uno a uno,
a due a due in fiamme di fuoco aguze et apuntate, et in
SBR PIERO BONACCORSI E ÌL CAMMINO DI DANTE 321
queste fiamme sono abrugiati et arsi. E in una di queste fiamme
finge r autore trovare Ulixe e Diomede , con chi Virgilio fé'
lungo parlare come nel testo appare. E più ci trovarono Guido
da Montefeltro, con chi Dante tenne lungo parlare de'facti di
Romagnia, et dixegli come fu cordigliero e dell' ordine vostro,
e come fu ingannato dal princi|)e de' nuovi farisei, cioè papa,
il quale gli promise d' assolverlo et e' gF insegnassi d'aver Pale-
strioa di Roma. A cui e' rispuose: Larghe promesse coH'atten-
der corto Ti faran trionfar nell'alto seggio. E per questo
consiglio fraudulente, che n'era maestro, alla sua morte non
gli valse r aiuto di san Francescho, perchè uno di neri cheru-
bini lo prese dicendo : tu non credevi eh' io loyco fusse ! .
Perchè a ragione lo tolse e convinse a santo Francescho, perchè
la frode è troppo dispecta a ddio: e cosi dal detto nero cheru-
bino fu menato in questa bolgia.
Bolgia nona, nella quale son puniti gli scismatici e scandalosi;
la pena dei quali è che andando per per questa bolgia nudi
sono perseguitati da demoni con ispade taglienti e da lioro sono
tagliati a pezzi: a chi il capo, a chi le braccia, a chi le mani
e gambe, e cosi discorrendo a chi un membro et a chi un
altra E tra costoro trovarono Malcometto fesso dalla gola in-
fine dove si trulla e traile gambe pendevano le minugia;
la curata pareva il tristo sacco che merda fa di quel che
si tranguscia. E con costui trovorono Ali falso profeta di fa-
risei, fesso da un col|)0 di spada dal mento al ciuffetto, e più
trovorono Piero da Medicina forato nella gola e tronco il naso
infìn sotto le ciglia e senza mani e con una orecchia solo. E
[K>i trovorono Beltrame dal Bornio, che die al re Giovanni
mali conforti. E costui andava come si va a processione, cogli
altri, col capo suo proprio in mano dallo imbusto troncho, et
quel teneva pesolo in mano a guisa di lanterna, e di sé stesso
a sé medesmo faceva lucerna. E quando fu presso a Dante, levò
il braccio alto con tucta la testa per appressare più a Dante
le parole sue. che furon tali: Or vedi la pena molesta, tu che
spirando vai veggendo i morti : Vedi se alcuna è grande come
é questa!
322 G. BRUSCHI
Bolgia decima et ultima, dove son puniti i falsatori di mo-
nete et archimiatorì d' oro e di metalli. I quali son puniti da
una rabbia di lebra che hanno addosso ; per la qua! si graOano
et streghiansi, che mai si regazo non streghib cavallo in pre-
senza del signore. Per modo che si schuoiano e squamansi la
pelle e coli* unghie traghono. si giù la scabia, come fa coltello
a scarpite le scaglie o ad altro pesce che più larghe Y abbia.
Et qui fmgie 1* autore trovare Y ombra di Capocchio falsificatore
et archimiatore , o di più altri simili peccatori. E dice esso
autore che questa bolgia gira miglia undici, e camminando
verso il centro sentirono sonare un alto corno ; e parve a Dante
da lungha vedere molte alte torre, i quali in verità erano gi-
ganti che stavano a guardia del pozzo d' abisso. Et erano nel
pozo insino al bellico, e appressandosi a lloro fuggiva 1' errore
a dDante e crescevagli paura, vedendo che erano giganti di sì
orribile statura, che trenta palmi dice Dante che erano fuor del
pozo e altrettanto nel pozo o più ; e avevano le teste si grandi
che parivano la pina di San Piero di Roma. E girando intorno
a questo largo e profondo pozo trovarono questi giganti , cioè:
Nembrot, Fialte incatenato dal collo alle braccia di grosse ca-
tene, Antheo disciolto, e Briareo incatenato. E dice Fautore che
Virgilio mosse ad Antheo parole grate e dolce, e richieselo
che ponesse lui e Dante al fondo d'esso pozo, dicendogli che
Dante aveva ad andare in luogo che con suo' prieghi e pa-
role et appresso a ddio e nel mondo gli potrebbe far prò e
dargli fama. E cosi placato, Anteo prese Virgilio e Dante, e
furono posti in fondo del triste buco, cioè nel nono et ultimo
cerchio d' inferno, dove punctano tucte Y altre roccie o vogliàn
dire volte.
Nono et ultimo cerchio d' inferno, dove si puniscono i tra-
ditori. E questiì si è una pianura aquatici e tucL-x ghiacciata ,
e questa universalmente lucta insieme si chiama Gocylo, che
è il quarto fiume o ver Iago d' inferno , j)erò che Acheronte
è il primo, Stigie il secondo, Flegetonte è il terzo, e questo
Gocylo è il quarto. E questa pianura di Gocyto, come è decto,
è tucta ghiacciata, e drento vi sono innumerabile anime di
traditori che lagrim mo e piangono, e ghiaccia loro le lagrime
SBB PIERO BONAOCOKSI E IL CAMMINO DI DANTE 323
io SU gii occhi per freddo, e non gli possono aprire e
chiudere allor posta. E chi è io questo ghiaccio ghiacciato
iniìno a mezza gamba, chi in fino al ginocchio, chi in fino a
ecoscia, chi alla cintola et chi alla gola, e chi è tucto coperto,
e chi molto affonda nel ghiaccio secondo la sua offesa del tra-
dimento, e secondo che più o meno s'appressa al centro e
mezo di questa pianura ghiacciata, dove è conficto e punito
Lucifero auctore e origine di tutti i peccati. E la cagione di
questo ghiaccio sono Y alia di questo Lucifero, le quali paiono
di nave e di galee grosse, le quali dibatte si forte e spesso,
che dal vento impetuoso di quelle , e da freddo che ivi è
naturalmente si genera questo ghiaccio. E perchè il tradimento
si pub usare in quattro modi, però parte questa ghiaccia in
quattro parti. Nella prima si punisce i traditori che tradirono
lor sangue, e si chiama Cayna, denominata da Cayno che uc-
cise a tradimento suo fratello Abel. Nella seconda si punisce
chi tradisce la patria o sua parte, e questa si chiama Anthe-
nora. denominata da un troyano eh' ebbe nome Anthenore, il
quale trad) Troya quando fu distrutta. Nella terza si punisce
coloro che tradiscono loro amici et benefattori, e questa si
chiama Tolomea, denominata da Tolomeo re d'Egypto che a
tradimento fé' tagliar la testa a Pompeio, fidandosi di lui. Nella
quarta et ultima pone si puniscono coloro che tradiscono i lor
benigni Signiori, e questa si chiama Giudaica denominata da
Giuda schariotto il quale tradì il suo e nostro benignio Signiore
Yhesu Ghristo. E qui si truova conte Ugolino e l'arcivescovo Ru-
gieri etc. E nel centro di questa ghiaccia, come è detto, è punito
Lucifero, stando in detta ghiaccia in sino alle parti pudende e
vergognose. Et ha questo Lucifero un capo con tre bocche,
una dinanzi e una sopra ogni spalla; e con ciascuna bocca
divora un peccatore, cioè: io quella dinanzi Giuda col capo e
busto drento alla bocca e colle gambe di fuori zampetta;
una dallato è Bruto, e nell'altra è Cassio, i quali tradirono
lulio Cesare primo monarca romano, e questi due son colle
gambe e coscie drento alle bocche, e di fuor tucto l'altro
busto.
324 G. BRUSCHI
E avendo veduto tucto V inferno e volendone uscire.
Dante e Virgilio bisognib s* appicassino a* velli e peli delle
coscie di Lucifero, rivoltandosi col capo dove avevano i piedi,
entrando nell'altro emisferio di là, e perchè passorono il punto
più ponderoso dell' universo, in sul qual punto siede e sederà
sempre Lucifero, e quindi per un buco che faceva un 6umicello
e donde sgorgava Cocyto, che foracchiava la terra e usciva
dall' altro emisferio di sotto a noi. E drieto a questo Oumicello
per una buia e strecta via uscirono Dante e Virgilio nel decto
emisfero di sotto a rivedere le stelle a pie d' una isola circun-
data dal mare oceano, in su la qual pone essere il monte del
Purgatorio opposto a piombo a Jerusalem, come si dimostrerà
nel proximo secondo tractato d' esso Pui^atorio.
In questa seconda parte o ver cantica monstra il prefato
nostro poeta Dante in che parte del mondo sia posto questo
purgatorio, e la forma e proportioni d' esso: e le pene afflictive
colle quali si purgano T anime che drento vi sono. E finge
che questo Purgatorio sia posto in su una ìsola la quale è nel
mezzo del mare oceano nell' altro emisfero di là opposto a
Jerusalem a piombo. Verbi gratia, se fussi possibile fare un foro
nel mezo di Jerusalem che forassi la terra e diricLimente passassi
pel centro di decta terra infino nell' emisfero di sotto, e intrando
per decto buco si giugnierebbe appunto nel mezzo di questa isola
in su la quale è questo Purgatorio; siche ambedue questi luoghi,
cioè di Jerusalem e di Purgatorio, per consequens vengono a avere
una medesima linea e circulo per orizzonte intorno alla terra. E
questo basti in quanto al sito del luogo, facendo proposilo che
Jerusiilem sia nel mezzo della terra abitabile, che cosi si tiene.
Secondariamente quanto alla proportione e forma del luogo,
cioè di questo purgatorio, prima notate che questa seconda
cantica si divide principalmente in tre parti. Nella prima pone
questa isola circundata dal decto mare oceano : e in su questa
isola pone una piaggia ritonda in forma d'una basa, e questa si
chiama Antipurgatorio , dove pone la stanza di cinque specie e
conditione d'anime; le quale stettono nel mondo pigre e negligenti
ad andare a penitentia e confessare i lor peccati con contritione e
satisfatione, e però qui hanno a ristorare il tempo neglecto e per-
SBR PIEBO BONAOOOSSI E IL CAMMINO PI DANTE 325
dato, e per ogni anno trenta anni che cosi neglegenti stettono nel
mondo, e questo hanno a Sare innanzi che elle possano andare su
al purgatorio a purgarsi conie più oltre si dirà. E questa è la prima
parte. Nella seconda pone uno monte altissimo in su questa
basa ritonda, e questo monte è circundato intorno intomo con
septe gironi a modo di ballatoi di forteze o di palagi, o quasi
a modo del campanile del duomo di Pisa; e dair uno girone
air altro v'è una rupinaia ripente quasi a modo d* un muro.
Et in questi septe gironi over ballatoi si purgano Y anime pe*
septe peccati mortali come di sotto si dirà. E questo monte
si è Purgatorio proprio. Nella terza et ultima parte di questa
seconda cantica pone in su Y estremità di questo monte , cioè
sopra il septimo girone, il Paradiso delitiarum o vogliam dire
terrestre, dove Tauctore descrive essere gran variatione di fre-
schi maj, varii fructi, nitidi e risplendenti fiumi, dolci canti-
lene d* ucelletti, alberi d' oro, signori coronati e belle donne e
altre notabili cose tucte figurale in sancta chiesa, come dì sotto
si dirà: e questo si chiama Postpurgatorio.
E cosi nel nome de Dio Virgilio e Dante usciti dal buco
d' iofemo entrorono in su questa isola posta nel mezo del mare
oceano. Questa isola finge Fauctore che abbi intorno intorno
dove la batte T acqua, gran quantità di giunghi; et in guardia
di questo luogo trovarono Catone uticense romano, il quale
doppo molte parole co llui tenute gli conforta a ssalire al monte,
a llevarsi lo scoglio di peccati che non lascia iddio esser mani-
festo. E partiti da llui Virgilio e l'auctore, e vagando per
questa isola, in sul levare del sole vidono un galeotto da lungi
venire per mare. E questo era uno angelo che menava dal
porto di Roma al purgatorio per purgare molte anime morte in
gratta di dio. E giunte quivi, tucte si gittarono et smontorono
in sur isola per salire al monte ; e monstraron maraviglia ve-
dendo Dante quivi in carne et in ossa fare ombra al sole, per-
chè in quel luogo non fu mai più uomo vivo da Adamo in
fuori. E seguitando Virgilio e Dante il lor cammino, et entrati
neir Antipurgatorio, cioè nella base in su la quale è fondato il
monte, trovarono la prima spetie dei negligenti sopra decti, che
nel mondo furono lunghi a confessarsi e &r penitentia di lor
VoL IV, Parte 1 21
326 6. BRUSCHI
peccati per non lasciare canti, suoni, balli, armonie, leggiadrie
et altre vanità mondane, le quali in tucto si convengon lasciare
chi vuole stare in stato di penitentia et in gratia di Dio. E tra
costoro trovorono uno chiamato Casella da Firenze, musico e
cantatore con chi V auctore tenne assai lungo sermone. E
quinci partiti seguitando a Uor cammino per questo Purgatorio
trovorono la seconda s])etie de' negligenti.
Seconda spetie d' anime, le quali furono negligenti ad an-
dare a penitentia di lor peccati nel mondo per una obstinacia
et perfidia di non voler credere né obsei-vare i precepti e com-
mandamenti della Chiesa né suo decreti. E pur alfine e nel
punto della moite si raveghano del loro errore: io dico quegli
a chi Dio concede gratia di ravedere, che non la concede a
tutti come sapete che tenghano i doctori; et a chi egli la con-
cede per suo gratia, si pentono con contritione e raccomandansi
a llui e sono acceptati in gratia et aperte lor le braccia della
suo misericordia; e niente di meno hanno a star qui a disagio
in questo Antipurgatorio innanzi che vadino al Purgatorio, per
ogni anno trenta anni che nel mondo furono e stettono a ri-
dursi a Dio et a penitentia di lor peccati. E qui trovarono il
re Manfredi, che guerregiò contro alla Chiesa più tempo, e più
altri contro a liei disubidienti. E partiti da questi, seguitando
il lor cammino per questo Antipurgatorio, ti'ovorono la tertia spe-
tie de anime negligente.
Tertia spetie d'anime, state negligenti nel mondo ad andar
a confessione e penilenlia di lor peccali per non voler perdonare
le offese e rimettere le 'ngiurie a chi gli ha offesi et iniuriati,
dicendo: io intendo prima far mie vendette che io mi confessi
e eh' io torni a dio e a stato di gratia ; che non si può en-
trare a stato di gratia né tornare a Dio se non si perdona ogni
uomo e donna da chi altri è stato iniurìato, come sapete
E in questa negligentia e obstinatione a molti sopravviene la
morte; e quando sono per inghiottire questo aspro bocchoiie
della mone, alquanti per gratia de Dio ricognioschono la lor
mala intentione e peiilonsene con contritione, e chieghono por-
donanza a Dio i)erdonando prima a ciascuno. Et esso Dio ha
si gran braccia che prende ciò che si rivolta a llui colla sua
SEB PIERO BONAOCORSI E IL CAMMINO PI DANTE 327
Toiserìcordia. E tra questa terza spetie fingie Tauctore trovare
il marchese Azzo di Ferrara e roesser Iacopo dal Gassaro da
Fano, e Buoncoote da Montefeltro, e madonna Sapia da Siena;
e qui etiandio truova Sordello da Mantova, con chi parlorono
e tennero lungo sermone e viaggio. E poi fa Dante una grande
e bella exclamatione contro a Itiilia e contro a Firenze, par-
Lindo ironicamente e con molto bello stile e colorì rhectoricL
E quinci partiti, seguitando il lor cammino per PAntipurgatorio
predicto, trovorono la quarta spetie d* anime negligente.
Quarta spetie d' anime, negligente a pentirsi nel mondo di
lor peccati e farne |)enitentia per una propria negligentia et accidia
di dì in di tardando la lor confessione, e dicendo: domani farò,
r altro farò; e questo domani e T altro non viene mai, e
cosi discorrendo tanto, che la morte in questo stato negligente
gli giugnie: et aitine certi per gratia di Dio si raveghono e
|)entonsi con contrìtione d* ogni lor |)eccato, e son da Dio ac-
ceptati in gratia. E tra costoro finge Tauctor trovare Ridolfo
im|)enitore, che fu al mondo uomo molto negligente e pigro,
e più altri signiori e gran maestri, perchè questo vitio di ne-
gligentia par che si truovi più nel grasso, e nelle riccheze più
si domentica Idio che nella poveità. E da costor partiti, segui-
t^indo per T Antipurgatorio al lor cammino, trovarono la quinta
spetie di negligenti.
Quinta et ultima spetie di negligenti, i quali tardarono la
lor [)enitentia nel mondo per non ritrar le mani della pecunia
t' roba male aquistata, che senza rendere V altrui non si può
essere in stato di gratia. E sopravvenuti della morte, allor si
recamo a considerare, e veghono e intendono aver mal fatto,
e |>er gratia di Dio alquanti con contritione si pentono e ren-
dono r altrui e raccomandansi a esso Idio con divotione; e
da llui alquanti in questo stato vegniendo, sono in suo gratia
riceptiti, e alquanti né, secondo eh* a llui piace. E però si dèe
sempre esser prompti alla |)enitentia, e non s* indugiare allo
estremo et alla passione della morte; perchè lo intellecto con
eh** si torna a Dio non si può abilmente esercitare in quelle
jiassioni, e chi non se ricorda della suo salute né di Dio in
viui, par che Idio alla morte non se ricordi dì lui.
328 G. BRUSCHI
E dormendo T auctore in questo luogo, Qnge essere stato
preso lui e Virgilio da una grande aquila con penne d*oro, e
levati di questa basa d'Antipurgatorio e portati suso alti al
monte di Purgatorio. E quivi videro la porta con tre gradi
overo scaglioni dinanzi di diversi colorì. E in su la porta un
portinaio con due chiavi in mano, Y una d' oro e V altra d' a-
riento; e nell'altra mano una spada lucida e tronca nel mezo,
che son tucte cose in figura del sacerdote e confessore e della
confessione e peccator penitente che va alla confessione e pe-
nitentia di suo peccato. E giunti al portinaio , fu facto a
Dante nella testa septe .P. col puntone della spada, e fugli
decto: quando sarai drento al Purgatorio lavarai queste piaghe;
e di poi colla chiave bianca e colla gialla aperse la porta
e misegli drento, dicendo loro: Non vi voltate mai adrìeto,
però che di fuori toma chi dietro si guata ; che son tucte
cose figurate e captolice materie; e cosi entrorono drento al
Purgatorio. E questo è quanto alla prima parte dell' Antipur-
gatorio.
Nella seconda paite di questa seconda cantica, entrati che
furono nel Purgatorio e riserrata la porta, sentiron cantare si
dolcemente il Tedeum, e non vedevano da chi. E cammi-
nando per una via aspra e spiacevole a ssalire, entrorono nel
primo girone di Purgatorio, o voglìàn dire baiatolo, il quale
era largo circa braccia nove, ciò è dal lato del monte infino
alla sponda che guati in giù verso 1' Antipurgatorio e in verso
l'isola e il mare. E tucta la faccia del poggio dal primo
girone al secondo (che era tanto alta quanto gli ochij potevano
trar d'alia et in su guatare) dice l' auctore che era di candi-
dissimo e splendido marmo et intagliato di più storie d'umiltade,
e con tinto magistero che non che Policrete, ma la natura quivi
arebbe perduto. E in questo primo girone si purga la superbia;
e questi superbia si purga per vedere molti acti conlrarii cioè
di humillà, e |)er vedere e considerare molte superbie abat-
tute e punite, come di sono se dirà. E primo dice che vi-
dono in questo marmo c^indido intigliata e figurata la imma-
gine (li Nostra Donna, e dinanzi a Ilei Gabriello di si nobile
scuiptura che si sarebbe giurato che gli dicessi : Ave Maria — .
SER PIERO BONAOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 329
E poi più oltre vidono intagliata una storia di David scalzo, e
intorno alParca sancta andar ballando umilmente. E più oltre
la storia di Traiano imperadore a cavallo e una vedovella al
freno. E seguitando più oltre, trovarono gran quantità d'anime
con pietre s) grosse in capo che le faceva n crepar pel peso : e
questo per farle ire umili e col capo basso, dove nel mondo
lo portorono alto e superbo. E qui ti*ovorono Provenzano di
Silvani da Siena, il quale al mondo fu uomo molto superbo.
E camminando più oltre, trovarono in terra, cioè nel pavimento,
molte tombe terrngnie colle lapide marmoree di sopra, come si
fa a* nostri avelli; e in una di quelle lapide vide intagliato Lu-
cifero cader dal cielo col capo di sotto. In un' altra lapide vide
sculpito Briareo gigante, il qiial era saettato e morto da Marte.
In un' altra vide intagliati Trimbeo e Pallade e Marte armati,
e molte membra di giganti sparte et abattute. Et in un' altra
lapide vidde Nembrotto appiè della suo torre; e vide Saul et
Aragnie, Roboam, e Troya in cinere ridotta; e molti altri gi-
ganti e superbi tucti morti, e oggi non è niente; che son
tucte cose et acti a ffar tornare altrui a penitentia et a umiltà.
E cosi in questo primo girone si purga la superbia. E girato
che ebono tucto questo primo girone, trovorono un lucido e
splendido angelo, il quale colla sua alia rase e cancellò a Dante
uno de'septe.P. che il portinaio di purgatorio gli haveva dipinti
nella testa; e poi gli aviò su per un' erta scalea, per la quale
salirono suso al secundo girone dove si purga la invidia.
Secondo girone di Purgatorio, dove si purga la invidia. E
in questo giunti Virgilio e Dcinte, e raguardando il luogo,
non vidoDO nella ripa né nella via alcuno segnio o sculptiira o
Ogura, ma solo la ripa de pelrina. E camminando solinga-
niente forse per spatio d' uno miglio, e cheti e taciti, sentiron
passare per l'aria presso a lloro più voci, e la prima disse al-
tangente: Vinum non habent —, e questo disse più volte e
passò via. E prima che del tutto non s'udisse per allunga!*si,
un'altra ne passò, e disse: Io sono Oreste, io sono Oreste,
più volte e passò via. E divegnendo Dante tucto stupefacto e
rivoltandosi a Virgilio, disse: 0 padre, che voci son queste? —
E come e' domandò, eclio la terza dicendo : Amate da cui male
330 0. BRUSCHI
aveste —, che tucti son d'amor cortesi inviti. E Virgilio ris-
puose a Dante dicendo: Questo cignio, cioè girone, sferza la
colpa della invidia , e però sono traete d' amore le corde della
ferza; e cosi si purga la invidia per consideratione d'acti
d'amore. E in questo, raguardando innanzi, vidono molte anime
con mantelli addosso, accostate alla piaggia over ripa del monte,
et avevan gli occhij cigliati come sparvieri selvaggi, e tucte
divotamente dicevano : Maria óra per noi — , gridando : Michele
e Pietro e tucti i santi orate per noi —, che per compassione
movevano altrui a piangere. E queste furono nel mondo gente
invidiose e più liete degli altrui danni che de' lor propri beni
e venture. Et qui truova madonna Sapia Senese e più altri,
e tocca la magagnia degli abitatori della valle d'Arno. E
seguitando per questo medesimo girone buon pezo, sentirono
nuove voci, dicendo una: Ancidarammi qualunque mi prende.
E dopo questa un'altra: Io sono Aglauro che divenni sasso;
che son tucte storie antiche d'amore e contrarie ad invidia.
E seguitando più oltre, trovarono l'angelo benedecto, il quale
cancellò a Dante il secondo .P. della testa, e mostrò loro lo
scaleo donde si saliva al terzo girone; su pel quale salirono a
esso girone terzo.
Terzo girone di Purgatorio, dove si purga il terzo peccato
mortale dell' ira. E questo peccato si purga i)er consideratione
d'acti de patientia. E qui appare a Dante in visione uno tem-
pio, drentovi più persone, et in su l'entrare una donna con acto
dolce di madre e dire: Figliuol mio, j)orchè hai tu così facto
verso noi? — che son parole che dixe umilmente Nostra Donna a
lesu Ghristo suo figliuolo quando lo tenne smarrito in Yerusalera.
E più, gli apparve in visione una donna, e collagrirae, dicendo:
Se tu se' sire della villa, vendica te di quelle braccia ardite che
abbracciorono nostra figlia, o Pbisistrato. E Phisistrato benigno
e mite rispuose con viso temperato: Che faremo noi a chi mal
ci disira, se quel che ci ama è per noi condennato? — che è
una storia di amore. E più, vide una gente accesa in fuogo
d' ira e colle pietre uccidere un giovenetto gridando : Martira ,
martira; e lui chinarsi pella morte che 1 gravava già inverso
la terra, e degli occhi faceva al ciel porta, orando a Dio in
SBR PIERO BONACCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 331
questi ji;uerra che perdonassi a* suo' persecutori. E questa è la
considerntione de la morte e martirio di sancto Stcphano, la
quale riduce altrui a mansuetudine et umiltà e patientia. E
seguitando per questo girone, entrorono per uno fumo si spesso
et obscuro che pareva nocte privata d' ogni luce. E in questo
fummo trovarono molte anime che ssi purgavano del vitio e
peccato dell'Ira: e le loro exordia e parlari erano pur: Agnus
dei che Ile peccata tolli — , e tucti a una voce che pareva tra
lloro ogni concordia. E tra costoro trovorono Marco Lombardo,
col quale tennero lungo sermone. E qui si considera più altro
storie antiche umili et apte a purgare il peccato dell'ira; e
philosotìciìmente parla come in noi nascie l' amore. Et usciti di
(piesto fumo, trovorono l'Angelo che c;)ncellò e rase a Dante
coir alia un altro .P. della testa, dicendo: Beati paciflci qui sunt
me ira mala. E trovorono lo scaleo, su pel quale salendo giun-
sero in sul quarto girone.
Quarto girone, cioè dove sì purga el quarto peccato, cioè
r accidia 0 ver pigritia. E qui trovorono una grande quantità
d'anime, delle quali due ne venivano innanzi gridando e con
pianto dicendo: Maria corse con (recti alla montagna; e Ce-
sare per soggiogare Ilerda punse Marsilia e poi corse in
Ispagna. Racto racto che '1 tempo non si perda ; — e così an-
davano purgando accidia e pigritia. E qui trovarono Io abbate
di san Zeno da Verona. E poi dormendo, l' auclore tracti una
t)olIa visione la quale egli el)e; et inQne, seguiLindo a llor cam-
mino su per lo sc;ileo, e' giunsono in sul quinto girone.
Quinto girone, dove si purga l' avaritia. E qui trovorono
I^Tan quantità di anime giacere tucte bocconi e cosi divoia-
mente parlando: Adhesi pavimento anima mea — con sì alti
suspiri che appena la parola s' intendeva. E tra queste anime
trovorono pa|>jì Arlriano dal Fiescho et Ugo Ciappetta francioso,
il quale sospirosamente diceva, come fa donna sopra partorire:
0 dolce Maria, povera fusti tinto quanto si può veder per
'pieir ospilio dove porUisti il tuo |)oilito sancto. - Et più oltre
udì dire: 0 buon Fabritio, che virtù con povertà innanzi volesti
che gran riccbeze possedere con vitio. — E più, udì parlare
della largbeza che fece Nicolo alle puhelle per condurre ad
332 G. BRUSCHI
OQor lor giovenezza. £ cosi per contrario suono andavan
purgando Y avarìtia. E qui trovorono Statio, poeta tolosano, fl
quale mostrò e disse a Dante et a Virgilio certe novità di tre-
muoto che fa il monte di Purgatorio quando una anima è pur-
gata e va in Paradiso, come avvenne altrui. E qui parlano
insieme molte altre cose, e come esso Statio si converti alla fede
cristiana. Et inflne montarono su per lo scaleo, e salirono nel
sexto girone, dove se purga il peccato della gola.
Sexto girone, dove se purga il peccato della gola. E cam-
minando per questo girone, trovorono a mezza strada uno al-
bero con pomi soavi e dolci ad odorare , e dair alta roccia o
ver ripa cadeva in su questo arbore un liquore chiaro che ssi
spandeva per tucte le foglie e frondi; e quindi usciva una
voce che dicea: Di questo arete voi caro. — E poi disse:
Più pensava Maria che le nozze fussino orrevoli et intere che
alla suo bocca. E le romane antique per suo bere contente
furon d^acqun; e Daniello dispreggiò cibo et acquistò sapere;
e mele et locbuste furon le vivande che nutrirono il Baptista
nel diserto. — E con questi exempli gustando si purgha il
peccato della gola. E seguitando più oltre, trovorono una turba
d* anime tacite e devote , e negli occhi era ciascuna obscura
e cava, pallida nella faccia, e tanto iscema, che dall'osso la
pelle s' informava , e parevan Y occhiaie anelle senza gemme.
E la cagione di lor magrezza era Y odore del decto pomo e
liquore il qual sentivano et assagiar non ne potevano per de-
creto di Dio. E tra queste anime trovorono Forese I>)nati in
questo vitto corrupto, con quale pariorono molte cose, e co llui
e con più altre anime, infln che trovorono un altro arbore con
fructi, e socto v'era anime che nne volevano prendere e non
potevano. E tra Ile frasche di questo arbore usciva una voce
che diceva : Legnio è più su che fu morso da Eva, E questa
pianta si levò da esso. E seguitando più oltre, trovorono Pan-
gelo che cancellò a Dante della lesta el sexto .P. e dixe: Beati
cui alluma tanto di gratia che dell'amor del gusto nel fedo
lor troppo disir consuma. E qui monstra Statio come l'anima
può sostener passione con belle ragioni. E quinci salirono in
su r ultimo girone, dove si purga il peccato di luxuria.'
SER PIERO BONACCORSI £ IL CAMMINO DI DANTE 333
Septimo et ultimo cerchio, dove si purga il peccato di lu-
xurìa. E in questo ultimo girone è una spera di fuoco che
circunda tucto il monte e prende buona parte del girone, per
modo che conviene andare discosto e largo inverso la estre-
mità del girone, cioè donde si vede la marina, chi non si
vuole cuocere. E camminando Virgilio e Dante per questo
girone vidono io quel fuogo gran quantità d* anime, et an-
davan gridando: Virum non cognosco — , e chi gridava: Al
bosco se tenne Diana Et Elice cacciò, Che di Venere avea
sentito il tosco — . E passate queste incontanente vidono un' al-
tra schiera d'anime che venivano contro all' altre, e queste an-
davan gridando: Sodoma e Gomorra etc; E nella vacca intrb
Fasiphe, Perchè il torello a suo luxuria corra — . E qui trovo-
rono Guido Guinizelli et altri. E infine, passorono questo fuogo
a' conforti d'uno angelo, e passati che fuorono, incontanente si
trovorono in su l' alteza e cacume o vero extremità di questo
monte, e quivi trovorono il paradiso delitiarum o vogliam dire
lerrestro, dove Virgilio prese licentia da Dante et abandonollo
ritornandosi al suo luogo del limbo. E qui si accompagnò
Dante con Beatrice, la quale è figurata per la sacra theologia;
la quale Beatrice da quinci innanzi sarà scorta e guida di
Dante a mostrargli il paradiso terrestre e luogo de' beati, pas-
sando per tucte le spere infino nel cielo empireo. E cosi entra
nel paradiso terrestre, che è la terza parte di questa seconda
cantica.
Nella terza et ultima parte di questa seconda cantica entra
Tauctore nel paradiso terrestre, nel quale finge trovare un'aria
soavissima e dolce che lo feriva per la fronte Non di più colpo
che soave vento. E questo luogo dice esser pieno di fresche
frondi e di mirabii primavera, in su le quale erano diverse
maniere d' ucellecti mai più visti, e quivi di cantare adopera-
vano ogni loro arte. E camminando per questo paradiso ter-
restre, dice r auctore che trovò lungo la riva d' uno rivo d'acqua
nitida e risplendente una bella donna che con suo canti si
scaldava ai raggi d' amore, et co Ilei parlò l' auctore mollo. Et
ella gli dixe che questo luogo di paradiso fu dato al nostro
primo {Kidre Adamo per arra d' etterna pace, ma per suo defecto
334 G. BRUSCHI
ne fu cacciato; e come tucti i fructi e* florì che noi abiamo
qua giù nel mondo vengono et anno origine di lassù: e mo-
stralo con naturali ragioni che precedono dalla prima spera
cioè dal primo movimento. Et etiandio dice che lassù è assai
più fructi e fiori che di qua non si colgono né vegono. Et
seguitando il cammino con questa donna, Onge 1* auctore trovare
mirabili cose , e però buon zelo lo fé* riprendere lo ardimento
d* Eva , che fu cagione di torci tanto bene. E quivi truova e
vide septe gran candellieri d*oro con giente vestita di candido
biancho, e tucto il cielo di sopra di giubilo e gaudioso colore
appennellato di vaghi et colorati tracti; e socto tal cielo vide
ventiquattro signori a due a due coronati di fiordaliso cantando
e giubilando, e quattro animali coronati di fresca fronde, e
pennati e alati di sei ale piene d'occhi, come scrive Ezechiel
profeta. Et un carro in su duo ruote tirato dal collo d* un gri-
fone, con tre donne alla dextra rota, Tuna vestita dì rosso, la
seconda di bianco, la terza di verde; e quattro altre donne
dall' altra rota del carro, e due vecchi ; e poi quattro in umil
paruta, e drieto a tucti uno vecchio; e tucti cantando. E più
altre mirabii cose in figura tucte di sancta Chiesa captolica. E
qui etiandio truova Dante Beatrice, la qual reprende Dante
d'assai defecti commessi i)er lui dopo la morte d'essa Bea-
trice; che, come è decto, è figurala per la sacra theologia, et
al mondo fu amorosa di Dante e figliuola di Folco Portinari
fiorentino. E fra l'altre cose che Dante è ripreso da Ilei, è per-
chè al tempo della vita d' essa Beatrice, che mori parvolecta e
non maritiìta, Dante viveva virtuosamente nel suo amore et at-
tendeva a studi sacri e laudabili opere virtuose; et dipoi
eh' Cvssa Beatrice mori, esso Dante variò, perchè cominciò a at-
tendere a studi poetici e lìclioni d'auctori mondani certo tempo;
ma dipoi si ritornò pure al soave gusto e salutifero di Theo-
logi. E in questo paradiso si paria d' alte materie e belle cose
che saie' lungo pur a ttoccarne parte. Ma in fine Dmte insieme
con Beatrice predetta escono di questo jìaradiso terrestre per
monUire ai luoghi de' beati, che sarà la terza cantica di tucta
r opera dall' auctore, decta Paradiso. E quinci usciti, entrono
per prima nel pianeto della luna.
SER PIERO BONACCORSl E IL CAMMINO DI DANTE 335
Id questa terza et ultima caotica e parte chiamat;i Para-
diso, parla T auctore e prefato nostro poeta Dante del regno
e gloria de' beati, e qui mostra esser sommo theologo. E
puossi partir questa terza parte in dieci parte; però che prin-
cipalmente entra nel pianeto della Luna, poi in Mercurio, poi
io Venere, poi nel Sole, poi in Marte, poi in Giove, poi in Sa-
turno, poi nella octava spera delle stelle, poi nel primo mo-
vimento cioè nona si)era, poi entra nella gloria di paradiso che
amore e luce ha per confine. E qui descrive le gerarcie
degli angeli, e descrive tucii gli ordini di paradiso in forma
d* una candida rosa, e accompagnato con San Bernardo e con
(livota oratione perviene al luogo dov' è Nostra Donna, la quale
è nel centro ovvero giallo di questa rosa; e come vide Bea-
trice nella suo beatitudine e nella suo sedia; e con divota o-
ratione di San Bernardo e di Nostra Donna vide V ultima bea-
titudine, cioè Idio in sua essentia, e come la umanità del nostro
signor lesù Ghristo era coninncta colla divinità. E cosi alta-
mente comparte suo tractato e dà expeditione a suo alta ma-
teria. E venendo alla particolarità, dicho che dipoi che Dante
ha visto il paradiso delitiarum, che è posto sopra il monte di
purgatorio sopra lo ethere, cioè sopra il purissimo aere e sopra
la spera del fuoco, di questo paradiso usciendo insieme con
Be:)trice entra nel pianeta della Luna.
Pianeto dello luna, che è la prima spera sopra la spera
del fuoco. Qui parla Y auctor Dante soctilmente, e monstra es-
ser doctissimo e maxima mente in astrologia dove dice : Surge
a' mortali per diverse foci etc. E qui dichiara la verità di
se^ni buij et ombra nera che si vegono nella luna, che molti
sciocchi dicono che egli è Gayno, e chi dice che gli è raro e
denso. Finge V auctore vedere in questa spera molti spiriti et
anime, i quali in prima giunta gli apparvono ombra o vogliàn
dire specchiali sembianti di gente che gli fussino dirieto. Ma
non si veggiendo dirieto persona, e rivoltandosi innanzi, s'avide
eh' elle erano vere substantie et anime beate. E questo gli adi-
venne perchè non era più uso a vederne, e maximamente delle
be;ite. E tra costoro trovarono Piccarda fiorentina e Gostanza
della casa di Soave, ambedue state al mondo suore e monache
336 G. BRUSCHI
di Sancta Chiara, e state traete dal munistero per forza de' pa-
renti loro per maritarle e acquistarne parentado , e questo fu
contro alla lor voglia in parte. E qui si muove un dubio se
gli spiriti che sono più bassi in paradiso vorreben più alto e
più degnio luogo che e' s' abino : e solvesi il dubio e
dice di no; perchè tucte l'anime che sono in paradiso son
piene di beatitudine secondo loro affecto, e la lor beatitudine
è tenersi drento alla divina voglia. E qui ancor tracta de due
veritade manifestate da Beatrice e della voluntà mista e del-
l'assoluta. E parla de' voti, se si può satisfare al voto rocto;
e solve la questione et admaestra molto i Cristiani circa i voti
come adpare diffusamente nel testo.
Pianeto secondo di Mercurio, nel quale entrato finge l'au-
tore veder Beatrice suo guida molto lucida, e più di mille
splendori, cioè anime, venire e trarsi verso lui dicendo: Echo
chi crescierà li nostri amori, e tucte pareano de letitia. E una
d'esse anime cominciò parlando: 0 ben nato, a cui veder li
troni del triompho ettemale concede gratia prima che la mali-
tia s' a bandoni! Del lume che per tucto il ciel si spatia, noi
siamo accesi; e però se desii da noi chiarirti, a ttuo piacere ti
satia — . E cosi profertosi, Dante gli domanda chi e' sono, e
maximamente chi parlò di sopra cosi gratiosamente. E lui gli
rispose, e dixe che era l'anima di Giustiniano imperadore, e
dicegli i gran facti che lui fé, e che ferono i Romani in con-
quistare gran parte del mondo sotto il regno e gonfalone del-
l' aquila dall' advenimento di Enea in Italia in fino al tempo de'
Longobardi. E alcune cose si dicono qui in laude di Romeo
bisconte e Ramondo Berlinghieri da Provenza. E qui monstra
Beiitrice come la vendecta facta per Tito e per Vespasiano
della morte di Ghristo fu giusta.
Pianeto terzo di Venere, nel quale s' avide l'auctore es-
sere intrato perchè vide Beatrice farsi più bella e più lucida
che r usato. E qui gli parve più lumi et anime beate volando
per quel' arie o vero cielo come venti, cantando Osanna in ex-
celsìs si divinamente che Dante dice che mai poi di riudire non
fu senza disio. Et udì dire a uno di loro: Tucti siam presti al
tuo piacer perchè di noi ti gioi —, e con tanta attrezza
SEK PIEBO BONACCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 337
eran cinti e fasciati, che parevan animali bruchi di lor seta
fasciati. E questo che parlò fu Carlo Martello d' Ungharia ,
manifestando certe questioni tocche, belle e naturali. E poi truova
madonna Cunizza amorosa, nntidicendo alcune cose di Marca
di Trivigi, et Folco vescovo di Marsilia.
Pianeto quarto del sole, nel quale entrati vide somma-
mente rabbellire Beatrice; et incontanente lui e Beatrice pre-
decta furono circondati da una corona di fulgori et anime
vive e più dolci in voce che in vista lucenti. Et ai conforti
di Beatrice, Dante rivoltò lo intelecto a ddio e con divotione si
rendè allui e ringratiollo di sì mirabil cose quante vide. Che
vidde girarsi intorno intorno decta corona tre volte d* anime
lucenti e con dolce melodie dicendo: Nella corte del cielo on-
dato rivegno, Si trovano molte gioie care e belle Tanto che non
si possono trare del regno, e, Chi non si impenna che lassù
voli Dal muto aspecti quindi le novelle — . E poi ferme, un'altra
anima dixe: Qual ti negassi il vino della suo fiala Per la tua
sete, in libertà non fora. Se non come aqua che al mar non si
cala. Tu vuoi saper di qua* piante s'infiora Questa grillanda
che intomo vagheggia La bella donna eh* al ciel t* avalora. — .
E questo che cosi parlò fu Santo Tomaso d'Aquino, e dixegli
che tra quelle anime incoronate eravi Alberto Magno di Colo-
gnia, Gratiano, Pietro Lombardo maestro delle sententie. Sala-
mone, San Pavolo, Siincto Ambroxio, Boetio, Isidoro, Riccardo,
Si<;geri. E qui etiamdio San Tomaso d'Aquino in gloria di
San Francesca) vostro sotto brevità raconta e fa mentione di
suo vita. E beato Buonaventura da Bagnioreggio dell* ordine
vostro in gloria di San Domenico parla etiandio di suo vita;
et vogliono molti expositori di questa Commedia che Dante pi-
gliasse gran fondamento di theologia da questo vostro beato
Huonaventura e dalla Somma sua in fabricare e comporre
theologicamente questa terza cantica di paradiso, che in molti
luoghi si vede lui aver prese sue sententie Etiandio in questo
pianeto del sole si trova Illuminato, Agostino, Ugo da San Vi-
ctore, Pietro Mangiadore, Pietro Hispano, Nathan profeta, Gri-
sosioroo, Anselmo. Donato, Rabano, Tabate Giovacchino di flo-
rensi cbalavrese. E qui etiandio il decto San Tomaso solve
una bella questione tocha da Salamone; e Salamone solve al-
338 G BRUSCHI
cun' altra cosa dubitata. E queste dubitatioDÌ absolutioni e punctì
sono molto belli come appar nel testo. E quinci usciti, intro-
rono nel pianeta di Marte.
Pianeto quinto di Marte, nel quale Tauctore finge vedere
una gran croce splendida e lucida di fulghorì, e dentro gli
parve lam[)eggiar Christo con molte anime beate che parevano fa-
ville di fuoco che corressero per la croce di su di giù, dal-
lato e da capo, non uscendo del nastro della croce, con una
melodia soave e dolce si che Y auctor dice che infino a quivi
non fu cosa che lo legasse con sì dolci vinci. E dal dextro
corno della croce usci V anima di messer Cacciaguida cavalieri
fiorentino e bisavolo di Dante, e correndo per la croce s' ap-
pressò a Dante, che parve stella di nocte che tramuti loco. E
mostra che detto Messer Cacciaguida si rallegrassi molto ve-
dendo il suo descendente e pronipote Dante in quel luogo
venire. E co llui parla di molte cose, e maximamente lodando
gli antichi costumi di Firenze in vituperio del presente vivere.
E parlagli di quaranta famiglie antiche di Firenze delle quali
molte ne sono venute meno et èccene poco ricordo. Et in fine
solve l'animo dell' auclore, predicendoli più cose della sua infor-
tuna e fortuna, e finalmente lo confoila a seguitare questa suo
Comedia et opera. Et ancora finge di trovare in questo crocie
l'anima di Giesuè, di Machabeo, di Guglielmo, di Romualdo,
il duca Gottifredo, Ruberto Guiscardo, i quali tucti furono al
mondo caplolici e pugnatori e combattitori per la fede cristiana,
et in questa croce si monslravano sì gaudiosi e si giocondi che
letizia parea ferza del paleo. E di qui usciendo introrono nel
pianeto di Giove.
Pianeto sexto di Giove, nel quale intrati vidono nuova luce
e in essa grandissima quantità di splendori cioè d'anime sancle
che volitando per quelle aure andavano cantando con dolcie me-
lodie. E facevano di loro substantic nell' aire o vero in quel
cielo forme quando d'una D. quando d'uno I. quando d'uno
L., poi d' uno L, poi d' uno G., poi d' uno I., j)0i d'imo T., |)0i
d'una E. E a queste note, cioè a ciascuna, si fermavano un
poco, e poi riforma van l'altra, per modo che compiute tuclo
le lettere vocali e consonanti, e stando Dante contìnuamente
SER PIERO BONAOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 339
attento compitò et rilevò che il lor detto era: Diligile iustitiam
qui iudicatis terram. E nel formare del M. ultima, dice che vi
j^itinse nuove anime e piiosonsi in mezo di questa M.: e d*una
M gli parve un'aquila diventata, perchè ferono il collo et capo
e becco; e cominciò di molte voci a ffare una voce sola che
usciva del collo e becco di questa Àquila. E dichiara un
gran dubbio et abomina tucti i cristiani i quali regnavano nel-
l'anno milletrecento, e uscì voce di bocca a questa aquila
che diceva: De' fuochi ond'io figura fomrai, Quello onde l'oc-
chio in testa mi scintilla Clolni che luce in mezo per pupilla
Fu el cantor dello spirito sancto. De' cinque che mi fan cer-
chio |)er ciglio, Colui che più al becco mi si accosta è Tro-
iano imperadore, il secondo Ezecchia, e poi Costantino impe-
radore. Guiglielmo re di Sicilia, Rifeo troiano. Et quinci intro-
rono nel pianeta di Saturno.
Pianeto septimo di Saturno, nel quale l'auctor finge vedere
Attrice più bella e più gaudiosa che l' usato, e cosi di loco
in loco monbindo su più bella gli pareva. E dice che Beatrice
in questo pianeto non volle ridere né mostrarsi apertamente
gloriosa! alFauctore come in verità eli' era, perchè Dante essendo
ancor mortile non arebe potuto sostenere in quella il suo
riso né il suo glorioso aspecto, perchè se interamente glie
n'avessi mostro, Dante si sare' morto dall'allegrezza trop|)0
empio. E in questo pianeta dice l'auctore che vide uno scaleo
altissimo quasi di color d' oro in che razo traluce , e che la
sua vLsL) non si i)Oteva riparare da esso; e per gli gradi ò
vt'ro scaglioni scendeva giù tanti splendori che Dante dice che
|)ensò che tucto il lume di paradiso fosse quindi diffuso: e
queste erano tucte anime benedex;te le quali [larevano pole, o
vogliam dire mulacchie, le quale al tempo di sementa e nel
cominciar del giorno quando si muovono per scaldare le fredde
piume, e qual va via senza ritomo, quale si va circundando
intorno al pino dov' ella ha dormito, et altre se ne vanno sog-
giornando presso; e così dice che facevano quelle anime che
scendevan dello scaleo. Et una di loro s' appressò a Dante
itnto che Dante le dixe: Io veggio ben l'amor che tu mi ac-
cenni — E poi le dixe : Vita b^ta, che ti stai nascosta Drento
340 G. BRUSCHI
alla tua letitìa, fammi nota La cagìon che sì presso mi Tha
posta. — E dice perchè si tace in questa rota la dolce sim-
phonia , cioè canti di paradiso , che giù per Y altre suona
si devota. Et ella respondendogli disse: Tu hai T udito mortale
si come il viso, ( cioè vedere ), onde qui non si canta per
quel che Beatrice non ha riso ; cioè , perchè Dante non hare*
potuto colla sua mortiilità sostenere la dolce simphonia e canto
divino, anzi udendolo per troppa ampia letitia e gaudio si sare'
morto. — Giù per li gradi della scala discesi: e questa era
r anima di Pietro Damiano, il quale dichiara qui alcune belle
quistioni. Et in questo pianeto truovano Machario e Romualdo;
e quinci entrorono nelPoctava spera e nel segno di Gemini
che si comprende in decta spera.
L'octava spera delle stelle, nella quale entrorono nel regno
di Gemini; nel qual segno Tauctore dice che luì nacque et indi
riconosce tucta la sua virtù et ingegno. Et in questa spera ri-
voltandosi in giù, rivide tucte le altre spere di sotto et il sito
della terra, e vide la lor virtù e la lor grandezza. E quindi
si rivolta a vedere il triumpho di paradiso a' conforti di Bea-
trice. E così entrarono nella nona e ultima spera, cioè nel primo
movimento, dove racoltamente vidono tucte le cose che parti-
cularmente avevan per altre spere.
Nona et ultima spera, nella quale attenti riguardando, Bea-
trice e Dante vedevano il cielo molto lam[)eggiare. E Beatrice
dixe: echo k schiere Del triumpho di Ghristo, e tucto il fructo
Ricolto del girare di queste s|)ere. E pareva anche il viso de
Beatrice ardesse tucto E gli occhi di letitia sì ripieni Che p;)ssar
gli convenne senza constructo. E poi dice che vide sopra mi-
gliaia di lucerne un sole che tucte l'accendeva e per la viva
luce trasp:ìreva la lucente substantia , cioè Nostra Donna. E
Beatrice disse: quel che te sopranza È virtù da cui nulla si ri-
para: Quivi è la sapientia e la |)Ossanza Che aprile strade tra
'I ciclo e la terra. E più gli disse: Apri gli occhi e guarda
qual son io; Tu hai veduto cose che possente Se' fatto a so-
stener lo riso mio. E però dice Dante: Quando io udii questi
proferta degna Di tanto grato, che mai non si stignie Del
libro che il preterito rassegna (cioè memoria), Se mb sonas-
SER PIERO BONAOCOESI E IL CAMMINO DI DANTE 341
sino tucte quelle lingue C!lhe polilinnia colle suore fero del lacte
lor dulcissimo più pingue. Per adiutarmi al millesimo del vero
Non si verria, cantando il dolce riso E quanto il dolce aspecto
faceva mero. Cosi flgurando il paradiso Convien saltare il
sacrato poema. E poi gli dixe Beatrice: Quivi è la rosa in
che il verbo divino Si fece carne, qui son li gigli Ài cui odor
si prese il buon cammino E quivi dice che vide moltissime
turbe di splendori e d'anime beate, che ordinatamente facevan
cerchio intorno a Nostra Donna in forma d* una rosa ; come
voi dicessi il giallo della rosa fusse Nostra Donna et le foglie
intorno tucte fussino piene di queste anime beate. E da alto
scese sopra Maria una corona d' angioli, et uno di lor tucto
gaudioso e legiadro venne dinnanzi a Ilei et dixe: Io sono amore
angelico che giro L'alta letizia che spira del ventre, Che
fu albei^o del nostro disio. Et girerommi , donna del ciel,
mentre Che seguirai tuo Figlio e sarai via Per la spera superna
perch*egli entri. — E queste anime che intorno a Maria sta-
vano, Regina celi, cantavan si dolce che mai da Dante non si
partì il dilecto. E qui truovano san Piero, il quale a pre-
ghiera di Beatrice examina Tauctor Dante nella fede. E tro-
vano san Jacopo, col quale Beatrice e Dante parlano di certe
questioni, delle quali san Jacopo solve la prima, et examina
r auctore della speranza. E poi trove Adamo , che gli dice il
tempo della suo felicità et infelicità e quanto tempo stette nel
panidiso terrestre. E più oltre proverbiando san Pietro i sua
succosori adempie T anima dello auctore. E più oltre Beatrice
distingue a Dante li nove cori degli angeli, e di poi si parla
della su|)erbia e cacciamento de' mali angioli e della electione
e gloria de' buoni. E riprendesi coloro che predicano parten-
dosi dal Vangelio e dicono favole e dichiarono certe oscuri-
tade del regno celestiale. E oltre a questo l' auctore per con-
ducemento di Beatrice vide gli splendori della divinitade e le
sedie dell'anime beate, tra le quale vide quella di Arrigo di
Luzimborgho imperadore colla sua corona. E quinci usciron del
primo movimento, cioè della nona et ultima s[)era, et entrorono
Del cielo che è pura luce. Luce intellectual piena d' amore, a-
Vol. IV, Parte I. 19
342 G. BRUSCHI
more di vero bene pieno di letitia, letitia che trascende e passa
ogni dolcezza.
Cielo e beato re^o pieno d* amore e luce , e amore e
luce ha per confino. Nel quale gloriosamente entrati, Beatrice
e Dante penetrando velocissimamente per quello, giunsono
nel profondo mero et empireo tempio, dove per la profondità
alcuna stella perdeva già il suo parere né aggiungeva a tanto
fondo. E quivi dice Fauctore che fu circumfulto da viva luce,
il perchè lui comprese essere sormontato sopra a sua virtute.
E quivi vide T una e T altra militia di paradiso, cioè angelica
e umana. E vide lume in forma di riviera, Fulgido di ful-
gore intra duo rive Dipinte di mirabil primavera; e di tal
fiumana uscivano faville vive, E d^ogni parte si mettevano ne'
fiori, Quasi come rubino che oro cii*cumscrive. Poi come in-
nebriato dagli odori Riprofondavan sé nel miro gurge, E se
una latrava un* altra n'usciva fuori. E beuta che bebé Tau-
ctore di questa aqua gli parve le palpebre degli occhi di lunghe
diventile tonde, e però comprese il vero di quelle che gli pare-
vano faville, le quali in verità erano angeli et anime beate. E
cosi chiaramente e manifestamente dice che vide ambedue le
corti del paradiso, cioè angelica et umana, e tucto Y ordine di
quelle; e vide le sedie della umana generatione si piene che
poca gente più s'aspectava. E qui fu lasciato Dante da Bea-
trice suo guida, e trovò san Bernardo per lo cui conducemento
rivide Beatrice entrata nella sedia della suo gloria, e ringra-
tiala della suo compagnia e di quanto egli ha veduto per suo
mezo. E qui san Bernardo mostra all'auctore ordinatamente i
luoghi (li beati del vecchio e nuovo testamento, e come la
voce deir angelo Gabriello laudava Nostra Donna. Et in ultimo
san Bernardo fa una devota oratione a Nostra Donna che gli
piaccia adoperare si che esso Dante si possa levare tanto in su
cogli occhi che egli possa vedere V ultima salute, cioè Mio. E
come di poi la vide: e qui parla mirabilmente. E rimase beato
e contento e compiè tucto il suo desiderio. E cosi fa fine
come il buon s^irtore che come egli ha del panno cosi fa la
gonna.
SBB PIBBO BONAOOOBSI E IL CAMMINO DI DANTE 343
Rendomi certo che questo mio scrìpto vi parrà cosa sem-
plice, perchè è stata cosa corsiva et in brieve tempo facta, poiché
da giuovedi ioGno a questo di di mercholedl presente Tò tra-
seborso e scripto, che son di vi, nonne lasciando però le fac-
cende del mio ufficio. E se riguardei'ete il testo dei prefato
auctore, trovarete che lui monstra in poco più tempo aver
facta questa suo comedia e questo suo cammino d* Inferno, Pur-
gatorio e Paradiso come aparisce nel testo. E questo quanto
alla fictiooe. Ha in fabrìcarla, scriverla e sollimarla versifica-
mente, credo poi penassi degli anni più di venti parecchi. E
questo è manifesto, perchè innanzi che lui fussi confinato di
Firenie Y aveva cominciata, et alla sua morte che fu in Ravenna
di poco Favea compiuta, come Dell'opera sua propria si com-
prende et ancora nello scrìpto della sua vita si legge. Sì che
concbiudendo, piacciavi di leggere questo scrìpto e vedrete Por-
dine suo bello e leggiadro. E di poi sarò a voi, e se delibe-
rarete di metter tempo a Icgere et intendere T opera principale,
m' offero come dinanzi vi dissi, se vi piacerà, esser con voi ;
che, pigliando ogni dì una discreta ora, Io vedremo in due
mesi circa, non occupando gli uffici vostri divini. E da ora
innanzi siete paghato di ciò vi promisi. Nec plura; valete feli-
citer. Vester Pierus ser Bonaccursii noi.
Perchè nel fine del presente tractato io scrissi aver tra-
schorso questo cammino per tucta la comedia di Dante in sei
dì, et in tanti e simili dissi che fece Dante secondo la sua fi-
ctione; però è da notare, che volendo lui in ogni processo del
suo poema andare composto, ordinato e misurato, vegho e
racbolgo che luì fé' tucto questo cammino in vi di et in al-
tretante nocte. E parmi che lui lo cominci a dì xxv di marzo
anno MGCC. essendo la luna in quint;)decima. E questo fu
anno di giubileo, nel quale lui andò a Roma, e credo pel per-
dono, benché e' v'andassi imbasciadore del nostro Ck)mune, e
fu electo essendo lui de' nostri signori in decto anno. E fu
Lsbandito da Firenze essendo lui a Roma come vollono ì Si-
gniori sua successori per le parti che allora e' erano. Nel qual
giubileo si rimettono i pechati in genere a' confessi e contriti
344 0. BRUSCHI
e viensi a sLito di gratia. E comprendo che Dante in decto
anno venissi a contritione de sua pechati et a ffarne penitentia
essendo già venuto al mezo del cammino di nostra vita humana
et agli anni; di Christo nel qual tempo o circha chi non si ra-
vede e correggiesi poca speranza si può aver di sua salute.
E chi etiandio si indugia tanto , ha assai difficoltà , come si
legge che adivenne ad Angustino nel ottavo capitolo delle sue
confessioni, però che per consuetudine del pechato l'uomo si
fa servo di quello e quasi necessariamente pecha. ET pare che
questo etiandio adivenissi a Dante, secondo Beatrice parla a certe
donne nel XXX"* cap.® del Purgatorio dicendo chosi di Dante:
costui Tanto giù cadde che tucti argomenti Alla salute sua
eran già corti Fuor che mostrargli le perdute gienti. — E
parmi che esso Dante cominciassi eiiandio questa sua comedia
et opera la notte di Giovedì precedente a Venerdì sancto, per
le parole lui dice in cap.** XXI de lo *nferno: Ieri più oltre
cinque ore che questa otta Milleduecento con sessantasei Anni
compier che qui la via fu rotta. E quando e* dice queste pa-
role si ritruova in Malebolge d'inferno in su l'ora della prima,
cioè in su l'aurora di Sabato sancto et in su uno scoglio di
sasso fesso dove è rocta et intercisa la via, la quale dimostra
che si ruppe nel tremuoto che fu Venerdì sancto quando Christo
spirò in su la crocie, che fu Y ora della sesta. Et quando Christo
fu passionalo avea anni trentidue e tre mesi, e mesi nove
stette nel venire di Maria; siche XXXIII anni stette nel mondo.
Metti XXXIII sopra MGGLXVI fa MCGLXXXXVIIII. E per-
chè l'autore pone essere entrato in inferno di nocleet in questa
bolgia si ritruova da mattina in su l'aurora e Christo mori in su
l'ora della sesta, sicché dall'aurora alla sesta sono 'cinque ore,
però sì può conchiudere che l'auctore die princìpio alla sua
comedia lìnito l'anno MCGLXXXVIIII in giovedì nocte, co-
minciato l'anno MGGG. E venne a essere a dì xxv marzo,
anno MGGG. La qual nocte di giovedì sancto esso Dante si ri-
truova nella selva oscura dì pechati. E Venerdì sancto al levar
del sole esce dalla selva e consuma tucto questo di sciiramuc-
ciando colla lonza, leone e lupa, come è manifesto in primo
cap.*^, dicendo: Guardai in alto, e vidi le sue spalle Vestite già de'
SER PIERO BONACCOESI E IL CAMMINO DI DANTE 345
ragi del pianeto... etc. E più giù: Temp'era del principio del
mattino, E, 'I sole nfiontava in su con quelle stelle, etc.
Nella seconda nocte Tauctore e Virgilio entrano in inferno
e vanno inlìno alla quinta bolgia de' baraitieri — Gip.® XXI —
E questo per le parole del secondo cap.®: Lo j^iorno se n'an-
dava e r aere bruno , etc. — E cap " VII. : Or discen-
diamo ornai a maggior pietà. Già ogni stella cade che saliva
quando mi mossi etc. — E cap.^ XV.: Lassù di sopra in la
vita serena , Rispuosi allui , mi smarij in una valle Avanti
che l'età mia fussi piena. Pur ier mattina le volsi le spalle
eie. E. cap.® XX.: Ma vienne ornai che già tiene il confine
D* amendue emisperij , et tocha 1' onda Socto Sibilla Caino
e le spine : E già ier nocte fu la luna tonda. E cap."" XXI. :
Ieri cinque ore più oltre che questa otta etc.
Il secondo di, ciò è sabato mattino, si parton di questa
quinta bolgia e vannone infino al pozo d'inferno guardato da'
quatro giganti, cap.° 31. per queste parole quivi poste: Quivi
era men che nocte e men che giorno, Sì che il viso m'an-
dava innanzi poco.
Nella terza nocte che precede la domenica di pascua si
parton di decto luogo, et camminando vidon tucto il resto
d'inferno infioo a circa un'ora e mezo di nocte, et in questo
tempo usciron d'inferno. E questo per le parole poste in cap.®
34 in due luoghi, cioè è: Ma la notte resurge, e oramai È da
partire, che tucto avèn veduto. E più giù : Levati su , disse il
maestro, in piede; La via è lunga e'I chammino malvagio, E '1
.sol già a meza terza riede. Non era camminata di palagio, [Là 'v'e-
ravamj ma naturai burella che avea mal suolo et di lume disagio.
— Si che è da notare Che a l' una ora e mezo di nocte escie d'in-
ferno, et in quella medesima ora entrano nella tomba over bu-
rella, che è nel globo della terra dove sono le coste e gambe
di Lucifero, posta nell'altro emisperio della terra dove comincia
il di quando nel nostro emisperio comincia la nocte per diricta
oppositione. Siche e' passorno in una medesima ora, ciò è da
un'ora e mezo di nocte a meza terza di di, per la ragione già
decla, perchè passarono il punto over centro de l'universo et
di tucta la machina del mondo da l' uno emisperio all' altro.
346 (3i. BRUSCHI
Si che si può conhiudere a mio parere e per quello che è mostro,
che Dante e Virgilio feciono il cammino d* inferno in due dì
e tre nocte, per questa tomba over burella, per uscire fuori del
globo della terra; e Domenica mattina in su V alba n' usci-
rono a riveder le stelle, e ritruovandosi in su Y isola appiè del
monte del purgatorio posta nel mezo del mare oceano ne l' altro
emisperìo. Il quale monte è opposto a lerusalem a piombo; il
quale Jerusalem si ragiona che sia nel mezo di questa terra
abitabile.
Seguitando l'autore il suo ordinato processo, insieme con
Virgilio in questa seconda cantica di Purgatorio entrano do-
menica mattina in su Talba, e con questo dì camminano in-
fino alla terza qualità di negligenti in cap.^ VI dove dice così;
e prima in cap.° I." Dolce colore d' orientai zaffiro Che s' a-
choglieva nel sereno aspecto Dello aere puro infino al primo
giro , etc. Et più giù in decto cap.^ I.'' : Poscia non sia di
qua vostra reddita, lo sol vi mostrerà che surge omai, etc. —
E in decto cap.'': L* alba vinceva V ora mattutina, etc. E in 2.^'
cap.^": Già era il sole a 1* orizonte giunto. Lo cui meridian cerchio
choverchia lerusalem col suo più alto punto. E più giù:
Da tucte parti saettava il giorno Lo sole , etc E in cap.*
3.* Lo sole che dirieto fiammeggiava roggio etc. E più giù
in decio cap.'' 3": Vespro è già colà dov' è sepolto Lo corpo
etc. — Et in cap.® 4.^ Di ciò ebb' io esperientia vera, etc.,
E in decto cap.® 4.® Già innanzi il poeta mi saliva, e diceva :
Vienne ornai , vedi che è locho Meridiano dal sole, etc. Et
in cap.° sexto: Prima che sia lassù tornar vedrai Colui che già
si cuopre della costa, Si che i suoi ragi tu romper non fai.
Nella quarta nocte si partono di decta qualità del 6.® cap."",
et eschono dair antipurgatorio e vannone infine al purgatorio,
cap.** 9.*». E questo per le parole poste in 7.® cap.®. Ma vedi
già come dichina il giorno Et in decto cap.° 7.*: Prima
che il poco sole omai s'anidi. Et in cap.^ 8.^: Tempo era già
che Taere s'anerava. Et in decto cap."*: 0, diss' io lui, per entro
i luoghi tristi Venni stamane. Et in cap."^ 9.^ La concubina
di Titone antico Già s' imbiancava al balzo d' oriente. E in
decto cap.^: La nocte de* passi con che sale Facti aveva due
SBB PIERO BONAOCORSI E IL CAMMINO DI DANTE 34*}
nel luo{{0 dov' eravamo, E '1 terzo già chinava in giù l' ale. —
Et in decto cap.<': Nell'ora che comincia i tristi lai.
Nel quarto di da mattina entrarono nei purgatorio, cap.^
9*; e con questo di vanno imfino al secondo balzo di purga-
torio d^li Iracundi, cap."* 17."; per le parole poste in cap.* 9.**:
Dallato m'era solo il mio conforto, E '1 sole era già alto più
che due ore. E in cap."* 12.® Vedi che toma del di T an-
elila sesta. — E cap.® ìòj' : Quanto tra Y ultimar dell' ora
terza E il principio del di. . Tanto pareva già inver la sera Es-
sere al sole del suo corso rimaso. Vespro là et qui mezza-
notte era. Et in decto cap.® IS/": Noi andavam per lo vespro
attenti. Et in cap."" 17.® : Lo sole in pria che già nel cor-
car era.
Nella quarta nocte si partono di questo cap.® 17® e vanno
ioflno al 19.® E dice: Nell'ora che non può il calor diurno
Intiepidir più il freddo della luna.
Nel quinto di si partono di questo cap."" 19.® da mattina
e vanno con questo di iuGno al 27.®, dove dice: Poco parea
li del di di fora. E in cap.® 19.® : Su mi levai et tucti eran
già pieni Dell'alto di i gironi del sacro monte Et andavàn col
sol nuovo alle reni. E nel cap."" 22.®: E già le quattro an-
cille eran del giorno Rimase adrieto e la quinta era al temo. —
Et in cap.® 23.^' Di quella vita mi Tolse costui Che mi va in-
nanzi,.... quando tonda Vi si mostra la suora di colui, e '1 sol
mostrai. E in cap.° 25.® : Ora era... Che 'I sole avea il cer-
chio di merigge. Et in cap." 27 ® : SI chome quando i primi
ragi vibra. E in decto cap.® 27.** : Lo sole sen va , sogiunse ,
e vien la sera. Et in decto cap.® : Poco parea il del di di
fora.
Nella sesta nocte si parton di questo cap.® 27."^, e questa
nocte consumono in questo cap."" 27.® E con esso vanno fin
dove dice: Le tenebre fuggivan da tucti i lati. Et in decto
cap.® dice: Nell'ora credo che dell'oriente Primo raggiò nel
monte Citerea.
Nel sesto di si parton di decto cap."" 27. "" et entran nel
cap."* 28.® nel paradiso terrestre. Et infino all'ora di mezzodì
coosunoano tucto il cammino e questa spera di purgatorio e
348 0. BRUSCHI — SER PIERO BONACCORSI E IL OAliMINO DI DANTE
di paradiso terrestre. E questo è noto per quel che dice in
cap.® 28: Vago già di cercar dentro et d' intorno La divina
foresta spessa e viva, Che agli occhi temperava il nuovo
giorno. Et in cap.® 33."* : E più corrusco e con più lenti
passi Teneva il sole il cerchio di merigge.
In questo di sesto, come mi pare, Fautore entra nel pa-
radiso terrestre, il quale è situato e posto in cacume, cioè è
io su la extremità di questo monte di purgatorio. E di decto
paradi|0 entra nella sfera della Luna, poi nella sfera di Mer-
curio, poi nella spera di Venere, dove s' apunta e finisce V om-
bra del sole nel nadair della terra; e più su non è nocte né
ombra che tenga i ragi del sole. Si che in fln qui, cioè in fìno
in questa spera di Venere mi pare che l'autore cammini col
sesto dì. E rimane da indi in poi in dì chiaro et in luce per-
petua, perchè non v'è nocte né ombra, anzi v'è luce perpetua.
Colla quale luce lui sale nelle spera del Sole, poi in Marte, poi
in Giove, poi in Saturno, poi nella sfera stellata, poi nel primo
movimento, poi nel cielo cristallino poi nel cielo empireo. E
qui limane beato e contento, e vide come T umanità di Christo
è inserta et innestata e congiunta colla et nella divinità , come,
verbigratia, è inserto et innestato una vergella di un fructo o
di un pomo in un altro fructo o pomo. E così quievit ab opere
suo. E questo per quanto io intendo et a me pare: salvo
sempre il vero et il migliore intellecto.
CURZIO GONZAGA
RIMATORE DEL SECOLO XVI
CENNI SULLA SUA VITA E SULLE SUE OPERE
(Continuazione e fine da pag. 125).
VI.
Torquato Tasso, pabblicando il sao Rinaldo, avver-
tiva i lettori esser questo poema « parte ad imitazione
degli antichi e parte a quella de' moderni composto » (1),
e diceva, che, discostatosi alquanto dalla via dei moderni,
s'era voluto accostare agli antichi, facendo così opera
che tenesse una via di mezzo tra il poema cavalleresco
e il poema epico. Questa idea, ch'egli svolse poi anche
ne' suoi discorsi sul poema eroico , ed attuò con maggior
larghezza nella Gerusalemme Liberata, deve aver guidato
pure il Gonzaga nella concezione del suo poema. Il quale
infatti, come il lettore può aver di già osservato dal rias-
sunto datone , è in sostanza un poema di cavalleria , ma
nella disposizione delle parti, nel modo ond'è condotta
l'azione, ha quegli speciali caratteri, per cui l'autore
poteva credersi in diritto di chiamarlo un poema eroico.
E a tal proposito mi giova riferire quanto Antonio
Amici dice nella dedica del Fidamante (ed. 1591) a Gia-
como Buoncompagni, duca di Sora; avvertendo che, come
è ben naturale, io dò importanza alle seguenti parole
Don già per ciò che suonano, ma per ciò che vengono
(1) Opere minori in versi di Torquato Tasso, edizione critica a
cura di Angelo Solerti, Bologna, Zanichelli, 1891; voi. I, pag. 8.
350 A. B£LLO!CI
a sìgaiflcare spogliate dai fiorì dell* adolazione e della re-
torìca. € . . . Quello, che più pare ammirabile in questo am-
mirabii Poeta, è che dove gli altri, dod rìpotando che
latta la perfeltione beroica possa capire io una forma di
poema, han cercato dì consegoirìa eoo due, la prima
dell'epico con le regole aristoteliche et la seconda del
romanzo con quelle dell'uso, questo Signore in questo
suo Fidamante, con generoso, ma non men felice assunto,
restringendo insieme queste due diverse perfettionì, l' ha,
come in un compendio delle bellezze poetiche, accozzate
incredibilmente in esso, in cui l'epico riconosce le sue
per l'unità della favola, ed il romanzo le sue per la va-
rietà et vaghezza di tanti et cosi ben concatenati episodi,
co' quali variando l'unità et con l'unità regolando la va-
rietà, viene ad essere il vincolo, se non più tosto l'ar-
chetipo et l'essemplare perfettissimo dell'epico e del
romanzo insieme ».
Queste parole si riferiscono, come si vede, sola-
mente alla struttura esteriore del poema; rispetto alla
quale anche il Ginguené riconosce , che v' è « un grand
appareil de science poétique, d' observation des règles,
et d'habilité à conduire une action épique » (1), cose
tutte alle quali si attribuiva grande importanza allora
che , come ho già notato , si cercava specialmente V ar-
tifizio, la regolarità, la perfezione estrìnseca, e che a
critica avea la preminenza sulla poesia.
L'argomento del poema è di mera invenzione; ma,
in fondo, è quello comune a tutti i romanzi di cavallerìa:
un cavaliere, cioè, che compie le più difiìcili e mirabili
imprese per ottenere V amore d' una donna bellissima ,
ma severa e insensibile.
Le avventure particolari dell' eroe si connettono poi
ad un'azione prìncipale, che è la guerra intrapresa dai
(1) Op. ciu pag. 479.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SEGOLO XVI 351
re di Sicilia, di Creta e di Troia, contro il re d'Egitto.
Del resto, quanto alle singole parti, il poema è, per dir
cosi, una contaminazione di elementi classici e caval-
lereschi.
Classico è, innanzi tutto, il mirabile, desunto dalla
religione pagana, ma adoperato in maniera un po' cu-
riosa. Poiché infatti il poeta, mentre introduce nell'a-
zione Giove, Appollo, Diana, Cupido, Proteo , Teti , Plu-
tone , r Oceano , le Ninfe , ecc. , d' altra parte si studia
di mostrare in ogni modo, che a quelle divinità non crede
ponto; il che non può non eccitare il riso. E in vero
non è egli strano che , dopo aver fatto una descrizione
tutto pagana dell'Inferno e aver narrato il viaggio che
vi fece, ancor vivo, Orcano, il poeta, accennando alle
discese d'Enea, d'Ercole e d'Orfeo, esca nelle seguenti
parole ?
De gli antichi scrittor (che'l lume intero
Non havean anco, in tenebre rivolti)
Favole et sogni. Hor, palesato il vero
Per Cristo, siamo a l' ignoranza tolti.
Quinci i veraci successor di Piero
Che di sua fida greggia han guardia, volti
Son col divin dì lui Santo Evangelo,
Da gli occhi a torci d' ignoranza il velo.
Et non pur ciò eh' è Inferno aperto fanno,
Ma quel eh' è Paradiso ancora a noi;
Quando d' aprirli et chiuderli questi hanno
Ambe le chiavi a' fidi eletti suoi.
Et tu Gregorio Santo, al divin scanno
Asceso, farlo a tuo talento hor puoi,
Et da le fauci del Demonio trarci
Et de la Morte, et vita etema darci.
Mercé del pretloso Sangue et degno
De r altissimo Dio fatt' huom verace ,
Sparso per noi nel sacrosanto Legno
Per levarne di guerra et pome io pace.
352 A. BELtONI
Et hor De le tue man largito in pegno,
Quale a Palta speranza si conface
Del suo infinito amore, onde a te sia
H dispensarlo a pien dato in balla.
A te Vicario suo devoto, humlle
Vero di Pietro successor beato,
Che sbandito ogni humano affetto et vile,
Splendi d' ogni eccellenza al mondo ornato,
Tal che nel divin seggio a te simile,
Da gi*an tempo non s* è , né par mostrato,
D' infinita prudenza et di bontate ,
Et di giustitia adorno et di pietate.
Cosi altrove, riferendo un' altra favola della mitologia pa-
gana, esclama:
0 secolo ignorante, o vano et stolto,
Ch* altari eresse et odorati scosse
Vasi d* incenso a venerar gli Dei
Falsi et bugiardi, scelerati et rei;
e parla delle divinità ch'hanno parte anche nel sao poema!
Questa contraddizione la troviamo (non però cosi espli-
cita, né appariscente) anche nel Tasso, la cui Gerusa-
lemme è cristiana al di fuori, ma pagana al di dentro;
la troviamo in tutta queir età , nella quale il sentimento
religioso non era intimamente radicato negli animi, ma
si manifestava solo esteriormente con l'osservanza delle
forme. Il nostro poeta, paganeggiante in fatto d' arte, volle
però, qua e là nel poema, allermar la sua fede di cri-
stiano e di cattolico; di qui quelle ingenue apostrofi (di
cui demmo esempio ) contro il mirabile pagano, che pure
egli accolse, e con serietà, nel complesso dell'opera sua.
Lo scopo diretto del Fidamante è quello di cele-
brare la famiglia Gonzaga, facendola discendere, come
vedemmo, da un prode cavaiiero, che, sebben nato mor-
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 353
tale, pur era cresciuto sotto le cure amorose d' un dio (1).
Il poeta finge di aver tratto l'istoria del suo Eroe,
da un manoscritto appartenente ad Ippolita Gonzaga, la
quale Tavea ricevuto in dono da persona, che, viag-
giando per l'Egitto, aveva trovata scritta sur una pietra,
ÌD idioma barbarico, quella istoria e Tavea tradotta in
latino. Tale artifizio ricorda quello, usato comunemente
dai poeti cavallereschi, di finger che la narrazione derivasse
dalla storia di Turpìno ; ma somiglia molto più a quanto
dice il Cervantes nel Don Quixote, d'aver tradotto cioè
il racconto da un manoscritto arabo; finzione di cui si
valse molto spesso lo Scott ne' suoi romanzi stòrici, e,
ÌD modo cosi splendido e originale, il Manzoni.
Ma vediamo invece or noi brevemente, donde in
realtà il poeta trasse i materiali dell'opera sua; per fare
il che è necessario passare in rapido esame i personaggi
da lui presentati.
L'eroe del poema non offre, per dir la verità, al-
cuna caratteristica degna di nota; egli è un prode cava-
liere, che s'accinge alle più ardue imprese per acquistarsi
l'amor di una donna bellissima; figura, come notai, co-
mune a tutti i poemi di cavalleria, e che serve, natural-
mente di pernio all'azione.
La perfezion sua stessa lo rende alquanto freddo;
inoltre l' ammirazione nostra per il suo valore è resa men
viva dall'intervento, quasi costante, delle altrui arti ma-
giche nelle imprese eh' ei compie. Buoni sono i versi del
e. XIX, nei quali il cavaliere esprime la dolce speranza,
che Vittoria abbia a cedere finalmente all'amore:
(1) La genealogia dei Gonzaga é data nel e. VI; e a questo propo-
sito giova notare che su tale argomento alcuni anni dopo del Nostro,
cioè nel 1591, anche il Tasso compose e dedicò al duca Vincenzo Gon-
zaga un poemetto, intitolandolo appunto La Genealogia di Casa Gonzaga
yOpere minori ecc. voi. 1, p. 383 e segg.). Il Tasso non accettò però
la derìvaziooe de* Gonzaga inunaginata da Curzio.
354 A. BRUSCHI
Et quale
È il mio novo gioir, dolce mio fato?
Ove son io? qui come venni? a tale
Qual Dio m* inalza avventuroso stato ?
Erro 0 vaneggio? o, dispiegate Tale,
In Paradiso salgo a pien beato?
r pur veggio il mio Nume, e 'I mio bel Sole
Veggio, e intendo 1* angeliche parole.... ecc.
Probabilmente il poeta volle raffigurare nel Fidamente se
stesso. A lui egli dà la propria impresa: Pur che ne
godan gV occhi, ardati le piume (1) , quando ce lo pre-
senta nella giostra indetta da Vittoria e descritta nel e. V.
Del resto il Fidamante è Y eroe necessario , fatale ;
sol per opera sua potrà aver fine la guerra, le cui sorti
piegano in male, quand'egli, per lo sdegno e T invidia,
eccitati nell'animo di Vittoria dalla furia Megera, vien
mandato lungi dal teatro delle battaglie (e. XXIII). EgU,
come Astolfo nel Furioso, fa un viaggio fantastico attra-
verso le sfere celesti, e sente dal cavallo alato, che lo
trasporta per T aria, la predizione della scoperta del Nuovo
Mondo per opera del Colombo, del Vespucci, e del Magel-
lano (e. XXXVI). Quest'ultima parte è certamente imi-
tata dal e. XV della Liberata , ove un' egual profezia fa
(1) Àllre imprese aveva il Gonzaga, come ci fa sapere Ieromuo
Ruscelli nel suo libro Le imprese illustrì , aggiuntovi nuovamente il
quarto libro da Vincenzo Ruscelli da Viterbo. In Venetia appresso
Francesco de Franceschi Senese, MnLXXXUll; pagg. 391 e segg.; ed
erano, olire quella già rammentata, le seguenti: // mio sperar; E sole
altro non haggio ( molto slampalo anche in fronte al poema ) ; Con queste
(cioè, due ali offerte da Amore); E s'io l' uccido più forte rinasce.
Di questi motti alcuni sono riferiti nella rassegna delle imprese, ch'ave-
vano i cavalieri andati alla giostra rammentata più sopra ( e. V ). A pro-
posito delle imprese veggasi lo studio di E. Pércopo su Marc' An-
tonio Epicuro, in Giom. St. Voi. XII, pagg. 36-46.
CURZIO GONZAGA RIMATORI:: DEL SECOLO XVI
355
a Carlo ed Ubaldo la donna misteriosa, che li guida alle
isole Fortunate (1).
Ecco, posti a riscontro , i versi de' dae poeti :
Sftrger oe U tu Esperii ÌMÌiti i« niro
Di emggio et d* onr hiM sema pari
Ciroo é'ilto et ■aguniiN desiro;
Spre^r priio d* Alcide i segni, e i uri
liliiti et kerreedi, e i eorsi e '1 giro
M M laseosti et de U Morte il fero
Aspetto, per troTar mto Enispero.
Pistisj a tergo Abita et Calpe, el seorso
Sotto il dibkioso ignoto elina et straoo,
D*Eolo lalgrado et di Rettano il eorso
Steso per leuo il gr» eenleo piano:
htrepido pisuido ìbIb ehe'l orarso
laceorrà (eircoidato rOeoaio)
A i lega aidiei, onde di lai la Gloria
Cuti, pìf d' egli andito, in verso et storii.
Cuti elli di Coiiabo, poi che ii
Tak il no iue glorioso et ekiiro,
Che per t{ periglio» et enu lìi
lid sarà di gettar su Tita avaro;
Qiinei le fortnato isole pria
Troreri tute et per pia inngo, amaro
Caipo nreando, le spietate et rie
De' Cuihali et altro aniche et pie.
(/I FIdammUe. e. XIITI, li 1$, 14. 1^).
Tempo Tcrriiche fan d'Ercole i segni
Favola vile a i uviganti iidistri;
E i mar riposti, or senza nome, e i regni
Ignoti aneor, tra voi saranno illnstri.
Eia che '1 pili ardito allor di tutti i legni
Qouto circonda il mar , circondi e listri ,
E la terra misari, immenu mole.
Vittorioso ed emolo del Sole.
Un nom de la Lignria avrii ardimento
A V incognito eorso esporsi in prima:
Né 'I miuccieTol fremito del vento ,
Né r inospito mar, né M dubbio clima.
Ré s'altro di periglio o di spavento
Pii grave e formidabile si stima,
Faru che '1 generoso entro a i divieti
P'Abila augusti l'alta mente acqueti.
Tu spiegherai, Colombo, a u novo polo
Lontano si le fortuute uteone,
Ch' a peu seguirii con gli oeehi il volo
La lama e' ha mille occhi e mille penne.
Canti ella Alcide e Bacco, e di te solo
Basti a i posteri tuoi ch'alquanto accenno,
Che quel poco darii lunga memoria
Di poema dignissima e d'istoria.
{OeruMalmnme Liberata^ e. IV, li SO, SI, 32).
Lascio ai lettori il giadizio sul valore di questa imi-
tazione (2). La quale non è la sola che il nostro poeta abbia
(1) Nel mio lavoro sulF Epopea dopo il Tasso mostrerò come questo
della predizione sia divenuto poi un elemento necessario dell'Epopea se-
centistica.
(2) Mi pare iudubitabile la derivazione del luogo del Fidamante dal
lésso; per iscnipolo di crìtica però noto che potrebbero i due passi avere
fonte comune nelle note ottave 19, 20, 21, 22 del e. IV del Furioso,
356 A. BELLONI
tentata dalla Germalemme ; poiché infatti devo rammen-
tare il contrasto tra Orione e Giulia , di cai già ebbi a far
cenno (e. XXIX). e che fu probabilmente inspirato da
quello famoso tra Olindo e Sofronia ; dico probabilmente,
perché potrebbe anche darsi, che il Gonzaga avesse at-
tinto alle fonti stesse, alle quali ricorse il Tasso. Ad ogni
modo, se non imitazione, certo v' è somiglianza ; nel Nostro
però la scena è un po' più diffusa e quindi meno efQcace.
Vittoria è la solita donna guerriera di tutti i poemi
cavallereschi; imitazione della Camilla vergiliana, di Pen-
tesilea, di Cariclea, di Marfisa, di Clorinda.
EUa fu posta (e. IV):
da le fasce inQno
Per le chiare orme di Diana altere,
Et le tenere labbra del ferino
Latte diverso hebber sovente a bere;
Et per aspro solingo erto camino
Avezzò il petto ad incontrar le Ocre,
Et le mani a vibrar saette e dardi,
E i lievi passi a seguir cervi et pardi.
Ma poi crescendo in tempo et in valore
Si vide a l'altre horrende belve opporsi,
Et con pie saldo et con più ardito core
Il veien non temer, non I ugne o i morsi ;
Strozzar serpenti e 'n suo maggior furore
Leon, tigri atterrar, panthere et orsi,
E'n vece di monili et perle et oro
De' velli ornarsi et deMìer tedeschi loro (1).
(1) Anche Camilla fin da' primi anni é consacrata a Diana {Aen.
Xi, 537), e il padre di lei Metabo
natam, in dumis inlcrque horrentia lustra,
Armentalis equae mammis et lacte ferino
Nutribal, teneris immuigens ubera labrìs
Utque pedum primis infans vestigia plantis
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SEGOLO XVI 357
Insensìbile air amore, cede però a poco a poco, vinta
dalla costanza e dalla virtù del Fidamante; ma la sua
fiera natura, dopo mille ansie e titubanze e pentimenti,
tenta ribellarsi alla forza della passione anche all'ultimo
momento.
Altre donne guerriere sono Virginia e Costanza.
Virginia (e. XIX)
Che r ago e *1 fuso di Minerva sprezza
Sol spade et laocie di trattare avezza,
Et di passar con le rosate piante
Nel corso i venti; et su le biade il volo
Mover vedreste e sol toccarne alquanto
Senza pregarle pur con danno e duolo;
Velocissima, et sopra V onda errante
Le alzerebbe ella di quel salso suolo,
Né tinger pur gliele vedresti in parte
A tanta leggiadria congiunta ha l'arte.
I quali versi sono traduzione di quelli di Vergilio, rife-
rentisi a Camilla:
.... non illa colo calathisve Minervae
Femineas assueta manus; sed proelia virgo
Dura pati, cursuque pedum praevertere ventos,
Illa vd intactae segetis per summa volaret
Gramina, nec teneras cursu laesisset aristas:
Institerat, jaculo palmas oneravit acuto;
Spiculaque ex humero panrae suspendit et arcum,
Pro crinali auro, prò longae tegmine pallae,
Tigridis exiniae per dorsum a vertice pendent.
{Aen, XI, 570 segg.)
Cfr. anche ciò che Silio Italico dice di Asbite nelle Puniche^ IV, e i versi
dei Tasso, che sì riferiscono a Clorinda (Geruiolemme Liberata, e. II,
st. 39, 40).
VoL IV, Parte I. tó
358 A. BELLOM
Vel mare per medium, fluctu suspensa tumenti,
Ferret iter, celeres oec tiogeret aequore plaotas.
{Àen. 804 e segg.)
È inalile poi cb' io rammenti i notissimi versi del Tasso
sa Clorinda, che derivano pur essi in parte dal laogo
vergiliano.
Queste due donne sono le eroine di un episodio,
che è imitazione, e in qualche parte traduzione, di quello
d'Eurialo e Niso in Vergilio, e che si svolge nei canti
XXVI e XXVIL
Essendo caduto in battaglia Gierone, figlio del re di
Sicilia, la sorella di lui Virginia, per calmare il dolore
del padre , decide d' andare a cercarne il corpo per
dargli sepoltura. S' avvia per ciò con Costanza , alla
quale durante il cammino narra de' suoi amori con Asdru-
baie, che combatteva nell'esercito nemico. Questi (e qui
l'episodio si complica) a sua volta aveva decìso di an-
dare, con un suo amico, in traccia dell'amata donna. Le
due donzelle trovano il corpo di Gierone, ma in quella
sentono romore, e Virginia, temendo d' esser sorpresa si
dà a fuggire. S'imbatte in Asdrubale, ch'ella crede sia
Costanza ; mentre d' altra parte egli prende Virginia per
l'amico suo, ch'era andato innanzi a perlustrare i luoghi.
Virginia, sentendo poi che l'altro parla in Cartaginese,
trae la spada e l' assale. Asdrubale , ferito , nel morire
prega l' ignoto vincitore di dire alla sua amante Virginia,
ch'egli mori combattendo. Virginia, udendo il proprio
nome, riconosce l'amato Asdrubale, e allora disperata si
getta sulla propria spada. Intanto sopraggiunge Costanza,
la quale, visto l' atto estremo di Virginia, si lascia cader
sull'amica morente.
Berenice, che insensibile da prima all'amore, s'in-
vaghisce all'improvviso e perdutamente dell'ignoto guer-
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SEGOLO XVI 359
riero, che Tiene a chiederle V aiuto dell' arte sua di maga,
e, dopo aver inutilmente tentato di destare in lui un
sentimento d'affetto, senza lamenti, senza lagrime, senza
imprecazioni , fa forza alle proprie brame, s'accinge a mo-
strargli la via che lo condurrà a ritrovare la donna
de' suoi pensieri , e si rassegna ( e. Vili )
L' immaculata et salda oltra misura
Fede ammirando et la sua gran bootate;
e
pensando a tant' hìstorie andate
Di tante oppresse da mortai sventura,
Da'lor perOdi amanti abbandonate,
Et sotto sicurtà d' amor tradite ,
Miir empie frodi a l' inesperte ordite;
questa donna, dico, che non sente poi mai più rinascere
in core i segni dell'antica fiamma, è un carattere man-
chevole, muto, imaginato solo per poter dare al Fida-
mante una compagna, che l'aiuti e lo sostenga ne' peri-
gliosi cimenti , non però con la forza onnipotente dell' a-
more, si bene con la fredda virtù dell' arti magiche.
Migliore invece, quanto a concezione, è la figura di
Sulpizia , la cui disperazione è tratteggiata , nelle linee
generali, con efficacia, forse perché qui il poeta ebbe a
modelli Virgilio e Ovidio negli episodi di Didone e di
Arianna, ch'egli imitò, dipingendo con verità la povera
abbandonata, che s'agita in preda alle più crudeli am-
bascia e trapassa, con rapidi e naturali mutamenti, dal
furor della disperazione all' accasciamento e poi alla spe-
ranza (e. VII). Non sarebbe improbabile che il poeta
avesse avuto presente anche 1' episodio d' Armida abban-
donata da Rinaldo, nel e. XVI della Gerusalemme,
Argentina, la maga, che inutilmente tenta d'adescare
con le lusinghe e coi lascivi diletti d'Amore il Fidamanle
360 A. BELLONl
e gli appresta un luogo tutto delizie ed incanti per
distorlo dalle sue imprese e dalla futura guerra, eh* egli
dovrà imprendere contro il padre di lei, Orcano (e. XI),
somiglia senza dubbio airArmidà del Tasso. Come costei,
anch' ella diviene poi schiava d' amore , s' invaghisce del
feroce Armedonte e, mettendo la sua magia ai servigi
della novella passione, affascina con gì' incanti il terribile
guerriero, lo rende mansueto, lo innebria con le più raf-
finate voluttà, e s' addolora poscia e si lamenta, temendo
di doverlo abbandonare (e. XVII).
Per questa sua Argentina mi pare che il poeta, oltre
che dell'Armida del Tasso, si sia valso anche delfAlcina
ariostesca.
Argentina (e. XI):
Le belle braccia eburnee ignude havea
A i cari homerì infìno; e'I collo, e'I petto
Fio sotto le mammelle si scorgea
Candido più che latte, et sf perfetto
In (^oi parte et vago, che parea
Ch' ivi Cupido havesse in ver ricetto ;
Lo snello, bianco et picciol piede ornato.
Con gemme et verdi nastri era legato.
Questa ottava corrisponde evidentemente alle st. 14 e 15
del canto VII del Furioso. E cosi dicasi delle seguenti:
L' altre più care membra, anch' esse ascose
Stavansi in guisa, che parean scoperte;
Quasi in cristal bianche et vermiglie rose
D'un sotti! vel cangiante eran coperte;
Sopra il quale una rete vi dispose
D' argento il mastro et T arriccbf con certe
Forme di gioie pellegrine, et d'hami
Di smalto et d' oro et d' altri bei legami.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 361
Là 've quaP hor avvien, eh' errante et vaga
Alma la miri desiosa e intenta,
Passa la mente innamorata et vaga
( Di quel eh' appar di fuor non ben contenta )
Fra quei segreti, onde pili amor s' appaga,
Occulti, et di spiarne a pien ritenta;
Ma Talte gratie e i bei sembianti, in cielo
Nati, celar non pon già rete o velo.
I quali due ultimi versi somigliano a quelli dell' Ariosto :
Gli angelici sembianti nati in cielo
Non si ponno celar sotto alcun velo.
Le stanze su riferite rammentano poi anche quelle del
Tasso, e. XVI, st. 18, 19; anzi, come nella Gerusalemme
(e XVI, st. 4 segg.), anche il nostro poeta accenna agli
amori di Cleopatra ed Antonio.
Son pure una reminiscenza dell' Ariosto e del Tasso
i versi seguenti:
In tanto ella l' ignuda man stendendo
Piena di gratie et di bellezze al seno,
Hor scoprfa alquanto, di coprir fingendo,
L'acerbette mammelle et vaghe a pieno;
Hor qualche perla d' acconciar facendo
Sembiante, et bora il crine almo et sereno.
Leggiadria divisando sf sovrana.
Che sembrar la fea più che cosa humana.
La donzella mandata da Argentina a trattener con le
lusinghe e le tentazioni il Fidamante (e. XI), somiglia
ad una di quelle inviate da Armida a trattener Carlo ed
Ubaldo, nel e. XV della Gerusalemme,
362 A. BELLOXI
Sorrìde ella et V alletta et per pili pegno
Dargli, più lieta et baldanzosa fassi;
Et con dolci occhi et schivi il mira, et segno
Fa con la bianca man, eh* a lei trapassi;
E 1 riso, il pianto, e '1 pianto assai pili il riso
Rende vago; et più bello entrambi il visa
La reggia d'Argentina è descrìtta con tinte vive e leg-
giadre (e. XVI); né alcuna spiccata imitazione vi si rin-
viene, se non forse qualche reminiscenza di Claudiano;
come, per es., nella stanza seguente:
Et quinci et quindi i pargoletti amorì
Volan scherzando et d' affinar fan prova
Gli strali et Tarco in saettare i c6rì,
Et cieco il segno suo ciascun ritrova;
Et fra r herbe et fra i mirti et fra gli allori
Tendono et visco et reti et lacci a prova.
Et Speranza et Piacer et Tema et Duolo
Et le Gratie con lor vengono a volo.
Da ultimo i propositi di vendetta che, fremente di sdegno,
fa Argentina contro il Fidamante (e. XVII) sono da pa-
ragonarsi con quelli di Armida nel e. XVI, st. 59 e 60
della Liberata,
La figura d' Creano, che, buon regnatore da prima,
si perverte poi, diventando un crudelissimo tiranno, è
ben tratteggiata. La sua discesa all' Averne, fatta per
virtù di magia, è descritta dal poeta ad imitazione, alle
volte affatto letterale, di quella di Enea. Cosi le st. 47 e
segg. del e. XXII si possono paragonare ai versi 467 e
CURZIO GONZAGA RtMATORE DEL SECOLO XVI 363
segg. del lib. VI dell' Eneide, di cui sono spesso trada-
zione (1).
Sonvi anche delle reminiscenze dantesche; cosi da
Dante il poeta imita la figura di Caronte, che gli occhi
accesi ha come Carboni ardenti; la descrizione del Limbo
e del nobile castello, ove stanno
Quei, che vìsser con retta mente et pura,
Virtute oprando, amici al dritto, al buono
Obedendo a la legge di Natura.
Fraude, invidia et superbia in abbandono
Poste, et de' sensi ogn' altra immonda cura,
D'alta Filosofia la lingua e'I petto
Colmi, et pieni in ciascun lor fatto et detto.
Inspirata dalla Commedia è la condizione dei lussuriosi,
che sono Sospinti da rabbiosi venti; quella degli avari,
condannati a compiere un inutile lavoro; quella degli ira-
condi ed accidiosi, che stanno entro la palude Stigia: gli
iracondi, che mettono Et piedi et capi et unghie et denti
in opra Per lacerarsi, e che per rabbia spesso Vanno
addentando anco il lor corpo istesso; gli accidiosi
che gorgogliar s'odon là sotto
Fino a gli occhi sepolti entro il pantano.
Tal che scuotersi pur, né pur far motto
Non pon, ne punto mutar piede o mano.
Armedonte, il feroce re di Scizia, è cosi descritto dal
poeta (e. XIV):
<i) Vedemmo, come soveoli volte il Gonzaga traduca a dirittura da
VergilJo; ora giova notare che Maddalena Campiglia, nella prefazione
alb commedia del Nostro Gli Inganni, accenna ad « alcuni libri dell'Eneide
di Vergiiio, da lui tradulti, il che non si vede haver per aventura fatto
più perfettamente veruno da i tanti altri, che in fin bora v'babbiano
messo le mani >; libri cbe non sono giunti fino a noi.
364 A. BELLONI
Orgoglioso el superbo et di si fiera
Mente et bestiai, che parea proprio insano;
Ma valoroso certo e'n tal maniera,
Che infino allora il contrastarlo vano
Era stato a ciascun, e* havuto ardire
Havesse in prova incontro a lui venire.
Spregiator degli uomìDi e degli Dei e credente sol Della
saa spada, egli deriva dal Rodomonte ariostesco. L'as-
salto eh' egli dà a Troia è imitazione letterale dell' assalto
narrato da Enea nel poema vergiliano : si confrontino in-
fatti le st. 10 e segg. del e. XV con i versi 267 e segg.
dei lib. II delV Eneide.
Armedonte che sfida il Fidamante lontano (e. XXV,
terz' ultima stanza) ricorda Argante che sfida Tancredi
assente, nella Gerusalemme (e. VI, st. 73).
Il feroce Scita cade poi nei lacci d'Argentina, che
se ne innamora ; e viene cosi afiascinato da lei, che, ab-
bandonandosi tatto ai piaceri d'amore, scorda le armi
pel fuso e la conocchia ( e. XVI ). Qui non abbiamo che
una riproduzione del mito d' Ercole, che fila ai piedi del-
l'amante Iole.
D' altra parte l' allontanamento di Armedonte dal
teatro della guerra per opera d'Argentina, somiglia a
quello di Ruggiero, nel Furioso e di Rinaldo, nella U-
berata. Il duello finale tra il Fidamante Armedonte ri-
sponde a quello dell' Eneide tra Turno ed Enea , e al-
l'altro del Furioso fra Ruggiero e Rodomonte. Al par
di quest'ultimo e di Turno, anche il re di Scizia muore
bestemmiando :
Et con biechi occhi et chiusi denti, un riso
Mette sdegnoso, et par che sprezzi il fato,
Et che passi con Talma a mover guerra
A Giove in cielo od a Pluton sotterra.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 365
Degli altri personaggi del poema credo inutile parlare;
solo, per finire, noterò che la furia Megera risponde
air Aletto vergiliana, e che il suo presentarsi in sogno
a Vittoria, sotto le sembianze della madre di lei (e. XXIII),
è imitato letteralmente dal lib. VII, 340 e segg. del-
l' Eneide, ove Aletto appare nel sonno ad Amata.
Per opera della stessa furia, Vipercano provoca, come
vedemmo, una sedizione (e. XXIV), la quale deve esser
stata inspirata da quella di Arginano, nel e. Vili della
Liberata,
Ed ora non istarò a spender molte parole per dare
un giudizio su questo poema. Esso somiglia ad un grande
edifizio, regolare nelle lìnee generali, fatto con cura e
abilità, secondo le più rigorose leggi; ma senza un certo
gusto e una certa finitezza nelle linee particolari. Preoc-
cupato dal disegno generale del suo lavoro, il poeta di-
menticò troppo spesso le esigenze dell'arte, e riusci al-
cune volte povero d' inspirazione e di forma ; la sua lingua
é qua e là oscura e deficiente, quanto a scioltezza e
leggiadrìa. Il Fidamante ha importanza più che altro per-
ché fa sonito contemporaneamente a quello del Tasso,
da persona assai versata nell'arte poetica. Il leggerlo
toma oggi noioso, e con l'averne fatto parola, spero
poter risparmiare ad altri questo fastidio. Sarò pago d' aver
reso almeno tale servigio (1).
(1) Aggiungo qui, che, secondo quanto dice il Bettinelli nel suo
libro Delle lettere e delle arti mantovane {In Mantova, 1774) a pag. 86
delle Annotazioni, suH' autorità del Cagnoni, lo stesso Duca di Mantova
Guglielmo avrebbe fatto la musica al Fidamante. E il Canal {Della mu-
fica in Mantova^ in Memorie del Reale Istituto Veneto di scienze let-
tere ed arti, toL XXI, Venezia, 1879, pag. 684) aggiunge: e Credo che
abbia voluto dire, che fece Tarla per cantarlo, o che ne modulò alcune
stanze •. C facile capire ch'avrà musicato alcuno de' cosi delti lamenti,
i quali solevano essere intonati, come gli strambotti, cui nella forma molto
somigliano (A Zenatti, Strambotti di Luigi Pulci, Firenze, Lib. Dante,
366 A. BELLOm
VII.
ÀDche ODa commedia scrisse, come vedemmo, Cm*-
zio Gonzaga, intitolata GU Inganni, Essa è dì genere
classico; l'intreccio si basa tatto sai travestimento dei
personaggi e sallo scambio dei sessi. È in cinque atti, e
V argomento ne è il seguente : I due amici Giulio e Lo-
renzo , quando s' erano ammogliati , avean convenuto tra
loro, che se, delle lor donne, una avesse partorito un
maschio, Y altra una femmina, il padre di quello avrebbe
dato al padre di questa duemila fiorini, i quali depositati
in un banco avrebbero costituito la dote della fanciulla.
Giulio ebbe dalla moglie Cencia un maschio e una fem-
mina, gemelli, e Lorenzo un maschio. Giulio allora, per
guadagnare i due mila fiorini, pensò di far sparire il
figlio, Scipione, mandandolo lungi dalla casa. Ma siccome
egli lo amava grandemente, dopo alcun tempo deliberò
di riprenderlo presso di sé, vestendolo da donna e affi-
dando la fanciulla, Lucrezietta (alla quale somigliava per-
1887, pagg. 40-41 ; Melzi-Tosi, Bibl. dei romanzi ecc. Milano, Muggiani,
pagg. 186, 260, 305. Si rammenti le st dell* Ariosto musicate dal Trom-
bonciDO e conservateci nel voi. IV dell* antologia di Andrea Antico (Roma;
1617). Cfr. Una stanza dell' A. musicata dal T., per cura di A. Zenatti,
Firenze, Carnesecchi, 1889.
Dal Fidamante é falla menzione nel poema Lo Armidoro di Gio-
vanni SORANZO, all' III.^^ Sig. Francesco d' Adda Conte di Sale eie.
(In Milano, appresso Gio. Giacomo Como Libraro, MDCKT), ove sono
questi versi:
Curlio splendor della Gonzaga prole
Tra quei gran cigni canti il Fidamante,
Tal che fatto è pur chiaro al par del sole
Allor che è in cicl seren più Gammeggiante.
(e XXV, st. 81)
U poema di Curtio è pure rammentato da Giulio Strozzi nel e Xll,
st 55, della sua Venetia edificata.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SEGOLO XVI 367
fettamente Scipione, che d' allora in poi fu chiamato Lu-
crezia) ad una vicina parente.
Questo è r antefatto. Agiscono quindi nella commedia :
Scipione vestito da donna e col nome di Lucrezia; e
inoltre una fanciulla, Ginevra, vestita da uomo col nome
di Cesare ; il qual secondo travestimento era stato operato
dal padre della giovane, per timore eh' ella avesse dovuto
patire offesa, quando insieme a lei egli era uscito pro-
fugo di Siena per le guerre di parte. Ora , 1' in-
treccio è questo : Lucrezia ( Scipione ) ama Cesare
(Ginevra); Leandro, figlio di Lorenzo, ama la Lu-
crezia e la Lucrezietta e vorrebbe possederle tutt' e due;
Polanteo, pedagogo di Leandro, innamora della Lucre-
zietta. Oltre a ciò Teodosio, vecchio mercatante, è inna-
morato di Doralice, donna di mar affare; ma ha un rivale
molto temibile in Ippolito, giovane scapestrato, ed amico di
Leandro. Cosi stando le cose , si tratta di far in modo ,
che Lucrezia, Leandro ed Ippolito possano appagare le
loro brame. Ad ottener ciò valgono gli intrighi di Guin-
dolo, il quale, sebben sia servo di Teodosio, asseconda
le mire di Ippolito; quelli di Filippa, fantesca di Lucre-
zietta, e di Garbuglio, servo di Leandro. Guindolo, in-
gannando Teodosio, riesce a tenerlo per alquanto tempo
lungi dalla casa di Doralice, sicché Ippolito ha modo di
penetrarvi e di starvi a suo bell'agio. Filippa dispone
ogni cosa per introdur Cesare (Ginevra) in casa di Lu-
crezia (Scipione). Garbuglio finalmente ha pensato di sod-
disfare il desiderio di Leandro alle spalle del povero
pedante Polanteo. Infatti, facendo balenare a costui la
speranza di poter entrare in casa di Lucrezietta , della
quale è innamorato, ha stabilito , eh' egli , vestito da fac-
chino, porti un cembalo in casa di lei. Ma dentro la
cassa del cembalo si nasconde Leandro, che può entrare
cosi nascostamente presso V amata ; mentre il povero pe-
368 A. BELLONI
dante viene bastonato dì santa ragione. Ma intanto ( Deus
ex machina) torna Gìalio, ch'era andato in esigilo; sor-
prende Leandro in casa della figlia Lucrezietta; Ippolito,
per salvare V amico , scopre V inganno fatto da Giulio a
danno di Lorenzo; e finalmente con dne matrìmont le
cose s'accomodano e tutti rimangono soddisfatti.
I caratteri de' personaggi sono quelli comuni alla
commedia cinquecentistica. Teodosio è il vecchio babbeo
ingannato, il messer Nicia della Mandragola. Doralice è
la cortigiana, a cui, nelle tresche amorose, dà mano la
madre stessa, Bertolina; è tipo che si ritrova costante-
mente nelle commedie del sec. XVI, cosi come si
ritrovava nella vita libera e scostumata di quel tempo.
Figura stereotipa è pur quella del pedante , che parla
nel solito linguaggio mezzo italiano e mezzo latino,
e non cessa dallo sputar sentenze e dal citar Cicerone,
neppur sotto la grandine delle bastonate. Lo scioglimento
avviene nella solita maniera convenzionale; uno de' per-
sonaggi arriva all' improvviso , e la matassa è beli' e di-
panata. Il dialogo è alquanto spigliato e buona la lingua;
ma tuttavia non credo avesse ragione la Campiglia quando
scriveva: « Per certo tengo io, che (qual mi disse un
gran letterato) sarà chiamata per la bellezza sua la re-
gina delle comedie del nostro secolo )►.
vin.
Le Rime del Gonzaga si dividono (nell'edizione ul-
tima e completa del 1591 (1)) in sei parti. Nella prima
(1) La prima edizione, in due tomi, fu falla in Vicenza nella, stam-
peria nuova, MDLXXXV, in 4°, da Angelo Ingeperì, che la dedicò a
Carlo Emanuele, duca di Savoia. Una seconda edizione porta la data di
Mantova, 1588. Si vegga la Bibliografia in Appendice.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 369
intitolata Amor pungente, il poeta parla di un amore, che
r aveva legato a donna indegna; rende grazie al cielo di
averlo liberato da tale passione, e, pentito, prega Iddio
che voglia concedergli d' uscir di questa vita virtuo-
samente :
Alto e benigno Dio,
Or che da gli occhi tolto
W hai d* ignorantia il velo, ond' er* io involto,
Colmo di puro affetto et di desio
A te consacro il core
Sgombro dMndegno amore,
Poi che Palma, a se stessa empia e rubella ,
Già torna in signorìa, dov'era ancella (1).
Qui dunque tutto spira contrizione; ed è degno di nota,
che il poeta cominci di là, dove sarebbe più naturale
che riuscisse, come fece il Petrarca nella canzone alla
Vergine, la quale riconduce la mente, traviata ne' pen-
sieri d'amore, alle più pure e sante cogitazioni.
La seconda parte, ch'ha per titolo Amor Ugante^ è
tutta dedicata alla divina Orsa. I proponimenti del poeta
di star lungi da amore non durarono molto e un nuovo
affetto s' accese nell' animo suo ; le poesie di questa parte
ne sono le interpreti, nonché quelle della parte terza,
intitolata Amor languente, nella quale « si contengono
molti affetti et effetti d' Amore et speranze et temenze et
passioni et contentezze gentili »; nulla del resto degno di
nota speciale; versi buoni, concetti comuni, quali si ri-
trovano in tutti i canzonieri dal Petrarca in poi.
La quarta parte s' intitola Amor trasformante o esta-
tico, € in cui si contengono le innumerabili virtuti del-
ti) Mime, ctc Parte I, pag. 18.
370 A. BELLONl
rOrsa amata, et fra altro la sua infiDìta hODestà, et la
incomparabil bellezza » (1).
Le due parti seguenti coDteogono rime di soggetti
diversi e politiche. La quinta intitolata Amor di carità
é « in lode di diversi valorosi et meritissimi Prencipi et
Letterati, et di bellissime et virtuosissime Signore». V è
un sonetto a Pio IV, uno al cardinal Borromeo, chiamato
Chaos nella Accademia delle Notti Vaticane , un altro per
la nascita di Vincenzo Gonzaga, ed uno per quella di
Ferrante, principe di Molfetta e Guastalla. Vi sono rime
in lode di Margherita di Mantova, duchessa dì Ferrara,
di Ippolita Gonzaga, del cardinal Ercole, di Carlo Ema-
nuele duca di Savoia, e d'altri; e termina con sei so-
netti d'argomento religioso: alla gloriosa Vergine, sulle
stigmate di S. Francesco, sul legno della Croce e nel di
della Comunione.
La sesta parte. Amor di gloria, contiene « cose di
guerra et particolarmente la rotta di mare data a Selim,
re de' Turchi, dal serenissimo Don Giovanni d' Austria ».
Di queste rime ebbi già a parlare, quindi è inutile l'esa-
minarle qui nuovamente.
Veniamo ora a dare un qualche esempio di tali
poesie. Comincio dai seguenti versi, che ci trasportano
in pieno secentismo:
D' un ghiaccio ardente et d' un gelato foco,
D' un pianto dolce et d' un timore audace,
D' un desir folle e d' un sperar fallace
Mi nodrisco e consumo, a poco a poco.
(1) A pag. 130 vi é una t risposta per le rime al Sig. Tasso tor-
cendo i suoi argomenti fatti in lode d' una Sig.' Barbara, anteponendole
la grand' Orsa » . il sonetto del Tasso é quello ben noto : Tolse Barbara
gente il pregio a Roma. Quel di Curzio comincia : Con mani avinte ,
con discinta chioma.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 371
Àinnro amor m* aggira in pene e in gioco
Et sciolto et preso mi consenta e sface,
EM mio i)en, e'I mio mal gli aggrada et spiace
Et vuol eh* io canti, or che m' ha fatto huom roco (1).
Chi, a leggere questi versi, non rammenta la famosa ot-
tava del Marino, sulla natura d'Amore:
Volontaria follia, piacevol male
Stanco riposo, utilità nocente, ecc.?
Ma vi sono però anche versi di leggiadra fattura:
Tutti i più bei colorì
De i più fini, vermigli e bianchi fiorì.
Che cogliesser giamai nel Paradiso,
E le Gratie e gli Àmorì
Locar d* una belFOrsa entro '1 bel viso;
Non meraviglia poi,
Se cari odor spirando ella fra noi,
A par d*ogn' altra più lucente aurora.
Et Cielo e terra al suo apparire infiora (2).
Ed i seguenti:
Come le^iera et sciolta,
A r apparir del sole,
Lontan da la sua cara madre, il corso
Stender la pargoletta damma suole,
In verde piaggia a vaneggiar rivolta.
Allentando al piacer novello il morso.
Cosi la Fera mia, leggiadra et bella.
D'amor sempre rubella,
ri) Mime eie. Parte HI, pag. 38.
{t) Rime etc. Parte HI, pag. 69.
372 A. BELLONI
Et solo, ohimè, di se medesma amante.
Da la gran Roma le fugaci piante
Per tempo torse e in solitaria parte
Si trasse, ove com parte
A pastori, a bifolchi, a greggi, a fere
Tante sue gratie et sue bellezze altere.
Et io infelice la sospiro et ploro
Et me ne struggo et moro (1).
E come ha comiDciato con cuore contrito, cosi chiude le
rime amorose , pregando , pentito de* snoi errori , che lo
Spirito Santo lo dissolva in lagrime; e si volge al Cro-
cifisso implorandolo, accioché gli mondi il cuore dai vani
desideri, sazio ormai della vita, alle cui fallaci lusinghe
spera che Dio vorrà in breve sottrarlo (2).
Tale fu r opera pojetica dì Curzio Gonzaga, alla quale
egli era fidente non potesse nuocere né invido oblio, né
tempo edace, sicché credeva poter dir di se stesso:
Vivrò quand' altri mi terrà per morto.
A. Belloni
(1) Rime eie. Parie II, pag. 57.
(2) Rime eie. Parte VI, pag. -235.
CURZIO GONZAGA RIMATORI:: DEL SEGOLO XVI 373
APPENDICE I
DOCUMENTI (1)
I.
(Archivio Storico Gonzaga in Mantova.
Registro Decreti 1542-1547, foL 49).
Her. etc. Quonìam ius patrooatus et persooam presentandi
io Ecclesia cntbedrali huius urbis Mantuae in beneficio S.^ Mi-
chaelis arcbipresbiteratus, quod est secunda dignitas cuique ani-
roarum inest, quoties vacatio adsit, spectat ad IH."* Franciscum
Ducem Mantuae nepotem et filiuro nostrum dilectissimum sive
ad Nos, dum eius tutelae onus gerimus, elegirous Nob. Cur-
tiom Gonzagam, filium M.^'^ equitis domini Àluisii Gonzagae
affinis nostri carissimi, quem ad dictum archipresbiteratus be-
neficium instituendum nominemus et presentemus, cum vacare
contingat Idcirco in omni eventu in quo Reverendus D. Bapti-
sta de Grossis dictum archipresbiteratus beneflcium, quod immo
oblinet, resignare voluerit in manibus S. D. N. Papae sive
R"' domini vicecancellarii aut alius ad hoc potestatem ha-
bentis, in favorem prefati Gurtii vel contingerìt eumdem ar-
chipresbiteratum per decessum vel alium quemcumque modom
in curia sive extra vacare, ex nunc prò ut ex tunc et e contra.
(1) Ringrazio pubblicamente i Sigg. Davarì, Bertolotti, Valdrìghi e
flallegarì, che con la solita gentilezza mi procurarono le copie dei qui
uniti documenti, nel riprodurre i quali correggo in qualche punto la
grafia secondo 1' uso moderno.
VoL IV, Pane I. 24
374 A. BELLO»
Nos tutores et istitutores antedicti elegimus ooiDÌnamus et pre-
sentamus S."*^ D. N. Papae eiusque successori canonice intranti
sive R.""^ D. vice cancellarlo vel alteri ad id poteslatem ba-
beoti, dictum Curtium ad dictum archipresbiteratus beneOcium
instituendum , rogamusque dictum S."""" D. N. Papam ac
R mum o^mum vlcecancellorium et quemcumque alium ad id
potestntem habentem, ut hanc nostrani electionem, nominatio-
nem et preseniatìonem predicti Curtii admilLint cum dictum
beneiicium vacare contigerit, ipsuroque Gurtiuro omni meliori
modo investiant et inslituant In quorum tìdem has nostras
sigillo ducali malori munlrl feclmus.
DaL Maotuae UH Xbris MDXLllI.
Her. Card.^"* Mantuanus.
Marg. Ducissa Mantuae (1).
Olympus Zampus secretarius visis
prescriptis signatis Herc. car. MaoL
et Marg. Ducissa Mant subscripsli.
Io. Frane Tridepalcus.
IL (2)
(R.^ Biblioteca Estense)
Ms. X. F. 18.
Air Imperadore.
Sacra Cesarea Maestà. Il SIg/ Curtio Gonzaga, che di qua
si manda a V. M.** per fare con Lei queir ufficio, eh' è debito
della nostra serviiù In questa santissima pace, sodisferà parti-
colarmente per me ancora, et le dirà quel poco, eh' io gli ho
commesso da dirle. Supplico a V. M.^ che casi in questa parie
come in quel di più ch'esso l'esporrà, a mio nome, ella si
degni di dargli et benigna audienza et quella sincera fede che
per humanità sua darebbe a me stesso, che me ne farà grande
et deslderatlsslmo favore.
DI Mantova il V Maggio CVIIL
(1) Cioè: Ercole Cardinale di Mantova e Margherita Duchessa di
Mantova, tutori di Francesco minorenne.
(:2) Questa lettera si trova tra altre del Cardinale Ercole Gonzaga.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 375
m.
(Archivio storico Gonzaga io Mantova).
Airill ™<> et R."^ S.'* et Patrone mio oss.»<» il S.' Car-
dinale di Mantova Legato al Gonciglio etc. a Trento.
III."<> et R."° Sig/« et Patrone mio oss.'"^
Ringratio infinitamente la bontà di Dio, che con mia somma
sodisfatione e quando men ci pensava mi ha pur finalmente
appresentata innanzi occasione per la quale io potrò qualche
volta sodisfare al luogo debito eh* io tengo con V. S. III.""*
senza pericolo almeno d'incorrere nell'uno de* due estremi,
ne' quali ogni volta ch'io pigliava la penna in mano per iscri-
verle mi porca di trovarmi avviluppato, perchè da l'un canto
io giudicava che non fosse bene et forse pericoloso il mettermi
a darle raguaglio di cose serie et dall'altro, privo in tutto di
soggetto, sempre temea de non cadere in qualche ineptia, per
la freddezza universale di questa C!orte, et molto più per la poca
fatica, ch'io le dava nel visitarla. Ma ora eh' è piaciuto a
Moos.' 111.°*° Borromeo (non so da qual buono spirito mosso) di
chiamarmi motu proprio onoratissimamente nella sua Academia,
come più particolarmente V. S. Ill.">* potrà intendere dal S.'
Arrivabene, sperarò che non mi mancarà mai soggetto circa
ciò da scriverle qualche volta convenevolmente. Questo favore,
III.'"^' Patrone, dall' un canto sopra modo mi è stato caro, ma
dall'altro io temo che quel S/ 111.°''' con tutta quella onora-
tissima compagnia s'habbiano a trovar grandemente ingannati
del saper mio, stando ch'ogni altra professione che quella
delle lettere, come pur chiaramente si sa, è stata sempre la
mia, tutto eh' io habbia qualche volta, se ben pochissime, dopo
eh' io son in Roma, letto qualche cosetta e più per passatempo
che per istudio, pertanto io non ho mancato di palesarle al
primo tratto l'igoorantia mia, onde accadane ciò che voglia,
crederò se non conseguirne laude, almeno di doverne schifare
la colpa, disposto di non mancare fra questo mezzo a l'esser
più diligente nel leggere di quello che fin bora son stato, et
376 A. BELLONI
quanto più mi sarà possibile, avegna che io conosca d* esser
fatto in questa pratica assai bene infingardo et da poco, pare
molte volte la necessità suol far parere gli uomini valenti, la
qual di^ratia credo però fermamente che non habbìa da in-
contrar a me in modo alcuno. Né mi restando per bora che
più dire a V. III.»* S.^^ non volendo entrare nel caos della
gloria sua veramente fino dalla bocca de' maligni celebrata et
innalzata in ogni luogo et in ogni occorrenza, farò fine umilmente
baciandole le mani, raccomandandomi nella sua buona gratta.
Di Roma il primo di luglio del LXII.
di V. III.»* et Rev.»» Sig.'*
affetionatiss,*» et oblig."*» Ser.^*»
Curtio Gonzaga.
IV.
(Archivio storico Gonzaga in Mantova).
(Allo stesso Cardinale Ercole Gonzaga).
111."° et R."<» S. et Patrone mio oss."*»
La gentil burla che è piaciuto a V. III.™* Sig.'* di darmi
neir ultima sua di XIII, se non mi farà riconoscere per pos-
sessore d* alcuna di quelle rare virtù, ch'ella dice essere in me
(non ve ne essendo in effetto alcuna) mi darà almeno occa-
sione di grandemente desiderarle in cosi gran bisogno, et di dan-
nare appresso i miei andati mal ìspesi anni, con farmi procurar
con ogni sforzo neir avvenire di apprenderne almanco da
qualch' una di loro qualche piccola particella, accìochè io possa
mastrarmi men indegno che sia possibile dell'onorata gratin
fattami da questi miei 111.*"^ Sig." forse oltre ogni mio merito,
et del comertio della virtuosissima compagnia loro. Gli è ben
vero, 111.°»° S.*" mio, che Y haver da tornar bora a scuola e
con tanta incomodità come purconvien ch'io faccia, tal volta mi
dà fastidio grandissimo, et se sapessi come sbrigarmene eoo
onor mio, per certo che lo farei, non pertanto io sperare nella
bontà di Dio, che m'habbia da prestar tanto del suo favore,
che se non potrò in così segnalata occasione acquistarmi lode,
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SEGOLO XVI 377
almeno ae schivarò la colpa. Quanto poi a quello che V. Sig.'^
IH.** dice eh* io le ho promesso d* impartirle alcune impen-
nate deir inchiostro mio consacrato alla eternità, le rispondo
che veramente non mi par mai d' haver osato tanto, perchè se
pur nel passato tal volta mi son disposto ( tirato dalle passioni
del erodo et alato Arciere) a formar qualche doloroso accento
in ritmo
Fu sol per scherzo et per mostrar di fuori
Sol a mia donna i mal graditi amori
Ma quando pur anche temerariamente fatto Y havessi, hora la
gloria di V. 111.'°^ Sig> mal grado altrui, è salita a termini
così sublimi, che non solo a tal meta m' è tolto di poter di-
rìciare lo strale del mio debile intelletto, ma ne pur anche
d'aggiungervi con T acume della vista. OndMo colmo d* infinita
dolcezza, tutto ristretto nella povertà mia, trattomi in disparte
anzi nel più infimo canto del tempio della immortalità sua,
me ne rimarrò come chi adora e tace, et nella buona grafia
di V. S. III. raccomandandomi riverentemente le bacio le mani.
Di Roma il XXV di Luglio del LXII.
Di V. III."* et Rev.»*Sig.»»
Devol.«o et affetionaiiss.<* ser.'«
Curtio Gonzaga.
V,
(R.^ Archivio di Stato in Parma).
Ill.«<> et Ecc."** Sig.' Patron mio oss."°
Il Sig.' Patritio è arrivato già due giorni sono con mia
grandissima consolatione, et poetamo, dal sol nascente al tra-
montar del die, all^rissimamente spesso facendo quella hono-
rata memoria dell' Ecc.* Vra. , che meritano le sue rare virtù,
et la devotione delTuno et F altro di noi, ammirando non poco
il progresso, ch'ella fa del continuo in questa nobilissima pro-
fessione. Io gli ho detto che l'Ecc* Vra. si degnò, pochi di
SODO eh* io mi trovava costi seco , di promettermi , giunto
378 A. BELLONI
ch'ali fosse, di favorire questa casa una mattina per goder-
selo; onde esso, et io vi stiamo con sommo desiderio, rimet-
tendosi alla sua volontà del quando; con supplicarla io però a
voler farmelo sapere uno o due giorni prima, per esser questo
loco molto arido di ogni cosa per honorare et far parte di
quel debito che si conviene , con un pari dell' Ecc.^ Vra. , b
quale se le tornasse di servitio lo stabilimento della giornata
per domenica prossima, a me sarebbe anche di più comodità
per conseguire il mio intento; poi che il venere né il sabato
si potrebbe haver cosa buona per li caldi che corrono. Cod
qual fine pregandola a condur seco il S/ Mutio (1) per più
condimento del tutto, nella buona gratia della Ecc.*^ Vra. III."*
di tutto cuore me le raccomando et bacio le mani.
Di Borgoforte li 6 di Agosto del '85.
Di Vra. Ecc.* III.»»
Affettuos."*» et devoliss.o S.'*
Curtio Gonzaga
A tergo:
Airill.»<» et Ecc.»° Sig.' et Patron mio
osse."*» il Sig.' Don Ferrante Gonzaga.
Guastalla.
VI.
(Archivio storico Gonzaga in Mantova).
US.' Curtio era stalo a Guastalla a visitare il
S/ D." Ferrante, et ultimamente ci condusse un S.' Francesco
Patritio, che sta in Ferrara, valente lìlosofo et poeta , et che
in Borgoforte ha revisto il poema del S.' Curtio, con la qual
occasione esso don Ferrante s'è invitato a Borgoforte, dove
intendo che ci è stato una mattina et venne a Pietolo per certo
suo affare. Don Patritio ha promesso di componere certe deche
volgari in laude del poema del S.' Curtio, il quale per ciò gli
(1) Questi é senza dubbio Muzio Manfredi, perchè Girolamo Muzio,
giustinopolitano, era morto nel 1576.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 379
ha donato 24 braccia di tabe di seta. Questo è quanto mi è
rifferto di nuovo dalla villa
Di Mantova, li 7 Settembre 1585.
Di V- S. Ili"* et R."»»^
Hum."<» et devot."<> ser/«
Il Crema. (1)
A tergo:
Airill."»o et R."<> S. Patrone mio Coll.»*> Mons.'
r Abbate Gonzaga a Roma.
VII.
(R.<> Archivio di Stato in Parma).
IIL"<> et Ecc.**» Sig.' mio et Patrone osser."<>
Quand* io pensassi di potere per li miei denari bavere col
favore di Vra Ecc.* III."* costi in Guastalla, com'ella me ne
chiede certa intenlione, una casa simile o poco manco di quella
della Sig.'* Francesca o quella istessa se per avventura ella
bavesse a lasciarla, non sarla gran cosa, eh* io mi risolvessi di
allungar la mia andata a Palazzuolo per certi novi intoppi,
che mi si attraversano, et che per ciò me ne venissi a far
questo verno con rEcc."" Vra et con la mia cara Patrona la
Sig.'* Principessa sua per lo sommo desiderio che tengo di
servire air uno et air altra con ogni potere stroppiato mio,
et però mi son risoluto d* inviarle a posta il presente mio
staffiere con supplicare l'Ecc.* Vra. III."* a farmene saper
quanto prima la desiata risposta, che del tutto farò per restar-
gliene con perpetuo obligo et con tal fine ad ambe due loro
riverentemente bacio le mani. Che N. S. Dio doni loro ogni
prasperità et contentezza.
Di Borgoforte il 29 di Settembre '95.
Di Vra Ecc.* III."*
(1) Gio. Francesco Crema era un gentiluomo di Corte, fattore del-
TAb. Claudio Gonzaga, fratello di Curtio.
380 A. BELLONI
Gaso che gli intoppi non bastassero a trattenere la mia
andata TEcc.^ Vra si degnare di dar ordine che a mia ri-
chiesta mi vengano i muli che per sua iniinita cortesia si
degnò con tanta benignità di promettermi, havendomi la Du-
chessa serenissima fatto grazia d'una letica che più non po-
trebbe esser a proposito per me come haverebbe ancor fatto
dei muli se non fossero tutti empiegati nel servitio del S.' Duca
oo(4ro.
Certo S.' di cuore svieceratis.»
Gurtio Gonzaga Marchese etc
A tergo:
Airill."*» et Ecc."° mii) Sig.« et Patrono osserv."»
il Sig. Don Ferrante Gonzaga Guastalla.
Vili.
(R."» Archivio di Stato in Parma).
(Allo stesso Ferrante Gonzaga).
DL"» et Ecc.*<> S/ et Patrono mio oss."<>
Io havea pensato di venir a spendere il mio in Guastalla
per servire air Ecc.^ Vra et alla mia cara Patrona la Sig/*
Principessa , havendomi Vra Ecc.* dato intentiooe ferma di
formi bavere per gli miei denari una buona casa costi, conforme
al bisc^no della infelice necessità mia; ma intendo dal mio
Fattore, ch'ella non mi può far provedere fuor che di una,
che non ha, che due camere buone per me senza sala, od altra
servitù, né sapend'io come valermene convenevolmente più per
riputatione dell' Ecc.* Vra che per mia, parendomi pure non
affatto indegno S.'® di quella, vederb non potendo altro di pro-
curare con l'Altezza della Sig.'* Duchessa di Mantova perche
mi faccia grazia del Palazzo di Luzzara tanto vicino a Gua-
stalla per poter anche tal volta venir a servire alle Eccellentie
V.re 111.'*'^ come sommamente desidero, et con tal fine racco-
mandandomi nelle lor buone grazie et baciandole le roani
prego loro da N. S. Dio ogni felicità et contentezza.
Dì Borgoforte il 14 di Ottobre del '%.
Di Vra Ecc.* I1L«*
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI 381
Questa sera il Marescalco di Guastalla et un altro pur di
li hanno detto , che V Ecc^ Vra mi faceva dar per allogia-
mento la casa per contro il suo Palazzo in Piazza, che dicono
esser bonissima et che sarebbe et per la scala et per le stanze
approposiussima ; se cosi fosse senza altro mandarci subito a
far le mie provisioni et fra quattro o sei giorni sarei con mio
gran contento a servire le Ecc.® Vre III.*"^ di tutto cuore.
Certo S." aff.»o
Gurtio Gonzaga Marchese etc.
IX.
(R.^ Archivio di Stato in Parma).
( Allo stesso Ferrante Gonzaga ).
III."® et Ecc. S.' mio oss."® Patrone.
Haverei da scriver gran cose a V. E. e si che ne resta- ^
rebbe maravigliata, ma la mano stroppiata me lo vieta; ben ^^'^V
lo farò a bocca, piacendo a Dio; in somma mi è fatta ogni
guerra perchè non vada a Palazzuolo, e credo che m* habbian
tolto la nave a cui già havea dato caparra, e senza la quale
impossibile è la mia andata, nel qual caso non saprò fuor che
ricorrere sotto la protettione dell' E. V. et della mia cara
Patrona la S.^ Principessa col venirmene a servirle presenzial-
mente io tutti i modi costi, s' havesse a star su la nuda terra.
Ho voluto dirgliene queste due parole perchè compassioni (come
son certo che farà per sua infinita benignità) alla mala for-
tuna mia. Spero in Dio però, che mi aiuterà , et nella buona
grazia dell' Ecc<^ Vre di tutto cuore mi raccomando et rive-
rentemente bacio loro le mani, con pregarle da N. S. Dio ogni
compita contentezza et felicità.
Di Borgoforte il 22 di Ottobre '95.
Di V. E. III."»
Aff."o et certo S.»® di cuore
Curzio Gonzaga, Marchese etc
382 A. BELLONI
APPENDICE II
NOTA BIBLIOGRÀFICA
1. — Il Fido Amante^ poema eroico di Cvrtio Gon-
saga^ figlivolo di Ltngi delP antichissima (Msa de* Prencipi
di Mantova. Con PriuiUgio della Santità di N. Signore
et della Maestà del Re Catolico per Napoli, per Sicilia
et per Milano et di tutti gli altri Prencipi (T Italia per
anni dice. In Mantova.
In fine : In Mantova, presso Giacomo RvflSnelIo, MDLXXXII.
In-4. È edizione rara. Precede la prefazione dell'Autore e un suo
sonetlo all' Orsa : Vattene a pie de la grand' Orsa humile ( Rime , ed.
1591, e. 143). Sul frontispizio è una colomba che Tok Terso la costel-
lazione deirOrsa, col molto: E sole altro non haggio. Di questa ed.
esiste un esemplare, tra i mss. del fu marchese Campori, tutto pieno di
note marginali, di cassature e correzioni autografe: esso seni forse per
le successive edizioni del poema, (cfr. L. Lodi, Catalogo dei cod. mss.
posseduti dal m. G, Campori, Modena, Paolo Toschi; parte 11, pag. 105).
2. — Lo stesso: In Venezia, 1585.
Ed. citala senz' altra indicazione dal D'Arco nelle citate sue memo-
rie manoscritte (v. pag. i26, n. 1 di questo lavoro).
3. — Il Fidamante, poema eroico delF Ilhistriss.^^
SigJ Curtio Gonzaga ^ ricorretto da Ivi et di nuovo ri-
stampato^ aggiuntivi gli Argomenti deW Illustre et vir-
tuosiss. Signora Maddalena Campiglia, et con le mora-
lità d' incerto autore. Con priuilegio. In Venelia. Air inse-
gna del Leone, 1591.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SEGOLO XVI 383
Io-4. Precede una dedica di Àatonio Amici all' illustrissimo et ec-
cellentissimo Principe il Signor Giacomo Buoncompagno Duca di Sera,
Marchese di Vignola, Signor d' ^rpino et d' Arce et Generale de /' huo-
mini d'armi dello stato di Milano. Da alcune parole di questa dedica par-
rebbe che fosse stata prossima la quarta edizione (veramente V Amici dice
terza e ciò proverebbe l'inesistenza dell'edizione del 1585 citata dal
D' Arco ) e eh* ha, dice 1* Amici , da farsi piacendo Dio con belUssime
figure et allegorie stupende > . Che questa edizione sia stata fatta non mi
consta, poiché non credo sia da identiGcarsi con quella che segue.
4. — XfO stesso: In Venezia, 1641.
In- 4. Trovo citata questa ed. senza altre mdicazioni in uo Catalogo
ms. di libri, ch*é nella Bibl. Com. di Padova, segnato C. R. M. 280.
5. — Bime di Gurtio Gonzaqa. In Vicenza, nella stam-
peria DuoYa, MDLXXXV.
In-i. Furono raccolte in due tomi da Angelo Ingegneri e da lui de-
dicate a Carlo Emanuele duca di Savoia. Indicazione data dal D'Argo,
loc. eh.
6. — Le stesse: In Mantova, 1588.
Indicazione data del D'Argo, loc. cit.
7. — Rime delV Illtistriss. Sig. Gurtio Gonzaga , già
corrette j ordinate et accresciute da lui; et hora di nvouo
ristampate con gli argomenti ad ogni compositione. In
Venetia, al segno del Leone, MDXCI.
Un volume, in-i2.
8. — Gli Inganni^ comedia deW Illustrissimo Signor
GuBTio GrONZAGA, ali* Illustriss^^^ et eccellentissima Signora
Donna Marfisa da Este.
In Gae: In Venetia, appresso Giovan Antonio Rampazzetlo,
1592.
Un volume, in 8.
9. — Lettere di Principi le quali o si scrivono da
Principi o a Principi o ragionan di Principi. Libro Pri-
mo, In Venetia, presso Francesco Ioidi MDLXXIIL
384 A. BELLOKI
1n-4. A e. 197 ^-199 A sono due lettere di Curzio Gonzaga, una direiu
ad Creole duca di Ferrara (da Roma, 5 settembre 1559), 1* altra al
Cardinale Francesco Gonzaga (da Roma, 21 decembre 1559).
10. — Il tempio alla Divina Signora Danna Gio-
vanna d' Aragona^ fabricaio da tutti i più gentili Spiriti
et in tutte le lingue principali del mondo età Io Veoetia,
per Plinio Pietrasanta, M. D. LIIII.
In -16. A pag. 244 y'ha U sonetto di Curzio Già ride il eido e
r aria d' ogn intortio. Del Tempio si ha anche un edizione in Yenetia
per Francesco Rocca a S, Polo all' insegna del Castello^ i565. È una
perfetta riproduzione della prima.
11. — Rime morali di Pietro ììassow gentilhomo Vi-
nieiano, ora Don Loretuso monaco cassinese. In Firenze,
pei figliuoli di Lodovico Torrentino, 1564.
In-8. A pag. 240 e' è il Sonetto del (Gonzaga Mentre che dotte rime
rivolgete, in risposta ad altro del Massolo Curzio che con V ingegno com
havete,
12. — Delle rime del S. Bernardino Rota etc. In Na-
poli, appresso Giuseppe Cacchij Dell* Aquila, M. D. LXXII.
In 4. A e. 69 A é il sonetto del Gonzaga Con mente di terreni af"
(etti scarca, cui risponde V altro del Rota 5' havessin visto voi Dante et
Petrarca.
13. — Rime di M. Girolamo Molino, novamente ve-
nute in luce^ con privilegii per anni XXV. In Venetia,
MDLXXIII.
1n-8. A e. 113^ é il sonetto di Curzio Del novo Alcide ai fatti
alti et egregi, di cui risponde T altro del Molino Si potess' io not^i prinlegi.
14. — Donne romane. Rime di diversi raccolte et de-
dicate al Signor Giacomo Buoncompagno da Mutio Man-
fredi. In Bologna, per Alessandro Benacci, MDLXXV, anno
santo. Con Licenza de* Superiori.
CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XYl 385
ln-8. A pagg. 97-98 è il Sonetto di Curzio , Mentre V alta beltà
ck* invidia e Komo {Rime, ed. ciL e. i68), e due canzonette Cacciam
guest' Orsa amanti e Eccone V Orsa amanti \ a pagg. 11 9- 121 sono i so-
netti: Se come lo mio infido, empio Signore; De la nov' Orsa già tanto
splendore; Novella Clio tal già sostenne Amore (Rime, ed. cit e 21-22).
15. — Scelta di Rime operata da Cristoforo Zabata.
In Geocva, 1584.
Id-12, parte 1. A pag. 139 é un capitolo di Curzio a Giovan Paolo
Mavincola. Indicazione data dal D'Arco, loc. cit
16. — Rime diverse di illustri poeti^ raccolte da Ghe-
rnrdo Bragomi. In Venetia, per la Minima Ciompagnia, 1599.
In-i2. A pagg. 12, 13 e U sono due sonetti e due madrigali del
Gonaga. Cosi il D*Arco, loc. cit
17. — Odi diverse di Oraeio volgariggate da alcuni
ìkobiUssimi ingegni e raccolte da Già. Narducci. Venezia
per il Polo. 1605.
In-4. Tra queste odi se ne troTano alcune anche del Gonzaga ( forse
le due che vedremo più innanzi). Tolgo 1* indicazione dal Catalogo ms*
sopra citato. Questa raccolta del Narducci è detta rarissima dairHAYM,
ToL I, pag. 328, n. 12.
18. — Scelta di sonetti e di caneoni de^ più eccellenti
rimatori d^ ogni secolo. In Bologna, 1709-1711. Per C!ostan-
tino Pisarri, sotto le scuole, con licenza de' Superiori.
E la raccolta del Gobbi in tre parti in-8. Nella parte seconda a
e. Ì06-208 sono i seguenti sonetti del Gonzaga, Monti non più, non
più campagne, il lume; L' aspro eh' Amor già diemmi a mollir scoglio;
0 se con tante e con si amare note; Sempre quel di che 7 voi mirar
m' è tolto ; E pur non veggio del mio sole il lampo ( Rime , ed. citata
e. 98, 72, 85, 105, 106).
19. — Istoria della volgar poesia di G. M. Cresdm-
beni. Roma, 1698.
A pag. 210 del tomo 1 é il sonetto di Curzio, D' un ghiaccio ar-
dente e d' un gelalo foco (Rime, ed. cit e. 38).
386 A. BGLLONI — CURZIO GONZAGA RIMATORE DEL SECOLO XVI
20. — Lirici misti del secolo XVL YeDezia, coi tipi
dì Pietro Bernardi, 181&
A pag. 281 è il soDetto del Gonzaga, E pur non veggio del mio
sole il lampo, (Rime, ed. cit e 106).
21. — Scelta di poesie liriche dal primo secolo della
lingua fino al 1700. Firenze, Felice Le Monnier e Goaipa-
gni, 1839.
A pagg. 771-772 sono i cinque sonetti del Gonzaga indicati da me
al numero 18.
22. — Alcune odi di L. Orazio Fiacco volgari sznie
nel Cinquecento. Bologna, Nicola Zanichelli, MDGCCLXXX.
Raccolte da GioTanni Federzonì per nozze. A pag. 5 é la traduzioDe
di Curzio Gonzaga dell'ode 3.* del lib. 1: Ben di ferro ebbe e di dia-
mante il core, e a pagg. 23-25 quella dell* ode 9.* del lib. 111: Donna
mentre il cor mio (Rime, ed. cit e. 199, 177).
MISCELLANEA
NUOVE RIME D'ALCHIMISTI
Nel rimettere ìd luce una lunga canzone sulla pietra
filosofale, distesa sulla fine del secolo XIV da un Da--
niele di GiustinopoU, professore di grammatica, avvertii la
scarsità di rime sull' alchimia (1). Infatti, mentre ne
è ricca la letteratura medievale latina, e non ne sono
scarse le altre, l'Italia fin qui non poteva addurre che
due sonetti, a stampa fin dal secolo XY in appendice ad
una Summa perfectionis Geberis, dove sono attribuiti a
frate Elia e a Cecco d'Ascoli , il disgraziato autore dell' A-
cerba. Ai due sonetti io diedi compagna la canzone del
capodistriano, ma non altri componimenti; quasi, a secoli di
distanza, quegli afiaticati e taciturni alchimisti riuscissero
con qualche occulto adoperamento a nascondere alla cu-
riosità indiscreta dei posteri i loquaci testimoni delle loro
pazzie ; o piuttosto il ferrigno aspetto dei codici d'alchimia,
(1) Una canzone capodistriana del secolo XIV sulla pietra filoso-
fale, néù* Archivio storico per Trieste, l' Istria e il Trentino, yoI. IV
l»p. 8i-ii7.
388 MISCELLANEA
irti di sigle, di lettere greche, di cifre, macchiati e rosi dagli
acidi, logorati da dita use ai fornelli e ai mioerali, fosse
valso e valesse a spaventare gli studiosi. E come le rime
di materia alchimistica sodo appunto frammezzate alle ri-
cette e ai segreti di quegli strani codici, naturale eh* esse
dovessero vedersi ritardato l'onore della stampa, con-
teso loro da troppi altri e più degni documenti lette-
rari. L' amicizia di Salomone Morpnrgo, che resiste
anche alla durissima prova di trar copia di simili versi,
mi dà oggi il modo di aggiungere ai tre anzi detti più
altri componimenti volgari di materia alchimistica dei pri-
mi secoli. Il lettore potrà in vero torcere il viso e bron-
tolare: mancano forse altri e più degni argomenti di stu-
dio ? mancano testi antichi, e sian pur rime, più degne della
stampa? Ma dica pure, né io addurrò a scusa, troppo
facile e ovvia, l' esempio di altri, che si perdono in affan-
nose ricerche di anche minore importanza. A me sem-
brano degni di esame e di studio pur questi tentativi
poetici dei poveri precursori delle ricerche che oggi son
dette chimiche, e se non per la forma letteraria, sebbene
anche sotto questo aspetto possano interessare lo studio-
so, per la sostanza.
Di alchimia e di alchimisti italiani, poco o nulla si
seppe e si disse, poco si può dire e si sa. Che nei se-
coli di mezzo , anche in Italia V alchimia abbia avuto
molti seguaci , nessuna maggiore , né più bella testi-
monianza di quella di Dante, che nel profondo inferno
costringe eternamente i falsatori alchimisti. Ma è una
prova indiretta, perché i puniti da lui non sono i veri
alchimisti, si i falsi, che spacciandosi per alchimisti seri
e fortunati, e usurpandone e macchiandone il nome e In
fama, giravano il mondo fingendo di aver sciolto il pro-
blema cui gli altri continuavano indefessi a tentare ; prova
MISCELLANEA 389
indiretta ma sicura, perché fingere di a?er scoperto il
segreto di far V oro non si sarebbe potato, se allo studio
delle leggi della tramutazione metallica, alla ricerca degli
elementi, dai quali, combinati in vario modo, dovevano
esser generati i diversi minerali — questo fu il pro-
blema propostosi dalla chimica medievale — non si fosse
saputo universalmente che lavorava tutt'una schiera di
uomini solitari, disposti alle fatiche e alle battaglie degli
appartati laboratori: in una parola non si sarebbe potuta
formare e sviluppare codesta escrescenza su un ramo
dell* albero del sapere, se non fosse stato il ramo stesso ,
e ricco di umori.
Ma a questa prova indiretta quante altre se ne ag-
giunsero? Il Libri, che pur tante cose vide e seppe, nella
sua Histoire des sciences mathem. en Italie (1838), do-
vette contentarsi di rilevare la mancanza di scrittori
italiani d'alchimia dei primi secoli: benché in compenso
di veri e propri trattati, sarebbe stato contento anche a
prove indirette , cioè a misere poesie; che i componimenti
poetici son certo , sempre , prova evidente e piena , quan-
l' altra mai , della esistenza e diffusione delle dottrine ,
dei sentimenti , delle tendenze espresse nel giro dei
loro versi. Infatti anche il Librì^ non appena ebbe sco-
vato un di tali componimenti , lo pubblicò : ed è il
sonetto attribuito a Cecco d'Ascoli nella stampa quat-
trocentina prima citata , e nientemeno che a Dante
nel codice onde queir erudito lo trasse (1). Ma il sonetto
(1) G. Libri, NoUce des mss. de quelques bibliothèques des depar-
temenU. Troisiéme article. Nel Journal des Savanis (Paris, Impr. Royale),
aimée 1841; pag. 547-554. — A pag. 551-2 il Libri parla dei
iDss. di proTenienza Albani, fra i quali del n.° 493: e un volume petit in
4*, intiUilé Traciatus chimicae. Le ms. sur parchemin est du XIV-XV
siede »; e ne dà in nota il sonetto, con qualche scorrezione e saltando
il Terso 8; non ritenendolo però di Dante. — Dallo stesso codice lo pub-
VoL IV, Parte 1 25
390 MISCELLANEA
restò solo. Aspettando quindi che altri ricerchi i co-
dici d' alchimia italiani, e veda se in essi sia del
blicò poi il Gastets {Sonnet eontenant une reckette (f alchimie attiUmé
a Dante et au frère HelyaSy nella Revue des languet romanes^ m sèrie,
tome lY, p. 76-79), rilevando le inesattezze del Ubri e dando del codice
e del sonetto qualche maggior notizia: il ms. H. 493 Montpellier è ona
raccolta di trattati alchimistici in latino, scrìtta certamente in Italia , per-
ché a e. 19^ porta la data e 1459 in NeapoU >. 0 son. è a e 248', io
caratteri più grandi e regolari del resto del codice. — Lo riproduco per-
ché ha non poche diversità dalle due lezioni della stampa quattrocentina,
che ne ho dato neir articolo sopra citato deir^lrcA. Star, per Trieste ecc.,
pag. 94-5:
Motivum vel sonetum Dantìs phìbsopbi et poetae
florentini.
Solvete li corpi in aqua a tutti dicho
Voi che volete fare o Sole o Luna ;
Delle due aqque poi pigliate 1* una,
qual più vi piace, e fate chel ch'io dicho.
Datela a bere a quel vostro inimicho
senza darli a mangiar chosa neuna.
Morto il vederete, choverto a bruno,
dentro dal corpo del Leone anticho.
Poi gli farete la sua sepultura
per intervallo, si che si disfa[c]cia
la polpe, Fossa et ogni sua giunctura;
Poy, facto questo, facte che si faccia
dell' aqqua terra che sia netta et pura.
La petra hauete, anchor che altro vi piaccia.
Della terra aqqua, dell' aqqua terra fare :
cosi la pietra si vuol multiplicare.
E seguono, scritti più minutamente, i due versi:
Che (sic) bene intende e pratica '1 soneto
segnor sarà di quel eh' altr' è sugetto.
Concetto espresso di solito in Gne alle poesie alchimistiche , anche
latine. — Cfr. Mazzatinti, Inventari dei Mss. ital, delle bibL di Franria,
voi. IH, pag. 84: Montpellier, n.° 47. — L'attribuzione del sonetto a
Dante non deve meravigliare ; si veda il cit Arch, star, per Trieste^ ecc.
p. 86 e 99.
MISCELUNEA 391
booDO, scientificamente; se, di tra le varie operazioni,
fatte a scopo di tramutar altri minerali in oro, pur qualche
scoperta, qualche lampo di luce nuova abbia illuminato il
silenzioso e affumicato laboratorio dell* alchimista italiano
dei secoli di mezzo, e sia stato da lui fermato nel suo
linguaggio enigmatico e simbolico tra le altre ricette, i
versi latini e le invocazioni a Gesù, io ritengo di far cosa
non del tutto inutile comunicando queste nuove poesie
alchimistiche.
Due codici riccardiani (n.' 946 e 3674) ci han conser-
vato un manipolo di rime , del quale, oltre a sette com-
ponimenti per quel eh' io mi sappia non mai fin qui stam-
pati, fanno parte anche i tre già conosciuti : ciò sono i due
sonetti attribuiti a Frate Elia e a Cecco d'Ascoli, e la can-
zone di Maestro Daniele; questa in doppia lezione. Il che
— e si aggiunga che uno dei nuovi componimenti porta,
come si vedrà , notevolissime traccie di imitazione della
canzone del capodistriano — oltre a confermare la
relativa diffusione di questa , permette anche di as-
sodare che gli alchimisti italiani , accanto alle solile
poesie latine di autori quasi sempre forastierìi , ebbero
pur delle composizioni poetiche volgari a compagne e
guide nelle loro fatiche; e che queste anzi preferirono
ben presto alle prime , attribuendole cervelloticamente
ad uomini famosi: esse parlavano loro nella stessa lor
lingua , li assicuravano che anche altri uomini , vissuti
sotto lo stesso cielo, a non molta distanza di tempi e
di luoghi, avevano sudato sullo stesso problema ; ben
valevano quindi, e meglio d'ogni altra scrittura,' a con-
fortarli e a sorreggerli , quando , spossati dallo studio
degli oscorì e simbolici trattati e dalle lotte col fuoco,
con le storte, con gli alambicchi, li prendeva lo sconforto:
le notizie che già abbiamo, ci permettono di riporre
392 MISCBLLAKEA
sicorameDte fra le poesie di qaesto genere i testi quasi
poetici degli alchimisti italiani di allora: il sonetto attri-
buito a Cecco d' Ascoli , quello attribuito a Frate
Elia 0 a Dante, e la canzone di Maestro Daniele di Ca-
podistria (1).
Delle due lezioni di questa dico altrove (2); qui
metto in luce i sei componimenti del codice Riccardiano 946
e la canzone del 3674, che ritengo inediti e scono-
sciuti, e del primo riproduco anche i due sonetti già noti,
perché non poco diversi dalle redazioni a stampa. Al testo
porto soltanto quelle poche correzioni che mi paion più
sicure e che sono necessarie a renderlo, sebbene non sem-
pre, intelligibile, notando a pie di pagina le parole o i passi
quali si leggono nel codice. Non aggiungo note dichiarative,
se non taluna strettamente necessaria; chi desidera qualche
maggior notizia sull'argomento o spiegazione delle allu-
(1) Infatti (non sarà inopportuno il raccoglierne qui le notìzie), il so-
netto attribuito a Cecco d'Ascoli si legge oltre che nel presente codice
Rice. 946, e nella slampa della Summa Geberis del sec. XV, nel Magliab.
3, ci. XVI (v. Arch. star, per Trieste, ecc. p. 94, n. 1); quello attribuito
a Frate Elia, in lezione quasi sempre diversa, e profondamente, si da dover
supporre più altri codici , o anche una tradizione oi'ale diffusa, nei Hicc
689 e 98i, nel Senese Comun. L. X. 29, nella Summa Geberis, in un cod.
Magnani adoperato dal Crescimbeni (per queste cinque redazioni, v. Arck.
slor. per Trieste, p. 91, 93. 6), nell' IL 493 di Montpellier, e nel Rice.
946; la canzone di maestro Daniele, nel Marciano lat. CCCXXVI, nel Rice.
3247, nel Landau 173, nel Senese L. X. 29, nella Summa Geberis, nel Nazari
(per queste sei redazioni e loro rapporti, v. Arch. s(or.,per Trieste, p. 96-8.
nel Rice. 946, e nel 3674, dove pure V altra lunga canzone attesta con
r imitazione fattane, meglio ancora di una semplice copia, la diffusione e
r autorevolezza delle strofe di maestro Daniele, delle quali un' altra copia
ancora, di mano del XVI secolo, si legge in un foglietto di recente
acquistalo dal doli. Francesco Roediger, cui devo la cortese comuni-
cazione.
(2) Nell'i4rcA. stor, per Trieste, l'Istria e il Trentino, voi. IV, fase. 3.
MISCELLÀNEA 393
sioni 0 della nomenclatura di questi componimenti, cerchi,
se crede, la canzone di maestro Daniele, e V avvertenza e
il commento che vi aggiunsi ; sottometto invece alle strofe
della nuova canzone quei passi dell' altra, di maestro Da-
niele, la cui somiglianza o identità di forma e di sostanza
dimostrano imitazione fattane dal nuovo e ignoto rimatore.
Il riccardiano 946 è un codice cartaceo, di cent.
21 X 15, di 82 carte, scritte da due o tre mani. La pri-
ma, del sec. XY piuttosto avanzato, scrisse il più, ciò
sono molte ricette ed estratti di opere alchimistiche, e tutte
le poesie. Gli estratti più lunghi sono, a e. 44''-48^, del
Geber : e In nomine Jhesu Christi hic incipit liber Geber
de eodem > ossia e de lapide componendo > , com' è scritto
in una ricetta precedente. Altro lungo testo, a e. 50-68*,
comincia : e Inc^ quidam liber abreviatus aprobatus ve-
rissimus tesaurus tesaurorum, rosarius phyloso forum ac
omnium secretorum maoHmum secretum > . L' altra o le
altre mani, del principio del sec. XYI, riempirono di ri-
cette le pagine e le mezze pagine lasciate vuote dal primo
scrittore. Ecco i componimenti, nell'ordine in cui si se-
guono, interpolatamente, nel codice:
1.
[e. 9.«>] A. D. B.
Voi pellegrìDe' che andate in romita(^
cercando la scientia excelente, ^
la uostra serva va con lui in viagio,
monache bianche pare a chi non sente;
Ma lo re delP universo spatio
di sciamito d' oro veste la sua gente ,
e chollui si scontrò e folle e saggio;
i : — T. 5 fe re; ▼. 6 semiU; f. 7 si scontro e follo e faggio; lo
scontro potrebbe correggersi anche m scontra.
394 MISCELLANEA
a
colerico biancho fa el suo sergente;
Et è cosi benigno a chi T acide
che gli fa lume nella casa oscura
e di trìsteca fallo ingiovinire.
Chi fa questo è di grande ardire:
Non altro che colui dal quarto cierchio,
posto in lo inferno sotto il so martire.
(e. 10.»]
Solvete e corpi in aqua, a tutti dicho,
voi che cercate iare sole e luna,
delle due aque poi pigl[i]ate Y una ,
qual più vi piace e fate quel eh' i' dico.
Datela a bere a quel vostro inimicho,
sen(a mangiare, dicho, cosa alcuna,
e morto il troverrete riversso in pnina
dentro dal corpo del lione anticha
E IH li fate la sua sepoltura
si e^ in tal modo, che tutto si disfaccia
la polpa e ir ossa e tutta sua iuntura.
deiraqua fate terra pura e netta,
della terra aqua e 11' aqua terra farete ;
la pietra averete da roultiplicare.
Chi bene intenderà questo sonetto,
sarà signora di quello a chi è sugetto.
3.
[e. 10. b] M. J. de [tgnra di ho nKHitieello] tt.
Chi non sa solvere e asottigliare,
corpo non tochi né mercurio vivo,
però che fisso non fa volativo
a chi non sa ben di dui uno fare.
MISCELLÀNEA 395
Fa aduDqua dui insieme abraciare
con aqua-viti e con sai volativo
e con es-usto, per in fin che privo
sia della madre che Ilo fé figliare.
Allora tien di far^ la morte scura
e '1 sole per ir orìconte aparìre bello
e per Hi fiumi homato in sua figura.
Quest'è la pietra magna, guest' è quella {sic)
che da philosophi Talta scrìptura
batte r ancudine col martello.
E si vilemente quest'è nostra intentione,
sene' essa e' non si vene a perfectione.
4.
bBM.
bid.] Io som la uera luce a diricare
del sommo archimia ogni rustich' e sodo
animo, son colui che sen^a frodo
dell' arte mostro ciò che si può fare.
Io som colui che chi mi vuole usare
da pouertà lo spìcho e da suo nodo
co' r arte , colla regola e col modo ,
col suo bel fine, col suo coequare.
Ciorpo disfo e poi rifò un corpo
rimosso da {sua) materia, e dògli forma
sempre sguardando al velenoso scorpo.
Trago da sua materia e metto in forma {manca un verso)
coagolando con fuoco e con norma
Giamai non ssi disforma
dal tuo intelletto, se ben ài inteso
per questi verssi quel eh' io ti paleso.
3: — T. 5, adumqua; t. 7, et usto faes ustumj, cosi credo vada
(teso e corretto il lemhuto del cod. , y. Canz. di m. Daniele, str. XII.
396 MISCBLLANBA
(c 11.»] Ieber.
Quest* è la pietra magna beoedecta
la qual tractb Ermete e Gratiano,
Elit, Rosir, Pandolfo e Ortolano,
Pictagora con tuta la soa secta.
Questa non si concede a gentfleca,
né a belleca, né [a] essere humano,
di questo ogni pensiero toma vano
a chi per sua virtù la gratia aspecta.
Di gratia spedala, da dio recetta
basse vivande, vivere melano,
sua residenza sta' n pinole tetta.
De* tu che miri la figura pietà
riman contento, e bastite sapere
quanto el balestro la saecta gitta,
E nello amor di Dio sta felice
e non voler saper quel che non licei
Seguono, a e. lP-15*, coDftisameDte , travisate e
maDchevolì di versi, le strofe della canzone di Maestro
Daniele, copiate dallo scrittore come fossero ciascuna un
componimento a sé. E come componimenti staccati egli
trascrisse le tre stanze che seguono, e che potrebbero
anche essere tre strofe, malconcie, di una stessa poesia:
6.
[e. 15»»], dopo una ricetta scritta mezza in caratteri segreti:
Questa è la pietra che si va cercando
dagli archìmisti per ogni sentiero,
5: — V. 3, cartolano; t. 8, suo; v. H, suo; tetta y cioè teda,
tetti. U V. 12 mostra che nel testo originale il componimento accom{>a-
gnava qualche flgura simbolica, allusiva all' arte; forse Geber stesso con la
pietra in mano.
MISCELLANEA 397
da color che anno V animo sincero,
ma non da que* che vanno sofistando.
A tutti quanti lor vo' dar[e] bando ,
però che sono tutti ingannatori,
e non cognoschono e loro erorì :
per tutto el mondo vanno trapelando.
Di solfo e di mercurio (^t) farò, quando
io vorrò, tutta l'arte a punto;
e co' l' arsenico, eh' è '1 ter^o congiunto,
col sale armoniaco imbeverando
farò di tutti quatro um congiunto,
putrefaciendo e poi lor calcinando:
E fassi un corpo, et è Elesir perfetto;
dicoti el vero, per Dio benedetto!
F.
7.
e 16.'] 0 archimisti ingrati, incredula gente
piii che non fu Thomaso della fede,
andate sofistando e nesum crede
la verità monstrata a voi presente.
Ài petto vostro recate la mente,
che, come dixe Cristo, più beato
sarà colui che non ara tocato
col dito la ferita tanto niente.
Quest'è la pietra eh' è tanto lucente,
la qual trattò la gran Turba magna,
e dimonstrasi a ciascuno intendente;
la bella Rosa tratta certamente
delle scritture di quella conpagna,
la qual parlò si scuro a ogni gente.
6: — v. 12 imbeverato — v. 16, nel son. attrib. a Frate Ellia, v. 7:
9crto lo (rovarai, el ver ne dico.
7: — YT. 10 e 12: turba magna, rosa, nomi comuni a molti trattati
r alchimia latini
398 MISCELLANEA
El sole colla luna ioteDdi el mio parlare,
E col Dostro mercurio seguitare.
F.
a
[ibid.] Intendi e nota bem quel eh* io ti dico :
l'anima non entra se non col suo corpo
là donde eli' è cavata senga scorpo ;
questa è la verità o caro amico.
Se con altro congiugni el suo nimicho,
lavori in vano e perdi el tempo tuo,
però che V altro non è fratello suo
E ir opera tua non varrà un fico.
Ma quando si congiugne col suo antico
e tutti dui fanno coniuntione
nel ventre del lione a te saputo,
allora ti puoi tochare sotto al bellico
e dire : i' son maestro certamente
e nessun altro non vale un lombrico.
Sarà Elesir perfetto, in fede mia,
e potrai combattere la Saracinia.
Poveri alchimisti ! Si leggevano imposto in queste poe-
sie, e seguitavano a raccomandarsi Tun l'altro, basse vivande,
vivere megano e residenza *n pinole tetta, e questi precetti
seguivano certo alla lettera ; e soffiavano e s' affaticavano
alla ricerca di quella pietra magna, benedecta, fatta lor
balenare dinanzi agli occhi da trattati e da poesie latine
e volgari, che mostravano vicino, raggiungibile, li, a sten-
der di braccio, ciò che invece pareva allontanarsi, irri-
8: — V. 1, esortazione al lettore, comune alle poesie alchimistiche.
Cosi nel son. di frate Elia: Soluete... ad iucti dicho;,,, fate quel eh' io
dico; nella canz. di m.^ Dan., str. Ili: Ma nota ben, che; str. V.... Ma
nota ben; str. VUI, e quel ch'io dico non tener a vile.
MISCELLANEA 399
dendoU, ognora più; ciò su cui e trattati e poesie picchia-
vano e ripicchiavano con quell' eflBcace pronome : « Quesf è
la pietra.,, quesf è... quesfè... Eccola, ma lavorate, e senza
voler sapere troppo; fede ci vuole, non dubbi; lavo-
rare, e non sofistare »... seguendo coi consigli velati, con
le semi-allusioni, con un dico e non dico, un vedo e non
vedo che dovevano essere certo come terribili sproni al
cervello degli alchimisti. Ma quale beatitudine però , il
giorno in cui Y Elisir perfetto, premio ai loro sforzi,
avrebbe luccicato in fondo al crogiuolo, o sarebbe ba-
lenato pel vetro verde della fiala! Oh allora sarà poco
l'atto di maschio compiacimento, indicato nella fine
dell'ultimo de' componimenti su riportati.
Il quale, con alcun altro di quelli che Io precedono,
corre disinvolto , indizio di un cervello che considerava
r arte, 1 suoi scopi e i suoi mezzi, non tra le esalazioni
degli acidi e nel calore dei laboratori, ma dal di fuori, at-
traverso la finestretta del nero e rutilante picol tetto del-
l' alchimista. Che questi versi sieno in burla dell' arte
non è da pensare ; se non altro vi si oppone il
luogo ove son conservati, e l'esservelo stati dalla stessa
mano che nelle pagine precedenti e nelle seguenti ha
trascritto i trattati e le ricette che indicammo più sopra.
Poi che lo possiamo, risciacquamoci dunque un poco la
bocca (tutto è relativo!) con codesta scioltezza, prima di
metter la nostra navicella, per dirla con uno dei nostri
poeti alchimisti, per acque più oscure, che, senza lucerna,
dovremo pur troppo in più d'un punto lasciar tali.
L'altro codice, il riccardiano 3674, è un cartaceo, di
cm. 12 V« X 10 V2^ di minuto e brutto carattere della
fine del XV*" o del principio del XVP secolo.
Le due prime carte, di mano più recente, contengono
un indice di ricette.
4U0 MISCBLLANBA
A c. 4 si legge:
Ad bonam pastam utaris aquaque farioa
Dee DOD fermento modo simili lapide nostro
hac trìa reperies dictis consimiles
Nota Sunt in mercurio secreta reliqua mille
e seguita fino a tatta la e. 5/
e. 5.^ In nomine sce et individue Trinitati& Incipiunt versus
cuiusdam sapientis phylosopy subscriptis quidem versibus cod-
tinentur tres lapides pretiosi quo o^ phylosophi mirabiliter scru-
tati sunt sub arte alchimie nobilissima atque preciosissìme
Fili, doctrinam sanam tibi porrigo binam
hic amplexare tibi ne dominetur amare
vincula dissolve sapientum dieta revolve.
Primitus alchimiam disces, discesque per illam...
finisce a e. 7.*:
Artis complemeotum sub versibus cape centum
Ghristo crucifisso gratias agamus benedicto etc.
Expliciuot carmina phylosophica.
e. 8.^ Incipit medicina pauperum occultata arte inquirentibus
sic in principio dicens:
In Itiesu Christi nomine
qui est salus fons et vite
in quo fulget ars fulgida
gratiarum munere
e seguita fino a e. Il"": « Explicit libellus nominatus lu-
men secretonim artis editus per Jobem sacerdotem de
Trezin, laborantium amatorem. Era incorrecta comò sta > .
e. 11> Spiritum volantem capite ecc. adesp., anepigr.
» £st fons in limis cuius anguis ecc. » »
MISCELLANEA 401
c. 12.^ Est foos in limis hìc latet agris in ymis. — Hii sunt
versus nhoruro de lapidibus occiiltis beoedictis, qui legit intelli-
gat ». E una redazione diversa dalla precedente (1).
e. 12*^-16*, la canzone che riproduciamo.
c.l6*-33*, ricette alchimistiche, senza rubriche. Si può
notare, in cima alla e. 17^: « fr. Gabriel da m.^ lohanni
Antonio Barbaro » e alla e. 22^ < Tomasso perosino ».
e. 34*-36*, la canzone di Maestro Daniele, adesp. anepigr. ,
di cui dicemmo sopra.
Ricette latine e volgari occupano tutto il resto del
libretto. Il quale dovette passare per le mani di più al-
chimisti, che aggiunsero di carattere cinque o seicentista
ricette alle e. 7**, 20*, 51**, e in più luoghi postillarono e
ritoccarono la scrittura originale, per renderla più leggi-
bile. La diligenza di questi, posteriori, e quella pur del
primo scrittore del codice, mostrata dalla annotazione in
fondo alla e. IT, e dall' altra in fine alla canzone che
pubblichiamo, rendono il codicetto anche più curioso e,
in materia, autorevole.
Ed ecco la canzone, per la quale valgano le avver-
tenze già premesse ai componimenti che demmo più
sopra. L'invocazione non potrebbe essere più sonante e
solenne !
[e. 12.*»] — L Succin[clte, de elyxire naturale
cantati mai versecti ad tui*ba indocta,
che come mal peocta
lagando i porti seque le vie frale. 4
(1) Queste due poesie ialine (Spiritum volanUm ; Est fons in li»
mini (anno compagnia alla canzone di maestro Daniele e ai sonetti di Frate
Elia e dì Cecco d' Ascoli nelle ultime carte della stampa più volte citata
della Summa Geberis.
402 MISCELLANEA
0 somma causa, o majestà infinita
che tucto abraci: et tucto, in ogne parte,
le sacre sancte carte
te afferman pure con fede adempita, 8
adverzi el mio intellecto, alto tonante,
che festi Palma nostra al to sembiante;
déngnate de mostrare T ombra felice
de r arte beatrice ,
che copre quello che desidera omne core,
ad ciò remova ad multi el proprio errore. 14
n. XXXV anni per diversi lochi ,
seguendo antiqui studii, ho consumato;
et demum me ha donato
Yesù cortese guelfo che non san docti. 4
Lassate, talpineUf, tristi et dolenti 1,
Str. I, V. i, 5 e seg., Ganz. di maestro Daniele, str. I:
El me dilecta de dir brìevemente
Però ne prego la summa clemenza
Che me conceda grazia d' aperire
Ogni secreto dire ;
e si vegga V invocazione latina della strofa XVII. — v. 9, cod., adverst.
— V. 12, non ci mancava che la beatrice, col b piccolo!
Str. II, V. 1-3, Canz. di m.** Dan., str. X^:
Non so se debia dir li vasi e*l pondo,
Quia quaesivi pluries quinque lustris
In novis et vetuslis
Libris per diverse parte del mondo
Con molte fatiche, spese et affanni,
Per spacio et ultra de XXV anni....
MISCELLANEA 403
solforo, gomme, love [e] ancora Marte,
perchè ne la prischa arte
gli (alti) phylosophi mai non fer contenti; 8
pone da parte ova, pietre et capilli,
arsenico, risagallo in tutto vili,
ribrich, azoth, emech e copperosa:
tre cose insemi poste et non confuse
fa[n] vera medicina alle mei muse. 14
IIL El corpo, r alma e^ eì spirito divino ;
tre non commisti, insegregabil, ferno
Cristo, che da T inferno
Str. II, V?. 6, 9-11, idem, str. IX:
Chi la chiama Gami,
E chi Mercurio, Solfor, love e Marte;
E ciascuno vi metti
Diversi nomi, fin a Risagallo,
Ovum capilli, Lapis mineralis,
Arsinico e Oipimento e Draco
E Sai armoniaco,
Cuperosa, Basilisco e Sangue,
lidtton, Azoth, Zemech, Chibrith et Angue.
▼. 7-8, iiJem, str. X:
Per questi vani nomi son dccepti
Molti operanti....
e str. XI:
Dico per questi nomi son decepti
Molti incliti savii e circumspicti....
V. 13, idem, str. I:
Sole, Luna, Mercurio si te basta
A far la bona pasta....
e str. Ili:
Mercurio, oro e argento.
Insieme tutti e divisi ciascuno.
Str. IH, V. 1: M.® Dan., III, 4: L'anima e*\ corpo e'I spirito.
404 MISCELLANEA
[c 13^] recuperò li humani e 1 padre primo, 4
sua possa io tanto amore se elustraodo;
iovisibiliter (^0 farranno pioza,
lavando l'umile foza
viscosa e putrefatta io dolze afl^nuo: 8
et polve in veste lor possa sia ferma ,
de cui la dolze et clarissima sperma
lepore se farrà io piccolo tempo,
et im breve momento
facendose medicina fina et pura,
partorirà, et piia sta figura. 14
IV. Quella fenice asyra d'anni gravata
essendo arsa in tucto et facta polve,
in se stessa resolve,
putrefa, lava, stregue et fi sua nata: 4
de Maia el fio [d]el celo de la luna
con ale ai p[i]edi suole volare in terra,
et cerata, in insta guerra
ad chi el prendesse, celsa virtù dona. 8
Ma possa che im pregion^ Parrai incluso,
t[i]ello ben^ caro, salvando al vario uso,
fa non respire, i)erchè, comò an$;[uilia,
con tutta sua s[c]entilla
te scappare de manr), volando in eth<?ra,
et non porrai poi far^ Y optata potrà. 1 i
Str. Ili, V. H, lepore, (lévori, in F. Paolino Minorità, ediz. Mussa-
Oa, X, 47 ).
SU'. IV, V. 1-4: Canz. di M." Dan., slr. V:
.... in un sol fornello:
Qui se sublima, solve e dislilla,
Lava, descende e liumila,
Incera, putrefa, calcina e lìxa;
Qui se occide e suscita se ipsa.
V. 5: cosi credo di poter correggere, (piasi T autore abbia inleso di
alludere alla parte principale cbe nella composizione dell' Elirir , dove-
vano avere il mercurio (fio de Maia) con l'argento, cui dei pianeti
lispondeva come simbolo la Luna (celo de la Luna). — v. 14, cod. prela.
MISCELLANEA 405
V. Cillemo e el primo theogeo e el secando
calcina danno, o mese dovi fia ponto,
che tucte cose è in proncto
nel tempo odierno al falzo mondo. 4
Ma una cosa hor divi advertire,
che Aghi castangne non produce,
et questo te fia luce
adcAiò non dichi possa mi {e) mentire. 8
Appollo visitando el suo dolce avo,
fulgente invene et radiante el cavo
solo, et acompangnato in altrui zelo;
come fi gito el gelo,
dilata le sue penne Y uzei pavo ,
prepara rengno a si, qual ape el (fatto) favo. 14
VI. Luna, Diana e^ Proserpina tre volte
in se stessa contien et uno sol corpo;
ad declarar^ me torpo
più apertamente che non el sapian stolti: 4
Qui la materia et anche el pondo
vi ò mostrato socto umbra celante,
ma non che el docto amante
non possa spicular^ per fin al fondo. 8
Su-. V, V. 2: una postilla marginale di mano del XVH sec. spiega
'o mese con o metteit), ove fia'l ponto (punto).
V. 5-6: M." Dan., str. XI:
Che chi semina fava over faxoli
Non pò ricolier grano né pizoli.
V. 9, Saturno; v. ro.° Dan., nota alla strofe I.' — v. 13, nei cod.
opra la z d* uzel un'altra mano segnò una e.
Str. VI, vv. 1-6: m.** Dan., str. XVI:
Non so se debia dir li vasi e '1 pondo
Anche é descritto per vera figura
Lo vaso, la materia e la mesura.
v. 5: il Cod. ha Lui la m. et inche ecc.
Vd. IV, Pane L 26
406 MISCELLANEA
L* altro thesoro mostra primavera
et negra qualità, quando se interara ,
farina macinando, ali* ultimo acto;
questo non è de patto,
per versi abbia a fa* lu)rmai compatimento:
el docto vedrà 1* aureo talento. 14
Vn. Za quando Dio fece li elementi,
1* un p^ 1* altro affinò, e quel pur lego
in alto, se bene v^to,
et volitò, et alterabOemente. 4
El vaso è Appello, el vaso è Gy[n]thia bella ,
dai qual astran vigore le quinte essentie
[a 14.»] cum alte sue potentie,
et fan contenta 1* alma talpinella. 8
Slr. VI, ?. 9-11: m.® Dan., VI:
La pietra nostra é
predosa
Ancora mostra de molti colorì
Gom'un prato di fiorì,
Ma poi nel nigro ogni color si tacca;
A presso al fine ti mostra di biacca.
V. 11 : il cod. alluctimo — v. 13: cosi rìdussi quel che nel cod. si
legge: per verste abbia far hormai compatto.
Slr. VII, Yv. 1, 6-8, m.' Dan., II:
Alcuni hanno divisio li elementi,
L' acqua de Y aere dico, e quel dal foco ;
Poi li han congiunti insieme in una essenza
Con la virtù de la quinta essenza
▼. 5, m.* Dan., XVI:
Non so se debia dir li vasi e'I pondo
El vaso la fìola de Lalona fCynthial,
E h pianeti lo peso ti dona;
Quella in sua forma, e quelli in algorìsmo.
v. 8, cod. anima.
MISCELLANEA 407
Ma al tempo hodìerno puoi supplire
ad nostra voluntà et alto ardire
el 1api[s] coDvertibiI in omne cose,
però che in queUo se spose
el re fulgente, et porrasse vedere
incoronai) de razzi al tuo piacere. 14
VIIL Primo, segregante i corpi. Palma,
lo angtielico spirìtu gentile,
che, certe, le sutile
sustantie se vanisce, e i corpi insalma; 4
Et per lo temperato par^ de Gacho,
resuscitando, &ran bona pasta;
hora questo te basta
a ddare ad tucti li altri soprascacho. 8
Str. vili, ¥. 1. Nel cod. la str. com. col y. 2, é ha invece aggiunto
iu fine quello che certamente é primo; lo rimisi al suo posto.
V. i-2, m.* Dan., str. HI:
Ma noia ben che non fussi in errore,
Che ré una cosa sola in che son sfitti
Li elementi predetti;
L'anima e'I corpo el spirito e Thumore;....
V. 5. Nel cod., cacho fu corretto d'altra mano, sopra una parola
inintelligìbile. E si può asserire giusta la correzione: il padre di Caco é
Vulcano, dò é il fuoco, principale aiuto degli alchimisti ; m.® Dan., str. V •.
Poi la pone nel suo dolce letto
E qui la cuose fin che Té perfetta.
Ma nota ben la meU:
Che nel vulcano sta tutto Y effetto.
E tutta l'arte fanno en un vasello
Con lento foco
id., str. XIV:
Guardate molto dal foco excessivo....
?. 6, ra.* Dan., str. IV:
Quando componi, non t'esca di mente
Che a far la pasta che sia bona e fina....
id. Str. V : Qui se ocdde et suscita se ipsa.
V. 8. n $apra»eacko lo dà molte volte anche il nostro autore a tutti
gli ahri, io oscurità!
408 MISCELLANEA
El tempo te demostra el seme humano,
che in minor tempo dell' anno romano
liquefò, putrefa, coagula et fixa
in concordia et no*n rìxa,
però che dui contrari] senza mezo
insembre stare non puolno sopra uno sezo. 14
IX. Quando fia oocta, luce et corno cera
fluisse, intra, retien, et convertisse
le medicine Gxe,
sensa gridare o fumo, in fede vera; 4
la operation presto te noto:
prenderite una piccola particella
et zettala in la (tua) cella,
V. 9-10, m." Dan., slr. VI:
E non fazo però che non ramanti
Del tempo, nel qual molti son decepli,
El minor tempo é di nove mesi....
V. 14, cod. senso,
Slr. IX, m.** Dan. , str. VII :
Poi, per decozione più lontana
De?enta tutto quanto in color d*oro....
Zioè se fuma o crìta,
id. Str. Vili: . . quel eh* io dico non tener a vile.
Piglia una dramma de la medicina
E diese dramme de mercurio mondo,
E mettilo nel fondo
Del foco ardente dentro alla fucina:
Poi che'l servo comenza a fugire
Fumando, metti dentro lo elixirc,
E tutto se converte in medicina,
Dico perfetta e fina.
De la qual butta un pexo sopra cento,
E trovanti de l'opra contento.
Et sic lapidem habebitis De quo semper gaudebitis^ termina una poesia
latina citata più addietro ( Spiritum voUmtem . v. qui dietro pag. iOl,
n. 2), ed é flne comune a più poesie di questa materia.
MISCELLÀNEA 409
4.*'] in Mongibello, quando suda el moto, 8
se voltare el tucto in medicina;
de qnal prendi una parte piccolina,
e quando la materia è fugitiva
gettala corno prima,
notando i pesi, et serra stella pura,
unde maturans laudetur semper natura. 14
Et perchè lo elìxire, per caldo oppiroo,
quando facto serra, haverà sete,
allora, si [n'] havrete,
r aureo licor li iova, posto in 6mo. 4
El temperato vulgano ti dà el fornello
che habia el bracio exteso, dove la boza
riposi in la sua poza,
e quando è el buso, vira el focho in quello. 8
Quisti fornelli in tucto non han pari,
de sopra inclus[i] e longhi corno pharì;
el carbon sentera* su la gratella
e1 bracio sopra quella:
farai ci tuo facto con pochi dinari;
abbasso fia la bocha per spirare. 14
Str. X, V. 5, nel cod. sopra la ^ di vulgano fu sepalo, d* altra mano,
e; — ?. 6, boza, veneto, boccia ; poza, pozza.
Canz. di m.^ Dan., str. XIV:
Olio e carboni, poi del fimo, basta;
E guarda che la pasta
Mai non sia priva del mercurio vivo.
Però governa el draco
Como ha bisogno da bere e manzare;
I canzone del capodistriano non sono gli ammaesu^mentì e consigli
Tìo alla Torma migliore del fornello, com'è in queste strofe: la cui
rizione non deve meravigliare chi pensi alle strane forme di quelli e
( storte nei laboratori non pur degli alchimisti, ma dei chimici d'oggi,
codici e nei libri stampati d'alchimia son molte volte le figure di
sti aluti dell'arte, degne di osservazione, perché testimoni, sebben
, dei contìnui tentativi di perfezionar gli strumenti.
410 MISCELLANSA
XI. L* altro segreto, da noo propalare,
ad voi dolci amici di sophia
dettato ìd cortesia,
el core atempto, stati ad ascoltare. 4
Quando la luna porrai nd vassello,
esguarda io sextili o triuo el nunptio et love
et VcDus, che li zove;
cada Saturno, et Marte suo rebello 8
sia in sua casa, o Tauro in augnoento,
perchè omnino te farrà contempto;
[e. 15.*] Et sopra tucto fa non sia combusta,
che se sera perusta,
Mirandum est I, te pascerai de fumj.
Et falsi crederai gli altri volumi. 14
XII. Ma si del sol tu cerchi bono effecto,
dis^curra col suo carro el suo leone,
ariete o scorpione,
in sexto guardi Marte o trino aspetto, 4
el vechio cada, e*l meno sia in amore,
perchè li cilesti corpi instantemente
sopra quatro clemente
potentia mostran de l'alto signore. 8
Centra detti pianeti tengnam locho,
in segno condicente al proprio jocho
stabile et fixo; notarai la meta
de la longa dieta,
Str. XI, V. 6, el nunptio, cioè Mercurio; — v. 7, zove, giovi; —
V. 13, te pascerai de fumj; questo, pur troppo, dovette essere il ri-
sultato della maggior parte dei tentativi degli alchimisti Cinque F
acquista /' Alchimista : fame , freddo , fetor , fatica A fumo , era
oramai passato in proverbio, fermato nel!' i4rm(mta con soain accenti
del now fior di virttà, Racolto da diversi autori. In Modena, s. a. (fine
del sec XVI). [Giornale di erudizione, febbr. '91; rìsp. di M. Meo*
ghini a una domanda su Le tre F],
MISCELLANEA 411
quando 'elevante dal justo focho,
lagandoi li freddare ad pocho ad pocho. 14
XIIL À[h] quanti sondo, che fama lo elisire
vero e^ approbato in bon juditio,
collo studioso oflStioI
ma spiriti malingni el suol vertire. 4
Bileth dig inferno iniquo e tristo
con suoi conpangni guarda omne thesoro,
et questo è oflStio loro
per dar gran forze al futuro anticristo. 8
Idcirco, i gran talente, che li humane
trovassen quoquo modo in cenere vane
0 polve, immutan presto, in quello istante
nel vaso fan senbiante,
che lo elixire al so oro non anteceda,
ad ciò Cristo ongni homo s^uendo creda. 14
Str. Xn, ?. li, lasciandolo li; ood. lagandoli, e sopra il g fu segnato un
s; si potrebbe leggere anche lagandolo. — Con un po' di coraggio ho reso
intelligìbile, in scorpione, V estrone che il cod. ha al ?. 3: sì de?e trat-
tare di un segno del zodiaco (non imprenderai la tua operazione, se non
quando il Sole sarà in Leone, in Ariete o in.... ), e fra i segni dello zo-
dìaco, che terminino in one. oltre a Leone la scelta non poteva cadere
aitroYc; é Tero però che in altri passi della canzone lo Scorpione è
espresso, con forma vicina alla latina, scorpo, — El vechio del y. 5 in-
tenderei Saturno, e si capisce facilmente ( v. anche str. antecedente, ?. 8,
cada Saturno) e nel meno vedrei, il cielo minore, cioè la Luna. Tutta
codesta astrologia alchimistica, la quale all' ignoto autore piacque tanto,
che vi si distese per quasi due strofe, è, ristretta in pochissimi versi
da maestro Daniele; str. VII:
E guarda ben che medicina alcuna
Non poni se non sopra Sol e Luna,
e str. IVI:
El vaso la fiola de Latona,
E li pianeti lo peso ti dona;
Quella in sua forma, e quelli in algorismo,...
e si noti che del vaso discorre anche il nostro anonimo, in luogo spe-
dale, nella strofa VQ.
Sor. un, V. 5, cod. inicko; — v. 9, ood. gram; — v. li, cod. eredo.
412 MISCELLANEA
XIV. Perchè tucte subtìle et alte essentìe
dal celo de la luna fine al centro
non YorreboD celo ÌDti*o
Dui sallire ad sue sede et sue poteotie, 4
per tanto el mastro tengna vita santa
et habia uno solo compangno in cui se fida,
ma contrario al re Mida,
seguendo sacra carta tucta quanta, 8
lagam David, lagam del suo filglo,
i sacri vinchi ancora e '1 vario gilglo
eh' è in Razi e 'n Yparco et altri auctori ;
dei quaZi recoij el fiore,
et sopra ad tucto farrai tal calzina,
che non retorni ut prima in la focina. 14
XV. Humil mei versai, si v*è domandato
chi v*à composti, fate ìaAe resposta:
« Non è im potentia nostra
manifestare el nomo suo celato. 4
Nostro singnore è richo et liberale
de verghe d' oro e^ d' arzento in quantitade,
dona a le sconsolate
vedovelle et donzelle et maritate, 8
sov[i]ene ad misere' et sustien dolenti;
ma socto i vincli di soi sacramenti
spectando V alto pregio, in ferma spene,
ad presso al summo bene,
ad cui fia manifesti tiicti li acti
distanti e futuri tempi ancor transacti ». 14
Al quale honor et gloria sempre sia
[e. 16.^] com virgene sua mare dolce sempre Maria.
Erano scrìpti scorrecti corno stando.
SU'. XIV, V. 11, credo si debba legger cosi, ma nel cod. dice che
in raziel yparco; Rasi è il famoso chimico arabo.
SU'. XV, V. 9, nel cod. misere et frustier dolente! Tentare licei!
MISCELLANEA 413
E cosi, lamentato l'intervento dei diavoli, che, per
serbar ogni ricchezza possibile all' Anticristo per il giorno
della gran rivincita, sol più bello, quando proprio già nel
vaso sta per formarsi la preziosa medicina, con un gio-
chetto infernale, tutto sconvolgono, onde la medicina si
converte sotto gli occhi sbarrati dal povero alchimista in
cener vane; cercando per tal modo di spiegare e scu-
sare il nessun risultato di tanti assidui tentativi e di mo-
derare negli operanti lo sconforto aggiungendo loro nuova
lena e pertinacia quasi rabbiosa, per la coscienza di un tanto
nemico; picchiato anche una volta sulla necessità che ne
consegue per l'alchimista, di condurre una vita santa,
solitaria, tutt'al più con un solo e segreto compagno;
accennato ai libri dell'arte, dai quali ogni operante deve
raccoglier il fiore, non mai stancandosi nell' interpretarli ,
nel provare e riprovare , l' autore della canzone , meno
cortese di maestro Daniele, si congeda senza palesarsi,
ripetendo anche una volta, da buon alchimista , ogni pos-
sibile aiuto neir arte da Gesù, col nome del quale e della
Vergine la canzone si chiude.
Non manifesta l'autore il suo nome; ma ne tradi-
scono la patria non poche forme speciali del dialetto che
dovette essere il suo, eh' egli lasciò penetrare nelle strofe,
tra gli abbondanti latinismi. Infatti, forme quali pioza,
sezo; boza; mezo, poza; doke, calzina; uzel; arzento;
za, zove, zelo; buso; fio; dig inferno; fighi; ponto, longa,
long hi; homo; mei, al to', mi, te (dat.); la 3* sing. del
verbo per la 3* plur.; pare, mare; lagando , lagandol,
lagam, ecc., permettono di dirlo veneto , e , anche più
precisamente, forse, veneziano, che sa le varie specie di
barche solcanti e acque del suo Adriatico , e quindi
anche le peocte (str. 1, v. 3), speciali di questo mare.
414 MISCELLANEA
Id riva al quale ricondotto, non meraviglieran più il
lettore dell' oggi le molte e strette affinità e V identità del
metro della sua canzone e di quella di maestro Danie-
le (1). Lasciando l'ipotesi che ambedue possano essere
di quest'ultimo; naturalissimo che da Capodistria a Ve-
nezia, 0, per Venezia, in qualche luogo vicino, o da Ca-
podistria ad una cittadetta qualunque dell'Istria stessa
0 del resto della costa cjie ricinge in ampio abbraccia-
mento l'Adriatico, si propagasse, inducendo desiderio
d' imitazione e offrendone lo schema , la lingua , il fra-
sario , una canzone cosi notevole per abbondanza di
indicazioni minute e di avvertimenti suU' arte misteriosa
e allettatrice, qual'è quella del maestro di Capodistria.
Alla quale, la presente, di padre ignoto, chiede di
andare d' ora innanzi strettamente unita, come sorella.
Oddone Zenatti
(1) In maestro Daniele 18 strofe; neDa nuoia 15; di quattordici
Tei^i ciascuna : due piedi di quattro Tersi , il terzo settenario , a rima
baciata; una Tolta di tre coppie d' endecasillabi , meno il secondo
della seconda copia settenario, rimati a due a due: ABbA, CDdD,
K E F f G G. La canione nuoTa ha aggiunta ali* ultima strofe una coppia
di più, H H.
IL BISNONNO DEL PETRARCA
Fra le rime toscane^ del dugento di materia didattica
0 religiosa, scritte per il popolo nel volgare più schietto,
e però libere cosi dagli artiflzii dei grammatici come da
qnelli delle accademie cavalleresche, sono certo fra le
più notevoli le laudi di un codice cortonese e la serie
alfabetica di proverbi, che di recente, a cura di Guido
Mazzoni e di Carlo Appel, furono insieme accolte nel
Propugnatore (1). Quattro di quelle laudi (e fra le più
belle: canti veri, le chiama il Mazzoni, buon giudice di
versi, e agilissimi, e talvolta anche troppo ricchi di rime)
s'appalesano, e più altre saranno, opera di Garzo, dot-
tore, che senza necessità, ma provvidamente per noi, re-
gistrò il proprio nome nella chiusa di esse ; e di Garzo
è pur quella antica e curiosa serie di proverbi, dove è
raccolta ed esposta concettosamente tanta parte della
filosofia pratica de' nostri vecchi :
A ciò che sia piacere
Io bello proferere,
convìensi che sia
con molta cortesia:
se '1 ben fare m' accusa ,
lo ben voler mi scusa;
però Garzo dice
r omor della radice....
(1) iV. & , voL U, 205 e sgg. ; IH, 5 e sgg., i9 e sgg., 238 e sgg.
416 MISCELLANEA
Ma chi fosse qaesto nostro antichissimo poeta non si
sognarono di cercare o non seppero dire i vari illostra-
tori del codice cortonese e dei proverbi; eccettaato il
Mazzoni , che primo notò doversi questi e parecchie
delle laudi a uno stesso autore, e osservò come da due
documenti pubblicati di recente nel Giornale di erudi-
zione (II, 9-10) si rilevi che il bisnonno del Petrarca si
chiamava Garzo ancor esso (1).
e Garzo — aggiungeva il Mazzoni — è nome po-
chissimo comune : avremmo forse innanzi in questo
bisnonno del grande poeta T autore delle laudi ? Metto
da parte l'atavismo, che sarebbe argomento da far
sorridere; intendo quello della poesia; ma Garzo lan-
dese fu dottore, e non è improbabile che dottore, cioè
notaio, fosse il bisnonno del Petrarca, come furono dot-
tori e notai il nonno ed il padre: frequente allora la
tradizione familiare delle professioni. Dunque per la
professione anche l'atavismo, fino a un certo segno,
pare argomento in favore della identità de' due Garzi.
Guardiamo aMuoghi: l'Incisa è, come tutti sanno, nel
9 Vaidarno ; non lontana molto da Cortona. E nulla vieta
» che si supponga la dimora di Garzo, bisnonno del Pe-
» Irarca, a Cortona, come notaio o forse come giudice....
i> Resta il tempo. Neppure per questa parte vi è scon-
» venienza alcuna: dal Petrarca convien risalire al bi-
» snonno per tre generazioni; alla metà del secolo XIII
}» si giunge di necessità per avere il Garzo donde egli ebbe
» origine ; e di quel tempo fu il Garzo delle laudi > .
A parte il sorridere di chi notasse frequente nelle
vecchie famiglie anche il caso di tendenze ereditarie alla
( 1 ) Che ser Garzo sia stalo il ceppo secchio dei Dall' Ancisa fu. dok
resto, ben noto a tutti i pili autorevoli biografi del Petrarca, risulta dcm
piò documenti, e appare anche dalla tavola genealogica del Passerini.
MISCELLANEA 417
poesia, e a parte la scarsa esattezza della frase <i dottore,
cioè notaio >, codeste osservazioni avrebbero dovuto,
sembrerebbe, parer a tatti giustissime, e tali da con-
cludere, che, finché non si adducano prove in con-
trario, autore di quelle laudi e di quei proverbi si debba
ritenere il bisnonno del Petrarca. Sennonché, strano
segno dell'eccesso di scrupoli onde sono presi di frequente
anche i migliori critici moderni , il Mazzoni stesso teme
d'aver osato troppo, e soggiunge: e Tutto questo os-
servo, molto dubitando, per mera ipotesi >. Né basta;
che i critici del Giornale storico della letteratura italiana,
rendendo conto della pubblicazione di lui, si mostrano
anche più scettici : e Di questo curioso Garzo — essi scri-
vono — nulla si sa , salvo che era dottore , come egli
» medesimo si designa. La ipotesi messa fuori, con la
» debita circospezione, dal Mazzoni, che possa identificarsi
» con un Garzo, bisnonno del Petrarca, merita solo per
T> ora, che se ne prenda atto ^ . E vanno anzi più oltre, ed
affermano che e sembra molto dubbio, o a dir meglio
» uoD pare vi siano ragioni suflQcienti per ritenere, che
» Garzo sia veramente l' autore della serie alfabetica » ,
e ciò perché, mentre < l'autore parla in prima persona
» così nel breve proemio come nella chiusa,... quando
> accenna a Garzo pare voglia addurre il detto di un
» terzo, anziché nominare sé medesimo >. Se cosi sia,
giudichi il lettore ; eh' io , per non spender troppe pa-
role e per rimaner nel dugento, ricorderò solo un passo
del Tesoretto, dove il comunissimo passaggio dalla terza
alla prima persona è anche più brusco che ne' nostri
Proverbi:
Or va mastro Brunetto
per un sentiero stretto
cercando di vedere
e toccare e sapere
418 MISCELLANEA
ciò che gli è destinato;
e non fu' guari andato,
eh' i' fui nella diserta ,
si eh' io non trovai certa
né strada né sentiero....
Ma per convincere gli incredali, che occorre dunque?
Proprio un documento notarile? Per buona sorte , nel
caso nostro abbiamo anche di meglio: la testimonianza
di Francesco Petrarca stesso. Scrivendo a Giovanni
Colonna di San Vito per dimostrargli che la vecchiezza
non è un male , dopo aver ricordato come serena-
mente giungessero a tardissima età Abramo, Isacco,
Giacobbe, Mosé, Nestore, Omero, e non so quanti altri
antichi famosi, e or qui da te siami permesso — egli
soggiunge — , 0 Padre mio indulgentissimo , di porre
1» un racconto che al mio cuore è dolcissimo , e soffri che
» alla memoria illustre di tanti gloriosissimi vecchi io
> quella frammetta di un oscuro e recente, ma onorato
> vegliardo, di cui venerata e cara emmi la ricordanza,
1» e che, se a tutt' altri che a te scrivessi, non oserei in
ì> questo luogo di rammentare. Io m' ebbi il mio paterno
» bisavolo uomo che fu santissimo di costumi, e per lo
» ingegno, sebbene delle lettere incolto, pur cosi chiaro,
i> che non solo ì vicini sulle domestiche bisogne, sui ne-
ì> gozi, sui contratti, sui matrimoni de' figli loro, e gli
» statuali sugli affari del pubblico governo, come ad
i Appio Cieco avveniva, lo consultavano, ma intorno a
» materie gravissime e alla filosofia pertinenti a lui da
) vicino e da lungi chiedevano parere anche gli uomini
> letterati, e tutti nelle sue risposte V acume dell' inge-
i gno e r aggiustatezza del giudizio meravigliavano. Chia-
> mossi Garzo, e cosi santa e divota menò la vita, che
MISCELLANEA 419
ad esser dichiarato venerabile non altro gli mancò che
un promotor della causa. Io già era fuori deir adole-
scenza, e vivevano ancora non pochi che di lui mi nar-
ravano cose stupende, delle quali mi taccio, come que-
sto pure taciuto avrei, s'è' non fosse che m'era a
cuore il farti grato V esempio che te ne adduco. Or
bene, costui, passata felice ed innocentemente la vita,
siccome a me narravano i nostri vecchi, nell'anno
centesimo quarto dell' età sua , e come Platone , nel
giorno suo natalizio, ma di Platone per ventitré anni
nell'età più provetto, e nella camera stessa in cui era
nato, in quell'ora, che molto prima aveva agli amici
annunziata come ora della sua morte, tra gli amplessi
de' nipoti e de' figli, senza punto soffrire nel corpo o
nell' anima, e di nuli' altro parlando che delle virtù e
di Dio , parve a mezzo discorso quasi addormentarsi e
furono ultime sue parole quelle di Davide : Nella pace
di lui m' addormenterò riposando. Dette appena le
quali, in pace veramente si addormentò. Ed ora io ti
ringrazio, o padre mio amorosissimo, che tu mi por-
gessi occasione di rinfrescar la memoria del mìo bisa-
volo, ed inserire il nome suo in questa lettera, ove
non so qual altro più degnamente con quelli di tanti
egregi vecchi potesse entrare in ischiera » (1).
Chi non vede in codesto savio , che dava cosi arguti
ed apprezzati responsi intorno alle cose domestiche e
civili, l'autore dei Proverbi? e in lui piissimo e devotis-
simo, il laudese? Né meravigli il sentirlo e delle lettere
incolto > . Come non doveva parer tale all'elegante autore
(1) Cosi traduce, e bene, il FracasseUi dalla lettera III del libro VI
delle Familiari.
420 MISCELLANEA
deW Affrica l'ingegnoso ma rozzo e semplice bisnonno,
che scriveva:
Y, perché greco,
non si intende meco?
Dove ser Garzo abbia veduto la luce e sia morto
cosi serenamente il Petrarca non dice. A Cortona però
non crederei , si piuttosto all' Incisa , nel popolo di San
Biagio, in quella casa stessa, che fu poi de' suoi di-
scendenti. Il De Sade però, ravvicinando a quello che
abbiamo riportato più sopra un altro passo delle let-
tere petrarchesche, dove Messer Francesco chiama antica
in Firenze la sua famiglia, fece di ser Garzo un notaio
della città che dette al nostro maggior lirico e i cari
parenti e l'idioma > (1); né la cosa è impossibile, quando
si ammetta che il nostro buon laudese, dal quale il pro-
nipote pare ereditasse , nonché il fine ingegno e l' amor
delle rime, anche gli impeti di passione religiosa onde
veniva preso di tanto in tanto, sia morto prima della
cacciata dei Bianchi. Ad ogni modo se messer Fran-
cesco lo conobbe, come sembra, solo per altrui ser-
mone, egli deve esser venuto al mondo, se non anterior-
mente (2), almeno ad un tempo col secolo XllI; e però,
(1) Mem, I, 8. — Seguendo malamente il De Sade, il Bandelli
(Del Petr., 187) fa a dìrìttura di ser Garzo T arbitro « di tutte le pri-
vate e pubbliche controversie in Firenze )» !
(2) In tal caso (cioè se nacque ancor nel secolo XU), poiché, com'è
noto, il nome d*una stessa persona si trova spesso riferito con notevol
diversità nelle carte del dugento , il nostro ser Garzo potrebbe ben
essere quel Guarzo, notaio, che nel 1221 a S. Miniato era pre-
sente ad un giudizio dato dal messo imperiale Everardo di Lutra in una
causa fra il Vescovo e il Comune di Pistoia (coram Guarzone notorio:
MISCELLANEA 421
come fa venerando in vita per la dottrina pratica e la
santità de' costumi, cosi rimane anche ner noi venerando
per la sua grande antichità, per la quale va collocato fra
i primissimi che rimarono nel nostro dolce volgare.
Lucca, 19 giugno 1891.
Albino Zenatti
Zacharia, Anecdotorum medii aevii collectio, p. 353 e sgg.): si noti che
nel più autorevole codice dei Proverbi il nome dell'autore non é vera-
mente Garzo, ma Garzon; la enne fu espunta più tardi e leggermente.
Che se il Petrarca nella citata lettera chiama il suo bisnonno Garcius
e non Garzo, la sua autorità vale in ciò assai poco, che egli modificò
anche il suo proprio oogpome.
f' ,*
r
INDICE
del Volume IVA Parte I.*
G. Bruschi: Ser Piero Bonaccorsi e il suo Cammino di
Dante Pag. 5,308
M. Pelaez: La ?ita e le opere di Giovanni Andrea del-
l'Anguillara » 40
A. Belloni : Curzio Gonzaga rimatore del sec. XVI. Cenni
sulla sua vita e sulle sue opere i 125,349
i]. Mazzi: Leone Allacci e la Palatina di Heidelberg.
(Continua) » 261
Ifliofillaiiiia,
V. Lazzarini: La seconda ambasceria di Francesco Pe-
trarca a Venezia Pag. 232
L Sanesi: L'anno della nascita di Leon Battista Alberti i 242
0. Zenatti: Nuove Rime d'Alchimisti i 387
A. Zenatti: U bisnonno del Petrarca » 415
424 INDICE
Blblioffralla.
G. e L. Frati: Indice delle carte di Pietro Bilancioni.
Contributo alla bibliografia delle rime volgari dei
primi tre secoli. (Continua) Pag. 163
IL PROPUGNATORE
NUOVA SERIE
Proprietà Letteraria
Bologoa 1891. Tipi Pava e Oaragimni
IL PROPUGNATORE
NUOVA SERIE
PERIODICO BIMESTRALE
DIRETTO
GIOSUÈ CAEDUOCI
COMPILATO
A. uin Hiu uu, T. asm, e isiti, t. uran,
s. igjMBio, 1. mm, o. mm
Voi. IV. - Parte II.
BOLOGNA
PRESSO ROMAGNOLI-DALL' ACQUA
UbnÌHdilm deUi R. CnoJuiiH pt' Tasti 4i Liogu
1891
INTORNO A UNA CANZONE DI FRA GUITTONE D' AREZZO
AL CONTE UGOLINO DEI GHERARDESGHI
É un lavoro presentato alla Scnola di Magistero per
le lettere italiane nello Studio bolognese il 24 maggio 1889.
Fu dato a stampare come ricordo di un giovine per gen-
tilezza di costumi e nobiltà di sensi, per giudiziosa dili-
genza negli studi, per temperamento d'ingegno ben di-
sposto air arte e alla dottrina , carissimo a condiscepoli ,
congiunti e maestri; Luigi Arturo Bresciani ravennate, morto
nel primo florire degli anni il 12 novembre del 1890.
G. C.
Dopo la giornata della Meloria, i Genovesi, cui forse
non parve avere a bastanza vendicate le ingiurìe che i
Pisani avevano ardito recar loro, spingendosi fino nelle
acque del loro mare, s'accordaron con buona parte di
Toscana a' danni di Pisa. Nella lega entrarono Firenze,
Lucca, Siena, Pistoia, Prato, Volterra, Sangimignano e
Colle (1); Firenze e Lucca, imbaldanzite forse dalle vit-
torie di Vicopisano, d'Asciano e del fosso Arnonico, le
altre per obbedienza a quelle due assai potenti, tutte
insieme poi per invidia al comune di Pisa, che, non ostante
le frequenti calamità guerresche, viveva di fiorentissima
vita. In vano i Pisani, com' ebbero sentore dell' accordo,
(i) Giovanni Villani, Cranica, VII, 98.
6 L. A. BRESCIANI
mandaroDO due frati predicatori ai Genovesi, chiedendo
pace (1) : premeva troppo a costoro di fiaccare del tatto
le forze della superba rivale.
I collegati avevan tentato di tirar nella taglia anche
Ugolino dei Gherardeschi , conte di Donoratico, e Nino
\isconti, Giudice di Gallura: vero è per altro che al
Conte Ugolino raccomandarono i Pisani ogni speranza di
silute^ afQdandogli la Podesteria della città, di che spesse
Yolte erano già stati consigliati anche dai prìgionierì di
Melorìa.
Ugolino dei Gherardeschi, potentissimo e ricchissimo
signore, il quale € teneva gran corte (2) > , uno dei capi
(li parte guelfa, entrò in carica a' 18 di ottobre del 1284,
vale a dire pochi giorni dopo che era stata conchiasa la
lega tra Firenze, Lucca e Genova; ed è strano come
Pisa, che reggevasi allora a parte ghibellina e che do-
veva ricordare la recente sconfitta d'Asciano, s'accon-
ciasse cosi di buon grado a eleggersi per podestà il più
fiero nemico dei Ghibellini, e quello tra' cittadini , che,
studioso soltanto della potenza di sua casa, meno carita-
tevole degli altri s'era fino a quel giorno mostrato della
patria.
S'ebbe egli vicario di podesteria Guglielmo de'Lam-
bertini di Bologna.
A' dieci di novembre i mercatanti fiorentini eh* erano
in Pisa ebbero ordine dal loro comune di abbandonare
quella città e ritornare in patria; e poco dopo questa
prima avvisaglia, Firenze mandò verso Volterra più di
seicento cavalieri, e tutte l' altre città della lega allestirono
(1) Liber iurium Reipublicae Genuensis, in Historiae patriae mo-
numenta edita iussu regis Karoli Alberti, II, 60, 68, 69, 71, 73, 75.
Sforza, Dante e i Pisani, io Propugnatore, ?ol. II, (1869), pag. 43.
(2) Giovanni Villani, Cron., VII. cap. cit
INTORNO A UNA CANZONE DI FRA GUITTONE D' AREZZO 7
forze armate quanto maggiori poterono. In Valdera si
guerreggiò assai, racconta il Villani, e anche questa volta
que'dì Pisa, che già da qualche tempo sperimentavano
quanto dolorose sieno le perdite in campo, dovevano ab-
bandonare ai nemici alcune delle loro castella. Fra tanto
i vincitori s' accordavano coi Genovesi, per movere in-
sieme nella primavera del seguente anno contro Pisa
stessa, assediandola gli uni da parte di terra, gli altri da
quella di mare. Ugolino al quale erano affidate le sorti
disgraziate della patria cercò in cuor suo modo di porre
rimedio alla sventura che le incombeva, e, reputando
malagevole il riuscirvi col mettere la città in armi e V ac-
cettare apertamente la guerra, come colui che ben co-
nosceva quanto le forze di Pisa fossero stremate, si stu-
diò di riuscirvi per via di pratiche. Pensò che un mezzo
sicuro per indebolire la lega era quello di scinderla, onde
a quei Fiorentini e Lucchesi, che gli avevan proposto di
unirsi con loro contro la patria, promise, qualora avessero
desistito dal disegno fatto di assediar Pisa , di cedere
a' primi Santa Maria in Monte, Fucecchio, Castelfranco,
Santa Croce e Montecalvoli ; ai secondi Ripafratta e Via-
reggio, e inoltre di tórre ai Ghibellini la supremazia in
Pisa e darla ai Guelfi. E cosi fu; che nel febbraio del
seguente 1285 il Conte Ugolino, cacciati di Pisa i Ghi-
bellini, se ne rese signore coi Guelfi, facendosi chiamare
Podestà e Capitano del popolo € in termine di dieci
anni (1) >. A questi patti Pisa fu lasciata per allora in
pace. Se non che € li Lucchesi — cosi r anonimo autore
della citata storia pisana — tennero le castella, e non
lassonno di fare la guerra >, però che non si tosto i
Genovesi si mossero con sessantacinque galee e un ga-
(i) Historiae pisanae fragmenta, in Muratori, Rerum italicarum
icriplores, XXIV, 648-9.
8 L. A. BRBSCUNI
leone, sotto il comaDdo di Oberto Spinola, al concordato
assedio di Pisa, — il che fu a' trenta di giugno di quello
stesso anno — che i Lucchesi subito forono in arme. Il
conte Ugolino trattò novellamente coi Guelfi di Firenze,
perché procurassero non tutte le terre della taglia ripi-
gliassero le ostilità contro Pisa, ce — racconta Giovanni
Villani — dissesì in Firenze che '1 detto conte Ugolino ,
presentando a certi caporali cittadini di Firenze vino di
vernaccia in certi fiaschi, che vi mandò dentro col vino
fiorini d'oro, acciocché assentissono al detto accordo,
sanza la richiesta de' Genovesi e de' Lucchesi (1) > .
Giunto che fu per tanto Oberto Spinola colV armata
a Porto Pisano, mandò a dire ai Fiorentini sollecitassero
a movere sopra Pisa, secondo erasi fermato nella com-
posizione della lega; ma ebbe in risposta alle frequenti
ambasciate non altro che promesse e buone parole, che
davano a divedere chiaramente come, lungi dal porre ad
effetto i patti conchiusi l'anno innanzi gli altri della ta-
glia amassero in vece dimenticarsene. Lucca soltanto,
come più sopra dicemmo, si armò ; ma pensò più presto
ad arricchire sé medesima, che ad aiutare la lega; da
che, assediati i castelli di Cuosa, Avena e Ponte a Ser-
chio, e avutili, ritirò le sue genti. Nel frattempo Pisa
aveva ricorso per protezione al pontefice, il quale mi-
nacciò di scomunica chiunque avesse molestato i Pi-
sani; e questo fu saldo pretesto per Firenze di togliersi
al tutto dalla lega, si che non solo depose le armi, ma
ordinò che i Senesi mandassero loro cavalieri a tutela
de' Guelfi di Pisa.
Oberto Spinola, dopo venti giorni di inoperoso e
dannoso aspettare, come si fu finalmente accorto che i
Fiorentini menavano il can per l' aia , stanco del tempo-
(1) Cron. VII, 98.
INTORNO A UNA CANZONE DI FRA QUITTONE d' AREZZO 9
reggiare e pnoto dell'offesa, non restandogli a far di
meglio, recò gaasti qaanti potè alle fortificazioni di Porto,
e ne prese la torre della Lanterna. Ebberla i Genovesi
per la paura di Gainello Rosso, custode, cui mostravano
da lontano certe pietre di calcina, che fingevano fossero
cadute dalla torre, la quale, per i forti colpi eh' eglino le
portavano , minacciasse di minare. Cosi tornatesene le
galee di Genova, Pisa si trovò a non aver sofferto altro
danno che la perdita di alcuni castelli e della torre, e
i guasti alle fortificazioni di Porto, le quali Ugolino ben
presto riattò: e Vero è — aggiunge il cronista pisano —
che se li Fiorentini fnssono usciti fuora, quando l' armata
de i Gienovesi era a Porto e l'oste de i Lucchesi era
ad Avena e Cuoza, sarebbe abbandonato o perduto Io
Porto (1) > , e il Villani dice di più che € la città di Pisa
sarebbe stata presa, e disfatta e recata a borghi com' era
ordinato (2) >. In Pisa furono poi in quell'anno per
la promessa e confederazione che con la parte guelfa di
Firenze aveva fatta Ugolino de' Gherardeschi , forte del-
l'appoggio e del consiglio di Nino di Gallura, distrutte
dieci case di € dieci grandi cittadini (3) > , tra' quali do-
vevano essere probabilmente Messere Andreotto Caudera,
stato già ammiraglio de' Pisani a Pianosa, capitano gene-
rale dell'armata insieme col conte Ugolino alla Meloria,
e il conte Nierì, se fuggirono di Pisa per e uno ru-
more > che il cronista non dice qual fosse, ma che si
può verisimilmente argomentare desse poca guarentigia
di sicurezza alle loro persone.
Di fronte alla famiglia de' Gherardeschi era grande
e ricca e potente in Pisa quella dei Visconti , signora di
(i) Muratori, Rerum il, scr., XXIV, 648-9.
(2) Crofi., VII, cap. ciU
(3) Hist. pi8, fragm.
lU L. A. BBESCIANI
molte terre in Toscana e Sardegna. A GiovaDoi Visconti
giudice di Gallura Ugolino die in moglie una figliuola, e
da quella unione nacque Ugolino, volgarmente chiamato
Nino, al quale il conte di Donoratico fu avolo e tutore.
In quale anno Nino giudice di Gallura nascesse è
ignoto ; si sa di certo , per un diploma pubblicato
da Francesco Bonaini (1), che nel 1286, essendo già
morto Giovanni , Nino era ancora sotto tutela , onde
minorenne. Per altro, non ostante T età gìovenile, ambiva
al potere, e per la forza e T autorità della famiglia il
salire gli fu agevole se ad altri mai. Nel giugno del
mille dugento ottanta cinque, quando accaddero i fatti
che siamo venuti narrando fin qui, Nino giudice di Gallura
era tornato da poco di Sardegna, e subito dod meno a
lui , continuatore di un' antica e potente famiglia di parte
guelfa, che al Conte Ugolino si eran rivolti i collegati di
Toscana, per averlo nella taglia. In un luogo della cro-
nica pisana, più volte ricordata, è detto come a sventare
di sopra Pisa il pericolo che la minacciava, valessero,
insieme con il consiglio e T opera di Ugolino, quelli di
Nino Visconti ; ond' è che questo giovane, € gentile d' ani-
mo e di costumi, ardito e gagliardo (2) ]», che aveva
spalleggiato in tempi cosi difficili il Podestà di Pisa, non
saprebbCvSi dire se più spinto da ambizione o da invidia
volle che il Conte Ugolino se lo associasse nel comando.
E costui, per timore i partigiani del nipote, eh' erano assai,
non avessero a cacciarlo deir ufficio, fu costretto a tor-
selo per compagno. — e Al cadere del mille dugento
ottanta cinque presero a reggere assieme la somma delle
cose, e raccolta in sé stessi ogni autorità si chiamarono
Capitani del Popolo, Podestà, Rettori e Governatori del
(1) Statuti pisani, I, 275.
(2) Franc. da Buri, Commento alla Divina Commedia, lof. XIXIII.
DiTORNO A UNA CANZONE DI FRA GUITTONE D* AREZZO 11
ComuDe. Ridussero a un codice solo le sparse leggi
della Repubblica già guarentigia di un vivere libero, re-
cando ogni cosa nella propria balia, perfino la vita stessa
degli Anziani del Popolo, dichiarandosi superiori alle leggi
stesse che promulgavano, col riservarsi di osservarle o
00, a talento e ad arbitrio (1) > . Ma non andò molto che
alla fittizia concordia, troppo necessaria all'uno per sa-
lire, air altro per non essere soverchiato, seguitò tra i due
governatori il disaccordo , che V antica rivalità delle fa-
miglie e il desiderio in ciascuno di rendersi assoluto
signore della Repubblica fomentavano. Ugolino, preso
forte sospetto dell'animo del nipote, come costui ebbe
bisogno di recarsi in Sardegna, gli mandò dietro Guelfo,
il maggiore suo figliuolo, con T incarico di occupare non
solo i castelli de' Gherardeschi, ma altresì quelli di Pisa.
Di che i Visconti ebbero acerbissimo sdegno , e chia-
mati i Guelfi da Firenze, e venuti questi, sotto la con-
dotta di Messer Mondino Paltavolo e Messer Pannocchia
della Sassetta, li fecero entrare nel castello di Pontedèra;
di coi i due Fiorentini , cacciati che n' ebbero quei della
terra, si chiamaron padroni, e tennero il possesso per la
parte Guelfa della loro città.
In quel tempo a punto civili discordie travagliavano
la terra di Buti e dividevanla in due fazioni, l'una detta
di sopra o del castello, l' altra di sotto o del borgo. Della
prima cercò l'amicizia il Giudice di Gallura contro i
Gherardeschi e gli Upezzinghi, loro consorti, che s'ap-
poggiarono in vece alla seconda, dando ciascuno ogni
opera ad aiutare e rafforzare la parte sua. Più volte i
terrazzani di Buti furon chiamati a Pisa da Nino e Ugo-
lino per accordi, e sempre più gli animi s'accesero gli
uni contro gli altri, fin che nel gennaio mille dugento
(1) Sforza, Dante e i Pisani^ Prapugn. H, i6.
12 L. A. BRESCIANI
ottaDtasette ie dae fazioni s' appare cchiaroDO ad azzuffarsi.
I Visconti richiesero d' aiuto i Guartigiani di Lucca ,
che immantinenti mandarono Jacopo Morlacchi con molti
cavalieri e fanti; ma come i Lucchesi giunsero a Boti
prima che Ugolino avesse potuto inviare alcuno in rin-
forzo de* suoi, quelli del castello furono per modo a dosso
a quelli del borgo, impreparati e soli, che li obbligaroQO
a sgombrare del paese, e i Lucchesi, entrati in Buti, ten-
nero terra e castello per il comune di Lucca (1). Fu
un ostinato e violento combattere, al quale presero parte
si plebei come nobili, anzi questi ultimi in numero rag-
guardevole : tra essi furon menati prigioni Bonaccorso da
Bipafratta e Baldino degli Ubaldini, nipote dell' arcivescovo.
Né bastò; però che, ad arroventar maggiormente i
ferri, avvenne che Nino Gherardeschi , detto il Brigata,
figliuolo di Guelfo, giovane, a quel che pare, di molta
audacia ma di non troppa prudenza, trovandosi un giorno
in compagnia dì amici, si scontrò in Gano degli Scorni-
giani, familiarissimo de' Visconti, e, venuto a parole con
lui, l'uccise, con grande ira e tumulto del giudice di
Gallura e della sua famiglia, i quali si diedero a battere
le vie, gridando € Muoia chi non vuol pace coi Geno-
vesi j , intendendo del Conte Ugolino, il quale, per pro-
poste di pace che fossero state fatte niuna aveva mai
voluto udire che si dovesse accettare. Ma lo espediente
non riuscì al fine che Nino di Gallura pensavasi, di in-
durre cioè il popolo a deporre dal governo della pubblica
cosa Ugolino ; che al contrario, accortisi i Pisani che tanto
scalpore i Visconti non menavan per ira di parte ma
più tosto per malanimo contro il Gherardeschi , li lascia-
rono sbizzarrire come loro piacque, senza che ad alcuno
venisse né pure in pensiero di prendere le armi.
(1) Sforza, op. ciU, in Propugn. il. — HisL pis. fragm.
INTORNO A UNA CANZONE DI FRA GUITTONE D* AREZZO 13
Se DOQ che del continuo aver briga tra loro avo e
nipote si stancò alla fine il popolo, e volle che entrambi
cedessero V ufQcio a messer Guidoccino de' Bongi di Ber-
gamo. Fm*ono a pregameli i consoli del Mare, dei Mer-
canti, dell'Arte della Lana e i Capitani e priori delle
sette arti ; e conforme al loro desiderio nel dicembre del
1287 Podesteria e Capitaneria furono rassegnate nelle
mani di Gnidoccino. Non è a credere per altro che,
tornati privati, i dne rivali deponessero le ire e se ne
vivessero in pace, che anzi le loro famiglie quasi ogni
giorno erano in arme e s'accapigliavano. E se non era
che la cupidigia del comandare, come aveva avuto la
forza di inimicarli, riebbe quella di novamente accostarli,
chi sa quanto tempo avrebbe durato lo scandalo di quella
guerricciuola. Avvenne dunque che Guidoccino de' Bongi,
podestà, avendo fatto prendere Coscio Spezzalasta fa-
miglio di Ugolino, né volendolo rimettere in libertà per
istanza, il Gherardeschi e il Visconti colsero il destro, e
di notte tempo di comune accordo s'impadronirono del
palazzo del Comune. — € E la mattina, armati con tutti
cavalieri da Pisa, e guelfi e ghibellini, vennero al Palasse
del Comune di Pisa in della piassa di Sancto Ambrogio,
e ismontonno, e intronno amburo in Palasse in signoria;
e lo cavallo di ciascuno di loro si levonno ritti malamente
quando iscieseno; e'I dicto Messere Guidoccino fecieno
pagare del suo salare, e misenlo fuora della signoria e
mandonnolo via. E andò lo Conte Ugolino a stare al Pa-
lasso del Populo e Indice di Calura rimase e stette al
Palasso del Gomuno (1) i^. Questo fu nel febbraio 1288.
In tanto i Pisani stati fatti prigionieri alla Meloria
e che ancora erano in mano de' Genovesi sollecitavano il
Comune di Pisa che volesse ormai conchiudere la pace
(1) HìmL pis, fragm.
14 L. A. BRESCIANI
e riceverli in patria. Che che si fosse, la pace tante volte
chiesta non s' era riasciti a conchiuderla mai, onde quattro
di loro, accordatisi intorno a' patti coi Genovesi, ebbero
licenza di recarsi a Pisa a trattare. E furono Hesser Ga-
glielmo di Ricoveranza, Messer Puccio Bnzzaccarini, Gaelfo
Pandolfini, e Iacopo d*Àldobrando notaio (1). Ma o fos-
sero le condizioni troppo gravi per Pisa, o il ritorno dei
prigionieri, eh' eran per la massima parte Ghibellini, inti-
morisse Ugolino, il fatto è che qnesti era tanto restio ad
accettar la pace, quanto il giudice di Gallura era inchi-
nevole. Il cronista anonimo poi soggiunge che e ludici
era da lato de i pregioni e voleala (la pace) per confon-
dere e disfare lo Conte Ugolino, che non la volea elli,
né anco tutti quelli che savi erano in Pisa, perché parea
loro impossibile a poterla fare > , ma che € lo Conte Ugo-
lino per non volersi recare rumore e grido di popolo
addosso, né incontra consentire che si recasse a Consiglio
Maggiore in duomo, quine si fermò, e prese che si fa-
ciesse per quello trattato eh' e' pregioni aveano fatto co
i Genovesi > . Il giorno 13 di maggio in fatti fa mandato
a Genova a fermar la pace, messer Ranieri Sampante (2).
Ma i Genovesi avevano un beli' aspettare che Pisa
attenesse i patti giurati, però che Ugolino e Nino, per la
paura che avevano de' prigionieri indugiavano assai ; anzi
con vituperevole malafede avevano ordinato ai Pisani eh' e-
rano in mare di perseguitare e guastare le navi dei Ge-
novesi dovunque le avessero incontrate. Del qual contegno
venne a portar le lagnanze delia Repubblica di Genova
Niccolino da Petrazìo. L' arcivescovo Ruggeri, capo dei
Ghibellini di Pisa , che nel rimpatriare de' prigionieri
vedeva un trionfo della sua parte, desideroso di rimettere
(1) HisL pis, fragm.. 651.
(2) Hist pis,, frag,, 1. e
\
INTORNO A UNA CANZONE DI FRA GUITTONE D* AREZZO 15
i GbibelliDÌ in fortuna, e più che tatto di salire egli me-
desimo al potere, fece palese ali* ambasciatore dei Geno-
vesi il malo animo onde i reggitori si governavano, e si
profferse di dare in mano ai rivali di Pisa Nino e Ugolino,
pur cbe Genova avesse mandato sulla foce d'Amo alcune
navi; in contraccambio, Pisa avrebbe accettato la prote-
zione di Genova e il podestà che per dieci anni le fosse
piaciuto di imporle, e consegnatele in oltre le chiavi della
città, e cedute TElba la Gorgona e le torri del Porto.
L'ambasciatore parti col ghiotto messaggio; e Ruggeri,
per meglio venire a capo del malvagio disegno, simulò
grande amicizia per Ugolino, e lo riscaldò a compiere
seco il tradimento del giudice di Gallura. Tosto Ugolino
si ritirò nel suo castello di Settimo a radunar gente, in
tanto che Ruggeri con Bacciomeo di Bonifazio, Bonaccorso
Guberta, Gado del Pelaio, Bonaccorso pievano di San Ca-
sciano, Iacopo pievano di Sa vigliano. Guido priore di Ni-
cesia, Nieri di Vanni, Guido Zaccio, Baccio da Cagnona
e altri capi ghibellini, raccoglieva fanti in Val di Serchio ;
da Ripafratta mossero poi tutti insieme contro Nino. Il
quale, atteso in vano che il conte Ugolino tornasse da
Settimo, l'ultimo giorno di giugno usci intimorito dalla
città, e co' suoi si ritirò a Calci. I Ghibellini volevano che
il Brigata prendesse subito il governo, ma, sconsigliato
da Gaddo, noi fece; allora lo occupò l'arcivescovo, e fatto
chiudere le porte della città, mandò a Ugolino dicendo
che se gli piacesse tornasse pure, ma senza uomini.
Tornato Ugolino, e sdegnatosi di trovare l'arcivescovo
nel palazzo del Comune, gli fu fatto intendere che se non
l'arcivescovo, avesse almeno tolto per compagno Aldo-
brandino da Santa Fiora suo genero, pur che fosse stato
un Ghibellino. Ma disputarono assai senza che per quel
giorno né per il seguente ci fosse verso che prendessero
accordo di veruna specie. Fra tanto, mentre Ugolino con
16 L. A. BRESCIANI
Roggeri e gii altri, il primo di taglio, erano a consiglio
nella chiesa di San Sebastiano, il Brigata, che voleva in-
trodurre in città Tieti da Bientina con mille uomini, ar-
mato di scale e corde era andato al ponte della Spina.
Ma non a pena i Ghibellini se ne avvidero, credendosi
traditi, diedero l'allarme; la campana del Comune suo-
nava per l'Arcivescovo, quella del popolo per il Conte,
e per le vie si combatté da nona sino a vespero, con
tanto maggiore accanimento, quanto più i Ghibellini anda-
van gridando al popolo che Ugolino avealo tradito ce-
dendo ai lucchesi tutti i castelli di Pisa. In fine la
parte di Ugolino ebbe la peggio. Questi co' suoi si rifugiò
nel palazzo del Popolo; ma gli avversarli, bruciatene o
atterratene le porte, vi irruppero, e presero il disgraziato
conte, che, dopo venti giorni dì prigionia in quel palazzo
stesso, fu rinchiuso a morir di fame nella torre dei Gua-
landi alle Sette vie.
Ora, a quale congiuntura di questo breve periodo dì
tempo devesi riferire la canzone di Guittone d'Arezzo a
Ugolino della Gherardesca? Che la canzone fosse scritta
avanti la sconfitta di Meloria è supposizione da rifiutare,
senza né meno discuterla. L'aretino non fa che lamen-
tare la debolezza e le condizioni compassionevoli in che
era ridotta Pisa, esortare due de' maggiori suoi cittadini
a scuotersi, a difenderla con le armi, col senno, colla pru-
denza da un € mortale pericolo » (1). — Quale? — Non
certo la grande battaglia navale contro i Genovesi, che
segui alle intemperanti e imprudenti bravate di Porto Ve-
nere, però che non poteva dirsi debole e ridotta a mal
partito una città, la quale, non ostante l'avversa fortuna
(1) Guittone d' Arezzo , canzone € Magni baroni certo e r^
quasi 1, Stanza HI versi U e 15 (dell' ed. del Valeriani, canzone XXIU).
INTOBNO A UNA CANZONE DI FRA GUITTONE d' AREZZO 17
che da oltre un decennio la perseguitava nelle imprese
di terra e di mare, trovava ancora tanta forza in sé di
danaro e d' uomini, tanto ardimento e fiducia ne' cittadini,
da allestire nel 1274 una flotta di sessantacinque galee e
undici galeoni, e prendere con essa V ofifensiva contro la
gagliarda repubblica di Genova, della quale aveva speri-
mentato troppe altre volte, e assai crudamente, la forza
deir armata e la valentia de' soldati. Una battaglia — sia
pure che avesse fine sfortunatissimo — non solo accettata
ma presentata con tale apparecchio, non poteva non es-
sere nei voti di tutti; era il tentativo di una grande ri-
vincita sulla rivale repubblica, che li aveva battuti a Pia-
nosa prima, e dopo non aveva lasciato sfuggire occasione
di molestarli dovunque e in ogni modo; e, ottenuta che
si fosse piena ed intera, la gloria di Genova sarebbe, se
non caduta per sempre, certo per lungo tempo abbassata.
Nessuna ragione di rimprovero adunque al Conte Ugolino,
il quale in quel frangente, lungi dal temporeggiare e dal
rifiutarsi di prender le armi, — di che a punto gli farebbe
carico il buon Guittone ne' suoi versi — assunse il comando
generale della guerra insieme col Buzzaccarini e Messer
Andreotto, e guidò il centro dell'armata.
Non vedrei né meno come si potesse assegnare ai
giorni, sventurati certo e pericolosi anch'essi, della di-
scordia tra Ugolino e il nipote e delle fazioni in fiuti ,
parendomi assai naturale che Guittone, il quale reputava
quei due cittadini di tale grandezza e potenza da aver
virtù, essi soli e non altri, di soccorrere ai mali della
patria, mi pare, dico, che per prima cosa avrebbe dovuto
scongiurarli di riconciliarsi per il bene di tutti. E ancora
mi sembrerebbe assurdo il farne scendere la data al 1288,
quando cioè Nino e Ugolino si rappattumarono di bel nuo-
vo: allora quel che i più desideravano (e dica quanto vuole
Voi IV, Parte IL 2
18 L. A BBESCIANI
r anonimo cronista che non erano i più savi) (1), era [a
composizione della pace con Genova, e sarebbe toroato
inutile e paruto per lo meno assai strano il predicar la
guerra, come si fa nei versi del frate. Tanto meno poi
è lecito crederli scritti verso la fine del reggimento e
della vita di Ugolino, quando ebbe tradito insieme coq
l'arcivescovo il suo collega e nipote.
Onde più verisimilmente panni si possa afifermare
che la canzone fu scritta e mandata a Ugolino dei Ghe-
rardeschi non più tardi del 1285, e, con più precisa de-
terminazione, verso la fine del 1284.
Non è a dimenticare che allora Pisa correva il mag-
giore pericolo che dalla battaglia alla Melorìa sino al-
l' imprigionamento del conte Ugolino corresse, e che quel
tempo dovè essere di vero terrore per i Pisani e di do-
lorosa sorpresa per quelli di fuori, i quali vedevano la
repubblica di Pisa, poco addietro cosi fiorente e gloriosa,
ridotta ormai all' ultima rovina. — Il poeta si rivolge al
Conte Ugolino e al Giudice di Gallura, come ai due cit-
tadini più autorevoli di Pisa, li rimprovera di poco amore
alla patria, e li esorta a cercarne il bene più che tutto
con la virtù, a combattere per lei e a non farsene ti-
ranni. Con versi, se non forbiti (che anzi sono in pa-
recchie parti assai rozzi), certo molto vigorosi e potenii
per nobile e caritatevole umanità , congiunta al più
libero schietto ed elevato sentimento di patriottismo , per
efficacia di imagini, altezza di pensieri, sagacia e onestà
di ammonimenti, ricorda i mali di Pisa, conforta all' amore
della propria terra, dà consigli santissimi di virtù civile.
Non è il guelfo che parla per ira di parte, è il cittadino
che domanda e vuole la libertà e la sicurezza della patria,
è il cavaliere di Maria, che, acceso dell'ufficio affidatogli
dalle regole dell' ordine, di cercare ovunque la pace e la
(1) pag. 20 di questo breve studio.
Dm)RNO A UNA CANZONE DI FRA GUITTONE T) AREZZO 19
prosperità degli uomini, leva la voce nota e temuta, che
aveva vent'-anni innanzi tonato contro i Fiorentini dopo
Monteaperti, che più tardi suonerà aspra ad Arezzo dopo
Campaldino, e chiede che Pisa,
« la migliore
donna della provincia e regio' anco »
non muoia prima per l' ignavia de' suoi cittadini che per
la malizia degli avversarii. É una canzone che rammenta
quella del Petrarca ai Signori d' Italia.
Dovevano essere passate poche settimane da quella
terribile sconfìtta che aveva distrutte le forze navali e
insieme le ultime speranze dì Pisa. « In Pisa — osserva
il Villani — (1) ebbe grande dolore e pianto, che non
v' ebbe nulla casa né famiglia che non vi rimanessero più
uomini 0 morti o presi; e dall'ora innanzi Pisa non ri-
covrò mai suo stato né podere » . — Avvilito cosi ogni
orgoglio, costernata la città, timorosa del presente, sfidu-
ciata dell'avvenire, riempite le famiglie di lutto; in mezzo
a quello sbigottimento la notizia del comporsi una lega
tra il resto di Toscana e Genova, il cui obbietto era l'as-
sedio e la distruzione di Pisa, dovè gettare negli animi
di tutti una tremenda disperazione. Fu in mezzo a quella
disperazione che l'umile frate, forse da Pisa stessa ove
di già si trovava, forse anche dal ritiro de' frati godenti
in Ronzano presso Bologna , mandò a' due più potenti
cittadini di Pisa, come a quelli che sopra ogni altro ave-
vano dovere di aiutarla, il pietoso ammonimento di pren-
dere a cuore la salvezza della patria. Che la canzone
sia stata scritta entro il 1284 mi pare dunque si possa
mettere ormai fuor d'ogni dubbio. Ugolino e Nino e-
rano allora privati, e certamente dovevano esserlo tut-
t' ora quando Guittone scriveva la sua canzone ; da poi
che non vi è fatto parola dell' ufficio della Podesteria,
(i) Cranica, VD, 92.
20 L. A. BRESCIANI
afSdato a Ugolino (ottobre 1284), il quale poneva neces-
sariamente que' due uomini in una condizione differente
r uno rispetto all' altro ; né può supporsi che fossero en-
trambi al potere, in quanto che Nino fu capitano e podestà
insieme con l' avolo solamente alla fine del 1285, vale a
dire quando la lega dei Guelfi di Toscana era già sciolta,
se non dì uome certo di fatto, e Genova, impadronitasi
della Torre di Porto Pisano, aveva già ritirato le sue
navi. Non vi era dunque più bisogno di combattere, come
consiglia Guittone; Pisa era bensf umiliata, ma uon più
pericolante. Il e mister magno tanto » il e periglio mor-
tale » che immineva allora a Pisa non altro era che la
distruzione minacciatale dalla lega tosco -genovese, e fu
in fatto il maggiore pericolo che corresse in quel tempo.
Della quale lega ad allontanare i pericolosi effetti, biso-
gnava che forti e temuti cittadini avessero preso il ba-
stone del comando. Ora chi erano questi cittadini? Non
solo a giudizio del poeta, ma ancora, come ci fa sapere
il Doria negli e Annales Januenses » (1), de' prigionieri
fatti alla Meloria, e forse anche de' Pisani tutti, uno era
Ugolino de' Gherardeschi, l' altro doveva necessariamente
essere Nino di Gallura, non meno potente dell'avo e di-
lettissimo al popolo.
< Tutto moDdo, signor, vi guarda e sae,
che 1 male e '1 ben l'estae
di vostra terra in voi » (2).
E altrove:
« Bene i Pisani san, signor, sentire,
Sol pon per voi guerire » (3).
E più volte il frate godente rammenta a quei due quanto
bene, grazie all' altezza del loro nascimento, possono fare
alla patria.
(1) In Pertz, Mùnum, germ. hist.
(2) Stanza VII, 1-3.
(3) Stanza X, 1, 2.
IliTOBNO A UNA CANZONE DI FRA GUITTONE D' AREZZO 21
« E voi, signori miei, potenza avete
grande molto; è tempo, essa overando,
operi magno in mister magno tanto
vostro valor d'onor ver coronanto.
Valore in parve cose approva quanto;
unde quando se non or proverete?
Àrbore quel che non frutta in estate,
fruttar quando sperate?
Signor mostr'avrò a propio el paragone.
Non so quando stagione
né cagion né ragione
valenza e bontà vostra aggia in mostrare,
se non ora bene promette e mostra,
la città madre vostra
in periglio mortai posta aiutando.
Cui spero aiutar deggia o amare
chi sua città non ama aitar pugnando?» (1)
E più sotto:
« 0 signor mìì, chi che voi ha potenza
E chi dea aver piagenza
maggiormente che voi essa sanare ?
Nulla ha poder voi pare,
nulla po' contrastare,
in voi è sol sanando e uccidendo » (2).
La patria è come un grande corpo, una grande persona
nella quale ognano vede riuniti amici e parenti, e a cui
deve consacrare tutti i suoi afifetti. Quale più caro amico
e più prezioso che il proprio paese? S'esso rovina, non
tatti forse rovinano con lui?
€ De Dio iudicio e de catun sciente
e valor tutto e bonità richese
amare amico om quanto sé deggia.
Quanto amore in corpo un dea donque avere,
nel quale a un seco congiunto veggia
(1) Stanza IH.
C2) Stanza VI, 1-6.
22 L. A. BBESCIANI
veciDO, amico, figlio onne e parente?
Quale infermar non poe non esso e' suoi
vegnano *nfermi in loi,
com' esser può non infermi omo adesso
che infermar sente esso
ch'ama quanto se stesso,
uno 0 plusor che sieno ovver migliaia?
Esto corpo, 0 signori, è il comun vostro;
ove voi, onne è vostro.
E non donque amerete amico tanto?
ov' è bontà non in amore appaia?
Quanto amico om, tanto ben poco o manto » (1).
Pisa è in pericolo, quasi resa schiava dalla vittoriosa Ge-
nova; avvilita, stanca, impoverita, addolorata per tanti suoi
figli morti 0 prigioni, per l' abbandono nel quale è lasciata
da tutti: per fino lo straniero è tocco da compassione
per la sorte sciagurata di lei :
« 0 come in pianger mai suo figlio è stanco,
vederla quasi addoventata ancella 1
Di bellor tutto e d'onor direndata,
di valor dimembrata,
soi cari figli in morte e in pregione,
d'onne consolazione,
quasi in disperazione,
e d*onni amico nuda e d'onni aiuto;
tornata è povertà sua gran divizia,
la sua gioia tristizia,
onne bon mal, e giorno onne appiggiora.
Onde mal tanto strani bau compatuto,
0 non compaton figli, e d* essa han cura? » (2)
Nella qaale stanza le allusioni alla sconfitta della Melorìa
e alla lega dei Guelfi sono evidentissime. Quando il poeta
scriveva quel verso « soi cari figli in morte e in pregione »,
(1) Starna IV.
(i) Slama V, 5-17.
INTORNO A UNA CANZONE DI FBA OUITTONE D' ABEZZO 23
ipeDsava certo ai milletrecento Pisani morti in qaella
^attaglia (1), e agli undicimila (2) che i Genovesi tenevano
incora in catene ; e con T altro « d' onni amico nuda e
r onni alato » accennava senza dubbio alla taglia dei Guelfi
li Toscana, a cagion della quale Pisa non avrebbe tro-
irato più terra che l'avesse in alcun modo sostenuta.
Se non che, nel pregare il Visconti e il Gherardeschi
a prendere la tutela della patria, il poeta ricorda quanto
possa l'ambizione personale sull'animo loro. Ricorda che
altra volta per ira di parte portarono essi medesimi le
armi contro la città, e che negli animi loro più che la
carità di patria trova ascolto la cupidigia del potere, la
quale degenera spesse volte in tirannia:
€ Merzé: non v'assemprate
a' tiranni di lor terra struttori » (3).
E non pensino a oprar cose che accrescano in loro dignità
e potere, ma solamente quelle che portano il bene della
patria :
< Che nulla di podere è podestate,
nulla de dignitate
ver che dì bonitate
è sovragrande e d'onor tutto errata.
Chi potè grande dir rege non bone?
Chi parvo om magno Bono?
Tutti i rei prvi son, tutti i bon magni;
chi grandezza d'onor voi coronata
di grandezza di bon essa accompagni > (4).
(i) Gio. ViLL., Cron.
(2) Queste cifre ci sono rìferite dal Cronista anonimo più volte citato,
a cui storia é edita dal Muratori nei Rerum it, scr, XXIV.
— Gio. Voi^ANi, tra morti e prigioni, dice che furono sedicimila
lomini.
(3) SUnza VII, 8, 9.
(4) Stanza I, 9-17.
24 L. A. BRESCIANI — Iim)RNO A UNA CANZONE DI FRA OUITTOlfR 80C.
Per altro il povero frate, libero e franco cittadiDO e poeta,
senza ambagi mostrava, por riconoscendo che solo dal
senno e dall' autorità di quei due poteva ancora aprirsi a
Pisa nna via di salate, quanto poco a fidanza facesse con
la onestà e il patriottismo loro:
« Onor, prode e piacer saccio ch'amate/
ma non onor stimate
donar possa eh' è bon né prò eh' è onesto,
diritto e onor lesto» (1).
Ond' essi, consiglia Guittone, più che alla signoria tengano
alla riconoscenza dei loro concittadini, che vedranno non
solo in loro, ma per fino ne' loro figli, i salvatori della
patria:
< E se di morte u' son lor vita date,
tutto certo crediate
che d' etate in etate
ed essi e' Agli loro e voi e' vostri
terran refattor dì essi e salvatori » (2).
Cosi cantava Guittone nella sua poesia tal volta rude nella
forma, non mai per altro priva di gentilezza d'affetti, di
onestà e nobiltà di sentimenti, di vigoria di pensiero, degna,
com' ebbe a dire felicissimamente il Carducci, di precedere
i folgori di Dante e l' eloquenza magnanima del Petrarca.
Ma ahimé! che in cambio della riabilitazione, la quale il
fiero aretino, con animo non già pietoso di straniero, ma
amorosissimo di figliuolo, avrebbe desiderata per le armi,
il popolo pisano dovè contentarsi di una ignominiosa tre-
gua ottenuta per negoziati; e sul cadere del 1285 Pisa
era caduta nella tirannia di Nino Visconti e Ugolino dei
Gherardeschi.
L. A. Bresciani
(I) Slama VIU, i-i.
{i) SUnn X, 3-7.
INDICE DELLE CA.RTE
DI
PIETRO BILANOIONI
Cntrihito illi bibiMgrih delle noie Tolgari dei priii tre secoli.
(Continaazione da pag. 163, N. S., Voi. lY, Parte I)
PARTE I.
RIIE COR ROIE D'IUTORE
G
I. Galletto da Pisa.
Un sonetto io voglio fare (son.)
Ediz.: F. Redi, Annoiaz, al Bacco in Toscana, Firenze, 1691, p. 101
l Galletto da Pisa].
n. Gano di Lapo da Colle. Q, n
GANO
1. Avie Titan suo carri in su leone (cap.) da colle
Ms.: IfagUab. VII, 3, 991 (ora IV, lU), e. 23 h [Ghano da
Cholle].
2. Fa/ooU d^ Elicona io vó* lassare (canz.)
Mss.: Chig. L, IV, 131, e. 603 [Gano di Lapo da Colle].
"* Lanr. Red. 184, e. 122 6 [Canzona di Ghano di messer Lapo
da Colle quando venne a morte].
3. Io dirò tuttavia sanza dir nulla (canz.)
Yedi appresso, n.® 9.
26 e. ■ L. FRATI
6, n 4. Io san la Donna che vólgo la rota (canz.)
GANG
DA COLLE Mss.: * MagUab. VII, 3, 991 (ora IV, 144), e. 16 a [Ghanodi
Messer Lapo da Colle]. Senese 1, IX, 18, e. 76 [G. CaTal-
canti].
Edizz.: Rime scelte de poeti Ravennati [ed. Ginanni]. Ravenna, Laodi,
1 739, p. 3[Mengbino Mezzani]. Rime antiche di autori ravignani
[ed. Zambrini]. Imola, Galeati, 1849, p. 25 [e. s.] Rime edite ed
inedite di G. Cavalcanti [ed. CicaAPORCi]. Firenze, 1813, p. 65 [Guido
Cavalcanti].
5. L amaro colpo della fredda Morte (sod.)
Bis.: * Laur. SS. Annunz. 122, e. 71a [Sonetto fecie Ghaoo
di messer Lapo].
6. LassOy ogni cosa al/in consuma il tempo (canz.)
Bis.: *Chig. L, IV, 131, e. 636 [Gano da Colle].
7. Qual uom si veste di carnale amore (sod.) (1)
Mss.: *Magliab. VU, 3, 991 (ora IV, 144), e. 24 6 [Ghane da
Colle]. *Riccard. 1156, e. 84 a [Cbanzone morale di Ghane
da Colle]. * Trivukiano 1058 (già cod. Bossi 36), e. 87 [Ser Ghane
di meser Lapo da Colle parla contro amore].
8. Quella che cresce per andar sue posse (son.) (2)
Mss.: * Laur. Red. 184 (già 151), e. 81 b [Risposta di Ghane
a M.' Antonio (da Ferrara)]. *Laur., pL XLI, 15, e. 37 a
[anon.]
(1) È il verso stesso con cui principia un son. di Antonio diGlido
cantore in panca.
(2) Respons. al son. di Antonio da Ferrara : * La gran virtù che
tanta già percosse [Sonetto dim.'' Antonio detto (da Ferrara)!
mandò a Ghane da Cholle] (Cod. Laur. Red. 184, e. 81 a).
INDICE DELLE GABTE DI P. BIUNCIONI, P. I." 27
9. Udirò tuttavia sansa dir nulla (canz.) 6, m
Mss.: Barber. XLV, 129, e. 100 [Lapo da Colle]. Chig. L,
IV, 131, e. 595 [Gano di Lapo da Colle]. 'Senese I, IX, 18,
e 89 a [Di Matteo Coreggiaioda Firenze]. *Riccard. 2803
[Messer Cino da Pistoia sopra i secte peccati mortali]:
MiOO, e. 58 6 [Canzone di messer Lapo da Colle]. *Bibl.
Naz. di Firenze, PalaL 315, e. 91 a [a non.] *Laur., pi. LXXXIX
sap., 61,c. 46 6 [Di Gbano di Messer Lapo da Colle]. *Laur.
Red. 184, e. 102 6 [Canzone di Ghano da ChoU.e sopra i sette
pecchati mortali].
Ediz.: Poesie minori del secolo XIV [ed. E. Sarteschi]. Bologna,
Romagnoli, 1867, p. 91 [Matteo Correggiaio].
10. Vi dirò tuttavia sanea dir nulla (sod.)
Vedi il n.*' precedente.
III. Garatorì (de') Jacopo.
1. U opinion di chi pia sa s' accorda (sod.) (1)
Ms.: Bibl. Capitolare di Verona, cod. ccccxlv [Jacopo degli
^ coretori da Imola].
Ediz.: G. B. Carlo Giuliari nell'i4/6o Dantesco Veronese. Milano,
Lombardi, 1865, p. 345 [e. s.]
2. NelV ora che la bella Concubina (sod.)
Ediz.: Raccolta d'opuscoli scientifici e filolog, [ed. CalogerX].
Venezia, Occbi, 1748, voL XXX Vili, Ser. 1.', p. 405 [Canzon de Ja-
oomo da Imola].
3. 0 novella Tarpea^ in cui s' asconde (sod.)
Vedi Antonio da Ferrara.
garatorì j.
(1) A Pietro Alighieri, che risp. col son.: La vostra sete, se 6eit
mi ricarda.
28 a B L. FUTI
^' ^ IV. Garisendi Gherardacdo.
GASPARE
1. Dolce cP amore amico, i' vi rescrivo (son.) (1)
DI
LANZAROTTO
Ms.: CasanaL d, V, 5, e. 94 [Risposta di M/ Gherardacci
(Garisendi da Bologna a Gino da Pistoia)].
Ediz.: 'CiNG DA Pistoia, Rime [ed. Faustino Tasso]. Veneaa,i589,
p. lU [Gherarduccio Garisendi].
2. Non pud gioir d* amor chi non pareggia (son.) (2)
Ms.: Casanat d, V, 5, e 93 [Risposta di M.' Gherardacci
(Garisendi da Bologna a Gino da Pistoia)].
Ediz.: *GiNO DA Pistoia, Rime [ed. Faustino Tasso]. Venena,
1589, p. 108 [Gherarduccio Garisendi].
3. Poi che 7 pianeta vi dà fé certana (son.) (3)
Ms.: Gasanat. d, V, 5, e. 95 [Risposta dì U,^ Gherarduccl
(Garisendi da Bologna a Gino da Pistoia)].
Edizz.: Gino da Pistoia, Rime [ed. Faustino Tasso]. Venezia,
1589, p. 115 [Gherarduccio Garisendi]. Gio. Galvani, Le-
zioni accademiche. Modena., 1840, voi. U, p. 124 [e. s.]
Y. Gaspare di Lanzarotto.
1. Francesco, e* non è cosa, e tu 7 sai bene (son.)
Ms. : * God. 59 della Biblioteca del Seminario di Padova, e 22
[Guaspar de Lanzaroto ex parte unius ad F(ranciscum)
V(annolium)]. (4)
(1) Respons. al son. di Gino: Amato Gherarduccio, qwaid* io scrivo
[Gino da Pistoia a M.' Gherarducci (Garisendi da Bolo-
gna) per la detta materia] (cod. Gasanat d, V, 5, e. 94).
(2) Respons. al son. di Gino: Caro mio Gherarduccio, io mn ho
inveggia [Gino da Pistoia a messer Gherarducci Garisendi
da Bologna] (cod. Casanat. d, V, 5, e. 93).
(3) Respos. al son. di Gino: Come li saggi di Neron crudele [Gino
da Pistoia a M.' Gherarducci (Garisendi da Bologna) per
la detta materia] (cod. Casanat. d, V, 5, e. 94).
(4) Francesco di Vannozzo rispose col son. : * Perché amidxia ai
mondo si convene [Resp. F. Van.] (cod. Padov., ibid.).
INDICE DELLE CASTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 29
2. Francesco mto, non già V andar del tempo (sod.) 6, vn
Ms.: •Cod. 59 Semin. Padov., e 21 [Guaspar de Lanzarolo <*™o^ (^0
ex parte Dom. Nichol. Gontareoo Veneti Nob. Milit (adFran-
ciscum Yannotium)] (1).
VI. Gazzaja (Della) Tommaso.
1. Chi in questo mondo vuol montare a stato (son.)
Ediz.: * L De Angbus, Catalogo dei testi a penna della pubbl.
Biblioteca di Siena, Siena, Porri, 1818, p. 219 [Tommaso della
Cazzai a].
2. Poi non trovi posar ^ cessa V affanno (soo.) (2)
Ms.: 'Senese G, III, 23, e. 286 a [Risposta fatta al detto
Sonetto per Messer Tommaso di Misser Bartolomejo de la
Gazaja al luogo di Bindo Bonìchi non ostante che Bindo
rispose].
Ediz.: Bindo Bonichi, Rime. Bologna, Romagnoli, 1867, p. 166
{Scelta^ n.^ 82) [Tommaso della Gazzaìa].
vn. Genga (DeUa) Leonora.
1. Dal suo infinito amor sospinto Dio (son.)
Ediz. : Gio. Andrea Gilio, Topica poetica, Venezia, 1580, p. 75
(^Sonetto di Leonora della Genga da Fabriano].
2. Di smeraldi, di perle e di diamanti (son.)
Ediz.: Gio. Andrea Gilk), Topica poetica, Venezia, 1580, p. 75
[Sonetto di Leonora della Genga da Fabriano a Ortensio
<li Guglielmo].
(1) Francesco DI Vannozzo rispose col son.: * Cavalier mio, quanto
più fugge il tempo [Responsio Frane. Van ] (Cod. Padov., e. 22).
(2) A. mess. Benuccio Salimbeni in risp. al son. : A fine di riposo
sempre affanno [Di messer Benuccio Salimbeni a Bindo Bo-
nichi] (cod. 'Senese U, X, 2, e. 4 a).
GIANNI L.
30 a ■ L. rRATi
6, xn Vin. Gherardo da Reggio.
Con stia saetta d' or percosse Amore (son.)
Ms.: GasanaL d, V, 5, e. 91 [Gherardo da Reggio a M.'
Gino].
Ediz. : *CiNO DA Pistoia, Rime [ed. Faustino Tasso]. Veneoa, 1589,
p. 120 [Gherardo da Reggio a Gino da Pistoia].
IX. Ghiberti Carnino.
U amor peccao forte (son.)
Ms.: *Vat. 3793, e. 55 b [Gharnino Ghiberti di Firenze].
X. Ghini Jacopo.
Poi che soggiorni il mare e terra lassi (son.)
Ediz.: *Lami, Catal. dei Mss, Riccardiani,p.W9 [Jacopo Ghini
d'Arezzo a Maestro Gregorio].
XI. Gianflgliazzi Gerì.
Messer Francesco^ chi d' amor sospira (son.) (I)
Ediz.: F. Petrarca, Rime esiratte da un stia originale [ed. F.
Ubaldini]. Uoma, 1642, p. XVI [Geri Gianfigliazzi].
XII. Gianni Lapo.
1. Accorri, accorri^ io mtwio* {froii.)
Edm.: Scelta di rime antiche [ed. L. Fiacchi]. Firenze, 1812, p. 22
[Fr. Petrarca]. Antonio da Tempo, Trattato di rime volg. [ed. G.
Grion], p. 364 [Lapo Gianni degli Uh erti]. Jahrbuck fur rm,
und engi Literatur. Leipzig, 1869, voi X, p. 213.
(1) A. Francesco Petrarca, che rìsp. col son.: Geri, quando ta-
lor meco t'adira.
INDICE DILLE CABTB DI P. BILANCTONI, P. L* 31
2. Amor, nova ed antica vanitale (canz.) 6, xn
Mss.: Cod. Bossi 36 ora Trìvulz. 1058, e. 101 h [Lapo Giani].
Riccard. 2846 [e. s.]: 1094, e. 147 [e. sj Chig. L, Vili,
305, e 52 [e s.] Bibl. Naz. di Parigi, cod. ilal. 557, e. 23 [e. s.]
Marciano 63, e. 54 [a non.] Ribl. Naz. di Firenze, Paiat 180, e. 7
[e s.] Laur., pL XL, 49, e. 59 [Lapo Gianni].
Edizz.: Sonetti e Canzone di diversi antichi autori toscani. Fi-
renze, Giunti, 1527 [Lapo Gianni]. Dante Alighieri e Gian-
Nozzo Sacchetti, Rime, Firenze, 1857 (le sole st MI) [Dante Ali-
ghieri].
3. Annore^ V non son degno ricordare (son.)
Ms.: Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 99 a [Lapo Gianni].
Ediz.: Scelta di rime antiche [ed. L. Fiacchi]. Firenze, 1812, p. 25
[Di Ser Lapo Gianni].
4. Amarey i' priego eh' alquanto sostegni (canz.)
Vedi Orto (DaU') GioTanni.
5. Angelica figura novamente (ball.)
Ms.: Cod. Bossi 36 ora Trìvulz. 1058, e. 99 6 [Lapo Giani].
Ediz.: Scelta di rime ant. [ed. L. Fiacchi]. Firenze, 1812, p. 28
[Dello stesso (ser Lapo Gianni)].
6. Averò io mai pace^ o tregua^ o guerra (son.)
Vedi Antonio da Ferrara.
7. Dolce il pensier, che mi notrica il core (ball.)
Ms.: Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 99 6 [Lapo Giani].
Ediz.: Scelta di rime ani. [ed. L. Fiacchi]. Firenze, 1812, p. 32
[Dello slesso (ser Lapo Gianni)].
8. Donna^ se 7 pregio della mente mia (canz.)
Mss.: Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 100 a [Lapo Giani].
*Bol<^. Univ. 2448 [ser Lapo Gianni notaro fiorentino: bal-
lata] (1).
(1) In questo cod., come nelle altre copie del Bartoliniano e nella
slampa del Fiacchi, vi ha della canz. il solo commiato, che mcom.: E
/II, martoriata mia soffrenza.
CIANNI L.
32 a B L. FRATI
6, xm Ediz. : Scelta di rime antiche [ed. L Fuccm]. Fireme, 1812, p.
GiDiNO -40 n [Lapo Gianni].
PA
soMMACAMP. 9. E tUy martoriata mia soffrenea (framm.)
Vedi il n.^ precedente.
10. Gentil donna cortese e di bon aire (ball)
Ms.: Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e 99 a [Lapo Giani].
Ediz: Scelia di rime ani. [ed. L Fiacchi]. Firenze, 1812, p. fi
[Dello stesso (ser Lape Gianni)].
11. Io sono Amor che per mia libertate (ball.)
Ms.: Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e 98 6 [Lapo Giani].
Ediz. : Scelia di rime ani, [ed. L Fiacchi]. Firenze, 1812, p. 37
[Dello stesso (ser Lapo Gianni)].
12. 0 Mortej della tnta furatrice (canz.)
Ms.: Cod. Bossi 36 ora Trivulz. 1058, e. 101 a [Lapo Giani].
13. Pelle chiabelle di Dio non ci arvai (sod.)
Fedi AngioUerì Cecco.
14. Siccome i Magi a guida deUa stella (canz.)
Mss.: *Vat. 3il4, e 120 a [Ser Lapo Giannino]. *Udìt.
Bologn. 1289, e 4 a [11 detto (ser Lapo Gianni)].
Ediz.: L MàNZOM in Riv, di filolog, romanza^ I, 84 [Ser Lapo
Gianni].
XnL Gidino da Sommacampagna.
1. La parte ghibellina sempre morde (sod.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Pado?., e 10 [anon.] (1).
Ediz.: GiDLXO Dà Sommacampagna, Trattalo de* ritmi volg, [ed.
GuxuRi]. Bok^na, 1870, p. 206 (Scelta il? 105) [Quivi se pone la
forma de lo Soneto composito ne la fine de li versi].
(1) A. Francesco di Van-nozzo che risp. col son.: Tanto è prò-
fmdo il swm di rostrt corde [Resp. Frane Van.] (cod. Padof.
ìbkL).
INDICB DELLE GABTE DI P. BILANCIONI, P. L*" 33
2. La possQj frate, che ha Sacra Scrittura (son.) (1) 6, xiv
GIOTTO
Ediz. : Ghidino da Sommacampagna, Sonetti inediti [ed. B. Sorio].
Verona, Merio, 1858, p. 9.
3. Nel Testamento Vecchio non si trova (son.) (2)
Ediz. : * Gridino da Sommacampagna. Sonetti inediti [ed. Sorio].
Verona, 1858, p. 8.
4. Se la mia mente, frate mio^ non falla (contr.)
Edis. : L. Gaiter, // dialetto di Verona nel secolo di Dante in Pro-
pti^n., V. S., VI, P. I, p. 292 [Gidino da Sommacampagna]
ÀNT. da Tempo, Trattato delle rime volgari [ed. G. Grion]. Bologna,
1869, p. 350 [Bontempo Concìaco da Belluno].
5. Viva r eccelsa Scala (ball)
Edizz.: *S. Mapfei, Verona illustrata. Verona, 1731, Parte II, p.
H9 [Gidino da Sommacampagna]. Gidino da Sommacam-
pagna, Trattato de' ritmi volg. [ed. Giuliari]. Bologna, Romagnoli, 1870,
p. 99 [Quivi se pone la forma della ballata minima].
XIV. Giotto.
Molti son quei che lodan povertate (canz.)
Ms.: Laur., pi. XC inf., 47, e. 37 b [Canzon Gioiti pintoris
^e Florentia].
Edizz.: G. Fr. ▼. Rumohr, Italienische Forschungen. Beriin, 1826,
^ol. 11, p. 51 [Giotto: Canzone sopra la povertate]. G. Va-
sari, Vite. Firenze, Le Monnier, 1846, voi 1, p. 348 [e. s.] G. Rosini,
Storia della pittura. Pisa, Capurro, 1848, voi. li, p. 30 [e. s.]
(1) Respons. al son. di Francesco di Vannozzo: Sperto maestro
mio, molto mi giova.
(2) A Francesco di Vannozzo, che rìsp. col son. sopra citato.
VoL IV, Pane IL 3
34 a B L. FRATI
6, xvu XV. Giovanni di Gino.
GIOVANNI
FIORENTINO
Nel tempo che Firenze era contenta (cap.)
Mss.: Magliab. VII, 3, 1009, e. 74 [Ant. di Matleo di Me-
glio]: Vn, 3, 1010 (ora II, 40), e. 106 a [Capitolo della chon-
segrazione dì Santa Maria del Fiore, feci e Giovanni dì Gino
chalzaiuolo addi 25 di marzo 1436, per papa Eugenio
Quarto]. Laur., pi. XLI, 34, e. 72 b [Di Giovanni di Gino
calzaiolo per la coronatione di S. Maria del Fiore facta
per Papa Vgenio].
Ediz.: Lami, CataL mss. Riccard,, p. 216 [Capitolo della
consegrazione di S. Maria del Fiore fatto per Giovanni di
Ciao calzaiuolo].
XVI. Giovanni da Firenze.
Giunti son gli anni e tempi ispaventevoli (cap.)
Ediz.: *E. Narducci, Catal, dei Mss. posseduti dal principe D.
Baldassarre Boncompagni, Roma, 1862, p. 191 [Giovanni da Fi-
renze].
XVIL Giovanni (Ser) fiorentino.
1. Al mio primo amator vud far tornata (ball.)
Edizz. : Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giom. XXI, No?. 2).
Londra, presso Riccardo Bancker, 1793, voi li, p. 132. Cantilene t
Ballate, Strambotti e Madrigali dei sec. XIII e XIV [eé. G. Carducci].
Pisa, Nistri, 1871, p. 200 [Ser Giovanni Fiorentino].
2. Aliando gli occhi i' vidi una doneélla (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giom. I, Nov. 2). Lon-
dra, 1793, voi. I,p. 27. CMutilene e Ballate [ed. G. CARDUCa]. Pisa,
1871, p. 176 [Ser Giovanni Fiorentino].
INDICE DELLE CABTE DI P. BILANCIONI, P. L* 35
3. AmaTj tu nC hai contento quel desio (ball.) ^> ^^^
GIOVANNI
Edizz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. XXV, Nov. 2;. fiorentino
Londra, 1793,voLIl,p.273. Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa,
1871, p. 205 [Ser Giovanni Fiorentino).
4. Apri H dolce arco^ o caro Signor mio (ball)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. V, Nov. 2). Lon-
dra, 1793, voi. I, p. 130. Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa,
1871, p. 182 [Ser Giovanni Fiorentino!.
5. Benedetto sia il giorno^ eh' io trovai (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, Il Pecorone (Giorn. Ili, Nov. 2). Lon-
dra, 1793, voi I, p. 70. Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa,
1871, p. 179 [Ser Giovanni Fiorentino].
6. Chi ama di btion cor non pud perire (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. XV, Nov. 2). Lon-
dra, 1793, voi II, p. 19. Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa,
f871, p. 193 [Ser Giovanni Fiorentino].
7. Chi d' amor sente^ ed ha il cor pellegrino (ball.)
Edizz. : Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. XII, Nov. 2). Lon-
dra, 1793, voL I, p. 274. Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa,
1871, p. 189 [Ser Giovanni Fiorentino].
8. Chi è dalla Fortuna folgorato (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, Il Pecorone (Giorn. XIV, Nov. 2).
Londra, 1793, voi. I, p. 303. Cantilene e Ballate [ed. Carducci].
1^, 1871, p. 191 [Ser Giovanni Fiorentino].
9. Chi sente nella mente il dolce foco (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. XI, Nov. 2).
Londra, 1793, voi. I, p. 267. Cantilene e Ballate [ed. CARDUca].
Pisa, 1871, p. 188 [Ser Giovanni Fiorentino].
36 a B L. FBATI
6, xvn 10. Donna che segue Amor^ non mostri cMiera (ball)
TRENTINO ^^*^- • Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. VI, No?. 2). Loo-
dra, 1793, voi. I, p. 146. Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pba,
1871, p. 183 [Ser GioTanni Fiorentino].
11. Donna leggiadra per V altrui fallire (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, Il Pecorone (Giorn. XXID, No?. ì\
Londra, 1793, voi. II, p. 157. Cantilene e Ballate [ed. Carducq].
Pisa, 1871, p. 203 [Ser Giovanni Fiorentino].
12. Donne^ che siete cf ogni mal radice (ball.)
Edizz. : Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. IX, Nov. 2). Lon-
dra, 1793, voi I, p. 223. Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa,
1871, p. 186 [Ser Giovanni Fiorentino].
13. Mille trecento con settanf otto anni (son.)
Ediz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (in princ) Londra, 1793,
voi, I, p. XXXI.
14. Nessun in me troverà mai mercede (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, Il Pecorone (Giorn. XVII, Nov. 2).
Londra, 1793 voi. II, p. 63. Cantilene e Ballate [ed. GARDUca].
Pisa, 1871, p. 195 [Ser Giovanni Fiorentino].
15. Non perda tempo chi cerca aver fama (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. X, Nov. 2). Lon-
dra, 1793, voi. I, p. 240. Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa,
1871, p. 187 [Ser Giovanni Fiorentino].
16. Non segua Amor chi non ha il cor prudente (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. VII, Nov. 2).
Londra, 1793, voi. I, p. 163. Cantilene e Ballate [ed. CARDUca].
Pisa, 1871, p. 184 [Ser Giovanni Fiorentino].
17. Non t' insalvatichir poi che tu sai (ball.)
Ediz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. XXII, Nov. 2). lion-
dra, 1793, voi. Il, p. 141. Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa,
1871, p. 202 [Ser Giovanni Fiorentino].
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. L* 37
18. 0 lassa sventurata, a che partito (ball.) 6, xvu
Edizz.: Giovanni Fiorentino, Il Pecorone (Giorn. XIX, Nov. 2). noRENTiNO
Londra, 1793, voi. II, p. 100. Cantiletie e Ballate [ed. Carducci].
Pisa, 1871, p. 197 [Ser Giovanni Fiorentino].
19. Ohimè, Fortuna, non mi stare addosso (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentlno, // Pecorone (Giorn. XVI, Nov. 2).
Londra, 1793, voi. II, p. 40. Cantilene e Ballate [ed. CARDUCa].
Pisa, 1871, p. 194 [Ser Giovanni Fiorentino].
2U. Ohimè lassa^ dolente e sventurata (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. XXIV, Nov. 2).
Londra, 1793, voi. II, p. 168. Cantilene e Ballate [ed. Carducci].
Pisa, 1871, p. 204 [Ser Giovanni Fiorentino].
31. Quante leggiadre fogge trovan quelle (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, Il Pecorone (Giorn. XVIII, Nov. 2).
Londra, 1793, voL II, p. 88. Cantilene e Ballate [ed. Carducci].
Pisa, 1871, p. 196 [Ser Giovanni Fiorentino].
22. Si mi riscaldan gli ardenti desiri (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, Il Pecorone (Giorn. Vili, Nov. 2).
Londra, 1793, voi. I, p. 179. Cantilene e Ballate [ed. Carducci].
f^isa, 1871, p. 185 [Ser Giovanni Fiorentino].
23. Tradita sono da un falso amadore (ball.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. XX, Nov. 2).
Londra, 1793, voL II, p. 120. Cantilene e Ballate [ed. Carducci].
Rsa, 1871, p. 199 [Ser Giovanni Fiorentino].
24. Troverò io pace in te, donna, giammai
Che sai cW V V amo piti che me assai (baO.)
Edizz.: Giovanni Fiorentino, // Pecorone (Giorn. XIII, Nov. 2).
Londra, 1793, voL I, p. 284. Cantilene e Ballale [ed. Carducci].
Pisa, 1871, p. 190 [Ser Giovanni Fiorentino].
38 a > L. FRATI
}, xvm 25. Troverò pace m te, danna, giammai
GIOVANNI Che f amo più che la mia vita assai (balL)
\k PRATO
Ediiz. : Giovanni Fiorentino, B Ptconme (Giorn. lY, Nov. 3). Loo-
(ira, 1793, toI. I, p. 116. Cantilene e Ballale [ed. Carducq]. Pisa,
1871, p. 180 [Ser Gìo?aniiì Fiorentino].
26. Un* angioletta m' apparve un mattino (baD.)
Ediiz. : Giovanni Fiorentino, B Pecorone (Giorn. II, Nò?. 2). Loo-
dra, 1793, toI. I, p. A8. Cantilene e Ballate [ed. CARDUca].
Pisa, 1871, p. 178 [.Ser Giovanni Fiorentini].
XYIIL GioYanm di Gherardo da Praia
1. Avea di Febo già 'l veloce corso (poem.).
Ms.: Riccard. 2254 [Giovanni da Prato].
2. Che giova investigar dò che pud arte (san.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e 93 a [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
3. Chiaro sereno dopo pioggia aspra e fera (son.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e 92 6 [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
4. If aer dolce o edificio altero (soo.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e 94 6 [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
5. Di foglie éF auro m* adornò la fronte (son.)
Ms.: Magliab. 11, 40 (già VII, 1010), e 81 6 [Sonetto fatto
per messer Giovanni bocchacio] (1).
Edix.: G. BoccAcao, Bime {Opert, voL XVI). Firenze, Moutier,
1834, p. 44 [Sonetto fato per messer Giovanni Boccacci da
maestro Giovanni Acquettini da Prato].
(1) Segue ad altre rime di Giovanni da Prato.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. l/ 39
6. Di quel gentile sguardo il grande assalto (sod.) 6, xvm
Ms.: •Laur. Red. 184, e. 95 a [Sonetto del detto (Messer ^^^ prato
GioTanni da Prato)].
Ediz.: A. Wesselofsky, Il Paradiso d. Alberti. Bologna, Roma-
gnoU, i867 (Scelta n,"* 86), voi I, parte 11, p. 224 [Giovanni da
Prato].
7. Dolce mia patria^ non f incresca udirmi (canz.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e. 94 a [Canzone morale di patria
e di libertate] (1).
Ediz.: A. Wessblofsky, // Para(/i80 d. i4l&er/t. Bologna, 1867, voi.
I, parte li, p. 435 [e. s.]
8. Dande venne la immagin di quel viso (sod.)
Ms.: *Laar. Red. 184, e. 92 a [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
9. Donne gentili, che si somma idea (canz.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e. 92 6 [Canzone di messer Giovanni
detto (da Prato)].
10. Donne gentili^ cui pietà move al core (son.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e 9^ a [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
il. E piti bella diana giuso in terra (madr.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e. 93 b [Ballata overo Madriale del
fletto (Giovanni da Prato)].
12. Fama gentile, leggiadra^ altera (soo.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e 93 6 [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
Ediz.: A. Wesselofsky, // Paradiso d, Alberti, Bologna, 1867,
YoL 1, parte 11, p. 93 [Giovanni da Prato].
(1) Segue ad altre canzoni di Giovanni da Prato.
40 a ■ L. FRATI
6, xvm 13. Fera che f odia e strugge (ball.)
GIOVANM
DA PRATO
Ms.: *Laur. Red. 184, e. 94 ò [Ballata del dello (GiovaDoi
da Prato)].
14. Oigli^ rose, viole in vasel d* oro (son.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e 92 a [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Pr^to)].
Ediz: A. Wesselofsky, Il Paradiso d, Alberti. Bologna, 1867, voL
1, parte II, p. 100 [Giovanni da Prato].
15. Io fui figliuol del gran maestro Dino (son.)
Ms.: Maglìab. II, 40 (già VII, 1010), e. 81 6 [Sonetto pel mae-
stro Tommaso del Gharbo] (1).
16. Jo fui lo specchio délV astrologia (soD.)
Ms.: MagUab. II, 40 (già VH, 1010), e. 81 6 [Sonetto pel Mae-
stro Paolo dell' Abaccha].
17. Io ho veduto già turbato Giove (sod.)
Mss.: Magliab. VII, 1009 [Giovanni Acquettino da Prato].
*Laur., pi. XLI, 34, e. 48 6 [So. di Ser N. Tinucci]. *BibL
Naz. di Firenze, Palat 200, Cs 44 h [a non.].
Edizz.: Prose e rime di Buonaccorso da Montesiagno con an-
notazioni ed alcune rime di Niccolò Tinucci. Firenze, Manni, 1718, p.
336 [Giovanni Acquettini da Prato]. Crescimbeni, ed. Yen.,
HI, 252 [Giovanni Acquettini].
18. Io mi risolvo come neve al sole (son.)
Mss.: Magliab. Vili, 33 [Giovanni da Prato]. 'Laur Red.
184, e. 94 h [Sonetto di mass. Giovanni dello (da Prato)].
Ediz.: Prose e Rime di Buonaccorso da Montemagno con an-
notazioni ed alcune rime di Niccolò Tinuccl Firenze, 1718 [Buo-
naccorso da Montemagno].
(1) Questo son. e il seg. seguono nel cod. Magliab. ad altre rime
di Giovanni da Prato.
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I* 41
19. Io non posso passare un' ora intera (son.) 6, xvin
PIO VANNI
Hs.: *Laur. Red. 184, e 94 6 [Sonetto del detto (Messer j^^ p^^^Q
GioTanni da Prato)].
20. Io son colui che in isdenea profonda (sod.)
Ms.: Magliab. U, li, 40 (già YH, iOlO), e. 8i a [Sonetto fato
per messer Francesco Petrarca] (1).
21. Io son la nóbil donna di Fiorenza (son.)
Bis.: Magtiab. U, II, 40 (già VII, lOiO), e 81 a [Sonetto fato
per Firenze].
23. La gloria della lingua universale (son.)
Ms.: Magliab. II, li, 40 (già VII, 1010), e. 81 a [Sonetto fatto
per Dante].
23. La gloria di quel sir^ che è tanto altero (cap.)
Ms.: Magliab. II, II, 40 (già VH, 1010), e. 76 a [Qui chomincia
un giocho d'amore il quale fé messer Giovanni da Prato].
24. Lieve penna nelV aria sttme salda (sod.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e. 92 a [Sonetto del detto (Messer
GioYanni da Prato)].
25. Marmo, diaspro, orientai eaffiro (son.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e. 92 a [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
Ediz.: Prose e Rime di BuONACCORSO da Montemagno con anno-
tazioni ed alcune rime di Niccolò Tinucci. Firenze, 1718 [Niccolò
Tinacci].
(1) Qaesio e i due segg. sonetti seguono nel cod. Magliab. ad altre
rime dì Giovanni da Prato.
42 a R L. FBATI
6, xvm 26. Nella dolce stagion che verdi coUi (canz.)
DA PBATO ^^* *Laar. Red. 184, e 92 6 [Ganxona di Messer GioTanoi
detto (da Prato)].
27. 0 affannato cor, tempestata alma (son.)
Ms.: *Laar. Red. 184, e. 94 6 [Sonetto del detto (Messer
GioTanni da Prato)].
28. 0 Castel sacro, o bello sguardo altero (son.)
Bis.: *Laiir. Red. 184, e. 95 a [Sonetto di messer GioTanoi
da Prato].
29. 0 fronte sorda e nissa (T ignoranza (son.)
Ms.: Magliab. VII 1168, e 131 [Giovanni da Prato].
Ediz.: Burchiello, Sonetti, Londra, 1757, p. 244 [Di Giovanni
Acquettini a Filippo Branellesco].
30. 0 gentil creature, altere e sante (cap.)
Ediz. : A. Wesselofskt, // Paradiso d, Alberti, Bologna, 1867, fol
I, parte II, p. 424 [Orazione a tutte l'anime Sante (per lo
dotto et venerabile nomo messere Giovanni di Gherardo
da Prato)].
31. 0 gentil creature della spera (son.)
Bis.: *Laur. Red. 184, e. 93 b [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
Ediz.: A. Wesselofsky, Il Paradiso d, Alberti. Bologna, 1867,
voi. I, parte li, p. 85 [Giovanni da Prato].
32. 0 Musa e tu, Apollo, al novo canto (poem.).
Mss.: Magliab. VII, 3, 702, e. 2ò [Giovanni Gherardi: Idvo-
catio ad Musas]: VII, 8, 141, e 1 6 [Opera del venera-
bile huomo Giovanni Gherardi da Cigniano diritta a mes-
ser Biagio Ghuaschoni suo k.mo, e distinto per tre libri].
33. 0 Padre onnipotente, o sommo Iddio (cap.)
Ediz.: A. Wesselofsky, // Paradiso d, Alberti, Bologna, 1867,
voi. I, parte II, p. 391 [Orazione a Dio divotìssima (per Io
INDICE DELLE CARTE DI P. BILÀNCIONI, P. l/ 43
dotto et venerabile uomo messere Giovanni di Gherardo Q, xvni
da Prato)]. Giovanni
DA PRATO
34. 0 vano e falso micidial Cupido (canz.)
Ms.: *Riccard. 1091, e. 150 a [Morale di messer Giovanni
da Prato].
35. 0 Vergin Madre, o del eiel regina (cap.)
Ediz.: A. Wesselofskt, // Paradiso d. Alberti. Bologna, 1867,
Tol. I, parte II, p. 403 [Orazione divota a nostra donna (per
lo dottoet venerabile uomo messere Giovanni di Gherardo
da Prato].
36. Ohimè cV f non so che farmi omai (son.)
Ms.: *Laur. Red. 184,0.946 [Sonettodeldetto (Messer Gio-
vanni da Prato)].
37. Or hai mostrato. Amore, ogni tua possa (son.)
Ms.: Laur. Red. 184, e. 92a [Ghominciano Canzoni e So-
netti di Messer Giovanni da Prato].
38. Per volermi ritrar ragion di fiamma (caoz.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e. 93 a [Canzona di messer Giovanni
detto (da Prato)].
39. Perle, eaffiri, balastri e diamanti (son.)
Mss.: Magliab. VII, 1009 [Giovanni Acquettino da Prato].
*Laur. Red. 184, e. 926 [Sonetto del detto (Messer Giovanni
da Prato)].
Ediz.: Prose e Rime di BUONACCORSO DA Montemagno con anno-
tazioni ed alcune rime di Niccolò Tinuccl Firenze, Mann!, 1718, p.
336 [Giovanni Acquettini].
40. Pianger dovete, pietre, colli e mai (son.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e. 93a [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
44 a B L. FRATI
6| xvin Ediz. : Prose e Rime di BuoNACConso da Montbmagno con oiuw-
GIOVANNI dazioni ed alcune rime di Niccolò Tinucci. Firenze, i718 [Niccolò
DA PRATO Tinucci].
41. Piti e pia vòlte ha infiammato il sole (son.)
Mss.: Bibl. Naz. di Firenze, Palai. 205, e 362 [Giovanni di Ser
Gherardo da Prato]. *Laur. Red. 184, e. 936 [Sonetto del
detto (Messer Giovanni da Prato)].
Edizz.: Allacci, Poeti antichi, p. 362 [Di BL Giovanni Ghe-
rardo da Prato a Francho Sacchetti]. A. Wesselofsky, il
Paradiso d, Alberti, Bologna, 1867, voi. I, parte II, p. 90 [Giovanni
da Prato a Franco Sacchetti].
42. S^ io sono in guerra chi me ri è cagione (son.)
Ms.: ^Lnur. Red. 184, e. 92a [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
43. Solo e pensoso mi dolca d* amore (son.)
ìfs.: *Laur. Red. 184, e. 326 [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
44. Tuo spirto gentil^ cK hai a sublimare (son.) (1)
Ms.: *Laar. Red. 184, e. 93a [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
45. Un disio amoroso spesso il core (son.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e. 92 a [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
46. Vidi cangiare al sol V aurata fronte (son.)
Ms.: *Laur. Red. 184, e. 92a [Sonetto del detto (Messer
Giovanni da Prato)].
(1) Respons. al son. di Alberto degli Albizzi: Che fortuna è la
mia? Che deggio fare? (Laur. Red. 184, e. 95(i) [Sonetto del detto
messer Alberto (degli Albizzi) mandò a messer Giovanni
da Prato].
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. 1.*' 45
47. Vostro cortese dir^ che mi circunda (son.) 6, xx
filOVANNI
Ms.: *Laur. Red. 184, e 93a [Sonetto del detto (Messer j^j nello
Giovanni da Prato)].
XIX. Giovanni di Maffeo da Barberino.
1. L' avere é corpi d^uno amor compresi (son.)
Ms.: MagUab. II, 11,40 (già VH, 1010), e. 117 6 [Risposta del
detto (Giovanni di Maffeo). Sonetto di Giovanni al cha-
valierej (1).
2. Tu mi saetti nel dir Medicame (son.)
Ms.: Magtiab. II, R, 40 (già VII, 1010), e. 118a [Sonetto di
Giovanni di Maffeo Barberino mandatoa messer Antonio
buffone] (2).
XX. Giovanni di Nello da S. Gemignano.
L* alta viriti di quel collegio santo (canz.)
Mss.: *Laur., pi XL, 43, e 115 a [Canzone morale fatta
per G. di Messer Nello da S. Gimignano]: pi. LXXXIX inf.,
44, e. 1606 [Morale]: pi XC inf., 47, e. Ria [Canzona di
Simone da Ssiena fatta per lui...] (3) Magliab. VII, 3, 1009,
e. 85 [anon.]: VII, 8, 1145, e. 47 [e. s.].
Ediz.: In lode di bella donna. Canzone ecc, pubbl, dal prof. Gius.
Arcangell Prato, Alberghetti, 1852 [Antonio Pucci].
(1) Responsivo al son. di Antonio di Matteo di Meglio: Gio-
vanni^ t" mi partii non meno offeso (cod. Magliab. II, II, 40, ibid.) [So-
netto del detto (Antonio buffone) mandò a Giovanni di
Maffeo].
(2) Antonio di Matteo di Meglio rispose col son. : Non son gli un-
guenti tuoi di verderame {cod, Ujì^iiih. II, II, 40, ibid.) [Risposta di
messer Antonio al detto Giovanni].
(3) Mancante in Gne.
46 a B L. FRATI
6, XXI
GiRARDo Giovanni da Prato
DA
CASTELFiOR. y^^ Giovanni dì Gherardo da Prato.
XXL Girardo da Castelfiorentino
1. Amor la cui viriti per grcufia sento (ball.)
Mss.: •Marc., ci. IX ila!., 191, e. 123 a [Girando da Castel
Fir.] (1) *Riccard. 1118, e 157 a [Ballata di Messer Gerardo
da Castel fiorentino].
2. Deh core non avessi anei mai degno (ball.)
Bis.: *Marc, cL IX ital. , 191, e 122 6 [Girardo di Castel
Fir.]
3. Guardate in che beltà mia donna regna (ball)
Ms.: Marc, ci IX ital., 191, e 124 a [Girardo di Castel
Fir.].
Edio.: Trucchi, II, U2 [Gherarducci da Castel Fioren-
tino]. NANNUca ', Manuale, I, 962 [Girardo da Castello].
4. Lo mio gioioso stato (ball.)
Mss.: *Marc, ci IX ital., 213, e. 20 b [Girardo da Castel
Firentino]: ci. IX ital, 191, e. 1236 [e. s.].
(1) e Delle inserte sette poesie (avverte il Bilancioni) solo la prima
reca in fronte il nome di Girardo da CASTELnoRENTiNO nel cod. Mar-
ciano 191; ma come T altre sei seguitano immediatamente alla prima,
ed è costume di questo testo a penna di adunare più poesie di uno
stesso autore coli* accennarne il nome una volta soltanto in capo alla
prima, cosi é da tenere, che le sei poesie senza intestazione, svitanti
alla prima riferita al nome di Girardo da Castelfiorentino, siano pur esse
del medesimo Girardo ».
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 47
5. Madonna^ lo cardi disir cV io porto (ball.) 6, xxii
CRADENIGO
fifs.: *Marc., ci. IX ital, 191, e. 122ò [Girardo di Castel jac.
Fir.].
Ediz.: Nannucci, ' Manuale^ I, 362 [Girardo da Castello].
6. Partito star da voi^ donna^ mi sento (ball.)
Ms.: 'Marc., ci IX ital., 191, e. 123ò [Girardo di Castel
Pir.]
7. Però che vede soa lellezza sóla (ball.)
Ms.: *Marc., ci. IX itaL, 191, e. 123a [Girardo di Castel
Fir.].
Qiimta (di) Tommaso
Vedi Tommaso di Giunta.
Giustiniani Leonardo.
Veggansi le sue Laudi tra le Anonime (Indice, Parte 1!.*)
XXIL Gradenigo Jacopo.
1. Io abbuio ho tanta graeia dalVEtemo (sod.)
Mss.: *Cod. Gambalung. D, II, 41, cartone anteriore, h [Iacopo
Cradenigo].
Ediz. : De Batines, Bihliogr. Dantesca, Prato, 1846, II, 220 (i soli
n. 9-16) [Iacopo Gradenigo].
2. No, il gran tempo trascorso^ il misto pelo (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semin. Padov., e 35 [Belletus Gradenigo ad
F(ranciscum) V(annotium)] (1).
(1) Francesco di Vannozzo rispose col son.: Se con scritture teco
wm ripeto (cod. 59 Semin. Padov., ibid.) [Resp(onsio) Franc(i-
sci) Van(notii)].
48 a ■ L^ RITI
S, XXV 3. Vuol mia fortuna e maledetta sarte (son.)
Ms.: *Cod. 59 Semio. Rado?., e. 66 [Belletas Gradeoigo ad
F(raDciscuiii) y(aDDotiaiii)] (1).
XXm Gregorio d'Areno.
Vassi la volpe per la selva piana (son.)
Ms. : ^Riccard. 1100, e 656 [Sonetto di maestro Grigorio
detto (d'Arezzo)].
XXrV. Gregorio Calonista di Hrense.
Sento éP amor la fiamma e '{ gran podere (balL)
Edizz.: *Lami, Coiai, de' Mu. Riceard., p. 223 [Gregorio Calo-
nista di Firenze]. Trucchi, II, 147 [Messer Gregorio Calo-
nista di Firenze]. Cantilene e Ballale [ed. G. CARDUca]. Pisa,
1871, p. 313 [e s.]
XXY. Griffoni Matteo.
1. Amor^ i' mi lamento d' està dea (ball.)
Edizz.: G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi. Bologna, 1784,
voi. IV, p. 301 [Balata Mathei predicti (de Griffonibus)].
Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa, 1871, p. 324 [Matteo de'
Griffoni].
2. Chi ha, si tegna^ perché chi possedè (ball)
Ediz.: Cantilene e Ballale [ed. G. Carducci]. Pisa, 1871, p. 326
[Matteo de' Griffoni].
(1) Francesco di Vannozzo rispose col son. : / belli accenti di tue
rime accorte (cod^ 59 Semin. PadoT., ibid.) [Resp(onsio) Franc(i-
sci) Vanno(tii)].
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. l/ 49
3. Chi tempo Aa, e tempo per viltade aspetta (ball.) 6, xxr
Ediz.: Cantikne e BdlaU [ed. G. Carducci]. Pisa, 1871, p. 327 ^'^^^ "^
[Matteo de' Griffoni].
4. Da piccai can spesso si ten einglare (madr.)
Edizz.: Fantuzzi, Notizie d, scriU. boi., voi. IV, p. 299 [Mattei
pr e die ti (de Griffonibus)]. Cantilene e Ballate [ed. G. Car-
Duca]. Pisa, 1871, p. 328 [Matteo de' Griffoni].
5. Giurate, danna, per la fede mia (ball.)
Ediz. : Cantilene e Ballate [ed. G. Carducci]. Pisa, 1871, p. 327
[Matteo de' Griffoni].
6. Nessun si fidi troppo (ball.)
Edizz.: Fantuzzi, Notizie d. scritt. boi,, voi. IV, p. 301 [Balata
Mathei predicti (de Griffonibus)]. Cantilene e Ballate [ed.
Carducci]. Pisa, 1871, p. 322 [Matteo de' Griffoni].
7. Non sa che ben si sia chi mal non prova (madr.)
Edizz.: Fantuzzi, Notizie d. scritt, boi, voi IV, p. 299 [Mathei
de Griffonibus]. Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa, 1 871 ,
p. 3:26 [Matteo de' Griffoni].
8. Non sia chi tenga dentro dalV ospicia (ball.)
Ediz.: Cantilene e Ballate [ed. Carduc< ' : Pisa, 1871, p. 323
[Matteo de' Griffoni].
9. Non tema 7 spina chi vuol coglier fiore (ball)
Edizz.: Fantuzzi, Notizie d, scritt, boi, toI. IV, p. 299 [Mathei
predicti (de Griffonibus)]. Cantilene e Ballate [ed. Carducci].
Pisa, 1871, p. 324 [Matteo de' Griffoni].
10. Non ti fidar in stato, né riccheeea (madr.)
Edizz.: Fantuzzi, Notizie d. scritt. boi, voi. IV, p. 300 [Madri-
gai Mathei de Grifonibus]. Cantilene e Ballate [ed. Carducci].
Pisa, 1871, p. 324 [Matteo de' Griffoni].
VoL IV, Pane 11 4
50 C. « L. FRATI
fi, xxvm ii- 0 tUf che sedi in cima della rota (balL)
GUAZZALOTRI
Edizz. : Fantuzzi, Notizie d. scritt. boi, voi IV, p. 300 [Malici
de Griffoni bus]. Cantilene e Ballate [ed. CAROUCa]. Pba,1871,
p. 322 [Matteo de' Griffoni].
12. Se pur vi piace^ gentil donna mia (balL)
Ediz.: Cantilene e Ballate [ed. Carducci]. Pisa, 1871, p. 325
[Matteo de' Griffoni].
13. Se questa dea di virtù e onestate (ball.)
Ediz.: Cantilene e Ballate [ed. CARDUCa]. Pisa, 1871, p. 325
[Matteo de' Griffoni].
XXYL Gualpertino da Goderla.
Mettiamo il parentato da un lato (son.)
Ms.: •Barber. XLV, 47, e 162 [Gualpertino].
XXYIL Gualterotti Federigo.
Chi di cercare signore si sagia (sod.)
Ms.: •VaL 3793, e. 1676 [Federico Gualterotti].
XXYIIL Guazzalotrì (De') Antonio.
Per gran forza d' amor commosso e spinto (cap.)
Mss.: * Senese I, IX, 18, e. 1176 [Capitolo del Nobile Gio-
vane Antonio de Guazalotri di Prato fatto a prieghi di
me Johanni Bonafé qui in Vinegia anno mccccx. E1 quale
feci fare per mandare a una donna]. Cod. Canonie, ital 99
nella Bodleiana di Oxford, e. 166 [a non.]
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 51
XXIX. Guglielmo (fra) eremitano. — ^^j^^ —
DEL P/ULAGIO
Saturno e Marte^ stelle infortunate (sod.)
Ediz.: Crescimbeni, ed. Yen., Ili, 112 [F. Guglielmo dell'or-
dine de' Romitani].
XXX. Gnidantonio da Hontefeltro.
1. I sacri piedi V una e T altra palma (sod.)
Ms.: * BibL Naz. di Napoli, cod. Xm, C, 1, in fine [Sonectum
eiusdem Dom. Comitis (Antonii Montifferetri Urbini)].
2. 0 sommo etemo e infinito bene (cap.)
Ms. : *Bibl. Naz. di Napoli, cod. Xin, C, 1, io fine [Capitulum
sive Terziarium Magnifici Domini Comitis Antonii Mon-
tifferetri Urbini etc.].
3. Qual cor di pietra non si liqueface (son.)
Ms.: * Cod. Canonie, ital. 50 nella Bodleiana, e. 166 [Sonecto
facto dal lUu. conte di Urbino in die Veneris Sancii].
XXXI. Guido del Palagio.
O tergo sacro del col tuo valore (canz.)
Mss. : 'Riccard. 1156, e. 31 [Canzone morale di Guido di
Messer Tommaso del Palagio]: * 1717 [Canzon di Guido
dei Lupane]. * Laur., pi. XC inf., 47, e. 37ò [Canzone di
Guido di messere Tomaso di Neri di Lippo di Firenze].
Guido da Siena
Quella virtti che il terzo cielo infonde
Ne* cuor che nascon sotto la sua stella (canz.)
Vedi UberU (degli) Facio.
a,
GUINICELLI
G.
52 a « L. TRATI
XXXn. Guido daU' UUvera
Un novo serventese incominciare (serv.)
Ms.: 'Senese I, V, 1, e. 127 a [Seruentese di fra Guido
dall'Ulifera diuiso in cinque parti].
XXXIIL Guidonerì (Finfo del Buono) da Firenie
1. Se long" uso mi mena (canz.)
Ms. : *Vat. 3793, e. 61 a [Finfo del Buono Guidoneri di
Firenie].
2. Vostro amoroso dire (canz.)
ìfs. : *VaL 3793, e 61 a [Finfo del Baono GuidaneroJ.
XXXIV. Guinicem Guido
ì. Al cor gentil ripara sempre amore (canz.)
Mss.: Barber. XLV, 47, e. 37 [Guido Guinicclli]. Val 3793,
e. 31 h [e. s.]: VaL 3213, e. 172 [e. s.]: Parigino 55i, e. 32
[e. s.]. MoQck. 2 della Governativa di Lucca, e. 63 [e. s.]: li [e s.].
Marc., cL IX il., 191, e. 71 [Gino da Pistoia]. Cod. Bos^i 36,
ora Trivulz. 1058, e 92 [Guido Guinicelli]. Senese I, Vili, 3fi,
e. 105 [anon.] Magliab. VII, 7 1208, e. 93 a [Guido Guinicellil.
Laur. Red. 9, e. 73 6 [e. s.] Laur. Strozz. 170, e. 60 6 [anoD.]
Laur., pi. XC inf., 37, e. 32 a [Guido Guinicelli]. Bibl. Naz. di
Firenze, Palat. 204, e. 61 a [e. s.] : 203, e. 1 a [e s.] : il8, e.
1 3 fl [e. s.] Chig. L, Vili, 305, e. 1 6 [e s.] Casanat d, V, 5.
e. 106 a [e. s.]
Ediz. : Francesco da Barberino, Docum. d' amore [ed. UbaldiniI-
Roma, 1640, Tavola, s. v. i, onne , amanza (i w. 15-17, 57,60)
[Guido Guinicelli].
2. Awegna T m' abbia più voUe per tempo (canz.)
Mss.: Barber. XLV, 47, e. 38 [Guido Guinicelli]: XLV,1»,
e. 112 [Gino da Pistoja]. Chig. M, VII, 142, e 41 [e s.] Val
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 53
3213, e. 256 [Guido Guinicelli]. Riccard. 1118, e. 65 [Gino G,
da Pistoia]: H56, e. 192 [e. s.] Marc. 64, e. 62 [Dante], guinicelli
6.
3. CV f core avesse mi potea laudare (sod.)
Mss.: VaL 3793, e. 115 a [anon.]: 321i, e. 131 b [Guido
Guinicelli]. Riccard. 2846, e. HO a [e. s.] Laur. Red. 9, e.
1 35 a [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, Palat. 41 8, e. 74 ( [ano n.] : 204,
e. 64 ò [Guido Guinicelli]. Casanat. d, V, 5, e. 109 a [e. s.]
Chig. L, Vili, 305, e 62 fl [e. s.] Bologn. Univ. 1289, e. 15 [e. s.]
4. Chi vedesse a Lucia un var cappuBBo (sod.)
Mss.: Riccard. 2846, e. 109 6 [Guido Guinicelli]. Chig. L,
Vni, 305, e 626 [e. s.] VaL 3214, e 131 a [e. s.] Bologn.
Uoiv. 1289, e. 14 h [e. s.] Cod. cdxlv della Capitolare dì Verona,
e 57 [e. s.]
5. Con gran disio pensando lungamente (canz.)
Mss.: Chig. L, IV, 131, e. 77 [anon.] Bibl Naz. di Firenze,
PalaL 418, e. 42 a [e. s.]
6. Cantra lo meo volere (canz.)
Mss.: Cod. Bargiacchi ricordato nel MoQck. 2, e. 88 ò [Guido Gui-
sizelli]. BibL Naz. di Firenze, PaIaL 418, e. 416 [anon.] Laur.
Bed. 9, e 81 6 [Paganino da Serzana]. VaL 3793, e. 9
(Messer Paganino da Serezano].
7. Diavol ti levi, vecchia rabbiosa (son.)
Mss.: Chig. L, VUI, 305, e. 62 b [Guido Guinicelli] Bo-
logn. Univ. 2448 [e. s.] Ms. Bartoliniano, e. 28 [e. s.]
Ediz.: F. Zambrini, Opere volg, a stampa, ediz. 3.* Bologna, 1866,
p. 214 [Guido Guinicelli].
S. Dolente^ lasso, già non m' assecuro (soo.)
Mss.: Laur., pL XC inf., 37, e. 346 [Guido Guinicelli] Chig.
L, VIU, 305, e. 616 [e s.] : L, IV, 131, e. 837 [e. s.] Vat.
3214, e. 137 a [e. s.] Bologn. Univ. 1289, ce. 33 e 200 [e. s.]
Bibl. Naz. di Firenze, PalaL 204, e. 64 a [e. s.] Riccard. 2846, e
109 b [e s.] MagUab. VII, 7, 1208, e. 30 a [e. s.]
54 a B L. FRATI
G, XXXIV 9. Donna, P amor mi sforza (canz.)
GUINICELU
G.
Mss.: Riccard. 28i6, e. 115 a [Guido Guinicelli]. Val
3793, e. 31 b [e. s.] Laur. Red. 9, e. 73 6 [e s.] Bibl. Nai. di
Firenze, PalaL 418, e 40ò [anon.]: 204, e. 596 [Guido Guini-
celli]. Bologn. Univ. 1289, e. 202 [e. s.]
1(X Fra VàUre pene maggior credo sia (son.)
Mss.: Riccard. 2846, e. Ili b [Guido Guinicelli]. Laur. Red.
9, e 129 a [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, Palat. 204, e 65 a [e $.]
God. Bartoliniano, e. 27 [e. s.].
11. Oentil doneella^ di pregio nomata (son.)
Mss.: Laur. Red. 9, e. 141 ò [Guido Guinicelli]. BibL Nai
di Firenze, Palat. 204, e. 65 6 [e s.] Riccard. 2846, e 112 a [e s.J
God. Bartoliniano, e. 27 [M."" Rinuccino]. Chig. L, Vili, 3(6,
e 67 6 [e s.]
12. In quanto la natura (canz.)
»
Mss. : Bibl Naz. di Firenze, Palat 418, e. 426 [anon.] (1) Gbig-
L, IV, 131, e 79 [e. s.]
13. Io vd del ver la mia donna laudare (son.)
Vedi appresso, n.* 20.
14. La bella stella che il tempo misura (canz.)
Vedi Gino da Pistoia.
15. Lamentomi di mia disavventura (son.)
Mss.: Laur, pi. XC inf., 37, e. 36 6 [Guido Guinicelli]. Laur.
Red. 9, e. 144fl [e. s.] Chig. L, IV, 131, e. 838 [e. s.): L, Vili,
305, e. 73 [anon.] Bologn. Univ. 1289, e. 175 [e. s.] Riccard.
2846, e. 112 a [e. s.] God. Bartoliniano, e. 77 [e. s.]
(1) Segue ad altre rime di Guido Gcinicelu.
INDICB DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 55
16. Lo fin pregio avaneato (canz.) 6, tjojv
GUINIGELLI
Mss.: Vat 3214, e. 90 a [Guido Guinicelli]: 3793, e. 38 a g.
[aDon.] Riccard. 2846, e. 116 a [Guido Guinicelli]. Laur.
Red. 9, a 74 ò [e s.] Bibl. Naz. di Firenze, Palat. 418, e. 40 a [e. s.]
Chig. L, Vili, 305, e. 2 ò [e. s.] Ms. Bartoliniano, e . 27 [e. s.]
17. Lo vostro bel saluto e gentil guardo (son.)
Mss. : Chig. L, VRI, 305, e. 61 b [Guido Guinicelli]: L, IV, 131,
e 834 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, Ralat. 204, e. 63 6 [e. s.]
Laur., pL XG inf., 37, e. 34 a [e. s.] Riccard. 2846, e. Ili a [e. s.]:
1118, e. 96 [e. s.] Bologn. Uni?. 1289, e. 198 h [e. s.]
18. Madonna^ dimostrare (canz.)
Mss. : Bibl Naz. di Firenze, PalaL 418, e. 25 ò [anon.] (1) Chig.
L, rv, 131, e. 65 [e. s.] Cod. Boncompagni 7, e. 76 [Monaco da
Siena]. Senese C, IV, 16, e. 63 [e. s.]
19. Madonna^ il fino amore cV eo vi porto (canz.)
Mss.: Braidense A G, XI, 5, e. 82 [Guido Guinicelli]. Vat
3793, e 31 a [e. s.]: 3214, e. 88 a [e s.] Laur. Red. 9, e. 73 a
[e s.] Cod. Galvani, e. 22 b [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, Palat
418, e. 24 a [e s.] : 203, e. 4 ò [e. s.] : 204, iU5. 62 6 e 60 6
[e s.] Casanat d, V, 5, e. 107 b [e. s.] Chig. L, Vili, 305, e.
1 fl [e. s.] : L, IV, 131, e. 832 [e. s.] (2). Bologn. Univ. 1289,
e 200 6 [e. s.] Cod, CDXLV della Capitolare di Verona, e. 57 [e. s.]
Ediz. : Franc. da Barberino, Docum. d' amore [ed. Ubaldini].
Roma, 1640, Tavola, s. v. eomuno (i w. 45-46) [Guido Guinicelli].
20. Madonna mia^ quél di cV amor consente (son.)
Ms.: 'Casanat d, V, 5, e. HO [Guido Guinicelli].
21. 0 caro padre meo^ di vostra laude (son.)
Ms.: Laur. Red. 9, e. 125 [Messer Guido Guinisselli a
Frate G.].
(1) Segue ad altra canz. del Guinicelli.
(2) Questo cod. e il seguente contengono soltanto la parte finale
Ut emione.
6UINICELU
G.
56 C. ■ L. FRATI
G, XXXIV 22, Omo eh* è saggio non corre leggiero (son.)
Vedi appresso, n.° 26.
23. Pur a pensar mi par gran maraviglia (son.)
Mss. : Laur. Red. 9, e. 129 a [Guido Guinicelli]. Laur^
pi. XC inf., 37, e. 35 ò [e. s.] VaL 3214, e. 148 a [e. s.] Ric-
card. 2846, e. Ili a [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, PalaL 204,c.6iè
[e. s.] Chig. L, Vni, 305, e. 117 [e s.] Cod. Bartoliniano, e 25
[e s.]
24. Si son io angoscioso e pien di doglia (sod.)
Biss. : Laur. Red. 9, e. 129 a [Guido GuÌDÌcelli]. Laur.,
pi. XC iof., 37, a 35 6 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, PalaL 204, e.
65 a [e. s.] Cod. Bartoliniano, e 26 [e. s.] Riccard. 2846, e. 111^
[e. s.]
25. Tegno di folle impresa a lo ver dire (caoz.)
Mss.: Riccard. 2846, e. 112 6 [Guido Guinicelli]. Cbig. L,
Vili,, 305, e. 1 fl [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, Palat 204, e. 58 h
[e s.] Bologa Univ. 1289, e. 41 [e. s.]
Ediz.: Frano, da Barberino, Docum. d'amore [ed. Cbaldim]
Roma, 1640, Tavola, s. v. en (i w. 5-6,25-26) [Guido Guinicelli]-
26. Uomo eh' è saggio non corre leggiero (son.)
Mss.: Val. 3793, e. 157 6 [Guido Guinicelli): 321i,c
131 6 [e. s.] Laur. Red. 9, ce. 431 a e 142 6 [e. s.] Barber.
XLV, 47, e. 140 [Guittone d'Arezzo]. Cliig. L, Vili, 305, e
61 6 [Guido Guinicelli]: L, IV, 131, e. 840 [e. s.] Bologn.
Univ. 1289, e 16 [e. s.] Riccard. 1103, e 69 [Dante Ali-
ghieri]: 2846, e. 110 a [Guido Guinicelli]. Bibl. Naz. di
Firenze, Palat. 204, e. 66 a [e. s.] Casanat d, V, 5, e. 109 6
[e. s.] Magliab. VII, 7, 1208, e. 30 6 [e. s.] Ambros. 0, 63 su-
pra, e. 31 [a non.]
27. Veduto ho la lucente stella diana (sod.)
Mss.: Chig. L, Vili, 305, e. 61 6 [Guido Guinicelli]. Vat
3214, e 137 a [e. s.] Riccard. 2846, e. HO 6 [e s.] Bologn.
mOlCE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.* 57
Univ. 1289, e. 16 [e. s.] Bibl. Naz. di Firenze, Palai 20i, e. 66 6 LG u i d o 6, xxxv
Gu ini celli]. Magliai). VII, 7 1208, e. 30 a [e. s.] Laur., pi. XC guinigi m.
inf., 37, e 34 ò [e s.] Casanai. d, V, 5, e. 109 a [e. s.]
28. Voglio del ver la mia donna laudare (sod.)
Mss.: Vat 3793, e. 126 6 [Guido Guinicellil: 3214, e.
129 a [e s.] Chig. L, Vili, 305, e. 62 a [e. s.] : L, IV, 131, e.
836 [e s.] Bibl. Naz. di Firenze, PalaL 204, e. 64 a [e. s.] Bologn.
Unif. 1289, ce. 1 a e 1996 [e. s.]
XXXV. Guinigi Michele.
1. Franco mio dolce ^ V abbondanti lene (son.) (1)
Edizz.: G. Sercambi, Novelle [ed. C. Minutoli]. Lucca, 1855 [Mi-
chele Guinigi J. F. Sacchetti, Sermoni evangelici [ed. 0. Gigli]. ,
Fireme, 1857, p. 203 [e. s.]
2. Mentre che V alma è involta in questi panni (son.) (2)
Edizz.: G. Sercambi, Novelle [ed. Minutoli]. Lucca, 1855 [Mi-
chele Guinigi]. F. Sacchetti, Sermoni evanyel, [ed. Gigli].
Firenze, 1857, p. 201 [e. s.]
3. TtUti i morali^ ben che fra le spine (son.) (3)
Edizz.: G. Sercambi, Novelle [ed. Minutoli]. Lucca, 1855 [Mi-
chele Guinigi]. F. Sacchetti, Sfrmont et;an^e/. [ed. Gigli]. Fi-
renze, 1857, p. 205 [e. s.]
4. Volge sua ruota sanza alcun rispetto (son.) (4)
Edizz.: G. Sercambi, Novelle [ed. Minutoli]. Lucca, 1855 [Mi-
(1) A Franco Sacchetti, in risp. al son. : Michel mio caro, s io
Sogguardo bene,
(2) A Franco Sacchetti, in rìsp. al son. : Michele, i" ho sentito
< grandi affanni.
(3) A Franco Sacchetti, in rìsp. al son.: Ben parve de terren
diletti il fine,
(4) A Franco Sacchetti, in rìsp. al son. : Sempre ho veduto che
ogni diletto.
58 e. B L FRATI
6, xxxvi chele Guinigi]. F. Sacchetti, Sermoni evangel. [ed. GiGU].
GUiTTONE Firenze, 1857, p. 204 [e. s.]
D'AREZZO
XXXVL Gnittone d* Arezzo.
1. A far meo parto con te parte cheo (son.)
Ms.: VaL 3793, e. 123a [Guittone medesimo].
% A te Montuccio^ ed cigli altri^ il cui nomo (canz.) (I)
Ms.: *VaL 3793, e. 155Ò [Guittone d'Arezzo].
3. Ahi cara donna di valore al sommo (son.)
Ms.: Vat 3793, e. 123Ò [Guittone medesimo].
4. Alcuna volta io mi perdo e confondo (son.)
Ediz. : Sonetti e canzoni di diversi antichi autori toscani in died
libri raccolte. Firenze, per li heredi di Philippo di Giunta, 15:27, e. B9
[Guittone d'Arezzo].
5. Ben moraggio^ s^ eo non ho perdono (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 96 [Guittone
d'Arezzo].
6. Ben si conosce lo servente e vede (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 92 [Guittone d'\-
rezzo].
7. Che bon Dio sommo sia creatore (son.) (2)
Ms.: • Laur. Red. 9, e. 125 a [F. G.]
(1) A Monte da Firenze che risp. colla canz.: Poi non son saggC
si eh *el prescio e 7 nomo (vaL 3793, e. 155 a).
(2) Respons. al son. anon. : Ragion mosse ed Amor lo Fattore.
INDICE DELLE CASTE DI P. BILANCIONI, P. I.^ 59
8. Cickscuno esemplo cK è deW uomo saggio (son.) 6, xxxvi
PTT1T*rnNR
Edìz.: Sonetti e Oinzone ecc. Firenze, 1527, e. 94 [Guitto ne d'^hezzo
d' Arezzo].
9. Comparomi per venire ad amore (son.)
Ms.: Laur. Red. 9, e. 137 ò [Guittone].
10. Credo savete òen, messer (Mesto (son.)
Bis.: Vat 3214, e. 1606 [Guittone a Messer Bonesio].
Ediz.: ALLAca, Poeti antichi, p. 392 [Guitone d'Arezzo].
11. Diporto e gioia nel meo core apporta (son.)
Ms.: *Laur. Red. 9, e. 1146 [Guittone].
12. Dispregio pregio e non pregio pregiansa (son.)
Ms. : Laur. Red. 9, e. 128 b [F. G.]
13. Doglio e sospiro di ciò che m' awene (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e 92 [Guittone
d'Arezzo].
14. Doglioso e lasso rimase il meo core (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 95 [Guittone
d'Arezzo].
15. DoUezea alcuna o di voce o di suono (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 94 [Guittone
d'Arezzo].
16. Dolente^ tristo e pien di smarrimento (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 94 [Guittone
«l'Arezzo].
17. Donna del cielo, gloriosa madre (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 89 [Guittone
d'Arezzo].
60 e. 8 L, FRATI
6, xxxYi 18. Donna^ lo reo fallir mi spaventa (sod.)
GUITTONB ri !• n . n. m»>f\.m r\rk m •
D'AREZZO Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e 96 [Gnittone
d'Arezzo].
19. Ed in ciascuna vuoisi conto e saggio (sod.)
Ms.: 'Laur. Red. 9, e. 137 [Guitone].
20. Fera ventura è quella che ni awene (sod.)
Ediz: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 92 [Guittone
d'Arezzo].
21. Gentile ed amorosa criatura (sod.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 93 [Guittone
d'Arezzo].
22. Già mille volte quando Amor m* ha stretto (soo.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e 90 [Gaittone
d'Arezzo].
23. Giudice Gherardo, ahimè che stroppo (soD.)
Ms.: •Laur. Red. 9, e. 127 6 [F. G.].
24. Gran piacer, Signor meo, e gran desire (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 89 [Guillone
d'Arezzo].
25. Infelice mia stella e duro fato (son.)
Ediz.: Sonetti e canzofie ecc. Firenze, 1527, e. 90 [Gui Itone
d'Arezzo].
26. Io son diletto di ciascun vivente (caoz.)
Ms.: Riccard. 1091, e. 1146 [Mino di Vanni da Siena].
Ediz. : Rime e prose del buon secolo della lingua [ed. Bini]. Lucca,
1852, p. 48 [Guittone d'Arezzo].
INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I." 61
27. La dolorosa mente ched eo porto (son.) 6, xxxvi
GOITTONE
Ediz.: Sonetli e canzone ecc. Firenze, 1527,0.94 [Guillone d'arezzo
d'Arezzo].
38. La mia donna che di tutf altre è sovrana (canz.)
Mss.: Vat 3793, e. 49 a [Guillone medesimo]. •Laur.
Red. 9, e 656 [G. d'Àresso quìvoca].
29. La pianeta mi pare oscurata (sod.)
£dìz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e 93 [Guillone
d'Arezzo].
30. Mille salute mando, fior novello (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 91 [Guillone
d'Arezzo].
31. Noi sem sospiri di pietà formati (ball.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 96 [Guillone
d'Arezzo].
32. Non con altro dolor T alma discioglie (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 90 [Guillone
d'Arezzo].
33. Non desse donna altrui altro tormento (son.)
Ms.: Riccard. 2846 [Guillone].
Ediz.: GiUTTONE d'Arezzo, Rime [ed. ValerianiJ. Firenze, 1828,
ToL I, p. 190.
34. Non fé' V augel di Giove Ida si mesta (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 90 [Guillone
d'Arezzo].
62 e. B L. PRATI
f, XXXVI 35. Non già me greve fa (f amor la salma (sod.)
i* AREZZO ^^-' ^^^ ^^^^> ^ i^Za [Guittone medesimo].
36. Non mi credeva tanto aver fallato (soo.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, i527, e 91 [Guittone
d'Arezzo].
37. Non oso dir, né fame dimostrama (sod.)
Gdiz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e 95 [Guittone
d'Arezzo].
38. Non per meo fallo^ lasso^ mi convene (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 93 [Guittone
d'Arezzo].
39. 0 donne mie^ merzè^ considerate (soo. doppio)
Ms.: *Bibl. Com. di Piacenza, cod. 190, ala [Guittone].
40. 0 Regina del deh, o giglio aulente (sod.)
Ediz.: *Redi, Annotaz. al Bacco in Toscana. Firenze, 1691, p.
110 (\ TV. 1-6) [Guittone d'Arezzo].
41. Partito sono dal viso lucente (sod.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 95 [Guittone
d'Arezzo].
42. Piacemi cavaliere che Dio temendo (son.)
Ediz.: *Redi, Annotaz, al Bacco in Toscana, Firenze, 1691, p. 171
(i vv. 1-4) [Guittone d'Arezzo].
43. Qual uomo si diletta in troppo dire (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 9i [Guittone
d'Arezzo].
INDICB DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.'
63
44. 5* el si latnente nulF uom di ventura (son.) 3* "^^
GUITTONE
Ediz.: SonetH e canzone ecc. Firenze, 1527, e. 93 [Guillone d' Arezzo
d'Arezzo].
45. Se di vaij donna gente (canz.)
Ms.: (kxL GalYani, e 20 [anon.] (1).
46. Se di voi, donna^ mi negai servente (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, i527, e. 95 [Guittone
d'Arezzo].
47. Se solamente dello meo peccato (son.)
Ediz.: Sonetti e canzone ecc. Firenze, i527, e. 92 [Guittone
d'Arezzo].
48. Sempre poria V uom dire in està parte (son.)
Ms.: Vat 3793, e. i21 a [Guittone medesimo].
49. Tempo ven che salire e che discendere (son.)
Mss.: Barber. XLV, 47, e. 153 [Fra Guittone d'Arezzo)
Chig. L, Vili, 305, e. 84 [Enzo re]. VaL 32U, e. 134 [e. s.[.
Riccard. 2846, e. 60 [Enzo]: 1103, e. 127 [anon.]
Edizz.: Allacci, Poeti antichi, p. 390 [Guitone d'Arezzo].
Crescimbeni, ed. Yen., UT, 38 [Enzo re].
50. Uomo eh' è saggio non ha cor leggiero (son.)
Ms.: Barber. XLV, 47, e. 140 [Fra Guittone d'Arezzo].
Ediz.: Allacci, Poeti antichi, p. 388 [Guitone d'Arezzo].
(1) Contiene soltanto la flne di questa canz. cominciando dal v. :
iJna statua, o donna, a voi sembiante, fine che manca nella stampa
Giuntina del 1527; una parte ne fu data dal Valeria ni nella stampa del
Ì828; e il NANNUca riportando nel 1837 la canz. nel suo Manuale,
asciò pur ^ addietro la parte ommessa dal Valeruni.
64 e. B L. FRATI — INDICE DELLE CARTE DI P. BILANCIONI, P. I.*
6, xxxYi 51. Uomo fallito^ pien di van pensieri (son.)
GUmONE
D'AREZZO
Ms.: Barber. XLV, 47, c- 143 [Fra Guitlone d'Arezio].
Ediz.: Allacci, Poeti antichi, p. 389 [Guitooe d'Arezzo].
52. Voglia di dir giusta ragion nC apporta (son.)
Mss.:*VaL 3793, e. 46a [Guilone darezo]. •Laur. Red. 9,
e. 65 [G. d'Arezzo quivoca].
Ediz.: G. G. Trissino, Opere. Verona, 1790, voi. II (Poetica, di-
vis.^3.'), p. 29 (i TV. 1-4) [Guittone d'Arezzo],
(Continua)
C « L. Frati
LA DRAG HA DE ORLANDO
DI FRANCESCO TROMBA
Prima di pabblìcare per intero questo poema ho
folate farlo assaggiare ai lettori del Propugnatore, mosso
dalla speranza d* invogliare alcuno di essi , coltissimi ed
eruditi, a favorirmi quelle notizie che mi fanno difetto e
sull'opera e più sull'autore, e che non dovrebbero, se
è possìbile , mancare all' edizione compiuta di tal poema.
Del quale la più antica notizia bibliografica ci è data
da Marin Sanudo il giovine nel God. Marc, ci. IX, n.""
CCCLXiX, a p. 231»> (1) cosi: La draga di orlando per
frane.*" tromba da Gualdo istoriato.
Se tutti quei che mai cantaro in rima
daltèpo di homer fina questa hora
cose alte e de celica stima
dei vechij monumenti uscisser fora
non porien la mia opra tanto in cima
quanto si conuerebbe edi do plora
ogni mia fantasia ma oro eprego
a te Joue mio car che non fi nego
(1) Il eh. prof. Rajna cortesemente m'indicò una notizia del prof.
Crcscini nel Giom. st. d. iHt. ital.^ V, 181, sulla nota del Sanudo. Ho
direttamente attinto al codice per quelle più compiute indicazioni che dal
Crescini non erano date.
VoL IV, Parte II. 5
66 GUOOMO YANZOLINI
stampato In perosa per bianchine del liane 1525.
la draga libro secando historiato
attempo dela pace ogni soldato
dormendo marte ripiglia piacere
ma quando aduien che sia puoi risuegliaio
ripiglia larme et cambia ognun pensere
Talson fato Io che fin qui ho cantato
de cose amen piacevole et lieiere
a me conuien cambiar più alto tasto
per quisti dui che uengono ad contraio
StampcUo Imperosa per cosmo da Verona 1527.
Ma poi per lunghissimo tempo se ne perde la trac-
cia, tanto che nessuno dei bibliografi del secolo scorso
ricorda questo poema, sebbene ne citino e dello stesso
Francesco (1) e di Girolamo (2) che forse gli fu fratello;
fino a quando non fu descritto nei famosi cataloghi di
vendita di Riccardo Heber i quali fornirono e al Melzi e
al Brunet e al Graesse quella descrizione che ricopiarono
senza avere pur visto un esemplare dell'opera. Né, in
Italia tanto, credo che esista o almeno si conosca altra
copia che quella ch'io posseggo del I libro di questo
poema ; e del II libro si sa soltanto che ve n' ha una
nella Trivulziana; cosi che l'intero poema potrebbe essere
unicamente ripubblicato per il I libro su questo mio
(1) Haym, Bihl. Ito/. — € Tromba Fr. (de Gualdo di Nocera), Tra-
> bisonda historiada con le figure a li suoi Canti, nella quale se contiene
» nobilissinae battaglie, con la vita, et morte di Rinaldo. — Venezia, Vi-
» dali, 1518, in 4°, e Guadagnino, 1554, in 8.* — E corretta e alla
» sua integrità ridotta: Venezia, Aless. de Vian, 1568 , io 8.* » — Anche
il Sanudo ricorda questo poema cosi: e Trabisunda istoriata de la vita et
» morte di orlando (sic) ». — Dello stesso Fr. Tromba l'Haym cita il
e Rinaldo furioso, Venezia, Bindoni, 1542, in 4.® >.
(2) Tirabosch•^ T. Vili, L. 3^, XUI ricorda il e Danese Uggieri » di
Girolamo Tromba da Nocera.
LA DRAGHE DE ORLANDO DI FRANCESCO TROMBA 67
esemplare e per il II sa qaello del m."® Trìvulzìo. Il
che sì potrebbe far pienamente quando le mie ricerche,
per ora infruttuose, e gli aiuti degli eruditi abbian dato
maggior luce sul Tromba: quando mi venisse fatto di
trovare quelle quaranta stanze del e. VI che mancano a
me, per essere state dal mio esemplare strappate le carte
XXVIII e XXIX: e quando infine il m.»« Trivulzio vo-
lesse permettere che il II libro ch'egli possiede fosse
pubblicato.
Aspettando tutto ciò, ecco la descrizione del mio
esemplare. Il volume è in 8^ gr. con segnatura A-L. La
1 carta ha nel recto un'incisione in legno consistente in
un fregio che rinchiude il titolo e, sotto a questo, un
quadretto; nel cui primo piano, a destra, è rappresen-
tato un ippogrifo immerso nella vasca d'una fonte: e
sotto r ippogrifo è scritto DRAGINAZO e sulla fonte
FONS. MERL (ini); a sinistra, un cavaliere in atto di
salire in arcioni, e sopra a lui è scritto .... VGINO; nel
secondo piano si vede sulla riva di un mare o lago una
donna entro un circolo magico fra due diavoli, e sul
capo della donna è scritto ARGENTINA, e dei diavoli
quel di destra è FARFARELLO quel di sinistra DRAGI-
NAZO; un Cupido saettante è sull'angolo sinistro supe-
riore, e pure a sinistra, ma nell' angolo inferiore, si legge
E. F.
Il titolo, in caratteri gotici, è questo: Opera nona
chiamata la Dra » | gha de Orlando innamorato : \ doue
si cotene de molte bat \ taglie: mamorameti: e co \ me
Renaldo si concio \ co Plutone in lo \ Inferno.
Nel verso si legge la seguente dedica in carattere
italico, come quello di tutto il poema:
ALLA Gnosa <è III Casa Bagliona. El suo fideUs-
^mo subgecto éb humile mancipio. Francesco Tromba da
Gualdo de Nucea. Filicita perpetua.
68 GUOOMO YANZOLINI
jTokva 0 Generosa Casa Bagliona corno se coue-
^ niua altri uersi didicare a tua excelsitudine: ma
habiandome el grane peso della inopia in ogne sulterania
uoragine sepolto. No posso ad quella rendere Amomi:
nò Cynami Arabici: nò Sabei incensi. Ma solo odori di-
spiaceuoli e arzilate caligine: corno quello subspinto da
uarii casi. E maco dodo ydioma nò habiado no che
asceso: ma a pena uisto el corcume de Nisa: e niaco qUo
de Cyrra. Ma tu generosa Casa: alla qle più uolte porsi
la rosta fronte nò desdignara receuere i temerarii papiri:
nei quali fra le altre antiche e moderne storie maxima-
mente se cotene tua serinissima Prosapia lamore deUa
qle già multi ani me pme el graue remo in mano p.
solcare lo altissimo mare de tua Generosità: e la mìa
sopita musa: secòdo sua capacita relustro: ne mai dalUwra
in qua e restata catare tue Tmortale laude. Ne io per
altra guida nauigai: e si comò qlb Nochiero eh' Irapoz-
zato da procellusi uenti perde la tramòiana del nostro
emisperio: sotto lo Artico o uero Antartico polo la ri-
troua e co nona arte no senza grandissima tema e fai-
tiga toma ne i disiati porti. Tale io che se nel 1521
persi la mia lucente stella. Tre ogne una per se no manco
fulgida ne retrouai a i ruggii delle quale spero auante
Dio me redomande gli imprestati giorni, schiffando li
a^p.imi scoglii pigliare porto salutifero. Et allhora la mia
resuegliata musa penetrado de cioelo in cioelo fine a q (lo de
Marte farse sentire sempre in honore, gloria, e fama : de
tua excelsitudine. La qle dio preserui in fiUcita perpetua.
Molti han concelebrato: in più uolume
lepre de Carlo degno Imperatore:
ma nullo astringe appieno el suo ucdore:
che in terra quasi fu un celeste nume^
L4 DRAGHA DE ORLANDO DI FRANCESCO TROBiBA 69
Onde franeesco stse geste resumé
ad cantar li più excelsi d; li magiare :
guai già ripien del pegaseo liquore
facti gli ha con soi carme più chiar lume
Vedrai qui inserte hystorie famosissime
de gli antiqui^ e moderni assai mirabile
guai per legenda fiana a te gratissime:
Si che per tuo piacer Lectare affabile
compra questa Opra: gratie meritissime
rende al noua Poeta almo e notabile.
Alla carta II recto comincia il poema che coDsta di
diciassette canti in ottava rima, 1738 ottave in tatto, e
si stende per carte 91 numerate con cifre romane nel
recto. A piedi dei verso delia carta LXXXXI si legge:
FnUto el primo Ubro de la Draga: de
Orlado inamorato Stampato per me
Bianchino del Lione: & Fran-
cescho Tromba da Gualdo de
Nucera: in la inclita citta
de Perusia : adi 15 . de
Marzo. M.D, XXV.
Con Gratta <^ Priuilegio.
E questa grazia e questo privilegio risultano dalla
seguente concessione, che è nel recto dell'ultima carta
non numerata e che riporto qui tale quale.
De mandato Reuerendi domini Vicelegati Perusiae
Vmbrieque : Vniuersis <& singuUs per Ciuitates et loca suae
Vicelegationis constitutis <fe presertuum impressoribus fó-
brorum precipitur iè inhibetur ne quemdam librum inti-
tulatum : La Draga de Orlando Inamorato : sumptibus <&
expensis Cosmi de Verona aUas Bianchino habitatoris
Perusie db Francisci Tromba de Gualdo Nucerie Impres-
70 GUOOMO YANZOLINI
SOS <ft stampatos sub excommunicationis confiscatwnis U-
brorum huinsmodi in contemptum intUbitionis prefate at-
temptatorum necnon centum ducatum auri de camera
prò qualibet apotheca <& per earum qualibet inctirrendorum
<Sc Camere Apostolice applicandorum penis infra decen-
nium a die a quo Uber huiusmodi in totum stampai
fuerit Imprimere seu Imprimi facere audeant vel presu-
mani Necnon aliis prefate iurisdictìoni non subieclis ne
libros prefatum per eos forsan imprimendum in lods A
terris legationis predicte sub penis antedicUs ék dicto de-
cennio durante quoquomodo vendere possint in contra-
rium faciendum non obstantibus quibuscumque : In Quo-
rum (èc, Datu Perusie in palatio Apostolico Decima MarùL
MDXXV.
Questa e Draga > istoriata ha sedici incisioni ìd le-
gno , senza contare il frontispizio. La .1^ a e. IP, dopo
le prime nove ottave d' introduzione, rappresenta un
torchio tipografico e un uomo che scrive seduto a m
tavolino; nella 2% a e. II^ un guerriero seguito da m
gigante e due scudieri si presenta a un re e a una re-
gina; nella 3^ a e. XiiP, un cavaliere a piedi combatte
con la spada contro un gigante mostruoso armato di
clava; nella 4^ a e. XVI»», una donna con la spada al
fianco accompagnata da un' ancella par che si congedi da
altra donna; nella 5% a e. XXP, tre guerrieri a cavallo
pugnano con la lancia contro sei leoni; nella 6% a e.
XXVII*», Ire cavalieri s' incontrano con quattro cavalieri
fuori d' una città posta sulla riva del mare ; la 7*, a e.
XXXII**, figura una cavalcata di quattro guerrieri e due
dame che incontra tre cavalieri; TS*, a e. XXXVI^, è
identica alla 6*; nella 9% a e. XLIIP, un cavaliere com-
balte quattro giganti che hanno legata una donna ; la 10*,
a e. XLIX^ rappresenta un' isola dove una donna lacera,
con un bastone in mano, sta in piedi presso un gigante
L^ DRAGHE DE ORLANDO DI FRANCESCO TROBiBA 71
par lacero, sedato in terra, ferito: lontano, un trofeo
d'armi e un cavallo; la 11% a e. LV", è identica alla 7*;
la 12^, a e. LX% alla 5*; nella 13% a e. LXIIII% quattro
cavalieri si scontrano a lancia in resta con altri quattro,
e sui quattro di destra si legge SATANAS; la 14*, a e.
LXVP, è identica alla 10*; la 15% a e. LXXir, alla 3%
nella 16*, a e. LXXX*, un cavaliere scavalca d'un colpo
di lancia un altro in presenza del re e della regina che
guardano da un balcone.
Se non che tutte queste incisioni, come pure il fron-
tispizio , noa hanno nulla che vedere con la narrazione
in cui sono intercalate, e debbono certamente essere state
fatte per qualche altro poema e quindi, trovandosi in
tipografia, adoperate per la e Draga » come ornamento.
Questo poema può essere importante per la materia
e per la forma. Della prima non mi occaperò io perché
non ho tutti quegli studi che occorrono a riconoscere le
varie fonti da cui l'autore abbia attinto; e d'altra parte
finché il poema non fosse interamente pubblicato il let-
tore dovrebbe, e non vorrebbe, credere alle mie aflfer-
mazioni. Quindi per ora mi limiterò solo a darne il sunto.
Per quel che riguarda la forma, dal 1"" canto che pubblico
a me' di saggio i lettori concluderanno , credo , quello
eh' io ho concluso dall' intero primo libro ; che , cioè ,
questo non è soltanto uno di quei poemi romanzeschi di
fattara popolare che fiorivano cosi numerosi tra il XV
secolo e il XVI, ma è anche scritto' in dialetto, nel dia-
letto umbro quale doveva essere in sul principio del
cinquecento. Forse la lettura del 1° canto non persua-
derà tutti di ciò, poiché esso è dei pia corretti e, dirò
cosi, italianizzati; ma tra gli altri canti ve n'ha parecchi
cosi ricchi di forme dialettali da convincere, s'io non
m' inganno, i più ritrosi.
72 GIACOMO VANZOLINI
Ecco intanto il sunto del I libro.
Canto I (Stanze 99).
Garlomagno, sconfitto e ucciso Agramante, indice io
Parigi una giostra con tre ricchissimi premi. Gano, per-
ché Rinaldo non giostri e vinca, persuade Garlomagno ad
allontanarlo, ma Rinaldo arriva in quel momento dinanzi
a Garlo, indovina che Gano prepara tradimenti , lo insulta
e dà origine ad una gran battaglia, in cui Garlomagno
resta per caso da lui ferito. Gano consiglia, con inganni,
Garlo a nascondersi e lo rinchiude cosi in prigione dando
voce che sia morto; ma la prigione è da Dio aperta, e
Gano è imprigionato poi liberato. Rinaldo saputo tutto
ciò, d' accordo con Orlando, adirato abbandona la Francia.
Ganto II (Stanze 115).
Viaggiando s' incontra di notte in un accampamento
di pagani, nel quale combatte con Lupagro di Rosela
venuto in occidente sotto V insegna di una giovine regina,
Adriana , che invaghitasi tosto di Rinaldo fa cessare il
duello e rimetterlo al dimani. Ma prima di giorno il
campo è assalilo da Furiano re di Scozia (venuto in
Francia per provarsi con Rinaldo e Orlando), il quale si
stringe a combattere con Adriana, mentre Rusticano tieP
fronte a Rinaldo e a Lupagro.
Ganto III (Stanze 70).
Ma Rinaldo con un bel colpo abbatte Rusticano, cb^
gli chiede tregua sino al mattino successivo; ond'egli
accordatala, va al padiglione ove Adriana era stata tra^ — '
sportata tramortita, ed ivi entrambi si rivelano il reciproco:^
LA DRMBJ DB ORLANDO DI FRINCESCO TBOBiBA 73
amore. Id questa nn messo di Fariaoo viene a dimandar
pace ad Adriana, parche lasci che il suo re combatta con
Rinaldo: il quale accetta di combattere e con lui e con
Rusticano, a cui ha già promesso. Ma la mattina dipoi
egli vede venir Furiano solo e disarmato che gli chiede
di rimandare il duello, perchè è chiamato altrove. Rinaldo
subodora in ciò un inganno di Gano, che infatti aveva
scrìtto a Furiano dì correr su Parigi sguernita dei suoi
migliori difensori; e posto questo in guardia contro il
traditore gli concede quel che dimanda, indi ritorna ad
Adriana da cui doloroso si congeda.
Canto IV (Stanze 101).
Orlando, con Uggeri e Oliviero, trova Rinaldo in un
boschetto, dove sono insultati dal Saracino Rarnocco di
Natalia che abbatte Oliviero e Uggeri e, colpito Orlando,
si attacca furiosamente con Rinaldo. Dopo molti colpi
Rarnocco fugge perché a Rinaldo non soccorra l' aiuto di
Orlando, e fuggendo trae il signor di Montalbano in una
valle, dove a piedi combattendo è da lui vinto e ucciso;
prima di morire prega l'avversario di bruciare il suo
corpo e recarne le ceneri a Gandia regina di Santarìa,
eh' egli ama. Rinaldo adempie la volontà del defunto, pone
in serbo le ceneri e va in cerca dei compagni attraverso
una selva detta degU spiriti,
Ganto V (Stanze HO).
In essa trova un pastore che, datogli da mangiare e
rallegratolo con suoni e con danze di agnelli , gli narra di sé
come fuggisse d' Italia, dove stava assai bene, per la ve-
nuta d'un Gallo che misela tutta sossopra, e riparasse in
quella selva in cui vive anche una vecchia maga. Questa
74 GIACOMO YANZOLINI
TaoDO a trovare entrambi il di dopo, la quale appena
Tìslo Rinaldo se ne innamora e si offre a lai. Rinaldo
disgustato parte, ma per improvvisa oscurità levata dalla
maga perde la strada e cade in un burrone. Intanto Or-
bude e i compagni cercando Rinaldo s' incontrano presso
un fiume in una regina con molte donzelle.
Canto VI (Stanze 94).
Eia è Panta che nel suo regno non vuole alcun
maschio [dopo le quattro prime stanze mancano d««
torte che debbono contenere quaranta stanze). Combat-
tono insieme il Cavalier Villano e Oliviero, finché Orlando
d*im colpo di spada non ha disarmato il nemico. Questi
allon , saputo chi sono i suoi avversari , li invita al sao
castello e per via narra com' egli abbia nome di Cavalier
Vdhiio perché odia le donne dal giorno che due di esse
hanoo bsciato morir di fame un suo figliolo. Giunti al
castello è servito un lauto banchetto, in fin del quale
una bellissima dama.
Canto VII (SUnze 102).
La «luale viene a intimar guerra a Villano da parte
vii Paula. Il di dopo infatti segue un gran duello fra
Pinta e Villano che rimettono al giorno successivo la
tsittagiia campale. Villano chiama l'aiuto d'un vicino,
Tildoiie: Panta ordina le sue schiere femminili con astu-
sui; Iji quale invero riesce cosi bene che la battaglia
termina con generale sconfitta di Villano. E allora giunge
.VstoUo che recatosi sotto il castello di Villano, ove stanno
$(vitatori neutrali Orlando e i compagni, minaccia dì
ailemrio se non gli è tosto ceduto.
LA DR^GHA DB ORLANDO DI FRANCESCO TROMBA 75
Canto Vili (Stanze 100).
Ma il di dopo vi entra e trova i suoi amici, dai
quali saputo lo smarrimento di Rinaldo si parte per ri-
trovarlo, mentre Orlando va ad offerire il castello a Panta,
di una cui compagna, Lisa, s' innamora Oliviero. Poi tutti
e tre si rimettono alla ventura. Astolfo intanto ha ritro-
vato in un prato un cavaliere dormiente, che riconosce
essere una donna, Leonida, con cui si congiunge; ma
proprio in quel punto un gigante li afferra entrambi tra
le braccia e s'avvia per portarli alla sua dimora: se non
che due donzelle mandate da Panta a cercar Leonida li
liberano, e questa ritorna al castello, e Astolfo assalta il
gigante. Questi allora chiede e sa eh' egli è cavaliere di
Carlomagno e lo invita ad andare a visitar sua sorella,
la maga Draga.
Canto IX (Stanze 127).
Vanno entrambi da lei , eh' è bellissima e abita in
una valle amena e di sé innamora Astolfo ; ma Y improvviso
giungere di quattro giganti obliga lei, Astolfo e il gigante
Fraccanaso a difendersi. Ucciso uno degli assalitori, inse-
guono gli altri e finiscono in un castello, della maga
Luparda, il quale ha le mura di calamita, onde chi vi
entra con Tarmi non ne esce. Colà Luparda dal volto
splendido tiene prigioni molti cavalieri e piace assai ad
Astolfo e a Fraccanaso, che riesce a trovar Luparda ignuda
in letto; ma scopertala la vede gialla puzzolente schifosa,
e cosi la mostra ad Astolfo. Contro cui Luparda, desta-
tasi , inveisce con villanie , e chiama V aiuto dei giganti ;
ma Astolfo li vince a bastonate (che Tarmi tra le mura
di calamita non servono) e poi esce dal castello. — In
76 GIACOMO YANZOLINI
questo tempo Orlando e i compagni trovano in no bosco
UD principe d' oriente, Joseppe, che disperato piange da
tre anni perchè ha promesso alla sua bella di uccidere
un gigante nomato Pitone, e non ha potuto ancora riD-
venirlo.
Canto X (Stanze 104).
A un tratto sopraggiungono cento faoni (sic) che
caccian cento leoni, di che i cavalli si spaventano e scap-
pano. Olivieri restato a piedi solo, perché Joseppe è corso
dietro al cavallo di lui, gira pel bosco tutta la notte e al
mattino addormentatosi è fatto prigione con un incante-
simo da Moranda, la bella di Joseppe, la quale gli narra
la sua storia : come Joseppe s' innamorasse di lei , come
le facesse conoscere il suo amore, e la venisse a trovare
facendosi sorprendere dal padre di lei.
Canto XI (Stanze 100).
Il quale per sapere chi egli sia indice una giostra, a
cui Joseppe viene e combatte terribilmente uccidendo
tutti i cavalieri e molti giganti. Uno di questi, Pitone,
lo sfida a parte pel giorno dipoi ; ma nella notte, essen-
dosi trovati insieme i due amanti e sorpresi dal padre,
succede una gran zuffa in cui il padre con molti altri
resta ucciso, e Pitone fugge. Joseppe promette alla fan-
ciulla di rintracciarlo e ucciderlo. — Intanto Orlando dal
cavallo impaurito è portato presso un monte a cui guardia
stanno due draghi; uno ne scaraventa giù dal monte.
Canto XII (Stanze 88).
L' altro avvinghia Orlando con la coda e Y atterra ,^
ma Orlando lo strozza mentre quello l'abbocca. Muore^
LA DKAGHA DE ORLANDO DI FRANCESCO TROMBA 77
il dragone che però col fiato ha tramortito Orlando ; sic-
ché quando giunge il Danese lo crede morto, lo piange,
e lo seppellisce. Se non che Yegliantino, il cavallo d' Or-
lando, scava coi pie la fossa e tanto fa che lo desta.
Allora nn vecchio, Elia, si presenta e conduce Orlando
su per il monte, su la cui cima, egli dice, stanno gli
Ebrei che conviene sterminare. — Rinaldo intanto è tratto
dal burrone per V aiuto di un vecchio che in compenso
vuol che gli monti un cavallo indomabile; e lo conduce
attraverso un' ignota regione, dall' aspetto infernale, in un
palazzo dov' è il cavallo.
Canto XIII (Stanze 23).
Rinaldo lo monta con gran fatica, e noi può reggere,
ed è menato per una selva, i cui ceppi urtati dal cavallo
scoppiano, lamentando, in nuvoli d'insetti. Torna al ca-
stello e cenando ascolta certe fanfaluche che il vecchio
gli narra.
Canto XIV (Stanze 118).
Riposatosi, il di dopo monta di nuovo il cavallo ed
é tratto in una pianura piena di nuvole che piangono e
si lamentan d'Amore. Alla sera, senza aver potuto do-
mare il cavallo, torna al castello di cui il vecchio gli
mostra in parte le meraviglie, finché, dopo cena, è con-
dotto a letto da due fanciulle di cui l' una gli offre il suo
amore e tutte le ricchezze che sono in una stanza dove
ella lo mena. Ma quivi egli fa il segno della croce, e la
donzella scompare. Il di dopo rimonta il cavallo arman-
dosi d' un bastone, con cui glie ne dà tante che lo doma
e lo fa parlare. Nel cavallo è 1' anima di Ghinamo , che ,
spiegatogli com' è fatto il mondo e dettogli che quel luogo
78 OIAOOMO YANZOLINI
è r iDferDO e il vecchio è Belzebù, gli fa sapere che egli
Rinaldo per voler del cielo deve coQgiungersi con Me-
ronta la vecchia maga, e gli promette di trarlo fuori di
là se più non lo bastona. Ma tornato al castello, uno
spirito messaggero di Malagigi ordina a Belzebù di ri-
condurre sulla terra Rinaldo, il quale comincia a basto-
nare Belzebù e tutti i centauri e i caproni che son corsi
in aiuto di questo. Finalmente Belzebù resta solo e fa a
Rinaldo grandi lodi del suo coraggio.
Canto XV (Stanze 154).
Poi gli dice che, dovendo obedire a Malagigi, lo lascia
libero. Infatti lo spirito messaggero lo solleva e gli fa
traversare tutto V inferno. Si fermano dinanzi a Minos, a
cui Annibale, Alessandro, Scipione espongono le ragioni
per le quali ciascuno tien sé più valoroso degli altri; anche
Rinaldo vuol dir le sue; e Minos in fine dà la sua sen-
tenza, in cui Rinaldo non è considerato, perché vivo.
Tornato in terra ritrova Meronta ringiovanita e bella, con
la quale , dopo un sacrificio di pantere ed orsi , si con-
giunge. — Astolfo, che con Fraccanaso è uscito dal ca-
stello di Luparda , incontra Fortuna re d' oriente e lo
sfida; ma entrambi cascano tramortiti.
Canto XVI (Stanze 132).
Astolfo, risentitosi primo, crede l'altro morto e s<
ne va. Giunge Lisa in cerca d'Oliviero e spoglia del-
l' arme Fortuna , che poi rinvenuto deve vestire gli ahi
di Lisa. Con essi indosso va e trova un frate che I
prende per donna e vuol forzarlo. Fortuna l' ammazza
LÀ DRAGHd DE ORLANDO DI FRANCESCO TROMBA 79
ripreso il viaggio incontra un cavaliere che dorme con
Tarme sae indosso. É Lisa, con la quale combatte alla
corsa e alla lotta e in fine si congiunge. — Astolfo poi
è giunto presso il campo di Gurlia re Mauro che muove
contro Francia. Egli è zio di Fraccanaso, quindi ricono-
sciuto il nepote si offre a ciò che Astolfo desidera e lo
fa capitano delle sue genti. Muove Y oste e giunge a Ce-
rasta capitale del regno tolto a Fraccanaso e a sua so-
rella Draga.
Canto XVII (Stanze 101).
Roccantino figlio del viceré esce dalla città a com-
battere, ma Rabi V indiano respinge le genti di lui dentro
le mura, ond'è da Roccantino sfidato a duello. S' avviano
ad una valletta dove vedono una fanciulla e un cavaliero
(Lisa e Fortuna), e di lei Roccantino s'innamora; ma
glie la contende Astolfo che s' è pur invaghito di lei: ed
entrambi combattono finché Lisa li prega di smettere fa-
cendo uno scambio di collane in pegno di pace. Però, lei
partita, Astolfo e Roccantino ricomincian la pugna, men-
tre Rabi è corso dietro a Lisa col cui cavaliere combatte.
Roccantino , lasciato Astolfo , corre pure in traccia di
Lisa, e giunge in tempo a liberar Fortuna dalle strette
di Rabi cui getta in un burrone. Poi tutti e tre ritornano
aila città, dove Roccantino è sfidato di nuovo a singoiar
tenzone da Astolfo.
Questo che segue è il 1"" canto che ho trascritto senza
alcuna correzione.
80 GIACOMO YANZ0L1NI
CANTO PRIMO
Se tutti quei che mai cantaro jn rima
dal tempo de Homer, fina qsthora
cose alte e de celica stima
dei uechii monumeutì uscisser fora
DOD porien la mia opra tauto incima
guato si coDuerebbe e de ciò plora
ogne mia fantasia: ma oro e prego
a te Joue mio car, che no fi nego
De por la mano in qito mio uolume
che senza te saria qual quel ucello
che uol uolar in ciel, senza hauer piume
à, sempre e in terra basso e pouerello
tu serai el mio fil senzaltro lume
che me trara del laberinto fello
tempera adonqua la mia lyra o Joue
puoi che da te ogne gratia se moue
0 fìgh'a de Penco: cessa gli affanni
infugirte da me: come da Pollo
ma sotto Ihombra de tua sacri panni
e de lachryme sparse intomo al collo
accectame lauanzo de mia anni
chel suono el canto mio sentir farollo.
chel suono el canto mio tua chiome copra
infin al terzo elei, forscie desopra:
Et tu Clyio & tu Euterpe gloriose
Talia, Melpomone, Polynia ancora.
Vranya, Erato Tersicore gioiose :
che lacqua eliconea uersate fuora:
e tu Calyope fra le famose
ogne orator te prega chiama e honora:
andate a Dapbene, e de sua capiglii
ornate le mia tempie e le mia ciglii :
LA DKAGBA DE OKLJNDO DI FRANCESCO TROMBA 81
Nò~ siate a me mao) benigne e grate
che fostor al cantor de Beatrice
come il Petrarcha la mia testa ornate
se coronarme de tal fronde e lice
qual tante carte per lor son uergate
merce la uostra a i quai fostor amice
resurga in me come in Tulio oratore
uostra doctrina, si chio habbia honore:
E tu Orfeo col suon merauiglioso
uendsti Fiuto nel centro più basso:
e tu Amphyon mio diuo e famoso
che col sonar tiraui ogne gran sasso :
pigliate la mia lyra e glorioso
so chusciro già dellintrato passo:
e uoi Auditori ornati, e tersi,
degnatine ascoltar questi mìa uersi:
Legende in certe Croniche trouai
de cario magno e de sua paladini
cose che molto me merauigliai
che tanti ingiegni excelsi, e pelegrini
ebano scritto de lui no habbian mai
colta la rosa fuora delle spini
e reducto el parlar de franza Italico
scritto per man de Sigimbeilo galico
Et correcto per man del buon Turpino
che non haueria scritta la menzogna
elqual Yescouo fu & Paladino
la cui bontà disputar non bisogna:
ben la conobbe il figlici de Pipino
de lui, de Namo <& de qT de borgogna :
ma Carlo ad lui gli solia dar tal uanto
chera prudente ualoroso <& santo:
Disse adonque Turpin con sacramento
che preuidia lingnorantia futura
de mille fatti nd^ho scripti cento
che fiero i paladini senza paura
VoL IV, Parte U. 6
82 OIAOOMO YANZOIINI
solo scrìvea quelle de pia spauento:
accio lor fama fosse pia sicura
à io che le sua croniche studiai
scrìuero aponto el uer quel che trouai.
Nel tempo che rìnoua la stagione
& par che rida ogne uaga collina:
e eh* giù dallinfemo el già plutòè
uenè a rapir la bdla proserpina:
facea gra festa lalto re Garlone
dentro parigie cita peregrina:
perche con dubbio poco tempo auante
hauea sconfitto e morto il re Àgramate:
Per questo fece una giosta bandire
la maior che mai fesse alla sua uita:
e accio chognun sicur possa la gire
uol che per tutto el mondo sia sentita:
e che sia in liberta stare, & partire
per quattro mesi a sua corte bandita
dogni lenguaggio e per ogne camino
0 uoglia adorar christo: o apollino,
Voi anche il glorioso re Garlone
colui che ingiostra remara uincente
habbia per pregio tre riche corone
che uaglion più dun terzo de ponente:
qua! for donate al sauio Salamone
da la regina Sabba de oriente
ornata a pietre precipse e géme,
qual Carlo Ihacquisto in hierusalème:
Oltra di questo una tauola doro
sei pie per ogne uerso senza fallo
dove scnpti seron tutti coloro
che serano abbatutti da cauallo
questa sera pel secondo restoro
uogli esser re, signor, duca: o uassallo:
el terzo precio uol, chabbi il uincente
la più bella donzella de ponente:
.4 DR^GH^ DE OBL4NDO DI FRANCESCO TROMBA 83
Et qaesto fece lalto imperatore :
per cognoscer el fior dogne niilitia:
acLO chi uol combatter per amore,
0 uol per fama: o uol per auarìtìa
habbia ragion mostrare il suo ualore:
ma subito che gan nhebbe notitia
se imagino fra se questo ribaldo
chogni cosa serebbe de Renaldo:
Onde andò a corte proprio la matina
che si douea la giostra publicare:
prima in Parigie cija pelegrìna:
e poi pel mòdo quato se può andare:
douera tutta la Baronia fina
e Carlo allegro in mezo a tutti stare
che nolia agiongner lalto re Cartone
al real bando unaltra condictione:
Cioè se alcun Saracino o Christiano:
sera abbattuto de larcione in terra:
possa prouarse co la spada in mano
ma nò~dur, più dunhora quella guerra:
inteso questo el traditor de Gano:
per jian, co riuerentia Carlo afferra
e co malitia graUosa, e arte:
tiro Limperator sol da una parte:
E apogiati tuttidua a un balcone
tenendo Gan la sua testa scoperta
gli dicia serinissimo Cartone
accio cha tuttol mondo sia più aperta
la fama tua si come uol ragione
dico che buon tor uia ogne coperta
che podesse tua fama maculare
accio tua Malta non truoue pare
Tu sai che Malagige e nigromante
e ha tutto linfemo al suo comando
del qual uiste nhauem già prone tante
e so che te ricorda ancora quando
84 GIACOMO YANZOLINI
te fé tor la coroaa : hor nò più inàle
basta, che per Renaldo e per Orlando
farìa di terra ciel, & del inferno:
se tanta forza hauesse al suo qtemo:
Et sai chel fior de i caualier del mondo
ueróno a questa giostra gloriosa
come sentendera a tondo a tondo
che cosi uol ragion soprogne cosa
Renaldo qui, e dun cuor si furibondo
e duna forza inuer merauigliosa
ma no già tanta che non troue pare :
che cercara quel pr^io guadagnare:
Et se de forza non sera bastante
che de meglior de lui sen troua assai:
el cercara col suo Ciò nigromante
come sapem cha facto sempre mai
con qualche ingano: che ne mercatante
e tu Garlon so che più daltri el sai
che no guardando al tuo reale honore
uorra qui pr^, e già mei dice el cuore:
Que se dira de te puoi Carlo mio
fin nellestreme parte della terra:
che sei tenuto al mondo unaltro Dio:
per tua diuina fama che non era:
perho non far come fa el uillan rio:
che come ha persi i boni, Inscio serra:
fa assenno mio Garlone a questo tracto:
ne spectar dir cosi noria hauer facto:
Prouedi, dico adesso chai el tempo
mandar fuora Renaldo e malagigie
in qìche longhe parte si cha tempo
non torneno alla giostra de Parigie
cridelo a me che quàtò più ma tempo
più conosco de lor le uoglie bigie
massime de Renaldo el scelerato
che so catiuo: assai prima che nato
LÀ DKAGHJ DE ORLANDO DI FRANCESCO TBOMBA 85
Altro non dico a tua sacra Corona:
tu sei ben sauio e sai quel chai dafare
piglia la parte mo che te par bona
debito amor, mei te fa recordare:
hor si hor no a Carlo gli consona
perho non fé resposta a quel parlare
sapea ben luijchel princepe Renaldo
hauia del buo, ma assai più del ribaldo:
Ma perche hauia un certo odio antico
con quella degna casa de Dardona
tenea ciascun per capital nimico
nel suo secreto: e perho orechie dona
nelle ragion del tradictor ostico
cosi combatte fra se e tenzona
come podesse far con suo honore
chauesse efifecto el dir del traditore
Et fo uoltato uerso la gran sala
per fare a tutti segno de combiàto
Renaldo in questo montana la scala
<& era con Astolfo acopagnato
Carlo chel uidde de de lochiolala
al traditor de Gan, che gli era allato:
e disse forte : Lupus est in fabula :
Astolfo se uolto a quella parabula:
E disse e mala nona per larmento
Renaldo prese presto sospitione:
dicendo a Carlo qualche tradimento
de ordenare el conte Ganelone:
el cuor mei dice e quasi al naso el sento:
Gan tutto se muto a quel sermone:
e disse se non fosse (ìurlo magno:
diria che menti tu el tuo compagno:
Si sio me somegliasse alla tua gente
ribelli, e tradictor, della corona:
Renaldo uéne in faccia fuoco ardente
come fulgor del ciel quando più tona:
86 OIAOOHO YANZOLINI
pur fo contra lusato patiente:
beo che oel pecto disidegno Io sprooa:
ma non fo cosi Astolfo a quella Oata:
che nella bocca gli de una guanciata:
Gan se lasso cader de rieto a Carlo
perche Renaldo hauia fusberta in mano
<& non finaua mai de menacciarlo
e quando crida, o imperator Romano
ancor serai pentito de scamparìo:
e tardo so cognoscerai chi e Gano:
ma forscie uole el ciel che cosi sia
che sempre credi alla sua fellonia
Cario cridaua meteite giù larme
ribelli, e tradictori del mio stato
tu non uol mai Renaldo r^uardarme
e tu Astolfo pure al modo usato
la corte tutta se leuata in arme
Oriando el primo se fo presentato
e uol pur che Renaldo ingenochione
chieda mercede e Carlo gli perdone:
Namo hauia Astolfo tirato dacanto
el buon Danese Gan fece leuare
el uechio Amone al cuor ha dolor tanto
del suo figlici, che non podea parlare:
glialtrì dicieno hor su Imperator santo
non uoler la tua corte desturbare:
& già Renaldo sera ingenochiato
denante a Carlo: e dice hauer fallato:
Tutta la corte se merauigliaua
della grande humilta chauia Renaldo:
Orlando dallegrezza lachrymaua:
cha tanta patientia el uedea saldo:
ma ecco Maccarin che in sala intraua:
nepote a Gano: e figlici de Rambaldo
con ben mille ccpagni in una schiera:
e lui inante a tutti quellaltri era:
4 DRAGHA DE ORLANDO DI FRANCESCO TROMBA 87
E come io sala fo corse lq uq traete:
douera el buon Renaldo ingionichiato :
Orlando che sacorse dejfuellacto
che Maccarin già el brado hauea caliate :
sopra Renaldo: caualier adacto:
se misse in mezo : el colpo hebbe pigliato
con durindana: <& poi meno un reuerso
& tagUo Maccarin tutto atrauerso:
Puoi disse al suo cugin lena barone
Renaldo presto ritto se leuaua:
che intese quel parlar per descrictione
e in mezo a maganzesi se cacciaua :
qual fra larmento un rapace Leone
tristo colui che più presto trouaua
e muggia come un toro & taglia e straccia:
&. doue son più folti iui se caccia:
I maganzesi non serano acorti
che Maccarin fosse in dui pezzi in terra:
<& de molti altri de lor che son morti,
ma tutta uia facien più crudel guerra:
<& ben cento de lor cheran più forti,
la porta del palazzo a forza serra:
per non lassar intrar gli altri defore:
che non fosser de illor, a quel remore:
El resto combattien de ogne canto:
cridando mora quei de chiaramente:
Gan de maganza col mostaccio franto:
corse in mezo dei sua con lieta fronte:
Amen Namo Turpin, <& Dodon santo:
Danese e Vliuier, Astolfo <& el Conte
Ottone & Berlengier, <& Ricciardetto
han facto un colonel, serate & stretto:
Et sonse da lun canto retìrati
& facto retirare el buon Renaldo
ma prima Astolfo <& lui nhaoio amazati
quasi un buon terzo del popul ribaldo
88 GUOOHO YANZOLINl
<& se de dosso fusser suti armati
tutti eran morti, ma ecco Rambaldo
cheDtro ìd sala ben con trenta CSonti:
armati tutti ualorosi A pronti:
Carlo era in mezo pien de ooglia amara
fra luna parte e laltra con ardire:
prega menaocia comanda <& repara:
che ciascun se retengha de fmre:
ma sempre i maganzesi con più gara:
reforzan la battaglia: & &n morire
<& maxime come gionse Rambaldo
se fo scagliato adosso de Renaldo:
Ck)si comera tutto inuelenito
gli meno della spada su la testa
che si più inaté giongia pur un dito
gli haria quel colpo sol fecta la festa
perche noi gionse Rambaldo e fugito
derieto a Carlo: & sotto la sua uesta
mal buon Renaldo carco de furore:
menando allui feri Limperatore :
Come Tarpino ha scrìpto aponto parlo
gionse fusberta a guisa de baleno:
non può quel colpo Limperìer scusarlo: ^
chel colse sulla spalla & poco meno
che non fo questa la morte de Carlo:
& cadde a reuerson soprai terreno
ciò e sopra la sala del palazzo
doue de sangue se uedea gran guazzo:
Carlo chera ferito crida forte
nepote mio do sei: que fai tu hora
& Gan cridaua hai Namo que cóporle
0 Danese, o Yliuier fatte che mora
qì tradictor, che a Carlo ha dato morte
gran remor se sentia dentro e difuora
correno in sala & non podieno entrare
& in sala sempre e el crudd battagliare,
é DKJGHA DE ORLANDO DI FRANCESCO TROMBA 89
Tutta la terra corre a grao remore
chi noD sa la cagioD, corre alla piazza
ferito e in sala lalto Imperatore
&. GaD corria la terra <& la sua razza
mai piu_ÌD parigie fo tanto furore
mal buó Orlado <& Dodon dalla mazza
leuar fuor della sala el re Garlooe
ma non per questo reman la quistione
Mai più parigie fo in tanta fortuna:
ne Carlo mai in tanta estremità:
ne se pò dir ne odir ragione alcuna:
soflSan le spade con gran crudeltà:
da farre oscuro el sol non che la luna
chi cadde chi se riza chi giù sta:
desteso morto sepolto nel sangue:
tal braua e fìiggie: e tal menaccia e lagne
Quei chera in piazza dauan la battaglia
alla porta real con archi & dardi
tal, che dentro e defìiur era trauaglia:
ma pur Renaldo fra glialtri gagliardi
semp in mezo a nimici straccia & taglia :
chiamandoli uili tradictori <& codardi:
perche Orlando caualier ardito
hauea portato uia Carlo ferito:
El buon Astolfo ha ferita la mano
perho mugiava a guisa de grand* Orso :
<& in mezo de nimici uede Gano
ne mìsse tempo che in un traete e corso
per trarlo fuor de quel popul uillano
ma Grifonetto gli dette socorso
chera figlici de Grifon dalta foglia
ql capo Gano allhor, da mortai doglia:
Perche Astolfo e con lui Ricciardetto
lo strassinaua uia come un castrone
ma con la spada gionse Grifonetto
& con lor attaco la quistione
90 OIAOOMO YAMZOLUn
tanto che Io rescosse allhor dispecto:
hor ecco gioDto Reoaldo d Àmone
chera ferito attrauerso la schina
onde mostraaa in uiso una fucina:
Gan quando el uidde comenzo a fogire
& fo lassato andar giù per la scala
Renaldo sol, ne fé tanti morire
chera de morti già piena la sala
quel giouen Grìfonetto pien dardire
ualente forte & ligier, come gala
facia si presta & si Ocra battaglia
che tutti i paladin, tenia in trauaglia
Rambaldo sera uia con Gan partito
per menar alla zuffa noua gente
hor Carlo puoi che inumerà fb ito
col buon Oliando <& co Dodon possente
fo medicato & non trono impedito
in uerun luoco losso de niente
sempre la Imperatrice Galerana
gli era dintorno gratiosa <& humana
Cario si fé portar un libro inante
donerà tutta la sacra scrittura
sopra del ql fermo ambo le piante
della sua mano & in questo modo giura
io giuro per le opre tutte quante
cha fecte Dio con la sua mente pura
<& per el uechio «& nuouo testamento
e per el uero e saocto sacramento:
Et cosi afiermo de buon cuore & dico
ne u<M de questo: poderme pentire
tener sempre Renaldo per nimico
in uita: <$: se porro depo d morire
come ribello: & tradictore ostico
éc, come tradidor hrìo sbandire
de tutto guato el paese chrìstiano
<!ÌL ruinare i figli, & naontaUttno
>A DKAGHA DE ORLANDO DI FRANCESCO TROMBA 91
Et pegio se io poro: peggio tractarlo
<& de sforzarme più chio non porro
ìd questo <& io laltro mondo descaciarlo
se Carlo come so: de la sero
<& se tu OrlaHo sei nepote a Carlo
se comandar, o pr^ar te porro
giura la morte del figlioi d Amone
& la fìranza sia tua: per guidardone
Et cosi uoi che tutti i paladini
giuron la morte de questo ribaldo
se non, i bandezaro dei mia confini
a suon de tromba Sl per bocca d Araldo
sentendo Galerana quei latini
subbito in sala gi atrouar Renaldo
& pregai quato può con uiso humano
che lasse li, <& torni a montalbano
For le parole sue de tanta forza
chebbe Renaldo tutto humiIiato_
ma_qì graden dal ciel, che sfroda <& scorza
qualarbor troua <& guasta i fior nel prato
straccia le uele in mar, e poggia <& orza:
ancoro e sarte & lalbor e fiaccato
tale accade in quel ponto un tal gridare
che più non poddea Renaldo parlare
Perche Gan de magaza con Rambaldo
come uè disse seran uia partiti
e redunar de lor popui ribaldo
quei che parieno a lor fusser più arditi
<& per Parìgie cridauan Renaldo,
con glialtrì Paladini insieme uniti
hano amazato el nostro Imperatore
& cosi la cita corse aremoro
Cognobbe Gan che questera el dissegno
che già gran tempo hauia desiderato
del reame de franza farse degno
& pigliar la corona de lo slato
92 GIACOMO YANZOLINI
& dice la Fortuna men fa segno
ecco ciascun Paladin desarmato.
Sl la furia del popul gli uà adosso
che ciascun morto fla prima che mosso
La piaza e tutta piena de remore
chera a sentire un caso molto strano
tutti cridavan mora el traditore
mora Renaldo quel da montalbano
questo senti Orlando senatore
cosi Dodon, cheran con Carlo aitano
& saltar fora fra tanta brigata
che facien guerra cruda & despietata
Ne fo più presto de camera oscito
lui, e Dodon, chentrar fra Paladini
sei ciel cadesse non seria sentito
0 quanti maga'zesi fler mischini
Galerana a fugir prese partito:
ma Gfanelon, e glialtrì parigini
pigliarono el palazo sobitano
cridando mora quel da montalbano
Morano i paladini ognun crìdaua:
chano amazato el nostro Imperatore
Orlando a tutti altamente giuraua
& dicea fratelli mei sete in erore
Carlo morto non e cosi affermaua:
ma no e inteso in tanto alto remore
anzi ognuno el feria con guerra amara
Si. lui con durindana se repara
Orlando sempre de piatun feria:
ma pur la morte a molti fa prouare
ben che se un ne mor diece giongia
tal, che la zuffa non può destacare
lira gli crescie in tanta bizzaria^
che comenzaua et taglio ad insaguinare:
Sl già in sala e tanta gente morta
chel sague lor corrìa fuor della porta
L^ DKéiGHd DE ORLANDO DI FRANCESCO TBOHBA 93
Renaldo chera un mondo de furore
intorno al brado se uolto la uesta
0 quale gambe taglia quel signore
de giù de su con mina, & tempesta:
cosa disse Turpin dun gran terrore
che uidde ad un troncarglie uia la testa
& quella testa bottarse in unaltra
che mai fo uista più quella nellaltra:
Scripse turpino aponto in questo loco
ben che dapoi ne fo quasi pentito
dubbitandose lui cha tempo & luoco
fosse per fabula, o menzogna edito
che le due teste sauamparo a fuoco
tal, chogni Paladin fo sbigottito
de bracia & altre teste laria e pina
ne mai più in sala fo tanta roina.
Tutti eran coi manteglii al bracio auolti
i magni paladin pien de fracasso
ben chogne colpo namazaro molti
non podien fra inimici far el passo
per poderse partir tanteran folti:
& son tutti feriti, & ciascun lasso:
hor ecco Grifonecto quel aitante
intrar fra lor qual fier leon latrante
Renaldo al tutto e fuor degne patientia
ne sa que sia respecto quel Barone
e cosi ancora glialtrì fanno spirìentia
quato uaglion con larme lor persone
e che fosse dal ciel tale influentia
0 lor facto: o distino: o pur cagione
forza fo a tutti renderse pregioni
chi la, chi qua, i ualorosi baroni:
Cosi fuor presi tutti ipaladini
come usanza quàdo el campo e rocio
Namo se fé pregion deparigini
cosi fé il bon JDanese in guerra docto
94 OIACOMO YAMZOLINI
Vliuier coi figlioli de NamojBni
& Dodon, for pregioni del cote Arlocto:
chera el più uecchio conte da pontieri
& abantiquo amico de Yliuieri:
Renaldo Astolfo Àmone, & Ricciardetto
seran restrecti insieme in un cantone
douera un secrecto e falso ussetto
che qualche uolta usaua el re Garlone
quado uolea alla stalla andar soletto
per uagheggiarse qualche bel roncione
li tutta quattro intraro i baron fini
fin che fuor presi glialtri paladim':
Et gionti tutti quattro nelle stalle
non panie tempo a lor de star ascusi
ma uoltar presto al palazo le spalle
per uia secreta come baroni usi
e a casa d Orlando i baron salle
che non fuor uisd mai questanimosi
perche ognuno in piaza e corso armato
& el resto de Parìgie abandonato:
Lassan costor che son bene ariuati:
& Alda gli rececta allegramente
& fuor la sera tutti quattro armati:
& ciascun hebbe el suo forte corrente
Gan se trauaglia con quei sua fidati
& ogne cosa prouede & promette
puoi che partito se fi de Melone:
& poi sapresento al re Carlone
Chancora era la furia e remor grande
& disse 0 sfortunato Carlo mano
io uengo a te senza che me domande
a darte anuncio doloroso <& strano
Renaldo Astolfo & ciascun baron gràde
te cercan per hauerte nelle mano
Orlando e preso: e messo alla pregione
hor fuggie questa furia o re Garlone:
ut DR4GHA DE ORl^l^DO DI FBANCESCO TROMBA 95
Et io 0 Carlo tieco uoi fugire
che altramente morto me reputo
ma se puf e chaochio debbia morire
morir con teco ponto non refuto
tutti i mia maganzesi pien dardire
con Grifonetto morto i Iho ueduto
& se non per saluar, te col tuo stato
io mamazzaua & moria desperato:
Hor su signor che tempo non nauanza
fuggiamo in luoco saluo & n6~ badiamo
credi Carlone al tuo Gan de maganza
chogne idutio e periculo: hor su andiamo
tu sai de queste furie la usanza
non ual puoi dir cosi far podeamo _
Carlo sei crese: & non tardo a respodere:
& prega Gan che ^ el debba scodere :
Et cosi Gano el misse in la pregione
sotto color, che staesse scoSuto
e le chiane portaua al suo gallone
puoi disse a Galerana: el tristo astuto
hoyme che suto morto el mio Carlone
0 ciel crudel che pena Iho saputo
& parca se uolesse tor la uita:
ma Galerana cadde tramortita
Tuttol palazzo & la piazza era pina
de borghegian, che facien gran remore
tutti diciano a furia & gran rouina
mora chi ha morto el nostro Imperatore:
Gan de maganza de cercar non fina
con molta gente & con molto furore
per trouar il signor de montalbano
dui di, doi nocte sempre el cerco inuano
Noi possendo trouar fé gir un bando
che se ueruno insegnar el sapesse
habbia una soma doro al suo comando
& se uerun de secretto el tenesse
96 GUOOMO YANZOUNI
perda la aita & i figlioli sieno in bando:
<& la sua robba chanchora senteodesse
mobile e stabOe tutta confiscata
ne dota alcuna uo che sia saluata:
El terzo di ^el bando fo mandato
Alda mando un senio al conte Gano
& disse che Renaldo hauia trouato
con glialtri tre appresso mòùlbano
& chera ciascheduno insanguinato
testa e braccia collo pecto <& mano:
che sien morti tutU lui se crede
& questo 0 uisto sopra la mia fede
Sentendo questo el tradictor perfecto
lasso lardente cura de cercarlo
Si pensa purjle metter ineffecto
se può de còte Gano deuentar Garlo
hor lassamolo stare in tal concecto
che la iustitia sapera trouarlo
ben chal gran fallo glie se scopra puoco
bisognara cha fine habbia pur luoco
Ma in qTto mezo Carlo apresso al giorno
gliaparse una stupenda uisione
gli parca chun dragon gliera dintorno
ne defender se può dal fier ongione
pariglie de chiamar Orlando adomo:
& tutti ipaladini a compassione
se mouesse ciascun a dargli aiuto
coDtra quel drago brutto & dessoluto:
Et in questo affanno Carlon se rescosse
& pensa a quel che in sóbo hauea ueduto
<& con la man la barba se percose
ne sa ql che e come possesser suto
cosi dicea, al manco in piazza fosse
c6~larme indosso: & imperator ueduto:
& puoi moresse al manco cò^honore
moria morendo a tutti imperatore:
Lèi DRAGBA DE ORLANDO DI FRANCESCO TROICBA 97
Io me lassai serrar qui dentro a Gano
ben chio credo che fesse a bona fine
pur son tre di, & più ud corpo humano
n6~puo durar che n6~gi6gha al confino
della sua uita: hai miser Carlo mano
come son le tua opre peregrine
che gioua mai prodezza chabbia facta
chun tristo fio tuttol passato imbrata
Io so còducto pure a tal partito __
che no me basta a dire fui inganato
da me nó~daltri, io me chiamo tradito:
che lingnorantia no scusa el peccato:
ma sia qu£ uole io ho pur sempre odito:
che dio no^ manca: se no al desperato
io so che dio nò può lassar perire
chi in lui ha fermo tutto el suo disire:
Et dicto questo lalto re Carlone
co tanta deuotion se butto in terra
prima disteso & puoi ingenochione
co quel fisso sperar che mai no erra :
che per se stesa sapri la prigione
fin che le braccia & gliochii al ciel afferra
qui mostro idio a lui quat' e clemente
e che sol basta un dirizar de mente:
Hor retorniamo a Galerana regia
& imperatrice chera tramortita
depo doi hor se leuo quella egregia
& gi tre giorni qual donna suanita:
ne più de Ecuba el uiuer suo non pregia:
& tolta shaueria la propria uita
se nòcche mai no fo sola lassata
onde era peggio assai che desperata
Gan de maganza proprio la matina
che trono Carlo la pregion aperta
tutta la meglior gente parigina
hauia adunata: & facta grande offerta
ol. IV, Parie 11 7
98 GUCOMO VANZOLINI
nella sala Reale <& allor se inchina
a i ql dicia io so che ciascun merta
gran benefici!, per hauer pregionì
de latta corte i tradictor baroni:
Cosi hauessiam quel grsT humicidiale
e tradictor signor de motalbano
cha posto man nel sigue imperiale:
Si dato morte cd^sua propria mano:
ma dio Iha preseruato ad maior male
perho chi amaua el nostro Carlo mano
ne uengha appore assedio al suo castello
& dargli el guasto come a gran ribelio
Ben credea Gran, che Carlo fosse morto
nella pregion per miseria de fame:
perho solicitaua comò scorto
redurglie tutti a un proprio legame:
& por Renaldo & glialtri a tristo porto
che gli podien turbar quel bel reame
& mentre che facia la oratione
ecco giongner in sala el re Cartone
Chera venuto della pregion fore
come signor, so certo hauete odito
hor ueduto che fo Limperatore
remase ciascun homo sbagottito
Sl ognun guarda in uiso al tradictore
chera venuto smorto e impalidito
paria a tutti uedere un morto uiuo
& più de glialtre Gano nhe amiratiuo
Et non sa imaginar quel chabbia a dire
ne sa come sia Carlo iui conducto:
& come tradictor persha lardire:
onde a suspecto mosso el popui tucto
& Carlo imperator comenzo a dire
doue color che me uoglian destructo
doue quel tradictor da montalbano:
& tu do sei tradictor conte Gano:
Là DRJGH/i DB ORLANDO DI FRANCESCO TROMBA 99
Che mhai sotto color, falso e ribaldo
tre di miser tenuto incarcerato
senza mangiar & bere: & poi di saldo
se fo uerso quel popul reuoltato
& disse hai popul mio sia ciascun caldo
chio son quel Carlo pur de Pipin nato
& nostro Re, & Imperator tantahi
senza fraude duol, malitia, o ingàni:
Io son quel Carlo che col proprio pecto
sostlni el gran furor del re Anelante
& del re Almonte, ne larme perfecto
ben chio^desse Ihonor al sir dAnglante
senza uatarme nel nostro conspecto
sapete quel chio feci col re Agra mante:
& tutto quel cho facto: o popul mìo
la fatigha sia mìa el resto a Dio:
Sì ho crìsciuta di christo la fede
col brando in man, & con la obidìentia :
so che de xpo e tutta la mercede
io la fatigha accepto & la patientia
ìnseme colla nostra : & lui che uede
el cuor de tutti, usi la sua clemcntìa:
non già che non non punischa limpìì errori
& mala uolunta dì traditori:
Fin che parlaua lalto Carlo mano
mai non fo visto un acto de Oatare:
<& facea gesti parlando: & con mano:
che tutti quanti i facea lacryme:
poi reuoltato alfin al conte Gano
uolendoi forscie tradictor chiamare:
ma la brigata mossa a compassione:
se scagliar tutti addosso a Ganelone
Con tanta furia & con tanta tempesta:
che non podette Carlo reparare
che gli pelaro la barba & la testa
beato quel, che prima el può toccare
100 GIACOMO YANZOUNI
tal, che senza rasoio pel non gli resta:
ne acqua calda bisongno a bagnare
per reuerentia delliniperatore
campo la uita allbora el tradictore
Et fo per morto a Carlo presentato
& lui el fé serrare impregion fella:
cosi fortuna spesso muta stato
hor per parigie andò questa nouella
tal Cogne paladin, fo spregionato
& noua a magancesi trista e fella:
che chi presto non era a fugir uia
le don^ gli amazzauan per la uia :
I paladin tutti sapresentaro
denante a Carlo lieti & ingionichione
<& del passato caso el confortaro
tal che resto contento el re Cartone
ma non podetter mai trouar riparo
che non sia bandizato el fi dAmone
& fé un dicreto Carlo allhora alhora
chel primo che ne parla uol che mora
Et mandaron da nuouo limbasciata
per tutto el modo cha pasqua de magio
lattiera giostra sera comenzata
ma qì che più despiacque al baronagio
à che tutta la corte era turbata
si fo che Carlo con Metto uisagio
mosso da qualche presuagione
fé el traditor cauar fuor de pregione
Ma quado venne a orecchie al fi dÀmone
chel tradictore era deliberato
che se non fosse per Alda & Amone
dapoi che se trono esser armato
haueria messo a fuoco & destructione
Parigie & Carlo e tutto el parentato
delibero passare in pagania
cV desfocar con lor sua bizaria
4 DKAGHA DE ORLANDO DI FRANCESCO TROMBA 101
Et questo conferi col suo cogìno
Orlando conte & senator romano
qi era desdegnato el paladino
chera tornato in gratia el conte Gano
inteso chebbe el conte quellatino
disse al cogino signor de montalbano
el tuo parer e buono: e da huom saggio
ma senza me non farai quel passaggio:
Gran doglia me sera abandonare
Alda sopra de tutto & jl mio cugnato
& senza te in franza no uo stare
ognaltra cosa metterò da lato
Renaldo uia che noi uol aspectare
mal conte Orlando in camera fu intrato
& disse ad Alda hor su dama adarmarme
<& fin a octo di nò^ aspetarme :
Olio uoglio andar per sin a mótalbano
sio andero più in la tul saperai
se de me te domanda Carlo mano
dirai allui che doue io sia noi sai
nò~ respose Alda al senator Romano
le lachryme gli piouon sempre mai
cosi dicendo el Conte se fo armato
in uno instante, Se a canal montato
Appena disse ad Alda sta con dio
& uerso della porta el camin prese
caualca Orlando gratioso Si pio
& riscontro Vliuier, Sl il gran danese:
chel bon Renaldo ciaschedun sentio
quando disse dandar for del paese
cosi fuor tutti tre acompagnati
& son drieto ad Renaldo inuiati:
Hor bei signori io no^ mera già acorto
chera del primo canto gionto alfine
forz'e che la mia barca piglia porto
se pur nó^uoi che fra scoglie rouine:
102 GIACOMO YANZOLINI — LA DHÀGH4 DE ORLANDO SOC
& se porto nò eie, almeo stia sorto
perho brigate excelse & pelegrine:
se uè piace il mio dir retomarite
chio diro cose mai dalcuno odite.
Faeoza, 15 Settembre 1891.
Giacomo Vanzouki
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. lYII
Per bene apprezzare il carattere, i sentimenti e le
idee d' nn poeta giova anzitutto stabilir con certezza
quali scritture si debbano indiscutibilmente a lui attribuire
e quali no. É questo uno dei primi doveri della critica,
la quale, ove le faccian difetto i documenti, deve indu-
striarsi a cogliere, almen per via delle ipotesi, il vero,
limitandosi anche talvolta a solo corregger gli errori, ov-
vero a chiarir le questioni, si che ad altri riesca poi più
agevole il risolverle. Tornando quindi sopra un argomento,
già altra volta da me, in questo giornale, trattato (1), non
presumo, come allora non presumevo, di poter dire
r ultima e decisiva parola. M'accontenterò di ribattere le
nnove ragioni, che, in una sua risposta a quel mio ar-
ticolo, accampa il prof. F. Mango (2) ; nella speranza che
tale umile lavoro possa almeno avviar altri a più fortu-
nate conclusioni.
(1) Testi, Tassoni o Marino? in Propugnatore^ N. S., voi. Il, fase
9, pagg. Ì54-466. Per alcune correzioni a questo art veggasi il voi. II,
fase. 11-12, pag. 406, n. 1, dello slesso giornale.
(2) Di alcune stanze adespote del sec. XVll^ Palermo, Tipografia
G. Spinnato, Piazza S. Onofrio, 1890.
104 A. BELLORI \
V
vt
I.
Oggetto di questo mio scritto, come del precedente
è la più nota forse tra le poesie politiche del seicento
e certo una delle più interessanti tra le moltissime in-
dirizzate a Carlo Emanuele I di Savoia, e inspirate ds
una parte a sentimenti di speranza e di fede nell'
redentrice di quel principe, e dall'altra all'odio contnMZZM)
la Spagna; cioè, quel famoso poemetto, in qnarantatrés^'é
ottave, che comincia: e Era la notte e'I pigro Arturaz:»-o
avea>, e nel quale, come dissi altrove (1), il poeta fing^^;2e
che l'Italia, presentandosi a lui in sogno mesta e pian — .«.
gente, si dolga della condizione miserrima a coi era ri- Jri-
dotta per causa del dominio spagnuolo, e affermi di nor^ci^n
sperare salute e libertà se non dal duca di Savoia.
Per non indur confusione lascierò da parte i vai^^rarì
titoli, che furon dati a questo carme nel seicento e dopo (2'^^2),
e lo indicherò, come fa il Mango, col nome di Stofi2^^^.aj^.
Orbene: chi ne è l'autore? Fulvio Testi o Giambatti^^^ia
Marino (3)?
Non credo necessario rifar qui la stona della questiov-.^^}^
che il Mango ha chiaramente esposta nel suo opuscolo (^^ij'
(1) Cfr. art cit pag. 455.
(2) I vari titoli sono : L' Italia, L' Italia sconsolata , U Italia ^9n\,
gioniera. Il pianto d'Italia (cfr. art. cit. pag. 456, e F. BIango, //
Marino poeta lirico: ricerche e studi, Cagliari, 1887, pag. 105, in tìoe
della nota). Il Mango (Di alcune stanze ecc. pag, 13) suppone che ^a
altro titolo della poesia sia anche Italia afflitta; ma di questa ipolesi
parlerò più innanzi.
(3) Non insisto qui suir attribuzione al Tassoni , della quale parla^^ '
abbastanza neir altro scritto, e a cui appoggio non posso aggiungere altre ^
prove alle già recate.
(4) Pagg. 6-8.
/
DI UNA POESIA ANONIÌfA DEL SEC. XVH 105
iolo noD avrei volato , eh' egli alSfermasse con tanta sica-
ezza, che e finora, se vogliamo soltanto valerci di stampe e
Qanoscritti conosciuti, la paternità del Testi è appena di-
putabile » (1). Poiché infatti se è vero , com' egli nota,
he e i manoscritti.... non indicano il nome dell' autore ,
lé mostrano indizi a discoprirlo » (2), la loro autorità
i nulla serve, né in favor del Testi, né in favor del Ma-
ino. E quanto alle stampe ed all' autorità de' critici , o
ìon se ne tiene conto affatto, e allora la paternità del
Testi è disputabile per lo meno tanto, quanto quella del
Marino; o diamo loro una qualche importanza, e allora
io, attribuendo le Stanze al Testi, posso, a sostegno del-
l'opinion mia, citare le autorità del Tiraboschi (3), del
Melzi (4), del Ferrerò (5), del De Castro (6), del
Santi (7), del Pascal (8), del Cicconi (9), e in parte
quella del D' Ancona (10) ; nonché l' edizione modenese
delle opere di F. Testi, fatta nel 1817, quella bresciana
del 1822, e la raccolta messa insieme da F. L. Polidori,
(1) Di alcune stanze ecc. pag. 8.
(2) Di alcune stanze ecc. pag. 7.
(3) Vita di Fulvio Testi, Modena, 1780, pag. 153.
(A) Dizionario di opere anonime e pseudonime, Milano, 1848-59)
ToL II, pag. 56. Egli segna tre stampe del nostro carme.
(5) // conte F, T. alla corte di Torino, Milano, Daelli, 1865, pref.
pag. 21.
(6) F. T, e le corti italiane nella prima metà del sec, XVII, Mi-
lano, Battezzati, 1875, pag. 22 e segg.
(7) F. 7. e Carlo Emanuele di Savoia, in Rivista Europea, voi.
XYII, an. 1880, pag. 199.
(8) F. T. in Napoli letteraria, an. I, n. 30, settembre 1884.
(9) Del sentimento italiano nei poeti del seicento in Antologia ita-
liana, 1846 (novembre), pag. 633.
(10) Studi di critica e di storia letteraria, Bologna, Zanichelli, 1880,
l^gg. 89-90, n. 90.
106 A. BELLO NI
nel 1847, col titolo Versi alla patria di Lirici itaìiami
dal sec. XIV al XVIIl
Il Mango ha dalla sua l' autorità poco attendibile,
com'egli stesso confessa, del Tracchi (1), un'edizione
napoletana delle opere di G. B. Marino (2) , che dà il
poemetto come estratto da an codice MagUabecchiano-
Malatestiano, della coi esistenza pare dubiti il D'Ancona (3),
e infine le affermazioni del Sanfilippo (4), del Settem-
brini (5) , del Morsolin (6) , nessuno dei quali a dir vero
ha trattato di proposito l' argomento, e ultima quella del
Natoli (7) , la quale, al pari delle altre ( lo riconosce il
Mango stesso) non ha nessun conforto di prove.
Or dunque, stando in tal guisa le cose, perché non
sarebbe lecito pur a me d' affermare , che , se vogliamo
soltanto valerci di stampe e manoscritti conosciuti, la pa-
ternità del Marino è, se non altro, appena disputabile
ancor essa? Ma poniamo chiaramente la questione.
Nel già citato mio scritto io credetti di poter con-
cludere, che le Stanze fossero da attribuirsi, secondo le
maggiori probabilità, al Testi ; e cercai poi di mostrare ,
come si dovessero rigettare affatto le ragioni, con le
quali il Mango, in un suo lavoro sul Marino (8), altri-
(i) Poesie italiane inedite di dugenlo autori, Prato, Giusti, 1847,
voi. IV, pag. 337 e segg.
(2) Opere del cav. G. B. Marino con giunta di nuovi componi-
menti inediti, Napoli, Bonteaux e Aubry, 1861.
(3) Op. cit. pagg. 89-90, n. 88.
(4) Lezioni di leit. ital. Napoli, Morano, 1887, voi. H, pagg. 272-73.
(5) St, lett, ital, Palermo, PedoDe-Laurìel, 1861, voi. Il, pag. 426,
n. 1.
(6) // Seicento, Milano, Vallardi, 1880, pag. 27.
(7) Carlo Emanuele /, Palermo, tip. del Giornale di Sicilia, 1890,
pag. 22. Cito questo scritto sulla fede del Mango, non avendo io potuto
leggerlo.
(8) il Marino poeta lirico ecc., pagg. 102-110.
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC XVII 107
bniva quelle stanze a questo poeta. Ecco infatti come io
riassumeva il ragionamento del Mango: e Egli riconosce
che non si pnò con certezza affermare il Marino autore
delle quarantatre stanze, onde consta il carme; siccome
però, secondo lui, esse hanno molta somiglianza con le
quartine di un altro componimento L Italia , indirizzato
pur esso a Carlo Emanuele, ch'egli crede si debba senza
alcun dubbio attribuire al Marino, cosi viene alla con-
clusione, che anche il Pianto d' ItaUa (cioè le nostre
Stanze) sia, secondo ogni probabilità, da rivendicare a
quest'ultimo > (1).
Le quartine qui rammentate sono quelle notissime,
che cominciano: e Carlo, quel generoso invitto core >.
Come si vede, il Mango, per dimostrare che le Stanze
doveano èssere attribuite al Marino, s' appoggiava sul fatto,
eh' esse hanno una certa somiglianza con le Quartine da lui
credute, senza dubbio, di quel poeta (2). Al qual propo-
(i) Cfr. mio art cit. pag. d57.
(2) // Marino poeta lirico ecc. pag. 104. Ecco le precise parole del
Maogo: e Ma se non possiamo certamente concedere al Marino il carme
in ottava rima (stampato secondo il Tiraboschi, per la prima volta, nei
1617) credo non gli si possa negare il carme in quarta rima intitolato
L' Italia >. E si dilunga per varie pagine (IOi-108) ad esaminare que-
sta poesia, concludendo: e Ecco come va risultando sempre più il senti-
mento politico del Marino » (pag. 108). Lo stesso errore era stato com-
messo già dal CiccoNi, loc. cit. pag. 634, e ripetuto da Atto Vannucci,
Florilegio dei lirici più insigni d' Italia, Poligrafia italiana, 1847; dal
D'Ancona, Saggi di polemica e di poesia politica del sec. XVII , in
Archivio Veneto, t III, par. II, pag. 387, e da Pio Occella, a pag. 15
del Ragionamento preposto ali* edizione deUe Poesie spagnuole di Carlo
Emanuele il grande, duca di Savoia, Torino, Unione Tipografia, 1878
( Nozze Weil-Veis-Weil ). Negli Studi di critica cit. pag. 89, n. 88, il
D'Ancona dice: e Noi incliniamo a crederle ambedue (le Stanze e le
Quartine) scritture del Testi >.
108 A. BELLOM
sito anzi ebbi a rilevare, come l'ipotesi del Mango cod-
contraddicesse all'obbiezione da lui stesso messa innanzi
riguardo alla paternità del Testi: esser, cioè, inverosimile,
che questi fosse T autore di due poesie, il cui concetto ge-
nerale è, su per giù, il medesimo (1). Quindi, non è vero,
che io uscissi dall'argomento, com' egli asserisce (2), quando
ebbi cura di porre in chiaro, che le Quartine sono senza
alcun dubbio del Testi. Poiché , sebben esse non fossero
r argomento della ricerca, tuttavia, siccome il Mango, cre-
dendole del Marino, se ne giovava per attribuire a questo
eziandio le Stanze, io ho creduto mio dovere, per la
verità, di correggere quella sua errata attestazione, la
quale era, per dir cosi, la premessa d'un ragionamento,
che, condotto a fil di logica, portava dirittamente all'at-
tribuzione delle Stanze al Marino.
II.
Altra ragione, dalla quale il Mango, nel suo primo
scritto (3), dicevasi indotto ad attribuire le Quartme al
Marino, era il vedere rammentato dal Quadrio, tra le poe-
sie di quel poeta, un componimento col titolo A'ItaUa
(1) Mango, // Marino poeta lirico ecc. pag. 106; cfr. mìo art ciL
pagg. 458 e 460. A proposito delie somiglianze tra le Stanze e le Quar-
tine, io stesso osservai ( art. cit. pag. 46i ) che si deve andar cauti nel
tenerne conto, dacché certi concetti dovean essere a quel tempo comooL
n Mango nel suo opuscolo (pag. 16) si vale, come vedremo, di questa
mia osservazione , ma per dimostrare che le somiglianze tra i due com-
ponimenti non possono indurre ad attribuirli entrambi al Testi! Era natu-
rale eh* egli cadesse in quest' altra contraddizione ; perché, volendo di-
fendere la paterniti^ del Marino, era costretto necessariamente a mutare
indirizzo e a dimostrare insufficienti le prove, di cui erasi prima giovato
egli stesso.
{i) Dì alcune stanze ecc. pag. 8.
(3) // MariM poeta lirico ecc. pag. 104. Cfr. mio art. cit pag. 459.
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC XVII 109
afflitta, eh' egli credeva fosse da identificare appunto
col carme in quarta rima. Ora invece, nel suo recente
opuscolo (1) , tornando alla citazione del Quadrio, il quale
segna Y Italia afflitta come contenuta nei Fiori di Pindo
raccolti alt Aurora (2), ed aggiungendo pur quella del
Toppi , che mette bensì V Italia afflitta tra le opere del
Marino e date alle stampe >, ma come componimento
a sé , non già come parte dei Fiori di Pindo .(3) , viene
alla conclusione, che la scrittura citata dai due eruditi, la
quale d' altra parte tra le opere stampate di quel poeta
è irreperìbile (4), corrisponda alle nostre quarantatre
Stanze (5). È chiaro che il Mango è caduto in una con-
traddizione, che non mi so, a dir la verità, spiegare.
E a proposito di questa Italia afflitta, citata dal
Toppi e dal Quadrio come appartenente al Marino, io
ebbi a congetturare (6), che sotto quel titolo fosse stata
indicata la canzone Italia parla a Venetia, che si trova
stampata insieme ad altre poesie attribuite, alcune a torto,
al Marino (7), e che anche il D'Ancona riferi in parte,
(1) Di alcune stanze ecc. pagg. 9 e segg.
(2) Della st, e rag. d' ogni poesia, Milano, Agnelli, 17di, voi. H,
part I, lib. I, pag. 282.
(3) BUdioteca Napolitana Et apparato a gli htumini illustri in
Lettere di Napoli ecc. Napoli, Bulifon, i678, pagg. 195-96. Si consideri
che il Toppi é anteriore al Quadrio, il quale nel riportare 1* indicazione
avrebbe potuto errare.
(4) Mango, Di alcune stame ecc. pag. 10.
(5) Mango, Di alcune stanze ecc. pag. 13.
(6) Art cit pag. 459.
(7) Mango, Di alcune stanze ecc. pagg. 11-12. Il titolo del libro,
in cui è stampata la canzone, è riferito inesattamente dal Mango, ed é
questo: Lettere \ del \ Cavalier Marino \ Gravi, Argute, Facete, e Pia-
cevoli, I (jon diverse Poesie del medesimo | non piti stampate, \\ In Ve-
netia MDCXXVII, Appresso Francesco Babà, D Mango crede che deb-
basi attribuire senza alcun dubbio questa canzone al Marino; gli faccio
110 A. BELLONI
togliendola da un opuscolo anonimo, ov' è stampata a sé
col titolo ItaUa a Venetia (1).
Al Mango pare, che la mia congettura non sia ve-
rosimile, per varie ragioni (2):
I."* Non c'era motivo, egli dice, di stampar la canzone
nei Fiori di Pindo col titolo di ItaUa afflitta e poi con
r altro Italia parla a Venetia tra le poesie diverse sopra
citate.
Ma, di grazia, quanti titoli diversi non hanno, come
vedemmo, anche le Stanze? E non furon esse stampate
con quello L' ItaUa all'invittissimo e gloriosissimo Pren-
cipe Carlo Emanuel duca di Savoja, in un opuscolo ano-
nimo, citato dal D'Ancona (3), e con l'altro II pianto
d Italia tra le opere del Marino (4), ed altrimenti an-
cora in altre stampe? E proprio questa stessa nostra
canzone non fu essa stampata una volta col titolo Italia
a Venetia, nell' opuscolo citato dal D' Ancona , come in-
nanzi abbiam visto, ed un' altra invece con quello ItcLtia
parla a Venetia? Qual meraviglia adunque, ch'essa possa
esser stata intitolata anche ItaUa affUtta? E chi ci assi-
cura che il Toppi non abbia dato di sua ^ testa ^un tal
però notare, eh' egli non può giovarsi molto, come vorrebbe, dell' autorità
del D'Ancona, perché questi dice non già di tener per fermo, ma solo
di aver confusa memoria che questa bella canzone debba esser del Ma-
rino (Saggi di polemica ecc. pag. 40i, n. i). Parlando di questa stessa
canzone il Mango dice (Di alcune stanze ecc. pag. 12): e II Tiraboschi la
lesse in un miscellaneo del Cepelli >. E tre righe dopo dice (pag. 13):
« Lo storico della nostra letteratura non accenna alla canzone indirizzata
a Venezia ». Qui o c'è difetto d'espressione, o manca qualche perìodo.
Il Tiraboschi (Vita di F. T., pag. 159 segg.) parla della canzone, ri-
ferendone il principio, che porta il titolo Italia a Venezia.
(1) Saggi di polemica ecc. pagg. 399-402.
(2) Di alcune stanze ecc. pag. 10-11.
(3) Saggi di polemica ecc. pag. 402.
(4) Ed. ciu pagg. 551-554.
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVII 111
nome a quella poesia? Poiché è strano che tra le opere
del Marino questa Italia afflitta non si trovi, e ad ogni
modo anche riconoscendo in essa, come fa il Mango, le
quarantatre Stanze, bisogna sempre supporre (e siffatta
ipotesi vai, mi pare, tanto quanto la mia), che queste,
tra i vari titoli, avessero pur quello di Italia afflitta (il
quale del resto non ci è dato né dalle stampe, né dai
manoscritti ) , oppure che un tal nome sia stato attribuito
ad esse arbitrarìamene dal Toppi.
11.^ Non è lecito (continua il Mango) confondere i
tìtoli di varie poesie adespote del 1600, i quali si somi-
gliano, ma divariano.
Orbene, questa avvertenza, se vale per me, deve
valere eziandio per il Mango ; e s' egli mi fa un appunto,
perché volli identificare una poesia intitolata ItaUa afflitta
con un' altra intitolata ItaUa a Venetia , io mi permetto
di fargli notare, che neppure a luì sarebbe lecito di iden-
tificare r Italia afflitta colle Stanze, che nei codici e nelle
stampe hanno molti titoli, tranne proprio quello che,
come abbiam visto, vorrebbe dar loro il Mango. 11 quale
per sostener la sua ipotesi fa quindi precisamente quanto
faccio io per sostener la mia, ammettendo che il nome
di ItaUa afflitta sia stato dal Toppi assegnato ad una
poesia, che, per quanto sappiamo, non lo aveva altri-
menti.
Alle citazioni poi del Toppi e del Quadrio, che ser-
vono al Mango, come punto di partenza per dimostrar
che le Stanze sono del Marino, io ne oppongo due altre,
che, a mìo giudizio, non valgon meno di quelle.
11 Crasso, che scriveva nel 1666, cioè dodici anni
prima del Toppi, cita tra le opere del Testi L'Italia (1).
(1) Elogii d' Homini Letterati. In Venetia, MDGLXVI. Per Combi et
^ Noù, YoL I, pag. 387.
112 A. BELLONI
Si noti che questo titolo è appunto uno di quelli, onde
furono indicate le Stanze, come già ho avvertito. Di pio,
quale altra poesia del Testi avrebbe potuto indicar il
Crasso con quel noni e? Forse le Quartine? Ma queste
non forono mai stampate separatamente, si che si potesse
citarle , come componimento a sé. Dunque non resta se
non ammettere, che il Crasso abbia voluto intendere ap-
punto le Stanze. E in questa opinione mi conferma b
testimonianza del Baillet, il quale, riportando i giudizi del
Crasso sul Testi, nota tra le opere di questo un poèm
de r Italie (1). Ebbene, non ho chiamato io stesso le Sttme
un poemetto? E potrebbe darsi tal nome alle Quartine,
che sono appena nove ? Mi si può obbiettare che il Baillet
attinse al Crassa e che quindi la sua testimonianza non
ha un certo valore. Io però faccio notare quell'aggiunta
po&ne, e ad ogni modo ripeto la stessa obbiezione per
l'autorità, invocata dal Mango, del Quadrio, il quale potrebbe
aver benissimo attinto al Toppi.
IH.
Fin qui adunque mi pare, che la paternità del Testì,
quanto alle Stanze, non sia punto infirmata.
A sostenerla mi valsi, nel precedente mio scritto,
degli argomenti stessi, onde il Mango attribuiva le Stanze
al Marino. Infatti, come già dissi, egli, ammettendo indi-
scutibilmente, che le Quartine fossero di questo poeta,
veniva per via di somiglianze a concludere che di lui
pure avrebbero potuto essere le Stanze, nonché la can-
?one a Venezia, si che terminava dicendo: e .... si po-
(1) Jugemens des S^avatìs, Anislerdam, 1725, L IV, par. U, pag.
32 e segg.
DI UNA POESIA ANONIÌfA DEL SEC. XVII 113
Irebbe infine congetturare che l' autore delle ottave, delle
quartine e della canzone fosse unico > (1).
Orbene, dato questo, la questione era (sempre nel
caoipo delle ipotesi, s' intende) risolta : appartenendo infatti
le Quartine al Testi, a lui eran da attribuire eziandio
le Stanze, e di più ancora la canzone a Venezia, secondo
il modo d' argomentar del Mango. Il quale , nel suo ul-
timo opuscolo, sorvola su tal punto; che infatti gli sa-
rebbe stato necessario dimostrar men vere e men con-
cludenti le somiglianze , eh' egli stesso avea rilevate tra
le Quartine e le Stanze e la canzone (2).
Se non che io stesso ebbi cura d' avvertire che certe
rispondenze tra le poesie politiche di quel tempo po-
trebbero trovar spiegazione anche nella somiglianza in-
trinseca del soggetto (3). Ma se di tale osservazione
giovasi abilmente il Mango (4), per mostrare che al-
cune somiglianze , già da lui stesso osservate , non
possono indurre ad attribuir le Stanze all' autor delle
Quartine, cioè al Testi, perché non potrei giovarmene
ancor io per rivolgerla contro il Mango medesimo, so-
stenendo che le sole rispondenze di pensiero non pos-
sono persuadere a dare le Stanze all' autor della can-
zone, cioè al Marino? Poiché a questa conclusione ap-
punto egli giunge dopo aver fatto alcuni raffronti tra
quelle due poesie, e tra esse e altre rime dello stesso
poeta (5). Io a mia volta però posso far notare altret-
tanti, e forse più, raffronti tra le Stanze, le Quartine ed
altre poesie del Testi, si che avrò largo campo a mo-
(1) // Marino poeta lirico ecc. pag. 110.
(2) // Marino poeta lirico ecc. pag. HO.
(3) Art cit. pag. 460.
§4) Di alcune stanze ecc. pag. 16.
(5) Di alcune stanze ecc. pag. 15.
roL iV, parte li 8
114 A. BELLONI
Strare , come non senza ragione io creda contrastata a
torto a codesto poeta la paternità del nostro anooimo
carme (1).
IV.
E passo per i' appunto a discuter te prove recate
dal Mango per convalidar la sua ipotesi, e ad espor quelle,
che a mio avviso valgono a confermare la mia.
Egli trova che nelle Stanze e nella canzone a Ve-
nezia eguale è l'intonazione, e fa questi raffronti:
Stanze .
Italia mi chiam' io, son io colei ;
Canzone :
Italia son che sospettosa parlo (2).
(1) A proposito delle rispondenze rilevate dal D'Ancona (Studi di
critica ecc. pagg. 90-91, n. 89) tra le Stanze e le Filippiche del Tas-
soni, io non ho afTerroato, ma solo supposto, che quelle potessero esser
state inspirate da queste. Le quali poi non furono stampate nel 1616,
come dice il Mango, ma nel 1615. Ancora: io non ho punto detto, che
il Tiraboschi riferisca esser state le stanze pubblicate alla macchia. In-
fatti io scrissi (art. cit. pag. 456): « Questo componimento fu la prima
volta pubblicato alla macchia, secondo il Tiraboschi nel 1617, col titolo
ecc. >. Basta guardare la punteggiatura per capire, che le parole alla
macchia non sono riferite al Tiraboschi, la cui opinione è citata solo per
quanto riguarda Tanno della pubblicazione. Solo lasciai d'avvertire che
quella del Tiraboschi è, quanto air anno, una congettura. Il Mango poi
aggiunge: e II titolo delle stanze citato dal Tiraboschi é errato nel Bel-
Ioni T>. Egli non s'è accorto però, che il titolo da me riportato (art ài
pag. 456 ) è seguito da un richiamo alla nota 2, ove è citato il D'An-
cona, Studi di critica ecc. pag. 91, n. 90, in cui si trova la descri-
zione e il titolo dell'opuscolo contenente le Stame,
(2) Di alcune stanze ecc. pag. 13.
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVIl 115
Sinceramente: Tanica analogia ch'io vegga tra questi
due versi sta in ciò, che si neir uno che nell' altro è in-
trodotta a parlare in prima persona l'Italia, la quale si
presenta e si dà a conoscere nominandosi. Ebbene : veg-
gasi come comincia il Lamento \ d' Italia \ a' piedi \ del
sommo Pontefice (1): t Ecco, beatissimo Padre, ai tuoi
santi piedi l'Italia tua tormentata >. Dunque l'intona-
zione non è tanto caratteristica da crederla sufiQciente a
stabilire un' identità d' autore. Somiglianza di forma poi
ve ne ha tanta, quanta tra il primo verso delle Stanze:
Era la Dotte e '1 pigro Arturo avea,
e quest'altro, con cui comincia una poesia del Testi:
Era la notte e la triforme Dea (2).
E il Mango- prosegue : l' Italia prega il poeta di parlare
al suo Carlo.
Stanze :
narra ciò eh' io parlo
All' idolo del mondo, al mio gran Carlo.
Canzone:
Tu (s' a me dir no 'I vuoi) dillo al mio Carlo (3).
Noto, che non in ambedue le poesie l' Italia pr^^a il poeta
di parlare a Carlo , poiché nella canzone l' Italia si ri-
volge a Venezia. Ammetto solo che ci sia una certa corri-
spondenza nel fatto che l' Italia incarica altri di narrar le
sue sventure al Duca di Savoia.
(1) D'Ancona, Saggi di polemica ecc. pagg. 390-391.
(2) Poesie di F. T., in Milano, MareUi, MDCLXXVl, pag. 439.
(3) Di alcune stanze ecc. pag. 13.
116 A. BELLONI
Osserva ancora il Mango : V Italia parla con disprezzo
della Spagna.
Stanze :
Giace
E tra il vasto Ocean terra infeconda....
Canzone :
Giace
Cinta dall' OceaD terra infeconda (1).
Nella canzone è descritta non la Spagna, ma la Germania
e r intonazione è presa, come notai altrove, dalla quarta
stanza della canzone del Petrarca 0 aspettata in del:
Una parte del mondo è che si giace
Mai sempre in ghiaccio ed in gelate nevi, ecc.
Quanto al terra infeconda faccio osservare che anche il
Tassoni nelle Filippiche parla della sterilità della Spagna
e fa di questa una descrizione molto simile a quella eh' è
nelle Stanze (2). Il Mango riconosce codesta somiglianza,
ma crede , con me , che si possa spiegarla pensando
che certe espressioni doveano essere allora comuni (3).
Siffatta ragione vale però anche pel raffronto testé
citato, e ci dà modo eziandio di capire, perché in am-
bedue le poesie si trovi un accenno alla passata gran-
dezza d' ItaUa , accenno che è espresso del resto in forma
assai differente nel verso delle Stanze:
(i) Di alcune stanze ecc. pag. 13.
(2) Cfr. mio art. cil. pag. 462.
(3) In un opuscolo L' llaliano \ a principi \ della sua \ provincia
( D* Ancona, Saggi di polemica ecc. pag. 394 ) si legge : e Sovengavi li
principi.... della gente spagnuola, nata aUa servitù, io paese stenle, in-
felice.... >.
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVII 117
Formai di tutti ì regni un r^no solo,
e nelt' altro della canzone :
La provincia già Donna hor serva in parte (1).
Identico concetto espresse il Testi in nn suo ben noto
sonetto al Duca di Savoia:
Quella che già nel secolo vetusto
Fu del mondo Reina Italia altera,
E eh' or misera fatta , e prigioniera
Di barbare catene ha '1 collo onusto (2);
ove è da notare qnel misera e prigioniera che trovasi
anche in un verso delle Stanze:
Misera, prigioniera, oppressa giaccio.
Cosi, di lieve momento sembrami par V altra osserva-
zione fatta dal Mango, che in entrambe le poesie è ri-
cordato Carlo Emanuele I. Ciò è naturalissimo, che V Italia
era allor tutta piena del nome di questo principe, a cui
volgeva fidente lo sguardo chiunque sentisse battersi in
petto cuor d'italiano. Che se tanto nelle Stanze, quanto
nella canzone egli è chiamato duce alpino (3), faccio no-
tare che anche il Testi lo indicò con tal nome:
E '1 Duce AJpin, eh' ora cavalli e fanti
Raduna intento a gloriose imprese.... (4).
E altrove:
(1) Di alcune stanze ecc. pag. 14.
(2) Opere del Sig. ConU Don Fulvio Testi, Venetia, MDCXLIV,
per Giunti e Babà, pag. 41.
(3) Di alcune stanze ecc. pag. i4.
(4) Opere, ed. eli. pag. 53.
118 A. BELLONI
Tal palpitando il Ligure vicino
Rimase a i moti del gran duce alpino (1).
e nella Supplica ad Alfonso:
Lasso, meglio era pur che de l'alpino
Eroe non havess' io le lodi intese (2).
Finalmente ecco T ultimo raffronto fatto dal Mango
r Italia, ai dice, grida contro la pace:
Stanze:
A che tregua? a che pace?
Canzone:
Ma qual fin sarà il mio se tu t' addormì
In pace (3).
Ben più importante di questo mi sembra il raTTÌcioa-
mento da me anche altrove fatto (4) , tra una delle Sianzf
e due delle Quartine, non tanto per la rispondenza del
concetto , quanto per T identità dell' impeto lìrico e della
forma, ond'esso è manifestato.
Stanze :
A che tarda egli dunque? il ciel secondo
I suoi trionfi e le sue glorie afiretta.
Sparisce il verno, Aprii ritorna e 'I mondo
Rivolto a lui da lui gran cose aspetta.
A che tregua? A che pace? Io dal profondo
De le viscere mie chieggio vendetta ,
E pace altra non vo' se non queir una
Che mi promette Carlo e la fortuna.
(1) Poesie di F. T. In Milano, Marcili, MDCLXXVI, pag. 90.
(2) Poesie, ed. cil., pag. 409 e seg.
(3) Di alcune stanze ecc. pag. 14.
(4) Art cìt pag. 464.
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVII 119
Quartine:
Carlo, quel generoso invitto core
Da cui spera soccorso Italia oppressa,
A che bada? a che tarda? a che più cessa?
Nostre perdite son le tue dimore.
Spiega r insegne ornai, le schiere aduna.
Fa che le tue vittorie i! mondo veggia:
Per te milita il Giel , per te guerreggia ,
Fatta del tuo voler serva, fortuna.
Si notino le espressioni parallele : a che tarda egli dun-
quef a che tregua? a che pace?, e dall'altra parte: a
che badai a che tarda? a che più cessa? Si confronti:
il del secondo I suoi trionfi e le sue glorie affretta; e:
per te milita il dei Ancora: il mondo Rivolto a lui da
hii gran cose aspetta; e: da cui spera soccorso Italia op-
pressa. Infine si consideri il ricordo fatto da una parte
e deir altra della fortnna, e all' espressione delle Quartine :
A che bada?.... a che più cessa? si metta a riscontro
il verso delle Stanze:
Timido bada^ neghittoso cessa.
Or dunque non so quanto giustificata sia la conclusione
del Mango (1), che le Stanze e la canzone non sono al
tutto indipendenti. Io, che potrei dir lo stesso per le
Stanze e le Quartine, non precipito, e, prima di con-
cludere, amo aggiungere alle già recate altre prove, con-
futando in ìspecial modo quelle, onde il Mango si vale
alla sua dimostrazione.
(1) Z>t alcune stanze ecc. pag. 14.
120 A. BELLONI
V.
Ma ammettiamo pure, per un momento, che egli sia
riuscito , al punto in cui siamo , ad indur ne* lettori coi
suoi raffronti la persuasione che le Stanze appartengano
realmente , come la canzone a Venezia , al Marino. Ho
cercato di mostrare più sopra, che non vi è* alcuna forte
ragione di credere, che il Toppi citando di codesto poeta
un componimento sotto il titolo di ItaUa afflitta, abbia
alluso piuttosto air una che air altra di quelle due poesie.
Orbene : sarà egli sufiQciente argomento a risolver la que-
stione e ad attribuire senz' altro le Stanze al Marino , il
fatto addotto dal Mango (1), che in un verso di qoeste
ultime si trovan le parole Esperta afflitta, rispondenti io
parte al supposto titolo di Italia afflitta? Se mal non
m' appongo , questa è tale rìspodenza , che ha piottosto
r aspetto d' una fortuita combinazione, che non d' an in-
dìzio convincente e indiscutibile. Sarà ingegnosa la tro-
vata del Mango, ma io credo che pecchi di soverchia
sottigliezza.
E andiamo innanzi. Altra prova recata dal Mango a
sostegno della sua tesi è questa : nelle Stanze è con par-
ticolare affetto ricordata la « Partenope bella », che il
Marino altrove {Adone, XX, 350) chiama e Partenope
famosa ì> (2).
Se al Mango pare, che questo ricordo di Napoli
conti per qualche cosa, al luogo Ae\\' Adone io contrap-
porrò quest' altro d' una poesia del Testi, dove, con non
minore affetto, son ricordate le dolci spiaggie napolitane:
(i) Di alcune stanze ecc. pag. 14.
(2) Di alcune stanze ecc. pag. 14.
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVII 121
E voi piaggie beate
Cui Partenope die nome immortale.... (1).
Ed anzi nel luogo delle Stanze, coi allude il Mango , si
parla proprio come qui della fertile e felice spiaggia di
Partenope,
Il Mango poi trova, che € in altre poesie del Ma-
rino si riscontrano alcuni pensieri delle Stanze >; e fa i
seguenti raffronti (2):
Adone, I, 8:
Come farò, che fulminar tra Tarmi
S'odan coi tuoi metalli anco i miei carmi.
Stanze :
Tant* io non oso, ed impossibil parmi
Che s* odan le mie voci in mezzo air armi.
Faccio osservare, che ai due versi dell' Adone sopra citati
somigliano i seguenti del Testi:
Io su i gioghi di Pindo al suon de Y armi
Accorderò di maggior tromba i carmi (3).
La notata rispondenza serve quindi anche pel Testi.
Continua il Mango coi raffronti:
Adone, XX, 368:
Or qual cosa avrò mai eh' al vostro merto
Invittissimi eroi, ben si convegna?
Sonetto, Rime, ed. Venezia, Brigonci, par. Ili, pag. 84:
(1) Poesie di F. T. in Milano, Morelli, MDCLXXVl, pag. 337.
(2) Di alcune stanze ecc. pagg. 14-15.
(3) Poesie liriche del conte d. F. T. In Venetia, Per Domenico
LoTÌsa, s. a., pag. 320.
122 A. BELLONI
Del valor vostro il glorioso grido
Fien mal possenti a sostenere i carmi.
Stanze :
Ed io, sebben di celebrare indegni
Si magnanimo eroe sono i miei carmi ecc.
Ebbene: si considerino ora attentamente i riscontri, che
verrò facendo io.
Qtmrtine:
Chi fia, se tu non se', che rompa il laccio,
Onde tant* anni avvinta Esperia giace?
Posta ne la tua spada è la sua pace,
E la sua libertà sta nel tuo braccio.
Stanze:
Da cotante sciagure e tant' affanni
Misera, prigioniera, oppressa giaccio.
Né spero per girar di mesi ed anni
Scatenata vedermi e fuor d' impaccio ;
Se il duce alpin de* miei si lunghi affanni
Mosso a pietà, col valoroso braccio
Le catene non spezza e di queir empio
Barbaro stuolo or non fa strage e scempio.
Non ha questa ottava tutto V aspetto d' una amplificazione
della precedente quartina? S'osservi V avvinta giace e il
prigioniera.... giaccio ; l'espressione col valoroso braccio
e r altra la sua libertà sta nel tuo braccio ; da nna parte
le catene non spezza, dall' altra rompa il laccio. E pò*
non il solo concetto è identico, ma, data la diversa si-
tuazione , la forma generale , la condotta , Y intonazione
son simili in ambedue i luoghi. E altre somiglianze an-
cora abbiamo:
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVH 123
Quartine:
Per dirupate vie vassi a la gloria
E la strada d' onor di sterpi è piena ,
NoD visse alcun senza fatica e pena ,
Che compagna del rìschio è la vittoria.
Stanze:
Malagevole è questa e impresa dura
Magnanima virtù rischi non cura.
Qtmrtine:
Non {sdegnar frattanto i prieghi e i carmi
Che ti porgiamo, e tua bontà n* ascolti,
Fin che di servitù liberi e sciolti
T alziamo i bronzi e ti sacriamo i marmi.
Stanze:
Già dell' Italia i liberati regni
Inakano al tuo nome e bronzi e marmi,
E mille rari e fortunati ingegni
Scrivon le tue vittorie e canlan V armi.
Ed io, se ben di celebrar indegni
Si magnanimo eroe sono i miei carmi,
Pur devoto ed umile al simulacro
Del tuo valor la penna mia consacro.
a proposito di bronzi e marmi leggansi anche i se-
enti versi del Testi, nella supplica ad Alfonso:
Dunque chi degli Eroi le glorie e Y armi
Cantando esalta ed a T età futura
124 A. BELLONI
Memorie più che i bronzi e pili che i marmi
Stabili e ferme di lasciar procura ecc. (1);
ov'è da considerare anche la frase le glorie e tarmi
cantando esalta, rispondente all' altra scrivon le tue vit-
torie e cantan r armi dell'ottava citata. Al secondo vers-o
della quale somiglia poi questo d' un'altra poesia pi^r
del Testi :
Mille v' innalzerem metalli e marmi (2).
Stanze:
Spero veder questa si vasta mole
Di monarchia che fin al del fa guerra..,..
Quartine:
Carlo se '1 tuo valor quest' Idra ancide
Che fa con tanti capi al mondo guerra.
Stanze :
egli in un'oziosa e lenta pace
Tra suoni e canti spensierato segga
Quartine:
Segga OZIOSO in tra le piume il Franco.
Infine in ambedue i carmi si accenna al fatto che C^^^
era, nel combatter la Spagna, solo:
Stanze:
rotte fuggiran
Ma rotte resteran sparse e tremanti
Dal solo suo valor le squadre intiere,
(i) Poesie di F. T. In Milano, Marelli, MDCLXXVI, pag. 409 e s^^^-
(2) Opere di F. T. Venezia, MDCXLIV, per Giunti e Babà, pa^. -*•
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVII 125
Che tutte pure in cotal guisa suole
Cacciar le stelle, ancor che solo, U sole.
più brevemente, senza giacchi di parole, nelle Quartine:
Non hai compagni e la tua spada è sola.
VI.
Ultimo argomento addotto dal Mango è il seguente:
Identità di concetto se non di forma, si osserva nelle
aaze e in nn sonetto sicuramente del Marino.... > (1).
Stanze :
Forse i titoh' vani, onde son piene
Le mie città, l'ampie promesse, in cui
Fondano forsennati ogni lor spene
Miei guiderdoni stima, e premi sui?
Premi questi non son: son ben catene,
Ood* ei con le lusinghe insidia alti'ui.
Sonetto:
Principi italiani, e voi Baroni
Que contro ogni raggion spagnoUggiate
AJ vostro gran monarcha homai lasciate
Gli pregi suoi cavallereschi e i doni.
Son insidie moresche i suoi Tosoni
Quali vi dona poi perché restiate,
Tante povere pecore tosate,
0 per meglio parlar tanti Castroni.
questi due passi si accenna, come si vede, air amore
li grandi italiani per i titoli , specie pel Toson d' oro.
(1) Di alcune stanze ecc. pag. 15.
126 A. BELLONI
Or si senta cosa dice il Testi in nn capitolo bernesco,
edito recentemente da me (1), In lode della Vaccina. Il
poeta, dopo aver detto che le vaccine di Spagna sodo
d'un sapor prelibato, continua:
Spagna gentil, guest' è ben altro honore
Che quel del Becco d* or , di cui si vago
Hoggi si mostra ogni più gran signore.
Riassumendo, mi pare cbe non siano di lieve im-
portanza i rafifronti da me sopra riferiti, al paragone
de' quali (o io m'inganno) credo abbiano minor valore
quelli fatti dal Mango. E invero: mentre per questi ultimi
è da notare cbe tanto nelle Stanze quanto nella canzone
a Venezia abbiamo eguale la situazione, il cbe non può
non determinare delle fortuite coincidenze di pensiero e
qualche volta di forma, dalle quali però non si può de-
durre, come legittima conseguenza, l'identità dell'autore;
per le rispondenze da me rilevate questa osservazione
non regge e per ciò esse sono tanto maggiormente degne
di nota. Infatti, quanto a situazione, nulla di simile v'ha
tra le Stanze e le Quartine, come già ebbi ad osser-
vare (2). Ambedue i carmi sono, è vero, indirizzati a
Carlo Emanuele, ma nelle ottave l'Italia stessa è intro-
dotta (^come nella canzone a Venezia) a narrare le pro-
prie sventure e le infamie del dominio spagnuolo ; sicché
abbiamo, direi quasi, uno svolgimento drammatico del
^1) r» capitolo inedito di F. T. pubblicato per cura di Antonio
Bulloni in MiscrUanea per laurea, XXX giugno I e 11 luglio MDCCCXCI
(l^hiova. Tip. ili' UnÌTersìlà, Fratelli Gallina), pag. 87-99, ed anche eslrallo
a [virte. Dì questo capìtolo era stato pubblicato un brano (dal t. 115 al
V. i^l, esclusi i v>. ITI- 179) in Biblioteca Italiana, voL XII, pag. 303
sej¥.
{t) Art. dL pag. 458.
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVII 127
racconto e il carme ne acquista maggior movimento e
vivezza. Inoltre lungamente vi si parla della Spagna e vi
si esamina il governo fastoso e oppressore ; nelle quartine
invece è il poeta che parla e solo pochi versi, in ultimo,
accennano alla Spagna. Questo carme ha più vigoria nella
sua brevità; è rapido, stringato, nervoso, ma infine esso
non è, 0 per lo meno a me non appare , che un riassunto
dell'altro, ovvero questo un'amplificazione di quello. Lo
stesso alito di poesia spira in ambedue; i pensieri fon-
damentali sono i medesimi; ma ciò che più colpisce è
la forma particolare di certe espressioni, il ripetersi di
certe frasi, di certe parole, come sopra, e spero non
vanamente, ho fatto notare.
E di più, qualora si ritenga il Testi autore di queste
Stanze, cosi belle per caldo patriottismo, meglio s'in-
tendono alcune frasi della Supplica, eh' egli, cedendo alla
necessità di non rendersi inviso alla Spagna e al proprio
Signore, indirizzò al figlio di questo, per esser perdonato
di quanto avea detto poco rispettosamente contro quella po-
tenza. In codesta poesia, Fulvio, accennando alla sua fuga,
descrive con versi aflfettuosissimi e che nulla risentono del-
l' arte secentistica, la separazione da' suoi cari, e, venendo
qnìndi a parlar della causa del proprio esiglio , non scon-
fessa già le lodi date a Carlo Emanuele, solo si ramma-
rica che venga punito anche chi canta le glorie a l'armi
degli eroi. Comise forse gran colpa esaltando le imprese di
Carlo? A qual lontano paese non s* era diffusa la fama di
codesto principe ? Ma ei ben sa la vera ragione del pro-
prio esiglio; ed è questa:
Che non doveano oscure e basse rime
Soggetto aver si grande e si sublime.
Altro che ritirar le sue lodi! Ma tuttavia ei chiede perdono:
128 A. BELLOm
Se del Monarca Ibero offesa in parte
La dignità fu dalla penna mia,
Senaplice è queir error.....
Ora, si rammenti cosa è detto in una delie stanze:
Lascio eh' un re , che di real non tiene
Altro che il nome, effeminato e vile,
À sua voglia mi regga eca^....,
e si rammenti quanto più direttamente ed esplicitamente
è ferita la Spagna nelle Stanze y che non nelle Quartme
e in tutti gli altri luoghi, ove il Testi parlò di qnella
nazione.
VIL
Io quindi contìnuo a credere molto probabile la con-
gettura del Tiraboscbi, che le severe misure prese contro
il Testi per l'edizione delle sue Rime del 1617 (la
quale, come si sa, essendo dedicata a Carlo Emanuele e
contenendo espressioni, che sembravano offensive alla
Spagna, fu sequestrata, mentre lo stampatore era messo
in prigione e Fulvio si salvava con la fuga) possano
esser state provocate anche dal sospetto, che lo stesso
Testi fosse autore pur delle Stanze (1). A proposito della
quel congettura ebbe ad affermare il Mango (2), ch'io
ripetei una sbagliata asserzione del Tiraboscbi già cor-
retta dal Ferrerò. Egli però s'inganna poiché questi
nel luogo citato (3), non mette affatto in dubbio, né
poteva, le severe misure prese contro il Testi, le quali
(i) Cfr. mio art. cit. pag. 459.
(2) Di alcune stanze, pag.
(3) Fulvio Testi alla corte di Torino ecc. pag. 21.
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVII 129
del resto ci sono attestate dal poeta stesso nella
saa Supplica ; né combatte punto la congettura del
Tiraboscbi , limitandosi a solo mostrar come questi
cadde in errore quando , a proposito della croce dei
SS. Maurizio e Lazzaro data al Testi, affermò e che il
duca Carlo Emanuele si fosse determinato a fregiarlo
della detta decorazione quasi in ricompensa dei disturbi
e castighi, che per sua cagione avesse dovuto soffrire
(sopratutto per le famose ottave intitolate L'Italia a Carlo
Emanuele), e che il duca Cesare non si fosse opposto
alla risoluzione del duca di Savoia. Imperciocché la ve-
rità si è che, se non il duca Cesare, certo il Cardinal
d'Este fu quegli che, in tale occasione, fece le parti di
sollecitatore a favore del Testi... > (1). Dalle quali parole
risulta chiaro, che il Ferrerò volle soltanto dimostrar come
Carlo Emanuele abbia dato al Testi V ambita decorazione
non già di suo impulso, ma dietro gli altrui eccitamenti;
il che non vuol dire che il Testi non abbia sofferto, come
infatti soffri, de' disturbi per le lodi da lui rivolte al duca.
Ben è vero, ch'essi furono i primi e gli ultimi, che il
nostro poeta s'ebbe per l'amore alla libertà; che gli
anni e la pratica delle corti l' addestrarono ad esser cauto
e rispettoso anche coli' oppressore e a tener occulti nel-
l'animo, se ancor li serbava, i sentimenti suoi di patriota (2).
E qui potrebbe alcuno osservare, che se realmente
il Testi fosse stato l' autore del carme anonimo , che
suonava si lusinghiero per Carlo Emanuele, questi non
avrebbe aspettato gli eccitamenti del cardinale Alessandro
d'Este per premiare il poeta encomiatore. Tale osserva-
zione però cade da sé, quando si pensi che, anche am-
mettendo che il Testi non avesse scritto le Stanze, aveva
(1) Ferrerò, op. cìu pag. 21.
(2) De Castro, op. eli. pag. 26.
Voi. IV, Parte U 9
130 A. BELLONI
pur sempre dedicato a Carlo Emanuele l'edizione del
1617, per la quale era incorso nelle ire della Spagna.
Particolari benemerenze adunque verso Carlo EmaDoele
il Testi ne aveva e, non ostante ciò , il duce alpino non
si mosse a rimunerarlo spontaneamente, come appunto
avverti il Ferrerò, correggendo il Tiraboschi.
Negar pertanto in via assoluta , che le Stanze sieno
entrate per qualche cosa nel provocar le severe misure,
che causarono la fuga e V esiglio del Testi, il Mango non
può. Ed è poi egli caduto in grave equivoco scrivendo:
e E che né le Rime edite nel 1617, né le Stanze ade-
spote siano state la cagione vera dell'arresto dei Testi,
è provato da un documento storico fino ai 1880 scono-
sciuto, e dal Bellonì non citato » (1). Infatti io non dissi,
né poteva dire, che il Testi sia stato arrestato per le
Rime del 1617; ho affermato semplicemente, eh' egli si
salvò a maggiori pene con la fuga. Oltre di che è da
osservare che il Mango, parlando di arresto, pare alluda
a quello, che è poi anche l' unico da cui il Testi sia stato
colpito, avvenuto, si noti bene, nel Gennaio del 1646,
quando il poeta fu improvvisamente tratto in carcere, ove
mori pochi mesi dopo. Se cosi non fosse, non vi sarebbe
stata ragione, che il Mango citasse uno scritto del Ferrerò (2),
che è appunto il documento storico al quale allude nelle
parole sopra riferite, documento in cui si dimostra la
vera causa di queir arresto , e si ricerca se la morte del
Testi sia stata naturale o violenta. Or, se ben leggeva
quant'io avea scritto, avrebbe dovuto, credo, accorgersi
il Mango , che questa sua citazione era affatto fuor di
proposito; tanto più che, anche per quanto spetta a
(1) Di alcune stanze ecc. Pag. 12.
(2) L' arresto e la morte del Conte Fulvio Testi, in Rivista Euro-
pea, N. S., voi. XIX, an. 1880, pagg. 463-480.
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVU t31
quell'arresto del 1646, nessuno mai, tra le varie ipotesi
emesse per spiegarne la causa, aveva avanzato l'opinione,
che la ragion vera ne fosse stata l'edizione delle Rime
fatta nel 1617. Sicché concludendo: il Mango s' industriò
a dimostrar falsa un' asserzione , che né da me né da
altri era stata mai fatta, e a tale uopo ricorse all' autorità
del Ferrerò, che, combattendo nel suo scritto le altre
ipotesi, codesta, immaginata dal Mango, non poteva, per-
ché inesistente, confutare.
Vili.
Per tutte le ragioni sopra esposte io mantengo la
conclusione , a cui giunsi anche nel precedente scritto ,
che cioè tra i discutibili autori delle Stanze le maggiori
probabilità sieno per il Testi.
Né con ciò io voglio fare apparir Fulvio, come l' unico
e il più patriottico poeta del suo tempo ; che s' egli
in gioventù cantò della patria , si lasciò allettar poi
dalle lusinghe della vita cortigiana e mutò stile alla sua
musa. Non credo io però con il Mango, che gli si possa
fare gran colpa della supplica ad Alfonso, in cui chie-
deva perdono delle parole dette contro la Spagna. Si
pensi infatti eh' anco il Tassoni, per timor delle vendette
spagnuole, fu costretto a rinnegar le sue Filippiche, e
inoltre che, pur confessando il suo errore, il Testi non
ritirò, come osservai, le lodi date al duca di Savoia, e
mise anzi, a mio avviso, nelle sue scuse una tal quale
sottile ironia. Cosi pure dissento dal Mango, quando dice
che il Testi espresse indifferenza per le guerre tra Ita-
liani e Spagnuoli nella canzone ad Ascanio Pio di Sa-
voia (1); poiché infatti egli ivi parla delle guerre, che
avvenivano in Germania, e nei versi citati dal Mango
*
(1) Poesie di F. T. In Milano, Marelli, MDCLXXVI, pag. 239 e segg.
132 A. BELLONI
ÀscaDio, ora dai sommi
Gioghi de Y Alpi io di quel flutto infido
Miro r insanie, odo i tumulti e rido ,
non si riferiscono al vasto incendio di guerra, ma al mar
de la corte, come si capisce leggendo tutta la stanza
Se nel mar de la corte
Lunga stagion invidioso fiato
Di malvagio Aquilon calma negommi.
Già non lasciò, eh* assorte
Fosser le vele a lui fedeli; grato
A* voti miei il mio Nettun salvommi.
Ascanio, ora da i sommi
Gioghi de l' Alpi io di quel flutto infido
Miro r insanie, odo i tumulti e rido.
È da notare, che questa poesia fu scritta dal Testi ne'
primi tempi del suo soggiorno nella Garfagnana, ovverà
stato mandato come governatore. Egli, avvezzo alla >ita
tumultuosa delle corti e amante delle novità, nonché fa-
cile, per una certa incostanza dell' animo, agli entusiasmi,
fu da prima tutto felice della nova esistenza semplice e
tranquilla , nella pace e nel silenzio della campagna. In
questa e in altre poesie paragonando le scene di guerra
con la vita quieta de' campi, egli si mostra compreso da
un dolce senso di mollezza e d' indifferenza, che lo rende
noncurante delle cose del mondo e gli inspira le dolci
melodie d'un idillio, facendogU maledire quelle mondane
grandezze, che, poco dopo, lo travolgeranno di nuovo nel
loro vortice.
La sua indiflerenza è più che altro un'ostentazione;
e senza dubbio è esagerata, come esagerato è l'enlosia-
DI UNA POESIA ANONIMA DEL SEC. XVII ' 133
smo per la solitudine de' monti, e quanto intenso, altret-
tanto fugace. Infatti non per molto tempo ei seppe re-
sìstere alle seduzioni delle corti ; troppo lo pungeva Y am-
Dizione, di cui dovea restar vittima (1).
A. Belloni
(1) Avevo da lungo tempo consegnato alia tipografia, ed era ormai
tutto composto questo mio scritto, quando mi venne tra mano un opu-
scolo del dotL Luigi Arezio, intitolato Sull' autenticità d' un poemetto
pubblicato alla macchia nel secolo XVII (Palermo, Amenta, lB9i) nel
quale é discusso V argomento stesso di cui é questione tra me e Tegregìo
prof. Mango. L' Arezio pubblicò il suo lavoro quest' anno , cioè dopo
ch'era già comparso, nel 1889, il primo mio scritto citato, del quale
però egli dichiara di non aver avuto notizia se non all'ultimo momento,
cosi che non se ne potè valere. Ma per fortunata combinazione T Arezio
viene nel suo scritto alle stesse mie conclusioni e si vale anzi talvolta,
senza saperlo, d'alcuna delle prove da me addotte a conforto della mia,
opinione. Ciò non ostante lo scritto che qui pubblico essendo esplicita-
mente diretto a confutare le ragioni del Mango (la cui risposta al
precedente mio articolo V Arezio non potè conoscere) , e poggiando su
argomenti nuovi ed all' Arezio stesso sfuggiti, nulla ha perduto, a mio
credere, del suo valore e della sua opportunità. Noto solo come dallo
stadio che l'Arezio fece sui codd., che contengono le Stanze, risulti ch'essi
Don ci possono dare criteri sicuri per sciogliere la questione, sicché biso-
gna e ricorrere all'esame del contenuto e dello stile del poemetto »,
cosa che anch' io feci, seguendo però una via diversa da quella che, nel
citalo lavoro, tenne l'Arezio.
LETTERA
AL PROF. DINO MANTOVANI
SUL DISDEGNO DI GUIDO GAYALGANTI
(iNF. X, V. 62-63)
Caro Sardello
Dal giorno che lessi per le stampe la toa nuova in-
terpretazione sul disdegno di Guido Cavalcanti , quei be-
nedetti versi del X canto dell'Inferno mi ballano noa
ridda macabra nel cervello; né per quanto abbia (atto,
mi rìuscf finora di mandarli con Dìo.
Perché Dante chiama la sua risposta a messer Ca-
valcante de' Cavalcanti cosi piena? Vuole egli dire soltanto
che essa era conveniente, ben diretta al peccatore che
avea riconosciuto dalle parole e dal modo della pena,
ovvero intende dichiararla eziandio , per quanto gli era
possibile, completa, chiara e precisa? Io stimo che l'uno
e l'altro senso si contengano nella espressione dantesca;
giacché se ciò che è pieno, non è in veruna parte defi-
ciente, ossia ha tutti i requisiti voluti, il primo requisito
appunto di una risposta è quello di esser chiara e com-
pleta: e son convinto che il Poeta la pensava cosi.
Come va allora che i due versi 62 e 63 che la con-
tengono, appariscono invece tanto oscuri agli interpreti
da digradarne gli oracoli di Delfo? A chi od a che va
riferito quel cui? È semplicemente relativo a persona od
A. GIOVANELU — SUL DISDEGNO DI GUIDO GAVALGANTI 135
1 cosa, come Della ipotesi che stia ad indicare Virgilio,
Dante medesimo o T inferno? 0 non indica piuttosto mi
noto a luogo, non già Terso un luogo vero e proprio,
^he non si saprebbe certo quale potesse mai essere, ma
rerso una persona determinata, come nell'ipotesi che
3SSO alluda a Dio ovvero a Beatrice; o meglio ancora,
secondo che a me sembra, verso qualche cosa di astratto,
verso un ideale che Dante intuisce, ma non può preci-
sare, e che perciò esprime in un modo affatto vago ed
indeterminato? e Tbat is the questioni > direbbe lo sven-
turato principe di Danimarca.
Anche tu hai voluto dir la tua, ed hai propugnata
la tesi con indiscutibile valore, aprendo una nuova via
air interpretazione di quel passo cosi disputato , contra-
riamente anche a quanto il D'Ovidio ed il Rajna fra gli
ultimi han sostenuto.
Per te dunque quel cui non si riferisce a colui,
ossia Virgilio, come si volle fin qui per mille futili ra-
gioni da molti chiosatori, compreso l' illustre Marchetti, e
come propose non ha guari con miglior copia di argo-
menti e per più plausibili motivi l' esimio D' Ovidio ; né
si riferisce a Dio , come vorrebbe l' egregio Rajna : per
te il cui va riferito all' avverbio sostantivato qui, doven-
dosi leggere : per questo inferno cui forse Guido
vostro ebbe a disdegno. E lo sostieni dimostrando anzi-
tutto come il senso che ne viene, trovi il suo riscontro
nel verso 36 dello stesso canto, ove è detto che Fari-
nata mostra di aver lo inferno in gran dispetto; e con-
venga altresì a Guido Cavalcanti, la cui miscredenza, pece
di famiglia, sembra non potersi più mettere in dubbio:
come l'uso degli avverbi sostantivati sia frequente nella
Divina Commedia; e come infine il costrutto duro, anzi
durissimo, del qui cui non ti spaventa perché in Dante
di simili durezze non v' ha certo penuria.
136 ALFREDO GIOVANELLI
Ottime ragioni le tue : non Torrei però che tu, come
moltissimi altri, a mio avviso, per tener gli occhi fissi ìd
qaei due versi, perdessi di vista il naturale andamento
dell'intero poema. E mi spiego.
Tu m'insegni che è ben da distinguere il senso
letterale dei vari canti dall' orditura generale che aTe?a
in mente il Poeta; che se Dante sapeva quale sarebbe
stato il tema dell' ultimo canto della terza Cantica fin da
quando scriveva — In mezzo del cammin di nostra vita, -
non è men vero che il suo disegno non doveva farsi
manifesto al lettore che durante lo svolgersi dell'azione.
Per la qual cosa, interpretando, come nel caso nostro,
le espressioni dell' Alighieri, non possimo andar più in là
di ciò che egli ci appalesa nei versi precedenti, a meno
che non si tratti di concetti filosofici e morali, pei quali
è d' uopo sollevarsi al di sopra del senso letterale e
scrutare gli intendimenti del Poeta secondo il contenuto
allegorico di tutto il poema.
Quando Dante , smarrito nella selva, stava per ritor-
nar più volte vólto, vinto dalla paura delle tre bestie,
non pensava certo che gli sarebbe venuto incontro Vir-
gilio a salvarlo, né che gli avrebbe proposto un viaggio
pei regni eterni. E Virgilio che, svelatosi a lui, lo inco-
raggia pel suo meglio a salire i7 dilettoso monte e gli >i
offre per guida: ma circa la meta del viaggio non gli
dice altro, se non che lo avrebbe accompagnato per
r inferno e per il purgatorio, e che se avesse poi voluto
salire fra le beate genti, un' altra anima, di lui più degna.
lo avrebbe condotto.
Fidente nel suo maestro Dante lo segue: però slam
sempre allo stesso punto ; in quanto al limile del viaggio
che egli intraprende per uscir dalla selva, non dimostra
di conoscerne più di quello che Virgilio gli aveva prò-
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCANTI 137
messo. La qaal cosa convieD fissar bene ìd mente fin
da ora.
Solo è lecito pensare che trovando cosi spianata la
via per le parole della sua guida, ed avendo saputo in
seguito che V anima più degna era Beatrice , concepisse
no grande desiderio ed una vaga speranza di accostarsi
più che gli fosse possibile, con l'aiuto di lei, alla perfe-
zione morale, alla felicità o, se vuoisi, anche al sommo
fieno ; ma in verità eh' ei sognasse di arrivar proprio al
cospetto di Dio, eh' io rammenti, mai non ardisce di dirlo.
Non altre quindi potevano essere le idee di Dante,
quanto nel X canto dell'Inferno s'imbatte in Cavalcante
de' Cavalcanti e in Farinata degli liberti ; dappoiché , ri-
peto, smarrito nella selva, ivi soltanto — e non prima —
ha sentore del viaggio, e lo incomincia, ignorando per-
fettamente quale ne sarebbe stato il termine preciso,
tanto è vero ch'ei dice a Virgilio:
Poeta, i'ti rìchieggio
per quello Iddio che tu non conoscesti,
acciocch' io fugga questo male , e peggio ,
che tu mi meni là dov' or dicestì ,
si eh' io vegga la porta di San Pietro ,
e color che tu fai cotanto mesti.
Ond' è che la risposta cosi piena che dà al primo
dei due dannati:
Da me stesso noe vegno:
colui che attende là per qui mi mena,
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno;
a me pare debba essere intesa non altrimenti che come
la sintesi di tutto ciò che il Poeta sapeva fino allora in-
tomo al gran viaggio, e delle aspirazioni vaghe ch'erano
138 ALFREDO GIOVANELU
surte io cuor suo. Cosicché io leggerei : e Non Yengo per
mia deliberazione ; ma colui che attende là, cioè Virgilio,
per qui mi conduce forse a cut (a ciò che, a quella meta
che) Guido vostro ebbe a disdegno: e in altri termini,
facendomi passare per questi luoghi di pena, mi coDdoce
forse (come spero, come anelo) alla conoscenza del vero
e del bene che Guido vostro, dacché segui una filosofia
tanto opposta alla mia, vale a dire, dacché divenne scet-
tico e miscredente, ebbe a disdegno > . Bellissima antitesi
fra il desiderio di Dante e il disdegno di Guido per il
medesimo oggetto.
Siffatta interpretazione, ognun lo vede, si accosta di
molto a quella del Rajna, ed a rigore ne differisce solo in
quanto alla precisione della meta : egli infatti dice a Dio
addirittura, io invece, confortato dal silenzio di Dante, se
non dall'espressione stessa da lui lasciata per avventura
con artifizio sommo vaga ed indeterminata , preferisco di
leggere ad id quod , quasi compendio dei vari fini a cai
mira il poema, ossia, alla conoscenza del vero e del bene,
alla felicità o alla perfezione che intender si voglia ; tutte
cose per altro che giusta il senso allegorico mettonc^po
air idea stessa di Dio. Per tale riguardo e tenendo ben
presente « che V opera non è semplice, come avverte lo
stesso Alighieri, ma polisensa »; io son di parere che
quel cui (a ciò che) non vada inteso nel senso neutro,
quale apparisce neir espressione letterale , ma nel senso
invece di una meta puramente allegorica , come ho av-
vertito più sopra.
E questo, sia detto fra parentesi, io osservo per
rendere più chiara la mia interpretazione, e non sicura-
mente per iscusar V Alighieri di aver adoperato nel caso
che ci occupa, un cui neutrale, che tu condanni come
contrario alla grammatica; giacché, a parte le molte cose
che a lui sarebbero state permesse, la lingua scritta e
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCANTI 139
parlata son là per darti torto , come neir esempio se-
guente: € Coini che al priDcipio sceglie la buona strada,
arriva felicemente a cui aspira >; ossia, a ciò, alla meta,
al termìDe a cai aspira. Tantoché io sosterrei come la
frase stessa di Dante e mi mena forse cui ecc. > risulti,
né più né meno del passo citato, una espressione elittica,
e sufficientemente chiara, in quanto che ai verbi indi-
canti moto, come guidare, pervenire, menare, giungere,
arrivare ed altri, vada di necessità congiunta l'idea di
fine, termine, meta, scapo; le quali parole perciò, anco
taciute, in mancanza di una designazione più certa facil-
mente si sottintendono. Cosi anche il forse si trova al
suo vero posto, come nell'ipotesi del Rajna, e non fa
bisogno di ricorrere ad interpretazioni più o meno stirate
e contorte per ispiegarne il vero significato, secondo che
fanno i più, senza tuttavia giustificarne la postura, in ogni
altro caso, veramente anormale.
E che la meta del viaggio nell' orditura della Com-
media sia vaga e molteplice e non Dio, letteralmente
parlando, lo desumo dalle parole medesime che Dante
nel canto I del Purgatorio mette per suo conto in bocca
di Virgilio:
libertà va cercando^ eh' è sì cara ;
nonché da quelle eh' ei profferisce nel V :
per quella pace
che dietro a' passi di s) fatta guida
di mondo in mondo cercar mi si face.
Né in modo diverso, a volerla trovare nel senso al-
legorico, si esprime il Poeta nella sua lettera a Can
Grande, laddove gli fa sapere che e il fine del tutto e
> della parte ( Paradiso ) si è di rimuovere coloro che in
140 ALFREDO GIOYANELLI
)) questa vita vivono, dallo stato di miseria e iDdirizzarE
> allo stato di felicità > . La qaal dichiarazione viene ri-
petuta dal figliuolo stesso dell' Alighieri, quando dice: do
» ne spiegherò in modo generale il carattere allegorico
ì> col dire che il disegno principale dell' autore è di mo-
» strare sotto colorì figurati le tre maniere di essere
D dell' umana razza. Nella prima parte prende a codsì-
» derare il vizio che dice Inferno.... La seconda ha per
9 oggetto il passaggio dal vìzio alla virtù, che dice Por-
» gatorio.... Neir ultima parte mira gli uomini perfetti, e
ì> la dice Paradiso per esprimere l'altezza della loro
ìt virtù e la grandezza della loro felicità, senza le quali
» non si saprebbe riconoscere il supremo bene >. •
Ecco perchè io penso che quel cui alluda ad oca
meta generica e non particolarmente a Dio , sogno in-
vero troppo orgoglioso per un mortale, fosse pur Dante:
e quel forse invece di significare e se ci arriverò, se m
sarà dato », voglia esprimere il grande desio, la vaga
speranza, che egli aveva formata alle parole di Virgilio,
di dare uno sguardo di là dalla porta di san Pietro, tanto
più che sapeva esser Bice l'anima degna che lo avrebbe
potuto condurre alle beate genti.
Sono lungi perciò dal seguire l' interpretazione gen-
tile del forse, diretta a nascondere al padre la miscre-
denza del figlio, sia perché sarebbe fuori di posto, e sia
perché se a Cavalcante erano ignoti gli avvenimenti che
eran vicini a compiersi o si compievano (v. 100-105),
non cosi doveva essere dell' empietà dì Guido, suo figlio,
che avea se non altro ben conosciuto da vivo , e sapea
dalla pubblica voce accusato e di cercar meditando se
Dio si potesse negare ». E notisi per giunta che Dante
stesso parlando a messer Cavalcante e a Farinata portava
credenza che codesti spiriti conoscessero il presente, il
passato ed il futuro senza limitazione di sorta (v. 94-99),
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCANTI 141
onde la sua pietà mi sembrerebbe inesplicabile, ovvero
una inutile affettazione, se a sostegno della mia tesi non
porgesse nuovo argomento l' Alighieri medesimo con la
confessione ch'ei fa nei versi 113 e 114 intorno all'er-
rore in cui era.
Ove poi si sollevi contro a me l'obbiezione che fu
già opposta al Rajna, non esser cioè Virgilio, ma Bea-
trice che condurrà Dante a Dio, od alla meta ultima del
viaggio, qualunque ella sia, io rispondo che Dante anche
altrove, favellando coi dannati , tace dell' anima più degna
e parla soltanto di Virgilio come sua guida. E la ragione
di un tal procedere io credo ravvisarla in due cose; nel
grande rispetto per il suo maestro e donno , di cui non
voleva senz' alcuna necessità menomare l'alta importanza
agli occhi di quei trapassati, e nel nessun interesse che
avrebbe potuto destare in costoro la notizia che a Virgilio
dovea succeder Beatrice, ignota ai più, per condur lui
alle beate genti. Anzi una considerazione che non trovo
sia stata fatta da altri, e che nel caso del Rajna e nel mio
è di capitale importanza è proprio questa, che chi ac-
cenna a Beatrice nei vart dialoghi coi peccatori dell'In-
ferno e del Purgatorio, se la memoria non mi tradisce,
è sempre Virgilio (cfr. Inf. I, 112-29 e Purg. XVIII,
46-48), Dante non mai (cfr. Inf. X, 62-63 e Purg. V,
61-63).
E qui mi cade in acconcio dì trattar brevemente di
quelli, fra i quali il D'Ovidio, che attribuendo o no al
forse il significato gentile, da te vagheggiato, riferiscono
il cui a Virgilio. Non istarò a far l' inventario delle ra-
gioni più 0 meno plausibili , addotte in sostegno di que-
sta interpretazione, mi limiterò ad esporre i motivi pei
quali oso pensare che non sia dessa la vera.
Se Dante avesse voluto intendere che Guido non era
seco, poiché disprezzava Virgilio, — poco importa per
142 ALFREDO GIOVANELU
qual ragione ciò fosse, — converrebbe supporre che egli
avesse fatto cenno al Cavalcanti, e ta par ne convieni,
del viaggio pei tre regni delle anime con la scorta del
mantovano poeta ; ovvero che questi, — non si sa come,
né quando, né perché, — avesse potuto proporlo ad en-
trambi, afDnché Guido verosimilmente accettasse o re-
spingesse per disdegno V offerta. Ma come l' Alighieri
prima di smarrirsi da solo nella selva non sapea dell'in-
contro con Virgilio , e molto meno del viaggio per lo
cammino alto e Silvestro; cosi Virgilio che dichiara (Porg.
I, 52-54):
Da me dod venni:
Donna scese dal ciel, per li cui prìeghi
della mia compagnia costui sovvenni;
non apparisce in veruna ipotesi autorizzato a favorir al-
cun altro air infuori di Dante, imperocché agiva per in-
carico ricevuto (Inf. II, 50 al 126). E se si riflette che
chi lo mandava, era appunto Beatrice, T amore ideale di
Dante, che vegliava in cielo per lui, non è facile com-
prendere come e' entri il disdegno di Guido per il can-
tore di Enea, a spiegare il perchè ei non sia compagno
all'Alighieri nella gita al dilettoso monte.
Per qual ragione Beatrice avrebbe dovuto interes-
sarsi di Guido Cavalcanti? Lo aveva ella neppur cono-
sciuto da viva? Era egli forse smarrito con Dante nella
selva? 0 non era invece accaduto proprio in quel tempo
che i due vecchi amici, sebbene dello stesso parlilo,
avean presa a percorrere una via differente, Dante col-
r intento di pacificare gli animi, Guido con quello di voler
ad ogni patto distrutta la fazione dei Neri , d' onde è
possibile inferire un raffreddamento, se non una vera
rottura, della loro antica amicizia? Ora il Poeta, cui fin
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCANTI 143
la principio per le rivelazioni del maestro è palese ef-
Tettuarsi il suo viaggio in virtù di un influsso benefico,
zhe lai solo riguarda e protegge, non può dare ad in-
tendere in buona fede a messer Cavalcante, cbe Guido
non segua, perché ha in odio Virgilio.
Arduo poi diventa in tal caso l'accordare il forse,
dabitativo, con Yebbe, passato rimoto; vuoi perché se
Gaido avesse odiato Virgilio, ciò non aveva da essere un
mistero per V Alighieri ; e vuoi perché se l' Alighieri avesse
voluto riferirsi, come opinava r esimio De Sanclis (1), ai
tempi giovanili, alle prime gare della scuola e dei con-
vegni letterari, avrebbe asserito cosa non esatta, essendo
la sua amicizia con Guido d* un' epoca alquanto poste-
riore, ed essendo questi di oltre dieci anni più vecchio
di lui.
Eppure si dee credere che il Poeta abbia alluso
quasi alla impossibilità di conoscere le nuove idee del suo
pritno amico, a causa della loro separazione politica da
me accennata, o durante l'esilio del Cavalcanti; imperoc-
ché oltre all' osservare che la separazione stessa , se av-
venne, fu di corta durata, non possiamo dimenticare che
al tempo in cui ha realmente principio il famoso viaggio.
Guido era tuttora in Firenze, e Dante non aveva per
anco ottenuto gli onori del priorato (2).
Provisi invece a riferir queir ebbe come nell' inter-
pretazione che ho ardito proporre, agli anni nei quali
Guido, prima ancora dì diventare l' amico di Dante, s' in-
golfò nello scetticismo profondo che lo condusse, sulle
orme de' suoi, alla miscredenza; e il passato apparirà
(1) Farinata, in Nuovi Saggi critici, Napoli, Morano 1879, 2.*
ediz. pag. 28.
(2) Balbo, Vita di Dante, I, capo X, :pag. 142: II, capo VII,
pag. 303.
144 ALFREDO GIOVANELLI
adoperato nel suo giusto valore, come il forse nel suo
vero posto: ed entrambi, anziché intralciarlo renderaimo
facile e piano il senso del passo in esame. E tanto mag-
giormente insisto nel mio modo d'intender queir ^i6;,
in quanto ei mi sembra d' averne conferma nei versi che
seguono. Infatti messer Cavalcante colpito dall' espres-
sione di Dante al passato rimoto,
Di subito drizzato gridò: Come
dicesti egli ebbe? non viv' egli ancora?
Don fiere gli occhi suoi Io dolce tome?
Quando s' accorse d' alcuna dimora
eh' io faceva dinanzi alla risposta,
supin ricadde, e più non parve fuora.
E Dante in verità resta talmente meravigliato che
Cavalcante non intenda il giusto significato del suo ^,
che prega Farinata a sciogliergli il r^odo che ha invilup-
pata sua sentenza, dicendo:
È par che voi veggiate, se ben odo,
dinanzi quel che 'I tempo seco adduce,
e nel presente tenete altro modo.
E poiché Farinata gli risponde:
Quando {U cose) s' appressano, o son, tutto è vano
nostro intelletto; e s altri noi ci apporta
nulla sapem di vostro stato umano]
Dante pentito quasi della sua colpa, soggiunge:
Or direte a quel caduto
che 'I suo nato è co vivi ancor congiunto
E s'io fui dianzi alla risposta muto
fate i saper che il fei, perch' io pcfisava
già neW error che m' avete soluto.
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCANTI 145
In altri termini : io dod sognava neppure che messer
Cavalcante ignorasse come sqo figlio viva ancora, perché
sra mia opinione che a voi quaggiù fosse noto il pas-
sato, il futuro ed il presente; ed ho parlato al passato
rimoto, solo riferendomi al giorno dal quale Guido co-
oiinciò a professare quei principi filosofici, ch'io, dive-
Dato poscia suo intimo amico, conobbi purtroppo esser
tanto diversi dai miei.
In fine è da por mente che se il cui alludesse in
UD modo qualunque a Virgilio, il forse, che vorrebbe es-
sere , secondo il D' Ovidio e te , un pietoso riguardo al
vecchio peccatore, a parte quanto già feci notare in pro-
posito, non attenua per me V offesa arrecata a quel savio
gentil, che stava li presso e che poteva udire benissimo,
facendogli sapere che Guido Cavalcanti V ebbe a disdegno.
Non e' è che dire : sentirsi spiatellar sul viso , od anche
dietro le spalle, complimenti di questo genere, non è
cosa che dia piacere ad alcuno; e Dante che di buona
creanza era certo maestro, mi farebbe la figura d'un
inesperto nocchiero che per evitar Scilla vada a urtare
in Cariddi; del che non so davvero capacitarmi.
Ma comunque sia, eccomi di nuovo a te, mio caro
Sordello, pregandoti di volermi perdonare se mi ti mo-
strerò piuttosto Ezzelino, che Gunizza.
Tu leggi : Colui che attende Id mi mena per questo
inferno, che forse Guido vostro ebbe a disdegno: e con
bella copia d' argomenti e molta erudizione difendi il tuo
assunto. Anch'io da prima, se ricordi, fui tentato di
schierarmi dalla tua parte; ma avendoci ripensato sopra
e a lungo, mentre tu ti sei vie più convinto della bontà
della tua tesi, io ho cominciato a dubitarne assai.
Prima di tutto osservo come anche nel caso tuo
valgono le stesse ragioni addotte per il forse e Vebbe
nella ipotesi che il cui si riferisca a Virgilio, giacché,
Voi. IV, Parte 11 10
146 ALFREDO GIOVA
Termo rimanendo il sentimento e
non l' oggetto del suo disprezzc
sostitDirsì t' inferno al mantovatu
che nella naova lezione che fai,
è più dove Dante lo pose.
Ta sostieni che il forse ini
delle tante darezze del grande i
questa non mi so dar pace dal
versa interpretazione, come abbi;
vario dove si trova. Del resto,
addosso t'accasa di pedante, noi
porre ai tnoi ragionamenti il pre<
s' insegna nelle scuole intomo al
cioè r idea più saliente va semp
gior luce possibile. Per la qual
Dante ha posto il forse prima di
tendere, né più né meno, che 1'
la frase si contiene appunto nell
tavi dal forse; imperocché in
come il tegame che rannoda mi
pendìa a meraviglia e l'incertezz
meta, e la vaghezza dei desideri
alle parole di Virgilio.
Ma lasciamo andare anche ì
direbbe a messer Cavalcante che
soltanto per lo inferno, che il fi]
gna? E il purgatorio e il paradii
pure del programma tracciato d
chiarì che alle beate genti sai
degna?
It per qui sta senza dubbio
ma non già come meta del viagj
^vnrìime tremendo: secondo me,
mente un luogo di passaggio; i
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCANTI 147
per esso non mi offre alcun moVivo plausibile dell' as-
senza di Gaido. Il quale, dato che disdegnasse l'inferno,
non poteva, miscredente come era, non disprezzare il
purgatorio e il paradiso: e questo suo disdegno per la
vita futura, credo che avrebbe dovuto in ogni caso es-
sere annunciato al padre, se pur lo ignorava (del che
dubito forte), in una forma più generica^ e non limitata
al solo inferno.
Se fossi stato io, per usare un riguardo a quel po-
vero vecchio, meglio che adoperare un forse fuori di
posto, gli avrei detto magari che Guido disprezzava uno
degli altri due regni ed anche tutti e due, ma non pro-
prio il solo inferno, ove messer Cavalcante gemeva den-
tro l'arca infocata, ed ove poteva prevedere che il suo
caro figliuolo, o presto o tardi, sarebbe andato a tener-
gli compagnia.
Né mi sembra che tu possa trarre grande profitto
dal raffronto che fai tra la espressione usata dal Poeta
laddove parla di Farinata degli Ubertì, e quella che ri-
sulterebbe dalla tua interpretazione relativamente a Guido
Cavalcanti: imperciocché se ben si comprende il gran
Hspitto del primo per l' inferno , dove trova vasi condan-
Dato eternamente, non è cosi del disdegno dell' altro pel
[[uale non pure l'inferno, ma tutto il resto non era che
una fiaba innocente. Nel primo caso adunque è l'odio,
nell'altro il disprezzo, sentimenti che differiscon tra loro
quanto dtsptfto e disdegno.
Di più osservo che la frase — per qui mi mena, —
tenuto pur conto della virgola, che non so se sia stata
messa dal Poeta o dai chiosatori che nel cui lessero Vir-
pUOy non corrisponde alla verità delle cose, giacché Vir-
ilio dovea menar Dante ben più lontano , e non e' era
ragione che questi lo nascondesse a Cavalcante ; ed inol-
tre non offre un senso completo per lo intrinseco signi-
148 ALFREDO GIOVANELU
ficato del verbo menare. Il qnale, a somiglianza di con-
durre, guidare, come ho detto più sopra , implica sem-
pre, secondo me, in via principale uno scopo, una meta,
un limite, fosse pur l'incontro dell'anima più degna,
{ducere ad); ed in via puramente secondaria l'idea di
passaggio (ducere per), come quando si dice menar per
un sentiero, per un sentiere, per la strada maestra, per
una via tortuosa, o come suona il proverbio e menar U
can per V aia > ad indicare appunto i' ire e redire in-
torno a un argomento senza uno scopo al mondo. Ha a
Virgilio e a Dante lo scopo non mancava davvero!
Se stiamo al senso letterale puro, non e' è che dire,
Virgilio ha da Beatrice l'incarico di far passare Dante
per r inferno e per il purgatorio, alDQnché veda color che
son si mesti; e Dante, anelando di uscir dalla selfa
oscura, obbedisce ciecamente ad una volontà sdperiore,
che lo guiderà fra le beate genti per fargli conoscere il
vero. Se poi vogliamo indagare il senso allegorico , Vir-
gilio rappresenta la ragione operante in virtù della fede,
che mostrando a Dante le conseguenze delle colpe degli
uomini lo conduce alla filosofia teologica, afiQncbé per
questa raggiunga la massima possibile perfezione: e Dante,
pentito degli errori trascorsi , si alBda alla fede ed alla
teologia per ottenere con la libertà dello spirilo dalle
umane miserie, la pace e la felicità cui anela : ed altri
aggiungerebbe forse il ritorno al belt ovile, che era senza
dubbio il vero ed unico scopo pratico dell' intero poema.
Riepilogando adunque, il mio arzigogolo si ridace a
questo. Il cui non dovrebbe riferirsi a Virgilio, né a Dio,
né air inferno ; bensi ad un quid astratto che sta ad in-
dicare una meta, certa nella sostanza, perché è la cono-
scenza del vero giusta il concetto cristiano, da cui emana
la felicità; ma indeterminata nella forma, perché sebbene
fosse l'aspirazione di Dante, questi non poteva palesare,
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCANTI 149
noQ conosceDdoli, i disegni di quell'anima degna, che
mentre affidava una parte della propria missione a Virgi-
lio , se ne riserbava il compimento fra le genti beate.
Solo egli sapeva che il maestro gli sarebbe stato guida
alla felicità, perché, una volta sul limitare del paradiso,
era certo di aver raggiunto per suo mezzo un grado di
perfezione che lo rendeva degno d'intendere il supremo
bene.
Ecco perché egli disse forse cui: e siffatta vaghezza
di elocuzione, lungi dall' esser causa di oscurità, quasi
che il sommo Poeta, tacendo la preposizione a dinnanzi
cui, come ha sempre usato, avesse voluto proporre un
indovinello, dà invece alla risposta un certo tono profe-
tico che per niente ripugna allo stile della Divina Com-
media.
Queste riflessioni che ho la velleità di credere non
del tutto inconcludenti, tu potrai, se ti aggrada, chiamarle
addirittura cavilli : in ogni caso però dovrai convenire che
se ne son dette tante, e tante se ne dicono e se ne di-
ranno ancora su quei due famosi versi, che accanto al-
l'opinione da te propugnata c'è posto non solo per la
mia, ma per quella eziandio di coloro che riferiscono il
cui a Beatrice, e che possono raggrupparsi in due classi
distinte.
I primi sostengono, che, essendo stabilito come Virgi-
lio debba condur Dante fino ad incontrar Beatrice, la donna
scesa dal cielo, che nel poema è il simbolo della teolo-
gia, Guido non accompagna l'amico, perché disprezza
quella donna, e il forse sta ad attenuare la durezza della
frase, volendo indicare che non alla persona di Beatrice, ma
al simbolo da lei rappresentato s' ha da intender rivolto
il disdegno di Guido.
E gli altri, fra i quali primo l'esimio prof. Torraca,
attribuiscono l' assenza di Guido al disdegno che Beatrice
150 ALFREDO GIOVANKLU
ebbe per lui, e fanno quindi soggetto il cui e comple-
mento oggetto il Guido vostro , leggendo : e Colui che
attende Id per qui mi mena forse cui (a colei cbe, a
Beatrice la quale) ebbe a disdegno il vostro Guido i.
Non commento siffatte interpretazioni per dod ripe-
tere cose già dette e ridette: solo, mentre tu tacciasti
di eresìa la prima delle due ipotesi, io non posso a meno
di osservare in quanto alla seconda, cbe messer Caval-
cante al quale tu e D'Ovidio dedicate un forse pietoso,
non deve aver certo compreso il grazioso complimento
dell'Alighieri, od almeno non lo raccolse per non esser
obbligato a rimbeccargli tanta villania, come si meritaTa.
Così resta provato che quel cui si pnò tirare a si-
gnificare non solo Virgilio, Dio, l'inferno e una meta,
letteralmente indeterminata, ma anche Beatrice: ed od
nostro egregio ed erudito collega, il prof. Scipioni, ci av-
verte cbe quel medesimo cui ( ed io l' accennava di corsa
in principio), può altresì alludere a Dante.
Quest' ultima interpretazione, come vedrai, non manca
d' interesse tanto per la originalità della trovata , quanto
per la certezza storica degli argomenti su cui si fonda.
Dopo aver diviso in due categorie gli interpreti vec-
chi e nuovi, una cioè di quelli che coordinano il forse
cui deir ultimo verso al colui che del precedente, ed in-
tendono in entrambi Virgilio, e l' altra di quelli che ne
fanno due parti indipendenti e intendono nella seconda
un personaggio diverso dal cantore di Enea, osserva l'au-
tore che i commentatori procedono troppo per precon-
cetti, trascurando non di rado la grammatica e la logica.
Comincia quindi col far notare che alla duplice domanda
di messer Cavalcante due sono le risposte di Dante, ^
poiché il senso della prima al t mio figlio ov' è1 • ap-
parisce evidentissimo, porta tutto il suo studio sulla se-
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCANTI 151
conda al e perché non è teco ? i . Ciò premesso, leggasi,
egli dice, come sta scritto in tutti i codici,
Coli che attende là per qui me mena,
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno;
colleghisi il cui col méf e il seoso è chiaro.
E cosi entra a dimostrare il disdegno di Guido per
Dante, desumendolo dal fatto che dair epoca della Vita
nuova (1292-93) Guido non si trova più nominato dal-
l'Alighieri con Io stesso affetto nelle altre opere sue.
Anzi osserva che, a parte il freddo riserbo intravveduto
a torto od a ragione da alcuni in un sonetto del Caval-
canti medesimo a Dante, questi nell'XI del Purgatorio
(v. 94-99) parla di lui con fine ironia, dicendo che lo
caccerà di nido; che nel De Vulgari Eloquio (1304-5)
neanche lo nomina tra i poeti più dolci e sottiU, esaltando
invece Gino da Pistoia e sé medesimo che chiama V a-
mico di Gino ; e che finalmente ripone Guido per il pri-
mo, ma con pentimento e per ragione di dignità della
patria, essendo minore Pistoia, soggetta a Firenze, quando
tratta dei Toscani che hanno conosciuta V eccellenza nel
volgare. Se poi altre due volte gli accade di menzionarlo
(II, 12), non lo chiama altrimenti che Guido da Fiorenza
0 Guido Fiorentino; il che dimostra secondo il Scipioni,
il quale come te conviene su quanto aveva già scritto lo
Scartazzini in proposito (Dante, Milano, Hoepli, 1883, v.
I, pagg. 33-35), che Guido nell'animo di Dante non era
più quel d'una volta.
Come ultimo e decisivo argomento poi si riporta alle
lotte politiche ed ai fatti di Caien di Maggio e a quei che
seguirono in relazione col priorato dell'Alighieri, e con
r esilio di Guido Cavalcanti a Sarzana; e opinando che
r ebbe si riferisca ad un momento solo , determinato e
152 ALFREDO GIOVANELU
decisivo della vita di Dante, qaale è il principio dell' al-
legorico viaggio, conclude che il cui grammaticalmente e
logicamente non può alludere che a Dante medesimo.
Io non nego che siffatto modo d' intendere il passo
controverso abbia qualche cosa di si attraente, che a
prima vista lasci dimenticare l'inesplicabile spostamento
del forse, messo prima del cui, ed inviti a rìcoDOScerDe
quasi la naturalezza che V autore stesso vi trova. Però
questa naturalezza, ne chiedo venia all' amico Scipiooi, a
me sembra più apparente, che reale.
Cominciamo dalla grammatica. V avverbio forse,
stando a modiflcare nel caso nostro un verbo , deve di
necessità scemare o rendere dubbio il mi mena o Yeibe
a disdegno ; ma mentre non giungo a persuadermi come
mai sia possibile il dubbio in una espressione al passato
rimoto, cosi netta ed esplicita, anche per consentimento
dello stesso Scipioni, e dalla quale per giunta il forse è
tanto lontano, non veggo che il solo me mena che lo
precede immediatamente, il quale ne possa esser reso
dubitativo, non già per 1' azione del menare o condurre,
ma, come io sostengo, per ciò che ha riguardo alla meta.
Né abbastanza esatta mi apparisce la nota che T egregio
commentatore scrive in risposta al Rajna ed al Turraca,
e quindi a me di rimando, che cioè il cui in dipendenza
dal mi mena sarebbe designazione di moto a luogo, reale
0 figurato, e che non gli sembra vi sieno esempi di tale
uso in italiano : imperocché , se forse non ha torto nel-
r ipotesi che si tratti di moto reale verso una cosa, tranne
come ho detto altrove nel senso figurato quando il verbo
al quale va congiunto il pronome cui, implichi in modo
evidente sottintesa la parola generica meta, fine, termine,
scopo e simili ; s' inganna, a mio credere, ove il cui, po-
sto in luogo di chi, esprima V idea di moto in generalo
verso una persona. E per vero chissà quante volte egli
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCANTI 153
arra adito o letto frasi come queste: < Tizio fu menato
cui ambiva di conoscere personalmente ; la lettera giunse
poco dopo, cui era indirizzata, Gaio si lasciò condurre
a cui sapeva di riuscir bene accetto > ; e via discor-
rendo : nelle quali non può negarsi che il pronome cui
ìu dipendenza dei verbi menare, giungere, condurre, sia
designazione di moto reale verso una persona.
Laddove poi combatte come te dal lato della logica
l'opinione del Rajna, sostenendo non esser vero che
Virgilio meni Dante a Dìo, e non poter far ciò altri che
Beatrice (Inf. I, 112-29 e Purg. XVIII, 46-48), non ho
che ripetere quanto già esposi in difesa dell' opinione
mia; vale a dire che malgrado la chiarezza dei passi ci-
tati, messi però in bocca di Virgilio, non ne mancano
altri nei quali il Poeta rispondendo direttamente ad al-
cuno non curasi punto, — e ne ho fatte notar le ra-
gioni, — di spiegar per filo e per segno come lo duca
suo lo accompagni fino ad un certo limite , d' onde alle
beaie genti lo menerà Beatrice; e senza tener conto del
passo in esame, basterebbe a provarlo la terzina se-
guente (Purg. V, 61-63):
Voi dite : ed io '1 farò per quella pace
che dietro a' passi di sì fatta guida
di mondo in mondo cercar mi si face.
Non credo sia lecito dubitare che per si fatta guida
Dante intenda Virgilio, e con la espressione di mondo
in mondo alluda non già ad una parte soltanto, ma a
iutto intero il suo viaggio , in fondo al quale si ripromette
la pace. Al più si potrebbe concedere che il mi mena forse
della risposta a messer Cavalcante corrispondesse al cer-
car mi si fece di codesta terzina, in quanto le due espres-
sioni lascino quasi intravvedere una volontà superiore che
154 ALFREDO GIOVANELU
regola l' azione di Virgilio come gaida di Dante. Se dod
che confesso con tutta franchezza che non repato ponto
qaesta interpretazione preferibile all' altra da me data,
essendo un tal modo di rispondere troppo evasivo e per
giunta troppo soggettivo, perché chi lo ascolta, riesca
facilmente ad afferrare il significato che si sappone abbia
voluto dargli il Poeta.
E veniamo al disdegno di Guido per Dante. Le cod-
siderazioni accurate e profonde esposte sa tale soggetto
dall'erudito Scipioni sono di una verità incontestabile:
ed anch' io, benché ad altro fine, ho parlato di un pos-
sibile rafl'redda mento dei rapporti amichevoli, se dod di
una rottura definitiva, fra il Cavalcanti e l' Alighieri. É noto
infatti come questi, eletto uno dei Priori per ridar la
pace a Firenze, turbata per le lotte tra i Bianchi e i Neri,
e specialmente per l' oltraggio fatto ai Consoli dai Grandi
la vigilia di S. Giovanni, adunati a consalta quei che se-
devano al governo della repubblica, proponesse di ban-
dire per alcun tempo i capi delle due fazioni: ed appro-
vato, come afl'erma Dino Compagni, che era dei consi-
glieri, il partito suddetto, i Neri furon mandati, non senza
difficoltà, a Castel della Pieve, ed i Bianchi, fra cui Guido
Cavalcanti, a Sarzana. Dopo questa condanna è certo
che, anche avessero tutt' ora esistito, i buoni rapporti fra
i due vecchi amici dovettero cessare, sia per riguardo
alla carica di Dante, sia pel naturale risentimento del-
l' esule che, malgrado la ragion di stato, non poteva non
riconoscere in lui la causa precipua di sua sventura.
Ma a me sembra che per parlare logicamente del
disdegno di Guido nei versi che stiamo torturando, non
sia permesso riandare fatti, espressioni o documenti po-
steriori alla morte del Cavalcanti, o meglio ancora al
momento decisivo in cui comincia l'allegorico viaggio,
tanto più che il Poeta per i suoi fini anticipa di circa
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAYALGAMTI 155
quattro mesi (15 Aprile — 15 Agosto 1300) gli avve-
nimenti da coi prende le mosse, e dichiara a Farinata
che Guido è tutt' ora co* vivi. Ecco perché io diceva che
la naturalezza dell' interpretazione del Scipioni mi faceva
r eflfetto di esser più apparente , che reale ; e in verità
essa per me si dilegua al semplice confronto delle date
più competenti, sulle quali non è più chi dubiti.
Il viaggio si compie nella settimana santa, ossia nel
plenilunio di Marzo che avveniva nell* Aprile del 1300, e
il priorato bimestrale di Dante ha principio il 15 Giugno
dello stesso anno: la condanna di Guido Cavalcanti e
degli altri a Sarzana e a Castel della Pieve è posteriore
alla vigilia di S. Giovanni, ossia al 23 Giugno; ed il ri-
tomo, se non la sua morte, che oggi si fissa al 28 Ago-
sto, benché il Villani lo faccia vivo ed in armi nel Di-
cembre che segue, è in ogni caso posteriore al priorato
deir Alighieri che usci di carica il 15 Agosto, tredici
giorni prima della morte di Guido.
Or come può Dante parlare del disdegno di Guido
per lui , se all' epoca in cui finge che il viaggio si efl'et-
toi, entrambi parteggiavan pei Bianchi; e data pure una
divergenza d' idee, una rottura dei primitivi rapporti, non
era ancora avvenuto alcun che di cosi grave, come l' esilio
di Sarzana, per cui Dante, rinnegando la fiera alterezza
del proprio carattere, potesse credersi verosimilmente
odiato e disprezzato da Guido? Né mi si dica che molte
altre volte l'Alighieri parla di fatti assai posteriori all'epoca
del viaggio; perocché allora egli predice o meglio fa
predire, ma non afferma con espressioni al passato rimoto.
Sta poi il fatto che il Cavalcanti infermatosi per la
malaria, ottenne la grazia del ritorno in patria per in-
tercessione di Dante medesimo, che accusato per tale
atto pietoso di parzialità in favore dei Bianchi, cercò
scagionarsene dicendo e che il ritorno di Guido (a cui
156 ALFREDO GIOVANELU
tenne subito dietro il richiamo degli altri confinati a Sv-
zana) avvenne quando egli era già fuori dell'uffizio del
priorato (1) >. La qual cosa varrebbe, secondo me, a
dimostrare che se V amicizia fra Guido e Dante dorette
subire necessariamente una vera interruzione durante il
bimestre in cui questi fu de* priori, essa rivisse abneno
un istante non appena V Alighieri si trovò libero di giovare
all'amico, e Guido pensò per avventura, con qualche
speranza di riuscita, d'interessarlo in suo favore. D'altra
parte non va dimenticato che questa dell' esilio dei Bian-
chi, se non si fosse cangiata in tragedia per il povero
Cavalcanti, aveva da essere una delle tante farse politiche
che si rappresentano da che mondo è mondo: imperoc-
ché la parzialità dei priori, Dante compreso, a danno dei
Neri , dei quali il primo colpito fu Corso Donati , è pa-
tente ; e Guido era troppo di alto ingegno e scaltro per
non dare il suo giusto valore alla propria condanna, a
cui rassegnato, come gli altri di parte bianca, sottomet-
tevasi, mentre il loro vero capo messer Vieri de* Cerchi
restava libero in Firenze. Quindi è ch'io sarei tentato
perfino di credere che l'amicizia fra Dante e Guido, se
si ruppe in apparenza, in sostanza non sia mai venuta
meno al punto da giustificare il disdegno di Guido per
Dante, come vorrebbe il nostro collega.
Ma qui non è il caso di sbizzarrirsi in congettare
che ci distrarrebbero dall' argomento , bensì di vedere
fino a qual punto sia ammissibile il disdegno di Goido
per Dante nella lezione proposta dall'egregio filologo.
Ed io ripeto che l' unico motivo di sdegno non può
ravvisarsi all' infuori dell'esilio e delle sventure cui sog-
giacque il Cavalcanti ; che tutto ciò che si trova nel De
Vulgari Eloquio e nel Purgatorio dee necessariamente
(1) Leon. AreL p. 55.
SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCANTI 157
riportarsi a queir infausta circostanza, e però se vai come
conferma, nulla aggiunge di nuovo come argomento; e
che per ultimo non v' è punto a meravigliarsi nel veder
come Dante in quegli scritti rivolga tutto il suo affetto a
Gino da Pistoia, per la semplicissima ragione (e qui ri-
spondo anche all'esimio Scartazzini ) , che quando egli
scrìveva il De Vulgari Eloquio (1304-5) , Guido era già
morto da circa quattro o cinque anni, e da quattordici o
quindici almeno, allorché egli terminava il Purgatorio.
Fra r amicizia per un vivo e quella per un morto i con-
fronti non reggono, poiché e chi muore giace e chi vive
si dà pace >.
Per la qual cosa la sconvenienza e la contraddizione
che, posta la continuataci) intima amicizia, il Scipioni
rileva nei versi 94-99 dell' XI del Purgatorio , messi a
raffronto con quanto Dante insegnò nel Convito, scritto
Dell'esilio circa il 1305, sull'amicizia e sulle convenienze
con gli amici, non mi sembra che si possan sostenere,
molto più poi ove si ponga mente che là non è Dante,
ma Oderisi da Gubbio che parla. Che se anche sia in-
dubitato che l'Alighieri in quei versi alluda a sé stesso, non
é men vero eh' ei vuole assolutamente nascondersi al-
l'ombra di Oderisi: e sarebbe strano infatti ch'ei pec-
casse di superbia appunto quando questi, accasciato dal
grave pondo, gli dichiarava :
Ed ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
Figuriamoci poi se avesse peccato!
E con questo, caro Sordello, chiudo la mia lunghis-
sima epistola, ove ho passato in rassegna con la tua in-
terpretazione quelle dei Virgiliani e dei non Virgiliani, e
più particolarmente del D' Ovidio, del Rajna, del Torraca
158 A. GIOVANELLI — SUL DISDEGNO DI GUIDO CAVALCAlfTI
e del Scipioni, e ne ho proposta anche una mìa, com-
pletando cosi i' infinita varietà dei signiGcati onde apparve
(ino ad ora suscettibile il celebre cui. Che se mal^do
tutte le ragioni da me addotte, tu sarai rimasto, come
son certo, ognor più tenace nella tua opinione, respin-
gendo con santo orrore la mia del pari che le altre, dod
di meno io nutro lusinga che non manchi fra tanti let-
terati qualcuno, a cui T interpretazione da me propogoata
apparisca meno contorta e balzana di certi commenti che
vanno per la maggiore.
Ed in tale speranza, che forse non a torto m af-
fetto quasi paterno fa sembrarmi certezza, alla tua buona
ed antica amicizia mi raccomando e ti saluto.
V Ottobre 1890.
Avv. Prof. Alfredo Giovanelu (1)
(1) 11 Prof. Alfredo Giovanelli non potè vedere stampato il suo »*
ticolo nel nostro giornale: giacché, con rammarìco di tutti i buoni, morì
son circa quattro mesi, in Sinigaglia sua patria.
(Nota della DmEzioNE)
IL CODICE DANTESCO GRADENIGHIANO
APPUNTI
ATTILIO TAMBELLINI
Nel 1865 (celebrandosi il. sesto centenario dalla na-
scita di Dante) fra i dugento e un Godici Danteschi
esposti a Firenze era anche il Gradenighiano che si con-
serva nella Biblioteca Gambalunga di Rimini. Molti e spe-
cialmente il Tonini (1) e lo Scarabelli (2) scrissero intorno
a questo Godice; tuttavia non credo inutile riparlarne
oggi un po' diffusamente , in cotesto risveglio degli studi
danteschi, sia per aggiunger nuove notizie alle già date,
sia per correggerne alcune, sia per farne conoscere il
commento, mercé un breve saggio di esso.
Il compilatore del Gatalogo dei Godici danteschi
esposti a Firenze {Successori Le Mounier 1865) lo segna
al numero 97 cosi: e Biblioteca Gambalunga di Rimini
> (membranaceo in fol.). La D. G. con commento. Ba-
ì tines, 404. Sec. XIV fine. Miniature non condotte a
> termine, che vanno fino al canto Vili dell'Inferno.
(1) Memorie storiche intorno alla Francesca da Rimini. (Rimini,
MalvolU, 1870).
(2) Esemplare della Div. Com. donato da papa Lambertini ecc.
[Bologna, Romagnoli, 1870-73). Anche il prof. Crescentino Giannini nel
Bibliofilo (N. 10, Firenze, 1880) e il doti. Ludovico Frati in Miscellanea
Dantesca (Firenze, libreria Dante, 1884), lo illustrarono brevemente.
Uoa DOtizia é anche nel Giornale illustrato (Torino, 6 Maggio 1865).
160 ATTILIO TAMBELLIMI
» Matilo e mancante di altre carte. Un sonetto di sedici
> versi, scritto sulla coperta, ci fa sapere il nome del
> copiatore, giacche le sedici iniziali danno lacomo Gra-
donicsg, I dae versi ultimi dicono cosi:
»
<( Se saper voi lettor cui U libro scrisse
» Gli capi versi il nome non fallisse
» Evvi pure un verso che ce lo farebbe credere anche
» miniatore:
» Mentre ho dipinto uno et altro quaderno ».
Chi conosce quel sonetto avrà notato che la descri-
zione del compilatore non è esatta in ciò che riguarda
il nome dello scrittore del Codice; ma il compilatore
stesso a pie' della pag. 112 del Catalogo pose questa
correzione: < A pag. 54, Gradonicsg, leggi: Gradonico;
acrostico formato colle iniziali dei quattordici versi e la
seconda lettera del decimoquarto verso ». Il che è evi-
dente; perché le iniziali dei versi si alternano coi colori
rosso e nero, tranne le due prime lettere del quattordi-
cesimo fcoj che sono rosse e compiono il nome : Gra-
donico. Il sonetto è assai noto e perché fu pubblicato pa-
recchie volte non lo trascrivo; tuttavia mi sembra utile
far notare due cose ; la prima si è che il verso secondo
non va letto:
Amor^ che non me parse far fatica
e nemmeno: gran fatica, bensì, ed è evidente, sebbene
la lettera sia alquanto ròsa :
Amor, che non me parse mai fatica;
IL CODICE DANTESCO GRADENlGHl^TiO 161
a seconda osservazione si è: che nel verso terzo non
xedo si possa accettare la parola provvidenza, come ìd-
erpretano alenai, perché le prime tre lettere rimaste
K)no evidentemente pre e V ultima è una r. Ma del so-
letto basti.
Di Iacopo Gradonico o Gradonigo o Gradenico o
Sradenigo non parlerò, perché il Degli Agostini (1) ne dà
ina minuta biografia (sebbene non tocchi gran fatto della
ma podesteria a Perugia, al quel proposito si può con-
citare il Cicogna (2) che trascrive anche il Diploma del
Senato perugino a lui conferito) e ultimamente ne scrisse il
Lazzarini (3); farò soltanto notare che sembra doversi tener
per certo essere Iacopo tutt*uno con Belletto Gradenigo ;
)lla qual cosa accenna anche il Degli Agostini quando
>crìve: Da questa ebbe orìgine, circa la metà del secolo
XJI, Iacopo il Cavaliere, denominato sovente Belletto ecc.
Il Cavalier Gradenigo pertanto, volle offrirci una delle
)iù belle copie della Divina Commedia, sia pei caratteri
litidi ed esattissimi sempre, sia per le miniature finissime
correttamente disegnate , alcune anche dorate, sia
ler le annotazioni ben ordinate e pei sommari premessi
d ogni canto, e La forma dei caratteri (dice il Tonini)
el sonetto e del Codice lo manifesta scritto al cadere
.el secolo XIV > e» più avanti, cosi cerca di fissarne la
lata : e opinerei che il Codice fosse scritto dopo il 1389
Q cui il Gradonigo ebbe il Privilegio Perugino (4) e
(1) G. Degli Agostini, Scrittori veneziana Tomo I, pag. 278-293,
(2) E. Cicogna, Documento inedito ad onore di Iacopo Gradenigo
Venezia, Gasparì 1843).
(3) Lazzarini Vittorio, Rimatori veneziani del secolo XIV. (Pa-
dova, Stab. Tip. Teneto, 1887).
(4) Di poter unire al suo lo stemma della città di Perugia, in be-
nemerenza della buona amministrazione esercitata durante la sua podesteria.
Voi IV, Parte 11. il
162 ATTILIO TAMBELLINI
avanti il 1399 io cui, forse per 1' ottenato titolo ca?alle-
resGO di cui parla l' Agostini, al grifone ebbe aggionto i
gigli (1) >. L'illustre storico rìminese non è certamente
lontano dal vero; perocché il Gradenigo fu nominato
Podestà di Perugia il 16 di ottobre del 1388, entrò Id
carica il 9 di decembre dello stesso anno e vi rimase fino
al settembre del 1389 (2), perché alla data del 7 di quel
mese trovasi negli annah decemvirali perugini un: orili-
namentum prò adventu domini Angeli de MalwUis de
Senis potestatis e il diploma del Senato perugino ha la
data del 24 di Settembre del 1389 (3). Tuttavia , essendo
noto che la Storia evangelica (ossia e Gli quattro Evangeli
concordati in uno >) fu condotta a fine nel 1399 come leg-
gesi nel codice : Expletum Padue de MCCCLXXXXYUU
die primo mensis octubris per me lacobum Gradonico
militem venetum e supponendo che a fare quella lunga
e non agevole compilazione (44 capitoli in terza rima)
il Gradenigo abbia impiegati cinque anni , troverei op-
portuno restringere il tempo fissato dal Tonini (1389,
1399) e porre T opera del Codice dantesco dal 1390
al 1394 e forse nei due anni circa (dal 6 aprile del
1392 ai primi del 1394) durante i quali fu Pretore a
Padova.
Cotesto Codice, che apparteneva al Card. Garampi
(1725-1792) come appare da questa scritta d'un cartel-
lino incollato nella parete interna della coperta del libro;
« Bibliothecae losephi Garampii EpT M. Fai. et Comeù
(1) Op. cit.
(2) Debbo questi particolari (non avendo potuto consultare il libro
del Cicogna) alla cortesia del sig. dolt Vincenzo Ansidei, Bibliotecario
di Perugia.
(3) Cicogna. Documento inedito ecc.
IL OOBICE DANTESCO GRADENIGHIANO 163
et Nunt Ap. apud Aulam Caesaream. an. 1784 > e f u
da qael cardinale medesimo donato alla Gambalunghiana
ove è segnato in catalogo: D. 11-41, ha la rilegatura di
legno coperta di cuoio impresso d' ornati e delio stemma
dei Gradenigo (al qua! proposito giova notare che que-
sta famiglia reca nel suo stemma la banda scalinata bianca
in campo rosso (1), mentre nel Codice è azzurra senza
scalinatura, in campo d'argento); era adorno di borchie
dorate, delle quali appena è rimasta traccia ed aveva an-
che fermagli che furono strappati. Sulla stessa guardia è
scritto, in alto, il noto sonetto acrostico e sotto di esso
il Nardi (già bibliotecario della Gambalunghiana) attaccò
nn foglietto volante del secolo XIV da lui trovato nella
Biblioteca, recante questo, che trascrivo senza le abbre-
viazioni :
Epitaphyum Dantis Alegherii de Florentia
— Theologus Dantes nullius dogmatis expers
Quod foveat darò phylosophia sinu^
Gloria musarum vulgo gratissimus aucior^
Rie iacet; ai fama pulsai utrumque polum.
Qui loca defunctis gladiis regnumque gemellis
Distribuii laycis rectorisque modis^
Paschua pyeriis demum resonabai avenis —
3 più sotto è scritto il seguente proverbio:
Ricchejssra mal composta a povertà s* accosta.
Sulla guardia interna del dorso trovasi la nota delle spese
occorse pel Codice, che qui riporto per curiosità:
(1) V. GlNANNi, Arte del blasone.
164 ATTILIO TAMBELUNl
Le infrascritte spexe sie fatte
per questo dante fin qui nò^can»... (1)
la scriptura.
pma p quinterni xxri (2) de carta
p h XX jj el quinterno monta a xxTm b xu
It p alum (3) xxnij a b fiij luna monta a yiiij b n/
It p paragrafi co sue alum lu a lu
It p farlo ligar pagati a cerbero bidello (4) a iiu
It p la eopta (5) de cuoro. a x
It p lo conto dagli golii ad una gudia (6) a y b x
It a maistro cario onxe p ona iij qrto v
_ de argento « xiiu b i
Sma a Ixxiiu b XY
Le pagine del Codice sono alte cent. 39, larghe 26
a tre colonne : le due laterali pel solo commento , quella
dì mezzo pel testo, pel commento e per le miDlature;
non già, come scrisse il Tonini (7) e come ripetè lo Sca-
rabelli (8), pel solo testo; le note insomma fanno cor-
nice al testo del poema che nelle prime quattro terzine
è malamente ricalcato. Ogni canto doveva essere adorno
di figure e di iniziali miniate , ma né le une né le altre
(1) La parola é quasi cancellata; ma deve leggersi: contando.
(2) 11 numero é quasi cancellato; ma preferisco leggere XXVI e
non XXI col Battaglini (scheda volante) perché cosi toraa esattamente
la somma.
(3) È ròsa la pergamena; ma senza dubbio va letto alum perchè
sono appunto 24 le miniature o alluminature ed anche perché lo lascia
indovinare quel po' delle lettere che ancora vedesi.
(4) È evidentissimo lo scrìtto.
(5) Coperta.
(6) Evidente anche qui la lettera. Ma che significa? È forse la spesa
per qualche lavoro fatto da una giudea?
(7) Op. cit.
(8) Esemplare della Div. Comm. ecc. (Bologna, Romagnoli, 1870-
73)
IL CODICE DANTESCO GB^DENIGHJJI^O 165
vaDoo oltre l'ottavo, sebbene siansi lasciati gli spazi ne-
cessari ed anzi, fra una nota e V altra in alcani luoghi
delle colonne del commento, siano altri spazi, ma non già
( come fu supposto da taluno e come credeva anche l' il-
lustre prof. Francesco Rocchi) perché manchi il com-
mento, che non manca mai, né perché vi dovessero trovar
luogo altre miniature, ma perché le note seguissero (mercé
quegli' opportuni intervalli ) regolarmente il testo in modo
da cadere, il più esattamente possibile, di fianco al verso
che deve essere commentato e che tuttavia assai spesso,
per lo spazio lasciato alla miniatura, trovasi più avanti
della annotazione. Solo non so spiegare, perché l'ultimo
verso del canto X dell' Inferno e V argomento del canto XI
campeggmo ciascuno in una pagina bianca, quando e il
commento del canto X finisce regolarmente a metà circa
della pagina precedente e il canto XI comincia esatta-
mente nell'altra pagina.
e Gotal Codice ( scrive lo Scarabelli ) è frammenta-
rio; ha i punti a fine d'ogni verso e gli apici sugli i;
r ortografia è cattiva; il testo in più luoghi guasto e
manca di molti segni abbreviativi ; ha meo, eo, far, sai
segni di lontano codice da cui è disceso; ha le gente
dolorose, molte gente, gente eran, quale colombe che
avviserebbero di penna senese il codice lontano; ma
ha poi brazza, cazar, zorno, vixe, basar, zioé che lo
accusano deturpato un po' forse dal Lana stesso, un
po' dal copiatore che è veneto (1) > . Mi permetto di
are, a quanto scrisse l'illustre dantofilo, due osserva-
zioni: la prima si è che non mi sembra essere il testo
in più luoghi guasto; lo scorsi attentamente dal primo
air ultimo verso e non lo trovai che rarissime volte man-
cante di qualche vocabolo sfuggito al copiatore; lacuna
(i) Op. ciL
166 ATTILIO TAMBELLINI
vera, con ana variante singolarissima, è nel canto XXXII
AqW Inferno, ove alla terzina 43 si legge:
Non altrimenti Tideo manuca
Le tempie a Menalippo per disdegno
CK et facea 7 teschio et V altre cose suca; (1)
la seconda osservazione si è che il testo di qnesto Codice
non ha naila di comune col Laneo datoci dallo Scan-
belli, nò colla Vindelina, e moltissime e le principali va-
rianti del Grandenighiano non trovansi in quelli.
Tanto alla prima che alla seconda Cantica (noDalla
terza perché, come dirò più oltre, mancante dei primi
quaderni che furono strappati) è premesso un capitolo,
0 sommario, o epitome che dir si voglia , recante di doe
in due terzine (tranne nel Purgatorio dove talora è
d'una, talora di due) rispondenti esattamente a ciascoQ
canto, la materia trattata da Dante. Il Capitolo posto avanti
d\V Inferno è seguito da venticinque terzine del commento
attribuito a Iacopo Alighieri, attorniate da fregi e chiose
dallo stemma del Gradenigo, contrariamente a quanto
scrisse lo Scarabelli (2) che pone quello stemma dopo il
verso di chiusa del Capitolo colla intestazione: Dm Men-
gino ecc. : seguono poi seltantaquattro terzine del Somma-
rio attribuito al Boccaccio ; V altro Capitolo invece, che sia
innanzi al Purgatorio è preceduto da altre undici terzine
di Iacopo e da settantacinque del Boccaccio ed è seguito
dal noto epitafio: lura monarchiae ecc. La lettera dei
due Capitoli non mi sembra (e ne parlerò più oltre)
della stessa mano che scrisse tutto il Codice. Ambedae
furono pubblicati dal chiarissimo Dott. Frati (3) ed ulti-
(1) Al vocabolo suca trovasi la nota del Lana alla parola róse.
(2) Esemplare ecc. pag. 677 del voi. II.
(3) Miscellanea Dantesca (Firenze, MDCCCLXXXIV, Libreria Dante).
IL CODICE DANTESCO GRÀDENIGHIANO 167
Diamente dal Del Balzo (1) ma non sempre, panni, se-
condo la precisa grafia del Codice , essendosi, credo, il
Doti. Frati servito della copia fatta trarre o tratta dall'Avv.
Bilancioni (2). Mi permetto di recarne qualche esempio
cominciando coU' osservare che il Codice ha ben di rado la
iniziale maiuscola nei nomi proprii e manca quasi affatto
di punteggiatura, tranne dopo T emistichio del canto dan-
tesco, separato dall' emistichio dell' autore dei Capitoli per
mezzo d'un punto o d'una brevissima linea. Nella pub-
blicazione del Frati, secondo la copia del Bilancioni, cosi
leggesi l'ultimo verso della IV rubrica:
Voi Dio che carità quivi rimiri
mentre il testo ha chiaramente: se miri e cosi i due
primi versi della prima terzina, rubrica VI:
Al tornar. Scende al terzo cerchio o geme
gli peccator golosi sua fetita
leggonsi nel testo:
ÀI tornar . scende al terzo cerchio . o . geme
gli peccator golosi sua ferita.
Le due terzine della rubrica XII sono trascritte:
(1) Poesie di mille autori, intomo a Dante, (Roma, Forzaci, 1889;
voi I).
(2) Anche il doti. Corrado Ricci pubblica a pag. 389-400 della sua
opera: L'ultimo rifugio di Dante Alighieri, (Milano, Hoepli, 189!)
questi Capitoli, secondo il Codice Gambalunghiano, ma con le yarianli
d*un Cod. della Bodleiana d' Oxford, che però ha solo T epitome per
V Inferno e con qualche lacuna.
168 ATTILIO TAMBRLLINI
Era lo loco ove tiranni strìde
nel sangue oppressi da centauri ameri
e qual rubba suo prossimo o ucide.
Quivi è Alesandro et Dionisio feri
Obbizzo et Ecdìno et Y ombra sola ,
Attilla, Piro, Sexto et dui amieri
ma nel Codice abbiamo:
Era lo loco ove. Tiramni stride
nel sangue opressi da centauri anneri
e qual rubba suo prossimo o ucide.
Quivi è Alesandro et Dionisio feri
obbizzo et Ecelino et V ombra sola
attilla piro sexto et dui armerù
Il Frati pose in nota: Cosi il Cod. Forse deve leggersi
armeri o arnieri (?). E fu indoviDO perchè il Codice reca
evidentemente armeri nella seconda terzina ed a me pare
anche nella prima, se non che la r della prima sìllaba
non è molto evidente. In ogni modo : né anieri né armi
Nelle due terzine della rubrica XIIII in luogo di
sprezza nel primo verso era forse bene lasciare spezza,
come legge il testo, sebbene non corra troppo il senso
e nel secondo: blastema e non blasfema; cosi nel primo
della seconda terzina: Campaneo e non Capaneo. Nel
verso secondo della prima terzina, rub : XVI, il Bilancioni
corresse thesaglio (evidentemente errato, ma é la precisa
grafia) in Teghiaio e nel seguente:
per quel peccato lejujso an penitenza
leggesi lerzo (lercio, lurido ecc.). Dopo qaesta rubrìca
cessa la numerazione.
Alla rubrica XX, nel verso:
Dì nova pena cui a fatura ecc.
IL OODIGK DAiniBSOO GRJDENlGHlANO 169
il codice reca afatura , evideDlìssìmo sebbene ricalcato ;
ed è il verbo affatturare, usato qui dall' autore per que-
gli impostori che esercitarono Farle divinatoria; a /amra
QOD dà senso alcuno alla terzina, mentre afatura glielo
restituisce spontaneo e piano.
Un' altra importante correzione deve farsi alla rubrica
XXVI, verso secondo, cosi copiato dal Bilancioni:
Godi Fiorenza. In foco in flama sparte
fossati SODO et arde ecc.
mentre il Codice legge invece : fassati, cioè fasciati dalla
fiamma (sono i consiglieri frodolenti); ed anche questa
non meno importante alla rubrica XXXII, verso secondo,
ove il Bilancioni legge:
Se va in la glazza el tradimento fello
ed è evidente: serra.
Queste sono le correzioni più necessarie che do-
vrebbe recare ai Capitoli del Codice Gradenighiano chi
volesse ristamparli ; altre varianti di minor conto ,
ma che necessariamente bisogna accogliere per conser-
vare la precisa grafia sono sparse più qua più là pei due
capitoli, come ad esempio : neir Vili sup. infem, , apta
e non aperta; demtro e non dentro; nella XII male
branche invece di Malebranche; inlando per involando,
con mal per com' mal nella XXIV; et seminar corretto
in che seminar nella XXVII; dimora in divora, ulma in
ultima nella XXIX ; ivi trovasi pure nel verso primo della
seconda terzina, tra et malati e t falsatori la parola : i
peccatori sottosegnata coi punti d' espunzione , errore del
copista che in tal modo volle evitar la cancellatura. Cosi
troviamo nel capitolo sup. purgator. alla rubrica XII
no ATTILIO TAMBELLINI
verso quarto, l'articolo el cambiato in un; alla XXX,
verso secondo, il nome di Beatrice tra senza o Virgilio
/senza beatrice Virgilio, dante et beatrice/ punteggialo e
ripetuto poi alla fine del verso senza punteggiatura. Nel
capitolo stesso rubrica HI, vergna non vergogna; nella
IV a stala e non astala; cosi btwn conte nella Ve nella
VI la parola al corso interlineata sopra contOrso; ed
altre mende riguardanti V ortografia.
Ma torniamo al nostro codice. In rubrìca al capitolo
premesso alla prima Cantica , o meglio , alle terzine di
Iacopo e a quelle del Boccaccio, sta scritto: Drio Men-
gino Mezzano sup. infem.; in rubrica al secondo che
precede il Purgatorio e viene dopo altre delle terzine
suddette sta scritto: Dm Mengino Mezzano sup. pur-
gator. È una dedica, come sembra credano alcaoi, o
quelle parole valgono un italianizzamentoì Quei Capitoli
sono del Mezzano o del Gradenigo? Il De-Batines (1),
il Mortara (2), il Borgognoni (3) e altri credono autore
di quegli epitomi il Mezzano; il Tonini non ne fa og-
getto di discussione, sebbene lo Scarabelli (4) affermi
che lo storico riminese non si sa arrendere air idea
che quei versi siano intitolati al Mezzano. Non so donde
r illustre dantofilo abbia attinta questa notizia, perché nella
descrizione che di quel Codice ci ha lasciata il Tonini
nelle sue Memorie intorno alla Francesca da Rimini,
non havvi parola che a quel dubbio si riferisca e le mie
ricerche per accertar la cosa, riuscirono vane. Lo
Scarabelli stesso sorvola alla questione e scrive che sa-
(1) Bibl. Dant. T. I.* p. HI.»
(2) Catalogo dei mss. canon, della Bibl. di Oxford.
(3) Della epistola allo Scaligero trìbuita a Dante. Studio III. (R^*
venna. Tip. Naz. 1866).
(4) Op. cit. pag. 678. Voi. H.
IL CODICE DANTESCO GRADENIGHUNO 171
rebbe necessario il cercare di chi siano quelle terzine,
io proposito delle quali erra affermando che per la prima
?oita furono pubblicate dal Carducci (1). Il Del-Baizo (2)
finalmente, le attribuisce senz'altro al Gradenigo, giu-
dicandole lavoro giovanile. Ma in mezzo a tanta diversità
di pareri, sorge il Ricci (3), il quale cosi tronca, da par
sao, la questione: e Le notizie che abbiamo di quel suo
lavoro (del Mezzano), il trovarsi qualche volta usato do-
mino in volgare, le parole scritte di seguito al nome:
super infemum e il ripetersi del nome anche in testa al
santo del Purgatorio: Dno Mengino Mezano sup. Pur-
gaior, ci fanno ritenere che ne fosse Y autore » .
Dal canto mio mi permetto di far notare che
le frequenti scorrezioni, le sovrapposizioni, le parole in-
complete che si incontrano più qua e più là pei due Ca-
pitoli, mentre accusano la fretta o la negligenza o la poca
pratica del copiatore nel leggere la lettera dell' originale,
[asciano appunto dubitare che quei versi possano essere
del Gradenigo, anche perché un cenno, sebben fuggevole,
ne avrebbe dato nel sonetto o avrebbe almeno compiuta
la dedica col proprio nome. Valgano alcuni esempi. Nel
primo capitolo troviamo: Campaneo in luogo di Capa-
neo; Thesaglio per Teghiaio; male branche e non Ma-
lebr anche; inlando per involando, con strana abbrevia-
tura. Nella rubrica XXV, al verso secondo, il copiatore
non ha saputo leggere Caco e ha punteggiato cosi : di....
e di quei cinque da Firenza e in quel canto XXV Dante
(1) Op. cit pag. 679. Voi II.
(2) Poesie di mille autori, inlorno a Dante. (Roma, Forzani, 1889).
VoL I.
(3) Corrado Ricci. U ultimo rifugio di Dante Alighieri. (Milano,
Uoepli, 1891). (}uesto brano mi fu gentilmente trascritto dal Dott. Bacchi
Della Lega, perché non potei consultare l'opera del Ricci.
172 ATTILIO TAMBBLLINI
parla appunto (oltre che di Vanni Facci) di Caco e poi
di Cianfa de' Donati, d'Agnolo Branellescbi , di Bdoso
de' Donati o degli Abati, di Puccio Sciancato de' Caligai,
di Francesco Guercio de' Cavalcanti , che sono apponlo i
cinque da Firenze. E codesti errori ed ommissioDi come
si spiegano in uno che stende un commento sovra Dante?
Più sotto, alla rubrìca XXIX il copiatore prima scrisse:
tj96(;ca^ort che sottosegnò, come abbiamo detto, coi ponti
d' espunzione, poi sostitui t falsatori e cosi dimora per di-
vora. Nel secondo capitolo, la terzina seconda della rubrìca
III è posta (perché evidentemente sfuggita nel copiare) a
pie di pagina ; e abbiamo buon conte per Buonconte; alla
terzina seconda della rubrica VI sovra conf Orso è inter-
lineato : al corso che non si sa che voglia dire ; nella ter-
zina seconda della rubrìca XII nel verso prìmo aveva scrìtto:
et poi al venerevole ecc. dove punteggiò al e sostitui un;
e nella rubrica XXIV che vuol dire: che ode con sen
diti, corretto nella pubblicazione dei Capitoli in: com'st^
ditti per aiutare il senso? E cotesti errorì e coteste stra-
nezze il Gradenigo, che era anche non volgare versifi-
catore; come poteva commetterle ? Errorì e stranezze che
non s' incontrano mai né nel testo, né nel commento. È
bene però che manifesti qui il dubbio che quei Capitoli
siano scrìtti da altra mano perocché è notevole assai la
forma larga , accurata , nitidissima dei caratterì delle ter-
zine di Iacopo, di quelle attrìbuite al Boccaccio e di tatto
il testo e il commento ; quella dei Capitoli, invece, è stretta,
irregolare, frettolosa e chi volesse far rafifronti tra alcune
lettere di quelli e le medesime del resto del Codice,
vi troverebbe differenze non lievi, anzi diversità; di che
potrei addurre qualche esempio se la tema di andar
troppo per le lunghe non mi trattenesse.
Ma, intorno a cotesti Capitoli non ispenderò al-
tre parole e continuerò a dire del Codice che , come
IL CODICE DilMTBSCO GKJDENIGHIJNO 173
tatti saDDO, è incompleto. Ignoti vandali, oltre all'avere
sgorbiate coli' inchiostro parecchie delle sue minia-
tore , ne strapparono interi quaderni ; per la qual cosa
àeìl Inferno manca dal sesto verso dell' XI al XIV canto;
poi dal XVIII al XXX ; nel Purgatorio il Codice è privo
dei canti VI, VII ecc. sino al verso ventesimoprimo del
XV, poi non ha i canti XX, XXI, XXII, XXIII e rimane
sospeso alla ventesima terzina del canto XXVIII; nel
Paradiso procede regolarmente sino al verso dicianno-
vesimo del canto XVI col quale finisce. Oltre la metà
adunque d' un Codice pregevolissimo barbaramente mu-
tilata. Se quei fascicoli siano stati strappati prima o dopo
che il Codice fu acquistato dal Garampi non è a nostra
contezza per nessuna memoria e il catalogo dei libri del
Garampi stesso, compilato dal De-Romanis, non registra
le opere che da quel prelato furono lasciate in dono alla
Gambalunghiana e il Nardi nel' suo: Elenco dei Codici
e dei Manoscritti esistenti in quella Biblioteca, lo descrive
già incompleto. Può darsi che le pagine tagliate e i fa-
scicoli strappati siano stati venduti da qualche ignorante
per trarne una morale pecuniaria ed ora si giacciano o
sparsi 0 raccolti in qualche Biblioteca pubblica o privata,
laonde il farne ricerche ( e il Municipio riminese dovrebbe
darvi opera) potrebbe non esser fatica gettata; né sarebbe
questa la prima volta che il caso fa capitar tra le mani
e mette alla luce quanto la malignità o l' ignoranza hanno
disperso o nascosto.
Il proemio premesso al nostro è il solito di quasi
tatù i Codici e delle edizioni più antiche e, tranne lievis-
sime varianti, non ha cosa che meriti particolar attenzione
ed esame.
Il testo del Poema, come ho notato più sopra, non
é quello della Vindelina, né quello del Laneo pubblicato
^allo Scarabelli. Lo dissero ricchissimo di varianti e cosi
174 ATTILIO TAMBBLLINI
è, se guardiamo allo spoglio (che si conserva maDo-
scritto nella Gambalunghiana) cominciato nel 1838 dal
Brucalassi e continuato dal Tonini, ma bisogna notare
che fu fatto col solo raffronto dell'Edizione di Crosca;
per ciò molte di quel considerevole numero, sono di
altri Godici dai quali passarono alle edizioni più recenti;
moltissime poi non consistono che in lievi mutamenti e
trasposizioni di parole, come si può anche vedere dal
saggio (quelle deW Inferno) pubblicato di sul manoscritto
del Tonini dallo Scarabelli (1) ; non molte in fine le Ta-
rlanti che abbiano qualche valore santattico o lessicale.
Ed ora cade in acconcio il dir qualche parola intoroo
al commento. Lo Scarabelli sostiene (2) che : e quel com-
mento è senz'altro il Laneo > e più avanti che: e Fau-
tore del commento dantesco posseduto dalla Gambaloo-
ghiana non è il Gradenigo, ma il Lana.... perché l'acrostico
dice che il Gradonico scrisse , ma non dice che ne sia
l'autore » e cerca la ragione di ciò nel verso:
com a pidufuio al provveder divino
il quale, « chiaro avverte che ei scrisse ciò che la Prov-
videnza gli fé' giungere alle mani >. Anzitutto nessoDO,
eh' io sappia , ( tranne vagamente il Tiraboschi in questa
nota (3): Iacopo Gradenigo scrisse ancora un ampio com-
mento sulla Commedia di Dante che ms. in un codice in
pergamena conservasi presso il sig. Card. Garampi) nes-
suno , dico , ha sostenuto che il Gradenigo sia autore di
quel commento. Però, lasciato da parte il significato troppo
ristretto dato dallo Scarabelli al verbo scrivere che sa-
rebbe quello materiale di trascrivere, giova far notare cbe
(1) Op. cit Voi. Il, pag. 679 e segg.
(2) Op. cit. pag. 675-676. Voi. H.
(3) Storia della Lett ti. Tomo V. pag. 594.
IL OOmCB DANTESCO 6RJDENIGHUN0 175
r interpretazione da Ini data a tntto il verso citato è bensì
ingegnosa, ma può non essere esatta, perocché si piega
facilmente ad un altro senso che sarebbe questo: Come
la Provvidenza mi concesse di poter compiere il mio la-
Yoro; ossia (riportandosi ai versi del sonetto): come la
Provvidenza mi concesse
intorniarla de gloxe cotante,
E però si rilegga tutta la terzina:
Non ho lassato ancor per tutto questo
Intorniarla de gloxe cotante
Com a piassuto al provveder divino
ed apparirà chiaro che la interpretazione mia è più esatta
di quella data dallo Scarabelli, la quale è basata sovra
una supposizione; perché non si può ammettere che per
caso (chiamatelo pure provvidenza collo Scarabelli, o
provveder divino col Gradenigo) siano giunti alle mani
di questo compilatore e i Capitoli del Mezzano e le ter-
zine di Iacopo Alighieri e quelle attribuite al Boccaccio
e l'epitafio e il commento infine. Secondo lo Scarabelli
dunque , il Gradenigo non avrebbe che compiuto un
lavoro manuale , non sarebbe stato che uno dei tanti am-
manuensi, uno sterile copiatore del commento di Iacopo
della Lana.
Opportuni raffronti varranno a dimostrare che il pa-
trìzio veneto non ha letteralmente trascritto il commento
Laneo e che se X illustre Tonini ebbe ragione di asserire
E^he il commento gradenighiano è < somigliantissimo a
qpiello di lacobo della Lana pubblicato già dal Vindelino »
DOD fo troppo esatto neir affermare : < non differendo
alcune volte da esso che in poca parte della locuzione e
Kìeir ordine delle parole (1). » Io non dirò il Gradenigo
(\) Op. cit
176 ATTILIO TAMBELLINI
autore del Commento, perocché troppo chiaro appare
che fu copiato e per Y affinità somma che ha coi Codici
Lanei e per le frequenti chiamate in margine o in calce
a correzione ed a sostituzione non di parole, ma di intere
proposizioni e di periodi che, ommessi, o farebbero zop-
picar la sintassi o torrebbero ogni senso ai costrutti ; mi
starò pago a dichiarare e a dimostrare cogli esempi, che il
Gradenighiano è più ordinato del Laneo, datoci dallo Sca-
rabelli. E dirò che alle note premette sempre il verso o Te*
mistichio 0 la parola dantesca cui vuol fare il commento eli
fa precedere da una lettera per ordine alfabetico (dal
canto VII del Paradiso in poi, si serve anche dei namerì,
perchè le note sono più frequenti) la quale serve alla
numerazione delle note ed è corrispondente alla let-
tera medesima preposta alla parola o all' emistichio o al
verso che si deve commentare ; che in molti luoghi am-
pliò il suo originale, aggiungendo, modificando, non dirò
sempre ma molto spesso, pel meglio, levando talora ciò
che gli pareva superflo; che in molti altri con fine discer-
nimento divise le note , cioè d' una sola lunghissima del
Lana ne fece due o più secondo il bisogno, dando esatta
corrispondenza di commento a quei versi che nel Lana
non hanno particolare annotazione, ma in nna complessiTa
sono compresi ; che in alcuni luoghi il Gradenighiano può
dare suilJcienti lumi a chiarire qualche passo dalla inter-
pretazione del Lana reso dubbio od oscuro; aggiungerò
infine che tutto il Paradiso è interlineato di richiami e
di brevissime glosse in latino.
Alcuni raffronti spigolati qua e là varranno a dar
fede a quanto scrissi e a dimostrare che il commento
Gradenighiano non è assolutamente il Laneo pubblicato
dallo Scarabelli e che non differisce da questo sola-
mente in poca parte della locuzione e nell' ordine delle
parole.
IL CODICE DANTESCO GRJDBNIGHUNO
177
IACOPO DELLA LANA
IACOPO GRADENIGO
Inferno
Nei primi tre canti non tro-
vansi differenze molto conside-
revoli; noterò che al verso 28
del canto I il Lana dello Sca-
rabelli legge:
E ciò che dice Oilio in libro
De regimine ecc.
Del verso 101 e del 105 ha
tàiio una sola nota.
Dal 106 al 135 non ha che
doe note.
Nel Canto II, dal verso 10 al
31 ha ana sola nota.
Canto III — V. 106:
da quel nochiero, lo quale
avea occhi di fuoco con grande
Samma incesa intorno; e dà uno
•xemplo quando saliva in nave
{uando dice ecc.
Canto IV — V. 57 ... Vero è
ch'elli non giunse perchè lo ditto
viaggio si doveva fare in XL
die, ed elli lo brigò in XL anni.
Voi. IV, Parte li.
Credo superfluo il ricordare
che al Gradenighiano rabbercio,
solo quando è necessario pel sen-
so, r ortografìa e T interpunzione.
n Gradenigo corregge:
Et cotesto è che dice Egi-
dio ecc.
Due : r una pel veltro^ Y altra
pel verso: E sua nazion sa-
rà ecc.
Ne ha sei e ben disposte.
Ragionevolmente la divide in
cinque.
da tale nochiero lo quale
aveva gli occhi de foco con gran-
de ruote di dama accesa dintorno
et a presso dà uno ezemplo di
quelle anime quando esse sa-
glivano in nave cossi dicendo ecc.
Cosi è scomparsa T ambiguità
anzi il non senso, riferendosi la
comparazione : Come d! autun-
no ecc. alle anime, non a Ca-
ronte.
.... E la cagione fue perchè lo
decto viaggio se dovevano fare
in quaranta giorni et egli ne
ìyrigò ad andare quaranta anni
12
178
ATTILIO TAMBELLINI
>,
II
1
t ;
^\
li
E questo avvenne al ditto popolo
per li loro peccati ch'erano molto
obstinati et disposti ad idolatria
ecc.
Ibid: V. 104: Sbaglia la ci-
tazione del detto di Salomone:
Ih proverbiia: laudet os alie-
Dom non os tuum.
Ibid: V. 106.... Io quale hae
a «gnificare la disposizione dello
intelletto umano e V abito alto
et abile a scienza.
Ibid: V. 141. — A cotesta
nota è aggiunta una postilla dello
Scarabelli « Contìnua con una
nota d'altrui: Et anche per fra
Giglio (Egidio) in libro : De re-
gimine principum ».
Ibid : V. 1 44 — vero è
che in molti luoghi elli discrepa
dalla scienza d'Aristotile ecc.
Canto V — V. 16 mostran-
do come grazia lo conduca (chi?)
in quello viaggio.
Ibid: V. 50. Lo Scarabelli
annota : Qui assai valse il Codice
Riccardinno impefocchk man-
cavano due linee.
Ibid: V. 65. .... missidava spro-
ni
Ibid : V. id. Lo Scarabelli scri-
ve in nota « Iblle parole: U-
s-y-ndo MM dì fitora. 6no a
^Ks^j«W«ik\ mi servii del R.
e do! Uur: XG. 121. Nella
slMipd sOQO dodici linee meno
et cotesto adivenne per gli
peccati che erano nel dect
polo il quale era in tutti
atinato et disposto ad yc
tria ecc*
Salomone ne soi prove
laudet te os alienum do
tuum.
lo quale hanno a sig
care la dispositione et abil
lo humano intelecto el qua!
abile et dato a scienza.
— II Gradenigo invece s(
nel corpo della nota : Et ance
frate Egidio nel libro ecc.
.... se discrepa et parte (
sententia de Aristotile ecc
mostrando Dante (
gratia divina el conduca a
cotale viaggia
— n Gradenigo: ...la intenl
de lo institutore de la Ic^ie, si
no acdochè essa legie &cci
huomini buoni.
... et come se alla giostra
vesse andare calza vasse gli sp
— Il Gradenigo racconta
molte particolarità la storia
chille e di Polissena e la veni
che ne trasse Paride uccidi
quell'eroe. Non la trascrivo pe
occuperebbe troppo spazio,
IL CODICE DANTESCO GRADEl^IGHlAm
179
chiare e meno espressive ». II
commento si chiude: Vero è che
come pone Io troiano (?), quelli
feceno grandissima difesa, si che
per amor combatterono e morti
furono.
Ibid: V. 97: Et dice che
ancora il mondo P offende, cioè
la nominanza e fama.
Ibid: V. 106: Figliuolo di
messer Malatesta d'Arimino.
Canio VI — V. 19 : Lo Sca-
rabelli in nota: Questo tratto
dopo fegato manca alla Vind:
come al Cod: Bg: ed è ancor
più difettosamente al Laur: XC.
115.
Canto VII — Nel Proemio ,
sul principio, lo Scara belli an-
Dota: nel R. manca sino alla
citazione di Aristotile e cosi an-
che nel L: XC. 121. — E più
sotto: Morbo sta nel R. e nel
L. XC 121 con miglior ragione
che male degli altri codici.
E sempre nel Proemio annota:
Come il Cod: R. hi difetti, cosi
avverto mancargli tutio questo
perìodo.
E ancora : Li Vindelina e i
codici rispondenti hanno estra-
nea; il fastidiosa è del Rice
sendo essa circa due colonne di
fitto manoscritto. — Paris era
ivi per fare la fraterna vendetta
et con una saetta ferio Achille
di tale feruta che di quella
morio. Sì che per amare fue
combattuto et morto el decto
Achille.
.... apresso dice chel mondo
ancor la offende, altro qui non
vole dire se non de la nominanza
et fama et che di tale cosa
ancora el mondo mal ne ra--
giona.
Figliolo de miser Malatesta
vechio de Arimino.
U Gradenigo è esattissimo.
È esattissimo ed ha anche
morbo.
Nel Gradenighiano v' è per
intero, simile a quello recato
dallo Scarabelli.
E fastidioso legge il nostro.
180
ATTILIO TAHBELLINI
L' estraneo non ha conseguenza
di fetente; bene il fetente è
fastidioso.
Ibid: V. 31: .... s( diceano
queir inno e quel nnetro overo
verso. Poscia si rivolgea ciascuno
per r altra parte e si scontra-
vano ciascuno per T altro mezzo
circolo.
Ibid: V. 64: Qui dispregia
suo (?) aiutorio dicendo ecc.
Ibid : V. 97 : .... descendesi in
lo terzo grado over circulo.
Ibid : V. id che è lo quarto
del circolo. — A spiegazione
del verso : Già ogni stella ca-
de ecc.
Ibid: V. 115 ....soggiungendo
a sua notizia che anche sono
genti sotto r acqua nera ecc. —
Lo Scarabelli annota: Questa
voce genti fu restituita col testo
di Dante a bene intendere.
Canto VIII— Proemio — Cir-
ca la quale differenza di luogo
murato e non murato, è da no-
tare che la giustizia di Dio pu-
nisce li peccati che li uomini
fanno per incontinenzia, cioè che
si lassano vincere alle passioni
corporee, come lussuria, gola etc.
.... si se dicevano qnelk) jdoo
0 ver metro o vole dir verso
che dato è, ciò è: perchè beoi
et perchè burli et cotesto face-
vano solamente a vergogna et
improperatione V uno de Taltro.
Poscia si rivolgevano et si sooq-
travano giascuno ne T altro noez-
zo circulo et cosi mai quelle
anime non erano in riposo.
Ancora quivi dispr^ia Io a-
diutorio et favore delle rìcbezze
dicendo ecc.
quivi dissende nel qaioto
grado over circolo. (S cerchio
degli iracondi).
.... che è lo quarto del cir-
colo, cioè lo quarto de un giorna
— Con maggior chiarena: ...
subginngendo a sua notitia che
anco sotto Taqua ne erano d^Iì
altri gli quali ecc.
Circa la quale differeotia de
loco murato et non murato
è da notare che la iustitia de
Dio, secondo gli peccati, poni-
scono le colpe che gli uomini
suso nel mondo comettooo et
cotesto è : perchè se lassano e-
gli vincere alle piìssioni corpo-
IL CODICE DANTESCO GR^DBNIGHJJNO
181
0 quelli li commettono per ma-
lizia, come sono gli eretici epi-
curei ecc. — Lo Scarabelli in
nota: Racconcio col codice Di
Bagno ciò che non potei prima
con codice ninno. — Ma nem-
meno cotesto racconciamento è
chiaro. Lo Scarabelli poteva ser-
virsi del Gradenighiano.
Canio IX. — Nel Proemio
annota Io Scarabelli (pag. 103):
Manca l'eretico: il Cod. L IX
121 ha un nome che sembra
Viviano.
— Nella stessa pagina annota
lo Scarabelli: Questo e molti altri
passi sono confusioni di testi e
di luoghi. Mi aiutò il codice Di
Bagno.
Ed ancora a pag. 194, Nota (l ):
Corretto con R., L. XG. 1 15 e col
Di Rìgno che diedero due linee
che di netto mancavano.
E sempre nel Proemio: pag.
196: — Lo terzo errore è di
quelli che dicono che la risur-
rezione nostra non sarà o-
punto con li corpi eh* hanno
avuti in lo mondo, ma torne-
ranno l'anime alcuni corpi ce-
lesti. — Lo Scarabelli tira il vo-
cabolo torneranno a signiflcare
diventeranno e forse doveva
l^gere: torranno^ cioè pren-
deranno, vestiranno ecc.
ree per incontinentia come è
lusuria, gola etc. o veramente
egli el fanno per malitia, come
sono gli eretici et epicurei et
altre simili sorte.
— Il Gradenigo legge eviden-
temente Viviano.
È corretto e legge secondo
la trascrizione dello Scarabelli
basata sul codice Di B;igno. —
Ciò prova anche una volta che
il nostro è il migliore dei Lanei
consultati dallo Scarabelli per
la sua edizione.
Il Gradenighiano non ommette
le due linee.
Lo terzo errore si ffece de al-
cuni che dicevano che ne la
resuretione non scranno Vanir
me unite con gli corpi gli quali
ebbero nel mondo, anzi le anime
toramio alcuni corpi celesti.
ATTILIO TAHBEt
Pia annti (pag. 186):^. in
lo regno lerreDo sarebbe tolun-
iadi e dil^ carnati.
E a pagina 197 — .„ e io
questo eiTore fu Uarco Craio
Gtfuio fioreolioo e nxtlli albi
A pagina 198- Eira io ona
dtazioDe : Xemo toUil aoimafn
tam a me, sed tfgì pooo eam
ecc.
A pag. 199. Da po' oscaro è
questo passo: Lo secondo errore
è qoeDo che i apposto ad Orì-
genes lo qual diceva cbe ancora
rioerefcbbe iDone per salvare li
nomÌDÌ ecc.
£ casi, pili soUo : Lo sesto
articolo è dello aweaioieaio al
giudizio.
Ibid : Caolo XV — t. 63 —
Goè d'essere allìefi e dispre-
gbre la ragione e di non voler
chinare lo collo sotto l'arala del-
b gìu^lizia. Macigno in lingua
lioreDUoa è a dire stincuruolo
cioè iagaooo e soiiilitate di cau-
tele io daooo altrui.
ptaU
naie.
Curp(
Futi»
grane
II
Lo
loel
rigeo
C00V(
sto) :
perb
Lo
si è
Grisù
E
cigno
fanno
tano
ondt;
se DG
tìor4.-o
booo
biuga
mode
tesse
dere
dice:
modo
IL CODICE DANTESCO GRADENIGHIAHO
183
Ibid : C. XXXI - v. 1 -
.... e però vele assomigliare VaU
legagione predetta di Virgilio a
quella lancia che in prima V in-
vestio gridandoli di tanta ver-
gogna e poi dopo lo lavò e
sì ve lo absolvio. — Ed è
bravo chi capisce! —
Ibid : V. 34 — .... cioè avvi-
cinandosi ad essi dicerneva che
non erano torri e rafflguravali
eh* erano giganti e però dice:
fuggémi errore, cioè che si cer-
tificava che non erano torri.
.... et però T autore vole as-
somigliare la decta locutione
over parlamento de Virgilio a
la lancia preditta, la quale lo-
cutione in prima con rumore
gli feo un brutto assalto et
molta vergogna et poi adesso
con altre parole vi porse me^
dicina.
Come quando la nebbia.
Face quivi Dante uiia cosi
facta comparatione et dice cossi
come a poco a poco la nebbia
se vanno risolvendo si che Fuo-
mo dicerne et cognosce quello
che prima el non poteva vedere,
cossi a ponto apressandose lui a
loro, dicemiva quelli non essere
torri ma ben raflSgurava essi,
come è decto, essere giganti et
però dice:
Fugiami errore et cer. non
vole altro quivi Fautore dire
se non che, apressandose a loro,
come è decto, el se certificava
che egli non erano torri ma ben
gli creseva paura cognossendo
queUi essere giganti.
E della prima Cantica basti questo breve saggio di
raffronti; in maggior copia ne traggo dal
Purgatorio
Canto III — V. 103: .... e
giunse a tanto che la Chiesa lo
scomunicò e mandoUi un legato
n Gradenigo è più esatto nel
racconto: .... et lasciasse a tanto
venire che *1 summo pastore per
184
ATTIUO TAMBELUNI
il quale giurò che conveniva
ch*elli lo cacciasse del regno
con lo re Carlo eh' era conte di
Provenza e re di Cicilia. E sic-
conie è detto nel XXVIII ca-
pitolo dell' Inferno, lo re Man-
fredi fu sconOtto a Ceperano con
sua gente et elli ecc.
Canto IV — V. 62: Trattano
li poeti de uno gentilissimo uo-
mo di Grecia, nome Testio ecc.
— E cosi annota lo Scarabelli :
« Nei testi lanei è vacuo, Io
riempio colla Mitologia come
fece il Torri. >► — Ma non già
Testio, bensi Tindaro fu padre
di Castore e di Polluce.
Canto V — V. 1 : E dice che
seguendo Torma del suo duca,
una anima gridò: vedi che non
par che luca il raggio, quasi
ammirando come Dante v*era
col corpo.
tutto il mondo el fece scoinuDi-
care et apresso in nella dita i-
sola de Cicilia vi mandò ano
cardinale per legalo el quale eoo
molti et anco sanctissimi sacra-
menti giuroe ch'el conveoiva
che esso cacciasse el ditto Njd-
fredi del regno, siendo sempre
el ditto l^ato coUigato eoo Cario
el quale era conte de Provenza
et abiendo el suo forze et aiuto,
el quale Carlo per lo ditto car-
dinale et legato de apostolico
comandamento fue fatto re de
Cicilia. Ma sicome è ditto vA
vigesimo octavo capitolo de lo
Inferno ecc.
.... tractano gli poeti de odo
gentilissimo huomo de Grecia
nomato Tindere. (Tindaro). -
Ed anche qui il Gradeoigo a-
vrebbe servito m^lio degli altri
codici Lanei. —
Io era già da qtiel Dante
dice quivi come esso era gii
partito et aveva lasciato quelle
anime colle quali el coloquia-
va nel precedente capitolo et
andando seguitando le orme del
suo duce , cioè de Virgilio,
una anima grìdoe verso de un'al-
tra ; vedi che '1 non pare che a
colui luca il raggio del sole,
quasi admirando che Dante, eoo-
IL CODICI DANTESCO GR^DENIGHI^NO
185
i : V. 70. li quali si
te approssimare (?) che
0 amici del Marchese.
1: V. 91 voile straziare
Ito il corpo per sfogarvi
lo temporale poiché pos-
Don avea sopra Io etemo.
Ito X VI — V. 25: Questo fu
darco da Vinegia, il quale
mo di corte e tutto ciò che
gnava, dispensava in ele-
e.
: v. 27 — Cioè fossi an-
nella prima vita, là dove
pò si parte per mesi, none,
e kalende, quasi a dire:
i chi tu sei che sei veou-
d: v. 47 — Cioè, ave le
ii politiche delle quali nulla
^Mmpaccia ecc. — E qui
ISO va zoppicando. —
tra r ordine usato ivi era cor-
poralmente.
.... li quali egli potco pres--
sumere che fossero amici del
Marchexe.
... . volse per isfogarsi fare
alquanto strazzio del suo corpo,
da poi che *1 non poteva avere
possanza sopra le cose eterne la
volleva mostrare sopra le tem-
porali.
— Mancano i Canti: V, VI,
VII ecc: fino al XVL —
Or tu chi se eh el no.
Cotesto il quale parla quivi
a Dante fue 1* antidetto Marco
da Vinegia da Cha* Lombardo
il quale fue huomo di corte et
di tale conditione che quello
eh' el guadagnava esso dispen-
sava per r amore de Dio et in
piatose elemosine.
— È pili ordinato : Partissi
ancor io. L* autore mostra
quivi come Y udio una di
quelle voce la quale disse :
se tu fossi ancora ne la prima
vita, là dove il tempo si parte
per misi, none, idi et callende,
come il me pare che tu sei, eo
voluntiera voria sapere cui tu
sei, il quale sei venuto ecc.
Del mondo seppi e. An-
cora dice quivi el decto Mar-
co che esso seppe adoperare
le virtute politico delle quali a-
desso alcuno non se ne impaccia.
186
ATTILIO TABfBELLINI
Ibld : V. 97 — Ora peggiora
la condizione che Y ordine è dato
ma non è chi lo osservi.
Ibid : V. 98 — Cioè li chie-
rici dicono n)a non operano. —
Ibid: V. 100. Cioè li uomini
guardano a' fatti, non a* detti :
se vedeno li regolatori fare male,
allora fanno male e peggio.
Ibid : V. 109 come elio
li fu licito (a Bonifacio di farsi
papa e iraperadore) quel che vede
tutto la fa (?) e discerne.
Canto XVII — v. 13 E
questo s' accorda con quello che
è detto nel quarto capitolo di
questa Comedia seconda.
Ibid: V. 25 Seppe la detta
Ester questo fatto, inebriò lo re,
poi li domandò per dono Mar-
docheo, il quale era cosi mal-
Le leggi son ma chi. fì
bene che le l^;ge et rectorì
sieno , non giovano però al-
cuna cosa, perché niano non
ritiene né raffrena del male fan^
si che Tè la conditione del moi^^
do peggiorata ; che, bene che ì|
mondo sia trovato buono et ai^^
r ordine conformevole al mc^JQ
fosse dato, niente non vale p^.
che el non viene observato.
Però che l post or che. QoA
vi altro non vole dire se mn
che sf il pastore sommo co-
me gli altri clerici dicono buone
et sante parole et operano il
contrario, perché le gente le
quale nel mondo vivono, ciò eooo
gli omini, guardando et cogoos-
sendo loro facti et effecti, oca
attendono ponto a soi ditti né
predicatione, ma vedendo loro
governatori fare male, alora se
procacciano de fare male el peg-
gio che male.
quanto et come cotesto^
fue licito et honesto. Colui, il
quale vede il tutto, sei sae, co-
gnosce et diceme.
.... E cotesto se accorda con
quello il quale è detto nel quarto
capitolo di cotesta seconda can-
tica over parte.
.... Seppe la dieta Ester co-^
testo et pensosse de volerne^
fare vendecta et per fornir^ '
il suo volere y essa inebrioe f
IL CODICE DANTESCO GRAIDENI6HI.4NO
187
per Aman: lo re turbato
Io Mardocheo e liberollo
;tto Amaa fé' appiccare
gola. Or quello crocifìsso
)arve io la immaginativa
tore, era Io predetto A-
iccome persona empia e
ta.
: V. 57. — Cioè che cosi
i vivo e cosi fieramente
3a morii'C — Qui zop-
senso.
: V. 31. — Questa fu La-
{liuola del re Latino; e
ad re perché lo detto re
e' a Turno, siccome è
lel primo capitolo dello
s sé si ancise. — E che
re?
0 XVIII — V. 22: CSoé
a trae intenzione di com-
si a quelle cose eh* hanno
e veraci, cioè veritade et
dine.
marito et poi trescando insie-
me gli adimandoe in dono Mar-
doceo il quale era per Aman
cossi malmenato et tractato. Il
re ciò udendo molto se turboe,
mandoe per Mardoceo et libe-
rollo et il decto Aman feo im-
piccare per la gola. Unde cote-
sto crocifisso il quale aparve in
nella ymaginativa dello autore,
altro non vole dire se non che*l
fue il decto Aman il quale era
a quel modo tormentato, cossi
come impia et dispietata per-
sona che 7 fue vivendo.
Et cotal si moria. Altro non
vole dire quivi Dante se non che
cossi come vivendo il decto
Aman fue feroce^ cossi fera--
mente il vedea morire.
Ancisa fhai per. (Potestà
fanciulla la quale Fautore dice
quivi che gli aparve in nella sua
visione si fue Lavina figliuola
che fue del re Latino et della
regina Amata sua moglie. La
quale regina Amata fue si
compresa da dolore et da ira
perché il decto re Latino non
la diede per moglie a TumOy
cossi come è decto nel primo
capitolo de lo Inferno, che essa
regina Amata se ucise.
Vostra aprensiva da esser
verace. Ora dice quivi che la
nostra aprensiva ae sempre la
sua intentione de compiacersi
con quelle cose le quali sono
188
ATTILIO TABfBELLINI
Ibid: V. 40. — Quie tocca al
dubbio, di che è detto, cioè se-
condo naturale scienza. Se ina-
nima è creata con tale disposi-
zione ecc. — n Gradenigo è più
esplicativo :
Ibid : V. 82, — Lo Scarabelli
legge nel testo:
E queir ombra gentil che pur
si noma
Pietosa pili che nulla man-
tovana
e in una lunga nota s'adopra
a tutt* uonQO a difender cotesta
lezione, chiamando la comune
oziosa. Ben è vero che conclude:
Se il corretto audace e teme-
rario non piaccia^ libero è
riporre la comune. Ma allora?
La vindelina legge: Bietola più
che nulla mantovana (ove il
nulla è probabilmente un erro-
re, molto facile del resto, di tra-
scrizione, per villa) ed ha la se-
guente nota, non sappiamo per-
ché creduta interpolata dallo Sca-
rabelli: Pietola una villa di
mantuana nella quale naque
Virgilio. Ma il Gradenighiano
nel suo essere verace^ ciò ?olc
dire che anno in se veniate
et beatitudiue.
Le tue parole el mio se.
Quivi risponde Dante a Vir-
gilio et dice, che ^a km
parole el suo seguace intel-
letto ha ben compreso queUo
il quale è amore; ma che Tè
piti pieno del dubbio dectodi
sopra che '1 fosse mai, ciò è
se^ secondo naturale sdenga^
V anima è creata con tale Or
sposùsione che efc
Et quel ombra gentil Gò
è Virgilio il quale fue del con-
tado mantuano, de una villa no-
mata Pietola. Per che essa villa
ae piue fama de alcuna altra
mantuana.
IL CODICE DANTXSCO GJiADEtUGHI^NO
189
) nota che, stando allo
, noD recano gli altri
. 106. —La noto, dice
elli, è n)onca nella Vin-
ir ciò la corregge co'
;h' essi viziati ; ed è vi-
he il Gradenighiano;
la spiegazione delF : e
non vi bugio^ che non
a dello Scarabelli. Ecco
ILana:... ditene dov'è
izio, cioè dov' è il pas-
:ostui, che è vivo, si
ar suso.
. 118 Perlo quale
) detto messer Alberto
tosto, cioè quando sarà
130. - Qoé Virgilio
elli purgano accidia,
d'essa e biasimando
5IX — V. 4. ... s'elli
) (le Sirene) era me-
islarsi ad udire. —
k^rabelli annota: L'Ot-
ve fermarsi; il Ma-
ano: era loro me"
aspettare a udire;
na : a stallarsi per
Laurenziano XC 115:
sono; correggo assai
... dov' è il pertugio, ciò è
dov' è il passo de andare su-
so ; ditemilo , con ciò sia che
costui il quale è meco e vivo,
et de cotesto non ve dico men-
jsogna che Ve cossiy el vuole
andare suso.
.... Dice: tostOj perchè come
è decto^ gli era già vechio et
atempato, si che poco el po-
teva piti vivere.
Et quei che m' era ad ogn.
Dice quivi Virgilio a l'autore
come in nel loco dove essi erano
si se purgavano il peccato de
la accidia ed che ivi ne erano
due gli quali parlavano del
decto vitio et molto imprope-
ravano et mordevano quello.
.... Se udivano, era loro ne--
cessario ristarsi ad audire
quel canto.
190
ATTILIO TAMBELUNI
meglio col Laurenziano XL. 26.
Òr bene, il Gradenighiano I^-
ge appunto:
Ibid: V. 31 — Cioè la ragione
vincea lo vizio.
Ibid: V. 67 — E tal quanto,
cioè non solo era pronto a sa-
lire, ma andava dal lato per
avere meno contrasto allo andar
suso, dall^aiere.
Ibid : V. 93 — -4i su mi di.
CSoé perché soo volte le vostre
spaUe al suo mezzodie(?!),cioé
al cielo; quasi a dire: perché
state voi bocconi? —
E cosi anche la Vindelina;
ma il Gradenighiano non avreb-
be potuto mettere lo Scarabelli
sulla buona via della interpre-
tazione?
Ibid: V. 112 - .... felicità
somma non consiste nei beni
temporali, ma in quanto sono
ordinati ad altro hanno boutade
e solo la contemplazione è con-
giunzione in Dio; è quella ulti-
ma beatitudine in la quale è no-
stro perfetto line e felicitade. —
— E DOQ è chiara
L' altra prendeva et in, Qò
è la ragione, la quale vince fl
vitio, squarzando et fcDdeodo
gli panni di cotesta avarizia, Ri-
cevane venire fora il peggiore,
cioè il vitio suo.
Et tal quando{sic) se fende,
quivi dice Y autore che noo por
solamente esso era disponuto a
saglire anzi ne avev* esso taotai
et si grande voglia, che esso
andava da quello lato dal quak
r aveva minore contrasto et
ealca de anime per potere più
presto montare suso, secondo
la sua dispositione.
Al 5U, mi di et se voi che.
Ciò è perché enno rivolle le to-
stre spalle al su^ cioè verso il
cielo. Dimelo eh* io te ne preco
asai.
.... la somma felicitate non ri-
mane né consiste negli tempo-
rali beni, con ciò sia che essi
beni fwn sono per se Medesi-
mi boniy ma in quanto essi sono
ordinati ad altro anno bontade;
e solamente la conU'mplatiO'
ne et cognitione de Dio è qnella
la quale è ultima et eternale
IL CODICE DANTESCO GRAÌDENIGHI^NO
191
: V. 136 — .... in quello
ielle anime dopo la risur-
3 non sarà matrimonio, né
igerà, né si beverà, ma
itti li beni saranno nel Pa-
, cioè a vedere la divini-
ìd quella felicità penna-
IO eternalmente, siche li
suoi saranno glorificati e
iranno bisogno di queste
e ch*elli hanno nella pri-
ta. Siche conclude ecc. —
uf pure non è chiaro. Tutti,
e cattivi, godranno della
1 eterna e saranno glori-
Ma il Gradenighiano :
beatitudine, in ne la quale ecc.
.... quando le anime scranno
in quello stato, ciò enno da poi
la resurretione, non sera matri-
monio, et non se magneranno,
non se beveranno, anei tutti
coloro gli quali averanno facto
gli comandamenti de Dio bene
et servato la musaica lege^ se-
ranno in Parndixo a gloriarse
et vedere la divinitate; in la quale
gloria et beatitudine eternalmen-
te scranno et staranno. Undegli
corpi de ognuno che bene arerà
adoperato, ivi eternalmente se-
ranno glorificati. Si che allora
non averanno bisogno di coleste
mondane tristitie^ né anco av-
veranno cura di quello el quor
le ne la prima vita si àppe-
tisce et cerca. Et però con-
cludendo ecc.
Mancano i canti XX - XXI -
XXII - XXIII -. Il canto XX
ha solo l'argomento, il XXIV
ne è privo.
:oXXIV — V. 19. — Fue
onagiunta da Lucca ecc.
: V. 20. — .... e quando
bene incerato dicea: o
s Deus quanta mala pa-
pro Ecclesia sancta Dei.
: V. 58. — Cioè che vo-
Questi et mostrò col. Code-
sto il quale el dicto Forexe mo-
stroe col dito, si fue uno Buo-
nagionta Orbiciani da Lucca ec.
.... e quando elio era bene in-
cerato et caduto nel visco el di-
cea : 0 Sancte Deus quanta ma-
la ecc.
Io veggio ben come le. Quivi
192
ATTIUO TAMBBLLINI
Ibid: V. 76 — Non so, ri-
sposi lui, quanf io mi viva.
Chiaro appare come per lo vizio
della sua cittade n'avea voglia.
— E noQ è chiaro.
stre parole sono d* amore et chi risponde Bonagionta et dice: io
ad altro modo considera li stili ve^io bene et anco cogoosco
non vede lo vero. che le vostre parole sono tutte
amoroxe et quale altramente con-
sidera 0 dae ai nostri ^HU
altro infellecto, non diseene
né vede il vero.
Non 50, rispos* io lui, quan^-
fio mi viva. L* autore quifi
risponde et dice, come nel testo
claro si legge, che esso non sa
el termine de la sua vita qaaoto
lungo essere debbia; mae^m-
siderando come la sua eUaie
è visfiata esso voriaeke'lfùs-
se adesso T ora del termitie
suo, perché gli nogliamtro]^
pò quello che de la ditta sua
citate vedeva.
Ove mai non se scolpa, Vole
in cotesta parte quivi Fautore
dire che, per pena la quale si
portano ne lo 'nfemo, non se
puote però Y anima scolpare, né
per marturio ivi sostenuto,
mai per tempo alcuno^ ussire
se ne puote.
.... tutti accedano al fiume el
bevano.
.... Et a comparatione dice
che quello ventillare de le ale de
r agnolo el rifreddoe et riìtoroe
a quel modo cìie averta fatto
la detta erba se veduta ffl-
vesse.
Canto XXV — v. 22. — An- La lezione Gradenighiana è pili
nota lo Scarabelli : Questo brano r^olare e più animata dell' uoa
Ibid: V. 84. — Ove mai. Cioè
che per pena che si porti nello
Inferno non si scolpa T anima,
né mai può uscire per tal mar-
tirio sostenere. — E qui il senso
zoppica.
Ibid: V. 124 tutti atten-
dano al fiume e bevano.
Ibid: V. 150. .... Siche dice
che quell'aura si Io ristora.
IL OODICB DANTESCO GRADSNlGHIdNO
193
da : Lo ditto re, fu racconcio
in più luoghi coi Laur. ecc. —
La lezione della Viodelina, del
resto, è identica a quella dataci
lallo Scarabelll —
Canto XXVI— V. 16 Tu
M>Q soddisferai per tua risposta
siire a me, ma a tutti questi
^he d' hanno tanta sete e voglia
she quelli d* Etiopia ovvero d' In-
iia, che sono in queste regioni
caldissime, non hanno tanta vo-
glia d* avere acqua fredda, im-
perocché in quelli luoghi è molta
dlschiesta d'acqua spezialmente
di freddo. — Qui è un errore
di stampa e deve dire, colla
VindeUna, fredda; ma che si-
gnifica: dischiesta? Lo Scarabelli
annota : Cosi la Vindelina, quasi
voglia dire: dov* è impossibile
chiedere acqua per 1* assoluta
mancanza che ve ne sia. Il R.
ha caristiay il M. disagio^ i due
Laurenziani, malamente richie-
sta. La dischiesta è il suo con-
trario. —
Dunque quelli d* Etiopia non
fanno richiesta d'acqua fred-
la; ma allora come possono
iveroe tanto desiderio? Il Gra-
lenì^hiano, poco mutando nel
esto, ha un vocabolo che almeno
lice qualche cosa: Senestro^ e
>uò significare anche: danno,
vantaggio, mancanza ecc.
e dell'altra, nel racconto; sola-
mente tralascia i nomi dei dìAC
harhani di Meleagro : Plessipo
e Tesea. — Non la trascrivo
perché troppo lunga.
.... Tu non satisferai con tua
risposta pur a me solo, ma gran-
demente ne contenterai tutti co-
testi altri che sono meco quivi,
gli quali ne hanno tanta sete et
voglia di sapere chi tu sei^
che quelli de Ethiopia, ovver de
India, gli quali enno in quelle
caldissime regioni, non hanno
tanta voglia de avere de l'acqua
de le fredde et dare fontane
per rinfrescarsi. Et ciò dice per-
ché in neUe dette parte enno de
l'acque et specialmente delle
fredde, grandissimo senestro.
Voi. IV, Parte U
13
194
ATTILIO TAMBELLINI
Ibidrv. 126. — Cioè fin che
la verità ha vinto tale nominanza
e non pure elio è stato vinto da
tale verità, naa ancora molte al-
tre persone.
Canto XXVn — V. 1. — Lo
Scarabelli annota: Compito col
Cod. Magliab., monca la Vin-
delina e confuso il Riccardiano.
Ibid: V. 23. — Sicome apare
nel XVin capitolo dello Inferno
quando montò sovra quella fiera
che hae per allegoria a signifi-
care fraudolenzia ; quasi a dire :
noi siamo in luogo piiì sicuro
che non eravamo nel predetto.
Fin che T a vintoUverem,
Ciò vole quivi dire che domeo-
tre tanto che la veritatetm
aiutoe cotale nominatusa, d
fue cossi creduto^ tna vmtHa
la veritate a ìuce^ nanpw
esso frate Guitone è stato da
cotale veritate vinto, anzi piaxori
altri ne enno stati vergognati ecc.
n codice riminese è esattis-
simo.
Sopr' esso Gerion A ^w. —
Cossi come Y apare nel decimo-
septimo capitulo de lo Veno;
quando de consentimento de
Virgilio, Dante montoe sopra
de quella fiera nonuxta Oerm;
la quale per alegoria si vae a
significare fraudolenza, quasi di-
cat: Se in quello loco diJh
hioxo cotanto io te guidai, et
trassitene sensta alcuno male,
quanto maggiormente ora àt
tu sei in loco buono et più
sicuro men te dei dubitare
et no aver paura che salvo
non te n^ tiri.
Il Gradenigo neir ultimo verso : Per eh' io te sopra u
corono et mitrio, interlinea sul secondo te: al: (cioè altri)
me. Vale a dire, altri leggono : Per eh' io te sopra me co-
rono et mitrio. Lezione del Lana che piacque allo Scarabelli
IL CODICE DANTESCO GR/4DENIGHUN0
195
al Portirelli dal qaale fa resa nota fln dal 1804, (1)
tardi, nel 1822, dal Campi (2).
0 XXVIII — Nel Proe-
— Alla quinta cosa è da
che ali* autore nascette un
S com* era che lassii fosse
che facesse movere e so-
udle piante e arbori e fo-
on ciò sia che nel libro
rgatorio sìa dichiarato che
mpressione aerea, lo quale
non ascende se non fino
luogo del predetto monte,
mnota lo Scarabelli : Rac-
questo periodo col Lau-
ìcc. — Ma non è troppo
icconciato. — Il Gradeni-
•
•
: V. 22 e però lo solco
adello eh* avea tenuto non
•edire. — E che vuol dire?
: V. 28 e chiaro ap-
om*è carissima cioè spi-
acqua.
: V. 31. —Cioè cheque-
la è sempre sotto lo re-
Ueverludie muovesi bru-
asi a dire che con alcuno
e fatica si conviene acqui-
A la quinta cosa si è da sa-
pere che '1 nassette uno dubbio
a r autore, il quale fue: come
il poteva essere che li suxo do-
V* egli era, fosse vento il quale
facesse movere et sonare quelle
piante et arbori che ivi erano,
con ciò sia che già il sia decla-
rato che alcuna impressione
aerea^ la quale altro non enno
che vento^ non puote assen-
dere se non infino a certo loco
del ditto monte.
.... et però il solco over via
che esso aveva tenuta et facta
gli era ignota et non la pò-
teva vedere.
.... darò se dimostra come
queh fiume era clarissimo et
necto, ciò vole dire spirituale
aqua.
Avegna che si mova br.
Quivi dice come cotesta aqua
enno sempre sotto il r^no de
le virtute et movese bruna, quaxi
dicat: che con alcuna ardua
Il testo della Nìdobeatina illustrato con note da Luigi Portirelli e
,. Giulio Ferrano. (Milano, 1804, Ediz. dei Classici).
La Divina Commedia, ridotta a miglior lezione ecc. (Torino, Unione
Oca) — Vedasi la nota a pag. 589, Voi. IL^ dlsp. 30.
196 ATTILIO TAMBELUNI
stare. solieitudine et fatka secoo-
vene aquistare.
Ibid: V. 41. — Qui figura la Cantando et sceglien, (ìà-
comparazione eh* ha bisogno ad vi Y autore figura la adope-
avere perfettamente quella vita, rcuriane la quale è a coi vuole
— E non v' è senso. perfettamente avere quella eterna
vita. — Cioè come deve adope-
rarsi ecc.
Qaf finisce nel Codice rìminese il Canto XXYm e
mancano gli altri della seconda Cantica ; e qui finisco an-
ch'io per non annoiare il lettore, sebbene a malìDCOore
mi tenga dal continuare con gli spogli e i raffronti della
terza Cantica. Chi poi abbia vaghezza di fare uno stadio
più accurato del mio (e non sarebbe inutile) sa dove tro-
vare il Codice ; a me basti di aver confermato cogli esempi
dati quanto scrissi più sopra, che cioè, il Gradenighiano
in molti luoghi corregge il Laneo dato alle stampe dallo
Scaraboni, che pur aveva compulsati e raffrontati tanti Co-
dici. Poteva dunque V illustre dantista tener nel debito coDto
anche questo deUa Gambalunghiana (sebbene uno fra g^
ultimi lanei del secolo XIV) e servirsene pe' suoi spogli-
Porro fine a questi miei Appunti coli' offrire al Iettare
un breve saggio del testo del Paradiso colle sue chiase
interlineari.
Paradiso — Canto Vili.
paganesmo. animarum suarum.
a. Solca creder lo mondo in suo periclo.
ventis que coUebatur in cipro. a positive,
b. che la bela cyprigna il folle amore.
e. rf- (1) tercio ciclo.
(1) Le lettere maipnali e inlerlÌDeate servono alla chiamata del e
mento.
IL CODICE DANTESCO GRÀDBNIGHIJNO 197
raggiunse volta nel terzo epiciclo.
Perché non pur a lei ^ faceva honore.
de sacrificio et di votivo crìdo.
l tempore paganesmù
le antiche gente ne lo antico errore.
duo (1) coniunctio maris et f emine, filius veneris.
Ma dione honoravano et cupido.
l dione L cupido.
questa per madre sua questo per figlio.
L cupido
et dicean che sedete in grembo a dido.
i. venus.
Et da costei onde principio piglio,
pigliavan il vocabol de la stella.
hesperus 8. lucifer.
che 1 sol vageggia or da coppa or da ciglio...
Ibid: Canto XIII.
Ymagini chi bene intender cupe.
«. illas duas coronas doctorum.
quel eh io or vidi et ritegno 1 ymage.
mentre eh io dico come ferma rupe.
Quindece stelle che indiverse plage.
nobiliores stelle que sint in celo.
lo cielo avivan di tanto sereno.
e.
che soperchia de 1 aere ogni compage.
septem stelle urse maioris.
Ymagini quel carro a cui il seno.
nostri emisperi quia numquam deficiunt
ì) niegibile.
198 A. TAMBELLIKI — IL CODICE DANTESCO GRAlDBNIGBUm
c. basta del Destro celo et nocte et giorno,
si che al volger del temo non vìcd meno.
duas stellas urse minor i8 in forma comu.
f. Ymagini la bocca dì quel corno.
in extremitate septentrionis.
che si comincia in punta de lo stelo.
«. polo septentrionali.
a cui la prima rota va dintorno.
g. Aver facto di se dui signi in celo.
i. adriana conversa in consteUat. qua voeatur corona.
h. qual fece la figliola di minoL
quando fuit derelicta in insula chio per teseum.
alora che sentio di morte il gelo.
i. Et 1 un et 1 altro aver li raggi sol
queste corone.
et ambedui girarse per manera.
unum versum alterum. al secundo.
L che r uno andasse al primo et 1* altro al poL
a simili poter itinteligeripredittas duas coronas doetorm
m. Et avrà quasi 1 ombra de la vera.
n.
n. constelatione et de la doppia danza.
0.
0. che circulava el punto dov io era.
Rimini, 1891.
Attilio Tambeluni.
MISCELLANEA
LA GAL ATEA DI ALBERTO LOLLIO
Id un recente stadio sol Teatro ferrarese nella se--
conda metà del secolo decimosesto (1) ebbi occasione di
ricordare la Galatea del Lollio, secondo la breve indica-
zione data dairAntonelli (2). Mi augurava allora che es-
sendo questa la terza favola pastorale in ordine di tempo
vedesse presto la luce: poiché poteva riuscir utile seguire
nel suo primo sviluppo questo genere letterario, il quale
dal primo saggio dato dal Beccari col Sacrificio nel
1554, non conoscendosi la sua Dafne, dopo V Aretusa
del Lollio del 1563, e lo Sfortunato dell' Arienti del
1567 (3), giungeva alla sua perfezione artistica colV Aminta
del Tasso, nel 1573. Ebbi modo in seguito di vedere io
(i) Nel Giùm. Star, di Leti, ite/., yoI. XVUI, p. 153.
(2) Indice dei m$$. della civica Biblioteca di Ferrara, Ferrara, Tad-
dei, 1884, p. 46, cod. n® 68; ove si può vedere la descrizione del ms.
(3) Per queste due pastorali cfr. lo studio cit, pp. 151-53 e pp.
156-7.
200 MISCELLANEA
medesimo il manoscritto che la conteneva (1) e poter cosi
accertarmi che questo componimento, se diminuiva da no
iato d' interesse per non essere pienamente svolta la sce-
neggiatura, poteva riuscir curioso dall' altro, ofifreodoci od
saggio, credo l' unico finora noto, di uno scenario di pa-
storale.
Ma che dovesse rimanere propriamente uno sceDarìo
non oserei afiermare : i richiami a Teocrito, a Virgilio, a
scritti sulla caccia, occorrenti qua e là, fanno supporre che
il Lollio volesse imitare quei passi verseggiando il suo
canovaccio. In versi non v' è che un tratto piccolissimo
della scena quinta dell' atto primo : forse studiando la tela
questi vennero spontanei alla penna, forse eran già scritti
per altro e V autore pensò d' inserirli a quel luogo. Ha
ciò che non può trascurarsi di notare si è come le buf-
fonate, le burle, i lazzi abbiano gran parte in questa pa-
storale : sovrabbondava ancora V elemento della commedia
popolare, dalla quale dipende anche l'intreccio: spetta?a
al Tasso di dare a questo genere quella semplicità signo-
rile nella favola, nei sentimenti, nello stile, che, se potè
essere agguagliata, nessuno certo potè mai superare.
Angelo Solerti.
(1) Ringrazio T amico Prof. Conte Vittorio Rugarli della copis
con somma cura volle fame per me.
MISCELLANEA 201
GALATEA
COMEDIA PASTOHALE DI M. ALBERTO LOLLIO
Persone
Pomona dea Prologo.
ABGUMENTO
Silvano rimaso vedovo, spiato dai tumulti delle guerre,
che tutto il paese d'Arcadia guastavano, per sospetto di
non essere amazzato, con due figliuoli l'uno chiamato
Lauro, al quale pone nome Amicleo, l'altra Glori, a cui
mette nome Amarìli, se ne fugge, et vassene ad habitare
nelle selve di Napoli, facendosi chiamare Mopso, dove
trovandosi con quei fanciulli piccioli senza governo, tolse
per moglie una vedova, la quale similmente haveva due
figliuoli, l'uno nomato Selvaggio, et l'altra Filida: con in-
tenzione, come questi fanciulli alla debita età fossero per-
venuti, di maritarli tutti e quattro insieme.
Non andò molto, che questa seconda moglie di Sil-
vano mori, per il che fu come disciolto il matrimonio tra
i fanciulli, conciosiaché Silvano, cessate le guerre d'Ar-
cadia, lasciati i figliastri in governo de' parenti, co' suoi
figlinoli già grandi al proprio suo albergo se ne tornò,
fior dopo alquanti anni, Selvaggio divenuto grande et bel-
lissimo giovane, per le risse et discordie nate fra i pa-
stori del paese, havendo egli un ricchissimo pastore amaz-
zato, fuggendo dalla patria , per maggior sicurezza mu-
HI
202 MISCELLANEA
tatosi il nome di Selvaggio, in Silvio : et alla sorella d
Filida in Clitia : venne sconosciuto con il meglio delle sai
ricchezze in Arcadia.
Quivi sciolto luogo commodo a' suoi armenti, egli t
gli altri pastori babitava con la sorella : la quale era i
si rare, et cosi maravigliose bellezze ornata, che moli
Arcadi pastori dello amor suo fieramente si accesero :tF
J i quali Lauro si fortemente di lei invaghì, che non tro
^ vava riposo alcuno.
Non passò molto, che il vecchio Silvano s'inesd
anch^ egli, non sapendo però alcun di loro cosa alcuna d
ciò che r uno, o V altro intomo a questo amore adope
rasse. Finalmente scopertasi la cosa, nacque fra loro gran
dissima discordia: perocché con ogni possibile industri;
et diligenza si sforzavano ambeduo di torsi la desiata gio
^ vino l'uno all'altro.
Lauro fondava le sue speranze nel gran favore, ^
nelle grate accoglienze che li faceva Clitia ; la quale scam
bievolmente di core amarlo mostrava. Dall' altra parte Sii
vano si confidava molto nel buono aiuto che in ciò li prò
^ metteva Silvio : però che essendo anch' egli ardentemente
innamorato di Glori, si era accordato con esso lui di dar
gli la sorella : et egli all' incontro gli havea promesso di
dar la figliuola. La qual cosa intendendo Lauro, da soii
surato dolore oppresso, si voleva ammazzare : quand'eccc
a scoprirsi per vero co '1 mezo d' una Driade, Silvio e
Clitia, esser Selvaggio et Filida figliastri di Silvano. Laonde
le cose ritornano nelli loro primi termini, come già a Na-
poli eran state ordinate: ciò è che Lauro et Filida: et
Selvaggio et Clori allegramente si maritano insieme.
f-
MISCELLANEA 203
ATTO PRIMO
SCENA I.
Lauro giovane.
Egli si lamenta, et si afflige, di bavere già due giorni sodo,
cercato invano la sua bella et bramata Qitia. etc.
SCENA IL
Corimbo, Lauro, compagnL
Costui vien cantando, e sonando una lira, ragiona con
Lauro d* amore, et de' lor gregl Lauro si duole che suo padre
si partisse da Napoli, dove egli si struggeva dello amor di Fi-
lida. Contagli come e* si havevano dato la fede di torsi per mo-
gliera etc.
Da poi Corimbo dice di haver veduto Gida con altre com-
pagne lungi il fiume Erimanto. Onde Lauro si parte per an-
darla a trovare.
SCENA III.
Corimbo.
Corimbo discorre da se de i casi pastorali; et dice alcune
cose intorno allo amor de la sua innamorata, etc.
SCENA un.
Gorgo capraro, Corimbo.
Viene ridendo, pigliandosi spasso et facendosi beffe di Sil-
vano suo patrone. Narra come egli è innamorato di Qilia, a
lai, che ne mena ismanie. Dice che egli Tha fatto radere: et
liagli posto in cuore di montar suso un asino guarnito di fiori,
frondi e ghirlande, et li ha persuaso a portare a donare a Gitia
204 MISCBLLANBA
per placarla, un fiasco dì buon vino, ddle schiazzate, fratti,
formaggio, etc.
SCENA y.
Qitia giovane.
Ck)stei si duole della sua scortesia, di aver lasciato Lauro
per seguitare la caccia d' ud cervo, il quale dice insieme eoo
le compagne bavere ammazzato, et appeso la testa al tempio
di Diana. la quale dice baver mostrato di non a^pradare il doso,
conoscendo cbe in breve ella lasciarebbe il suo culto, per adiie-
rirsi al servitio di Venere, eie
Questi sono alcuni versi del suo rammarico.
Non ponga alcun giaroai le sue speranze
Nel variar fallace, et ne gli inganni
Di fortuna infedel : che su '1 pili bello
Fiorir le tronca: e una sol alba chiara
Mescie con mille tenebrose notti.
0 pigra al nostro ben, veloce al male
C3ie le dolcezze altrui ratto avelleni
Come in un punto dall* amata vista
Del caro idolo mio mi discompagnu
Ma di chi debbo lamentarmi, ahi lassa,
Se non di me, di me, che semplicetta
Di Diana seguir volsi la traccia,
Et le fiere cacciar entro le selve
Senza riposo alcun: onde dovrei
Odiar le fiere, i cacciatori, i cani
Gli archi, le reti, i strai: qualhor sovienmi
Che per quelle seguir perdei me stessa, etc.
ATTO SECONDO.
SCENA I.
Brusco custode d'armenti
Costui viene in scena, menandosi drieto un becco per k
coma : sopra le quali discorre anfibologicamente, dicendo ch*dle
MISCELLANEA 205
SODO cose hoDorate: onde le veggiamo alla Luna etc. come in
un capitolo in lode de le corna se ben mi ricordo.
Intanto arriva Silvano, et Brusco co*l suo becco si nasconde.
SCENA n.
Silvano, Brusco.
Ei se ne viene su Y asino , guarnito di ghirìande , fiorì ,
frutti etc et vassene alla capanna di Clitia : dove canta una
canzone in sua laude come Teocrito. Da poi le offerisce le
schiacciate, il fiasco, etc Brusco che di vicino haveva udito il
tutto, sentendolo trasformato nell'amoroso disio, cosi pian piano
esce dal bosco, et li robba 1* asino con le robbe : di che accor-
gendosi Silvano, si lamenta gravemente: et si mette in camino
per andarlo a cercare Intanto Tasino ragghia: onde Silvano
dice che egli debbe ha ver trovato la sua innamorata: et li ha
invidia etc
SCENA in.
■
Brusco.
Brusco havendo sentito partir Silvano, esce del bosco, et
rìdesi della burla fatta, et si piglia spasso della sua scioc-
chezza etc.
SCENA IIIL
Gorgo, Brusco.
Arriva costui ragionando con se stesso, annoverando di
molti negoci che gli ha imposto il patrone. Si abbocca con
Brusco, et egli lo intertiene. tolgonsi fra loro berta de' loro pa-
troni, et de' suoi amori. Si pongono a mangiare insieme. 1* un
beve, et l'altro li dice forte non pid, non più et colui mostra
di non lo udire, quell'altro da poi beve, et colui fingendo dir
forte apre apena la bocca, per darli ad intendere, che mentre
206 BnSCELLANEA
r huom beve non ode cos' alcuna etc Alla fine à inebbrìaoo.
L' un di loro monta su Tasino, dicendo delle facezie. 1* altro si
butta per terra, mostrando di voler nodare. et dice o quanti
civettoni, quante lumache, quanti alocchi, barbagianni etc fa
vista di volarli dietro per aria etc.
1
SCENA V.
Corìdone, Tirsi, compagni.
Vengono parlando fra loro. Ck)ridon dice haver trovato SO-
vano come disperato di martello amoroso, et dello haver per-
duto rasino. Poi dice haverli fatto intendere, come Clitia è so-
rella di Selvaggio: et che egli similmente è innamorato di
sua figliuola Glori, onde dice che Silvano ha deliberato di
accordarsi con esso lui, et di fare un barrato, pigliando esso
Clitia, et dando Gori a Selvaggio, etc.
ATTO TERZO.
SCENA I.
Lauro, Corimbo.
Comunica la sua allegrezza con Corimbo, di haver trovato
Clitia sopra il monte Partenio. parlano de* suoi amori , et delle
commodità et felicità della vita pastorale. Da poi sonano et can-
tano insieme.
SCENA n.
Ranocchio pescatore, Lauro, Corimbo.
Sopragiunge Ranocchio, che va cercando Lauro, al quale
dice, di haver sentito Silvano far Io accordo con Selvaggio circa
il barrato delle donne. Et che Selvaggio haveva prima nn pezzo
ricusato, pure stimolato dal troppo amore eh' egli portava a
Cleri, era stato contento. Costoro si partono, resta Ranocchio.
Il
MISCELLANEA 207
SCENA III.
Ranocchio.
Quivi egli dice delle facetie, ragioDando con le sue raue,
quali uscite della rete, vanno qua e là saltellando per terra:
egli le va pigliando, etc
SCENA nn.
Gorgo ubbriaco, Ranocchio.
Costoro dopo alquante parole, vengono fra loro alle mani.
I ultimo Ranocchio avedutosi che Gorgo era ubbriaco, lo la-
ta e va via.
SCENA V.
Gorgo.
La virtù del vino che haveva in capo costui, lo faceva dir
ise maravigliose et ridicule. dopo alquanto ei si addormenta
Ugo disteso in terra, havendosi già prima cavato la camicia,
calze etc. et restato con un paro di mutande.
SCENA VL
Glori, Testile, compagne. Gorgo.
Ella narra a Testile un suo sogno, dapoi discorrono sopra
augurio d* un paio di Clolombi , eh* hanno incontrato per la
rada, trovano Gorgo dormire : onde accostatesi pian piano, con
more lo tingono tutto: come accade a Sileno appo Vergih'o.
Alla fine egli si desta, et fugge via: et esse li corrono
ielro un pezzo.
scBNA vn.
SelTaggio, dori, Testile.
Racconta la somma felicità eh' egli aspetta d* havere per il
barrato della sorella eoo la figliuola di Silvano. Oori seotòidolo
parlare, esce insieme con Testile del bosco: et li conta il suc-
cesso di Gorgo : et egli le dice la conventione fotta con SìIudo:
Testile ciò biasma grandemente, dicendo non convenirsi che h
bella Qitia divenga moglie di quel brutto vecchia
Da poi ordinano di fare una bella caccia.
ATTO QUARTO.
SCENA L
CUtia.
Costei si lagna, et si lamenta delli suoi travagli di Napoli^^^;^.,
dcdendosi della fortuna, che per le discordie nate fra qud pu^^^
stori, le habbia abbisognato abbandonare la patria. Appres^^^^
si ricorda della partita di là del suo dolce Amicleo, coi el^^
amava pid che la propria. Appresso si ra manca grandemet=:^::;7^
che per lo accordo fatto fra Selvaggio suo fratello, el SOva^^^^
ella habbia a lasciar Lauro suo caro innamorato, el fi^Si^mi^
Silvano brutto vecchio per marito.
SCENA n.
Glori, Clitia, Testfle.
Questa dopo varii discorsi, dice di non volere a patto a/-
cuno tuor per marito Selvaggio suo innamorato, accioché Oitk
cui ella molto amava, non havesse questo gran dispiacere, et
questo affanno di esser moglie di Silvano. Qitia la rìngntk:
et TestUe la loda di questa sua cortesia.
MISCELLANEA 209
SCENA lU.
Selvaggio, Clitia, Glori, Testile.
Si rallegra con se medesimo dello accordo fatto eoo Sil-
vano : parendoli un' bora mille che egli possa godere la sua
Qori. Qitia vedutolo, temendo non li replicasse detto accordo,
dette alcune parole sopra ciò, destramente si parte, resta Sel-
vaggio con Clorì et Testile: et la pr^a a oi)erar coM padre
che il patto fatto fra loro habbia luogo. Ella dice non esser
mai per consentire di accettarlo per sposo, se egli all' incontro
non da sua sorella Clitia a Lauro suo fratello. Dapoi ella con
la sua compagna si parte.
SCENA un.
Selvaggio, Brusco.
Egli si trova colmo d' affanni, et d'amorosa passione, per
le parole intese da Glori, onde si duole, et si lamenta, etc.
SCENA V.
Brusco, Selvaggio.
Arriva costui a cavallo d'un montone, cantando sue frot-
tole, et non credendo esser veduto dal patrone, fa, et dice delle
buffonerie da ridere. Selvaggio che era fieramente addolorato,
di stizza li fa una buona schiavina di pugni, etc.
SCENA VL
Lauro, Selvaggio, Brusco.
Costui si lamenta di Selvaggio, dello accordio fatto con
Silvano suo padre, circa il barrato di Clitia, et di Cleri, final-
mente dopo molti contrasti, rimangono in compositione insieme,
che Lauro abbia Gitia, et Selvagio Clorì. poi si partono, per
Voi. IV, Parte 11 U
210 MISCBLLANSA
andare a trovar delli compagni, per ordinare la caccia : e( b-
sciano qui Brusco, che tenda le reti, etc
SCENA vn.
Brusco.
— 1
Per dispetto delle busse datdi da Selvaggio, minaccia di
voler scoprire a Silvano ciò che Lauro e Selvaggio hanno con-
cluso sopra le sorelle loro. Intanto aggiungendo la turba de* ^t
cacciatori, egli si va con dio.
Dapoi segue una bellissima caccia, tolta da lo Hippolito di j j
Seneca : dall*Atteone d' Ovidio : dalla caccia del Card. Hadriano :
et da Gratio de Venatione.
SCENA YIII.
SilYano , Brusco. .
i
Udita la cosa da Brusco, sale in una colera grande:
delibera di nascondere la figliuola, acciò che Lauro non ha
bia il suo intento : come ascose già Amata I^vìnia, per
la dare ad Enea. Onde egli si parte con Brusco per andare
far detto effetto, eie.
ATTO QUINTO.
SCENA I.
Selvaggio.
Mostra costui qualmente Silvano in sua presenza, hav^^^va
pigliato Glori per i capelli, per menarla a nascondere. meK~:ifre
che egli le appresentava il capo del cinghiale, onde sfor^^Bto
dall'amorosa passione, si era deliberato mancar di fede a La Mjro,
et compiacere esso Silvano, mandando ad effetto lo accoit/^)
prima fatto fra loro. Et hoggi si havevano a far le nozze / ef
et che Silvano era andato a mettersi in ordine etc.
ei
a
MISCELLANEA 211
SCENA IL .
Corìdone, Selvaggio.
Interna Selvaggio come passata sia la cosa tra Silvano e
ilori. il che da lui narrato brevemente, lo prega a venir con
sso lui, per placare et indure Clitia, a contentarsi di pigliar
silvano per marito : affinché, non possendo egli con altro mezo
•ttener la sua bramata Glori , d' affanno e di cordoglio non
nuoia. etc
SCENA III.
Silvano, Gorgo.
Gommanda a Gorgo che accolga de* fiori dell' herbe, frondi
etc et egli accostatosi con una ronchetta ad un'albero, per ta-
gliar delle frondi; sente con strepito tremar la terra d' intorno:
et uscirne una voce.
SCENA im.
Eudora Driade , Silvano , Gorgo.
Questa succintamente discuopre tutto il successo della cosa :
narrando come per volontà de i Dei è necessario che di questi
maritaggi ne segua quello appunto, che era prima stato ordi-
nato tra loro a Napoli. Silvano ringratia la Dea: et deponendo
l*amor di Clitia, si dispone a operare, che succeda quello, che
prima da lui era stato designato, etc.
SCENA T.
Lauro, Glori.
Ambedue si disperano: Tuno di non potere haver la sua
Glitia. Taltra di non saper in che modo con suo onore et com-
inodo sodisfare al padre: si per la promessa già fatta a Gitia:
I
I
I .
I
I
»
l .
I
212 MISCELLANEA
et sf anco, accìoché Lauro suo fratello non havesse questo do
lore, di vedere Qitia moglìera di suo padre Silvano. Per il ch<
disperati, et pieni di mal talento, d'accordo s' inviano per an
dare a precipitarsi giù del monte Liceo.
SCENA TI.
Silvano, Lauro, dori, Borgo.
Intesa la cagion del fastidio, et della querela di costoro
accostatosi ad essi, li conta quello che intomo a ciò la Niofi
Eudora gli ha rivelato. Et riduce la cosa a buon termine, coi
satisfattion d'ambedue, etc
SCENA VII.
Selvaggio, Clitia, Silvano, Lauro, Qori, Gorgo, Giordano.
Menava costui la sorella l^ata. et udita la cosa da Sil-
vano, rapacificati insieme, si congratulano, et si abbraociaix
r uno et Taltro, riconoscendosi tutti quanti. Mandano Gorgo i
chiamar Giordano, sacerdote di Pane: il qual venuto, si niDe-
gra de* suoi contenti con esso loro : et fanno un bel sacrificio
con le precationi per la posterità che ha da nascer da essi etc
Da poi si partono allori et giubilanti, per andare a casa d
Silvano, a celebrare le due paia di nozze.
Il Fine.
rU
I DISTICI SULLA NATURA DELLE FRUTTA
Oltre ai bestiari, ai lapidari e agli erbari, chi vorrà
studiare le varie proprietà e significati che il Medioevo
attribuiva alle opere della natura, dovrà anche conside-
rare quanto in quel tempo si è scritto delle frutta; le
quali, pur occupando in quella grande famiglia dì scrit-
ture l'ultimo posto, non meriterebbero di essere trascu-
rate. Pochi sono i versi italiani medioevali, che trat-
tano delle frutta ; ma , tra questi , i distici che seguono
ebbero certo una grande diffusione, perché essi giun-
sero a noi in redazioni affatto diverse e che mostrano
assai bene la popolarità di questo componimento e il la-
vorio della tradizione nell' aggiungere alcune parti e nel
toglierne altre, fondendo o confondendo il rimanente.
Il dott. F. Pellegrini pubblicò or non è molto (1) i
distici sulla natura delle frutta, servendosi di un codice
Bolognese e di un Viennese ; nei quali, se la disposizione
delle strofe è differente , uniforme tuttavia è la lezione.
Io ho trovato invece questi versi in un codice Padovano,
ove non solo il numero e V ordine delle strofe , ma , ciò
che importa più, il testo stesso differisce in gran parte
da quello pubblicato dal Pellegrini. Reputando che que-
sta nuova redazione non debba riuscire del tutto inutile
a chi voglia indagare il concetto medioevale sulla natura
delle frutta, ho creduto bene di pubblicarla nella sua
interezza.
(1) Giornale storico della kit il,, voi. XVl, pp. ail-352.
214 MISCELLANEA
Si trova essa a carte 53/-54.* del codice 550 dell
Comanale di Padova, di provenienza dalla famiglia de' La:
zara, scrìtto sulla metà del sec. XY da Andrea Vittari(l
Non porta in fronte alcuna didascalia, e tanto meno
Vittori accennò onde la prese : tuttavia essa è tanto di
versa da quella edita dal Pellegrini, da fornire una prò?
certa della grande antichità di questo testo, il quale b
dovuto percorrere un ben lungo cammino prima dì ri
cevere questa nuova veste anche più disadorna della prece
dente pei frequenti errori e per le oscurità, che io non hi
creduto opportuno di emendare (2), sebbene talvolta, coi
r aiuto dei codici di Bologna e di Vienna, non mi sarebbi
stato diflScile il farlo. Questa nostra redazione ha tre stro
fette in meno di quella del Pellegrini: mancano cioè
distici deUa mela^ del dattero, della prugna e dell' tira
ed ha in più quelli della mora; né sono certo (tanto k
lezioni sono differenti) se la nostra strofetta del citrm
corrisponda a quella del c^ro.
Il colorito dialettale veneto è anche più spiccato io
questa nostra lezione che non nella edita dal Pellegrioi.
Altri più minuti confronti potrà fare chi vorrà di proposito
j occuparsi di questa materia : io, per lo scopo che mi sono
, prefisso, credo di aver detto quanto basta.
A. Medln
il
(i) Dì questo VitUirì e di allri codici da lui scrìtti daK> ootiiie tra
uoQ oìolto. Dell* avrertenza ad un lunghissimo, antico e curìoso Ottlo
della Yfiyine^ che egli ci ha tramandato e che io puhbUcherò.
{±ì Nel pubblicare questo testo consenrai b grafia del ms., logilendo
soltanto le h inutili. I numerì arabi, posti nel testo fra parentesi di fianca
ai rumanù sì rìferìscooo ali* online che hanno le strofe nella redazione
edita dal Peflesgriiiì.
MISCELLANEA 215
/. (6) Nespolla io sod, nemica dei ribaldi,
che mal me tuoll per i Uopi calldi;
alora me tuoi quando fredo me toca:
calda son certa e dollze a la boca,
II. (18) E son sorbolla bona, verde e seca;
chi me onfende serba zia non peca:
comuna son al suo fino secorsso
a strenzer el corpo a chi à tropo discorso.
'W- (1) Nato in paradiso son el figo:
a zente umana io son perfeto amigo;
onde ve chiamo dolze el mio dileto,
che de dolzeza paso ogni confeto.
^^- (11) Qibo son groso chiamato castagnia,
molto notrico a zente de montagnia:
sana son per le zente sane;
inn ogni modo cota mior in pane.
y
(15) E son dilitoso zizolino,
comun e con dileto tanto fino,
che desiderato son d' ogni signiore
per la vertù del mio zentil sapore.
Vj
• (2) E io son pero, preso con rasone,
che don' conforto alla distigione,
però che Ila persona sazia e dota
me manza crua, ma mior son cota.
E son mora, che per nome sisone,
e fazio uno vino eh' à nome dio amorone,
Io qual son fredo e à vertù perfeta
in contra el morbo ch'à la cola streta.
"•- ^ J. (20) E son armelino fredo e fre[s]ca,
quasi de natura de persica:
da mie a lie molto poco s' afalla,
la persica son bianca e io dentro son zaia.
r
216 MISCELLANEA
IX. (19) Persico son, frodo più eoa neve;
senzia boa vine a manzar son grieve:
chi torà la nuzella del mio dentro,
calda se troverà l' anima dentro.
X. (8) Calda son nose, che de mi se rasona ;
che poi el pese io son sana e bona:
de mi se puoi far ajo, e son usata
inn un saper lo qual se chiama ajata.
XI. (7) Mandolla son, che de [mi] son fate
vìande asai con bianchisimo late:
calda son certa, e mollto volentieri
me tien in botteca i boni spizierì.
XII. (9) E son nuzella bona e fresca:
chi me onfende cierba zia non peca;
el mio saper si è chiamato fino;
trovata son dove se vende el bon vino.
XIII. (14) Naranzia son, che d*ogni tenpo è verde:
fior e fruto zamai mi non perde;
fuzito e son; e vojo che zascadun el sazia,
io son bon naranzo con vernaza.
XIV. (13?) E son zolrom, che dentro e di fuori
j{] e ò de moliti boni saporì:
preso in confeto e coto con misura
aconforta la debelle natura.
■
ìl\
XV. (10) Qibo son groso, e 'I mio nom'è pignia:
inn el confeto la mia sustanzia è Gna;
quela confezion si vien 'pelata
dai spezierì Gna pigniocata.
XVI. (16) Zeriese son, che per nome sisone,
e son asai bella frisca e bona:
tuo' r oso dentro e tute F altro caza ;
più savio tegnio chi de mi non manza.
MISCELLANEA 217
n. (12) Pome ingranate se chiama el mio nome:
a zente calde e son veraze pome;
la sede poco contra mi s' apara;
el spizier, s' el poli, la vende cara.
[II (3) E son codognio, e con i altri me scrivo:
inn ogni modo son restrenzativo ,
preso in confeto e con miei sia manzati,
poco s' abati del mio fredo costati.
Finis.
ERRATA-CORRIGE
Si vegga Part. Curzio Gonzaga rimatore del secolo XVI in questo
periodico, voi. IV, fase. 19-20 (pagg. 125-162) e 21 (pagg. 349-386).
F^. 129 riga U invece di MDLUI leggasi MDLIIII
la nota 2 deve andare nella pag. 21 di seguito alla nota 1
1 144 la noia z
» 147 riga 32 in
» 350 1
» 19
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^ 22
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» 10
» 355 1
1 34
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1 368 1
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» vicecancellarium
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Avverto per iscrupolo, che in alcuni de' brani di documento inseriti
entro il testo del lavoro ho scrìtto qualche parola abbreviata com* é
nell'originale, mentre poi nell'appendice la scrissi per intero. Si attri-
buisca questa dilTerenza a una semplice svista.
A. Belloni
LIMITAZIONE CLASSICA NELL^ ORLANDO FURIOSO
I
Quanto abbiano giovato ai progresso, allo sviluppo
e alio incremento della volgar lingua e della volgar let*
teratura gli studi classici e l'erudizione del quattrocento,
potrà facilmente persuadersi chi consideri che se Y uma-
nesimo per sé stesso rappresenta, specialmente in certi
suoi stadi e momenti, un periodo d'aridità e d'interru-
zione nella produzione letteraria italiana, può anche con-
siderarsi come un periodo di feconda preparazione e,
diremo cosi, di assimilazione, inquantoché buona parte
appunto della coltura e della letteratura classica greco -
'omana, digerita — mi si permetta di continuar nella me-
afora — e assimilata nel sec. XV, trapassò nel cinque -
ento a informar le nuove produzioni volgari.
La nuova letteratura rimasta per un istante soffocata
[allo immane pondo degli studi classici ed eruditi, risorse
»iù che mai fulgida e bella nel cinquecento; più fulgida
I più bella di prima, perché la materia e le forme delle
Massiche letterature venivano ora in essa trasfuse, e, rav-
vivate nella letteratura popolare assunta dai dotti, splen-
ievano di luce propria; e appunto perché la letteratura
volgare e popolare passò dal popolo ai dotti, essi, senza
Voi. IV, Parte II. 15
222 CORRADO ZACCHETTI
guastarne la modesta bellezza , la ricevettero come una
timida fanciulla dalle mani del popolo, e adomandoia di
tutta la classica venustà, la resero formosa matrona. Que-
sto fatto, che si esplicò in tutti i generi letterari, é più che
mai manifesto neir epopea romanzesca ; la quale di rozza
e popolare, divenne anch' essa, nel sec. XVI un genere
classico e trovò il suo pieno e completo sviluppo; tanto
vero che dopo V Ariosto , il quale per entro le vene le
trasfuse tutto il benefico succo de' suoi classici studi, e
dopo il Tasso, che la rese classica addirittura, non trovò
chi degnamente la trattasse.
II.
Allorché, dopo la lettura che del Furioso l'Ariosto
veniva facendo alla corte di Ferrara, il cardinal d'Este
gli chiedeva donde mai avesse scavate tante corbellerie,
egli non sapeva certo, che molte, le migliori forse di
quelle divine corbellerie, il poeta l' aveva tratte dall'aurea
fonte della classica antichità greco-romana. Quantunque
non fosse molto grande il numero degli autori che l'A-
riosto aveva conosciuto, pure ci assicura il figlio suo Vir-
ginio nei ricordi del padre (1), che lesse e cercò a fondo
i migliori : aveva una singoiar predilezione, oltre che per
Omero, per Vergilio, Tibullo, Catullo, e, in ispecial modo,
Orazio (2). Di tutti questi scrittori e di molti altri ancora,
(1) « Non fu molto studioso, e pochi libri cercava di vedere». 0
IUrotti, Vita di Ludovico Ariosto e dichiarazioni^ ecc, Feri'ara, Stam-
peria Camerale, 1773, pag. 55). A noi pare che quel molto atudm
debba riferirsi alla quantità dei libri studiati, non alla intensità ado[H)-
rata nello studiarli, giacché dalla nostra ricerca apparirà chiaro quanto
profondamente T Ariosto conoscesse i principali autori classici.
(2) « Gli piaceva Virgilio , Tibullo nel suo dire Grandemente
commendava Orazio e Catullo, ma non molto Properzio. (Rie. ciL in B.\-
ROTTI, Op. cit.).
l'imitazione classica nell* orlando furioso 223
vi sono evidentissime traccie neli' Orlando Furioso: epi-
sodi tolti e adattati alle circostanze, versi ed immagini
tradotte, similitudini ricopiate, personaggi riprodotti. Co-
nobbe anche specialmente, ed imitò. Stazio, Lucano, Apu-
leio, e, sempre secondo l' afTermazione di Virginio, molto
gli piaceva e molto leggeva il poema sugli Argonauti, di
cai non pochi luoghi sono imitati nell' Orlando. Della
classicità adunque, non aveva egli una interissima cono-
scenza, ma sentiva per essa — era questo un frutto non
solamente del suo retto ingegno, ma del secolo in cui
visse e dell' educazione ricevuta — una stragrande am-
mirazione, e la parte da lui conosciuta, era conosciuta
profondamente, senza incertezze e senza lacune; il che
non paia piccola lode, considerando anche che Ludovico
aveva sprecati cinque anni nell' arido e per lui infruttuoso
studio delle leggi , e che fino all' età di vent' anni ben
poco s'era occupato di studi classici.
Intorno a' quali, l' autore stesso ci dà notizie abba-
stanza precise; giacché nella satira VII, indirizzata al
Bembo, a cui raccomanda il figlio Virginio che inviava
allo studio di Padova, come si rileva anche da una com-
mendatizia al Bembo stesso (1) — commendatizia di cui
la satira non è che un' amplificazione — accenna, lamen-
tandosene, agli ostacoli che si frapposero quale insormon-
tabile barriera, negli anni della sua prima giovinezza, alle
sue inclinazioni artistiche e letterarie, e al modo con cui
vennesi formando la propria coltura (2).
Fino all'età di vent' anni, dicevamo, lo studio degli
autori classici non occupò certamente il miglior tempo
(1) Opere di Ludovico Ariosto, Trieste, 1857, voi. 3.°, pag. 72.
(2) V. Carducci, Delle poesie latine edite ed inedite di Ludovico
Ariosto, Bologna, Zanichelli, 1886. Capitolo IV.
224 CORRADO ZACCHETTI
del poeta, il quale, del resto con tinte troppo caricate,
lamenta la sua ignoranza in qaeir età :
4c Passar vent' anni io mi trovavo e duopo
Aver di pedagogo, che a fatica
Inteso avrei quel che tradusse Esopo » (1).
Ch'egli non intendesse Fedro? via, è un po' troppo; è
un eccesso di modestia, una licenza poetica. Noi, senza
prendere alla lettera questa sua afTermazione , possiamo
credere col Carducci che il suo maestro di rettorica, -
chiunque egli sia stato, o il Ripa, o il Barbuleio, o altri
che non è chiaro — , e se non dette a Ludovico una
vera instituzione letteraria , gli apprese a ogni modo no
certo uso del latino; perché a quindici anni appena, Lo-
dovico, 0 per amore o per forza, si diede allo stadio
delle leggi eh' era tutto cosa latina » (2). E quanto si
duole il poeta di questa sua sorte! Erano gli anni mi-
gliori, gli anni in cui la mente si vien formando ed in-
formando agli studi da cui è nutrita, ed egli doveva spre-
carli e a volger testi e chiese >! (3) Consumati cinqne
anni in quelle « dande » (4), il padre Io lasciò alle sue
inclinazioni, e fu allora che la fortuna gli offerse \ insi-
gne Gregorio da Spoleto (5), che già vecchio era venuto
alla corte degli Estensi (C). Che splendida fioritura aves-
sero avuto gli studi classici in Ferrara, dimostrò ampia-
mente il Carducci (7): « Quando Ludovico Ariosto toc-
(1) Salirà VII, v. l(i;i
(2) Op. ciL, pag. 67.
(3) Satira VII, v. 158.
(i) Id. id., V. 151).
(5) Id. id., V. 1G7.
((>) Carducxi, op. cil., paj:. 70. — Su Gregorio vedi .modi' Ha-
nuFFALDi, op. cit., pag. 8:2 o seg.
(7) Cahducci, op. cit. Vedi tutto il cap. III.
l' imitazione classica nell' orlando furioso 225
iva i ventanni, la primavera dei rinascimento classico,
sminata da Leonello Estense e da Guarino Veronese, era
Ferrara nella sua più lussureggiante vegetazione, e
ebriava de* suoi colori e de' suoi profumi gli animi di
Itti: tutti amavano, odiavano, peccavano, sognavano in
tino > (1). Francesco e Malatesta Àrìosti, Battista Gua-
ni, Lodovico Carbone, Ludovico Pittori, Tito Vespasiano
trozzi ed altri ancora (2), o aveano tenuto cattedra
' eloquenza nell' Ateneo ferrarese, o della loro musa la-
na avevano allietato la nobile corte. Successore di cosi
lustri uomini ed erede di tanta gloria, Gregorio da Spo-
eto né fu inferiore ai primi, né ebbe minore la seconda,
'ormò egli degli scolari che avrebbero fatta invidia al
laestro, e primo il nostro Ludovico; il quale, con me-
aviglioso progresso, a venticinque anni poetava latina-
lente, e con stringatezza non rude, e trattando i metri
iù difficili. Non solo adunque, prima di coltivare l'ita-
ana poesia, il nostro poeta ebbe una profonda cono-
cenza della miglior parte del parnaso latino, ma egli
tesso vi colse allori immortali, in un tempo in cui tutti,
al più al meno, i letterati , cercavano d' agguantare pel
ioffo le latine camene. E di quanta utilità fosse a lui,
oeta italiano, V essersi esercitato nella poesia latina, os-
3rvò già acutamente il Carducci: « Lo studio e l'uso
ella poesia latina, egli dice, disciplinò e addestrò l'Ario-
to, ridondante, prosaico e rozzo nei primi tentativi di
erso italiano, a quella concinnità graziosa nel libero an-
[amento, a quella eleganza nella copia, che manca ad
litri poeti italiani pur insigni, ed è virtù singolarissima
ma » (3). Peccato eh' egli non possedesse come il latino.
(i) Carducci, op. cit, pag. 19.
(2) GARDUca, op. cit., cap. cit.
(3) Op. cit., pag. i7i.
226 CORRADO ZAOCHETTl
aDcbe il greco : il poeta stesso deplora vivamente le cir-
costanze che glielo impedirono:
« Non vuol la mia pigrizia o la mia sorte
Che del tempio d'Apollo io gli (1) apra in Delo
Come gli fei del Palatin, le porte » (2).
Della letteratura greca egli conosceva quindi qael tanto
solo che poteva col tramite o della tradizione orale, o
delle traduzioni latine; e solamente appunto di qaelle
opere greche che sono state traslatate in latino vi è trac-
cia, nel Furioso, d' imitazione. Tali adunque essendo stati
gli studi dell' Ariosto e tale la sua cultura , non sarà da
meravigliarsi se nell' Orlando Furioso, eh' è l' opera nella
quale il poeta pose tutto sé stesso, l'imitazione classica
occupa un posto tanto importante. In nessun' altra ita-
liana scrittura, come nel Furioso, appaiono tante traccie
di classica coltura, da nessun' altra appare meglio il pos-
sesso pieno e completo della lìngua latina , dalla quale
r Ariosto seppe trarre, con arte mirabile, un tesoro ine-
sauribile di schiette e vive locazioni e modi di dire. In
tal modo con l'Ariosto il poema romanzesco si sto
di raggiungere le cime dell'Epopea (3); frutto questo,
come Siam venuti Qn qui dicendo, dell' umanesimo, il
quale pare aver avuto rufDcio di classicizzare, mi si passi
la parola, la letteratura italiana.
(1) Al figlio Virginio.
(2) Satira VII, v. 151.
(3) Non voglio (lare per mia un'osservazione che e siala già falla
da alcuni tra i nostri migliori critici; come il Rajnà (Le fonti dell'Or-
lando Furioso, - che avremo occasione di citare più volle -; Firenze,
Sansoni, 1876, pag. 126, 160, 163, 225 o altrove), e il Mazzoni (7'^«
Libri e Carte, Roma, 1887; nello scritto: Della Gerusalemme Liberata',
pag. 39).
l' imitazione classica nell' orlando furioso 227
III.
La prima domanda che s' affaccia alla mento di chi
tratti r argomento dell' imitazione classica nell* Orlando
Farìoso, è con quale concetto abbia il poeta cosi stu-
diosamente imitato gli scrittori dell' antichità , e quali li-
miti, generalmente parlando, abbia questa imitazione.
Da quanto slam venuti fin qui esponendo, apparisce
chiaro che la natura e gli studi dell'Ariosto lo traevano
irresistibilmente verso il mondo classico: è quindi natu-
rale, come dicevamo nel precedente capitolo, eh' egli cer-
casse, entro i confini permessigli dal genere e dagli ar-
gomenti che trattava, di riavvicinare più che fosse pos-
sibile il poema romanzesco , eh' egli trovava adulto già
coir Orlando Innamorato, ma, sempre, solo e semplice-
mente romanzesco, a forma ed andamento più regolare,
più classico che fosse possibile. Questo riguardo alla ma-
teria : riguardo alla forma, la cosa gli veniva più naturale
e quasi di per sé. Egli tutto imbevuto di classicità e ado-
ratore dei classici e scrittore egli stesso d' eleganti poesie
latine, come non avrebbe trasfusa una forma classica al-
l' opera del suo ingegno? È questa, della forma, la parte
dell'imitazione classica quasi affatto spontanea (ì) : l'imi-
tazione della materia, io la credo più voluta, più pensata,
fatta con veri e propri intendimenti classici.
Questi intendimenti, soggettivamente coscienti, io non
ritrovo ne' suoi predecessori; per venire ai quali e tor-
nar quindi all'Ariosto, mi sia permesso fare un breve
passo indietro.
(1) Quando dico imitazione spontanea, voglio dire imitazione indiretta,
riguardo alla formr.; giacché quando T Ariosto imita qualche passo di
Virgilio e di Catullo o d'altri direttamente, riesce spesso inferiore ad
essi ; appunto perché V imitazione diretta esclude la buona assimilazione.
228 CORRADO ZAOCHETTI
Come il principio della lirica italiana era stato pro-
venzale, cosi il principio dell'epopea fu francese (l);e
se si può dire che la lingua ef oc fu la madre della no-
stra lirica, a più forte ragione si può affermare che b
lingua d' oil fu madre del romanzo cavalleresco italiano,
cioè dell' epica nostra ; e dissi a più forte ragione, perché
se la lirica nelle sue tante molteplici trasformazioni per-
dette interamente il materno suggello, V epica invece con-
servò in fondo tutto il carattere che le era stato impresso
allorché primieramente si cominciò, trasportata di Fran-
cia, a coltivarla tra noi, né subi spiegate influenze clas-
siche se non coir Ariosto, come andremo vedendo; fa
insomma , secondo il mio modesto parere , T ultimo no-
stro genere letterario che subi l'influenza dell'umane-
simo e si classicizzò — coli' Ariosto — , diventando ad-
dirittura classico — col Tasso. Il ciclo carolingio e il
ciclo brettone o di Artù, eh' erano — com' è universal-
mente noto, i due cicli principali in cui la poesia caval-
leresca francese si sbizzarriva, rimasero lungamente se-
parati in Italia. Il carattere principale del ciclo caro-
lingio sono e guerre e battaglie e stragi e ribellioni e
duelli; la nota predominante del ciclo brettone le avven-
ture nobili e disinteressate, le cortesie, l'amore cieco e
fedele per la dama.
Si direbbe che il Pulci abbia definito il ciclo bret-
tone nei due bellissimi versi che pone in bocca a Mor-
gante :
(1) V. Gaspary, Storia della letL iU (trad. Zingarclli), Torino,
1887, pag. 108. — Non per nulla il Rajna scrisse il bel libro Orijj^M
dell' epopea francese, quasi naturale introduzione allo studio dcU' epopea
nostra.
l' imitazione classica nell' orlando furioso 229
« Noi andiam pel mondo cavalieri erranti
Per amor combattendo e per fortuna >.
(XIX, 37)
< Il ciclo brettone, dice il Rajna (1) si propagò senza
subire trasformazioDi presso quei molti che sapevano in-
tendere i romanzi di Lancillotto, di Tristano, di Àrtù,
di Girone, nella loro favella originaria, ed anche al po-
polo ne giunse se non altro l'eco i^. Il ciclo carolingio
invece ebbe una diffusione molto maggiore, giacché Car-
lomagno avea lungamente occupata la mente e la fanta-
sia degli italiani, ed è noto che egli diventò leggendario
subito dopo la sua morte.
La poesia cavalleresca francese, che fu dapprima
coltivata neirAlta Italia, dove veniva diffusa dai cantores
francigenarum, passò quindi alla Toscana, dove ricevette
la bella forma dell' ottava rima ; e se i poemi che canta-
vano le favole del ciclo brettone andavan quasi scompa-
rendo, quelli invece del ciclo carolingio si moltiplicavano
prodigiosamente, senza però che alla quantità corrispo-
desse la quaUtd (2). A questo punto il romanzo caval-
leresco, cantato e diffuso tra i volghi, fu assunto dai let-
terati, e il Pulci per primo vi imprese una forma vera-
mente artistica.
Questa rapidissima scorsa attraverso la storia del ro-
manzo cavalleresco, ci era necessaria per giungere al
Pulci: torno ora al concetto ch'enunciai di sopra, che
cioè gl'intenti classici che sono cosi manifesti nell'Ario-
sto, non esistono ne' suoi predecessori. E poiché non si
potrà negare che la serietà in materia epica non sia l' ul-
timo dei classici elementi, mi si permetta ora di toccare,
volando, una questione che ha un intimo legame col no-
stro argomento.
(i) Op. ciL, pag. 11.
(2) Rajna, op. cit, pag. 17.
230 CORRADO ZAOCHETTI
Si è più volte detto e ripetuto che l'Ariosto rice-
vette dalle mani del Pnlci e del Boiardo il romanzo ca-
vallaresco grave e serio, e ch'egli lo ridusse scherzoso,
ironico e satirico. Povero Ariosto ! dopo aver tanto fati-
cato per dare a' saoi eroi un belletto classico, eccolo di-
ventato il Cervantes italiano. Però T ultima autore?ole
parola della critica gli ha reso in parte e giustizia; e il
Rajna anch'egli si sdegna e .... perché si commettono strane
esagerazioni ed abusi a proposito di questa benedetta
ironia. Chi ne fa addirittura la nota fondamentale del
poema ariostesco, mi rassomiglia un pochino a qael tale
che nello spettacolo d' un mare sconfinato non mn
mai saputo avvertire altra cosa che i pesci che tratto
tratto si mostravano a fior d' acqua, e a forza di fissarci
su r attenzione e la fantasia aveva finito per veder pesci
su tutta quanta l' immensa superficie > (1). Che nn certo
sorriso benevolmente scherzoso comparisca a volta a ?oIta
neir Orlando, non si potrebbe negare ; ma questo sorriso
è tenuissimo: esso increspa a pena a quando a qnaodo
gli angoli delle labbra di messer Ludovico, né si nasconde
sotto la trama di tutto il poema come alcuni vogliono;
al contrario: quando questo sorriso gli spunta quasi sno
malgrado sulle labbra, T Ariosto s'affretta a reprimerlo,
e a ripigliare un tuono che non di rado vorrebbe essere,
e spesso è, epico propriamente. Nei punti più salienli
del suo racconto, T autore assurge propriamente a una
grave maestà.
Si vedano le descrizioni delle guerre tra pagani e
cristiani : tutto vi è come in Omero e in Vergilio : V enu-
merazione delle forze, il nome e le lodi dei condottieri.
(1) Op. cil., pag. 32. Mi pare che anche il Gaspary — sia dello
colla riverenza dovuta a tanto maestro — ecceda un pò* troppo nel
determinare i limiti deir ironia Ariostesca.
l' imitazione classica nell' oblando furioso 231
r interrompere ad ogni tanto il racconto della mischia
generale, per rivolger la mente a qualche singoiar ten-
zone ; il nominare gli eroi che cadono valorosamente dal-
l' una e dall' altra parte ; lo specificare il genere e il modo
della morte (V. ad esem. C. XIV, C. XV, C. XVI, C.
XVII, ed in molti altri luoghi). Il Tasso esagerò anche
qui la tinta classica, e s'abbandonò ad enumerazioni e
cataloghi lunghi, sterili e noiosi.
Mi si potrebbe opporre che spesse volte nel mezzo
di tali episodi appare la nota ridicola nelle imprese so-
pranaturali dei paladini, che saltano fossa e muri, sfondan
porte, abbattono da soli centinaia di nemici. Ma si con-
sideri che anche in Omero e in Vergilio, spesso, gli eroi
principali, da soli, bastano a sgominare interi eserciti di
nemici, o a raffrenare l'impeto di schiere sopravenìenti.
E ciò appunto per il loro carattere d'eroi. Ora, anche i
paladini nella mente del popolo ( e non si dimentichi che
r epopea ebbe la culla tra il popolo e per esso venne
ne' suoi primordi cantata e scritta ), erano un poco più
d' uomini, ed è ben naturale che anche nei poemi po-
steriori ai popolari, essi conservino il loro carattere eroico
ed eminentemente leggendario. Modificare la tradizione
sarebbe stata una storpiatura, ed è tanto contrario alle
storpiature, l'Ariosto!... Ecco perché anche qui, come
altrove, la gravità classica è turbata da qualche nota che
sembra eroicomica, ed è tutt' altro.
Ed ora un'altra prova delle serie intenzioni dell'A-
riosto. Un punto che, volendo, il poeta avrebbe potuto
aspergere di comico sale è la narrazione delle pazzie
d' Orlando, e queir episodio invece stringe il cuore. Chi
potrà mai dire d'averne riso? chi ha riso alte pazzie d'Or-
lando non ha né cuore né sentimento d' arte ; quelle paz-
zie potranno essere oggetto di pianto, ma non di riso.
È r eroe idoleggiato da tutto il medioevo, è il fido pala-
232 CORRADO ZACCHETTI
dine del restaaratore dell' impero d' occideDte , è
che a Roncisvalle fece, quantanqae iD?aDO, cosi magDa-
nime prove di valore, è insomma il difensore della civile
cristianità che impazzisce per le male arti di una fem-
mina: e in tutto l'episodio non an tentativo dì spruz-
zare qualche tinta di ridicolo su Orlando.
Con che grado di serietà giunge all' Ariosto il poema
cavalleresco ? Il fondo dell' epopea romanzesca , quale ce
r avea tramandato la Francia, era certamente grave e serio;
le chanson de gesi, sono spessissimo , nella loro semplice
maestà, epiche e commoventi al sommo grado. La chan-
son de Roland, ad esempio, tocca spesso le più alte cime
dell' epopea ; allorché Orlando pour la trahison de Gm
giunge presso a morte in Roncisvalle, il racconto di-
venta tanto sublime nella sua schietta ingenuità, eh' io dod
credo abbia riscontro nella letteratura né antica né mo-
derna (1).
Serietà adunque, starei per dire inconsciamente clas-
sica, ebbe T epopea francese : come si conservò questa
serietà in Italia? C'è ragione di credere, certamente, che
i cantori popolari togliessero, anziché aggiungere, parte
della gravità sua alla materia che trattavano; inconsape-
volmente e fatalmente, né e' è bisogno di dimostrarlo. Ad
ogni modo la materia cavalleresca non era ancora comica
0 ridicola: chi ad essa conferi una tinta più buffa, mi
(1) Parte di questo episodio fu artisticamente voltato in prosa dal
Mazzoni nello scritto Epopea a pag. 187 deir/w Biblioteca, Bologna,
Zanichelli, 1886. — Una parte deUa Chanson de Roland, fu anche volia
in poesia ultimamente, dal Prof. Andrea Moschetti (// corno d'Or-
lando, Forli, Bordandini, 1891). È un buon tentativo, che mi auguro
veder proseguito e ultimato.
l' imitazione classica nell' orlando furioso 233
sembra, fa il Pulci — (tornando a lai, che l'avevamo
quasi obliato); — il quale però, non bisogna per giu-
stizia dimenticarlo, trasse parte della materia del Mor-
gante. da un poemetto popolare, come il Rajna ebbe il
merito di scoprire e di dimostrare (1). Che bizzarro in-
gegno, quello del Pulci! Comincia tutti i suoi canti con
invocazioni a Dìo, a Cristo, alla Vergine e ai Santi e fi-
nisce col rìdersela di tutti, col mettere in ridicolo preti
6 frati, dando in una sonora sghignazzata nei punti più
gravi, infischiandosi d'epica e di religione. Egli mi fa
r effetto di quei cotali eh' entrano ad ogni istante in chieda
e appena ne sono usciti s' abbandonano , sghignazzando,
al turpiloquio e alla bestemmia. E in qual misero stato
HDD ha egli ridotto quel povero re Carlo! È vero che il
Karleto dei poemi franco-veneti non pecca di soverchia
gravità ; è vero che i poemi in ottava rima dell' età po-
steriore abbandonano spesso la maestà di Carlo in balia
dei gaglioffi e dei traditori; è vero che ndV Entrée de
Spagne Carlo s'abbandona ad un atto non troppo con-
facente alla sua imperiale maestà dando un sonoro cef-
fone a suo nipote Orlando, che per giunta gli avea con-
quistata una città (2); ma è anche indiscutibile che il
Pulci ha ridotto Carlomagno in uno stato assolutamente
compassionevole, facendone un Cariane al cui confronto
il suo discendente Carlo il Grosso era un Salomone. Lo
re Cariane, nel Morgante, è assolutamente il tipo del so-
vrano imbecille, del re travicello) il celebre Gano della
(1) La materia del Morgante, in un ignoto poema cavalleresco del
sec. XV. Nel Propugnatore, voL II, parte 1.* (1869). — Vedasi anche,
sul Morgante, T ultimo lodato studio del Prof. Foffano (Studi sui poemi
romanzeschi italiani 1; il Morgante, di Luigi Pulci, Torino, Loescher
189!).
(2) Gaspary, op. cit., pag. 99.
234 CORRADO ZACCHETTI
casa dì Maganza (1) lo fa girare e rigirare come una ban-
deruola; Rinaldo gli dà delle audaci mentite in faccia (2);
Orlando che dovrebbe essere il tipo del paladino fedele
e obbediente giura di farlo tapino (3); la sacra corona
di Carlo — quella corona con tanta solennità posata solla
sua testa la notte del natale del 799 — , passa per od
momento sulta testa di Rinaldo che gli si è ribellato (4);
insomma Carlo è lo zimbello del traditor GaneUone.ò
i suoi paladini lo temono quanto i vispi scolaretti del Gin-
nasio potrebbero temere un professore vecchio , mezzo
sordo, mezzo cieco e brontolone. Il Pulci stesso deve
essersi accorto d'aver troppo attentato alla tradizionale
figura di Carlo (5), e nell'ultimo canto del suo poema,
tessendone gli elogi, si giustiflca di averlo per tanto tempo
lasciato in balia del fellone Gano di Maganza (6):
(1) Noto qui per incidenza che nel popolo di Venezia la voce na-
ganzese ha ancora un significato dispregiativo : ribaldo, traditore. Noq so
se in qualche altro dialetto si riscontri F eguale.
(2) Il Morgante Maggiore, canto XI, SL 12.
(3) Id. Xn, 14.
(l) Id. XII, 32.
(5) V. Emiliani-Giudici, Storia della leti, ital., Firenze, Lcmonnicr,
1865, voi. I, pag. 417.
(6) Di tal fatto, del fatto cioè dei continui tradimenti di Gano, in
tale rispettoso modo il Pulci fa dolersi il paladino Astolfo:
<r Di Carlo non m* incrcsce rimbambito.
Che sempre ogni segreto ti ragiona,
E non s' accorge d* essere schernito,
Mentre che sente in capo la corona:
E non si crede al cacio rimanere
Se non sente la trappola cadere ».
(XXII, 29).
E altravolla lo stesso Astolfo apostrofa l'imperatore con tali riverenli
parole :
l' imitazione classica nell' orlando furioso 235
(( Or forse tu, lettor, dirai adesso
Come gli abbi creduto Carlomano?
Io ti rispondo: era cosi permesso.
Era nato costui per ingannarlo,
E convenia che gli credessi Carlo (1) ».
Danqne, odo dirmi, ha da ritenersi il Morgante, come un
poema satirico ed ironico? Ah, lettore, Iddio ti scampi
dalla satira e dall'ironia; altro è Io scherzare quasi in-
consapevolmente e con un riso bonario sulle labbra, col
soggetto che si tratta, altro è trattarlo ironicamente. In
fondo in fondo, la materia del Morgante è seria; è il
modo con cui questa materia viene svolta e trattata che
non sempre è serio, e ciò deve appunto ricercarsi nelle
speciali e bizzarre attitudini deir ingegno del Pulci, il
quale — chi vorrà negarlo? — fu un grande originale.
Del resto, per la verità, negli ultimi canti del poema
dove le fila vengono a riunirsi, la nota predominante e
quella che dà, per cosi dire, il tono, è certamente seria :
bellissima, tra l' altro, per una non so quale patetica ma-
linconia, la descrizione della morte d' Orlando, e la scena
in cui Carlo prega il fido paladino, già morto a volergli
rendere Duriìndana:
« Rendimi, se Iddio tanto ti conceda,
Ridendo quella spada benedetta,
Come tu mi giurasti in Aspramente
Quando ti feci cavaliere e conte ».
4 Tu non se' uom da regger, Carlo, impero,
E fai, come si dice, V asinelio
Che sempre par che la coda conosche
Quand' e' non l'ha, che sei mangion le mosche >.
(XXII, li8).
(1) Canto XXVm., 15.
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si 236 CORRADO ZAOGHBTTI
Allora Orlando:
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€ . . . . distese, ridendo, la maDa
E rendégli la spada Darlindana ».
1 ] Con tatto questo, non posso tralasciar d' osserrare ci
la stramba fantasia del poeta neppure a questo pan
culminante rinuncia alle immagini goffe e ai concetti e
confinano col ridicolo. Poco prima di narrare con si ni
lanconici e soavi colori la morte d'Orlando, ecco in qc
modo vuol dare un'idea della rotta e della strage
Roncisvalle :
i (( E si faceva tante chiarentane
Che ciò eh' io dico è di sopra una zacchera ;
E non dura la festa mademane,
Crai e poserai o poscrilla o posquacchera,
Come spesso alla villa le romane;
E chi suonava tamburo e chi nacchera
Baldosa e cicutrenna e zufoletti
E tutti affusolati gli scambietti.
E Roncisvalle pareva un tegame
Dove fusse di sangue un gran mortito,
Di capi, di peducci e d' altro ossame,
Un certo guazzabuglio ribollito » (1)
Guarda un po' se in un episodio tanto tragico è con
veniente paragonare il campo di battaglia ad un legam
di spezzatino !... E poi quel crai e poserai, e quei zuffo
letti, e quelle nacchere, e quegli scambietti!... Una fiera
insomma, una sagra, come dicono nel mio veneto.
Alla pubblicazione del Morgante tenne dietro quell
dell' Orlando Innamorato^ di Matteo Maria Boiardo conti
(1) Canio XXVII, Ct 55-56.
l' imitazione aASSiCA nell' orlando furioso 237
di Scandiano. I dne cicli, bretone e carolingio, che fin
qui erano siali collivati a sé, trovarono nel perfetto gen-
tiluomo e cavaliero Messer Matteo, chi li fiise bellamente
e armonicamente insieme : <e . . . i due fiumi, dice il Rajna
con una bella immagine, che prima scorrevano paralleli,
adesso si congiungeranno in un sol letto ^ (1).
Il Pulci aveva attentato alla tradizionale figura di
Carlo, il Boiardo attentò a quella del Conte e Paladino
Orlando: far sentire ed operare Orlando come un cava-
liere della tavola rotonda, far si ch'egli pensasse e par-
lasse ed agisse quasi sempre dominato da un sentimento
fino allora quasi ignoto ad Orlando, all' amore : affermare
che il fedele marito di Alda la bella, che fino allora non
aveva mai fatto spuntare un corno sulla casta e pura
fronte della sposa sua (i freddi innamoramenti di Orlando,
nel Morgante, gli sono ispirati dalla brama di salvezza
più che altro), affermare, dico, che Orlando rimase preso
a' begli occhi d' Angelica alla prima occhiata (2) , e in-
formò poi quasi tutto il suo operare a quell'amore, era
innovazione non piccola e non piccola audacia, e come
il Pulci si giustifica della sfigurata persona di Carlo, cosi
il Boiardo si scusa d'avere alterato il severo carattere
tradizionale d'Orlando: colla differenza che il Pulci, a
cui forse la materia del Morgante si cambiò in parte
sottomano durante la composizione, chiede venia del suo
operato alla fine dell'Opera, e il Boiardo in principio,
subito alla seconda strofa:
€ Non vi par già, signor, raaraviglioso
Odir contar d'Orlando innamorato,
Che qualunque nel mondo è più orgoglioso
È da amor vinto al tutto e soggiogato;
(1) Op. cit. pag. 21.
(2) L Ori, /fi». P. I, C. St. 29.
Voi. IV, Parte II 16
238 OOBRADO ZAOCHBITI
Né forte braccio, né ardire animoso
Né scudo 0 maglia, né brando affilato,
Né altra possanza può mai far difesa
Che alfin non sia da amor battuta o presa ».
Questa la giastificazìone diremo cosi, morale; ma T au-
tore non se a' accontenta e cerca anche ona difesa ch'egli
vuol far apparire storica:
< Questa novella è nota a poca gente.
Perché Turpino istesso la nascose.
Credendo fors' a quel conte valente
Esser le sue scritture dispettose,
Perché contro ad amor fu pur perdente
Colui che vinse tutte l'altre cose ».
(Sl 3).
Inoltre tutti i personaggi dell* Innamorato , dal più al
meno, hanno una tinta di comico; comico, insiste il Rajoa,
non ironico (1); comico del quale il Rajna stesso dà
questa ragione: che lo spirito del Boiardo imbevuto dì
coltmra classica non poteva rappresentare il fantastico
mondo cavalleresco senza mai prorompere in uno scop-
pio di riso (2). Nel Boiardo quindi, bench'egli semini
d' imitazione classica il suo poema , non vi è , come non
vi era nel Pulci, un intento consciamente classico, né in
quanto riguarda la materia, né in quanto riguarda la
forma, che, è risaputo, è tutl' altro che tornita e limala,
tanto che il Borni volle lui, rifacendo V Innamorato del
Boiardo, renderlo classico aUneno da questo lato. Vi po-
tranno essere, nel Boiardo, dei luoghi, degli episodi imi-
tati dai classici, ma il fondo del poema resta schietta-
mente e prettamente romanzesco.
(i) Op. cil. pag. 26.
(2) Op. cit pag. 25.
l' imitazione classica nell' orlando furioso 239
Neir Ariosto invece — da troppo tempo l'avevamo
lasciato — tale intento come cosciente e voluto, è spic-
catissimo: i personaggi del Boiardo accolti dall'Ariosto
acquistano e non perdono di gravità (1). Servano alcuni
pochi esempì. Il personaggio di Estout (2) che nella Prise
de Pampelune è un mezzo buffone della corte la quale
rìde volentieri alle sue spalle, un timido che consiglia la
prudenza e la cautela, <t senza che però gli manchi il
valore » (3) diventa nel Boiardo il famoso Astolfo. Astolfo
è diverso in questo da Estout, che è diventato un te-
merario: ma ha sempre poca fortuna e le sue disdette
fanno ridere l'imperatore e i paladini che seguitano a
divertirsi alle sue spalle, come nella Prise si divertivano
a quelle di Estout; basta esaminare i primi canti dell' /n-
namorato: Astolfo è introdotto con una spacconata e con
uno smacco. Anch' egli, acceso d'amore per Angelica:
€ Dimanda l' armi e non fu sbigottito
Esso parlava si com' uom ardito
Ch' in poco d' ora finirà la guerra ,
Gittando Uberto al primo colpo a terra ».
(I, I, 59).
Ma r autore fa subito una maligna osservazione
« La forza sua non veggio assai palese
Che molte fiate cadde dal ferrante ». '
(id. id. 60).
In quanto a lui , ad Astolfo :
(1) Cfr. Raina, op. cit pag. 22-33.
(2) Vedi Gaspary, op. cit. pag. 101.
(3) Id. id. pag. 101.
240 CORRàDO ZAOCHBTTI
€ solea dir eh* egli era per sciagura,
E tornava a cader senza paara ».
(id. id. 60).
Appena comiDciata la sflda:
< com' Astolfo fu tocco primiero
Voltò le gambe al loco del cimiero ».
(id. id. 64).
Ma credete eh' egli ne resti mortificato? Ohibò! doq
avendo potato ottenere Angelica perdente , se ne giusti-
fica con questa bella ragione:
< Negar noi puoi che s'io stava in arcione
Io guadagnavo questa dama bella ».
(id. id. 65).
In quanto air essere caduto , la ragione è anche beOa e
pronta !
< Questo fu per difetto de la sella ».
(id. id. 65).
Orlando, chiedendo ad Astolfo della battaglia, nulla gli
dice dell'amor suo:
« Perché vano il conosce e cianciatore ».
( I, II, 21 ).
Arriva il giorno della giostra indetta da Carlo: ecco
Astolfo alle prese....
« Ma egli incontrò grandissimo perìglio
Che il destrier sotto gli fu traboccato.
Tramorti Astolfo e lume e ciel non vede
E dislogossi ancora il destro piede ».
(id. id. 41).
L* IMITAZIONE CLASSICA NELL' ORLANDO FURIOSO 241
Il feroce Graadonìo rovescia e ferisce i migliori paladini
cristiani: Astolfo, che intanto s'era fatto racconciare il
piede, tornato nella lizza, si propone di por fine air ar-
roganza del pagano:
« Ma color tutti che T ban conosciuto
Diceano: 0 Dio! deh mandaci altro aiuto! »
(id. id. 66). (1)
Quanto è differente T Astolfo del Furioso ! V AstoVo del-
r Ariosto è un personaggio grave e serio, il saggio duca
degF inglesi, che opera prodigi di valore ed è predesti-
nato dal cielo ad aiutare i paladini : egli scioglie Y incanto
del palazzo d' Atlante e libera Ruggero (XXII, st. 23 e
seg.); è creduto dal Senapo della Nubia uno spirito ce-
leste (XXXIII, 114); chiude le arpie in una spelonca
(XXXIV, 46); infine egli ascende nel paradiso terreste
dove è accolto da S. Giovanni Evangelista (XXXIV, 54)
che gli serve di guida nel cielo della luna: quivi egli
rintraccia il senno d'Orlando — (si vuole missione più
seria di questa e più degna di un uomo quasi divino ? ) —
(XXXVIII, 23) e tornato sulla terra lo restituisce al pa-
ladino (XXXIX, 57). Né ancora hanno fine le missio-
ni a cui Dio l'ha destinato sulla terra: che prima di
scomparire dalla scena dell'Orlando Furioso restituisce
la vista al Senapo] (XXXVIII, 24), espugna Diserta
(t) Anche nel Morganle Astolfo ha lo stesso carattere, sebbene con
tinte meno vivaci, che nell* Innamorato. Anche il Pulci dice che é solito
miotar l'arcione:
e Ma perchè la sua regola non falli
Astolfo si trovò sopra l'erbetta.
(XXI, 58)
Tedi anche, in proposito, le strofe 63, 64, 65 69 del medesimo G. XXL
242 OOBRàDO ZUCCHETTI
(XL, 14) e toma in Francia glorioso e trionfante (XLIV,
29). Sempre grave, sempre epico (forse il personaggio
più classicamente epico dell' Orlando ) ; non ìscberza mai,
non ride, entra nel Furioso serio, e ne esce serissimo.
Chi riconoscerebbe in esso Y Estoni della Prise e l' Astolfo
del Boiardo ? E poi si venga a dire che V Ariosto cosparse
d' ironia i gravi personaggi del Boiardo !
Anche Y Orlando del Boiardo è molto meno gra?e
e molto meno paladino che quello dell'Ariosto: già Del-
l' Innamorato , il conte va in bestia con CariomagDO per
un nonnulla , e tratto tratto te lo pianta in asso. Poi gli
ha un certo modo dì parlare alcune volte, che sembra
tolto dal trivio:
< Vii ribaldello figlio di p »
(I, in, 26),
grida egli a Ferraguto. Vedasi un po' se si ritrova il cor-
rispondente nell' Ariosto.
Anche l' imperatore, nell' Innamorato, seguita ad es-
sere come nel Morgante, sebbene meno spesso e con
tinte meno cariche, un Cartone (I, 1, 33) rimbambito.
Anch' egli, appena vista Angelica, se ne accende pazza-
mente (oh! gravità del sacro romano imperatore!), e
conduce in lungo il discorso con lei per potoria rimirare
a suo bell'agio:
« Mira parlando, e mirando favella »
(I, I, 35).
Il suo discorso assomiglia a quello che talvolta erompe
dalla bocca del conte; il quale assente — dietro Ange-
lica — cosi viene apostrofato dall' imperatore allorché
Grandonio fa strage de' suoi, e Cario cerca invano la di-
fesa del suo valoroso campione:
l'imitazione classica nell' orlando fubioso 243
« Fìglìuol d'una p , riDnegato,
Che s' tu ritorni a me possa io morire
Se con le proprie man non t ho impiccato ».
(I, n, 65).
Questo è an modo di parlare che si converrebbe più a
no bécero che a Garlomagno; alla cui gravità quanto
conferisca il volere lui stesso far da boia, altri giudichi.
Ma s'egli non impicca veramente Orlando, un di che i
paladini s'azzuffano tra loro
« Giunse il re Carlo a questo inconveniente,
Dando gran bastonate a questo e a quello,
Ch' a più di trenta ne ruppe la testa ».
( I, III, 23-24 ).
Alla grazia ! — Non cosi opera certo il re Carlo, il buon
re Carlo dell'Ariosto, e anche chi abbia letto il Furioso
senza grande attenzione si accorgerà di quanto abbia qui
guadagnato in serietà e gravità l' imperatore romano (1).
Si noti poi che non sono andato più in là, nell'esame
dell'Orlando Innamorato, dei primi quattro canti: chi
volesse studiarlo tutto con questo criterio, avrebbe da
raccogliere una bella messe.
Serietà molta adunque conferi il nostro Ludovico
a' personaggi eh' ei ricevette dal romanzo cavalleresco , e
(1) Neir innamoralo V imperatore non é troppo coraggioso. Mancante
d'Orlando, egli si butta tra le braccia di Ranaldo:
e Figlio, ti Yuo* ricordare
Ch*io pongo il regno mio ne le tue braccia.
n stato mio a te F arraccomando.
Questo gli disse ne l'orecchio piano.
(I, IV, 18-19).
A-
244 COBRiDO ZAOCHETTI
poiché DOD si potrà negare, come dicevamo, che la
rietà DOD sia odo dei più importaDti elementi deli'ei
aDche ìd ciò potremo scorgere la perpetua tendenza i
l'Ariosto di ravvicinare il romaDzo cavalleresco, e
generale e nei particolari , a on tipo classico ; — n
stancheremo dal ripeterlo. Certo egli faceva ciò nei
miti che la materia gli concedeva, né si proibisce a qua
a quando un certo suo risolino a fior di pelle, ma
ne' luoghi in cui vuole veramente ascendere le cime i
l'epopea: questo contrasto di serio e di umorìstico
classico e di romanzesco, sembra a noi una delle p
cipali ragioni che rendono tanto piacevole la lettura
Furioso, nel quale, come abbiam tentato di dimostr
vennero a confluire i tesori del romanzo cavalleresc
degli studi classici coltivati con tanta passione in 1
nel sec. XV.
IV.
Il Pigna osserva ne' suoi Romanzi (1) , che anch
titolo dato dall' autore al suo poema d' Orlando Fur
è classico, giacché abbiamo una commedia d'Eorìi
intilolata *HpaxXin^ Matvdjievo^, ed una di Seneca inlitc
Hercules Furens. « E perché, aggiunge lo stesso Pif
è Orlando come Hercole, ne poi una inscrittione riui
simile a quella eh' è in Euripide e in Seneca, che è E
cole Furioso » (2). In quanto al non corrispondere il
telo del libro alla materia che vi si svolge, la quali
troppe più cose parla che della sola pazzia d'Orlao
il Pigna trova anche di ciò una ragione classica, ad
cendo l'esempio dell'Iliade, la quale mentre preme
(i) Venezia, Valgrisi, 1554, Libro IL*
(2) Op. cit pag. 78.
l! IMITAZIONE CLASSICA NELL* ORLANDO FURIOSO 345
ebbe di cantare la deceDnale guerra di Troia, si aggira
oitanto intorno air ira di Achille e agli effetti di questa :
i mantiene cioè meno di quello che si promette; nel-
' Orlando la medesima anomalia si risolve in un efFetto
ipposto, giacché si mantiene molto di più di quello che
i promette nel titolo, e Orlando, i suoi amori, e le sue
lazzie non occupano certo il posto principale nel poema
riostesco : e giacché gli opposti si toccano, il Pigna crede
' assegnare ad una medesima categoria due fatti diversi (1).
Tralasciando l'inane questione del titolo, è un fatto
he il principio del poema s'ispira all'Iliade; che la con-
esa tra Ferraù e Rinaldo per Angelica, donde piglia le
Qosse r Orlando, corrisponde in certo modo alla contesa
ra Achille e Agamennone per Griseide, contesa colla
[uale s'inizia il greco poema.
Come classico è il titolo e il primo episodio onde
figlia le mosse il racconto, cosi classicissima è anche
' introduzione o protasi che voglia dirsi : classicissima non
olo per la forma esteriore elevata e maestosa e tutta
;onsentanea alla materia di un epico poema, ma anche
)er il contenuto. La protasi, i cui primi versi ricordano
Qolto da vicino, com' è noto, una terzina di Dante (2) ,
la proprio il tono solenne con cui i greci e i romani
lominciavano i loro poemi, e i versi:
(1) Del resto anche il Pulci cade nella stessa colpa, s*essa è una
lolpa, ch'egli intitolò Morganle un poema che avrebbe dovuto nomare
isclusivamente da Orlando; giacché il grosso e badiale Morgante, ne è
ina Ggura secondaria, che abbandona T azione, morendo per il morso di
in gambero, dopo poco più che la metà del poema.
(2) e Le domie e i cavalìer gfi aflanni e gli agi
Che ne invogliava amore e cortesia >
(Purg. XIV, HO).
<ion sarebbe inutile fatica chi studiasse la parte dell'imitazione dantesca
;he v'è nel Furioso.
246 OOBRADO ZAOGHKTTI
Le donne, i cavalier, ranni, gli amori
Le cortesie, le audaci imprese io canto
non vanno molto discosto, panni, per V alta intonazioni
del vecchio Omero e dal rimbombante
Arma viromqae cane.
di Vergilio. Né vogliamo tralasciar d'osservare, che
primo poema in terza rima inmìaginato dairArìosti
onore di Obizzo da Este, il poeta comincia con no
non molto diverso:
« Canterò Parme, canterò gli affanni
D'amor che un cavalier sostenne gravi » (1).
I predecessori dell'Ariosto, i quali, come facemmo
servare, non avevano le sue velleità classiche, non s' e
punto curati di cominciare con un esordio solenne
il Pulci manca anzi di protasi, giacché comincia snbi
tirare in ballo Dìo e il Verbo, e l' introduzione del Boi
non può chiamarsi protasi nel senso classico della pa
perchè manca appunto di quella gravità e maestà
della protasi è tutta propria. E certamente anche nel
dicare il proprio lavoro ad un Mecenate, messer Li
vico aveva in mente gli antichi, molti dei quali raccon
darono le loro opere al nome di prìncipi benefattoi
artisti e letterati. Basterà ricordare la dedica che ^
irilio fece ad Augusto delle Georgiche, il lavoro più i
vi) Il VI dei capitoti arìosteschi.
(t) RjUNA, op. cìt, pag. 5a
i
L* IMITAZIONE CLASSICA NELL' ORLANDO FURIOSO 247
fette del sommo latino. Ma v'ha qnalcbecosa di più: come
r Eneide era stata scritta per la glorificazione della casa
d' Aagosto, cosi uno degli scopi che V Ariosto si propose
nello scrivere l'Orlando fa quello di esaltare la nobile
prosapia del sao ducal Mecenate. Pur troppo, Augusto
fa un po' più grato a Vergilio di quello che gli Estensi
all'Ariosto; e il poeta se ne duole e, quando gli capita
l'occasione opportuna, non tralascia di lagnarsene, fingendo
di addebitare ad Apollo e alle Muse, cose che tornavano
tatte a disdoro de' suoi padroni:
— « Apollo, tua mercé, tua mercé, santo
Collegio de le muse, io non possiedo
Tanto per voi eh' io possa farmi un manto.
— Ohi il Signor t'ha dato: — io vel concedo.
Tanto che fatto m' ho piti d' un mantello
Ma che m' abbia per voi dato non credo.
Egli rha detto, io dirlo a questo e a quello
Voglio anche e i versi mìei voglio a mia posta
Mandar al Guliseo per lo suggello » (1).
E nella stessa satira rivolgendosi ad Andrea Marone
bresciano, valente poeta latino estemporaneo:
« Fa a mio senno, Maron; tuoi versi getta
Con la lù*a in un cesso e un'arte impara.
Se beneficii vuoi, che sia piiì accetta » (2).
Il cardinal d'Este non avea fatto alcun conto delle
stapende creazioni dell'Ariosto; egli avrebbe voluto che
V Ariosto tutto si fosse dato alle cose amministrative e
al servizio della sua persona: o che gliene importava a
(1) Sat n, V. 88.
(2) Id., V. Ii5.
248 CORRADO ZAOCHETTI
lai di latte quelle corbellerie? e forse non era un pas-
satempo per il poeta io scriverle?
«
« S* io r ho con arte ne' miei versi oiesso
Dice eh* io r ho fatto a piacere e in gioia ;
Più grato fora essergli stato appresso » (1).
Ma, comanque, tomaDdo a noi, il poema ariostesccs
è certamente un' esaltazione di casa d' Este , ed od' esal-
tazione di stampo classico: da Enea, il protagonista
poema che da lui prende il nome, discende la schiatta,
degli Juli e la casa d'Àagasto; da Raggerò e Brada-
mante, due dei personaggi più importanti del Furioso,
orìgine la casa d' Este : < Da questo congiungimento ,
serva il Pigna, la stirpe da Este ne segue, per cui e^^^ij
a scrìvere si mosse; et ne venuta una cotal somiglianz^^^
che come nella morte di Turno finiscono li fatti d* En^^^^
et come ciò avviene perché a questo modo Lavinia ^^ ^j.
cnramente d' esso Enea sarà ; et come questo dar co^^^tai
a questo troiano è per conto dell' orìgine del sangue ^^i
patrono d' esso compositore di tal poesia (sic) ; cosi si. ap-
punto il medesimo è in tutta questa parte di M. ^Ka-
dovico (2) ».
Come classico è il principio e il primo episodio -«^de/-
r Orlando , cosi classica ne è la fine e V ultimo racco ^mto;
r Eneide termina con un combattimento tra Enea e T^uroo
e colla morte di quest'ultimo; T Orlando col coml>^///.
mento fra Ruggero e Rodomonte, e la morte del (t^roce
pagano; anzi i due poemi finiscono quasi colle st^^^;^^
parole :
(i) Sat n, V. 106.
(2) Op. cit.. Libro U.
l' imitazione classica nell' orlando furioso 249
< Alle squallide ripe d' Acheronte
Sciolta dal corpo pili freddo che ghiaccio,
Bestemmiando fuggi Palma sdegnosa
Che fu si altera al mondo e si orgogliosa ».
Cosi r Ariosto; e Vergilio un migliaio e mezzo d'anni
prima :
« .... ast illi solvontur frigore membra
Vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras ».
Cosi i due più grandi poeti dell'antichità classica
presiedettero all'aprirsi e al chiudersi dell'azione ario-
stesca, la quale viene a trovarsi come rinchiusa da due
argini classici: Omero apre le serie degli episodi, Ver-
gilio la chiude; < la tela, osserva il Rajna con felicissima
espressione, alzata forse a un cenno d' Omero, cala come
Virgilio suggerisce » (I).
V.
Abbiamo detto poco fa che l' Ariosto tentava in tutti
i modi d' innestare il classico nel romanzesco: a tal con-
cetto si riannoda una questione molto importante per
quanto noiosa. Infatti ci par di sentire uno de' nostri due
lettori che ci domanda : 0 V unità d' azione , della quale
il mondo classico fece tanto caso, dove me la lasciate ? Qui
dovremmo entrare in un laberinto dal quale non sarebbe
tanto facile uscire; e però ben volentieri faremmo a
meno anche di accostarcisi, se l' argomento stesso non ci
spingesse; del resto, perché non abbiano quei due let-
tori a spaventarsi e a ritirarsi inorriditi lasciandoci cosi
(1) Op. clt., pag. 526.
I
(
250 OOVRADO ZAOCHBm
soli a predicare al deserto, facciamo una promessa
esser bre?i e di non dire che quanto è puramente
cessano.
Fin da quando si pubblicò per la prima ?oll
poeuia dell* Ariosto, fu gran discutere fira i dotti e ai
pur troppo, fra gl^ ignoranti, se esso avesse o no un'i
d' azione. Nel 1585 usciva a Verona il e Dialogo (
nuova poesia , ovrero deDe difese del Furioso, del si
Giuseppe Halatesta >; nel quale e non pur à rispi
alle oggettioni che si muovono contro questo poem;
si mostra eh' egli è composto secondo i veri e legì
precetti poetici , ma si fa toccar con mano che d' art
e d'eccellenza supera l'opere migliori di Virgilio <
Homero, et si discorrono molte cose intomo alla n
poesia >. Udo degli interlocutori del dialogo accusa
riosto dì errori e che fiedono di mortai colpo il cuc
l'anima di tutta la poetica, et danno attraverso ne
legittimi precetti d' Aristotile ed degli altri approvati s
tori > (1). La colpa principale dell'Ariosto è del not
scontrarsi nel suo poema l' unità d' azione. Un altro |
sonaggio del dialogo, che parla Daturalmente per b
dell'autore e ne espone le idee, incomincia la difeì
meglio UDa gonfia apologia del Furioso, e vuol dimosl
che nel poema romanzesco non v'è punto bisogno d'i
d'azione. Ma se tali erano le idee del signor Giosi
Malatesta, non cosi era apparso alcuni anni innaiu
Pigna, nei già citati Romanzi: il Pigna si sforza a l
suo potere di trovare nel poema un' azione, se non a
almeno principale , e gli pare d' averla rintracciata i
(1) Op. cit in principio.
l' imitazione classica nell' orlando furioso 251
amorì e nel matrimonio di Ruggero e Bradamente. Si
scatenava in seguito contro l'Ariosto Camillo Pellegrino (1),
il quale voleva per forza adagiare il Furioso nel letto di
Procuste delle regole Aristoteliche. Sciocchissimo il Pel-
legrino colle sue regole aristoteliche; Aristotile, egli dice
tra r altre, non insegna a fingere i nomi dei re ! Vedete
un po' fino a che punto erano capaci di sottilizzare certi
ingegni ! — Manco a dirsi che anche lui non trova alcuna
unità neir Orlando, e che anche lui grida quindi allo
scandalo, alla profanazione, al sacrilegio. Ma Camillo Pel-
legrino fu servito a dovere dal Salviati, nella difesa che
costui fece del Furioso, (2) — e noi non ce ne occupe-
remo quindi altrimenti. Tra i moderni, la maggior parte
piuttostoché ne^re air Orlando un' unità d' azione, anda-
rono rintracciando quale essa si fosse o potesse essere,
e a chi parve di scorgerla in uno, a chi un altro tra gli
argomenti più importanti. Il Ginguené (3) credette col
Pigna che il fondo del soggetto fossero gli amori tra
Ruggero e Bradamante; l'Emiliani Giudici (4) pure ac-
costandosi a questa opinione, inclinava a trovare il nucleo
del poema nella pazzia d' Orlando ; il Settembrini (5) fece
dei due Orlandi — l' Innamorato e il Furioso — un solo
poema, il cui soggetto fondamentale sarebbe la guerra tra
Carlo e Agramante, tra il paganesimo ed il cristianesimo ;
anzi questa lotta di due civiltà egli — con la sua fantasia
meridionale — la trova riprodotta anche nella fine dei
(1) Discorso dell' epica poesia ctc, Vico equense 1585.
(2) Difesa dell' Orlando Furioso fatta dagli accademici della crusca,
contro il discorso dell' epica poesia di Camillo Pellegrino. Firenze, 1584.
(3) Histoire littéraire d' Italie ; tomo IV, pag. 285.
(4) Storia della letteratura italiana, Firenze, Lemonnier, Voi. II,
pag. 87.
(5) Lezioni di lett. ital. dettate nell' Università di Napoli. Napoli,
Morano. VoL li, cap. XLVI.
252 COBRADO ZACCHETTI
dae personaggi principali del poema: Orlando, cristiano,
si libera dair amore di Angelica, pagana, che cade tra le
braccia d'an meschino idolatra, Medoro; Bradamante,
cristiana, sposa Raggerò, pagano, convertito al cristiane-
simo. Il De Sanctis (1) rigetta tutte queste opinioni; per
Ini l'unità dell' Orlando è e tutto il mondo cavalleresco
nel suo spirito e nel suo sviluppo >. Il Rajna trova doq
l'unità, ma la trama del poema, e o piuttosto un tronco
nascosto in gran parte dai rami e dalle fronde > nella
guerra tra Agramante e Carlomagno. A quale di queste
opinioni dovremo noi attenerci? vorremo o non vorremo
ammettere un'unità d' azione nell' Orlando? (2) Ecco: che
l'Ariosto volesse scrivere un poema epico secondo le
regole d' Aristotile e d' Orazio , mi par controversia da
lasciarsi discutere a quei buoni nostri nonni Intronati,
Balordi, Lincei, Insensati, Imperfetti etc.; disputare in
buona fede se scrivendo un poema di cosi varia tessi-
tura, e per di più un poema di materia romanzesca e
cavalleresca , l' autore volesse assolutamente partire da
(1) Storia della leti. ital. voi. 2, p. 24. Puoi trovare queste opinioni
in parte confutate nel Cannello, St. della leti. ital. nel set. XY. Milano,
Vallanli, 1880. Egli poi il Cannello, a sua volta, impiega dieci pagine in
quarto per dimostrare e dar valore a quelle parole che il Voltaire, rab-
bioso detrattore del nostro, aveva detto in un momento di buona dige-
stione : « Le pocme de X Arioste, e* est à la fois 1* Iliade , P Odissèe et
Don Quichotte ». Altri giudichi se valeva la pena di scriver tanto per
dimostrare una tosa perfettamente falsa. E che di più falso che ritroTare
un Don Quichotte nel Furioso?
Non intendo con queste mie parole, tengo moltissimo a dichiararlo,
mancar di rispetto alla memoria del povero Cannello, critico inteiiigente
ed erudito, e che recò un buon contributo agli studi sulla poesia pro-
venzale, e tanto meno, — Dio me ne guardi! — al signor di Voltaire.
Ho voluto semplicemente far notare una cosa che urta un po' colle ul-
time ricerche della critica.
(2) Op. cit., pag. 35.
l'imitazione classica nell' orlando furioso 253
una imprescindibile unità classica, mi pare in tatto an
faor d' opera. 0 non io dice egli stesso il poeta nei prin-
cìpio del suo cantare, che svolgerà una materia molte-
plice, trattando di varie cose? Le donne, i cavalier,
r armi, gli amori, le cortesie , le audaci imprese , i' ire e
i giovanili furori d'Agramante, Orlando che per amore
venne in furore e matto, quel Ruggero che fu della casa
Estense illustre ceppo : — tutto ciò , dichiara senza am-
bagi l'Ariosto, sarà materia del suo canto. S'aggiunga
che due volte, nel corso del poema, vien fatta una espli-
cita dichiarazione, della quale non ci sarebbe del resto
stata necessità. La prima volta quasi in principio, al canto II :
« Ma perché varie fila a varie téle
Uopo mi son
e la seconda volta nel canto XIII:
Dì molte fila esser bisogno parmc
A condur la grar^ tela eh' io lavoro.
Ma d'altra parte è anche chiaro ch'egli tentava di
ricondurre la materia cavalleresca sopra uno stampo clas-
sico, e per questo, senza potere né volere obbligarsi ad
un' unità d' azione, è manifesto eh* egli non volle già porre
insieme un accozzo di fatti e d'avventure, senza uno
scopo , senza un legame. Ora , s' è opera vana l' andar
cercando nel Furioso un'unità d'azione, e 'tanto meno
un' unità d' azione quale l' intendono gli autori dell' arti
poetiche, se opera vana è lo affaticarsi a dimostrare che
questo piuttostochè quello episodio, questo piuttostoché
queir altro filo dell' azione deve prendersi come immede-
simante in sé questa benedetta unità, non è però egual-
mente vano r andar cercando non un' unità d' azione, ma
Voi IV, Parto II. 17
254 CORRADO ZAOCHETTI
ud' unità di concetto , la quale, chi consideri attentamente,
non sarà difiScile ritrovarsi negli stessi intendimenti arti-
stici dell' autore che con dilettevole varietà veniva fog-
giando sopra classici modelli episodi romanzeschi ; episodi
che vanno poi tutti quanti a riunirsi nella trama princi-
pale , eh' è principale in quantoché è scopo del poema,
degli amorì e del matrìmonio di Ruggero e Bradamaote.
Io vorrei paragonare l'Orlando, in quanto a questa be-
nedetta unità, al Po in riva del quale fu scrìtto : che cosa
sarebbe il Po senza i suoi affluenti di destra e di sinistra
che ne alimentano il corso? — E cosi che cosa sarebbe
il solo episodio di Ruggero e Bradamante, che dod è
neppure il più vivificato dal calore poetico, senza gli epi-
sodi, i quali quasi tutti, in fin dei conti, contribuiscono
dal più al meno al diverso andamento e al diverso at-
teggiarsi dell'episodio principale? — Nel Furìoso adunque,
insisto, non unità d'azione, ma unitd di concetto ;m\i
la quale non si potrà negare che sia classica della miglior
lega, se porremo mente che le Metamorfosi d'Ovidio, ad
esempio, sono affatto prive d' unità d' azione, e che i vari
racconti i quali potrebbero slare ognuno a sé ( mentre non
cosi potrebbe dirsi di quelli dell' Orlando ) , sono tra loro
legati (la una unità di solo concetto , concetto che qni e
da ritrovarsi nella potenza trasformatrice che gli Dei eser-
citano sugli uomini; e nel nostro nella rappresentaziom
classica della materia cavalleresca, rivolta in parte alla
glorificazione di casa d' Este (1). Una parte considere-
vole quindi della materia del Furioso, specialmente in
principio, quando le fila si devono legare, e in fine,
quando si devono sciogliere, è dedicata agli amori di
Ruggero e di Bradamante, agli intoppi che vi si oppon-
gono^ alle felici circostanze che li riuniscono, in propor-
(1) Anche le meUimorfosi fioiscono coir essere V apoteosi di Augusto.
L* IMITAZIONE CLASSICA NELL* ORLANDO FURIOSO 255
zìonì maggiori dì quelle date singolarmente a ciascun
episodio (1). Di questo non vorrà metter dubbio chi dia
od' attenta occhiata alla nota a pie di pagina ; e del resto
r Ariosto stesso chiama sé non il cantore d' Orlando, ma
il cantore di Ruggero e della sua discendenza:
« Ruggier, se alla progenie tua mi fai
Si poco grato, e nulla mi prevaglio
Che gli alti gesti e il tuo valor cantai
Che debbo far io qui? » (2).
In quanto ad Orlando, egli, in tutto il ciclo Carolingio, è
il paladino costituito da Dio in difesa di sua santa fede:
come avrebbe adunque potuto mancare in un poema in
cui è tratteggiata una guerra fra pagani e cristiani? e
come avrebbe potuto mancare in un poema di materia
cavalleresca, egli che era la personificazione della caval-
lerìa, il cavaliere dei cavalieri? e dovendo necessaria-
mente entrare nel poema, come il gran paladino non vi
avrebbe occupato uno dei posti principali?
Riepilogando adunque questa parte: gF intendimenti
e r ordito del poema sono classici ; lo varie parti for-
mano un armonico tutto mediante un' unità di concetto;
gli amorì di Ruggero e Bradamante sono il fiume mag-
(1) Si veda la quantità dì materia dedicata a Ruggero e Bradamante,
e la proporzione con cui è sparsa in tutto il poema:
Canto II, Stanza 31; 76 — HI, intero — IV, 1; 51 — VI 17; 81
— VII, intero — VIII, 1; 21 — X, 35; 115 — XI, 1; 21 — XII, 17;
33 — XIII, 44; 83 — XXII, 20; 98 — XXV, intero — XXVI, 3; 29
e 55; 136 — XXVII, varie ottave impiegate qua e là pel canto — XXX,
i8; 95 — XXXII, intero — XXXIII, 1; 78 — XXXV, 31; 80 — XXXVI,
intero — XXXX, 61; 82 — XXXXI, 1; 25 e 46-68 — XXXXII, 24;
^8 — XXXXIII, 19i; 199 — XXXXIIII, intero — XXXXV, intero —
XXXXVl, intero.
(2) Sat II, V. 139.
I
256 CORRADO ZAOCHETTl
giore in cai vanno ad inflnire i minori, ed occupano
terìalmente e moralmente una importantissima parte
sendo loro ufiQcio di fare dell'Orlando, per rispel
casa d' Este, qaello che V Eneide di Yergilio per la
d' Angusto.
Prima però di chiudere questo capitolo, mi res
buon conto, di fare una dichiarazione: non Torreì
dall' aver noi più volte detto e ripetuto la frase glor\
zione di casa ^ Este alcuno inducesse essere no
coloro che all' Ariosto danno accusa di strisciatore e
tigiano. Al contrario; se vi fu spirito libero e iodi
dente, ci pare che questo sia proprio l'Ariosto: v
con quanto poco entusiasmo egli fa l'apologia dei
ducali padroni ! Com' è fredda, scolorita, monotona 1;
lata dagli spiriti che dovranno incorporare i discen
di Ruggero e Bradamante, nel canto III! E come
venzìonali e prive d'ogni calore d'entusiasmo le
delle donne estensi del canto XIII! — E d'altra
r Ariosto rifiuta sdegnosamente di farsi servo e sch
« piuttosto eh' esser servo
Torrò la povertade in pazienza » (1).
Crede forse il cardinale Ippolito che si possa compi
l'umana libertà? — :
« se il sacro
Cardinal comperato avermi stima
Con li suoi doni, non mi è acerbo ed acro
Renderli, e ter la libertà mia prima » (2).
E del resto il povero Ariosto a cui il padre mor
(1) SaL n, V. 245.
(2) Id. id. , V. 262.
l' imitazione classica nell' orlando furioso 257
lasciò dieci fratelli sulle spalle (1) , come avrebbe dovuto
fare a procacciar onesta vita a sé e agli altri, se non
si fosse piegato a prestare i suoi servigi a qualche po-
tente signore? Oh se fosse stato solo non si sarebbe egli
inchinato dinnanzi ad alcuno! Se fossi stato solo, dice,
« La pazzia non avrei delle ranocchie
Fatta giammai, dMr procacciando a cui
Scoprirmi il capo e piegar le ginocchie » (2).
Ecco qual'era il servilismo di cui fu accusato l'Ariosto.
VI.
Data cosi un' occhiata generale al poema e veduto
come alle linee fondamentali abbia l' autore cercato d' im-
primere un carattere classico, nasce spontanea la do-
manda: e particolarmente o meglio partitamente , che
posto occupa neir Orlando l'imitazione classica, e quale
ne è l'estensione?
Non ci peritiamo a rispondere che questo posto è
molto grande, più grande di quello che esso appaia a
prima vista. Cade qui in acconcio dichiarare e quindi
illustrare come questa imitazione si può dividere nelle
seguenti categorie:
/ personaggi, foggiati su stampo classico.
GU episodi tolti dal mondo greco-romano.
Le tradizioni classiche e mitologiche modificate e
adattate alle circostanze.
Le immagini, i concetti, le similitudini tolte o imi-
tate dai classici, sparse qua e là per tutto il poema.
(1) Satira IV, v. 17.
(2) Id. id., V. 19.
258 CORRADO ZAOCHETTI
Vediamo d' intrattenerci brevemente e separatamente
su ciascuna di queste categorie, cercando d'esser più
brevi che potremo e cominciando appunto dai personaggi.
Molti dei personaggi che l'Ariosto fa operare n^
suo poema, sono una copia o una trasformazione più
meno lontana , o una contaminazione dei personaggi cT]
la classica antichità ci tramandò nelle opere dei s^
sommi (1). E si badi che dicendo questo non voglia^)]
cadere nelle esagerazioni di alcuni i quali in ciascun per.
sonaggio dell'Orlando vedono una riproduzione fedele dì
qualche classico personaggio. Fausto da Longiano, aj
esempio, nelF Orlando Furioso e con le annotationì, gli
avvertimenti et le declarationi di Gerolamo Ruscelli i,
edito a Venezia nel 1558, pei tipi del Valgrisio, asserisce
che e per Carlo re di Francia ritrasse Latino; per Agra-
mante Turno ; per Orlando e Ferraù, Messapo et Achille;
per Rodomonte Mesenzio; per Marfisa et Bradamaote,
Pantasilea e Camilla; per Alcina, Circe; per CloridaQoet
Medoro , Niso et Eurialo ; per Melissa , luturna ; per
Brandino balio di Brandimarte, Acete balio di Palante......
Come si vede, pochi personaggi del poema sono siali
dimenticati; ma che abbiano a fare re Carlo con Latino,
e Agramante con Turao , e Ferraù con Messapo , se lo
saprà messcr Fausto da Longiano ; noi no. Un altro che
rivede le buccio air Ariosto con un accanimento degno
di miglior causa, è Udeno Nisiely (Benedetto Fioretli)
ne' suoi Proginnasmi Poetici (2). Il Proginnasma 152 ha
(1) Alcune contaminazioni sono di personaggi classici tra di loro,
altre di personaggi classici con romanzeschi.
(2) Firenze, Cecconcelli, 1627.
l'imitazione classica nell' orlando fubioso 259
qaesto poco lusinghiero titolo: e Diversi scrittori aperti
usurpatori delie cose altrui e delle proprie, specialmente
Virgilio e r Ariosto », e comincia anche in una maniera
poco riverente, come potrà vedere chi ne abbia la cu-
riosità.
Ma veniamo all'esame dei personaggi e cerchiamo
di non peccare né per sovrabbondanza né per difetto. E
cominciamo da quello che io vorrei chiamare il protago-
nista del poema, Ruggero. Ruggero, e per il fine col
quale è introdotto nel racconto e per altre estrinseche
ed intrinseche rassomiglianze, è proprio una riproduzione
ieìV Enea Vergiliano. In lui vanno a riunirsi le fila del-
l' Orlando, come in Enea quelle dell' Eneide ; i suoi amori
contrastati sono un' ampia parte dell' Orlando , come quelli
d'Enea per Lavinia dell'Eneide; colle nozze agognate da
Ruggero ha fine il poema italiano, con quelle desiderate
da Enea il poema latino. Modello Ruggero del buono e
galante cavalìero e uomo di squisita gentilezza e quasi per-
fetto, troppo perfetto; appunto come Enea era l'esem-
plare del duce saggio, del pietoso figlio, del fedele (e
nulla più) amante; invescato per arti soprannaturali Enea
neir amore di Didone, invescato Ruggero per arti magiche
in quello di Alcina; che più? anche gli appellativi che i
due autori danno ai loro personaggi si corrispondono (1) ;
che nell'Eneide abbiamo quel monotono e freddo pius
Aeneas , e nell' Orlando il buon Ruggero , anch' egli , se
vogliamo, un po' monotono colla sua eterna bontà. Ma
non quanto il pius Aeneas; sebbene anche Ruggero sia
un po' troppo perfetto per uomo , pure egli è più uomo
di Enea , è un po' più di lui agitato dalle passioni umane,
e un po' più di lui vive, sente e s' agita. Ma il personag-
gio di Ruggero non risulta composto di un solo classico
(i) Hajna, op. ciL
l' imitazione classica nell* orlando furioso 961
in due parti: la parte che diremo estema e circostan-
ziale è andata a far parte principalmente del personaggio
di Roggero ; la parte interna o morale e del carattere ha
contribuito, per quanto poteva contribuire, alla creazione
del personaggio d' Orlando.
Curiosa spezzatura, e, ci sembra, non difiQcile ad
essere veduta , e tuttavia non mai osservata , eh' io mi
sappia.
Anche alle donne guerriere del Furioso , quantunque
non ne manchino nel mondo romanzesco, non si può
negare una certa parentela classica, e non so dar torto
a messer Fausto da Longiano (1) , quando in Bradamante
trova alcune somiglianze con Camilla ; come non ha torto
di dire che il millantatore Rodomonte ritrae qualchosa
del Mesenzio di Vergilio sulla cui bocca le parole e le
disfide non corrono meno fiere che su quella del feroce
pagano.
In quanto ad Angelica, naturalmente non vi è né può
esservi alcun classico riscontro : Angelica è la donna leg-
gera e sensuale, ornata di molti pregi fisici e macchiata
di molti difetti morali , quale ce l' avea tramandata il
Medio-Evo e qual'era ancora ai tempi dell'Ariosto: in-
costante, infedele, capricciosa; fa ammattire per i suoi
begli occhi cento cavalieri e lascia cogliere il puro fiore
della sua verginità da un imberbe ed umile giovinetto,
dai pagano Medoro, che ne fa ogni sua voglia per prati,
per boschi e per caverne. Tuttavia, chi volesse essere
proprio scrupoloso, potrebbe trovarle questa circostanziale
somiglianza con Criseide: che come di Criseide si serve
Omero per far nascere discordia tra combattenti della
medesima fazione, nello stesso modo si serve l'Ariosto
d' Angelica; (e, tra parentesi, anche il Tasso farà in se-
(1) Op. cit. loc. cìt.
262 CORRADO ZUCCHETTI
guito della sua Armida, il pomo di discordia tra ì ca?a-
iieri del pio Buglione ). — Ma, come si vede, è questo un
ravvicinamento del tutto esteriore e secondario e che
non tocca affatto il carattere e V indole della donna (1).
Quanto ai personaggi secondari , anche qui si pos-
sono venir notando delle classiche somiglianze: Alcioa
che converte gli amanti in pesci, in fonti, in piantela
animali (2) è certo una seconda edizione della Circe
classica e T insegnamento morale che si deve rilrarre
dalle due allegorie è il medesimo : che gli sfrenati pia-
ceri sensuali imbestialiscono l'uomo; Gabrina, la scelle-
rata vecchia amica dei malandrini, i cui casi s'iDlrec-
ciano con quelli della dolente Isabella (3), è tolta dal
libro IX delle Metamorfosi d'Apuleio (4); e infine la
saggia e prudente Melissa , che tanta cura si prende di
Bradamante , oltre che ritrarre generalmente , come pare
al Bajna (5), gli dei protettori degli uomini, pare a me
che abbia particolarmente una grande rassomiglianza con
Mentore, il duce e il consigliere di Telemaco, Minerva
insomma, cioè la sapienza sotto umane forme: giacché
anch' essa prende le forme di Atlante, precettore di Rug-
gero, per rimproverarlo mentre nell'isola d' Alcina s' ab-
bandona in braccio alla voluttà, come Minerva prende le
sembianze di Mentore, precettore di Telemaco; e come
Telemaco non dà un passo e non formula si può dire
un pensiero senza consigliarsi con Mentore, cosi, per un
cerio spazio di tempo, Bradamante si lascia ciecamente
guidare da Melissa.
(1) Non vogliamo lacere che neirinnamoralo pure Angelica serve
allo stesso fine.
(2) C. VI, 51 e seg.
(3) C. XXI.
(4) Hajna, op. cit., pag. Ì97.
(5) Op. cit.
l'imitazione classica nell* orlando furioso 263
VII.
Ud larghissimo campo di ricerche e di confronti da-
rebbero gli episodi, giacché non piccola parte di quelli
che formano T intreccio dell'Orlando sono tolti da fonti
classiche, e in ispecial modo da Ovidio, da Yergilio e da
Omero, che io non esiterei a chiamare la triade più amo-
rosamente studiata e più profondamente conosciuta dal
nostro autore. Ma come l'esaminare tutti gli episodi ario-
steschi imitati dai classici sarebbe troppo lungo ed anche
noioso, ed anche inutile da parte nostra perchè fatto,
sebben con altro concetto, da altri, io mi limiterò a di-
stribuirli in categorie, a seconda del vario modo con cui
si esercitò l' imitazione , dando per ciascuna categoria gli
esempi più cospicui.
Gli episodi del Furioso che risalgono ad una fonte
classica, si possono primieramente dividere in due prin-
cipali categorie.
I. Puri (1).
II. Contaminati.
La seconda categoria può a sua volta dividersi in
due sotto categorie:
1) Episodi resultanti da contaminazione di due o più
fonti classiche.
2) Episodi resultanti da contaminazione di fonti clas-
siche con fonti romanzesche.
Questa seconda sottocategoria può, a sua volta, di-
stinguersi in altre due:
(1) Dicendo puri, intendo di dire, naturalmente, episodi tolti da un
autore in grandissima parte ; nei quali però vi sien pure anche immagini
0 concetti tolti da altri: essendo molto difficile che T Ariosto imiti un
autore in modo, da non lasciare adito che qualche altro faccia almeno
capolino
264 CORRADO ZACCHETTI
a) Contaminazioni classico -romanzesche con preio-
minio dell' elemento classico.
b) Contaminazioni classico-romanzesche con predo-
minio delV elemento romanzesco.
Ora, secondo la nostra promessa, daremo per ogni
categoria ano o più esempi tra' pia cospicai (1).
Dicevamo che , innanzi tatto , v' ha neli' Ariosto epi-
sodi classici fmri. A questa classe appartiene il racconto,
abbastanza freddo e scolorito, in cui si fa la genealogia
degli estensi. Bradamante per il tradimento di Pinabello
precipitata nella spelonca di Merlino (2) , si sente predire
dallo spirito di quel mago, che parla dalla tomba, le sorti
della sua schiatta, di quella cioè che uscirà del suo ma-
trimonio con Ruggero, che sarà poi quella degli Estensi.
É un episodio noioso, se vogliamo, per i lettori, ma
di cui ad ogni modo, dovette prendersi cura il poeta,
che doveva in questo punto far gli elogi de' suoi Mece-
nati. Ed ecco che T Ariosto crede di non potere in altro
modo dar lustro al suo racconto che conducendolo sopra
un modello classico ; ed eccolo sulle orme di Vergilio. Nel
libro VI dell' Eneide si legge che Enea, sceso per divino
volere all' inferno, ode dall' ombra del padre Anchise le
imprese degli spiriti più insigni che illustreranno Roma
ed il sangue d'Augusto, spiriti che il padre viene indi-
cando al figlio di mano in mano che gli passano davanti:
la sfilata degli spiriti avviene in modo e in condizioni
eguali nell'Eneide e neir Orlando. Anchise dice ad Enea:
(1) In questa parte della mia ricerca mi fu naluralmenle di molla
utilità r opera più volle citala del Hajna, Le fonti dell' Orlando Furm-
Dichiarandolo qui mi dispenso dal citarlo ogni qualvolta dovrei ciò f-^re
per obbligo di giustizia.
(2). Canto III
l' imitazione classica nbll' orlando furioso ?65
« Nune, age, Dardaniam prolem, quae deinde sequatur
Gloria, qui maneant itala de gente nepotes
Illustris animas nostrumque in nomen ituras,
Expediam dictis et te tua fata docebo » (1).
E lo spirito di Merlino grida, appena Bradamante ha var-
cate le soglie del sacro speco:
« 0 casta e nobilissima donzella
Dal cui ventre uscirà il seme fecondo
Che onorar deve Italia e tutto il mondo » (2).
Comincia quindi, in entrambi i racconti, la sfilata degli
spiriti. Il primo che si presenta, nel poema latino, è cosi
indicato da Anchise ad Enea:
« Illa vides, pura iuvenis qui nititur basta,
proxima sorte tenet lucis loca primus ad auras
aetberias, italo commixto sanguine surget » (3).
E da Melissa a Bradamante:
« Vedi quel primo che ti rassomiglia
Ne* bei sembianti e nel giocondo aspetto ?
Capo in Italia fia di tua famiglia,
Dei seme di Ruggero in te concetto » (4).
Fin qui, non c'è che dire, i due poeti camminano di
pari passo. Durante il passaggio degli spiriti, pare fac-
(1) v. 75.
(2) St 16.
(3) V. 775.
(4) SU 24.
266 CORRADO ZAOCHETTI
ciano a chi le sballa più grosse nel glorificare ranoÀo—
gusto e i Romani, l'altro il cardinale Ippolito, il duca
Alfonso e la prosapia estense. Allorché tatti gli spiriti sono
spariti, Bradamante domanda a Melissa:
« chi son li due si tristi
Che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti? » (1).
Proprio qaello che, qaasi colle stesse parole, Enea ad
Anchise :
« Atque hic Aeneas, una namque ire vìdebat
Aegregiuro forma ìuvenem et fulgentìbus armis
Sed frons laeta parure et deiecto lumina voltu,
Quis, pater, Ole, viruro qui sie comitatur cuntem
Filius anne aliquis magna de stirpe nepotum?
Qui strepitus circa comitum! quantum instar in ipso,
Sed non extra caput tristis circumvolat umbra » (2).
Il padre Anchise piange a calde lagrime; Melissa poi
ne sparge addirittura un torrente. Vergilio, con modera-
zione :
« Tum pater Anchises lacrymis ingressus oborlis:
0 gnate, ingentem luctum ne quaere tuorum > (3).
E l'Ariosto, rinforzando la dose:
« Pai've che a tal domanda si cangiassi
Li maga in viso e fé' dagli occhi rivi ».
(1) V. 855.
(i) V. 855.
(3) V. 862.
l' imitazione classica nell' orlando furioso 267
« Statti col dolce in bocca e non ti doglia
Ch'amareggiare al fin non te la voglia » (1).
Come si vede in questo episodio il modello latino è
proprio ricopiato sulla falsariga ; e il medesimo deve dirsi
di alcuni altri (2).
(1) Si. 61-62.
(2) Quantunque nel Boiardo vi sia rassegna di eserciti, pure io cre-
derei che la doppia mostra che si trova nel Furioso (Tuna degli aiuti
d'Inghilterra, d'Irlanda e di Scozia, a cui assiste Ruggero (X, 75-89),
r altra delle genti saracine sotto Parigi (XIV, 11, 28) sia proprio una
derivazione di rassegne classiche, perché ha il tono solenne ed uggioso
delle rassegne di Omero e di Vergilio, nei quali vi sono due riviste dif-
ferenti. Argutissimo è quanto scrive il Rajna a questo proposito (op. cit.
p. 159 e seg.). Altri episodi tolti da una sola fonte classica, non man-
cano. La venuta di Rinaldo a Parigi (II, 26) e T incarico datogli da
Carlo di andare in Inghilterra per aiuti e la sconGtta eh' egli dà ad Agra-
mante nel ritomo, fa pensare ad Enea, il quale, dopo aver ricorso per
aiuti ad Evandro, al suo ritorno mette in rotta le genti di Tarno. In
quanto alla burrasca da cui Rinaldo è sorpreso in viaggio, il Rajna vor-
rebbe vedervi un'influenza romanzesca; noi, specialmente per la forma
esteriore, vorremmo confrontarla alle tante tempeste che ci offre l'anti-
chità classica. Chi non ricorda quante volte l'astuto Ulisse fu sul punto
di servir di pasto a' pesci? ed anche il padre Enea non è egli spesso
minacciato di andar a fare un tuffo in acqua? — Rodomonte, che stanco
dalla strage fatta a Parigi si bulla in acqua e sfugge ai nemici (XVIII,
17) ha il suo riscontro in Turno il quale affaticato anch' egli dalle pro-
dezze operate nel campo troiano, ne esce buttandosi a nuoto nel fiume
(IX, 785). Naturalmente Turno é un po' meno feroce di Rodo(|^ontc, e
non uccide i nemici a migliaia e migliaia come il terribile pagano. —
Come Enea e Inalino (XII, 1 3), Carlomagno ed Agramante (XXXIX, 51)
giurano di rimettere la decisione della guerra ad un singoiar certame. A
chi non vengono (jui in mente Tito Livio e il combattimento tra gli Grazi
e i Curiazi, fatto per risparmiare sangue? — Le esequie di Brandamante
e l'elogio funebre a lui recitato da Orlando (XLIII, 165) richiamano
molto da vicino gli onori che Enea rende a Pallante e l'elogio funebre
recitato dal duce troiano per l' amico estinto ; e il dolore e le lagnanze
che Fiordìligì fa sul corpo del morto amante, sono parallele al dolore e
ai lamenti di Evandro per la morte del flgliuolo. Infine, come avemmo
268 CORRADO ZACCHETTI
Ma più spesso di an solo classico modello, T au-
tore ne ebbe davanti parecchi, e ne trasse delle belle
e audaci contaminazioni. Chi non conosce Taffettaoso
episodio di Gloridano e Medoro ? (1) E chi non sa che
deridano e Medoro discendono in linea direttissima dai
Vergiliani Eurialo e Niso? (2). Quello però che non a
tutti è noto , si è che qui 1' Ariosto non imitò il solo
Vergilio, ma, come il Bolza ha minatamente esami-
nato, (3) anche Stazio: là dove l'esemplare VergiliaDO
era o pareva in qualche modo deficiente, il nostro autore,
non invano, si rivolge a Stazio (4) : altra prova del finis-
simo gusto di quel sommo, il quale non imitava a ca-
saccio, ma come V arte gli dettava. Prendiamo brevemente
in esame l'accennato episodio co' suoi modelli. Eurialo e
Niso compiono la loro impresa notturna per infonuare
Enea intorno alle cose del campo; Gloridano e Medoro
per seppellire il cadavere dell' amato loro signore Dar-
dinello : a primo tratto, per il nobile scopo che li guida,
i due personaggi ariosteschi diventano più simpatici di
jj'ià occasione di dire, il combatlimento finale tra lUiggero e Rodomonle
è fatto sul modello di Vergilio. Se non che l' indole diversa dei duo au-
tori e il nìodo differente col quale essi conducono i loro racconlj, appa-
iono qui manifesti: che Vergilio prepara lungamente il lettore alla ca-
tastrofe, mentre la comparsa e la dislida di Rodomonte turbano impro^-
visamenj^ la gioia delle nozze tra Uuggero e Bradamanle. Enea, ad imi-
tazione degli eroi (P Omero, assalta con fieri e mordaci rimproveri Turno;
cui l'appressarsi del fato, manifestatogli da segni sovrannaturali, renti<
privo di baldanza: buggero e Rodomonte vengono subilo alle roani st'iu*'
tanti preamboli: per Enea combatte il favore degli Dei, Ruggero ik«
poteva confidare che nella buona tempra della sua spada e nel vi^'oro
del suo braccio (Vedi Bolza, Manuale Ariosiesco, Venezia, 1SG8).
(1) C. XVIH, lOi e reg. — XIX, 1 e seg.
(:2) IX, 176.
(3) Op. cil. pag. XXXI.
(4) Theb. X, 3i8.
l' imitazione classica nell' gelando fukioso 269
quelli di Vergilio. Questa circostanza importante, l' autore
l'ha ricavata da Stazio, presso il quale Opleo e Dimante
si muovono per ricercare il morto Tideo, loro signore.
Eurìalo e Niso non partono che col consenso dei loro
capi; Cloridano e Medoro di propria volontà e senza
chiederne il permesso si avventurano alla morte: Eurialo
è impedito nella fuga dal fatto bottino, Medoro dal peso
del corpo del morto signore. Anche queste circostanze,
chi non lo vede ? — sono tutte a vantaggio dei due per-
sonaggi ariosteschì, e anch'esse sono tratte da Stazio.
Venendo ad altri episodi non meno noti, che s'ha
a dire dell'isola d'Alcina e del soggiorno che Ruggero
vi fa? (1). Sarei tentato di dire che alla formazione di
questo episodio ha concorso tutto il parnaso classico.
L' isola assomiglia alle isole dei beati (at tójv puxxoEpeov v^aoi)
degli antichi; il mirto che per le stratte dell' ippogrifo
che vi sta legato sparge sangue e si lamenta e narra la
sua storia, ha un perfetto riscontro nel Polidoro di Vir-
gilio (2); Alcina che, simbolo della voluttà, converte gli
amanti in sassi, fonti, fiere, è fatta ad immagine e somi-
glianza della Circe dell' Odissea, che muta i suoi ganzi in
maiali: ma come troppo sarebbe spiaciuto al lettore ve-
dere il saggio Astolfo grugnire col grifo entro il brago,
cosi l'autore pensa bene di convertirlo in una nobile
pianta. Le altre trasformazioni sono cosi manifestamente
copie esatte di quelle che si trovano nelle Metamorfosi,
che non ci sarebbe neppur bisogno di avvertirlo. L' an-
sia di Ruggere che scoppia dal desiderio di stringere
tra le sue braccia la formosa Alcina, è ricavata da alcuni
versi dell'epistola d'Ero a Leandro nelle Eroidi d'Ovi-
dio (3) ; lo stesso Ruggero che in preda alla voluttà scorda
(1) V, 17 e seg.; Vili, 3 e seg.; X, 48 e seg.
(2) i En. H!, 19. Cfr. anche Dante, Inf., XIII, 31.
(3) Epist XIX, y. 41-54.
Voi. IV, Parte li. i8
270 CORRADO ZAOCHETTI
sé Stesso e il mondo, è od impasto cosi ben riuscito di
tanti elementi classici, che mal si potrebbe dire qual più
e qual meno v' abbia contribuito ; basterà ricordare Ulisse
presso Circe, Ulisse presso Galipso, Enea presso DidoDe,
Ercole presso Omfale ; e come Melissa, viene sotto false
sembianze a Ruggero, cosi Mercurio libera Ulisse in
Omero, Enea in Vergilio.
La stessa molteplice contaminazione si ha nel rac-
conto di Angelica esposta all' orco (1) : quand' ella è tratta
per mare contro sua voglia dal cavallo, ella è modellata
su Europa rapita da Giove quale ce la descrive Ovidio
(Met. II, 870). Discesa a terra, cessa di essere Europa
per pigliare le sembianze di Arianna abbandonata da
Teseo, come ce la descrissero Catullo (Epital., 60) e
Ovidio (Her. X). Quand'essa sta per essere sacrificata
alla fiera orca che esige il tributo di sangue dall' isola di
Ebuda — e qui il racconto s' accosta anche al mito del
Minotauro dell' isola di Creta — , e vien salvata da Rog-
gero suU'ippogrifo e col mezzo dello scudo incantato,
divien simile ad Andromeda che Perseo salva dal mostro
marino, come narra Ovidio (Met. Ili, 663). Il Rajoa fa
anche notare che insieme all' Andromeda di Ovidio ci son
qui parecchi sfumature deir Esione di Valerio Fiacco (il
Non basta: recentemente il sig. G. Merici in un arlico-
letto della Vita nuova (Anno li, n. 23), ci ha fatto sa-
pere che alcune tinte e alcune circostanze sono tolte da
Manilio che nel V libro dell' Astrotwmicon descrive An-
dromeda esposta all' orco marino e liberata da Perseo.
Resta ora a dire qualchecosa dell' altro genere di
contaminazione, cioè di quello di fonti classiche con ro-
manzesche. Chi ci è venuto fin qui pazientemente se-
(1) VHI, 35 e seg.; X, 3 e seg.
(2) Op. cil., p. i68.
L* IMITAZIONE CLASSICA NELL' ORLANDO FURIOSO 271
gnendo — (certo della pazienza ne dovrà avere avuta
pia che Sant'Antonio) — si sarà accorto che messer
Lodovico aveva per gli autori antichi un rispetto fin
eccessivo ; è quindi naturale eh' egli preferisse contami-
nare due autori classici e due autori romanzeschi, tra
di loro, piuttostochè gli uni cogli altri. E cosi, quando
si serve di una fonte classica e di una romanzesca, la
romanzesca, per solito, fornisce la tela del quadro, la
classica i colori. Cosi l' episodio della famosa caverna alla
quale capita Orlando (1) è tolto in parte dall'il^mo d'A-
puleio (2), e la storia d' Isabella che vi s' intreccia , ha
una certa somiglianza con un racconto del Guiron (3);
anzi questa contaminazione ci porge il destro di fare
un'osservazione che non avevamo fatta fin qui: la prima
parte dell'episodio, tolta da una fonte classica, è ricono-
scibile a prima vista , l' imitazione della seconda parte,
ispirata ad una fonte romanzesca richiede per essere
ravvisata l'occhio d' un agente di pubblica sicurezza, come
dice il Rajna (4): tanto Io spirito dell'Ariosto era con-
forme alh spirito classico ed alieno dal romanzesco.
Nello sterminio che Orlando fa dei ladri della spelonca, noi
torniamo al classico, e Ovidio e Stazio si contendono il
campo. Io classificherei quindi questo episodio tra quelli
in cui il classico predomina sul romanzesco. Un episodio
in vece classificabile tra quelli in cui il romanzesco pre-
vale sul classico, è quello del gigante Orrillo (5), episo-
dio a cui è fornita molta materia dal Boiardo che tratta
quest' episodio senza compirlo (6), e molte circostanze
(4) XII, 86.
(2) I, IV
(3) F. 334.
(4) mi, 35.
(5) XV, 43.
(6) in, in.
272 ^ OOBRADO ZACCHETTl
dal mondo antico, come quella del capello incantato (Si.
79) dal quale dipende la vita del gigante e che non è
difficile rintracciare nel fatale capello di Ptelerao (1).
Potrei seguitare ancora un pezzo in questa classifi-
cazione, ma dissi fin da principio che mi sarei accon-
tentato di accennare agli esempi più cospicui D'altn-
parte, chi volesse trarsi la curiosità, lo rimandiamo al
bel lavoro del Rajna più volte citato: in esso troTerà
esaminati nelle loro fonti tutti gli episodi, e non gli sarà
quindi diflScile assegnare ciascuno ad una delle categorie
che a noi piacque farne: servendosi di questa nostra,
qualunque si sia, fatica, come d'uno stampo a cai a-
dattare del materiale con un altro criterio ordinato.
VIU.
Veniamo da ultimo alle tradizioni classiche e mito-
logiche, le quali, addattate e trasformate secondo i tempi,
i luoghi e le circostanze, abbondano anch' esse nel Fu-
rioso ; e qui basterà una rapida scorsa, per le ragioni coi
acx!ennammo in principio del capìtolo precedente.
Le due fontane dell' amore e del disamore sono
ispirate dalle forze prodigiose che gli anticlii altriboivanu
alle acque, come si può rilevare anche da un passo di
Ovidio (Met. XV, 307). Inoltre nel ApaiJLanxw di Giara-
blico è nominata al capo X una ^<ytì eportxti la quale pro-
duce gli stessi effetti di quelli della selva d' Ardenna (2'.
Non è anche innaturale ammettere col Rajna che Tidea
(1) Rajna, op. ciL, pag. 226.
(2) Op. ciL, pag. 81.
l' imitazione classica dell' orlando furioso 273
delle dae fontane potesse venire dalle due specie di saette
di Cupido, le dorate indacenti amore, le plumbee che
lo scacciano, secondo sappiamo da Ovidio (Met. I, 468).
Abbiamo inoltre in Glaadiano, che le saette acquistano
le diverse loro virtù coir essere in diverse fonti tuffate (1).
L'ippogrifo, checché ne paia al Bolza (2), il quale lo
riavvicina ai grifoni delle novelle orientali, ha il suo pro-
totipo nel Pegaso degli antichi ; lo scudo di Ruggero il cui
barbaglio fa cader tramortiti, ha certo relazione collo
scudo di Minerva in mezzo a cui stava il capo di Medusa
che pietrificava chi lo guardava; anche questo scudo era
tenuto coperto, e lo si scopriva solo al bisogno, come
da Ovidio, lY, 644. L'anello incantato che toglie alla
virtù dei mortali chi lo mette in bocca, è una deduzione
fatta dall' anello che il pastore Gige, divenuto poi re, trovò
nella caverna ; né so perché Fausto da Longiano (3) vada
qui a scavar fuori la nuvola che sottrasse Enea alla vista
dei nemici. Le arpie sono quelle che si ritrovano in
Omero, Vergilio, Ovidio, Dante. L' otre in cui è rinchiuso
il Noto (XXXVIII, 30) è quasi il medesimo di quello che
Eolo dà ad Ulisse nell'Odissea (II, 19); infine i sassi
mutati in cavalli ricordano Deucalione e Pirra che nelle me-
tamorfosi fabbricano uomini e donne collo stesso metodo.
IX.
Le cose adunque fin qui dette, ci dimostrano che
l'Ariosto conosceva i migliori scrittori latini negli origi-
nali, e i più grandi scrittori greci, specialmente Omero,
nelle traduzioni latine ; dimostrano che delle opere di quei
(i) Epital. di Onorio e Maria, v. 69-71.
(2) Op. cit., pag. XXII.
(3) Ed. cit. del Valgrìsio.
274 OORRiDO ZAOCHETTI
sommi egli coDOSceva gV intrecci , i racconti , gli avveoi-
menti. Ma se V aver imitato gli antichi nelle lìnee princi-
pali delle loro opere prova che l' Ariosto li aveva letti
attentamente e che ne aveva un' ampia conoscenza, T a-
verli anche imitati, com' egli fa, nella forma esteriore, Dei
pensieri, nelle immagini , nelle idee , nei concetti , nelle
movenze, negli atteggiamenti, nelle similitudini, dimostn
eh' egli l'aveva studiati e ristudiati con grandissimo amore,
e ricercati profondamente , e quasi , direi, sviscerati col
coltello anatomico. E di tanta classica vivanda, egli non
aveva fatta un' inconsulta scorpacciata, ma l' aveva dige-
rita e assimilata ; e come un cibo ben digerito entra a
far parte, ne' suoi elementi vitali e sostanziali, dei nostro
organismo, cosi essa era andata a costituire parte intrin-
seca del modo di pensare e di sentire dell'Ariosto. Star
qui a raffrontare tutti i singoli passi che l'Ariosto imitò
dai classici, sarebbe opera inutile, perchè quasi compio-
tamente fatta da Ludovico Dolce fin dal 1543 (Ediz. del
Giolita) e dal Ruscelli nel 1556 (Ediz. del Valgrìsi), e
tra i moderni da molti studiosi e commentatori dell' A-
rìosto, tra cui il Bolza (op. cit.) e il Racheli (Ediz. di
Trieste del 1857). Raccogliamo invece le vele e riassu-
miamo : r educazione e gli studi dell' Ariosto , come la
sua stessa indole, lo portavano a riavvicioare quanto più
poteva il poema cavalleresco air epica classica ; i suoi
classici modelli , alle volte li riproduce tali e quali , più
spesso ne contamina due, tre, quattro e più assieme, e
ne ricava un tutto organico ed armonioso da cui non si
scorge affatto la diversa provenienza dell'ispirazione ; meno
spesso fonde insieme fonti classiche con romanzesche.
Dove un esemplare, fosse pure Vergilio, gli sembra de-
ficiente, egli lo abbandona e ne prende un altro : le fonti
classiche alle quali attinge maggiormente sono T Iliade,
l'Odissea, l'Eneide, le Metamorfosi, la Tebaide, gliAr-
L* IMITAZIONE CLASSICA DELL' ORLANDO FURIOSO 275
gonaati. Da Ovidio , Vergilio ed Omero trae in abbon-
danza immagini e concetti; da Vergilio e Catullo molte
delle sue bellissime similitudini. Il grande uso della con-
taminazione che si riscontra nel nostro poeta, e la grande
maestria con cui se ne serve, dimostrano cb' egli non imi-
tava ciecamente e servilmente, ma raccoglieva il meglio
donde lo trovava, e ne formava un tutto perfetto, nel
quale non si può, senza acutezza di sguardo, distinguere
le singole parti. Imitò il mondo classico non solo nel
concetto, ma anche nella forma, e gli autori, non super-
ficialmente, come poco fa argomentavamo, ma profon-
dissimamente conosceva, e il suo spirito ne era tutto
imbevuto ; per questa ragione, T imitazione classica nel-
r Orlando Furioso, non è sforzata , ma spontanea , natu-
rale; essa è parte essenzìalissima del poema, come era
stata parte essenziale dell'educazione e della vita del-
l' autore, dalla cui anima cotesta imitazione sgorga quasi
da fonte novella, serena, limpida e pura; e perciò essa
piace, e perciò fu sempre considerata uno dei grandi
meriti del Furioso. Quello che in altri avrebbe facilmente
potuto essere difetto, nell' Ariosto è pregio ; prova anche
questa, se ve ne fosse bisogno, dell' altezza e della sere-
nità di quel divino ingegno.
Corrado Zacghetti
t
,i
LE SCRITTURE IN VOLGARE
DBI PRIMI TRB SECOLI DBLLA LINOUJ)
RICERCATE NEI CODIQ
DELU BIBUOTECA NAZIONALE DI NAPOLI
(ContiinBUDODe da Pag. 151, N. S., Voi. 1, Parte 11).
xui. e. 1.
Codice membranaceo della prima metà del sì
XV, alto cent 37 e largo 26 Vs. di carte 314. Man
16 carte, alcune in prìncipio e altre fra la 3.^ e la
donde comincia la foliazione antica in cifre roman
rosso, e segue senza ordine, ma senza altre manca
lj a questo modo: xviiij-cxxxj (4-115); clxxxxij-cclx (
184); cxxxij-clxMxj (185-244); cclxj-cccxxx (245-1
É scritto in carattere semigotico di bella forma, più gr
nel testo e meno nel commento a due colonne, fra
quello è racchiuso. Ha le rubriche in rosso , le in
I minori rosse e azzurre alternate, adorne con freg
■ nearì dell' un colore con T altro. Le iniziali maggiori
miniate su riquadri d' oro lucidissimo, con ornati a
gliame di vani colori. A car. 90 r. , 119 v., 12C
133 r., 137 r., 157 v. son diverse figure min
che saranno indicate a suo luogo. La legatura
SCRITTUBE VOLGARI NEI CODD. NAPOLETANI 277
1 secolo XVIII, ed é di pelle non tinta, con fregi a
0 e carte di guardia impresse a fiori colorati e dorati.
)ila faccia interna della carta di guardia posteriore è
sottoscrizione autografa : Dominici Cotunnii, che incon-
isi pure in altri codici nostri già appartenuti all'illu-
•e medico napoletano Domenico Cotugno (1736-1822).
Il presente codice contiene la Divina Commedia col
mmento di Francesco da Buti.
Dopo una nota di carattere recente, che sta nella
x)nda delle due carte di guardia, messe innanzi al co-
^e, e si riferisce al turbamento dei fogli ed alle man-
nze, segue una carta in pergamena con V indice dei
ati, scrìtto a tre colonne in corsivo tondo della fine
1 XV secolo. Comincia:
« Capitulo primo della prima Cantica , dove tracia de
aricia. »
« Capitulo ij.'' doue se tracta corno trouo Virgilio il quale
fece securo del camino ...»
Finisce :
« Capitulo 33 et ultimo come sancto bemardo in Ggura
1 autore fa oracione a la Vergine Maria che la diuina
lesta visibilmente si lassa videre. »
Segue, mutilo di principio , il testo dantesco e il
mmento. Il primo comincia dal verso 34 del canto III
ir Inferno :
« Et elli ad me questo misero modo
Tegnon I anime triste di coloro
Che uisson senza fama et senza lodo ...»
li commento comincia:
«... che in questo spatio allato alla grosta della terra
ntro da la porta siano puniti coloro che sono uissutì in questo
278 A. moLA
mondo sensa operar bene o male. Et conueoientemente G pone
in questo luogo. Imperoche costoro non sì possono disdota-
mente ponere socto alcuna spetie di peccato ...»
Il testo del detto canto resta interrotto a car. 3 v.
col verso 87:
« Nelle tenebre eteme in caldo e *n gelo .... »
A car. 4 r. segae il canto V, a cominciare dal
verso 16:
« 0 tu che uieni al doloniso hospitio ...»
Seguono regolarmente, fino a car. 88 r. , il testo e
il commento della prima cantica.
A car. 90 r., dopo tre pagine bianche, comincia la
seconda cantica.
A capo del testo, in un rettangolo largo 80 mill. e
alto 50, è rappresentato in miniatura il monte del pur-
gatorio con tre fignre, cioè Catone, Virgilio e Dante.
Nella capolettera P , dorata e miniata, è dipinta una na-
vicella. Il commento comincia:
« Se ne la seconda cantieri della comedia di dante alle-
gheri fiorentino poeta iiulgare io franciesco da butì citadioo
di pisa mi sono messo a sponerla secondo 1 ordine della prima
letta da me publicamente ne la detta cita di pisa ben chi non
compiesse la lectura impedito da due grani infermitidi, cacone
me n anno dato i preghi de cari amici .... »
A car. 115 v. , a causa del turbamento dei fogli, di
cui innanzi ho fatto cenno, il canto IX del Purgatorio
rimane interrotto al verso 72:
« Non ti merauilliar s io la rincalso . . . >
A car. 116 r. ricomincia col verso 88 del canto
XXVIII :
SC31ITTUBE VOLGARI NEI CODD. NAPOLETANI 279
« Ond ella io dicero come procede . . . >
A carte 119 r. resta interrotto il testo al verso 81
del canto XXIX.
Le car. 119 v. e 120 r. sono in tutta la loro su-
perficie assai vagamente dipinte. Nell'una pagina sono
rappresentati i sette candelabri d' oro apparsi al poeta,
entro i quali sono scritti i dieci comandamenti del de-
calogo, e sulle basi e intorno ai lumi i nomi delle virtù
e dei vizii e quelli dei sacramenti. Nella pagina opposta
è il seguito della visione descritta nel detto canto, cioè
le genti vestite di bianco coi ventiquattro seniori^ il carro
tirato dal grifone e circondato dai quattro animali sim-
bolici a sei ali, e in fine coronate di fiori le figure di
S. Luca, di S. Paolo, dei quattro in umile paruta, cioè
gli apostoli Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda, e il veglio
solo disteso in terra e dormente.
A car. 133 r. in fine del canto XXXII del Pur-
gatorio è un'altra miniatura racchiusa in un rettangolo
largo 165 mill. e alto 90, rappresentante il carro col
Gigante e la Meretrice e con le altre figure e simboli
di cui è parola nel detto canto.
A car. 137 r. comincia, dopo una pagina bianca, la
terza cantica, al principio della quale in uno spazio, ret-
tangolare, alto 50 mill. e largo 75, son dipinte le figure
di Dante e di Beatrice che contemplano la gloria di
colui che tutto muove.
Un'ultima figura miniata, rappresentante Costantino,
s* incontra a car. 157 v. entro alla capolettera P, onde
comincia il canto VI del Paradiso,
Il testo dell'ultima cantica segue regolarmente fino
a car. 184 r. , dove rimane interrotto al verso 117 dei
canto XI:
280 A. IflOLA
« Et al suo corpo non uolse altra bara .... »
Segue a car. 185 r. il canto IX dei Purgatorio, a
cominciare dal verso 73:
« Noi ci appressammo et deriuammo in parte ...»
Così contìnua fino ai verso 87 del canto XXVUI:
« Di cosa eh io udi* contraria ad questa ...»
che sta a car. 244. v.
A car. 245 r. ricomincia il Paradiso dal verso 118
del canto XI:
« Pensa hormai qual fu colui che d^o ...»
e finisce, senz' altra interruzione a car. 313 v.
Alla stessa pagina cosi finisce il commento:
« Et qui finisce il canto xxxiij.* della tersa cantica delh
comedia di dante composta pelle Insigne et Egr^io doctore io
Triuio ben che sofficienteroente admaestrato in ogni facculta,
come appare in questa sua opera, Maestro Franciesco da buti
hoDoreuile citadino di Pisa ».
A car. 314 r. leggonsi, nello stesso carattere del
testo dantesco e senza nessun titolo, le tre epigrafi falle
pel sepolcro di Dante, cioè quella di Menghino da Mez-
zano:
« Inclita fama cuius uniuersura peneirat orbem . . »
r altra di Bernardo da Canastro:
< lura monarchie superos flegetonta lacusque ...»
e la terza di Giovanni del Virgilio:
« Theologus dantes nullius dogmatis expers ...»
SCRITTURE VOLGARI NEI CODD. NAPOLETANI 281
Confrontate con le edite nel volumetto: // Sepolcro
di Dante , pubblicato nel 1889 da L. Frati e G. Ricci
[Scelta di Curiosità letterarie. Dìsp. CCXXXV) vi si ri-
scontrano, specialmente nella prima, diverse varianti.
Ora darò, come s'incontra nel presente codice, la
lezione di quei luoghi del testo di Dante , che furono
designati dal eh. prof. Monaci come punti di confronto
per una classificazione generale dei codici danteschi (V.
Atti della R, Accad. de Lincei, 1888, ser. IV: Rendiconti.
Voi. IV, 2.° sem. pag. 228.)
Ili V. 59: « Uiddi et conobbi ...»
V » 59: « Che succedette ...»
V » 83: « Con I ale alsate ...»
VI » 18: * ... et ingolla et isquarta. »
Vili » 101: « Et se 1 passar ...»
IX » 64: « . . . torbid onde. »
X » 136: « . . . spiacer suo le^o. »
XI » 90: « La diuina uendecta ...»
XI » 91: <^ 0 sol che sani ogni uista . . »
XII » 125: « Quel sangue si che cocca . . . »
XIII » 41: « Dall un dei capi ...»
XIV V 70: « Dio in disdegno ...»
XV » 121: « Poi sì riuolse ...»
XVI » 135: « Ad scollio ...»
XVII » 115: « Ella sen uà notando ...»
XVIII » 104: «... col muso sbuffa »
XIX » 12: « Et quanto iusta ...»
XXIV » 119: < 0 potentia di dio ... »
XXV » 1 44: « La nouita se fior la penna . . »
XXVI » 57: « Ala uedetti {sic) uanno ...»
XXIX » 120: « Danno Minos ad cui fallar ...»
XXX » 31: « . . . rimase tremando. »
XXXI II » 75: « Possa più eh el dolor potè . . »
XXXIV » 82: « . . . colali scale. »
Inferno Canto
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28? A. HIOLA
Brevi notizie di qaesto codice furono date la prima
volta nel catalogo deli' Esposizione Dantesca in Firme,
Maggio MDCCCLXV. (Un voi. in 8.^ s. n. t.) , a pag.
49 : indi nell' Appendice prima alla Notizia deUa Biblio-
teca Nazionale di Napoli, di Vito Pomari (Napoli, Det-
ken e Rocholl, 1874, a pag. 52).
XIII. C. 2
Codice membranaceo del secolo XV (1411), alto
cent. 34 e largo 25, di carte 197. Tra le carte 14 e 15
ne manca qualcuna. È scritto in bel carattere gotico con
le rabricbe rosse, i paraflEi rossi e verdi alternati, le ini-
ziali minori azzurre con fregi lineari rossi, e le maggiori
miniate su riquadri d' oro e adorne con fogliame di vani
colorì che si spande lungo i margini delle carte. La ca-
polettera N, a car. 1 r., non è fatta come le altre. Essa
è di forma latina in azzurro chiaro su fondo d'oro, ed
è intrecciata con foglie e fiori, donde partono e riem-
piono il margine altri fiori azzurri e rossi misti a glo-
betti d'oro e foglioline verdi. Credo che tutto ciò sia
stato aggiunto, alla fine del secolo XV, nello spazio che
era rimasto bianco. Un'altra iniziale, che sta a car. 10
r., ed è dorala sopra un fondo quadro ripartilo a spic-
chi e dipinto in verde e in rosso , sembrami fatta nel
secolo XVI.
In due delle iniziali, cioè a car. 62 r. e 124 v. son
figure miniate come dirò appresso. La legatura in pelle,
coi gigli d' oro impressi sul dorso, è di quelle che hannu
i codici farnesiani. Contiene la Divina Commedia con
l'aggiunta di talune rime.
A car. 1 r. comincia senza alcun titolo:
« Nel mezo del camin di nostni uita ...»
A car. 2 V., in rubrica:
SCRITTURE VOLGARI NEI CODD. NAPOLETANI 283
« Incomincia il secondo Canto della prima cantica della
Comedia di Dante. Nel quale Canto I autore proheroicca a
questa prima Cantica d inferno toccando come 1 auctore du-
bitaua di seguire questa impresa come appare. »
Innanzi a ciascun canto è V argomento scritto in
rosso. Quando nel testo s' incontra alcuna similitudine,
vedesi segnato a margine quel luogo con la parola in
rosso: comparatio.
A car. 14 v. il canto Vili si arresta al verso 112:
« Udir non potei quel eh a llor si porse ...»
Segue a car. 115 r. il canto IX dal verso 55:
« Volgiti in dietro et tieni il viso chiuso ».
A car. 61 v.:
« Explicit prima Cantica Comedie Dantis Allegerii que
dicitur Infernus. »
A car. 62 r. :
« Incomincia il primo Canto della seconda Cantica della
Comedia di Dante Allighieri da Firence. Nel quale Canto 1 au-
ctore prohemicca singularmente questa seconda parte dieta pur-
gatorio. Et tracta qui della honestate. Ponendo eh el primo
che trono uscendo d inferno fu Cato, lo quale significa 1 one-
stade. Pero che fue homo molto honesto et molto uirtuoso. Et
pero tracta delle quactro uirtu cardinali de le [quali] elli fu il-
luminato. Ciò e Prudentia lusticia Temperanza et Fortitudo.
Et da questo canto tracta dell anime punite fuor del purgatorio
indugiando d entrare a purgarsi in quello per che indugiare a
pentirsi troppo in questa uita di peccati. »
La capolettera P, onde principia il testo , alta 64
mill. e larga 50, è dipinta e dorata, e racchiude una mi-
284 A. MIOLA
niatura rappresentante Dante e Virgilio sedati io una
barca circondala da anime purganti.
A car. 124 r. :
« Explicit Seconda Cantica Gomedie Dantis AJlegerii de
Florentia. Per me lohannem de gambis de Burgo sancii do-
ninii. Hcccc^xj die quarto mensis octiibris. »
A car. 124 v.:
« Incomincia Io primo Canto della ter^ Cantica della Co-
media di Dante Allighieri da Firence. Nel quale Canto I auctore
prohemicca a questa ter^a et vltima Cantica dieta et appellata
Paradiso. Si come nel resto chiaramente si contiene. »
Nella capolettera L, alta 60 mill. e larga 55, é di-
pinto in alto la Trinità con la Vergine coronata dal divin
Figlio, e tutto intorno una cerchia di beati. Al basso
Dante e Beatrice contemplano la scena.
A car. 186 r. :
« Explicit Tertia et ultima Cantica Comedìe Dantis Alle-
gherii de Florentia. Per me lohannem de gambis de Burgo
sancti donini. Mcccc^'xj die xviiij'* Novembris. >
« Benedicamus domino. Deo gratias. Amen. »
Le lezioni dei trenta punti critici son queste:
4: « Et quanto a dir ... *
28: « Et riposato un poche ...»
48: « Si che parca che I aere ne le-
[messe. >
60: «... quanto 1 moto . . . >
93: « Né fiamma . . . >
59: « Vidi et conobbi ...»
95: € Di quel signor . . . >
Inferno Ginto
Iv.
» »
I»
» »
I»
» »
II»
>? »
II»
» »
III »
> »
IV »
SCRITTUBE VOLGARI NEI CODD. NAPOLETANI 285
Inferno Canto V > 59: « Che succedete ...»
» » V » 83: « Coli ale alzate . . . >
» » VI » 18: « . . . ingoia et disquatra. »
» » Vni » 101: « Et se 1 passar ...»
» » IX > 64: « . . . turbide onde. »
» » X » 136: « . . . spicciar suo lecco. »
» » XI » 90: « La diuina uendecta ...»
y » XI » 91: « 0 sol che sani ogni uista ...»
» » XII » 125: « Quel sangue si che coccea ...»
» » XIII » 41: « Dall un dei capi ...»
» » XrV » 70: « Dio in dispregio ...»
» > XV » 121: « Poi si riuolse ...»
» » XVI » 135: « A scoglio ...»
» » XVII » 1 1 5: « Ella sen uà notando ...»
» » XVni » 104: «... col muso stuffa. »
» » XIX » 12: « Et quanto giusto ...»
» » XXIV » 119: « 0 potentia di dio ... »
» » XXV » 144: « La nouita se fior la penna ...»
» XXVI » 57: « Alla uendecta uanno ...»
» » XXIX » 120: « DanopnoMynos a cui fallar. . . »
» V XXX » 31: « . . . rimase tremando. »
» » XXXIII % 75: « Poscia più eh el dolor potè ...»
» > XXXIV » 82: « . . . cotali scale. »
A car. 186 r., dopo Y explicit, cx^minm senza titolo
la Canzone del Petrarca:
« Vergine bella che de sol uestita ...»
scritta, come tutte le cose aggiunte che andrò indicando,
in carattere più piccolo; ma della stessa forma com'è
quello del testo di Dante. La detta canzone finisce a car.
187 V.
Da car. 188 r. a 189 v. è una poesia senza titolo
in terza rima, che comincia:
« Imperatrice suroa alta regina
Vergine donna, madre, figlia e sposa
Chiara diana stela matutina ...»
Voi. IV, Pane II. 19
286 A. HIOLA
Finisce :
«... Io mi getto e trabocco io le tue braccie:
Guardarne, dolce madre, da mina:
Sempre toa uoglia io pensi e dica e facia,
Imperatrice summa, alma reina. »
È il Capitolo dì Malatesta dei Malatesti di Pesaro,
che sotto il nome di costui leggesi nel Codice VaticaDo
3212 (a car. 131 v.), e fu stampato fra le Laudi poste
in fine dei Capitoli della Schola de Madonna Santa
Maria della Misericordia in la città de Pesaro (Pesaro,
per Baldassarre de Francesco Gartbularo Perusioo, a di
18 de novembre 1531). Fu ristampato come inedito e
anonimo da M. A. Parenti nel voi XV della Conttrm-
zione alle Memorie di Religione (Modena, Soliani, 1843),
e dì nuovo, in un opuscolo per nozze di pag. 8, da G.
Vanzolin (Pesaro, 1857, pe' tipi del Nobili), che lo ri?eD-
dico al suo autore. (Y.: Zambrini. Op. volg. a stampa
de'sec, XIII e XIV, 4.' ed.)
•
A car. 189 v., in rubrica:
« Ad sumroum pontifìeem Martinum papam quintum. >
Segue un Capitolo, che comincia:
« Aue pastor de la tua santa madre,
Et catolico tempio al nostro mondo,
Aue supremo a noi pastore e padre ...»
Finisce :
«... Perche nel grado si che far lo puoi
Per la tua santità giusta e famosa
Dio te dia gratia saluarte et noi,
Et cosi sia comò el dir chiosa. »
SCRITTURE VOLGARI NEI OODD. NAPOLETANI 287
Autore di questo capitolo è Nicolò Cieco d'Arezzo:
fa stampato dal Lami a pag. 295-97 del suo Catalogus
codicum manmcriptoum Bibl. Riccard.; da F. M. Mi-
gnanti (Roma, 1857 - Opusc. citato dal Biiancioni); da
L. Lenzotti [Poesie inedite di M. Niccolò Cieco da Fi-
renze. Modena, tip. dell' Immacolata , 1867 ). — V.: F.
Flamini. La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai
tempi del Magnifico (Pisa, Nistri, 1891, pag. 701).
A car. 191 ?. , sotto la rubrica e Simonis de Senis »
comincia il Capitolo:
« Come per dricta linea I occhio al sole ...»
composto in lode di Dante da Simone Serdini da Siena,
detto il Saviozzo. Fu stampato più volte , e falsamente
attribuito ad altri, come può vedersi negli Appunti Bi-
bliografici, cbe stanno in fine della monografia di Gu-
glielmo Volpi: La Vita e le Rime di Simone Serdini
detto il Saviozzo, (Nel voi. XV del Giornale Storico della
Letteratura Italiana. Torino, 1890, pag. 43 e 61).
Finisce a car. 193 v.:
«... Con Beatrice a ritrouar le stelle. »
Il presente testo vien pure indicato dal Flamini {Op.
cit,, pag. 740).
A car. 194 r., col titolo: e Simonis predicti. » è
la Canzone inedita del Saviozzo, cbe comincia:
« L inclita fama et le magnifiche opre
De Ihonorata e gratiosa donna ...»
(V. : Volpi. Op. cit. , pag. 60 — Flamini. Op dt. pag. 740).
Finisce a car. 195 r. :
« . . . Et io son certo eh el t aura a grato. »
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r"
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288 A. HIOLA
A car. 195; in rubrica:
€ Gapitulum siue Teniariain Magnifici domioi Con
Àotonii MoDtisfere&ì DrbiDL »
ComìDcia :
« 0 sommo, eterno et infinito bene
Da cui dipende tutto 1 universo
Onde omne dono et omne gratia uene ...»
Finisce a car., 196 v.:
«... E pregoti e
« Àmen. »
Segoe ivi:
« Sonectnm eiusdem domini Gomitis. »
Comincia :
< I saoi piedi 1 una et 1 altra palma . . . . >
Intorno ai suddetti versi di Antonio da Mootefe
il Litta (Famiglia Monte feltro, tav. IL), dopo la biogr
di Antonio, che morì nel 1404, nota quanto segue:
Coltivò le muse, e le sue rime vissero a pie di un coi
della Divina Commedia, che si conserva nella biblioi
di Napoli, ed ora nel 1819 furono pubblicate in Rim
sono di argomento di divozione,
A car. 197 r. , cioè nell'ultima carta del codi'
che è macchiata e consunta, è scritto d'altra mano
carattere corsivo in parte svanito, una Canzone che (
mincia :
« Nel tempo che saturno regno in terra
Regnaua pudicitia et castitade
et con grande honestade
viuea il mondo or pieno di brutura ...»
SCBITTURE VOLQARI NEI CODD. NAPOLETANI 289
In fine, a car. 197 v. è il nome dell' autore : e Ro-
sellQS de Rosellis. ì> Sta anche nel codice Riccardiano
1098, a car. 168 r. (V. : Flamini Op. cit. , pag. 728.)
Dei descritto codice si fa cenno a pag. 20 del Catalogo
deir Esposizione Dantesca, e a pag. 52 della Notizia della
Biblioteca Nazionale di Napoli. Il Batines ne dà notizia
sotto il numero 405 della Bibliografia Dantesca (Tom.
2.'' pag. 220) — In una lettera di Urbano Lampredi,
che sta nel voi. IV (pag. 171-175) della Div. Comm.
edita in Roma dal De Romanis nel 1815-17, si parla di
questo nostro codice a proposito di una variante che vi
s' incontra nel verso 134 del canto XXVI del Paradiso.
Vien pure citato da Luciano Scarabelli nel voi. I
(pag. LXI) dell' Esemplare della D. C. donato da Papa
Benedetto XIV allo studio di Bologna etc. (Bologna, Ro-
magnoli, 1870. In Coli, di op. ined. o rare). Ivi son ri-
portate, giusta la lezione del presente codice, le prime
sei terzine del canto XIV dell' Inferno.
Il Copista Giovanni De Gambis di Borgo S. Donnino
è menzionato sulla fede dell' Andres dal Pezzana (Con-
tinuazione delle Memorie degli Scrittori Parmigiani.
Parma, 1827. Tom. VI, par. 2." pag. 272.)
XIII. C. 3.
Codice cartaceo del secolo XV, alto cent. 33 7? e largo
23, di carte 208, le quali a cominciare dalla car. 156
sono macchiate per umido. La scrittura è corsiva can-
celleresca tutta in nero. Lo spazio per le iniziali mag-
giori e per le rubriche fu lasciato in bianco. Alla prima
e all'ultima carta (1 r. e 208 v.), nel margine inferiore,
è scritto in carattere presso che illegibile, che pare del
secolo XVII :
< Per Inventario. N.' Gennaro Antonio Zorlosia. »
290
A. moLk
Qaest' ultima parola è ripetuta in carattere chiaro a
pie dell'ultima faccia.
Contiene la Divina Commedia, mancante dei primi
48 versi dell' /»/ì?nio.
Comincia :
< . . . Ed ana lupa che di tutte brame
semblaua carcha nella sua magrezza
et molte gente fé già uiuer grame ...»
A car. 21 v. rimase interrotto il canto X deWInfemo
ai verso 120. Altra mano di poco posteriore aggionse
l'ultimo verso; mentre a margine è notato in carattere
moderno :
< Qui mancano cinque terzine. »
A car. 205 v. finisce l'ultimo canto del Paradiso.
Dopo è aggiunto in carattere che pare del secolo
xvm.
€ Fine deDa Divina Commedia di Dante Alighieri sovrano
Poeta fiorentino. Deo Gratias Beataeque Marìae semper vi^im. >
La lezione dei punti critici, secondo il nostro testo,
è la seguente:
Inferno Canto
n V. 60:
»
»
D » 93:
>
»
m » 59:
>
»
IV > 95:
»
>
V » 59:
»
»
V> 83:
»
»
VI » 18:
»
»
Vm * 101:
»
>
IX» 64:
»
»
X » 136:
»
»
XI» 90:
«... quanto 1 moto ...»
« Et fiamma ...»
« Uidi et conobbi ...»
« Di quel singnor . . . >
« Che succedette ...»
« Con 1 ali alzate ...»
« . . . ingoia edisquatra. >
* E se il paxar ...»
«... torbide onde »
< . . . face spia con suo leco. >
« La diuina uendetta . . . >
SCRITTUBB VOLGARI NEI CODD. NAPOLETANI 291
NFERNO Caoto XI » 91: « 0 sol che sani ogni cosa ...»
» » XII » 125: « Quel sangue si che cocca ...»
» » XIII » 41: « Da 1 un de capi ...»
» » XIV » 70: « Dio in disdegno ...»
» » XV » 121: « Poi si riuolse ...»
» » XVI » 135: « 0 scoglio ...»
» » XVII » 115: « Ella sen uà rotando ...»
» » XVIII » 104: «... col muso iscuffa »
» » XIX » 12: « Et quanto insto ...»
» » XXIV » 119: « 0 potentia di dio ... »
» » XXV » 144: « La nouita se fior la lingua ...»
» » XXVI » 57: « Alla uendetta uanno ...»
» » XXIX » 120: « Danno Hìnos ad cui fallar ...»
» » XXX » 31: << . . . rimase tremando »
» V XXXIII » 75: « Poscia più che 1 dolor potè ...»
» XXXIV » 82: «... si facte scale ...»
Da car. 206 r. a 208 r. è il Capitolo più volte
)obblicato di Iacopo Alighieri. Gomincia:
« 0 voi che sete dal verace lume
alquanto inluminati nella mente ...»
Ha questo titolo scritto dalla stessa mano che ag-
l^iunse la sottoscrizione in fine del codice.
€ Capitolo di Iacopo figliuolo di Dante Alighieri scrìtto
sopra la Divina C!ommedia di Dante suo padre. »
(V. : Catalogo dell' Esposizione Dantesca in Firenze,
pag. 76. — Notizia della Bibl. Naz. di Napoli, pag. 54.)
XIII. C. 4.
Codice membranaceo del secolo XIV, alto cent. 30 V2
e largo 22Vs« di carte 44 tutte più 0 meno macchiate
e consumate negli orli per il lungo uso. Talune carte
sono rotte, fra cui le ultime tre mostrano i segni d' es-
I ,
l'i
i
292 A. MIOLA
sere stato il codice tenuto od tempo senza legata
luogo umido. Forse rimonta a quel tempo la dispe
dei quaderni ora mancanti; mentre quelli che ava
credo sieno stati messi insieme e rilegati tra la fio
XVII e i principii del XYI1I secolo. La scrittura (
tìca dai tratti angolosi e dall' andamento svelto e s(
Le iniziali minori son piccole e spesse, e sono <
sobriamente in rosso e azzurro : le maggiori son co
e dorate con parsimonia. La legatura è in semplici
gamena senza alcun segno di provenienza.
Contiene frammenti della Divina Commedia, acc
guati da disegni a penna, che sono 76, ed occupano il
gine inferiore delle carte da 1 r. a 38 v. Le car. 39-4
hanno disegni. Il genere poi di essi, i tipi, i costumi, n
ingenuo non scompagnato da una certa vigorìa di
li rivelano non posteriori al tempo in cui fu seri
codice, cioè al XIY secolo. Nel mal governo che fi
del codice anche i disegni ebbero a sofflrire la
loro : molti ne furono deturpati e alterati nei coi
con sovrapposizioni d' inchiostro : altri furono in
parti tinti di rosso.
La numerazione delle carte, quando il codic
integro, ricominciava da capo in ciascuna delle tre
tiche: essa fu posta da chi scrisse il codice nel e
del margine superiore in cifre romane maiuscole d
[or rosso. Quel che rimane di tale antica numera
è: XXI-L (Inferno); XIl-XVIIII (Purgatorio); LI
(Paradiso), e in fine II-IIII, la quale ultima serie (
sponde ai Capitoli di Iacopo Alighieri e di Bosod
Gubbio. Rifacendoci ora dalla 1/ carta, secondo la
merazione attuale, nel margine superiore di essa è s
in carattere del XVII-XVIII secolo :
« Comincia il Canto XIV dell'Inferno e siegue s
quasi tutto il Canto XXXII. >
SCBITTUBE VOLOABI NEI CODD. NAPOLETANI 293
Simili Dote, indicanti le parti esistenti delle tre can-
(^he, SODO a capo di ciascun frammeDto, e dimostraDO
^oipre più che le lacuDe non sono posteriori al tempo
idicato.
Il frammento dell' Inferno comincia dunque dall' ul-
mo verso del cauto XIII:
« Io fei giubbecte a me de le mie case. »
Segue :
€ Capitulo xiiij.^ »
« Poi che la carità del Datio loco . . . >
Finisce a car. 30 v. col verso 132 del canto XXXII :
«... che qui (sic) facea il teschio et 1 altre cose. »
A car. 31 r. comincia il frammento del Purgatorio
)I verso 118 del canto VII:
< Che Don se puote dir de 1 altre rede ...»
Finisce a car. 38 v. col verso 126 del canto XII:
« . . . ma fie dilecto lor esser sopiDti. » .
A car. 39 r. comincia il frammento del Paradiso
il verso, 100 del canto XXXI:
« Et la regina del ciel ond io ardo ...»
Finisce a car. 41 v. col verso 72 del canto XXXIII :
«... possa lasciare a la futura gente. »
A car. 42 r. comincia ud frammoDto del Capitolo
[ Iacopo Alighieri dai versi:
294 A. HIOLA
« Et propriamente nel secondo a lesi
gì inuidiosi cum insta uendecta
nel ter^ gli iracundi fa palesi ...»
Finisce a car. 42 v., e ivi segue il noto Capitolo
attribuito a Bosone da Gubbio. Comincia:
Capitulo IL »
« Peroche fia più fructo et più dilecto
a quei che si dilectan di sauere
de 1 alta comedìa il uero intellecto ...»
Finisce :
«... Fortificando la cristiana fede. »
Accanto al testo dantesco s' iacontrano talune Dote,
otto in tutto, scritte in latino in carattere corsivo gotico,
ossia curialesco della fine del XIY secolo o dei prìncìpii
del XV. Stanno nei margini delle carte 1 r. , 2 v. , 3 r. e
3 V. Ecco, per darne un saggio, la prima che si riferi-
sce ai versi 13 e seguenti del canto XIV deìV Inferno.
« Hic ponit lucanus in viiij libro post mortero pompey.
Fuit capitaneus gentis romanorum Cito et ibi in libia puogna-
uit cuno cesare et perdidit : tunc iratus cato fuit ad vnum ca-
strum et ibi fuit obsessus a cesare: lune videns se non posse
euadere sumpto veneno se necauit. Ille locus in libia erat io
libia (sic) ubi fuit dieta pungna : erat ualde arenosus sic dìcit
quod erat iste locus in inferno. »
Le lezioni dei punti critici, cioè di quei pochi che
offre il franunento della prima cantica, contenuto in questo
codice, sono le seguenti:
Inferno Canto XIV v. 70: « Dio in disdegno ...»
» » XV » 121: « Poi si riuolse ...»
» » XVI » 135: € 0 scolilo ...»
SCGEUTTUBE VOLGARI NEI OODD. NAPOLETANI 295
^nnsBNO Canto KVII » 115: «Ella sen uà notando . . . >
(U prisi n di notando è eiputo e soititiiU di a r)
> » XVIII » 104: «... col muso stuffa. »
» » XIX » 12 « Et quanta iusta ...»
» » XXIV » 119: « 0 potenza di dio ... >
» » XXV > 144: « La nouita se fior la pena ... »
» > XXVI > 57: « Ala uendecta uanno ...»
» )^ XXIX » 120: « Dano minos a cui fatar ...»
» » XXX » 31: « . . . rimase tremando. »
Un breve cenno del presente codice trovasi nel ci-
ato Catalogo ìqIY Esposizione Dantesca in Firenze (pag.
9) e nell'Appendice alla Notizia della Bibl, Naz. di
VapoU (Ed. cit. pag. 53) — Lo Scarabelli (Ed. cit.
[ella D. C. pag. LXI) riporta le prime sei terzine del
^IV canto AeìV Inferno, tratte da questo codice.
[in. e. 7.
Codice cartaceo del secolo XV, alto cent. ^ e largo
1, dì carte 175. Le prime e le ultime carte sono mac-
biate. Il carattere è corsivo di forma tonda e ritta. Le
nbriche sono in rosso, e la prima iniziale, a car. 1 r.,
dorata e intrecciata con fregi leggermente colorati, che
rendono lungo il margine. Il luogo destinato alle altre
lizìali maggiori rimase in bianco. L' antica legatura in
tgno col dorso di pelle è in cattivo stato. Nella faccia
ìterna della guardia anteriore si leggono , fra varii
gorbii, i seguenti nomi, scritti in rozzo carattere del XVI
ecolo, dai quali si può trarre qualche indizio intorno
gli antichi possessori del codice.
« io sonno mesere nicholone de chasa del baldescha. »
^ io sonno mesere alberto de chasa del conte gulino da
larsano. »
« io sonno mesere baldo de casa de ubal[d]is. »
« io sonno mesere dardeno de casa de baldescha. »
296 A. MIOLA
« io SODDO I sere ceco de la duco de I acerbe. »
« io so madoDDa ciance crispolti. »
Nel codice si coDliene la Divina Commedia, cod
rare note marginali in latiDO, di carattere più piccolo e
alquanto diverso da quello del testo; ma del medesimo
tempo.
A car. 1 r., in rubrìca:
« iDComcDcia la comedia di Daote Alleghieri de fioreme
[dc] la quale si tracia de le pCDC et poDimeoti de vidi et de
meriti et premii de le virtù. GaDto primo de la prima parte la
quale se chiama luferao nel quale 1 auctore fa prohemio a to-
cta 1 opera. »
Comincia :
« Nel meczo del camin di nostra vita
He ritrouai per vna selua scura
Cbe la denota strada hauìa ismarrìta ...»
Innanzi a ogni canto è l'argomento in volgare,
scritto in rubrica.
A car. 59 r. finisce la prima cantica. Seguono tre
pagine bianche, neir ultima delle quali è una nota bio-
grafica su Dante scritta in latino. Comincia :
« Dantes Aldigfaerìus poeta florentinus fuit maiorum san-
guine vir generosus de aldigfaeriis nobilibus de ferrarìa ...»
A car. 61 r.:
< Comen^a la seconda commedia di dante chiamata Pur-
gatorio doue se purgano li commessi peccati di quali 1 omo e
confesso e contrito. Questo primo canto tracta de I honesta doue
se introduce Catone homo honestissioio et tracta de le quatro
virtù cardinale. »
SCRITTUBE VOLGARI NEI OODD. NAPOLETANI 297
A car. 118 v. fìnisce la seconda cantica, e dopo due
carte bianche comincia la terza a car. 121 r., con la
rubrica :
< Gomenza la terza caDtica di Dante chiamata Paradiso
nella quale I autore tracta de la celestiale gloria et de 1 anime
beate et de li meriti et premii dei sancti. Et in questo primo
canto se fa prohemio. »
Finisce a car. 175 v. , dove in fine è questa sotto-
scrizione :
« Expletum scribi die xiij.^ lulii 1463 in castro plebis. »
Le lezioni dei trenta punti critici son queste :
Inferno Canto I v. 4: « Hay quanto a dire ...»
V » I » 28: « Poi che posato un poche ...»
Comtti : eh ebbi ripotato.
y> » I >» 48: < Si che paria che 1 aier ne temesse»
» » II » 60: « . . . quanto I moto ...»
» » II » 93: « Ne fiamma ...»
» » III » 59: « Uiddi et conobbi ...»
» > IV » 95: « Di quei signori ...»
V » V » 59: « Che succedecte , , , >
» V » 83: « Con I ale alzate ...»
» » VI » 18: « . . . ingoglia et disquadra. »
» » Vili » 101: « Et se I passare ...»
» » IX » 64: « . . . turbide onde. »
» » X » 136: «... sentir suo lezo. »
» » XI » 90: « La diuina vendetta ...»
» » XI » 91: « 0 soleche sane ogni vista ...»
» » XII » 125: « Quel sangue si che copria ...»
» » XIII » 41: « Da vn dei capi ...»
» » XIV » 70: « Mio a sd^no ...»
» » XV » 121: « Poi se riuolsi ...»
» » XVI » 135: « A scoglio ...»
V )» XVII » 115: «Ella sen va notando ...»
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lOi: «... eoi naso sdiiifi
1% < Et qnurto giusti . . .
119: «0 poCeotn de dio . .
144: e La DOinta si f oor la pei
S7: < A h TeodecCa fanoo
130b < Dnoo Mnios ad coi £d
31: « . . . rimase tremaodo
75c e Pòscia pio eh d dolor pò
82: «. . . eolak sdiale. »
iT.: Catdogo deT E^osùitme Damiesca in F
paf . 31. — AbAtMi ddla BM. Sax. di NapoU, p
xm. e 9.
Codke cartaceo della Gne dei secolo XV, aU
32 e tarso 21. dì carte 77, scritte io corsi?o. £ h
oartooe rivestito di tela. Nella faccia interna della
anteffìore è scritlo:
« Di som PbBleaieoL HDLXXX. >
ed ÌD qKfta deBa guardia posteriore:
^ Mi eoisia lire 8 di moneta di Genova. »
A car. I r:
< Vita nona dei Prechrissìmo Poeta Dante Alighi
« b qneBa parte del libro de b mia memoria din
qinie px^bo si pocrebe leg\?r^ si trooa una rubrica Ia(
hoipìt aiti Qooa sono h qoal rubrica io trono scritte
k quali è mio intendimento d* assempiare in questo libr
A car. 27 r. finisce:
«... spero di dir di lei quello che mai ooo fu dette
Cina, e p>i piaccia a colui ebe è sire de b cortesia cb
anima se ne poiea f^ir a nedere b gloria de b sua do
SCRITTURE VOLGARI NEI CODD. NAPOLETANI 299
di quella beDedetta Beatrice la quale gloriosamente mira ne
faccia di colui cui est per omnia secula benedictus. »
« Finis. »
A car. 27 v.:
« Canzoni del preclarissimo Dante Àldigierì. »
« Cosi nel mio parlar uoglio esser aspro ...»
Segue:
« Canzone seconda. »
« Voi che intendendo '1 terzo ciel monete ...»
« Canzone terza. »
« Amor, che ne la mente mi ragiona ...»
« Canzone quarta. »
« Amor che moni tua uertu da '1 cielo ...»
« Canzone quinta. »
« Le dolci rime d' amor eh' io solia ...»
« Canzone sexta. »
« Io sento si d' amor la gran possanza ...»
«ir Canzone septima. »
« Al poco giorno et al gran cerchio d* ombra ...»
« Canzone octaua. »
« Amor tu uedi ben che questa donna ...»
« Canzone nona. »
« Io son uenuto al punto de la rota ...»
« Canzone decima. »
« E me incresce di me si malamente ...»
« Canzone undecima. »
« La dispietata mente che pur mira ...»
< Gaunone qoaita decima. »
« Amor da che ooooieQ pur eh' io mi (
« Gunooe quinta decima. »
e Posda che amor de 1 tatto m' ha la
A car. 47 ?.:
« Flnise k Canzone di messer Dante. >
A car. 48 r.:
« Sonetti dd medesimo Dante. »
e So. L »
«
0 dold rime die parlando andate .
e So. ij. »
E^ non è l^no de si forti nocchi .
e So. iij. »
« Beo dico certo che non è riparo .
« So. iiij. »
« Io son si nagho de la bdla luce .
< So. V. »
« Ne le man nostre dolce donna mia
< So. fj. »
< Oli guaniarà giamai senza paura .
< So. TÌj. »
SCRITTURE YOLOARl NEI CODD. NAPOLETANI 301
Segue :
« Risposta di manoel giudeo. »
« Io che trassi le lagrime dal fondo , . . *
« Del medesimo Manoel Giudeo. >
« Amor non lesse mai Taue Maria. »
« Risposta del medesimo Messer Bosone al Sonetto di
tsser Gino essendo morto Dante et Manoel Giudeo. »
« Manoel che mettete in quello anello ...»
A car. 50 v. :
« Cose di Miser Gino da Pestoia. »
« Di Zampa Ricciardi sopra la morte di messer Gino. »
« Morto è colui eh' era arca della legge ...»
« Messer Mula de Muli a Messer Gino. »
« Homo saccente a de maestro saggio . . »
A car. 51 r. :
« Ganzoni di messer Gino da pistola. »
« La dolce uista e M bel sguardo soave ...»
Segue :
« Ganzone 2.* »
« Non spero che giamai per mia salute . . »
« Ganzone 3.* »
^ Degno son' io di morie ...»
« Ganzone quarta. »
« Io che ne 1 tempo reo ... »
« Ganzone quinta. »
« Angel di deo somiglia in ciascun atto ...»
Voi. IV, Parte II 20
SCBITTURE VOLGARI NEI CODD. NAPOLETANI 303
« So. VJ. »
« Questa donna che andar mi fa pensoso ...»
€ So. vij. »
« Voi che per nona uista di fierezze ...»
< So. viij. »
« Lo fin piacer di quel adomo uiso ...»
« So. ix. »
^ L'anima mia che si uà |)eregrina ...»
« So. X. »
« Se mercè non me aita il cor si more ...»
« So xj. >
<x In disnor e uergogna solamente ...»
« So xij. »
« Ohymie lasso hor sonni tanto a noia ...»
« So. xiij. »
« Gli uostri occhi gentili e pien d' amore ...»
« So. xiiij. »
« hi bella donna che 'n uertu de amore ...»
« So. xiiiij. »
^ Vedut' han gli occhi miei si bella cosa ...»
« So. xvj. »
'< Bene è forte casa M dolce sguardo ...»
*< So. xvij. »
« Una donna mi passa per la mente ...»
« So. xviij. »
« Auenga che crudel lanza intra uersi ...»
304 A. MIOLA
« So. xix. »
^ C^dì alegro penser che alberga meco ...»
« So. XX. »
« Madonna la beitè oostra infollio . . »
A car. 64 v. :
« Finiscono e sonetti di messer Gino da Pistoia. »
Segue :
« Del Medesimo. »
« Madonna la piotate ...»
A car. 65 r. :
« Canzoni di Guido di messer Gaualcante. »
« Donna mi priegha per eh' io uoglia dire ... «
Segue :
« Canzone 2. >
<K La forte e nona mia disauentura ...»
« Canzone 3. »
« Veggio ne gli occhi de la donna mia . . . >»
« Canzone 4. »
« Poi che di doglia 1 cor conuien eh' i |)Orti . ■ ■ *
« Canzone 5. »
« Quando di morte mi conucn trhar uira ... *
« Canzone 0. »
« Io priego noi che di dolor parlate ...»
« Canzone 7. »
<( Gli occhi di quella gentil forosetta ...»
SCRITTURE VOLGARI NEI CODD. NAPOLETANI 305
« Canzone 8. »
« Io non pensaua che Io cor già mai ... »
« Canzone 9. »
< Era in penser de amor quando trouai ...»
A car. 70 v.:
« Finischono le canzoni di guido di messer Caualchante.
minciano e sonetti del medesimo. »
Seguono i sonetti:
« Per gli occhi fere un spirito sotile ...»
« Morte gentil rimedio de cattiui ...»
« Voi che per gli occhi mi passaste il core ...»
< Veder poteste quando ui scontrai ...»
« Vn amoroso sguardo spiritale ...»
« Se mercè fusse amicha a miei disiri ...»
A car. 72 r.:
« Finiscono e sonetti di Guido di messer Caualcante. »
A car. 72 v. :
« Canzone di Guido Guinicelli Bolognese. »
« Madonna M fm Amor eh' io ui porto . . »
Segue :
« Canzone ij. »
< Al cor gentil ripara sempre amore ...»
A car. 74 r. :
« Canzoni di Guiton da Rezzo. »
^ Se de uoi donna agente ...»
(Continua)
BIBLIOGRAFIA
SUPPLEMENTO
ALLE
OPERE VOLGARI A STAMPA DEI SEC. XIII E XIV
INDICATB B DESCRITTE
DA FRANCESCO ZAMBRINI (*)
PnbbUcBZlonl del 1889.
1. // cantico del sole nel XV secolo [pubblicato da
M. Faloci Pulignani nella Miscellanea Francescana^ voi.
IV, 1889, pp. 87-88].
Rida il testo del cantico secondo un ms. della Francischina del
coDTento di S. Marìa degli Angeli presso Assisi.
2. Amedeo Crivellucci , / codici della libreria rac-
colta da S. Giacomo della Marca nel convento di S. Ma-
ria delle Grazie presso Montepradone. Livorno, tip. Giusti,
1889; 8^ pp. HO.
Dal codice 41 riporta (p. 74) il cantico attribuito a S. Francesco:
In foco l'amor mi mise (ci. 1888 n. 4). — Ree. N. Antologia, CIV,
384; Giorn. stor., XIH, 425.
3. Ballata di fra- Jacopone [pubbl. da G. Biadego
per la laurea di Felice Bertoldi]. Verona, tip. Franchini,
1889; 8^ pp. 13. — Ed. n. v.
Jesu nostro amatore , Tu prehendi et nostro core: dal cod. 517.
519 della Comunale di Verona, ms. del sec. XV. « Di questa lezione si
servi il p. Bartolomeo Sorio nella sua Laiula di fra Jacopone da Todi
(*) La direzione del Propugnatore sarà grata agli studiosi che vor-
ranno contribuire a questo Supplemento, inviando giunte e correzioni, e
le nuove pubblicazioni contenenti antiche scritture volgari, le quali d'ora
innanzi si potranno spedire direttamente al compilatore doti S. Morpurgo
{Firenze, Via de' Conti, ii).
308 SUPPLE|[ENTO ALLO ZAMBRINI PEB IL 1889
non registrata nella ediz. del TresatH, tratta dai manoscritti {Ofucà
religiosi e letterari di Modena, V, 221-33).
4. [Landa di Jacopone pubblicata da Alessakdro
Bellucci per le Nozze Sebastiani' Parenti]. Rieti, tip.
Faraoni, 1889; 4^ pp. 4. — Ed. n. v.
Jesu nostro Signore, Prendi i nostri cory: dal cod. G. IL 5 del
monastero di Fonte Colombo presso Rieti, dove la sacra ballata s' uni-
tola Laus de coreis Paradisy,
5..L. Leònij, Cronaca dei vescovi di Todi, Todi»
F. Franchi, 1889; 16^ pp. V-215.
Vi si legge (p. 72) una ballata attribuita da taluno a Jacopone,
e composta per la traslazione delle ossa di S. Fortunato in Todi (^297).
Comincia :
Laudamo de bon core,
Todini, con alegranza
padre nostro e speranza
Fortunato pastore.
L'editore non indica la fonte onde Tha ricavata.
6. Laudi dei disciplinati di Gubbio [pobbL da G.
Mazzatinti nel Propugnatore , N. S. , voi. II , p. i]. Bo-
logna, tip. Fava e Garagnani, 1889; 8"*, pp. 54.
Da un ms. raembr. del sec. XI V, posseduto già dall'editore, ora
passato alla Biblioteca Landau. 1. Venete a pianger coni Maria; t io
so' Christo salvatore ; 3. Torniamo a ppenetenza ; 4. 0 superbo e rego-
glioso; 5. Venne Christo humiliato; G. L' alto Dio si n'abbi ghvto;
7. Puoi che facto ave lamento; 8. Dio te salvi. Maria; 9. 0 fratfUi,
or ce pensate (segue nel codice una considerazione sulla PassioDe, io
latino); 10. Levate li occhi e ressguardate ; 11. Or ve piaccia rf'flicol-
lare; 12. 0 discipoli della croce; 13. Ciascheuna anima devota. Al*
r infuori deir Vili e dell' ultima, che sono ballale, si compongono di sestine
d'ottonari più o meno regolari, rimate ababcc. Le prime tre (per errore
il Mazzatinti scrive quattro) erano già stale edite da G. Padovan (ci.
1884, n. 4), la VI, VII e Xll avea pubblicale il Mazzatinti nel Gitw«'
di filologia romanza, n.*» 6, pp. 99-101 (cf. OK. Ap. 82), la X egli
stesso nel Serto di olezzanti pori raccolti da F. Zambrini {0^. •'!/'■
147). Di mano più moderna sono nel dello codice, e furono riprodotte
POESIA REUGIOSA E MORALE 309
qui oelle premesse, due laudi di S. Tommaso: 0 beiacto Tomasso (3
strofe: sirventese?), e Laudiamo con humillà Sanclo Tomasso beato,
la quale ultima riproduce la stessa materia della lauda XIII. Notiamo
ancora lo scenario di una rappresentazione di S. Mariano e di S. Jacopo,
data a Gubbio nel 1447, che il Mazzatinti ricava da un ms. cinquecentista
della Sperelliaoa.
7. Laudi Francescane dei disciplinati di Cortona
[pubbl. da G. Mancini nella Miscellanea Francescana, voi.
IV, 1889, pp. 4«-54].
Dalla prima parte del cod. cortonese 91 pubblica le laudi XIX,
XIX bis, XXXVIII-XL (cf. 1890, n. 1); dalla seconda ristampa quella del
b. Guido Vagnotelli (cf. 1884, n. 3) e ne produce una per S. Marghe-
rita di Cortona : Allegramente e de buon cor con fede. Per le laudi XIX
e XXXIX-XL soggiunge le varianti dei mss. magliab. II. I. 122 e 212,
onde ricava anche tre altre sacre ballate: 1. Sancto Francesco, luce
della gente; 2. Radiante lumera; 3. Sancta Chiara, nova stella,
8. Frammenti di laudi sacre in dialetto ligure antico
pubblicate da Paolo Accame (Estr. dagli Atti della So-
cietà ligure di storia patria, voi. XIX, serie II). Genova,
tip. Sordomuti, 1889; 8'', pp. 28, con tav. litografica.
Tre coperte membranacee dell* archivio parrocchiale di Pietra Ligure,
donate da quell' « ottimo prevosto » air editore, contengono 10 laudi-bal-
late frammentarie, sei delle quali già note secondo altro testo genovese,
ma più moderno, edito da V. Crescini e G. D. Belletti nel Giornale Li-
gustico (cf. OV, Ap. 83). 1. « abrazando lo segnor, per la boca lo
baiava », iramm. corrispondente alla laude XXV della edizione cit. ; 2.
Zoane da De mandao ; 3. Salve regina sovre li angeri exaitata
(ed cit , lauda IX) ; 4. Laudemo lo creatore, Ancoi nasce Maria; 5. Lau-
dato sea Christe, E la Vergem Maria (ed. cit, XIV); 6. Madona santa
Maria, Maire sei de li peccaor (ed. cit , X) ; 1.0 vergem gloriosa, sem^
pre seai laudata (ed. cit, XI); 8. e ... 0 spirito biao. Pregai per li
peccaor » (framm. acefalo: lauda di S. Maria Maddalena); 9. 0 Sam
Francesco glorioso, Paire de li Frai menor (ed. cit., XIII); 10. Quando
tu t' akgri, homo, da iatura, la notissima laude attribuita a Jacopone ;
ma qui non va oltre il v. 12. Anche la II, IV e Vili sono rifacimenti di
laudi iacoponiche. La IX fu riprodotta nella Miscellanea Francescana,
voL V (1890), p. 72.
i
1
r
Hi
1
'
310
SUPPLEMENTO ALLO ZAMBRINI PER IL 1889
9. Lauda inedita di Matteo Griffoni [pubbl.
Casini nel Propugnatore, N. S. , voi. II, 1889, p.
300-303].
Ballata, che comincia: Beyna preciosa, Matre de Yes
omnipotente , e finisce : e Piacciate de chiamare Mattheo G
Et farli dare perdono Dal tuo figliuol benigno d*ogni cosa ». D
Riccardiano 1121.
10. Lauda di San Francesco composta da S
stofano di Gano Guidini da Siena [pubbl. da M.
PuLiGNANi nella Miscellanea Francescana^ voi. FV
pp. 129-32].
Un codice della Biblioteca Comunale di Rieti, scrìtto nel
Pagolo di Jacopo di Guido Puccini da Castel S. Giovanni, notai
ciale di Cristofiaino Bugliaffo Bugliaffì podestà per Firenze a l
guano, contiene 78 leggende « sobrevità ridotte in rima » otta?
Crìstofano di Gano Guidini (cf. OV. 497), notaio dell' ospcds
Scala, che le verseggiò nel 1404. Per saggio di questa raccolta
Pulignani pubblica la leggenda di S. Francesco, che com. : Frc
servo et amico di Dio, e consta di 19 ottave.
11. V. De Bartholomaeis , Ricerche abruzzei
Bullettino delV Istituto storico italiano, num. 8,
pp. 75-173].
In appendice al primo capitolo, dove descrìve / codici cap
che si conservano, in numero di 61, nel reliquiarìo di S. Gio^
Capistrano, pubblica tre laudi-ballate: 1. Spiritu sanctu amore. Coi
eterno; 2. Vergene matre pia Omne homo se inclina ad te der
(dal ms. 19); 3. Festa facciamo di tutti gli sancii (dal ms. 31),
passi di laude iacoponiche citate in due sermone
24 e 30). Nel cap. 11 descrive Un codice del convento di San
d' Ocre, ora nella Bibliot. V. Emanuele di Roma (num. 37), e r
un sermone drammatico, nel quale sono riferite sette qui
volgare. Nel cap. HI pubblica dal codice Corsiniano 43. B. 31
fico poemetto sacro abruzzese , sulla storia della Passione , com
137 quartine monorime, che forse sono da attribuire allo stessa
della Leggenda di S. Margherita d' Antiochia pubblicala dal
(cf. 1885, n. 7). Comincia:
I
Ji
POESIA RELIGIOSA E MORALE 311
Eterno dio che '1 del firmasti
Tucti elementi diprese allocasti
E lucibello allora creasti
Per la superbia tu lu cacciasti
Nel cap. IV, Sui sermoni semidrammatici abruzzesi, presenta una laude
dialogata: Oymè dolente sconsolato, dal ms. D. 2. 24 delP Angelica di
Roma, e, dando conto di due prediche abruzzesi drammatizzate, riporta
alcuni saggi delle liriche religiose che infarciscono quei sermoni. — Gf.
Giom. star,, XV, 313.
12. Un Bestiario moralizzato, tratto da un mano--
scritto eugubino del sec. XIV a cura del doti, G. Maz-
zATiNTi: nota di E. Monaci [negli Atti della R. Acca-
demia dei Lincei, anno CCLXXXVI, 1889, serie 4.*, voi.
V dei Rendiconti (r semestre), pp. 718-29 e 827-41].
Da un codice membr. dei primi anni del trecento, onde il Mazza-
tinti pubblicò già alcune Poesie religiose (cf. OV. Ap, 126). Il bestiario
consta di 64 sonetti, che ciascuno moralizza sopra un animale; e primo
il leone : Lo lion è de si nobile natura. Ancora il leone nel son. %^ ;
poi Talifante, l'unicorno, la yenna, la serta, la volpe, lo riccio, il ca-
storo, la formica, T antalupo, la capra , il satiro , il cervo , la pantera ,
la tigra, il mosteto, Torsa, il bonatio, il linceo, la donnola, la lam-
mia, la scimmia, la mantiocora, la ale, lo lupo (2 son.), lo cane,
Taignello, lo porcelletto, la pontecha, lo raigno, lo grifone, l'aquila, la
tortore, lo corbo, la perdice, li falcomcelli, il calandro, lo pellicano, lo
lampo, l'ales, la noctola, le serene, la gallina, lo paone, l'aucello ca-
melon, la luppica, lo stru^, le api, la mosca, l'arzillo, lo gufo, lo par-
palione, la lodola, lo nibbio, l' usignolo , l' avolloio , la balena , la sala-
mandra, la vipera, lo dragone, V aspido, e il tiro. La composizione risale
al secolo XIU (i sonetti hanno le quartine a rime alterne): le forme dia-
lettali accennano alla regione umbro-aretina, e, secondo il Monaci, più
particolarmente al territorio di Città di Castello; però in appendice si
producono a confronto tre laude dei disciplinati di Sanse-
polcro, da un codice dell'ospedale di S. Bartolommeo di quella città,
ms. del sec. XIV: 1. Laudiamo nocte e dia; 2. Saludiamo Jhesu Xpisto;
3. Ave Maria de gratta piena. Stella serena del nostro Signore, Tutte
e tre ballate. — Ree. liiv.: Crit., VI, 17; Zeitschr, fUr rom. PhiL,
XIII, 601.
312
SDPPLGIIGNTO ALLO UMBRI NI FSft IL 1889
I
I
I
I
i
13. // Tesoro di Brunetto Latini versificato : m
di Alessandro D' Ancona (Estr. dalle Memorie della
di scienze morali, storiche e filologiche della R,
dei Lincei, serie IV, voi. IV, p. i). Roma, tip. d(
cademia dei Lincei, 1889; 4"", pp. 166.
Indica e descrìve due differenii redazioni del Tesoro Yersifii
più antica, sebbene rappresentata dal codice più recente, cioè il
679 (sec IVI) , 1* altra più moderna e più ampia , conser
cod. Pandatichiano 28, ms. del sec XIV, che negli ultimi Tei
la data del 1310 e il nome di Fra Mauro da Poggibonzi,
sitore, 0 fors* anche semplice trascrìttore di queste rime. Ent
Tersioni constano di Tersi irregolari, che qua e là paiono end<
ma che più spesso son fuorì d'ogni giusto ritmo italiano; rimani
pie, e le rime danno certo indizio della preesistenza di una
poetica francese, dalla quale bisogna credere che deriTassero qo
in Tolgar nostro. Assai spesso esse si scostano affatto dall*orig
Tesoro per ampliare o aggiungere varie leggende; e su queste :
tiene particolarmente il D* Ancona, riportando, oltre a minori s;
hu^ squarcio sulla storia di Alessandro Magno (pp. 27-32), \
relatÌTo alla legenda di Costantino e S. SilTestro (pp. 34-52) <
troTamento dei corpi di S. Piero e S. Paolo (pp. 54-62), un I
Maometto (pp. 68-69), onde toglie occasione a uno stadio
irggfmda di ìhùmetlo in Occidente (pp. 70-119), che fu s
anche a parte nel Gior», stor, d. lett. il., Xlll, 199-281. In
molli sagjH della parte storia del Tesoro (pp. 120-51), e in ap
riproduce da tutti gli antichi commenti danteschi le chiose re
Mjometlo {hf. XXVIU). — Kec.: .V Anto!. CV, 795; Riv. Crii.,
Arck, trodtz. pC'p.. Vili. 111.
14. i> antiche rime volgari secondo la lezion
codice vaticano 3793, pubblicate per cura di A. D'A
f» D. CuMPARETTi. Voi. V, con aggiunta di annoti
chtick^' del prof. T. Casini. Bologna , RomagDoli-Ds
qua. 1888 [1889]; 8*, pp. 541.
or. ISS»\ lì. V». Ou^^"^ volume, col quale si compie la pubbli
dei JTin taaioniere valicano, contiene 297 sonetti, numerati DCClll-C
uoi quali 46 x^do attribuiti a Chiaro Davanzali, 1 alla Coo
Romelia, t i Federigo Guaiterottl, 20 a Guitton d*A
ì;
URICI DEL SEC. XIU 313
i a Lapo del Rosso, 2 a Maglio, 1 al Guinizelli, 6 a Mess.
Lnmberluccio Frescobaldi, 1 a Mess. Piero Asino, 8 a Mess.
Ubertino Giovanni del Bianco d^Àrezzo, 1 a Minotto di
Naldo da Colle, 44 a Monte Andrea, 4 a Pacino di Ser Fi-
lippo Angiulieri, 1 a Petro Morovelli, 1 a Puccio Belondi,
57 a Rustico Filippi, 1 a Schiatta di Mess. Albizo Palla-
villani, 1 a ser Beroardo notaio, 1 a ser Bonagiunta da
Lucca, 5 a ser Gione notaio, 3 a ser Jacopo da Leona, i a
ser Mino da Colle, 2 a ser Monaldo da Sofena, e finalmente
82 anonimi. Fra questi sono singolarmente notevoli quelli che portano
i Dum. 935-95 e formano una corona che tratta dell'amoroso
servire, la quale per buone ragioni si può sospettare opera di Guido
Cavalcanti. In fine al volume sono le Annotazioni del Casini, che intomo
a ciascuna poesia raccolse emendazioni del testo e altri utili schiarimenti
proposti da altri o da lui durante il corso della pubblicazione, e ripro-
dusse anche in miglior forma alcuni componimenti. Seguono gli indici
degli autori e dei capoversi di tutto il canzoniere. — Ree. N. Anlol. ,
CI V, 352, dove F. Torraca riprodusse i 1 son. di Chiaro Davanzati:
Io non posso, madonna, ritenere, e quello di Rustico: Quando Diomesser
Messerin fece. ^
15. [Sonetto di Pier dalle Vigne pubbl. dall' ab. G.
Guadagnici per Nozze Pisanello-Guadagnini], Bassano,
tip. Pezzato, 1889; 16°, pp. 5. — Ed. n. v.
Però eh' Amore non si può vedere; e è il sonetto più antico che
si conosca, perché (!) ne fu autore il celebre Pier delle Vigne >.
16. Die Doktrin der Liebe bei den italidnischen Ly-
rikern des 13. lahrhunderts : inaugurai Disserlation von
LoTHAR GoLDSCHMiDT. Breslau, Koebner, 1889 ; 8", pp. 56.
Riporta parecchi luoghi de* nostri antichi che toccano della teorica
d'amore, e, commentandola, quasi tutta la canzone di Guido Caval-
canti: Donna me prega (p. 29 e segg.), e il sonetto: Otto comandamenti
face amore (p. 47 n.: cf. 1884, n. 10). — Ree. Giom. stor XIII, 407.
17. I. Del Lungo, // disdegno di Guido (Estr. dalla
N. Antologia, voi. CVIII, pp. 37-67). Roma, tip. della
Camera dei Deputali, 1889; 8% pp. 34.
314 SUPPLEMENTO ALLO ZAUBRINl PER IL 1889
Vi si leggono, oltre a minori saggi, frammentarì, due son. di Dante
(lo mi sentii e Guido vorrei )j due dei Cavalcanti {Ftfe^'l
giorno e Una figura\ e uno del Musei a {Écd venuto Guido Cm-
postello), A pag. 24 n. 1 è la bibliografia della questione del e dis-
degno ».
18. [La Divina Commedia col commento di Tommaso
Casini]. Firenze, Sansoni, 1889; 8^ pp. VIII-820.
Forma il secondo volume del Manuale di letteratura itaUana ad
uso dei licei (cf. 1886, n. 44); fu pubblicata in due dispense: la seconda,
contenente il Paradiso, venne fuori nel 1891.
19. Dante 's GóttUche Komódk bearbeitet fUr An-
fànger in der itaUenischen Sprache, von Alberto. Italie^
nischer Text mit deutschem Commentar. Zweibrucken,
M. Ruppert, 1889; 3 voli, in 8^ pp. LVIII-175; XI-IW;
XlI-172.
20. E. MooRE, Pontribution to the textual criticim
of the Divina Commedia, incltiding the complete cotta-
tion troughout the Inferno of ali the mss. at Oxford ani
Cambridge. Cambridge, University Press, 1889; 8', pp.
LVI-723.
11 testo deir Inferno è dato secondo la lezione del Witte. Nell'Ap-
pendice III (p. 706) sono riportate le sei terzine interpolale nel
XXXIII deir Inferno (cf. 1885, n. 18), secondo il testo dei mss. Cano-
niciano 103, Chigiano L. VHI. 292 e Parigino, Riserve 5.
21. Lezioni espositive popolari sulla Divina Commedia
dedicata ai maestri elementari italiani dal prof. Longoni
Baldassare. L Inferno, Padova, tip. Salmin, 1889; 8\
pp. XV-504.
Contiene il testo della prima cantica.
22. La Divina Commedia di Dante Alighieri con
note dei più celebri commentatori, raccolte dal sue, prof-
Gio. Batt. Francesia. Ottava edizione. Voi. 1: Inferno;
DANTE 315
Voi. II: Purgatorio. Torino, tip. Salesiana, 1889; voli. 2
in 2^: pp. 286, 297.
23. // Purgatorio dichiarato ai giovani da Angelo
De Gubernatis. Firenze, Niccolai, 1889; 24°, pp. VIII414.
Cf. 1887, n. 42; e 1890, n. 16.
24. F. Pellegrini, Le chiose all' < Inferno » edite da
F. Selmi, e il cod. Marc, ital. ci IX, n. 179. [Nel Giorn.
star. d. lett. it., voi. XIV, 1889, pp. 421-31].
Pubblica la sposizione del 1 canto dell* Inferno secondo il detto cod.
Marciano, premesse alcune osservazioni sui rapporti che questo com-
mento mostra con le chiose edite dal Selmi.
25. La Vita Nuova di Dante Alighieri. Milano,
Guigoni, 1889; 24^ pp. 64.
26. // sepolcro di Dante: documenti raccolti da Lo-
dovico Frati e Corrado Ricci. Bologna, Romagnoli-Dal-
r Acqua, 1889; 8^ pp. XXX Vili- 152. (Della Scelta di
curiosità letterarie, disp. 135).
Di questi documenti spettano alla presente bibliografia: un sonetto
d'anonimo e minimo dantista » (Menghino da Mezzano?) in lode
di Bernardo da Canatro o Catenacci, autore dell* epigrafe dura
Monarchiae i»: Vostro si pio ufficio offerto a Dante (p. 13), con la ri-
sposta del Catenacci : Quando 7 turbato volto al bel Pattante (p. 1 K) ,
entrambi già pubblicati nel Catalogo della Bodlejana (cf. OV. 232);
- la nota prosopopea del Boccaccio: Dante Alighieri son. Minerva
oscura (p. 15); - sei terzine del canto LV del Centiloquio (p. 16); • i ver-
setti fatti mettere da frate Antonio di Cipriano Neri d'Arezzo
lettore della Commedia sopra un ritratto di Dante ch'era in S. Maria del
Fiore (1430-32), e una breve nota dichiarativa premessa a questi versi
da Bartolonmieo Ceffoni (non frate, come dicono gli editori), il quale li
trascrisse nel cod. Riccardiano 1036; - il son. in lode di Dante Correndo
gli anni del nostro Signore (p. 19: cf. 1890, n. 29); -la novella CXXI
di Franco Sacchetti, riferita per intero. In fine al volume é un Saggio
bibliografico per la storia del sepolcro di Dante. — Ree. : Riv. Crit., VI, 19.
316 SUPPLEMENTO ALLO Z^MBEIl^I PER IL 1889
27. Selvaggia Vergiolesi e la lirica amorosa di Cmo
da Pistoia: studio di Umberto Nottola. Bergamo, tip.
Fagnani e Galeazzi, 1889; 16% pp. 64.
Vi sono rìslampati per intero cinque sonetti di Gino: Lasso, penssnéo
(p. 27), Io fui 'n suir alto (38), Come non è con voi (43), Poi eh' io ftd,
Dante (50), Deh non mi domandar (58); e uno del Petrarca: Piangek
donne (64). — Ree: N. AntoL, CVI, 786.
28. Della irreligiosità tribuita al Boccaccio: ragio-
namento del marchese Gaetano De Felice. Napoli, tip. Fi-
Unto Cosmi, 1889; 4\ pp. 26. — cl es. n. v.
Anzi é una irragionevole cicalata, dove sono ristampati cinque so-
netti boccacceschi: Non treccia d' oro (p. 12), Volgiti^ spirto (M), 0
regina degli angioli (15), 0 luce etema (19), 0 glorioso re che il
del governi (25).
29. // cantare di Fiorio e Biandfiore , edito ed
illustrato da Vincenzo Crescini. Voi. I. Bologna, Roma-
gnoli-Dair Acqua, 1889; 8% pp. XI-506. (DeUa Scelta
di curiosità, disp. 233).
In questo primo volume è soltanto i* introduzione dell' editore: tot-
tavia indichiamo a p. 48 e segg. alcune noterelle cronologiche riportale
dal ms. trecentista del cantare ( magliab. VII!. 1416), e più qua più là
alcune ottave del testo riferite per gli opportuni raflronti. — Ree: Giorn.
stor., XIV, 438.
30. E. Costa, // codice Parmense 1081. [Nel Giom.
stor. d. letL it., voi. XII (1888), pp. 77-108; XIII, 70-100;
XIV (1889), 31-49].
Ouesto codice contiene un'amplissirtìa raccolta di rime treccntisie, tra-
scritta sul principio del quattrocento da Gaspare lotti, probabilmente Pipa-
no; Pietro Vitali, che la possedeva prima che passasse alla Palatina di Panna,
ne avca dato (jualche notizia e pochi saggi in una Lettera all' ab. M. Colombia
(Parma, 1820: cf. OV. Ap. 93-9i); ora il CosUi ne comunica tutta la
tavola, con le varianti di alcuni componimenti, e con un' appendice di
poesie inedite, 0 credute tali da lui. Eccone i capoversi: quelli cui non si
aggiunge altra indicazione sono di sonetti, e quasi tutti adespoti e nne-
pigrali: taluno attribuito colie iniziali F. P. al Petrarca, più altri Tram-
LIRICI DEL SEC. XIY 317
misti senz'alcuna nota ai petrarcheschi. 1. Levasi il sol talvolta in
oriente; 2. 0 eh* amor sia, o sia lucida stella; 3. Passa per via la bella
giovinetta ; A. Parme nel chonvivio de Phenissa; 5. Se l'aguta mai pun-
seme sarissa; 6. Colui che per viltà sul grande extremo; 7. Quando
talora i miei pensier nascosti (F. P.); 8. Si mi fa risentir a V aura
sparsi (F. P.); 9. Non è piaggia diserta in questa terra; 10. Solo una
cosa m'è conforto e scudo (F. P.); 11. Homo che poco di liggier lo
spende; 12. Perché ti volgi colli occhi in terra; 13. Omni fortuna chiama
in cui si vede; ìi. Per liti e selve, per campagne e colli; 15. Cosi pò*
irei io viver sanza amore; 16. Io son si altamente innamorato; 17. Giu-
sta speranza nel terrestro mondo; 18. Eran passati ne l'inverno i
giorni; 19. 0 aspectata in sino alla vecchiezza; 20. Mesto mi trovo e
di dolor si pregno; 21. Occhi miei, qua è posto il Paradiso; %2. Che
fai , animo tristo, che pur pensi; 23. Occhi, vedete innanzi che si
stingua; 24. Donne crudeli, quella man m' avi tolta; 25. Sano benigno
al mio grave cotiforto; 26. Non è si freddo alcun dente di serpe; 27.
Non volge si nimphate al corso i sassi ; 28. La gran virtù d'amor che
'n cor gentile; 29. Amor, anzi che V ultima ora prema ; 30. Aprimi
usci e finestre anzi eh' io mora; 31. Dove abandona amor si ce n an-
dremo; 32. Cor, io ti lascio, e non so del tornare; 33. Lingua che parli
per dieci altre in vano; 34. l ò più fuoco stretto alla mia mente; 35.
CAt sera quello che contar con sermone; 36. Costante cuor più che tutti
altri cuori; 37. A quella parte ov io fui prima accesa; 38. Era il tuo
ingegno divenuto tardo; 39. Amor m' à posto sotto suo stendale; 40. Che
ci è nel mondo più beato regno; 41. Al tradimento non può riparare;
42. Non fusti atraversati, o monti alteri; 43. Ad uno altare dinanzi
ginocchione; 44. Occhi miei lassi, che piangendo stanchi ; 45. Perch' al
faitor dello universo piacque; 46. Quando udio stasera la partita; 47.
Ben potete celarmi il chiaro sguardo; 48. Io sono stato e sono ancora
in forse; 49. Tutto il sai eh' è in Grosseto e intomo a l' alpi; 50. Ai
lassa sconsolata la mia vita; 51. Langue l'idolo mio, langue la stella;
52. Bella, leggiadra, nobil creatura. [Fin qui sono quasi tutti frammisti
a componimenti atlribuìli al Petrarca: si avverta, in aggiunta alle note
bibliografiche dell' editore, che anche i num. 6 e 45 erano a stampa col
nome del poeta]. 53. Poi che Vuccel di Jove concedette, e contro i pa-
stori diventati malvagi per avaritiat; 54. Poiché a Saturno Jove succe-
dette, e risposta al sopradelto son., laudando e comendando Costantino»;
55. Dal viso bel che fa men chiaro il sole, atlrib. a Dante [edito dal Witte,
Dante- Forschungen, li, 563]; 56. De qual pianeta o qual nimpha o idea;
57. Lo splendor chiaro del tuo vago viso; 58. Correr suol all' aitar colm
Voi. IV, Parte li 21
318 SUPPLEMENTO ALLÒ ZjMBRINI PER IL 1889
eke teme: 59. Rimase impaurito Gino e Barthóto; 60, 0 tu che
questa nostra tomba; 61. Per te m' à posto Amor nella sui
62. Più lieto non fu già quel che riprese; 63. Amore, io ti
mille volte; 64. De quanto fortemente tu se* errata; 65. Un \
pe' Bardi andò in Vignone: i primi 6 versi [in più altri test
completo, e talora attribuito ad Antonio Pucci]; 66. Io
il punto e V ora e 7 giorno; 67. La figlia di Tiresia non
e al signor di Verona, inanzi che si cominciasse la guerra dal
Virtù a lui »; 68. Dov' è il gran senno, l'ardire e 7 valore,
prascrìtlo signore t; 69. L'alta risposta del ser di vertute;
vi conobbi mai se non per fama, e mandato a mess. Joanni del
quando era signor di Pisa >; 71. Omè ch'io moro, e morte n
cide; 72. Di questo mondo ognun si faccia beffe , ballata ; 73.
savio più che non son stato; li. Io non credo che mai d'ami
frammisto, come i due precedenti, a rime petrarchesche ; 7
leggiadre, cui d'amor la spera, canz. [di Antonio degli
già a stampa fra le sue rime, ediz. Bonucci, Bologna, 1863
76. Se da te, donna idea, non son soccorso; 77. Qual cosa
mondo tanto greve; 78. Mancando alla cicala che mangiare
mente d'Antonio Pucci: fu attribuito anche al Burchie
Spirto gentil, da quel gremio sciolto, canz. mutila in fin<
sentisi quel che sento, ball. ; 81. Ministra e donna delti
reni, canz. sulla Fortuna; 82. S io il pensai mai, che chi il
pensi; 83. Quella leggiadra e lieta novellizia ; 84. Veder ti
vecchia stomacosa ; 85. Oro affinato mai non prende ruggì
86. Mai bona stacia fé coda asinina; 87. Lo amor si me
ball.; 88. Non più dirò, ornai chosi farò, ball, t di ser
del Proposto »; 89. Amore, in cui pietà nulla si ire
di cNiccholòsoprascripto >;90. Non è altrui ogni
chiama amico, canz. di Niccolò Soldanieri; 91. D'i
faremo • son stato servito, madrigale; 92. Però che non è i
che donna, canz. di Niccolò Soldanieri e da San Mi
93. lo riguardo costui col viso lieto; 94. Cosi del mondo a sì
ti fida, canz. del Soldanieri; 95. Di tutte cose mi senti
11 versi, dei quali era facile accorgersi die non formano un
mento: i primi 6 appartengono a un nolo sonetto di Cecco
li eri, gli altri sono il congedo della canzone di Dante: Coi
parlar ; 96. Tu eh' ài la busca neW occhio risponde. In nota
scrizione il Costa riporta intera la frottola : Mentre io d' amor
udii gridare, lesto diverso e assai più breve di quello edito
LIRICI DEL SEC. XIV 319
chi, II, 100, e che in altre buone fonti porta il nome di Giannozzo
Sacchetti. — Ree. N. Antologia, GVI, 580, dove fu riprodotto il
son. 41.
31. Questioni di geografia petrarchesca : memoria di
Francesco D'Ovidio. [Negli Atti della R. Accademia di
scienze morali e politiche di Napoli, voi XXII, 1889,
pp. 35-83, con carta geogr.].
Riporta, commentandoli rispetto ai luoghi cui accennano, i sonetti
petrarcheschi : Rapido fiume (38), Non Tesin (41 ), Apollo, s' ancor (42),
Valle, che de' lamenti (52), /' ho pien di sospir (53), Cercato ho sem-
pre (57), Dell' empia Babilonia (59), Almo sol (60), È questo il nido
(61), Sento /' aura (62), A pie dei colli (64), Stiamo, Amor (66), Fresco
ombroso (66) , i4mor che meco (67) , L' aura gentil (68) , Se 7 sasso
ond' è (69), Quella fenestra (71), Qui dove mezzo son (72), Anima bella
(82). Cf. nello stesso voi. degli Atti: Ancora di Sennuccio del Bene, e
ancora dei lauri del Petrarca (pp. 141-50).
32. Pio Rajna, Una canzone di maestro Antonio da
Ferrara^ e F ibridismo del lingtuiggio nella nostra an-
tica letteratura. [Nel Giom. stor, d. lett. it., voi. XIII,
1889, pp. 1-36].
Pubblica la canzone Prima che 'l ferro arossi i bianchi pili, se-
condo il testo del magliab. VII. 1035, aggiungendo dappiede la lezione
del Laurenziano 122 della SS. Annunziata, e le varianti del Barberi-
niano XLV. 129, del Vaticano 3213 quale fu riprodotto da T. Bini nelle
Rime e prose del buon secolo, e d' un ms. onde G. M. Barbieri ricavò
il principio e la fme di questo componimento. Il testo magliabechiano,
scritto in Gne a un Boezio copialo nel 1342, e seguito da una lunga e
particolareggiata didascalia con la data 8 aprile 1354, mostra a que-
sti e ad altri indizi di essere assai probabilmente autografo o almeno
vicinissimo air originale; però è buon documento della lingua poetica
adoperata dal ferrarese, di cui il Raina analizza gli elementi e nota i
caratteri.
33. Giacomo Lumbroso, Memorie italiane del buon
tempo antico. Torino, Loescher, 1889; 8®, pp. 266.
A proposilo Dei viaggi e dell'ospitalità d'una volta, riporta (pp.
112-14) la canzone di Antonio Pucci : Un gentiluom di Rotna una
320 SUPPLEMENTO ALLO ZJUBIUNI PER IL 1889
fiata, rìproduceDdola àaUT Etruria (D, 124). -- Ree: N. AwloL CSW,
395; Giom, stor,, XIV, 45i; Areh. tradiz. pop.. Vili, 442.
34. Canzone di Maestro Bartolomeo da Castel della
Pieve [pabbl. da G. Mazzatinti per le Nozze Soleri-
Saggini ]. Foligno , tip. SgarìgUa , 1889 ; 8^ , pp. 12. -
Lxx es. n. y.
Benché il cielo à nel tuo prato eoncUuo; dal cod. Vaticano 3313,
dove reca questa didascalìa: e mostra pariare ed papa, et pregalo gi
piaccia, poi che è piaciato alla fortuna che lui habbia sotlomesia b dita
di Perugia alla Chiesa [23 noTembre 1370], quella raccomandati, et
tractarla come Ggliola et non come figliastra; et a presso cooforta i Pe-
rugini a esser patienti ».
35. Epistole di Pier Paolo Vergerio seniore da Ca-
podistria [pabbl. da R. Sabbadimi nei Giom. star. d. leti
it., voi. XIII, 1889, pp. 295-304].
Con la lettera del Vergerio a Ognibene della Scola edita già (bi
Casini (cf. 1888, n. 46) ripubblica i due sonetti del Vergerlo: Rfm
che fu, e Virtute e zientileza. Ma avendoli troTall scrìtti nel coè'ce, se-
condo il solito, su due colonne, lesse e stampò ciascuna colonna da sé;
accortosi poi che cosi i versi non davano senso, li ordinò con nooien,
lasciando ai e colleghi che studiano la poe^a volgare il risolvere se
questa tras|)osizione di versi sìa un capriccio personale o una consue-
tudine ».
36. T. Casini, Notizie e documenti per la storia deUa
poesia italiana nei secoli XIII e XIV. II : Due antichi
repertori poetici. [Nel Propugnatore, N. S., voi. II, 1889,
p. I, pp. 197-271, e p. II, pp. 356-405].
11 primo di questi repertori è nel ms. magliab. VII. 10. 1078, del quale
il Casini comunicò altra volta la tavola e alcuni pochi saggi {OV. Ap.
134). Riprendendolo ora in più minuto esame, ne pubblica tutti i com-
ponimenti di carattere popolare, dei quali diamo qui i capoversi, avver-
tendo che quelli senz*altra nota sono di ballate: delie più curiose ac-
cenneremo anche la materia. 1. Ben aza quela zota^ con rime disoneste
sottintese; 2. Kyrie, kyrie^ pregne son le monache; 3. D* amor si dol'^
aspeto da ti aparse; 4. Adoro te, amor mio, dolce mia vita; 5. Amor.
a ti me inclino^ e dico: vita, distici a rima baciata ; 6. A dirle '^
RIME POPOLARI E STORICHE 321
vero dolce, sirventese duato?; 7. Adorote^ aazoleta; 8. Adoro te, amor,
dohe anzolina, sonetto?; 9. A d'irte tuto quel che 7 mio cuor dice;
10. Adoro te, amor caro mio conforto, son.?; 11. Adoro un dio, e amo
Hy mia vita , distici a rima baciata ( sembra probabile che i compo-
nimenti 3-11 siano d*uno stesso autore); 12. De ben feci la gran
pacia: lamento del monaco; 13. Done, siatene pregate: contro le fogge
femminili; si legge anche nel ms. Palatino 201, ma in lezione assai di-
versa, che comincia e Fanciulle, siate avizate » e che è qui pure ripro-
dotta; ìi. De toma, eh' i' t'aspeto; 15. La dona mia voi eser el mi^
siere: lamento del marito; 16. Perché sospecto non sia: lamento di
partenza, e contro i malparlierì; 17. Tolto m'di col to parlare; 18. Oi
me! streto fose io; 19. Valeto, per cortesia; 20. Or ve fazo asapere: la-
mento per la Quaresima; 21. Lassa mi! comò farazo: lamento di fanciulla
monacata, come il successivo; 22. Do! lassa mi, topina sagurata; 23. Ren-
dime el mio core; 24. El conven pur che rosone : rassegna dei caratteri
delle donne delle varie città d' Italia; giù era stata edita dal G. nel Pro-
pugnatore, V. S. , XV, II, 346-49 : qui n* é dato un testo più corretto
colPaiuto del cod. Laurenziano 122 della SS. Annunziata; 25. Amor amar,
quanto me fai languire; 26. 0 mia guerera , o mio deslruzimento (cf.
1884, n. 43); 27. Già perch' io penso ne la tua partita; 28. Cita d'A-
rimin bella ; 29. E' seiò sempre del core; 30. Post' à nel tuo vo-
lere, mio signore; 31. Come può' tu fare. Amore; 32. 5i in cende
la mia mente el tuo parlare ; 33. Dolze mio signor , cun pur a fede ;
34. A ti, segnor , la mia vita comando; 35. Mercede è la parola
che più chiama; 36. Quanto di prova vede mio inteleto; 37. Amor mi
prega nel voler talora; 38. Alma lizadra del tuo viso pio (e secondo
altro miglior testo dato dal cod. Palatino-Panciaticbiano 26, canzoniere
musicale del sec. XV); 39. Piacèse a Dio che e' non fosse mai nata : la-
mento della mahnaritata, come i tre successivi, a confronto dei quali il
C pubblica dal cod. laurenziano XLll. 38 (cf. 1889, n. 37) una curiosa
canzonetta meridionale {Bella ch'ai lo viso clero) in figura dell'amante che
consiglia la bella d'avvelenare il marito, e ristampa la ballatina Strenzi
le lapre piano, l'amor mio (cf. 1884, n. 43); 40. Ch'io me so mal ma-
ritata; 41. Dona che sia dozella; 42. De* bàsame, misere, bdsame la
boca: quattro distici a rime baciate; 43. Laso! per mia fortuna post' ò
amore; 44. Guarda una volta in za verso 7 tuo servo (collazionata col
Panciatich. 26); 45. Amor, io me lamento; 46. Desdegno in dona non
è convenevole; 47. Sia maledeta l' ora e 7 di eh' io vini ( coUaz. col
Panciatich. 26); 48. Chi fiso guarda in questa margarita; 49. Donna,
sperar pass' io: tenzone, probabihnente manchevole; 50. De questa donna.
Amore: 51. Como partir da lì me deb' io fflai';52. L'atpeto coifri», dm',
è mio eonforlo; 53. La maio leagua é d'ogni mal radice . mutiti; ai.,
Ochi, pianstli, e lu, cor tribolato; 55. Cam lagreme umpiro; 56, C$m
dotasi martiri; 57. Piango 'l partire, H i' andar mi ronforle; 58. Df»
i;ii>ar sovente: leazone rramineniaria (cf. Cantilene r ballale, n. wy,
59. Amor! che m'ài coadata in l'vllim'ora: CO. Dona, h mtnlt niaf
si 'nvaghita {coWai. col Pancialich. 26); 61. La vecchia d'amer m i
biasrmata (rìcosiniiia con l'aiulo d'un allro testo cli'é nel cod. nugliiL
li. n. 61 : al pari delle due successive è una Torle ìnTettiva contro II
vecchie, che l' editore illustra ricordando altri documenti di questo MB
motivo della poesia seni ipopolare, e riportando intero il son. di Cwa
Angiolieri; De! guata, Ciampol , ben questa veeehiuisa); GÌ. Dq. nati
vechia, lo mal fuogo l'arda; 63. Laida vecchia ttomegosa; (Si. £J M
bel viso, dolie l'alma mia (cf. 1881, n. 43); 65. taso! eh' .' mn -w-
atrtta; 66. Contenta sei che moro; 67. Or sì disparte la spetanioma.
— Conti nupi-à.
37. Ballate d' amore e di cos/ume del secolo XIV
[pubbl. da U. Brilli, T. Casihi, S. Febhaiu. S. Hoh-
PUKGO e A. Zenatti per le Nosze Carducci- Masi]. Bo-
logna, lip. Zanichelli, 1889; 4" pp. 9. — Ed. n. ?.
1. Si mi tira vaghelta; 2. Non posso l'amor calare; 3. Nm,
lu pur vao' eh' i' sia. l.a 11 è una tenzone fra Messere e Nadoua, li
III contrasto fra suocera e uuura : tulle Ire ricavate dal cod. laureili. lUl
38, risalgono, per l'eli del ois. e per altri indizi', ai tempi boccatasài'
38, Sonetti, ballale e strambotti tf amore dei seaM
XIV e XV [pubhl. da Tommaso Casini per le A'o:»
LoU-Magnoiìi]. Firenze, lip. Camesecchi, 1889; 8°, pp.
[23J. — Ed. n. V.
1. Quel vivo sol che agli occhi miei Inda; 1. l'ossa la nsit M
corca li' amore; 3. Già mai non fa veduto un si bel uisn; i. Voi ■<*
guardale questa giovinetta; 5, Io non m, giovinetta, se tn senti; 6, S
incendi la mia mente il tuo parlare; T. Se voi sapeste ijwmle bt* •)
voglio; 8. Ss voi l'edesle dentro ilal mio core; 9. 0 chiara luce, « m
leggiadro fiore; 10. Dimmi, brunella dal polito viso, t I sonetti M*
gli slramliotti 7-9 si leggono nel coil. valicano Regina 1793, p«A
raccolta di rime toscane e lombarde del tre o (|uattroconlo; le tnlliu
4 e 5 provengono dal co<l. Vaticano 4823, dove le Inscrìsse di s«|0
RIME POPOLABI E STORICHE 3^
un esemplare più antico il cinquecentista Angelo Colocci; la ballata 6 o
lo strambotto 10 fanno parte di un noto repertorio di poesie treceniiste
contenuto nel cod. magliab. VII. 1078 » (ci. n. 36).
39. Sonetti e ballate di antichi petrarchisti toscani
[pubbl. da Francesco Flamini per le Nozze Palmarini-
Matteucci], Firenze, tip. Camesecchl, 1889; 16^ pp. 12.
— e es. n. V.
Due sonetti di Bonaccorso da Montemagno: Amor con le sue
man compuose te (dal cod. chigiano M. IV. 79), e Lasso! dappoi che per
amor tanto arsi (dal cod. A. IV. 30 della Biblioteca di Mantova) ; due ballate
di Ser Niccolò Tinucci: Che giova *n?imorar di questa dea, e fata
per Piero di Cosmo de* Medici e per la Giovana degli Stroci »; S* a
le* X* andrà le lagrim' e sospiri, e fata per raiser Ruberto Adimari ad
instanza de Piero di Paci e per TAlesandra de misier Pala degli Stroci »,
entrambe dal Riccardìano 1154; un sonetto di Neri Carini, purga-
tore, e fatto a stanza d* uno inamorato che pigiava consiglio con Gino
di messer Francesco Rinucini » : L'arco, la corda e' grevi colpi et doppi,
dai Riccardiani 1154 e 2735 (è anche, adespoto, nel Rice. 1118, e col
nome di Ricciardo da Battifolle nel Vaticano 3213); la risposta al Ca-
rini fatta per le rime da Gino Rinuccini: Se tutto el stil d' Homero
inseme achioppi,(ìn\ cod. 1739 della Biblioteca Universitaria di Bologna.
In fine si aggiunge una letteruzza volgare del Rinuccini a Mess. Donato
Acciaioli (s. data), dal cod. ashburnhamiano 1830.
40. Ballata della Fortuna tratta da un codice ma--
gliabechiano a cura di Antonio Medin (Estr. dal Pro-
pugnatore, N. S., voi. II, p. i). Bologna, tip. Fava e
Garagnani, 1889; 8^ pp. 46.
Incomincia :
Da po' che Ha Fortuna
m* à dato in parte e 'n dota
di sotto ne la rota,
grazie ne rendo a chi fé* la luna ;
e seguita per 39 stanze (AB AB bcc X, ma non sempre regolari) con esempi
classici e più spesso moderni, grazie ai quali si può assegnare la com-
posizione ai primi anni del sec. XV. È opera di due autori, perché dopo
la strofe xviii il codice avverte: e questo che segue arrose don Zenobiot;
ossia, come si crede, Za n obi Tanti ni monaco degh Angeli, da non con-
324 SUPFLKMElfTO ALLO ZéUBRim PSR IL 1889
fondere eoo romommo e contemporaneo copiatore dd ms. (magfiabechiiiio
YIL 9. 375), Zanobi di Pagolo Perini. D'altre rime del Tanlini eonserrate
nello stesso codice ledi Smppl. 1888, n. 53. Si afrerta che le strofe
XXI e xxn di qaesu ballata erano già state messe in luce da Gasimiro
Stolfi nella prefazione al Y(4garìaamento De' rimedii dtW urna e del-
r altra Fmiuna del Petrarca (Bologna, Romagnoli, 1867, p. 3l)i
Nele ìDistrasiooi premesse il Medin riporta dal ood. Riccardiano 1607
H sonetto: Per aie non volse mai la mia tonda (p. 7), e in appeidice
ristampa la nota e popolarissima ballata di frate Stoppa: Se laFv-
fMM e 7 wumdo^ qnak si legge nel cod. Marciano IX iL 486, che ne pre-
senta nn testo assai corrotto, e rimaneggiato e cresciuto di 40 noovi imi
Ricordo qui che questa ballata fu inserita anche dal Sercambi nella seconda
parte deOa sua Cronaca (cap. GCCXXXI: ed. Bongi, voi. Ili, 274) premessi li
seguente notìzia: e Fu al tempo che messer Ghastruccio Interminelfi sigoonf-
gian la dptà di Locha uno conierso de' frati di Santo Augustine, homo &
grande sdentia: avendolo la Fortuna molto percosso, dispuose a dani
patienlìa, e fece una cosa morale, la quale volse che fusse palese aedo
che se ne prendesse exemplo. E quella disse cantando in suQi piana di
Santo Michele in mercato, dove vi fu a udirla gran parte di Lncba, di-
cendo m questo modo, doé: Se la Fortuna o 7 tempo. Mi vwbì fm
eoiUraMtare t.
41. SirveiMse d amore [pobbl. da G. Hiizzoia e S.
HoRPOBGo per le Nozze Venezian-De Sanetìs\. Roma, tip.
Metastasio, 1889; 4*, pp. xj. — Ed. n. v.
Dal riccardiano 1580, ms. della fine del tre o del principio del
quattrocento; né molto più antica dev'essere la poesia. Comincia: /^r-
che con più effetto, amanti e donne , e consta di 47 tetrastici incate-
nali, che, come già fu notato (Riv. Crii,, VI, 149 n.), mostrano moitissioK
somiglianze con la cosi delta Ruffianella attribuita al Boccaccio ( rrnr>
pulzellette),
42. Un dialogo d'amore [ballata di Lionardo Gia-
stiniaD pubbl. da G. Mazzoni nella Strenna Nuziale t a
Giovanni Targioni-Tozzetti nel giorno delle sue Dozze
colla signorina Rosa Comparìni-Rossi >]. Livorno, tip.
Giusti, 1889; 16^ pp. 56. — Ed. n. v.
Dio te dia la bona sera ; era già stata pubblicata da B. Wiese eoo
le altre Poesie edite ed inedite di L G. (p. 185): qui fu riprodotta se-
condo il testo del cod. Marciano IX it, 486.
RIME POPOLARI E STORICHE 325
43. Francesco Novati, Studi critici e letterari. To-
rino, Loescher, 1889; 8^ pp. 310.
Nel IV di questi studi {La parodia sacra nelle letterature mo-
derne ) sono riportati due brevi componimenti bilingui : Per omnia secula
seculorum - 0 vagha anima mia - Alla tua Signoria - Dirò: e beati quo-
rum^ ballata, dal cod. Corsiniano 43. B. 30; e un e soneltuccio, che
potrebbe spettare fors* anche alla fine del sec. XIV > : Dilexi quoniam
che io te vidi bella, dal cod. Ambrosiano N. 95 sup. Sì avverta che i
primi quattro versi del sonetto sono comuni a un altro componimento
pubblicato già da Vittorio Gian {Suppl. 1884, n. 43). — Ree. Riv. Crit.,
V, 178. >
44. A. D'Ancona, Misteri e sacre rappresentazioni.
[Nel Giom. stor. d. lett. it., voi. XIV, 1889, pp. 129-
203].
Riporta dal codice panciatichiano 26 un madrigale marinaresco.
Cofi dolce brama e con gran disio (p. 190) a confronto d'altra antica
barcarola ch*é riferita nel dramma sulla Passione recitato in Revello
sulla fine del sec. XV e pubblicato da V. Promis (Torino, Bocca, 1888:
cf. 1887, n. 5). Ma probabilmente anche la barcarola risale più in
su della sacra rappresentazione; però notiamo che comincia: 0 Zanella,
Zanella, dal viso rosalo, e consta di nove coppie di endecasillabi irregolari
a rima baciata.
45. Rime di anonimo sulla sollevazione di Trento
nel 1435 [pubbl. da G. Papaleoni ue\V Archivio Trentino,
anno Vili, 1889, pp. 167-207].
Da un ms. della Biblioteca del Convento di S. Bernardino di Trento
produce intera la lunga frottola anonima: Che statu a far, che pensi
pulisela ( 892 versi ), di cui aveva già pubblicato due frammenti ( cf.
1886, n. 38).
46. Di un ignoto poema d'imitazione dantesca [no-
tizia di M. Cornacchia e F. Pellegrini, nel Propugna-
tore, N. S., voi. I, 1888, p. ii, pp. 185-225; voi. II,
1889, p. I, pp. 335-86].
3% SUPPLEMENTO ALLO ZAMBRim PER IL 1889
Questo poema iratta nel libro primo dei vizi, nel secondo e od
terzo delle Tìrtù: in gran parte è parafrasi deDa Sttmina rnrfiihMi
et vitiorum di Guglielmo Péranlt, cui si aggiunsero dall'anonimo ler-
siflcatore esempi storici e digressioni varie , ddle qnali qui si offitno
copiosi saggi. Il primo libro comprende 29 canti , il aeooodo 32, 3
terzo 30: ciascun canto ha 44 terzine. Comincia, in figura del poeta die
si rivolge alla sua anima ,
Molte fiate i' ho parlato in rima,
seguendo l' appetito di mia carne,
di morte iion facendo alcuna stima.
Si legge intero nel cod. magliab. 11. 11. 24, copiato nel 1497 ;niancfaeTole
della terza parte e mutilo in principio e in fine, è anche in un più lo-
tico apografo delU Biblioteca Universitaria di Bologna (cod. 205). li)
compoBÌzione rìsale ai primi anni del sec. IV: l'autore a molti indio pare
aretino, e Vincenzo Pollini, che ne scrìsse lungamente in una disierta-
zione legata col cod. magliab., inclinava non senza probabilità a ideodfi-
cario con ser Gorello d'Arezzo (OF. 484-85). ^ ^ec N. JM
CVll, 575.
47. Crestomazia italiana dei primi secoU , con pro-
spetto delle flessioni grammatìcaU e ylossario , per Er-
nesto Monaci. Fascicolo primo. Città di Castello, Lapi,
1889; S\ pp. V-184.
Ordinata cronologicamente, contiene: 1. Carta capuana del
960, edita prìma dal Gatlola (Accessiones ad hist, Cassinensem, ^M),
poi dal Tosti (Storia dell' ahadia di Montecassino. 1, 220): ce il più antico
documento finora conosciuto ove s* incontri non soltanto qualche parola o
frase, ma un periodo intero scritto in volgare », cioè questa fonnub di
testimonianza ripetuta quattro volte : e Sao co kelle terre, per keOe iìiu
que ki contenè, trenta anni le possette parte Sancti Beoedictì i (cf. P.
Raina, / più antichi periodi più risolutamente volgari nel dominio italid'
no, nella Romania XX, 385) — 2. Iscrizione romana anteriore
al 1084, grafGta sopra un affresco della basilica inferiore di S. ClemeDie.
— 3. Carta sarda anteriore al 1086, daUa pergamena ori-
ginale dell* Archivio di stato in Pisa (già edita nell*i4rcA. star, il, S. 3*,
Xlll, 363). — 4. Formola di confessione, dal cod. VallìcellianoB. 63
(cf. Facsimili per le scuole di filologia: 1887, n. 88). — 5. Carta Rossa-
nesc del 1104 e 1122, secondo il testo dell' Ughelli, Mia Sm^
ANTOLOGIE 327
1X^385. — 6. La iscrizione ferrarese del 1 135. — 7. Canti-
lena di un giullare toscano, cioè il noto ritmo laurenziano (cf.
1885, n. 36, e 1887, n. 88). — 8. Carta sarda dei 1173, edita
prima nelle Memorie istoriche di Pisa del Tronci, poi nella Rivista di filoL
romanza I, 53, 124. — 9. Carta Fabrianese del 1186: da per-
gamena originale dell'archivio di Fabriano. — 10. Sermone in dia-
letto gallo-italico, dal cod. D. VI. 10 della Nazionale dì Torino
(cf. Facsimili ciL). — 11. Il contrasto bilingue di Rambaldo di
Yaqueiras. — 12. La cantilena bellunese del 1193. —
13. Carla picena del 1193 (cf. 1890, n. 57). — 14. Il ritmo
Cassinese. — Frammenti di un libro di banchieri fiorentini
scritto nel 1211 (cf. 1887 n. 45). — 16. Carta sarda del
1212, edita prima neW Arch, stor. it., S. 3*, voi. XIII, 364. — 17.
Il cantico di S. Francesco (per le fonti cf. 1888, n.l). — 18.
Carta sangemignanese del 1227, edita nel Giom. stor. , X,
194. — 19. Formole epistolari del maestro Guido Fava,
estratte dalla Doctrina ad inveniendas incipiendas et formandas mate-
rias, secondo i codd. 23497 e 16124 della Biblioteca di Monaco.— 20.
Lauda del 1233, dalla cronaca di Riccardo di S. Germano. — 21.
Ricordi di Matasala di Spinello sanese: 1233-43 (cf. OV.
531). — 22. Frammento di un libro toscano di ricordi del
1235-36 (ed. nel Giorti, stor., X, 195). — 24. Documento ferra-
rese del 1242, ed. Borsetti, Hist. almi Ferrariae Gymnasii, 11,447.
— 25. Iscrizione veneziana del 1249 (ma vedi al n. 71). —
26-44. Rime di Giacomo da Lentino, Pier della Vigna, Jacopo
Mostacci, Abate di Tiboli, Arrigo Testa, Pagjanino da
Serczano, Rugieri d'Amici, Re Giovanni, Federigo 11, Odo
della Colonna, Ruggerone da Palermo, Tiberto Galliziani,
Percivalle Doria, Folcacchiero de' Folcacchieri, Rinaldo
d' Aquino, Giacomino Pugliese, Compagnetto da Prato,
e 7 poesie anonime, secondo i testi dei canzonieri vaticani 3793 e 3214,
del Laurenziano Rediano 9, del Palatino 418, del Cbigiano L. Vili. 305 e
del Barbcrìn. XLV. 47. — 45. Saggio dello Splanamento del Pateg
(cf. 1886, n. 1). — 46. Il contrasto di Cielo dal Camo o d'Alcamo.
— 47. Saggio del Libro di UguQon da Laodho (cf. 1884,
n. 1), — 48, Poemetto didattico (OV. 815-16). — 49. Lettera
senese del 1253 (OV. 601). — 50. Estratti dal Liber ystoriarum
Romanorum (cf. n. 69) secondo il ms. d'Amburgo e il Lau-
renz.-gadd.-rcl. 148. -^ 51. Volgarizzamenti dei distici di Ca-
tone: saggi paralleli del testo veneziano dato dai Tobler {OV, Ap,
328 SUPPLEMENTO ALLO ZéiMBRINi PER IL 1889
174-75) e dei tre tesU toscani editi da 3L Vannocd {OV. 238). — 51
Parafrasi lerseggiata del Paternostro (cL 1886, n. U —
53. ProTerbia que dicuntur saper natora feminaram (cL
1886, n. 2): i primi 232 Tersi. * 54. Saggio del Panfilo in antico
feneiiano (cf. 1887, n. 46). — Saggio del Sermone di Pietro
da Bascapé, secondo il cod. Braidense AD. Xlll. 48 (et. 1887, n.
88). — Ricordi domestici del 1255: da un ms. delTÀrch. fior.,
di cui diede già notizia e qualche saggio C. PaoG (cf. 1886, n. 29). —
57. Saggio del Fiore di Retorica di fra Guidotto, secondo fl
testo del cod. magliab. U. IV. 127. — 58. Docnmenlo pistoiese
del 1259 (cf. OV. 923). — 59. Lettera senese del 1260 e a
Jachomo Guidi CaciaconU t {OV. 594 e 601^ — 60. Trattato di
pace fra i Pisani e l'emiro di Tunisi: 1264 (cf. OF. 367,
e correggi quanto iti si dice dei Diplomi arabi t» voigwrt deimcXBr
XIV pubblicsU dall* Amari, avvertendo che questo dd 1264 é il prìBO
Tolgaiiiato contemporaneamente, mentre tutti i precedenti furono in-
dotti nel 1422).* 61. Rime e prose di Guittone d'Areno: 5camiMi,
un sonetto e tre lettere , secondo i testi del Laur.nrediano 9 e dd li-
ticano 3793. — Ree.: iV. Antoiogia, CIU, 410; Uteraiurblati. 1 Hm
col 297 ; Zeiisekr. fur rom. Pkil, , lUI, 343.
48. Letture italiane. Il: Poeti antichi e moderm:
scelta corredata di note da Thor Sundby. Copeoagheo,
Libreria Gyidendai, 1889; 8^, pp. VI-515 (coli. 1090).
Antologia poetica di tutti i secoli della nostra letteratura. Per il XlII
comprende rime di Cielo dal Como, Federigo II, P. delle Vigne, Enzo
re, Giacomino Pugliese, Giac da Leotioi, G. delle Colonne, R. d* Aquino,
Odo delle Colonne, Mazzeo di Ricco, Guittone, Giovanni dalF Orto, Fol-
cacchiero Folcacchierì, fk)nagiunta da Lucca, Retto Mettifuoco, Galletto
da Pisa, Paolo Zoppo, U. Buzzuola, Dante da Maiano, Ciacco dell' Aoguii-
laia, Chiaro DavanzaU , Maestro Francesco da Fu^nze, Compiuta Donzella,
Dondie Dietaiuti, G. Guinicelli, Onesto da fk)logna, R. Latino, D. Compagni,
G. Cavalcanti, Lapo Gianni, Folgore, Cene dalla Chitarra, Rustico di Fi-
lippo, C. Augiolierì. — Per il secolo XIV: Dante, F. da Rarberino, Cioo
da Pistoia, Cecco dWscoli, B. Bonichi, D. Cavalca, P. Tedaldi, Miiahio
da Lucca, Rosone da Gubbio, Franceschino degli Albizù, Sennucdo del
Rene, Matteo Frescobaldi, Frate Stoppa, F. degli liberti, F. Petrarca, 0.
Boccaccio, B. da Montemagno, Andrea Orcagna, A. Pucci, F. Sacchetti-
Per i dugentisii l'editore si é giovato delle Rime antiche del cod. va-
ticano e del Manuale del Nannucci ; per i trecentisti, delle antologie del
Trucchi, del Carducci, ecc. — Ree. Zeiitchr. f. rom, Philol., XIIL <fU-
PROSA DEL SEC. XIII 329
49. Ernesto Monaci, Sul « Liber Ystoriarum Roma-
norum » : prime ricerche ( Estr. dall' Archivio della R.
Società Romana di storia patria, voi. XII). Roma, For-
zani, 1889; 8°, pp. 74, con 7 tavole in eliotipia.
Questa compilazione di storia antica , e dapprima scritta in latino ,
forse da un maestro del dodicesimo secolo, fu nel secolo successivo vol-
garizzata in romanesco, e dovette per qualche tempo godere di una certa
popolarità , specie in Toscana , dove ne furon fatte più copie e diede
materia a tutta una parte dei Conti antichi cavalieri, che di qui deri-
varono le loro narrazioni di storia romana, mentre se ne traeva profitto
anche per qualche altra opera. L'opera consiste in una magra cucitura
di brani di Isidoro, di Darete, di Orosio, di Solino, d' Eutropio, di Paolo
Diacono, e di qualche mitografo; é rozzìssima, e presto andò dimenti-
cata. La data del volgarizzamento par sia da circoscriversi negli anni in
cui fu senatore di Roma Brancaleone degli Àndalò (1252-58). > Cosi
altrove lo stesso editore (Crestomazia it. dei primi secoli, p. 118). Qui
ne descrive i codici: uno della biblioteca civica di Amburgo (sec. XIII),
con illustrazioni, di cui pubblica le leggende dichiarative; il Laurenziano-
gaddiano-rel. 148 (sec. XIII), onde produce le 145 rubriche del libro; il Ric-
cardiano 2034 (sec. XIV), e uno posseduto già da G. C. Colombini, e
ora perduto, ma del quale Celso Cittadini nel Trattato della origine
della volgar lingua ne conservò un brano, che il Monaci mette a con-
fronto con la lezione degli altri tre, e col testo latino (cod. Laurenz.-
Strozziano 85). Un altro maggior saggio riporta in appendice: parecchi
estratti ne diede poi nella citata Crestomazia (cf. n. 47).
50. E. G. Parodi, Le storie di Cesare nella lettera-
tura italiana dei primi secoli. (Negli Studi di filolologia ro-
manza, voi. IV, 237-503). Roma, Loescher, 1889; 8^
pp. 267.
Nell'introduzione e nel capitolo I presenta alquanti estratti dell'an-
tica traduzione dei Faits des Romains secondo i codd. Riccardiano 2418
e Hamilton- Rerlinese 67, che contengono le due parti d*uno stesso ms.;
mette a confronto altiù passi di questa traduzione con vari testi dei Fatti
di Cesare, e offre anche qualche saggio del Libro Cesariano {OV, 634).
Nel cap. II riporta a fronte parte dei prologhi delle Allegorie sulle Me-
tamorfosi di Ovidio e del Libro Imperiale di Giovanni dei Ronsi-
gnori da Città di (ostello; pubblica anche altri passi àeW Imperiale , e
dà notizia d* un poemetto in 52 ottave sulla morte di Cesare,
che si legge nel cod. laur.-ashburnh. 549 : e Nostro Signore che fece
330 StlPPLEIIRNTO kU.0 Z4lftlllIHl Wh It l889
il mondo, Cosi comincia la Lucana Lìslorìa *. FiDilmenle nel ap. Ql
aUmpa secondo il coi), laur. LXXXIS. 50 alcuni luoghi della Fiorila
d'Ifalia derivali dai Fallì di Crsate, e della Farsaglia, poema io ouava
rima, dot quale si conoscono Lre stampe quattrocentine che si doindi-
bero ag^ungere al Catalogo dello Zambrìni, perché questa Tersìficauone,
sia 0 no di Domenico da Honlichìello, risale cerio alla tecomìi
meli del sec. XIV.
51. F. Tocco, Il Fior di Rettoriea e le sue prìtia-
pati redazioni secondo i codici fiorenlim. [Nel Gtorn.
stor. d. leti, it., voi. XIV, 1889, pp. 338-64].
Riconosce noi codici riorealini quattro redaiioui della ReioHea, dil-
fei'cnii dalla guidoniana : una che tuUora serba il nome di GuidoUo, due
allrc anonime, la quarta col nome di Bono Giamboni. « Sono ben <1i-
verse l' una dall' altra, ma lutte possono considerarsi come corrr'iioiti «
emendazioni o complemento della redazione guidoniana >. Ter gli op-
portuni raffronti reca in mezzo alquanti jiassì del Fiore secondo ì codd.
Hagliab. II. IV. 133 e 127, Riccurdiani 1S70 e 1538, e laurcniianu-pl-
diaoo 65, del quale ultimo pubblica anche la (avola de' capitoli.
52. G. Ceciom, n Secrelam Secrelorum atlribuilo
ad Aristotile, e le sue redazioni volgari. [Nel Propugna-
tore, N. S., voi. II, 1889, p. II, pp. 72-102].
Nelle ullime pagine lìono rirerìle le rubriche e alcuni brevi (oììi
del • U^slatamento del libro d'Arestotano di Ialino in volgare, ddn-
gimento dei Signori », come si lejge nel cod, maglìab. XII. i, di' il
Cecioni ritiene • la redazione più ampia e originale > del Sarrlim.
53. Fioretti di San Francesco (f Assisi raffrontai
col tesco delia Biblioteca Angelica e coi codici della Lau-
renziana e Vaticana per cura di Mons. LeurOLuo Ahom.
Roma, tip. Vaticana, 1889; 8", pp. XIl-400.
11 lesto dell'Angelica è Li stampa dei Fiortiii del U77 (cf. l8St
n. 56); dei codici della Laurenuana e Vaticana non ìndica che l'Otloti»
niano S61. — Ree Mincell. Feancticana, IV, 30.
54. Ammaestramenti degli antichi raccolti e volga-
rizzati da F. Bartolomeo da S. Concordio pisano, postulati
per comodo de' giovani da L. Matteucci. Torino, tip. Sa-
lesiana, 1889 ; 24°, pp. 464.
PROSA DEL SEC. XUI E XIV 331
55. Aeltere Novellen, Herausgegeben, mit Einleitung
und Anmerkungen versehen von Z)/ I. Ulrich. Leipzig,
Rengersche Bachhandlung, 1889; 8^ pp. XX-157. (Della
ItaUenische Bibliothek herausgg. von L Ulrich, voi. I).
Questa raccoltina comprende saggi dal Novellino, dal Libro de' Sette
savi, dai Conti di antichi cavalieri, dai Conti morali di anonimo senese,
e più altri brevi racconti ed esempi ricavati da varie opere morali o
ascetiche, ma già tutti compresi nel Libro di novelle antiche tratte da
diversi testi del buon secolo della lingua a cura dello Zambrini (OV,
622). — Ree. N. Antol. CVI, 370; Literaturblatt , XI (1890), 313;
Deutsche Literaturzeitung, 1890, n.^ 17.
56. Novelle inedite di Giovanni Sercambi, tratte dal
codice Trivulziano CXCIII, per cura di Rodolfo Renier.
Torino, Loescher, 1889; 8^ pp. LXXV-436. (Della BibUo-
teca di testi inediti o rari, voi. IV).
Il libro del Sercambi secondo V apografo sopraindicato, l'unico che
ora se ne conosca, consta di 155 novelle, collegate da intermezzi che
fingono la solita brigata boccaccesca, la quale fugge da Lucca per la peste
del 1 374 e gira tutta Italia trattenendosi con questi racconti. Ma V editore
credette bene di tralasciare gì* intermezzi, ad eccezione del proemio, e di
pubblicare soltanto 108 novelle, escludendo quelle già edite sparsamente e
raccolte poi dal D*Ancona (cf. OV. 933-34, e Suppl. 1886, n. 54), e di altre
1 1 troppo sconce e di tre frammentarie dando in appendice un riassunto.
In fìne al Proemio (p. 8) é un sonetto con 1* acrostico del nome dell'au-
tore {Già trovo che si die pace Pompeo); nella nov. XXV é riferita una
lauda-ballata (Dimmi per tuo onore)', cioè un dialogo tra la Vergine
e un Giudeo , che forma tutta T intessitura del racconto ; altre rime
sono negl'intermezzi, ma dal brevissimo saggio che il Renier ne riporta
nella prefazione (p. uv) non pare siano componimenti del Sercambi, si
piuttosto noti proverbi o simile roba accattata da altri, come usò gene-
ralmente lo scrittore lucchese nella sua Cronaca. Nella prefazione sono
anche portati in mezzo (pp. xxvin-xxx) brevi brani di questa, e alcune
terzine della Divisione della Commedia di Jacopo di Dante (p. xxxvi)
come si leggono nel cod. Laur.-med.-pal. LXXIV, che contiene il Para-
diso col commento lanéo copiato dal Sercambi. Il testo delle novelle fu
prodotto con assai poca intelligenza: cf. Riv. crit., VI, 38, 154; Zeitschr,
/•. rom. Phil, XIH, 548; iV. Antol., CIV, 352.
332 srPPLE]fE5T0 ALLO Z^éMBRINi PER IL 1889
57. [Monito ai Guinigi di Giovanni Sercambi, pnbbL
da Pietro Vigo per le Nozze Targioni^Comparini. Li-
Torao, tip. Vigo, 1889; »*, pp. 28 (pp. 5-18)]. — Ed. o. ?.
Nola, 0 brefe ricordo, come lo cfaiamò Tautore, dato a IHoo, Michde,
Lazario e Lazaro Guinigi sul modo di reggere la città di liocca; assai
ooteTole, perché in poche parole riassome praticamente tutto un pro-
gramma di goTemo militare, ciiile ed economico. Incomincia: e Veduto,
et continuamente si vede quante inconvenienze et fatiche, perìcoli et di-
spiacere inneUa nostra città et contado ocorreno ». Già era stato edito
odia Miscellanea del Baluzio (IV, 81-83: cf. OV. 933-i); qui fu ri-
pubblicato in assai miglior forma dall'autografo, che si consenra nel!' ar-
chino di Stato di Lwxa (GoTemo di Paolo Guinigi, Uh. 38).
58. Poemetti popolari italiani raccolti ed illustrali da
Alessandro D'Ancona: La Storia di S. Giovanni Bocca-
doro ' La Storia della Superbia e morte di Senso - Attila
flagellum Dei - La Storia di Ottinello e Giulia. Bologna,
ZanicbeUi, 1889; 8", pp. 560. (Della Biblioteca di scrit-
tori italiani, voi. XI).
Della storia di S. GioTanni Boccadoro ripubblica la redazione poe-
tica più moderna, e doé il cantare in 36 ottave stampato più Yohe anti-
camente e che non risale oltre il sec. XV : tralascia invece quello piiì
antico edito nel 1865 {OV, 555); nella prefazione (pp. 16-26) riproduce
la leggenda di Sani* Albano dal cod. Riccardiano 273i Gli
altri tre poemetti non spettano a questa bibliografia: notiamo soltanto
nelle illustrazioni premesse air^//f7a flagellum Dei un brano dello Zi bal-
do ne di Antonio Pucci (pp. 193-91) sulla leggenda fiorentina di
Allila-Tolib , dal cod. Riccardiano i922 (cf. OV. Ap. 130). — Hec.:
Romania, XVIII, 508; Arck. tradiz. pop.. Vili, i27; iV. Antoi., CV,
391.
59. La storia di Apollonio di Tiro: versione tosco-
veneziana della metà del sec. XIV, edita da Carlo Sal-
vioxi [per le Nozze Solerti-Saggini], Bellinzona, tip. Sai-
vioni, 1889; 4**, pp. IX-50. — e es. n. v.
< Clomenza la hvstorìa de miser Apollonio de Tyri. Un re lo quale
nouieva Antiocho fo in la cilUìde de Antiocia, lo quale re ave una muier
b quale nomeva Parochia, della quale muier elio ave una bellitissiou
PROSA NEL SEC. XIV 333
figlia virghene i. Dal cod. N. Y. 6 della Nazionale di Torino, che pre-
senta un testo Yeneto, corretto da una seconda mano, la quale tentò di
raddurre le forme più Yemacole a un tipo toscano o aulico. Delle cor-
rezioni costanti l'editore ha tenuto conto nel testo, ha relegato invece
in nota le emendazioni isolate , e aggiunto in fine alcune annotazioni gram-
maticali, un glossario e una taYola de' nomi propri. — Ree. : Literaturblatt,
XI (1890) col. 32; ZeiUchr. f, rom, PhiL, XUI, 344; Archiv f. d. Si.
d. neuer, Sffr, u, Lit, LXIXIV, i-2.
60. La Cronica di Dino Compagni delle cose occor-
renti né tempi suoi, e la Canzone morale e del pregio »
dello stesso autore. Edizione scolastica per cura di Isi-
doro Del Lungo. Firenze, Succ. Le Monnier, 1889; 16^
pp. XXIII-224.
Con copiosi commenti. Delia canzone del pregio {Amor mi sprona
e mi sforza volere) vedi un rifacimento in ottave indicato in questo SuppL
1881, n. 41. — Ree.: N. AntoL, CIV,594; i4rcA. stor. il, S. 5*, III, 464.
61. La Cronica fiorentina di Dino Compagni, delle
cose occorrenti né tempi tuoi, riveduta sopra i mano-
scritti e commentata da Isidoro Del Lungo, con una
prefazione e appendici illustrative. Milano, Paolo Carrara,
[1889] ; 16^ pp. 204.
Giunterìa del libralo, che tenta di rimettere in corso un vecchio
fondo di magazzino, ossia la stampa dei primi due libri della Cronica,
procurata dal Del Lungo nel 1870-72 per 1* editrice Amalia Bottoni (cf.
Dino Compagni e la sua Cronica, I, 903, n. 2), aggiungendo ora il libro
terzo, secondo la vecchia vulgata del Manni, e, s* intende, senza le note
del Del Lungo. Della prefazione e delle appendici illustrative promesse
dal frontespizio non v'ha traccia.
62. Introiti ed esiti di Papa Niccolò III (1279-1280):
antichissimo documento di lingua italiana tratto dalt ar-
chivio vaticano, corredato di due pagine in eliotipia, de-
g Vindici alfabetici, geografico e onomastico, e di copiose
note, per cura di Gregorio Palhieri. Roma, tip. Vaticana,
1889; 8^ pp. XXXVII-133, con tav.
Voi. IV, Parte II 22
334 SUPPLEMENTO ALLO ZJMBRINI PER IL 1889
È il primo dei libri d'Introito e d'esito deDa corte pontificia, e
che r anico scritto in volgare, certo da un toscano ; però buon docum
di storia e di lingua, ma non di quella straordinaria importanza che
ditore imagina, dicendo perfino che varrà a far dubitare dell'
tenticità del De vulgari eloquentia (?!:p. xvn n.). Ivi stesso, il Pali
riporta le soscrizioni di quattro toscani a uno stromento n^to in Lo
il 12 marzo 1278. Le note dell'editore sono spesso inutili o ridico!
testo non fu invece riprodotto come si dovrebbe. Ecco, per es., la p
partita dell'Esito: < Donno papa Nicola terzo de dare soldi ventai
ravignani in calcndi maggio pagai nel libro che io feci per iscri
questi fanti »; dove non si tratta, come annotando crede il Pahnier
fanti 0 soldati da arruolare, ma più semplicemente di questo s
registro che abbiamo innanzi, perché la grafia fanti per fatti (e
fanta per fatta) è frequentissima in tutta questa scrittura. * Ree
AntoL. evi, 381.
63. Lettere volgari del secolo XIII a Gerì e ai
do Montanini, pubblicate per la prima volta [da Ài
SANDRO LisiNi per le Nozze PezzttoU-Curzil. Siena,
L Lazzerì, 1889; 16^ pp. 45. — e es. n. v.
La prima a Gerì, le altre a Cuccio suo figliolo ; tutte scrìtti
dìvoie persone: le prìme due daUa b. Cristiana Menabuoi, e»
dd monastero di Santa Marìa NoveUa da Sancta Coree » (croce); L
da suora Michelina, badessa nello stesso convento, la lY e la
frate Dvonìsio de* Predicatori, le ultime due da fra Ba
torneo de la Verna. * Si conservano originali in un fascio di e
qu»>i tutte in volgare e per la massima parte riguardanti la fan
tie' .VimkmiÌQÌ, pervenute al r. archivio di stato in Siena co* docui
uutiìbnn^ceì delPantia» convento di San Francesco. Non hanno
etTU, nui dal carattere, dal contesto e da' rìscontrì fatti con altre
UK>rìe^ rimane il convincimento che furono scritte neir ultimo venU
liei $ec Xlll ». Nelle illustrazioni premesse T editore riporta (p. 8
tttu curìiK^ lettem btina conclusa da alcuni leonini, scrìtta da Gìo^
di Mji<!^sUo HandìDO a Guorio per ringraziarlo di certe pere mandi
in (k>iKK p(ù« un sa^> deila nota dì e spese fatte per chagione (
U^he » da un !Ìoiitamnì che viaggiò in Francia (p. 15, n.), e il prin
del tessumento in xv4pLrv dì monna Vanna sorella di Cuccio (p. 18,
tV4. Stamto tki discipUnaii di Pomarance nel 1
l^^miiN>: ksto di limgmi del secolo XIV pubblicato per e
DOCUMENTI 335
di Pietro Vigo. Bologna, Romagnoli-DaU' Acqua, 1889;
8°, pp. XXII-64. (Della Scelta di curiosità letterarie, disp.
132).
Dopo la consueta invocazione: e Questi sono gli stanziamenti et or-
dinamenti della compapia di cboloro che si raguneranno a fare disci-
plina in memoria della passione del nostro signore Jesu Cristo crucifisso,
nella cappella del beato sancto Giovanni Baptista di Ripomarancia. Co-
minciato a di tre di maggio anni di Dio Mcccxlviij, a tempo di Michele
Barzetti priore della detta compagnia, et di messer Ranuccio per la gratia
di Dio vescovo di Volterra nostro padre spirituale, et di messer lacomo
piovano della pieve di Ripomarancia ; la quale conpagnia Cristo lesu la
mantenga >. Consta di 39 rubriche, fra le quali notiamo la 36*: e Che
nessuno de' fratelli non giuochi al sozo o a perde e vincko i. L'origi-
nale, trovato nel 1885 in una latrina, si conserva ora nell'archivio munici-
pale di Pomarance.
65. / capostipiti dei manoscritti della Divina Com-
media: ricerche di Carlo Tauber. Winterthur, tip. Ziegler,
1889; 8^ pp. XI.148.
Io appendice (pp. 131-36) pubblica alcune ragioni di pasqua e
della luna che si leggono nel cod. laur.-strozziano CLIII, contenente
la Comedia copiata da Francesco di Ser Nardo. — Ree. Nuova Anto-
loffia evi, 190; Riv, Cnt VI, 129.
66. Giovanni Acuto (Sir John Hawkwood): storia d'un
condottiere, per G. Temple-Leader e G. Margotti. Fi-
renze, Barbèra, 1889; 8^ pp. 305.
Fra i documenti che corredano questo bel volume sono in volgare due
note 0 istruzioni dei Dieci di balia agli ambasciatori Go-
rentini all'Aguto nel 1389 (doc. LXV e LXVII: dall' Arch. Fior.), e una
breve partita dello stesso anno cavata dai libri di Bicchema dell'Archivio
di Siena (doc. LXVI). Nel testo del racconto si riporta (p. 215) una breve
lettera volgare di Corrado Prospergh, genero dell' Aguto,
a Donato Acciaioli (dal carteggio Acciaioli, cod. ashburn. 1830), alcuni
versi dei cantari di Antonio Pucci sulla guerra Pisana (pp. 17, 18,
25, 31), -delle ottave d'anonimo per la guerra degli Otto santi (pp. 70,
80: cf. OV, 216), e d'un sonetto (L'alto rimedio di Firenxa magna
p. 55) e di una canzone (Hercole, già di Libia ancor risplende : p. 98)
di Franco Sacchetti. — Ree.: Arch, Slor. it,, S. 5*, voL V, 127;
Biv. star, it., VII, 559.
SF?«2K3n7> àlÀ^ LéWMUM PCB IL 1889
>'. L ?xi?!. ZL art iei wtercanli di Calimakin
^ i mo wm mata tmmto, TorìDO, Bocca, 1889;
- 1 Jtt» vét jijMJM' fl FIEppi riporta (p. 53) dal coi
c^.ze.*! '].{ir« 4eì consoli di Calimalaa
**n: é ..-cLii:'.'. sr •rt^^rtmBMMhi^'i Tarte che corren rìschio di
Sm 3SL • J3Ci d'anno ; ma dalla fonna deOa
<& «(repo ai/fYi' domino D. A.) ooo
sa 2 Cmmko Donato di Iacopo baodiio
amt iacfinerebbe a credo'e TeditoR.
— Jt fc «r. t T ar.
^ 1 "■K.wsat ■ M Tb florfntino del secolo XV e
à m TccriBK? lumsat-siif. [Nel* ^rA. 5fór. lY.^ Serie 5^
1 X— JK<*<- i.i iisfsiìco dì Luca di Matteo di
:tr«^« .ili. ^.-"iiiJ CI ? 112130 <f393-ii61) recandone alqQaDti
^ asDHi i peio die narra d* una vendetta ooo-
-atL L«fÙ pò. T-tl). DaDo stesso libro riporta anche
•^•jfT-^ JT*. 1 BBBR VI e bruchi de Torto e de le vigne >,
SEirr ■■ ^am i itPi S7> ». e a fare restare el sangue a uno
m m wm ' per I nu c£. Smppi, 1887, n. !fó). L* orìginak
~Tiiwi -f f)«er^ leTlrsL Ì Slato in Firenze: seconda seri?
"St- '•T"
•V Tc »rf^. Ì4.:t:€xel I àfwoiii, te /brm^ e le parole
CI-' ••ierii àuuf^: ùfua città di Bologna: studio se-
-tti^' A£ imi ^rv À 'jMtichi testi bolognesi inediti, in
^;:3fc. » 'VHi'C-f. aft iialitto. Bologna, tip. Fava e Ga-
-^-^ LSJb t-r. ;c. LM.292.
win:!:»: T«;$7mii mcrtrài tesa bofegnesì in volgare : I. Parlamenti ed
jis^jii: JH a : f '^- • j -ìlio Fava, dal cod. vaL 5107. - II. FrammeDii
.cìd >p#!s:a>ifc nxnpc^ i*i trattato diarie notarìa di Rainerio da Pe-
•-Ti .£ iSi .-jiL iiftla Comunale dì Siena H. V. 30. - IH. Parb-
ar'v: «1 -f.'isuH? ;uit;. ili cod. strozziano della Biblioteca Nazionale di
■ -•«? II. **i - [V. Parfamento ed Epistola tolti dal libro n. 51
jTM cx!w irt Twdi f banditi dell' arch. di stato di Bologna (anno ii93).
'. »rtta Isa lìir. idk riformagioni del consiglio del popolo di Bo-
DOCUMENTI 337
logna: anni 1302-88. - VI. Estratti di uno statuto della compagnia dei
Cabbrì dell* a. 1397 tolti da un cod. dell' arch. dì stato di Bologna.
- VII. Estratti paralleli delle due cronache Bolognesi contenute nei mss.
della Biblioteca Universitaria di Bolopa n. 1456 e n. 431. — Ree:
Giom. star., XVI, 376.
70. Documenti per la storia del governo visconteo in
Bologna nel secolo XIV [pabbl. da Lodovico Frati nel-
r Arch. star, lombardo. Serie 2*, a. XVI, 1889, voi. VI,
pp. 525-80].
Sono in volgare : il doc. I, contenente i patti fra il Comune di Bologna
e gli zecchieri MafQolo e Lorenzino de' Erotti (1350): e In prima che li
dicti Maiìolo e Lorenzino posano e debano fare batere bolognini grosi de
la liga che sono li pepolixi, fati al tenpo de la bona memoria miser
Tadeo de'Pepoli conservadore de Bologna »; e il doc. Il, cioè un bando
del 9 febbraio 1351 contro gli spacciatori di bolognini fabi: e Che neguna
persona, citadino, forastero, né d' altra condicione o stado chel se sia, de
la dita moneda falsa osi né presuma de spendere >. Entrambi ricavati
dalle Provvisioni del Comune di Bologna.
71. Antiche iscrizioni veneziane in volgare [pubbl.
da G. Ferro nel Propugnatore, N. S., voi. II, 1889, p. i,
pp. 444-53].
Accennati i dubbi sull'iscrizione del 1249, che anche il Monaci
riprodusse ultimamente nella sua Crestomazia (cf. num. 47) come la
più antica con data certa, mentre é assai probabile sia posteriore
d'un secolo, riporta dodici antiche iscrizioni già edite qua e là, ma
ora nuovamente rilette sugli originali. Spettano agli anni 1310, 1344-47,
i360-6!2, 1375 e 1377: particolarmente lunghe, una del 1347, per ri-
cordo del terremoto e della peste, e una del 1362, contenente la tradu-
zione di un breve di Urbano V.
72. Bartolomìieo Gegghetti, Giocolieri e giuochi an-
tichi in Venezia, [mv Archivio Veneto, voi. XXXVIII, 1889,
p. n, pp. 423-28].
Dai libri Conunemoriali riporta un breve documento in volgare, cioè
le deposizioni di alcuni testimoni in un processo per giuoco del 1300 (?).
Gom.: e Eo Polo Foscarìn, consiier de la Chania digo per sagramento
,
338 SUPPLEMENTO ALLO ZAMBRINI PER IL 1889
\ de lo foto de Io zogo che cusi é la verìtbade: plusor fiade ser M
Dolphin rector de la Cbaoia si disea a mi Polo Foscarìn che eo di
zugar cum ser M. Gradonico >.
n
' 73. T^to antico in volgare siciliano : comunicazi
; del can. Isidoro Carini. [Neil' ArcA. star, siciliano, N.
,\ a. XIV, 1889, pp. 108-114].
i^ e Lu ordini a Sari li monachi secundu la regula dì Sanctn Basii
cioè un rituale per monacazioni, che comincia: e In primis ?eni, b
naca chi si foli fari a li scaluni di lu altaru di la ecclesia, bella pa
portata cum alcunu nobili homu, et comu esti a li scaluni di la e»
si tegnanu, et veni la abbatìssa cuin li monachi cum la cruchi »,
Il ms., che l'editore non indica precisamente in quale monastero oi
trovi, appartiene alla metà del trecento ; ma il testo risale anche pii
dietro.
I 74. Un diploma di grazie e privilegi munici^
concessi nel 1393 dm magnifici conti di Peralta i
città di Calatafimi [pabbl. da Andrea Guarneri Dell' A\
stor. siciliano, N. S., a. XIV, 1889, pp. 293-314].
Da una copia quasi contemporanea, dove s* intitola : e Quatem
li mandri et parichati di lu terrìtoriu di la terra di Calathafimi, cussi e
anticamente foni divisi et limitati, ac etiam altri gratii, privilegii et
ceptioni facti et conchessi et dati per li magniGki signuri conti Guilic
et Nicola di Paratia ». Contiene, prima le sopradette grazie e prìti
poi, come appendice, tre liste: 1.* e li mandri di affidamentudi lai
di lu terrìtoriu di la terra di Calalafìroi » ; 2/ e li mandrì di li burgi
Calathafimi > e 3.* e li cbensuali di la curti di la terra di Calatbafin
75. Alcuni privilegi accordati da Re Martino e
città di Messina [pubbl. da G, Travali neir Arch. 5i
siciliano, N. S., a. XIV, 1889, pp. 183-86].
Otto e Capituli et peticioni, li quali li jurati di Missina pelini
supplicanu a la Clementia regali per utilitati et benefìciu di la chitai
Missina » ; ricavati dal registro del Protonotaro del Regno per gii
1104-5 (Arch. di stato di Palermo).
DOCUMENTI 339
76. L. T. Belgrano, Di un codice genovese rigtmr"
dante la medicina e le scienze occulte. [Negli Atti della
Società ligure di storia patria, voi. XIX, 1887 (ma 1889),
pp. 625-52].
Dà notizia del cod. Pallavicino 913, ora nella Biblioteca comunale
di Genova, ms. miscellaneo della One del XV, che contiene fra altro
e una copiosa raccolta di trattatelli igienici, ricette mediche, formole e
segreti empirici, incantesimi e scongiuri >, dei quali pubblica uno per
sanar le ferite (e Trei boni fradelli per una via se ne andavan, in mese
lesu Chrìste se intopavan >), mettendolo a confronto con un testo toscano
della stessa orazioncella secondo il cod. magliab. IL 68 (cf. n. 68 di
quest'an., e 1887, n. 25). In appendice, al n. II, ricava dal notulario di
Maestro Salomone (arch. notarile di Genova) una incantagione se-
mivolgare, notevole per la data (1222).
77. Di un antico anconetano, scolaro nello Studio bolo-
gnese, lettera volgare e risposta relativa [pabbl. da Naz-
zareno Angeletti per le Nozze Palloni-Marchetti]. Iesi,
tip. Razzinì, 1889; 8^ pp. 13. — e es. n. v.
Queste due pistolette, assai più che veramente mandate, come mostra
di credere V editore, sembrano estratte da qualche formulario. Ciascuna ha
accanto la sua traduzione latina: la prima, scritta in figura di Martino di
Bartolomeo d* Ancona, studente a Bologna, che chiede aiuto al suo concit-
tadino ser Antonio de Giuvàgni, comincia : e Concissiacosaché deggia essere
comuna ciascheuna cosa de ramici, volendo io, quale vivo in miseria
nellu studio de Bolognia, privato dell' amore et de lo iutorio paternale,
captare benivolentia nel mio exordio >. Furono ricavate dal cod. Corsi-
niano 43. E. 23, ms. del sec. XV.
310 supruassno allo zàmbmini psa il 1890
PiliHeidfii dd INO
1. Lmdi CorUmm del secolo XHI, edile da (km
Habocq, cam um' a/q^endiee e / prooerti di Ghane i A'
CiKLO Appbl (Estr. dal PropugtuUore, N. S. , toU. IMII).
Boiogna; Fava e Garagnani, 1890; 8*, pp. 140.
Il IfaaoM pdhhica Wii li prin pvte del col 91 ddh KUtai
£ Corion (et Sappi. 1884, o. 3 e 1887, d. 75), «ù k i7
segDcstiy fiHnpiHif eerto inun al 1297 e aytaj probobilneBle m
MÈO éopo fl 1Ì60L 1. Vemùe m Indire; 2. Laude mmdlm nm cmUsk;
9L Am^ émmm ttmimimm; k. Umàmmm SMMia Maria; 5. Awe Mariapnit
pkma. Virpem main keaia; 6. Awe regima piorioea; 1, Da M nam
acne maeelk; 8. AUissiaàa Imce col pnmde $pUadore; 9. Fami tnkr
Tamar éilaheala; 10. 0 Maria. d^caìeUa m' fimlaaa; ÌL Regina smen
ée gram pielaie: li. Awe. Dei gemtrix; 13. 0 Maria, Dei 'téle; li
Am wergeme gaaàmie; IS. 0 iànma vtryo, flore; 10. Siine, téie,
wirgo pia: 17. Tergerne demfello da Dio aatala; 18. Beeealriee nm-
mala; 19. Omm è malo el kmmamalo; 19. 6» e ... Moki mesi
avo maaànà >; 20 e . . . gru profioido Dognò naire» per noi sofrin,
U Mite donna > ; 21. Gkria im deh e pace 'm terra; 21 SfcOi
mwaea 'm fra la gemk; 23. Piamgiaaio gael erwdel baodare; 2i. Bn
è crudele e spietoto; & De ia crude! morie de Cristo; S6. Dém
conforto, Dio^ et al^graufo; 27. Onue homo ad alta voce; 3^ Jen
Cristo glorioso; 29. Laudawko la rtsumctione; 30. ^ritu Sencki,
dolce amore; 31. Spirito sando glorioso; 32. Spirito saneto da serrirt:
33. Alta trinità beata; 34. Tn^po perde 7 tempo ki ben non f ama:
35. Stonimi allegro et latioso; 36. Oiwù lasso e freddo lo mio wr:
37. Chi rote lo mondo desprecfore ; 38. Laudar voUio per amort:
39. Sta laudato san Francesco; 40. Ciascun he fede sente; 41 Mag^
dalena degna da laudare; 42. L alto prence Archangelo lucente; 43.
Foriamo laude a tue fi sancii; 44. Soji Jovanni al mond' è nato; 45.
Ogn om canti nord canto; 46. .4iiior dolce senca pare. Sooo tutte bal-
hte; moltissime composte di tenetti monorìmi codcIusì dalla rima deb
ripresa: prevale rottooarìo, frequentissima é anche la rimalmezza Già
erano state pubblicate secondo questo ms. la U, VI, VII, XIX, XII
6, XXXn, XXXVUI-XL (cL 1888, n. 6, e 1889, n. 7); poco di
poi furono ristampate h I, lU, Vili, XVII, XVIH (cf. art s^pieflie);
POESIA REUGIOSA E MORALE 341
secondo altro testo erano anche note la KIV, XXXI e XXXVII (cf. 1885,
n. 38); parecchie altre, ma in lezione diversa e generalmente più abbre-
viata e moderna, sono comprese nei laudari pubblicati da E. Gecconi {OV,
551-52) e da G. MazzatinU {Suppi 1888, n. 17). In fine alle laudi Vili,
XIV, XXXI e XLVI il poeta si nomina: Gar(o doctore; e avendo ri-
guardo al tempo e all' affinità della materia, sembra ragionevole ammettere
che il laudese sia tutt'uno con Tomonimo compositore dell' Alfabeto di
proverbi qui pubblicato in appendice. Di questi proverbi avea già dato
qualche saggio il Palermo (OF. 425), poi tutta la serie, ma assai scor-
rettamente, G. Giullari (07.840); ora TAppel ne presenta un testo mi-
gliore, giovandosi del ms. laurenziano XG inf. 47, raflrontato col Pala-
tino GVII e coi Riccardiani 2183 e 1764, il quale ultimo si discosta molto
dagli altri, ossia sostituisce spesso nuovi proverbi. La serie originale ne
conta 240, cioè 12 per ciascuna lettera, eccettuate x ed y che ne hanno
un solo: ogni proverbio è compreso in un verso con rimalmezzo, o, se
si vuole, in un distico senza misura fissa. L'alfabeto comincia: Amore già
non cura - ragione né misura ; innanzi vanno alcuni versi del compilatore»
che annunzia la sua opera :
A ciò che sia piacere - lo bello proiTerere
conviensi che sia - con molta cortesia:
se '1 ben fare m'accusa - lo ben voler mi scusa;
però Garzo dice - l'omor della radice, ecc.;
e cosi in fine s'aggiungono alcuni versi di chiusa. Ghe Garzo possa es-
sere una stessa persona col bisavolo del Petrarca (di Ser Petiaccolo, di
Ser Parenzo dall'Incisa, figlio di Garzo) è ipotesi che non repugna af-
fatto alla cronologia e ai luoghi dove dimorarono i parenti del Poeta, il
quale in una delle lettere familiari (III, 6) ricorda questo suo antenato
con parole che convengono troppo bene a un laudese e dettatore di sen-
tenze (cf. A. Zenatti, // bisnonno del Petrarca, nel Propugnatore, N.
S., IV, I, 415).
2. E. Bettazzi, Notizia di un laudario del sec. XIIL
Arezzo, tip. Beliolli, 1890; 8^ pp. 64.
Ridescrìve l'antico laudario di Cortona, non sapendo della pubblica-
zione che contemporaneamente ne facea il Mazzoni (cf. art prec^ente), e
dà notizia d' un altro codice di laudi, ora nella Biblioteca delia Fraternità
dei laici in Arezzo, ma anch' esso di origine cortonese: scritto nel 1367
da un Joannes Nuti Giuseppi , contiene 76 componimenti , 33 dei quali
comuni alla raccolta più antica. Da essa trae in luce cinque laudi, cioè
342 SUPPLEMENTO ALLO ZJMBBIM PER IL 1890
queQe che portano i nom. I, HI, YUI, lYU e XYIII ndl'edìiioiie dd
Manooi, aggiungendo le farìanti del db. arediio; per saggio di qnto
pubblica in fine un Lamento della Madonna in 45 strofe decaslidie
di endecasillabi, tutte incatenate con h prima e Y dtìma parola. Cos.:
Un piangere amonm lamentando^ e si legge aoche od ms. di Cortola.
3. Laudi volgari trascritte da un codice del sec. XIY
che si conserva nella Biblioteca della Fraternità de' Laici
in Arezzo [pnbbl. da Enrico Bettazzi per le Nozze Cai-
vmo-Bozzol Arezzo, tip. dell' Appennino, 1890; 24^ pp. 10.
— Ed. n. ?.
Due ballate, dal laudario del 1367, di cui Tedi all'art precedente:
1. Genie pietosa, amirate a Maria; 2. Ave, donna gloriosa, Soirra ogm
altra pretiosa,
4. [Dae laudi antiche pubblicate da Ccurrado Zìc-
CHETn Nelle nozze del professor Nazareno SignoretU coUa
nobile signorina Maria Falcinelli Antoniacà, in Issòt].
Rieti, tip. Trinchi, 1890; 8", pp. 5. — Ed. n. ?.
1. Anima peregrina^ Che dello amore senti lo xeh; 2. ì4iimm do-
lente^ Resguarda con pietade. Dal ood. G. II. 50 del monastero di Foote
Colombo presso Rieti: entrambe in forma di ballata.
5. Laudi e devozioni della citta di Aquila [pnbbl.
da Erasmo Pèrcopo nel Giom, stor. d. lett. it. , voi. XY,
1890, pp. 152-79].
Continuazione: cf. 1888, n. 8. 37. 0 prencepe dell' angelif in-
coronata (de sanctu Angelo); 38. 0 papa CeUstin da Dio electu (de
sanctu Petro confessoro); 39. 0 Yhesù Cristo singnort verace (bada per
la pace); 40. Sisto ^ papa verace (laude de Sisto IV); i\, AtMf et
Cristo^ quanto day diUcto (del divino amore); 42. Martyre glorificaio
(di sanato Marcho evangnelista); 43. Santo Jacobo ìnato (di Saodo
Philippo & lacobo); 44. 0 Vergen Maria, piena de pietate (oraziooe
per 1 Aquila); 45. Ave gratia piena (per 1* Annunziazione); 46. Vergene
matre, piena de dolciore (alla B. V.). Tutte ballate. La pubblicaziooc
continua.
6. Frammento del « Lamentum Virginis > poema
del sec. XIV [pnbbl. da B. Morsolin negli Atti del B.
POESIA REUGIOSA E MORALE 343
Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, voi. XXXVIII
(Ser. VII, lo. I), 1889-90, pp. 933-65].
Da un registro notarile delio Spedale dei Battuti di Vicenza, copiato
nel idSi (Oggi neir Archivio della casa degli Esposti di codesta città) e
pubblica gli ultimi due capitoli (il penultimo, mutilo) del Pietoso lamento
0 Pianto divoto della B. Vergine, notissimo poemetto in ternari che il
Morsolm vorrebbe ora attribuire a un Biagio di Jacopo Saraceni
sottoscrìtto in fine a questa copia vicentina. Ma più altrì ms., e più com-
pleti, e le antiche stampe (cf. OF. 386 e Ap. 52) s* accordano nell*al-
trìbuirlo a frate Enselmino da Montebelluna.
7. Antichi proverbi in rima [pubbi. da M. MENGfflNi
nel Propugnatore, N. S., voi. III, 1890, p. ii, pp. 331-43].
Risalgono probabilmente molto addietro, sebbene arrivati a noi in
due copie assai recenti, cioè nel cod. Riccardiano 2924, ms. del sec.
XV in fine, che li presenta adespoti, e nel Vaticano-Regina 1603,
dove furono trascritti col nome di Brunetto Latini da SertorìoQuat-
tromani, dotto cinquecentista da Cosenza. Sono 228 alessandrìni divisi
in 57 tetrastici mononimi. 11 primo dice:
Chi lava el capo a l'asino perde il ranno e *1 sapone:
Chi predica in diserto vi perde el sermone:
Soffia due e tre volte quando è caldo il boccone:
Non te fidare in homo che aggia rotto el groppone.
L'editore segui il testo riccardiano, ch'é più corretto e completo.
8. F. Pellegrini, Rime inedite dei secoli XIII e XI V,
tratte dai libri dell' archivio notarile di Bologna. [Nei
Propugnatore, N. S., voi. Ili, 1890, p. ii, pp. 113-78].
Continua la nota spigolatura iniziata dal Carducci (OV, 878-79; e
cf. in questo Supplemento, 1885 n. 8, 1886, n. 11, e 1888, n. U), pub-
blicando le seguenti rìme nelF ordine cronologico dei memoriali, o delle
pergamene e carte che le contengono. Dopo i capoversi riportiamo le date
delle fonti. 1. 0 rossa tempestina - del magur messe, ball.? (1284)-
2. Doglo d'amor sovente, ball (1296); 3. Perché murir me fati, ball.?
(1286); 4. Dona, vostr* adome^e, baU. (1286), già edita dal Carducci se-
condo altro testo notarile, ma senza l'ultima strofe; 5. D' un amorosa
vogla, ball, di Albertuccio delk Viola (1286), ed. dal Carducci se-
condo altre copie; 6. S eo trovasse incarnata la pietanza, framm. di
i«4 rnmsMSSTO allo zambrini per il 1890
* (12»); 7. JCnu opponentis egei moffno dono, qoartjae
MÌ86); 8L &M cà'è saco rum corre Ufero, il Dolo soft.
YtuiM t^iiiìcelli seeoodo due nuovi testi (1287 e 1293); 9. Se-
- r^^M e Im msAv </ajH^ ripresa di balL (1287); 10. Ì7-
priso^ quartioe di son.? (1293); 11. 0
. fnmm. dì 5 vr. (1293); 12-13. /offlccM
A* pttmk e Z)to /k» dk« /»ac6 a//' ff//^ /^0 ^ ^<'^'
i prMo di 19, il secondo di i5 strofe, di materia amo-
H-loL h tutti t tempi della vita mia e Ben posso din
(dd secondo le sole quartine), entrambi com-
scrittore del libro (1300)^: ser Salimbeoe
rjatiiis i^c ft£C£«b*ii de Florentia; i6 e.... Launcbe passa,
ì^ am.ns^M's. ^ ««fraan. del soo. di Dante: Negli occhi porta
nyftkt^.Sm td pmggr éeiU aùu danna amore, son. di Gino da Pistoia
tlìÈÈK ^ 4 Ik pmi ii^Miwir ^, cannone», congedo della cam Donna
%i.4# Cavalcaiti (1300); 19. Io mi son tucto dato a
attriboito in altri mss. a Gino da Pistoia
isturiatamente e Qual hom riprende aitm
<fi Giacomo da Lenlino e dell'Abate
dì una notissioaa tenzone; 22. Amor,
di baL? (1301); 23. Chusi digl' odi tot
frainm. (1301); 2i. Dea, lassatim' andare,
r - mora lo malvas mari, balL (1302);
le felù$o, ball. (1302); 27. Dona, mercé de-
m^otàf^ kìL !3L>f^; ±^ Al nome di Dio è btiono incuminciare, le prime
me jcrwf uà ìl^ SLr^^^:ese dello Sch iavo di Bari (1306); 29. Quel
-tr' i .7<7^;^ j*rr tt/nfcf f>iT Ocio, son. framra (1306); 30. Vostr' amisUi
ii^hj^T-i r^'cmruf qurìine dì son. (1309); 31. & bazio cho Per la
:iia >Kviu ±' 1 s òok* tasto >, soo. framra.? (1309); 32. Bisliccio
>acri.v a'd.xtsw* di oa ooUh> sui nomi de' suoi colleghi : e Ser CioDte
CIAC ,"ca tf : >«• Nten à nera la nòra ; Ser Nello denallo à nulla i eoe
«•j!t : ;vx V.'jO^- ftvrorN), signor* Fiorentini, Agli Lucchesi fi troppo
uiit:jL^'.\ 5^xL ^^dco 1131Ì; cf. Giov. Villani, IX, 59); 3i. i versi 103-li
ieì V àiu l^rfrn^'i n^oii; 35-39. La mia sagura m' d dà si de peto:
Mtr:^ S:*n.sM.It> a la dolce spercm^n; T ne rengracio l' alto Beo Signore;
L im^y n' 2 preso e le' me st al desota; Dolce amor meo, nu sen luti
ftAj r.xr;«f, doque sonetti. l'ultimo caudato, da un foglio volante (1332?)
s<XH:rino ser Bernardi de Cassangnanis, foi-se autore di queste rime;
iO. AV r ùtr chiaro un zirfalco zentile. madrigale, da un quaderno del
loSo (nìs. 52 della Bibl. Universitaria di Bologna).
URia DEL SEC. XIU 345
9. Di un giuoco popolare nel secolo XIII: illustra'
zione di L. Di Giovanni. Palermo, tip. del Giornale di
Sicilia, 1890; 8^ pp. 26.
Ripubblica la piccola cantilena :
Turlù, turlili, turlù,
questo non sapivi tu,
già edita dal Carducci fra le Rime cavale dai memoriali bolognesi, e
tenta di rìcostruirne il metro e di spiegarla; ma in Terità per cosi pic-
cola cosa spende troppe parole. — Ree: Riv. Crii,, VI, 119.
10. T. Casini, Un poeta umorista del secolo decimo-
terzo. [Nella N. Antologia, voi. CIX, 1890, pp. 4«6 508].
Cioè Rustico di Filippo, del quale il Casini tratteggia il profilo let-
terario e riporta i seguenti sonetti secondo il testo del canzoniere vaticano:
1. Unquaper pene eh' io patisca amatuio; 2. Io non oso rizzar, chiarita
spera; 3. Amor, onde vien V acqua che lo core ; 4. Dovunque io vo o vegno
0 volgo 0 giro; 5. Ah! voi, che ve ne andaste per paura; 6. Fastel messer,
0 fastidio della razza; 7. Due donzei nuovi ha oggi in questa terra ; 8.
Su, donna Gemma, con la farinata; 9. D'una diversa cosa eh' è ap-
parita; 10. Una bestiuola ho visto molto fera; 11. Chi messer Ugolin
biasma e riprende; 12. Quando Dio messer Messerin fece,
11. Dante da Majano: dagli ^/udi e^t Ranieri àjazzi
sui poeti del primo secolo della lingtm. Firenze, tip. S.
Landi, 1890; 16^ pp. 26.
Contiene due sonetti del Maianese {La lode e 7 pregio; Di ciò eh' audivi)
e il responsivo della Nina Siciliana: Qual sete voi, si cara prefe-
renza, accompagnati da una canzonetta dell' editore, pel quale, purtroppo,
la promessa
ricambiata da lontano
fra la sicula poetessa
e il poeta di Majano,
caro idillio, vive ancor
12. La canzone di Guido Cavalcanti e Donna mi
prega » ridotta a migliore lezione e commentata massi--
mamente con Dante [da G. Pasqualigo] ne L'Alighieri a. II,
1890, pp. 241-62 e 315-44].
346 SUPPLEMENTO ALLO ZAMBItlNI PER IL 1890
Noo dlchian l'editore di quali testi si sia giovato per migfiortre h
leDone: nel commento riporta un son. dì Gaido Orlandi (Ondenmm
e éTonde natot Amort\ ano di Dante {Amon e cor gmOl^ e odo del
Gaialcanti {0 tu che porft). » Gontinoa.
13. Dante AUghieri: la Commedia. Londra, Rivin-
gton, 1890; 8", pp. VIII-SOO.
Edizione corata da A. I. Butlbr. D testo é fondato so qaeflo dd
Wìtte: innanà la h rubrìca dantesca del ViOanL
14. La Dwma Commedia ridona a migUor lezim
con V aiuto di ottimi manoscritti italiani e forestieri, e
corredata di note edite e inedite, antiche e moderne, dal
prof. G. Campi. Torino, Unione tipografica editrice, 1889-
90; 3 YOU. in 8^.
b corso di stampa.
15. La Divina Commedia di Dante Alighieri wU
tata m prosa, col testo a fronte di Mario Voixesi. 2*
ediz. riveduta e corretta. Firenze, Salani, 1890; 8", pp.
957 e ritratto.
Gt 1886, n. 21.
16. L Inferno dichiarato ai giovani da Angelo Dk
Gubernatis. Firenze, Niccolai, 1891 [ma 1890]; 24^ pp.
VIII-508.
Cf. 1889, n. 23.*
17. Commento alla Divina Commedia del re Gio-
vanni di Sassonia (Filalete) tradotto, [Ne L Alighieri,
a. I, 1889, pp. 65-81, 129-39, 193-211, 361-67; a. II,
1890, pp. 38-43, 123-29, 262-69].
È il seguilo della pubblicazione interrotta nel Propugnatùn (cf.
1887, n. 41): comprende finora i canti XV-XXIV ùeW Inferno.
18. Piccolo commentario scolastico della Divina Cbm-
media, del p. G. G. Berthier. [Nel Rosario: Memorie
domenicane di Ferrara, a. VI e VII, 1889-90].
Finora sono stali pubblicati 22 canti dell' bfemo.
DANTE 347
19. Frammento di un codice della Divina Commedia,
scritto sulla fine della prima metà del secolo XIV, che
si conserva nelF archivio notarile di Sarzana , pubblicato
per cura di Roberto Paoletti, e seguito da sei fotografie
che ritraggono Poriginale. Sarzana, tip. G. Tellarini, 1890;
8"*, pp. 68, con 6 tav. fotogr. e il ritratto di Dante.
Tre fogli membranacei, che già servivano di guardia a un protocollo
notarile, contengono i versi XXV, àO a XXYII, 78 del Purgatorio, e li, 7 a
III, 21 del Paradiso, qui fotografati, stampati, e accompagnati da parec-
chie inutili note. La scrittura del frammento sarzanese somiglia a quella
di Francesco di Ser Nardo (cf. art. seg.).
20. / Danti e del Cento > : studio del prof. Um-
berto Marchesini (Estr. dal Bullettino della società dan--
tesca italiana, n. 2-3). Firenze, Landi, 1890 ; 8'', pp. 22.
È corredato d' un facsimile del cod. laurenz. XC sup., 125 conte-
nente la Divina Commedia trascritta nel 1347 da Francesco di Ser Nardo
da Barberino, copista, come si crede, dei cento Danti. Cf. nello stesso Bui-
lettino (n. 4): Ancora i Danti e del Cento i.
21. F. Pellegrini, Di un commento poco noto del
secolo XIV alla prima cantica della Divina Commedia
(Estr. da una pubblicazione per Nozze Cipolla- Vittone).
Verona, tip. Franchini, 1890; 8', pp. 20. — Ed. n. v.
Ripubblica le osservazioni sul commento dantesco del cod. mare. it.
IX, 179 (cf. 1889, n. 24), e ne presenta un nuovo saggio, cioè le
chiose ai canti IV e XXIX deW Inferno.
22. La Vita Nuova di Dante Alighieri, con intro-
duzione, commento e glossario di Tommaso Casini. 2.^
ediz, riveduta e corretta. Firenze, Sansoni, 1890; 16^,
pp. XXXI-229.
Cf. 1885, n. 13.
23. La Vita Nuova di Dante Alighieri, con prefa-
zione su Beatrice di Aureuo Gotti. Firenze , Civelli ,
MDCCCLXL; 4^ pp. XXXIV-79, con tav. e illustr.
348 SUPFLEIIEIITO ALLO ZAMBBIHI PfiR IL 1890
PubbiicaU in oecmne del ?I eeotenarìo di Beatrice. Doe \xvk
cromoUlognficbe rìprodooooo h figm di Dune ebe è od eoifiee Lur.
ftroo. 174, e no busto dì Beatrice da una iiuìale dd Riecardìaiio 1005.
24. GioTAma FRAHaosi, il taìuto di Beatrice. Ro-
Tigo, tip. Minelli, 1890; V, pp. 10. — gcg es.
laoaim aDe parole dd Fhuieiott n cL'vuiio e Faite di Dune ad
sonato del saluto > é anche il testo della poesìa io caratteri golid die
Torrdbbero contrafbre gli antichi
25. Akune fonti provenzali dMa e Vita Nuooa i
di Dante: memoria di BIighele Scsdbbillo. [Negli AtH della
R. Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Na-
poU, ?ol. XIV» 1889-90, p. n, pp. 201-316].
Riporta i soliti sonetti di Dante da Maiano: Di dò die 9lé$
$d dimandaion (p. 803), Provvedi, Maggio ad està viskme (Si6); di
Cecco Angiolieri: Dante AUagkier(pìi);^ Francesco da Bar-
berino: r ion n fatto tT una vinone (212); di Gino da Pistoia:
Vinta e lana (215), e In fra gli altri difetti dd Ubdlo (22^
26. Studi danteschi di Vittorio Imbriaio, em prefa-
zione di Feuge Tocco. Fireoze, Sansoni, 1891 (1890) ; 8^,
pp. XV-538.
Nel primo di questi studi, Sulla rubrica dantesca dd ViUani (edito
altra volta nel Propugnatore, V. S., toU. III-XIII) é anche il testo dì quei
capitolo della crooica secondo i codd. Riccardiani 1532-34, magliab. L
114, Palatino E. B. 10. 6, ed Ambrosiano, con le varianti d'alrrì l3co<ld.
fiorentini, tutti indicati e descritti (pp. 21-25), premessa anche la bibliognfia
delle stampe del Villani, e (pp. 18-19) il testo abbreviato del necrologio
dantesco come si legge nel cod. laurenz. LXIl. 6. — Nel penultimo stu-
dio Sulle canzoni pietrose di Dante (pubbL prima nel PropugMtort,
y. S., volL XIV-XV) riporta intoro il son. attribuito a Danto: Ddi pian^
meco, tu dogliosa pietra (p. 455), e, analizzandola, la canzone: loto»
venuto al punto della rota (470-75), oltre a parecchi passi delle altre
rime pietrose.
27. F. Pellegrini, Di un sonetto sopra la torre Ga-
risenda attribuito a Dante Alighieri. Bologna, Zanichellit
1890; 8^, pp. 25. — Gxx es. n. v.
DAirrE 349
t Pubblicato il di XIV maggio MDGCGXG, quando d'intorno alla torre
Garìsenda si demolirono gli ediflzi che ne ingorabrayano la base >, con-
tiene un testo critico del noto sonetto: Non mi portano già mai fare
amenda, con le Tarìanti del memoriale bolognese 69, e dei cod. Ghigìano L.
Vili. 305, Magi. IV. 1U, Trìvulziano 36, e 2448 della UniTersitarìa di
Bologna, i quali tutti lo attribuiscono a Dante; mentre il ms. 824 della
capitolare di Verona lo presenta senza nome d'autore. — Ree. N, AntoL
CXI, 773; Riv, star. ital.. VII, 556; Giorn. stor,, XVI, 461.
28. Canzone di Messer Gino da Pistoia a Dante per
la morte di Beatrice: riproduzione fototipica in ce esem-
plari del dono offerto a S. M. la Regina d' Italia dalle
gentildonne fiorentine nella primavera del MDCCCXC,
sesto centenario. Testo riveduto sui manoscritti da I. Del
Lungo, illustrazioni e fregi in miniatura di N. Leoni.
Firenze, fototipia Ciardellì, 1890; 8 tav. eliotipiche.
Gome avverti altrove il Del Lungo (N.AntoLy GXl, p. 430, n. 1), e i
manoscritti sui quali la canzone è stata riletta con notevole vantaggio dalle
precedenti lezioni sono sette: due barberiniani [XLV. 47 e XLV. 129], uno
vaticano [3213], uno chigiano [M. VII. 142], due riccardiani [1118 e
1156], uno marciano [Zanetti 63] ». Si avverta che T attribuzione di questa
poesia al Guinizelli nella raccolta dell' Allacci e in altre che la seguirono
(cf. Gasini, Rime dei poeti bolognesi del secolo X/i/, p. 328) fu effetto
di un materiale equivoco di quel primo editore, che trovandola nel bar-
berìniano XLV. 47 in seguilo a una del Guinizelli, la diede a lui, senz'ac-
coi^ersi del nome di Gino, che, sebbene smezzato, si può leggere tuttavia
in cima alla pagina. •— Ree: N. Anlol., GXUI, 555.
29. Poesie di mille autori intorno a Dante Alighieri
raccolte ed ordinate cronologicamente, con note storiche,
bibliografiche e biografiche da Cablo Del Balzo. Roma,
Forzani, 1889-90; 2 voli, in 8^ pp. XV-569; 568.
Il volume primo contiene: Dante Alighieri: i4 ciascun alma
(p. 2), Guido vorrei (54), Donne, che avete (64), con la risposta: Ben
aggia l' amoroso nostro core (66); Tanto gentile (71); la tenzone con
Forese Donati (84-92); Oltre la spera (120), Poi eh' io non trovo
(128), Io mi credea del tutto (131), lo sono stato con amore (133),
Tu che stanzi lo colle (302). — Guido Gavalcanti: Vedesti al mio
Voi. IV, Parte 11. 23
I
SDPM.GIIEf(TO ALLO ZAMBniNI PKn IL 1890
parere (3), S io fosse quelli (35), Se vedi Amore (58), Dante . uh m-
<piVo (59), /■ tiejno'/ jiorno(80), — Cioo da Pisloia: iVa/waJmenh
cAere (30), Avi>egna i" m' abbia (72), Conte w non odo (129), Poi' e*' io
fui Dante (t30), Nomllamente Amor (131), Oonte, quando per coni
(132), Signor, e' non ^mm (135), DanU. io ho prwo (136), Deh quando
rivedrò (136), 0 voi che siete voix (138), Si* per la costa. Amor {Ì31).
— F Petrarca: Piangete donne {3i). — Guido Orlandi: Pm i^kt
traesti (100), — S io /o«i della mente lucia libero, sod. aoon. (1(8).
— Dante da Haiano: Di ciò che stato sei (iì); Per pfuati
di saper [con la risp. di D. Aljgb. : Quel che voi siate] ; Lo vcslrv
fermo dir [risp.: A'on cotiojeenrfo]; Lasso, lo do( ; Amor mi fa ti
fedelmente [risp.: Savere e eortesia]^ Provvedi . saggio [risp.: Sin>rlr
giudicar] (107-115). — Dante a Giovanni Quirini: Nulla mi
parrà mai più crudel cosa, con la risp. del Quirini: A^in stgvf Kumanita
( 103 ) ; Qjirìni : Lode di Dia ; con la risposta : Lo re che merla
(117-48). — Giovanni Oiirini conlro Cecco d'Ascoli: . . . Qui si ra-
giotta; Com'egli errò: Ben che talvolta ; Non vi dovrebbe; Per altra
campwn (35Ì-57). — Onesto Bolognese: Sete va' meurr Cm
(116). ~ AgatOD Droai: & 'ì grande avolo mio, che fu 'I primiero
(118). — Cecco Angiolieri: Dante Alighier, Cecco tuo seno i
amico; Dante Alighier, l' io son buon liegolardo (121); Lassar non co'
lo trovar di Bichina (123). — Pieraccio Teda Idi: SoneJlo pien di
doglia, iscapigtialu (271). — Cecco d'Ascoli : passi dell' /Icrrfru re-
lativi a Darne (150-151, 327-*Ì). — 0 spirilo gentile, o vero dante.
son. allribuilo a Pietro Fajlinelli (277). — Bosone daGulibio:
Due lumi son di novo sparli al mondo (299), e il (^pilolo sulla Comedii :
Però che sia più fruclo e più diluto (358). — Emanuele Giudeo ;i
Bosone: lo eAe trassi le lagrime dal fondo i^Oi). — Jacopo Alighieri:
La Divisione della Gomedia: 0 voi che siete (317), il son-: Acciò cb
le helleize. Signor mio (322), e ì capp. LV-LH del Dottrinale (366-76).
— Pietro Aligbicri: Quelle sette arti liberali in versi, canzooe,
dal cod. Riccardiano lOOt (377). — Mino di Vanni d'Arcuo: i
25 sonetti snII' Inferno (383-00) e l' esposizione in lena riina della Co-
medìa, già attribuita a Bosone (151-92: cf. 188i, u. 18). — Li Di-
chiaraiione di frate Guido da Pisa (401-32: et. 1888, n. 27). —
Somoiario della Ckimedla in ti-c capitoli, edili già dal Roediger 1136-19:
ci. 1888, a. 27). — Due sonetti sul Pui^atorìo e sul Paradiso, dal
cod. Olivcriano della Comedia : Chotor che posson vivi operar bene . A
la luna si dà verginitade (399-100: et Datines. Il, 217). — Antonio
Pucci: Dante Alighier nella tua Commedia, son. (101).
URia DEL SEC. XIV 351
n voi. n contiene: Gino da Pistoia (pp. 55-59): M»5er B(»on,
lo vostro Manoello, con la risposta di Bosone: Manoel che mettete in
queir avello; In fra gli altri difetti del libello; In verità queato lihel
di Dante, con la rìsp. di G. Vitali: Contien sua Comedia parole sante
(cf. 1888, n. 26, e OV, 1076). — Menghino Mezzani (?): Vostro
si pio ufficio offerto a Dante, con la risp. di Bernardo Gan accio:
Quando 'l turbato volto al bel Pollante (73-74: cf. 1889, n. 26). —
n compendio della Gommedia in terzine attribuito a Gecco di Meo
Mellone degli Ugurgieri (82-98). — G. Boccaccio: Dante,
se tu (101); Dante Alighieri son; S' io ho le Muse; Se Dante piange;
Già stanco m'hanno; Io ho messo in galea; Or se' salito (243-53), e
il Raccoglimento della Gomedia (220-42) con alcune terzine proe-
miali già edite dal Roediger (cf. 1888, n. 27). » F. Petrarca:
Sennuccio mio (102). — Antonio da Ferrara: Se a legger Dante
(137). — Franco Sacchetti: 0 fiorentina terra, son. (191), Ora è
mancata ogni poesia, canz. (457), Secche eran V erbe , gli arboscelli e
fiori, son. (474), Lasso, Fiorenza mia, eh' io mi ritrovo, ternario (535). —
Antonio Pucci: ottave de La Guerra Pisana (198), terzine del
Centiloquio dov' è nominato Dante, e tutto il canto LV contenente il ne-
crologio del Poeta (203-15), e il son.: Questo che veste di color sangui-
gno (216). — Francesco di Simone Peruzzi: Qual fora più a grato
a te, Pesdone, son. (200). — Due terzine della Pietosa fonte diZenoneda
Pistoia (254). — La Leandreide, stampata per intero dal cod. 3270
del Museo Correr di Venezia (257-456). — Pandolfo M a lates ta: Fkot
di speranza, e nudo di conforto, son. (475). — Argomenti in terzetti stac-
cati (abb) a ciascun canto dell' Inferno e a quattro del Purgatorio, dal cod.
laurenz. XL. 25 (500-505). — Natura, ingegno, studio, esperienza, canz.
anon., stampata due volte, secondo il testo del Ghigiano L. IV. 131 e del
Glassense di Ravenna 137. 4. R (507-13). — La gloria della lingua uni-
versale, prosopopea di Dante, da una notissima corona di sonetU-epitafQ
sugli illustri trecentisti florentini, la quale appartiene probabilmente a Gio-
vanni di Gherardo da Prato, dal cod. laurenz. XLl, 34 (514). — Fu
il nostro Dante di mezza statura, son. anonimo delle fattezze di Dante, stam-
pato secondo due diversi testi (518-19). — Tre sonetti sulle tre cantiche, dal
cod. laur. ashb. 184 (520: cf. 1888, n. 27). — Stan le città lombarde con
le chiave, son. anonimo (534). — Due ternari sull* Inferno e sul Purga-
torio, dal cod. D. II. 41 della Gambalunghiana (543-56: cf. 1884, n. 18). —
Sonetto di Jacopo Gradenigo dal detto cod. gambalunghiano (557: cf.
1887 n. 16). — Chi e costei. Amor, che quando appare, son. di Gino
Rinuccini. — La raccolta vorrebb' essere in ordine cronologico:
I
SUPPLEMENTO ALLO ZAMBtHHI PER IL 1890
di Étto é disordinatissitna : accoglie, senzu distiuguerìe, poEsìe gmume
e apocrife, con aitribuàoat spesso erronee, con nomi sloq>iati dal-
l' edilora, con dale alTallo cenellolielie ; Irasciira compooiraenti wi-
[issimi, e in quella vece s'ingrossa con la stampa di tuUa la Leandniit
con ceni' altre cose che hanno ben poco a (are con la forUioa di Danlt,
con Tersioni insigni Oca atissim e di questi comgiouìiiieDli, con rìdevoli iUuBlra-
lioni biograliche e bibliogratìche malamente nibacchiate. — Ree. S.
Antologia, CVIII, 575, e Vita Nmva di Firenze, a. Il, n. 34. doM G,
Volpi pubblica dal cod. Palatino 321 il son. bit^raAco di Dante : CormHe
gli anni del notlro Signore, eh' è gemello dell' altro: Fu 7 nostro Danti
(cf. OY. 9*3, e in questo Suppl. 1889. n. 26). Non so se alth atów
già osservalo cb'enirambi questi soneiU sono materiale paralraù deb
prosa boc^ccesca nella Vita di Dante: in pailicolar modo il secondo
riproduce le stesse parole del capitolo sulle faltrxse, tuanit « «Mm
di Dante.
30. [Il codice Vaticano 3196 pabbl. da Ernesto Ho-
NAa m\Y Àrch. paleografico italiano, voi. I, fase. v-vi.
Roma, Martelli, 1890].
Nelle tav. 52-71 sono ritratti in eliotipia i 18 logli del ms. sofn-
detto, cbe contengono le noUssimc boac del Canzoniere peirarcbeMO.
Quasi conlem [Mini neam ente lo slesso autografo veniva riprodollo per le
stampe da Carlo Appel, in una pubblica ;iÌone che descriveremo con qudle
del 1891.
31. Di due poesie del sec. XIV m t la natura deUt
frutta t : comunicazione da manoscrtlli. [di F. PBLLKfiEDil.
Nel Giom. suir. d. lelt. il., voi. XVI, 1890, pp. 341-52].
La prima è un poemetto in H quartine, composle di endecasil-
labi a rima baciala. In ciascuna quartina parla un rmlto; e prima il fico:
Fico som io. nolo nel Paradiso, furono ricavale dal cod. U7 della Bi-
blioteca Uoiversìtarìa dì Bologna, ralTrontato col n. 3121 delb Palalinidi
Vienna; ma l'editore avrebbe potuto facilmeole giovarsi di più altre C4^
che sono nelle biblioteche fiorentine. La seconda poesia é un sooetlo che
GL'I in séguito all' altro ma^ior componimento in quello slesso cod- bo-
lognese (Uva, rum fighe, pere, mele e fraglie), ma ch'era a stampa da
assai tempo nelle edizioni quattrocentine del U ' ' "
di Londra 1767, a p. 201.
,.-i, — !< 1 I
del Ikircbiello, e andie iaimh^
J
LIRia DEL SEC. XIV 353
32. 0. Zenatti, Una canzone capodistriana del se-
colo XIV sulla pietra filosofale (Estr. dall' Arch. stor. per
Trieste, V Istria e il Trentino, voi. IV). Verona , tip. Fran-
chini, 1890 ; 8^ pp. 37.
Comincia : e El me dilecta de dir brievemente Tuct' i secreti dei*
Tarte felice »; e li dichiara in i8 stanze, la penultima in Tersi latini. Fu
prodotta secondo il cod. marciano CGGXXVI (della seconda metà del se-
colo XIV), raffrontato col Riccardiano 3247, col ms. 173 della Bibliot.
Landau di Firenze, col Senese L. X. 29, e col testo che ne offrono due
antiche stampe, cioè un' edizione quattrocentina (s. n. t) della Summa
perfecHonis Geberi, e il libro Della Tramutatione metallica : sogni tre di
G. B. Nazari bresciano (Brescia, Marchetti, 1572 e 1599), dove però man-
cano le ultime due stanze. Nel congedo Y autore si nomina : e quel che
bui mi manda De Justinopoli è '1 nostro Gdele, Grammatice professor Da-
niele >; e sarebbe slato, secondo si legge nel libro del Nazari, un < Ht-
gifw Danielli Justinopolilano >, se pure, come sembra assai probabile,
codesti due nomi non sono una grossolana trasformazione della didascalia :
e Rithmus Danielis de Justinopoli » che la canzone porta nel cod. Ric-
cardiano (nel marciano e nella prima stampa è anepigrafa). Nella edi-
zione quattrocentina del Geber, sfuggita finora ai bibliografi delle antiche
rime volgari, innanzi alla canzone si leggono, e furono riprodotti dallo Ze-
Datti (pp. 14-15), due sonetti, anch* essi di materia alchimistica : attribuito
l'uno a frate Helia e ripetuto due volte in diversa lezione: Solvete
li corpi in acqna^ questo dicOy l'altro a Gioco de Ascoli: Chi sol-
vere non sa né assoctigliare, 11 primo era stato pubblicato dal Oescim-
beni (III, 23), poi dal Libri nel Journal des Savants (1841, pp. 551-52)
secondo il ms. H. 493 della Biblioteca di Montpellier, che lo attribuisce
a Dante; di là fu riprodotto più esattamente nella Revue des lan»
gues romanes , 3^ S. , voi. IV, 76 ; ora lo Zenatti ne indica altri tro
mss. (il Senese cit., e i Riccardiani 689 e 984), che ad ogni modo
crescono fede alla antichità e sincerità del componimento, mentre T at-
tribuzione a frate Elia si spiega benissimo con la fama che gli soprav-
visse di grande alchimista. L* altro sonetto era stato stampato ultima-
mente da F. Bariola secondo il cod. magi. XVI. 3, nel saggio su Cecco
d'Ascoli e l'Acerba (Firenze, 1879, p. 60). —Ree.: iV. i4»to/., CX, 565.
33. A. Medin, // Duca d' Atene nella poesia con^
temporanea. [Nel Propugnatore, N. S., voi. Ili, 1890,
p. I, pp. 389-418].
354 SUPPLEMENTO ALLO ZAMBRIKI PER IL 1890
Vi sono riferiti parecchi brani dei sinrentesi-lamenti del Pucci per
la morte di Carlo di Calabria: Grave dolore che lo cuore mi cuoce
(et, OV. Ap, 77), per la perdita di Lucca, per il Duca d' Atene,
e della ballata per la sua cacciata; di una canzone di Agnolo To-
rini {OV. 1004, e i4p. 167) e deUe ottave di Pagolo dall' Abbico.
34. Serventese amoroso tratto da un manoscritto
del Collegio di S. Carlo [e pnbbl. da G. Vandelli, nella
Rassegna Emiliana, anno II, 1890, pp. 306-11].
Consta di 13 strofe, che cominciano:
Non ho ventura come io solla avere,
che più che a Dio a tal solia piacere,
e 'n questo punto non mi vele vedere:
però suspiro;
ma la catena delle rime qua e là resta interrotta. Il ms. sopraiodicaio
spetta al sec. XV, e e presenta una raccolta di rime del tre e del
quattrocento, dove primeggiano sonetti del Petrarca, e canxoni, ter-
nari, frottole, ballate e componimenti di altra maniera di Antonio da
Ferrara, Leonardo Giustiniani, e del ferrarese Giovaoni
Pellegrini i. Di questo codice diede già una notizia sommaria il prol
Yenceslao Santi nella Gazzetta della Domenica dell' 8 gennaio 1882.
35. Passatempi poetici S antichi notai [pubbl. da
G. B. Ristori nella Miscellanea fiorentina di erudizione
e storia, a. I, 1886 (1890), n. 12].
Da foglietli volanti trovati in volumi notatarili della Gne del tre-
cento , pubblica due poesie amorose : In un broletto , all' alba del
chiar jorno , i distici a rima baciata , e // primo di eh' io ebbi tua
notitia, due quartine, forse di sonetto.
36. Egidio Gorra, L autore del e Pecorone > . [Nel
Giom, stor. d. lett. it., voi. XV, 1890, pp. 216-37].
Ripubblica un sonetto di Franco Sacchetti: Io non vorrei en-
trar nel Pecorone, già edito dal Bilancioni (Dieci sonetti di F, S.: cC
OV, 898), una parte del proemio, e il sonetto del Pecorone: Mille
trecento con settantotf anni, e la rubrica 738 della Storia fiorentina di
Marchionne Stefani, che narra € come da' Dieci di libertà fu con-
dannalo mess. Giovanni di Ser Fruosioo », nel quale il Gorra vorrebbe
URICI DEL SEC XIV 355
riconoscere V autore delle novelle. Ma l' ipotesi ha troppo debole fonda-
mento: cf. Zeitschr. f, rom, Phil, XIV, 253-4, e Giom, sior., XVI, 353-60.
37. G. Volpi, La vita e le rime di Simone Serdini
detto Saviozzo. [Nei Giom. stor. d. lett. it., voi. XV,
1890, pp. 1-78].
Secondo la bibliografia raccolta in fine a questo studio, il canzo-
niere del Serdini (n. 1360? m. U19?) comprende 52 sonetti, 32 can-
zoni, 6 sirventesi tetrastici, 5 teroari, 2 madrigali, e alquante ottave
sui Salmi penitenziali ; non computate le rime di dubbia autenti-
cità, fra le quali il Volpi ripone i dieci componimenti editi nel
1879 da G. Ferrare ( OV, Ap. 142-43 ) e il popolarissimo ternario
Cerbero invoco (07.428), che assai più probabilmente spetta a Maestro
Antonio da Bacche reto. Di parecchie di queste rime il Volpi reca
in mezzo al suo discorso saggi frammentari e le lunghe didascalie
che esse portano nei migliori apografi (cf. SuppL 1886, n. 26); pubblica
anche interi quattro sonetti : 1. Esser non può che nel terrestre
sito (p. 14), dal magliab. IL III. 335; 2. Bene è verace l'amor ch'io
ti porto (p. 28), dal Senese G. IV. 16; 3. / non servati voti e i molti
errori (p. 32), dal cod. 1739 dell' Universitaria di Bologna; 4. Deh not$
v' incresca la spesa e V affanno (p. 36) , già edito altre volte con
svariate attribuzioni (cf. SuppL 1884, n. 35). In appendice raccoglie tre
disperate: 1. 0 specchio di Narciso, o Ganimede, popolarirsimo sir-
ventese, dal cod. laur. XG. sup., 56; 2. Corpi celesti e tutte l' altre
stelle, ternario, dal Riccardiano 2823; 3. Le 'nfastidite labbra in cui
già posi, canzone, dallo stesso Riccardiano. — Ree. Riv. Crii., VI, 140,
e N, Antoi, GX, 567, dove fu pubblicata una ballata {Lucia la tua beltà
d'ogni piacere) attribuita forse al Saviozzo dal cod. Vaticano-Reg. 1973. Gf.
anche F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del
Magnifico, Pisa, 1891, p. 739 n., dov'è pure qualche aggiunta e correzione
alla bibliografìa raccolta dal Volpi. Qui vogliamo ancora ricordare che dei
Salmi penitenziali in ottava rima attribuiti al Serdini da un codice Ginori-
Venturì, esiste un'antica stampa popolare, una copia della quale si conserva
nella miscellanea riccardiana 112: sono 4 carte, s. n. t né titolo alcuno,
che portano in ciascheduna faccia otto ottave su due colonne. (k)mincia-
no : Io chiamo A prego el mio eterno idio, e finiscono :
lo ho e septe psalmi scripti in rima
a riuerenza dello eterno idio.
356 SUPPLEMENTO ALLO ZÀUBRINI PER IL 1890
signore ìdio, oom'io dissi prima,
io so ch'io bo fallito nel dir mio;
ma non di meno dal pie alla cima
ogni intdiecto A ogni mio disio
ch'io ci ò messo: io non so me' fiue:
Francesco petrarca (1) mi fo chiamare.
38. Due canzoni dC Andrea da Pisa (f argtmento
storico [jpabbl. da F. Flamini nel Giom. star. d. letL it.,
voi. XV, 1890, pp. 238-5Q1.
ì. Se per cantar friù alto ancor mi Ike^ a Filippo Maria Tisoood
per la nascita di Bianca (1425), dal cod. 1739 deU' Uni?ersitaria di Bo-
logna; 2. Signore illustre exceUo éb glorioso, e a comendatione et lode
per la morte de lo illustrissimo signor Braxo >, dal Riccardiano 1154:
ma di questa seconda non dà che alcune stame. In entrambi i codici
il poeta è chiamato Andrea de' Vettori.
39. F. Flamini, V imitazione di Dante e delio stài
novo nelle rime di Gno Binuccini (Estr. da L'Alighieri,
voi. I e II). Verona, tip. CiveUi, 1890; 4^ pp. 30.
Per dimostrare la persistema di codesta maniera poetica nefle rime
del Rinuccini, riporta di lui, oltre ad alcuni minori saggi, tre sonetti in-
teri : CIU guarderà mia donna attento e fiso ; La fé ck' d posto den-
tro il mio signore; Dolenti spirti, ornate il vostro dire; e due ballate:
Qual maraviglia è questa; Tutta salute vede,
40. F. Flamini, Le rime di Gino Binuccini e il testo
della Raccolta Aragonese. [Nel Giom. stor. d. leti. t>.,
voi. XV, 1890, pp. 455-59].
Ripubblica dal magliab. VIL 1035 la sestina del Rinuccini: Quando
nel primo grado il chiaro sole, ravvicinandone il testo a quello dato da
S. Bongi (Or. 881-82) secondo la lezione della raccolti) Aragonese, la
quale al confronto sembra fortemente rimaneggiata. Soggiunge in nota
un son. : Io veggio bene si come il gran disio, che col titolo e risposta
a Gino » tien dietro nel detto codice alla sestina.
41. Serventese d' amore di Giacomo de' Sanguinazzi
da Padova {secolo XV J [pubbl. da Awstide Ravà e Fi-
ANTOLOGIE 357
Lippo RoFFi per le Nozze Orlandi- Buldrini], Bologna,
Regia Tipografia, 1890: 8^ pp. [8]. — Ed. n. v.
Qual ninfa in fonte, o qual in del mai dea, dal cod. Isoldiano
(1739 della UoÌYersitaria di Bologna). Fu già attribuito malamente a
Franco Sacchetti (07. 899, e Suppl. 1887, n. 33).
42. Carlo dott. De Stefani, Il canto P della Leandrei-
de, secondo il codice veneziano n. 3270 e n. di ubicazione
2345 del Museo Civico, ed il codice Trevisano n. 336
della Biblioteca Comunale: saggio di pubblicazione. Pa-
dova, tip. Randi, 1890; 8^ pp. 8.
Presentando questo saggio, TA. promette un suo maggiore studio
su tutto il poema, che nel frattempo é stato pubblicalo per intero nella
gran raccolta dantesca di Carlo del Balzo (cf. n. 29).
43. Angelo Marghesan, // codice trevigiano della
€ Leandreide >: poemetto inedito, Treviso, tip. Turazza,
1890; 8^ pp. 22.
Premesso un cenno suir età e sull' autore della Leandreide, e il som-
mario del contenuto, pubblica dal cod. trivigiano 336 i canti I e II del
lib. Ili, ma tralasciando i versi dove il testo è corrotto o altrimenti oscuro:
metodo in verità assai commodo e commendevole.
44. // libro delf Amore: poesie italiane raccolte, e
straniere raccolte e tradotte da Marco Antonio Canini.
Voli. IV-V. Venezia, tip. dell'Ancora, 1889-90; S\ pp.
XXXVI.271 ; XXIII-295.
Cf. 1888, n. 54. Il voi. IV (che raccoglie le poesie sullo Sdegno,
infedeltà, riconciliazione; amore in larda età; nuovo amore) contiene di
antiche rime la ballata anonima : Fuor della bella gaiba (p. 9), e il son.
anon.: Tapina me, che amava uno sparviero (12); la ballata del Boc-
caccio: lo non ardisco di levar più gli occhi (12); due madrigali di
N. S 0 1 d a n i e r i : Amor, s % son dalle tue man fuggito; U aguglia bella
nera pellegrina, e la ball.: Non temo, donna, di pianger giammai (ìZ)\^^t\A
della canz.: // capo mio, tu'l sai. Amore, è cono, dì Senn uccio (217);
la ball, del Sacchetti: Poi che Amor vuol, tempo non è né fia
358 SUPPLEMENTO ALLO ZAUBRINI PER IL 1890
(217). — D ToL V (ìkrte dell'amante, del coniuge; ricordi) contiene:
ooa cau. di Giacomino Pugliese: Èforte , perché m hai faXta »
gran ^ruerra (12), e una di Pacino Angioiieri: Qual é che per amar
t'allegri o canti (ìZ); quattro sonetti di Dante: Piangete amanti; 01-
tre la spera; Deh pellegrini; Era venuta (li-15); tre di Gino da
Pistoia: Deh non mi domandar; Io fui in iuiT alto; Signor, e' «m
pauò (15-16); uno di Arriguccio: Apparvemi amor tubitamaUi
(16); uno di Bartoiommeo da Gastel della Pie?e: Quel teurtUo
che la larga mano (23); una cani, e 19 sonetti del Petrarca (16-23),
45. Donato fioca, Breve stotia deUa letteratura
italiana, a cui vanno uniti i brani scelti dei più celebri
scrittori, per lettura ed esercizio di memoria ad uso deUa
gioventù studiosa. Volume primo: sec XIH, XIV e XV.
Torino, Paravia, 1890; 16^ pp. XII-292.
Gontiene saggi poetici da Giacomino da Verona, Oddo ddle Colonne,
Jacopo da Lentino, S. Francesco, G. GuiniceUi, Dante da Maiano, Goit-
tone, B. Latini, C. Angioiieri, Ciacco dell' Angiiillara, G. Cafalcanti, Gino,
Lapo Gianni, Dante Alighieri, e Fr. Petrarca. E brani di prosa da Matteo
Spinelli, dal Malespini, dal Novellino^ dai Fioretti di S, Francesco^ dal
Convivio, da D. Compagni, da S. Caterina, dal Milione^ dalle Vite dei
SS, Padri, dagli Ammaestramenti degli antichi, da Giovanni e Matteo Vil-
lani, dalla Vita da Dante del Boccaccio, dalle Novelle dei Sacchetti e di
Ser GioYanni fiorentino, e dallo Specchio di penitema del PassavantL —
Ree.: N. AntoL CXII, 553.
46. Frammenti di redazioni italiane del Buovo d^An-
tona [pubbl. da P. Rajna nella Zeitshchrift f. rom. Phii,
voi. XII, 1888, pp. 463-510; XV, 1891, pp. 47-87]. Il:
Avanzi di una versione toscana in prosa.
Questa versione, che sì legge incompiuta nel cod. Riccardiano 1030,
ms. della seconda metà del quattrocento, certo risale al princìpio del
sec. XIV, e deriva da un originale poetico franco-italiano, che il Rajna
inclina a identificare con la prima parte, ora perduta, del noto cod. mar-
ciano XllI 0 con altra consimile compilazione; é probabile anche che a
sua volta servisse di modello ai Reali di Francia di Andrea de' Magna-
botti. Incomincia: t All'uscita d'aprile, lo maggio entrante, uccìeUi e
bestie si ssi rinovellano del forte tenpo ch'egli anno passato; erbe e ar-
bori si ssi rinfrescano : nonn'é si nero pruno non rendi il bianco; e ogni
PROSA DEL SEC. XIU-XIV 359
uccielletto canta per amore; donne e donzelle prendono piaciere; e duchi
e conti e cavalieri si stanno in grande piaciere; e donzelli giostrano e
bigordano, e ogni altra giente si ssi rallegra. — Piacciavi, signiori, d' u-
dire un bel dire di Costantino inperadore, come in suo corte aveva
conti e duchi e marchesi, cattani e lonbardi e cavalieri, donzelli e
mercatanti, borgiesi, e forestieri che sono d'altri paesi. — In piedi si
levò r alto inperadore Costantino; e manda inn' Inghilterra dodici messag-
gieri, inn* una cittade che Inghia si fa chiamare ».
47. LVII ricette d' un libro di cucina del buon se-
colo della lingua [pubbl. da Domenico, Cesare e Giacomo
Zanichelli e Salomone Morpurgo per le Nozze Franchetti'
Enriques], Bologna, tip. Zsinichelli, 1890; 4"*, pp. 28. —
Ed. n. V.
Da un ms. fratmnentario del secolo XIV contenuto nel cod. miscel-
laneo Riccardiano 107i. La prima (ch'era xvj.'' del trattato completo) e
r ultima sono mutile; la seconda comincia: € Se vuoti fare una torta
parmigiana per xxv persone, togli otto libre di bron^ di porco, e togli
xij casci freschi, e togli vj casci passi, e xl uova, e mepa libra di spetie
dolci, e vj pollastri o iiij capponcelli » . — Mentre scrivo, V amico dott. Carlo
Frati mi avverte che nel cod. Gasanatense 255 (già A. VI. 45) ha tro-
vato completo codesto ricettario, e che lo pubblicherà quanto prima.
48. Vittorio Pinzi, Di uri inedita traduzione in prosa
italiana del poema < De lapiditus praetiosis > attribuito
a Marbodo, vescovo di Rennes, contenuta in un codice
della R. Biblioteca Estense, scritto verso la fine del se-
colo XIV, seguita da tre capitoli di un bestiario in vol-
gare. [Nel Propugnatore, N. S., voi. Ili, 1890, p. i, pp.
188-224].
Il lapidario qui pubblicato dal codice Estense VII. B. 5 com-
prende 77 pietre disposte in ordine alfabetico, da alabastro, ametisto,
alletorio a sillenito, silex, smeraldo e topalio. Alla descrizione delle
loro virtù va innanzi un lungo prologo che comincia: e Per proverbio
antigamente se disse, che in le prete et in eie parolle et in eie erbe si
sonno le vertute ; e che ciò sia ventate, eli' é manifesto sufficientementre
a presso li savi] di questo mundo desfacievole et destrucievole». Al lapi-
dario seguita, e qui fu riprodotto, un frammento di bestiario che conta le
360 supPLEHBirro allo z^ubrìni per n. 1890
nrté del lw§fOj del fnmbioh e édToMgMUU: e Li vertuta del lopo s* è:
dil beverà d suo sangue defentari rabioso, et per alduiiio modo no se
pooe saonare. Q suo oglo dexiro portato atcowBimefite farà grandi fKtì
de sua persona i.
49. // Novellino, ossia Fiore di parlar gemile, emen-
dalo ed annoiato ad uso della gioventù dal sac. dottore
Francesco Cerruti. Settima edizione. Torino, tip. Salesiana,
1890; 24*, pp. 214.
50. Fioretti di San Francesco. Edizione sesta. TorìDO,
tip. Salesiana, 1890; voU. 2 in 24^ pp. 192; 195.
51. / fatti S Enea: libro secondo della Fiorita d^I-
talia di frate Guido da Pisa, carmelitano scalzo. Ot-
tava edizione. Torino, tip. Salesiana, 1890; 24^ pp. 200.
52. // libro S amore di Carità del fiorentmo b. Gio-
vanni Dominici deK ordine di Predicatori: testo inedito
di lingua pubblicato per cura del dott. Antonio Cbrruti.
Bologna, Romagnoli-Dair Acqna , 1889 [1890]; 8°, pp.
XLI-557.
11 testo, edito verameote più volte io passato (07. 374), qui
fu riprodotto secondo la lezione di n un codice cartaceo dell* Am-
brosiana scritto Tanno 1505 t, e raffrontato con più altri mss. fio-
rentini che r editore indica, ma molto inesattamente, alle pp. xxxj-xxiviij
della sua prefazione. L' opera del Dominici consta di 45 capitoli, i primi
due proemiali, il terzo contenente la divisione della materia, i seguenti la
trattazione: secondo un antico ras. fu indirizzata dall'autore a quella
stessa Bartolommea moglie di Antonio degli Alberti cui egli dedicò anche
il Governo della famiglia. Il Cerniti contraddice quest'opinione, accolta
già dal Palermo; ma le ragioni che perciò adduce sembrano in verità
assai deboli : certo e adatto vana quella che la gentildonna t dovea abitare
Padova, perché il b. Giovanni accenna al Santo, chiesa frequentata da
lei», che il testo non parla aflalto della cattedrale di Padova, ma di
un santo, d* una chiesa qualunque : € Or questa carità sia tua compa-
gna quando vai al santo, e quando tomi a casa » (p. 14).
PROSA DEL SEC. XIV 361
53. Vittorio Lami , Di un compendio inedito della
Cronica di Giovanni Villani nelle sue relazioni con la
Storia Fiorentina Malispiniana. ^éiV Arch. stor. it.^ se-
rie 5% voi. V, 1890, pp. 369-416].
Pubblica parecchi brani di codesto compendio, contenuto nel cod.
magliab. II. I. 252, raffirontandoli coi luoghi corrispondenti del Villani e
dei Malespini, e dimostrando che con assai probabilità esso dovette de-
rivare direttamente dalla Cronica del Villani , e servire di fonte a 206
capitoli della Malispiniana, coi quali coincide letteraknente.
54. Le origini cf una famiglia e d' una via nella
vecchia Firenze. Dalla cronica domestica di messer Do-
nato Velluti restituita sull' autografo e commentata [da
Isidoro Del Lungo. Per le Nozze Enriques-FranchetU],
Firenze, tip. Carnesecchi, 1890; 8®, pp. 10. — e es. n. v.
Cf. 1887, n. 62. È un altro bel saggio dell* edizione che il Del
Lungo prepara delia cronaca vellutiana: comprende i capitoli II -IV.
55. Antiche cronache veronesi [edite da G. Cipolla
nei Monumenti storici pubbl. dalla r. Deputazione veneta
di storia patria. Serie Terza, voi. II]. Tomo I. Venezia,
tip. Visentini, 1890; 4^ pp. LXIII-568.
Contiene una ero nac betta in volgare (pp. 479-81 ) ricavata
dal cod. Marciano Zanetti 401, dove é scritta a due riprese, da una
mano della seconda metà del sec. XIV. Ck)mincia : t Mcclviiij mori miser
Yzirìno da Roman, e fo fato capitanio miser Mastim de la Scala in Ve-
rona, che fo Golo del conte lacomin delitaficani ». Finisce: e 1354 miser
Fregnan, fradelo del dito miser Gan, bastardo, cum conseyo de miser
Àzo da Gorezo tolse Verona, seando miser Can in Alemagna, di 17 de
febraro del 1354, corno delo é de sora ».
56. Epistolario di Cola di Rienzo, a cura di Ajnni-
BALE Gabrielli. Roma, Forzani, 1890; 8^ pp. XXVII-271.
{Fonti per la storia d' Italia pubblicate dall' Istituto sto-
rico italiano. Epistolari: secolo XIV).
362 supPLEMCi<rro allo z^mbrini per it 1890
Ài num. LI, LII e LIV, il testo volgare delle due lettere di Cola
a Giannino di Guccio in data 18 settembre e 7 ottobre 1354, e
della conferma dei diritti di Giannino (cf. 1888, n. 53); in appendice, al
n. I, il testo volgare della lettera del 24 maggio 1347 al Co-
mune di Viterbo (€ Per factura del misericordiosissimo nostro à-
pore lesu Gbristo noi Nicbolaio giusto e misericordievoie tribuno ddla
libertà ») secondo i codd. laurenz. XLH. 38, XL 49, e Parigino 557.
Notiamo ancora i versi 22-30 del canto I del Paradiso^ riportati nella
nota delle corone ricevute da Gola: € Quarta corona fuit de lauro; on-
de Dantes in princìpio secunde partis sue Comedie: 0 divina virtù y^ eoe.
— Ree. Riv, star. it„ VI, 750.
57. C. Paou, Di una carta latina-volgare delFanno
1193. [NeirircA. stor. it., Serie 5.% voi. V, 1890, pp.
275-78].
Ripubblica la carta picena, edita già da G. Levi nel Giom, di lUol.
romanza^ I, 234, e riprodotta da Emesto Monaci nei Facsimili per le
scuole e nella Crestomazia italiana (1887 n. 88, e 1889, n. 47), di-
mostrando che la parte in volgare che vi si legge non é già, come cre-
dette il primo editore, effetto dell' ignoranza del notaio, ma una scrìtta o
cedola privata intrusa nell'atto notarile.
58. L antico manoscritto delle spese fatte dai Goti
per F edificazione della chiesa di S. Giovanni Evange-
Usta in Firenze, negli anni 1349-50-51 [pubbl. da A.
Angelelli per le Nozze Gori-Moro]. Firenze, Salani, 1890:
16^ pp. 15. — Ed. n. V.
Pubblica alcune brevi partile del ms. sopradetto secondo gli estrani
che ne fecero il Richa nelle Notizie storiche delle ehiese fiorentine, il
Baldinucci nella Vita di B. Ammannati, e Leopoldo Del Migliore e Co-
simo Della Rena nei loro zibaldoni (magi. XXV. 412 e XXVI. 2:20). Ma
avrebbe potuto giovarsi a dirittura all'originale del libro, che non è smar-
rito, come egli crede, anzi si conserva nel cod. C. 1 30' della Marucelliana.
59. Serrungarina nel secolo XIV: curiosità storiche
[pubbl. da Ruggero Mariotti per le Nozze Serafini-
Lucchetti]. Fano, tip. Sonciniana, 1890; 16^ pp. 46. —
Ed. n. V.
Neir articoletto su La fortezza di Serrunganaa nel secolo XIV
(1344-72) sono riportate (pp. 37-39) dal voi. IV della Depositeria
DOCUMENTI 363
nell'archivio di Fano, alcune brevi partite in volgare, relative a spese
fatte nel 1348 per la costruzione di due cisterne.
60. S. BoNGi, Ingiurie, improperi, contumelie: saggio
di lingua parlata del trecento, cavato dai libri crimi-
nali di Lucca (Estr. dal Propugnatore, N. S., voi. Ili,
p. i). Bologna, tip. Fava e Garagnani, 1890; S"*, pp. 62.
Raccolta di frasi e brevi discorsi che si trovano riferiti testuahnente
in processi lucchesi degli anni 1330-84; assai curiosa per la lingua e
per la storia del costume. Di tali estratti da libri criminali fiorentini
recò qualche esempio anche I. Del Lungo nei suo discorso sopra // volgar
fiorentino nel Poema di Dante (negli Atti della R. Accademia della
Crusca, 1889); più altri ravvicinamenti tra le frasi dantesche e queste
della viva parlata lucchese furono proposti da A. Zenatti nella Riv, Crit,,
VI, 120.
61. Studi pisani di Luigi Simoneschi. I: // giuoco
in Pisa e nel contado nei secoli XIII e XIV. Pisa, tip.
Mariotti, 1890; 16^ pp. XLVIlI-38.
Fra i documenti é (XVII) una breve lettera volgare scrìtta il 18
aprile 1362 dagli Anziani di Pisa al castellano della rocca di Marti:
e Sentiamo che del continuo tu giuochi a zara colli tuoi sergenti.... ».
Fu tratta dal Registro 3 delle Lettere degli Anziani nelFArchivio di Stato
in Pisa. — Ree. Arch. star, it., S. 5*, voi. V, 454; iV. AntoL, CXI, 178.
62. La prostituzione in Perugia nei secoli XIV, XV
e XVI: documenti editi da Ariodante Fabretti. Torino,
coi tipi privati dell' editore, 1890; 8**, pp. 99. — Ed. n. v.
Seconda edizione: cf. 1885, n. 60.
63. Antichi testamenti tratti dagli archivi della Con--
gregazione di carità di Venezia. Per la dispensa dalle
visite 1891. Serie nona. Venezia, tip. di M. S. fra Com-
positori-Impressori, 1890; 8*", pp. 45.
Cf. 1887, n. 63, e 1888, n. 72, avvertendo che nella Serie ottava
(1889) non si contengono testi volgari. In questa IX notiamo il testa-
mento II, che dentro alla solita formula notarile ha la cedola autografa
in volgare veneziano: t Mccclxviiìj, a di xv de mazo. Io, dona Betha
Sanudo, fia che fo de Misser Nicolò Sanudo de la contrà de
364 SUPPLEMENTO ALLO ZàMBRlNl PER IL 1890
San Genrasio si ordeno el mio testamento >, ecc. Questa utile
cazione viene curata dall' ab. Jacopo Bernardi.
64. L arte degli orefici in Verona: memoria di
GrosEPPE BuDEGO (Estr. dal voi. LXVI, Serie III, del-
r Accademia d^ Agricoltura, Arti e Commercio di Verona),
Verona, tip. Franchini, 1890; 8^ pp. 55.
Dei documenti che corredano questa memoria il secondo è un inven-
tario di beni mobili appartenenti all'ospedale di Santa
Maria della Misericordia, compilato nel 1396-97. Comin-
cia : e L' enfrascrìte consse à dà ser Bartholomeo prìoro de lo spealo.
Primo: iij para de lin^li frué, de pigolo valoro, de quigi da i leti de lo
spealo, i quali auo maistro Lazarìn oreuexo gastaldo de 1396, i quali eb
de per l'amor de Deo >. L'originale si conserva negli antichi archìvi an-
nessi alla Biblioteca Comunale di Verona : Arte degli orefici : registro di
stromenti segnato B, Anche i documenti successivi sono in volgare , ma
spettano a tempi assai più moderni.
65. L. T. Belgrano, Tumulti in Genova nel 1392.
[Nel Giom. Ligustico, a. XVII, 1890, pp. 142-45].
Da una copia sincrona del R. Archivio di stato in Modena pubblica
una lettera anonima in volgare, che ragguaglia minutamente dei tumulti
accaduti in Genova fra il 19 e il 21 aprile 1392.
66. Lettere inedite di Celso Cittadini senese: 1598-
1625 [pubbl. da Gaetano Milanesi per le Nozze Strom-
boli'Rohr], Firenze, tip. S. Landi, 1890; ì^, pp. 31. —
Ed. n. V.
Nella leltera IX, indirizzata a Carlo Strozzi, il Cittadini riporta te-
stualmente alcuni brani della Storia di Giovanni di Bindino da
Travale. « Di lui (avverte il Milanesi) si conosce una curiosa
cronaca , tuttavia a penna, scritta parte in prosa e parte in bruiti
versi, che va dal 1310 al 1384; il cui originale cartaceo, consenato un
tempo presso i conti D' Elei ài Siena , passò poi per eredità nei nobili
signori Finetli, ed oggi appartiene ai conti Piccoloinini-Clementinit. Dai
passi riferiti in questa lettera del Cittadini sembra però che la cronica
si continuasse fino ai primi anni del liOO: ma pare che questa seconda
parte sia ora perduta. — Ree: Riv. Crit. VI, 91.
INDICE
del Volume IVA Parte 11/
L. A. Bresciani: Intorno a una canzone dì Fra Guiltonc
d'Arezzo Pag. 5
G. Vanzolini: La Draga de Orlando di Francesco Tronnba » 65
A. Belloni: Di una poesia anonima del sec. XVII. . . » 103
A. GiovaneLli: Sul disdegno di Guido Cavalcanti ...» 134
A. Tambellini: Il Codice Dantesco Gradenighiano . . . » 159
C. Zacchetti: L'imitazione classica neir Orlando Furioso » 221
Misoellaii0a.
A. Solerti: La Galatei di Alberto Lollio Pag. 199
A. Mbdin: I distici sulla natura delle frutta » 213
Bibliografia.
C. e L. Frati: Indice delle carte di Pietro Bilancioni.
Contributo alla bibliografia delle rime volgari dei
primi tre secoli. (Continua) Pag. 25
A. Miola: Le Scrìtture in volgare dei primi tre secoli
della lingua, ricercate nei Godici della Biblioteca
Nazionale di Napoli. (Continua) » 277
S. MoRPURGO: Supplemento alle Opere volgari a stampa
dei sec. XllI e XIV indicate e descritte da Fran-
cesco Zambrini » 307
lunini
\
(DeUa Raccolta toI. XXIY) Nnova Serie, voi. lY, fase. 19-20
IL PROPUGNATORE
NUOVA SERIE
PERIODICO BIMESTRALE
DIRETTO
DA
GIOSUÈ CARDUCCI
COMPILATO
DA
A. BACCHI DEUA LEGA, T. CASINI, C. niATI, G. MAZZONI,
S. NORPCRGO, A. ZEKATH, 0. ZENATH
Voi. IV. — Fase. 19-80.
GENNAIO - APRILE
BOLOGNA
PRESSO ROMAGNOLI-DALL' ACQUA
Libninditon dtUa K. CoDniissitM pe' Tasti di Liigu
1891
I, Bicnii «Eiu IBI, t asili, e. [Rin, g. luniii,
s. «omBt», 1. imn, o. itiiTn
Tol, IT. - Fase. 84
NO VEMDRE - niCEMBRE
BOLOGNA
PRESSO ROMAGNOLI-DALL' ACQUA
ljbraiu.cjjl<jrt élla R. CjnmioH pe' Tuli di Lro^a
18'JI