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PHOF. PIETRO BONFANTE "
ilrlM'niv.nit.'i ili r«\
IL PUNTO DI PARTENZA
TEDRiÀ mm m possesso
TORINO
KRATKLLl BOCCA, KDIT0R[
Ubml <]i S. M. Il Ite d' lUIUl
Via Carlo Alberto N.° 3.
Ruma Milano Firbhei
VlailclCMH 3ie-'ilT VvrM Vinario NauiMle 21 F. LBaMkl Suhm.
n^poiUnrio iienernte per la SielUa: Orazio Piorenza, Palbrmo.
1905.
PROF. PIETRO BONFANTE
dell' rulvendU di P><ri>
IL PUNTO DI PARTENZA
TEDRIÀ RQMÀNÀ lEL POSSESSI
TORINO
FRATELLI BOCCA, EDITORI
Llbr^ di S, M. U Ke d' Italia
Via Carlo Alberto N." 3.
Ruma Milano Firenzi
ViadelCtna aiC-ai7 Cono Vlllart* Banicli :ll P. LuMMkl SiMMt.
Depositario genei-ale per la Sicilia: Orazio Fiorenza, Palermo.
1905.
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Eslrallo dagli Studi Senesi in onore di Luioj Moriani
A|-UVi ò i;-..';j
Si«ik, Stibìlimeoto Tipognflco Gsrio Navi
IL PUNTO DI PARTENZA
NELLA TEORIA ROMANA DHL POSSESSO
1. L' unico punto pacifico nella travagliata teorìa della
posaesaio romana è il seguente: il possesso è costruito sulla
detenzione, che rappresenta il senso della parola ed il noc-
ciolo dell' istituto. E il solo punto in cui sono concordi il
Savigny ed il Jhering. Per l' uno * la detenzione è la base
della nozione del possesso, il punto di partenza di ogni
indagine sul tema ». Per l' altro, < le due parole, la tedesca
Besiiz e la latina, che le corrisponde, possessio, designano
ugualmente il possesso naturale ed il possesso giurìdico,
ond' è che quando sì vogliono adoperare nell' un senso o
nell'altro abbisognano all'uopo di una apposizione ». Si
insiste generalmente sul - concetto assai concreto », il se-
dere, il convexum instruinentum sedendi, su cui la lingua
tedesca e la latina hanno costruito la parola. Una etimologia
romana, da Paolo riferita a Labeone (posaeseio appellata eat,
ut et Labeo ait, a sedibtie quaai positio, quia naturaliter
tenetur ab eo qui et insistit, quam Graeci nato/T^v dicunt), ha
incontrato — è quasi l'unico esempio nelle etimologie degli
antichi — una fortuna meravigliosa presso i moderni: il
fondatore della linguistica, Giacomo Grimm,^ in una dis-
Bertazione sulla parola, pubblicata nel giubileo dottorale
del Savigny, e tutti i glottologi moderni (1) adottano in
<1) Cfr. una serie di articoli e note nella Kuhn' b ZeitsiArift fOr
vergteichende Sprachforsehung, voi. II, III, V, XIV, XVI (Ebel, Kuhn,
ScHWEizEH, Zbybs) ecc. e i dizionarli etimologici del Vaniceck e del Bréal.
_4_
! sostanza l'etimologia romana: la parte essenziale sarebbe
i un mero prefisso (pori, porti, umbr. pur, gr. Jtpóc, irpori), quale
! si ritrova in polliceor, pollingo, porto (da pò — sino), polluo,
j partendo, porrigo ecc., suffisso perfettamente rispondente al
; 6e o 6ei della parola tedesca.
Questo punto di partenza io credo errato.
2. I giureconsulti romani dichiarano le mille volte con
una parola sola chi ha il possesso e chi no, pur essendo
in rapporto di detenzione con la cosa: l' uno possidet, V altro
tion possidet, est in possessione, est in fundo, detinet e simili.
È un uso tecnico dei giuristi o l' uso di tutti ? È la co-
scienza dell' istituto, la cognizione dei suoi effetti che li
guida, ovvero la coscienza del popolo ? Trattandosi della
giurisprudenza romana v' è una pregiudiziale da opporre.
Il diritto romano, dagli albori della sua storia (lasciando
. da parte la preistoria) sino al suo pieno rigoglio, si svolge
entro il popolo romano senza subire imposizioni e sovrap-
posizioni: il suo linguaggio è il linguaggio dell'antico pic-
colo popolo del Lazio, territorio di gran lunga più limitato
che non quello dell' odierna provincia: se il giurista parla
di dolo e di mora, ne parla anche il poeta per le insidie
del Dio dell'amore o la pigra tardanza, la segnis inora che
fa fuggire le occasioni, ne parla anche lo storico per le
arti scaltrite di Annibale o gli indugi all'azione campale;
il commodato, la fideiussione, la cauzione, la ratifica, ter-
mini oggi misteriosi a un profano, erano d' uso in antico
fuori del diritto e non per immagine desunta dal diritto:
tua enim cautio nostra caittio est, dice Cicerone a Cesare
nel suo breve periodo d' amore (né credeva di dire la pura
verità) e un personaggio di Terenzio dice che la sua catttio
è che non si guastino i pesci; il prestar l'opera propria o
prestare 1' orecchio si traduce comtnodare operavi,- aureiii e
Cicerone discorre pure di beni che la virtù ci dona e di altri
guae a fortuna commodaia esse videntur. Possiamo noi dire
altrettanto della giurisprudenza moderna di tutti i paesi di
Europa, non eselusa la stessa Inghilterra? 1! nostro linguag-
gio giuridico è in gran parte latino senza eco nella lingua
comune o con una risonanza che può più facilmente trarre
in errore che guidare, e in parte non ispregevole è asso-
lutamente straniero; e, dico, nella stessa Inghilterra dove
sono in folla i termini franco-normanni. — Noi dobbiamo
quindi andar cauti nell' attribuire ai Romani le nostre di-
vergenze tra il linguaggio giuridico e il linguaggio volgare,
i preconcetti odierni circa le forme tecniche del diritto. La
precisione dei giuristi romani in questo riguardo si vuole
più attribuire a merito di quello svolgimento organico e
nazionale che non a un genio innato e sicuro di quei grandi
maestri.
Il legislatore moderno non ha spesso la precisione o
meglio il tecnicismo della giurisprudenza, ma il legislatore
romano non erra mai nell' uso della parola x>o8sidere, di-
stingue nettamente la custodia rerum o l'i» poiìsessione enee
dal possidere. Così nella cautio damni infecH il pretore con-
cede col primo decreto 1' in possessione esse, col secondo il
posaidere : « cum insta causa esse vidébitur, eitam possidere
iubebo ». Così non parla se non chi col termine possidere
sa di significare uno stato superiore, che non abbisogna
di attributi o di apposizioni, che si distingue nettamente
nella coscienza di tutti dallo stato precedente di detenzione
e di custodia.
Qual è questo stato superiore ? Io credo che la parola
possessio nel passaggio dalla lingua romana alle lingue ro-
manze abbia subito un'alterazione analoga a quella che si
è verificata nella parola (ides. Il concetto non è radicalmente
mutato, ma se ne è smarrita la forza; si è diluito, per così
dire, il sapore deciso in un senso vago ed oscillante. Serbar
fede mantiene il senso antico, prestar fede ha un senso
nuovo che designa un rapporto diverso, anzi dal lato per-
sonale inverso. Similmente noi chiamiamo nell'uso possesso
il rapporto di dominazione del proprietario, anzi possessore
è anche oggidì forse il termine più in uso volgarmente a
significare il proprietario. Come pei Romani così per noi
grandi possessi e grandi possessori significano i latifondi
e i latifondisti. Se non che da noi si usa con la stessa
disinvoltura la parola possesso a signifìcai'e la detenzione
del flttaiuolo, del commodatario, del depositario, nonché
dell' usufruttuario. Gli uomini romani non credo potessero
trascorrere a questi usi. Non era il diritto che li ammoniva,
era la lingua.
3. La traduzione di posaessio con possesso io la ritengo
inesatta all' incirca come la traduzione di fides in tedesco
con la parola Glaube anziché Treue. Il termine che più
risponde, per mio avviso, all'antico è signoria, dominazione.
Fuori dei diritto, dove la tradizione romanistica e l' auto-
matismo della versione ci travia, tale senso è limpido e
netto, e la traduzione, se vuole essere intelligìbile, deve
schivare la parola possesso. Tu domini l'uomo, ne fai quel
che vuoi, totum hominetn possides: tu domini il pretore A,
il tribuno B ; totam eiits praeturam, totum eius tribunatum
possides. Perdere o ricuperare o tenere il dominio, la si-
gnoria di una regione, di una provincia, non si esprime
mai altrimenti dallo storico se non con le locuzioni amittere
o recuperare Hispaniae, Siciliae posaessioneni etc; si dice
Achaiatn, Aaiam, Galtias, terraa, iiiaulas possidere; persino
un popolo si possiede: Porthos possidere, dice Quinto Curzio
della serie dei diadochi, cui obbedirono i Parti fino ad An-
tioco. Odenato è detto egualmente « totlits 0rienti9 posses-
sor » e « totius Orientis imperator ». Ab Oenotriia possesso
Italio, dice Plinio; non sarà meglio volgere *; dominata »
che non « posseduta » ? Sono frasi di prammatica regni
possessio, regnum possidere per insignorirsi di un reame o
semplicemente regnare (forse nel primo caso da possido), e
ripetutamente Ovidio in bocca a Fedra o in bocca a Dedalo
esalta Minosse * possessore della terra e del mare », ma,
soggiunge Dedalo, < Omnia possideat, non posaidet aera Mi-
nos ». Il signore dell' Olimpo dice de' suoi due colleghi
« possidet alter aer, alter inane caos » e, quel cb' è più,
possessor pelagi chiama SiUo Italico il Romano, dopo la
vittoria su Cartagine, cioè signore del mare e padrone delle
acque, secondo una frase tristemente celebre : del resto in
Livio tornano le frasi tota maris possessione pelli, totamque
maris posseasioìiem eripere; il dominio del mare evidente-
mente. Druidi e Magi Qallias possident: si dirà mai che
possiedon le Gallie? Certo V Italici litoris posseaaor Aquilo
di Petronio non può esser se non • il vento che domina
sulle spiaggia d' Italia », a voler parlare in lingua italiana.
Fiuto regni posaesxor inertis di Lucano è il nostro « signore
del regno della morte ». De quorum urbis possessione inler
Deos certamen fuisse tradilur, dice Cicerone: non diremmo
noi che Nettuno e Minerva lottarono per la signoria di
Atene 1 11 Dio tutelare è per noi il signore, il patrono,
come è per Omero l'SvoÈ: del resto « lottare per la si-
gnoria d' una città », per es. tra famiglie nobili o capi-
parte, è di prammatica dimicare de possessione urbis. La
schiava, che animum domini possidet, più ancora la pellex
domum possidens, con cui Egisto rompe gì' indugi di Cli-
tennestra, mettendole innanzi l' immagine della figUa di
Priamo padrona in casa degli Atridi, non si rende natu-
ralmente, necessariamente coi termini esprimenti la signo-
ria? jBe»* publicam, forum possidere, dicono ì Romani: come
tradurre altrimenti, a non voler cadere nello sforzato o,
pe^io, neir equivoco, se non « dominare lo Stato, il foro » f
Il dominio della scienza, dell'arte, la padronanza di una
data disciplina sono pei Romani la possessio docirinarum,
artium, discipUn<ie e simili. — Di uno dei tutori di Gero-
nimo, che aveva usurpato la signoria di Siracusa, dopo
r uccisione del giovane re, dice Livio : quae procurator te-
nuerat, prò domino possedit. Pare, anzi è certo un'immagine
giurìdica proseguita con precisione di lingua^io: ma quale
storico moderno potrebbe giovarsi con efficacia dì questa
antitesi, pur non rara negli storici romani, tra il tenere e
il possidere ?
Sarà, anche, se vuoisi, una immagine giuridica, allorché
Livio dice di Annibale fuggente i lidi d'Italia vacuam pos-
sessionem Italiae reliquisse populo romano, ma forse, abban-
donando la preoccupazione della terminologia romanistica
del possesso, si traduce meglio lasciar libero il dominio,
libera la signorìa dell' Italia al popolo romano. Ed è modo
di dire abbastanza frequente: così il partito antiromano
spera Antiochum in vacuam Europae possessionem venturum,
e tornano le stesse espressioni in Cesare: vacuam posses-
sionem regni sperare, It&erom possessiotiem Qalliae tradere.
La terminologia del possesso giuridico s' insinua là dove
noi non la trasporteremmo volentieri: Filippo dichiara di
non voler recedere dalla signoria, rinunciare alla domina-
zione legittima delle città di suo antico retaggio: quae »t6i
traditae a maioribus essenl, earum hereditaria oc tusta pos-
sessione non excessurum (1). Io non pretendo che in tutti
gli esempi (che potrei agevolmente moltiplicare) non si
possa anche tradurre con possesso: possesso, io dissi, come
fede, non ha smarrito interamente l'antico significato {t);
anche noi diciamo egualmente esser posseduti o esser do-
minati dalle passioni, chiamiamo possedimenti le colonie
e i territori lontani. Ma certo si deve convenire che, nelle
frasi più tipiche almeno, volgere posaideo con possedere,
poasido con prender possesso rende un italiano da studente
ginnasiale.
4. Quanto alla pretesa etimologia dal convexum irì«iru-
mentum sedendi, se non fosse 1' autorità dei glottologi nu-
merosi che r hanno sostenuta, io la giudicherei un atroce
scherzo: falsa è certo la corrispondenza labeoniana con
la greca xatoxT^, che i Greci non usarono mai nel senso
di possessio. Io non sarei alieno dal credere che nella ri-
cerca glottologica abbia influito la suggestione del signi-
ficato materiale rinforzata dall'insegnamento dei giuristi:'
ricordiamo che il Grimra fu allievo devoto ed amico del
(1) Potrei anche soggiungere che nello stesso contesto si scambia
talora possedere con dominar*, poassssio coti poleelas: inoltre il verbo
possido, esprimente l' inizio della posseaeio, equivale a potiri, né si può
giammai volgere altrimenti che colie parole insignorirsi, occupare, con
parole, insomma, che rilevino, più che la mera apprensione, l'inten-
zione signorile.
(i) Specialmente, come fede, nella lingua letteraria e poetica.
Una feroce
Forza il mondo possiede e fa nomarsi
Dritto.
lo non so se Manzoni avrebbe cosi scritto dopo la sua convereione
all' uso vivo : certo la veste poetica avrebbe scapitato in bellezza, ma
la frase guadagnato in chiarezza, se quel verso, che dà una cosi poco
lusinghiera definizione del diritto, fosse stato formulato : * Una feroce
— Forza domina il mondo e fa nomarsi — Dritto ».
Savigny, cui dedicò il suo scritto sulla parola possesso con
una lunghissima e affettuosa epistola di sapore romani-
stico. Se così non fosse, riterrei che i filologi non avrebbero
tacitamente rigettato la derivazione, che pare assai più alla-
mano e meno sforzata, da polis o potè eedere, cioè dallo
stesso elemento pofis o potè, che sì ritrova in poteatas, compos,
impos, potiri, nel verbo posse (che sarebbe una composizione
perfettamente parallela), e con la stessa abbondanza (è uno
dei temi più ricchi) e la stessa costanza di significato ha
il suo riscontro in una infinità di parole dalle varie lingue
indo-europee, esprimenti sempre la signoria, la domina-
zione : sanscr. e lit. patis il signore, gr. Asaicónji;, nóoic, got.
fatha signore, ant. si. gospoda ecc.; persino la parola ipse
nella quale il suono è cosi trasformato è « una lontana eco
di questo senso primitivo di polis » (1). Questa etimologia
non ha nessuna autorità glottologica per sé: essa è indicata
solo, per quanto io sappia, nell'antico lessico del Forcellini
e nell'odierno dizionario del Georges. Ho voluto indagare
dai maestri della scienza la ragione di questo abbandono.
Il mio collega prof. Guarnerio m'informa che « morfolo-
gicamente e foneticamente l'etimologia da polis esse non è
certo meno probabile delia comune e del resto, qualunque sia
l' etimologia, il popolo poteva benissimo sentire e fare, pro-
nunciando il poa, il riavvicinamento col tema indicante la
signoria ». Graziadio Ascoli mi dichiara: « L'etimologia do-
minante non è più negh autori moderni cosi unanimemente
accettata: vì ha chi la enuncia dubitativamente e vi ha chi
non inserisce più il possideo nella serie polliceor, poUingo,
partendo, ecc. È probabile che l'etimologia da. polis sedeo sia
stata tacitamente abbandonata per la rarità dei composti
di un tema nominale e un tema verbale; ma sì potrebbe
supporre la formazione potè sedere e in ultima analisi l'eti-
mologia dominante non ha glottologicamente probabilità
ma^iori ».
Il Prof. Sabbadini conviene che il presunto senso può
(I) Così ScHMiDT nella Kuhn'b ZeitschHft voi. 19 (1870) pag. M6. Si
ha pure compofo factva (in una iscrizione), fatto signore.
— 10 —
aver traviato la ricerca, come talora la cognizione del valore
intimo può indirizzarla; così nella parola provincia non è
più ricevuta, pare, l'etimologia da prò e vincere; così nella
parola praestare, un esempio luminosamente parallelo al
nostro, in base agli usi caratteristici si propone oggi l'eti-
mologia da praes e sto, cioè precisamente da un tema nomi-
nale e un tema verbale.
Se adunque l'etimologia da. potis o potè sedere si può per
lo meno sostenere, non sarebbe « il concetto assai concreto
del sedere », umile immagine, ma il concetto astratto e la
superba affermazione * io siedo signore », che rappresenta
la possessio. Data questa etimologia, il punto di partenza
della possessio non può essere la detenzione, l' ambiguità
dell' odierno possesso o del tedesco Besìlz è straniera alla
romana possessio.
5. La possessio è significata presso i Romani da questa
parola senza aggiunta di alcun epiteto. La terminologia
« possesso giuridico, possesso vero e proprio etc. » è una
esigenza del pensiero moderno. Ma nulla rivela meglio l'in-
fluenza che esercita negli animi il linguaggio ed i! pensiero
moderno, quanto la tenace ostinazione con cui si è voluto
dare il senso di possesso giuridico alla possessio civilis dei
Romani. L la teoria esegeticamente più disperata, perchè le
fonti ci attestano che non solo il creditore pignoratizio, il
precarista non possiedono civiliter, ma è pure attestato ripe-
tutamente che non possiede cii>iliter il coniuge donatario: e
nondimeno per quella suggestione è la teoria che ebbe il
maggior numero di seguaci e certamente in Italia ha le mag-
giori autorità: cito coloro che si pronunciarono apertamente
in favore, l'Alibrandi (t), il Perozzi {%), il Ferrini (3).
6. Ma istruttiva è la posizione dei bizantini di fronte
alla possessio romana. 1 maestri greci sentirono di non aver
nella loro lingua una parola corrispondente alla romana
(1) Possesso, pag. 43 e Opp., pag. Ìi7 e eegg.
(2) Possesso diparti di cosa negli Studii per l'VIII Centenario della
Università di Bologna, pag. 266 e segg.
(3) Pandette, pag. 311, 2.
— 11 —
poeseasio; xa«)TÌ significava il detinere; e allora dall' uso dei
lotti assegnati nella distribuzione dei terreni trasportarono
a questo significato vo|i.^ o sors, termine convenzionale che
fuori dei giuristi non sì ritrova. Ma più degno di nota è
che per la prima volta fuori dell' ambiente romano spunta
la terminologia di possesso legiltiino, giuridico, possesso pro-
priamente detto; xaià to6; vó)tou? vo|j.tj, Swoho? vo^ij, x'jpEo»? vojt^.
dicono i Greci (1): con questo che ai Greci non si può ap-
porre di avere all' uopo travisato la civilis possessio, che essi
rendono con jcoXiTtx-f] vojnj, talora accanto alla èwo^az w^ii.
7. Non solo Teofilo, mai Basilici, Stefano, l'Anonimo e
finalmente il manuale di Armenopulo rendono l' animus
possidendi o poasidentia con la nota (|it>x^ SsairóCovtoc, e se con
questa locuzione Cirillo rende pure V opinio domimi della
L. 22 D. 9, 4 di Paolo, ciò non vuol dire se non che egli
l'intende nello stesso senso. Si è fatto un carico al Savi-
gny di avere sfruttato questa frase pel suo animus dotniiii.
La ^\y/ri SsasóCovcoc, osservò primo il BOcking e dietro a lui
tutta una schiera, non si traduce con animus domini, bensì
con animua dominantis. Verissimo: mdi animus dominantis
non è che un latino moderno, il quale, dato il senso che noi at-
tribuiamo alla parola possessio, corrisponde all' animus possi-
dentis delle fonti romane. I Greci hanno saputo rendere nella
loro lingua il concetto romano con un termine adeguato.
8. Si dice pure: i Romani non hanno una parola per
la sola detenzione; il Jhering e sulle sue orme anche altri vi
insistono come un momento di grande rilievo. Ciò è vero
quanto al sostantivo, ma di sostantivi astratti è poverissima
la lingua latina e non crea che gli essenziali; quanto ai
verbi e alle locuzioni verbali per significare il rapporto di
detenzione vi è piuttosto abbondanza che penuria.
9. Se la detenzione avesse costituito il punto di partenza
della possessio, le cose mobili, in cui la detenzione nelle sue
(1) Cfr. Ba9. 50. 2, e. 6i (L. 10, cod. 7, 32: Heimb. V, 64). Sleph.
Ba9. 16, 1 Bch. 25 (ad L. 9 D. 6, 1 : in Suppl. Zach. 7). Anon. Ba9. 16, i
Bch. 26 (ad L. 3, § 16 D. in Suppl. Zach. 53); Stf^pb. Bas. 23, 1, e. 43
scb. 19 (ad L. 41 D. 12, 1 : Heimb, il, 636).
— 12 —
numerose figure giurìdiche ha il massimo sviluppo, rappre-
senterebbero il fulcro della teoria possessoria: invece tutto
il regime delle possessiones è un regime fondiario, po8Be8tiÌo
per metonimia significa il fondo e la protezione del possesso
concerne quasi esclusivamente i fondi: V interdictum wide vi
è ordinato unicamente per gli immobili e dei due interdietn
retiiiBìidae poHsessionis, 1' ulrvbi, che d' altra parte solo per
interpretazione venne esteso a tutte le cose mobili, è certo
il pili recente.
10, La possessio è eliminata dal ivn in re e dal rapporto
obbligatorio. Perchè? Perchè l'uno e l'altro delimitano le-
galmente il contenuto dell' uso, escludono la dominazione
piena, autonoma, senza limili e senza termine nel godi-
mento, e il possesso non significa il rapporto materiale con
la cosa, bensì la signoria. Nelle figure anomale che hanno
dato tanto rovello, seguendo a ritroso l'evoluzione storica,
si risale ad un' epoca, in cui né il diritto reale, né il vincolo
obbligatorio corrompono la nozione genuina del possesso,
la rendono un'applicazione singolare, come è nel, diritto
classico. Ciò avviene con certezza assoluta nel creditore pi-
gtioratizio e nel precarista, e il risultato si può sfruttare
per risolvere la questione dubbia del possesso dell'enfiteuta
e del superfìciario nel diritto classico e nel diritto giusti-
nianeo, del possesso dell'usufruttuario prima e dopo il ri-
conoscimento del diritto reale. Ciò avviene, a mio avviso,
con somma probabilità nei sequestratario, ma la dimostra-
zione ci porierebbe troppo lungi.
Non credo però inutile riportare una parte del ragiona-
manto dell'Jhering in ordine al precarista, che mostra quanto
il pensiero moderno ottenebri la visione degli istituti antichi.
Il possesso del precarista è certamente, a nostro avviso, una
sopravvivenza storica, ma non è poi meraviglioso nemmeno
che in epoca storica si conservi l' idea del possesso, né ciò
si vuole attribuire unicamente alla poderosa forza d'inerzia,
quando di regola per gli usi cut si adibiva il procario {la
fiducia, la lex commissaria, la in diem addictio) il precarista
era in sostanza il vero proprietario. Ma il Jhering vuole asso-
lutamente stupire che il precarista possieda per indurne che
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ciò non può dipendere se non da una statuizione positiva del
diritto, che determina le cause in cui la detenzione è garan-
tita, quindi elevata a possesso, ovvero non è garantita. «Il
precario non ra^unge nemmeno l'efficacia de! commodato:
il commodato pattuito per un tempo determinato è obbliga-
torio pel commodante; il precario non vincola il concedente;
il commodato è un negozio giuridico, il precario è assimilato
alla donazione .... Ancora più stridente è il rapporto col
colono. Il colono paga per fruire della cosa: il precarista
ha il godimento gratuito: se ad alcuno il quale nulla sa-
pesse al riguardo (cioè che il precarista possiede, il colono
non possiede) si dicesse; l'uno dei due ha il possesso, l'al-
tro la detenzione, chi mai sarebbe un momento in fra due nel
dichiarare possessore il colono, detentore il precarista? » (I)
Questa risposta potrebbe darla un moderno, non un romano,
il quale anche nel periodo della decadenza del precario era
illuminato da quei due momenti che alla mente traviata del
Jhering paiono motivi per rigettare il possesso del preca-
rista: che questi non ha un iìts in re, né è vincolato da
rapporto obbligatorio col proprietario.
11. Ma il travisamento dei concetti e dei termini è ge-
nerale nella materia possessoria, e sarebbe strano che ne
fosse esclusa la voce possessio. La terminologia del possesso
è tutta antiromana e in parte assurda. Lasciamo il possesso
giuridico, un'esigenza puramente moderna, il ius poasidendi,
un' invenzione moderna, il ius possessionw, locuzione frain-
tesa, che a me sembra nelle fonti avere il significato che
si vuole attribuire ai t«s poasidendi: ma i termini adope-
rati a significare i due elementi sono i più meravigliosi.
Corpus invece di possessio corpore e posaidere corpore è un
equivoco patente, e anche come termine convenzionale sono
oramai di opinione che non sia innocuo. L' aiiiimis domini
è stato poi rilevato da tutti che non esiste nelle fonti ro-
mane, e non altrimenti che la •^viyii SsaxóCovto; esso si ritonje
come un argomento capitale contro la lesi del Savigny.
Al Rudorff, che scusa il maestro, risponde il Dernburg che
(1) Jrsbiko, Besitevilh, pag. 389-300.
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