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^From the Ewald Fliigel Library
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BHUNETTO LATIM
VIIMIAIIImTU
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BIBLIOTECA CLASSICA
ITALIANA
DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
DISPOSTA E ILLUSTRATA
DA LUIGI CAREER.
Classe U. — Vol. I.
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I.
Baccolte anteriori, e ragione della presente.
L
le molte raccolte di classiei autori fólte a^ dì no-
stri, come provano Pamore novellamente germoglia-
to DegP Italiani di scrivere correttamente la propria linr
gaa, potrebbero fai* parere inopportune altre consimili
imprese. Chi voglia per altro guardare attentamente in
quelle raccolte, non le troverà talmente perfette da ri-
spondere ad ogni qualsbia desiderio, e non saprà quindi
credere male impiegate le cure di novelli compilatori.
Alcune in fatti non si propongono un fine determina-
to, e quindi procedendo con incertezza ed ineguaglian-
za, sovrabbondano in alcune parti, mentre in alcune
altre riescono oltremodo mancanti. Altre, tulio che si
proponessero un fine determinato, o tale non se lo
proposero quale sarebbe stato conveniente, o quan-
6
d' anche tale se lo fossero ijròposlo, il perdettero di
mira a mezza via, o non ^p{tero giorarsi de^ mezzi pia
proprii per consegfiirlo.Ove rinsufficiente dottrina, OTe
la preoccupazione ddir intelletto; quando una in som-
ma, quando altra cagione, che il noverarle tutte eia-
scunpf «per .'ciascuna tornerebbe fòstidioso, impedirono
\2he grtsgnessero a perfezione quelle ancora che meglio
sembravano incamminate. La raccolta stessa già (atta
dalla Tipografia dei Classici italiani in Milano, e quella,
pur milanese e più recente, del Silvestri, tutto che non
manchino di molti pregi e siano belP ornamento a qual-
sivoglia biblioteca, non cessano il bbogno di questa
nuova che da me si propone. Del che, spero, non po-
trà rimanere dubbio alcuno, esposto che io m^abbia
le ragioni che mi mossero ad idearla, e i modi onde
penso condurla.
U.
Accuse <rinsufficieiixa date alla lingua italiana.
Una felsa opinione erasi, già tempo, radicata nel-
le menti degli scrittori, specialmente di materie scienti-
fiche, che, dopo aver dato ogni più attento studio alla
giustezza de^ ragionamenti, poco o nulla fosse da con-
cederne alla lingua, come a cosa di poco o nessun mo-
mento. Poniamo, dicevano i più discreti, poniamo che
la parila e Teleganza dello scrÌTere siano pure di qual-
die giovamento alla maggiore e più rapida di£fusione
delle Tenta da noi professate, non può mai questo es-
sere proporzionato al tempo e alla fetica neoessarii per
insignorirsi di tali doti. La lingua nostra, continuavano
fdlrì, attesa T indole de^ suoi primi scrittori, quanto co-
piosa, e quasi soverchia, 6no a che non si oltrepassino
i limiti della mera letteratura, si h difettiva e poco
meo che meschina ove sventri nel regno delle scienze.
£d altri, trasferendo alP essenza d^essa lingua ciò che
i primi si contentavano di credere difetto non più che
accidentale, soggiugnevano: essere la lingua italiana
per sua natura insofferente delle sottili e severe dis-
quisoioni filoso6che; pomposa, sonante, varia, o che
altro si Toglia, ma non suscettibile di quella brevità,
aggiustatezza ed evidenza, che tanto conferiscono al
linguaggio scientifico, e per cui, a nominare una delle
luoderne, tanto ammirabile è la francese. Quella è chia-
rezza, forza e logico ordinamento di discorso ! A noi la
sintassi stravolge P ordine naturale delle idee, gli usi
vani de' verbi cagionano perplessità, le particelle infi-
nite, e bisognose di perizia indicibile ad essere appro-
priatamente allogate, sono dMrapaccìo^ senza contare le
figure grammaticali presso che innumerabili, le non
meno iunumerabili licenze, i modi proverbiali o ab-
breviativi, e tutta in somma quella suppellettile d'ele-
ganze, che a comprenderla intera è appena bastante
o
una lunga vita. A sifKilte accuse, evidentekiiente i
sisteati, e multo facili ad essere rìbattule, altri ne ag*
giugnevano allre di maggior momento, almeno nelP ap-
parenza. Che è cotesta tirannia de^ puristi? Chi ha dato
loro autorità di morliQcare una lingua tuttavia in fio<-
ro? A nuove idee nuove parole. La dottrina dovrà albk*
re al dettato delP ignoranza? Chi ha buone gambe per
fare da sé rapido e diritto cammino, dovrà porsi in coU
lo al rattratlo per andarne non più che di passo e a
sghimbescio? La lingua delle ciancie non risponde al
bisogno de^ fatti. Cadute le formule aristoteliche del
ragionare, è bene che siano tolte del pari le pastoie «I
linguaggio. Non so se tutte, ma erano pur qoeste le
principali dicerie, onde uomini per altri rispetti com«
mendevolìssimi scusavano la loro trascuranu nelP
posizione de^ pi'oprii concetti.
UL
Come fosse risposto loro, e che ne seguisse.
A queste censure non era difficile il rispondere con-
venientemente, e convenientemente fu da più d'o^
no rbposto. Il nuovo desiderio entrato anche negli
scienziati di scrivere per lo meno correttamente, se non
finamente, può credersi effetto di quelle risposte. Sti-
merei nulladimeno che ciò si avesse non poco ancora a
9
ripetere dalla forza innovatrice del tempo, e dalla legge
costante e generale per cui le opinioni^ gionte che sia-
no ad ua^ ultima estremità, è necessario che si ritrag-
gano di per loro verso T estremità opposta. £ nel vero
tanta era Fambiguità, la stranezza, T arbitrio nella più
parie delle scritture mandate fuori sul fine del secolo
scorso, che per poco la lingua italiana d^ allora non
poteva credersi tanto dissomigliante da quello ch'era
stata in antico, quanto la lingua di Omero da quella
degli Uroni e de' Seminoli. Ma , o pel frequente de-
stino delle cose umane dì non torsi a un eccesso senza
incorrere nell' eccesso contrario, o perchè la mutazio-
ne non avesse avuto conveniente fondamento di esami
e di confronti^ quello che doveva essere un gran^
avvkànamento al perfetto rimase poco piò che sem-
plice tentativo, e al difetto della trascuranza fu sosti-
tuito l'altro dell' a£fettazione, forse non meno fune-
sto. Quanto a me non dubito punto di errare nel cre-
derlo tale. Fino a che non istudiavasì dagli scienziati
la lingua, ma scrivevasi a casaccio e come gettava la
penna, poteva presumersi che il ditetto di bontà che
in questa parte vi aveva ne' loro scritti fosse colpa di
quel nessuno studio e di quel loro dettare come vien
viene^ ma dacché mostravano di aver avuto il debito
riguardo alla lingua, cercando di conformarsi il più
che potevano alle sue leggi, facevasi naturale che assai
gente accagionasse del disgusto arrecato dalle affettale
n
r
II
tissima smania, specialmente quando prende di mira
materie che raggaardano il gusto ! In felto^ perniziose
por sempre le contese, se ne può tuttavia sperare qual-
che buon frutto quando mirino a soggetti che hanno
una qualche consistenza loro propria, e ne' quali la di-
mostrazione può &rsi in guisa talmente sensibile^ ma
trattandosi di ciò eh' è sommamente sfuggevole, versa-
tile, impercettìbile, non altro danno che lotta di ven-
to ooa vento, lo cui mdto è il fracasso, e solo spera-
bile eflfetto lo schiantamento di qualdie util germoglio.
•Noo voglio condannare con questo indistintamente i
bvorì, che nel calore delle controversie in fetto di lin-
gua veoDero in hice a' di nostri; non sono né tanto
leìocoo, né tanto prosuntuoso: vo'dire che tali lavori,
non che soli bastare, non sono nemmeno i più efficaci
al fine desiderato. No i Muzii, i Ruscelli, i Gigli e sif-
fiitti, ma gli storici, i poeti, gli oratori, i filosoQ costi-
tuirono le più solide basi e i più propri! suoi lioeamenti
alla lingua; e similmente a difenderla dalla corruzio-
ne e ridurla alla sua nobiltà primitiva, meglio che friz-
zi, e contumelie, e sottigliezze da causìdici, ci vo-
gliono piene, efficaci, animate sciitlure d'oratori, di
storici, di filosofi, di poeti. Le opinioni d'un solo, espo-
ste con quanto ingegno e quanta grazia si voglia, irri-
tano ad impugnarle; l'esempio tranquillo e diuturno
dell'universale mette rispetto, e, senza farne le viste,
irresistibilmente trascina.
12
Veglio d*ogiii teorica e controTenia gioTare gli esempi.
Posto che sia l'esempio d'eccellenti scrittori il mes-
so più atto a promuovere il miglioramento della lia«>
gua, ne segue l'importanza d'una raccolta di chiari
modelli fecile ad essere dilTusa per l'intera nazione,
11 dissi a principio, molti a ciò mirarono prima di noi,
ma non con bastante ampiezza di vedute e perseve^
ranza di volontà. Noi ci accingiamo a questa impresa
con fisrmo proponimento che Tltalia debba avere nel*
la nostra B3)lioteca una bella messe d' esempi a cui
possano ricorrere gli studiosi, qualunque sia il ramo
dello scibile cui intendono di consacrarsi. À bastanza
w è finora conteso intorno le recondite origini della
lingua, e quantunque la quistione non sia per anco de<-
fiaita, non è a desiderare che continui più oltre. Pro*
babilmente, meglio che all'imperizia o alle passioni de'
contendenti, alla natura medesima della cosa vuoisi at«
Iribuire il non essere venuti a capo di una netta dimo^
strazione. Dicasi lo stesso dell'altre quistioni di premia*
nenza fra contrada e contrada in ciò che riguarda l'au-
torità, non che delle più misere ancora intorno al no*
me. E ad ogni modo, quanto poteva bastare ai prudenti
s'è già posto in chiaro; il di più sarebbe &tica gettata^
IO
e da spendersi invece utilmente in altri soggetti. Se
qualche ingegno si sente peculiarmente chiamato a
questi aridi studii^ o Te lo induce la scoperta di nuovi
e veramente importanti documenti, rientri pure Far-
rìngo già da tanti percorso, apporti nuova luce in si-
mili controver^ e se fosse possibile le definisca per
sempre, non chiameremo per questo malamente spe-
si da esso il tempo e T ingegno^ ma T università degii
scrittori attenda alPintrìniseco anziché all'esteriore, ^1-
reffettivo anziché alle speculazioni. Il secolo d'oro per
una lingua non è ordinariamente quello della filologia,
e in cui il prìncipal campo delle lettere sia occupato
dalie polemiche. Giova che a quando a quando si ri-
corra agli astratti prìncipii e alle origini ^ ma ciò che più
ifluporta è la pratica, e questa vuol essere generale. An-
che nelle lettere avvezziamoci a &r molto capitale de'
hai. La venerazione che da molti Italiani si nutre per
la propria letteratura è fanatica^ fanatica é pure la com-
passione onde da molti altri si guarda alla sua presunta
gramezza. Riduciamo le cose entro a' giusti confini.
In cambio di deplorare enfaticamente le imperfezioni
della lingua, operiamo a riempierne i vóti e ad esten-
derne i limili il più che si possa.
l'i
VI.
Impotrtanxa dello studio della lingua; lodi della lìngua italiana.
La lingua è parte iutegrante della letteratura. £ ìne-^
«atta la similitudioe onde s'usa comunemente, cioè: che
la lingua sia la veste de' nostri pensieri. Fino a che la
similitudine si prende così alla buona, può stare; ma
quando si volessero trarne conclusioni e precetti biso-
gna cercare qualche cosa di piò intimo e congiunto con
la natura delPMomo, che non è la veste. Forse parlereb-
be più esatto chi trovasse una rassomiglianza nel colore
delle carni^oode viene non poco indizio del suo tempe-
ramento e della, sua vigoria; ma uè anco ciò bastereb-
be. Lasciando stare le similitudini, è la lingua cosa più
essenziale. e importante che taluno non crede. Risoo-
nano in essa le varie afiezioni di un popolo^ vi si di-
pingono le sue consuetudini più inveterate; lo ve^
di fremere o folleggiare secondo più suole, e puoi da
questo solo dato, il più delle volte, studiandovi at^
tenlamente, desumere se più sia fantastico o medila^
tivo, se più impetuoso o capace di lente deliberazioni,
se altro in somma ovver altro, per qualsivoglia ri-
spetto. Quindi, come ogni letteratura nel genenile, o-
gni lingua in particolare ha vizii e virtù inseparabi-
li dalla sua natura e dalle circostanze onde fu accom-
10
pigliato il suo nascere e il suo maluinre. CkKisideiìila
a questo modo la cosa nel suo maggior pieno, nulla
abbiamo che invidiare noi Italiani alle lingue straniere,
messe pure in conto le antiche. Quanto hanno di lim-
pido il nostro cielo, di soave il nostro aere, di ridente
il nostro suolo^ di ammirabile le nostre arti, di reve-
rendo le nostre memorie, tutto troviamo fedelmente
ràratlo nel vario, abbondante, efiicace, dolcissimo idio-
ma nostro. È musica molle e malinconiosa, ma pur an-
co elevata e gagliarda. L'altezza de' pensamenti acqui*
sia da essa nobiltà a £irsi rispettabile, evidenza a fiirsi
credula^ V imiiiaginazione trova di che abbellire e ia-
fiirmare sifibUamente i suoi parti, fhe l'impressione da
essi cagionata, se non avanza, per poco non uguaglia
quella del Tero. Decoro, vaghezza, armonia sono ad
essa costanti, o gema, o scherzi, o ammaestri, o mi-
nacci: più o meno apparenti, sono inseparabili tali do-
li da ogni qualsivoglia piega che i tempi diversi o la
diversità degl'ingegni le faccia prendere. In un di-
scorso che deve precedere molli e molli volumi d' e-
sempi sarebbe inutile il produrne taluno. Ma non inu-
tile sarà forse una riflessione. Come si tiene per ada-
gio inibii ibile, che non v' abbia corruzione peggiore di
quella che accade nell'ottimo, un nuovo e molto con-
cludente argomento della bontà della nostra lingua può
trarsi da ciò, che all'estremo della confusione, dell'o-
sTurità^ della gofieria si conduce essa dagli scrittori che
i
i6
o sono digiuni delle sue virtù, o si recano a vanto il
disprezzarla, o per ultimo, volendo senza ingegno oè
studio autorevolmente maneggiarla, sconciamente la
travisano. E che il ragionato fin qui non siano fi^egi
retorici e millanterìe il proveranno cento volumL *
VII.
- CoDtinuasioiie di eccellenti scritture italiane in ogni secolo.
> Ne^ quali non potrà non apparire manifestissitiia*
mente avere in ogni tempo, e per ogni ramo deH^ li-
mano sapere esercitato la nostra lingua una benefica
influenza. Quanto ai tempi, cominciò essa a mostrarsi
bamlnna, e quasi dissi a vagire, nelle cronache e ne^pie-
cioli trattatelli, o in versi o in prosa che fossero, come
a principio, abbisognando alle rozze menti più sensibile
ed effettivo discorso, presso ogni nazione si vede ave-
re la poesia preoccupate le parti che furono poi della
prosa. £ V eleganza di que^ primi scrittori, che malff-
mente vorrebbe confondersi colla saivatichezza^ moke
ritrae delP ingenuo discoi*so de'&nciuUi, dal quale, chi
volesse sottilmente studiarvi, potrebbero farsi aperte
molte verità, che la successiva sapienza, meglio che
dichiarare, intorbida ed avviluppa. Distendendosi a
più larghi confini le osservazioni, e V arte del ragio-
nare essendosi più sempre acuita, ne venoeit) storici,
»7
<Mratori e filosofi di maggior polso; e se mioore si fece
riogeooità, e, didaiiioto pure^ quella schietta elegaoza,
die, cooie inaTTertitamente ha da produrre il suo el^
fetto ueMeggitori, ywA essere felice rìsaltameDto spoo-
taoeo di benigoa natura e di acconcie abitudini, mag-
giore a dismisura si fece Findustria, e dai, quasi dissi,
indoTinamenti del primo tempo si Tenne alle sapienti
avvertenze. Con che ognun vede riferirsi il mio discor^
so alla stagione che dai semplici accozzamenti delPuso
furono le costruzioni ridotte a certezza di regole, per
quanto può avervi di certo in siffiitte cose. Ne mancò
di fersi palese la bontà dell' ingegno e dei linguaggio
italiano anche quando dechinarono le nostre lettere,
e gU empiti della fentasia sregolala entrarono invece
del vero calore e della sublimità vera. Tristo fetto,
onde potè sembrare più misera la condizione della
nostra Italia, che stata non fosse in antico quella della
Grecia. Che laddove ai Greci il Romano^ imponendo
catene, concedeva il diritto di farla da maestri quanto
al sapere; era a noi tolto, in quel mentre che Turru*
ganza spagnuola ci ventava in &ccia i suoi amari dileg-
gi, di conservare intatta P espressione de^ nostri pen-
sieri; queli'e^ressione che, come prodotto naturale,
tanto era mostruoso T imbastardire, quanto lo sterpare
i fiorì da^ nostri giardini, e volerli fecondi di quanto
hanno di più insolito i climi abbruciati, non sorrisi,
dal sole. Non mancò, ripeto, allora puie chi si mostras-
i8
se inen lordo della maledetta pece, o ben anco del (uKo
illeso. Ne andò guarì che, rìcomposte le menti, torna-
rono neir antico cullo i buoni modelli, e a quella oscu-
rità temporalesca successe la serenità consueta, con ra-
gionevole indizio che quante volte rivenissero quelle
misere condizioni del nostro cielo, e tante riprendereb-
fae tosto o tardi vigore il buon germe infuso in noi da
natura e da essa continuamente aiutato.
Vili.
Eccellenti scrittori italiani d^ogni materia.
Mirabile e consolante catena di storici efiètti, che
non sf vorrà da chicchessia, se non forse da^ pazzi, con-
traddire! Ma da chi pur non è pazzo, e forse anzi ne
va a ribocco di scienza, mi verrà per avventura ne-
gato che la lingua italiana, come vegeta e bella man-
teunesì, almeno in parte, ad ogni stagione, secondasse
ogni guisa di umana sapienza. E sì ch^egli è questo un
vero incontrastabile non meno delP altro. I nostri vo-
lumi, mentre mostreranno non interrotta la successione
de^ buoni scrittori, mostreranno del pari V estensione
loro a quanti erano i bisogni bielle scienze e delle arti,
non pure incinti, ma cresciute a floridezza ed impor-
tanza. E come altro fu lo stile della cronicheltada quel-
lo della grave storia, diverso esser quello onde furono
'9
Tcslile le piacevolezze deiriogegDo e le semplici esposi-
zioaì deirafiètto^ da quello adoperalo nelle sottili indagini
del laziocinio e ne^ trattati profondi. Non s'knpaorìsoe
no la lingua nostra delle aridità^ né (ra le astrazioni sì fii
difettiva ; infiora bensì, quanto conviene a non adulte-
rarle, le prime, e dà alle seconde quel tanto di consi''-
stenza e non piò, che, senza renderle materiali, le fii
meglio appressabili. Lasciando il fingere e il dilettare^
narra e ammaestra, ma riniane pur sempre la medesi-
ma, come, siami permessa la similitudine, dalla prima
fuggevole avvenenza della gioventù passando le uma-
ne sembianze a virilità, non alterano in tal modo i li-
neamenti essenziali, che non sia dato discernere nel-
V uomo feito il garzone. Di che e a' letterati torna
giovevole lo studio de^ libri scientifici, e agli scienziati
quello delle amene scritture; i primi ad invigorire e
come a dire rimpolpare la Iqro dizione, i secondi a
rammorbidire e colorare la propria.
IX.
Bfetodo della nostra Biblioteca.
In tanta vastità di disegno era indispensabile Io sce-
gliere un metodo che più evidente rendesse la ve-
rità di quanto s' è fino a qui esposto. E volendo che
ciò principalmente apparisse che meno era fecile ad es-
seme accordato, anziché prendere a guida le varie età
della lingua, abbiamo atteso a dar nlievo al suo vai'ìo
attemperarsi a quante sono le materie in cui può eser-
citarsi rumano intelletto. La divisione fu dunque fatta
per classi, comprendenti ciascuna quella data genera-
zione di studii che avevano fra loro una maggiore
connessila. Qualunque per poco si feccia ad esaminare
r università del sapere, mentre il vede scompartito in
moltiplici rami, deve accorgersi non essere punto age-
vole rassegnare i precisi punti delle divergenze j e
quindi sarà ben lungi dal pretendere che la nostra di-
visione sia condotta a quelP ultima aggiustatezza che
rimuove ogni controversia. Non presumiamo già noi di
costituire un snbero genealogico alle scienze, ma bensì
di scompartirle per modo che sia dato a ciascuna d^esse
di fare una conveniente comparsa, ed accertare che
nessuna, anche delle meno importanti, fu dinwnticata.
Vuoisi ancora notare che, mentre s^ è detto aver tutte
bisogno di esprimersi con precisione, nettezza, e con
certa spezie di eleganza, sarebbe stoltezza il negare che
questo bisogno in quale non sia maggiore, in qual meno.
Certo minor suppellettile di tal (atta domandasi dalle
pure matematiche, che non è richiesto dalla morale, e
lo splendore a cui può aggiugnere il naturalista nella
descrizione de^ prodotti mirabili ond^è disseminata la
feccia del mondo, mal si cercherebbe in chi tratta del
cambio e delle severe ragioni de^ banchi. Sooovi per
31
ultimo' alcune partÌGolarì dottrìoe, anzi interi corpi di
scienza, che per la natura loro non potrdsbero dare
alle Tod e alle frasi tutto ad esse proprie che una in-
certa e frigace ammissione nel tesoro della lingua. Vo-
caboli oggi sorti e possibili ad essere domani aflàtto
dimenticati, o per lo meno notabilmente alterati quan-
to al senso, sono a mo' d'esempio i più della chimica.
Ond' è che uno de' nostri pia riputati filologi, e nel-
r accettare Yod noYelle, quando necessarie o m^lio
dichiarative dell'antiche, non punto rìtix)so, l'abate
Colombo, nel suo catalogo di alcune opere attinenti
alle scienze, alle arti e ad altri bisogni dell'uomo, le
quali, non citate nel vocabolario della Crusca, merita-
no per conto della lingua qualche; considerazione, di
nessun trattato o scrittura particolare ragguardante una
tal scienza fe cenno, e nell'assennato discorso pre-
messo alPanzidelto catalogo ne rende molto buona ra-
gione. Non diremo per questo che la nostra raccolta
abbia ad essere di sifEilti modelli del tutto mancante:
abbbmo ciò voluto accennare soltanto perchè, dove a
taluno sembrasse in questo soverchia la nostra parsi-
monia, non si creda in noi trascuratezza ciò che venne
da consiglio, e dietro così autorevole esempio.
3U
X. ■
Sua ìndole*
Ciò premesso, potremo francamente promettere che
la tini venalità del sapere, e di quanto toma prati-
camente utile alla vita, non che di quanto Tale a no-
bilmente consolarla, sarà tutta abl^cciata dalla nostra
raccolta; cominciando cioè da quello che le scienze
hanno di più dimostrato fino a quelle arti Tane e spe«
culazbni che, secondo T usalo da dotti uomini, chiame-
remo col vocabolo complessivo di mateologia. Anche
la storia degli errori torna utile, chi sappia profittarne.
Oltre che lo stesso linguaggio che altri senza pro'usaTa
per le folli ipolesi e per P errate dottrine può adope-
rarsi Tantaggiosamente nella ostensione delle realtà e a
difesa del vero. ÀI qual proposito mi giova avvertire^
che male mostrerebbe di aver penetrato nelP intenzio-
ne della presente raccolta chi si avvisasse di trovare
in essa quanto meglio toma necessario a sapere sul
conto d'una o d'altra scienza. No, non è questo che
da noi si prometta. Quanto concerne la miglior so-r
stanza e l'ampiezza delle dottrine s'impari dagli scien-
ziati in que' libri che ne sono depositarìi, qualunque
sia il modo e il linguaggio in essi adoperato; ma fólto
eletta dei principii e delle relative dimostrazioni, trag-
a5
gasi dalla classica Biblioteca onde pulire il discorso^ e
dare alle idee aoche più gravi una forma che le ren<^
da il pia the si può appressabili ed allettanti. Per altra
parte non voglia credersi che sia nostra intenzione di
attenerci alla scrupolosa strettezza degli Accademici,
o di qde^ che per qualche parola o frase men che pu-
rissima torcono gli occhi da tutto un libro abbondante
di proficoo sapere. Senza eccedere nella licenza, ci sta-
dieremo di tenerci lontani da siffatto rigore; non da-
remo mai luogo ndla nostra Biblioteca a scrittori scor-
retti nella lingua, tuttoché slimabili per la dottrina,
ma r importanza del soggetto ci fera talvolta arren-
devoli nella scelta con opere non immuni da qualche
negligenza.
XI.
In quali modi sarà scompartita.
Parlando poi più specificatamente delle divisioni del-
la Biblioteca, appena una quinta parte d^essa sarà data
sJla poesia, e delle quattro restanti, non tutta, un^ altra
alle lettere. E questa sarà fatta importante, oltreché
dal meglio delle grammatiche e delle regole spettanti al
magistero della lingua date fuori in vani tempi, da un
dizionario assai Éicile a maneggbre, compilato sui già
noti, risecando il soperchio, spezialmente d^ esempi, e
^4
aggiugnendo quanto da varie òpere, e da^ particolari
miei spogli mi verrà alPuopo somministrato. Delle al-
tre parti parlando, ciascheduna classe di dottrine scien-
ti6che o artistiche avrà il suo dovuto, prima in uno o
piò trattati compiuti, quindi in alcuni discorsetti o trat-
tateli! estratti da opere non opportune per la troppa
mole, o per altre ragioni, air intènto nostro, e da ulti-
mo in notizie storiche, elogii e biografie di quelle date
arti o scienze e degli uomini che in esse si resero in-
signi. Dal che si vede che all'ordine generale regolatore
della Biblioteca vuoisi aggiugneme un altro che pre-
siederà alle singule parti dì essa. Per esempio, nella
storia. Dopo aver dato una o due storie nella loro in-
terezza, darò una storia d' Italia tratta da varii autori,
di maniera che, senza nulla interporre del mio, veg-
gansi i Éàìiì principali a necessarii a sapersi della ùostra
bella contrada colPordine stesso onde accaddero. Il che
fera un^ opera, sé mancante da un lato di quel colore
d'unità che le sarebbe venuto dalP uscire da sola una
penna, notabile dall'altro per efficace varietà, e per
quella nuova guisa di sempre vivo calore che non al-
tronde potrebbe provenire, salvo da una moltitudine
di scrittori, narranti ciascuno quel &tto onde fii più
fortemente commosso, e cui nel dipingere riuscì più
eccellente. Dicasi il somigliante d'un epistolario, nel
quale si avranno per brevi cenni, e porti sempre dagli
autóri stessi, le vicende più notevoli della nostra ielte-
a5
Falora e de* suoi coltorì pia celebi-atL Nelle materie
fiiosoficfae yecialmenle, ma e talvolta apcora nelle iet-
lerarìe, non ini fiurò coscienza di usare dì £imigerate
tradmiaDi, senza che possa essermene dato taccia air
cona, stante che Peperà che propongo non tanto vuole
rappKseatare Punico sapere italiano, quanto il come
ìtaliaQBinente ogni guisa di sapere Cosse esposta, e deb-
ba esporsi da chi non barbaro, ma italiano voglia es-
sere giustamente chiamato.
Coaclttsione.
Confesso tchietlamente che a questaimpresa mi por-
ta la speranza di un utile che ne può ridondare alPI-
talia, senza che io creda di levarmi perciò a grande
altezza di merito, se non forse di un intenso volere
e di una diligenza aflfeltuosa. Mi piace inoltre pensare
che una tale impresa, salvi i consigli che mi saranno
dalia mano a mano, e de' quali andrò in cerca io me-
desimo, potrà essere condotta da me tutta quanta, se-
condo P intendimento finora esposto, e adoprando in
essa tutte le mie forze e tutti gli studii da me fatti
fin oggL Girando lo sguardo alle letterature straniere
non parmi vedere neppure in queste una collezione
che possa dirsi corrispondere esattamente alla mia.
b
a6
Tutte queste consideraziom mi danno animò a non
perdonare a fiiticé, è a pormi coraggioso nelle indagini
che saranno continoamente richieste fino al termine
deir edizione. Nulla di ciò che io crederò necessario al
buon ordinamento di essa sarà da me lasciato in dis-
parte. Oltre alla perseveranza nel consultare tattf qoe-
~g1i scrittori che possono yenire opportoni al mio inten-
to per ater ottenuto il suggello delP approvazione dal
prìucipal tribunale in &tto di lingua, o per essere stati
proclamati degni di ottenerlo dal diuturno consenso
d'uomini nella lingua eminentemente versati; e oltre
al cefcare, ove la messe degli esempi raccolti mi suc-
ceda abbondantes di aticoppiare air eccellenza del det^
tato la varietà, ogni possibile cura sarà da me posta nel-
la scelfo dèlie più riputate edizioni, affinchè quanto da
me venga proposto agli studiosi sia propriamente qua-
le usci della penna dello scrittore, non quale il resero
l'ignoranza o l'incuria de'^ successivi editori. Dove
trattisi d'antichi, e in proporzione della maggiore vir-
tà, non lascierò di cercare tra le varie lezioni le più
ragionevoli ed accreditate. Di che> come pure delle
ìDOtizie spettanti all'indole degli autóri é dell' i^>er% Uh-
h>, darò contezza in apposite pre&zionceile, non già
per magnificare i miei lavori, ma per dimostrazione
che il carico da me preso il portai con amore, come
soave e promettente per parte de' miei connaziona-
li la gratitùdine, che non viene da nessun gentile
27
gata agii otili lateodimeDti. Certo egli è questo uo por-
« a lungo cammiao, e sparso di iioii poche malagevo-
lezze^ certo a ciò si richiede molta alacrità e molta
pauensa. Ma, e non sarà qaesto uq aggirarmi per
quella compagnia di amici immancabili tra cui ho de-
liberato di vivere, e in cui trovo le mie più care dol-
cezze? Oltre al resto, potrò raccogliere tra via sempre
nuovi documenti a quella storia della letteratura ita-
liana di cui da più anni ho formato il disegno, e che,
quasi compimento della classica Biblioteca, mi laro ad
ordinare quando questa sia terminata. Che se verrò
accorgendomi che questa mia prima ^ica, direi quasi
prq)aratorìa deir altra, trovi &vorevole il giudizio de^
buoni, quanta lena non mi sarà aggiunta ad intrapren-
àere la seconda, meno laboriosa, ma incomparabil-
mente più arrìschievole! Possa io, giunto al termine
del &ticoso, e pur assai lietamente intrapreso cammi-
no, dire a me stesso: ho dato al P Italia un^ opera utile,
ond'en^ mancante, e in cui con orgoglio riguardi qua-
lunque le è figlio, e con invidia qualunque straniero ;
ho agevolato ajgl'Italiani il modo di esporre con nazio-
nale colore que' sublimi concepimenti onde furono,
sono e saranno in ogni tempo capaci.
PROSPETTO
DBI.1.A
BIBLIOTECA CLASSICA ITALIANA
DI 9CIEH2B, tXTTEBS ED AETL
Class* Phiha.
I.* Un trattato geimrale.'
2.* Trattatelli Tarii.
3.^ Esempi di yìviik crìstiane e di riti.
4**' Stona ea:lesiastica.
5.*^ Orazioni sacre.
6.** Tratti eloquenti di scrittori ascetici, e affetti di voli.
Classe Seconda.
Fik>so6a speculativa e pratica.
i.** lotrodoziooe alla filosofia, o priocipii generali in-
torno air uomo e alle cognizioni umane.
3.° Trattatelli morali di vario genere.
5o
m
3.^ £sempì e pararelli tratti da Tarii scrittori.
4.^ Vite ed elogii di filosofi antichi e moderni.
Glasse Tbbzà.
Matematiche pure e applicate.
I.** Assiomi e teoremi generali.
2.^ Meccanica.
5.^ Idraulica.
4«^ Astronomia.
5.** Arte militare.
6.' Elogii e biografie di matematici insigni, e lodi delia
scienza.
Classe Quarta.
Tisica e sciense naturali.
i.^ Trattatelli di vario argomento.
2.^ Otlica ed acustica.
3.^ Esperienze naturali.
4*^ Descrizioni di animali.
5.** Descrizioni di vegetabili e di minerali.
6.^ Lodi della iNrienza^ ed elogii di fisici e naturalisti
famoii».
3i
Quiiss Quinta.
Legislaxioiie, politica e commercio.
I.* Trattatelli generali di legislazioi;ie.
x° Discorsi politici di vani autori.
3.*^ Storia dei commercio, e notizie de^ cambi.
4.^ Modelli di suppliche, .testameoti, arringhe forensi,
ed altre tali scritture.
5.^ Elogii e biografie d^ insigni politici ed economisti.
j'
Glasse Sesta.
Economia domestica, agrìcohuia ed arti meccaniche.
I * Discorsi sopra vani soggetti di domestica economia.
1? Trattati vani spettanti alF agricoltura.
3.** Notizie d' arti meccaniche antiche e moderne.
4.** Trattati relativi a varie arti meccaniche.
5.^ Lodi deir agricoltura, ed elogii d^ uomini insigni in
questa e nelle arti meccaniche.
Classe Settima.
Medicina e chirurgia.
i.^ Varie desciizioni anatomiche, ed elogii delia scienza.
a.° Consulti medici di varii autori.
5a
5.° Estratti di ricettarìi antichi e moderni.
4.° Elogi! e biografìe di medici e chirurghi famosi.
Classe Ottava.
Storia, geografia e viaggi.
1.^ Esempli varìi tratti da vani storici.
3.*^ Storia d^ Italia composta di tratti presi da varii
scrittori, ed ordinati cronologicamente.
3.° Brevi storie.
4**^ Gronichelte, ed esempi tratti da cronache più e^
stese.
5.*^ Tite di prìncipi e capitani celebri.
6.° Descrizioni geografiche.
7.^ Relazioni di viaggi, ed ebgii di celebri viaggiatori.
Glasse Nona.
Letteratura.
1.° Dizionario abbreviato della lingua italiana.
a.^ Grammatiche, ed altri scritti spettanti alla lingua.
3.° Orazioni e discorsi varii.
4.** Novelle, e dialoghi.
5.^ Scrìttici polemica, ed altri di piacevole argomento.
6.*^ Epistolario diviso per età.
7.*^ Elogii, vite e biografie di prosatori e poeti.
t.° I quattro principali poeti.
1.° Teatro fraglco.
3.° Tealro comico.
4.° Teatro melodra minatimi sei
5.° Lirici antichi.
6.° Lirici moderni.
7.° Epici e romaniesrl
S." Didascalia, beniies
Classe LJnde
1
I.* Tiattatelli e dis^ertaeioni di archeologia.
a.° Storie di cos'.umi antichi e di avveaimentl prodi-
giosi.
3." Staeose arcane, dchimÌB, a9tTol(%ÌB e simiU, e loro
confulazionL
^.' Tite ed ek^ìi d'arijteolc^ insigni.
5.° Vite cT uombi singolari.
34
Classe Duodecima.
Arù belle.
i.*^ Trattateli! estetici generali.
a.^ Discorsi yarii intorno la prospettiva, il colorito, ed
altro.
3.^ Regole di pittura. .^
4.** Regole di architettura.
5.° Regole di scultura, e delP arte deir intaglio.
6.^ Discorsi yarii intorno la mùsica e il baUo.
7.** Biografìe ed elogii di celebri artisti
t.
#
IL TESORO
D I
BRUNETTO LATINI
TOLCAMZZATO
DA BONO GIAMBONI
HUOYàllBKTIS POBBLICATO
8BGOKDO l'sDIZIOHB DBL MDXXXIII.
Volume I.
VENEZIA,
CO^ TIPI DBL GONDOLIERE.
Il DCCC XXXIX.
.*:<
AI LETTORI
LUIGI CAREER.
I.
e,
Ihi conosca T mtendìmento, da me dìdiiarato
nd discorso proemiale, che mi fa guida ad knmag»-
nare e disporre la presente raccolta^ troverà conYe-
niente il dar ad essa principio con quesi' opera del
Latini Parrebbe quindi inutile eh' io di ciò parlassi ^
ma poiché devo pure tenerne discorso co' miei lettori,
per r obbligo assuntomi di premettere all'opere alcu-
ne succinte notizie decloro autori, e le avvertenze da
me avute nella scelta deirediziooi, con altro ancora ove
il richiedesse il bisogno, spenderò anche sopra di ciò
due parole^ tanto più che non sempre i discorsi proe-
miali si leggono, e tra quelli eziandio che gli leggono
non pochi sono che se ne dimenticano quando ven-
gono a dar giudizio degli editori, compilatori, o akri
IV
che siano. Se ne devono forse incolpare le bugie e le
superfluità onde sono per lo più infarciti simiglian-
ti discorsi? Non è questo il punto ch^ io debba trat-
tare.
Tolendo offrire alP Italia una Biblioteca classica, da
cui fosse rappresentata la non interrotta successione
de^ buoni scrittori, dal tempo in cui la lingua volgare
cominciò ad avere lineamenti proprii fino aMi nostri,
e la suscettibilità di essa lingua a tutte le materie su
cui può aggirarsi Fumano ingegno, nessuna opera ve-
niva più opportuna di questa. E questa di fatti lavoro
del maestro delP AUighierì, ossia di quel primo e so-
vrano scrittore, da cui ebbe cominciamento Pera no^
stra letteraria^ e sta in essa raccolto quanto a quei
tempi antichi era noto, cosi nelle umane discipline,
come nelle severe. Potrebbe opporre taluno che la
traduzione non è forse lavoro di tanta antichità quan-
ta ne vanta r originale, e che quindi la ragione cro-
nologica della nostra scelta è violata^ ma quantunque
ciò potesse esser vero, la distanza delPetà del tra-
duttore, che non fosse il Giamboni, da quella del La-
tini non è tanta da &rne caso, non trattandosi qui di
assegnare colla cronologia i limiti certi ad un avveni-:
mento, o di comprovarne la realtà. Da nessuna obbie-^*
zione può essere poi combattuta V altra parte della
proposizione nostra. Che nessun' opera in vero può
rendere più vicina immagine delle moderne enciclo*
pe^ oonàe quésto 'Tesòro, ideato da no itaKabo al
prìiDo-diradàrn della barione eangek.
Al qnal prqpOBito non voglio tacere^ die^ cotìnde-'f
nudo il Tesoro come opera iotermedia fra Paotic» m
il moderilo sapere, aojoista esso agli occhi degP iiitel4
ligenti un' importanza sonpre maggiore. E che tale si
possa, anzi debbesi considerare^ è manifesto da ciò, dhe
Éseotte' Tiene dèAiarando le Tane parti ddla dottrina
eontemporanea eoa qne' modi eh' erano eonoedoti al^
rin&nBB ddla crnltà intellettuale^ seiin in s& PinH
BM^oe' dell' antiea sapienxa. La quale, attesi gl'ima
pedimìmti che «yerano i lumi a diffiNodersi da indi^
fìdoo a individuo, non che da nazione a> nazione, e
più Ione eerta particolare tendenza delle menti, aiù^
tata da cagioni che non è qui luogo d' esporre, non
era cosi divisa, anzi sminuzzolata, come a' di nostri^
ma procedeva raccolta, e come a dire complessa in
un grande corpo. Pòco, tolte alcune rare eccezioni,
possiamo carpire da'oostri poeti intorno le scienze, la
politica, e la individuale civiltà del tempo e della con^
trada^ quanto più all'incontro si risale verso gli anti-
dii, tanto meno si fa sentire questo difetto, fino a che
si giogne a' primitivi, i fantastid lavori de' quali per
poeo non possono aversi quasi trattati scientifici es-
posti per mezzo di splendide allegorìe. E tuttavia la
.semplicità e la chiarezza ( intendo la chiarezza fi>nda-
mentale ed intrinseca de' concetti, non l' accidentale
VI
dell'espressione) sodo doti invidiabili negli antichi, e
rarfimente possedute da^ moderni! Qual maraviglia?
Fondamento del semplice non è forse il reale ? Torno
al Tesoro,
n.
Comprende adunque il Tesoro quanto ai tempi
deir autore era soggetto alle meditazioni de^savi. £ se
considerato lo avessero soltanto sotto questo rispet-
to come precursore della Dwvia Commedia il Ti-
rstboschi e quelli che lo copiarono, avrebbero parlato
con più verità, che non fecero accennando al Tesa^
rettOy magra frottola, e appena degna, se pur avesse
riscontro alcuno colla trina cantica , di credersene
stucchevole parodia. Potè benissimo lo scolaro sug-
here dalle lezioni del Latini V amore per la. scienza
universale, e pel volgere gli allettamenti delle lettere
al ministero di agevolare la diflusione delle utili ve-
rità. Se non che non è da prendere questa relazione
tra scolaro e maestro come s^ Usa ordinariamente al-
Pétà nostra. Forse ne^colloquii familiari, o passeg-
giando, potè rAlligbierì udire le lezioni di cui pai'lia-
mo ^ e forse meglio che dalla viva voce del Latini potè
venirgli il vantaggio da noi testé ricordato dalla let-
tura delle sue opere. £ la vita politica di lui, e le tra-*
versie onde fu accompagnata, dovettero stamparsi nel-
'deU?eBeBD|kìo (era 3. Latini il prìnio uomo àe^sam
9Miciii).potcei é&ce.roffiì^tOy vm mi oonteoterà di dise
tdkrante, deUe sventure cb'ipdi fl perooséera IToa
▼eniviano da uóa stiessa origine i mali ? non erano
d^uno stesso taglio le armi adoperate dagli aTrersa-
rìi? E il Latini stesso, quasi non bastasse la, miseria
ddP.esilio alla gioia ^'suqì nemici, fu tacciato- di bar
valteria. Accusa, direbbe taluno^ non maravigliosain
ima repubblica ch^ indi Teone ad essere maneggiata
da mercatanti^ ma io^ «^endo T ordinario procedi*'
meolo ddle comu mi maatàkoà} d'ayrotire che i de-
lini poHtiea per lo pia non si affibbiano solL L^ao*
eiaa di fidsario al Latini è data dal Boocacdo^ e dopo
questo^ -da Benvenuto da Imcia e dal Landino^ sfb-
bene^ stando il fatto come si legge nel comeoto del
Certaldese alla Divina Gnnmedia, prevarrebbe l'or-
goglio alla perfidia nella cagione ond' egli fu indotto
air esilio. Ma di ciò ancora basti, avendo a tutto che
si può accampare in danno dell'esule plausibilissi-
mamente risposto r abate Zannoni nella sua dotta-
pre&zione al Tesoretto, face, su, xiu. Poche parole
dd Malespini danno netta la cagione del bando, che fu
la rotta di monte Aperti, onde i Guelfi, non si tenendo
più sicuri dallo sdegno di Manfredi e dei loro confra-
telli, sempre peggiori dei barbari nelle vendette, cer-
carono asilo sotto cielo straniero, fino a che le sorti
mutale della patria facessero loro possibile il riveder-
la. J)ì qui viene aperta la frase di Filippo TillaDi, che
dice di lui essere quasi per volontaria separazione
andato in Francia (i).
E in Francia compose il Tesoro. Il quale, dettato
in lingua straniera, fu cagione per questo appunto di
censure e di lodi, secondo volle T amore o l' avver-
sione degli scrittori, e in generale la passione ond^ er-
rano spirati. £ chi vuole magnificare i meriti del La*
tini, tiene dietro al Villani sopra citato, che fu le ma-
raviglie come il Fiorentino, così attempato ch^egli era,
si rendesse capace a maneggiare la lìngua d^oltramonti,
e a comporne opera di tanta vastità ed importanza. Àt*
tempato qui per altro s^ intenda in proporzione air ap-
prendere lingua forestiera, e impratichirsene per. mo-
do da scrìvere in essa lungo libro di universale dot-
trina 5 che non si traesse per avventura da ciò cagione
a pensare che assai vecchio lasciasse il Latini la patria
e le cose dilette, come fecero alcuni biografi poco ac-,
corti. Ma che stupire ? S' altri meno accorti il voglio-
no morto nel pieno, o nel meglio che si dica, della
(1) Chi più ne volesse, Tegga nel Tesoro, lib. I, cap. XXXVII,
sul fine, ore dopo aver parlato del pianeta Marte e delie influenze
guerriere da esso condotte, concbiude pietosamente : E di ciò sa il
maestro Brunetto veritade, che Ju nato di quella terra (Firenze).
E allora eh* egli compilò questo libro sì n* era egU caccictio di
JUori per la guerra de* Ftorentini. E nuovamente io àlcro looga
vita, non per allro che per le parole messegli ia boc-
ca dal cantore dell' Inferno: fi.t" io non fossi si per
Icinpo morto, ec. {Inf.,XT). Le quali parole, non alla
Illa di Brunetto, nta si vo^ioasi considerare rispetto
a quella di Dante; poteadu io dire che Malulasemine
è morto assni per tempo per darmi un consiglio, sen-
ra che se ne debba inferire per questo scemala d' un'
ora la lunghissima vita talriarca. Né manco avva- '
lorano l'opinione del! satura morte di Brunetto
quegli altri versi del ( stesso, in cui, preodendo
h parola egli, l'AUigf , protesta affettuosamente,
che , ove fosse stato v voie il suo voto, il maestro
;uo non sarebbe ancora Dell' umana natura posto
in liando. Che s'io vedessi curvo sotto il peso di mol-
li secoli un capo a me caro, non ne ven'ebbe eh' io
cessassi dai voti per la continuazione della sua vìLaj e
1* ora che me lo togliesse dagli occhi non mi sembre-
rebbe maT meno intempestivR, fosse pure protratta
oltre ogni termine naturale.
A viluperare l'autore, che scrivesse il trattato suo
principale in lingua straniera, furono più altri mossi
da carità di patria. E quanto maggiore tcovarmo l'im-
portatua del libro, e più furono corrivi nel biasimo ;
tanto pili che in que' tempi, 'essendo ancora pargoletta
la lii^ua del si, maggiormente bisognavate il socoh'so
degli scrittori che la illustrassero non solo, ma l' ati-
■Dcntassero cogli esetDpL E non maacò chi a questa
X
j*agione atlribuisse rinesoraHlità usata al Latini dal
<liscepolo suo, che nel caccia a dolorare tra i sodomi-
ti, bollando la sua memoria d^ incancellabile infamia.
Se non che, ancora che convinto come sono e deve
essere qualunque abbia letto le opere delPAllighieri,
che assai in questo potesse V amore delV idioma ita-
liano, non so persuadermi, che il grande poeta air offe-
sa fatta a quell'idioma volesse si duramente immolata
la gratitudine verso il maestro. E più mi avvalora in
questa mia incredulità il modo nobile, e dirò anzi en-
comiastico, onde nella cantica immortale si fa ricordo
del Tesoro, Erano altre passioni che bolUvado più
ardenti nelP animo iracondo dell' Allighieri; é quan«-
do il si voglia pure instigato da queste ad essere in^
sorabìle nelle punizioni infernali, e facile a 'schiudere
le gioie del paradiso, parmi più ragionevole il pensa-
re che al Ghibellino giovasse deprìmere K memoria
del Guelfo, mostrandone imperdonabili h colpe. Ma
e r animo generoso di Brunetto, che non piegò mai, e
il non aver voluto ritornare in patrìa se non quando
gliene aperse le porte V abbassamento de' suoi nemici,
dovevano parlare con qualche efficacia, per conformi-
tà d'indole, nell'indomito Ghibellino. Che che ne sia,
questa non è quistione da trattarsi ricisamente^ e gio-
verebbe, anziché arrestarsi a quest' unico fatto, ba-*
dare come adempisse il grande poeta le parti della gia~
siizia eoo que' lutti che tennero la sua setta^ o sé le
'waaiAmooo avvcr&L ftuoctto ioImlQ^ ^pnn indafi-
uMe k «ocoie di» da^oontem^oraMi eda^poelmiiì
«rabhem -fnioto pd 800 dMtato»oQiiehi^^
-aào del Tesow rendendo due ragioDi per coi egli e*-
Mmfcf éP ItaUa (èqui flofiai k feue d^JiaUo^ naa di
FMkeo di Toteama) msnwmte il Ubro. m lingua
i/kmthmk WAtmaai FjestertvgUinFrundaipm
odlqDMi-tiB tacito riuy tivem dk prtria» dbe teii»-
^m dmoétgffOo il pnmsìpde del* eooi eìUadiIli^)^ e
^enten Im farìaturafinamcésca pia dUettmfohe'pùt
mmmtmmhw ùtUi ^^imUri UnguiMggi,f9e questa prò»-
Tiirnia ddk parìatmm'^fiwióesca «wvfoeiì al teot>
fc^ pa,.oh* ta 1Wp«» G»«p«*a, a. 2fec«mm«e e M
4iSiiH0fii0inB per Lmiraiioii avevano anoora dato dlV
taHana £1 vanto della più nobik e soave lingua fra k
moderne. Ed ora tuttavia, trascorsi che sono da drea
sd secoli, non dovrebbe fiirse scrivere francese dù
vdesse ùink intendere più diletlesfolmente e più C(h
nmnemente^ non dirò oltr^alpe, ma di qua pure? Ma-
teria piuttosto da gemerne, che da allungarvisi sopra
discutendo!
ni.
Abbiamo parlato del Tesoro come d^ opera scrit*
ta originalmente in francese, ma non si:cr8da che nott
vi fease cootrovema andwdi dòfira gli eruditi. A non
XII
imbrogliarsi oltre il dovere, ricorrano qóeMettorì che
fossero vaghi di simili dispute alla nota qainta che il
Mazzuchelli sottopose alla vita del Villani teste rìcoT'
data. Noi non ne diremo altro, e perchè alieni da sif-
fette contese, e perchè il nostro intendimento princi-
pale è rivolto al volgarizzamento di Bono Giaild)oni.
A prederlo lavoro di*lui concorrono le testimonianze ;
de^ biografi e bibliografi più accreditati^ per modo che
stimerebbesi con ragione superfluo qualunque discór-
so nel quale ci distendessimo a confutare la opinione
^ntraria. Toole piuttosto ogni convenienza cogli ob-
blighi da, me presi col pubblico che io parli delP edi-
zioni di questo volgarizzamento, del perchè mi attenni
ad una anziché ad altra, e delle cure da me usate af-
finchè questa moderna ristampa, non potendo tutte
sanare le piaghe àeWe antiche, a qualcuna ponesse rime-
dio, e si guardasse dal recarne di nuove. La prima e-
dizione di questo volgarizzamento che m ^sonosca è la
trivigiana in foglio del Flandrìno (i474)- ^^ giova il
domandare come un libro di tanta utilità non solo, ma
ben anco oltremodo comodo e piacevole, non foss^ al-
tro per la varietà delle materie e pel modo sucdnto
della trattazione, dovesse aspettare tant^anni a vedere
la luce. Ogni secolo può fornire consimili esempi; e
il nostro né più né meno degli altri. Ben è da stupire
piuttosto, che un volgarizzamento cui il Salviati, quel
Minosse che tutti sanno in ùXio di lirtgua, esalta sr cielo
come contenente somma Hcchezza di lai genere {^■iv~
ver/.,lib.n,C3p. i^), sia^i lanciato finora andante mac-
chialo dì tante scorrezioni, e che avendone gli Acca-
'lemici a lare quel frequente uso cfae può vedersi nel
loro Dizionario, si conteDlassero di un'ediiione che ti
Minosse poc'anzi allegato non dubitò di ctuamare am-
modernala o smoijjiicala da chi che sia (ivi, lib. XI,
cup. 1 a). E questa 1^ edizione veneziana procurala da
Mardiio Sessa nel i 533, e sulla quale, per rispetta
non foss' altro airautorità della Crusca, deve cammi-
nare fedele la nostra.
Anteriore a questa havreue un' altra di cui ebbero
il merito, quel merito che si ha di stampare libri scor-
reltaniente, i Fratelli da Sabbio, e \ide la luce pure
in Venezia, nel i5^S(i) In proposito delle quali edi~
zioni, vedi confusione nel Mazzuchelli, che fa latina
la trivigiana, e lascia dubitare che fosse pure latina la _
veneziana del l 5u8 ; iNitlo in eirure pei la prima dal
HaìUaire,per la seconda da mons. FontanÌDÌ. Ma chi
Ci le maraviglie di qualche bibliografica inesattezza, an-
cbe aà piò dotti e diligenti, dica pure che iu tali stu-
(K sa poco pili che vagire. L' edizione adunque del
533 è ben lungi dal conleatare la voglie di un di-
(i) Ho potuta ooniulurB mII* Hiicùbi bd ctcmplirc di que-
lli edjòo« mutilo aeì StottùspuìOf che potrebbe tiarre ìd errore
cbi non Ti pfaleMe mnite. Ha mi poco d' Umuione è snffieitnte
XIV
screto lettore 3 e dico discreto perchè trattandosi di
dettati antichissimi, come si è questo del Giambo-
ni, troveremmo discrepanze e lezioni varie quando
anche s^ imprimesse un qualche libro io Giosafalte
la vigilia del giorno finale. Ma non è discrezione che
possa reggere a fronte dello sciagurato governo che fu
fatto della scrittura del Giamboni, da chi che sia, di-
remo col cavaliere fiorentino, in questa vituperosa
ristampa del Sessa» E se cosi fosse stato mite quel ca«
valiere nelle sue censm'e alla Gerusalemme, come fu
coir editore di cui parliamo, la morte che rubò al som*
mo epico la meritata corona, sarebbe da tenersi non
più che savia castigatrice delle mondane ingiustizie,
come non è quasi mai. Non potendo i bibliografi in
questa, quantunque rara edizione, arrestarsi con com-*
piacenza, ricorrono col desiderio a quella del secolo
decimoquinto. Capitanati da mons. Bottari danno bìa-*
Simo alla Crusca di avere preferito la vlneziana ^ e
peccato ! che la trivigiana le sta innanzi di tanto. Fat-
to sta che la vecchia edizione, da me consultata, fu
trovata poco men che gemella alla posteriore nelle le-
zioni errate, e in ciò solo portar diritto di preminen-
za come primogenita, eh' è più difficile a leggersi, ed
ha qualche menda tipografica soprammercato che dal-
la seconda fu tolta. A carta poi e a caratteri è miglio-
re : ma vogliamo noi ristampare quella o questi a be-
nefizio degli studiosi di nostra linfi^a? Cosà s'imparas-
« tempre dt du sfwdopa essere primo pregila à^ntm
eilìÉioiie le InMibe lencmì é la oarnaooe^ seo(N^
■Mpni, i tipi, le legatore. La nostra, grane a 0ìo^
no» sarii affitto aflatto k fiuote, ma potendo mostranti
gentil» sì stndierà af^parìr tale nen^^ìntrìnsecb, ànodià
ndls ^^^este. La trvfigiatm io somma è bnon ornamene
lo & bibliotedie^ e ftadbè non si esamini bene^peoo
«Panttichìtà da intnonarri antifone' i sacerdòti delb
raggine e de* ftmnmenti (i):C!o^ avesse pMnto'gicN
Tsra k- posteriore dei 1 553, anidi^ essa, come lèibiaiiio
delto^ -soorrelta non aseno ddl' altra ! LÌ'^interBiedk
Im k -stesse mende, o di poQÒ minori.
Millo più ragionerrolmente di qneBo ai fiffiOBsé an&-
kndo ai- risoonlri coìk edixbné dd secolo decimo^
qniato^ notò il Zeno, e con esso qnantì reggono il
▼ero, che una glande utilità potrebbe derivare ai snc*
cessivi editori dal riscontro colP originale francese che
conservai della reale biblioteca di Parigi, in quella di
Torino per testimonianza del marchese Maffei, e nella
Vaticana, come abbiamo dal Manni (2). E non meno
(■) Ifon fanno contro n questo giodisio alcune poche farianti
cbe qua e là siamo Tenuti razzolando, e di cui rimarranno aTTer-
thi i lettori nelle note. Queste varianti non sono presso che mai
di segnalata importanza. E non mancanq air incontro alcuni Iuo>
ghi Biei qnali la edieione veneta corregge la trivigiana.
(%) Gnglielmo Libri^ uomo di quel sapere e di queir amore
alla gloria letteraria italiana che a tutti ^loto, promise è già un
anno per le stampe {Bistoire ées màemcei mathémaiiques en Ha-
XVI
ra^onevolmente polevasi cons^iare Pesame di parec-
chi codici del Tolgarìzzamento del GiamboDi, che stan-
no DeHe pubbUche e private biblioteche io Firenze.
Ma sono oggimai dieci anni che il benemerito Gaspa-
re Bencini si arrabatta fra que' codici, e che il suo col-
lega ab. Zannoni, altrove citato colla debita gratitu-
dine, dava Pannunzio di una imminente edizione, se
non afl&tto purgata dagli antichi errori, incomparabil-
mente migliore di quante videro sinora la luce 3 sono
dico dieci anni e più forse di tal lavoro e di tali pro-
messe, né si venne per anco alP effetto, e nenuileno
un indizio è comparso che ne annunzi più vicino Pa-
dempimento di quello fosse in allora. Che dunque?
Deporre il pensiero di far pubblico il Tesoro^ o ripe-
tere la s^mpa del i533. E poiché, attese le ragioai
allegate poc^ anzi, nessun' altra opera poteva tornare
lie, Paris, Renouard, 18 38, tome deuxième, pag. i5a) dì pub-'
blicare T originale francese nella CollecHon desdocumens teloH/s
à Phistoire scientifique de laFrance, dì cui gli è commessa la di-
rezione. Possiede egli, oltre a quelli della biblioteca reale, un ma-
nuscritto che sembra del principio del secolo XIV, e fu della bi-
blioteca di d\4guessau. In esso Topera è dirisa in tre libri, e con-
tiene capitoli 379. Questa divisione in tre libri si accosterebbe a
quella delP edizione trivigiana, in ciò diversa dalla citata, che per
r opposto divìde T opera in tre parti e queste in libri. Per altro
anche P edizione trivigiana nel titolo del capitolo primo, disel-
lo che sarebbe, secondo la posta divisione, libro secondo, ha :
ffui comincia la secondeu^rte dei Tesoro,ec, Se non che le sono
inezie da non immorarvi sopra più avanti.
XVJI
più opportiina all'intento nostro^ abbiamo stiinato qod
meritare censura da chi non Tiiok oensnrare ciò die
ha qoalcfae &ocia di ragionevolesza, attenendoci a
qodl' antica, e diremo andie unica stampa. Potevamo
si ingefpurrci di aver copia dell' origioale, o dei codici
fiorenlini, o^ che sarebbe stato presso a poco la stessa
fitfica, tentare cbe fossero raffirràtati con quell' origli
naie e con qae' còdici i passi controyersÌ3 ma ciò non
ne si concedeva, oltreché da molti altri iiùpedimenti,
dalla vasta mole dell'opera, di cui il Tesoro non è
die minima parte. E se le biblioteche circostanti a Te»
oena di avessero fÌH'nito codici, non diciamo del testo
ftanoese, che sarebbe stato troppo ardita speranza, sì
ddla traduzione italiana, era npstra intenzione di pro-
fittarne ^ ma vana riusd la nostra .diligenza nel rintrac*
darlL Pensanmio quindi non inutile, toltoci il poter
meglio, un'accurata ristampa delP edizione del i533,
avuta per canonica fìno a qui dalla Crusca.
IV.
Nel qual caso non intendiamo per accurata ri-
stampa una copia, come si usa con quelle edizioni che,
non in forza dell'accidente, o della necessità, ma sali-
rono in alta fama per intrinseco pregio 3 la nostra ac-
curatezza è riposta nel farci modello dell'edizione an-
zidetta, per non iscostarci da essa quando eravamo
XVUI
dubbiosi, ma alterandola sempre che o l'aiuto d'alilo-
rilà irrepugnabili, o il consiglio della sana critica ce ne
resero capaci. Prima però di più minutamente dichia^
rare il modo di queste nostre alterazioni ci permettere-
mo una domanda agli onesti lettori. Poniamo che Tedi-
. zione nostra non altro &cesse fuorché ricopiare esat-
tamente quella del 1 553, dovrebbe credersi inutile il
nostro lavoro? Ci sembra che no. Importantissimo di
fatti è un tale volgarizzamento, e l'edizione, tuttoché
censurabilissima, molto rara. Quelli ancora che la pos-
-seggono hanno un bel logorare gli occhi siji quelle ab-
breviature, e su qnegP indebiti dislogamenti e congiu-
gnimenti di parole 3 ond' è che la fòtica non picdola
dell' intelletto è raggravala dalla materiale della lettu-*
ra. Nop sarebbe egli dunque poco servigio il rendere
più agevole l'acquisto del libro, e il restringere a
quello solo della mente il doppio travaglio di questa
e degli occhi per chi vuole attingere a si antica fonte
del sapere italiano e dell'italiana favella. Non è però
che a ciò solo siasi voluta limitare la cura da noi po-
sta nel riprodurre quest'edizione. Per procedere con
ordine, dirò prima d'una mìa speranza fallita. Al ve-
dere come frequentemente fosse citato il Tesoro dagli
Accademici nel loro Dizionario, mi nacque pensiero
di raccogliere quelle moltiplici citazioni, e giovarme-
ne, se mai qualcheduna cadesse sopra i luoghi di stra-
volta lezione. Ma mi trovai nel caso di que' buoni let-
lori che studiano negli antichi classici colla scorta de'
comi>ieiit;itiiri; questi, iulendo della più parte, sciori»
mino acume ed erudizione niinibile quando il bisogn*
è nullo o pochissimo, e laddove occorrerebbe pai'Iare
p lederue un po' jmii là che lu Toce non suona, staa
rJiiotlL Ed io pure poco o nulla potei trari'e dalle Ini)'
le citanonì, che mi giovasse a raddi'iizare pur uno de>
gli storpi del viziato mio testo. Colla stessa speranza
cercai nelle annotazioni apposte al Tesoretlo dal Zan~
noni, docchù quivi ancora erano spe^ i vichiuiui ai
passi consimili del Tesoro: ma il mio cercaie fu con
(juel frutto medesioio che nella Crucca.
fjitn altro pertanto mi rimaneya fuorché l'attener-
mi alla stampa del Sessa, riscontrandola, meglio per
tranquillità di coscienza che per ragionevole spei'iinza
di jpmtiUo alenilo, coUe due anteriori de> Fratelli d*
SaUùo e del Flandrìno. Ciù'qaanb) alla generalità de)
Ubroj driB poi ad una parte di esso, cioè al comin-
daiBflnto della seconda parte (riferendomi all'edizioDe
)553)f ove M tratta dell'Etica, dne lavori, di due non
■MDo eq>ertì che crebri fiorentini, mi Tennero in aiu-
to; E il primo quel Iacopo Corbinelli che nel secolo
X1B motto fotioò 3^ miglioramento de' testi antichi;
de) quale^ sopra un manoscritto somministratogli dal
mantovano <^o. Francesco Posteria, abbiamo coi ti|»
di Giovanni de Tornes, Lione, anno i568, Tf/ica
dir ..AuMeir ««tfoOo incantpeiutio da ter Bnmetto
XX
Latini^ ed altre traduzioni e scritti di quei tempi,
con alcuni dotti avvertimenti intomo la'Ungua. Basta
una rapidissiooia occhiata ad accertare che quest'ittica
ridotta in compendio non è altro che il principio della
seconda parte, o libro sesto, della veneta edizione dei
Tesoro. V altro che nel secolo scorso si mise sulPor-
me del Corbinelli è Domenico Mai'ia J^nni, da^ cui
torchi, nel 1754? usci con la Retorica di Tullio e il
Libro de^ Costumi di Catone^ V Elica d^ Aristotele^
volgari%%amento antico toscano. Queste due stampe
non si corrispondono, anzi chi ascoltasse il più recente
editore, la lionese si dovrebbe poco meno che gettare
alle fiamme in confronto della fìorentinsu Avvezzo pe-
rò da gran tempo alle amplificazioni degl: editori, volli
vedere il male co' miei proprii occhi, e dopo diligente
esame, trovai, che, quantunque vere in gran parte le
accuse date dal Manni alla stampa del Corbinelli, non
era tuttavia da perderla d' occhio ripubblicando il
Tesoro, E cosi mi sono appunto deliberato di &re. Se
non che, oltre le discrepanze che avevano fra loro le
due edizioni, v' erano quelle, più iòrse frequenti, tra
ambedue esse e la veneziana die mi sono proposto a
modello. Che dunque fare? Non arrischiandomi'||oii
si pochi sussidi] di por mano nel testo benedetto dal*
la Crusca, pensai di giovarmi delle edizioni C<HÌn-
nelliana e Mannesca, solo in quanto Terrore della Tf^
nefca fosse evidente, e nel resto registrare per in» éi
BOta le vflfjBBlij' pcrdièi lettori do potcsBcro &re quel-
Poso étneéiÈpraprìo gindkìo/vefiisBè loro suggerito.
•Ma il breve. ^nrsgUa di luce die ad scorgeva ~a
reDdere meno aooiTetto il Vibro sesto éeì^TesaroyTe^
aiva a mancanm dd tatto n^ altiì l&rL Ed ecco la
via da me scelta. Sono d^ avviso^ e credo aver com-
pagni tnttì quanti i prudenti^ che in qaesta materia
di testi antidìi il primo fimdamóito d' una plausfliile'
ediópoe sia P, autorità, e quindi, non ■ avendo codici,'
oame ho :dettoi, a' miei sen^ e poco giovandoisii i
dsoodtii delle/varie iesiooi stampate, presso che nulla
mi sono arrìsdiiato dijnatare quanto aldettato. For-
se ddie. venti volte che avessi avventato alla cieca la'
mia correzione,' d^sarefabe' stata qoella in cm mi fosse
avvenuto imberciarvi, ma e avrebbe dà compensato
le diednoYe in cui alle perplessità delle antidie edi-
zioni avrd aggiunte quelle della mia ? Oh se si fosse-
ro contentati di copiare gli antichi errori quelli de'
successivi editori che non avevano sicuri documen-
ti alla ccMTezione, di quanto minore non sarebbe la
messe degli spropositi venuta dì secolo in secolo a
noi , non meno eredi delle glorie, che delle vergo-
gna degli antenati ! Dopo Pautorità entra Fuso del ra-
ziodnio in soccorso delPeditore. Dissi adunque : lasciati
stare come sono i luoghi viziati nella dizione, userò lo
stesso scrupolo in quelli che ragguardano la sostanza
dd ccmoetto? Qui c'è meno delP arbitrario che nel
isLìto delia pura liogua. ì\ ragionamento, posto il pon-
to onde parte e quello a cui tende^ ba la sua 'via pre-
scritta ed inalterabile: coU^akitD quindi deibnente
mi sarà dato yedere ciò che manchi o ciò che vi sia
di soperchio. Ma nemmed questo canone di buona
critica mi fa bastante, dacché esso può ben»i valere <
ove trattisi di dottrine conformi e fuori di controver-^
sia, ma qui abbiamo idee inesatte o monche di scien-
za, e assai spesso errori effettivi : ora se la verità è una, '
moltiplice è T errore, e chi ne^ molti rami in cui può
distendersi la mala pianta sì crederà, afferrandone uno,
di aver dato nel segno ? À ciò non seppi trovare mi-
glior espediente che ricorrere alle fonti onde V autore
attinse più di sovente il proprio sapere, ristrìngendo**
mi nel resto a ripetere fedelmente gli errori dell^ edi-
zione antica senz^ accrescerne la derrata. Cinque fra
gli antichi autoii sono quelli che più spesso vennero
consiglieri a Brunetto nella composizione del suo li-
bro : Aristotele, Plinio e Solino ^ per quanto ha ri-»
guardo alle cose sacre, la Bibbia; e ne^ particolari del-
l' eloquenza, Gcerone. L' esame di questi autori mi ba
dato di poter a quando a quando ridurre intelligibile
qualche nome, e talvolta qualche frase ; awertèndo
che anche in ciò sono andato molto a rilento, ben ac-
corto che quei classici autori non tali si leggevano ai
giorni del Latini quali a' nostri Àncora, in luogo de^
gli originali, mi sono più volte giovato delle antiche
xxHr
tcadoBOiii ddfe loto op€K^ pnrandooii dw «1 wcco^
sUmiil .pupofBbytabTooeoBiodo diàk^pfo*:
fadhSÉfealB iMili da BkaaMlto. ooofanHO il veden cn^^
ìnd onodi di din si crrinwi^ coiTiiy idiPi nttt^ìUH
liflBo d tetto gneo o kcioo^ in lampi, se non cgnfi,
pocodoKno diffiwti ^» di ciò tallo pia dbboImmii^
te MBcm dirlo lagionB ndfe noteraUe porte apprown
f iliftllH HbfDu
Deqoerte core ne "venne Tedinone che piesento
a|^' itefivii, non altro che come rìstanipa della veneta
del i55S, lesa più agevole alla lettura; di'ò quanto
a dir^ non contando per nidia i risoontrì d^ altre e-
diùoni dame firtti,e|^ esami di ordinali e di tra-
dnsiQni onde ntlini|l il Latini le sne dottrine. H quale
nessnn conto de* mìei laTori non si ascriva ad affet-
tate modestia, die soobi tahroha da chi è pui copido
di gloria spendere coraggiosamente per esserne rìcam*
biato ad osora, ma a sentimento profondo e leale di
quanto resta a fare, chi dar voglia all'Italia conve-
nientemente corretto questo prezioso monumento del-
P antico sapere. £ siavi pure quest' uno ; se già il
Bendni, in quel mentre die da noi si fii questo voto,
non ha condotto a termine la sua nobile e molto desi-
derata fatica. La sorte che toccò al Latini vivente,
tocchi pure al suo libro. Costretto dalle infelici scis-
sure della patria a ramingare sotto delo straniero, ren-
dendo rispettabile colla sapienza la propria svaitura.
XXIY
rivide attempato la terra natale, e si posò al sonno e-
terno nel cimitero degli avi 5 questo Tesoro, a cui L'e-
silio die veste francese, rìcoinparisca italiano, e tale
che si possa conversare con esso familiarmente e a fi-
danza. L'affrettare, poiché mi è tolto il compirla, una
tale impresa, mi farà credere cominciata con ottimo
auspicio un'edizione in tutto diretta ad utile véro del-
l' italiana letteratura.
• 1^
#
IL TESORO
D I
BRUNETTO LATINO.
PARTE PRIMA.
Latini, f^oì, I.
■->
^- LIBRO PRIMO. -^2
^^ Capitolo ^^^
'i come il signore die vuole in un luogo am-
Li'e cose di grandissimo \aloie, non solamente
uo diletto, ina per crescere il suo potere e per
ao stato in guerra ed in pace, vi mette
le più care e le più preziose gioie che puote secondo
la sua bona intenzione; cu«i è il corpo di questo li-
bro compitato di sapienia, siccome quello ch'è istrat-
to di tutti li membri di filosofia in una $umma In-e-
vemente. E la prima polle di questo tesiiro è come
danari contimi! , per ispendere tutto gitproo in cose
bisognose, óoè a dire, «h' egli tratta dd ccHnincì>~
mento dd -nondo, e ddle vecchie istorie, e dello stabi-
HmeBlo dd- mondo, e ddla natura di tutte le cose in
nnma. E siò ■{^wriiene alla prima icienia della fi-
laaaés, cioè teorìa^ «econdo ciò fh»^ libro parìa qui
iftpitiiu. E ncMUDR seiaa danwì non avrebbe veru-
no meno tra l'opere ddle genti die dirizzasse Tuao
oontTB r altro, altresì non potrebbe l' uomo avere
Mrahre cose pienamente, se non sapesse quella pri-
ma parte dd Uhro. La seconda parte, che tratta de'
WvM'dftte niiidì, si è di premose pietre che daa-
4 IL TESORO.
no altiiii diletto e virtudi: cioè a dire, che cose dee
Fuomo fare, e che no. E di ciò mosti*a la ragione e il
perchè. E questo appai'tiene alla seconda e alla tena
parte della filosofia, cioè a pratica e a logica. La ter-
za parte del libro del tesoro si è di oro fino, cioè a
dire, ch^ ella insegna parlare alP uomo secondo la dot-
trina della retorica, e come il signore dee goremare
la gente che ha sotto di lui, e spedalmente secondo
r usanza d^ Italia. E tutto ciò appartiene alla seconda
scienza della filosofìa, cioè a pratica. Che siccome
Poro transcende tutte maniere di metalli, così la scien-
za di ben parlare e di governare la gente che P uo-
mo ha sotto di se, è più nobile che nulla altra scienza
del mondo. E però che 1 tesoro eh' è qui non dee
esser dato se non a persona sufficiente a si alta ric-
chezza, lo darò io a te, bel dolce amico, che tu ne se^
ben degno secondo lo mio giudicamento. E non dico
io niente che questo libro sia tratto del mio povero
seno, né della mia ignuda scienza, anzi è come una
massa di mele tratta di diversi fiori. Che questo li-
bro è compilato solamente de' mai'avigliosi detti de*
gli autori, che dinanzi al nostro tempo hanno trattato
di filosofia; ciascuno della parte della filosofia di che
s' intendeva, che tutta non la può sapere uomo tei^
reno. Per ciò che la filosofìa è la radice di cui crescono
tutte le scienze che uomo puote sapere, così come una
fontana onde escono molti rivi, e corrono qua e là^
sì che r uno bee d' uno, e V altro bee d' un altro: e
ciò è in diverso modo, che V uno bee più, e T altro
meno, senza stagnare la fontana. Per ciò che dice Boe-
zio nel libro ddla Consolazione , che egli la vide ut
LIBRO PRIMO. 5
sendnanza di donna, in tal abito e in à maraTÌgliosa
potenza, die crescerà quando le piaceva, tanto die H
sao capo agg^inngeva disopra alle Stelle e sopra il de-
lo^ e preyedeva ai monti e sdle valli secondo dirìttu^
rsL Che appresso al buono cominciamento sì n^ esce
boona fine. H nostro imperadore disse in un libro di
logica: lo comindamento è la maggicnr parte della co-
sa. £ se alcuno domandasse , perchè questo libro è
scaritto in lingua francesca, poi che noi siamo d^ Italia ^
io 1^ rìsponderd che dò è per due cose? Tuna per-
thè noi siamo in Frauda, e P altra per dò che la par-
latura firancesca è più dilettevole e più comune che
lutti gli altri linguaggi
Capitolo H.
Come h materia dì tutte le cose è dirisata in tre maniere
secondo teorica.
Filosofia è verace cognoscimento delle cose naturali,
delle divine e delle umane, tanto quanto Puomo è pos-
sente d^ intenderne. Onde avviene che alquanti savi
che si studiano a richiedere e cercare di queste tre co-
se die son dette di filosofìa, doè a dire della divinità*
de^ ddie cose naturali e delle cose umane, furo det-
ti figliuoli di filosofia, e perciò furo elli appellati filo-
sofi. Egli fu vero che al cominciamento del secolo le
genti solcano vivere a legge di bestie. Conobbero pri-
mamente la dignità delle ragioni e della conoscenza
die Dio avea loro data, sì vollero sapere la verità del-
le cose che sono in filosofia. Elli caddero in più que-
stioni. £ Puna si fu di sapere le cose celestiali e ter-
6 IL TESORO.
rene. La seconda e la terza fu di sapere delle umane
cose. Onde la prima e la secónda si è di sapere che
cose r uomo dee fare, e che no. E la terza è di sapere
ragione e provare perchè Puomo dee Tuna fere e Tal-
ira no. E poi che queste tre questioni furo trattate e
pensate largamente tra gli uomini letterati e in tra
filosofi, trovavano in filosofia loro madre tre princi-
pali membri, cioè a dire tre maniere di scienze per in-
segnare e provare la verace ragione delle tre questio-
ni chMo haggio divisate qua dinanzL
Capitolo IH.
Delle cose che Puomo dee fare e che non, secondò teorica.
La prima si è teorica, ed è quella propria scienza
(!he a noi insegna la prima questione di sapere e di
conoscere la natura delle cose celestiali e terrene. Ma
per ciò che queste nature sono varie e divei*se5 per ciò
che altra natura è delle cose che non hanno niente di
corpo e non conversano tra le corporali cose, e unM-
tra natura è delle cose che hanno corpo e Conversano
colle corporali cose, e un^ altra natura è delle cose che
non hanno niente di corpo e sono in tra le cose corpo-
rali 5 per ciò fu bene ragionevole cosa, che questa scien-*
za di teorica facesse del suo corpo tre altre scienze, per
dimostrare le tre diverse nature che io ebbi divisate. E
queste scienze sono appellate in loro lingua teologia,
fìsica e matematica. La prima è la più alta di queste tre
scienze che sono state di teorica, cioè teologia, che
trapassa il cielo e mostra le nature delle cose che non
hanno punto di corpo, né non conversano in tra le
LIBHO PRIMO. ^
corporali cose. E ciò è in tal maniera, che per lei co-
Dosciaiiio Dio onnipotente, per lei crediamo noi la
santa Trìoitade del Padre, del Figlio e dello Spirito
santo in una sola sostanza. E per lei ayemo noi la fede
cattdica e la legge di santa Chiesa. E brevemente ella
c'insegna tutto ciò che a divinitade appartiene. La se-
conda si è fisica, per cui noi sappiamo la natura delle
0)se che hanno corpo, e conversano con le corporali
cose, cioè a dire degli uomini, delle bestie e degli uc-
celli, de** pesci, delle piante, delle pietre e dell'altre
corporali cose che sono in fra noi. La terza è mate-
matica per cui noi sapemo la natura delle cose che
non hanno punto di corpo. E sono quatti'o scienze
nel corpo della matematica, che sono appellate per
diritto nome, V una arismetrica, P altra musica, la terza
geometrìa e la quarta astrologia. La prima di queste
quattro scienze è arismetrica che e' insegna a contare
e annumerare e aggiungere Funo numero sopra Pai-
ti'o, e trarre l'uno dell' altro, e multiplicare l'uno con
r altro, e paitire l'uno per l'altro, e numero sano e
numero rotto. £ di ciò son gl'insegnamenti dell'ab-
baco e dell' algorismo. La seconda si è musica, che
r'^ insegna a fare voci di canti in celere, in organi ed
in altri strumenti, e accordare 1' uno con l'altro, per
diletto delle genti, e per far canti in chiesa per l'offi-
cio del nostro Signore. La terza si è geometria, per
cui noi sappiamo le misure e le propiietà delle cose
per lungo e per alto e per ampiezza. Questa è la scien-
za per cui i filosofi antichi si sforzaro per sottigliezza
di geometria di trovare l' altezza del cielo e la gian-
(lezza della teira e l'altezza eh' è dall'uno all' alti o, e
X IL TESORO.
moke allrc cose e proporzioni molto da maraYÌgUare.
La quarta scienza è astrologia, la quale c^ insegna tutto
r ordinamento del cielo, del firmamento, delle stdle,
e del corso dei sette pianeti per lo zodiaco, ciò sono
li dodici segni , e come si muove il tempo al caldo e
al freddo, o a piova, o a siccità, o a vento, per ragio^
ne ch^è istabilita nelle stelle.
Capitolo IV.
Qui dice perchè Tuomo dee Cure Puna con, eTtltra
non, secondo la pratica.
Pratica è la seconda scienza in filosofia, la quale
e'' insegna che Tuomo dee fare, e che nO. £ alla verità
dire, egli può essere in tre maniere. Che Puna ma*
niera è di fare alcune cose e schifare altre per gover-*
nare altri e lui medesimo ; un^ altra maniera è di go-
vernare la sua fhmiglia e la sua magione, il suo avere^
il suo retaggio 3 e un^ altra maniera è per governare
gente, regno, o popolo, o una cittade in pace o in
guerra. Ma poni che i filosofi antichi conobbero que^
8te diversitadi, e convenne che eglino trovassono in
pratica tre maniere di govemai'e se e altrui, ciò sono
elica, economica e politica. La prima di queste tre
scienze si è etica , la quale e' insegna governare noi
primieramente, e a seguire via onesta, e fare virtuose
opere, e guardare da\izii, che nullo potrebbe al mon-
do vivere bene e onestamente, ne fare prò ne a sé, ne
ad altrui, se non goventia la sua vita e non dii-izza sé
medesimo seccmdo vutude. La seconda si è economi-
ra, la quale c^ insegna nosli^a gente e nostri figliuoli
LIBRO PRIMO. g
medesimi goYemare, e insegnaci a guardare ed a cre-
scere le nostre possessioni e nostre ereditadi, e avere
iiKd>fli e rendita , per dispendere e ritenere secondo
che il luogo e 1 tempo muove. La terza è politica, e
senza fallo questa è la più alta scienza e del più no-
bile mestiero che sia in tra gli uomini. Che eUa con-
segna governare genti e li regni e popoli delle cittadi,
e un comune in tempo di pace e di guerra, secondo ra*
gione e secondo giustizia. £ sì c^ insegna tutte le arti e
mestieri che sono hisc^poo alla vita dell^uomo. E ciò è in
due maniere, che Funa è in opere, e Taltra è in parole.
Quella eh' è d'opere son i mestieri che l'uomo ado-
pera tutto die con le mani e con i piedi. Ciò sono
fabbri , drappieri , cordovanieri e altri mestieri , che
sono bisogno alla vita dell' uomo , e sono appellate
meccaniche. Quelle che sono in parole , sono quelle
che l'uomo adopera della sua bocca e della sua lin-
gua. E sono in tre scienze, ciò sono grammatica, dia'-
lettica e retorica. La prima si è grammatica , che è
fondamento dell'altre scienze. E questa c'insegna par-
lare, leggere e scrivere senza vizii, o di barbarismo,
o di solecismo. La seconda è dialettica, la quale e' in-
segna a provare li nostri detti e nostre parole per ra-
gione e per arti d'argomenti, che danno fede alle pa-
role che noi avemo dette, sì che elle paiono vere e
probabili d'essere vere. La terza scienza è retorica,
cioè nobile scienza , eh' ella e' insegna trovare , ordi-
nare e dii'e parole buone, belle e piane, secondo che
la natura richiede. E io vi dico, eli' ella è lumiera di
«hiaro parlare, ella è insegnamento di dettatori. EUa
'• la scienza che drizzò prima il mondo a ben fare, e
1*
IO IL TESORO.
ancora il drizza per la predicazione de^ santi uòmini^
per la divina Scrittura, e per la legge onde raomo
si goveiTia a dritto e a giustizia. Ella è 1^ scienza di
cui Tullio dice nel suo libro, che colui ha altissima
cosa conquistata , che passa gli altri uomini , ciò è ad
intendere della parlatura delP uomo. E per ciò do-
vrebbe ciascheduno brigarsi di sapere ben parlare,
secondo che la sua natura ne prende, che senza dot-
trina non la puote alcuno acquistai*e. £ al vero di-
re, di lei avemo noi mestieri in tutti i nostri bisogni
tuttora. E molte cose grandi e picciole potiamo noi
fare solamente per bene parlare, che non le potrem-
mo fare per forza d^arme, o per altro ingegno.
Capitolo V.
Perchè Tuomo dee fare Tuna cosa, e Paltra no, secondo Ic^ca.
Logica è la terza scienza di filosofia. Questa propria»
mente e' insegna provare e mostrare ragione, perchè
Tuomo dee fare Puna cosa, e Faltra no. E questa ra-
gione non può Tuomo ben mostrare, se non per pa-
role. Dunque è logica scienza , per la quale V nomo
puote provare e dire ragione, perchè e come ciò che
noi diciamo è così vero come noi mettiamo innanzi. E
ciò è in tre maniere , che s' intende per tre scienze
che escono da lei, cioè dialettica, fisica e sofistica. La
piima è dialettica la quale c^ insegna tenzonare, con-
tendere e disputare V uno coàtra P «litro, e fare que-
stioni e difese. La seconda si è fisica, la quale evinse-
gna a provare che le parole che V uomo dice son ve-
re^ e che le cose sono in sé come 1 dice per dritta ra-
UBHO PHIMU. 1 1
gione 9 e per veri argomenti. La terza è sofistica , la
quale c^ insegna a proyare che le parole che V uomo
diee. sono vere, ma ciò prova egli per mal ingegno, e
per false ragioni, e per argomenti che hanno simì*
gUanza e covertui*a di vero nelle medesime cose se
fìi vero o no. Infino a qui ha avvisato il conto assai
brevemente e apertamente come filosofia è madre e
fontana di tutte scienze : oggimai si vuole tornare alla
sua materia, cioè a teorica, eh' è la prima paite della
fìbsofia, per dimostrare un poco la natura delle cose
del cielo e della terra. £ ciò lava più brevemente
che 1 maestro potrà.
Capitolo VI.
Qui dice come Dio fece tutte le cose ai coarìuciamento.
Li savi dissero, che 1 nostro Signore Iddio, eh' è
cuminciamento di tutte le cose, egli fece e creò il
mondo in quatti^o maniere. Che in primamente egli
ebbe in pensiero e in sua volontà le imagini e le fi-
gure, come egli farebbe il mondo e le cose tutte che
vi sono. E ciò ebbe egli tuttavia eternalraenle, sicché
quel j>ensiero non ebbe mai cominciamento. E que-
sta imaginazione è appellata mondo archetipo, cioè
a dii'e mondo in similitudine. Appresso fece di nien-
te una grossa materia, la quale non era d'alcuna fi-
gura né d' alcuna similitudine, ma era di sì fatta nor-
ma e sì apparecchiata, ch'egli ne poteva formare e
ritrarre ciò ch'egli volea. E questa materia è appel-
lata hyle. E poi ch'egli ebbe ciò fatto, sì come a lui
piacque* mise egli in opera e in tatto il suo proponi-
I 2 IL TESORO.
mento, e fece il mondo e le sue altre creature secon-
do la sua provvidenza. E con tutto che egli il potesse
fare tosto e speditamente, già niente vi ydle correre^
anzi vi mise sei giorni; il settimo si posò. La Bibbia
noi conta che al comincìamento lo nostro Signore co-
mandò che '1 mondo fosse fatto, cioè a dire delo, ter-
ra, acqua, giorno, chiarezza e gli angìoU. E che la
chiarezza fosse divisata dalle tenebre. E poi che ^li
lo comandò, sì fu fatto di niente. £ ciò fu il primo
giorno del secolo. Del qual giorno dicono mohi savi,
che fu quattordici di del mese di marzo. Ài secondo
giorno fu stabilito il firmamento. E al terzo giorno co-
mandò che la terra fosse divisata dal mare e dalle altre
acque. E tutte cose che sono radicate sopra terra furo
fatte in quel giorno^ E al quarto giorno comandò che
1 sole e la luna e le stelle e tutte le altre limmiarie
fossero fatte. Al quinto dì comandò che fossero filiti i
pesci in acqua, e le bestie in terra, di tutte le maniere
che vi sono. Il sesto giorno fece Adamo alla imagine
e alla similitudine sua. E poscia fece Eva sua compa-
gnia delle coste di Adamo. E creò allora anime di
niente, e misele ne^ corpi loro. U settimo di si posò^
che non fece nuli' altra cosa.
Capitolo VII.
Come alcune cose furo fatte di nientek
Per queste parole potiamo noi intendere che Dio
fece solamente l'uomo, e di tutte le altre comandò che
fossero fatte. E più è a fare, che a comandare. Ma oo^
me ch'egli fosse, era due maniere, che alcune cose furo
N^-
i3
^ Jalle di iiieBil% nonne faro file glt angbli, 1 mondo
e k dóinB^ e fe nume creò egti anoora di nienle;
e qnò ogni ^'Mvelle ankne dì niente. L^ahra um-
mora è^ dwinlte le altie cose fino fiilte d^aknna ehm
nHHnB* ■»
W- CàrmsJo TUL . *
' '.^^ DilTolfeio ddh nttiin.
Onritvète itofilo in due maniere come Dio fisoe tutte
le cose. La tena maniera fii, dbe quando e^ ebbe
fìtte tutte le oose^ e;^ ordinò la natura di tutte le
cose per flò. E aUora stabili cato eorso a ciasdieduna,
sì come doveano nascere e viroe e morire e finire^ e
la fom e la proprietade e la natura di ciascuna. E
sappiate che tutte là cose che hanno cominciamento,
cioè- dUijÉÉir firtte d'alcuna materia, si aranno fine.
Ifa fjttMhìAe fiupon fiitte di niente, non aranno fine,
questa materia e sopra* 1* officiò ddla natura
sovrano padre, dbè e^fi è creatore ed ella è
creatura', egli è senza comindamento ed ella con co-
minciamento, egB è oomdndatore ed eUa ubbidisce,
egli non averà mai fine ed ella finirà con tatto il suo
lavoro^ egli è del tutto potente ed dia non ha poten-
za se non quella che Dio le ha data , egli sa tutte le
cose passate e presenti e quelle che debbono essere,
ed ella non sa se non qudle che egli gli mostra, egli
ordinò il mondo ed ella eseguisce il suo ordinamento.
E cosi potemo vedere e conoscere che ciascuna cosa
è o(Mnmessa a sua natura. E non pertanto che tutto>
fece e tutto creò, e^puote rimutare e cambiare ii corso
di natura per divino miracolo, sì come fece nella glo-
l4 li' TESORO.
riosa Vergine Maria, che concepette il figliuolo di Dio
senza conoscimento cai*nale , e fu vergine e pura óìr
nanzi e dappoi. Ed egli medesimo resuscitò da morte
come a lui piacque. Questi ed altrì divini miracoli non
sono contra natura. E se alcuno dicesse che Dio or-
dinò certo corso alla natui-a, e poi fece contro al corso,
e rimutò suo primo volere, dunque, non è egli perma-
nevole ^ io li dirò che natura non ha che fare nelle co-
se che Dio si serbò in sua podestate, che sempre ebbe
il padre in volontade lo nascimento, la passione e la
morte e la natui*a e la resurrezione del suo figliuolo.
Capitolo IX.
La ragione come Iddio non ha nullo tempo.
L^ eternità di Dio si è anzi a tutti i tempi, ed a lui
non è nulla divisione del passato tempo al presente e
a quello che dee venire. Ma tutte cose sono presenti
a lui, per ciò ch^egh le abbraccia tutte per la sua etor-
nitade^ ma questi tre tempi sono in noL Ragione co*
me Tuomo dice del tempo eh' è passato, io donato^
e del tempo che ha a venire dice Puomo, io donerò^ e
del tempo ch^è presente, dice io dono. Ma Dio li eom»
prende tutti si universalmente, che tuttociò che fece
e che fa e che faih è a lui come presente. E sappiate
ohe tempo non appartiene niente alle creature db»
sono sopra 'l cielo, ma appartiene a quelle che sono
disotto ^ che dinanzi al cominciamento del mondo non
era nullo tempo, per ciò che tempo fu fatto e stabilito
per cominciamento, che tutte cose furo allora comin"
ciate, che '1 tempo non ha nulla parte corporalmente.
LIBRO PAIMO. I 5
che a poco a poco vanno e vengono, e per ciò non ha
in loro nulla fermezza , ciie tutti tempi si muovono
tostamente e lievemente. Per ciò dico io che tutti que-
sti tre tempi, cioè il preterito, il presente, il futuro,
non 50D se non pei* sapere che V uomo si sovvegna
defle cose andate, e isguardi le presenti e prevegghi
ipteHe che sono a venire.
Capitolo X.
Qai dice come io Dio non è nullo mutamento.
Ciò non è niente così in Dio, anzi è a tutti tre i
tempi insieme presenzialmente. Perciò fallano quelli
rhe dicono che in lui è il tempo mutato, quando gli
venne novello pensamento di fare il mondo. Ma io
dico bene che questo facimento fu nel suo consiglio
eiemalmente ^ e che dinanzi al cominciamento non
era nullo tempo , ma era nella sua etemitade , che ^1
tempo fu cominciato [)er le creature e non le creature
[ler lo tempo. Alcuno puote domandare, che facea Id-
dio anzi ch'egli facesse il mondo? E come gli venne
subitamente in volontade di fare il mondo ? Che egli
volesse alcuna volta cosa , che egli non volea in pri-
ma. Ma io dico che novella volontade non gli venne
'li fare il mondo, e poniamo che 'l mondo non fosse
nnque fatto, tutta fiata era egli nel suo eternai consi-
glio. E dall'altra parte Dio e la sua volontade è e-
Iemale senza mutamento. Quella materia di cui quelle
n)se furo formate, e la varietade delli nascimenti fu-
lon nel suo eternai proponimento , e non ha niente
di tempo. E sì ne potrete intendere una simiglianza.
I 6 Iti TESORO.
Lo suono si è innanzi al canto, per ciò che la dolcezza
del canto appartiene al suono, ma il suono non ap^
partiene niente alla dolcezza del canto, e non per tanto
amendue sono insieme, e di quella materia fu detto a
dietro disella non avea imagine, ne similitudine, né
figura alcuna, per ciò eh' elle non erano formate an-
cora le cose che doveano essere fatte. Ma quella ma-
teria era fatta di niente. Io dico che la chiarezza al co-
minciamento fu divisa dalle tenebre. Conciossiacosa-
ché Dio disse per la bocca del profeta : i' son colui
che faccio la chiarezza e creo le tenebre. Non debbia
perciò nìuno credere, che le tenebre abbino corpo.
Ma la natura degli angioli che non trapassano la vo-
lontà di Dio è chiamata chiarezza, e la natura di co-
loro che trapassano è appellata tenebrea. E per ciò
dice la Bibbia, che al principio fu divisa la chiarezza
dalle tenebre, cioè a dire che Dio creò tutti gli an-
gioli, e de' buoni fece la chiarezza e de' rei le tenebre.
Li buoni angioli creò egli, e appressorsi a lui, e i rei
creolli buoni , ma elli non si appressaro a luL Dio
lece tutte cose molto buone. Nulla cosa è ria per na-
tura, ma se noi le usiamo malvagiamente, elle diven-
tano rie. E cosi si cambia buona natura.
Capitolo XL
Qui dice come il male fu trotato.
Lo male fu trovato per lo diavolo e non innanzi, e
f >crciò è egli nulla, perchè la cosa senza Iddio è nulla ^
che Dio non fece mai io male. Ma gii eretici credono e
dicono che Dio facesse il bene, «il diavolo il male. E
LIBRO PROia I ^
COSÌ credono che siano due nature, una di bene e
r altra di male. Ma elli son ingannati per ciò che U
male non è niente per natura, anzi fu Irò veto per lo
diavolo. E ciò fu allora che V angiolo ch^ era buono
diventò rio per la sua superbia , e trovò lo male. £
die 1 male non sia per natura, egli appare tutto chk-
lamente, che tutte le nature o elle sono permanevoli
cioè Iddio, o ella è rimutevole, cioè la creatura^ ma il
male non è creatura, però che se il male viene sopra
la bona creatura sì la & viziosa, e quando egli se ne
diparte la «natura dimora, e questo male non è niente
in nullo luogo , e anche nulla cosa cambia ch^ è na-
turale. Alcuno domanda, perchè lascia Dio nascere le
male cose ? Dico che egli lo fa perchè la bellezza della
bona natura fosse conosciuta per lo suo contrario, che
due cose contrarie quando sono insieme V una con-
tra r altra sono più conoscenti. Se ti^ levassi li peli
delle ciglia d^ un uomo, tu ne leveresti picciola cosa,
ma tutto il corpo ne sarebbe più laido. Così è se tu
biasimi in tra tutte le creature un picciolo vermicello
che sia malvagio per natura, certo tu fui torto a tutte
le creature. Tutti i mali sono venuti sopra l' umana
generazione per lo peccato del primo uomo, e perciò
tutti mali che sono in noi, o elli sono per nascimento,
o elli sono per nostra colpa. Molti dicono che i mali
sono nelle creature, cioè nel fuoco però clie arde, e
nel ferro però che taglia, ma elli non considerano
che queste cose sono buone per natura , ma per lo
peccato del primo uomo diventaro nocevoli. Che anzi
che quel peccato fosse, tutte le cose erano sottomesse
air uomo che nulla cosa li potea nuocere. £ cosi sono
I 8 IL TESORO.
le cose Docevolì ali' uomo per lo suo peccato, e non
pei' natura. Sì come la chiarezza è buona per natura,
cusì è eUa ria agli oochi infermi, e ciò avviene per li
vizii degli occhi e non dalla chiarezza. L' uomo fii
male in due maniere, o nel pensiero, o nell^ opera.
Quello che nel pensiero, è appellata iniquitade, ed è
in tre maniere, o in tentazione, o in diletto, o in
consentire. Quello che in opera, è appellato peccato.
Ed è altresì in tre maniere, o in parole, o in &tto, o
in perseveranza. Ma il profeta Davite, nel cominciCH
mento del psultero , nomina tre maniere di peccata
Lo primo è mal pensiero, che viene per tentazione e
per malvagio consiglio. Lo secondo è in opera. Lo
terzo si è nella perseveranza del male, onde P uomo
dà agli altri esempio di mal fare. Questi tre peccati
significano li tre morti che Cristo resuscitò. L' uno
eh' era dentro alla magione, cioè io peccato occulta
L'alti'o che era nel mezzo della via, ciò fu il figUucdo
della donna vedoa, che significa coloro che fanno il
peccato nel cospetto della gente. Lo terzo fu Lazzaro
di quattro giorni, ciò significa coloro che perseverano
nel male infìn alla vecchiezza.
CA.prroi.0 XII.
Qui dice della natura degli angioli.
Angioli sono spiiili naturalmente, e la natura loro
è vitale, ma la carità durabile li guai'da, senza corru-
zione. E così sono elli peimanevoli pei' gi'azia, e non
l>er natura. Che se fosseno per natura, gli angioli che
divonnenj rei non sarebbeno mai caduti. Ma quegli
LlUiO PRUUO. ] Q
eh'' ebbe nome Lucifer, a cai Iddio avea futto tanto
onore, che ayea istabilito sopra tutti gli altri, egli
montò in oi^oglio, per ciò eh' e' si assicurò delia signo-
rìa ch'egli ebbe sopra gli altri. E per ciò ch'egli peccò
sona nulla cagione, cadette di cielo in terra senza ri-
tòmo con tutti coloro che lui ubbidirò, che furo be*
ne un ordine, di tutti gli ordini mischiati. E così per
io peccato della sup»J>ia gli angioli divennero di-
monL Chi mi domandasse quanto tempo stette Luci**
kro in cielo poi che fu creato con tutti gli altri an-
gioli, io gli risponderei, che non dimoraro un'ora
compilata che egli montò in orgoglio con gli altri, e
caddero sì come è detto. E poi che fu caduto ingan-
nò egli Adam ed Eva, lo primo uomo e la prima fé-
mina nel paradiso delitiarum. Fece loro mangiare Io *
pomo vietato, contra il comandamento di Dio. Ma
Adam trovò in Dio mercede, però eh' egli si pente, e
sì conobbe eh' egli era sotto a Dio. Ma Lucifcr disse
eh' era pari a Dio, e grande come Dio. E per ciò che
Don si pente niente , non ebbe egli perdono. Ed io
dico che l' uomo trovò perdono per ciò che la fallenza
del peccare venne in lui da parte del corpo eh' è del
limo della terra. Ma gli angioli cacciati peccaro , che
non ebbero caricamento di nulla carne, né dì nulla ma-
lizia. E poi che lì malvagi angioli furon caduti, li buoni
furon confirmati in ben fare in tal maniei*a , che mai
non poterò peccare. E di ciò dice la Bibbia, che al se-
condo giorno fu istabilito il firmamento, e fu il cielo
appellato firmamento. Nove son gli ordini de' buoni
angioli, e tutti sono istabiliti per gradi e per dignita-
dì. E ciascuno ordine ubbidisce all' altro, secondo il
20 li, TESORO.
SUO officio. Questi sono lì ordini: angioli, arcai^p<^)
troni, dominazioni, virtudi, principati, potestati, che*
rubini e serafini. Gli angioli sanno tutte le cose per
parola di Dio , anzi che elle sieno fatte. £ sanno an-
cora le cose che sono a venire agli uomini. E tntto
sia che gli angioli che caddero perdessero la lor bel-
lezza, elli non perderò niente la virtude del senno che
fu loro dato. £ ciò che possono sapere delle cose fa-
ture si è in due maniere, o per isperanza del tempoi,
o per rivelazione di podestade che £ai loro disopra.
Quando Iddio si corruccia al mondo, egli manda li
rei angioli in vendetta, ma tuttavia egli li constrìn^
che non facciano tanto di male quanto desiderana
Ma i buoni angioli, egli manda in officio di salute
* degli uomini. E perciò dicono molti, che ciascun uo-
mo ha seco un angiolo, ch^è ordinato a guardarla
Capitolo Xm.
Qui parla deiruomo perche egli fu ùitto.
Tutte cose dal cielo in ^uso furo fatte per V uoniQ^
ma r uomo fu fatto per sé medesimo. £ che ruonió
sia in più alta dignitate che nulla altra creatura, ap-
pare chiaramente per la riverenza di Dio. €2hè di tu^
te altre cose comandò Iddio sia fòtto così e cosi, mi
delPuomo mostra che vi pensasse nel suo ccmsiglio di-
ligentemente, quando egli dbse: facciamo Tuomo aUa
imagine e similitudine nostra. Iddio fece Adam, iim
ia femina fu fatta della costa delFuomo. LUiomo fa
fatto alla imagine del Signore Iddio: ma la femina fu
fatta alla imagine dell^ uomo, e perciò sono le feBuae
IJBRO PRIMO. 2 r
sottomesse all^ uomo per l^ge di natura. Anche fa
fililo r nomo per sé medesimo, e la femina fa fìitta
per aintare lui. L^ uomo pel suo peccato fu dato al
diavolo, quando gli fu detto tu sei di terra e in terra
toraendL Allora fu detto al serpente, cioè al diavolo:
tal manglerai la terra, cioè a dire li malvagi uomini e
le mal^'Bgie lemine.
CkpiTOLO XIV.
Qui dice della natura deir anima.
L^ anima è vita dell^uomo, e Dio è vita delF anima:
ma r anima dell' uomo non è uomo, ma il suo corpo,
che fu fìitto di terra umida, è solamente uomo. L'a-
nima si abita dentro dal corpo, e per questo con-
giongimento della carne ella è appellata uomo. Che
secondo che l'apostolo dice, P anima fu fatta nella
carne alla imagine di Dio. E per ciò sono quelli in er-
rore, die credono che P anima abbia corpo, che ella
è fatta alla imagine di Dio, ma non è niente in tal ma-
niera eh' ella sia mutabile, ma ella è senza corpo si
come sono gli angioli, i quali sono fatti alla imagine
di Dio altresì come l' anima. E sappiate che le anime
hanno cominciamento, ma elle non avranno giammai
(ine. Che elle son cose in tre maniere. L' une che sono
corporali, le quali cominciano e finiscono. Le altre sono
perpetuali, che cominciano e non finiscono, e ciò sono
gli angioli e le anime. Le allre sono sempiternali, che
non cominciano né non finiscono, cioè Iddio e la sua
divinitade. L'anima non è divina sostanza ne divina
natura, e non è fatta anzi che'l suo corpo, ma a quella
32 Ili TESORO.
ora medesima è creata, che ella è messa dentro dal suo
corpo. Molte nobilita sono neir anima per natura, ma
ella isoema la sua nobilita per lo meschiamento del
corpo, eh' è fiebole e debile, onde la fa peccare.
Capitolo XV.
Deir uflìcio e de^ nomi del corpo e delP anima.
Noi aTanziamo li altri animali, non per forza, né
per senno, ma per ragione. £ la ragione è nell^ anima,
ma senno e forza sono nel corpo. Ekl alle corporali
cose basta bene lo senno della carne, ma alle cose non
corporali è mestiere la ragione delP anima. E sappia-
te che ragione è nelP anima, e V anima per molti o^
fìci è appellata per tal nome come a quello uflicia
s^ appartiene. Che in ciò eh' è la volontà d^ alcuna oo^
sa si è appellata coraggio. E per ciò che ella giudica
drìtlamente ella è appellata ragione. E per ciò ch^dla
spira ella è appellata spirito. E per dò ch^ella sente
ella è appellata senso. Ma per ciò ch'ella ha sapienza
si è appellata intendimento. E al vero dire V intefr-
dimento è la più alta parte dell' anima, che per lui
noi avemo ragione e conoscimento, e per lui V uomo
è appellato immagine di Dio. Ragione è un mon"
mento dell'anima, che assottiglia la veduta dello in-
tendimento e sceglie il vero dal falso. Ma il corpo ha
cinque altn sensi, cioè vedere, udire, odorare, gnitfr-
re e toccare. E sì come l' uno avanza l' altro e ha
orranza di stallo, così avanza l' uno l' ahro per virtn-
de. Che odorare sormonta il gustare e di luogo e di
viriude, eh' egli è più in alto e opera sua virlà più
LIIBO PRmO. 25
dalla luDga. Altresì udire sormonta V odorare, che noi
odiamo più dalla lunga che non odoriamo. Ma lo ve-
dere sormonta tutti gli altri di luogo e di yirtude. Ma
tutte queste cose sormonta F anima, la quale è assisa
odia mastra fortezza del capo, e si guarda per suo in-
tendimento, senza ch^ ella il corpo non tocca, e che
non Tiene ìnfino agli altri sensi del corpo. Per ciò di-
cono li savi, che 1 capo, ch^è magione dell^ anima, ha
tre celle, una dinanzi per imprendere, P altra nd
mezzo per conoscere, e la terza diieto per memoria ^
per ciò sono molte cose nella intenzione dell^ uomo
che non le potrebbe dire lingua. E questa è- la ragio-
ne perchè li fendulli sono innocenti del fare, e non
dd pensare. Per ciò che non hanno potere di compi-
re il movimento del suo coraggio 5 e cosi hanno essi
fralezza per etade, ma non per intenzione.
Capitolo XVI.
Della memoria e della ragione<
Memoria è tesoriera di tutte cose, e guardatrìce di
tutto quello che V uomo truova novellamente per sot-
tigliezza d^ ingegno, o che V uomo imprenda d^ al-
trui. Che tutto ciò che noi sappiamo si è per quelle
due maniere, o che noi troviamo di novello, o che
ci sia insegnato. La memoria è si tenente, che se al-
cuna cosa si leva dinanzi del corpo, ella serra in sé
la similitudine di quella cotal cosa. Ma della beatitu-
dine si sovviene ella per immagine, e d^ altre cose per
sé medesima : se non fosse per lei medesima, ella si
dimenticarebbe. La memoria é comune agli uomini e
24 II' TESORO.
agli altri animali, ma intendimento di ragione non è^
in niuno altro animale che nell'uomo; che tutti gli al-
tri animali sono quasi una cosa ne' sensi del corpo^
ma non hanno nulla per intendimento di ragione.
Per ciò fece Domenedio V uomo in tal maniera, che'
la sua veduta isguardi tuttavia in alto, per significan-*^
za della sua nobiltade. Ma gli altri animali fece egli
tutti chinati inverso la terra, per mostrare lo podere
di sua condizione, che non fanno altro che seguire la
loro volontà senza niuno sguardo di ragione.
Capitolo XYII.
Qui dice come le leggi fur primieramente.
Poi eh' e' malvagi angioli ebber trovato il male, ed
ebbe fatto il primo uomo il suo peccato, si radicò so»
pra l'umana generazione in tal maniera, che le geo*
ti che nacquero appresso erano più correnti al male
assai che al bene. E per restringere lo male che £bh
ceano contra la reverenza di Dio in distruzi(ȓe dd*
l'umanitade, convenne che le leggi fosser fatte in ter*
ra. E questo fue in due maniere, cioè legge divina e'
legge umana. Moises fu il primo uomo a cui Iddio
desse la legge, ed egli la diede agli ebrei. Il re Fon>*
neus fu il primo che la desse a' Greci. E Mercorìas'
a quelli d' Egitto. E Salathiel la diede a Darteniai
E Licurgus a' Spartani. E Numa Pompilius, che r^
gnò in Roma dopo Romulo, fece legge e didla i^'Ho^ .
mani in primamente. Ma dieci savi nomini traiulatftì*
ron poi il libro di Solon in la l^;ge di dodici tavole.
Ma quella legge invecchiò poi tanto^ che non era iiieiH:
« umAnqro. a$
te Mi cmte..|fc b iiMpiiiiiiiiii OaitWitino rioofMofaH
fmmkn^mdmù al tMupo dett^iaipendioni CiuiifeiiiHH
■%4Ehfttntte k Mm .«d ordinò me^tìf^ e pi& jirtiot
mmmoÈ^d^ ohm Jtre iiii|p^i>ikiii che dJainri • ku
Cm» JiMtt. E foniolb «id oon^cUa è «aconu
CAffiTpibXYIIL
<^ dk» adii ai^M le^. ^
Lm dram ^89^ " ^ P''''^ mtariiy db non per tanni
db fa flMflfa ni npìrilo^ e confermata primiennienle
por li prafetiy e cìb è il Teochio Tes^amoito. Poi fu il
novoTeaianiaito, isonfiinnato per GresùCrìstose per li
9éÀ dinepolLMa .unafnaaniefa di gente la bìanni»-
no^<pciò che TI <fioea altre oose che nel nuovo. Ma
non caaaideffano e^^iino che. Iddio per lasoagraide
potema diede all' un tempo e all' altro ciò dhie con-
vcnerele Al C3bè ndla Tecchia legge comandò egli il
matrimonio, ma né. Tangdio predicò egli la virginità^
de. JRiella vecchia le^^ comandò egli cavare occhio
per ocGhk)^ ma nel vangelio comandò di parare V al-
tfa goÈtL quando V una fosse ferita. E al vero dire,
cotale fu la vecdua legge per la fralezza delle genti, e
tale la nuova per loro perfezione. Che al primo tem-
po era fl peccato' di minore colpa che non è ora, per
dò .die ancora non era saputa la veritade, anzi la ft-
gara della' veritade. E per ciò è la legge più fòrte che
db non sade eaifiPi'Egli avvenne ndl' antico ten^
pò che quando 'aMno uomo salutava V angelo, egli
non ^ rendea Hano salato, anzi il dispregiava. Bla
Laiim, VoU J. a
36 Ui TESORO.
nel nuovo Testamento leggiamo noi che Grabrìelló sa-
lutò Maria. E quando GioTanni salutò V angelo, egli
li rispose in cotal maniera : guarda, dissali, non fe-
re, eh' io sono tuo servo e delli tuoi frati. Ora v' ho
divisato il conto del vecchio Testamento e del nuovoj
e della legge divina e della legge umana. Ma per ciò
che comandare o stabilire legge poco vale in tra gli
uomini, se non vi fosse alcuno che la potesse costrin-
gere; sì convenne che per esaltare giustizia e per
mortificare il torto, fossero istabiliti in terra re e si-
gnori di molte maniere. Perciocché è buono a visita-
re lo cominciamento e 1 nascimento de' re e de' loro
reami.
Capitolo XIX.
Come i re e reami furo iitabillti primamente.
Due regni furono in terra principalmente, che d'al-
tezza e di fortezza e di nobiltade e di signorìa sor-
montano tutti gli altri in tal maniera che tutti altrì re
e reami erano quasi pendenti da questi due : ciò fu il
regno degli Assirìani primieramente, e poi qndlo dei
Romani. Ma elU furo divisati in tempo e in luogo.
Che innanzi fu quello degli Assirìani e poi alla sua fr*
ne fu quello de' Romani. Quello degli Assirìani fa in
Egitto in Orìente, che tutto è uno regno ; cioè qudk>
degli Assirìani e quello di quelli d'Egitto. Ma il r&-
gno de' Romani si è in Occidente, tutto che ciascu-
no di loro tenesse la monarchia di tutto il mondo. ÌSb
perciò chel mastro non potrebbe ben dire il nasci-
mento delli re, se non comincia li lignaggi del primo
uomo, sì tornerà egli a quella parte il suo conto, se*
UBKO PUIIO. 37
condo rordine ddl' elade del secolo, per più aperta-
mente mostrafe lo stato éi comìnciameiito delle genti,
in fino al nostro teni|x>. Sappiate die Petade del se*-
colo foro sei. Onde la prima fii da Adam infino a
Noè. La seconda fu da Noè infino ad Abraam. La
terza fa da Abraam infino a David. La quarta da Da-
vid infiao al tempo di Faraone^ quando egli disfece
lerusakm e prese li Giudei. La quinta fu d^ allora
infino al nascimento di Cristo. La sesta durerà dal
nascimento di Cristo infino aUa fin dd mondo.
Capftoix) XX.
Qui dice delle cote die furo nèh prima eiade del secolo.
Nella prima etade fisoe il nostro sovrano Padre il
mondo, cielo e terra e tutte le altre cose, secondo
che il conto divisa qua a dietro. E sappiate che pas-
sati trentanni poi che Dio ebbe cacciato Adam di
paradiso terreno, ingenerò egli in una sua oK^lie
Cha]^^!. £ poi una figliuola ch^ ebbe nome Chal-
manaon. E quando Adam fue nell^ etade di trentadue
anni, ingenerò egli Abel. E poi una figliuola ch^bbe
nome Delcora. Quello Abel fu uomo di buona vita
e fu grazioso a Dio e al mondo, ma Chaym suo fra
tello l'uccise con ferro per invidia. E ciò fu quando
Adam loro padre ebbe compiuto cento e trent' anni.
£ allora ingenerò Adam un altro figliuolo, lo quale
ebbe nome Seth. E di suo lignaggio nacque Noè, se-
condo che l'uomo potrà vedere in questo conto me-
desimo. Poi alquanto tempo che Chaym uccise Abel
suo frate, ingenerò egli Enoch. Queir Enoch suo fi-
28 II, TESORO.
gliiiolo fece una città di' ebbe nome Efraim. Ma mol-
ti rappettaTano Enoch, per Io nome di Enoch. E sap-
piate che quella fu la prima città del mondo. Quello
Enoch figliuolo di Chaym ingenerò Irad. Di Irad nac-
que M attusalael. Dì Mattusalael nacque Lamech. Quel-
loLamech ebbe due mogli, ciò fìi Sella e Ada. E di Ada
ingenerò labal. E labal e coloro che di loro uscirò, fe-
cer primamente tende e loggie per loro riposare. labal
suo frate fu il primo uomo che troTÒ cetera, e org»*
ni, e altri stnuienti. La seconda femmina di Lamech
ebbe nome Sella, e di lei ingenerò egli Tubalchaim
che fu il primo fabbro del mondo. E di lui poi usci-
rò molti malvagi lignaggi , che abbandonaro Iddio
e li comandamenti suoi. E poi che Lamech fu di si
gran vecchiezza che non vedn nulla, ucoise e^ per
ventura Chaym con una saetta, ditegli li trasse d'u-
no aroo. Ma chi questa storia vorrà sapere più ttpec-
tamente, si se ne vada al grande conto del vecchio
Testamento, e quivi il troverà diligentemente. E sap-
piate che quando Adam fu in etade dì aSo anni, dn
be egli un altro figliolo della sua moglie, die anche è
appellato Seth. E quando Adam fu in etade di 930 wat-
m egli mono, sì come piacque a Dio che Pavea fiitlo
di vile terra. Di Seth figliuolo d' Adam nacque Enos,
d'Enos nacque Chainam, di Ghainam nacque HHaLa-
leel, di Malaeel nacque laret, di laret nacque Eòodi,
di cui nullo uomo seppe suo fine, che Dio lo menò là
ov'egli volse. E egli sarà suo testimonio al dì M ghi-
dìzio. E dicono molti ch'egli è ancora vivo, nel luogo
medesimo onde Adam fu cacciato quando il nimico
deìPumana generazione l' ingannò per lo pomo. Di quel-
IJUO PBIMO. 29
lo Enoch naeque Matasala, di Matasala nacque La^
mech, che fa padre di Noè. Quel Noè fu prode uomo,
e di buona fede. Credette in Dio e amolio forte, tanto
che Dio lo scése per lo migliore uomo del mondo,
quando e(jiì mandò il diluvio sopra la terra, per di-
stnuione della gente che non faceva se non male. E
aUora fu la fine della prima generazione del secolo che
durò Modxii anni secondo che la Scrittura testimonia.
CAPnoLO XXI.
Qui dice delle cote che foro nella seconda generasìone
del secolo.
Noè che fu il nono discendente di Adam lo prìmo
uomo, visse ottocent'anni. E quando egli fu nell^eta-
de di seicent^anni, ingenerò egli tre figliuoli, Sem, Cham
e lafiet E poi db^c^ fu vivuto seicent' anni, sì fece
egli la grande arca, per comandamento del nostro Si-
gnore. E dentro a quéU^ arca campò egli e la sua fa-
miglia. Onde elli furo otto tra uomini e femine. E
\i voglio dire eh' ^li ebbe dentro in quell' aica, per
la volontà di Dio, di tutte maniere bestie e uccelli,
maschi e femine una coppia, acciò che le seme degli
animali non si perdesseno sopra la terra. E sappiate
che quell'arca fu lunga trecento cubiti, e per larghez-
za cinquanta e per altezza trenta. £ piovve acqua dal
cielo quaranta dì e quaranta notti. £ durò centocin-
quanta giorni anzi che la cominciasse a menomare.
K quando il diluvio fu trapassato, e b terra fu sco-
(»erta, si che ciascuno animale poteva andare ove egli
voleva, allora cominciò la seconda età del secolo. E
3o IL TBSOEO.
Noè ingenerò un altro figliuolo, di^ ebbe nome Gio-
nitus, e quegli tenne la terra Deritenta ch^ è allato al
fiume di Eufrates in Oriente. £ fu il primo uomo che
trovò astronomia e che ordinò la scienza del corso
delle stelle. Ma di lui si tace ora il conto, die più non
è da dire in questa parte. E quando il diluvio fu tra-
passato, li tre primi figliuoli di Noè partirono tutta
la terra del mondo. £ fu in cotal maniera, che Sem,
primo figliuolo di Noè, tenne tutta Asia ^ e laffet tut-
ta Europa ; e Gham tenne Afiìca, si com^uomo potrà
vedere qua innanzi là ove il maestro dirà delle parti
di tutta la terra.
Capitolo XXIL
Qui dice delle genti che nacquero del primo figliuolo di Noè.
Sem ingenerò dnque figliuoli, li quali ebbero così
nome: Elam, Assur, Ludin, Aram e Arfasad. Di Aram
figliuolo di Sem, uscirò tre figliuoli, ciò furo questi:
Hus, Cesar, Messa. Di Arfasad diretano figliuolo di
Sem, nacque Salem. Di Salem nacque Ebur. Di Ebnr
nacquero due figliuoli, Fabet e lattam. Di lattam nac-
quero dodid figliuoli, Elmada, Fafet, Samot, lare,
Haduram, Izab, Elam, Ebal, Ebomilet, Saboa, Fir e
y ila. Di Fabet suo frate figliuolo di Ebur nacque Reus.
Di Reus nacque Serus. Di Serus nacque Nachor. Di
Nachor nacque Fares. Di Fares nacquero Abraam,
Aram e Nachor. Di Aram, nacque Loth, quegli che
scampò di Sodoma e di Gomora per la volontà di Dio.
'■-■.,■*
.umomato. 3i
Cafitolo XXHL
Dalie gMrti die Moqueco del eeoondo figfiàolo di Hoè..'
ij ■ . ■
y . j». .'
GiMiqi lo seoondofif^iudo di Noè^ si ingeoerò qoat^
tfofi|^wM>.Chus,l|etiÌMinyFuteCh
primo fii^ioolo di Chanb) oacquaro sei fi|^uoli, Sab-
bi^ Eyìb, SobirtBtfa, Aepn, Sabatadia e Nembrat W
gettile, che fii il primo re. E di Begma 'fi^^ioolo dì
Clw% mmoquoDO Sabba é Dadam. Di Mesndm figjUucH
loifi .Omm moqaerp set fi^^uoli, Ludin, Ansnsnaà,
Labim, NefeUm^ Utisiiii e Celpsim. IH Ghanoan, fi*
fiaok> di Gbai^ naoqpiero undici fi^uoli, Sados,
Eonos, Zdi>iiseafli, Amoneiis, Gerseus, Ekitiis^ Aratus,
SbnabfB, àxadiaasy ^f^pnrìtus e Amatheus.
• ■*
CimoLo XXIY.
MIé genti dbe nacquero èA terso figliuolo di Noè.
* •
' lafiet lo terao figliuolo di Noè ingenerò sette fi-
gliuoli, Ck»dier, Magog, Meral, luman, Cubai, Masot e
Tires. Gómer lo figliuolo di laffet, ingenerò Senos,
Ba&in e T^^oman. luman figliuolo di laffet, ingene*
rò Elasam, Tarsi, Seton e Domanin. Ma in ciò si tace
ora il conto di parlare delli figliuoli di Noè e (Iella lor
generazione, che egli vuole seguire la sua materia, per
•divisare il conunciamento delli re che furono di prir-
ma, onde gli altri sono discesi in fino al nostro tempo
presente. Toi avete bene notato ciò che H i^onto ha
divisato dinanzi, come Nembrot nacque di Chus fi-
gliuolo di Cham, che fu figliuolo di Noè. E sappiale
03 IL TfiSOHO.
che al tempo di Salem, che fu' della schiatta di Sem,
quel Nembrot edificò la torre di Babel in Babilonia,
ove addivenne la diversità del parlare e confusione
del parlare, o vogli deUinguaggi. E Nembrot medesimo
mutò la sua lingua di ebreo in caldeo. £ alF ora se
n^ andò egli in Persia. Ma alla fine e^ ritornò ne)
suo paese^ cioè in Balulonia. E insegnò alla sua ^en-
te novella legge. £ facea loro adorare il fuoco come
Dio. E d^ allora indrieto, cominciò la gente adorare
idoli. E sappiate che la città di Babilonia gira intor-
no sessanta milia passL E la torre di Babel era in eia-
sruD quadro dieci leghe^ e ciascuna lega era quattro
passi. E aveva le mura di larghezza cinquanta gO"
mìta, e duecento avea d^ altezza. Onde ciascun gomito
era quindici passi.El passo era pie. . . .Epoi cominciò
il regno degli Assirìanì, ciò sono quelli d^gitto. Onde
Selus che fu della generazion di Nembrot, e fu il prì*-
mo re. E tenne la signoria di quello reame, in tutta
la vita sua. Ma dopo la sua morte, sì ne fu uno suo
figliuolo chiamato Nino, e fu vero che Àfar iG^uolo
<li Sem, che fu figliuolo di Noè, aveva cominciato in
quéi paese una città, la qua! città il re Nino si la
compieo, e feceb bella alla grande guisa, e fecene ca-
pò del suo regno, e per il suo nome fu appellata Ni-
iiive. E quello re Nino fu il primo uomo, che mai as-
semblasse gente in oste per voler far battaglia, o ve-
ro gueri*a, che elli si lasciò Babilonia, e prese la tor-
re di Babel per vera forza, e allora re Nino fu ferito
(V una saetta, della qual ferita egli morio, e venne a fi-
ne. Ma anzi ch^ ei fusse morto, e che già avea tenuto
il suo regno quarantatre anni integramente, Ghaus il
UBAO fAUlO. SS
figUndb di IMbor ddOb %ia§^o di Sen^ fii^liiiofe
di Hoè^ ìp^aiarò tre ÉiigHudB, ciò fa Abnam, IMnr
e ÀjmOf i ^pM^ft tdótBomo lo yoto Iddio^ e dK Aria
ftile di AbfMii^ lonqtt Lotih, e due f^&^
Sln^inf||fe iPMàmm, emààuamoijtìè di Krtor.
E dalpo il uiawdHwmo tf Abraam^ viwe Bìrib quindici
ÉÉar od suo régno^ e in quel tempo conunciò 1 rè*
yaMiSidani». E in qad ten^ uno nnstro die mwgè
MMÉe SEoroaftO' tidvò' V arte magica de^ incanfai-
iiMl%è'ddP altre ÌDalYÌB(pe cose. Qoeste eioolteal-
In «fliae fioro adle dne prime etadi ddi seodo'die
SatoiMl twBpo di' Ahraam. Onde alquanti diòooo che
teeooditeladf del èecofo doro ottoooitoqua-
aainiy e altH dBcono che dorò miUediciotto
ik-WÈ^qaM die pl&Vmcessatio atta T«ritade^ dir
maù^ dm dri dtiano ii&o Abraem ai ebbe n^Ue-
Caprolo XXY .
Qui £oe il conto delle cose che furo nella iena età
éA secolo.
La terza età del secolo oomincìò dalla natiyitade
di jàlnraam, secondo P opinione di certi maestri. Al-
tri dicono di' ella cominciò a settantacinque anni del-
ia soa TÌta^ quando Iddio gli parlò, ch^ egli fu d^no
ddla sua grazia ricevere. Che Dio li promise e a lui
ed al suo lignaggio la terra di promissione^ e altri di-
oono di' ella cominciò a cent' anni di Abraam, allora
eh' egli ingenerò Isach di Sara sua moglie, che al-
tmì era dk H grande teaqpò, di' dia aveva novan-
34 1I« TESORO.
ta anni. £ sappiate che innanzi che Isach fosse inge-
nerato di Abraam e della sua mc^lie Sara, perchè
ella non portava figliuoli, né non n^area anche avuti, si
giacque carnalmente con la sua cameriera, con volon-
tà della sua donna, ed ebbene un fì^^iuolo, il quale eb-
be nome Ismael. £ questa cameriera avea nome Agar;
e chi vorrà sapere tutta P btoria, chi fu questo £h
gliuolo bastardo, e della sua madre, e come Alnraam
li cacciò fuori di casa sua ambedue senza possedere
nulla del suo retaggio, cerchi nel primo libro ddla
Bibbia, e quivi troverà apertamente. Ora dice il con-
to che quando Isach fu nato, il suo padre Abraam
lo fece circoncidere, agli otto di dopo la sua nativitar
de, e ancora lo fanno li Giudei. Tale ora fece egU cir-
concidere Ismael, eh' egli era in età di tredici anni, e
ancora lo fanno li Saradni, e quelli che abitano in
Arabia, che sono discesi della generazione di Ismael.
E questo circoncidimento fu poi che Abraam era già
vissuto settantadue anni. £ sappiate eh' ^li fece pri-
mamente un altare all' onore di Dio vivo e vero. Di
Abraam e li suoi figliuoli non dice più quello conto.
Anzi tornerà al re Nino ed al suo reame, che a lai
fònno l' istorie capo del primo re.
Gapitoi.0 XXVI.
Del re Ifioo e degli altri re che Tennero dopo Ini.
n re Nino tenne in sua signoria tutta la terra d'A-
sia e gran parte d' India, e quando egli passò dì que-
sto secolo , egli lasciò un giovane fìgliucdo cii^ dibe
nome Saratiel. Ma egli fu appellato Nino per nome
uMòMmo. 35
di fluofNidi^e poi die ib ttiorto^ alla ioa madre ri-
il Kgno- e b aignorié lotto il tempo deUa vita
E èva fti pia adda e più Cara che miQo uoibo,
e jypremofa la pia crudele feauna del mondo. E
^piando dla^jnorta, 3 mo regno nmaie senn tx^
de. E attom qaéìi di VmtUL sorsero un re di' ebbe
none Arsariney aA e|^ fa appdlato Diastone. E per
lai fimo poi dnamati tutti fjiì ahri re d' Egitto Di»^
stone. £ qndQo IKattone diwb in fin a' dodici re die
loro appretto. E elioni eandnò il nome di Diastone.
E ftrrono ^ diri re appdlati Thebey. E ancora fìi
juawahMitri, imagto nottie* e forono diiamati Pbstor. M^
aBafiaefbièoHnBmaHFaraonLEdiqQdnomeia^
quarantadue re, cbe durerò infino al tempo di Arto-
fcrae»^ figliuolo di CSro re di Persia, oolni die prima-
mente prese Egitto^ e sottomiselo alla sua signoria. E
caodonne fuori lo re Wattanabo, die fu poi mastro di
Alessandro magno. Ed allora rimase Egitto senza pr6^
pria re, doè die rimase sotto k signoria dd re di
Persia. E questo Alessandro magno fu morto per ve-
leno. E^ li dodid suoi prìndpi divìsero poi la terra
tra loro, come Alessandro lasciò nd suo testamento,
E Septor fu re d'Egitto, ed ebbe sopranoome Ptdio-
meo. £ dopo lui regnò il secondo Ptolomeo, che a«
vea nome FiUdelfo. Dopo lui r^paò il terzo Ptolo^
meo^ die aveva nome Evergetes. E dopo lui regnò
il quarto Ptolomeo, doè appresso, ch'ebbe nome Fi-
lopater. Ed allora era Antioco lo primo re e signore
d'Antiochia, che per viva forza vinse tutta la terra
d'Egitto e di Persia e d'India. E ucdse Filopater
Ptolomeo, di' era allora re d'Egitto, e regnò ventisei
56 IL TESOAO.
anni. £ dopo la morte del re Antioco , regali Sileu-
co eh' ebbe soprannome Epifanes. E nel suo tempo
furo le battaglie de' Maccabei, delle quali si legge nel-
la Bibbia. £ dopo il re Sileuco regnò Eupater suo
figliuolo. £ quando Eupater fìi morto teqne il regno
Demetrio figliuolo di Gomfer. E al suo tempo fu mor*
to Griuda Maccabeo in battaglia. Mora xeaae Ales-
sandro ch'era signore grande e d'alta potenza in-
contra Demetrio, e si lo uccise e vinse in batta^ia,
ed ebbe la signoria del suo regno. E tennelo sugget-
tamente tanto, che Demetrio figliuolo del soprascrìfr*
to Demetrio, uccise Alessandro e tenne la signoria
di tutti suoi regni. Poi venne Antioco fif^uolo dì
quello Alessandro, che per lo consiglio e per l' aiuto
di Trifon, uccise Demetrio eretico e cacdollo fuori
del regno. Ed egli fu poi re e signore. Ma quel Trifon
l'uccise per tradimento. Ed egli ne fu poi re^ al ieaat-
pò di Simone Maccabeo. E sappiate che ancora vivea
Demetrio, cu Antioco figliuolo d'Alessandro aveva
cacciato fuori del regno, sì come il conto drriia di-
nanzi. E Trifon in sua signoria non dimorò gonri^.emi
fu cacciato fuori, e quel Demetrio eretico fu ricevu-
to nella signoria, e tennela siccome re e imperadore.
Allora Giovanni Ircano, figliuolo di Simone Maccar*
beo, era sovrano principe in lenisalem, e il suo fi-
gliuolo fu chiamato re de' Giudei, e ciò fu appresso al-
la trasmigrazione di Babilonia, ai quattrocentosessan-
taquattro anni. E quando Aristobolo fu motto, Ales-
sandro fu re de' Giudei. E dopo lui fu Aristobolo suo
figliuolo. E questo Aristobolo fu morto per la irarw
di Pompeo, che allora era egli consolo di Roma. E
LIBRO PRIMO. 57
stabilio per curatore io Giudea Ghiopetre padre d^E-
rode. Antiochia era già conquistata, e sottomessa alla
signorìa de' Romani. E quando Ghiopetre fìi morto,
Erode suo figliuolo fu eletto per li Romani re de'
Giudei. Al cui t^npo nacque il nostro signore Gesù
. Grìsto in R^eem.
Gapitolo xxvn.
Qaì Sicé del regno di Babilqnia e à"* Egitto.
B r^no di Rabìlonia è contato sopra quel d' E-
gitto e d^li Assiriani. Ma egli addivenne cosa, che Na-
bucodònosor fu re, e non a diritto, che egli non era
di schiatta regale, anzi fu un uomo istrano, sconosciu-'
to, che nacque d'adolterio celatamente. E al suo tem-
po cominciò il regno dì Rabilonia a venire in al-
tezza. Ond' ^li si orgoglio verso Iddio e verso il se-
colo tanto ch'egli distrusse lerusalem, e impregionò
tutti li Giudei e molte altre perverse cose fece egli, che
per divina potenza perde egli subitamente la «uà si-
gnoria. Il suo corpo fu mutato in bue secondo che
a lui pareva. E abitò sette anni nel diserto con le be-
stie salvatiche. Dopo lui regnò Nabucodònosor suo
figliuolo, e poi regnò Evilmeradiap, che fu figliuolo
del primo Nabucodònosor. E dopo lui regnò Ragiosas
suo figliuolo. Poi Labuzar figliuol dì Evilmeradiap,
e poi Raltasar suo frate. Quel fìaltasar re di Babilo-
nia fu morto per Dario re de' Mediani, e per Ciro
suo nepote re di Persia, che conquistaro il regno di
Babilonia. E dopo la morie del re Ciro ebbe tredici
re nel suo regno l' uno dopo l' altro, in fin al tempo
L<t/ini. rol. I. 3
58 IL TESORO.
che Dario ne fu re. Non dico di quel Dario, di cui lo
conto ha fatto menzione di sopra, che fu al teo^ del
re Giro, ma e' fu Dario figliuolo del re Arcamis,>che
fu re e signore di Persia, e aveva grandissimo po-
dere di gente e di terre. Ma Alessandro magno lo
vinse in battaglia, e fu, ucciso da' suoi medesimi per
tradimento. £ Alessandro tenne tutto lo suo regno, e
prese la figliuola Rosana per moglie. E sappiate che
Alessandro regnò dodici anni signore del mondo^ e
poi mori di veleno in Babilonia, che li' diede un suo
cavaliere in beveraggio. E poteva allora essere in e-
tade di trentasei anni. E sappiate che Alessandro fu
figliuolo del re Filippo di Macedonia. E Olimpiades
sua madre, per alzare natura di suo figliuolo, disse,
che r aveva conceputo d' uno Iddio, chiamato lo Dio
Amone, cioè doverete intendere d'uno idolo, lo quale
appellavano così, e disse eh' era giaciuto (nm lei ih
sembianza di dracone. E certo egli menò sì alta vita,
ohe non è meraviglia s'eglino il chiamavano figliuolo
d'uno Iddio, perchè egli andò frustrando tutto il mon-
do, ed ebbe per maestro Aiistotile e Calistené, e fii
virtudioso sopra tutte genti, ma egli si lasciava vincere
al vino e alle femine. E vinse dodici nazioni di bar-
bari e tredici di greci, e alla un morì di tossico, com'è
detto disopra. E sappiate che Alessandro nacque ai
trecentottantacinque anni poi che Roma fa edificata.
E contano le storie che da Adam insino aUa morte
di Alessandi'o si ebbe cinquemiha centocinquantasette
anni. E quando egli fu morto si fu Ptolomeo figUuo*
lo di Lago lo primo re d'Alessandria e di tutta terra
d' Egitto, siccome il conto divisa qua d dietro. E ai
LIBRO PRIMO. 59
ebbe dodici re V un dopo l' altro, e ciascuno aveTa
per s<^prannoiiiePtoloiiieo,per lo nome del primo Pto*
lomeo, che ne fu re. E dopo la morie d'Alessandro e
di questi altri dodici re, fu il diretano Ptolomeo di
Cleopatra. E quando egli ebbe tenuto il reame in-
torno dì tre anni, Giulio Cesare fu imperadore de'
Romani, per cui tutti gli altri imperadori de' Roma-
ni ebbero nome Cesari. Oramai si tace il conto di
parlare di quelli d' Egitto, per ciò che qui finisce la
lor signoria, e veiinero alle mani de' Romani, e se-
guita la sua materia.
Capitolo XXVIIL
Qui dke il cominciamento dei re dj Grecia.
Nembrot, quel medesimo che fece la mala torre di
Babel, ebbe molti figliuoli. Onde il (^'imogenito fu ap-
paiato Cres, che fu il primo re di Grecia, e per lo
suo amore fu appellata l'isola dei Creti Grecia, che
si è verso Romania. E dopo lui fu luppiter suo fi-
gliuolo, che fu signore della città d' Atene, e egli la
fece e la fondò primieramente. Saturno e luppiter,
che sono delle sette pianete le due, credeano le genti
che allora erano che elle fossero cadauna Iddio. E
però era questo luppiter appellato Iddio. E ancora
hanno cosi nome queste due pianete. Poi fu il re Cer-
tas. E sappiate che luppiter ebbe due figliuoli. Da-
rio e Dardanus. Quel Dario fu re di Grecia, e dell' i-
sola di Messina e di Grecia là intomo ebbe guerra
contra al re di Troia, ciò fu contra Iluni e Camede.
Onde nacque il primo odio tra li Troiani e Greci. Ap-
4o IL TESORO.
presso la morte di questo Dario, regnò Filo suo fi-
gliuolo. E poi fìi re Menelao suo figliuolo, che fu ma-
rito d^ Elena. La quale fu furata da Paris figliuolo del
re Priamo di Troia. Dappoi la morte del re Menelao,
fu re Agamennone suo fratello. E tanto andò' poi di
re in re, che Filippo di Macedonia fu re e imperado-
re di tutta Grecia. E d^ allora innanzi quelli di Gre-^
eia furono chiamati imperadori e non re.
Capitolo XXIX.
Qui dice del regno di Stssione.
Lo regno di Sissione cominciò al tempo di Pacor^
che fu avolo d' Abraam. E Agilerus ne fii il primo
re. E durò quel regno ottocènto settantaun anno, in-
fino al tempo d^ un profeta, di cui il conto dirà qua
innanzi, tra gli altri profeti E furo insomma trentun
re in Sissione.
Capitolo XXX.
Del regno delle femine.
Lo regno delle femine cominciò allora che il ne di
Stinto andò con tutti gli uomini sopra quelli d^ Egit-
to, ove egli furo tutti uccisi. E quando le loro femine
lo seppero, sì fecero una di loro reina di tutti loro
paesi. E ordinaro tra loro che ne Romani, né altra
gente potessero abitare in loro terra. E che loro fi-»
gliuole fossero nudrite tra loro. E' figliuoli maschi fos-
sero nudriti cinque anni, e poi fossero dati alli lor
padri, che abitavano in altro luogo che le femine. £
mioisiMo. 4>
te feooone noo d ÒÉtaaoaxeimio se ioKm d^arme e di
cvraHìy per podere defendere loro paese^ e ti oanimi
non si intrametteaiio se non di layorare teire^ per
iknn eiJ&BO e le laio donne riccamente. £ stabitira!
cfaePloro mariti s'assembrassero mia yolta Panno con
loffo^ e diniQcare nn mese per avere fi^uoli e più e
■iaia^4Bcondo cbe atta .loro reina piacesse^ e che cia^
fcima di loro dovesse avere ta^^Liaia la dritta man»-.
BidDa per portare k> sondo atte battage, se mestiere
freesse. E pm sono dUb q>peUBte amaixm^ cioè «
&n ODO una mammella. E tatto questo ordinamento,
teofono anocMra, secondo di' e' si dioe^ e queste don-
ne YeoDoro a toccorTCre Troia^ qqando fa assediata
da'GrecL E fowiPantpsilea bro reìni^ di coi si dis-
se^, che amò Ettore filminolo ad re Priamo di felle
annra: llb di ciò non si sgppe mai certanza, fuori di
tanto, disella vi morì con grande qoantitade delle sue.
donasdte, E sappiate ch'elle portano treccie dietro
molto grandi
'Capitolo XXXL
Del regno ddll Argino».
Lò regno delU Àrginois comindò in quell'anno
medesimo che lacobbe e Esaù figliuoli di Isac furon
aatL Defcnrencas fu il primo, che die legge alli Gre-
ci, nella città d'Atene, e che stabilì che le cose e li
gindìcanienti fossero dinanzi a giudici, e '1 luogo ove
si 6oeano giudid fosse appellato ferone, per lo nome
soo, e sappiate che il regno ddh Argìnois durò due-^-
cento sessantoqoattro anni. E fu distrutto al tempo
4 2 IL TESORO.
di Dario re di Grecia, di cui il conto parla qui di-
nanzi.
Capitolo XXXII.
DelU re di Troia.
Lo conto dice qua a drieto che lo re luppiter eb-
be due figliuoli Daiìo e Dardanus. Di quel Dario ha
detto il conto tutta la generazione. Ora dice il conto
che quell^ altro figliuolo Dardanus edificò una città in
Gi'ecia che ebbe nome Dardania, per lo nome suo. E
ciò fu alli tre milia duecento anni al cominciaiiiento
del mondo. E di Dardanus nacque Arcanus, che do-
po lui ne fu re. E d'Àrcanus nacque Torrens, ower
Tros, quelli che fece la città di Troia, e per lo suo
nome fu ella appellata Troia. Del re Torrens nacque
Dub, ovver Do, che fece la maestra fortezza di Troia,
e per lo suo nome era appellata Dion. Onde airvenne
poi che lanson e Ercules con tutta Poste de^Crred
entrò in Troia, e disfecero la cittade, e uccisero il re
Laumedon, che allora n^era signore, e menonne Esìo-
na figliuola del re Laumedon. Di Laumedon nacque
Priamo e Anchises padre di Enea. Quel Priamo che
fu re di Troia, si fu padre del buono Ettor, ch^ era
tenuto a quel tempo il migliore cavaliere del mondo.
E fu ancora padre di Paiis e de^ fratelli. Quel Paris
fu quello che furò Elena moglie di Menelao. Onde il
re di Grecia e di molte altre parti del mondo per
vendetta di questo misfatto si vennero a Troia ad
oste, e assediarla grande tempo, che là disfecero in
tutto. E così fu Troia due volte disfatta. Il re e li suoi
figliuoli furono tutti morti, seccmdo che si può tre-
1^ uno muK). 4^
y/an n^ gwde libro dì Troia, die ne fa memùone
-n^ comiiicìameBto ia^Do alla fine molto bene e otfì^
naitamefite. £ questa distmùone fìi ottocento sesian^
tà kmd poi Ae Trm £b doo^ipata.
ff _
Cafctplo .xxxnr. ^^,
. Gmém Encv ci^lò in Italìt. t
Qonido Troia A présa è messirà fuoco ^
■a Enea figlìòc^o d'Axidiises e Ascbmó 4Ìh6 figHuo^
lo^ ftqgjiplro éBnon di Tròia. £ p(»to con seco grande
afèra.' E -moka -gente di Troia lo 9egw!tiaoy tuorlo
étfi^ 'acatadpb ckOe kìanni detti inimici suoi e yenne
ili luogo sdm Onde disse akWo autore, perdi^ égli
inÉBOpo' con cosi grande tesoro, die egli sejppe il fra-
^w^iitp ifi Troia. E altri dicono die non ne «eppe
noUa se. non alla fine, die non si poteva tornare in>
dielro. Ha come che la cosa fòsse, ^i andò tanto per
mare e per terra, ungerà in qua e un'ora in là, che
^li con la sua gente arrivò in Italia.
Capitolo XXXTV.
I
Come Enea fu ita Italia con suo figliuolo appresso.
Egli fu vero che Italus, figliuolo che fu di Nem-
brol, £he fece la torre di Babel, venne in Italia e fu
sonore tutto il tempo della vita sua. £ poi la tenne
il fi^iuolo. Ora avvenne secondo che le storie conta-
no^ die Saturno ce di Grecia fu. cacciato del suo re-«
gno^ e vennesene in Italia, e funne re e signore in
44 n^ TESORO.
tulio. Poi la tenne il re Ficus suo figliuolo, e poi re
Samus suo figliuolo. Del re Samus nacque il re Lat-
tino, che allora era egli in Italia, quando Enea con la
sua gente v' arrivare. E tutto fosse il re Latino al
cominciamento dolce e di buono aere, fece guerra
contro ad Enea. E la cagione si fu perchè non gli die-
de Lavina sua figliuola per moglie. E tutto non aves-
se il re Latino più figliuoli, si gliela avrebbe ben da-
ta, ma la reina sua donna non volle consentire al ma-
ritaggio : però che la voleva dare ad un altro gran
barone del paese. E perciò fu tra loro odio grande e
mortai guerra. E alla fine vinse Enea, per forza d^ ar-
me, e prese per moglie Lavina, che detta è di sopra,
E fu re in Italia tre anni e sei mesi. E quando egli
morì, si lasciò uno piccolo garzone della sua femina,
lo quale ebbe nome lulius Silvius. E questo sopran-
nome ebbe però che la madre lo facea nutricare in sei*
ve, per paura di Ascanio suo frate. Ma egli non face-
va mestieri, che egli l' amò teneramente. E ciò fu al
tempo del re Davit, al cominciamento della quarta
elude del secolo.
Capitolo XXXV.
Qui dice della schiatta del re d** Inghilterra.
Quando Ascanius re d' Italia fu morto, Silvius suo
frate fu re dopo lui. E ebbe due figliuoli. Enea e Bru-
ton. E quando il re Silvius morì, Enea, suo maggiore
figliuolo, tenne la terra dopo la sua morte. E Bruton
suo frate passò in una contrada, che per lo suo nome
fu poi chiamata Bretagna, la quale è ora chiamata In-
f uAon«ò. 45
^bfltàrfsl EdiB|^ fiieooinmciaiiientbflegtire gàn
Bnliigna^-e dteBa ràs {generazione nacque il bnoniMre
jbtaydidaìii BoBÉamtantoparìano^Ghenefareu»»
Màio. EeiòfbaqinfttrooiBÌJilÌ^ ottmCatre anriKidel-
^écànÙDÒooe di Gesà Cristo, al tempo che ^mo fb
ionpevadòre di Boomu E r^^ intonio di dd^luite
uni Dopo fl we Ènea, r^nò^il re Silvins^ji di Ini nao-
^ il re Latino. Dd re Latino nacque u re AUieni.
Dd reJklbani imii||ULÌl re£9Ìtta4P>d re Egitto nao*
qaèìi re CàrpaaatàcB, Del re Carpttnncijfenacqae il
ne Tbàrio. Dd re TS>erìo nacque À^npptt, E d'A-
gqppa -nacque- Ayentinns. Del ré ÀTentinns nacque
2 rePtoca. Ddi reProca nacque Nomitor, e fa re
dopo la morte dd s)do padre. Questo re Nomitor non
dbbe-aenon òna fi^^iook fenadna, la qoale ebbe nome
W^mAam. Ma Un- barone Amnlio si gli tolse il regno^
e cacciò Ini e la sua %liaola'TÌa, e fecesi ùre re. In
qiid mezzo qaeQa Emolua figlinola .di Nomitor ctm-
cepette due figliuoli, de' quali Puno ebbe nomcRomu-^
lo e Paltro Remolo. E ebbeli in tal maniera, che nul-
lo potè sapere chi fu loro padre. Ma molti dicevano
che Mars Iddio ddle battaglie T ingenerò. E da qu^-
l' ora inanzi fa quella donna appellata Rea. E poi fe-
ce dia nna cittade nd mezzo d' Italia, che per nome
di Id fii appellata Reata, o Ter Rieti E perciò che
molte storie dipono che Romolo e Remolo furo nu-
triti da nna lupa, è ragione ch'io ne dica la verìtade.
E fa vero, che quando elli furon nati, furon posti al
lato ad ona riviera d' acqua, perchè le genti pensas-
sero, se fossero trovati, che elli venissero di strana
oontada, o die vi fossero menati Intorno a quella ri-
46 IL TESORO.
Tiera si staila una meretrice comune, la qnal femina si
chiamaTa in latino Lupa, Trovati da costei li' due &n-
ciulU, preseli e nutrìcoUi molto dolcemente. £ per ciò
fu detto^ che ellino fioro figliuoli della Lupa. £ chi
dice che una lupa li nutricò^ ma né V uno né V altro
aoD può, esser vero, se non nella maniera ch^è detto.
Capitolo XXXVI.
Qui dice di Romulo e delli Romani.
»
Bomulo fu molto fiero, e di grande coraggio. £
^ando egli fu in etade, egli usava con giovani che se*-
guissero il suo volere: cioè con uomini mal&ttorì, e di
mala qualitade. £d egli era capitanio di tutti. £ quan-
do egli seppe il suo nascimento non medio mai di
raunare gente di diverse maniere, e di guerreggkQre
contra Amulio che avea tolto il regno al suo avola £
tanto fece per sua prodezza, che egli il vinse, e tobeli
il regno, e rendello a Numitor che era ancora vivo.
Ma poi non guari tempo lo fece molrire, ed egli fu re
in suo luogo. £ lui edificò Roma, la qual fu cosi chia-
mata per suo nome. Poi fece morire Remolo^ ch^ era
suo finte, e poi il padre della moglie, che era signore
del teo^io degli ìàcAì e di tutti li sacrificai del piaese,
e a luì rimase P eredità di ogni cosa. £ aopra tutti gli
altri ebbe la signoria dì Roma. £ fu Roma iofiomindaH
ta quattromilia trecento ventiquattro amù dopa la di-
struzione di Troia. £ quando Romulo passò di questa
vita, rimasela signoria aNumaPompìHus suo figliaodo.
£ poi regnò TnliusOstilus^£ poi regnò AncusMartos.
Vin Tarqpiinus primo re. £ poi lo re Serviiis. E poi re-
gnb TarquiD orgof^&oao, che per siìooltraggb efMT
sm siqperina feoe4)ite a una gentOè doniur di Boma,
e d'alio lanaggio, per giacere con lei carnalmente. E
qndbi doinia area ncvne Lnci^evia, dhe ara una ddlk
wijftin .donne ddi mondo, e ddie pia catte; E per
cpeila jcagioae fii e|^ caooiato ddi 8aoi>egn6i' E..j|a
ftdiilào per li Bomani, dbe giwnnnai non t' a?ea8e re,
um loii^'la città di Booia e tatto il sno n^no gover-
nalo per seoatqnj^ perj^iiiinli e^ijff^ Iribani e per
fkii tiffidali MOMido che le cose BMsgKO^ E qoeUa
i^gndffpa divo ^[aattroeento ses«aatacincpK( anni ìo'
ùao^tuOoà» Catdiina fece la ciwgiivanooe in
BotMh ^!Wbnt. a^olo^ che govonamno Bonn. Ma
qMd|i^cqiigi|vamDefiidÌ9Govsrta, parlo grande ta-
im> liaroo Ti#> lo m^ pariante nomo del mondo
e aifMtio dfr ratocica. E aUcira era «^ coniobdiBjo^
am qnando qneUa gtaia si £boe. E ^H por lo 600 gra»-
de-tapno ti U- vinse, e pres^.e|Bceli tatti gaastare.e
distmggere delle persone, e par lo consiglio ddi buo*
no C^one che li giadicò alla morte^ Ma non furono
presi tutti, che molti ne camparo. £ Giulio Cesare
non li volle giudicare a morte, ma consigliò che fot*
sero messi in forti prigioni di fìiorì dì Roma. E però
dissero mditi che «egU fii compagno di queUa gìnra. £
al vero dire, egli non amò mai né senatori, né gli altri
nfikaali di Roma, né ellìno amavano lui, però che ^U
era stato del lignaggio d^ Enea.. £ appresso di ciò, si
era ef^i di si grande coraggio e si forte, che egli ave^
va grande part^ de^la signoria di Roma, siccome li
suoi antecessori aveano avuto.
.0
48 Ili TBSOBO.
Capitolo XXXVIL
Qui dice della congianoìone di Catellioa.
Quando la congiorazione fu scoperta, fl podere di
Gatellina fu ìndebìlito. Egli si fuggi in Toscana a una
città che aveva nome Fiesole, e feccia ribellare con-
tra Roma. Ma li Romani vi mandaro grandissimo oste
e trovaro Gatellina a piede d'una montagna, con tut-
ta la sua oste e con tutta la sua gente. E ciò fu in
quella parte ov^ è la città di Pistoia. E ivi fu Cata-
lina vinto in battaglia e morti molti di suo', e anche una
grande parte di Romani. E per quella grande pesta
di quella grande uccisione fu appellata la città di Pi-
stoia. Poi assediaro li Romani la città di Fiesole tanto
che la vinsero, e messerla a distruzione. E allora fe-
cero eglino nel piano, eh' è presso alla montagna, ove
la sopraddetta città di Fiesole era, un'altra città la qua-
le è ora appellata Fiorenza. Della terra ove Fiorenza
si è, fìi già appellata magione di Marte, cioè a dire^
casa di battaglie. Che Mars, la quale è una stella ddle
sette pianete, si soleva esser chiamata da' pagani dio
delle battaglie, e ancora la chiamano così moke genti;
per ciò non è meraviglia se i Fiorentini stanno sempre
in briga e in discordia, che quella pianeta regna tut-
tavia sopra loro. E di ciò sa il maestro Brunetto La-
tino la diritta veritade, che fìi nato di quella terra. E
allora eh' egli compilò questo libro, sì n' era ^li cac-
ciato di fìiorì per la guerra dei Fiorentini.
mio wKOÈO. ,^ 49
XXXVHL
Comt Giòfio Genra ta pcinumciitt inpendor di Rona.
ì
fW Vile Giolb Cernie ^bé mdite Thtorie, e 1^^
f {Mai lottamesà alk algiiom di Roma, ^ procioni
tmlo cb monte e da valle, db' e^ combattè contra
a Ponpeio^ ébe allora era consolo dì Roma, e contra
a^ altri ètte alloni goy|Jp|i^Taiio Roma, che egli fi
noae^ e cacciò fborì di Bòma V inimici suoi tatti E
c|^ iolo 'ebbe k sigooria di Roma, e chi Toole salie-
re eoaie|^,finae^ edove, cerdba nel grande libro ddi-r
le glorie di RonAi^ e troverallo apertamente. E per ciò
die li Bomani non potevano avere re, per li statati
di* «i^ «verino fiitto nd tempo dì Tarqaino oi|[o*-
^oao^ di coi lo conto ha fìrtto memoria qua a dietro^
n H leooro chiamare knperadcH^ ddH. Romani, e ten-
ne lo suo imperio tre anni e seimesL Ma egli fìi poi
ucciso sotto il Campidoglio da grandi uomini di Roma,
che aveano grande invidia di lui. Dopo la morte di
CiioBo Cesare Ottaviano suo nipote fu imperadore,
die regnò quarantadue anni e sei mesi. £ al suo tem-
po nacqoe Gesù Cristo nostro signore, neUe parti di
ferosalem. E regnò tredici anni dopo il suo nasci-
mento. £ tenne la signorìa di tutto il mondo, che
eg^ fìi bdlo, savio e prode maravigliosamente. Ma
^be questo vizio, che fu molto lussimoso. E alla fine
distmsse ^li tutti quelli che furo a uccidere Giulio
Cesare. Qui si tace il conto di parlare di lui e degli
ùnperadorì di' Roma, e toma aUa sua materia.
ni
5o |I« TESORO.
Capitolo XXXIX.
Delli re di Fnim.
Quando la città di Troia fu disfatta, e che l' uno
fìiggi qua e V altro là, secondo che la ventura li por"»
taya, si avvenne che Priamo figliuolo della suora. del
re Priamo di Troia, e un altro barone die aveva qo-
me Àntenor, si andaro tanto per mare e per terra, be-
ne con tredici milia uomini d^arme, che eglino arri*
varo là, ov^è ora la città di Yenegia. E loro fur queU
li che la cominciaro imprimamente, e fondarono deiK*
tro del mare, e ciò fecero essi per non abitare in terra
che fosse di signore. Poi si partì Antenor e Prìamo
con grande compagnia di gente, e andonsene nella
marca di Trìvigi, e ivi fecero un' altra città, la quale
si chiama Padoa, poco di lungi da Yinegia, e ivi giace
il corpo d' Antenor, e ivi ancora è il suo sepolcro. E
di là si partirò, e fecero un' altra città in fine di quel
paese, che era appellata E dopo certo tem-
po si se ne andarono in Germania, e là fecero re e
signore di loro Prìamo, il quale era del lignaggio di
Priamo re di Troia, lo giovano che fu morto ndla
battaglia che fece con li Romani. E lasciò un figliuo-
lo ch'eblic nome Gomedes. E di Gomedes nacque Ca-
ramot che poi fu re di Grermahia. Dopo lui regiikb
LicarniitUH kuo figliuolo. E allora cominciò Roma ad
abbuMitrn o ti nuiirere. E Fi-ancia cominciò a crescere
e a innttluiro tanto, che elli cacciaro li Romani che al-
lora abitavano allato al fiume del Nie. E quando il re
Liconmtns fu morto, sì fii re Gildibert. £ ingenerò
uniOnLno. 5i
odk rema BeMJiia GroldoYBno, che fu re di Francia.
Dopo kùy jr^pQÒ HiiY^iièiis sno figKuob. Dopo lui re*.
1^ 3. re Idms eoo figfioolo. £ dopo lui regòò il re
CioUopreo eoo figfiuolo^olie fti il primo re di Prenda
cmlHAo^ dbè santo Eemigio il betteEià EgB éottomi-
wEAlumiuii aHa sua fligDoriB, e vinse gUCknicpoL
Eei& fa dafia incamasìeme di Cristo a settecento eiiv*
fritatom anno. E allora oomindò Podb dd signore
C Aniieia.Onde Amelii» tà il primo vesoofo. Dopa
kà Rgnò Ànt^ìof si»> pciniofpenito^'rti'ebbe sopnooK'
aaiw OrointiSb Dopo hù regnò il<re Pipino^ padre di
Qrio'ii^pio, i:lie farediFranda^ e ìaipjaradcHr di
fama, secando dbe fl oraito diviserà più imwnsL Ma
ffci Et iaee' 31 eonto d^ re, e ddle loro tenrec e di
loiliftifiBmi, per eiòehé fha divisato molto diiaramen-
Mj-ttMÉM fnro li prinn re^ e dù foro, e li loro nomi, e
Romani medesmamente ha divisato la diritta
, insino al comindaaiento di loro imperlo ^ e per*
A non ne dirà ^;ii ora più, and ritornerà alla sua
oiatenB, cioè a dire della terza età del secolo di che
e|^ ha felinamente taduto.
Capitolo XL,
Qoi dice delle cose che furo odia tena etade del secob.
Ora dice lo conto, che quando la terza etade fu
romindata, nel tempo d*Ahraam, che nacque nd tem-
po di Nino, Abraam ingenerò Isach. £ Isach, Esaù
e laéob. E ancora era vivo Abraam, ma egli aveva
bene cento dnquanta anni. E lacc^ ingenerò losefo e
suoi frati, siconfme la Scrittura dice. E di quelli fratelli.
53 IL TESOEO.
che dodici furo, furo tratte le dodici schiatte, le quali
si chiamano li figliuoli d^ Israel. Che egli fu vero che
lacob combattè una notte con un angelo, tanto che
alla fine vinse lacob. E allora fu benedetto, e fulli
cambiato lo suo nome, e fu appellato Isdrael, doè
prìnce di Dìo. losef fu venduto per li suoi fi^ti, e
infine fìi grande mastro nella coite di Faraone re d^
gitto ^ e quando la grande feme fu in terra, si vi fece
egli venire il padre, con tutti i suoi fi^atelli, che poi di-
moraro in Egitto, infino al tempo di Moises, secondo
che il conto dirà qui appresso. losef figliuolo di la-
cob, ingenerò Gapet, di Gapet nacque Aram. Di Aram
nacque Moises, e quando Moises fu nato, la madre il
rinchiuse diligentemente in uno Vassello, e gittoUo in
uno fiume corrente, lo quale li era presso^ e questo
fece ella, perchè un altro re Faraone, ch^era stato di-
nanzi, aveva comandato che tutti li figliuoli maschi
delli Ebrei fossero gittati nel fiume, e le figliuole fe-
mine tutte fussero nudrite e guardate. E alla riviera
di quel fiume lo trovò la figliuola di Faraone, che lo
cavò deir acqua, e fecelo nutricare come se 1 fosse sta-
to suo figliuolo. Che Moises tanto vale a dire quanto
acqua. E quando Moises fu in etade di trenta anni,
elli menò tutt^il popolo d^ Israel fuori d'Egitto, nd-
la terra che Dio aveva promessa ad Abraam, doè la
terra di promissione. E sappiate che dall'ora che Dio
pronuse la terra ad Abraam infin all'uscita di' e' fi-
gliuoli d'Israel fecero d'Egitto, si ebbe quattrocen-
to trenta anni. E cosi Mobes fu maestro e signore del
popolo d'Israel, per la volontà di Dio. E a lui diede
egli la legge in monte Sinai, e comandò che ella fosse
uqmowuMo. 53
bene osfiefvat^ e dopo la sua morte furo molti altri
goWnatori àà popob d'Israel, infìoo nel tempo di
Ikn^dbe ne ifii rea sonore. Edo fu sdoento tren-
ta anni iqppressp aQ'osdta d'Egitto, e allora eU>e fine
la tan^ ddi secxilo^ e già era Troia presa e dis&t-
la^ e.JBnea e lo suo figliuolo aveva fpàoonquistBto il
ngap d^.re Latina E «fifàatedie la tana etade, die
jb^d^ JUnraam infino a Dafìt, dnrò novecento settan^
taipiattro anni
CàSJTOLO XU.
Qoi dies dille 6M» dhe foto ndk quarta «ladte dd Moòlo.
La quarta «tade oomindò allora, die Saul re di Gè*
ranboime fu morto, e Davit nefu re e signore^ e do-
po b sqa uKnrte^ ne fu re Salomone suo fig^uolo, cor
lui cbeiu così pieno di senno e di sapienza, e che
fondò e fece il tempio di lerusaleoL Poi ne furo molr
ti altri re Puno dopo P altro, infino a tanto che E-
zechia ne fu re. E quando egli ebbe regnato intomo
a ventidue anni, Nabucodònosor, dì cui lo conto par-
la qua a dietro, lo prese, e cavoli! gli occhi della testa,
e menollo prigione in Babilonia lui e tutti gli altri Giu-
dei Ciò furo le genti che erano della schiatta d^ Israel,
e lo ten^io di Salomone ne fu allora arso, e ìnfìam-
mato^ che non durò quattro cento anni. E allora fini la
quarta etade dd secolo, e nella quinta etade^ furo li
profeti, £ cui le Scritture parlano, e Romulus fu si*
goore di Roma. E sappiate che Tarquino Priscus era
re di RoTiffi>T'ì quando li Giudd erano in prigione in
Babiloiiia. £ questa etade durò cinquecento annL
54 Ih TESORO.
Capitolo XLIL
Qui dice delle cose che faro nella quinta etade del mondo.
La quinta etade cominciò la transmigrazìone di Ba-
bilonia, cioè a dire quando li Giudei furo menati in
prigione in Babilonia. £ quando elii erano in prigio-
ne, Cirus, lo primo re di Persia, uccise Baltasar lo re
di Babilonia, e prese la sua terra e il suo regno, se-
condo che '1 conto ha divisato indietro. Quel re Cims
deliberò di prigione li Giudei, che furo bene cinquan-
ta milia uomini per acconciare lo tempio. Ha poi Ten-
ne il re Dario, che tenne la terra appresso di lui, e
liberoUi tutti interamente. Ciò fu a settantadue anni
poscia che furo presi, e allora fu quel Tarquino so^
perbo, re de^ Romani, secondo che '1 conio ha diTisato
qua addietro. £ questa etade durò infìno al nasdmfio-
to di Cristo. £ in questa etade furo molti filosofi, sic*
come Platone e Aristotile, che furo li sovrani di tutti
gli altri, e in questa etade regnò Alessandro magna
£ li Romani conquistaro Grecia, Spagna, Africa, So-
na, e molte altre terre, e in questa etade medesima
die Marco Tulio la retorica alli Romani. £ Pompeo^
ch^ era consolo di Roma, conquistò la terra di Giudea.
£ Catenina fece la giura in Roma. £ Giulio Cesare
divenne imperadore di Roma. Dopo lui fu signore
Ottaviano, nel cui tempo nacque Cristo, e ciò fu à
cinquemilia cinquecento anni del comindamento ad
mondo. Ma molti dicono che non ebbe di tempo pia
che cinqueùiilia duecento e cinquantaquattro anoi.
libro primo. 55
Capitolo XLIII.
Della sestai ttade del secolo.
^ La sesta etade del secolo cominciò del nasduiento
di Gresà Cristo, e dorerà inBno alla fine del mondo.
E sappiate che quando il nostro signore Gresù Cristo
fii in terra con li suoi discepoli si finì il vecchio Te-
sbollento^' e cominciò il nuovo ^ che alli trenta anni di
soa etade si fece egli battizzare nel fiume Giordano a
santo Giovanni Battista, per mostrare la salvazione di
tutti cristiani. E sappiate che senza battesimo non si
può nomo salvare, siccome egli medesimo dice ndi
▼u^dio; e là ove la vecchia legge leceva la circun-
cisioiie, li cristiani fanno lo battesmo. E perchè noi
dobiMaaio servare la nuova legge, la vecchia non fu
perciò mutata. Ora bene è ragione che '1 mastro di-
visi ddli maestri di quella legge, e di ciascuno in que-
sta maniera.
Capitolo XLIV.
Di DaTÌt^ come fìi sopra gli altri profeti.
Davit, figliuolo di Gresse, fu nato della schiatta di
Giuda. E nacque, e uccise Golia il grande gigante, che
era nimico del re Saul, che fu re di lerusalem, e di
tutti li Giudei. Lo nostro signore Dio li dava grazia
che egli uccideva e vinceva li leoni e li orsi senza
alcuna arme, che egli squarciava le mascelle con le ma-
ni molto leggiermente, e di lupi faceva il simiglìan-
te, e d^ogni altra fiera bestia. Egli vinse lì giganti, e
56 ' IL TESORO.
molte altre cose fece egli. Perchè Saul V odiava mor-
talmente, che dubitava ch^'egli non li togliesse il regno.
Ma siccome piacque a Dio, Saul morì e Davit fa
fatto re dopo lui. E fu molto vittorioso, e Dio volse
che' fosse re e profeta. E tutto fosse peccatore, die
cadde in adulterio e omicidio, egli ritornò tosto al-
la penitenza, e fu il più vero ripentitore che uomo sa-
pesse. In questi due peccati cad^e egli siccome io ne
dirò brevemente. Egli amò di folle amore una foni-
na che avea nome Bersabe, e era moglie d'un suo ca-
valiere che avea nome Uria. E fecelo andare ad una
battaglia, perchè dovesse morire, e egli vi morì^ e dò
lece egli perchè egli aveva già conosciuta la mo|^
carnalmente ; che non volea che altri lo sapesse, nò
che Uria se ne avvedesse. E tanto V amava che dopo
k sua morte, cioè di Uria, egli la fece moglie, e di lei
ebbe egli Salomone, lo grande savio, e un altro figliuo-
lo, ch'ebbe nome Absalone, che fu il più beUo uomo
del mondo, e li capelli suoi pareano oro. veramente.
Ma egli si rubellò contra di lui, e -contra lui fece mol-
ta guerra, e molta persecuzione li diede. E chi vorrà
sapere la diritta storia per che fu quella guerra, e co-
me Absalone morì, cerchi nella Bibbia, e là lo tro-
verà tutto apertamente. E sappiate che Davit fu il so-
vrano profeta di tutti gli altri, che egli non profe-
tò niente alla maniera degli altrì. Che profezie sono
in quattro maniere, o in fatto, o in detto, o in vi-
sione, o in sogno. In fatto fu P arca che Noè leoe,
che significò santa chiesa. In detto fu quando l'ange-
lo disse: Àbraam, nel tuo seme saranno benedette tut-
te le genti. In visione fu quando il rovo, ovvero il
. uno imnip. Bj
spioQy che Moìmì TÌde ardere, e non peggioraTa nul-
la, se non come nottaidette. In sogno fu le sette Tao-
che e le sette spighe,: che Faraone sognò^ cmdelosef
pxtsA qndlo dhe àffnScò, e qoello die doTeva aT*
T0nraLlbiDaT?t{a0&tò foori di queste quattro ma-
meve^(>jbè c|^ profetò per somma interpretaaone di
Dìoac:di Santo. S^pirìlo^chfe(.r]^^ tuttala nati-
filBde di GnatOs Gb^- egi» scopri quello che ^ altri
pqqAfi«¥eTanQ detto copertamente^ seconda c^ Fuc^*
mó pmote Tedore neljsuo libjro, ch'è appaiato psal-.
teiìo, ia aairibianaa 47inKKstromento dùamato altreià
p«ll(9)p^.il;qiiale.h9 dieci Toei, che significano dieci
oovaandanHPti della legge^ che Db die aMoises. Il
psjharo ne^parU.mobp di qò in oentocinqnanta «Jk
■ttodfta iGlspno..E sappiate che Davit r^ò quaranta
aoni^je passò di questo secolo 4^ età compiuta di set-.
tanti anni in ottanta. £ Salomone^ suo figliuolo, regoòi
dopolni..
Capitolo XLV.
Del re Salomone*
Lo re Salomone^ figliuolo dd re Davit, si fu nomo
l^orioso, pieno di tutta sdenza, ricco di tesoro^ e di^
tenrec e di molta cavallerìa. Dio V amò assai al comin-'
damento, ma poi Podio. Po: ciò che adorò gV idoli^
per folle amore che mise io una femina. Egli fu re di
lemsdiem soprale dodid sdiiatte de' figlioli d'Israel
quaranta amiL £ fu alla sua morte sepolto in Betleem
con li suoi antecessori
58 IL TESOBa '
Capitolo XLVI.
Di Elia profeta e della tua vita.
Elia fu molto grande profeta, e fion Tolea stare tra
le genti, anzi abitala in monte Carmeli, e in Inogfai
diserti. E ciò faceva perchè le genti non li togliessero
lo buono intendimento, che egli aveva in Dio. Egli
fu pieno di fede, e di santa penitenza, e di puro^ pen-
siero. Egli uccise li tiranni, e risplendea di grande in-
segnamento e di virtude. Che egli chiuse tre anni il
cielo, e non die piova. Egli risuscitò un uomo morto^
per sua virtude. Non menovò la farina della scoddla
della povera femina che tanta non ne potea cavare, e
fece d^uno vasello d'oliò una fontana, che tuttavia
n'usciva olio. Per sua orazione discese il fuoco dal cie-
lo sopra uno sacrificio. Per sua parola arsero tre prin-
cipi, con tutti loro cavalieri. Egli aperse il fiume Gior-
dano, epassoUo a piedi oltra,come per terra secca. Egli
montò in ver lo cielo in un carro di fuoco. Malachia
profeta disse, che egli non moria mai, anzi è ancora
vivo in paradiso delitiarum egli ed Enoch, che fu' un
altro profeta innanzi il diluvio, e questi due debbano
apparire .per la volontà di Dio, nel tempo che Anti-
crìsto si farà adorare, come se fpsse Iddio, e predi-
cheranno la santa Trinità, e la fede santa cattolica, e
faranno grandi miracoli. Allora Anticristo li fiirà ood-
dere, e gittare la loro carne nella via senza nulla se-
poltura. Ma lo nostro Signore li resusciterà, e <£-
struggerà Anticristo, e il suo regno con tutti qudli che
r avranno servito, o creduto. Questo Elia, di cui lo
LIBRO PRIMO. 5^
conto parla, fu del lignaggio di Aaron, € quando ven-
ne lo suo nascimento, Sobia suo padre sognò, che
uomini vestiti di drappi bianchi prendevano Elia, e
involgeanlo in drappi molto bianchi, e davangli poi
fuoco^ a mangiare, e quando Sobia fu isvegUato, di-
mandò a^ profeti, quello che ciò poteva essere, e egli-
no li dissero : Non temere niente, che la nazione del
tuo figliaolo, sarà vero lume e giudicherà il popolo
d'Israel, con gaudio e letizia. Questa visione del pa-
dre di Elia, fu profezia aperta, che religione dovea
nscire di lui in abito bianco, la quale senza dubbio
è rordine de'carmeliti, e questo si mostra, perchè il
detto ordine ebbe suo principio nel tempo dTElia e di
Eliseo, in monte Garmeli, dove essi sempre abitaro,
e perchè la chiesa di Roma per questa profezia li
mutò r abito profetico, lo quale elli ebbero da profe-
ti, in quello abito che ellino ora portano.
Capitolo XLVII.
Dì Eliseo profeta e della sua vita.
Eliseo vale tanto a dire, quanto figliuolo di Dio.
Egli fu profeta e fu discepolo di Elia. E fu d' uno ca-
stello che avea nome Àmelmoat E fu della schiatta
di Ruben. E allora che egli nacque, una piccola vac-
ca d'oro, che era in Galgana, muggiò sì fortemente
che la sua bocca risonò insino in lerusalem. E al-
lora disse uno profeta : Oggi è nato in lerusalem uno
pix)feta che distruggerà gì' idoli. E certo egli fece al-
te meraviglie, eh' egli divise il fiume Giordano, e
fecelo tornare contra al monte, e passò per mezzo il
6o IL TESORO.
fiume di là con Elia. Egli risanò le acque di Gierìco^
che erano corrotte, e fece correre acque di sangue per
distruggere V inimici di Dio. Una femina giudea, che
mai non avea portati figliuoli, fece egli per sue ora-
zioni portare uno figliuolo. E colui medesimo resu-
scitò poi da morte. Egli temperò P amaritudine delle
vivande. Egli satollò cento uomini di dieci pani d'cn*-
zo. Egli guarì Naaman della lebbra. Egli fece notare
la secure del ferro per lo fiume Giordano, e fece rim-*..i.
mici di Soria annichilare al signore di Sammaria, e.
disseti la sua morte innanzi tratto. Egli cacciò via
r oste delli suoi inimici, li quali erano quasi senza
numero. Egli cacciò via in un giorno la fame grande
ch'era in quel paese. Egli risuscitò la carogna d'uno
uomo morto. Eliseo mori nella città di Sabat, e qui
ne è il suo sepolcro ancora. D'Eliseo si disse, eh' egli
avea due spiriti, cioè il suo e quello d'Elia, e perdio;
fece egli più meraviglie che Elia. Ch'Elia suscitò un
morto, ma Eliseo, eh' era già morto, ne suscitò un al-
tro. Elia fece venire fame, siccitate e caro : ma Eliseo
in un giorno deliberò tutto il popolo da grande fame.
Capitolo XLVIII.
Di Isaia profeta e di sua Tita.
Isaia vale tanto a dire, quanto saluto del Signore*
Egli fu figliuolo di Amos. Non dico di Amos profeta^
che fu uno delli pastori , ma Amos padre di Isaia fa
nobile uomo di lerusalem. Ed Isaia fu uomo di gran-*
de santitade , che per lo comandamento del Signore
conversava tra '1 popolo tutto nudo dalla cintola in
IJBRO PRIMO. 6l
SU, e tuttavia andava iscalzo. E per sua preghiera al-
loQgò Iddio la vita al re circa quindici anni, che do-
vea allora morire. Ma un tiranno che avea nome Na-
tos, si '1 fece segare per mezzo il corpo. E di Isaia
diooDo li Giudei, che fu messo a morte per due cagio-
na h* uoa perch^ egli lo chiamò lo popolo di Sodoma,
e fNrioeipe di Gomora. L' altra, che quando Iddio
dibe detto a Moises, tu non vedrai la mia faccia, e
Isaia osò dire, ch'egli aveva veduto la fiakccta di Dome-
nedio. Ed è la sua sepoltura sotto la quercia di Bpgd.
Capitolo XLIX.
Di Geremia profeta e di sua TÌta.
Geremia fu nato di schiatta di profeti. E fu nato
in un castello che avea nome Ànatot, presso a quattro
le^ie a lerusalem. Egli fu profeta in Giudea, e fu sa-
grato. A lui fu comandato da Dio che egli mantenesse
virginitade. Ed egli si fece ndla sua fanciullezza co^
mindare a predicare e trarli del peccato, e conducei4i
a penitenza. Molti mali gli furo fatti dal crudele po-
polo. Egli fu messo in carcere, e fu gittato in un lago,
e fu fatto mordere alli cani. Ed alla fine fu lapidato in
Egitto, e fu seppellito là ove il re Faraone stava, e la
sua sepoltura è in grande riverenza tra quelli d'Egit-
to. Imperciò che egli liberò quelli d' Egitto dai ser-
penti.
latini roì. I. 4
6 a IL TBsoBa
Capitolo L.
Di Ezeehiel profeta e di sua Tita^
Ezechìei vale tanto a dire , quanto forza di Dio. E
fu buono sacerdote e buono profeta. Ma egli fu preso
per Gioachin suo re, e menato in Babilonia. E biar
simò quelli di Babilonia della loro malvagitade. Ma
lo popolo d'Israel Puccisono a tradimento, però die
egli U rìprendea di male cose dbe elfi faceano. E. fii
messo nel sepolcro del figliuolo di Noè, eh' ebbe no-
me Arfasat, nel campo delli morti.
Capitolo LI.
Di Daniel profeta»
Daniel tanto è a dire, quanto gindicìo di Dio, nomo
amabile. Egli fu nato di lignaggio di Giuda. E^snoi
antecessori furo nobili sì come re e sacerdoti. E fa
menato in Babilonia con lo re Gioachino, quando e*
gli fu preso con li tre fanciulli. E là fu egli signore e
prìncipe di tutti i Caldei. Egli fu uomo graziosa e di
gran bellezza. Ebbe un nobile coraggio, e fu perfetto
nella buona fede e in conoscenza di sacre cose. E si
vedea per virtù di Dio quelle che venire doveano.
Capitolo LII.
Di Achias profeta.
Achias profeta della cittade di Elia. Egli disse di
lungo tempo innanzi al re Salomone, eh' egli abbaia*
LIBRO PEIMO. 65
donerebbe la legge di Dio per una femina. E quando
fu morto si fu seppellito in terra, a lato ad una quer^
da in Silo,
Capitolo LIU.
Di laddo profeta.
laddo profeta nacque in Samaria. Egli fu mandato
a leroboam, che sacrificava il vitello a Dio, e fugli
detto che egli dimorasse con lui, ma egli non lo fece.
E per ciò egli avvenne, che quando egli tornava, un
hoDe lo strangdiò, e poi si fu sepolto in Betel
Capitolo LIV.
Di Tobia.
Tobia vale tanto a dire, quanto bene di Dio, e fu
del lignaggio di Neptalim, e nacque della terra di
Chial, e delle regioni di GalQea. Salmanasar lo prese
e perciò fu egli cacciato della città di Nini ve. Egli fu
giw^to in tutte cose. Egli dava ciò che poteva ai po-
veri e' a' prigioni. Egli seppelliva li morti con le sue
mani. Poi acciecò per sterco di rondine, che li venne
negli occhi, ma in fine Dio li rendè la veduta, da ivi
a dieci anni , e dielli grande ricchezza , e quando tu
morto, fu seppellito in Ninive.
64 IL TESOEO.
GAPTtOLO LV.
Delli tre fancioUi che Nabucodònosor fece lùettere
oclk fornace ardente.
Li tre fanciulli furo tutti tre nati di schiatta reale,
e furo di graziosa memoria, e savi di scienza , e par-
lanti della fede diritta. E quando Nabaoodonosor Ir
fece gittare nel mezzo deUa fornace ardente, non ar-*
deano elli niente, anzi si spense 3 fuoco, cantando e
glorificando Domenedio, e non fece loro nuKo nude.
£ quando elli passaro di questa vita, furo seppelliti in
Babilonia , e questi fanciulli erano appellati per loro
nomi Ànanias, Azarias e Misael. Ma poi Nabucodòno-
sor gU appellò Sidrac, Misac e Àbdenago, cioè a dire^
Dìo glorioso e vittorioso sopra li reami.
Capitolo LVI.
Di Eforat profeta.
Eforas vale tanto a dire, quanto edificatore di lenn
salem, e molti dicono che egli ebbe nome Malachiel,
cioè a dire angelo di Dio. Egli fu sacerdote e profeta.
Egli acconciò le storie della santa Scrittura, e fa il ie-
condo uomo che die la legge alla gente dopo MofHS. Egli . ,
rinno vello la legge del vecchio Testamento ch^erastatvijp
arsa per li Caldei al tempo che^ Giudei erano in pri-
gione in Babilonia. Egli trovò le lettere degli Ebrei, e
fìgurolle, e insegnò loro a scrivere per diritto verso,
e lasciare lo sinistro. Che prima iscrivevano ora in-
nanzi ora indietro , sì come fanno li buoi che arano
UBRO PRIMO. 6^
la terra. Egli riinenò il popolo d^ Israel di caltiyitade,
e léce rìfòre lenisalem, e quivi è seppellilo.
Capitolo LVII.
Di Zorobabel e di Neemias profeti.
Zorobabel e Neemias furo dello lignaggio di Giuda,
e furo sacerdoti e profeti. Elli reedificaix) lo tempio
di Dio, nel tempo che Dario figliuolo di Stapis fu re
di Persia. Ellinolfecero rifare le mure di lerusalem, e
rìtomaro Israel nel suo stato, e ristororon li conleni-
menti ddla loro prima r^one de^ sacerdoti, e alla
morte furo seppdUiti in lerusalem.
Capitolo LTIU.
Di Ester regina.
Ester fu reina, e fu figliiiola del frate di Mardocheo,
e fu menata in prigione di lerusalem nella città di
Suzi , e per la sua grande bellezza fu ella menata ad
Leres re di Persia. E sofferse amarlo per lo popolo
salvare, e crucifisse Aman, perchè voleva distruggere
il popolo di Israel, e cosi lo liberò di morte e di sér-
vitude, e poi tu seppellita in Suzi.
Capitolo LIX.
Della valente femina di ludit.
ludit fu una donna vedova figliuola di Meraude
dello lignaggio di Simeone, e fu di grande coraggio,
e più for^e di nullo uomo. Ella non temè niente la
66 IL TESORO.
forza di Oloferne, anzi si mise a rischio di morte, per
scampare lo popolo, e si Tuccise mentre ch'ali dor-
mia senza onta del suo corpo, e portò il capo suo alli
suoi cittadini, per la qual cosa ellino ebbero vittoria
contro a quelli delP oste ^ e visse centocinque anni, e
fu seppellita nella spelonca di Manasse suo marito,
nella città di lusmapulia nella terra di luda in terra
Doctohalim.
Capitolo LX.
Di Zaccaria profeta.
Zaccaria vale tanto a dire, come jnemoria del Si-
gnore Iddio. Egli fu profeta e sacerdote, e fu figliodò
di londe sacerdote, che per soprannome era chiamato
Baracchias, che fu lapidato dal popolo, per lo coman-
damento del re Inda, a lato li altari del tempio. Ma
altri preti lo seppellirò in Giel.
Capitolo LXI.
De^ Maccabei e dì loro TÌta.
Maccabeo vale tanto a dire, quanto nobile trionfìin-
te. Elli furo cinque Maccabei figliuoli di Matatia, e so-
no questi li nomi, Gaddis, Thapi, Abaron, MaooRbeo,
lonatas. Chi vonà sapere le vittorie che ellì ebbero %
sopi*a lo re di Persia, e le grandi osti che elli fecero,
legga le storie della Bibbia, e là le troverà di cosa in
cosa diligentemente.
uUMnnHK 67
Gàntoi4> LXIL
Oci libri M «ecduo TettamcBio.
Ora afabo io coniato de^ santi padri éA Teochio Te-
slaiwnto, e h loro vHa brevemente, ma chi più hr-
gamenle la vorra vedere, rà se ne vada aUa Bibbia ove
è flcritto' fl tutto apertamente. E sappiate che antica-
meole qoando li CUdei presero li Giudei, e che li
nenvo in cattivitrfEfe e in prigioDe, ri foro arsi allora
toni li Ebri ddk veodna legge. ìb Elbras profeta, per
lo JnwyHwnenio del Santo Spirito- quando il popolo
de^CMndei rilomaro di qodla cattivitade, rivelò loro
Ìinalalèg9e,enBsdain scrìtto, e feccia diventidne
vdomi, tod come le lettere sono vènttdoe. Ed allora
soMse lo Uvo di sapiema di Salomone. Ma lo libro
Eulu liailiro scrisse Giesa Sìrac, die 1 parìare latino
ebbe indito inriverenia, però die egli fo somigliante
a Sakmioiie in sdensa. Mia dd libro di Davit e di To^
bia e de* Maccabei, non si sa chi gli scrìsse.
()8 ANNOTAZIONI
ANNOTAZIONI AL LIBRO PRIMO.
Scrivo queste noterei le lontano da ogni pret
ne 3 che ben so di quali sussidii mi sarebbe stato uopo
a Tolere illustrare un libro di tanto viziata lezioney e
ragguardante niente meno che intera la uoiverselita
del sapere. Gioveranno esse bensì a dimostrare eon
quanta timidezza io mi diportassi nel tentare mntatio**
ni in un dettalo di cui non mi si offrivano codici <||K
portuni a consultare, ne altre edizioni, toHe le dde
del i474 ® ^^^ i538, cui non fece che ricopiare h ci-
tata del i555. Ma di ciò credo aver toccato safl&oMiH
temente nella prefezione^ onde che tutto ciò ch'io ne
dicessi in questo luogo sarebbe soverchio. Mi giova
solo avvertire che delle desinenze troppo vicine al dia?
letto veneziano, e delP ortografia, che ho creduto con-
veniente di alterare pressoché ad ogni perìodo, non
fòro cenno minutamente, ma in queMuoghi solamente
che' per la singolarità loro mi sono sembrati meritare
una speciale attenzione, e una volta per tutte in que-
sto avvertimento proemiale. Dicasi il somigliante de'
nomi proprii di personaggi o di contrade, ond'è fittlo
ricordo nel Tesoro, i quali a tutti voler correggere sa-
rebbe fatica disperata : né sola disperata, ma forse al-
cune volte dannosa. E né meno intendo raddrizzare
le storte idee disseminate pel libro, il che stimo egual-
aM UBM» mmo. 69
■lente vaDo^ e per chi n eh gè meàesmoHhoeroen
k fthMi loro, 6 pttdi ^^fanmi #ffoote tanto lemola
per •ttu^nm il 'nsfo. A'priimrìincireiiOTefdiio^ »'
teooadi amtSeu Ghieerca in serBranetlodoCtrìiie ooq-
komtìk d Moolo decsaioiMMio è presomìbQe die noo
alwdiyoabbii pcriUftcilt doltrìoe oppotle «quel-
le del dedmoteno. li baoo senno geniale à hoègr
mmàù Me togaaiom ipeciaK. Kcoqaegto cdh tduet-
■wdentta con eni ho protestato dbe qnefl'oper^
piar ijgnaflrdo » lenyi^ • diepoche
^ooiMpeterieeoQ'eeNiy cDfittdeiBta cpiil wouupt
^^Uk dffltà itaKune^ epoHMui dmeoropeiyiD-
WfiAìo ttmpQj E non dink
I9 peg. 4* -6 ff^ii à'co io mtnU che quesio
Wni ria tnao del mm povero smio.
* <9onr ^eimof n» ItovaDdo coniqpondenli aEa le-
dane ^deSe stampa i535 qoella delle due anteceden-
ti iSoMy 1474? ^'^'^^ "^^ ^ matazione. H senso ci
sta ad ofpai modo.
O^. I9 pag. 5. £ prei^desHi ai monti e alle valli
tecondo dirittura.
' Nd hbro di Boezio non ci ha nulla di ciò. Anche
il prevedere & sospettare errore, ma non avendo an-
lorita akuna che mi confortasse alla correzione^ lasciai
Gap. n, pag. 6. E poi che tfueste tre questioni^ ec.
Ecco fl perìodo quale si legge nelle tre stampe con-
cordi, sciagurata concordia ! E poiché queste tre que-
stiom Jurono trattate e pensate largmnente tra gli
uomini letterati e in trajilosqfi che trosHwano inji-
yo ANiroTAzioin
losqfia loro madre tre principali membri^ doè a dire
tre maniere di scienze, per insegnare e provare la
verace ragione delle tre questioni ch'io haggio divi^
sate qua dinanzi. Ho levato vìa il primo che per ri-
durre il periodo ad un qualche senso ^ avrei potato
similmente levar via P ultimo^ ma né P una, né Paltra
è forse la vera lezione.
Gap. ni, pag. 6. JS un'altra natura è delle cose
che hanno corpo e conversano colle corporali case.
Tutto questo ce lo aggiunsi io, senza che si ìefggà
in nessuna delle tre stampe antiche. Non credo aver
fatto male. Dlcesi indi a poco essere ragionevole cosa
che questa scienza di teoria facesse del suo corpo,
tre altre scienze, per dimostrare le tre diverse mn
tare divisate, quando secondo le tre stampe anzidet-
te le diverse nature divisate sarebbero due. La mia
giunta non ammette nessuna parola nuova, e appunto
questa corrispondenza delle parole medesime rende
presumibilissimo P errore del tipografo. Per poca pra*
tica che si abbia delle tipografìe ciò è manifesto.
Gap. lY, pag. io* JElla è la scienza di cui Tullio
dice nel suo libro, che colui ha altissima cosa can-^
quietata, che passa gli altri uomini, ciò è ad inten-^
dere della parlatura dell' uomo,
n costrutto vacilla, e credo ci abbia a mancare al"
cuna cosa.
Gap. y, pag. IO. Dialettica, Jisica e sofistica, E
indi a poco: la seconda si è Jisica, la quale, ec
NelPun luogo e nelP altro per Jisica intendi meta-'
Jisica, E per quanto i trìvii e quadrivii scolastici del
medio evo differissero dalle partizioni usate da noi
AL LIBRO PRIMO. yi
nello scibile, non credo si possa mai intendere per^*-
sica dò che qui troviamo indicato con tal nome. Non
cangiai tuttavia, perchè concordi le tre edizioni, ripe-
tuta la parola, e senza limiti le inesattezze in certi
tempi
Cap. YI, pag. 11. E questa materia è appellata
hyle.
Voce di greca origine, che Tale limo^ materia^ e al-
tro tale. Se ne & ricordo nelle Confessioni di s. Ago-
stino, lib. Xn, cap. 4-
- Gap. Vii, pag. i5. U altra maniera è, che tutte
le altre cose Jvro fatte d^ alcuna altra materia.
Il^^<n> manca nelP edizione del 1 533 3 ce 1 posi di
tutto buon animo^ avendolo anche risccmtrato in quel»
la del i474-
Cap. Vili, pag. i^.E non pertanto che tutto foce
e tutto creòy e^pub rimutare, ec.
Quest^e^, al quale io posi il segno de' pronomi, po-
trebbe essere particella rafforzativa significante tutta-
via o simile, n senso ci sta ad ogni modo.
Cap. XII, pag. 19. Per ciò eh' e' si assicurò della
signoria, ec.
Chi leggesse cogli occhi solamente nella edizione
i533 stamperebbe eh' essi assicurò, ec. Il cambia-
mento da me fatto mi sembra secondo ragione.
Cap. XVI, pag. 25. Ma della beatitudine si sov-
viene ella per immagine, e d'altre cose per sé me-
desima: se non fosse per lei medesima, ec.
Le antiche stampe hanno medesimo. Ed io ho cam-
biato, quantunque non manchino esempi di consimili
sgrammaticature. Altri cangiamenti di tal genere meno
73 ÀumoTàMion
importanti dod gK aooennerò d'ora inDaDU^ per noo
aumentare soverchio il sopraccarico delle anootaziom.
Cap. Xyn, pag. 24* Salathiel la diede a Dar-
tenia.
La edizionedel i533, e similmente Paltra del iSaS^
hanno D^artenia^ ma la lettera maiuscola data ali* ar-
ticolo, e la minuscola al sostantivo^ mi fiinno sospetta-)
re d'errore^ tanto più die leggo Dartenia nella edi-
zione del i474- Potrebbe forse leggersi ad Artema.
Ma neppur ciò può contentare.
Cap. Xyn, pag. a4- ^^ dieci savi uomini trans-
lataron poi il libro di Solon in la legge di dediti
tanfole,
L'ecGzioni del i533 e i5a8 hanno: ma dieci savi
uomini translataron poi in libro di Solon la legge
di dodici tavole, Qual senso se ne cava ? Panni ra-
gionevole la correzione. La edizione i474 ^ Saion,
in luogo di Solon ^ nel resto come le posteriorL
Cap. XX, pag. 38. Quello Lamech ebbe due mo-
gliy ciò fu Sella e Ada, E di Ada ingenerò lahaL E
labal e coloro che di loro uscirò^ ec.
La stampa del 1 533, e con essa le altre due, por-
tano: ciò fu Cubabel e Anon. Quella Cubabel e
coloro chcy ec. Nomi strani, e sconcordanza tra Cu»
hahel e di loro. Mutai dunque dietro la scorta della
Bibbia. Siccome poi la stranezza dei nomi è frequen-
tissima, mi guarderò dalle mutazioni, tranne in raris-
simi casi, ne' quali fero avvertito il lettore come al
presente.
Cap. XXI, pag. 29. Acciò che le seme degii ani^
mali^ ec.
AL IJBRO PRIMO. ^5
Non SO di seme in genere femminino; tuttavìa non
ToUi cangiare.
Gqp. XXI, pag. 3o. E Noè ingenerò un altro JL-
gìmolo ch^ebbe nome Gionitus,
La Scrittura ne tace^ ne se ne ha vestigio in niun
libro autentico. Solamente un lonitus^ o lonichus è
ricordato da chi dettò un libro sotto il nome di Me-
todio vescovo pratense. Dice costui esser lonitus nato
3 109 anni innanzi disto, e aver ottenuto dal padre
io dominio la terra d^Etan.
Gap. XXI, pag. 3o. JE Cham tenne Africa^ sì
eom^uomo potrà vedere^ ec.
La stampa del 1 533 ha: ^ Cham tenne Àfrica sio-
come potrà vedere^ ec. Cangiai, incoraggiato dalla con-
venienza e dalla stampa del i474 ^^^ porta sichiiomo.
Gap. XXn, pag. 3o. «Sem ingenerò cinque Jigliuor
lij li quali ebbero cosi nome: Elam^ Àzzur^ Ludin^
Aram e Arfasad,
Nella stampa del 1 533, e nelle antecedenti, leggia-*
mo £lemazury con che si fa uno solo dei due primi
figli. E il quinto in allora come si nomina ? Ecco sot-
tigliezza del traduttore, o editore che fosse; nomina-
tine quattro, soggiugne : e un altro del guai non dico
il nome. Questo taccone, frutto evidente dell'igno-
ranza o della negligenza, ho pensato di torlo via af-
fatto. Ne fu questo il solo luogo In cui mi convenisse
tentare sifiàtti tagli. Ne darò sempre avviso. Segue
una litania di nomi spropositati, che lasciai correre
per le ragioni altrove esposte.
Gap. XXIV, pag. 3a. Onde ciascun gomito era
quindici passim E 7 passo era pie.
La/ini. rol 1. 5
74 AlfNOTAZIOm
L^ edizione 1 555,* confoime alle altre due, porta:
onde, ciascun gomito era quindici il passo era pie.
Ho lasciato in bianco le misure. Similmente misi lo
spazio bianco nella linea anteriore, sebbene V edizio-
ni antiche diano netto ciascuna lega era quattro pas-
si. Quattro passi una lega?
Gap. XXT, pag. 54* -^ ancora lo Janna li Giu-
dei. Tale ora fece egli circoncidere^ ec.
Mi sembrava di poter correggere: e ancora lo Jan-
no li Giudei tale. Ora foce egli circoncidere^ ec^
ma non essendo infrequenti gli esempi di cofttFUzìoni
più ancora intralciate della presente, lasciai correre;
Gap. XXY, pag. 34* Che a luijanno l* istorie
capo del primo re.
Costruzione inesatta, ma che lascia tuttavia indo-
vinare il senso, e però lascio stare.
Gap. XXYI, pag. 56. E dopo il re Sileuco regnò
EupateVy ec.
Nella edizione i533 Sileuco è sempre Silebeo^ nò
lo avrei mutato, se l'edizione del i474 iH>n mi desse
Sileuco per l'appunto.
Gap. XXVI, pag. ^37. Stahilio per curatore in
Giudea^ ec.
La edizione i533 ha in cambio di Giudea India.
Io coiTessi V errore evidente, quantunque India leg-
gessero anche le altre due edizioni anteriori, del 1 S%$
e del 1474* Forse India era scritto, secondo erano
chiamati ludH, o %udii in antico i Giudei nel dialet-
to veneziano.
Gap. XXTm, pag. 39. Poi fu il re CertaSy ec.
Nessun lume mi fìi dato ricavare dall'edizioni aiH
AL UBRO ramo. y5
teriorì per la eoofusìone e aiterasìone manifesta dì
nomi che vi ha in tutto questo capitolo.
Gap. X.X.X, pag. 4o. // re di Stiufo, ec.
Ripeto quanto scrìssi ndla nota antecedente, e d'ora
innanri in passi consimili mi starò citto, pr^ando il
lettore di credere che non ho mai lasdato di riscon-
trare neMnoghi dubbi la edizione citata dalla Crusca
coUe antecedenti.
Gap. XXXn, pag. ^n. Del re Torrens nacque
lìuby ec
Il nacque cel posi io^ nessuna edizione ddle tre
da me consnltate lo reca.
Gap. XXXm, pag. 43. Evenne in luogo salsfo.
L^ edizione 1 5 55 ha i^ago con evidente ofièsa del
senso comune. Ho sostituito luogo^ come nell' edizio-
ne dd i474-
Oqp. XXXY, pag. 44* Q^' ^*^ della schiatta del
re éP Inghilterra.
Tanto si può intitolare questo ci^itolo in tal mo-
do, quanto storia di Pilato il simbolo degli Apostoli.
Ma non volli mutare. E siccome non mancano altri
esempi di simili inopportune intitolazioni, intendo die
questa nota abbia a servire per tutte.
Gap. XXXTI, pag. 46. Poi Tarquinus primo re, ec.
L'edizioni antiche hanno concordi Tortunius. Non
ricomparendo questo pazzo nome nel resto dell' o-
pera, ma leggendo visi il proprio di Tarquinus , ho
creduto poter correggere come feci.
Gap. XXXIX, pag. 5o. Che era appellata . . . ec.
Go6Ì partano tutte tre l' edizioni, ne io mi sono at-
tentato d'indovinare per empir la lacuna.
y6 ANlfOTAZIONI
Gap. XL, pag. 5a. Che dodici furo y furo traUt le
dodici schiatte^ ec.
Nella ediz. i553, non meno che nelle due anteSe-
denti, il verbo non è ripetuto. Pensai che fosse errore
tipografico, facilissimo ad avvenire nella ripetizione
della parola stessa. Ma il verbo potrebbe forse anco
nel pnmo caso essere sottinteso.
Gap. XLIV, pag. 55. E nacque, e uccise Golia il
grande gigante, ec.
Pensai a principio che dovesse stare, e nacque che
uccise ec, ma trovando concordi nella lezione citabi
le due antecedenti, non osai metterle mano.
Gap. XLYI, pag. 58. Non menovò la farina della
scodella della poif era f emina, che tanta non ne po~
tea cavare, ec.
Anche qui confusione. Ma come cangiare senza ca*
dere in colpa d^ arbitrio ? Mi basti aver accennato le
mie dubbiezze.
Gap. XLVli, pag. Sg. Ija sua bocca risonò insino
in lerusalem, ec.
Bocca hanno pure P edizioni i528 e 1474? ^ ^
senso ci sta. Pure potrebbe credersi errata la lezio-
ne, e doversi leggere boce al modo antico, che da-
rebbe frase più semplice, e più naturale a questo det-
tato.
Gap. LTn, pag. 65. Li contenimenti della loro
prima regione de* sacerdoti, ec.
La citata ha ragione. Dubitai a principio die stes-
se per guisa, specie^ o simile 5 ma poi mi deliberai
per la correzione, dietro la scorta delle dae edkiom
iSaS, i474'
▲L Luao paiMo. ^^
Gap. LXI, pag. &6, £ sono questi li nomi, ec.
Anche qui, come al cs^. XXII, pag. 3o, il due è
UBO. I dnqae figli, nell^ edizione i533, e nelle due
antecedooti, son quattro: Incanuis, Belemas, Maccch
beo e lanata. £ poi il solito taccone della stessa stoffii
deir altro: delV altro non dico suo nome perché noi
so. Ho tolto Tia il taccone, e corretti i nomi colP aiu-
to della Bibbia.
Gap. LXn, pag. 67. Cltè ^l parlare latino ebbe
molto in rii^renza.
Qui latino merita particolare attenzione. E sareb-
be finrse da aggiugnere ai varii esempi che reca la Cru-
di questo Tocabolo in varii significati
7 8 IL TESORO.
LIBRO SECONDO.
Capitolo I.
Qui comiacia la nuova legge.
A,
ppresso ciò che 1 conto ha detto <klla lesge
vecchia si è bene diritto che dica della nuova , che
cominciò quando Gesù Cristo venne in terra per nói
liberare dalle pene delF inferno e per noi dare para-
diso. Ma innanzi che divìsi altre cose, diviserà egli lo
suo lignaggio e H suo parentado, da parte della sua
madre ^ e poi dirà di ciascheduno discepolo, si com^egli
ha detto de^ santi padri antichi del vecchio Testamen-
to. Noi troviamo nello evangelio di santo Matteo lo
cominciamento della generazione di Gesù Cristo, cioè
d^Abram,che fu prince delli santi padri, che fu nel co-
minciamento della terza etade del secolo; e chi vom
sapere lo nascimento d^Abram egli il troverà qua die-
tro nel conto del primaro uomo e de' Bgliuoli di Noè.
Abram ingenerò Isac. Isac ingenerò lacob. Di lacob
nacque Giuda, e di Giuda nacque Fares, e di Fare»
nacque Esron, e, di Esron nacque Aram, e di Aram
nacque Aminadab, e d^Aminadab nacque Booz, e di
Booz nacque Obet, e di Obet nacque lesse, e di lesse
nacque Davit re, di Davit nacque Salomone, di Salo-
mone nacque Roboam, e. di Roboam nacque Abiam,
IJBRO SECONDO. yq
di Abiam nacque Assa, di Àssa nacque Giosafat, e di
Gio6a&t nacque loras, di loras nacque Gionatam, di
GionataiD nacque ÀtaU e di Atat nacque Ezeehias, di
Ezechias nacque Manasses, di Manasses nacque Amon,
e di Amen nacque Iosia,idi losia nacque leconia, di
leconia nacque Salatici, e di Salatici nacque Zoroba-
bel, di Zorobabel nacque Abiud, di Abiud nacque
Eliachim, dì Eliachim nacque Azor, e di Azor nacque
Sadoch, di Sadoch nacque Achim, di Achim nacque
Eliud, di Eliud nacque Eleazar, e di Eleazar nacque
Matam, di Blatam nacque lacob, e di lacob nacque
Giosef QMrito di santa Maria, della quale nacque Cri-,
cto Gresu nostro Signore. E sappiate che tutte ge-
neiwoai d' Abram insiao a Cristo furo ventiaove.
E fé alcqiio domandasse perchè la scrittura divisa il
parentado di Giosef, poi che egli non fu padre di
CrìstOy che Gesù Cristo era e sarà Iddio vivo e vero,
e Giotef non gli appartegneva nulla, fuori ch^era ma-
rito di santa Maria, senza nullo carnale assembiamea-
to, e che non divisa il parentado di santa Maria sua
madre; io li direi, che nella vecchia legge, li Ebrei
non maritavano loro femine che elli non mettessero
in iscritto loro parentado, ed anche lo fanno li Giudei
che sono al nostro tempo. E alla verità dire, santa
Maria fu di quello parentado stesso, da parte del suo
padre. Ma gli antichi Giudei non mettevano in scrìtto
le Cernine, anzi gli uomini solamente, e per ciò che
santa Maria non ebbe frate carnale, sì misero il li-
gnaggio di SDO maiitO) che fu tutto uno con quello di
santa Maria, e perciò la storia nomina Giosef, e non
la sua moglie, che il lignaggio delFuomo è più degno
8o IL TESORO.
che quello della femina 3 e non riman'à però ch^ io
non dica un poco del parentado di santa Maria dal
lato di sua madie, in tal maniera che ciascuno potrà
sapere li parenti e li cugini di Gesù Crbto.
Capitolo IL
Qui dice del parentado di nostra Donna dalla {>arta
di sua madre.
Or dice lo con^o^ che Anna e Smerìa furon due
suore carnali. Di questa Smerìa nacque Elisabet e
Eliud , che fu fratello d' Elisabet. Di Eliud nacque
Eminan. Di Eminan nacque santo Cervagio, di cui lo
corpo giace in terra disopra lo verceri d' Egitto. Di
Elisabet moglie di Zaccaiìa sacerdote nacque santo
Giovanni Battista. Dell^ altra suora, cioè Anna moglie
di Gioachino, nacque santa Maria madre di G^ù
Cristo. E quando Gioachin suo marito fu morto, An*
na si rimarìtò a Cleofa, e santa Maria sua figHuc^ db-
posò a Gipsef frate di Cleofa, ch^ è detto. E di Anna
nacque Y altra Maria, che fu moglie di Alfeo, di cui
nacque Iacopo Alfeo, eh' è la sua festa per calende di
maggio, e Giosef, e Simone, e Tadeo. Per ciò dicmio
li vangelisti Iacopo Alfeo, cioè figliuolo d' Alfeo, e
la sua madre è appellata Mai*ia di Iacopo, per ciò che
ella è sua madre. Altresì la fu appellata madre di GixH
se^ e tutto questo avviene per diversità delli vango*
lii. Quando Cleofa fu morto, Anna si maritò a Salome
di cui nacque P altra Maria, di cui nacque Giovanni
evangelista, e Iacopo suo frate, e per ciò ella è appel-
lata Maria Salome, ciò è per lo suo padre. Anoora è
LIBRO SECONDO. 8l
ella appellata madre de' figliuoli di Zebedeo, per le
diversitadi di Tangeli, e cosi potete vedere che Anna
ebbe tre mariti^ e di dascano ebbe una jQgliuola gp-
pdlata Maria , e così furono tre Marie. La prima fu
Blarta madre di (xesùu La seconda fu madre di Iaco-
po e di 6iose£ La terza fìi madre dell' altro Iacopo,
e di Giovanni vangelista.
Capitolo m.
]Mk prima santa Haria madre di Cristo.
La prima Maria figliuola di Gioachin, della schiatta
dì Davit. Lo suo nome vale tanto a dire, come stella
di mare^ e donna, e chiarezza, e luminare. L' angelo
Gabriel la salutò, e le annunziò che Dio prenderebbe
carne in lei, ed all'ora medesima le disse egli, che Eli-
sabet sua cognata era pregna di sei mesi, e che ella
avrdsbe figliuolo. L' angelo disse tali parole d' Elisa-
bet, perchè la nostra Donna si maravigliò, perchè non
avea cognosciuto uomo , sì come ella medesima disse
all'angelo. Ed Elisabet non aveva mai portati fi-
gliuoli^ e perciò ch'ella era sterile, e dall'altra parte
era dia sì vecchia che secondo natura ella non potea
fare figliuoli, che ella si assicurasse^ e che ella cre-
desse, che a Dio non è impossibile nulla cosa. Ed a
queste parole la nostra Donna credette veracemente,
e si umiliò molto foite. E rispose all'angelo e disse,
che era ancilla di Dio , e che fosse di lei secondo la
sua parola. E sappiate che la . nostra Donna morì al
secolo corporalmente, e portaronla gli Apostoli a sep-
pellire nella valle di Giosa&it facendo sì grandi li canti
r>»
82 IL TESORO.
li angioli in cielo , che non si potrebbe né dire ne
contare, e quel canto udirono K Apostoli, e molti altri
per lo universo mondo. Ma poi ch'ala fa seppellita,
al terzo cU, li Apostoli non vi trovaro il ooipo suo.
Onde doTemo credere, che Domenedio la resuscitò,
ed è con lui nella gloria del paradisa.
•
Capitolo IV.
Di santo Giotanni Battifta.
Elisabet, cugina di nostra Donna, ingenero di ZacoH
ria suo marito uno figliuolo, chiamato GioYannì. £
quelli fu annunciatore di Gresù Cristo, e fu la fine
delti profeti. E profetò Iddio anzi ch^ e^ nascesse. E
salutoUo dentro del corpo della sua madre. Egli mo-
strò Cristo a dito e disse, eh' egli era F agnello di Dio
che tollera il peccato del mondo. E^i il conobbe
quand'egli il battezzò, quand'egli disse : come t'oserò
io toccare la testa con le mie mani ? Egli vide la co»
lomba bianca sopra la sua testa, allora eh' egli lo bat-
tezzò. Egli udì la voce di Dio padre, che testimoniò^
come egli era lo suo diletto figliuolo^ sì come l'evan-
gelio lo dice apertamente. Egli menò la più aspra vi-
ta, che giammai menasse uomo, eh' egli andava ve»
slito di panno di pelo di cammello^ e mangictv» mele
salvatiche e locuste, e abitava nel diserto solo tema-
compagnia. Alla fine uscì del diserto, e andava predi-'
rando lo battesimo e la penitenza. Ma &ode re, che
ancora era re di quel paese per li Romani, se 1 prese
e miselo in carcere^ perciò ch'egli lo riprese del^
la moglie del suo frate Filippo, cui egli teneva car-
UMO SECONDO. 85
naimente. Un giorno te figliuola di questo Eix>de bai*
lava iti— nfi a questo Erode suo padre, e fece assai
gìoooo 6 soUaoxk Or (nacque tanto a Erode, eh' egli
disse: se ta dimanderai eziandio la metà del mio re»-
me, si r avrai. Allora ella lo disse alla madre, ed ella,
che odkva Giovanni Battista perchè aveva biasmato
Erode, che la tenea contra ragione, sì disse : chiedi
Io capo di Giovanni, e portalo a me. Ed ella sì glie
lo mandò immantinente, che Erode sì glie lo tolse. E
iu sepolto in Sebastia di Palestina, la quale città fu
già appellata Sammaria, e fecda Erode, e Antipater la
appdHava Angusta in Greco, per revei-enza di Cesare
Angosto, che fu il secondo imperadore di Roma.
CupiToiiO y.
Di Giacopo iJfeo apostolo.
Giaoopo Alfeo apostcdo si fìie figliuolo della secon-
da Maria, suora della madre di Cristo, e però fu ap-
pellato frate di Cristo in soprannome, ch^egli lo so-
megliava fortemente. Lo suo nome vale tanto a dii'e
quanto Giusto. E'oon era chiamato in soprannome al-
cuna fiata. Egli fu vescovo di lerusalem, e fu dì sì
alte virtudi, che a schiera andava il popolo per toc-
carli lo dosso ^ e alla fine li Giudei Puccisono crudel-
mente, e fii seppellito allato al tempio, e dicono molti,
che per quella cagione lerusalem fu distrutta. Che da
ivi a certo tempo vi vennero di Roma due impera-
dori Tito e Tespasiano, eh' era Tuno pad]*e, e F al»
tro figliuolo, con grandissima gente, e assediaro leru-
salem quattro anni, e condusserli a (al fame^, che la
84 IL TESORO.
madre nianìcò il figliuolo, e alla fine li presero, e fe«
cero di loro granale uccisione, e grande strano. Che
sì come Iddio fu venduto trenta danari, cosi ne die*
dero ellino trenta a danaro. E la festa del suo nasci*
mento, cioè della sua fìne, che la fine de' santi è det-<
la nascimento, fu per calende di maggio.
Capitolo VL
Di Giuda apostolo frate di Giacopo.
Giuda fu frate di quesU) Giacopo, e chi lo chiama
Tadeo. Egli fu de' dodici apostoli, e frate di Dio. E-
gli andò a predicare lo evangelio in Mesopotamia, e
in Pontea, e converti quelle crudeli genti e malvage
che v'erano, e alla fine fu martoriato, e ucciso, e poi
fu seppellito nella città di Ninive, che ha nome Er^^
con, cinque giorni innanzi la festa di tutti li santL
Capitolo VII.
Di santo GioTanni apostolo e rangelista.
Giovanni evangelista fu figliuole^ di Zebedeo della
terza Maria, e fu frate di Giacopo. H suo nome vai
tanto a dire, come grazia di Dio. Questo Giovanni
evangelista si è figura e similitudine d' angelo, e so^
prastette tutti gli altri in altezza. Che allora eh' egli
si riposò in sul petto di Cristo, allora beve egli, come
d' un fonte, della divinità di Dio, e della sottigliezza
del vangelio. Iddio P amò molto, che in fra gli altri
discepoli raccomandò a lui solo la madre sua quando
ogli pendea in su la croce inchiavellato. E quando e-
LIBRO SECONDO. 85
gli fu scacciato nell'isola di PaUnos,'sì fece egli lo lì»
bfo, dw sì diiama lo Apocalipsi, e poi che PimpenH
dorè Domiziaiio mori, quegli che lui iscacdò, egli se
ne partì, e vennene in Efeso, e là fece egli lo direta-
no vangelo. Lì suoi miracoli furo colali eh' egli mutò
le verghe del bosco in fino oro, e fece le pietre del-
l'acqua corrente preziose. Una donna vedova eh' era
morta risuscitò, e dò fece egli per la preghiera del
popolo^ e andìe resuscitò uno giovane, ch'era morto.
E^ beve il veleno senza alcuno danno. E suscitò un
uomo, dì' era morto di quel medesimo veleno. E sap-
piate dì' egli vìsse novantanove anni. E quando ven-
ne al morire, si entrò vivo nella sepoltura. E ivi si
corìoò come in uno letto. E dò fu alli sessantasetle
anni dopo la passione di Gresù Oìsto. Onde dicono
molti, eh' egli non morì giammai, anzi si riposa dor-
mendo nd monimento. Che uomo vede manifesta»
mente queUo luogo ov' egli si mbe crollare e move-
re lo suo sepolcro in suso, e levare la polvere in alto
sì come per ispiramento d'uomo che vi fosse dentro.
E sappiate ch'egli si coricò in questa maniera che'l
conto ha divisato. La festa sua si è a' dì sei presso ad
anno nuovo. Cioè due dì dopo la nativitade di Cri-
sto Gesù.
Capitolo Vili.
Di Iacopo Zebedeo apostolo.
Iacopo figliuolo di Zebedeo fu fì*ate di questo Gio-
vanni, dì cui detto disopra. E fu anche de' dodici apo-
stoli Egli scrisse le epistole alli dodid lignaggi, che
sono nella diversità del mondo. Egli predicò il van-
-i
86 IL TESORO.
gelo nelle parti di Spegna e nelle parti verso Occi-
dente. Poi Erode crudelissimo lo fece uccidere con
uno coltello, sette giorni anzi calendi dì agosto.
GìlPITOLO IX.
Di santo Pietro apostolo.
Pietro ebbe due nomi : ch^ egli ebbe nome Simon
Pietro e Simon Bariona. Simon tanto è a dire, come
obbediente. Per ciò ch'egli ubbidì bene a Dio 5 che
quando egli gli dissìe, seguiscimi, io ti farò pescatore
d\ioinini, egli tanto tosto lassò le reti, e seguì luL E
anche Pietro tanto vale a dire, quanto conoscente, per
ciò eh' egli conobbe Iddio, quando egli disse : tu se'
Cristo figliuolo di Dio vivo. Egli nacque inGralilea, in
una villa che ha nome Betsaida. Egli è il fimlamento
della pietra, che 'l nostro Signore li disse: sopra que-
sta pietra fonderò io la chiesa mia. Egli fu principe
delli Apostoli. Egli fu il primo confessatore, e disce-
polo di Cristo. Egli tiene le chiavi del cielo^ qoanck)
il nostro Signore li disse: io ti darò le chiavt del
lo 3 che colui che tu ligarai in terra, sera ligato in àn
lo, e colui cui tu iscioglierai in terra, sarà sciolto in
cielo. Egli predicò lo vangelo in Mesopotamia, in Grft-
lilea, in Bitinta, in Asia e in Italia. Egli andò per lo
mare con li suoi piedi, come per terra. Egli risuscitò
morti solamente con la sua ombra, quando passò ap-
presso ad essi. Egli risuscitò una femina vedova da
morte. Egli resuscitò un fanciullo eh' era stato mor-
to di quattordici anni passati. Egli fece inghiottire al-
la ten-a Naman. E fece cadere a terra Simone mago,
LIBKO SBCOKDO. 87
che 1 portavano li diaT<^ per suo incantamento Ter-
so lo cieio. Egli tenne P officio del pontificato sette
anni in Antìodii% e venticinqae anni fu sonnno pon-
tifice in Roma. Ma alla fine Nerone imperadore lo
fece cmcìfiggeré, col capo di sotto e^ piedi di sopra.
Egli vìsse trentaotf' anni^ dopo la passione di Cristo,
e due giorni ed un mese, e alP uscita di giogno rendè
lo girilo a Dk>. E fa sepolto in Roma, in verso il
sole levante.
CAFrroLo X.
Di santo Paulo apostolo.
Pàolo Ifàìe tanto a dire, come meraviglioso. Che in
prìmieranaente egli aveva nome Saulo. Egli fu angelo
tra g(ti nomini, e avvocato delli Giudei; e quando Id*
dio lo chiamò, egli cadde in terra, e perde la viste
detti occhi. Ma egli vide la volontà di Dio, e l^ ve»
rìtà. Egli per volere di Dio riebbe la sua vista. E co^
me egli era prima persecutore della chiesa, così fue
poi vasello di elezione. Egli fue lo più novello intra
li apostoli, ma in predicazione fu egli lo primo el so-
vrano. E fu nato in Giudea, della schiatta di Beniamin,
e fu battezzato due di appresso alF ascensione di Cri-*
sto. Egli predicò da lerosalem infino in Spagna, e
jjer tutta Italia, ed a molti scoperse lo nome di Dio
che non lo sapeano. Lo nostro Signore gli mostrò
grande partita del suo segreto, eh' egli fu portato in-
fino al terzo cielo. E dic^ che vide tali cose, che non
è convenevole a parlarle agli uomini. Egli risuscitò
un &nte, ch'era morto. Egli fece avocolare, o ver par-
lare una imagine. Egli liberò molti nomini e femine^
88 IL TESORO.
li quali erano indemoniati. Egli sanò Basii. Egli non
temette li morsi della vipera, anzi gli. ardea col fuo-
co. Egli sanò per la sua orazione lo padre di Basii
delia febbre. Egli convertio alla fede cristiana uno
grande filosofo in Grecia, lo quale avea nome Dio-
nbio, che fu poi martoriato in Francia predicando ed
esaltando il nome dì Gesù Cristo. Egli sofferse per lo
nome di Cristo ùme^ sete e nuditade. Egli dimorò nel
profondo del mare un giorno e una notte. Egli sof-
ferse la rabbia delle bestie salvatiche, e molti freddi
e tormenti di carcere. Li Giudei lo tradirono, e vol-
sero lapidarlo. Egli fu incarcerato in una prigione,
ond' egli fu deliberato, e messo fuori del muro in una
sporta. Alla fine lo fece Nerone imperadore dicolla-
re in Roma, e ciò fu il dì medesimo, che san Pietro
fu crocifisso.
CjLPrroLo XI.
Di Muto Andrea apostolo.
Andrea vale tanto a dire in greco, quanto bello, o
fortezza. Egli fue lo secondo in tra gli apostoli Egli
predicò in Acaia, e là fu egli crocifisso, quando egli
avea già fatti molti miracoli, come è di morti susci-
tare, e d' altre infermitade sanare, che sarebbe lungo
a contarlo. Egli morì il secondo di di novembre. Il
suo sepolcro si è a Patrasso.
Limo SECONDO. 89
Cartolo XII.
Di santo Filippo apottolo.
Filippo tanto vaie a dire, come bocca di lampanai
e fu nato in quella medesima città, che Pietro. Egli
predicò da Gralilea, infino entro al mare Oceano. Ài"
la fine fu e^ lapidato, e crocifisso in Girolfe, ch^ è
una citta d^ Àfìrica, e ivi morì egli, lo primo di di
BiaiffpOj e fu seppellito col suo figliuolo.
Capitolo Xm.
Di unto Tomaso apostolo.
•
Tomaso vale tanto a dire, come abisso, ed ebbe in
soprannome Didimo, che vale tanto a dire come dot^
tante, o ver gemdlo, ch'egli dottò, e temè della resur-
rezione di Cristo in sino a tanto che mise le mani nel-
le sue piaghe. Egli predicò in India, in Media, in Per^
sia, ed in Media e in Giudea verso Oriente. Alla fi-
ne fu egli ferito di lance, tanto che morì M secondo dì
all' uscita di decembre, in una città d' India, che avea
nome Calamia, e là fii egH seppellito per li cristiani
onorevolmente.
Capitolo XIV.
Dì santo Bartolomeo apostolo.
Bartolomeo predicò inlra Giudei, etranslatò li van**
geli di greco in loro lingua, ed alla fine fu scorticato
per la grande invidia delli barbari.
90 IL TESOBO.
Capitolo XV.
Di tanto Matt«Q tpotlola
Itfalteo apostolo e vangelista ebbe in sopraDoome
Levi. Egli fece il suo vangelo in Giudea. Poi pred^
oò egli in Macedonia, e sofferì martirio in Persia, e
fu morto alli monti delli pastori, dieci dì airuràa (^
settembre.
Capitolo XVI.
Di Mnto Mattia apottolo.
Mattia fu uno de^ settantadue discepoli; ma poi fu
messo uno delli dodici apostoli, in luogo di Giuda tra-
ditore, di colui che tradì il nostro Signore. £^ pre-
dicò a^ Giudei, e la festa sua si è cinque dì all^ uscita
di febbraio.
Capitoijo XVH.
Di santo Simone apostolo.
Simone Zelot vale tanto a dire, come cananeo, o
possessione. Molti dicono ch^ egli fu pare di Pietro
in conoscenza e in onore. Ch' egli tenne la dignitade
in Egitto. Dopo la morte di Giacopo Alfeo, egli fu
vescovo di lerusalem, ed alla fine fu egli crocifisso.
Il suo corpo è a Soffre. E la sua nativitade è cinque
dì innanzi Ognisanti.
9»
lAHft tate v«b « din^ 41W1I0 im^^
B«Bv "ferità din, ^AiInioiio fisico^ e mollò aep*
^ kernel «MÌifiiin; e fa aito dfe Siiii, «itt^Kao di
^<iofhM E|^:iip|^ beaetaaiIitaPi 9 ^fcoofrio di
y^aohlrtmowlhìdCTiio JhiedbefbpfOMlN%e^<^
nen-tqppe ft linginggi^ dA EbicL Ma egK fa
polo di Paulo apoil(]t|Q| e semprQ ìo aoconqpagnò^ e
■ìnri d* etade di ottanlidóe amn, e fa seppdUito in
■allBBia «* tradiddà «Smmì (%ni«^ Ha ^
Àfav» portate jnGoitairtinopofiiid tempo deik> in^
p«Éte,€oitaftnuu : Ó-. '.
CAnKMLoXDL
IH HiiTO emiftli^.
Marco tanto yale a dire, come grande. Egli fa fr*
glìolo di Pietro in J^a^tesìmo, e fa suo discepolo. Però
dioone molti, che A suo vangelo fa dettato per bocca
di Pietro in una chiesa d^Egitto, e mori nel tempo
di "SetQO» imperadore a^ di sei innanzi alP uscita d^ a-
prile.
Capitolo XX.
Di tanto BarnalM.
BaniaiMi ayeTa nome in prìmieraniente losef^ che
vaie tanto a dire, come fedele. Egli fa nato in Cipri,
e lenoe lo apostolato con PmiUk. Pòi b lasciò, e ao*
93 IL TESORO.
dò predicando. La festa della sua natività si è undici
di air entrata di giugno.
Capitolo XXI.
Di Timoteo diteepolo di nnto PauIo.
Timoteo fu deMue discepoli di Paulo, e insino pÌD*
colino lo menò con seco. Egli 1 battezzo, e guardò la
sua virginitade, e fu nato della città' di Lbtoneis, e fo
seppellito in Efeso, dieci di all^ uscita d'agosto. .
«
Capitolo XXIL
Di Tito discepolo di unto Fkulo.
Tito fu discepolo di santo Paulo, e suo figliuolo di
battesimo^ e fu nato di Grecia, e fu solamente circon-
ciso per mano di Paulo. E poi ch'egli V insegnò li e-
yangeli, egli lo lasciò per distruggere gP idoli di Gre-
cia, e per edificare le chiese. E là morL Ma egli fa
poi seppellito in Persia.
CiprroLO XXin.
Delubri del Tetunwnto naoTO.
Ora v' ho io contato li maestri del nuoTO Testa-
mento. E sappiate che li vangeli furo fatti per lì quat-
tro vangelisti. Ma Paulo fece sue pistole 5 onde e|^
ne mandò sette a certe contrade e città. Le altre man»
dò a' suoi discepoli, sì come fu Timoteo e Tito e P(k-
lomeo. Ma di quelle che furono mandate alli Ebra,
li Latini ne sono in discordia. Che alcuni dicono che
Lino SECONDO. 93
Barnaba le fece, ed altri dicono che le fece Ghìmento.
Pietro fece dne pistole in suo nome. Iacopo fece la
sua. Giovanni ne fece tre pistole. Ma alcuni dicono,
die un prete, ch^ ebbe nome Giovanni, ne fece due
di qadUie tre. Giuda fece la sua, ma non intendete
Giuda Scarìotto traditore, anzi fu Giuda fratello di
Iacopo Àlfeo. Luca vangdista scrisse le vite degli a-
postbB, secondo quello che egli vide ed uc^ Giovan*-
ni iscrìsse il libro dell^Apocalissi, nell^ isola di Patmos.
GascoDO di loro scrisse per imo inspiramento,che elli
oirdinaro tutto come noi dovessimo vivere. E sappiate
die fi comandamenti della legge, che Iddio die a
Moises, fiinm dieci. Li quali vuole ch^ essi debbano
tenere e osservare per tutte genti cristiane. Lo primo
dice: annte un solo Dia Lo secondo dice: non ri-
cordare il nome dd tuo Dio in vano. Lo terzo dice :
sacrìBca lo di di Dio, dò s^ intende guardare e ono-
rare lo di della domenica. Lo quarto : onora lo tuo
padre e la tua madre. Lo quinto ì non £u:e adulterio.
Lo sesto: non uccidere. Lo settimo dice: non furare.
L'ottavo dice: non fare falsitade. Lo nono dice: non
desiderare le cose del tuo prossimo. Lo decimo dice:
non desiderare la moglie del tuo prossimo. Tutto sie-
no questi comandamenti divisi in dieci parti, lo nostro
Signore Gresù Cristo li comprese in due solamente,
quando disse nel vangelo : ama lo tuo Iddio di tutto
lo tuo cuore, di tutta la tua anima e dì tutta la tua
mente. E questo h lo primo e'I maggiore romandaraen-
to. Il secondo è: ama il prossimo come te medesi-
mo. E poi disse: in questi due comandamenti pende
tutta la leg^e e tutte le profezie. Un altro comanda-
94 U' TBSOAO.
meato è neHa santa Scrittura, <ke comprende aitrcsi
tutti li altri, cioè: UiBcìale lo male, e fate lo bene. Ed
un sdtro a' è timìgUante a questo, che dioe cosi : quello
che tu non tuoIì che sia fatto a (e, noi hre tu ad al*^
truL Qui si tace lo conto di parlare piò la TÌta de^ pa-
dri del nuoTO Testamento e delli altri E tornerà alla
sua materia là oTe lascio Crfuiio Cesare e Ottaviano,
die Atfo U primi imperadorì di Roma.
Capitolo XXIY.
Qui dice come la nuova legge fa cominciata.
Qui òkx il conto che 1 nostro Signore Gesù Cristo
Tenne in questo secolo per ricomperare Pcunana-ge^
neratione della servitudine in che elia tOL drili de^
moni dellMnfemo. E ciò fu al tempo d^ Ottaviano bii-
peradore di Roma. E sappiate che 1 primo anno del
«uo nascimento, li tre re lo vennero adorare. E al
terzo anno furo dicollati li fenciulti innocenti; e la
nostra Donna con Giosef e col fenciullo beato si «t fìi^
giro di Betleem in Egitto, per paura d'Erode, dbe 1
voleva uccidere, e quivi dimorò sette anni Poi morto
Erode si tamaro a Nacaret, la cittade onde nostra
Donna fìi nata, e salutata dalPangelo Gabriello. £ poi
che 'i nostro Signore ebbe dodici anni d'etade, fa «gli
al tempio in lerusalem, ove egli mostrò la sua sapiaiH
Ea, che tutti ii maestri del tempio se ne maravegli»»
rono, e aUi trenta anni fu egli battexsato. Ed aUon
cominciò egli a predicare la nuova legge aUa dbritta
credenza, ed alla oonesoenza della diritta e santa to»
rilade, cioè a dire, la unita delle tre persone, del Fa-
LIB&O SBOORDO. 95
dre, del F%lhio]o e dello Spirito santo. Al Padre è
attribuita la potenza, al FigUnolo la sapienza, ed allo
Spirito santo la benivolenza. Però dovemo credere
fermamente die queste tre persone sono una sostai>-
za, la quale è del tutto potente, del tutto sapiente e
del tutto beniYolente. Quando lo nostro Signore fu in
etade di trentadue anni e mezzo egli fu morto per li
Giudei, per lo tradimento del suo discepolo, secondo
die ^ vangelo testimonia. £ cosi fu il nostro Signore
Gesù Cristo vescoTo apostolico, insegnatore e maestro
ddla santa legge, e ddla santa scrittura. £ quando il
nostro Signore Gresù Giisto se ne andò in cielo egli
lasciò santo Pietro suo vicario, in luogo di lui, e dielli
polere di legare e di scic^liere gli uomini e le femine
in terra. £ così tenne santo Pietro quattro anni la se-
dia pontificale ndle parti d' Oriente. £ poi se ne
renne in Antiochia, e fuvvi tcscoyo e papa sette anni
E là predicò e mostrò alle genti la legge di Gresù Cri-
sto^ e fi fu maestro e vescovo di tutti cristiani venti-
dnqne anni, sette mesi e sette dì, insino al tempo di
Nerone imperadore, che per la sua grande ciiideltade,
lo fece crocifiggere, e fece dicollare santo Paulo, tutto
in un giorno. £ quando santo Pietro venne a morte,
^Hii ordinò un suo discepolo, che avea nome Ghimen-
to, a tenere la cattedra in suo luogo dopo di lui. Ma
egli non la volle tenere, anzi constituì Lino suo com*
pagno, die la tenne tanto quanto egli visse. E poi con*
stitui egli Cleto, che altresì tennela tutta sua vita.
£ quando ellino furono morti amendue , Chimeuto
stesso, che detto è di sopra, la tenne, e fu apostolico
di Roma^ e ciò fu appresso la molte di Tito impei a-
i
gS IL TESORO.
dorè di Roma, e fu quel Tito medesimo che al ten^
di Vespasiano suo padre, che regnò appresso a Nero-
ne, e conquistò la città di lerusalem, e uccise li Giu-
dei, e r^nò dopo la passione di Cristo quarant'amù.
Capitolo XXV.
Come santa Chiesa innalzò nel tempo di unto Silfestro.
E per do che la natura non sofferà, come che V uo-
mo sia grande ed abbia alta dignitade, che egli tra-
passi il dì della sua fine, convenne che gV imperadorì
di Roma andassero alla morte, ed altri fossero riposti
in loro luogo. E però che la legge de^ cristiani era iu>*
yellamente venuta, sì che V uno era in paura e in dub»
bio e r altro era iscredente, avvenne molte fiate, che
gV imperadori e gli altri che governavano le dttadi &-
cevano persecuzione contra li cristiani, e facevanli so-
stenere diversi tormenti e duri, infino al tempo del
buono Costantino imperadore, e che Silvestro fìi fiitto
vescovo ed apostolico de^ Romani. £ sappiate che do-
po Cristo Gesù e dopo Giulio Cesare, infino a questo
Costantino, erano stati trentacinque imperadorì. Or
avvenne che papa Silvestro con molti altri cristiani
erano fuggiti, per cessare la persecuzione, su in una
alta montagna. £ Costantino imperadore, che allora
era infermo di lebbra, sì mandò per lui, per quello
che egli aveva tidito di lui e de' suoi ante«*e88orì|
e volea udire lo suo consiglio, E sì andò la cosa in-
nanzi che Silvestro il battezzò, secondo la fede delti
cristiani, e mondollo della sua lebbra. E battesato
egli, tutti li suoi fecero il simigliante. E per esallart
LORO SECONDO. 97
egiì il nome di Gesù Cristo, diede egli a santa Chiesa
tutte le imperiali dignitadi eh' ella ha. £ ciò fu fatto
neiranno della incarnazione di Cristo nostro Signore
trecentotrentatre anni. E già era trovata la santa Croce
di poco dinanzi. Ed allora se n' andò Costantino in
Grecia ad una ricca teiTa, che avea nome Bisanzio, e
fecela pnì grande e migliore che non era. E volse che
la fosse chiamata Costantinopoli per lo suo nome. E
tenne quello imperio che noi sottomise all' apostolico,
sì come fece quello di Roma. E sappiate che la perse-
emione delli cristiani durò infino al tempo di questo
Silvestro papa, che detto è. E però santificaro molti
apostolici innanzi a lui, perchè sofferironò martini e
tormenti per mantenere la diritta fede. Ma quando
rimperadcnre Costantino die sì grande onore a Silve^
stro e alli pastori di santa Chiesa, tutte le persecuzioni
foroao finite. Ma allora cominciaro gli errori delli ere-
tici, e divisersi contro a Silvestro molti imperadori
appresso. E specialmente li re di Lombardia furo
corrotti di mala credenza , infino al tempo di Giusti-
niano, che fu di molto senno e di grande avvediraen-'
to. Che egli abbreviò la legge del codico, e dello di-
gesto, che in prima era in tanta confusione che nulla
persona ne poteva venire a capo. E tutto al comiu-
ciamento delli enori delli eretici, al fine riconobbe lo
suo errore, per lo consiglio di Agabito, che allora era
apostolico. Ed allora fu la cristiana legge confermata,
e dannata la miscredente e li eretici, secondo l'uomo
puote vedere scritto nel libro delle leggi che egli fece.
Egli regnò trentaott' anni. E sappiate che innanzi lui
erano stati diciassette imperadori in Roma, ìnfino a
Latini. Fol. I. 6
9^ IL TESORO.
Costantino che ne fu imperadore. £ da Sìlvesti'o iniV-
no a questo Agabilo furono diciassette apostolici.
Capitolo XX VT^
€ome la chiesa di Rona innalzò.
D^ allora innanzi crebbe la forza della chiesa dap"
presso e da lunga di là dal mare e di qua infino al
tempo d^Eraculo che fu imperadore dopo la incarna-
zione settecentoTentotto anni. £ regnò trentun anno,
da Costantino e lui. Il suo figliuolo regnò dopo lui.
Al tempo loro li Saracini di Persia ebbero grande
forza contra li cristiani, e guastarono lerusalem, ed
arsero le chiese, e portarono lo legno della santa Cro^
ce, e menaronne il patriarca e molti altri in prigione^
Ma £raculo v^andò alla fine con oste e uccise il re di
Persia^ e menonne li prigioni, e la saiita Croce ritornò
in lerusalem onoratamente, e sottomise li Persiani al*
la legge di Roma. Poi vi fu il malvagio predicatore di
Macometto che li trasse della fede, e miseli in errore
malvagio,
Capitolo XXVII.
Come il re di Francia fu imperadore di Roma.
Ora avvenne, come piacqtfe al nostro Sonore, che
la Chiesa innalzò di giorno in giorno, e ciò fu per b
forza e per la signoria che fu acquistata nel tempo di
santo Silvestro papa^ E gPimperadori che furono do-*
pò Costantino non furono si dolci, né sì dì buon aere^
come fu egli 3 anzi avrebbero volentieri ricoveratp eia
che Costantino aveva dato, se eglino avessero avuto
UBRO SECONDO. gg
\o potere. Ma Iddio non sofferse niente, e non pote-
itmo venire a loro intenzione. Or avvenne cosa, che
gP imperadorì che furono dopo Costantino quale di-
venne buono e quale malvagio, e teneano Funo im-
perio e Pakro, cioè quel di Roma e quello di Costan-
tinopoli, e durò infìno al tempo di Leone imperadore
e Costantino suo figliuola Quello Leone imperadore
prese tutte le imagini delle chiese di Roma e portolle
tutte in Costantinopoli, per dispetto dell^apostolico, e
fecele ardere in fuoco. £ fece allora giura con kii Con>^
k)fre re de' Lombardi, però che Stefano ch'era papa
allora gli aveva iscomunicati però che Leone impe-
radore gH aveva tolta Puglia ed Italia, che dovevano
essere di santa Chiesa. E quando l'apostolico vide che
non poteva avere contra a loro lunga durata, egli se
n'andò in Francia al buono Pipino dt'era allora re
di Francia, e eonsecrò lui e suoi figliuoli ad essei'e
tutto tempo re di Francia. E maladisse e scomunicò
tutti quelli che mai fossero re d'altro lignaggio, che
di quelli di Pipino. Poi se n' andò il papa e il re con
tutto lo suo oste in Lombardia . E combattè con
Conlofre re de' Lombardi , tanto che egli lo vinse, e
feceli fare V emendo a santa Chiesa, secondo che 'l
papa e suoi frali li volsero comandare, e per forza
fu istabilito lo reame di Paglia del patrimonio di
santo Piero in quella maniera eh' elli divisero. Ma
quando Pipinp se ne fu andato nel suo paese, non
dimorò molto che Costantino figliuolo di Leone im^
peradore, quando fu imperadore, dopo la morte del
suo padre, fece peggio che egli mai potè contra a santa
Chiesa di Roma. E Desiderio re delli Lombardi rico-
100 IL TESORO.
niinciò dal r altra parte la guerra maggiore, che Ccm-
lofre suo padre non aveva mai fatto nella sua vita.
Tantoché alla fine il papa pregò tanto Garlomano,
figliuolo di Pipino, che allora era re di Francia, che
egli venne in Italia, e vinse Pavia, là ove il re d^ Ita-
lia istava, e prese il re e la moglie sua, e a^suoi figliuoli
fece giurare fedelità di santa Chiesa, e poi li mandò
prigioni in Francia, e così fu preso Desiderio re di
Lombmdia da Garlomano, come voi avete inteso di
sopra. Mu Algifer figliuolo di Desiderio sì si fuggì in
Costantinopoli, e fece molta guerra contra santa Chie-
sa. E quando Carlomano ebbe tutta Lombardia con-
quistata, e tutta Italia sottomessa a santa Chiesa, egli
se ubando a Roma con grande trionfo, e là fu egli ìih
coronato imperadore di Roma. E tenue la dignitade
deir imperio tutta sua vita. E poi ebbe egli molte al-<
tre vittorie contra i Saracini, e contra i nimici di santa
Chiesa. E sottomise alla sua signorìa molti altri paesi
E quando Leone papa, che fu papa innanzi Adriano,
fu scacciato per li Romani, Carlo lo rimenò a Roma in
sua dignitade, ed allora gli confermò egli ciò che^suoi
passati avevano fatto e stabilito, di tutti li bisogni di
.santa Chiesa, e dello imperio, e delli cherici, e delli
laici. E diede a messer santo Pietro lo ducato di Spu-
leto e di Benevento. E poi ch^ egli ebbe tutto questo
fatto, e molte altre cose, egli trapassò di questo secolo
iielli anni della incarnazione del nostro Signore Gesù
Cristo ottocento ventitre anni. E sappiate che davanti
a lui erano stati sedici imperadori, infino a Giusti-
niano, e quaranta papi da Agabito infino a questo
Leone papa.
LIBHO Se^OYPO. I O I
Capitolo XXVIU.
Come r imperio di Roma rìrorr»c$ n 'quelli d* Italia.
* «
. Io qaesta maniera che 1 conto hd^ di visito qui di-
nanzi, Tenne la dignità dello im[>eiio dlAoma a^
Franceschi, e li Romani la perderono in i^l» maniera
die giammai non la riebbero, come eglino aveaoo in-
oaiiEi. E quando Garlomano passò di questo jjecr^lo,
Alois suo 6gliuolo fu re dopo lui, e imperadore. E>i:<^-
gnò venticinque annL E quando egli morì lasciò dó^
pò a sé tre figliuoli Alois, Carlo calvo e Pipino. Ma
innanzi ch'egli morisse, divise il suo avere intra suoi
Sgliuoli, e lasciò che Cario calvo dovesse avere lo
reame di Franda, e Alois T imperio di Roma, e Pi-
pino dovesse avere Alamagiia ed Equitanea. Ora di-
venne cosa, che quando Alois ebbe la signorìa dello
imperio, egli si pensò e mise sua forza e suo podere
d* andare in Francia, per conquistare lo reame del
suo padre. E così se ne andò con tutta l' oste d' Ita-
liii, e passò li monti, e vinse Li terra infuio a una cit-
tà fli Rcns. E là trovò egli Carlo suo frate che li ve-
niva incontro con sì grande stuolo di gente, eh"' egli
\i:le apeilamente, ch'egli noi poteva vincere. E quan-
do ^li conobbe che lo inteudiiiiento suo ora fallito,
sì si fece monaco neir abhadia di santo Marco di Zo-
nii. E lasciò T imperio di Roma a uno suo figliuolo
che avea nome Al(jis. E visse nello imperio due an-
ni. E quan<lo fu morto non rimase di lui se non una
(emina figliuola che fu maritata al re di Puglia. Al-
lotta venne a Roma Carlo calvo re di Francia, e fu
I02 ìh'TVS^KO.
ìtuperadore un anno. Ma però che le guerre ciebbero
diversamente in It^ììai^, lasciò Carlo calvo Fimperio di
Roma ad Alois jgio.vaQio figliuolo della nipote, moglie
del re di Puglia^ di cui lo conto parlerà più innanzi.
E dicono molti «he uno angelo li comandò dalla par-
te di Dìq;'^^! égli non si intrameltesse più dello im-
perio o delle Romani; e che il lasciasse al re giovane
di Puglia. E sopra ciò finì lo suo intendimento. Onde
p^ .questa cagione dissero alquanti che sì poco tem-
{>d"tehne P imperio; e anche p^-chè Franceschi non
•aiutavano l' imperio contrà a quelli d' Italia.
. * In tale maniera come io vi dico venne l'imperio di
Roma da'Franceschi a' Lombardi. Onde il detto Alois
di Puglia fu il primo dopo lui. Furono cinque altri
F un dopo r altro insino al tempo di Belinghierì, e
d' Alberto figlinolo, che furono li diretani Italiani
che Fimperio tenessero. E Agabito ch'era allora papa
sì combattè molte volte contra li Romani, per man-
tenere lo diritto di santa Chiesa. Ma dopo a lui fu
papa Giovanni figliuolo di questo Alberto imperado-
re. E sappiate che innanzi lui erano stati undici impe-
radori infino a Carlomano, e quarantaun papi da
Leone insino a questo Giovanni papa.
Capitolo XXIX.
Qui dice come V imperio di Roma Tenne a mano
agli Alamaoi.
Ma poi che F altezza e la signoria dello imperio di
Roma crebbe, e avanzò sopra tutte le dignitadi dei
Cristiani, e che la invidia crebbe, e geneiò mortale
TJBRO SECUNUO. TOO
odio tra li nobili rf Italia, e nullo era che s* intramel-
lesse a mantenere la cosa comune, si furono istabiliti i
prìncipi di Lamagna come per diritta necessitade, che
il nascimento e la elezione dello imperio fosse fatta per
loro, e che elli ne fossero difensori e guardiani E
cosi venne V altezza di eleggere imperadori a sette
principi di Lamagna. Onde uno ch^ ebbe nome Otto,
fu il primo scelto e coronato per li Romani, con*eD-
do la incarnazione di Gresù Cristo noTecentotrentasei
anni. Onde y' ebbe poi tredici impei-adori, insino al
secondo Federico, che fu coronato per mano di Ono-
rio papa, corrente la incarnazione milleduecentoyenti
aonL E. sappiate che dinanzi a questo Onorio a Gìo-
Yanni papa, si furono quarantadue papi, cioè di quel
Giovanni di cui lo conto parlò alla fìne degF impera-
dori italicL Questo Federico imperadore regnò qua-
rantatre anni, e nel suo imperio fece briga con la san-
ta Chiesa, tanto che egli fu iscomunicato per sentenza
dell'apostolico che allora era, e alla fine fu egli ispo-
gliato della sua dignitade per sentenza di papa Inno-
cenzio quarto, per comune consiglio del generale con-
cilio. E quando passò di questo secolo, siccome a Dio
piacque, T imperio vacò lungamente senza re e senza
im|)eradore. E tutto avesse questo Federigo assai fi-
gliuoli madeniali e bastardi, che rimanesser dopo lui,
non farà lo conto menzione se non d' uno, lo quale
ebbe nome Manfredi, lo quale non fu legittimo. Que-
sto Manfredi crebbe tonto, rh' ebbe il reame di Pu-
glia e di Cecilia. Onde molti dissero rli' egli V ebbe
«'ontra Dio, e contra ragione, sì che fu del tutto con-
trario a santa Oiiesaj e però fece egli molte guerre, e
I o4 ■!. TESORO.
diverse persecuzioni contra a tutti quelli d" Italia che
sì teneano con santa (Chiesa, e contra a gramle partita
di Firenze, tanto che ellino furo cacciati di loro terra,
0 le loro case fìiron messe a fuoco ed a fiamma e a di-
sfnizione. E r/)n loro fu cacciato mastro Brunetto La-
tino, ed allora se ne andò egli per quella guerra sì
come iscacdato in Francia, e là compilò egli questo
libro per amore del suo amico, si come egli dice nel
prologo. Ma di ciò tace lo conto, e ritorna a sua ma-
teria.
Gapitoix) XXX.
Qui dice come natura r nelli elementi, e nelP altre cote.
Olia a dietro dice il conto, che la sua principale
niutoria è a trattare in questo libro della natura deQe
cose del mondo. La quale è stabilita per le quattro
complessioni, cioè, caldo, freddo, secco e umido, on-
de tutte cose sono complessionate. £ quattro elemen-
ti, che sono altresì come sostenimento del mondo, so-
li) conformati di queste quattro couiplessionL Chel
fuoco è caldo e secco. U acqua è fredda e umida. La
lena è fredda e secca. L' aere è caldo e umido. Al-
tresì sono complessionati i coipi degli uomini e del-
le beslie, che in loro sono quatli'o umorì. Colera, che
t' calda e secca. Flegma, die è fredda e umida. San-
^ue, che è caldo e umido. Melanconia, che è fredda e
secca. E r anno incdesiniamente è diviso in quattro
t.(M))p], che sono similmente complessionati. E)cco la
pr inumerà eh" è calda e umida. L** estate, calda e sec-
ca. Autunno, freddo e secco. Il verno, freddo e u-
niido. E così potete conoscere, che 1 fuoco e Testate e
Limo SECONDO. iu5
ia colera sono d^ una complessione, e V acqua e la
flegma e 3 verno sono d^un^allra. Ma V aei*e el san-
gue e la primavera sono mischiati dell'* una e delKal-
^ natura. £ perciò sono elli di migliore complessio-
ne^ che non sono tutti gli altri, e loro contrarli sono
b terra, la malinconia e F autunno, e però hanno clli
malvagia natura. Ora è leggier cosa ad intendere, co-
tte r ufficio di natura è d' accordare, e d^ agguaglia-
re le uguali in tal maniera che tutte le diversitadi tor-
nino in una. £ gli è così che assembli in uno corpo
e in una «istanza, o in altra cosa, ch^ egli faccia na-
scere tuttavia nd mondo, o in piante, o in semente,
o pari congiungimento di maschio e di femina. Onde
una partita ingenerano ova che sono ripiene di crea-
tore, e un^ altra partita ingenerano carne figurata,
secondo che lo conto diviserà più innanzi, là ove egli
sarà luogo e tempo. Per questa parola appare ora chia-
ramente, che la natura è a Dio, come il martellojè al
fabbro, che ora forma una spada, ora un elmo, ora mi
chiovo, ora una cosa, ora un^ altra, secondo che il
iabbro vuole. E com^ egli opera una maniera di for-
mare una cosa, così adopera Iddio nelle stelle e nel-
le pianete. E altre maniere adopera la natura in uo-
mini e in bestie e in altri animali.
Capitolo XXXI.
Come tutte le cose furo fatte del mischiamento delle
complessioni.
•
Egli fu vero cheH nostro Signore al cominciamen-
to fece una grossa materia. E fu senza forma, e senza
;
I06 IL TESORO.
figura, ma eUa era di tal maniera, ch^ egli ne poteTa
formare e fare ciò eh' egli Toleva. E senza fallo di
quella fece egli tutte le cose. E però che quella ma^
teria fu fatta di niente, sì avanzò ella tutte le oose^
non dico di tempo, ne di etemitade, anzi di nasci-'
mento, così come il suono avanza il canto. Che Ino^
stro Signore fece tutte cose insieme, come è ragione.
Quando egli creò quella grossa materia, onde sono
stratte tutte le altre cose, fece egli tutte cose insieme*^'
Ma secondo la divisione di ciascuna cosa, le fece tat«'
te in sei dì, sì come il conto dice qua a dietro. E ivi
medesimo dice che quella materia è chiamata hyle. Pé-^
rò che li quattro elementi che l'uomo puote vedere
son fatti di quella cotale materia. E però sono elli ap-
pellati elementi per lo nome di quella materia, doè
per hyle. ^ E cosi si mischiano questi elementi nello
creature, eh' elli due elementi sono leggieri, cioè il
fuoco e r aere, ma gli altri due sono gravi, si come la
terra e l'acqua, e ciascuno di loro ha due istremitade
ed un mezzo. Ragione come lo fuoco che è disopra
si ha una istremitade che tuttavia va insuso, e quel-
la è la più delicata e la più leggiera. L' altra istremi-
tade è disotto, eh' è meno leggiera e meno delicata ohe
l'altra. Il mezzo si è intra due, eh' è mischiata dell'u-
na e dell' altra. Così è anche degli altri tre elementi
nelle quattro complessioni. Queste cose. si miscolano
nelli corpi degli uomini, e in alti'e creature, Che in ciò
che 'l grave si congiunge col lieve, il caldo col fred-*
ào, il secco con l' umido, in alcune a*eature si con-
viene che la forza dell' uno sopraslia a tutti gli altri.
Non dico delle stelle, che elle sono di tutto, e in tut-
.t
todi.natDiB.dilbooarlla an!dtre creatore) otegfi
tàfanm*^ e Je altre odm^^essioiii sono ìntraimsdiìate,
«mneniB td on cM ievrtreniitadi dì sotto sof^raitanDO
b ailM ki «bmw creatara. E aU - ora ocaTieoe egli die
yeDaqytmca 8Ìa.[n& Iq^ia e [hù isnetta, ^ {mtcìò
volano -per aera (fi vcóàll Ma ^ lia difTaredia intra
lof€^ cfaè eeai.oome |^ ooeelti ^(Hniioiitazio tutte le altre
njiaHiMl ,i1i Ifgperensaj. per le estremitadi delti de^
iKpti àÌÉOgg^ Ae aWKmdan inkaro^ oom Fimo uocel-.
l^aoKiooota rdtrou Eperdò die la e^ttremìtade le^*.
9erB4B isodla abbonda pà io la% per dò yok pia air
to.l? mip^iKfleUo die Tabro. Si .come è P aqidla, dm
«loia pia ili alto die nono altro oocello. E qddlo uo-
edlo of^e diboa^ lo i)ii9BEano.iioQTolai,rìki alto^d
caaieè to grDe.E.qBeUiinca>abbQ^ Festaemità
d»i|illl^.iQ9Q {MI gt«n e pjù pesamti, ^ comeéPo'
ca. E.ood dovete tqì inteadere io tutti ^trì aniinati
e pesd eaiborì e |naute seooodo il diTÌsamento ddli
uoceUL
Capitolo X^XH.
DeHe quattro complessioni delT domo, e d* ahre eose.
Altresì avviene delle quattro complessioni, quando
si tramiscfaiano in alcuna creatura^ che ciascuna segui"
soe la natura del suo elemento. E perdo conviene egli
che al tramischiare delli umori Y uno soperchi F al^
tro, e ch^ sua natura vi sia e di maggior podere. Per-^
dò avviene che un'erba è più fredda e pia calda che
F altra; e die F una natura è di complessione sangui-
nea^ F altra malinconica^ o flegmatica^ o colerica^ se**
Gopdo. che H umori soperdiiana più. E però sono li
lo8 , IL TBSOBO.
fratti e r erbe e le biade e le sementi rum più me-
lanconica che V altra, o più colerica. £ cosi dell^ al-
tre doe complessioni. Altresì dico io di uomini e dc^-
li uccelli e delle bestie e di pesci e di tutti altri ani*
mali. Qnd^^li avvenne, che unaVx>sa è buona di man-
giare ed un^ altra no, e che P una è dolce e P altra
amara, Fona verde o rossa, T altra bianca o nera^
secondo il colore delli elementi e delli umori ahe sh
gooreggiano nella cosa^ P una è velenosa e Paltra Tale
a medicina. Che tutto che in ciascuna cosa sieno fi
quattro umori tutti mischiati e li quattro elenienti e
le quattro qualitadi, si conviene che la forza ddl^ano
sia più forte, secondo che più v^ abbonda, e per qo^
la natura che più v^ abbonda è chiamato. Ba^kne
come se flegma abbonda più in un uomo egli è chia-
malo flegmalico, per la forza ch^ ella ha in sua natu-^
ra. Che però che la flegma, e fredda e umida, si è di
natura d^ acqua e di verno, conviene che quel cotale
uomo sia lento e molle, pesante e dormiglioso, e die
non 'si ricordi bene delle cose passate. Questa-^ la
complessione che più appartiene a^ vecchi che altre
genti, e ha il suo sedio al polmone, ed è purgata per
la songia^ ch^ella cresce di verno, perciò ch^ella è di
sua natura, e però sono in quel tempo disagiati e fra-
gili i vecchi flegmatici. Ma li colerici sono prosperosi
e giovani altresì. E le malattie che sono per cagione di
flegipa sono lie di verno troppo duramente, sì come
sono febri cotidiane. Ma quelle che sono per colera
sono meno rie, sì come sono le terzane, perciò è bene
che li flegmatici usino di verno cose calde e seoehe.
Lo sangue è caldo e umido, ed ha il suo sedio adi fé-
LIBRO SECONDO. K1C)
gaio, e cresce nella prìmaTera. Per ciò sino alUra
molto malva^ le malizie da parte del sangue, cioè
fisbbre sinoche^ e in quel tempo sono più prosperosi
i Yecdii che li giovani; per ciò sono da usare cose fred-
de e seodie, e P uomo a cui questa complessione ab-
bonda, si è appellato sanguineo, ciò è la migliore com-
plesHone che sia, ch^ ella fa P uomo cantante, grasset^
to e lieto, ardito e benigno. Colera è calda e secca, ed
ha il suo sedio nel fiele, ed è purgata per li orecchi.
Questa complessione è di natura di fuoco e di state e
di calda gioventudine. E però ùl V uomo rosso e in*
gegnoso^ acato, fiero e leggieri, e movente, e cresce in
itfaDAe. £ per ciò sono allora IL colerici meno prospe-
rari» cfae'flegmatìci, e meno li giovani, che li vecdii :
però debbono ^lioo usare cose fredde ed umide .
Quando le malizie vengono per colera sono molto pe^
ricolose.di state, più che quelle che sono per la flegma.
Malinconia è un umore che molti chiamano colera
nera, ed è fredda e sicca, e ha il suo sedio nello spi-
no, ed è di natura di ten*a e d^ autunno. E però fa gli
uomini malinconici e pieni d^ ira e di malvagi pen-
sieri e paurosi, e che non possono bene dormire al-
cuna fiata. Ed è purgata per li occhi, e cresce nel-
r autunno. Però sono in quel tempo più prosperasi
li sanguinei che^ malinconici 3 e più e meglio li garzoni
che li vecchi. Ed allora sono purgale le malizie che
vengono da malinconia, che quelle che sono per san-*
gue. Però è bene ad usare cose calde ed umide, colui
ch^ è di tale complessione.
tMtìni, P'oì, t.
I 1 0 11. TESORO.
Capitolo XXXUI.
Delle quattro TÌrtadì che sostengono gli animali a rita.
Sappiate che in ciascnno corpo che iia sofficienti
membri sono qaattro Tirtudi, istabilitate e formate per
h' quattro elementi e per loro natura, cioè appetitiva,
relentiva, digestiva ed espulsiva. Che quando li quat-
tro elementi' sono insieme raunati in alcuno corpo
Compilato di diritti membri, lo fuoco, però eh* egli è
caldo e secco, fa la virtude appetitiva. Questa (fò vo-
glia di mangiare e di bere. E la terra, eh* è fredda e
secca, fa la virtude retentiva, cioè quella che ritiene
la vivanda. È lo aere, eh* è caldo ed umido, fa la vir-
tù digestiva, ciò è che fa cuocere ed umidire la vìlraoH
da. L* acqua, che è fredda ed umida, fa la virtude è^
pnlsiva, ciò è ch*ella caccia fuori la vivanda quand'dla
è cotta. Queste quattro virtudi servono a quella virtude
che nutrica e pasce il corpo. E la virtù del nutncw-
mento, serve a natura che ingenera. Onde P uno io»
genera V altro, secondo loro natura, e loro similitit-
dine. E si come il temperamento, che accorda le di-
versità di essi elementi, e fa li corpi ingenerare e na-
scere e vivere, cosi il distemperamento di loro li
comimpe e li fa morire. Che se il corpo fosse d* un
elemento senza più, egli non potreU^e istemperarsi
mai, però che non avrebbe mai contrario. Qui si tace
il conto della natura degli animali, e ritornerà alla
sua diritta via, eh* è di dire prima delle cose die pri-
ma furon fatte. E perciò tornerà a dire dd mondo^ e
del fermamento dd cielo e della terra. ./
LIBRO SECONDO. Ili
CàffTQLO XXXIY.
D«I quinto ekmcBto.
•
- n oooto ha dÌTisato qua a dietro della natura delli
qoatlro elementi, e dei fìioco, e dell'aere, deiP acqua
e della terra. Ma Aristotile lo grande filosofo disse, die
«{gli è aa altro elemento iìiori di questi quattro, che
non ha in «è ponto di natura ne di complessione, come
hanno h altri, anzi è si nobile e si gentile, che non
piote essere mosso né corrotto come li altri elemen-
4L £ pero disse egli, che se natura avesse furmato il
«IO corpo di quello elemento, che si terrdibe sicuro
della morte, però die non potrebbe mai morire in nul-
h BianienL Qne^ elemento si è appellato oihis, doè^
<m delo ritondo, il quale circonda e rindiiude intra sé
tnUì li altri elementi e tutte le altre cose che sono,
fuori della divinitade, e altresì il mondo, com' é il gu-
scio deir uoYo che inchiude e serra dò che va den-
tro. E perdo eh' egli e tutto tondo, si conviene per
diritta forza che la terra e la forma del mondo sia ri-
Umda.
Capitolo XXXV.
Come il ipondo è tondo, e li quattro elementi sono stabiliti.
À ciò fu natura bene provveduta, quando ella fe-
ce il mondo tutto ritondo, che nulla cosa puote essere
sì firmamente serrata in se medesima siccome quella
eh* é ritonda. La ragione perchè guarda li maesti'i che
fanno le botU e le tine, che non potiebbero in altra
maniera formare né giungere se non per rìtondezza.
1 1 a n. TESORO.
Medesimamente una volta quando Tnomo ùk in una
sua magione un ponte, si conviene che sia fbrmtfo
per suo rilondo, e non per lungo ne per lato, né m
alcuna forma che potesse tante cose sostenere, nh conH
prendére, come quella ch^ è ritonda. La ragioiie co-
me ei non sarà già sì sottile maestro die tanto st
sapesse assottigliare, che sapesse fare un vasefto lun-
go o quadro o d^ altra forma, ove si potesse metter
tanto di vino, quanto in uno tondo. Dall^ahra parte,
non è niuna figura tanto apparecchiata a movern, né
a girare, come la ritonda. E conviene che il cielo it
mova e giri tuttavia^ e se non fosse tondo oonvev-
rebbe per forza che egli tornasse ad altro dbe al prh*
mo, onde si mosse in prima. DalF altra parte conviene
per vera forza che 1 mondo sia tutto pieno dentro
da se, sicché Tuna cosa sostegna V altra, ch^ senza so-
stegnimento non potrebbe stare niente. E se ciò fosie
che ^l mondo avesse forma lunga o quach-a, non po-
trebbe essere tutto pieno, anzi li converrebbe esaere
voto in alcuna parte. Per queste ragioni e per molte
altre altresì, come per propria necessità, conviene cfae^
mondo sia tondo, e che tutte cose che sono rinchiuse
dentro da lui vi fossero messe e btabilite ritonda-
mente; e fosse in tal maniera, che Tuna cosa intor-
niasse V altra, e la rinchiudesse dentro da sé sì egud-
mente e si a diritto, che non toccasse più da una par-
te che dair altra. E così è egli dirittamente. E perciò
potete voi intendere che la teira é tutta ritonda. £
altresì sono li altri elementi che si tegnono in^me
in questa maniera. Che quando una cosa è rìnchin-
sa e intorniata dentro deU^ altra conviene che quella
LIBRO SECOKfiO. 1 1 5
die rinchiude tenga qadia rinchiusa 3 e conviene che
quella di^ è rinchiusa sostegna quella che la rinchiu--
cku La ragione come se ^1 bianco dell^uoyo che aggi^
la il tuoiio non tenesse e non lo rinchiudesse dentro
da fé, egli cadrebbe in sul guscio; e se '1 tuorlo non
sostenesse V albume certo egli cadrebbe nel fondo
dell' noTO. E perciò conviene in tutte cose, die quel-
lo M è più duro e più grave sostegna tutti gli altri,
e sia nd mezzo di tuttL Però che come la cosa è di
fMÙ adda e dura sostanza, tanto può m^lio sostenere
le altre oose che sono d' intomo da lei; e com^ ella è
più grave, tanto si conviene die la si tragga nel mez-
n^ o nel Ibndo ddl' altre che intomo di lei sono, doè
ìa td Inofo ch'ella non potesse più montare^ né più
Mcndere, né andare ne qua né là. £ questa è la ragio-
ne perdiè la terra, eh' è il più grande elemento e la
più saMa sostanza, è assisa nd miluogo di lutti i
cerdki e di tutti i tomiamenti, doè il fondo de' cieli
e detti dementi. E perciò che l'acqua è il più gi-ave
demento secondo la terra, sì è assisa in su la terra,
4gw* db si sostiene. Ma l' aria intornia e rinchiude tut-
ta la terra in tal maniera, con l'acqua insieme, che
ne V acqua ne la ten'a si possono movere del luogo,
ove natura li ha stabiliti. Intorno a quest' aria, che
rinchiude la terra £ l' acqua, è assiso il quarto de-
mento, doè il fuoco, eh' è sopra tutti gli altri. Dun-
que potete voi intendere che la terra è nel più basso
Inogo di tutti gli altri elementi, cioè nel miluogo del
finnamento. E di sopra il fuoco si è il quinto elemen-
to, che Aristotile dice, eh' è appellato orbis, che in-
diiode tutte le dtre cose. E dia verità dire, la tena
1 1 4 IL TESORO.
è come la punta d^uno compasso, che sempre sta w3^
mezzo del suo cerchio, sicché non si dilunga più d^u-
na parte che dalP altra. E perciò è ella necessaria eosa
che la terra sia ritonda: che se la fosse d^ altra forma,
ella sarebbe più presso al cielo e al fìrmamento dal-
l''uno luogo che dall^ altro. E ciò non puote essere^
die se fosse cosa possibile che Puomo potesse ca-
vare la terra, e fere un posso che andasse dall^ uno
lato della terra all^ altro, e per questo pozn) gittesse
poi Tuomo una grandissima pietra o altra cosa grave,
io dico che quella pietra non andrebbe oltre, anzi si
terrebbe nel mezzo della terra, cioè nel punto del
compasso della terra, sicché non andrd)be né innanzi
né indietro. Perciò che Tarla che intornia lai tcmra
intrerebbe nel pozzo da una parte e dall^altra, e non
sofiererebbe che andasse oltre lo miluogo, ùé ch^db
ritornasse indietro, sé non forse un poco per la fom
del cadere, ma incontanente si ritornerebbe al suo
miluogo: altresì come una pietra, se fosse gittata in*
verso Paria insuso, si ritornerebbe ingiuso verso la
terra. E dalP altra parte tutte le cose si traggono e
vanno tuttavia al più basso. E la più bassa cosa e le
più profonda che sia nel mondo si é il punto della
terra, cioè il mezzo dentro, eh' è appellato abisso.
Tanto quanto la cosa è più pesante, tanto si trae più
verso P abisso^ e perciò avviene egli che quanto P uo-
mo più cava la terra dentro, tanto la trova più grave
e più pesante. E ancora un' altra ragione, perchè k
terra è tonda ^ che se non avesse in sulla focda ddla
terra ninno impacciamento, picchè un uomo potesse
andare per tutto, certo ^i anderd>be dirittamente
LIBKO SECONDO. ' 1 1 5
iatoino alla terra, tanto che torn^'ebbe al luogo me
desuDo ond^egli ia partito. £ se due uomini d^uno
luogo ad una ora si movesseix), e andasse V uno tan^
lo quanto P altro, e Tuno andasse verso levante e
r altro verso ponente^ e ancbssero dirittamente Tuno
a rìnocmtroraltro, certo eglino si riscontrarebbero dal-
r altra parte della terra per mezzo quel luogo onde
fossero mossL E se pure- andassero oltra, elli torne-
rebbero a cpiel luogo onde si partirono.
Gapitoi^ XX.XYL
Come le acque corrono per le caverne di sotto terra.
Suso la terra, di cui lo conto ha tenuto lungo par-
lamento, è assisa Pacqna, cioè il mare maggiore, il
qoale è appaiato mare Oceano, di cui tutti gli altri
mari, e bracci di mari, e fiumi che sono sopra la ter*-
ra, escono, e tutte le fontane indi nascono, e quindi
nacquero primieramente, e li medesimo ritornano al-
la fine. Ragione come la terra è tutta cava dentro di
luogo in luogo, ed è piena di vene e di caverne. E però
le acque che di mare escono, vanno e vegnono per la
terra, e surgono dentro e di fuori, secondo che le ve-
ne le menano qua e là ^ così come il sangue deir uo-
mo si sparge per le sue vene sì che cerca tutto il corpo
da monte a valle. Ed egli è vero che ^1 mare si è in
sulla terra secondo che ^1 conio divisa qui a dietro
nel capitolo delli elementi. E se ciò è vero che F acqua
s^gia in sulla teiTa, dunque è ella più alta che la ter-
ra. E se il mare è più alto che la terra dunque non è
maraviglia delle fontane che escono su nelPalte mon-
T 1 6 'il tesoro.
tagne ; che egli è propria natura dell' acqua, fhe ella
monti tanto, quanto ella scende. E sappiate cheracqoa
muta sapore, colore e qualitade secondo la natuni
f Iella terra, ond' ella corre. Che la terra non è tutta
d^un colore, anzi è di diversi colori e di diverse coiik>
plessioni: che in uno luogo è ella dolce e in un altro
è amara, o salata; in uno luogo è bianca, in un altro è
nera, o rossa, o biadetta, o d'altro colore. £ in uno
luogo son Tene di solfo, in un altro d' oro, o d' al*
Iro metallo. Una terra è molle, ed un'altra è dura. E
cosi sono le vene varie, e diverse, onde le acque cor-
rono. E secondo la natura della via conviene die
le acque rimutino loro qualitade, e divegnano del sar
pore delia via onde passano, e di sua natoira. DalP al-
tra parte egli ha in alcuna parte della terra caverne
putride, o per sua natura, o per alcuna mala bestia
che ^-i dimora. £ però è alcuna fiata che l'acqua è M
o velenosa, che corre tra le vene della terra. ' E per
quelle caverne onde le acque vegnono, conviene per
dibattimento d'acqua che vento vi si muova. E quan*
«lo egli fiede nelle vene solforate, lo solfo isoalda e
apprende di sì gran calore, che l'acqua che corre per
quelle vene diventa calda come fuoco. E di ciò sono
li bagni caldi, che l' uomo trova in diverse terre. E
quando quel vento dibotta l' aere eh' è rinchiuso per
quelle caverne, egli fa dibattere l'acqua e la terra di
tal forza e di tale virtude, che conviene per qoello
dibottamento, che la terra rompa e fVacassi, si che
l'aere n'esca fuon, ed allora conviene che la tlnra
raggia, e affondi con tutte le mura e con tutti li di^
ficii che vi sono sopra. Ma se la terra è si grossa 0 sì
. unanoosfto. %0fr
i»te cVcU* Bon^feada^ elioni oanvìene per Tcra fona
4ìfndky dibntUminla dell^aere, e delle Tene dell^do-
.ips/dioaonQl^ distrattela deotro^ feccia tremafe e
noEfave tolte hrtenm ehe Ve d'ìotonio^ e li
ck0'^flonofopnu-
<■ •.• .-. 1 .
jfiUTMnf e di& ptèéi è M Teolb è ddle oofé'die fono -
■fu"*' ' -adPtcMU
t ■ . .. .
t
- Iiooopto dice qpi: a-.'dklfo die P aiia intoniiìa
tmfgm^htu^ e.k.ruMliiiide e sostiene dentrò.da;
if^ e asiqoni ffi QQmiiii.e ^animaìi vìyoqo per Paere
^m.wgaiLb^^ pasci n^'acqua. E.ciò poo
.^^n(»dii(aBM.cl|N*]?.aipw, non fossespes^jd^ip li dirai,
iP^Vai^ msnaasa «oa^forgetta di l^egno per raep%
àSa'^aBBaasfah^ a sìadienlibeii inuKiaiitiiieiite. oer la
^jìrssawa dell^acaet L?ariai.aoptÌBPjp:gli uccelli, goan^.
dfi.TelaQO^ che.se Paere non.fo^se spesso nonpo-
Irdbbero Yolare, e Pale li Tarrebbono molto poco. la
qpKSlo. aera nascono i nuvoli, le pbve, lì baleni, i
toanli ed aitra cose sJmigliantL E udirete ra^one co-
■MI lo conto dice, qua a di<ctrQ, che Parìa intornia tutta
PaoqpiiL.e la terra, e rinchiude e sostiene dentro da sé
e gli ooooini e gU animali^ e che la terra è coperta e.
«piena di.diYerse. acque.. Ora viene che quando il
caldo, del sole, il quale è capo di tutti calori e fonda-
mcntoy ^e|^ fipde neli^ umidore della terra, e medesi-
mamenle Qede .nelle cose bagnate, e le asciuga e cavane
futin.riimdQrey.CQOie jK^ssa w dpippo bagnato, allora
f 1 8 IL TESORa
n^esce fuori uno gran sapore, come un fumo^ e vanne
nelParia a nxmte, là ov' eglino s'accolgono a poco a
poco, e ingrossano tanto, eh' elli diventano ofcori e
spessi, sì che ci togliono la veduta del sole, e queste
sono le nuvole. Ma elle non hanno in loro si grande
oscuritade, ch'elle ci tolgano il chiarore del gioma
Che '1 sole riluce di sopra, sì come una candela che
fosse in una lanterna, che allumini di fuori, e non la
può Fuomo vedere. E quando la nuvola ò ben cre-
sciuta e nera ed umida, e che non puote più soffrire
l'abbondanza dell'acqua che v'è evaporata, è meslìfr*
re che debbia cadere sopra la terra, e questa è la pio»
va. Ed allora ritratto l'umidore della nuvola, immaiK*
tinente diviene bianca e leggiera, e 'i sole sparge li suoi
raggi per la nuvola, e fa del suo splendore nn oercliio
di quattro colori diversi. E dascono demento vi mefr*
te del suo colore. E questo suole avvenire quando hi
luna è piena. E quando la nuvola è alquanto ismois»
e leggiera, ella monta in alto, tanto cha 1 calor del= sole
la confonde, e guastala m tal maniera, che Tuomo
vede l'aria chiara e pura, e di bel colore. E sappiate
che l'aere eh' è sopra noi in alto è più freddo tati»*
via che quello eh' è in basso. Ragione come tanto
quanto la cosa è di più spessa natura tanto vi si ap-
prende il fuoco più forte^ per ciò l'aere eh' è in basso
e più grosso e più spesso che quello di' è in alto, lo
calore del sole vi si apprende più che in alto. Diali' al-
tra parte, i venti muovono e fuggono più ispesso in
aere basso che in allo, e tutte le cose che stanno ch^
te sono più fredde che quelle che si muovona Dal-
l'altra parte, nel verso il sole si dislunga sotto aneiy
LUKO SECONDO. 1 1 9
per ciò è Vuere a monte assai più freddo che dinanzi.
E per ciò avviene egli che l'umidore, anzi che sia in^
grossato^ diviene in qnello aere fireddo e gelato, e dò
è la neve, die non cade mai in alto mare. Ma d'istate,
quando il sole ritoma e approssima alFarìa fredda,
se egli tmova alcnno vapore gelato, egP il serra e in-
dora, e fimne gragnnola molto grossa, e cacciala per
lo foo caloreinfino entro la terra ; ma al cadere che fa,
per la spessezza delFaere, sì si trita e diventa minata,
e spesse volte si di^, anzi che sia in sulla terra. Or
viene alcune fiate, che li venti si scontrano insieme
di sopra da'nnvoli^e si fuggono, e percuotono spesso in
loro venire, onde fuoco nasce ndP aria. Ed allora, se
qoesto vento truova li vapori montati e ingrossati,
egli rinfiamma e fìilli ardere, e questa è la folgore
the le genti dicono. Ma li forti percotimenti decenti
li strìngono e cacciano sì fortemente, che elli passano
la nuvola^ e & tonare e balenare, e cade giù di tal
forza per li grandi venti die la cacciano, che alcuna
cosa non ha contra lei fortezza. £ sappiate veramente
che quando dia si muove a venire, ella è sì grande
ài* è una meraviglia. Ma ella menoma nel suo venire
per lo percotimento delF aere e de' nuvoli. £ molte
6ate avviene che quando ella nasce nella prima che
la non è grande ne troppo dura. £ che' nuvoli sono
ben grossi e umidi e caricati d'acqua, che la folgore
non ha potere di passare li nuvoli, auzi vi si spegne
dentro, e perde il suo fuoco. £ quando li venti che si
combattono sì maravigliosamente entrano dentro a
nuvoli, e sono rinchiusi dentro loro corpi, dii si muo-
vono, e fanno ferire l'uno contra l'altro. E perdo che
120 IL TESORO.
loro Datura non sofferà che ellìno siano rinchiusi, si li
rompe per forza, ed allora si fanno li toni. Ed egli ò
nalura di tutte le cose, che si possono ferire e per*
cuotere insieme che fuoco ne può nascere* E quan-
do quél forte iscontramento è de^ nuvoli é de^ venti
e dello ispesseggiare de' tuoni, natura ne fa nascere
fuoco il qtiale getta grandissima chiarezza secondo
che voi vedete, quando li baleni gettano loro lume.
E questa è la propria cagione perchè sono e bale-
ni e tuoni. E se alcuno mi domandasse perchè T uo-
mo vede più tosto li baleni, che non ode i toni ? io
li direi, per ciò che 1 vedere è più presto che l' in-
dire. Anche avviene altresì, che alcun vapore secco^
quando egli è montato tanto che s^ apprende per lo
caldo che è a monte, egli cade immantinente ch^egli è
appresso in ver la terra, tanto che si spegne e amox>rti-
scesi. Onde alcuna gente dice, eh' è U dragone, e che
ciò è una stella che cade. E sappiate che neir aere
sono intorno alla terra quattro venti principali, di
quattro parti del mondo, e ciascuno ha sua natura e
suo ufficio. Onde ellino adoperano, secondo che li
marinarì lo sanno, che '1 preveggono di dì e di notte.
Ma de' nomi e della diversità de' venti, non dirà ora
più il conto, però che le genti del mondo cambiano
nomi, secondo la diversità delle usanze, e de^ linguaggi
' £ dall' altra parte, l' uomo truova e vede assai 6ate
che un vento medesimo fìa in un luogo, ed in un al-
tro no, secondo che '1 vento viene di profondo mare
presso di quella cotal terra. E nientedimeno l' uomo
dice comunemente, che quel vento che viene di verso
levante diritto, e quello che li vien rincontro del di-
LUmO flEOOHDO. 121
ritto ponente non sia di grande perìcolo, per ciò che
loro venuta fiere piuttosto in terra che in mare. Ma
quello che Tiene di diritto tramontana e quello che
viene di diritto mezcodi sono di fiero perìcolo, che H
corpo delPuno e dell'altro fiere nel mare molto do-
nmente. £ questi sono li quattro venti principali del
moDdOri E ciascuno di loro n' ha due altrì intomo da
ha, die sono come bastardi Che '1 vento di levante,
eh' è temperato secondo che '1 conto ne divisa dinanzi,
ha di verso tramontana uno vento che secca tutte cose,
ed è appaiato vultunio, ma li marìnarì lo chiamano
greco, per ciò che viene di verso Grecia. DalP altra
parte di verao megxodì si n' è un altro eh' ingenera
nuvoli, ed ha nome euro, ma li marìnarì lo chiamano
scilocoo: ma io non so ragione perchè elli lo chiamano
così. E' altro principale di verso mezzodì si è caldo
e umido^ e spesso fa folgori e tempeste ^ e da ciascuna
parte d'intorno lui ha venti caldi, che tutti fanno
spesso tempesta in terra. L'altro principale che viene
di verso ponente caccia il freddo e '1 verno, e mena
fiorì e foglie e primavera. E di mezzodì viene un ven*«
to eh' è della natura dell' altro di mezzodì, ed ha no-
me afnco, ma li marìnarì lo chiamano af ricino. Ed
anche l'appellano per due altrì nomi: che quando egli
è dolce e soave, l'appellano garbino, per ciò che quel
paese che la scrittura chiama Africa chiama l' uomo
vnlgaimente garbon^ ma quando egli viene di grande
fmtuna e di grande rapina, sì '1 chiamano li marinari
libeccio. E dì vei'so tramontana v'ha un altro eh' è più
di buon'aria, che ha nome coiiis^ questo appellano li
marìnarì maestro, per sette stelle che sono in quel me-
laa Hi
denmo kiogo^ cbe tono rhinmitft di nolli lo carniL-
L^ altro principale cbe Tiene di tfmrtMiai là dà
voli e freddura. E qnello cbe ffk ò riupuBim
ponente, dà neve in gragnuob, ed ha noow arcie. Ma
Taltro ch^è di verso levante itttringe pioggM e n»-
volL E ciò puoCe Tnonio oonoicare brevemente cbs
tutti i venti che vcgnono d'Orienta veno ilmeaodiy
infino in Occidente hanno temperta, o piova, o cotali
cose wmigiianti, fecondo il luogo e «aoondo il tempoj
e gli altri che tono da Oriente veno trtunnnlana u^
fino in Occidente fono il contrario dq^ altri. Con
ciò f ìa cosa che la natura di daidìcdnno poote cna-
biare, secondo diversi paesL Ma ooms di* egli ria, il
Filosofò dice che vento non è altro che dibattimento
d^aere. Ma la veritade è in Dio, cbe non ri pnole m-
pere chiaramente. Che di tutte oosedifseio li filonA
più aperte ragioni da credere, che de' ventL E però li
lassano a colui che vede tatto, e sa tntto^ e pnofee-in
tutto. Bene dicono li filosofi, che sono due altri v«nli^
che sono del fragile movimento dell'aere. Onde Tnoo
è appellato oria, e Taltro aleamj ma la oerteua del
vero è nel nostro Signore.
Capitolo XXXVm.
Qui dice delT demento éA fuoco.
Appresso V intomiamento dell' aere ri è afsiio il
quarto elemeoto, cioè il fuooo^ il quale è un aere di
fuoco, senza nullo umidiure. E stenderi iofino entro la
luca, e aggira questo aere dove noi siamo. IK sopn
a questo fuoco ri è la luna in priipa, e tutta le altre
UBBO SBOONVO. laS
tMty die tono di oatora di fìiooa. II fuoco ch^ è co-
silo sopra agK altri elementi non tocca niente agli al-
tri ekmenti, uè a quel quinto elemento die si cbiama
oAm. Cbè di sopra il fuoco è on aere poro e chiaro
e DeHo^ die "vi sono le sette pianete. E ancora di s(v*
pn a qoeUo aere è il firmamento, die tuttavia tornea,
e gira lo mondo con tutte stelle da Oriente in Deci-
dente, n oome il conto diviserà {hù innanzi^ quando
nra luogo e tempo. E sappiate die sopra il firmamen»
iaè tm dfflo moHo bello e duaro e lucente, e ha co-
idra come di cristallo; e per ciò ò egli appellato il
Orio crìstalliDOL E sopra quel cielo n è il delo empi-
reo^ onde caddero li maWs^ angeli. E in quel cielo
dimora la santa Trinità divina, con tutti li suoi angeli,
e li suoi segretL Di cui il maestro non si iotcamette
in qoesto ìSbco più, anzi lo lascia alli maestri divini,
ed alti signori di santa Chiesa, a cui egli appartiene a
sspeM. E tomera al suo conto, cioè al divisamento
del mondo.
Capitolo XXXIX.
Come Bono assise le sette pianete.
U conto divìsa qua indietro che sopra li quattro
elementi è un aere puro, chiai'o e netto, senza nulla
oscuritade, che ìnlproia il fuoco, e gli altri tre ele-
menti dentro da se, e si stende iofino al firmamento.
Ed in questo puro aere sono assisi li sette pianeti,
Puno sopra V altro. Onde il primo ch^ è più presso
alla terra, ch^è sopra M fuoco, si è la Luna. Di sopra
la liuna si è Mercurio. Di sopra a Mercurio si è Yenus.
I a4 IL TE80B0.
Di sopra a Yenus si è il Sole. Di sopra al Sole si èMars..
Di sopra a Mars si è lappiter. Di sopra luppiter si è
Saturno, ch^è assiso sopra tutti gli altri pianeti E sap»
piate, che ciascun pianeta ha suo cerchb dentro a
quello aere puro. E ciascuno ùl suo corso intonio «Da
terra, Tuno più alto e F altro più basso, secondo die
sono assisi Fun cerchio dentro alF altro. li conto dioe
apertamente qua a dietro che '1 mondo è tatto rìtondo
e compassato diligentemente. E sì come il punto è nel
(HTofondo della terra, cioè nel mihiogo, il quale ò chia-
mato abisso, così sono compassati li cerchi delti ele-
menti, e delle pianete e del firmameota Sìocli& sono
tutti ritondi P uno dentro all'altro, e Tono intorno
air altro. Il cerchio eh' è dentro è minore che qodUo
ch'è di sopra a lui, per ciò non è meraviglia, se Funo
pianeto corre più tosto che F altro, che tanto quanto
il suo cerchio è' più piccolo, tanto il puote correre. più
tosto. E quel che va iutomo al più grande sì pena|ttù
a correrlo, si come il conto dirà più innanzi là ov'.cgU
tratterà delli pianeti ciascuno per sé.
Capitolo XL.
Della grandezsa della terra e del cielo.
E se ciò è la veritade che li cerchi della terra ^ gli
altri cerchi, sieno compassati, dunque conviene elU,
come per necessitade, ch'elli sieno fatti a numero e a.
misura. E se ciò è vero, noi doviamo ben credere che
li antichi filosofi che sapeano arismetica e geometrìa,
cioè iscieuza di numero e di misura, poterono ben
trovare la grandezza de' cei'chi e delle stelle. Senia
UBRO SECONDO. 125
&IIÒ lo cerchio è intorno sei fiate tanto, come il conn
passo ha di larghezza, cioè a dire, che egli gira tre
ootanti, e anche uno settimo com^egli ha di diame-
tro, cioè mirando il cerchio per mezzo diritta linea di
m io gioso, o di giù in suso. E per questa ragione
immantinente che elli troyaro quanto la terra girava,
poterono bene trovare e sapere quanto la terra è gros-
sa per diametro, cioè misurandolo per mezzo, come io
ho detto del compasso. E per li corsi delle pianete e
delle stelle, come Puno cerchio è più alto che T al-
tro, e la grandezza di ciascuno. Ragione come la terra
gira tutta intomo ventimilaquattrocentoventisette le^
gfae lombarde. Yero è che quelli d'Italia non dicono
leghe^ anzi dicono miglia di terra, per ciò che in uno
m^lio di terra sono mille passi, e ciascun passo con-
tiene cinque piedi, e ciascun piede contiene dodici
ponse, ovvero dita. Ma la lega fìrancesca è bene due
cotanti, o tre cotanti, che non è il miglio. Poi ch^elli
separoro la grandezza del cerchio della terra, allora
fu cosi provato che 'l suo diametro, cioè la sua gros-
sezza, è la terza parte della grandezza sua ed uno set-
timo. Il suo compasso è la metade del suo spesso, cioà
la sesta partita del suo cerchio. Egli è vero, che le
pianete che sono nel puro aere, e tutte le stelle che
sono nel firmamento, corrono tuttavia per li loro cer-
chi intomo alla terra senza riposo. Ma ciò non è nien-
te d^una maniera. Che M firmamento coire tra dì e
notte, da Oriente in Occidente una fiata sì rattamen-
te e sì forte, che M suo peso e la sua gi*andezza lo fa-
rebbero tutto trasalire, se non fossero li sette pianet'*,
che corrono centra al firmamento temperatamente se-
1 36 IL TESORO.
conda suo corso e sccoodo suo ordine. E però nou è
maraviglia se le piacete vaono lentamente, che la loro
andatura è assoungliata ad una formica, quando .ella
andasse intorno ad una grande ruota girando. Ma die
corrono pm forte, che alcuno uomo non potrebbe sti-
mare. Che bene potete pensare, che qusundo la ruota
volgesse molte volte, la fòrmica non averebbe potuto
andare una. £. in cotal maniera corrono i pianeti dì «
notte contra il corso del firmamento.
Capitolo XLL
Del firmamento « del cono de* dodici fégni.
Sopra Saturno, ch^è il settimo pianeto, si è il fir^
mamento ove le altre stelle sono affisse. E sappiate che
da terra infino al firmamento sonq dieeimila e sessan^^
I
tasei fiate tanti, come la terra ha di grossezsa per dia*
metro. £ per T altezza eh' è si grande non è nieoii
maraviglia se le stelle parono si piccole. Ma alla v^
rilade, non è dal firmamento infino al Sole nessuna
stella, che non sia maggiore che la terra, fuori che la
Luna e Mercurio e Yenus, le quali sono di sotto ai
Sole. E sappiate che le stelle che P uomo puote cono-
scere nel firmamento non sono più che milleventidue^
secondo che Fuomo trova nel libro delP Àlm^^estOi
Ma infra le altre sono dodici stelle, che soq chiamalt
li dodici segni, cioè : Aries, Taurus, Cremini, Ganoer^
Leo, Virgo, Libra, Scorpio, Sagittario, Gaprìconio^
Aquario e Pesce. Questi dodici segni hanno nel &tt
mamento un cerchio, in cui eHino intoroeaiio il mai»''
do^ eh' è appellato Zodiaoa E oìascuno segno ha trenta
LIBRO SEGORDO. 137
gradi, che e!U vi ^a dodici fiate trenta, che mootaoo
trecentofessaota gradi. Questo cerchio si è il canumno
delli pianeti, per lo quale a loro conviene andare per
b^nnameoto, Tuna parte in basso e Paltra in alto^
ciascuna secondo la sua via e suo corso; Che Saturno,
il quale è di sopra a tutti, e crudele, e ieUone,e di fred*
da natura, va per tutti dodici segnali in un anno e
tredici dL £ sappiate che alla fine di quel tempo, egli
non toma al luogo né al punto, ood^egli si mosse, anzi
ritorna nelPaltro -segnale appresso, e lì ricomincia la
sua via e 1 suo corso. E co^ ùk tuttavia infino alli
trent'anni poco meno. Allora se ne va egli al primo
punto medesimo, onde si* mosse il primo di del primo
annoi, e rifa il suo corso come dinanzi. E per ciò puote
ciascuno intendere, che Saturno compie il suo corso
in trent'anni, poco vi falla, cioè che ritoma al primo
punto onde si mosse. luppiter, ch^ è di sotto lui, è
dolce e pietoso, ed è pieno di tutto bene. E va per li
dodici s^nt in un anno ed un mese e quattro giorni,
poco vi falla, ma il suo corso compie egli in diciotto
anni. Mars, ch^è di sotto lui altresì, è caldo e batta-
gliere e malvagio ; ed è chiamato Iddio delle batta-
glie. E va per li dodici segni in due anni ed un mese
e venti dì, poco vi falla, ma egli fa suo corso in tre-
dici anni. Lo Sole, eh' è buono pianeto imperiale, va
per li dodici segni in un anno e sei ore. Ma il suo
corso fa egli in ventotto anni, poco vi falla. Yenus,
ch^ è di sotto di lui, va per li dodici segnali in dieci
mesi, poco vi falla, ma il suo corso compie egli col
Sole, e segutsce sempre il Sole. Ed è bella stella e dol-
ce e di buodo aere; e per la bootade ch^è trovata in
128 IL TLSORO.
lui; si è appellato Iddio deiramore. Merciirio^ chièdi
solto a lui, va per li dodici segnali in tre me» ed otto
dì, poco vi folla. E compie il suo corso in otto aiM&
E mutasi di leggieri secondo la boutade e la maUni
del pianeta che si accosta. La Luna, che gli è di sotto^
va per li dodici segni in Tcfntisette di e diciotto ora
e la terza parte d'un^ora, ma il suo volare & efla
tanto, ch^ella appare in yentotto di e sette ore e me»;
za e quinta parte d^un^ora. E co^ comune tutto il
suo corso in diciolt^anni ed otto mesi e sedici di e
mezzo, in tal mainerà che la ritoma al punto ed «I
luogo onde ella era stata mossa al oomiaciameQlo del
suo corso.
Capitolo XLIL
Del corso del Sole per li dodid legai.
t
Toì potete intendere che 'l Sole, ch^è il più bello e
il più d^no degli altri, è ordinato ad essere in meno
delti pianeti, che li yan tre di sopra da hii, e tre <fi
sotto. E va ciascun dì poco meno d^un grado, perchè
li gradi del cerchio sono tra tutti insieme trecentoses-
sanlacinque dì e sei ore, e ciò è un anno. £ per le sei
ore che sono in ciascun anno nel corso del sole òltra
aili dì' interi, si avviene che di quattro in quattro an-
ni fanno un dì intero^ che è ventiquattro ore. Ed al^
lora ha quello anno trecentosessantasei di, che not ap-
pelliamo bisesto. E quello di si è messo nel mese di
febbraio cinque di alP uscita, ed allora febbraio ha
ventinove dì. E per ciò conviene dimorare nel caliD-
dario undici di in una lettera. Ed è lo f che è la qnb-
LISRO SECONDa 1 39
tfl lettera air usata dì febbraio. E quando il Sole ha
fitliì sette bisesti nel suo corso, ia tal maniera che cìsh
SCODO delH sette di della settimana sia istato in bise-
sto^ allora ha il Sole tutto suo corso compiuto intera-
mente, e ritorna al suo primo punto per le prime vie ^
E pereiò è detto che egli compie il suo corso in ven-
totto anni, che allora haiatli sette bisesti. E sappiate
cfae 1 primo di del secolo «ntrò il Sole nello primo
sq;oo, cioè in ariete. E dò fu quattordici dì all^ uscita
di mano, ed altresì ùl egli ancora. E quando egli ha
^lel segno passato, egli entra neir altro, tanto che
oompie on anno, che a lui couTiene in ogni segnale
dimorare un mese, cioè traita dì, o poco più. Ma per
ciò che egli si è grave alle comune genti a sapere quel
poco ch^è oltre li trenta dì, fu ordinato per li savi an-
tìdiì, che una parte di mesi ne avesse trenta dì, e
un'altra parte n'avesse treni' uno 5 totto che febbraio
non abbia . <^e veototto quando non è bisesto. E ciò
fa fatto per lo dispensamento de^ dì salvare.
Capitolo XLIII.
Dd di e della notte, e del caldo e del freddo.
La via del Sole e il suo corso è d'andare ciascuno
dì da Oriente in Occidente per Io suo cerchio intorno
alla terra in tal maniera ch^ egli fa intra notte e gior-
no uno torneo. E sappiale che ciascun luogo del mon-
do ha suo diritto Oriente in ver la parte dove M Sole
si leva, il suo Occidente è di verso ponente. Che là
ovunque tu se' sulla terra, o qua, o là, tu dei sapere
l5o IL TESORO.
che da te infine al tuo Oriente ha novanta gradi, e
altrettanto ha da te iufino al luo Occidente; e dal tuo
Occidente infino di sotto rincontro a^tuoi piedi dirit-
tamente ha altretd novanta gradi, ed altrettanto a-
vrebbe da ivi air Oriente, che è lo tuo levante. E così
sono quattro fiate novanta gradi, che montano treoen*
tosessanta che sono nel cerchio, si come noi avea»
divisato qua a dietro. E per ciò dovete credere che
tutta fiata è dì e notte: che quando il Sole è di sopra a
noi, egli allumina qui ove noi siamo. Ma ^K non pub
alluminare dalP altra parte della terra; e quando ^
allumina di qua egli non può alluminare di le, per la
terra ch^è in mezzo tra noi, cioè tra noi e quelli che
sono di là di sotto da noi E dalT altra porte il mio
Oriente è P Occidente di quelli che abitano ooQira ai
miei piedi, se fosse vero che gente v^ abitasse, e lo mio
Occidente sarebbe lo loro Oriente. Dunque eonvieoe
egli che tutta fiata sia dì e notte, che quando noi a-
vemo il giorno, elli avrebbero la notte. Che d) non
è altra cosa, che essere lo Sole sopra la terra, che
passa tutti gli altri lumi. E per lo suo grandissimo
splendore, non potemo noi di dì vedere le stelle,
perchè loro lume non ha nulla potenza dinanzi alla
chiarezza del Sole, ch^ è fontana di tutti lumi, e di
tutto chiarore, e di tutto calore. E perciò che la sua via
tragge più per quella parte, che noi appelliamo mezzo-
dì, avviene che quel paese è più caldo di nullo altro :
onde v^ ha molte terre diserte, ove nullo abita per lo
gran calore che in là è. DalP altra parte, come ì Sole
si tira più verso M mezzodì e si dilunga da uoi, tanto
avemo noi più grande freddo, e più grande notte. Ha-
LIBRO SBGONDO. ] 3 X
gìone come io quelle parli di sotlo si è allora piccola
notte e caldo grande.
Aiicora di cid medesimo.
Li cerchi de^ dodici segni che iotorneano tatto 1
mondo sono divisi in quattro parli, si ch^elli hanno
tre s^nafi in ciascuna parte. Il primo segno si è Aries,
nel quale il Sole entra quattordici dì al Suscita di mar-
zo^ e quel fu il primo di del secolo. E"per ciò che Dio
fece aHoni tutte cose, in quel buono e diritto punto
fu il dì così grande come la notte, si che non ebbe
in Ira loro nulla differenza. Ed allre^ è egli tuttavia
in quiel dL E lo stabilimento dì Aries e degli altri due
segnali che li yegnono dietro non è in basso Terso
mezsodi, né non è in alto verso mezzanotte, sopra i
capi nòstri, ciò è verso la tramontana, che si è di
verso settentrione, anzi è in mezzo tra due, per tiò
è il tempo più temperato e più naturale alP ingenerare
di tutte cose. In questa maniera comincia il Sole lo
suo corso, e vanne tuttavia più in alto sopra il firma-
mento, cioè verso ^I più alto luogo del firmamento. E
però cominciano allora li di a crescere ed a menomare
le notti, tanto ch^egli passa questi tre segnali primi,
infino a quindici di alP uscita del mese di giugno. Al-
lora è corso la quarta parte del cerchio, cioè per arie-*
te, per tauro e per gemini» L^ altro dì comincia egli
ad andare per F altra quarta parte, ed entra nel quar-
to segno, cioè io cancro. Allora è egli sì alto, comVgli
puote andare. Onde conviene che quel dì sia il più
grande di tutto Tanno, e la notte la più piccola. £ noi
l52 IL TESORO.
ayemo allora grande calore. Ma nel profondo mescodì
il Sole si dilunga quanto più può da noi, e vasseoe
verso settentrione. Ed allora yegnono li dì meoomao-
do, e le notti crescendo, sì che nel verno sono le notti
grandissime, e così se ne va il Sole facendo suo corso^
avvallando tuttavia d^alto in basso, a poco a poco. £d
è in tal maniera, che cosi conte il di cresce quando il
Sole va per ariete infìno a cancro, per lo montare che
fa sopra a noi, così ricomincia il di a menomare per
lo divallamento» che 1 Sole fa tanto, quanto va per
cancro e per leone e per virgine, infimo a quindici di
air uscita di settembre. E Taltro dì dopo entra egli
neir altro quartieri, cioè in libra. Ed allora è egli nel
diritto mezzo del cerchio, cio^ al settimo segno dirilto
ad ariete. E però conviene egli che quel di aia ^;aale
alla notte, sì come fu dall^ altra parte rincontro a lui.
Bla ciò è diversamente, che questa equali. a viene in
settembre per lo menomamento del di e per lo accre-
scimento della notte. Ma P altra equalilà viene in mar*
zo per lo abbreviamento delle notti e per lo accre-
scimento del dì. E cosi come il Sole per libra, per
scorpione e per sagittario tuttavia va abbassando e ààr
lungandosi da noi ; e così declina il tempo verso lo
freddo, come nel marzo verso ^1 caldo. E questo tempo
dura per li tre segni dinanzi nominati, infino a qaùi-
dici di all'uscita di dicembre. L'altro di dopo entra
^li nello diretano quartieri, cio> in capricorno, eh' è
tutto contrario a cancro. E per ciò conviene che cosi
come viene allora è il più grande dì dell'anno^ cosi
allora è la più grande notte, e più piccolo il di. E però
che '1 Sole è dilungato da noi, è mestiere che noi ?!>•
Limo SECOIHK). l33
tHano diflMta dì di e di-calore, e li grandi di sono
allora nel profondo mezzodì, « le grandissime notti
SODO idlora in selteoUioiie con lutto il grande freddo.
E cosi ai pasta U Sole per capricorno, e per acquario
e per peice, menomando la notte a poco a poco, tanto
cbe- alla fine delPanno viene alla fine del cerchio. E
poi rkomincia il corso per ariete, secondo che ^1 conto
divisa qua dietro.
CAPrroLO XLIT.
Della differenia eh* è intn menogiorao e settentrione.
E dò paletto noi conoscere, che come nel mezzodli
«QB molte lerre diserte per la prossimità del Sole che
va per qudle partì, cosi sono -altrettanti o più diserti
in settentrione, cioè sotto la tìMmontana, ove nulla
gente abita per la grande freddura die y^è, cioè per
lo allungamento del Sole, ohe si dilunga da quelle ter-
re. Ciò medesimo è la cagione perchè avviene alcuna
6ata die in tramontana non dura il giorno se non
molto pocoKno, tanto che appena vi si potrebbe can-
tare una messa. Ed allora dura altresì pòco la notte,
verso il profondo mezzodì. £ tal fiata dura il dì nel
mezzogiorno presso ad un anno, e in tramontana dure
la notte altrettanto. E cosi alcuna fiata il dì sei mesi,
e la notte altrettanto 3 e nella contraila parte diviene
il contrario. E tutte queste differenze perchè e come
elle awegnono puoteno apertamente vedere ed inten-
dere quelli che diligentemente considerano il corso del
Sole per lo suo cerchio, secondo che il suo conto divisa
apértamante. E tutto che ^1 conto dica che noi abbia-
1 54 XI' TESOAO.
mo alcuna fiala maggiore il dì che la nolle, ed alcuna
fiata maggiore la notte che 1 di, tuttavia io dico che,
comunque si sia, egli ha tante ore la notte quante lA
dì, e U dì quante la notte, che ciascuno ha dodici ore,
cosà la notte come ii dì. Ter' è che quando il dì è
grande, e V ore son grandi, e quando il dì è piccolo^
e r.oi*e sono piccole, e così della notte.
Capitolo XLV.
Delh grandenu del fole e del corso della luna.
Or sappiale, che 1 sole e tulle le pianele e le stel-
le che sono di sopra da lui assise sono maggiori che
tulta la terra ^ che '1 sole è più grande die la ter-
ra centosessanlasei volte e tre ventesimi, secondo che
tutti li filosofi provano per molte ragioni diiitte e
necessarie ^ e dalla terra infìno al sole è rinquecen-
iottantacinque cotanti, come è 1 grosso della terra. Ma
elli dbsero bene che altre pianele che son dal sole in
giuso, cioè Yenus, Mercurius e la Luna, sono più pic-
ciole che la terra. E la terra è più grande trentotto
cotanti che la luna e un poco più, e in alto è venti-
quattro cotanti e mezzo e cinque duodecimi, come
la terra è grande per sua grossezza, o vogli per lo
diametro. E dicono che la luna è ti^ rìtonda. On-
de molli dissero che la metà del'suo corpo è risplen-
dente, e r altra metade è oscura; e secoìido ch'ella
corre intorno dimostra ella sua chiarezza e sua osco-
rilade, una fiata più e una meno, secondo che ella
gira. Ma al vero dire, ella non ha niente di luce da se,
ma ella è chiara in tal maniera, eh' ella può ricevere
IJBRO SECONDO. 1 55
illuimoamento d^ altrui, come una spada bi^unita, o
cristallo, o altra cosa somigliante. Così fa la luna che
per sé non luce tanto, che noi potessimo vedere sua
chiarezza. Ma quando il sole la vede, sì la illumina,
come noi polemo vedere, e falla altresì risplendente,
com' ella pare a noi. Ragione come la luna si rìno-
velia tuttavia in quel segnale medesimo, duve ^1 sole
rimane^ ella corre ciascun dì tredici gradi, E voi a-
vete bene udito qua indietro, che un segno ha trenta
gradi , e cosi passa la luna uno segno in due di e
mezzo,' poco vi falla. E quando ella viene in un se-
gno col sole, ella è alluminata di sopra, laonde ^1 sole
la sguarda. E per ciò disella corre di sotto da lui, non
la poterne noi vedere. Ma al terzo di, quando ella
esce di quello segnale, è alquanto dilungata da lui, ed
egli la guarda discosta, ed allora appare alla nostra
veduta eoo due coma. E tanto quanto ella si dilunga
più dal sole, tanto più cresce ch^ella viene al settimo
segnale dall' altra parte del cerchio, tutto al diritto
contra 'l sole, cioè presso ali! venticinque dì. Ed al-
lora vede il sole tutta chiaramente, e però diviene
ella tutta risplendente, quando ella è litonda. E quan-
do ella ha ciò fatto, immantinente comincia ad avval-
lare dall'altra parte del cerchio, e tornasi in verso ^l
sole. Ed allora comincia prima a scemare da quella
parte onde '1 sole non puote mirare, tanto di'* ella
\iene al suo fatto. Ed entra nell'altro segnale dopo
quello che ella ha lasciato. Che tanto quanto lo sole
|R'na ad andare per uno segnale, sì va la luna per tul-
li dodici intorno.
I 5G IL TKsomo.
Capitom) XLYI.
Come la luna riceve il no lame dal sole, e com^elb oscura.
Che sia così vero, cioè die la kma accatti 3 soo ht-
me dal sole e la sua chiareKta, e chedla sui minore
<M lui e della terra, è provato certameòte per U oscu-
rameuti dell' uno e delT altro. Bacone come tw ve-
dete entrare la luna in qod medesimo segnale, in
che 1 sole rimane. Ed allora è ella intra hii e la ter-
ra, ma non luce di verso noi E puote essere tè dvitr
taroente in quel segnale tra la terra e 1 soIe,di^eUa
cuupre il sole ai nostri occhi in tal mmiera, che noi
non ne potemo del sole vedere niente^ e la sua diia-
rezza non ha nessun podere sopro wù. Ma però che ^
sole è più grande che la luna o che b terra, e però
che la terra è maggiore che la luna, non ha il sole
quella oscuritade per tutta la terra, se non è in tanto
come r ombra della luna puote coprire^ e contrastare
a' raggi del sole. E quando la luna ò andata al settimo
segnale dell'altra parte del cerchio, puote essere al-
cuna fiata che ella è si dirittamente contra allo scAe
che r ombra della terra entra in mezzo, e ritiene i
raggi del sole, in tal maniera, che la bina oscura e
perde lo suo lume a quel punto che ella ne dee più
avelie. E la cagione si è perchè l'ombra della terra
iiede dirittamente contra allo luogo ove la luna ri-
mane, si come r uomo puote vedere di lui e dd ftio-
va apertamente all'ombre che sono loro incontro. E
voi dovete credere che 1' ombra della terra scema
tuttavia tanto com'ella si dilunga, però ch'ella è mi-
LIBRO SBCOKDO. lòy
norè die 1 sole, die egli manda li suoi raggi tutto in-
torno^ ed a dò polemo noi intendere die Poscurar
mento dd sole non può essere se non è a luna nuo-
va; e Foscnramento deUa luna non puote essere se
non da die è piena e rotonda. £ per questo, e per
altre ragioni, provano li savi die ki luna accatta dal
sole lo risplendente lume die viene infino a noL Che
per d» che la luna è una stella, si credono le genti,
che ella abbia suo proprio lume, perchè tutte sono
rìhioentL Bl^ T albore della luna non sarebbe suffi-
ciente die alluminasse scopra alla terra se non fosse
da parte dd ade.
Càfitoi^o XLTD.
Dd cono deOa Inna per lo tuo cordilo.
Ma per dò che la luna corre più basso che Paltre
stdle^ ed è più presso dia terra die nulla dell' altre,
à pare a noi disella sia maggiore di tutte le altre sd-
vo lo sole^ che la nostra vista non puote bene soffe-
rìre di vedere la cosa, eh' è a lungi da noi, e tutte co-
se, quando elle ne sono lungi, mostrano d' essere mi-
nori eh' elle non sono. E d'altra parte sì vediamo
apertamente die la luna, per la prossimitade che ella
ha con la terra, ella sempre adopera nelle cose che
sono qua giuso più apertamente che l' altre. Che
quando ella cresce, si conviene che tutte midolle cre-
scano dentro dall'osso, e arbori e piante, e tutti ani-
mali, e pesa a^escono loro midolli. £ medesimamente
lo mare ne cresce; che allora gitba grandissimi fran-
genti. E quando ella menoma, tutte le cose che sono
1 58 IL 1S80RO.
sopra la terra minomano, e diventano minori che
dinanzi. E d^altra parte, noi vediamo disella corre più
tosto che gli altri pianeti, e ciò non potrebbe essere
se ^1 cerchio della sua via non fosse minore d^|li al-
tri, e minore non potrebbe essere se n<Hi fosse più
giù che gli altrL Ragione come la luna va per tutti
li dodici segni, e & il suo corso in trecentosessanta
gradi che sono in loro cerchio in ventisette di e dì-
ciott'ore e terza parte d^un^ora. Il sole vi pena ad
andare uno anno, secondo che 1 conto ha divisato
qui indietro. Bla noi dovemo sapere, che Tanno è in
due maniere^ che Puno è secondo il corso del sole in*
trecentosessantacinque di e quarto d'un di, e P altro
è della luna, cioè quando ella ha corso per li dodici
segnali dodici volte, e ciò fa ella in ti'ecentocinquan-
taquattro dì.
Capitolo XLTIIL
Qui divisa la composta della luna e del sole^ e del prinno di del
sole, e del primo dì del secolo, e del biseito, e delle pttMf e
d* altre ragioni della luna.
Noi leggiamo nella Bibbia, che al cominciamepto
del secolo, quando il nostro Signore creò tntte le cose,
tutte le stelle furono fatte al quinto di, cioè a' di venti
air uscita di marzo. E per ciò dicono molti che è e-
guale il di con la notte, e per questo è chiamata luna
prima da alcune genti. Ma secondo V usanza di santa.
Chiesa, è ella appellata prima nove di alF uscita del
mese di marzo, cioè a dire, quando P uomo la puote
vedere, eh' ella esce di quel segno, là ov' dia era col
umnomooKoa. i3g
mAt^mmm/Bo dhel conto ha divisato di qua a dietra
EtappìÉto dbe |^ Jumbi dicono dbc lo d^ comincia a
qtmlX!iX9i quando la kma appare^ cioè quando dia
fifiinfia a viadflni.il sole. E voi avete bene udito di-
n^ che dalPuna aooessiooe aU^ aHr% ha ventinove dà
e. actle ere e nenni e la qnmta parte d^ uii^ ora. E
oi& à. il diritto^ mise ddla kma. E tutto sia dw li
ooaIflMi dr santa Quesa dicano db^ dia ha ventoUa
Af€ marmi e per:risdiiarare il numero dicono, die
Fimo OMse ha trenta di eV altro venlinove. E di dò
nidinaDecsIi» die fi dodid mesi ddla- luna sonò tre-
esrtlir MMifMìntiagn ntrr n di E eod è Fanno dd^sole
magpen die quello della luna uodid di interi. E per
fesplitmdid dà di dnmienla addiviene lo cembolÌH
mo^,cioè addire Tanno die hatredid lunari Bagìo*
ne come intre anni va. dirittamente trentatre «fi, che
sono una Juna^ tre dà pia. E dtresà stanno d^ uno woh
no in P dtro, tanto die compiono sette dmholiumi
per li sette dà ddla settimana. E tutto dò &nno ìa
dwjÌDtto anni} e nove mesi, e sedia dà e mezzo, secon-
do ti ArabL Ma secondo U contatori di santa Chiesa,
dhe. vogliono ammendare tutti dispensamenti, sono di-.
taanioveanni,ed uno dì che è olirà ed rimanente. Ed
\^ .aUora toma la luna d suo ^anmo punto, ond^dla era
BMMsa prima, e ritoma come idnanzi. Or vedete che
.tutta il conto deUa luna e le sue ragioni difiniscono
t'Oompionp il suo corso in diciannove anni. E ciascu-
no' anno deUa luna è minore che qudlo del sole un-
dBd dL Onde gli addiviene, chela ove la luna è Puoo
anno prima, ella sarà T anno che dee venire undici
dì pia a dietro, a ritroso del calendario e delP anno.
i^o n« rascno.
E di questi medeMmi undici dì nasce un conto, ch^ è
apficllalo la patta, per trovare la ragione della hioa.
Ragione come il primo anno del secolo^ die le piane-
te cominciaro loro corso in uno medesimo dà^ non
ebbe nullo rimanente delP anno della luna a quello
del sole. E per ciò dicono che ^ primo anno de^ dician-
nove detti innanzi le patte sono nulla. Ed in quell^an*
no è la luna prima a^ diciannove di alP uscita di mar*
zo, sì com' ella fu al comindamento, e tutto quelFàiH>
no come allora. Al secondo anno^ ohe H rimanente co-
mincia da prima, sono le patte undici, ohe tanto ore*
sce la luna, là ov^ elleno fue lo primo anno prima. Al
secondo avrà undici ÙL Al terso sono le patte ven»
tidue. Al quarto anno montano trentatre. Ma per do
ch^ egli ha in una dmbolismo doò in uno lunare, tu
ne dei cavare li trenta dì^ per dò che tutte lune di
dmbolismo hanno trenta dL E dd ritenere lo rima-
nente, doò tre dì, che sono le patte del quarto anna E
così dd tu inunantanente sapere le lun^ che tu giun-
gerai ogni anno undid. E quando il numero monta
sopra trenta, tu ne caverd li trenta e riterrd lo rìnuh
nente. E dò farai iofino alti diciannove anni, die le
patte sono dicioito^ quando sono finiti quelli undid
del rimanente è uno dì, secondo che detto è dinan^
zi, che sono appellati li salti della luna, allora tu dd
prendere quel dì, e li undid del rimanente, e giunga
re sopra a^ didotto, e son trenta, doò una luna dm-
holisma, che dee esser messa udranno didannovesi^
mo. E tu non hai alcuno rimanente^ però <;he le patte
son nulle come dinand. E sappiate che le patte si nm-
tano tuttavia in settembre, ma la sua sedia è died <fi
LOULO SBOOUDO. l4l
all'uscita di mano. Ed ip quel di che la luna noo era
ancora veduta, santa Chiesa uoo la mette in conto, sì
come avete udita E. che le sue giornate erano nulle, si-
gnifica che quelk>anno sono le patte nulla. Ma lo secon-
do anno che la luna ebbe a quello giorno undici j,' e
cosi sarà tuttavia tanto^ quanto la luna ha d' etade a
quel dì, saranno le patte a quelP anno. E sappiate che
il primo anno del secolo, si fu il primo giorno della
luna. La luna ebbe il primo dì d' aprile dieci dì, ed
in maggio undici, e io giugno dodici, di luglio tredi-^
d, d^Qgosto quattordici, di settembre cinque, e in ot-
tobre cinque, e in novembre sette, e io decembre set-
te, e io gennaio nove, e in febbraio dieci, e in marzo
nove dL Questi conti è appellati concorrenti, a cui
noi d doviamo attenere tuttavia lo primo anno, quan-
do le patte sono nulle. Bla dal primo innanzi, tu dei ag-
giungere le patte di queir anno al concorrente di quei
mese che tu vorrai, e cotanto avrà la luna il primo dì
di quel mese, salvo che se'l numero monta più di tren-
ta, tu nel caverai e riterrai il rimanente. Ma guardati
nel diciannovesimo anno del salto della luna, cioè a dire
del die che cresce io tutti diciannove anni, secondo cheM
conto dice qui sopra. Che di ciò addiviene uno errore
del mese di luglio: che quando la luna dee essere
giudicata di trenta di, secondo le patte, ed ella è pri-
ma. Cosi ti conviene guardare nello ottavo anno, e
nello undecimo, per dò che la ragione delle patte vi
laUano in due lunai'i per cagione del cimbolismo. E
sappiate che la pasqua della resurrezione del nostro
signore Gresù Cristo si muta, secondo il corso della lu-
na. Ragione come egli fu vero nello tempo passato
l4'Ì IL TESORO.
che quando il popolo di' Israel fa menato in prigione
, in Babilonia quelli furo deliberati un di di piena lu-
na, cioè a dire com* ella avea quattordici dì. £ ciò
fu poi che M sole era intrato in Ariete. £ voi avete
ben^ udito qua a dietro perdhè la sedia della patta è
ciascuno anno dieci di alP uscita di marzo, e cosi la
osservano li Giudei ^ ch> in quel dì in che loro deli-
beramento Tue, là ov^egli tro^'aro la luna quattordici,
elli celebraro la loro pasqua, in memoria della loro
deliberazione. Ma la santa Chiesa fa la sua pasqna la
prima domenica che viene dopo la luna piena, però
che Cristo risuscitò da morte in quel dL £ sappiate
che la vecchia legge guardava lo settimo di che Dk> si
riposò, quand^ egli ebbe fatto il dì, il mondo, e tutte
le altre cose, cioè lo sabbato. Ma' nella nuova legge
guardiamo noi P ottavo di, cioè la domenica, per rive-
renza della resurrezione di Cristo. £ sappiate che ai
quaranta dì dopo la sua resurrezione il nostro Signo-
re montò in cielo ^ e però celebriamo noi la festa del-*
r Ascensione. £ da indi a dieci dì venne lo Spirito
Santo sopra li discepoli, perchè noi celebriamo la so^
ìennità della Pentecoste. £ però queste e molte altre
cose puote Puomo sapere per ragione della luna e del
sole. £ però è buono a saperlo. Ma chi vorrà sapere
come gli anni corrono nel corso delli ventotto anni
del sole, prenda gli anni del nostro Signore, e gingna-
vi nove anni, che cotanti n^ erano già andati, quando
nacque, e di tutta quella somma, cavi tutti li ventotto
che vi sono, il rimanente sarà il suo conto. Cosi chi
vuol sapere che anni corrono nel mondo delli ventot-
to anni della luna, prenda gli anni del nostro Signore
LIBRO SECOKDO. l43
ed un anno più, e poi ne cavi tutti li yen tatto ch^ e-
gli puote, il rimanente è quello ch^egli chiede.
Capitolo XLIX.
I>€^iegiii, e delle pianetei e di due tramontane, che stanno
in meicodi e settentrione.
Ora è leggier cosa a sapere in che segno rimane Io
sole. £ poi che V uomo sa ciò e^ può leggiermente sa-<
pere oy' è la luna, e che ella si dilunga ciascun dì dal
sole tredid gradi, poco tì falla. DalPaltra parte, se tu
raddoppi il tempo della luna, e giungivi cinque, e la
somma parti in cinque, sappi che tante volte quanto
tu troverai, tanti segni ha corso la luna di quello, ov^
ella si linovella, e tanto quanto va dirittamente, tan-
to è ella già dentro a quel segnale in cui lo sole ri-
mane quando si lieva tuttavia al mattino, cioè alla
prima ora del di, e coricasi col sole la prima ora
della notte. Ragione come lo sole gira tuttavia da o-
rìente in occidente, secondo che 'l firmamento gira
con tutti li dodici segnali, e con tutte le altre stelle, e
ciascuna secondo il suo corso. Ma il sole e gli altri
pianeti s^uiscono tuttavia il cerchio delli dodici se-
gni : per ciò conviene egli che quando il sole è in
Ariete lo sole si corichi e lievi secondo che fa Ariete.
E così si lieva Aries la prima ora del dì, e Tauro la
seconda, e Gemini la tei*za, e poi tutti V uno dopo
r altro tanto che sono tutti lievati. E quando il segno
sezzaio è levato allora si corica il primo, e va tutta
notte, d' ora in ora, tanto eh' egli ritorna al suo le-
vante. Ma per ciò che U cerchio del sole è minore che
l44 n. TBSOKO.
quello de^ segni, li oooTÌe&e egli fiacre più tosto lo suo
corso, tanto che passa tuttavìa innanzi al suo segqa E
per ciò guarda che tanto quanto il sole ha passato il
suo corso, o vero avanzato dentro al suo segnale, al-
trettanto lieva quello segnale innanzi lo sole, cioè a di-
re innanzi alla prima ora del gicHtio. Ragione come
se ^1 sole è ora entrato nel capo d^Àriete, egli comincia
a levdrenel còminciamento della prima ora. Bla quando
egli è corso infìno al miluogo d'Ariete, allora è la me-
tade d' Ariete già levata quando il sole si leva. E co-
sì dico io in ver la fine, e di tutti gli altri ugnali. Ora
avete udito a che ora del dì e della notte si leva
ciascuno segnale. Ora è buono a sapere diì è lo si-
gnore di ciascuna ora. In somma sappiale, che la pri-
ma ora di ciascuno dì è sotto quella pianeta per cui
quel di è nominato. Ragione come la prima ora del
sabbato è sotto Saturno e quetta di domenica è del
Sole, e quella di lunedì è della Luna, e così sono gli al-
tri. Onde conviene, che se la prima ora è di Saturno,
che la seconda sia di Inppiter, e la terza di Mars, e la
quarta del Sole, e la quinta di Yenus, e la sesta di
Mercurius, e la settima deUa Luna. Poi comincia an-
che da capo, che 1* ottava è di quel 'medesimo che 1
primo, e la nona ha quello della seconda. E così* va
per ordine tutti i tempi e giorni e notti, secondo
che 1 firmamento gira tuttavia senza finare da orien-
te in occidente, sotto li due occhi, li quali sono due
stelle, che V una è in mezzodì, e V altra in setten-
trione. E quelle sì non mutano niente, se non oo-
me uno chiovo d'una ruota. Onde per ciò navicano
i marinai al s^gno di quelle stelle, le quaU appellano
LIBHO SECONDO. l45
tramontana analmente le genti; e quelli d^ Europa e
dì Africa navicano a queUa tramontana di settentrio-
ne, e l'altra gente di verso mezzodì liavicano a quel-
la tramontana di ver mezzodì. E che ciò sia la verità,
prendete una pietra dì calamitta, voi troverete disel-
la ha due fìiccìe, V una che giace verso Puna tramon-
tana, e r altra verso V altrd; e però sarebbero li ma-
rinai befl&ti, se ellino non ne prendessero guardia. E
però che queste due stelle non si mutano, avviene che
le altre stelle che sono nel firmamento corrono per li
pio pìccoli cerchi, e le altre per li maggiori, secondo
che ^e sono più appresso,' o più lungi a quelle tra-
montane. E sappiate che a queste due tramontane vi
si apprende la punta dell' aco, ver quella tramontana
a coi quella faccia giace.
Capitolo L.
Della natura che cosa è, e coni''eIla adopera nelle
cose dtl mondo.
Per queste ragioni che '1 conto divisa qua dinanzi
e più indietro, potete voi intendere come il firma-
mento gira tuttavia il mondo, e come li sette pianeti
corrono per li dodici segni. Ond' elli hanno sì grande
potestade sopra alle cose terrene, che conviene ch'el-
le vadano e vegnano secondo lo loro corso, che al-
triménti non avrebbero elle nulla forza di nascere, ne
di finire, ne d' altre cose. E al vero dire, se '1 firma-
mento non volgesse d'intorno alla terra, si come '1 fa,
e' non è nulla creatura al mondo che si potesse mo-
vere per nulla maniera. E ancora più. che se'l firma-
Laiini Fol. l. <j
1^6 IL TESORO.
mento non si volgesise, e ritenesse on punto che non
andasse, conTerrebbe cbe tutte le cose si dìs&oessero,
Però noi doTcmo amare e temere il signore Gtesù
Cristo eh* è Signore di tntli, e senza cai nnllo bene,
né nulla podestate non pnote essere. Egli stabili na-
tura di sotto, à che ordina tutte cose dal cielo in gin-
so secondo k Tolontade del soprano padre. Onde A-
rislolìle disse, che natura è qoeUa virlù per la quale
tutte cose si mutano e si riposano per loro medesi-
me. Ragione come la pietra si posa tuttavia per sé me-
desima, e il fuoco va tuttavia in su per sé medesimo.
Ma chi rinchiude lo fìioco che non possa montare, o
dn gitta la pietra in alto, quello è per forza e per al*
trui, e non per se medesimo, dunque non è secondo
natura. E sopra ciò disse il filoso^ che V opere del-
la natura sono in sei maniere, ciò sono : generazio-
ne, corrozione, accrescimento, diminuzione, altera-
zione e mutamento d^uno luogo in P altro. Ragione
come generazione è quella opera di natura per cui
tutte cose sono ingenerate, che ella fa d^uno uovo
uno uccello, che non lo ^ebbero tutte le genti del
mondo, se per forza di natura non si facesse. E così
dico degli uomini, e dell^ altre cose. Corrozione è queir-
la opera di natura, per cui tutte cose sono menate a
defìnìmento. Che la nnurte degli uomini e d^li altri
animali non avviene, se non perchè li suoi umori che
tengono in vita sono corrotti in tal maniera, eh* elli
non hanno più niente di potenza. Ed allora conviene
che quella cosa vegna alla sua fine. Ma quando V uo-
mo V uccide a forza quello don è mutamento di na-
tura. Accrescimento è quella opera di natura, che fa
LIBRO SECOIIDO. l^J
crescere il piccolo faDtino, o altra cosa dì sua gene-
razione, infioo a tanto difetta dee crescere. ChèJLat-
te cose sono per lei nate dentro dal suo termine, sì
che non possono più crescere. Diminuzione è quelFo-
pera di, natura, che fa menomare Tuomo, o altra
cosa, di quello ch^egli è. Che quando Pnomo è cresciu-
to infino alla sua buona etade, e eh' e^ è compiuto
lo -corpo come dee, allora comincia a menomare la
Ibrza sua, infìno alla sua fine. Alterazione è quella o-
pera di natura, che muta un colore in altra, ed una
cosa in altra, si come noi vediamo una figura, o altra
cosa, che nascono di colore verde, e natura li muta, e
&lli di colore nero, o rosso o d' altro colore, st come
è li firuttL Ed un' altra figura muta simiglianiemente,
diel bruto che xMfece del cavallo sì fa divenire fer-
£dla, e dalli ale, e va volando. Mutamento è qnell' o-
pera di natura che fa mutare lo firmamento,, e le std*
le, e li venti, e T aequa, e molte «lire cose d' un luo-
go in un altro per loro medesime. Queste sono le ope-
re di natura. Tutto che 1 conto divisi queste poche
cose per esempio, ma egli basta bene al buono inten-
ditore per tutte cose che per natura sono. E però è
cosa provata a sapere, che natura e che no. Qui si ta-
ce il conto di parlare dello firmamento e delle stelle e
ddle cose di suso, e ritorna a divisare la natura delle
cose che sono in terra. Ma egli diviserà prima le parti
ed abitazioni della terra.
i4S MnroTAzioin
/NNOTAZIONI AL LIBRO SECONDO.
Gap. n, pag. 80. Disopra lo verceri d' EgiUo»
Che significa verceri? L'edizione del 1474 <^ <''^-
cìerì^ nn è tatt' uno quanto aUa scorrezione eridente
della parola.
Cap. y, pag. 83. E condusserli a tal fame, ec*
La edizione i533 ha condusselL Ho corretto la
sgrammiUcaturà. Non cessa però che il lettore, con-
tro r ordine naturale delle parale^ debba riferirsi ai
Giudei del periodo antecedente quando Toglia tro-
Tai'e la relazione del costrutto. '
Cap. IX, pag. 86. Quando egli gli disse, seguisci"
mi, ec.
Le due edizioni i474 ^ i533 hanno P erroneo 5e-
guissimi: ho corretto col seguiscimi antiquato, e di
cui troveremo esempio nel singolare sul principio del
cap. XXXn di questo medesimo libro.
Cap. X, pag. 88. Zo padre di Busil.
Bosu con evidente errore ha la edizione i533. La
1474 BuiiL
Cap. XXm, pag. 93. Ciascuno di loro scrisse
per uno inspiramento,
L^ edizioni antiche danno concordemente isperi"
mento ^ ma che gli evangelisti scrivessero per isperì-
mento non parmi die possa stare. Inspiramento non
▲L UBEO fiBGQWDO. l49
è registnito odia Crusca; tuttavolta il r^islra P Al-
berti oon UD efiefnjModel toscano Gorì. EkCnnca
finn et dà inspirare, inspirato, inspiratore e inspir-
nmone. Sarebbe molto of^portnno Pesempìo dd Te-*
toro se la lesioDe fosse aeoertala da qualche codice.
Dnro però confessare che la seconda parte del pe*
lio^ ocm mi lascia punto tranquilk> cipca la muta-
Gap. XXni) pag. 93. Tutto Steno questi comcak*
^mm^mtiy ec ^,. 0
I/edisdone 1535, non meno che Ja iSa8 hamip
MCì^ fao oorr^to^ avendo per me farèdiaone più an-
tìn. Tutto per tutto che ncna è punto nuovo nelle
fcnttore de'dasfiidu ^m,-:.
€^ XXIY, iMM^- OfifàUresì temSk tutta
smavitau T"
CSonoordi le tre edizioni hanno tenne tutta la sita
vita$ mi parve manifesta la trasptyxione, e corressi.
Gap. XXY, pag. 96. EJbcevahU sostenere diver^
si tormenti, ec.
Cosi appunto nelle due edizioni 1474? '^^^3 ^^^
nta quella del i533, che [eggejbcevali. Noto queste
VMferenze minute perchè servano di misura a chi
mancasse o di veglia o di tempo pei confrónti neces-^
saru a giudicare del relativo merito delle tre edizioni.
Cap. XXV, pag. 97*. Che egli abbreviò la legge
del codico, e dello digesto, ec.
La edizione 1 553 ha codigo. Codico invece ha quel-.
la del 1474 • ^ scegli è vero che questa correggesse il
codigo, guasto il. digesto mutandolo in digesto.
Cap. XS^Yn^ ps^. 99. £ qucmdo V apostolico
1 5o AHlffOTAKIOin;
ifide che non potestà avere contra a loro lunga du-
rata^ ec.
Concordi le tre edizioni hanno allora in luogo di
a loro. Farmi di non ayer errato correggendo.
Gap. XX VII, pag. 99. /n quella maniera ch'elli
dwisero.
Fui per cangiare il dwisero in divisaroy ma non
trovando edizione che mi confortasse, e accorgendomi
ohe il senso ci stava, me ne astenni.
Gap. XXVni, pag. 101. Che 'l conto ha divisato
qui dinanzi^ ec
Gon errore manifesto la edizione citata legge quel
dinanzi. Ho corretto secondo T altra del i474*
Gap. XXYIU, pag. 102. /n tale maniera come io
ifi dicoy ec.
Qui le tre edizioni incominciano concordemente
un altro capitolo che ha per titolo: di dò medesi-
mo. Ho stimato bene di torre questa inutile divisio-
ne; tanto più che in nessuna delP edizioni non ha un
numero proprio. Avremo altri esempi di simili biz-
zarrie.
Gap. XXIX, pag. 10^. ji sette principi di Lor-
magna,
Ghi volesse starsene colP edizione del i474 ^^
vrebbe leggere d^ Alamagna^ che m^lio risponde-
rebbe agli atamani del titolo. '
Gap. XXIX, pag. io3. Figliuoli mademaU e ba-
stardi che rimanesser dopo luiy ec.
Rimanesse hanno concordi le tre edizioni. La Cru-
sca poi, riportando questo passo alla voce moderna--
le, corregge la s^mmaticatura. Uno dei rarissimi
1^
▲L !UMO SBCOHDO. l5l
fMttfiì^^tn 1^ óymoBk speasissime del Ti^jorv regi-
strate nel Tocabolario, che giovino ad emendarne la
. Gap. KUX, pag. io4* Compilò egli- questo libro
per €Bnore del suo amicoy ec .
- Nimico hanno F antiduMima rtamjpa del i474 ^ ^
dof sdmie postenQjri, ripugnando, oltre», che ^id buon
fou^ a ciò die à lej^nd proemio. Qoaldie sofistipo,
senza quella parc^ del proemio, pob«bbe credere che
qù. mimco yalesse stranierQ; oppure che intendesse
eoa dò accennare al nobile modo con cui irenficavasi
d^.ii^ii nemici oopcktadim usando V annro tempo
ddOC esilia a comporre opera che ne U ammaestrasse.
11% r^prto, CIO sarebbe sofisticare.
Gap. XXX, p6(g^^|o4- Sono conformati di, queste
qaaaUrp eon^lesshhL
* Cm^rmati d^ accordo le tre edizioni.
Gap. XXX, pag. io5. i? gli è così che assenU>li
in uno corpo ^ ea
Assemblare non ha esempio nel dizionario della
Crusca; bensì T Alberti registra assemblanut^ ccd di-
stintivo di i'oce antica (Y. A.) e colla dichiarazione
assen^raglia.
Gap. XXX, pag. io5. O pari congiungimento di
maschio e dijèmina.
Qui manca alcuna cosa, ma P edizioni ccmcordano
sdaguratamente in tale difetto.
Gap. XXXI, pag. 107. Per le estremitadi delli
elementi . . . che abbondan in loro, ec.
Le tre edizioni, sgrammaticate ad un modo, hanno
abbonda.
V
I 52 . ANVOTAZIONI
Gap. XXXn, pag. 108. Ciascuna seguUce la na-
tura del suo elemento.
Le due edizioni posteriori seguisse^ la più anti-*
ca seguisele. Vedi qui addietro ]A nota al cstp. IX,
pag. 86.
Gap. XXXII, pag. 108. Che tutto che in ciascu-
na cosa^ ec.
Erroneamente la edizione citata ha che tutto cKè^
corressi colla scorta della edizione i474*
Gap. XXXn, pag. 109. Cioè Jèhbre sinoche, ec.
Sinocoy aggiunto di febbre, non è registrato dalla
Crusca, sì dall^ Alberti, come: aggiunto di alcune
Jehhri continue^ nelle quali le Junzioni del sistema
nervoso o di qualche parte di esso sieno notabibnenr
te alterate, Gon questo esempio del Tesoro si mo-
strerebbe italiana e di antica data una Toce, che PAl-^
berti dà come usata da poco e senza recarne esempio
nessuno.
Gap. XXXn, pag. 109. Fa Vuomo cantante^ ec.
Aveva cangiato il cantante in aitante^ ma trovan-*
do cantante in tutte tre V edizioni mi astenni dalla
correzione; tanto più che bizzarrie di ben altro genere
s** hanno a tranghiottire i lettori di questo Tesoro,
Gap. XXXV, pag. 112, Quando Vuomo Ja in una
sua magione un ponte^ ec.
Non intendo che significhi questo ponte. L^edizio>
ne i^y^hdi o uno ponte, variante che noto perdiè
serve a meglio far sentire la scorrezione del passo.
Gap. XXXV, pag. 11 3. L^ acqua è il più grave
elemento secondo la terra,
E da notare , parmi , questo avverbio secondo.
Eh umtomcomò. i53
0QRÌi[KNEidc9tia Mml ooo ^odlo del
319) citato dalla CSrusca: (^umdo
1 QuMi tmonM numd^e stamdo
Cm^ XXXYI, [m^. 116. Ccfummut per d&aiU^
mento é^ aequa (Aevenlo vi ti muova, ec.
- L'adnme' i533, copiando qodla àà 1^749 In:
eomfdenecheperdibaUimenù}fec,Bio9opgi^^
ito cfttf acrvrabbondaiite;
CSip. XXX.TII9 pi^ 119. EJa Umore e haUena*
f^.eiBm
Qoi d dev'essere socnreiioii^ ma non avendo aio-"
lódbano d'antorità lascio stare. Potcdibe darsi die
Paiidoe stesse neUa mmla, qoantanqoe la finse mi
rinsdrAbe nn po' strana. ...
Oep. XXX'^nH, pag. lao. Ed egli è natura di
ÈMe ìè case, ea
Correggo, appoggiato alla edizkme 1474? ^^ vwta
lenone 1 555, che reca : E de la natura di tutte le
case, ec
Gap. XXXYH, pag. lao. E sappiate che nelPae^
re eonoy ec.
La edizione i474 1^ oria.
Gap. XXXYn, pag. laò. Che 'l preveggono di
diedi notte.
Così la edizione 1747? errata quella del i555, che
]e^ proveggono.
Gap. XL9 pag. 125. Dodici ponse, ovvero dita,
Là^ ovvero dita non è nell^ edizione 1474? ® ^^ ^^^
mincìa a leggere soltanto in qudia del i528, copiata
dalPahra i535.
9*
1 54 ARHOTAUOHI
Gap. XL, pag. ia5. £Ui separoro la grande^'
%a^ ec.
Spropositatamente V edizione i474 legge separo^
e noto questo errare perchè sì vegga che se queil^an- ■
tica edizione giova talvolta a correggere le posteriori
i528, 1555, viene essa a vicenda da queste ourretta.
E potrei citare più luoghi, ma basti questo per sag-
gio di quanto ho aflfermato nel discorso proemiale.
Gap. XL, pag. i a6. La formica non anserebbe po^
tuta cmdare una^ ec.
Concordi le tre edizioni l^gono dare in cambio di
andare: ho creduto poter correggere senza timore,
confortato anche dall^ andasse che si trova poche ri-
ghe addietro.
Gap. XLI, pag. 137. E lì ricomincia la sua
iwiy ec.
L'edizione i533 lascerebbe credere che dovesse
leggersi elli per egU^ ma il trovare in quella del i474
eli con una sola Z mi ha indotto alla correzione qui
sopra notata, che rischiara il senso non poco, e rende
più naturale V andamento del discorso.
Gap. XLn, pag. ia8. Del corso del sole per li
dodici segniy ec.
Spropositatamente Fedizione 1 53 5 ha del suo cor--
so^ ho tolto r indebito suo^ come nell'edizione del.
1474.
Gap. XLin, pag. i3o, i3i. Ragione come in
quelle parti^ ec.
Goncordi tutte tre Tedizioni danno : in quelle par^^
ti, ec, e ficcano il ragione come dopo ceddo grande,.
per guisa che non se ne cava senso alcuno. Ho sti-
AI. LOBO SBCOHDO. l55
naàù opportn» di tfaspanre il n^MNié come a ^le-
sto moda
Ca^ XLin^pag. i^i. j^noora di dò medesimo,
non so che signifinhi funesta ìotitolaiìoiie, sema die
il capitolo sia munerata Lascio UiUavia stare coti per^
die al lettore noo tornerà inopportuno questo riposo,
attesa la hinghena dd capitolo. Le tre edizioni sono
copcocdi in questa partizione.
Gap. XLIII,pag. 1 55. Djffhlta di eli e di calore, ec.
DiffhliaiOy con errore evidente, ha P edizione dia-
la. Corrugo con quelk del i474-
Cap. XLY, pag. i54- Che 'l sole è più grande
che la terra, ec.
Questo che la terra è ripetuto in tutte le tre edi-
zwiii dopo le parole e tre ifentesùni ; ho stimato ra-
gionevole di torlo via.
Gap. XLTD, pag. i58. Treceniocinquantaguattro
dhyec
Dopo queste parole, con le quali sembrerebbe con-
diiuso il capitolo, trovasi in tutte tre T edizioni un
ragione come che non si sa a che s^ attacchi^ il levai.
Ma giovava avvertirlo, perchè esso è forse indizio d'u-
na qualche lacuna che vi ha nel testo.
Gap. XLym, pag. i58. ^41 cominciamento del
secolo, ec.
Gosì nella stampa i474- ^^ citata ha per errore
il cominciamento.
Gap. XLYni, pag. it^i. Cavi tutti li ventotto che
vi sono, ec.
Go« ndla stampa i474 9 ^^ ^^^ posteriori, con e-
vidente scorrezione, hanno vinsono.
1 56 AVioTAzioin
Gap. L, p. 147. Crescere il piccolo Jantìno^ec
L^edizionei535,non che Tantica 1474? daimo pie-
colino ; ma b Crusca, che reca questo passo alb Toce
JhntinOy cambia in piccolo il poco grazioso piccolino
togliendo il mal suono.
Gap. L, pag. 147. Cosa provata a sapere, ec.
Così la edizione 1474? errata la lezione 1 535, pri-
i5j
LIBRO TERZO.
Capitolo I.
Qui ccMninc» il mappamuiidì.
L
la terra è cinta e intorniala dal mare, secondo
die 1 conto ha divisato qua a dietro, là ove parla del-
li elementi. E sappiate che questo è il grande mare, il
quale è chiamato mare Oceano, del quale sono istrat-
ti tutti gli altri mari, che sono sopra la terra in diver-
se parti; e sono tulli quasi come bracci di quello. On-
de quel che viene per Ispagna e per Italia e per Gre-
cia è maggiore degli altri, e per ciò è egli detto mare
maggiore 3 ed anche chiamato Mediterraneo, per ciò
che surge per lo mezzo della terra, infìn in verso O-
riente, e divide le tre parti della terra. Ragione come
tutta la terra è divisa in tre parti, ciò sono, Asia, A~
frica ed Europa. Ma ciò non è diviso a diritto, per
ciò che non sono eguali, anzi è Funa delle parti mag-
giore deir altra. Che Asia tiene bene la metade di tut-
la la terra, ch'^è infino dal luogo ove il fiume del Nilo
cade in mare in Alessandria, infino al luogo ove il
fiume Cairo cade in mare, al braccio di santo Gior-
gio verso oriente, tutto infino al mare Oceano e al
paradiso terreno. Le altre due parti sono il rimanen-
l58 ILTESOBO.
te della terra verso ocòideote, per tutto, infino al ma-
re Oceano. Ma queste due parti sono divise' dal mare
maggiore, eh' è oltre ambedue. E quella parte eh' è
verso meixoòì infino in occidente si è Africa, e P al-
tra parte eh' è verso tramontana, cioè verso setten-
trione infino ocddenle^ si è Europa. E per meglio di-
mostrare li paesi e le genti del mondo, tratterà il con-
to brevemente di ciascuna parte per sé. E primiera-
mente dirà d' Asia, che è la prima e la maggiore par-
te. E comincerà da quello capo, eh' è inverso mezzodì,
là onde ella si parte dall'Africa al fiume del Nilo,
e al fiume del Tlgro eh' è in Egitta
^ Càpitoix) n.
Della parte d* Oriente, ch^è appellata Aua.
In Egitto si è la città di Babilonia, il C»ro e Ales-
sandria, e molte altre cittadi e terre. E sappiate che
Egitto si è di contro al mezzodì e stendesi verso levan-
te, dh'è diritto lui, e Etiopia. E sopra di lui corre il
fiume del Nilo, cioè Geon, che comincia disotto al ma-
re Oceano, e fa qui immantinente uno lago, eh' è ap-
pellato Nilides, ed è in tutte cose simile al fiume del
Nilo. E dall'altra parte quand'ali ha emalaritane gran-
di pioggie e grande neve, che caggiono in questo Itiogo,
allora cresce il Nilo, e bagna la terra d'Egitto, e però
dicono molti che quel fiume esce di quello laga Ma
l'acque del lago si entrano sotto terra, e corrono chiu-
se, e per fori privati dentro dalla terra.^ tanto eh' elle
apparooo in Osarea, e là si dimostrano tutte sìmi-
gHanti al primo lago, e poi entrano quelle acque anche
LIBRO TERZO. l5g
da capo sotto terra, e sì ne vanno per lontane terre.
Ch^ elle uoQ estono fuori, infino alle terre d^ Etiopia,
e là apparisoooo, e &nno un fiume, che ha nome Ti-
grìdes, di cui il conto dice die divide Afìica da Asia,.
e alla fine si parte egli in sette parti, e vassene tutt^ol-
tre periDoezzocU nel mare d'Efpitto, e esce un fiume
di loro die bagna tutta la terra d'Egitto^ che non Ta<
altro fiume^ né non vi piove. Ragione come quando
il sole entra nel segno di canoer, ch^è a' died di alPu-'
scita di giugno, quel fiume comincia a crescere, e du-
ra infino air entrata di leone, e quando il sole è den-
tro a leone, ^H ha sì grande forza, tre, di anzi calendi
d'agosto infino a undid di all'entrata, eh' egli esce
oltre lo letto del suo corso qua e la, tanto ch'egli ba-
gna tutta la terra^ e così fk tanto quanto il sole dimo-
ra in leone, e quando egli entra in virgine^ egli comin-
cia a scemare dascuno giorno più, tanto che '1 sole
entra in libra, e che '1 dì e la notte sono eguali, doè
a mezzo settembre, e allora toma il fiume dentro alle
sue ripe, e riachiudesi nel suo letto. E però dicono
qudli d'Egitto, che quando il Nilo cresce tanto trop-
po che nd suo accresdmento si dismisura oltre did-
otto piedi, che li loro, campi non rendono assai frutto,
per l' umidore dell'acque, che vi giace entro troppo
lungamente 3 e quando cresce meno di quattordici pie-
di li loro campi non si possono bagnare tutti siccome
bisogna. £ perciò vi viene la fame e 'l caro in quella
terra, e la difialta delle biade. Ma s'egli è quindid pie-
di, o da iodi intomo, allora è ella doviziosa drogai be-
ne. Questo fiume d' Egitto credono che 'I suo nasci-
mento non può essere trovalo, eh' egli sia oltre quello
i6o n< TBiomo.
luogo ove ^ fintile del Tigro si parte in sette parti. E
là ove 1 fiume dd Nilo comincia sua via è il paese di
Arabia, die si appartiene al mare rosso. E sappiate die
quel mare è rosso non per natura, ma per accidente,
doè, per la terra e per le pietre d^onde corre, die so-
no rosse. E questo è uno golfo del mare Oceano, ch^è
divisato in due braccia, Tuno che viene di verso Per-
sia, e r altro che viene di verso Arabia. E sappiate che
nella riviera del mare rosso è una fontana di cotale
natura, che li montoni che ne beono incontanente co-
minciano a mutare la lana di colore, iosino a dentro
alla pelle. E dò addiviene delti tugioni e dura insino
ch^ elli li tugia ^ e quando è tugiate, si va via quel
colore. In quel paese cresce V incenso e la mirra e la
cannella. E qui nasce uno uccello, che ha nome Peni-
ce, che non è più che uno in tutto M mondo, secondo
che noi troveremo qua innanzi nel libro degli uccelli.
E ancora io quel luogo medesimo è Montecasse, là ove
già fu la (nu anziana città del mondo, siccome quel-
la che fu (atta dinanzi al diluvio. Ancora v^è Su-
rìa e Giudea, doè una grande provincia, e là nasce
lo balsamo. E si v^ è la città di lerusalem, e quelb
di Betleem, il fiume Giordano, eh' è cosi appellato
per due fontane ond'egli esce, che Puna ha nome
Geor e P altra Dan, che si aggiungono insieme e fan-
no quel fiume ; e nascono sotto il monte detto Liba-
no. E divide il paese di Giudea d'Arabia, e alla fine
cade nel mare morto, presso in Grerico. E sappiate
che '1 mare morto è appelbto morto per dò che non
ritiene uè ingenera alcuna cosa vìvente^ e tutte cose
che sono senza vita caggbno in lui nelfoodo. Vento
a6i
noJ pole MQivcic; ed è tolto ccmk ìÌ butuff%> teoftce» «r
per cm» Fappcb» salti i BBre sdfanaane. £ jì \'*« k>
bg>^ kìhi K sappMie che 1 butovu «fi quelk> fta^ r
à teoenle e àa^ficatìcào, die se Tuona ne preo-
dcsK ma ■Boola, eli oim se dc ^nedicrebbe paui-
inai, and se ne «rroneiìbe tuttai kfesìeBie b mam) a che
cUafogeaiyncalai, se ^|K oon toccasse Io sangue me-
stnole detti femina che tosto io spezia. QueUo ki^^
è alle parti di Giudea. Appresso v* è I^llestilM^ là
aw^è la città di Scaloni, die furo già appelbti qud-
li di quella terra li Filistei. A hioga a lenisalenì
trenta giornate sono le dnque cittadi che profondin»
per lo peccato contro natura, doè Sodoma e Gonion,
e Taltre tre. Tutta dentro di Giudea verso occidente
sono SasCTìfs, che per la loro grande sapienza sì (ìor-
tono ddle genti per schiBure diletta Che intra lont noti
è nessuna femina^ e moneta nulla non v*è conosciuta.
ElU vivono di palme; e tutto sia che là non vi nusoa
nulla persona, nientedimeno la moltitudine della gen-
te non vi falla; e se alcuna gente vi va che voglia es-
sere di loro conversazione, non vi possono liniaucrc
longamente, se castìtade, fede e innocenza non è con
loro, che Dio non soffrirebbe. Appresso viene Io piìesu
di Selvizie, che va un monte oh' è detto Muntccasse,
eh' è sì alto, che Puomo potè vedere lo sole lu <[uur~
ta parte della notte. £ così può Fuouio vedere lo le-
vare del sole, anzi che lo dì appara. £ per quello luo-
go corre il fiume d'£ufrates, che corre per Armonia,
e movesi dal paradiso terreno, e passa a piì: del nujnto
Gatantrese per Babilonia, e sì ne va in Mesopotainia,
e bagna e infonde tutto quel paese, così come il Nilo
l6a 11^ TESORO.
bagna Egitto. Salustio dice che Tigris ed Eufrates^ che
possano per Armenia, escono d^una medesima fontana.
Tigris è un 6ume che leva Io sno capo in Armenia, d^u-
na noUle fontana che al cominciamento corre lenta-
mente, se'^non è quando tocca la marca di Mediani,
che allora immantanente corre forte, tanto ch^egli cade
in uno lago eh' è appellato Arecuso, eh' è di tal natura
che sostiene le cose che Tuomo tì mette dentro, quan-
tunque elle sian gravi e pesanti, e quelli pesci ch'egli
mena non possono vivere in altro lago, e corre sì for-
te eh' è una meraviglia. Il colore di quel fiume è divi-
sato da quello del lago. In questa maniera se ne va il
Tigro correndo come folgore, tanto che '1 trova Mon-
tor all'incontra. E allora entra sotto terra, e esce dal-
l' altra parte di Azomode. Poi entra sotto terra e cor-
re tanto ch'egli rappare nella terra delli labinesi e delti
Arabi. Poi viene Cilicia, eh' è una grande terra, là ove
Montor siede, che guarda a destro verso settentrione.
Da quella parte è Graspia, edUrtania a sinistra. E guar-
da verso mezzodì, che in quella parte è il regno delli
Amazoni, il regno delle femine, cioè, chaie e scite. E
le sue fronti guardano da occidente, e in mezzodì
iscalda egli forte per lo sole. Ma dall'altra parte, che
guarda in verso settentrione, non v'ha altro che venti
e piova. Là è la terra di Scithe, là ov' il monte di Gi-
Dere,chedi notte ùl grandi lumi. Ed evri la terra d'A-
sia minore, ov'è Efeso e Troia, e la terra di Galata, e
di Bitinia, e la terra di Pafegrouia, e quella di Capa-
docia, e la terra di Assiria. In contra v' è la terra di
Arbclite, cioè la terra ove Alessandro vinse Dario re.
E SI v'è la terra di Medi. Aacora è a destra di Mon-
Lnao TEBzo. i65
tor le parti di Gaspe, là oTe noo paù andare nomo,
se non per uno piccolo sentien, che fu ùAìo per for^
za, per mano d' uomini, che per lungo bene otto pas^
à si ya uno spazio di terra di diciotto milia passi per
lungo, là ove non è pozzo ne fonte. E sappiate, che
immantanente che H buono tempo viene, tutti i ser-
penti del paese limono a quella parte, però noo si
puote andare alle porte di Gaspe se non di verno. Ed
è la terra di Gaspe verso Oriente. Evvi un luogo dì*
vizioso di Tutte cose che sono in terra, e quel luogo si
è appellato Dieu. Ed ivi presso è la terra di Termige-
re, che si è dolce e sì dilettevole, che il re Alessandro
vi fece la prima Alessandria, ed ancora è appdlati Ge^
lartem. Appresso si v^è Bauzia, un paese contra alla ter-
ra di Giudea. Oltra alla Bauzia si è Bande una cittade
Isodiames, ove Alessandro fece la terza Alessandria,
per dimostrare la fide del suo andamento, cioè lo luo*
go ove primieramente Liber, e poi Ercules, e poi Se-
minunis, e poi Grò fecero altari, per segno eh' elli a-
veano conquistata la terra infino là, e che più innanzi
non avea nulla gente. E quindi se ne va lo mare dì
Scithe, e quel di Caspe in Oceano, e fevvi al comin-
ciapiento quando viene grandi onde e grandi tempe-
ste, E poi v'è n grande diserto. E poi vi sono Antro-
po&i, cioè una gente molto aspra e fiera. Ed appresso
v' è una grandissima terra, ch^ è tutta piena di bestie
salvatiche, sì crudeli che P uomo non vi potè anda-
re. E sappiate che quella grande malaventura addi-
viene per le grandi onde, che M mare vi £i, che li bar-
bari appellano Tabi. Appresso sono le solitudini gran-
dissime, e le terre disabitale verso Levante. Dopo quel-
,64 „.,a,m,.
l'I luogo, olirà Uitte abìUiuotiì di genie, si trovano uo-
mini che sono tippellatì Scir, avver Scres, rhe di foglie
e di scoree d' arbtirì, [wt Garza d'acqua, fanno una
tanflj ond'elli vestono loro corpi; e sono umili e paci-
fici tea loro, e rifiutano compugiiia d'altra gente. Ma li
nostri mercadanti passano uno loro fiume, e Iruovano
in sulla riviera di lulte maniere mercanzia che là à
posMDD trovare, e senza nullo parlamento ci guarda-
noe danno con gli occhi lopregio di cìascnna.E quando
elli l'banno venduta, elli purlano di ciò che vogliono, e
lasciano lo valsente nel luogo medesimo in questa mer-
caniia. N^ della nostra non vt^liono né poco né assai.
Appresso v' è la terra di Àracic, che sta sul mare, ed
evvi r nere molto temperato. Ed intra quella terra ed
India si è il paese di Simicoine intra due. Appresso
quella terra, si è India, che dura dalle montagne <Ii
Media insino al mare di mezzodì. Là è l' aere molto
buono, che & due volte islute in un anno. E nel tem-
pò di verno A v'è un vento dolce e soave a maravi-
glia, si che non sentono alcuna treddura. In India è
bene cinque niilia citladi, ben popolate ed abitate di
gente. E non è maraviglia se gì' Indiani non furono
mai mutati di loro terra, per ciò che vivono ad uno
signore, e s»iza nulla guerra. Lì grandi fiumi, che so-
no in India, sono questi, Guagut, Indus, Ispamia. Quelli
è nobile fiume, che ritiene l'andare d'Al^sandro,
secondo le colonne eh' i^li ficcò sulla riviera, cbc '1
dimostra apertamente. Li Guabadirì sono il più diri-
lano popolo che sia in India. Neil' isola di Gange al-
la leiTS Dapes e Dipaliporle è monte Marcello. E la
gente clic ubitauo intorno al Gumc di Indus, dì verso
iG5
die, SODO ^ diurne legge. Fuori d' India sooo
doe soie, Eride ed Aiigite, or' dli ha sì grande oo8a
di Beialli, die crede la gente cbe tutta la terra sia pie-
ad'oro e d*arìenta E sappiate che in India e in quei
{eoi là (^tra è molta diversità di gente, che ▼' è di
liE die non tìvooo d*ahro die di pesci, e tali Tlia che
ODcidaoo i loro padri, aba che morano di yecchiezza
<rd'ÌDleniiita, e d li mangiano, ed è tennto tra loro
con di grande pleiade. Quelli che abitano nel monte
Rbes si hanno i piedi a rìTersdo, cioè b pianta diso-
pia e hanno otto dita nel piede. Altra gente t' è che
hioDo la testa a mo(k> di cani^ ed altri che hanno li
ooda ndle spalle, per ciò che non hanno capi lineai-
tn gente Ve die immantanente che nascono, li loro
opdUi tk diventano bianchi e canuti, ed in loro tcc-
daena anneriscono. Altri ▼' è che non hanno più che
I ori ooduo nella fronte. Ed altri V è che hanno pure
OD pie, e si chiamano cidoplei, e corrono come folgo-
re. Ma loro piedi non sono &tti come quelli delli uo-
mini, anzi è un piede sì ampio e sì fello, che quando
ad alcono Ùl caldo, ^li si pone a sedere, e poaselo so-
pra capo e fiassene ombra. Sì v' ha Temine che por-
tano figliuoli in cinque anni, ma elli non vivono olirà
che otto anni. Tutti li arbori che nascono in India non
perdono mai fi:^iie. Al cominciamento d" India si (; il
monte Caucaso, che montando in sulla cima può uo-
mo vedere grande parte del mondo, e dalF una parte
del monte, verso il sole levante, nasce il pepe. Anche
v' è in India una isola, ch^ è appellata Essorobame, ed
è dentro lo mare rosso, che vi corre per lo mezzo un
grandissimo fiume. E dalP una parte sono li leofanti, e
I 66 TL T£SORO.
altre bestie salvatiche, e d* altra parte vi sono uomini
eoa grandissima qaantitade di pietre preziose^ e sap-
piate che in quel paese non luce nulla stella, se non
una ch^è grande e chiara che ha nome Canapes, e me-
desimamente non veggiouo ellino la luna sopra la ter-
ra, se non dalP ottavo <U infino al sestodecimo. Quel-
le genti sono dritto al sole levante. E quando vogliono
andare per mare, ellino portano uccelli che sono nu-
driti in quelle parte, là ov^ elli vogliono andare, e poi
vanno secondo che li uccelli lo dimostrano. E sappiate
che quelli d' India sono la maggiore gente del mondo,
e grande parte di quell'isola è disabitata per lo gran-
de calore che y^ è. Dopo V Indiani sono nelP altra
montagna una gente che si chiama icthyphagi che non
mangiano altro che pesci ^ ma quando Alessandro lì
conquistò vietò che mai non mangiassera Oltra quel-
te gente è lo deserto di Cannane, che v'ha una terra ros-
sa, e non v'ha nulla gente, che nulla cosa vivente v'en-
tra che non vi mora immantenente. Poi v'è la terra di
Persida, eh' è intra India e '1 mare rosso, ed intra Me-
dia e Garmenia. Poi v' è tre isole, là ove nascono le
calcatrici, le quali mangiano a retro, cioè che menano
le mascelle di sopra, e quelle di sotto tengono ferme.
Poi v' è la terra di Parta e di Caldea, ove la città di
Babilonia siede, che gira sessantamilia piedi d'intorno,
e correvi il fiume d' Eufì'ates. In India è il paradiso
terreno, là ove son tante maniere di fi'utti, e d' arbo-
ri, e di pomi, e si v'è l'albore della morte, che Iddio
vietò al primo uomo, che non manicasse del suo frut-
to. E sì v' è l'albore della vita, che non morrebbe mai
chi mangiasse del suo fratto. La non v'ha né ireddo, né
' i
u^aoTiBso. 167
OlU^ M'ODn-p^ipBtaide InnqcnUitade e tempcranu.
K^^l^n^nq»^ IpIffMIaaB che to^
9;^. fMÌ|ÌL |h|||b»*«moooo li quattro fiumi che voi
OTpÌ».gJìfe.<faè fiMMib fi«Ma, Tigris ed Enfiretet. E
4l|figta| r^- AipQ'l^ del primo uomo quello
^ htByliil^^wa^ tutte 0eotL Queite e molte altre ter-
il^^apnoJa Jbidia m ▼ano levaote^ ma il conto non ne
^dit detto abbia, and dirà la seconda per-
^iSivofB^ Sappiale che In quella parte orìen-
nostro signore, che fa Dio ed
\l e ciò £u in una proTinda ch'è appel«
^fft^ffmè/^^^gnmi àk lerusalem,. fuori d^ una cittade
lljpHllik BeCleem^ e però oomiociò la legge deferisti»*
li;fÉMÌwpnMDte in qoA paese^ secondo che lo conto
4Wn'-9f>!ft$tK dietro, là ot'ìI conto parla di lui e de'
^HÌdlll^ljlioii; ed.itt ^pidlo paese son molli patriarchi ed
ippivenovi-e yesoovi, secondo lo stabilimento di santa
(!ÌM% ehe «ODO per conto centotreotatre. Ma la for*
n-delUSeraeini miscredenti hanno la maggior parte
oecnpftfii perchè la santa Chiesa non vi poole essere
OMNsata*
Capitolo IIL
Qui dice di Europa, e delle sue contrade.
' Europa è una parte della terra ch^è divisa da quel-
la d?Asia, là ove è lo stretto del braccio di santo Gior-
gio, odle parti di Costantinopoli e di Grecia. E viene
verso settentrione per tutta la terra di qua dal mare
infino in Spagna su la terra Oziana. fu questa parte
d- Europa si è la citta di Boma, cV è capo di tutta la
crìftiamtade. E però dirà il conto innanzi di tutta Ita-
l68 IL TESORO.
lia, cioè il paese dove Roma siede, che ha inverso'
mezzodì il mare Maggiore^ OTTei* MediterraDeo^ in co-
sta, e in verso settentrione, è il mare di Tinegia, ch^è
appellato lo mare Adriano, per la città di Adria, che
fu fondata dentro Io mare. Il suo miluogo è nelli campi
della città di Reate. E sappiate che Italia fu chiamata
la grande Grecia, quando li Greci la tenevano. E fi-
nisce verso ponente alle montagne che sono verso
Provenza, e verso la Francia, e verso Alamagna. E là
è una grande montagna in fra le altre che ha due fon-
tane. Deir una verso Lombardia nasce un fiume mol-
to grande, che passa per Lombardia, e riceve ib se
trenta fiumi, ed entra nel mare Adriano, presso alfa'
città di Ravenna, e chiamasi il -Po, il quale i Greci
appellavano Eridano, ma in latino è appellato Padus.
Dair altra montagna di verso Francia esce P altro fiu-
me detto Rodano, che se ne va per Rorgogna, e per
Provenza, tanto che egli entra nel mar Maggiore, cioè
nel mare di Provenza, si fortunosamente, che se ne
porta le nave ben cinque miglia, o più, ed è dolce al-
lora l'acqua altresì come se fosse in terra. E però di-
cono molti, eh' egli è uno de' maggiori fiumi d' Eu-
ropa. In Italia son molte provincie, delle quali To*-
scana è la prima, là ove è Roma primieramente. E
per Roma corre un fiume che si chiama Tevero, die
entra nel grande mare. E sappiate che l' apostolico'
di Roma ha sotto lui sei vescovi, che sono cardinali,
cioè quello d'Ostia, quello d'Albano, quello di Porto,
quello di Sabina, quello di Tusculano e quello di Pe-
nestrino. E queste furono buone cittade anticamente,
ma Roma le sottomise alla sua signoria, ond'elle sono
Ltaau TBBEA. 169
te guaste- Dentro alla città di Roma si m» ■f"""ti-
ei (jiiese cardio alane, delle quali v'ha ventotto pnifa»<
Unti, cioè che banno il cardinale prete, « lÌMMMti
diòolto. Anche sono in Toscana veni uno TMwwi, «a»»
a la città di Pisa, ch'è arcivescovo, e ti « vewxm lotto
lui; e sappiale cbe'l primo vescovo di Tcwanaè quella
liiLuna che marca con li Genoresi. Oltra Ri»m i !■
Ima di Caaipagna, ove è la città dAlagnia e di Ga»-
taeliavvi sette altri vescavL Poi Ve la temd'A-
Irnm, là ave ha sette vescovi, Ap|>i'CHO v'è il du-
olo dì Spuleto, ov' è la città d' ktaki e di Bìeti, Ik
«' elli ha sette altri vescovi. Appresso t* è la Hma
J ÀnoMta, ov' è la città d' Ascoli e d' Urinaci, e htn-
li due vescovi. Appresso *' è Terra di lavoro, Ui en
f la città di Benevi?nto, e Salerno, e milite altre tenv
grandi ov^ elli ha sette arcivescovi, e dnquaatnno ve-
Kovi. Appresso t' è Io regno di Puglia, ov' è la dttà.
ili Taranto, sa net sinistro corno ci' Italia; e saggiata
che ìd Puglia v'è otto Ercivesnovi, e treotasei vew»--
n. AfpreMo v' è la Calavria, là ov' è l' arcivescoro
Sfidàaa, e due ahri arcive«covi e sedici vescovi. Fai
1*1 TmoI» di SdUa, trai mare Adriano e 1 nostra,
0^A r anàvewxiTO dì Palermo, di Messina e di Mot-
nah^wi otto veKOvL Ed ewi Mongìbello, che tutta-
via pUa foooo per due bocche, e niente meno tut-
taiia v'ha oeve •»{»«; e si v' è la fonte di Arethusa,
dTi aieravi^osa cosa. E sappiate che tra Sicilia e la
Italia i tu pionJo bracóo dì mare in mezzo, ed è
^f^>iiHirt/t> Faro di Hesuiia, onde molti dicono che
Iknm mm è m Italia, ami à paeee per sé. Nel mare
a HeMkM o -vero eli Sicilia, tono l'isole Ynlcaoie,
Xa&m. rol. I. ">
IJO IL TESORO.
ehe sono di natura di fuoco. E tutta la terra di Sici-
lia non è più di Ire milia stadii^ e lo stadio è in gre-
co quello che noi appelliamo migliaro, e che^Fran-
cesdii chiamano leghe ^ ma elle non sono però pari.
Anche è in Italia la terra di Romagna in sul maie
Adriano, ove sono alquante cittadi, cioè Arimino, Ra-
Tenna, Forlì, Imola, Cervia, Faenza, Forlimpopoli e
Cesena, ed havvi uno arcivescovo^ e dieci vescovi. Ap-
presso v^ è Lombardia, ov' è Bologna la grassa, e tre
altri vescovadi. E sì v' è l' arcivescovo di Milano, che
dura il suo arcivescovado in fino al mare di Genova,
ed alla città di Saona, e diArbigliana, e poi in fino al-»
la terra di Ferrara, ove ^liha diciotto vescovi. Poi v^è
la marca di Trevigi, ch^ è nel patriarcato d^ Aquilea,
là ov^egli ha diciotto vescovi, che toccano le parti di
Lamagna^ e di Zara, e di Dalmazia su 1 mare. Anche
in ItaUa.è F arcivescovo di Genova, e sette vescovi.
Poi v' è P isola di Sardigna e V isola di Corsica con
tre arcivescovi e quindici vescovi. E qui finisce Ita-
lia, In fino entro nel mare di Yinegia, sì v? è la terra
d' Istria dall' altra parte del mare, che v' è l' arcive-
scovo di Zara, e due altri arcivescovi, e diciotto -ve-
scovi. Appresso v'è.la terra di Schiavonia, là ov'egli
ha due arcivescovi, e dieci vescovi. Appresso v' è la
terra di Spolano, Ut ov' egli ha quattro arcivescovi.
Ma di ciò non dirà più lo conto, anzi ritornerà a sua
materia, là ov'egli lasciò Sicilia, eh' è l'altra fine d'I-,
talia. Oltre Sicilia si esce d'Europa. E dentro Europa si
è la terra di Grecia, che comincia al monte Ceraunes
e finisce su l' Espovis^ là è la terra di Tessaglia ove
Giulio Cesare combattèa contra Pompeo, e Macedo-
171
«aJìr^yi^ k taHà.dft' Alene, e moole Olimpo^ die
rihKi^ ed èfi& aito die qnesto aere ove gli
tmaudo die lì Aiiaai dissero^ die tì
J^Ptìnà-è k tarmdì IWda, ore sono li Baa^
h<Viii*M*Blk '^ CtoiteutfnupdL E sappiate die neHar
ÈMJtii^tàA fenó vMtantrione corre fl Danubio,
finme di Lomagna. Poi ^ Ve dentro
F isoh'dr Gieeia,' ove lo re Àes regnò
» l' conto dioe qaa a dietro nd cfr«
le di Greda Poi si t* è Calistos e Pisolar
I, di? è^^'pdBala Ortigia, ia oye le ootur^
in prima troTate. Poi v* è P isola di
e Paiamo, e Mdo^ e Carpacen, eLìni-
itjppittA rtcnteAthoiydi^pià alto, die^nuvolì. A ciò
iMte^r vomo inteiwtere^ die in Grreda son sei paesi.
to|HÌìnn Mìnlmniiii Terso ooddente. Lo secondo è
BUk^'I^ tienDO Ektos. Lo quarto Tessaglia. Lo quia*
la ttioodioouu Lo sesto Achaia. Ed in mare sono due
jnie, dbè Creta e Gidades. £ si è in Grecia cinque
difeni^ di linguaggL Quivi cominda ud^ altra parte
d^Eorapa, in suso PElle^nto, cioè uno luogo do-
ym il mare divide Asia da Europa, e non ha più di
ktjl^iesaEa che sette stadii. E quivi fece lo re Xerse un
ponte -di navi, ove passò. Poi sì allargò dismisurata-
flKOle^ ma ora non è guari, che un poco dira diviene
«stretto, che non è oltra dnquecento passi, ed è ap-
pdfaito U.Grdiro di Tracia. £ quivi passò re Dario,
eon grande abbondanza di cavalieri. £ sappiate chel
Daaobio è un grande fiume, ch^ è appellato Istres,
die naaoe di grandi monti in Alamagna, in ocddente
verso If&mbardia^ e riceve sessanta fiumi sì grandi
172 IL TESORO.
che navi vi possono andare^ tanto che si parte in selle
fiumi, ed entra in mare verso oriente, onde li quat-
tro v'entrano si rapinosamente, che le loro acque
roantegnono dolcezza ben venti leghe anzi che sì me^
scolino con acque di mare. Olirà quello luogo alP en-*
trata d'oriente è la terra di Scilhe, di sotto il monte
Rifeo e Hyperboreì, ove gli uccelli grifoni nascono.
Ma egli è trovato per li savii che la terra di Scilhe è
in Asia, secondo chel conto divisa qua dinanzi, tutto
che r isole di Scithe, die sono di qua dal Danubio,
sono settanta passi dilungi dal golfo dì Tracia, là ove il
mare è congelato e vischioso, che la più gente lo diia-
ma il mare Morto. Appresso la terra di Scithe è A-
lamagna, che comincia alle montagne di Genu, suso
lo Danubio, e dura infino a Daurim. Questo diparti-
va già Alamagna da Francia, ma ora dura infino Lau-«
renne. E sappiate che in Alamagna è l'arcivescovo di
Maganza, e di Treveri, e sette altri arcivescovi, e be-
ne dnquantaquatlro vescovi, infino a Mesenverdon.
E nelle contrade d' oriente, dopo Alamagna, oltra lo
Ren, si è Francia, che già fu appellata Gallia ; là ove
primieramente è Borgogna, che comincia alle monta-
gne, tra Lamagna e Lombardia, al fiume di Urene, e
ha l' arcivescovado di Tarentasmo, e di Bisenso, e di
Yienna, e di Ombron, là ov'egli ha sedici vescovi.
Poi comincia la diritta Francia da Leone sopra Ro-
dano, e dura infino in Fiandra ed al mare d' In-
ghilterra, ed in Piccardia, ed in Normandia, ed alla
piccola Bretagna, e Ansoi, e Emporio, infino in Bor-
della, ed al fiume della Gironda, infino al Poggio di
Nostra Donna, là ov' egli ha sette arcivescovi, e bene
.,5
v'à Piovana infiDo al m»-
> di Niui e quelb cTlrii eoo
iLdici vescovi- Dall'oltni [KUii: v% QuBiCognB, U ov^
uu arcivescovo e dieri vescovi, e confina con lo nv
civescuvadu rlt Neibona, ov'è k cgnlncla di Toloai
e di UompulJei-e, e huvvi nov* laaoon. AfpgBwo
ifueQc coniìiicìa lo \iaesa di S[Kifpaa,diedimp«rtiA-
la la terra del re di Ragona, e del m di NavHTa, e
di Foi-togallo, e di Cartiglia inlloo al mara oceano, Ih'
or' è la città di Tolelci , f Ctm^NMlcUD, là ove ^ks
il carpo di mescer san lantpo apiMlulo. E wf^te che
eili sono iu Is|)agiiii quaLtru artàvaMori) é venlÌMUA
TCscuvi, senza li Siiracìni die vi aooo. b qnaUo liM^
è la fine della l«fra ove Ercole Sm ìm Dolonne quan-
do l'gli cooquislù la terra ; e ciò li [uova per li lavi
valichi che medesimainente lo tndtanmno, ov' i il
I pouLe di Caspe e di ÀlibÌD;i. Quivi è il luogo ove il
■Mm non» oaae dd mare Oceano, e ti ne viene per
fHlU'Aw inonli, ere sono V ìaoìe di Gadde, e le oh
k^aa £Ei«ele. E dò è in tal maniera ch'ali latcia
Utab terra d'Africa a destra, e tutta Europa eia
finMia a ^ónislra, ov' e^ ha novo milia pasgi dì lai*-
gg^ e'^oindici milia (U lungo. E non fina infino alle
parti éP Aw, e di' ^ « congiugne al mare Oceano.
E ptr ciò vi fiie già la fine delle terre disabitate, in-
piw a tflntoi che Le genti crebbero e molliplicaro, e
.paMara in una sola isola eh' è in mare, la quale lia
per lungo oUo milia passi, cioè la gran Brit^na, che
«« è detta Inghillerrii. E là è l' arcivescovo di Con-
lurbia, e quel d' Abruis, e diciotto vescovi. E si v' è
IHtnda, là ov^ è l'arcivescovo di Hardiia, e dì [hi-
174 IL TESORO.
cielU; e di Castella, e di Tuen, con trentasei vesco^
vi. Appresso -v^è Scozia, là ove ha nove vescoTi. Ap-
presso v' è la terra di Nerbe, là ov'egli ha un ar-
civescovo con dieci vescovi. E la più grande parte di
tutte queste isole che vi sono è Irlanda, e non v' ha
nessuno serpente. Onde dicono molti che chi por-
tasse deUa terra, o delle pietre del paese d' Irlanda in
altro paese dove avesse serpenti, che non potrebbe-
ro istare. Queste e molte altre terre ed isole sono ol-
tra Brettagna, ed oltra la terra di Nerbe. Ma V isola
di Ghile è la diritana, che è si duramente nel pro-
fondo del settentrione, che d^istate, quando entra il
sole nel segno di cancro, che li di son grandi, e lì la
notte pare all' uomo così piccola eh' è quasi niente^
e di verno, quando entra il sole in capricorno, che le
notti son grandi, lo dì v' è sì piccolo che non ha nes-
suno spazio intra levare e 1 coricare del sole. £ ol-
tra Thilem v' è il mare congelato e tegnente , e là
non ha nullo divisamento, né nullo accorgimento di
levante del sole, ne del ponente, secondo che 'l conto
dice, là ove parla del corso del sole. Ancora v' è l' ir-
sola di Budes, e quella gente che V abita non han-
no nulla biada, anzi vivono di pesci e di latte. An-
che vi sono r Isole d'Orcades, ove nulla gente abita.
Qui si tace il conto a parlare d' Europa , che finisce
in Ispagna, e dirà della terza parte, cioè d' Africa.
Capitolo IV.
D* Ifrìca e ddle sue ootttndè.
. D' Ispagna è il tnjpaeao in Libia, doè una terra
d'Afincfl^ là or'è la regioiie di llBnnlBnia, e tali Tap-
- pdbno la teira^de^ morti Elle sono tre Manritanie,
Puna oYe fa k città di Sedn^ F altra o¥^è Cesarea,
la tena ore fa la città dì TingL £ Hanritania finisce
ndlPalto mare d'Egitto, e comincia qoeUo di LiK%
0¥^^ ha troppo fiere manm^^ che 1 mare V è
aini pia alto che la terra, e tiensi à in fira sè^ die
nao cade né corre soprala terra. In qodllQ. paese è il
^mqnte Atlante e Milesaret, ch'è pia alto die li nuvoli,
e dora infino al mare Oceana Poi n vi son le tene di
Nomidia» Seppiate <'^¥^ tofttar Afirìca comincia svi ma-
re Oceano, alle colonne d'Ercole,. e quivi ritoma
verso Tonisi, e verso Bdggea, e verso la città di Setti,
tatti contro a Sardigna, e infipo alla terra ch'è.con-
tnialla ^Kàlìa. Quivi si divide in dueparti, una ch'è
iqSpdlata la terra Cane, e Paltra che se ne va oltra
contra all'isda dì Creti, ìnfino nelle parti d'Egitto, e
sì ne va intra le due Syrte, ove sono le terre, là ove
nessuna persona per nulla maniera può saldare per lì
maroù dd mare, che un'ora crescono e un'altra me-
nomano, in tal modo e si pericolosamente, che navi
non vi potrebbero andare per la diversità delti ma-
rosi che non vegnono ordinatamente. Ed in questa
maniera dura tutta la parte d'Africa. Ed intra Egit-
to è 1 mare d' Ispagna , tuttavia in coste lo nostro
mare. Ma drìeto verso mezzfjdì sono ti diserti d' E-
.*♦.:
176 Ui TESORO.
tiopia sui mare Oceano, e H fiume del Tigro, che in-
genera allume, che divìde la terra d^ Africa da quella
d^ Europa, ove gli Etiopeni abitano. E sappiate che
tutta la terra che non guarda verso mezzodì è senza
lontane, e nuda d^ acque, e povere -terre, ma verso
mezzodì sono le terre grasse, e piene d'ogni bene.
Dentro le due parti d'Africa che sono contate è Ci-
renes, di cui il conto fece menzione qui di sopra, e sì
v'è risola di Menne, làov'è lo fiume Lete, di cui
r antiche storie dicono, che egli è il fiume 4' inferno,
e r infedeli dicono dbe le anime che ne becmo per-
dono la memoria delle cose passate, in tal maniera,
che non se ne iricordano mai quando elle entrano in
altro corpo. Ma in ciò sono elli beffati malamente
dallo diavolo, che l'anima è creata alla imagine ed
alla similitudine di Dio, e per ciò non può mai per-
dere la memoria. Il nostro signore Gesù Grìsto^ che
vide gli errori che erano stati, e quelli che erano, e
quelli che doveano essere, sì ammaestrò ciascuno nel
suo vangelio, cfae si guardassi d'errore, là ov'^di
dice: io sono via, veritade e vita. Ed in altro luogo
dice : io sono luce del mondo. £ David dice nel psal-
terio, che l'uomo non segga nella cattedra della pesti-
lenza, cioè nello errore. Or torniamo a nostra mate»
ria. Là son le genti di Nasamoni, e di Trogondite, e le
genti di Liamanti, che (anno le lor case di sale. Poi
v'è Gai'emas, cioè una città, là ove si trova una fon-
tana maravigUosa, che ha l'acqua sì fredda di di che
nullo ne potrebbe bere, e la notte è si calda che
nullo non la può toccare. Anche v'è la terra d'Etio-
pia, il monte Atlante, là ove sono le genti nere come
■*??'
177
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^''tT «aare «rwi*-— .^tornare <"". « g-^
^IP^-l^^^'ptrtì tflBaia lo ^J^^ perciò
ehè a ««^ ^dì e notte due >roltó ^^
^i U ti»»'' "t-^b' toono detto, cbe ^
iy% IL TESORO. ■
e stare come monte e poi tornare in entro secondo
che '1 suo espiramento th entro e fuori. Ma gli astro-
loghi dicono che non è se non per la luna, per ciò
che Puomo vede li marosi crescere e menimare, se-
condo il crescere e \ mpnimare della luna di sette in
sette di, che la luna fa le quattro Tolte in Tentotto di
per li quattro quartieri del suo cerchio, di cui lo
conto ha detto tutto Tessere^ Or sappiate, buona ge]>
te, che 1 nostro signore Iddio fece in terra e in mare
molte maravigliose cose che P uomo non le puote
chiaramente sapere, per ciò ch^egli Pha reserrato a sé.
£ P apostolo c^ insegna in questa maniera ad imprenr
dere : non sapere più che non ti fa mestiere di sapere,
brigati di sapere a sobrìetade, cioè né poco ne troppo.
Onde quelli che disse che ^l mondo aveva anima non
imprese a sobrìetade, ma oltra a sobrìetade, cioè
troppo. Sappiate che i savi antichi dissero molte cose
dell' afiàre del mondo, e di molte dissero la veritade^
e molte cose dissero di che non mostraro niente la
veritade, per ciò che non lo poterono sapere, che ella
rìmase nel nostro Signore, e rimane tuttavia. Ma tut-
tavia si è ben ad intendere li savi detti di filosofi an-»
tichi che furono nella vecchia legge, che molti furon
quelli che erraro per lo troppo sapere e per lo poco.
Ma tuttavia per li filosofi conosciamo noi meglio la
vera credenza di Gesù Cristo, e delli apostoli, a cui
noi dovemo credere fermamente sopra tutti altri savi
che furon e che saranno giammai^ però che 1 senno
ch'elli ebbero se ^1 trassero della fontana di tutte scien-
ze, cioè del nostro signore Gesù Cristo.
Caiae raomn dtr iicrglicre Mrn di §m»ii^in.
Da poi rhc 1 nostro crtnto ha drrÌM le terre ■»-
randu la sua abilaiiune, sì tuole ati poco dne defla
krra mede^ma secondo che ella A a gnadagiNK die
rosa perchè )a vila di uomini li mantiene. E peróò
è ben senno a mostrare che can^ l'oooto dee iioe-
flierv, e ■□ che maniera. Palladio ditM tht Pnooo
ice cardare quattro rose, rioèPgria^ Tacqna, la Ui^
n e la maestria. Onde ie tre Mao per natnn, e li
quatta è in rolontade ed in podob La nMnni i <fte
noi doTemo guardare l'aria, chena WKOO fl netto e
dolce, e che l'acqua sia buona e le^ìeri, e la tena
fruttifera e bene servente. Ed adirete T^one come
3 uno e netto aere dee essere cattOKÌato in questa
■naniera, die lo luogo non sia io [arrfbnda Tidle, e <ho
sia puro dì tenebrosi nuvoli, e die la gente che ti
abita sia bene sana delli Inro corpi, e beo diiari ed
aperti, e che la veduta e l'ufiita e la voce loro sia
ben chiara e purificala. La boutade dell'acqua puoi
In bene cognoscere, cioè che la non esce di palude^
o di malo «lagno o di solfo o di rame, che 1 suo co-
lora aia lucente, il sapore dolce e di boooo odore, che
■on abbia nollo limaccio dentro, e che sia di Temo
oUa ed* ÌBlale fredda, e che lo nascimento dd sno
ceno aia verso oriente, un poco chinando verso
letlentrione, e ben corrente su per pianole pietre, o
sa per bella rena, o almeno su per terra creta bea
nuoda die aM>ia il suo ctdore rosso o nero, li quali
l8o IL TBsoao.
sono segni che T acqua sia ben sottile e leggera, che
tosto iscalda al fuoco ed al sole, e tosto si fredda, e
quando ella n* è dilungata, che la sua leggierezza la
fa bene movente dalP una qualitade all^ altra. E quan-
do questo avviene all'acqua si mostra ch'ella non
abbia in se cosa terrestra. Ma sopra tutte maniere
d'acqua si è quella che novellamente è colta di piova,
se ella è bene monda e messa in cisterna ben lavata
nettamente, senza alcune lordure^ per ciò che ella ha
meno d' umidore che tutte le altre, ed è un poco isti-
cica, ma non tanto eh' dia noccia allo stomaco, anzi
il conforta. Appresso a questa si è quella che viene
di lungi dalle terre ove abbia gente, che sia fiume ben
corrente su sad)bione, e ben diiara, ma quella che
corre per pietre è migliore acqua per lo percuotere
ddle pietre che la fen più delicata. E quella che cor-
ré su per netto sabbione è migliore che l'acqua veo*
chìa di cisterna, per ciò che prende male fumositadi
dalla terra per troppo lungo dimoro die v' ha fatto.
E tutti fiumi che corrono verso levante sono migliori,
di quelli che corrono verso settentrione. E sappiate
che l'acqua nuoce al petto ed allo stomaco ed a' nervi,
e ùi ddiori nel ventre, e fa istretto petto. Onde se ne
debbe guardare d'acque salse e nitrose, per ciò che
elle scaldano e seccano e peggiorano il corpo. Ma
l'acqua di mare eh' è così salsa e pungente, però
monda lo ventre di flemma grossa e viscosa. E general*^
mente sono fredde ed umide, e però non danno al
corpo nullo nutrimento né nulla crescenza, se élla
non è composta d'altra cosa. E la sua boutade potia-
mo noi conoscere per le genti che abitano nel luogo,
i8i -
e4hft4iMidk»l»db90BQ^ té elH hanno le bocdie sane
«nM'dh4lMbr.-eÌMeiB4feirte| e che .abbiano sane le
.di»:naa abbiano More né flenh*
• la ràcka netta senza ¥izii. La
dMKnuì sia bianca, omida
;:4L nugrotabbione, sema nrì-
fMiikl^Lm»miaofe^ di polvere gKta,
di pietrje, e che non
e jJJKinoaùà umida, ne gemente^
.]aè^jB|||>^'4a in oscura ialite troppa
;.e nette^ e che sia baa suffi-
Mti^scQMnli e cadici, e ciò che vi
4^ ^ritcrto^ ma ingenen che
igi^qmQBfL dee , P vaino guardare
■49Ì)B^^<fCNMrosar die del colore non
^#MBWI»# {K9^!W».se la terra ^.grassa, tu pk-
di'tena e inmKiUeraalabeDe d^ac-
t|é.poii se dia à tenace o viscosa, sappi che
Anche se vogU §ue altra prova, tu farai
IPS^fila Ibssa^ e poi la riempirai della terra me-
die tu ji^ avrai cavata, e se v'ha rimanente,
safifndie la teorei è grassa, e s'ella vi manca, si è la
l9mniagr%e.ae„jnon ve ne rimane e non ve ne manca
qodlft terra tiene intra grassa e magra ; e quando tu
Tiarrai^ sapere di terra dolce, tu ne metterai- un poco
ifl-jono vasello con acqua dolce, e poi l'assaggerai
cxm' la lingua, e. saprai s'ella è dolce o amara odi
qiialj(nanieFa ella è, e secondo le sue maniere ch'ella
è:eo6Ì divegnono le sue semenze e 'l suo frutto. Ed
aoioora lo Iw^o del tuo campo non sia in luogo che
(acciai lago, né sì pendente che. corra troppo l'acqua,
Latini, f^ol I. 1 1
1^2 IL TESOaO.
iiè~3Ì alto che liceva tutti i caldi, né tutte ie tempe-
ste, ma dee tenere lo mezco, in tal maniera che sia
fruttìfero e baie istante. £ se tu se^-in fredda terra
tu dei iscegliere tal campo che sia contro ad oriente e
contro mezzodì^ senza impedimento che li tegna li rag-
gi del sole. £ se tu se^ in caldo paese, egli è buono
che *1 tuo campo sia contra settentrione.
Capitolo YI.
I
Come Tuomo dee fare magione in ogni luogo.
P^ ciò che le genti lanino spesso magioni sopra la
buona terra, Torrà il maestro insegnare c«ne F uo-
mo lo dee fare. L' nomo dee innanzi guardare che '1
ano edificio non trapassi la dignilade, ne oltra alla
ricdiezza sua, il che è grande perìcolo, secondo che 1
conto diviserà qua innanzi, nel 1Smx> delle TÌrtudi, nel
capitolo delle ricchezze. £ perciò non dirà egli nien-
te di quella materia. Anzi dice lo maestro, dei in pri-
mamente la natura del luogo guardare e deilo usare,
per conoscere sua natura. Che V uomo dee ischi&re
mala acqua e paduli, e stagni medesimamente se sono
contro a occidente, o contro mezzodì, e se eUi hanno'
in costume di seccarsi la state, però che haimo pesti-^-
lenze che generano malvagi ammali. £ la firpnte delh'
tua magione dee essere contra a mezzocfi, in Xsì mah
niera die 1 primo cantone sia volto contra lo sole
levante, e TsJtra parte contra a ponente. £ ^ dee
la magione mitigare verso lo sole di verno, perchè
quella magione che cosi è composta avrà tuttavia lo
calore del sole di verno e d^istate noi sentirà. £ tnt-
uno TBRZO. lS5
te le travi e gli «reali del tuo edificio sìa tagliato di
tSbftbàntey o aliaeìid infiiio a Natale^ in tal maniera
<iie n*esea tutto rmnidore che è neQe vene del le-
gntti'E sappiate che tutto il l^name che rnomo ta-
1^ dl'teinb ttieiBoifi Mno migliori Yeió è dbe Terse
teitHilricMié ^ pia alto, ma egli diviene vinoso più
kggoninente. E^la caidoa sia di pietre biandie e dò»
WBf O foise o libiirtìiie, o pmigente o almeno canute^
o dia fine nere^ ehe soao peggióri. E- guarda non la
OQD la rena di mere che la fiirebbe tro|[^
ma -dee essere prima degnata d'acqua dcdce,
Anni \ ■#* Patowitrofiii» del mare. E guarda che 1
MH edHMo'ntm^ fiitto tutto- msieme^ che dò sareb^
ti'epawyardiit». Lo tuo odOiere dee essere contro a
freddò e scuro, e lungi da bagno e da
^(Sàt'fyrotì e da cìstenia e da acqua, e da tutte
'etMr^die-faamKO= fiero ol(»e. Lo granaio del signore
#My.^tiéére*in <pieUa parte medesima, acciò die na
lÌAgi^dÉ'iiugò e<ia tutti umìdcnri. Lo luogo dell'olio
■e onftro a mezzodì e sia ben coverto per lo fifeddo.
L» alalia de' cavalli e de' buoi debba guardare verso
UMiaodì, ed abbia alcuna finestra per alluminare ver»
m ietlentrìone, in tal maniera che tu la possi di ver*
Bb- chiudere per la freddura, e di state aperire per
riafreicare^ e si dee essere la stalla pendente per di»*
eomre tatti gli umori che nascono a' piedi delle be-
stie.
1 84 11' TEsoao.
Capitolo VII.
Come Tuomò dee fare pozzi e fontane.
Se cosa fos«e che noa avesse acqua intorno aila
tua magione tu la dei troTare in questa maniera. La
mattina, anzi che lo sole si levi, d'agosto, tu metterai
contro air oriente P occhio creato in terra, e riguar*
derai tutto diritto, là oye tu vederai l'aere crespo,
quasi come una sembianza di spargimento di rugiada,
che ciò h segno d'acqua, eh' è riposta sotto terra, sal-
vo se egli fosse luogo ove solesse avere lago o stagno
od altro umidore, secondo che dimostra il giunco, o
salce salvatico, e tutti arbori che di umidoi^ nascono.
£ quando tu averai veduti questi s^ni, tu dei cavare
la tarra tre piedi per larghezza, e cinque per altezza*
£ quando il sole è coricato, tu dei mettere sotto terra
un vaso di rame o di piombo, che sia unto dentro, e
poi covrire la fossa molto bene di foglie d'arbori e
di terra, e la mattina levarne queste cose, e scoprire
la fossa. £ se 1 vasello suda dentro, o tu vi trovi
goccie d'acqua, non dottare, che quivi avrai buono
pozzo. ¥A anche se tu metti su quella cotal fossa una
pentola di ten^a secca e cruda, se v'avrà vena d'ac-
qua, egli sarà bagnato la mattina. £d anche se tu vi
metti uno vello di lana, e tu la truovi la mattina
bagnala, o una lucerna accesa, e la malUna sia speu"
ta, sappi che v' è acqua assai. Or puoi poscia cavare,
e fare lo pozzo tuo. Ma nelle parti di settentrione ab-
bondano le acque in grande efiiisione, e sono più sane.
E però che la terra ingenera ispesse volte solfo e al-
i95
lume, e colali cme pericoiasc, oiide l'utiufi die h
puzzo dee avere inlomo Aa %k una lucerna ardente^
e «e la ilura senza ùpegncisi à é buono seffto, m
ie&a non dura e spegnei spesso questo ù segno di
fakoLì, die '1 cavatore del pua^i ]H)lri.-blie hMto
uurìre, e leggiermente. La bontà dell' ticquH dee et-
sseprovBlS ia qtiesta maniera. Tu la metli'i-u in nn
m^D di rame bene nello, e s' dia gerKia dama
uh lecca in fra tre di, quella acqua nuo è buon&. Ai^
the vi dirò altra prova. Quando Tncquu è cotta ia
HD picciol vasello di rame, te ella non fu lìmo, tè r»-
oa in ibndo, sì è buona, che tuoce tosto li legwnij •
m luceals senza ouvuli e senza ogii'alba loi'dgra. -
CvpiTOLo Tin. ,
Come l'uDa» de? km ciiliin<.
Se 1 luogo è tale, che non vi si possa truvore acqm
aè cavare pozeo, tu farai una cisterna, clie àa per
la^pt pUtcbe per i*tff>> '^ ùa ben nun-ata in alto, e
■iB^aaò dì btWB tordo cotto. E quando ella è befi'
■ii>wl uw.iiiHi» Inu^geBuente, l'acqua vi si metta poi
4mÌ«r«'«V^ e peni di fiumi che per loro ntu-
MViAfanriBnomnoTere Tacqua diev'èdentro.Estt ■
P«C^HtD*e*ee.da nnU> port^ prendi di buona pece
"^ — '^ ed' altro tanto di butm lardo o di sevo, e là-
..ollir» inHsnoe, tonto dte si Bchiumino, e pcM li
é dal Amko, e quando fieno freddali, metteraivi
di bnona fai-*»^ trita, e meacerai inueme, e poi mel-
Uraì >d:hioHO onde Tacqua esce..
l86 .IL TESORO.
Capitolo IX.
Qui dice come Tuomo dee fornire la sua magione.
Quando la tna magione è oompiuta e fornita dell!
suoi edifidi, secondo lo stato del luogo e del tempo,
tu dei fare camera e sala, là ove T ampiezza della casa
ti mostra che meglio stia. E se penserai di molino, di
forno, di vinaio, e di columbaia, e di staUa, e di pe-
core, e di porcdli, e di galline, e capponi, ed oche, e
isceglieraile, seccmdo che 1 mastro insegnerà qui in-
nanzi nel capitelo deUa natura delli animali. Ma alla
magione conviene vedere de 1 tempo e 1 luogo è in
guerra o in pace, o se ella è dentro alla città o dilun-
gi da gente. Che qudli d'Italia, che spesso guerreg-
giano tra loro, si dilettano di fere torre o altra magio-
ne di [Helre molto forte, cioè fuori delle dttadi: e
fanno vi fossi e palancati, o mura e merli, e ponti leva-
toi, e porte con cateratte. E fomisoonsi di pietre^ e di
mangani, e di saette^ e d^'ogni fornimento che a guer*-
ra appartiene, per oflfendere, o per difendere, per la
vita delli uomini dentro e di fuori immantinente. Ma
li Franceschi fanno ms^oni grandi e piniere dipinte,
per avere gioia e diletto, senza noia e senza guerra,
e però hanno ellino miglior £are prati, e verzieri, e
pomierì in tutti i loro abitacoli, che altra gente, la
quale è cosa che molto vale a diletto d^ uomo. E si
dee avere lo signore grandissimi mastini per guardia
delle sue pecore, e cani piccioli per guardia della sua
magione. £ dee avere levrieri, e bracchi, ed ticcelli
[>er uccellare e per cacciare, quando volesse a ciò in-
tendere per suo soUazio. £ sia la magione fornila d^o-
gni'coia db? è mÌBtiero alla Guciiia ed a tutte altre
iMMogn^ seooodo die al signore si oonTÌene. E la fìt-
miglìa sia bene ordinata, e insegnata a &re quello
^rè da ftrey.si die dascuno abbia suo dàcio dentro
«.4^,fiiorì9 in tal waniera che 1 agnore sia maestro
«Q|m. tutti, e.dbe vegffSL ispesso come vanno le cose
A«nmf^iaQe^ sa d»e i]udU possa menare onesta vi-
ImpPammfra. dw 1 maestro nos^ia qua innnnì
Mi I0XO ddk virtodL Ha ooine ìì sigoore dee guar-
4v«Jl MIO pedere^^ ooui*^li dee &re lavorare le sue
iPTf -^ léjinimtgne, e piantare arbori, e seminaone^ e
ljieQ|^Qr% egoardace suebiade^ e tosare le sue pe-
cora e lolalte e forma^^gio, e nudrire poledii dì ea-
WfBif: e «anescere suo mobile^ Io maestro non ne dirà
<ini.pi3udie detto n^abbiai perchè Tuno lo terr^^
«I tlqiiiffno^ e FalUro ad avanua. £ per do ^ lasda
qiyitn. materia, e rìtonia d suo conto, doQ a divisan?
la iM^ÈDra delli animali. £ primieramente delli pesci,
die prima fiiron &tti, secondo l'ordine ddli sd giorni.
l88 AHHOTAZIONI
ANNOTAZIONI AL LIBRO TERZO,
< » ■ ■■■III»
Cap. II, pag. i58. E dalV altra parte quand'egli
ha emalaritane grandi pioggie e grande ne^y ec
Questo mostruoso emalaritane è la Mauritania^
secondo il seguente passo di Solino, yisibilmeDte co-
piato da Brunetto. Igitur protinus lacum efficit^ quem
Nilidem dicunt. Nilum autem jam inde esse con-
jectantf quod hoc stagnum herbas^ pisces^ belluas ni-
hilominus procreet^ quam in Nilo videmus (oel Te-
sarò abbiamo invece la frase compendiosa in tutte
cose simile). Ac si quando Mauritania^ unde eiori*
go estyoutnivibusdc'nsioribusyaut imbribus largio'-
ribus irrigatur^ inde incrementa exundationis in
Aegypto augeantur (cap. XXXV).
Gap. II, pag, i58. Per Jori privati dentro dalla
terra, ec.
Erroneamente la edizione 1 535 ha pridati^ cor-
reggo suU^ esempio delle due anteriori i5a8, i474*
Nel capo di Solino citato nella nota anteriore si legge :
Sed cffìtsus hoc lacu arenis sorbetur, et cuniculis
caecis absconditur, e segue quasi lettei'almente come
nel Tesoro,
m
Gap. II, pag. 160. E sappiate che nella riviera del
mare rosso, ec. .,. E ciò addiviene delti tugioni^ ec.
Anche questo passo è tradotto da Solino, che reca
AL LIBEO TKHZO. l8i^
Paatorìtà di Yah'ooe: Qui qffììinat in littoribus mei-
rìs istmsjòniem esse^ quem si os^s biberinf, mutent
s^lìerum (j^aliiatem ^ et antea candidae amittant
qwiodfuerint usque ad haustum, acJuìsHypostmodwn
nigrescant colore (cap. XXXVl). Quanto poi al tu-*
gioni^ non che al tugiare e al tugiato^ che si leggono
cdncordemente nelle tre edizioni, è questa una corru^
zìon^ probabilmente vernacola, del tosone, tosare e
ta$tik> datid dalla Crusca. H primo de^qiuili vocaboli
si ^Ì€^ nel § II per: chi è tosato.
Gap. 11^ pag. i6i. j^nzi se ne aworrebbe tutta in--
sieme la mano, ec.
L'edizione del i474 ^^ invece vorrebbe, H voca-
bolo della citata non si registra dalla Crusca, e quindi
non so qoal senso attribuirgli 3 ma neppure correggen-
do col vorrebìk se ne trae suifficiente evidenza. Lascio
dunque intatta la lezigne i533, e mi contento riferire
il passo di Solino, onde tolse Brunetto questa bizzarra
notizia. Bitumen nascitur in Jùdaea, quod Asphal--
iites gignit lacus, adeo lentum mollitie glutinosa, ut
a se nequeat separari, Mnimvero si abrumpere par--
tem sfelis,universitas sequaiur,scindiquenonpotest,
quoniani in quantum ducatur extenditur. Sed ubi
admotaj'uerint cruore ilio ( il menstruo di cui tratta )
pollata Jila, sponte discerpitur etc. (cap. IV).
Cajf. II, pag. 161. Tuttu dentro di Giudea s^rso
occidente sono Siasenes, ec.
Così anche nelle due più antiche edizioni 3 ma pro-
babilmente si deve leggeie tutto dentro, E dico pro-
babilmente, perchè potrebbe essere una maniera dì
dire, quantunque iusolila, non straniera alla lingua.
Il'
1 90 ANROTAZIOilI
Quanto ai Siasenes^ intendansi per essi gli Esseni, a
cui Plinio consacra un capitolo appartato nella sua
Storia (il decimosettimo del libro quinto), e ne parla
pure Solino, cap. XXXYIH, pressoché colle parole
medesime del Tesoro.
Gap. II, pag. i6a. Che in quella parte è il regno
delli jimawniy ec.
Ck)stante questa sgramnàaticatura in tutte tre F edi-
zioni. Non la corressi, perchè forse potrebbe avervi
un intendimento nel porre ad Àmazoni P articolo ma-
schile. Ed uomini si vogliono da Palefato le Àmazoni.
Confesso per altro che questa supposizione non mi a-
vrebbe punto sedotto, se avessi trovato in una sola
delle tre edizioni corretto V errore.
Cap. U, pag. i63. Ze parti di Gaspe, là ove^ ec.
Probabilissimamente bassi a leggere le porte di Cor-
spe^ o meglio le. porte Caspie. Un capitolo intero nel
libro di Solino tratta di ciò, e sentitola De Caspiis
portis. È il cinquantesimo 3 e chi vorrà leggerlo vi
troverà distesamente quanto raccontasi nel Tesoro,
così della strettezza del passo, come de^ serpenti. E
vedi anche Plinio, libro YI, cap. 14.
Cap. II, pag. i65. Quel luogo si è appellato Dieu.
Questo nome Dieu^ che tal quale si legge in tutte
Ire l'edizioni, è errato, e deve leggersi invece Direo.
Ecco il passo di Solino ( cap. \A)i a Caspiis ad o-
rientem s^ersus locus est quod Diteum appellatur^
cujus ubertati non est quod uspiam comparari queat
eie.
Cap. n, pag. i63. Bande una cittade Isodia-
meSf ec.
▲L uno movo. 191
. 9fampni*«kri^ ^P^«^ um cUtà deSog4ia-
9J^^3dif!rtrpiPflnrtiorità.diSo^ cap.LIL E dd badare
ioliltd i nomi, aodbe erronei, che mi accade di rìsoon-
tnpie* 9d Zl^joniy ho già reso altrove ragione.
Gi^ IL pag. 164. E quando elU Vhanno vedu-
Patduk^ ha Pedizione i474- Ecco a dìchiarazio-
IPL^ tatto il {i^asso, il passo consimile di Solino, cap.
hB^JMmfon eerumfliMfium mercatores ipd trans-
mt^in Oijus ripU, nullo inier paries Unguae com--
witfjB¥h ^s^ deposiUarum rerum pretta oculis aesU-
mt^Ues^ sua tradunt^ nostra non emunt
jCap-II, ps^ x65. EdaUri ^è chehannopure un
piif e si ckiéÈkmo ddopleiy ec.
. CS^iùpki in tutte dedizioni; ma da Solino si dna-
msBO monosceìif cap. LY. £ da questo autore è tratto
ilfjà^eUe &Yole dbe Brunetto racconta. Se ne può
iPfà^ilpilTisoontro di molte anche in Plinio, nel libro
TI» cap. So, dal quale però si narrano come fievole. .
.Gip. n, pag. 166. P^ietò che mai non numgias"
sera fise
E da porre un ne dopo il non^ a togliere il ridicolo
senso che il conquistatore avesse condannato que' po-
poli a morirsi di fame. Anche qui viene opportuna Tau-
tonta di Solino, cap. LYU: Post Indos montanas
regiones Ichthyophagi tenente quos suhactos^ Ale-
xander Magnus svesci piscibus vetuU, Ancora dove
dice nell'altra montagna^ sarebbe da corriere nel-
ralla montagna,
Cap. n, pag. 1 66. Ot^e nascono le calcatriciy le
quali mangiano a retro^ cioè, ec.
193 AMMOTAZlOIfl
Nelle tre edizioni concordemente alletto^ e ci vo-
leva altro che il cioè a dichiarare il significato di que~
sto mostruoso vocabolo.
Gap. Ili, pag. 168. Il suo mihiogo è nelli campi
della città di Reale,
Cosi in tutte tre P edizioni. E intendi Rieti^ leggén-*
dosi in Solino, cap. Vili : UmbiUcum^ ut Varrò tra-
dita in agro Reatino hahet Onde Fazio degli liberti
nel DiHamondOf lib. Ili, cap. XI, descrivendo P Ita-
lia in persona di Sqììqo:
E se '1 mezzo del tutto trovar deggio,
Proprio nei campi di Rieti si prende:
Così si scrive, ed io da me lo veggio.
Gap. m, pag. 170. Oltre Sicilia si esce d'Euro-
pUf ec.
La edizione i533 ha: ^ é l'Europa^ lezióne evi-
dentemente scorretta. Hassi a leggere dunque si esce
d'Europa^ e tanto più coraggiosaimente feci questo
mutamento, che la edizione i474 ^^ ^^ ^ ^^ Euro-
pa, Vidih indizio del verbo scomparso per inavver-
tenza tipografica, e di cui non rimase che la prima
lettera.
Gap. m, pag. 170. Comincia al monte Ceraunes
e finisce su V Espovis^ ec.
Questo brutto espovis^ riprodotto in tutte le tre e*
dizioni, è r Ellesponto, E dove non bastasse il buon
senso, verrebbe in aiuto, secondo il solito, Solino, che
dà cominciamento al capitolo Xm colle seguenti pa-
role : Tertius Europae sinus incipit ab Acrocerau-
niis montibusy dejinit in Hellespontum,
▲L LIBBO TERZO. I95
Gap. ni, pag. lyi.E non ha più di larghe%%a che
sette stadii.
La edizione del i474 ^^ stacchias : e noto questa
variante perchè potrebbe forse servir di lume ad al-
tri libri ove fosse adoperata questa strana voce in sen-
so di stadio. Se già non è mero sproposito.
Gap. m, pag. 171. Poi si allargò dismisurata-
mente. ec. '
Questo passo è assai guasto in tutte e tre P edizio-
ni. C!orreggerebbesi forse la viziata interpunzione,
cangiando in allarga V aliar gò^ e tolgendo via afiat-
to P ora preposto al non è guari. In queste muta-
ziom ebbi a sicura scoria Solino, cap. XYII, che
cosi scrive : inde diffusus acquare patentissimo rur-
sus stringitur in Propontidem^ max in quingentos
passus coarctatur^Jitque ^Bosphorus Thracius, qua
Darius copias transportavit
Cap. IV5 pag. 175. Ed in tra Egitto è'I mare
à^ Ispagna^ tuttavia in coste lo nostro mare.
Non sono punto contento di questa lezione, ma non
so correggerla. La stampa del i474 ^ congiunzione
P è verbo, e parmi ciò peggiore di quello dà P edi-
zione citala, e che seguo. £ polche siamo agli errori
della edizione del 1474? ^" ^^^^ ^^ maggior peso se
ne trova indi a tre righe, dandosi V Europa per abi-
tazione degli etiopeni,
Cap. IV, pag. 177. Oceano, tutto eh'' e' muta no-
rncy ec.
Cosi nella edizione i474? ^^ nelle antiche i528,
1 555 leggiamo : Oceano tutto ma el muta nome, ec.
E chi bada al senso, Puna e P altra di queste lezioni
194 ANHOTAZlOni
può Stare ^ sicché mi sarebbe piaciuto che gli editori
posteriori al trivigiano avessero allegato alcun motivo
del perchè alteravano il primo testo.
Gap. rV, pag. 178. Li quattro quartieri del suo
Qerchioy ec.
Ho potuto correggere a questo modo colla scorta
delPedizione 1474; mostruosamente si legge scorret-
to questo passo nella citata: li quattro quartieri del
suo dì circa. E in ciò ebbe ad esempio là stampa del
i528.
Gap. Y, pag. 1 79. Secondo che ella dà a guada*
gnare che cosa^ ec.
Concordemente nelle tre edizioni secondo che ella
è da guadagnofCy ec. A principio mi parve assoluta-
mente errata questa lezione, e pensai che V è fosse
stato tolto al dae^ che gli antichi usavano per dà $
m' avvidi poi che potea non avervi errore, ma piutto-
sto uno di que^ modi eleganti frequenti negli antichi,
e che hanno fàccia d^ inesattezza. // che cosa^ onde
si genera una costruzione alquanto duretta, rimane in-
tatto in tutti e due i modi.
Gap, V, pag. 1 79. £ ben chiari ed aperti^ ec.
Qui ci manca occhi^ o alcun che siffatto. Nessuna
delle tre edizioni cel dà. Leggo bensì nel Palladio, ci-
tato dall^ autore, lib. I,cap. 5, che ha per titolo: come
sipruova e conosce il buono aere^ le seguenti parole:
La sanità delV aere si dimostra . . . guardando accor-
pi degli uomini^ se sono di colori sani^ e se '/ capo loro
è bene asciutto^ e chiaro il s^edere degli occhia e V u-
dire pure^ ec Gito la traduzione, poiché ne abbiamo
una ottima, del beato secdo, e approvata dalla Grusca.
Ali uno Tuuo. 1^5
- G|ip> ▼# JW f^o. Ornile se ne debbe guardare,
.JPalse hapao^ tipo j&ka lesuone, tutte tre k antiche
it$mft»B/^etfienliJU>coDÙcwKa^ ancora odi
yifjtuwamìp PàUadioy Ub. I, cap. 4 : é anco da guar^
ittf'ii da ifgni acqua «alfa, o in die regna alcwna
Gqx. Y, pag. i8i. Che non sia coperta di polvere
CoA in tutte tre V edìadom. Quando fiisse acoert»*
tvMflle ^nesta- lesione se ne arrdbbe V a^^YO gre-
iB^«faedalfai Crusca ne si da sostantivo soltanto, e per
P^g§ialtit!ft lia greÉoscMà seguendo Tautore in que-
lli ìwvertHriiii^ passo passo il IS^ro del Palladio, sono
iavM» A «aredere djiequi d^iba leggersi polvere cre^
4i;-ÌK isbe poMono esaminare quelli cbe- ne avessero
iPi0Uli>3 €ap. y, lib. I di queir autore, che vi trove-
ìMiofei dal prìncipto: Nelle terre si vuole attendere
U^niUifioare^ e che le ghwve non sieno bianche^ os^
mro ignude^ ovvero sabbione sama mischiama di (er-
ra buona y ne terra creta sola^ né arene ismorte^ né
ghiaia digiuna, ec. S^uo nel citare^ così questo come
tigni altro passo del Palladio, la edizione veronese 1810,
procurata dal benemerito D. Paolo Zanootli.
Gap. YI, pag. 1^2. Si dee la magione mitigare
verso lo sole di verno.
Concordi le tre edizioni^ ma il senso non mi viene
abbastanza netto. Nel cap. XII del lib. I del Palladio,
tra gli altri avvertimenti, trovo : che la casa . . . per
parti risponda a diversi tempi delV unno . . . Quella
delìn state sia aperta e risponda al settentrione ,
] 9^ AimOTAZlOlifl
quella del iberno al meriggio^ ec. Io penserei che, ia
luogo di mitigare^ si potesse leggere mirare,
' Gap. Vn, pag. 184. L^occhio creato in terra, ec.
Concordi le tre edizioni nel leggere creato, quan-
tunque apertamente erroneo. Forse corcato stana a
dovere : vegga il lettore.
Gap. VII, pag. 184. O tu w trovi goccie d* ac-
qua, ec.
Giozzi ha l'edizione i533, evidente scorrezione
vernacola.
Gap. IX, pag. 1 86. E se penserai di molino, di
forno, di vinaio, ec.
Non trovando vinaio nella Crusca in senso di luo-
go da fare, o riporre vini, come sembra che qui deb-
ba significare, cosi messo a lato a forno, fui per so-
stituire vivaio. Poi mancando d' autorità me ne asten-
ni. Provata legittima la lezione vinaio; sarà da fame
appartato paragrafo nel Dizionario. P^ivaio ha T edi-
zione i474*
Gap. IX, pag. 186. Magioni grandi e piniere dir-
jnnte, ec.
Piniera è citato dalla Grusca con quest'unico esem-
pio, e spiegato, in modo per altro dubitativo, per gal-
leria. L'edizione i474 ^^ e piniere e dipinte^ non
potrebb' essere che piniere fosse aggiunto a magioni,
scorretto bensì, come tante altre voci di questo Teso-
ro? La congiunzione, premessa all'aggiunto dipinte,
che vien subito dopo, me ne fa sospettare.
LIBUO QUARTO.
#« ^,» ■•#*
;.,.;.■- E - *- /.
XlàntOLo I.
dalli tnJBMiK, e prima delti pesci.
Li
• f ,
pesci tono feon miinefo, con tutto che PJìaio
■Qfci^e^eiili tetiìcm oeoiloqpiar^ per nome.
B-MiajdÌìd|fen6 muaiere. Chò Vxxoà generazione
tkRpivttìB» ave màuÈeataj ed altri conrersano in ter-
A. ed. in acqp% • tìtobo secondo suo luogo. HavTi
^BépvnipBi che temo. noTa, e gittank in acqua, e
^mxfsut k cxittseFTa, si che ne nascono li pescL Ed ^
ynengioneebe yì\ì escono di corpo, si come sono le
Mene e il dalfino, e molte altre generazioni. E quan-
do la madre li Tede nati, eUa li va guardando molto
4olceBiente e molto teneramente. E quando ella vede
akun pesce che sìa di preda, per temenza che'suoi fi-
glioli non li siano tolti e divorati, si li si ritoma in
quel luogo medesimo ov^ella gli ha conceputi^ equan-*
do vede che non ha alcun dubbio, ed ella gli mette
foori al tempo el luogo. E sappiate che^ pesci non
anno the sia lussuria, imperciò che in nulla maniera
sk oongiunge Puno con P altro carnalmente, secondo
che fa rasino con la cavalla, o 1 cavallo con P asina,
uè alcuno puote vivere che sia di lungi dal suo li-
I^B IL TESORO.
gnaggio. E sonne che si nutricano in diversi modi ^
che tali sono che si nutricano mangiando li minori
di loro, e tali che vivono di vermicelli di fondo di
mare. La balena è di maravigliosa grandezza, che gitta
r acqua più alta che niuna generazione di pesce, il suo
maschio quando concepe, e maschio concepe. Sara è
uno pesce ch^ ha una cresta, ch^ è alla maniera di ser-
re, onde rompe le navi di sotto, e le sue ali sono sì
grandi, ch'egli ne fa vela, e va bene otto leghe cen-
tra alle navi, ma alla fine eh' egli non puote più sof-
ferire, se ne va in profondo di mare. Porco è d' una
ragione pesce che cava la terra di sotto V acqua per
cercare dood'egU viva cosi come i nostri porci ^ e la
loro bocca hanno sotto la gola, per tale modo ch^elU-
no possano rugumare, che altrimenti non si potreb*
bero pascere. Glave è uno pesce che ha il becco co*
me una spada, con che egli pertiisa le navi, e falle
perire. Scarpione è appaiata una generazione di pe-
sce, li (piali si magagnano altrui le mani. Anguilla è
un pesce die nasce di limaccio di terra, cioè di mola,
e però quando la pigli, quanto più la stringi, più ti
fugge 5 di cui gli anziani dicono, che chi bevesse del
vino ov'ella fosse annegata non avrebbe mai più vo-
glia di bere. Morena è una generazione di pesci, di
cui li pastori dicono che elle concepono di serpenti^
e però li fanciulli le chiamano sufulando, sì come le
serpi, elli vegnono e sono prese; e la loro vita è nella
coda, e chi la fiede nel capo o nel dosso non ha male,
ma chi la fiede nella coda immantinente è morta. Chi-
mus è un pesce di mare, ma egU è sì savio eh' egli co-
gnosce quando dee essere la fortuna, innanzi che egli
>99
k £«liM è, egli k
edopo
Capitolo IL
i^quiUfo piedìy e di
OTuiwi. KoMoend fiamedM
■Kpi^ibè qadb dK eoffie iMlk feri» d'Egitto, s 00»
«ie4lcDM|0 k» dhiMto ■ dielnv tt 01^ pnk di qodk
cMitwfcf ode ÌM§p Tenti piedi, od è amato di yaa
di darti e di grwidi oni^iie. n soo cBoìo è à doro^ die
colpo di pieln die vobk> li pttaae eoo
Udì iteìntBRe, e h notte ritama od fiume^
¥Ì pQoie ire^ e «filiate di'cf^ non ha lin-
B OOQ è anniBl d moodo se ooo questo che moo-
fn-lnansedla disopra, e qndla di sotto rìmaDgafer-
MBbBse vedeakono nomo ^li lo piglia e a lo mangia^
e poi die P ha mangiato egli lo piange. Or avviene
die qaando uno noodlo chiamato sooofìiioos voole
iffwiyi va a qnesto animale, e ponesi alia boeca, e
grandi k gola si dolcemente ch'egli apre k bocca.
4dkra viene un altro animale oh'ha nome calcaUrice,
ed cBtrdi dentro lo corpo, ed esceli dall'altra parte^
nmpenddo lotto io lai modo ch'ella Tncdde. Il si-
nijglkntefii il dalfìno, che quando il vede venire sì
se- K & a rincontro, e gettaseli addosso e poi gli entra,
è iedalo in tal modo eh' dia l'uccide. E sappiate che
t
200 IL TBSOEO.
la calcatrìce, con (ulto ch'ella nasca ìq acqua e viva
nel Nilo, ella non è pesce, anzi è serpente d'acqua,
che ella uccide Puomo se 'i puole ferire, se f^to dì
bue non lo guarisce. Ed in quella contrada abitano uo-
mini mollo piccioli, ma elli sono si arditi eh' elli la
contrastano col coccodrillo, eh' è di tal natura, ch'egli
caccia chiunque fugge. E quelli che fuggono gridano,
e &nno in modo ch'ellino il pigliano alcuna volta, e
quando e' l'hanno preso, elli perde tutta la sua fie-
rezza, e diviene si umano che 'i suo signore lo puote
cavalcare se vuole, e fallo ùxe ciò che vuole. E quan-
do è dentro dal fiupie vede poco, e quando è in terra
vede molto bene. E nel fondato verno non mangia, e
non fa lordura, e quattro mesi deli' anno sta senza
mangiare.
Capitolo nL .
Della balena*
La balena è di maravigliosa grandezza, e molte gen-
ti la chiamano graspios. E molte volte rimane in sec-
co, per basso di fondo. E questo è perchè '1 mare cre-
sce e scema trenta piedi, sì come n(H avemo detto
di sopra. E questo è il pesce che recevetté Giona nel
ventre suo, secondo che le storie del vecchio Testa-
mento ne contano, che li parca essere ito in inferno,
per lo grande luogo eh' egli era. E questo pesce si sal-
ta tanto dall' acqua, che 1 suo dosso si pare di sopra
a tutte Tonde del mare, poi il vento vi rauna suso re-
na, e nasoonvì erbe, tanto dhe molte volte ne sono
ingannati li marinari, die quando vegi^ono ciò si ère-
Ane e b Menif ÌBglttaiii-
è.- ■■ pena di ■■n^ lo quale sta dun-
iwiywM^ ed wpn • ciinide, e sta in
faida di aMm^ • h MMiDa e k sarà Tiene a sooHnOy
• to^a la l'iyada. E poi sia al sole, e indarano al-
qaamÈo qocsie gocciole ddb rugiada, dascuna seoon-
dnpCli^lajona^iMintanloch'dlasia compiala difer-
Miia] J[WM niiiiMln innn rm ili di queste oocIiilledUe
ÌMhn(lO|y« qneste sono qoeUe die ruomo diìama
pptfa^ la quali son pietre dì grande nobiltà, e spedal-
■Ml&iiinBadidaa; e oome la rugiada è pura e netta,
codi ìQBO le perle Imndie e nette simigtiantemente,
à wL TOgGono caTare per diiaro tempo. Andie è in
m'aitni oodnlla d'on^ altra maniera, die si
.monodie, e le più genti le chiamano ostri-
ca^ in dò die qoando V uomo gli taglia intomo, e^-
KOtaaaaqno k^nana^ di ch^ ruomo tigne le porpori.di
202 IL TESORO.
diversi colorì, e quella tintura è delle sue camL Ed
un' altra codiilla è che V uomo la chiama cancro, però
che Tha gambe, ed è nimica dell'ostrìce, ch'ella man-
gia la loro carne par grande ingegno, ch'ella porta
una piccola pietra, e va di sopra all' ostrìce, e quan*
do ella apre la bocca, ed ella lascia cstdere questa pie-
tra tra le sue ossa con che ella si chiude, e quando
ella vuole non si può richiudere, si ohe ella la si man-
gia in questo modo.
Capitolo V.
Del dalfiao. ^
Dalfino è un grande pesce, e molto leggiere, che
salta di sopra dell'acqua ; e già sono stati di quelli che .
sono saltati di sqpra delie navi, e volentierì segnisco-
no le navi, e le boci delli uomini, e non vanno se non
a molti insieme, e cognoscono lo mal tempo quando
dee essere, e vanno contro alla fortuna che dee esse-
re. E quando li marinari veggiono ciò, si si antiveg
giono della fortuna. E sappiate di' ^li ingenera e por-
ta dieci mesi. E quando gli ha fòtti, ed ella li nutrica
del suo latte. E quando dia vede pesci di che li fi-
gliuoli temano, ella se li mette in corpo, e tanto li vi
tiene, di' ella vede luogo sicuro. E vivono trenta anni,
e muoiono di piccola/edita ch'elli abbiano. E mutano
la lingua. Ed a nullo altro animale d'acqua addiviene
quello che a lui, che mentre ch'egli sta sotto P acqua
non può inspirare. E però ispesso viene dì sopra del-
l' acqua, secondo che l' uomo lo puote vedere quando
lo traeva in mare. Alla primavera vanno al mare di pcy-
«VAETO. ao5
per rabbondauB del-
^ éAWNmMJki iiniitTO wte peggio die lo di-
lilliywKlirJhaw^yed» bene; E tappiate die dal fiame
di dalfini die hanno sotto
itpim eoo di' e^ uccide lo cocco»
«1^ «i trova iidQe storie antidie che ano
mo dalfino col pane, ed anorvalo
I -lo c^fwtarva e gioocaTa con Ini
«1»1 gaiapaeinort; ede^ stimando die 1
tr«MHl% fli ÌaMÌ& morire. Ed andie in Egitto^ un
m anro^ cne iwingiiantcmente io ca-
con loL Addivenne che questo gar«
;ft.fai|^iMrad?anof%aorey sì lo lece uscire fuori
^0llg0ÌMiltìlt^fèmtm9-e qodli lo nocisera E saldiate
#ligt<kiriqpal papee^- dte più amore porta aU^uomo,
dbilWMnriinBMfe die d? acqua sia. -
..4-^--k. . CAPrroi.0 YL
'•"'*'■' Delle portarne.
.POrlanie è^ un pesce^ eh' è dùamato cavallo fiuma^
tioo^ però che Inasce nd fiume del Nilo. £ lo suo do»^
m^ Bsiioi crini e la sua boce, è come di cavallo. E
la am UB^iie son fesse, come d^uno grande porco sai-
mÌÈùy E ha la coda come cane bretone ritonda. E
'm*-jdietro ^taodo vede P uomo, per paura che non-
MÌM50ÌB. alcuno aguato, e questo ùl per sua guardia^
F-yàniiir mangia troppo, e conosce eh' è rinfuso per
trippe in|ngiare,egli va suso per le canne che sono
i^taftfte di' novello^ tanto che '1 sangue li esce de'piedi
"^fcfpaiwk! ah^'^'^''y«^j {^ le canne che sono tagliate
2o4 Ih TESORO.
che li tagliano ì piedL E in questo modo si medicina
della sua malattia.
Capitolo VII.
Della serena.
Serene furono tre, secondo che le stoi4e antiche
contano. £ aveano sembianze di femine daà capo in-
fino alla coscia, e dalle cosde in giù hanno sembian-
za di pesce, ed aveano ale e unghie. Onde V una can-
tava molto bene con la bocca, e V altra di flauto, e
r altra di cetera, e per loro dolce canto e suono fa-
cevano perire le navi, che andavano per mare uden-
dole. Ma secondo la verità, le serene furono tre me-
retrici, che ingannavano tutti i viandanti, e mettevan-
li in povertade, e dicono le storie che le aveano ale
e unghie, a similitudine dello amore che vola e fie-
de. £ conversavano in acqua, perchè la lussuria fu
fatta a modo delF acqua, che così come nell^acqua non
si truova fine, cosi nella lussuria non si trova fine. E
alla verità dire, in Arabia è una generazione di ser-
penti bianchi, che Tuomo appella serena, che corrono
sì maravigliosamente, che molti dicono ch^elli volano,
e loro ferite sono sì crudeli che s' elli mordano alcuno
conviene che muoia anzi ch^egli senta alcuno dolore.
Della diversità dei pesci e di loro natura non 4irà-
ora più il maestro che detto ha, anzi dirà degli altri
animali che sono in terra, e prima dirà delli serpen-
ti che sono in molte cose più simigliane a^ pesci.
ao5
AHHO^OHI IL UBBO QUIETO.
1 »
tìtfi VpBg- 197* Che/mmo uova, ec
« ^^tàkti&àoa» citata hamcno, apertiMÙnocnrore tn
fwgiafiiiiu. J^'iiOMi neUVduione i474-
• Vkfh ], pif . 19S. // suonuuehio quamk eoneepCf
A qpmte maniftiiai geonwpooc non seppi comcfrt-
♦ *'<d(fel) pag. t^%..ElUno possano rugumarOf ec.
""■^JbjfiMMrvlMiredinoiie i553; io oorresii secondo
Aia dh'la Gnisca odia citazione di questo passo.
^ ' Oip. I, p^. 198. Zi gua/i si magagnano altrui le
Corressi b Tizi^ta lezione delle tre stampe antiche^
chft danno concordi mangnanono. Di questa corre-
^dne To debitore alla Crusca che cosi reca il passo
dfa voce Scarpiàne §.
Cap. II, pag. 199. Del coccodrillo,
' |j^ edisdone de. i474 ^ cancro in luogo dT cocco-
'drìDo; nel resto del capitolo non e' è disparità colla
Qlata del i533, fuorché pel perìodo ove si parla del
Oitito della mascella. Eccolo, quale cel dà P edizione
. Imigiana: E non è animai al mondo che pia muove
^Ètia mascella di sopra^ e quella di sotto rinume. La
edizione iSaS fu prima a cangiare.
Latini. Fot. I. la
2o6 anuotazioni
Gap. H, pag. 1 99. Or <wsnene che quando uno uc-
. cello chiamato sconfiUons^ ec.
Di qui al termine del capitolo la confusione è gran-
dissima. Prenderò a scorta Solino cap. XXXV, e Pli-
nio lib. VIII5 cap. 25. Ambidue chiamano trochih
Inanimale che leggiamo sconciato in questo sconfi-
lions. E la calcatrice^ che TÌene dopo, è detta da So-
lino Enidro { alterwn ichneumonum genus %, e da
Plinio Ichneunum semplicemente.
Cap. n, pag. 199. // simigUanteJa il dal/ino.
Il fòtto del dalfino è tntt^ altro da ciò che suona, se-
condo la lezione citata, che dà : il simiglianteja del
dalfinOf ec. Ecco il testo di Solino: est etdelphinum
genus in Nilo; quorum dolosa serratas habent cri-
stas. Hi delphines Crocodiles studio eliciunt ad no"
tanduiìij demersique astujraudulento tenera ivn-
trium subtematantes secante et interimunt, Skchè i
dalfini sono compagni alla così detta cakatrìce nel-
Puccidere il coccodrillo, non die rimangano essi pure
uccisi da lei, come parrebbe secondo k viziata lezione
del Tesoro, Quindi corressi francamente: il sinu^
glianteja il dal/ino. Forse volle alludere al dalfìno
di cui parliamo Cecco d^Ascoli, cantando né. XXXY
dell' Acerba^ ove descrive il crocodillo :
Crestato pesce sempre a lui fa guerra.
Cap. n, pag. 200. Ed in quella contrada abitano
uomini molto piccioli^ ec.
Praeterea habitant in insula Nili homints forma
perexigui ec, abbiamo da Solino, nel luogo sovracci-
t«ito. E Plinio ci jda anche il nome delP isola, ch^ è
Tcntira, da cui dice dhe s^ intitolassero gli abilanti.
AL UBEO QDAATO. 207
Gap. n, p9g. !ioo. E quelli che Juggono grida-
noy ea
Qui vi dev^ essane Dna lacuna, e la dimostrazione
n^ è facaliiwioìa. Dice Solino (loc. càL\ parlando deaero-
oodiDi : haec monstrajugientes insequuntwr^ formi"
doni resisientes, E questo dice, dopo aver detto in
pn^pooto di qu^li uomini piccoletti Tentiriti audacia
eo usque praeditiy ut crocodilis se offerant ohvios, il
che non sta ponto col fuggire. Sicché io direi che do-
po il caccia chiunque Jugge ci dovesse essere e teme
cbiju resisteraa, o simile che risponda éìjhrmidant
nsistenies. Tiene poi P altro inciso e quelli chejug^
gtmo gridano, e qui giova ricorrere a Plinio (loc. cit.),
ehe dice di quegli abitanti di Tentira, che spaventano
il croGodillo colle grida, fino a coslriagerlo a gettar
* fiiora i corpi inghiottiti di fresco, tanto da potergli
seppellire, voce etiam sola territos, cogunt evomere
recèntia corpora ad sepulturam. E non è raro P e-
sempio di belve che s^ impauriscano delle grida.
Cap.n, pag. 200. EJarino in modo ch'ellino il
pigliano, ec.
Ho cangiato ih tutto il periodo in maschile il ge^
nere femminino, che si legge costante, né so perche,
nelle antiche edizioni.
Gap. IV, pag. 201. Che si chiamano moriccìie.
Intendi murice.
Gap. V, pag. 202. £* quando gli ha fitti, ed ella li
nutrica del suo latte, ec.
Qui dal maschio passa alla femmina. Uherihusjoc-
tus alunt, scrive Solino, cap. XYU, e Plinio le asso-
miglia in ciò alle balene, lib. IX, cap. 8.
3o8 AimoTAzioin
Gap. y, pag. 202. JE mutano la lingua^ ec.
Perchè non tì sìa qui errore maDÌfesto, tuoIsì in-
tendere mutare per macere, di che un qualche ap-
poggio si dà dalla Crusca nel § I di questa voce, pur
con un esempio del Tesoro^ che parla delle anguille,
che col loro mutare hanno a muovere T acqua della
cisterna (lih.III,cap. 8). £,-ciò posto, sarebbe da nota«-
re questo verbo usato qui attivamente. Grca poi al
doversi intendere mutare i^ muovere^ abbiamo P au-
torità di Solino che ce ne ùl certi (loc dt.) ove dice:
cantra naturam aquaiilium soli Unguas mos^enU £
Plinio usa presso a poco le stesse parole.
Gap. T, pag. ao3. E lo diritto s^de bene.
Questo lo diritto, che manca nelle antiche edizioni
per manifesta inavvertenza tipografica, cel posi io. Sa-
lino così ne scrive (loc. cit.) : dextris ocuUs acutius
^emunt quam sinistrisi
Gap, YII, pag. 204. £ V altra dijlauto, e V altra
di cetera, ec.
Dijiuto hanno le antiche edizioni, e che sia que-
sta musica di fiuto chi l'intende mei dica. Ma la Cru-
sca corresse al modo ohe sì vede, recando P esempio
del Tesoro alla ^oce flauto. Soggiugne poi che alcuni
testi a penna hanno leuio.
aog
LIBRO QUINTO.
Capitolo I,
;Qiii conaiiKla fl trattato ddli wrpenti, e loro natura.
s,
Serpenti sono di molta generazione, e hanno di*
verse Datare^ ma tutti serpenti sono di fredda natura.
B non fiedooo, se primo elli non sono riscaldati, e
pero esce di loro più veleno di di che di notte, per-
chè di notte si ricoglie e ùl bolge per la rugiada, e
tutto Temo giacciono nelle loro tane, e la state n^ e-
scoilo. Tutti i veneni son freddi, però addiviene che
V nomo n'ha paura, quando egli n'è ferito, però che
r uomo è di calda natura, e però fugge la freddura
dA veneno. Egli è appellato veneno però che li en-
tra dentro dalle vene, e non avrebbe podere di mal-
fore se non toccasse lo sangue delPuomo, e quando il
tocca, tutto V arde infino che V uccide, se non vi si fa
argomenti. Le nature dei serpenti son tali che quan-
do egli invecchia, li suoi occhi diventano torbi e te-
nebrosi, perchè elli sono coperti, ed elli s' il conosce
bene. Ed allora dimagra tanto che la sua pelle gli è
molto grande e larga, ed allora egli entra per forza
tra due pietre, e spoglia la sua pelle vecchia, e diviene
giovane e frescOy e di buono colore e ritornali il buo-
2 IO IL TESORO.
no vedere, e mangiano finocchi per avere chiara ve*
dota. E quando elii vanno a bere, elli lasciano il
veneno in alcuno luogo sicuro^ e la sua bocca è pic-
cola, e han la vita nel capo; che sMli è riciso, e ri-
manga pure due dita, non more, e per ciò mette tut-*
to il suo corpo in difesa del capo, e per la grande
guardia ch^ egli & del capo, non vede guari bene. E
non ha gli occhi nel capo, ansi gli ha dallato dalli
orecchi, e non vede guari bene dinanzi, ma vede ben
traverso, e se è ferito trai capo e 1 collo non può
andare se non poco, e scegli mangia di corpo d^ uo-
mo a digiuno si more, e nascono due uova. E por
che le serpi hanno fatte le uova, sì te covano sotter-
ra, e nascono di quelle uova, sì come gli uccelli.
Gafitoix) n.
»
Deir aspido.
Aspido è una generazione di velenosi serpenti che
con suoi denti uccide V uomo. Tutto che ne sono di
più maniere, e ciascuno ha per propria maniera di mal
fare, che quel ch^ è chiamato difìse fa con suo fiato
morire P uomo. L^altro ha nome prialis, che fa tanto
dormire V uomo che more. L^ altro ha nome emori, e
fa tanto sangue uscire all'uomo che 1 ùl morire. E quel-
lo che ha nome presto, va tutto die con la bocca aper-
ta, e quando egli istrigne alcuno con li suoi denti, si
enfia tanto eh' egli se ne more, e puzza subitamente,
sì eh' è .orribile cosa. E sappiate che V aspido porta
in capo una pietra preziosa, che ha nome carboncalo,
e quando V incantatore vuole quella pietra, dice sue
^^p^ LiBBO quinto. 31 1
panie, e quando I' aspi do «e ne avvede, incinlanenU-
ficca l^ una orecchia in Utib, e T altra ii tura con la
roda, si che non ode le parole dello incanlntorai. Nel
regnofìelle lémiue sod serpenti che hanao daa.lefto,
V una conte debbono, e l'altia nelb coda^ • n-,d>
riascuoa parte e corre prestamente; isuoi occUmoo
lucenti come candela accesa. E sappiate die qfteito
serpeate solo è quello che sta alla freddura tutto iìf
e va dinanzi a tutti gli altri eume guerriere 4 ca^if
Capitolo III.
Basìliscbio si e nna generazione di serpanà e là
peno di veleno, che ne riluce Lullo di fuori, esiaodia
non che sub il veleno, ma il puzzo avvf Icua da praa-
Hi e da lungi, perché egli corrumpe l'aria e gonta
gli arbori, e ''1 suo vedere ucciile gli uccelli p« i' aria
volaado, e col suo vedere attosca I' uomo quando lo
»rtii I tnlln ebe gli unnùni anziani dicono che non
aaod» m-t^ io vede in prima. E la sua grandezza, e*
«Mi jpiedì, «le tacche biancfae snt dosso, e la cresta
•mao proprie cerae di gallo, e va la.metà diritto so-
f>K-|MT%« l'altra laetà va per l^ra come gli altri
■ApaBlà^E eoa tutto eh' egli sia co^ fiero, It lo uc~
«AklB'bdlHla. E sappiate che quando Aleuaodro lì
[i .ièce Gire ai&pdle di vetro colato dove gli
a à che vedeano gli uomini ■ terpeo-
-41) BH li wipecrti noD vedeamo gli uomini e eoa gli
MMilHiiii con nette, e per colale iogegno oe fii de-
'Ubaabk V oste; e que«U i qualità del batiliscJtto.
9 I a IL VBSOAO.
Capitolo IV.
Della natura di pia dmgoin.
Dragoni è maggiore generazione di tutti serpenti, ed
eziandio ò maggiore che nessuna bestia del" mondo,
ed abitano in India nel paese d^ Etiopia, là ove sem-
pre è grande btate. E quando ^Ui esce del suo luo-
go^ egli corre per Paria sì ismisuratamente e per si
grande forza, che Paere ne riluce dopo lui, sì come
ardente fiamma. E ha piccola cresta e bocca, e ha un
buso aperto quindi onde cava la lingua il suo spiri-
to. E la sua forza non è nella bocca, anzi è nella co-
da, onde ùl peggio per battere con la coda, che per
tnordere con la bocc^. E la forza della sua coda è si
grande, che §essuno animale n^ è si grande, n' è si
Ibrte, che s' ella lo stringe con la coda, non lo uccida.
Ed eziandio lo leo&nte uccide istrìngendolo, ed è in~
tra loro odio mortale, secondo che lo maestro dirà
più' inpan^i} colà ove parlerà dei leofante,
Cìjp;tolo V,
Della natura dello isitalis.
IsitaUs è una generazione di serpenti, che vanno
lentamente, ma egli è si bene tacoato di diversi colo-
rì chiarì e lucenti, che le genti lo veggiono volentierì
tanto eh' elli se li appressano, e per la sua paura non
Il possono partire, e co^ li prendono. E sappiate che
cgh è di calda natura, che eziandio di verno si spor-
gila la fm pelk, per calura eh' è in lui.
- ■ ^■•^ ■ ■
CajpxtoloYL
IMDanptrm*
(■^^CM^:^ nnft fjfiOfiXÈaàoo» ^ serpenti, dk' è Àfiera
fljjlWlTP**! T**^ 4pi0D^ il maadiio ù ooogiaoge con la
IpillN^'^if^™^^ ^ ^^H^ dentro alla booca ddlb fe^
flU^ÌDUmurTrlltì Mata fl diletto della lussuria, ékà
ooo^dinti- e matd& via il «apo^ e qudUp capo
dénlfo dal suo corpo. E quando li figliuoli
JIIPH ja lempo che ne yogUono uscire fbori, etti le
Hmtunnn diffnrri dalla sduena per diritta feria, ed
mipipp fiuni in til maniera, ch'elli veggicKDO la lor
ilìl^fa^.IM.iqpieflo serpente dice santo Ambrogio, cbe
mt0^ A la pù cpidde bestia, che sia ai mondo, e più
'^ jMlaQa.sen^ pietUde, £ sappiate ohe queUo ser-
llfnCe, quando e^ ha talento di lussuria, mette il capo
nftta bocca ddla femina, ond' ella F uccide^ à come
4ÌE|to è di sopra,
cufitolo vn.
Del lusardes e della salamandra.
■
• Lusardes sono di più maniera, tali grandi e tali
pàscoli, r una specie quando è caldo sì morde Pnomo
con d€«iti malamente, ma quando lusardes invecchia^
e^ entra per uno buso di muro stretto, contr'al sole,
e spogliandosi la sua veste, lascia tutta la si|b tcc-
dbiezza. E simigliasi sdla salamandra, di colore va^
nato, n suo veleno è più trafittivo, che tutti gli al-*
tri veleni, ch^ egli nuoce a molte cose, ijoà sV^ av-
21 4' IL TESORO.
velena tutti li pomi dell' albore, uccide tutte le per-
sone che ne mangiano, e s^ ella cade in un pozzo, egli
BTTelena chiunque ne bee. E sappiate, che la salaman-
dra vive entro nel mezzo del fuoco, senza alcuno do-
lore, e senza alcuno dannaggio di suo corpo, anzi ispe-
gne il fuoco col suo vento. Qui fa fine la storia e '1
parlare di serpenti e di loro natura e di vermini, co-
Aie sono di diversa maniera e come nascono in terra
e in acqua e in mare e in caverne e in foglia e in le-
gno e in drappi e in uomo e in altri animali, dentro
e di fuori, senza congiungimento di maschio e di fe-
mina. Anche che alcuni ne nascono per generazione,
non ne dirà più il conto, però che sarebbe lunga ma-
teria, senza grande profitto, e seguirà altra materia,
per pwrlare de^li altri animali, e primieramente del*
l'aquila, eh' è podestà di tutti animali, cioè uccelli.
Capitolo VIDi,
DeUa natura dell* aquila.
L' aquila è con la migliore veduta che nessuno al-
tro uccello del mondo. £ vola sì in alto, che V uo-
mo perde la sua* veduta, e vede si chiaramente che
conosce in terra ogni piccola bestia che vola, e li pe-
sci nell' acqua, e quando vi si abbatte sì li piglia. E
dura di guardare verso il sole sì fissamente, che' suoi
occhi non muove niente, E però piglia li suoi figliuo-
li, e volgeli versoli raggi del sole, e quello che vi guar-
da dirittamente senza mutare suoi occhi, sì è ricevu-
to e nutricato, sì come degno, e quello che muta li
suoi occhi, sì è nfutato e cacciato del nido, si come
I
LIMO QDIIITO. ai 5
istardo. £ ciò non addiyieDe per crudellà di natura,
Ma. per giodicainento dì dirittura, che non lo ha per
lOO figliuolo^ amd come uno strana E sappiate che un
v3e noodlo^ ch^ è chiamato fortezza, ricoglie quello
db' è cacciato^ e mettelo tra suoi figliuoli, e nutiìcalo
come MIO. E sappiate che F aquila ha lunga ^ìta, che
dia rinordOa e spoglia sua vecchiezza. E dicono mol-
ti, eli* dia Tola si alto che le. sue penne ardono, e le
ne scorze d^[li occhi, tanto s' appressa al calore del
iiooo. £d allora si lascia cadere in una fontana, ov^el-
la si bagna, ed immantinente toma giovane come dal
tao poanncìanìRnto. Àndie dicono molti, die quando
cDa inveochia il becco gli cresce tanto che si volge in
gjoso^si A^ ella non può beccare cosa che prode le
&Bda. Ed ella va ad una pietra, e tanto ella vi per-
eooCe^ die quello eh' è cresduto si parte dall' altro, e
in tal maniera die toma così bello e così tagliente, co^
me egli era quando era gio'\*ane.
, Capitolo IX.
Deir astore.
L'astore è uno uccello di preda che l' uomo tiene
per diletto d' uccellare, sì come l' uomo tiene ispara-
viere e falconi, ed è di fazione e di colore simiglian-
le allo sparaviere, ma è maggiore del falcone. E sap-
piate che astori e falconi e sparvieri ed altri uccelli
di preda, che l'uomo tiene per diletto d'uccellare, sono
molto fieri ai loro figliuoli^ che quando elli sono in a-
ria die possano volare, elli li cacdano da loro in tale
maniera, che mai quasi non si ritruovano con loro,
3l6 IL TESORO.
perchè vogliono ch^ elli medesimi si pascano, non vo-
lendo che lascino quello che debbono fare per natu-
ra, e perchè non diventino nighittosi, e per queste
cagioni li dipartono da loro. E sappiate che astori so^
no di tre maniere, grandi e mezzani e piccoli. Li mi-
nori sono a guisa di terzuolo, ed è prode e maniero, e
bene volenteroso di beccare, ed è leggiere da uccel-
lare. Lo mezzano ha ale rossette e piedi e corpo ed
unghie piccole e malvagie e gU occhi grossi e scurì.
Questi sono molto durì a farli manierì, e però non
vagliono guarì lo prìmo anno, ma al terzo anno sono
buoni e di bona aria. Lo grande astore è maggiore che
gli altri, e più grosso e più maniero, e migliore, e gli
occhi ha begli e chiarì e lucenti, e grossi piedi e gran-
di le unghie e lieto viso, ed ardito che per nessuno
uccello si trae addietro, ed eziandio dell' aquila non
ha paura. Però dice il maestro che quando V uomo
vuole cognoscere il buono astore, V uomo dee guar-
dare che sia grande, e ben fornito di tutto. Ed alla
verìtà dire, in fra tutti gli uccelli cacciatori li maggio-
ri sono le femine, e li minorì sono li maschi, ciò sono
li terzuoli, e sono sì caldi per la maschiezza e sì or-
gogliosi, che appena prendono se non ne viene loro
voglia. Ma la femina, eh' è fredda per natura, è tutto
giorno volonterosa di prendere, però eh' ella è fred-
da, e la freddura è radice di tutla cupidità, e ciò è la
cagione perchè li grandi uccelli rapaci sono migliori,
per ciò che non hanno nullo desdegno di prende-
re, anzi desiderano sempre la preda, e più 1' un dì
che l'altro^ in tal maniera che alcune fiate prendono
mal ^ìzio, ma nella muda lo lasciano, e megUorano
unto QmNTo. 2 1 7
le penne, e li mali terzuoli vi prendono molte (late
Tizio.
Capitolo X.
Anche degli astori,
E quando vuoi scegliere astore grande, guarda chV
ffi abbia la testa lunga, a guisa d^ anguilla e che la
SUB ciera sia allegra, e un poco chinata infino ch^ egli
è concio. E poi dee essere lo suo viso come malinco-
nioo e cruciato e pieno d^ira, e abbia le nare ben gìal-*
le^ il mezzo eh' è in tra gli occhi sia ben lungo, e so-
lva il ciglio sia ben pendente, e gli occhi sieno in
inori e grossi, e ben per ragione coloriti dirittamente,
die ciò è segno cheH sia figliuolo d'astore che abbia
pia di tre mude: onde vive più lungamente quando
ìè ingenerato da padre che sia vecchio. D suo collo sia
Inngo e serpentino, il petto grosso e ritondo come co-
lombo, e che le due penne dell'ale, le quali le più
genti chiamano ispade, sieno serrate con V ale, sì che
le non li paiano di fuori, e l'ale brune, e ben tenente,
e gli artigli grossi di nerbora, e non di carne, e l'un-
ghie grosse e bene forti. E tanto sappiale che quelli
che hanno le gambe lunghe prendono più leggier-
mente, ma non tegnono così bene come quelli che
le hanno corte.
Capitolo XI.
Degli sparvieri.
Sparvieri vogliono essere di questa maniera, ch'el-
li abbiano la testa picciola, e gli occhi infuori e gros-
Latìni. Fo}. I. i3
2 1 8 IL T£»oau.
si, il petto ben toado, i piedi bianchi e aperti e gran-
di, e le gambe grandi e corte, e la coda lunga e sotti-
letta, e V ale lunghe infìno alla terza parte della coda,
e la piuma di sotto la coda sia taccata. E se egli ha li
piedi rostigiosi, ^ è simiglianza che siano boni. £
quelli che hanno tredici penne nella coda, debbono
essere migliori che gli altri. E se t' avviene bono lo
sparvieri, guardati di non ^li prender colombo in
su torre, però che spesse volte se ne guasta, per la
grande caduta che elli fanno. E sappiate che tutti
gli uccelli feditori sono di tre maniere, cioè, ramacie,
grifagni e nidacie. ìì nidacie è quello che V uomo car
va di nido, e che si nutrica e piglia per sicurtade. Ra-
macie è quello che già è' volato, e ha preso alcuna pre-
da. Grifagni son quelli che son presi all'entrata di
verno, che sono mudati, e che hanno li ocehi rossi co-
me fuoco. E sappiate che uccello giovane ingenera
uccello rossetto, e occhi di colore ardito, ma elli non
vivono a mano d'uomo più di cinque anni. Isparvier
vecchio ingenera isparviere bruno con minute tacche,
e occhi coloriti, e sono migliori e di lunga vita.
Capitolo XII.
Dei falconi.
Falconi sono di sette generazioni, el primo lignag-
gio sono lanieri che sono siccome vani in fra gli altri.
E questi medesimi sono divisati in due maniere : on-
de quelli che hanno la testa piccola, non vaglionu
ntilla; e quelli che hanno grosso il capo, e Pale lun-
ghe, la coda curta e' piedi grossi e formati, sono buo-
r'rf
*"9
ai^ %Éttlà^yM^ M'mào dori a ooociare, ma chi lo fii
' rindwe tre ^dle^ riè'pafrpftnAre ogni uoceno. Lu
rteaiHlff *^"1BC^* mb qneBi ebe Pnomo appdh p^
fcgrioiy pQpdaè pcnona oon può troTare Io loro nido,
ÉÉJfjM f»iwi jìbuom» ia peBegrinitggio, e sono mcA-
trtm^|#<ttiQÌriBW^ ecorlMi, e di boon^ara, e va-
iMNfe^llditic Iso teR» KgwwMpw lon fidooni matìtià'
Ìft%.JÌ ViiMniiiiìnnn j r Tiilf 'iflTi^ e poi ch'e^
<l«l»iiili» ii[»BÌtagyA^giamnMÌ Lo quarto lignaggio
ttMÉ 'fcbrmi gf utili cba prawkno kt gnie, e Tagliano
jfMtaNIfMMonR ciiA oa «ena caTallo, però che fiomu
^ '^ -luigD ¥ohrt; E tappiate che di questi qoat-
ppfp> TOi dovete isoegUere quelli che hanno
tfrtHiir piia>òl|i. Iw. quinto li^iaggio sono gerfidchi, i
iì^mM {MwaiOD, tutti ^ uoodliddla loro grandezza, ed
MMft e fiero e ingegnoeo, bene arvrenturato in cac-
"CÌHe e in prendere. Lo sesto lignaggio è lo sagro, e
•^dfeBi'aono molto grandi, e somigliauti alFaqaìla, ma
4efjà occhi e ed becco e dell' ale e delF orgoglio sono
-mm^iantf al girMco, ma troyansene pochi. Lo setti-
mo lignaggio si è falcone randione, cioè lo signore e
re di tutti gli uccelli, che non è ninno che osi volare
appresso di lui, né dinanzi, che caggiono tutti stesi
in tal maniera che Toomo lì puote prendere come
ìTo morti. Ed eziandio V aquila non osa volare co-
dov' egli sìa, e per paura di lui non appare cola
dove sia.
'2 20 Ili TESORO.
Capitolo Xm.
Delti smerli.
Smerli sono di tre maniere. L'uno che ha la schie-
na nera, e V altro che ha grìgia, e son piccioli e sot-
tili uccelletti. L' altro è grande e somiglia al falcone
laniere bianco, ed è migliore di tutti gli altri smerli,
e più tosto si concia. Ma egli addiviene loro una ma-
lizia, che si mangiano tutti piedi, se Tuomo non li ri-
tiene deir uccellare al tempo della sementa del lino
e del miglio. Qui lascia il conto il parlare degli uccel-
li di caccia, e vuol seguire la natura e la maniera de-
gli altri animali, cioè d'altri uccelli che non son da
caccia.
Capitolo XIV.
Della natura delli alions, oyrero alcioni.
Alions è uno uccello di mare, a cui Iddio ha do-
nata molta grazia. E intendete com' egli pone le sue
uova in sulla rena presso al mare, e ciò fa egli nel
cuore del verno quando le orribili tempestadi soglio-
no essere nello mare. Ed egli compie il nascimento de'
suoi figliuoli in sette di, e in altri sette gli ha allevati,
ciò sono dì quattordici, secondo che'marinari che usa-
no quel paese testimoniano, e hanno tanta grazia, che
in quelli quattordici di non è tempesta, né mal tem-
po, anzi è sereno e dolce tempo.
LIBRO QUINTO. 23 1-
Capitolo XV.
Deir ardes.
Ardes sóao generazione d^ uccelli che più genti li
diìainaiio tantalus, e tali ìmairon. £ tatto ch'ali pren-
da sua vivanda in acqua, niente meno fa suo nido
pure in arbcnre. E la sua natura è tale che inconta-
nente che tempesta dee essere, egli vola in alto, cioè
in aria, e si alza su in aere che la tempesta non ha
podere di £arli noia o male. Per lui cognoscono molte
gfloti che tempesta dee essere quando il veggiono le-
Tare in aria.
Capitolo XVI,
Deir anatre.
Anatre e oche quanto sono più bianche tanto son
migliori, e più dimestiche. Oche o anatre che sono
taccate, o nere, sono nate di salvatiche, e però non
ingenerano siccome le bianche. E sappiate che anitre
e ixhe non potrebbero vivere, se non dove avessero
acqua o erba, ma molto danno fanno con loro becco
alle biade, e molto guastano tutte erbe con loro u-
scitp. Il tempo ch^ elle si congiugnono carnalmente si
è dal marzo ii^no aggrandì dì d'istate. E alle boci dei-
Poca puote r uomo conoscere tutte le ore della notte.
E non è nessuno altro animale che sì senta 1' uomo
come fa l'oca. E alle lor grida furono sentiti li Fran-
ceschi quando voleano imbolare lo castello di campi-
doglio di Roma.
2 33 IL TESORO.
CipiTOLo xvn.
Dell^ape.
Ape son quelle che fanno il mele e la cera, e na-
scono senza piedi e senza ale, e poi le mettono quan^
do sono grandi. Queste api portano grande diligenza
a fare lo mele e la cera, la quale elle cogliono di di-
versi fiorì, e fanno elleno diverse magioni, e diverse
camere, onde ciascuna ha suo proprio nome e luogo
quivi dov' elle tornano. Elle fanno re e oste e bat-
taglia. £ fuggono per lo fumo, e raunansi per suono
di ferro, o di pietre, o di cosa che faccia grande ro-
more. E cotanto sappiate che tra tutti gli altrì animali
del mondo solamente V api hanno loro lignaggio, e
tutte le cose comunalmente, per ciò ch^elle abitano
tutte* in una magione, e quindi escono e vanno pa-
sturando per la contrada^ e il lavorio d^ alcune è co-
mun a tutte. E tutte raunanze e fnitti e pomi sono
comuni a tutte. E anche più che loro figliuoli sono
comant a tutte. Elle sono tutte caste e vergeni, e sen-
za nulla corruzione di loro corpo di lussurìa. E fanno
figliuoli in grande quantità. Elle ordinano loro popo-
lo e loro comune. Ed eleggono loro re 5 e non eleg-
gono per sorte, anzi chi è più nobile ne^ costumi e più
bello e maggiore e di miglior vita, quelli è eletto re
e signore delP altre. E perchè egli sia re e signore, di
ciò egli è più umile e di grande pìetade. Ed eziandio lo
suo pungiglione, ovvero spina, non usa contra alcuno
malvagiamente. £ non pertanto ch^ egli sia signore,
r altre sono tutte franche « hanno di loro libera signo-
Lono qvato. ^ a a 5
ria. Bla la. buona vohintà ch^ elle hanno, le fii amare
insieme e ubbidire ti loro maggiore in tal modo, che
niano esce di sua magione infino tanto che il loro
signoi^ non è iaapj e piglia la scoria del volare dove
li giace. , Ma le loro api novelle non si osano posarsi,
iafiafk a tanto i^^loro mastri non son posti E quan-
do èÌMifeto» le giovane si posano intorno di loro e os-
1^ vana dUigeiiteBiente loro 1^^ e quando alcuna di
loco '& akunà cosa che sia cootra a loro signore, fa
«Uà medesinia vendita di ^^^ die ella si leva e rorn^
p^lLaoo pui^p^ione, secóndo die solcano £are quelli
4yB!nKi, dbe se, alcuno rompea la sua legge, non at-
tiwbjra •sentenza di sé, anzi si ucddeva egli medesi*
mopor Teodetta di suo fallo. £ in somma sappiate
che le a{M[ amano il loro re si ferventemente e di tenu-
ta fede^ quanto die hanno intenzione che ben sia. e
mettcHisi alla morte per aiutare e per difendere il loro
re. E tanto quanto lo re è con loro sano e salvo, non
sanoo mutare fede né pensiero. Ma quando egli è
morto e perduto, elle perdono la fede e ^I giudica-
mento* in tal modo, ch^elle non empiono il loro mele,
e guastano loro abitazione. E sappiate che ciascuna
sia al suo officio, che tale va per ricogliere la rugia-
da del fiore, e tali iscelgono la c^ra dal mele, e mel-
tonlo per le camere. E tali istanno a guardare lo re
il xli e la notte, il tempo che sia dolce, ne no con nu-.
voHj né con vento. E quando nasce alcuna tra loro
die sìa negligente, cioè che non voglia stare a niu-
no di questi ofhciì, lo re la fa cacciare di fuora da \i>-
ro magione, in tal modo che non ve la raccolgono
più. E se r uomo fa loro male, o poco o assai, si se
2^4 IL f£SO&0.
ne mettono alla morte per vendicarsi di quello ch^ «
loro fatto.
Capitolo XVIII.
Della calandra.
Calandra è un uccello piccolo, e '1 suo polmone
schiara li occhi a chi gli ha turbati Elle sono di co>
tal Qalura, che se uno uomo infermo la ya a vede-
re^ s^ ella li pone mente diritto nel viso, egli è certo
di guarire, e s'ella non li pone mente, sì è significan-
za che dee morire di certo del male eh' egli ha a quel
punto. E sono molti di quelli che dicono, che quando
ella il guarda per lo viso, sì li leva tutto il male e va
in aria, e '1 calore del sole consuma quel male, sì che
non rimane appo lui.
Capitolo XIX.
Dei colcMiibL
Colombi sono uccelli di molte maidere e di molti
colori, che usano intorno agli nomini, e non hanno
niente di fiele, cioè il yeleno che hanno gli altri ani-
mali appiccato al fegato . E movono la lussuria per lo
baciare, e piangono in luogo di canto, e' loro nidi sono
in grotte di pietre, o in fori di muro, e non in arbori.
E quando perdono la veduta per vecchiezza, o per
alcuna malizia, elli la ricovrano poi per grande studio.
E volano a grande turma insieme. E la loro natura è co-
tale, che se gli uomini che li tegnono fanno una bella
figura di colombo quivi do v' elli hanno a stare, quan-
m
do elfi smontano, se elli le pongono niente, li figliuo-
li die &nno somtgiiano qnella' figura. E se P uomo
prende li funi, con che F uomo è stato impiccalo, e
gittale dinanzi dft loro, indi mai non si partirebbono
d'intorno. £ se rnomo dà loro beccare cornino, e an*-
géi Tale di balsamo, elli menano grande torma di co-
InnM'ttd albeifp aj kmi colombaia E se Tuomo dà
hir» beccare orzo cotto eoaldo^ elli mgenerano figliuoli
E TQolsi mettere per li cantoni delle colombaia
e altre cdse^ si che mala bestinola non ti po^
i/Èfàtìàin. EwppOB dieti trova nella santa Scritta-
M'.'bo colombe : Fnna che portò Polivo a Noè, quan-
do en nell'arta^ Paltra a Dainit^ e P altra die si ao**
oOne'dd.battesimo del nostro signore Gresù Grìsto.
Capitolo XX.
Del corbo.
' CSorbo è uno uccello grande, ed è tutto nero. E
quando Tede nascere i suoi figliuoli con le calugini
iHadche, si non credè che sismo suoi figlinoli^ e par-
tesi dal nido e poi a pochi dì ti toma. E vedendo
che quelle penne vegnono annerando, sì li comincia
éà capo a nudrirli: Elli vivono di carogna, e quando
trovano la carogna la prima cosa che beccano sono
gli occhi, e dopo Pocchio beccano il cervello. E sap-
piate che ^1 corbo fu quello uccello che Noè mandò
per cercare la terra, e non tornò. E molti sono che
dioono, che egli rimase per beccare carogna. E altri
dìoooo ch'egli annegasse {ter la grandissima mdtitu-
dine delP acqua.
236 IL TESORO.
Ca.pìtolo XXI.
Della coraacchia.
CorDacchie sono di molto grande vita. E dicono mol-
ti uomini, ch^esse indovinano quello che dee addive-
nire air uomo. E questo solcano molto dire gli anti-
chi, e mostravanlo per molte ragioni. Se V uomo n^ è
maestro di conoscere quelle dimostrazioni, ch^elle
fanno alle fiate, puote P uomo conoscere quando dee
piovere, che le gridano molto, e fanno grande sbatte-
re d^ali. E amano tanto li loro figliuoli, che poi che
sono grandi usciti del nido, si li vanno molto segui-
tando, e imbeccando siccome fossero piccoli.
Capitolo XXH.
Delle cotornici o ver quaglie.
Cotomice è uno uccello che^ Franceschi chiamano
greoce, però che fu prima trovato in Grecia. E Tasto-
re piglia tuttavia la prima ch^ esce e si dimostra di-
nanzi air altre. E però eleggono per lor capitano e per
lor guida un uccello d'altro lignaggio, perchè Pastore
abbia che prendere, e ch'elle vadano a salvamento. E
sappiate che le loro vivande sono velenose semenze,
per ciò li savi antichi hanno vietato che nullo uomo ne
mangi, per ciò che quello solo è quello animale il quar
le cade in parlasia, e cade sì come ut Puomo paralitico.
Elle ardono molto del vento all'ostro, sì com'elle mo-
strano; e mollo s** adagiano del vento a tramontana,
perchè è secco, e molto leggiero.
uuo QcmTo. 337
Capitolo XXIII.
Ddh dcogBM.
Cioognìa è ano grande uccello, e soou senza lingua,
e per ciò frono gran remore col becco, battendolo mol-
lo iimfi^ E sono nimiche delle serpi ^ e perù dissori)
S savi antichi che nessuno ne mangiasse. 1^ tornuuu
deDe parti di Europa alla primavera. JB fònno loro
nidi sofica alle grandi abitazioni. E mettono grande
ftodio a natrìcare loro figliuoli, che ad alcune caggio-
DO tante p^nne che non puote volare, sì che ooavie-
De €^ li figliuoli nutricano lei, oom^ ella ha nutricati
loro^ infino ch'ella ha remesse le sue penne. £ questo
à è spesse volte. L^arcivescovo di Milano mise uno
novo di corbo in uno nido di cicognia: quando que-
sto file nato, il maschio vi menò una grande quantità
di cicognie. E quando lo videro così divisato u loro
natora) elle corsero addosso alla femina, e ucciseria
villanamente. £ la state quando elle si partono della
contrada di Europa a grande compagnia insieme, e
vannosene in Mauritania cioè in Africa dalla parte di
mezzodì. E quelle che giungono troppo dietro all'al-
tre sono prese e spennate e percosse dalF altre nui-
lainent^.
Capitolo XXIV.
DeHi ibes.
B>es è uno uccello simigliante alla cicognia, ed usa
in Egitto per lungo il fiume del Nilo. E non si pasco-
no se non di pesci che trovano morti, e d' uova di
338 IL.TJSSOaO. ■
serpenti, e di bestie morte, ch^ elle trovano lungo la
riviera. E questo addiviene perchè non mette piede
in acqua, che noft sa notare. £ quando si sentono al-
cuna malizia nel lord corpo, per le vivande ch^elle
mangiono, sì se. ne vanno al mare e beono dell^acqua,
ed empiesene bene la sua gorgia, e mettesi il becco di
dietro a modo di cristeo, e caccia sì queir acqua in
corpo, e in quel modo pui^a la sua malizia. £ però
dicono che Ipocras, io grande medico, trovasse il cri-
steo a quello esempio. £ però potemo noi conoscere
che uccelli e bestie hanno oognosdmento, secondo che
loro natura gli ammaestra.
Capitolo XXV.
Del cecino.
Cecino è uno molto grande uccello, con te penne
tutte quante bianche, e con la caiiie nera, ed usa a
fiumi, ed a tutte acque grandi notando. £ portano il
capo alto che non lo mette in acqua, e quando li ma<-
rinarì lo trovano dicono ch^è buono iscontro^ e han-
no il collo molto lungo, e cantano molto dolcemente,
e volentieri ascolta. Quando oda cantare, o sonare suo-
no di zampogna, dolcemente vi si raunano^ e quando
. viene al morire una penna del capo gli si rìzxa al cer-
vello, ed egli lo cognosce bene, ed allora comincia a
cantare infino che muore, ed in questo modo finisce
sua vita.
CàrmojoXJLYL
Pmàté è a» moeUo il qarie è io Arabii, e non è
fin in tiffonoiido^ ed è di gnodesBa d^sqnila. E Imi
ItrlÉrtK dfae ereste, cioè ima da dascono lato sopra le
M^pie^ e le penne del eoDo sono molto lihioenli 00-
niè^di ftaaej diBe spalle infino alla coda ha ookxe di
foipixà, elt^ldb è di colore di rose^ secondo die
dBtoBo ^odDt die abitano in Ardua, die per loro è
frfuto molte ToHe. E dicono dconi eh* egli ynwt
cmqoecentoqoaranta anni. Ma li più dicono eh* efjÌM
■DiTeodiia in cinquecento amiL Ahri sono che dicono
di' dia Tiye mille anni E quando ella è cotanto tì-
imta, ed ella cc^nosceaDasoa natma' che la sua mor-
ie a'iqppressa, ed dia per aTer Tita si se ne Ta a'boo-
saTorod e dì bone odore, e fanne un mon-
e ùrrvi apprendere il fìioco. E quando il fuo»
496 è bene acceso, ella Ventra dentro dritto al sole le-
ttnle, e quando è arso, in quel dì esce della sua ce-
nere uno Termicello. Al secondo dì è creato come uno
pìoetolo pulcino. Al terzo dì è grande si come dee e»-
sere^ e vola in quel luc^o ove usò, ed ov^ è la sua a-
lutazione, e si dicono molti che quel fuoco fa un pre-
te d* una dttà che ha nome Eliopolis là ove la fenice
sì arde, si come il conto ha divisato dinanzi.
#
n.^'
25o IL TESORO.
Capitolo XXYH.
Delb grae.
Ginie sono una generazione d'uccelli che vanno a
schifa, come i p$yaiieri| che vanno a battaglia, e sem-
pre vanno F uno dopo F altro, sì come vanno i «ava-
lieri in guerra. E sempre ne va uno dinanzi, sì come
/ confaloniere, e quello li mena e conduce con la sua ho-
cei Egli gastiga tutti quelli della sua schiara, ed ellino
Ji ci'edono, ed ubidiscono alla sua volontade. E va in-
nanzi, e dair una parte e dalP altra gli vanno appres-
so. E quando questo eh' è capitano è stanco di guar-
darle, che la sua bdòe è arantolata e roca, non si ver-
V gogna, che un'altra ne vegna in suo luogo, ed ella
toma a schiera, e vola con le altre. E quando v'è al-
cuna che sia stanca, che non possa volare con l'altro,
elU r entrano allora sotto, e tanto la portano in que*
sto modo, eh' ella ricovera sua forza, tanto che la vo-r
la con l'altre. E la state abitano in Asia verso la tra-
montana. E 1 verno abitano verso le marine, perchè
non v' è così grande freddo, e molto grande quantità
di loro ne passano in Africa, e quando vegnono a pas-
sare lo mare, ellino inghiottiscono molto sabbione, per.
potere meglio volare incontro al vento, e piglia cia-
scuna di loro col pie una pietra, per potere meglio
^ volare incontra 'l vento e contra 'l monte, e quando
hanno passato mezzo il pelago, elle si lasciano cadere
la pietra secondo che dicono li marinari che hanno
molte volte veduto. Ma l'arena non lasciano infìnp a
tanto ch'elle non sono in luogo ov'elle possano aye-
LDSOQUIHTO. oSl
ve-f&àxau^e quando sono in terra dov^elle vogliano
aÌiilaiB4Ìnng|ÌBnteiiMiite.« si tengono buona oom{NH
gnk € aicnreu Ghàla noUe^ delle dodici V una, preo-
doaoaBii pietre col pìede^ e vegghiano, ed altre ve n^è
cbe^iJrHMDoiiitorBO guardando quelle che dormono, e
qHHid(>.-<lfe.8eQtono alcuna cosa diselli possa temere
àmmOf «HtffgridBDO tutte, e quando queste hanno tan-
t»<iÉgghiai"j quanto è loro costume, elle si vanno a
e^r altre ve^^^iiano in loro luogo, e&nno loro
laooBdpioto ordine 0 loro oostume e loro
lffa|M'B paoÉM'tpcrtaBieqteoQnoacere^Qh^elle anoe^
iÌMMWi»quido vegmmo nd iempa
^t^^ . ; CaPITQLO XX Vili.
Dilla upupa.
i-^l)|p«ipa è uno uccello con ua^ cresta in capo, e vi-
di cose putride e laide, e però ^ il loro fiato pnz-
mollo. E quando le loro madri invecchiano
Intb 1^ rion possono bene volare, e li loro figliuoli
te jprandono e mettonle nd nido, e spennanle tutte ed
«ngono loro occhi, e teogonie coperte con le loro ale,
e-InMo le portano beccare, infino ch^ elle possono he*
le- volare sì come è mesliero.
■■* ■• ■' '
... Capitolo XXIX.
' ^ Ddle rondine o ver ceselle.
Bondiua è uno piccolo uccello, ma ella vola alla
Trita diversamente, e la sua pastura prende volando,
c|iM po^ndo, e si e preda degli altri uccelli caccia-.
353 IL TESOEO.
dori. Tuttavìa per sicurtà abitano tra uomini, e li loro
nidi fanno sotto le case e sotto tetti e sotto altre co-
perture, e noD mai di fuori ^ e sì dicono i più ch^elle
non entrano in case che debbiano cadere, e fauno Lo-
ro nido di loto e di paglia, per ciò ch^ ella non è di
tanto podere ch^ ella possa portare lo loto, anzi si ba-
gna neir acqua le penne dell'* ale, e poi le mette nella
polvere, e quello che vi si appicca, porta ed edifica il
suo nido. E quando li suoi fìgliucdi perdono la veduta
per alcuna cagione, ella porta lof o d^ uQ'erba che ha
tìome celidonia, e danne loro beccare, ericevono la ve-
duta secondo che molti dicono. Sia Puomo dee guar-
dare li suoi occhi da loro uscito e sterco, \)eT ciò che
Tobia ne perde la veduta, à come conta la Bibbia.
Capitolo XXX.
Del pellicano.
' Pellicano è ano uccello in Egitto di cui li Egiziani
dicono che li figliuoli tradiscono i padri, e fedisconlo
con r ali per mezzo il volto, ov^ egli se ne crucia in
tal maniera ch^ elli gli uccide, e quando la madre li
Tede morti sì li piange tre di, tanto eh' alla fine si fìe-
de nel costato col becco, tanto che ne fa uscire molto
sangue, e fallo cadere sopra agli occhi de' suoi figliuo-
li, tanto che per lo calore di quel sangue risuscitano e
tornano in vita. Ma altri sono che dicono che nascono
quasi senza vita, e il padre li guarisce col suo sangue
in tal maniera eh' egli non muoi*e. Ma come si sia, la
santa Chiesa lo testimonia, là ove David per bocca di
Cristo disse : Io sono a simiiitiidine del pellicano. E
.■ •
late ebe dì peOicwii sono due maoiere. L^uoa che
•He rrrieve^ exivouo di pQKÌ, » gli altri che sono
m boadii^ io canpestr^ e tìtooo di Incerte e d^al*
tra ieciiì e Uboa
Capitolo XXXI.
.. • ' • ■
Delbr peroioe.
^ - - , ■
••«flesaioe è imo noceOo die per bontà di sua carne
è caodala per ^ ooodOatorì. Ma molto sono
rici per lo calore dalla losaoria. Elle si comJjat^
par- le online in tal maniera eh' die perdono la
ddk sua natura. Ed usano li maschi in^
sieome eoo le femina E n dicono molte genti,
die qnan|do le ifemine sono di calda natura, elle con-
oepmo di vento, che Tiene da bto del maschio. £ sì
dicono mc^di loro malizie, eh' die furano Tuova
Tona all'altra, e quando sono nate, udendo la boce
«UBa -diritta madre, sì si partono da quella che V ha
ocmte, e vannosene con lei. E sappiate che la pernia
oe & suo nido di spine e di piccoli stecchi, e le loro
qova cuoprono.di polvere, E spesse volte la madre
tramuta li suoi figliuoli d'un luogo in un altro pev
paura del suo maschio, e quando alcuna s'approssima
al nido loro, ella si moslra di presso e fa sembianza
che non possa volare, infino a tanto che l' è allungata
dal nido.
a 54 IL TESORO.
^Capitolo XXXIL
Del pappagallo.
Pappagallo è una generazione d' uccelli verde, e
hanno il becco torto a modo di spai^yiere, e hanno
maggior lingua e la più grossa che nessuno altro uc-
cello, secondo la sua grandezza, perchè egli dice pa-
ròle articolate, sì come l'uomo, se gli è insegnato Pan-
no ch'egli nasce, perchè dal primo anno innanzi sono
%i duri e sì ingrossati, che non imprendono cosa che
8Ìa loro insegnata, e sì 'l debbe V uomo castigare con
una piccola verghetta di ferro. E dicono quelli d'In-
dia, che non ha in nessuna parte se non in India. E
di sua natura salutano secondo il linguaggio di quella
terra. E quelli che hanno cinque dita sono più nobi-
li; e quelli che hanno tre sono di vile lignaggio. E
tutta sua forza hanno nel beccò e nel capo. E tutti
i colpi e cadute ricevono nel capo s'elli non li pos-
sono isdiifare.
Capitolo XXXIII.
Del paone.
Paone è uno uccello grande, di colore biadetto la
maggior parte, ed è semplice e molto bello, ed ha le-
sta di serpente, e yoce di diavolo, e petto di zaffiro e
molto ricca coda, e di diversi colori, ove egli si diletta
maravigliosamente, tanto che quando vede gli uomini
che guardano la sua bellezza, ed egli rizza la coda in
suso per avere lode. E tanto la dirizza che mostra la
porle di àkàro Yflliomente, e bk^o ha a dispetto la
lairifiw de* suoi piais- e la- sua carne è molto dora
iuaia f JI^BowMif uff ^ e di saaràsimo odore.
•
.Cahtqix) XXXIY.
DcOt tmrtob.
.Jjflih è UDO uordOo di gran castìtade^ che dimo»
aiàii? barin deOi artxv^ e Tokbtieri diinorano dflongì
dMgiiAflu S ifanido le penne le aono cadute, ft cinqoe
i(.iado dentini fif^Undli, e questo nido uhi^
mmao d?ana erba, che ha nome saechiely
fmtìik ilcqpa coia dbe oontraria «a loro, non vi pao-
Ui anda^B. E sappiale die la Icnric^ è d iauoiabile al sua
'.che spando dia il perde per alcona cagione,
Éiioos^aoDoslaaiiesMuioaltro^percastilade, opar
d^'eUp non lonù^'chè per certo die il Tanno
cercandf^ e quando non lo possono troyare, die
è perdalo^ aUora osserva castitade, e più non bee
aoipa diiara, e non si posa mai in alcun ramo verde,
ami sempre in secco.
Capitolo XXXY.
Dell* arohcno.
.Avoltoio è uno uccello molto grande simigliante
dT aquila, e, secondo die dicono molti, egli sente do-
rè più che niun altro animale^ ch'ali sente la cai*o-
gna più di cinquecento miglia. In qudla parte ov' elli
usano di stare è molta uccisione d^ uomini, o grande
mortalità di bestie. E concepono senza congiungìmen-
j56 il tesuuo.
to di maschio e di femioa, e fanao li figliuoli che vi-
vono più di cento anni. E sappiate che elli non bec-
cano di nessuna carogna, snelli non la levan piima di
terra. E volentieri vanno per terra per li grandi un-
ghioni ch^elli hainno.
Capitolo XXXVI.
Dello struzsolo.
Strnzzc^o è uno uccello grande, tutto che molti
nomini T assomigliano a una bestia, ed ha le penne
sì come uccello, e gambe, e piedi, sì come cammello,
ma egli non vale niente, ma egli sta grande di sua
complessione, ed è dimentico molto, che non li sov-
viene delie cose passate, però gli avviene sì come
per molestamento di natura, e non è si pesante, che
txn buon cavallo non abbia assai di giungerlo, di tal
guisa corre. Edi state, intomo al mese di giugno, quan-
do li conviene pensare della sua generazione, egli
isguarda in una stella che ha nome Yergilia, e quando
ella si comincia a levare, egli posa le sue uova, e cuo-
prele di sabbione, e vassene a procacciare di sua pa-
stura in tal maniera che mai non se ne ricorda, né
poco ne molto. Ma il calore del sole, e M temperamen-
to deiraria, gli fa venire a compimento, che scalda
ciò che la madide dee scaldare, tanto che suoi pulcini
nascono sì grandi che incontanente procacciano lor
vita, n padre loro, quando li truova, che dovrebbe lor
far bene e nudrìrli, egli & loro male e noia, e fa loro
di crudeltà tanto quanto più puote. £ sappiate, contro
a quelli che dicono che gli è bestia, cioè perch^egli
LIBRO QUINTO. aS^
httum due cmgfaìe come le bestie, egli hanno ale, onde
sì fiede e batte sé tnedesimo, come con due sproni,
quando ^i ha grande fretta di correre. Lo suo sto-
maco è fofte, più che stomaco di ninno altro animale.
£ tatto che beccano biade, è molte altre cose, niente
meno elli beccano lo ferro, e sonne molto vaghi, e sì 1
ooosmnano come un sottile pasto. E questi uccelli a-
bitano nelle parti di -verso mezzodì, sì come a verna
detto di sopra, quivi ove si dice delle parti del monte
Chiaro^ e sappiate che 1 suo grasso giova molto a tutte
doglie che suole avvenire agli uomini
Capitolo XXX VBL
Del cuculo e di sua riltade.
Cuculo è uno uccello di colore e di grandezza di
smiglianza di sparviere, salvo che è più lungo, ed ha
il becco teso, ed è sì niglìgente e sì pigro, che ezian-
dio le sua uova non vuole covare. E quando viene il
tempo di fere le sue uova, egli va al nido d'un pic-
colo uccello che ha nome scerpafolea che de' maggiori
ha paura, e bee uno de' suoi uovi, e favvi entro uno
de' suoi in quel cambio. Ed in questo modo pone le
sue uova, e così ha li suoi figliuoli che non vi dura fa-
tica. E sappiate che'l cuculo non canta di slate, poi che
le cicale cominciano loro canto, che lo odiano molto,
che quando le cicale l'odono cantare, incontanente
vanno ov' egli è, ed entranli sotto l' ali, e non ha po-
dere di levarsile da dosso, e tanto li fanno noia, mor-^
dendoli le sue carni, che non sta in luogo fermo, anzi
va volando di uno arbore in altro, e non becca mai,
a$8 IL TESOEO.
e sì si lascia mmire. In cpiesta maniera ha la cicala
potere d' uccidere il elicalo.
Capitolo .XXXYIII.
Del rigogolo.
Rigogolo è ano uccello della grandezza del pappa-
gallo, e y olontierì usa ne^ giardini e ne^ luoghi freschi
e inarborati, e chi va al nido loro, e tronca la gamba
ad uno de^ figliuoli loro, la natura gli dà tanta cono-
scenza ch'egli va per una erba, e portala al suo nido,
e la mattina li truoya Tuomo sanf; e simigliantemente
se Tuomo lega bene li suoi pulcini, Taltro dì li truova
isciolti, non sarebbono stati legati si fortemente. £ non
puote V uomo sapere con che erba egli li guarisce, ne
con die ingegno egli li scioglie.
«
Capitolo XXXIX.
Del pìcchio.
Picchio è uno uccello della grandezza della ghian-*
daia, ed è molto lungo, secondo le sue membra, ed è
di diversi colori, e U suo becco è sì fermo che in qua-
lunque arbore egli vuol fare suo nido, per covare le.
sue uova, egli vi fe col becco un gran buco, e quivi
fa le sue uova, e covale. E chi li chiude con una ca-
viglia ben duramente e forte, e serrì quanto puoi la
detta buca, P altra mattina la retroverai fuori ^ e non
si può sapere, se ne la cava con erba, o con altro in-
gegno.
uno QDIHTO. 339.-
Càmoio XL.
Ddgrila.
1
GdQo è UBO oocello diniestioo, il qiàle abita e yive
ooD le ponone. E per b sua -voce pnote Puomo co-'
qual ora ch'è di dì e di notte^ ed eKbndio lo
dd tempo; e tMtodbe la notte caoti più
•pia orgo^ioBO^Teno Incanta più chiaro e piò'
«ori che eomiiM^a esaltare batte il sao cor*
Pai, di dhe li buoni prendono esemplo, cioè
ittal dw oonniiidar « badare il nome di Dio, ^ si dee
exdfpare dé'sooi peccati, per ciò che ninno è
essi. E qoest'è rncoeUo solo, a cui li ooioiini
camtfio i coglioni per far li capponi, che sono molto
booni' e sani di state. E le galline non sono migliòri*
di siate che di Temo, per ciò oh^elle sono tutte co-
tatioeie, ed intendono più a covare ed a nutrire li suoi
figliaoli, e per lo dolore di loro e di loro piuma, che
perdono per cagione dì loro, dimagrano elle mala-
mente. E perciò dee il signore della casa scegliere gal-
line nere e bigie, e schifare le banche, e le taccate, e
dee dare loro beccare orzo bollito e cotto, per farli
ingenerare più aTacdo. E quando il verno passa, e H
signore vuole pulcini, egli dee insegnare alla sua fa-
mi§^ quando debbiano porre V uova, cioè ch^ essi
pongano a luna crescente, ed in numero caffi). Ora si
tace il conto di parlare delli uccelli, e di loro natura,
per dire alquanto della .natura delle bestie^ e diremo
prima della natura del leone, che ne è signore.
34o 'IL TESORO.
Capitolo XLI
Del leone e di sua natura.
Leone è appellato secondo la lingua de^ Greci, che
vale tanto a dire come re, che il leone è appellato re
di tutte le bestie. E però là ov'egli grida fuggono
tutte le bestie, si come la morte le cacciasse, e là ove
egli fa cerchio con la coda, nulla bestia non osa poi
passare. E sappiate che^ leoni sono di tre maniere.
L'una maniera son corti, e li velli crespi, e quelli non
sono molto fieri. E li altri sono lunghi e grandi, e li
velli distesi, e quelli sono di maravigliosa fierezza. E 1
suo coraggio si può conoscere nel suo piglio e nella
coda, e la sua forza è nel petto, e la sua fermezza è
nel capo. E tutto ch'egli sia temuto da tutti animali,
niente meno egli teme il gallo bianco, e le grida delle
alte voci^ il fuoco teme molto, ed anche lo scorpione
li fa gran male se il fiede, ed eziandio lo veleno del
serpente l'uccide. E quegli che non volse che nessuna
cosa sia senza contrario, volle bene. Il leone, eh' è forte
e orgoglioso sopra tutte le cose, e per la sua fierezza
è sì fetido ciascun dì, che ispezza la sua grande cru-
deltade, onde non ha podere che si defenda, onde
per ciò è malato tre dì della settimana di malattia sì
come di febbre, che molto abbassa lo suo orgoglio.
Ma nientemeno nattua gì' insegna a mangiare lo sugo
che 'l guarisce delle sue malattie. E tutto che '1 leone
sia di sì grande coraggio e potenza, nientedimeno egli
ama l'uomo, e sta volentieri con lui; e se avviene che
egli si crucci con l'uomo, gran maraviglia è la sua pie-
f
tade; cU qmmAntiJàè pucroociato incoatro all^uo-
ao e^pià d'ora pMpai. • di mal talaato contro a lui,
Itlfln^ perdona pin tallo f^e^ si gitta in terni eia
Illa di iBamiiifaili mnrmrli^ ; éà appena si cruccia con-
<B!l#;<W!ÌP%tjBt copfap» a^feuoqUi, e non li tocca mai,
^^ipfp'jfif .frniìrlr tdenb» di maogiare. E Pordiae di
^#Ì!IFÌ;.jfl.> M >M<Dgiire Punodì e Pallro bere,
|pj^|l|^iQ|^^ À ^ srande pasto che appena lo può
^Ifà^jfg^-Pli'a^ onde la bocca gli pule mol-^
. fq^li^inaeiKe. Ila quando egli si conosce che 1 pasto
4j|f^ÀlJ||ri4|p 009^ dentro alle sue forcelle., sì gli
if^^M^JiP tf^ il pn»de con le sue unghie, e cavalo
|pp|i 4d|a sua gorgia. E quando e^ ha mdtpman*
gUl^.f -«bai 1 ano Tenere è bene siAoUo^ e Ucaccìato-
l| J^isppciano^ ^ gitta inori tutto il suo pasto, per
- ^%4JÌb|PF^ ^M^9^^6><>^ ^ ff^ corpo. E così si fii
9ijjiliffgmi$fi^àk ha troppo mangiato, per sanità del suo
'fUgHi^ e non mangia Palbro di pè poco né molto. E
wp; Boangia .carne che sia di bestia stata morta da un
A jnnayigj. E quando egli va di notte per procacciare
m% Tivanda ed alcuno lo sente, sì gli Ta dietro mug-
gjilipndo, facendoli noia, e se 1 leone li puote porre ma-
no per ninno modo non P uccide però, ma rompeli le
inpbe, e scompiscialo per farli più onta. £ sappiate
che 1 leone giace con la femina a rivescio come fa il
hipo cerviere, e come il cammello e come il leofante e
Fonioorno e come il tìgro. Lo leone ingenera la pri-
ma Tolta cinque figliuoli, ma la fierezza ch^elli hanno
odi' unghie e neMenti sì guasta la matrice della loro
madre, tanto come tì sono dentro al corpo della loro
madre. E quando n'escono n^escpno arresi in tal modo
Latùti. Foì. L 14
'2^'2 Ih TESOBO.
che alla seconda volta quivi ove coiicepe il seme del
maschio non ha potere di concepere se non quattro fi-
« glìuoli, alla terza volta tre, alla quarta due, ed alla quin-
ta uno, e poi niunp, però che quello luogo è sì guasto
che non ritiene il seme più; e però dicono alcuni- che
per lo grande dolore ch'e^ leoni hanno al nascimento,
nascono quasi tutti isgomentati, ch^elli giacciono tre dì,
quasi come tramortiti, sì come s^ elli non avessero vita,
il quarto dì viene il loro padre, e grida loro sì forte-
mente, e sì fieramente in capo, ch^elli si levano in loro
natura. L'altra maniera di leoni sono ingenerati da
una bestia che ha nome Prende, e questi leoni sono
senzar velli e senza nobiltà, e sono conti in tra P altre
vili bestie. Ma tutte maniere dì leoni tegnono li occhi
aperU quando dormono, e là ovunque vanno cuopro-
no le orme decloro piedi con la loro coda, e quando
cacciano ù saltano e corrono molto isn'ell^nente, e
quando son cacciati non hanno podere di saltare, e le
loro unghie guardano in tal maniera, che non le por-
tano se nonne a rìvescio, e il loro tempo è conosciuto.
Capitolò XLII.
Anteleus.
Anteleus è una fiera bestia, la quale non può pi-
gliare ninno uomo per alcuno ingegno, e le sue corna
sono grandi, e son fatte a maniera di sega, e tagliano
con esse grandi arbori. Ma egli avviene che elli vanno
a bere al fiume di Eufrates, là ove è un piccolo bo-
sco di piccoli arbuscelli lunghi, che si menano e pie^-
gano a tutte parti, sì che per la loro fiebolezza, non
LIBRO QUINTO. 245
li possono tagliare, sì come cosa che non sta ferma al
loro colpo. £ perchè non li puote tagliare, sì vi ini-
quitìsce suso, e mescolasi con essi, ed impacciatisi in
gaene verghe, che non ne puote uscire, ne non si può
^irtire, credendole poter tagliare. E quando egli co-
nosce che non sì può partire ne andare, grida molto
forte, credendosi aver aiuto. E quando gli uomini Po-
dono gridare, ellino Vi corrono, e sì Tuccidono, e così
il pigliano.
Capitolo XIHI.
Arnes, OTTero asino saWatico.
Arnes sono di due maniere, cio^ dimestiche e salva-
tiche. Di dimestiche non è cosa da conlare, se non la
spa negligenza, e del suo allentamento, che gli uomi-
ni ne contano molti proverbi, che danno molti esem-
pli altrui di ben fare. L^ altra eh? è salvatica, che si
trova in Africa, è sì fiera che Puomo non li puote di-
mesticare. E si è sufficiente uno maschio a molte fe-
mine. E quelli ha sì quell^ uso, che quando vede che
nessuno figliuolo li nasca maschio, incontinente li cor-
re a dosso, per levarli li coglioni, se la madre non se
ne prende guardia, sì ch^ ella lo legna nascoso in luo-
go salvo e ri[iosto. E sappiale che questo arnes sai va-
lico, che r uomo chiama onagro, a ciascuna ora del dì
e della notte grida una volta, sì ohe P uomo può bene
conoscere le ore, e sapere cerlanienle quando e* pare
il di con la notte e quando no.
a44 JI' T£SORO.
CapitoIìO XLIV.
De^ buoi.
Buoi sono di molte maniere. Una che nasce nellS
parti d'Asia, ed ha chioma e crini come cavallo. E* le
sue corna sono sì grandi^ eh' die si avvolgono intomo
alla testa, ai che nullo lo può ferire, se non sullo cor-
no. £ quando Puomo, o altra bestia lo caccia, egli
scioglie lo suo ventre, e gittasi da dietro una feccia,
una grande pezza di lungi da lui, sì putente, che arde
come bragia ciò che tocca. Un'altra a' ha India, ^ che
non ha se non un corno, e le sue unghie sono intere
come di cavallo. Uno altro bue salvatico nasce in Ala-
magna, che ha sì gran«le corna, che son buone per so-
nare e per portare vino. Li altri sono chiamati bufali,
e dormono ne'£>ndi dì grandi fiumi, e vanno così be-
ne per lo fondo dell'acqua, come per terra. Ma i buoi
che 80Q dimestichi, e lavorano la terra,' son dolci e
pietosi, ed amano loro compagnoni teneramente, e di
buona fede, secondo che mostrano al grido che fanno
ìif)esse volte, quando lo suo compagno è perduto. E
però eh' elli sono mo)to utili a lavorare la terra del
signore deUa magione, sì si vogliono iscegliere buoi
rhe sieno giovani e che abbiano tutte le membra bel-
le, e sieno grandi e quadrati, e grandi occhi ed allegri,
e le coma nere e ferme, e non sieno avvolte, ne a mo-
do di luna, e le nare aperte e lai*ghe, e la pagliolaia
molto pendente^, e largo petto, e grandi spalle, e lar-
ghissimo ventre, e lunga la schiena, diritta e piena, le
gambe lunghe, e dure nerberà, e piccole unghie, e
LIBRO QCrUf tu. 345
coàBL grande e pilosa, e tutti i polsi del corpo bene
disposti, cioè corti e sj^essi. E sia di pelo rosso. Ma le
yncdbe dere Pucnno scegliere molto alte, e lunghe di
grandissimo corpo, che abbian la fronte alta, ed occhi
-^jKNMt «nKri, e fai gorgia pilosa^ la coda grandis^ma,
^ BnogUe-piiMBole, iegaidie corte e nere^ e siano di
4ftMB|kQ^di tipe^anoi ^ tafioo a dieci anni porteranno
fiff^fooK. mii^iori die aoai poi e prima. £ dicono li
JShnd^hè te di questa bestia tuTum fòr &re nascere
fl^SmaìL maacfaio^ » si vuol legare fl oo^ione manco al
^too qÌBiido ^1^ Ta alla vaoca, e se Tuoli ch'cffli in-
■§ÈaBiaà4BmmBÌe§BÌ^ il diritto.
.^ <i-
........ Capitolo XLV.
'.•ti*.' fc
^^' *^- Ì>^d01llldt.
■.!•'•:'. y ;-;■-■■' ... :
t iDeooola è una besttuola piccola, più lunga akuoa
'joué csbe *1 topOy e odiala il topo moltc^ e la serpe, e
lerliolta; E quando si combatte con loro, ed ella è
noriia da loro, ella incontanente corre al finocchio, ov-
.iM«o>aUa cicerbita, e maogiaoe, ovvero ch^ ella ne den-
teodbìa, E quaodo ha presa questa sua medicina, ella
iilcontaoente torna alla battaglia. E sappiate che le
donnole sono di due maniere, Puna che usa nelle case
con ^uomini, ed un^ altra ch^è campestrai Ma cia-
scheduna ingenera per li orecchi, e figlia pei' la bocca
secondo che molti dicono^ ma li più dicono ch'elli di-
cono ùlso. Ma come si sia, spesse volte tramutano li
loro figliuoli, perchè Puomo non li sappia, e se T uo-
mo li ti'o va morti, ella li fa resuscitare^ e non può
P uomo sapere come si fa, se con erba o con altra cosa.
246 IL TE801L0.
Capitolo XLTI.
Del cammello.
Cammelli sì sodo di due maniere. L'una maoiera so-
no più piccoli che gli attrì, li quali si chiamano dro-
medaiì. E sono molto grandi, e portano si grande peso
che n'avrebbero assai dae cavalli di portarlo. E quan-
do l'uomo li vuole incaricare, elli si corìcano in terra,
e stanno cheti e soavi, infino a tanto che sono caricati ;
e con la soma » levano senza alcuno aiuto. Ed è di
piccolo pasto, secondo la sua grandezza, e secondo la
sua potenza. £ vivono di pasture sì come e' buoi^ e
più, che mangiano spini e cordi e quello che alcuna
bestia non osa toccare. E simigliantemente mangiano
noccioli di datteri, e stanno senza bere più di dieci dì.
E quando trovano alcuna acqua beono molto, tanto
quanto egli avrebbe bevuto in quelli di che è stato
senza bere. Anche bee più per la sete che dee venire
e che aspetta. E quando egli ha molto bevuto, se Tuo-
mo li fende la pelle delle coste e pone la bocca, e tiri
a sé come una mammella, si ne esce acqua dùara e -fre-
sca, come d' una fontana. E più ama acqua torbida
che chiara; e se la truovano chiara la intorbidano
con i piedi snelli possono. E sono molto umili bestie
e soavi, salvo che nel tem[)o da congiungersi con le
loro femine, che allora mordono fieramente. E li lor
piedi sono quasi callo, ed hanno poca unghia, ed è
sfessa, e non si guastano per cammino eli' elli facciano.
Ma in loro cammino non vogliono trovare pietre ne
fango. E molto temono neve e grande freddo. E '1 gran-
u«AO QcrifiTo. a47
de scrigno ch'elli haimosal dosso, lì Arabi che ^ ten-
gono, fendono la pieUe per mezso la schiena, e scorti-
Canio ìnfino al terzo ddie coste, e cavano quello scri-
gno, ch^è tutto grasso, e quello insalano, e serbanlo
WiolltOj etxmdisoono loro vivande. Secondo li savi an-
liehjr questi cammelli erano ^ere bestie, e divoravano
ogni OQsa, anzi che 1 popolo d'Israel uscisse del rea-
nfrd» Faraone. E quando Moises ne li cavò, e me-
paHì in terra di promession^ cioè in lerusalem, sì do-
IBHMÌò a Dio^ dbe desse loro bestie che portassero
levo fancìnlli eloto masserìzie. E che portassero as-
mì e mangiassero poco. E Dio dette loro queste fiere
bcttie cmne avete. inteso. E vivono lungamente.
Capitolo XLYD.
Del Castore.
. ■ CSMtore è una bestia che conversa nel mare di po-
nente^ chiamato can pontìco, perch' ef^-. è quasi simi-
gliante di cane. £ suoi coglioni sono molto caldi, ed
nlìU in medicina. £ pm> li^ prendono i cacciatori. Ma
natora che insegna tutte proprìetadi agli animali, V in-
segna la cagione perchè Puomo li caccia^ e quando
vede che non possa foggiìre, egli stesso se li schianta
ce' denti, li coglioni, e gittali dinanzi a' cacciatori, e
cosi campano loro corpi. E d^allora innanzi se Puomo
lo caccia ^li apre le coscie, ^ mostra apertainente
com^^ non ha coglioni.
u48 ^^ TESORO.
Cafitolo XLVIII.
Del caTriuolo.
Cavriuoli sono una maniera di bestie di nobile co^
nosceuza, che da lunga conoscono le genti per sotti-
gliezza di Telata, se sono cacciatori o no^ e così cono-
scono le buone erbe e le rie, solamente per lo vedere,
E sappiate che se Tuomo il fedisse in ninna maniera
incontanente va ad una erba che ha nome dittamo, e
toccane le sue piaghe, ed incontanente è guarito e sano.
Capitolo XLIX^
Del cerTÌo.
Cervio è una bestia salvatica di cui li savi dicono
che non ha mai febbre in vita sua, per ciò sono alcu-
ne genti che mangiano ia sua carne ogni di innanzi
mangiare, « sono sicuri di non avere febbre in loro
vita, e certo vale assai prendendone un poco senza
più \ e nel core ha un osso molto medicinale, secondo
ch^e^ medici dicono. Lo cervio medesimo c'insegna la
dieta, ch'ellino non mangiano quando Puomo gli ha
fediti, che la virtù di quelle erbe leva loro da dosso,
e gnarisceli delle loro fedite. £ tutto che 1 cervio sia
gi-ande nimico del serpente, nientemeno il serpente li
vale molto a medicii^a. Or intenderete come egli va
alla buca del serpente con la bocca piena d'acqua, e
gìttavela entro, e quando egli ha ciò fòtto, egli la trae
a se per ispiramento di suo naso e di sua bocca, tanto
<'h'*egli ne fa uscire fuori, a suo mal grado, e poi Tue-
màm €ù*fiiBÌL E quando il cervio vuole lasciare la sua
iMiehfeniai» aMOAmiÈMài egU^nungia lo serpente, e
pm i* ptOEKft ad Telmo te ne va ad una fontana e
liwi «olio. Ed m qaìttla maniera muta suo pelo, e
fflftàj$ JWli jginliiftj ■■»lari«icìiktBm; e però vìyoqo lun-
àm AfaBsaandro. provò, quando fi^jà
A^eriiiiet.feQe. mettere a eiaschedu-*
jm «fmhiad^Qfo o d'arìento, che poi
pl# Inorvi^ .per ipnwQi tem^ ajf^res»o di een-*
IfctfBji. J^ljjjpyjptflfifc^ fflaodo^ cervio tiene le oreo^
jÌffl!ipmato«.£ qimdo dlfi pas«Bio per akuao gran
§mm} ipiiillin^di drirto.poctgi ilini» sopra alla groppa
. 4tipr4 dinante e ooA il sostiene ^ e^i si travagliasse
. «aMla^'EqinBdo il cervio è ammalato, e commosso
j|d|piiai tipniiiiii ifinnrln l tiipnni^ la fismina non con-
oidi» if HQQ ai l«va una stella, eh' è ehiamata Arturo
^l0l!KfJii<€astQw. E > quando è la stagione ch'e'figUui^
jMaboPO nascere, dli vanno a &re lo loro letto nel più
apjBjOfo luogo ch'eUi possono trovare, là ove il bosco
èfiià. patofiuoido e più spesso, e qui insegna a^suoi fì-
l^ikiqlji correre e fuggire, ed andare per ripe e per monr
taipa?. E loro natura è dbie là ov' elli sentono abbaiare
cifli che li caccino lì dirizzano la loro andatura, acciò
4Ìl0\k cani non sentano loro odore, £ non per tanlo
dbt Ki,ov'è U cacciatori che li cacciano li tengono sì
corti e disparì, che non conta di più potere salvarli,
egli ritorna indietro correndo e battendo quella parte,
là onde li cacciatori vegnono pef morire dinanzi da
loro più leggermente.
2bO - IL TBsoao.
Capitolo L.
Del zerere.
Zevere sono una generaidone di bestie che abitano
nelle parti di Spagna, cioè di Castiglia yecchia, e sono
maggiori che cervi. Ed hanno li loro orecchi molto
lunghi. Ed hanno una lista su per le schiene infino in
sulla coda, come mulo. Ed hanno li loro piedi fessi. E
la loro carne è molto buona da mangiare. E sono sì
correnti che P uomo non li potè prendere in alcun
modo, se non che sono molto vaghi del fuoco. E però
quando li cacciatori li trovano al bosco, elli vanno in-
tomo di loro di notte, e fanno gran fuochi e ben chia-
rì in quella parte onde possono esser veduti meglio.
E quando elle il veggono, si n^ sonò sì vaghe, che non
pongono bocca in terra per pascere, e quando li cac-
ciatorì li hanno tenuti quasi iV tei'zo dì, elli vanno in
verso di loro, e vann(^li traviando in verso quella
parte, ove dee avere acqua. E quando elli gli hanno
condotjti all^ acqua, elli li danno tanto di spazio, che
elli possono bere, e beono molto volentieri. E quando
hanno ùiolto bevuto, ed elli le cacciano. Ed elle allo-
i^p sono sì lasse per lo grande digiuno che hanno fat-
to, e per la molta acqua che hanno bevuta, eh' elle non
possono guarì correre. Allora li cacciatori le prendo-
no leggermente.
Likfto QDiirro. %. 25 1
Capitolo LL
jjpella naton di più cani.
Gani non v^ono quando joBSCono^ ma poi licore^
loro Tednta seeondo V ordine di sua natura, e
tmto di^ dtino aman Paomo più die niun altro ani-
iMle ddi Biondo, elU non conoscono le strane genti,
m amt coloro con cui usano, e si conoscono, bene lo-
m. HOMO alla boce di loro signore. Le sue piaghe gna-
fold)endo]e con la sua lingua spesso. £ gitla il
pasto, e poi il nmai^a. Equando dUi porta car-
ila bocca, e egU ^da. sopra acqua die t^^ la sua
nobra ndl' acqua di quello die ha in bocca, incupita*-
inulte lascia quello che porta per quello che yede nd«
IRéoqiia. E sappiate che quando si congiungono insie*
ém^ cane^e lupo egli ne nasce uim maniera di cani,
dil^è^ molto fiera. Ma li molto fieri cani nascono di ca-
gna e di tigro. E sono sì leggieri e sì aspri, che dò è
lotte maraviglia. Gli altri cani che sono di dimestica
ragione' sono di molte maniere. Che ci nascono di
piccoli, che sono molto buoni a guardare case. E sì ne
sono d^ altri piccoli che sono buoni a cacciare, e quel-
li che sono generati di picdolo padre puote V uomo
nutrire in loro gioventude in questa maniera, ch^egli
k) metterà in una piccola paniera, e nutrichilo di po-
ca vivanda, e tirigli spesso gli orecchi contra a terra,
che allora sono più avvenevoli quanto son minori co-
gli orecchi pendenti e grandi. E cognoscono al fiato
ove passa o bestia o uccello, e quelli che si dilettano
del cacdare h debbono guardare molto da falsi sem-
p5;2 ^ IL T£60aO. .
bianti ^ che i cani non hanno la conoscenza del fiato
, per lignaggio, e niente meno dice il proverbio del vil-^
lano, che^l cane caccia per natura. Gli altri sono cani
che seguita la bestia infino alla fine, e che la cacciano,
e chiamansi segugi. Onde \e n^ è di tali che acciò che
Puomo gli nudrisca seguitano che ne sono di quelli
i^he sono conci a currere, e ad altre bestie che usano
in .^Msqua. Gli altri sono maggiori e più isndli a corr
xere per prendere bestia di sua bocca. Gli altri sono
mastini grandi e grossi e di molto grande fòrza, e pi*
gliano orse, porci salvatichi e altre grandi bestie; e
«eu^ndio contro all' uomo combatte molto fieramente»
Serò. troviamo noi nelle storie antiche, che uno re en
«tato preso da' suoi nimici, sì che li suoi cani rauna-*
4Kmo grande moltitudine d' altri cani, e combatterò
■con coloro che teneaoo il re si fortemente, eh' e' lo
jtqlseix) loffo per £<m»* £ sì non è gran tempo che di
«ani. di campagna e del paese si raunarono insieme in
4mo luogo dove si combatterò si aspramente, che al^
la fine non ne campò ninno che non fosse meato
Però divisa dinanzi che 'l cane ama più V uomo che
bestia che sia. £ sì vi dirò alcuna cosa che nostri
maestri iscrissero ne' loro libri. Sappiate che quando
lasel fu morto lo suo cane non voke mangiare, e
cosi morio di dolore. £ quando il re Litamante fu
messo nel fuoco per li suoi peccati che fatti aveva, lo
suo cane vi si gittò entro con lui, e lasciovvisi ardere
con luL £ un altro cane entrò col suo signore in prir
gione in Roma, e quando lo suo signore fu gittato nei
fiume del Tevero di Roma, egH vi si gittò con kti, e
tanto [Sorto la carogna del suo signore quanti) egli pò*-
UMo Qmrfo. 2 53
tei. ' E qoeste e móke altre nature sono trovate ne' ca-
ni, ma [wà non ne dice il conto per abbreviare Io suo
f Capitolo LII. ,
Beila Datura del cameleonta.
■i .. ■ «■ ... . ■
CamMleonte è tma bestia che nasce in Asia, ed in
gritide mcdtitàdine, e la sua fauone è alla someglian-
n ddPtBardo^ e le sue gambe sono lunghe e ritte e
Itaqglie, ed ha unghie fiere e acute e molto grandi, e
VA' teatamente come tairtuche, e la sua pelle è dura
tóme di coccodrillo, ed i suoi occhi son fieri duramene
te, e fitti dentro nella testa, e non mira né in qua né
m Ih per traverso, anzi guarda sempre dinanzi da sé.
E sitti natura è fioionente maravigliosa eh' ella non
mangia né bee cosa del mondo, anzi vive solamente
ddParia che trae a sé. H suo colore è sì mutabile, che
incontanente che tocca ninna cosa si perde il suo co-
lore, se non se vermiglio o bianco, che questi due co-
lori non può ella pigliare. E sappiate che '1 suo corpo
é senza carne e senza sangue, se non se al cuore che
ve n'ha poco. E di verno ista in luogo di riposo e la
slate ritorna. E s'egli mangia d'uno uccello lucido che
ha nome foras, si li conviene morire ^e le foglie di al-
lòro non lo deliberano.
Capitolo LIII.
Della natura de^caralli.
Cavallo è una bestia di troppo grande cognoscenza,
iiiiperò ch'egli usa intra le genti. Ed han t^^nto senno
Latini. Fui. I. 1 5
a54 4L TESORO.
% discrezione ch'ellino cognoscono il loro signore. £
spesso mutan modi ed atti quando mutan signori. £
fremita nella battaglia. £ rallegrasi per lo sono delW
tix)mbe. £ sono lieti quando hanno TÌttoria, e sono
tristi quando hanno perdita. £ puote V uomo bene
conoscere se la battaglia si dee perdere o vincere alla
yista che fanno i cavalli di rall^arsi o di- contristarsi^
E sonne assai di quelli che conoscono il nimico d^
loro signore e mordonlo duramente, fi^di tali sono che
non portano se nonne il loro signore dii'itto^ secondo
che fece il cavallo di Giulio Cesai'e, e Buce^las d'A«
lessandro, che in prima si lasciò toccare come angelica
bestia, e poi che 1 re vi montò suso, e^non degnò poi
mai di lasciarsi toccare ad altro uomo per cavalcare. E
sappiate che Bucefalas aveva testa di toro, e molto fìera
guardatura, ed avea due corna. Ed il cavallo di Gin-
Pareto duca di Galazia, Antioco, montò poi che el^e
Tinto il duca lo cavallo, e lo'ca vallo corse al chino in. tal
modo ch^egli uccise sé ed il re Antioco. £ quando lo re
de' Sciti combatteva col nimico suo a corpo a cor-
po, ed egli fu morto, T altra gente il voleva spogliare,
e tagliarli la testa, lo cavallo suo lo difendè iufìno alla
sua molte, che non volle mai mangiare. £ sappiate
ch'egli è cosa provata che '1 cavallo lagrima per amo-
re di suo signore, e non è niun' altra bestia che 1 fac-
cia. £ sappiate che'cavalli mischiali sono di lunga vita ^
che noi troviamo scrìtto d'uno cavallo che visse set-
tanta anni. Ma le giumente vivono lungamente, e la
lussuria loro la può V uomo ristiignere se V uomo li
rade li crini. £ del suo parto nasce una cosa d'amore
nella fronte del puledro, ma la madre gliele cava co'
LIBRO QUINTO. 3 55
denti ehe-iKm Tuole che rimanga tra mano d^uomo.
S ae-Fuomo gliele lerasse la madre non gli darebbe
fK» del suo latte. £ sua natura è che tanto quanto il
carallo è più sano e di miglior 'cuore, tanto più mette
la- bocca e '1 naso nell'acque quando bee. Ed al ca-
Tallo dee l'uomo guardare in quattro cose, secondo lo
detto de' savi antichi, cioè, forma, beltade, boutade e
colore. CShè nella forma del cavallo dee V uomo con-
cideiBre che la sua carne sia forte e dura, e ch'egli sia
beir alto secondo la sua fi>rqia, le coscie debbono es^
sere larghe e piene, la groppa ritonda e largo petto,
di bella guisa, piedi secchi e ben cavati di sotto. In
beltà dei guardare che abbia piccola testa e secca, si
die Fuomo vi sia suso bene stante, poi abbia gli occhi
grassi, e larghe le nare^ e orecchi piccoli e diritti e
«aldj, e la testa diritta, il sembiante a testa mcmtanina,
evenni sieno bene spessi, e la chioma ferma, e la pan^
nocchia della coda grande, l'unghie salde da tenere beite
% ferri, e sian tonde. £ in bontade guarda ch'egli ab*
bia ardilo coraggio e andatura, e membri non stipi,
e bene corrente alla sua voluntade. £ sappiate che
l'isnellezza del cavallo si cognosce agli orecchi, e la
sua forza alle membra, chi le balisca bene. £ in colore
dei tu guardare lo baio, il ferante rotato, o nero, o
bianco, o fallago, o d'altra maniera che tu potrai tro-
' vare più avvenevole. Per ciò che sono cavalli di mol-
te maniere, che tali sono destrieri grandi per combat^
tere, e tali sono palafreni da cavalcare per agio del cor-
po, e tali sono ronzini per portare soma o muli fatti
di giomenta e d'asino. E dei tu bene avere a memoria
di scegliere quello cavallo jche ti sia bisogna a tuo
a 56 IL TESORO.
seiTÌgio, che alcuno conviene bene correre ed alcu-
no bene ambiale, o trottare, o andare al passo o altfè
cose che altra natura richiede. Generalmente guarda
in tutti cavalli che^ suoi membri sieno bene ordinati
che risponda Puno alP altro. E ch^egli abbia li suoi
occhi e tutti gli altri membri ben sani, che egli non
sia troppo giovane né troppo vecchio, però che i vizii
de' cavalli sono dentro, e di fuòri che si paiono, si che
nullo non è che non abbia o poco o assai. £ sappiate
che quelli sono i migliori che meno vizio hanno* * '
Capitolo LIV. •
Del leofante.
' Leofante è la maggiore bestia che Tuomo sappia.
E li suoi denti sono avorio. H suo bécco si chiama
promusce eh' è simigliante al serpente, e eoa quello
becco prende egli la sua vivanda, e mettelasi in bocca',
però che quel becco è fornito di buono avorio. Ed
egli è di sì ^n forza ch'egli il rompe ciò che fiede, è
sì dicòno li Grìmonesi ch'elli videro fedire un carro
caricato sì forte ch'egli gittò in su una casa. E ciò non
è gran maraviglia per la grandezza che hanno, secondo
che molti testimoniano. Innanzi ne sono veduti di sì
grandi che portano soma che pesa novantotto ruotóli,
che sono ben settemila e quaranta libbre. E già & egli
molto fiero, non per tanto che viene molto nascoso, e
molto tosto. E non entra mai in nave per mòdo di pas-
sare lo mare, se 1 maestro non li impromette di ritor^
narlo in quel medesimo paese. E sì lo puote l' uomo
cavalcane e menare in qua in là, lioh con freno, ma
UBi^o QUINTO. a57
oon trocchelti di feno. E ély vi T uomo, su castella di
kgnanie per combaltere, e maoganette. Ma Alessan-
dro, fece ùa:e una imagiae di rame, ed empierla di car«
boni io tal maniera che arse loro e li loro becchi, si
die non ferìron più con essi per paura ddi fuoca Ed
Q|ggi£ si trovano mxÀbe dell- ossa in quel luogo ove fu
la battaj^ tra lui e Porro re d'India. E saj^iate che
■d leofimte è grande senno, ch'eUi osservano la disd-;
pyoa del sole e della luaa^ si come fanno gli uomini
E^snno a grande torma insieme, ed a schiera. Il più.
vecchio va dinanzi a tntti gli altri ^ e quel eh' è dopo
a lui di tempo va dopo a tutti, e tutti, gli altrì vanno
secondo che elli capitaneggiano. £ quando elli sono
in battaglia non fedono se non con uno delli denti,
TaUro guardano a grandi bisogni. E se fossero vinti elli
adoperano V altro per difesa La natura dei leofanti
è che la femina in fin a tredici anni ed il maschio infino
i: quindici anni non sanno che lussuria si sia. E nou
per tanto. che elli sono casti animali, che per lussuria
non han mai briga tra loro, che ciascheduno ha la sua
a die egli si tiene tutto il tempo della viLa sua. In tal
maniera che quando alcuno perde sua mogliere, o al-,
cuna perde suo msirito elli non si congiungono mai
oon altro ne con altra tutto il tempo della vita sua,
anzi vanno tuttogiorno soli per la foresta, però che
lussuria non è in loro grande. £ non è sì calda eh' elli
si congiungano, come altre bestie che si congiungono
per molestamento di natura, ma saviamente li due
compagni se ne vanno insieme verso oriente appres-
so^ al paradiso delitiarum, tanto che la femina trova
una erba ch^l'uomo chiama mandragora, e mangiane
:258 IL TESORO.
ella, e' fa sì che ne mangia il maschio con lei, ed iffi-
contanente riscaldano. Alla volta ingenerano ano fi-^
gliuolo e non più, cioè ima Tolta tutto '1 tempo della
loro vita. E si vivono bene trecento anni. £ quando
tiene il tempo del parto, cioè due anni dopo loro as^
sémblamento, elli se ne vanno dentro ad un fiume,
Enfino entro il levante, e qui la madre posa il suo fi-
gliuolo. Il padre sta presso, e prendelo per paura òéL
dragone eh' è loro nimico per volontà ch^egli ha di
loro sangue, che ^1 leofante ha più freddo, ed in HKig-
gior copia che bestia del mondo. E dicono molti che
quando giacciono non si possono mai ievare per loro
podere, perchè non hanno ginocchi, né ninna giuntu-
ra^ ma la natura che tutto guida sì gP insana a gri^
dare ad alta voce tanto che uno altro li sente, e gri-
dano con loro insieme si fortemente che tutti quelli
che sono in quelle parti li sentono, e vegnono tanti
che sono instno a dodici che gridano insieme. Ed un
piccolo leofante mette il suo becco sotto, e con la sua
forza s^ aiuta levare, tanto che intra la forza di quello
^li si conforta per li gridi degli altri, che egli si leva
Sliso.
Capitolo LV.
Della formica.
Formica è un picciolo animale, ma ella è di grande
pròvidenza^ che ella procaccia la state di che ella vive
il verno, e scéglie il grano, e rifuta P orao, e conoscelo
al fiato. Il grano e P altre sementi ch^elle ripognono
si lo dividono per mezzo, perchè non nascono per io
grande umidore del verno. E si dicono^! Etiopiani
LUtto f^pvno, a59
die nesoD in una isola foraiM^ grandi oome caiv»
cht>fs«Tanararo dd yabbioqe con loro piedi, e guar»
lianio ai jfivtemaite, ehe nessuno né puote avere senza
lirte» ib quelli di quel pa^e mettono in su quella
jiohi^miettte. che abbiano po}edri, e pongonle due
jCQcbdb addosso senza il puledra £ (]piando queste ùxr
nadM^.fipggonoquesle corbelle, si vi mettono Poro
.jpfrcb&-ti «redono mettere in luogo salvo, ,e quando
éffL^ «era ehe la giumenta ò pasciuta elli portano. il
lliriadcp delP altra parte della riviera, e quando eliia
Itde a nitaire il figliuolo ella viene alla riva, e mettonla
jia..|orQ navicelle senaa prendere alcuno dannp dalle
4eHe formiche. In questa maniera hanno di quello orp
dbe ialite modo JDOB. Ite possoQo.avare..
•*■•-■.■■■ - -. . / .
,.-. . ..Capitolo LVL
* 1 - ■ * ■ ■ ■* -■• - ...
' '"* '' DeHahyeiie.
f • *
-r.-fiyene è^una bestia che Puna volta è maschia e
Fi^tca è femma, ed abita cpiivi ove abbia presso cìr<
onlero di uomini morti, e cavano li corpi degli uom»*
m, e mangianli, e P osso ddla sua schiena è sì dura
ebe non può piegare il collo, e s* egli entra per alcun
luogo stretto non ne può uscire se non è a culo in-»
dietro, sì come egli è entrato. Ma li più dicono, ch'e*
§U non ritorna quindi ond^ egli è entrato, ed usano
nelle case, ove son stalle, e contra£&nno la boce del-
Tuomo e del cane, e divoranti. £ molti dicono che nelli
atioi occhi è una pietra, ch^ è di tal virtù che se Può-
mo r avesse sotto la lingua, egli potrebbe indovinare
le cose die debbono venire,* però che la bestia che
36o IL TESORO.
tocca di 8ua ombra non si può movere di quello luo-
go. E dicono gli antichi che questa bestia è ripiena
d^ incantamento e .d'arte magica. £ sappiate che in
Etiopia giace questa bestia con la lionessa, ed inge^
nera una bestia che ha nome cooocie, o Ter corococté
che contrada altresì la boce dell' uomo, e nella sua
bocca non ha niùna gengia né denti partiti, come le al-
tre bestie, ma ha tutto uno dente, e strigne come be^
stia.
Capitolo LVII.
Dì più inaniere di lupi.
Di lupi ha molti Italia e molte altre provincie, e la
sua forza è nella bocca, e nel petto, ma nelle rene non
ha punto di forza. Il suo collo non puote piegare a
dietro. £ sì dicono molti, eh' elli vivono alcuna voU
ta di piova, ed alcun' altra di terra, e alcun' altra di
vento. E quando il tempo della lussuria loro viene
mohi lupi vanno dopo la lupa. Alla fine la lupa si da
al più laido ohe vi sisi. E non si congiungono se non
dodici dì dell'anno. E non ingenerano se ncm- del
mese di maggio. E per guardia deMoro figUuoli ncm
prende preda in quelle parti vicine al suo nido. E sapr^
piate che quando egli vede l' uomo prima che l'uomo
veggia lui, l' uomo non ha podere di gridare. E se
l' uomo vede prima lui, egli perde tutta sua fierezza,
e non può correre. E nella sua coda ha una lana d'a-<
moie, che la si lieva co' denti suoi, quand' egli cono-«
sce eh' egli sia preso. E quando egli urla, egli si met-»
te li suoi piedi dinanzi la bocca per mostrare che sie-^
Lutata QiiiJN IO. u 6 i
no molti lupi. Un^ altra maniera di lupi sono che s^
chtaBiaDO cervieri, che sono laccati di nero come leon-i
za^ed in altre cose sono simiglianti al lupo, e hannOi
sì diiara veduta che b* loro occhi passano li monti, e
li Inurì, e non portano se non un figliuolo, ed è più
dimentica cosa del mondo, che quando egli mangia il
suo pasto, ed egli vegga un' altra cosa, incontanente
dimentica ciò che mangia e non vi sa ritornare, e co*
ù il perde. E dicono quelli che li hanno veduti che
del suo piscio nasce una pietra preziosa che si chiama
Ugnres. E questo cognosce bene la bestia medesima,
secondo che gli uomini V hanno veduto coprire col
gabbione, per una invidia di natura che cotal pietra
non vegna a mano d' uomo.
GAPrroLO LVlIl.
Del loccotus.
' Loccotus è una bestia, la quale dimora nelle parti
d'India, che d' isnellezza passa tutti gli altri animali,
formata come asina e ha groppa di cervio, e gambe
di leone e testa di cavallo e pie di bue e ha la bocca
grande, infino agli orecchi, e' suoi denti sono d' un
osso.
Capitolo LIX.
Del menticore.
Menticore è una bestia in quello paese medesimo,
con faccia d' uomo, e colore di sangue, ed occhi gial-
li, e corpo di leone, e coda di scarpione. E corre si
forte che nessuna bestia li campa dinanzi. Ma sopra
i5*
263 IL TESOBO.
tutle vivande ama la carne delP uomo. £ ha quallro
gambe di sopra e quattro di sotto. E tal fìata corre
con quelle di sopra, e tale con quelle di sotto, tutto
ohe siano fatte quelle di sopra come quelle di sotto.
Ed avvicendasi sì come li piace quando v^ ha alcuna
stanchezza, od alcun cotso ch^ egli faccia od abbia
fatto.
Capitolo LX.
Della pantera.
Pantera è una bestia taccata di piccole tacche bian-
che e nere, sì come piccoli occhi. Ed è amico di tutti
animali, salvo del dragone. £ la sua natura si è, che
quando ella ha presa sua vivanda sì entra nel luogo
della sua abitazione, ed addormentasi e dorme tre dì.
E poi si leva ed apre la sua bocca, e fiata sì dolce-
mente che le bestie tutte che sentono quello odore
traggono dinanzi a lei, se non il dragone che per pau^
ra entra sotto terra, perchè sa bene che morire gliene
conviene. E sappiate che la pantera femmina non porta
figliuoli più che una volta. Ed udirete perchè. Li fi-
gliuoli, quando sono crésciuti dentro al corpo delle ma-
dre, non vogliono soffrire di starvi infino all' ora della
diritta natività, anzi sforzano la natura sì che guasta-
no la mati'ice della lóro madre con V unghie, ed escono
fuori in tal maniera che mai la non porta più figliuoli.
LIBRO QUlNtO. a65
Capitolo LXI.
Del parendres.
Parendres è una bestia ch^è in Etiopia, e ha capo
come cervio, e ha colore di rosa. Ma quelli del paese
dicono ch'ella prende suo colore diritto per paura se-
condo la tìnta che Tè più presso. E questo medesimo
fanno i polpi in mare, e come lo leone in terra, di che
lo conto ià menzione addietro.
Capitolo LXIL
BeHa simia.
Simia è una bestia che di molte cose somiglia Tuo?
mo, e volentieri contraffa quello che la vede fare al-
l' uomo, e molto s'allegra della luna nuova, e della
tonda si conturba maravigliosamente. £ sappiate che
la simia porta due figliuoli, l' uno ama molto tenei'a-
mente, e l' altro odia ; e quando li cacciatori la caccia-
no, ella prende il figliuolo ch'ella molto ama in brac-*
ciò per meglio camparlo, e quello che non ama, sì sei
gitta alle spalle. E quando i cacciatori s'appressano, si
eh' ella vede bene che non puote campare, ella lascia
lo figliuolo ch'ella ama più per guarire la sua perso-
na, e quello eh' ella non ama le s' attiene alle spalle.
e quello scampa da' cacciatori con la sua madre, e
quello che più ama, è preso da'cacciatori. E sappiate
che la simia passa del gusto tutti altri animali. Nelle
pai'ti di Buggea ne son molti mali, e gli Etiqpiani di-
cono che in loro paese ve n' è di diverse maniere.
9^4 fh T^&uao,
Capitolo LXIII.
Del tigl'Q.
Tigix> è uno aaiiuale che nasce nelle parti d' Or-"
gania, ed è laccato di varie tacche* £ senza fallo egli
è una bestisi molto corrente, e di gran fieritade. E sap->
piate che quando egli va alla sua abitazioae, ed ella
"'tmoY^ che^ rocciatori lì hanno tohi suoi figliuoli, ella
corre prestamente, e seguisce i cacciatori che gliene
portano. £ l' uomo che gli ha si dotta molto d^a sua
fierezza e crudeltà, ch^egli sa bene che 1 fuggire di
cavallo o d* altra bestia noi potrebbe da lui scampare,
£d egli gitta per la via molti specchi, uno di qua^ed
uno di ih, £ quando il tigro vede nelli specchi la sua
imagine, crede chel sia il suo figliuolo, £ va allo spec-^
dtno intorno intomo, e vedendo che non sono 1» suoi
figliuoli, » si parte, e corre per trovare li cacciatori
ehe ne portano suoi figliuoli, £ quando ^li à assai
ccnrso, ed egli trova ancora di questi specchi, che li
cacciatori v^ hanno posti simigliantemente, gli va d'io^
tomo credendo trovare suoi figliuoli. £ tanto fa cosà,
cb^H cacciatore iscampa la persona.
Capitolo LXJV,
Pella talpa,
Talpa è una piccola bestiuola che sempre abita sot-^
to terra, e la cava per diverse parti, e mangia le ra-<
did (h^ ella trova. Anco che molti dicono ch^ella vi-
ve pure 4^ ferra, £ sappiate che la talpa qon vede
I.I9RO QUINTO. 2G5
lume, che nalum uon volle adoperare in lei d' apiiie
le pelli de' suoi occhi si che non vede niente, perchè
iiop sono aperti. Ma ella vede con la mente del cuore^
Unio eh' ella va, come s' ella avesse occhi,
Capitolo LXV.
PeH* unicorno.
Dell' unicorno voglio dire, il quale è bestia fiera,
ed ha il corpo simigliante al cavallo, ed ha li piedi del
leofante e coda di cervio, e la sua boce è fieramente
ispaventevole, e nel mezzo della sua testa sì ha un-
corno di maravìglioso splendore, ch'è lungo ben qoat**
tro piedi. £d è si forte e si acuto, dbe egli fiede. £
sappiate che l'uoicomo è sì forte, e sì fiero, che l'uo-*
mo noi puote giungere se non è in una maniera, uè
•prendere, e ciò puote bene essere. Il modo è questo,
che quando li cacciatori lo sentono per la foresta, ed
eUino vi mandano una ^nciulla vergine, e quando
1' unicorno vede la fanciulla, natura gli dà che incon-
tanente se ne va a lei, e pone giù tutta sua forza, e
ponle il capo in grembo, e addormentasi, e dorme si
forte, per la glande sicurtà eh' egli prende sopra li
panni della fanciulla, eh' è foite cosa. Allora vegnono
li cacciatori e fanno di lui loro volontade.
Capitolo LXVI,
Dell' orsa.
Orsa è una grande bestia, ed ha molto fiale testa.
o la sua forza è nelle gambe e V unghie, però va ella
266 ih Tesoro.
molte volte ritta. E sappiate che quando Porsa è dis-
agiata d^alcuna malattia o di colpi, ella mangia d'un^
erba che ha nome flonius, che la guarisce. Ma s^ ella
mangia pome di mandragora, le convien morire, se
subito non mangiasse formiche. Ma lo mele mangia
eUa volentieri sopra tutte le altre cose. E sua natura
si è ch^ ella non è iscaldata di lussuria. £ giacciono
insieme, come il leone, il maschio con la femina. E non
porta suoi figliuoli più di trenta dì. E per brevità di
tempo non può natura compiere la loro forma ne la
loro fazione dentro dal corpo della madre loro, anzi
nascono come un pezzo di carne disfigurata, se non
che ha due occhi. Ma la madre li conforma, e dirizza
con la lingua, secondo la sua similitudine nelle sue
braccia, per darli calore, e spirito di vita. £ cosi s^ ad-
dormenta la madre, e dorme con essi in braccio quat-
tordici dì senza mangiare e senza bere. £ dorme sì
forte che V uomo la potrebbe innanzi uccidere che la
si svegliasse. In questa maniera istà la madre ben
quatti'o mesi perchè i suoi occhi sono sì tenebrosi che
non vede se non poco. E questo le addiviene per li
suoi figliuoli. Ben son molti che dicono ch^ ella non
ne fa più che uno. Di questa bestia dicono i più che
ella ingrassa per essere battuta, ma non eh' ella si di-
letti d' essere battuta, anzi gliene pesa molto niquito-
samente. Che quando ella va sotto ad alcun pero o
melo per mangiare, ed alcuna gliene cade addosso, el-
la vi monta su con grande niquitade, e rompelo e
fiaccalo tutto.
IJBRO QUINTO. ai)7
GÀFiTai.o LXVli.
Qui finisce la prima parte di questi libri.
Qui finisce la prima parte dì questi libri che divi-
sa brevemente la generazione del mondo, e P inoo-
minciamento de^re, e lo stabilimento dell' una legge
e dell'altra, e la natura delle cose del cielo e della
terra, e V antichità delle vecchie istorie. E brevemen-
te conta di ciascuna cosa Io suo essere. Che se '1 ma&«
slro avesse più lungamente scrìtto, e mostrato di eia-'
scnna cosa lo perchè e come, lo Hbro sarebbe senisaF
fine, di'^ aedo bisognerebbero tutte arti e tutte filo-
sofie. E però dice il maestro, che la prima parte del
suo Tesoro, si è come danari contanti, sì come le gen-
ti non potrebbero accivire lo bisogno senza moneta,
così non potrd>be l'uomo sapere ciò che questa pri-
ma parte conta. Qui tace il maestro delle cose che*
apparlegnonoa teorica, ch^ è la prima sdenza del cor-
fio della filosofia, e WioXe tornare all' altre due sden-
ze, doè a pratica ed a loica, per ammassare la secon--
'da parte del suo Tesoro, che dèe essere di pietre pre-
ziose. Ed in questo sesto libro parla di vizii e vir-
lucfi.
26^ ANNOTAZIONI
ANNOTAZIONI AL LIBRO QUINTO.
Cap. I, pag. aog. £ non^fiedonop se primo elli non
sono riscaldati^ ec.
Era fecile sostituire primay ma non ne fui conforta-
to da veruna delie tre edizioni. Confermata vera que-
sta lezione dalP autorità dei codici, servirebbe il pas-
so ad esempio. Abbiamo veduto (lib. II, cap. 55, pag.
1 15 ) dirsi dallo stesso Brunetto secondo per dopo^ in
secondo luogo, E al primo registra la Crusca, come
locuzione che significa subitamente^ a prima giunta.
Cap. IT, pag. aia. Ha un buso aperto quindi on-
de cava la lingua.
..'Bu^so k parola usata da^ Veneziani per buco. La
Crusca ha buso addiettivo per bucato^ e il corrispour-
dente verbo busare ; ora non potrebbe adottare an-
che il sustantivo ? Quando si, ecco V esempio che ce
ne porge in questo luogo Brunetto, e un altro sopm
mercato nel principio del capo VII di questo medesi-
mo libro.
Cap. y, pag. aia. Della natura dello isitalis.
Questo isitalis è detto scy tale da Solino cap. XXX.
E poiché il breve capitolo che tratta di questo anima-
le è molto intralciato, riferirò a dichiarazione le parole
del testé i*icordato Solino, a cui si vede aver attinto
Brunello : scy tale tanta praefulget tergi x^arietate,
AL LIBRO QUINTO. 269
ut notarum gratta Oidentes retardet^ et guoniam rep^
tondo pigrior esty quos assequi nequit^ miraculo sui
capiat stupente^.
Gap. TU, pàg. a 1 3. // suo veleno è più trafitti-
\>Oy ec.
. La edizione 1474 ^^ ' ^ ^^ P^^ trqfittiifo.
Gap. Vili, pag. 21 5. Che non lo ha per suo Jir
gliuolò,
• lì toh oella sola edizione 14749 ^^ io me negioraf
a metter lume nella dizione. Questo costume delP a^
quila ha fornito materia a un bel sonetto delP Ariosto,
che taluno vorrebbe delP Accolti, Incomincia';
Perchè simili siano e degli artigli,
E del capo, e del petto^ e delle piume,
Se manca in lor la perfezion del lume,
Riconoscer non Tuol V aquila i figli, ec,
• ' >
Gap. Vili, pag. a 1 5. Le sue scòrze degli occhi, ec.
Questo scorze adoperato figuratamente merita at-
tenzióne; e quando se ne accertasse la genuina lezióne,
potrebbe registrarsi nel Dizionario. Non per questo dirò
ch'ei sia molto bello.
Gap. IX, pag. 216. IjÌ minori sono li maschi, ciò
sono li terzoli.
La Grusca nportando questo passo pone cioè in
luogo di ciò, lezione che non mi è paruto di dover se-
guitare.
Gap. XI, pag. 218, £ se egli ha ti piedi rostigio-
si, sì è simiglianza che siano boni.
Questo passo si cita dalla Grusca, sopprìmendo il
che, ne seppi vederci ragione. . »
270 ASNOTAZIORI
Gap. XV, pag. 221. i*a suo nido pure in arborea
Puro ha P edizione i553,copiaodo quella del i529.
Corressi colla scorta della i474-
Gap. XVI, pag. 221. Sono nate di salvatiche*
State mi dava dedizione i474*
Gap. XVI, pag. 221. Molto guastano tutte erbe
con loro uscito.
Un ridicolo asciutto è in tuUe le tre edizioni. Cor-
ressi colla scorta del Palladio, lib. I, cap. XXX, che
èk : son nimiche de^ luoghi seminati^ e degli orti^
itnperocclìé col becco rodono^ e nuoce il loro stereo.
Uscito per sterco troviamo in questo medesimo ^ibro
j^óinto, cap. XXIX E la Crusca il registra con un
solo esempio di Pier Crescenzi. AI quale potrebbons^
parmi, aggiugnere questi due di Brunetto.
- Cap. XVir, pag. ^22. Hanno di loro libera si"
gnoria.
iHaunoloro di libera signoria, recanale due edi-
zioni 1528, i533; Pantica del secolo XV ha loro di-
Iwera signoria / ho creduto poter correggere nel mo-
^o sopra notato , aspettando, però sempre la lezio-
ne legiltima somministratami da qualche codice repu-
tato.
Gap XVn, pag. 223. Né no con nui>oli, ec.
li no è dell'edizione i474*
Gap. XVIII, pag. 224. ^ chi gli ha turbati.
Qui si legge nelle tre edizioni concordemente: per-^
ehè la Bibbia ne comanda die nullo debba menUre
di vero, né disdire quello che sia prode e non puote.
Mi parve.che questo.pezzo stesse meglio appartato in
una nota, che lì nel testo dov^era. Ci troverà miglior
AL t^BAO QUARTO. S7I
kKjgo du-OTiÀ modo dì coosuilare 1* ongiiwle •fimnce-
sa^ o qualche, buon codice del volgarìscamealai
Gap. XIX, pag. 224. Quwi dov'ciU hanno a stare,
E quivi è deir edizione i474*
Cap. XXn, pag. 226* £Ue ardano moka del ven-
to alt ottros
Vento alostria ha T edizione i^y^yvaa liiUe lr«
concordaDo néT ardono, che deve» aTere per erro-
•jMi. metsnD lome mi dà il passo di Solino, che rispoa-
de a questo: Austro nvmquam exeunt^ <nam me*^
hùsni vimjlatas Jumidioris (cap. XYII).
• Gap» XXIII, pagi 327. È la state quando, ec. '
CorreflH cofla scorta delia edizione 1474? '^ cilat%
e quella del i5a8, hanno pewtolew .
Cap. XXVI, pag. 93^.- E ha la testa 'due creste»
La Citata e Pedizìone i5a8 hanno cresce} creste è
della i474» ' >
Caqpw XXYH, pag. aSi. Aksana cosa ch^eUi pos--
sa temere danno,
• Temere cel posi io, in luogo del tenere die si Ieg<*
gè in tutte ie tre edizioni
•Gftp. XXIX, pag. a5i. Delle rondine o ver ce-
selU.
Questo o ver ceselle non era nelP edizione del se-
colo XY, prima Tel pose Fediz. i5a8, copiata da-
quella del 1 553.
' Gap. XXIX, pag. aSa. Sotto altre coperture,
• Copemere hanno F edizioni iSaS e i553: corresà
coir autorità della 1 4 7 4 •
Gs^ XXXTn, pag. 337. Ed è sì nigUgente e «è
pi^ro, ec.
272 . AHHOTAZIORI '
Pegro hanno le tre edizioni ^ corressi coir autorità
della Crusca che cita il passo.
. Cap. XXXYIII, pag. 238. UaUro dì li truova
isciolH} ec. .
- L^ articolo li fu posto nella edizione i528, ed om-
messo nella citata. Quella del i474 ^^ erroneamente
un si truova. Ad ogni modo il periodo rimane som-
mamente difettoso. . j
' Cfip. XXXIX^ pag. 238. Echi li chiude con una
ctwigUa, ec.
Questo passo è molto $correlto in tutte le tre edi-
' zloni ; quella del sècolo XT ha invece del serri un
inintelligibile agra. Non osando metter mano a caso
nella lezione, reco il passo di Plinio (lib. X, cap. 18)
die sparge lume sul senso generale del periodo: ada-
ctos cavemis eorum a pastore cuneosp admota qua^
dam ah hìs herha^ eìabi ereditar vulgo, .
Cap. XLI,* pag. 240. Per la suaji€re%%a è siJeU"
do ciascun dì,
.Lenone.. che non intendo. L^ adotta tuttavia la
Crusca, recando il passo ad esempio della yocejètido,
pisf^pu^zòlente^ pieno dijetore, \j antica edizione del
secolo XY hàjèdito'y lezione che non parmi da tras-
curare.
' Cap. XLI, pag. 241*^ quando n^ escono^ n* esco-
no altresì^ ec.
n secondo n* escono cel posi io di mio capo, pa^
rendomi ragionevole il supporre un^ ommissione ti-
pografìca delle più consuete.
^ Cap. XLII, pag. 243. £ perchè non lipuole ia-
gliarcy ec.
AL timo QUAATO. 3^3
' Questo passò non si dà punto migKorato dall^ Gia-
sca, che lo c!ta alla Toce iniqidtiì^. Il che rìoordo non
per accasar la Crusca, ma per giustificar me, che
dovetti fare il somigliante le tante volte. E dico Io
stesso d^un altro [i^asso spropositato che s^ incontrerà
indi a poco nel cap. XLVI,' in proposito dello seri--
gho dei cammello. Vedi la Crusca a questa voce.
Cap. XLVin, pag. 24^* ^^ ^ uomo il fedisse in
ninna maniera^ ec. '•*...
In una erroneamente legge la edizione citala ^k cor-
regione è secondo la stampa del i474*
• Cap. XLIX^ pag. 249. Non conta di pia potere
sàlwirliy ec.'
' Guarentire ha, in luogo di salvarli^ Tedizione 1 4 74 •
Cap. LII, pag. 353. Sappiate che *l suo corpo è
sen%a carne^ ec.
L' edizioni hanno concordi capù. Io corressi, e par-
mi con buona ragione. Ecco il passo di Piinio che mi
ha suggerita la correzione (lib. Vili, cap. 33): caro
in capite et maxillis^ et ad commissuram caudae
admodum exi^ua^ nec àlibi tota carpare ,• sanguis
in corde, ec. Ora come poteva scrivere Brunetto che
il capo fosse senza canie ? Non sarebbe improbabile
che la vera lezione fosse : sappiate che 'l corpo, fuo-^
ri che ^l capo, è senza carne, e che la rassomiglian-
za delle parole avesse prodotto V ommissìone del ti-
pografo. Non mi arrischiai tuttavolta di aggiugner
nulla.
Cap. Ln, pag. 253. Uno uccello lucido^ che ha
nomejbras,
«S'orai, l'edizione 1474 • '
3^4 ' àvwytàxÈbm •
CBp; Lni, pag. ^B^.JE sappiate che Bucefafaf, ec
. Questo passo, miàto nelP edizione citata, è viziatisi
simo in quella del 1474^ CintaretrOf è cangiato in re
telaif e cosi nel resto ti discorso cammina alla peggio*
A dichiarazione del passo, che non mi è dato correg-
gere come Torrei, trascrivo i due luoghi di Solino,
cap.. XLYII, che si riferiscono a Bucefalo e al ca*
stallo di Gntareiro. Ecco il primo : Alexandri magni
equus^ Bueephaìus dictus^ sis^ de aspectu torvitate^
eenLetc, ... cum ab equario suo alias etìam molliter
sederetur, accepto regio sfratu^ neminem unquam
alium praeter dominum veliere dignatus est Ecco il
secondo riferibile al cavallo di Cintaretro: Cuinprae"
Ha Antiochus Galatas subegisset, Centaretrii no^
tnme ducis , qui in acie ceciderat equum ovatu-
rus insiluit Isque adeo sprevit lupatoSyUt de indu^
stria curvatus, ruina et se et equitem pariter affi"
geret
' Cap. LUI, pag. 25^. £ quando lo re de' Sciti com-
hfdteva^ ec.
La edizione del 1 533 ha: e quando lo re discara
rea combattendo. Dal che poteva sembrare che si
eontinuAsse a parlare di Antioco o di Cintaretro; ma
traltasi d^allro, come si può vedere dal passo di Soli-
no che riferirò. Ora la edizione i474 ^^^ dischure in
luogo di discorrea^ e combatteva in luogo del com--
battendo f datoci dall'edizione posteriore. Simili dis*
crepanze nella lezione, e il sospetto che di schure sia
de' Scitif mi fecero coraggioso a correggere nel modo
suaccennato. Ed ecco il passo di Solino (cap. XLYII)
che mi fu guida : Regem ScyUiarum cum singula^
ri teriatnint inUrtmptum adiférsariut wàor àpo^
Uare wellety ad equo ejus caleibus morsugue ionia*
tus est.:
Gap. Lin, pag. 354* Che nonvoUe mai mangia^
... Qui solito die ci sia ooa -b^pna, poiché altri à
il re scita, il cui cadavere fii difeso dal proprio caTal-'
loy jBjtrì Nkomede a cui il cavallo noa volle soprar-t
"ViTerey Jasciandosi a tal fine naorire^di fame. Setn[Hre
Solino (cap. XLYII): demque, interfeeto Niootnedm
règey equus ejus. inedia vitam expulU.
Gap. LIU, pag. a 5 5. Membri jton stipi^ ec ^
Il nfm fcovare registrato quest'aggettivo stipo ndb
Cnisca micoafemia nel sospetto che sia voce erro»'
nea, quantunque cencordemente riprodotta da tutlit
tee F edizioni. . .
- Gap. LHI^pag. 355. Ferante . . ^fcdlaga . . . ec
Ri(;eto quanto scrissi nella nota precedente.
• Gap. LlV^-pag. a57« Infijio i quindici anni non
sanno che lussuria si sia. In quindici ha V edizione
citata 5 seguo la lezione trivigiana de. i474*
Gap. LIV, fiag. 357, 258. £ mangiane ella.
Nelle tre edizioni mangiano^ panni ragionevole la
correzione.
Gap. LIV, pag. 258. Infino entro il levante^ ec.
Qui ci dev'essere scorrezione. Ecco il passo di So-
lino che riscontrasi col Tesoro: luna nitescente gre^
gatim amnes petunt^ mox aspersi liquore^ solis ex^
ortum motihusy quihus possunty salutanty deinde in
saltus reverluniur (cap, XXYUI). Vedi anche Pli-
nioylib. YIII9 cap. i.
276 Alf NOTAZIONI
Gap. LV, pag. 2 58. Sceglie ìlgrano^ e rjfuta Vor-
«>, ec.
fìifutare si dà dalle Giunte Veronesi con parec-
chi esempi del buon secolo.
Gap. LIX, pag. 262. Ed a\^\ncendasi^ ec.
Awicendosi hanno Pedizionè citata e la trivigiana.
Non so come stia bene P avvicendasi. Quanto dice
I^nio (lìb. Tin, cap. 21) della mantìcora (manticho^
ran% dietro la testimonianza di Gteisia, non mi diede
alcun lume per questo menticore del Tesoro.
Gap. LXU, pag. 363. JSlla lascia lo JigUuolo
ch^ ella ama piùf ec.
- Di questo costume della simia cantò quel d^ Ascoli
w^ Acerba^ cap. 45. E distintamente il racconta So-
Ikio, cap. XXX.
Gap. LXH, pag. 265. iVe son molti malij ec.
Qui dev^ essere errore. E forse che 4o^^se signi-
ficare esservi molti di siffatti animali in Buggea, tutto
che corra voce (vedi Plinio e Solino) che non ne pro-
diìra che P Etiopia.
Gap. LXIU, pag.' 264. E seguisce i cacciatori che
gliene portano^ ec.
Erroneamente la citata, ch'egli ne portano. Ho se-
guito Pedizionè del i474<
/
TAVOLA
PARTE paimA.
. .. . Libro Primo. *
Parla del nascimento e della natura di tutte le
co«(B Pag. S
O^iie.ia fDa|erì^ di tutte le cose è divisata ia
tre maniere secondo teorica . . . . ii 5
Delle cose che Tuomo dee &re e che non. secon-
• ■•••• / .
4o teorica h 6
Qlii dice perchè Fuomo dee fare Funa cosa, e
r altra non, secondo la pratica ...... S
Perchè Puomo dee fare l'una cosa, e T altra no,
secondo logica ii io
Qui dice come Dio fece tutte le cose al comin«
ciamento .mix
G)me alcune cose furo fatte di niente . .11 la
Deir officio della natura i) i5
La ragione come Iddio non ha nullo tempo. » 14
Qui dice come in Dio non è nullo mutamento. » 1 5
Qui dice come il male fu trovato .... d 16
Qui dice della natura degli angioli . . . i) 1 8
Qui parla deir uomo perchè egli fu fatto • n ao
Qui dice della natura dell'anima . . . i> ai
Latini. Voi. I, 16
278
Deir affido e de' nomi del corpo e delP a-
nima Pag. 22
Della memorìa e della ragione .... >i 35
Qui dice come le leggi fur primieramente . » 24
Qui dice della divina legge » 35
Come i re e reami furo istabiliti primamente i> 36
Qui dice delle cose che furo nella prima etade
del secolo » 27
Qui dice delle cose che furo nella seconda gene-
razione del secolo » 29
Qui dice delle genti che nacquero del primo fi-
gliuolo di Noè I) 5o
Delle genti che nacquero del secondo figliuolo
di Noè )) 3i
Delle genti che nacquero del terzo figliuolo di
Noè » ivi
Qui dice il conto delle cose che furo nella terza
età del secolo i> 53
Del re Nino e degli altri re che vennero dopo
lui » 54
Qui dice del regno di Babilonia e d'Egitto. >) 57
Qui dice il cominciamento dei re di Grecia • m 59
Qui dice del regna di -Sissione . . . . » 4^
Del regno delle femine m ivi
Del regno delli Àrginois » 4 '
Delli re di Troia » 4^
Come Enea capitò in Italia » 4^
Come Enea fu in Italia con suo figliuolo ap-
presso . - . ' . . • • . . • . . » ivi
Qui dice della schiatta del re d' Inghilterra. » 44
Qui dice di Romulo e delti Romani . . . *» 4^
379
Qui dice della congiurazione di GateUina. Pag. 4^
Come Giulio Cesare fu primamente imperador
di Roma '* 49
Delli re di Pranza . . » 5o
Qui dice delle cose che fìirq nella terza etade del
secolo . . •• . • 5i
Qui dice delle cose che furo nella quarta etade
del secolo » 55
Qui dice delle cose che furo nella quinta etade
del mondo » 54
Ddla sesta etade del secolo » 55
Di Davit, come fu. sopra gli altri profeti . n ivi
Del re Salomone • ìì 5y
IH Elia profeta e della sua vita . , . . ii 58
Di Eliseo profeta e della sua vita ...» 59
Di Isaia profeta e di sua vita )> 60
Di Greremia profeta e di sua vita . . . . i) 61
Di Ezechiel profeta e di sua Tita . . . . » 62
Di Daniel profeta » ivi
Di Àchias profeta » * ivi
Di laddo profeta m 65
Di Tobia . » ivi
Delli tre fanciulli che Nabucodònosor fece met-
tere nella fornace ardente d 64
Di Eforas profeta ......... ivi
Di Zorobabel e di Neemias profeti ... m 65
Di Ester regina » ivi
Della valente femina di Judit » ivi
Di Zaccaria profeta » 66
De^ Maccabei e di loro vita ... . . . » ivi
Dei libri del vecchio Testamento . . . » 67
Libro Sficosrno.
Qui comincia la nuova legge .... Pag. 7S
Qui dice del parentado di nostra Donna dalla
parte di sua madre » 80
Della prima santa Maria madre di Cristo » 81
Di santo Giovanni Battista » 8 a
Di Giacopo Alfeq apostolo » 85
Di Giuda apostolo frate di Giacopo . . » 84
Di santo Giovaiini apostolo e vangelista . » ivi
Di Iacopo Zebedeo apostolo » 85
Di santo Pietro apostolo » 86
Di santo Paulo apostolo . . . . • . » 87
Di santo Andrea aposlola . .....>> 88
Di santo Filippo apostolo ^ ^9
Di santo Tomaso apostolo . • u ivi
Di santo Bartolomeo apostolo . . . '. . » ivi
Di santo Matteo apostolo . . . . . . » 90
Di santo Mattia apostolo » ivi
Di santo Simeone apostola » ivi
Di santo Luca vangelista "91
Di Marco evangelista » ivi
Di santo Barnaba . . . » ivi
Di Timoteo discepolo di santo Paulo . . 1» 93
Di Tito discepolo di santo Paulo . . . . » ivi
De' libri del Testamento nuovo .... w ivi
Qui dice come la nuova legge fu cominciata, m 94
Come santa Chiesa innalzò nel tempo di santo
Silvestro >' 96
Come la chiesa di Roma iimakò . ...» 98
a8i
Come il re di FVancia fu tmperadore di Ro-
ma Pag. 98
C!ome r imperio di Rom» ritornò a qaelli d^ Ita-
lia » lói
Qui ^cè come P imperio di Roma Tenne a mano
agli Alamani » 102
Qui dke come natura è nelli elementi e nelt^ al-
tre cose ,....* » I o4
Come tutte le cose furo fatte del mischiamento
delle complessioni >i loS
D^He quattro com^essioni delFuomo^ e d^ altre
cose » 107
Delle quattro virtudi che sostengono gli animali
a vita » 1 1 o
Pel quinto elemento » ni
Come il mo«do è tondo^ e li quattro elementi
sono stabiliti . . . » ìtì
Come le acque corrono per le caverne di sotto
terra m ii5
Deir aere e della piova e del vento e delle cose
che sono neir aria » 117
Qui dice dell'elemento del fuoco . . . . » laa
Come sono assise le sette pianete . . . » i25
Della grandezza della terra e del cielo . . » 1 24
Del firmamento e del corso de' dodici segni. » 126
Del corso del Sole per li dodici segni . . » 128
Del dì e della notte, e del caldo e del freddo. » 1 29
Ancora di ciò medesimo » 1 3 1
Della differenza eh' è intra mezzogiorno e set»
tentrione » i35
Della grandezza del sole e del corso della luna. »> t 34
382
Come la luna riceye il suo lume dal sole, e cò-
ni^ ella oscura Pag. 1 56
Del corso della luna per lo suo cerchio . . » 157
Qui divìsa la composta della luna e del sole^ e
del primo dì del sole, e del primo dì del Se-
colo, e del bisesto, e delle patte, e d" altre ra-
gioni della luna » i38
De^ segni^ e delle pianete, e di due tramontane,
che stanno in mezzodì e settentrione . . » i45
DeUa natura che cosa è, e cornicila adopera nel-
le cose del mondo » 1 4 5
Libro Terzo.
Qui comincia il mappamundi » 1 57
Delhi parte d'Oriente, ch^è appellata Asia . » i58
Qui dice di EuropO^ e delle sue contrade . >» 167
D^ Africa e delle sue contrade » 175
Come Fuomo dee iscegliere terra da guada-
gnare »> J79
Come r uomo dee fare magione in ogni luogo n 1 8a
Come Tuomo dee fare pozzi e fontane . . »> 184
Come r uomo dee fare cisterne . . .. . » iB5
Qui dice come Puomo dee fornire la sua ma-
gione w 186
Libro Quarto.
Qui comincia le nature degli animali, e prima
delli pesci . . . » 197
Del coccodrillo ...» 199
a85
Della balena . . . . . ... . . Pag. aoo
DeUa cochìlla u 301
Del dalfioo ...» aoa
Delle portanie . . . . . » ao5
Della serena n ao4
Libro Qihnto.
Qui comincia il trattato deUi serpenti, e loro
natura . • n 309
DelPaspido » aio
Della natura del basilischio »> aii
Ddla natura di più dragoni naia
Della natura dello isitalis » ivi
Della vipera . . >i 3i5
Del lusardes e della salamandra . . . . u i^
Della natura delP aquila » 314
Dell'astore . . . • . » 31 5
Anche degli astori » 317
Degli sparvieri ...» ivi
Dei falconi » 3 1 8
Delli smerli » 330
Della natura deHi alions, ovvero alcioni . » ivi
Deirardes » 331
Dell'anatre . » ivi
DelPape n 333
Della calandra . » 334
Dei colombi » ivi
Del corbo » 335
Della coniacchia » 336
Delle cotornici o ver quaglie » ivi
^84
Eklia dnàgnia Pag. 327
IMÌì ibes . . • » ivi
Del cecina . . * » 228
Della fenice » 229
Della grue ... » 25o
Della upupa » 25 1
Delle rondine o ver oetelle » ivi
Del pellicano » 252
Della pernice . » 255
Del pappagallo 7 . . u 254
Del paone ..•...■. . » ivi
D«lla tortola » 255
D^^ avoltoio , » ivi
Dello atruzzolo 11 256
Ddcueulo e di sua.viUade » 257
Del rigogolo M 258
Thì pìcchio » ITI
D9I gallo . ... . • . . . * . . . » 259
Del leene e di sua natura n 240
Anteleus » 242
Ames^ ovvero asino selvatico u 245
De* buoi ìì 244
D^la donnola : • . u 246
DA cannAellg . . . .......... • » 246
D^ castole . )) 247
Del cavriuolo » 248
Del cervio .... . . . . » ivi
Del zevere . » 25o
Delta natura di pia cani ,. . » 261
DeUa natura del caxneleonte ... . . » 255
Della natyra de* cavalli ....... 255
285
Del leofonte Pag. 356
Della £)ni]ica » 358
Della hyene » 35g
Dì più maniere di lupi ....*..}) 360
Del coccotus » 361'
Del menticone » ivi
Della pantera ,.....» 363
Del parendres » 365
Della simia » ivi
Del ligro » 364
Della talpa » ivi
Deir unicorno » 365
DelP orsa n ivi
Qui finisce la prima parte di questi libri n 367
/
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L 3 è'r 9
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BIBLIOTECA CLASSICA
ITALIANA
DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
DA LUIGI CARRER.
Cl,*5!E 11. — Voi,, il
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IL TESORO
BRUNETTO LATINI
tolgabiizàto
DA BONO GIAMBONI
V.;
. IL TESORO
*
BRUNETTO LATINO.
PARTE SECONDI
PRO LO GO.
Q.
uando il maestro ebbe compiuta la prìma par-
te del siib libro, e eh' egli ebbe messo in scritto di
teorica ciò che se ne apparteneva al suo proponimen-
to, egli vuole immantinente seguire alla stia materia,
secondo la promessa che feccjdinanzi nel suo prolo-
go, per dire delle due altre iscienze del corpo della
filosofia, cioè di pràtica e di loica, che insegna al-
l' uomo, che cosa e' dee fare, e che no, e perchè l'uo-
mo dee fare l'una e l'altra no. £ di queste due scien-
ze tratterà lo maestro miscolatamente, per ciò che loro
argomenti sono sì miscelati, che appena potrebbero
essere divisati, e ciò è la seconda parie del Tesoro,
che dee essere di pietre preziose, ciò sono le virtudi,
li motti e li ammaestramenti delli savi. Onde ciascun
vale alla vita delli uomini per boutade e per diletto
e per virtude, che nulla pietra è cara se non per que-
ste tre cose.' Questo insegnamento sarà sulle quattro
virtudi. Onde la prima si è provvidenza, che signifi-
ca per lo carbonchio, che allumina la notte e risplen-
de sopra tutte pietre. La seconda è temperanza, che
significa lo zaffiro, che ha celestiale colore ed è più
graziosa che pietra del mondo. La terza si è fortez-
za, la quale è assomigliata al diamante, eh' è sì forte,
8 * IL TE^OIU).
che rompe e pertusa tulle pietre, e tutti li metalli, e
quasi ngu è cotti che ^1 diamante dotti. La quarta vir-
tude è giustizia, la quale è significata per lo smeral-
do, eh' è la più usata pietra e la più bella che occhio
d'uomo possa vedere. Queste sono le carissime pie-
tre del Tesoro, con tutto eh' egli sia pieno tutto d'al-
tre pietre, le quali hanno ciascheduna alcuno ispeziale
valimento, secondo che l' uomo eh' è buon intendi-
tore potrà vedere e conoscere alle parole che mae-
stro Brunetto' Latino scrisse in questo libro. Ma* in-
nanzi vuole fondale suo edificio sopra lo libro d' A-
ristotile, lo quale si chiama Etica, e sì lo trasmuterà
di Ialino in romanzo, e porrallo al cominciamento del-
la seconda parie del suo libro.
LIBRO SESTO.
Capitolo I.
Etica d* Arìsiotìle.
o,
gni arte, ed ogni dottrina, ed ogni operazione,
ed ogni elezione, pare che addimandi alcun bene.
Dunque ben dissero lì filosofi: bene è quello lo qua-
le ogni cosa lo desidera. Secondo diverse arti sono
diversi fini. Che sono alcuni fini che sono opera-
zioni, ed alcuni che non sono operazioni. Con ciò
sia cosa che sono molte arti e molte operazioni, cia-
scuna ha uno suo fine. Yerbigrazia: la medicina
ha uno suo fine, cioè dare sanitade^ e l'arte della
cavalleria sì ha uno suo fine, cioè vittoria 5 e P ar-
te di fare navi ha un suo fine, cioè fare navi per na-
vicare ^ e la scienza che insegna a reggere la casa sua,
si ha per suo fine le ricchezze. Sono alquante arti che
sono generali, ed alcune che sono speziali. Verbigra-
zia : la scienza della cavalleria si è generale, sotto la
quale si contengono altre scienze particulari, si come
è r arte di fare freni, selle e spade, e 1' altre, le quali
insegnano fare cose che sieno mestiero a battaglia 5 e
queste arti universali sono più degne e più nobili che
({uelle particulari. Però che le particulari sono fatte
1»
IO IL TESORO.
per le universali, si come nelle cose fatte per natura, è
uno ultimo intendimento fmale, al quale sono ordinate
tutte le operazioni di quel!' arte. Si come V uomo che
saetta ha 1 segno per suo dirìzzamento, cosi ciascu-
na arte ha un suo finale intendimento, lo quale diriz-
za le sue operazioni. Adunque Parte civile, che inse-
gna a reggere le cittadi, è principale e sovrana di tut-
te altre arti per ciò che sotto lei si contengono molte
altre arti, le quali sono nobili, si come 1' arte di fare
oste, e di reggere la famiglia. E la relonca è anche
nubile, imperciò ch'ella dispone ed ordina tutte l'al-
tre che si contengono sotto lei, e il suo compimento e
'1 suo fine si è compimento e fine di tutte le altre. A-
dunque il'bene che sisegaita di queste scienze, si è
il tiene dell' uomo per ciò che lo costringe di non fa-
re male. La dottrina dritta si è che l'uomo proceda in
essa secondo che sua natura può sostenere. Yerbigra-
zia: r uomo che insegna geometrìa si dee procedere
per argomenti forti, li quali si chiamano dimostrazio-
ni, e Io retorico dee procedere per argomenti verisi-
mili, e questo si è però che ciascuno artifice giudichi
bene e dica la venta di quello che appartiene alla sua
arte. La scienza di reggere la città non si conviene a
garzone ne aduomocheseguisca le sue volontadi, però
che non sono savi^ e nota che garzone si dice in due
modi, cioè quanto al tempo, e quanto a' costumi, che
puote l' uomo essere vecchio del tempo e garzone de'
costumi, e tal fiata garzone del tempo e vecchio de^
costumi. Dunque a tale si conviene la scienza di reg-
gere le città, che non è garzone dì costumi, e che non
seguita le sue volontà, se non quanto si conviene, ed
LIBRO SESTO. 1 1
ove e quando e come. Sono cose le quali sono mani-
feste alla natura, e sono cose che sono maniCeste a noi.
Onde questa scienza si conviene cominciare dalle co-
se die sono manifeste a noL L^ uomo che dee stu-
diare in questa scienza ed imprenderla, si dee adusare
nelle cose bone, giuste ed oneste. Onde si conviene
aver r anima sua naturalmente disposta a scienza. Ma
V uomo che non ha ninna di queste cose, sì è inutile
in questa scienza.
C A P I T o L o IL
«
Delle tre rite.
Le vite nominate e famose sono tre. L^ una si è
vita di concupiscebza. L^ altra si è vita civile, cioè la
vita d^ onore e di prudenza. La terza vita è vita con-
templativa. Egli sono molti uomini che vivono'secondo
la vita bestiale, la quale si chiama vita di concupi-
scenza, però che seguitano tutte le loro volontadi. E
ciascuna di queste vite si ha suo fme proprio divisa-
to dall' altre, sì come l' arte della medicina ha diviso
fine dair arte della cavalleria ^ che la fine della medi-
cina si è fare sanitade, e 'l fine della cavalleria, o ve-
gli delle battaglie^ si è fare vittoria.
Capitolo III.
Del bene.
Bene si è secondo due modi^ che un Ijene è quello
che Toomo vuole per sK ed un altro bene è quello che
V uomo vuole per altrui. Bene per se si è la beatitu-
13 IL TEsoao.
dine^ bene per altri sono detti li onori e le viitu-
di: e perciò vuole l^uomo queste cose per avere bea-
' titudine. Naturai cosa è a\V uomo eh'' egli sia cittadi-
' no, e che ei costumi con gli uomini ai'tefìci, ed anche
non è naturale alF uomo abitare ne^ diseiti, né quivi
dove non sono genti, perchè V uomo naturalmente
4ima compagnia. Beatitudine si è cosa compiuta , la
qual non ha bisogno d^ alcuna cosa di fuori da sé,
per la qual la vita delP uomo si è laudabile e glorio-
sa. Dunque la beatitudine è lo maggior bene, e più
sovrana cosa, che V uomo possa avere.
Capitolo IV.
Qui dìrìsa delle tre potenze delP anima.
L^ anima dell' uomo si ha tre potenze. La piima si
chiama potenza vegetal^ile, nella quale participa Tuomo
con gli arbori e con le piante, però che tutte le pian-
te hanno anima vegetabile, sì come V uomo. La secon-
da potenza si chiama anima sensibile, nella quale par-
ticipa r uomo con le bestie, però che tutte bestie han-
no anima sensibile. La terza si chiama anima raziona-
le^ per la quale V uomo » diverso di tutte le altre co-
se, però che nalP altra cosa ha anima razionale se non
V uomo. E questa potenza razionale si è talora in at-
to, talora in potenza. Onde la beatitudine si è quan-
do ella è iu atto, e non quando è in potenza. Ogni o-
perazione che V uomo fa o ella è buona o ella è rea,
A queir uomo che fa buona la sua operazione si è de-
gno d'avere la perfezione della virtù della sua opera-
zione. Yerbigrazia : lo buono ceteratore, quando ce-
LIBHO SESTO. l5
tera bene, sì è degno ch^eglt abbia com^nmento di
quelParte, e lo reo dee avere tutto il contrario. Dun-
que se la vita dell' uomo è secondo P operazione della
ragione, allora fìa laudabile la sua vita, quand' egli la
mena secondo la sua propria viitude. Ma quando mol-
te virtudi si raguoano insieme nelP anima dell' uomo,
allora si è la vita dell' uomo ottima e molto onorata
- e molto degna sì che non può essere più. Però che
una virtù non può fare V uomo beato, né perfetto, sì
come una rondyia, quando ella appare sola, non fa
perfetta dimostranza che sia venuta la primavera. On-
de per ciò in piccola vita dell' uomo, né in picciolo
t tempo eh' egli faccia buoQ^ operazioni, non potemo
dicere che l' uomo sia beato.
Capitolo V.
Di tre maniere di bene.
Lo bene si divide in tre parti, l' uno è bene dell'a-
nima, e r altro è bene del corpo, e l'altro è bene di
fuori dal corpo j e di questi tre beni, lo bene dell'ani-
ma è lo più degno di nullo, e la forma di questo non
si cognosce, se non all' operazioni, le quali sono con
virludi. La beatitudine si è io acquistare le virtudi, e
nello uso loro. Ma quando lu beatitudine è nelP uomo
in abito, e non in atto, allora si è virtuosa, come l'uo-
mo che dorme, la cui virtù e la cui opera non si ma-
nilesta. Ma V uomo beato di necessilade è bisogno che
adoperi secondo l'atto, ed è simigliante di colui che sta
nel linvito- a combattere, e ^ince, e ha la corona del-
r y
la vittoria: e se ninno è più forte, che colui che vin(»e
l4 IL TESORO.
non ha però la corona, perchè egli sìa più forte^ se e-
gli non combatte, addivegna chVgU abbia la potenza
di vincere^ e così il guiderdone della yirtude non ha
uomo s"* egli non adopera la virtude attualmente. E
questo si è, però che lor guiderdone si è la loro beati"
tudine, ch'egli hanno infino a tanto eh' egli operano le
opere della virtude. Che 'i giusto si diletta nella giusti-
zia, il savio nella sapienza, il virtuoso nella virtù. Ed
ogni operazione la quale sì fa per virtude si è bella e
dilettevole in sé medesima. Beatitudine si è cosa dilette-
vole e giocondissima e dilettabilissima. La beatitudine
la qual è in terra, sì abbisogna delti beni di fuori ^ però
chVgli è impossibile all'uomo ch'egli faccia belle opere
e ch'egli abbia arte la quale si convegna a buona vita,
ed abbondanza d' amici e di parenti, e prosperità di
ventura, senza li beni di fuori ^ e per questa cagione è
mestieri che abbia de' beni di fuori, che facciano ma-
nifestare lo suo onore e '1 suo valore. Se alcuno dono
è fatto all' uomo del mondo da Dio glorioso, degna
cosa è credere, che quella sia la beatitudine, imperò
ch'ella è la più ottima cosa che possa essere nell'uo-
mo, perù eh' è cosa onorevole molto, e compimento e
forma di virtude. Nulla generazione di animali posso-
no avere viitù ne beatiludine, se non l'uomo; e nin-
no garzone e ninna bestia punte avere beatitudine pe-
rò che ninno di loro adopera secondo virtude. Beati-
tudine è cosa ferma e stabile^ secondo vera disposi-
zione, nella quale non cade v^età, ne permutazione
alcuna, e non ha talora bene e talora male, ma tutta-
via «bene. E questo si è per ciò che la bontà e la vir-
tù si è neir operazione dell' uomo* La colonna della
LUtaO SESTO. %5
beetitadioe si è V operaziooe che uomo fa secoada
Tirtnde, e la colonna del suo contrario si è quella che
Fuomo fa secondo vizio 5 questa operazione si è fer-
ma e stante nelP anima delF uomo. £ P uomo virtuo-
so non » move ne si turba, per contraria cosa che li
possa addivenire, però che già non avrebbe beatitu-
dine s'egli si conturbasse, per ciò che la tristizia e la
pam^ tolle altrui V allegrezza della beatitudine. Sono
cose le quali sono forti molto a sostenere, ma quando
Fnomo le ha sostenute pazientemente, si dimostra la
grandezza di suo core. E sono altre cose che sono leg->
i;iere a sostenere, che perchè V uomo le sostegna non.
mostra però che sia grande prudenza in luL Forti co-
se sono a sostenere morte di figliuoli e loro infirmi-
tL £ avvegna che siano forti non mutano però Fuomo
della sua beatitudine. La beatitudine e V uomo av-
Tenturato sono cose tanto degne che vegnano da Dio
glorioso, e sono tanto da onorare, che le loro laude
non si possono dicere. E specialmente si conviene a
noi di venerare, magnificare e glorificare Domenedio
sopra tutte cose. E dee Fuomo pensare in lui, che nel
suo pensiero ha F uomo tutto bene e tutta felicitade,
però che gli è cominciamento e cagione di tutto bene.
Felicitade e beatitudine sono uno atto, il quale proce-
de da perfetta virtude delF anima e del corpo. E sì
come il perfetto medico cerca sollecitamente la natura
del corpo delF uomo, acciò che si conservi in sanita-
de, e medicalo provedutamente, così conviene che lì
buoni reggitori delle citladi sì veggano e stiano in-
tenti e studiosi di conservare la forma della felicità
delF anime delli loro cittadini, e confortarli a fare be-
l'6 IL TESORO.
ne le opere di Tirtudi, Io frutto delle quali si è feli-
citade.
Capitolo VI.
Delle potenze deir anima.
L' anima delPuomo si ha molte potenze. L^una si
è potenza irrazionale, cioè non ragionevole, nella qua-
le comunica Fuomo con le piante e con gli animali
bruti. E però non è questa propria potenza nelP uo-
mo^ che per questa potenza puote fare dormendo
r uomo la sua operazione. L' altra è potenza intellet-
tiva, secondo la cui opera al modo detto è buono e
reo. E questa potenza non fa la sua operazione nel
sonno, ma manilestamente. E però si dice che Fuomo
misero non è diverso dal buono nella metà della sua
vita 'j che nel tempo che P uomo dorme, tale h il buo-
no quale è '1 reo. E questo si è perchè l' uomo si ri-
posa dell'opere per -le quali elio è detto buono e reo.
Ma questo non è vero generalmente, però che l' anime
de' buoni uomini veggiono tal ora in visione in sonno
molte buone cose ed utili, le quali non vede V anima
del reo. L'altra potenza, la quale ha- l'anima, addive-
gna che non sia razionale, nientemeno si participa con
la ragione, però eh' ella dee ubbidire alla virtù razio-
nale. E questa si chiamala virtude concupiscibile. L'uo-
mo dee sapere che nell' anima sono tal ora contrarii
movimenti, altresì come nel corpo; che quando un
membro si move nel paralitico, quello conviene che '1
mova contra natura; ma qu^ta contrarietà è manifesta
nel corpo, e nell'anima è occulta. La potenza razio-
nale si è detta in due modi: l'una è la potenza, la
LIBRO 9BST0. I^
quale è veramente razìoQale, la quale a{^preiide, dt*
sceme e giudica^ T altra potenEa è non razionale, ckA
la potenza ooncupìseilHle, ed h detta razionale ìnfino
a tanto ch'ella sta ubbidiente e sottoposta ax]aeUa
potenza la quale è veramente razionale,- sì come ùl il
buono figliuolo al suo padre che riceve-il suo castiga*
mento.
Capitolo TII,
Dì due maniere di rirtudi.
Due sono le virtudi. L'una si è detta intellettuale,
sì come è sapienza, scienza e prudenza. L'altra si
chiama morale, sì come è castità, laidezza ed uimlità.
Onde quando noi volemo laudare niuno uomo di vir-
tude intellettuale, diciamo: questi è un savio uomo,
intendente e sottile. £ quando noi volemo laudare un
altro uomo di virtù morale, cioè di costumi, noi di->
ciamo: questi è un casto uomo, umile e largo.
Capitolo YIII.
Come la virtù nasce nell* uomo.
Con ciò sia cosa che sieno due. virtù, V una intellet^
tuale e T altra morale, la intellettuale si si ingenera e
ci'esce per dottrina e per insegnamento, e la morale sì
s'ingeneia e cresce per buona usanza. £ questa virtù
morale non è in noi per natura, però che la cosa na-
turale non si può mutare delia sua disposizione per
contraria usanza. Yerbigrazia : la natura della pietra
si è d'andare in giù^ onde non la potrebbe l'uomo
gittare ne in un modo, né in un altro, ch'ella impren-
1 8 IL TESORO^ 'H'.'
■■■*
4esse ad andare io su. E la natura del fuoco si ò ad
andare in suso, onde noi potrebbe tanto Puomo tmr
re in giù^ eh' egli imprendesse ad andare ia giù. E
universalmente ninna cosa naturale puote naturalmea**
te fare lo contrario di sua natura. Onde addivegna che
queste virtudi non sieno in noi per natura, la potenza
di riceverle si è in noi per natura, il compimento si ò
in noi per usanza. Onde queste virtù non sono al po-
stutto in noi per natura, ma le radici e'I cominciamene
to di riceverle è in noi per natura, e 1 compimento e
la perfezione di queste cose si è in noi per usanza. Ogni
cosa eh' è in noi per natura si è in noi prima per po-
tenza, e poi viene ad atto, si come avviene delli sensi
dell'uomo^ che prima ha Tuomo la potenza di vedere
e dell' udire, e poi per quella potenza ode e vede, e
non vede né non ode l'uomo prima ch'egli abbia
la potenza del vedere e dell' udire. Dunque vedemo
già che nelle cose naturali la potenza va dinanzi al*
l'atto. E nelle cose morali tutt' il contrario, che l'ope-
razione e l'atto va dinanzi alla potenza. Verbigrazia:
l'uomo si ha la virtù che si chiama giustizia, per aver
fatte molte operazioni della giustizia ; ed ha l' uomo la
virtù della castità, per avere fatte innanzi molte opere
di castità. E così addiviene delle cose artifìcialL Che
l' uomo ha l' arte di fare le case, per aver fatte prima
molte case, che altrimenti non potrebbe l'uomo ave->
re quell'arti, se non le avesse molte volte operate di-
nanzi. E similmente addiviene d'un sonatore d'uno
strumento, per averlo molte volte sonato dinanzi. E
1' uomo è buono per fare bene, ed è reo per fare
male. Per una medesima cosa s'ingenerano in noi la'
UraO SESTO. f g
wtodi, e si corrompono se quella cosa si fii ia divenf
nodi^ed addÌTiene della -virtù come della, saokà, che
ma laedesima cosa, in dÌTersi modi fòtta, ùl saoììk o
ooiTott^peku Terbigrazia: la fatica se ella- è lemperate
ut sanità nelFuomo, e snella è più o meno che ponsi
convegma, si la corrompe, che per troppo e per poco
si corrompe, e per tenere lo mezco » conserva. Ter-
bigrazia : paura e ardimento corrompono la prodezza
dell' nomo, però che Tuomo pauroso fogge per tutte
le cose, e P ardito assalisce ogni cosa, e credesele me-
nare al fine, né P uno ne P altro non è prodezza. Ma
prodezza si è a tenere lo mezzo tra ardimento e paura,
che P uomo dee fuggire e dee assalire^ -quiTi ove è da
fuggire e d'assalire. £ così dei intendere' in tutte al*
tret virtudi, come tu hai inteso nella prodezza, cb& tut-
te le virtù s' acquistano e si salvano per tmere lo
mezza
Capitolo IX.
Come raomo è virtuoso.
Ora è mestieri che noi distinguiamo, e poniamo
differenza in tra V abito lo quale è con virtude^ e
Pabito k) quale è senza virtude, per tristizia o per al-
legrezza, le quali si fanno nelP operazione lora Terbi-
grazia : 1' uomo che sostiene la volontà carnai^ e di
quella astinenza si tiene allegro si è detto casto, e Puo-
mo che sostiene le volontà carnali si è detto lussu-
rioso s'egli n^ è dolente^ e spezialmente dii sostiene
molto terrìbili cose e non se ne turba si è detto pru-
dente e forte, e Puomo che sostiene cose pericolose e
turbasene si è detto pauroso, e ad ogni operanone e
30 IL TESOHO.
ad Ogni costume seguita o allegrezza, o tristezza. Dun-
que ogni virtù è con diletto, o con tristezza, e però
lì rettori delle città sì onorano le dilettazioni ed alle-
grezze fatte debitamente, ed affliggono di diversi tor-
menti le dilettazioni non fatte debitamente.
Capitolo X.
!•£ tre cose che ruomo desidera.
Le cose che Puomo desidera e vuole sono tre. L'Anna
si è utile, r altra dilettevole, la terza buona. Le cose
contrarie sono anche tre, cioè non utili, non dilette-
voli e non buone. Chi usa ragione in queste cose si è
buono, e chi non usa ragione in queste cose è reo,
é specialmente nella dilettazione, però che la è nutrita
(ìon noi dalla nostra natività. E per ciò grandissima
cosa è che Puomo abbia misura e dirittura nelle di-
lettazioni. Dunque tutto lo intendimento di questo
nostro libro si è avere dilettazione con ragione. E per
tenere ragione si è detto, che nelle gravi cose dee Puo-
mo avere arte. Dunque lo intendimento delP artefice
della scienza civile si è che faccia dilettare i suo' cit-
tadini nelle cose le quali si convegnono, e come, e
dove, e quando, e quanto. E chi usa bene queste cose
secondo che egli dee si è buono. E chi fa il contrario
si è reo.
UBRO SESTO. a 1
Capitolo XI.
Come Tuomo è virtuoso.
A domandare come l'uomo è giusto, secondò l'opere
della giustizia, e com'egli è temperato, facendo l'opere
della temperanza, si potrebbe l'uomo dicere, oh' è si-
migliante a queste due virtudi si come della grama -
tica. E quell'uomo è detto gramatico che favella se-
condo gramatica. Ma in verità non è simigliante del-
l'arte delle virtudi, però che nell'arti acciò che l'uomo
sia bono non è mestiero se non sapere^ ma nelle vir-
tudi non basta lo sapere senza operare, però che '1 sa-
pere senza l'operazione vale poco. E simigliante a
questo si è l'infermo lo quale intende tutti li coman-
damenti del medico e però non ne fa niuoo, onde co-
me cotali infermi sono dilungi dalla sanità, oosi sono
li uomini di lungi dalla beatitudine s'elli hanno la vir-
tude e non la operano.
Capitolo XII.
Che le TÌrtù sono in abito.
Nell'anima dell'uomo sono tre cose, abito, potenza
e passione. Passioni sono queste : allegrezza, desiderio,
amore, invidia, amistade ed odio. Le potenze sono
dette nature, per le quali noi potemo fare le sopra
dette cose. L' abito è detto quello per lo quale l' uo-
mo è laudato e vituperato. Dunque dico che la virtù
non è potenza ne passione, anzi è abito, però che per
la passione ne per la potenza non è l' uomo laudato
32 n. TESORO.
Ile vituperato, anzi per T abito permanente e stante
neir anima delPuomo.
Capitolo Xllt.
Qui dice delb TÌrtù, quello che è e come.
La virtnte si trova nelle cose che hanno mezzo e
stremitadi, cioè più e meno, e questo mezzo si dice in
due modi. Uno secondo natura, e V altro per compa-^
razione. Ed è detto il mezzo secondo natura quello
che in tutte le cose è una medesima cosa. Yeii^igrazia :
se dieci è troppo e lo sei è poco, lo due è ad essere
mezzo, per ciò che ^1 sei è tanto più che '1 due, quanto
è meno del dieci. Lo mezzo per comparazione a noi è
quello che non è né troppo né poco. Yerbigrazia : se
pigliare una gran quantità di nutrimento é trop{K>, e
pigliarenjna piccola quantità é poco, il mezzo si dee
intendere a noi manicare né troppo né poco. Ed ogni
artefice nella sua arte si si sforza di tenere il mezzo e
lasciare li stremi. E la virtù morale é in quelle opera-
zioni, nelle quali il troppo e 1 poco é da vituperare,
e 'l mezzo è da laudare. Dunque la virtude è abito
volontario, che sta nel mezzo a noi, con determinata
ragione.
Capitolo XIV.
Ancora di ciò mede&imo.
Lo bene si fa solamente in uno modo, e ^1 male si
fa in molti modi, e però grave cosa e faticosa è ad es-
sere buono, e leggier cosa e agevole è ad essere reo,
e per ciò son gli nomini più rei che buoni. Sono cose
ir
uno maro. 'a3
oéìe quali npn sì può trovare mezzo, per vàò die sono ^
tutte ree si come è in fare furto, omicidio o adii|^erk%
e soo cose che non tv si trova estremo si come nelle
TÌrtudL Yerbigrazia: temperanza e fbrtitudkie non
hanno estremitade, però che 1 mezzo non ha estre^*
mitade in fra sé. La fortezza è meiftlD tra b paura e
rardimeoto, e. la castità è mezzo, tra '1 seguire Tikk
mo le sue volontadi e al tutto lasciarle. Larghezza
è mezzo tra avasizì||j{|. prodigalitade, però che '1 pn>*
digo Tiene meno m ricevere e soperdiia in dare, e
Fayaro fa tutto il contrario» Ma P uomo di' è lai|^
tiene il mezzo in tra questi due estremi, la^ liberaUtè^.
e r avarizia e la prodigsditò sono nelle cose piccole 0
nelle cose mezzane, ma nelle grandi cose si si chiama
lo mezzo magnificenza. La suprabbondanza non ha no«
me in latino, ma in greco si dbe pleonasmon, eU pckx»
à chiama parvenza. Mezzo nella volontade e nelP o;-'
Bore H è equanimitade, cioè eguaglianza. Equanimo
si è quegli che non vuole troppo, anzi tiene lo mezzo.
Magnanimo si è quegli che vuole lo troppo, e quello
che non vuole è delto pusilianimOk L'uomo che s' adi*>
ra delle cose che si conviene e quando e quanto e co*
me, è mansueto. E quel che s'adira di quel che non
dee troppo si è detto iracondo, e quello che s'adira,
meno che non dee, è detto inirascibile. La verità si k
mezzo in tra due estremitadi, ciò è lo soperchio e 1
poco; quegli che tiene, mezzo tra queste due cose si
è detto verace, e quegli che soprabbonda è detto van-
tatore, e quegli che viene meno si è detto umile. Qnel-;'
lo che tien il mezzo nelle cose di sollazzo e giuoco ca-
detto in greco metrocalos, e quegli che sopeidiia in
a 4 IL TESORO.
ciò è detto giullare, e quegli che viene meno si è detto
campaÌDO. L^uomo che tien lo mezzo in sapere vivere
con le genti si è detto amico • dvile, e V uomo che
soperchia in ciò, s* egli io fa senza utilitade, sì si chia-
ma piacevole, e scegli lo & per utile, si è detto lusin-
ghiero^ e quelli die vien meno in ciò sì si chiama uo-
mo di discordia. Yergogna è passione d'anima e non
è virtude, e quegli che tiene lo mezzo della vergogna
è detto vergognoso, e quegli che si vergogna più che
non dee si è detto in greco recoples, e quegli che si
vergogna meno che non dee, è detto isvergognoso.
Capitolo XV.
Qui in^gna il maestro a cognosrere le virtudi.
• Tre sono le disposizioni nelP operazioni delPuomo,
cioè più, meno e mezzo. E tutte queste tre cose son
contrarie in fra se. Che '1 poco è contrario al troppo,
e lo mezzo si è contrario ad ambedui, cioè al poco e
al troppo. Onde se tu vuoti &re comparazione tra lo
mezzo e 'l troppo, lo mezzo sì puoi dicere troppo, e se
vuoli fare comparazione intra '1 mezzo e '1 poco^ lo
mezzo puoi dicere poco. Onde se tu vuoli fare compa-
razione tra la prodezza e la paura, la prodezza sarà det-
ta ardimento, e se tu vuoli comparare tra prodezza ed
ardimento, certo la prodezza sarà detta paura. Ma sappi
che maggiore contrarìetade ha dalPuno estremo alPaltro
che non ha dal mezzo agli stremi, che sono più presso
al mezzo che gli altri. Yerbigrazia : Tardimento è più
presso alla prodezza che non è la paura, e la prodiga-
litade si è più presso alla larghezza che T avarizia. Ma*
UBRO SESTO. a 5
la sensibilità delia colonia carnale si è piò presso alla
castità, che non è alla lussuria ^ e questo si è per due
ragioni, Funa ragione sì è secondo la natura della cosa,
l'altra si è dalla nostra parte ^ per natura, e questo si è
la ragione, perchè la paura è più contraria alla fortez*
za, che non è Tardimento^ dalla parte nostra, però che
restremìtade alla quale noi siamo più acconci a cade-
re per natura si è più dilungi dal mezzo, e però ca-*
<liamo noi più acconciamente alli desiderii carnali che ,
noi non facciamo al contrario. Dunque conciossiacosa
che la Tirtù sia in pigliare lo mezzo, ed a pigliare lo
, mezzo sieno bisogno tante considerazioni, grave cosa è
air uomo a diventare virtuoso. £ pigliare lo mezzo in
ciascuna arte non appartiene a ciascuno uomo, se non
se solamente a colui eh' è savio e sperto in quell'arte.
Yerbigrazia: ogni uomo non sa trovare lo punto dd
mezzo del cerchio se non solamente colui eh' è savio
in giometria. E così in ciascuna operazione ^ che saper
fare la cosa e volerla fare si è lieve, ma farla con de-
bito modo e debite circunstanze non s'appartiene se
non al savio di quell' arte. Ed ogni operazione che tie-
ne lo mezzo è bella e degna di merito. E per questa
cagione dovemo noi inchinare l' anime nostre al con-
trario nostro desiderio, infin a tanto che vegnamo al
mezzo, tutto che sia grave cosa ad appressarsi a cosa
diritta. Dunque in tutte cose è da lodare lo mezzo, e
da biasimare l'estremità.
Laiini, F'ol, I.
2G IL TESORO.
Capitolo XVI.
Come Tuomo fa bene e male.
Sono operazioni le quali Tuoino fa senza la sua to-
lontà, cioè per forza o per ignoranza, sì come 'l vento
levasse un uomo e portasselo in un altro paese. E so«
no altre operazioni le quali Puomo fa per sua volontà
e per suo arbitrio, si come Puomo che fa una opera^
zione di virtude, o di vizio per sua propria volontà.
£ sono altre operazioni, le quali son parte per sua vo*
lontà e parte non secondo sua volontà, sì come Tuo*,
mo ch^ è in mare in tempo di tempesta, e gitta fuori
suo arnese, per campare la persona ^ e sì come addi-
viene delli comandamenti delti signori, che comanda-
no alli loro sudditi che uccidano il padre o la madre.
£ queste cotali operazioni sono composte d'operazio-
ne volontaria, e d^ operazione non volontaria; ma più
presso è alP operazione volontaria che non è alla forza.
Onde se lo re ti comanda che tu debbi uccidere il pa-
dre e la madre sotto pena della vita, o lo tuo figliuolo,
dicoti, se tu gli uccidi, tu 'l fai per tua volontà, avvegna
che tu il facci per comandamento altrui. E però cotali
operazioni si hanno lode e vituperio. Però si dee l'uo-
mo dare innanzi alla morte, che fare così sozze cose
come uccidere padre o figliuolo, o simiglianti cose fare.
Povertà dì senno e discrezione si è cagione del male,
che ogni uomo ch'è rio sì ha poco senno, perchè non
cognosce quello che 'l dee fuggire, uè quello che '1 dee
fare. E per questo modo si multiplicano gli uomini rei.
Questo cognoscere dovete intendere che non vede
LIBRO SESTO. 37
nella mente la ria fama ot' egli viene, ne il pericolo
ov'egU corre. Pensa l'uomo dello ebbro e dell' irato
quando egli fa alcuno rio fatto, ch'egli lo faccia per
ignoranza e per non sapere^ ed avvegna ch'olii sieno
ignoranti nelli loro fatti, tuttavia la cagione della ma-
lattia non è di fuori da loro, però che la scienza del-
l'uomo non si può partire da loro. Dunque la cagione
di queste male concupiscenze non è se non nel mal-
littore, che segue la sua volontade. Ch' egli è impos-
sìbile, che l' uomo faccia le bone operazioni per vo-
lontà, e le ree senza volontade. Similmente la vo-
lontade è più comune e più. generale che non è la
elezione, però che V operazione della volontade si è
eomune agli animali ed ai garzoni, ma la elezione non
appartiene se non a colui che si astiene da concupi-
scenza. Tal ora vuole l'uomo cosa eh' è possibile, ma
non la elegge perchè ella gli è impossibile. Anche la
volontade è fine, e la elezione si è antecedente al fìne^
perciocché la opinione va dinanzi e di dietro la ele-
zione. Ed è detto l' uomo buono e reo per la elezione,
ma per la opinione non è detto oè buono ne reo. Anche
l'opinione è di verità e di falsità, ma la elezione è di
bene o di male. Anche l'opinione è di quelle cose che
l'uomo non sa per fermo, ma la elezione è di quelle
che l'uomo sa per fermo. Anche non è da eleggere
Q^oì cosa, se non quelle di che l' uomo ha avuto con-
siglio dinanzi. Anche non dee l'uomo fare consiglio
di ogni cosa, se non di quella della quale fa consiglio
lo savio uomo e l'uomo discreto. Ma di quelle cose
delle quali si consigliano li matti e li semplici non è
da fare consiglio. Ma quelle cose, le quali sono gravi
28 lìl^ TESORO.
e pofsoqsi fare per Doi, ed haono dubbioso o^men-
to, cioè dubbioso fine, sono cose delje quali si dee fare
consiglio, sì come è di dare una medicina ad uno in-
fermo, od altre simili cose; e delle cose le quali non si
appartengono a noi non è da fare consiglio, siccome
nella teiTa dìGedemonia nullo si consiglia in che modo
dsbiano buona conversazione. Anche non dee P uomo
'tonsigliare delle cose che sono necessarie, o perpetue.
Non dovemo consigliare se H sole si leva la mattina, o
se '1 piove o se non. Anche non dovemo consigliare
delle cose che addi vegnono per avventura, sì come tro-
vare o avere tesoro. Anche non dee Puomo consiglia-
re del fine, anzi di quelle cose che vanno innanzi la
fine. Lo medico non si consiglia della vita delP infer-
mo, ma consigliasi come 'i potesse guarire. Ne il reto-
rico non si consiglia di persuasione. £ colui che fa la
legge non si consiglia della beatitudine; anzi si consi-
glia ciascuno di questi delle cose per le quaU possono
venire a quel fine che fa mestieri alle loro arti, o per
loro, o per loro amici ; perciocché le cose, le quali l'uo-
mo fa per gli suoi amici, sì le fa per se. La volontà si è
la fine, secondo eh' è detto di sopra. Onde pare ad al-
quanti uomini che sia buono quello eh' egli vuole. £d
altri sono a cui pare, che quello che vuole comunemen-
te la gente, sia buono. Ma secondo la veritade non è
così. Che bene è quello che pare al buono uomo che
giudica le cose com'elle sono, e giudica come l'uomo
sano di sapori, che giudica lo dolce per lo dolce, e l'a-
maro per l'amaro. Ma l'uomo eh' è infermo fa lutt' il
contrario, che a lui pare l'amaro dolce, e *l dolce ama-
ro. E cosi all'uomo reo li pare l'operazione buona rea
*■■■ •^
e la riBl^iraon6^> quello addiviene perchè all' uomo reo
H per&dò the li diletta bucrao, e quello che non li dn-
leCta reo. Obde molti nomini sono infermi di questa in*
*^ fermità perversa, per ciò che P operazione del bene tt
del male sono in suo arbitrio. Onde se fare lo bene è
in noi, &re lo male è anche in noi. Ed addiviene tal orfr
ddll' operatone dell^uomo^ si come de'figlinoli, à» po-
sto che 1 figliuolo sia reo^ si pere al padre bnono. E
come fere lo bene e '1 male sia in noi, egli si mostra per
eoloro che fecero le legjgi, die affiggono di molte pe>-
tte coloro che fanno il male,- ed onorano colofo che=
fono il bene. Le leggi si confortano gli uomim di fiire
lo bene, e costringonli di non lare lo male^ E ninnò
ttomò conforta altrui ddle cose che non sono m sua
|lodestade. L'uno uomo non conforta P altro che tt
deft dolere di quelle cose di che dee avere dolore. Né
iiol conforta che noi sì scaldi del fuoco^ se egli vi Sta
appresso, e che non abbia sete e fòme. Coloro che
. fecero la legge sì puniscono gli uomini della igno-
ranza della quale elli son colpevoli. E debbe P uomo
sapere eh' egli è doppia ignoranza. L'una si è quella
della quale P uomo non ha cagione, sì come è la igno*
ranza del pazzo, e di quella non dee P uomo essere
punito. Un' altpa ignoranza, della quale P uomo ha ca-
gione, sì come è P ignoranza delPuomo ebbro, e di quel-
la dee Puomo essere punito. Che ogni uomo che passa*
i comandamenti della ragione e della legge secondo
volontà, sì dee essere punito, e ciascun uomo il quale
è giusto e reo si è cotale però che egli vuole essere.
Ma quando Puomo è fallo ingiusto e reo^ non diventa
per ciò giusto perch'egli voglia essere, si come addi-
5o IL TESORO.
yiene delF uomo che soleva essere sano e diventa ìn-
fenno, che non diventa sano perchè egli n'abbia vo-
lontade, da ch'egli non vuole credere al medico, ne
usare le cose le quali lo conservano in sanìtade. E si-
migliante si è a colui che getta la pietra, che innanzi
ch'egli l'abbia gittata si è in suo potere di gittarla o
no, ma quando egli l' ha gittata non è in suo potere
di ritenerla né in sua volontà. E cosi addiviene dell'uo^
mo il quale diventa reo dal comìnciamento, che fu in
suo arbitrio di diventare buono. Non solamente sono
malattie nell'uomo per volontade, ma eziandio elle
sono nel corpo, si come è essere l' uomo cieco e zoppo.
E queste malattie possono essere in due modi. L'uno
per natura, si come colui che nasce cieco e zoppo. L'al-
tro se colui che ha quel male, o altro lo ha per sua
colpa, come quegli che accieca per troppo bere, o per
furto, o per altre mal fatte cose. Di colali genti non
dee l'uomo avere misericordia, s'elli non si pentono *
e castigaDsi. Dunque ciascun uomo è cagione della sua
imagiaazione e del suo abito, però che T uomo ha na-
turale intendimento di conoscere bene e male. Dun-
que dee volere fare lo bene e fuggire lo male. Ed è
ottima cosa, e non impossibile, a pigliare consuetudine
e dottrina di fare bene. E chi la piglia al comincia-
mento e perseverala, quel cotale uomo ha buona na-
tura e perfetta, e chi piglia il contrario, si ha mala
natura. Ma perchè egli P abbia ria, sì la può 1' uomo
fare buona se egli -vuole, che è in lui di pigliare qua-
lunque vuole. Dunque le virtù e' vizii sono secondo
la volontà dell'uomo. E nota che l'operazione e l'a-
bito non sono secondo la volontà dell' uomo in uno
LIBRO SESTO. 5l
modo, ma in diversi 5 però che Toperazione dal comin-
ciamento suo intìno alla fine sua è nelP arbìtrio e nel~<
la volontà delPuomo. Ma T abito non e nelF arbitrio^,
ne nella volontà delPuomo, se non al suo comincia-
mento.
Capitolo XVII.
Delia fortezza.
Diciamo oggimai di ciascuno abito, e cominciamo
alia fortezza. Dico che fortezza si è, secondamente ch^^
detto di sopra, mezzo tra la paura e Pardimento^ ()erò
che sono tali cose che V uomo dee temere ragione*
voimente, sì come sono vizii, ed ogni cosa che po-
ne Tuomo in mala nominanza. £ quelli che non ha
paura di queste cose, sì è svergognato e degno di vi-,
tupero, e chi ha paura di queste cose sì è da lau-
dare. Elli sono uomini, li quali sono arditi in batta-
glia, e sou di quelli che sono liberali in ispendere pe-
cunia^ ma Tuomo forte qon tiene né più ne meno che
faccia bisogno, ed è apparecchiato di tutte quelle cose.
che fa bisogno di sostenere. Ma l' uomo eh' è ardito si
soperchia in queste cose, e '1 pauroso viene meno. Le.
cose che sono da temere non sono d' una materia, anzi
sono in molte guise. Che le sono molte cose che son da
temere ad ogni uomo che abbia sano intendimento,
però che colui che non teme il tuono o l' onde del
mare si è matto. £ sono altre cose, le quali non teme
ogni uomo, e queste cose sono secondo e più e meno,
cioè secondamente che V una cosa è più da temere che,
r altra. £ sì come dico delle cose paurose, così inten-
dete deir ai dimento, però che sono uomini che si mo>:
^7
-t ■
5 a IL TESORO.
strano ardili anzi che Tegoano aili fetti, e fanno gran-' '
de Tista, e quando vegnono alli fatti, sì si portano vil-
mente, ma V uomo prode e forte fa tutto il contrario,
che prima ch'egli vegna alli fatti si sta cheto, e da che
egli è a^ fatti si sta prode e forte. Fortezza è detta in
cinque modi. Lo primo modo si è fortezza civile, però
che gli uomiai della città sofierano molti pericoli, per
avere onore, e per non essere vituperati dalli loro cit-
tadini. Lo secondo modo si è per senno, e per iscal-
trìmento che Tuomo ha in quello ufficio ch'egli si
adopera, sì come noi vedemo degli uomini che sono
bene ammaestrati delle battaglie, che fanno opere di
gran prodezza, confidandosi della loro scienza, avv&*
gna che non sieno forti, secondo la verìtade, però che
quando veggono i pericoli nella battaglia, sì si fuggono,
avendo maggiore paura della morte che della vergo-
gna. Ma V uomo eh' è forte secondo la verità, debbo
fare tutto il contrario, che quando viene alla battaglia
si sta forte, e teme più la vergogna che la morte. Lo
terzo modo si è per furore, si come noi vedemo nelle
fìere, che sono forti e ardite per lo gran furore eh' è
in loro. Questa non è vera fortezza, però che chi si
mette ad un gran pericolo per ira o per furore, non è
detto forte, ma quegli che si mette a grandi pericoli
per dritto intendimento quegli è forte. Lo quarto mo-
do è per forte movimento di concupiscenza, sì come
noi potemo vedere nelli animali bruti nel tempo della
lussuria, e così vi si lasciano cadere molti uomini leg-*
germente^ e quegli che allora si tiene bene, quegli è
forte. Onde molti uQmini £)nno grandi ordinamenti per
lussuria. Lo quinto modo si è per sicurtà che l'uo^
LIBRO Si^TO. 55
DIO ha spesse volte per avere vinto, sì come addiviene
r a colui che combatte con quello che ^U è usato di
vincere, ma quando combatte con un altro sì perde il
suo ardimento. E questi cinque modi non sono di vera
fortezza. La fortezza si è più degna cosa, che non è la
castità, però che più lieve cosa è ad astenersi dalle
concupiscenze carnali, che non è dalle cose triste.
Capitolo XVIII.
Delia casti tade.
esastila si è mezzo intra seguire le dilettazioni cor-
porali tutte, o non seguirne nulla. Però che dilettarsi
r uomo delle cose che si convegnono, e dove, e quan-
do, e quanto, non vi bisogna quivi castità^ però che
vedere l'uomo di belle cose, ed udire di belle novel-
le, ed odorare di belli fiori, come, quanto e quando
si conviene, non vi bisogna quivi castitade. Che ca-
stità non t' è mestiero se non in due sensi del corpo,
cioè nel gusto e nel tatto, ne' quali noi comunichia-
mo con li animali bruti fortemente, sì come dilettarsi
nelle cose che si mangiano e che, si beono, e nelle co-
se che si toccano. E specialmente nel tatto è grande
dilettazione. E però è bestiai cosa seguir troppo la
dilettazione del tatto. Che nel gusto non si diletta
tanto 1' uomo quanto nel tatto 5 che solamente la di-
lettazione del gusto è quando P uomo esamina li sa-
pori. Sono dilettazioni naturali, nelle quali P uomo
puote aver mezzo, sì come di non mangiare e non be-
re troppo, e questo mezzo si può dire castitade 3 chò
la non castità si è nelle dilettazioni corporali 9 e non
54 Uj TESORa
nelle cose triste, però che nelle cose triste sì s^ inten-
de lo sao mezzo la fortezza. Tal fiata è P uomo non
temperato e non casto quando si diletta più che non
dee, e quando egli puote aver la cosa eh' egli deside-
ra. À gran pena si trova uomo che si diletti meno che
non dee nelle dilettazioni carnali, ed a questo colale
non è posto nome. Dunque quegli è casto che tiene lo
mezzo nelle dilettazioni, cioè che non si diletta . trop-
po d'averle, e non si contrista ti'oppo di non averle,
ma dilettayisi temperatamente, secondo che basta alla
bona vita dell' uomo. Gonviensi che V uomo contrasti
alli desiderii delle dilettazioni, però che se V uomo si
lascia vincere, la ragione rimane di sotto al desiderio
ddl' uomo. Però conviene che P uomo abbia maestro
infino da garzone, secondo il cui comandamento egli
viva, ed allrimeoti rimarrà con lui lo desiderio, infìno
die sarà grande. £ però ci conviene ben studiare, ao«
ciò che la ragione rimagna di sopra al desiderio ov«
vero alla concupiscenza.
Capitolo XIX.
Bella larghezza.
Larghezza è mezzo in dare e in ricevere pi^cunia.
Dunque colui è liberale che usa la pecunia convene-
volmente, cioè quello che dà quello che si convie-
ne, e dove e quanto e quando ed a cui si conviene.
Prodigo, ovvero distruggitore si è quello che soper-
chia in dare, e viene meno in ricevere. E P avaro fa
tutto il contrario. £ degna cosa è che larghezza sia
più in dare che in ricevere, però che più lieve cosa
UBRO SESTO. 55
è il non ricevere che'l dare. £ più da lodare è colui
che dà le cose che si conviene, che non è colai che ri-
ceve le cose che si conv^nono. E generalmente è più
degna -cosa neUa virtude operare la cosa dritta e buo-
na^ che non è astenersi da quello di che V uomo si dee
astenere. Ma tuttavia in queste cose vuole avere vìa
d^ eguaglianza. Poco è da laudare quegli che riceve
temperatamente^ ma quegli che dà temperatamente è
molto da laudare per la utilità che n^ ha quegli a cui
è dato. Non è largo quegli che si contrista di quel che
dà, pierò eh' e' non dà per larghezza, anzi dà per ver-
gogna, o per altra cagione. Dunque quegli è largo che
dà con sdlegrezza. L' uomo largo si è contentò a se
di pocb, acciò che possa fere a molti ^ assai, o poco,
eh' egli posseggia, sempre si sforza di fare opere di
krghezza, secondo la sua facultade. Rade fiate si tro-
va l\iomo largo essere ricco, però che la larghezza non
cresce per donare, ma cresce per raunare e per rice-
vere. Ed è usanza che la ricchezza che l'uomo ha sen-
za fatica sì '1 fa esser più largo ^ e grande maraviglia
è quando l'uomo è ricco con gran fatica s'egli è lar^
go. L' uomo prodigo è meo reo che l' avaro 5 perchè
l' avaro non fa prò' a nessuno, né a se, e per questa
cagione ogn' uno gli vuol male. Anche lo prodigo si
può. correggere in molli modi, ma l'avaro non si può
mai medicare, e naturalmente l' uomo è più acconcio
all' avarizia che alla prodigalitade, e sì si parte più
dal mezzo. E sono molti modi di larghezza. E rade vol-
te sì si possono trovare in un uomo. Che tal volta è
l' uomo avaro in tenere le cose sue, che non è avaro
fti desidei*are l' altrui. E sono tali che son avaii non
56 IT. TESORO.
per teiere le loro cose, ma per desiderare le altrui ^ in
questi colali è il loro desiderio insaziabile, e sforzaosi
di guadagnare d^ ogni sozzo guadagno, si come di man-
tenere bordello, e di ritenere ruffiani e puttane, e da-
re ad usura, e ritenere giuoco. E questa cotale ma-
niera d^uomini pecca più gravemenle che in prodtgSH
litade.
Capitolo XX.
Della magnificenza.
Magnificenza si è una Tirtù che si adopera nelle rie**
chezze, e solamente nelle grandi ispese. £ la natura
deir uomo magnifico si è ch^egli è maggiormente sol-*
lecito acciò che* suoi fatti si facciano con grande ono*
re, e con grandi spese, che in fare piccole spese. Che
quelli che Tuole fare piccole spese e ristringersi, noni
è magnifico, anzi è parvifico. Questa virtù detta ma-
gnificenza si s' intende nelle grandi cose maravìgliose^
sì come in fare tempii e chiese, ove s^ adori Dio, da
cui è mandato e viene ogni bene, e simigliantemente
è in fare gran nozze, e ricchi conviti, e dare altrui
grandi albergherie, e in fare grandi presenti. Lo ma-
gnifico non pensa solamente delle sue spese, ma egli
pensa anche di fare altrui. Nella magnificenza non è
solamente mestieri che vi sia abbondanza di cose, ma
evvi mestieri con essa uomo il qual sappia ordinare
e spendere quelle cose, sì come si conviene, o egli per
se, o uomo di sua schiatta. Onde qualunque uomo ha
meno una di queste cose, o amendue, s' egli vi si in-
tramette si è da schernire, o scegli s' impaccia di ma-
gnificenza. L'uomo che soperchia a quello eh' è detto di
LIBRO SESTOk 67
sopra si è quello che spende in queste cose più che
non dee^ e che non si conviene. E colà ove può fare
la [»coda spesa sì la vi fa grande, sì come sono colo-
ro die danno il loro a giucolarì ed a buffoni, e come
Goloro che gittano le porpori nella via ^ e questo non
feoQO per amore della Tirtude, ma solamente per pa-
rer maraviglioso e glorioso alle genti. Parvifìco si è
colui die nelle cose grandi e maravigliose si sforza dì
spender poco, e corrumpe la bellezza del &tto suo per
pocQ^ rìsparmiamento, e perde grandi spese e grande
onore. £ queste sono due estremità della magaificen-
la, ma non sono da vituperare, da che elle non fan-
no dsHino secondo i loro viziì. Magnanimo è colui ch^ è
aoGoncio a grandissimi fatti, e rallegrasi, e gode di &r
gran cose. Ma colui che s^intramette di fare gran iàt-
ti e non è acconcio a ciò, si è detto vanaglorioso. E
ooloi ch^è degno d' onore e di dignitade, ed egli ha
paura di riceverla, o d^ inframettervìsi, si è detto uo-
mo piccolo. £ magnanimità si è estiemo per compa-f
razione delle cose, ma quanto alla operazione si è
mezzo. La vera magnanimità si è solamente nelle cose
grandissime, cioè nelle cose per le quali Puomo ser-
ve a Domenedio glorìoso. E la dritta beatitudine si à
pensar di quelle così altissime cose, e cosi grandi e
così onorevoli, che di questo pensare nasce tutto be-
ne, e poi viene in maggiore, lo qual non si punte esti-?
mare. L^uomo eh' è magnanimo si è il maggiore uo-
mo ed il più onorato che sia. E non si move per pic-
cola cosa, e non china la magnanimità sua a veruna
sozza cosa. Dunque la magnanimitade si è ornamento
e corona di tutte le virtudi. E però non è lieve cosa
Laliiti. Foì. IT. 3
58 IL, T£SURO.
a trovare V uomo magnamino, anzi è molto forte, però
che noo è solamente buono a sé, anzi è buono a molti
allrL E se alcun nomo è magnanimo, non si ralleapra
troppo per grandi onori che li siano fatti. £ sappmte
che tanto onore non li può esser fatto, che risponda
alla sua bonarita ed alla sua grandezza. Anche il ma-
gnanimo non si rallegra troppo per cose prospere che
li avyegnano, e non si conturba mai per cose adyerse.
Nobilita di sangue e ricchezza antica sì aiuta Tuomo a
esser magnanimo. £ quelli è veramente magnaaimo
che ha in sé due cose per le quali egli debbia esser
onorato, ciò son quelle che sono dette di sopra. £ la
sicurità e la buonarìtà dell^uomo magnanimo si è tan-
ta, eh' egli ha per nulla li pericoli, però eh' e' non da-
bila trar la vita sua con buon fine. £ rallegrasi di &r
bene altrui, e vergognasi di riceverlo da altrui, però
che più nobile cosa è dar che ricevere. £ quando e-
gli ha ricevuto beneficio, sì si studia di render cain-
bio. £d è pigro nelle piccole spese, ma nelle cose ove
aian grandi onori e grandi fatti, sì come si convegno-
no, non -è pigro. L' uomo magnanimo ama altrui, e se
vuol male, sì '1 vuole manifestamente e non celata-
mente, però che li pare gran viltade celare la sua vo^
lontade. £d è austero, e rendesi crudele, se non nel-
le cose di sollazzo. £ conversa con gii uomini in cose
di sollazzo e d' allegrezza. £ ha in odio tutti i lusin-
ghieri, sì come gente mercenaia, imperò che ciascu-
no che lusinga, sì è ser^o. £ tiene bene a mente Fin-
giurie, ma disprezzale, e non cura. £ non si loda, e
non loda altrui. £ cura più delle care cose, che delle
vili, sì come uomo che basta a se medesimo. £nel suo
LIBRO SESTO. Sq
mòyinientò è tardo e grave. E nella parola è fermo.
E qiiesta è la diflioizione del magnanimo. Colui che
soperchia m queste cose è detto vanaglorioso. E quelli
che s* inframetlono dì grandi* onori, e di fatti, si come
rie fossero d^ni, conciossiacosa ch'egli non sìeno degni,
siócome fere belli panni, ed altre cose di grande ap-
jpàrenza, e credono per questi essere esaltati, io dico,
che li savi uomini li hanno per matli e per bestiali.
PnsiUanimo si è quegli eh' è degno delle grandi cose,
e dì grande onore, e ha paura di riceverlo, ed ascon-
desi da lui. E questo è male, però che ciascuno dee
desiderare onore e beneficio convenevole a lui. Dun-
que dascun uomo erra quando si parte dal mezzo 5 ma
non sono molto rei. Nell'onore si tmova mezzo ed
estremi, e nelle cose minori, però che in queste cose
si trova più e meno e mezzo, però che P uomo può
desiderare più onore che non dee, e questi non han-
no nome, se non comune. Egli è detto di sopra le
(Comparazioni tra lo largo e 1 magnanimo, e tra li lo-
ro estremi, però che queste sono le maggiori cose, e
quelle le minorì; e lo mezzo è da onorare, e li estre-
mi da vituperare.
Capitolo XXI.
DelPira e della mansuetudine.
Nell'ira si è mezzo ed estremo, e hanno proprii no-
mi li estremi ^ e chiamasi lo mezzo mansuetudine, e
l'uomo che tiene lo mezzo si chiama mansueto; è
quelli che sopr'abbonda nell'ira si chiama iracondo, è
quelli che s' adira meno che non dee sì si chiama ini-
4o IL TESORO.
rascibile^ e quello eh' è Teramente mansueto, si si ad-
ira (ii quello che dee, e con cui, e quanto, e come e
quando e dove; e quello è iracondo che passa il mez-
zo in quelle cose, e tosto corre in ira, e tosto rìtoma;
è questo è lo meglio che è in lui, però che se tutte le
cose ree si raunassero in uno, non sarebbe da soste-
nere. L' uomo che non si adira dove si conviene, e
quando, e quanto, e con cui, e come, questi si è da
non lodare, però che sostenere vitupero che non è giu-
stamente fatto a se, o a' suoi amici si è yituperabile
txfset. Tal fiata lodiamo noi questi cotali uomini die
non fìinno grandi minaode ^ e tal fiata lodiamo noi gPi-
racondi, dicendo che sono forti uomini ed arditi ^ e
c^o grave cosa è a determinare per parole le ciroon-
stanze de^Pira^ ma cotanto doyemo sapere che tenere
lo mezzo si è cosa da laudare, e tenere lì estremi è
cosa da vituperare.
Capitolo XXII.
Della conTersasione degli uomini.
Dopo questo dovemo dire delle cose che advegno-
no nelle compagnie degli uomini, e nelle conversazio-
ni e ne' parlari ; però che teYiere lo mezzo in que-
ste cose si è cosa da laudare, e tenere li estremi si è
cosa da vituperare. A tenere lo mezzo si è che l' uo-
mo sia piacevole in parlare ed in conversare ed in
usare con le genti 3 e conviene che sia uomo comu-
nale e di bella compagnia nelle còse che si convengo-
no, ed a .cui, e quanto e. quando e come e perchè. E
questa conversazione è quasi somigliante all'amistà, ed
LIBRO S£STO. 4 >
evvi dififereoza in questo : nell^ amistà per necessitade
si è amore, ma in questa conTersaziooe no, però che
roomo puote bene conversare con Puomo che noQ
cognosce, E Tuomo che soperchia in queste cose si è
qn^S che s^ inframette e rendesi trattabile più che
Doa dee con Puomo strano, e con P uomo che non
cognosce, e col vicino, e col non vicino. Questo co-
tale si ha nome piace^^le se & però queste cose per
modo die la natura Paccoq|ia a ciò ^ ma quegli che ?1
fa per cagione di guadagnare, si è detto lusioghere;
e roomo che viene meno in queste conversazioni si
è detto agreste e rustico, e può esser detto disoor->
devole.
Capitolo XXm.
Della verità e della bugia.
La verità e la bugia sì àono contrarie più che cose
che siano al mondo ^ ed usaasi nel detto e nel fatto.
L^uomo onorevole e d^ animo grande usa la verità nel
detto e nel fatto ^ e Puomo vile e di piccolo animo &
tutto il contrario. L^ uomo verace si è quegli che tie-
ne lo mezzo intra 1 vantatore che si vanta, e mostrasi
distendersi più che non è, e intra 'l dispregiatore, e Pu-
mile, lo qual cela lo bene ch^è in lui e meno vaio: però
che P uomo verace sì concede ed afferma quello ch^ è
in lui di bene, ne più né meno^ ma P uomo che si
dispregia è meglio disposto che quello che si vanta,
imperciò che^l vantatore niente in detto e in fatto. Peg-
giore di questi sopra delti è quegli che non conosce sé
medesimo, e però è più da vituperare che nessun al-
4 2 IL TXSOBO.
ti'o. L^ uomo veiitiere è da lodare, e T uomo bv^iarr
do si è da vituperare^ però che^l bugiardo dice colali
parole come gli è fatto oel cuore. L' uomo ch'è ved-
tiere per amore della Tenta è migliore che colui ch^ è
veritiere per amore, o per guadagno che n^aspetti^ue-
gli che si vanta, o che presume quello che non dee, non
per guadagno che ne faccia d^ oro o d' ariento, è da
vituperare sì come uomo vanaglorioso. Ma colui che
si vanta per onore, o pe^^tilità, non è così da vitu-
perare. Uomini sono che dicono bugie e raU^ranse-
ne 3 e sono altri che dicono bugie, per esser tenuti
grandi, o per guadagnare. IP uomo che si dispregia,
si è umile, e cessa da sé le gran cose, per fuggire lite et
bi'iga, sì come fece Socrate, per avere vita quieta. £
r uomo che si esalta nelle piccole cose, si è detto nulla.
Capitolo XXIV.
Come l"* uomo sì cognosce per Io suo moTÌmento.
L^ uomo che ride troppo si è vituperevole ^ e T uo-
mo che non rìde mai si è detto crudele ed agreste.
Ma l' uomo ch^è tratte vole al suo compagno come si
convene, noi contrista con sozza cera, e non commo-
ve altrui a sozzi giuochi, però che '1 giuoco dichina
talora Puomo a vituperio ed a comiocìamento di lus-
surìa, ed è cosa vietata dalla legge ^ ma in buona com-
pagnia si dee trattare d^amure e da concordia. La ver-
gogna si è passione che s^ ingenei-a come la paura, però
(;he colui che si vergogna sì si arrossa per ogni cosa, ed
anche tal fiata colui che ha paura. £ la vergogna è sen-
no nelli adolescenti, e non è sconvenevole nelli garzoni,
LIBRO S£STO. 4^-
però che la vergogna li ritrae dalli peccati. Ma la ver-
gogna si è da biasimare negli uomini vecchi, però che
r uòmo vecchio non dee far cosa onde si debba ver-
gogoare.
Capitolo XXV.
Della giustizia.
m
Giustizia si è abito laudabile, per lo quale V uomo
•sì è fetto giusto, e fa opere di giustizia, e vuole e ama
le cose giuste, conciossiacosa che sia abito di giustizia,
lo quale è virtude. Così la ingiustizia è abito di vizio
per lo contrario. La giustizia si à detta in tre modi, e
la ingiustizia. E così Fuomo giusto e lo ingiusto è
«letto anche in tre modi.* £ -detto ingiusto quegli che
& ccmtra -alla legge, e quegli che passa la natura del^
Peguaglianza, e quegli che si mette a guadagni non li-
citi ne onesti. E simiglian temente V uomo giusto è in
tre modi, però che in quanti modi sì si dice Tuno con-
trario^ in tanti modi si dice Peltro; sì che Puomo giu-
nto è quegli che osserva le leggi, e la natura dell'egua-
glianza, e quegli che si contenta alli liciti guadagni e
«Ili giusti.
Capitolo XXVL
Della legge.
La legge si è giusta cosa, e tutte le cose della legge
sono giuste 5 però eh' ella comanda operazioni di vb*^
tù, le quali operazioni fanno V uomo beato, e conser-
va r opere della beatitudine in lui. E vieta tutte le
cose rie della cittade. E comanda alli buoni le grandi
opemiooi delle cittadi, sì come è stare ordinato. e fer-
44 li' TESOAO.
ino nella schiei'a alla battaglia. E comanda the gii
mìni si guardino dalle foniicazioni e dalla lussuria. E
comanda che Tuomo stia pacificamente, e che noo per-
cuota r uno r altro. £ comanda che V uomo non pmy
li incontro all'altro in mala parte, e guardisi da ogni
sozzo parlare. £ sommai'iamente ella comanda, che
Tuomo faccia opere di giustizia, e guardisi da opere £
vizio. La giustizia è la più nobile cosa, e la più fixte
virtù che sia ; e tutti gli uomini savi amano Tempere del-
la giustizia, e maravigliansi della bontà, più che dola
stella lucida, o del sole quando si conca, o quando a
Jieva, però ch'ella h perfetta virtude, più che ninne
dell'altre. £d usa V uomo giusto la giustisia in sè^ e
nelli altri suoi amici; però che l'uomo, che non è bond
né a se ne ad altri suoi amici, si è pessimo^ die ao*'
ciò che l' uomo sia buono non basta esser buono pu-
re a sé, anzi conviene eh' e' sia buono per sé e per li
suoi amici. La giustizia non è parte di virtù, anzi è
tutta la virtù. E la ingiustizia non è parte di vizio, an-
zi è tutto lo vizio. Elli sono specie di vizii vietati ma-
nifestamente, sì come furto, adulterio, incantaÌQento,
fulso testimonio, tradimento, frode e inganno d'uo?
mini. E sono altre specie di vizii le quali sono ingiu-
riose molto, si come ferire, uccidere, ed altre cose si-
miglienti a quelle. L'uomo giusto è agguagliatore tal
fiata, e tal fiata ammezzatore in comparazione; è detto
agguagliatore infra due, e ammezzatore in tra molte co-
se, e poche. Ed è in relazione in quattro cose, però che
l' uomo giusto non può esser in meno di quattro cose,
imperò che due sono le persone in tra le quali si &
la giustizia, e due sono le cagioni, cioè agguaglianza e
* LIBRO SESTO. 4^
disgnagfiianzà : ed ia quelle medesime còse puote es-
sere agguaglìanza, però scegli non pnote essere dì^aa-
glknza'non tì sarebbe agguagliaoca. £ così la giustizia
è in proporzione di numero. E così come la giustizia
è cosa eguale, così la ingiustìzia è cosa ineguale^ però
d signore della giustizia si sforza di agguagliare le cose
che sono ineguali, onde costui uccide, colui percuote,
t Paltro manda in pellegrinaggio insino a tanto ch'egli
al>bia Fenduto cambio allo infelice e abbia soddisfatto a
colai eh' è stato isforzato^ e forzasi il signore della giù*
sticia di recare a mezzo il soperchio e '1 meno nelle
còte utili, e però toglie all'uno e dà all'altro infìno a
tanto ch'elli sono agguagliati, e però li conviene sapere
la modo com'egli toglia al maggiore e dia al minore, e
ocHii'egli faccia soddisfare, acciò che i sudditi suoi viva-
no in bona fermezza di metade.
Càfitoi^-o XXVBL
Anche della giustizia.
Gli abitadori delle cittadi sono insieme, e tolle l'u-
no dall' altro, e dà uno alF altro, e rendoosi guider-
done, secondo la quantitade delle cose loro, infìnoche
elli vengono alla diritta metade. Poniamo che'l ferra^
tore abbia cosa che vaglia uno, e'I calzolaio abbia co^
sa che vaglia due, e'I maestro della casa abbia cosa
che vaglia tre ; dunque è mestiero che 'l fabbro to«-
fjUsi dal calzolaio l' opera sua, e '1 calzolaio toglia dal
Aiaestro l' òpera sua, imperò che l' opera dell' uno è
migliore che quella dell' altro ^ onde è mestiero che vi
sia <JaaIche agguagliamento, sì che tornino al mezzo. E
4^ Ili TESORO.
però fu trovato il danaio, sì come giastizia; imparò che
il danaio si è mezzo per lo quale V uomo reca ogni
cosa ineguale ad eguale ^ e puote V uomo dare e to-
gliere cose grandi e piccole per lo danaio ; ed è istni-
mento per lo quale chi è giudice puote fare la giusti-
zia. Il danaio si è legge la quale non ha anima, ma il
giudice e la legge hanno anima ^ e Domenedio glorio-
so si è legge universale a tutte cose ^ lo vigore della
agguaglianza si sta fermo per lo osservamento della leg-
ge della cìttade. E li abitatori delli campi e delle cui-*
ture sì ne crescono simigliantemente; e per le ingiurie
le quali si fanno nelle citta<|i addiviene tutt' il con-*
trario ^ ed alP ultimo vanno alli diserti ed alli bosdu.
Lo principe si è osservatore della giustizia, e simi-
gliantemente osservatore dell'aggnaglianza ; e però non
dà a se medesimo del bene, il quale egli ha in signo-
ria, più che agli altri 5 e però è detto che li onori e
le signorie fanno Puomo manifesto. Lo popolo sì pro-
pone che la liberalitade si è cagione del principato e
della signoria. E tali sono che dicono che la ricchezza
è la cagione ; e tali sono che pongono nobiltà di san-
gue : ma V uomo savio si dice e crede che la cagione
per la quale l' uomo è degno d' esser principe e signo-
re, si è la virtù che l' uomo ha in se. E questa si è la
vera ragione. La giustizia è in due modi, V una si è
naturale, e P altra è secondo la legge. La legge natu^
relè si ha una medesima natura in ogni uomo, sì come
è il fuoco, lo quale là ove sia, sì va pure in alto. L'ai- , ,
tra giustizia^ la quale è secondo la legge, si ha molte
diversità, sì come noi vedemo nelli sacrifìcii, li quali
si fanno diversamente, quali per animali morii, quali
LIBRO SESTO. 4?
per generazione d^ arbori, ed amendue queste giusti-
zie s^ intendono agguaglianza. Quelli che rende la cosa
eh' è disposta appresso lui, non per sua volontà, ma
per paura, non è giusto per sé, ma per altrui. Ma co-
lui che rende per cagione d' onestà e di suo proprio
Tolere, si è giusto^ X<i danni che Tengono nelle compa«-
gnie degli uomini sì sono in tre modi. L'uno si è per
errore e per ignoranza^ l'altro si è per ignoranza con
volontà di nuocere ; lo terzo modo si è per pensata
malizia e per volofità di nuocere. Danno per igno-
ranza & V uomo quand'egli ne' suoi fatti, come negli
altrui, non è sì studioso come si conveiTebbe. Ed a-
mendue questi non sono al postutto ingiusti, però che
li loro fatti non procedono da malizia. Ma quando
*r uomo fa danno per malizia, la quale egli ha pensa-
ta dinanzi, o per propria volontade, non è nessuna
circostanza che possa scusare la sua malizia, e però si
è veracemente reo, e da vituperare. L'ignoranza si è
in due modi. Ch' è una ignoranza la quale ha cagio-
ne naturale. La cagione naturale si è di quelle cose,
le quali sogliono addivenire agli nomimi, sì com' è
V uomo eh' è pazzo per natui'a. Ed un' altra ignoran-
za, della quale l'uomo è cagione, sì come l'uomo eh' è
ignorante per non voler studiare le cose le quali s'ap-
partengono a conoscimento di verità o di bene. La
sopi*aggiustizia sì è meglio che non è la giustizia, ma, se-
condo la verità, nel vero mezzo non si può dividere.
E rotai giustizia vera non è quella eh' è nella legge,
ma quella giustizia, la quale è in Domenedio glorio-
so, ed è data agli uomini: per la quale giustizia l'uo-
mo si fa simigliante a Dio.
48 IL TESOEO.
Capitolo XXYIEL
Della prodezza.
Due sono !e specie delle vìrtudi. L^ una si chiama
morale, la quale s^ appartiene all' anima sensibile, la
quale non ha ragione. Ed è un' altra virtude intellet-
tuale, OYTero razionale, la quale è intendimene e di-
screzione. Dunque P anima sensibile sì fa e fhgge e
perseguita senza deliberazione niftna. £ però è detto,
che questa Tirtù desidera concupiscenza, ma lo intel-
letto sì afferma, e non si fa nulla elezione senza lui.
Dunque il principio della elezione si è desiderio io*
tellettuale, per cagione d' alcuna cosa. £ ninno uomo
usa la elezione nella cosa, la quale è passata dinanzi,
però che quello eh' è fatto non puote essere non fat^^
to. Domenedio non ha potenza di ciò. £ non cade e^
lezione in quella cosa eh' è di necessità, sì come nel
sole, ohe si corica e leva per natura.
Capitolo XXIX,
Di ciò medesimo.
Neil' anima sono cinque cose, delle quali dice Toro
affermando e negando, cioè arte, scienza, /prudenza,
sapienza ed intelletto. La scienza si è per tali dimo^
straiioni, che non puote essere altrimenti, e non si in-
genera, e non si corrumpe. £d ogni scienza e disd-
plina, e ciò che si fa, si si può insegnare. £d ogni co->
sa che s' imprende, sì è mestiero che s'imprenda per
[HÌncipii, li quali sono manifesti per loro. £ la dima*'
t
LIBRO SESTO. 49.
Strazione si è sempre vera, e non mente mai, però ch^
ella è di cose necessarie. La disposizione delP arte si
è con verace ragione. L^uomo prode e savio si è que-
gli, che può consigliar se ed altrui nelle cose buone e
ree, le quali appartengono agli uomini. Dunque la pru-
denza si è abito con lo quale P uomo può consigliare
con verace ragione nelle cose degli uomini buone e ree.
La sapienza si è avanzamento, accrescimento e gran-
dezza di scienza negli artefici. E quando è d^tto di
ninno egli è savio nell'arte sua, si si mostra la bouta-
de e la grandezza sua in quell' arte. Lo intelletto si è
quello, che prende lo comandamaato delle cose. La
ragione e la scienza e V intelletto si sono di quelle co*-
se che sono naturalmente nobili. E trovansi adolescen-
ti savi di disciplina , ma non in prudenza : che esser
savio in prudenza si vuole avere per lungo conosci-
mento di molte cose particulari, le quali non si pos-
sono avere se non per lungo temporale. £ P uomo a-
dolescente e giovane si ha poco tempo. La prudenza
sì misura li comandamenti e li uscimenti delle cose. E
la solerzia e avacciamento per lo quale si giudica avac-
ciatamente in diritto o giudicio, e tostamente si ac-
consentisce ad un buono consiglio. Astuzia, cioè scal-
trimenlo, è di prudenza, col quale Puomo viene a fi-
ne con grande sottigliezza de\<iuoi intendimenti nelle
cose buone ^ ma questa sottigliezza è detta qualitade
nelle cose ree, sì come sono li incantamenti e gP indo»*
vinamenti^ e questi cotali non sono detti savi, ma sqn
detti consiglianti e briganti ed aslutL La felicità non
è cosa da eleggere per altrui, ma per sé medesimo,
come la sanitade. Le azioni dell' anima sono" secondo
r>0 IL TESORO.
-x'
la misuracene virludi morali, e secondo misura di
prudenza e di sottiglianza e di brigata e di scaltrimen*-
to. Dunque la virtù, drizza lo proponimento delP uo-
mo a diritto, e la prudenza, cioè lo sapere, sì gliele con-
ferma e fallo buono, e conducelo alla giustizia. Le vir-*
tu morali sì intendono a fare gli uomini forti e casti e
giusti infìno alla loro adolescenza, siccome ne^ garzo-
ni ed iq alquanti animali. Dunque queste virtudi sono
per natura e non per intelletto ^ ma la signorìa di tut-
te le yirludi sì si conviene allsTvirtude intellettuale,
per ciò che non si puote fare elezione senza Pintellet-
to, e non si puote compire senza virtù morale ; e così
la prudenza insegna a fare quello che si conviene ^ ma
la virtù morale mena lo fatto a compimento d^ ope^
razione,
* Capitolo XXX,
Delia fortezza.
La fortezza si è abito laudabile e buono ^ e V uomo
lo quale veracemente è forte, sì so:»liene molto teni-
bili cose e di soperchio, o grandi j e spregia la mor-
te in assalire quelle cose che si convegnono, e fa l' o-
pere della fortezza, non per ragione d' onore, ne per
cagione di dilettazioni, ma per cagione di virtudi. Gli
uomini sì adoperano fortezza di citlade costretti da
vergogna e per fuggire rimproverio, e per accattare
onore si pigliano innanzi di esponere se ad un grande
pericolo che vivere con vita vergognosa. La forza del-
le fiere si è quella che V uomo fa pei- furore quando
r uomo e fortemente angosciato per danno, o per in-
LIBRO SESTO. 5 I
i;iiina ch^ egli i*iceva, ed ^lì si muova a rifarne ven-
detta. Fortezza d' animale si è quella la quale V uo-
mo fa per compire suo desiderio, lo quale ardente-
mente desidera. Fortezza ispirituale si è quella la qua-
le Puomo fa per acquistai-e fama, onore e grandezza.
Fortezza divina si è quella che gli uomini forti amano
naturalmente, e gli uomini di Dio sono ben forti.
Capitoi-o XXXI.
Della castitade.
Castitade è temperamento* in mangiare e bere ed in
altre dilettazioni corporali^ e quello lo quale adopera
teo^ramento in queste cose si è molto da lodale, eU
soperchio in queste cose si è molto da biasimare, ma
poco si truova e rade volte. La castità si è bella co-*
sa, però che V uomo si diletta in quello che si con-<
viene, e quando e quanto e dove e come. Anche è
una dilettazione secolare, la quale è partita dal mo-
vimento della natura, ed è senza comparazione cosa
più vituperevole che la fornicazione, o l' adulterio,
cioè giacere V uno maschio con T altro. La incastita-
de è in molli modi ed in molte maniere, però ch^ ella
[>uò essere in mangiare ed in bere, ed in altre sozze
cose.
Capitolo XXXII.
Della mansuetudine.
La mansuetudine è abito laudabile iotra U soper-r
rhio deir ira e lo menimamento, e così è malinconia,
pei'severamento di lungo tempo. La maliziosa ira addi-
53 IL TESOHO.
manda grande vendetta per piccola offesa, ma colui
che non si commove e non si adira per ingiurie, o
per offesa che sia fatta a lui, o a^suoi parenti, è uo-
mo lo cui sentimento ^ morto.
CÀPrroLO XXXin.
Della liberalitade.
(ja liberalitade e la magnificenza e la magnanimitade
si hanno comunitade tra loro, però che tutte sono
in ricevere ed in dare pecunia, come si conviene, e
quanto e quando e da cui si conviene. E più è bèlla
cosa dare, che ricevere. E questo cotale uomo fugge
li sozzi guadagni. E V uomo avaro si li disidera for-
temente. £ cosi addiviene, che V uomo largo non ha
tante possessioni, come P uomo avaro.
Capitolo XXXIV.
Della magnanimitade.
L^ uomo magnanimo si merita virtudi e grandi o-
nori, li quali s^avvegnono a lui; apparecchia Panima
sua a cose grandi, e dispregia le cose piccole e vili.
Ma colui che dispende le cose come non dee, si è det-
to prodigo. Invidioso è quello che s'attrista delle prò*
spenta de'buoni e delli rei, senza differenza ninna. H
contrario a questi si è quegli che si rallegra della pro-
sperità de'buoni é de' rei. Il mezzo intra questi si è
quegli che si rallegra della prosperità de' buoni, e con-
tristasi di quella délli rei. Chi d'ogni cosa si vei^o-
gna si è detto non pronto, cioè vergognoso. Quegli che
IJBRO SBSTO. 55
si Tanta e mostrasi d^ avere ogni bene, e spiesua gU
altri, sì è detto superbo.
Capitolo XXXV.
Delle compagnie.
Sono uomini con li quali è grave cosa a vivere,
però che hanno natura, la quale non si puote tratta-
re. E sono altri li quali sono lusinghieri a ciascuna
persona. E sono altri uomini li quali tegnono lo mez-
zo, e questi sono quelli che si danno ad usare con le
persone con cui si conviene, e dove e quando e quan?*
io si conviene ; e questo cotale uomo è veracemente
da laudare. Lo giullare si è quel che conversa con le
genti con riso e con giuoco, e & befik di sé e della mo-
glie e delli figliuoli^ e non solamente di loro, ma e-
ziandio degli altri uomini; E contrario a costui si è
quello lo quale mostra sempre la faccia turbata e cru-
dele, e non si rallegra con le genti, e non favella, e
non istà con loro che si rallegrano. E quegli che tie-
ne lo mezzo tra costcH'o si è quegli che usa in queste
cose lo mezzo. L^ uomo giusto si è quello ch^ è detto
eguale o agguagliatore. E Tuómo giusto si agguaglia in
due modi. L' uno modo si è in partire pecunia ed o^
non. L^ altro modo è di sanare gli uomini che hanno
ricevuta ingiuria, ed uomini che hanno a fare insie^
me, imperò che le fatiche degli uomini ch^ hanno si fa-
re insieme sono in due modi. L^uno si è per volontà,
cioè quando il cominciamento delli fatti è in nostro
arbitrio ; e fuore di. volontà è quello quando V uo-
mo ha a fare con un altro, e v<^e fare |>er for^ e per
54 IL TESORO.
inganno, sì come rapina e furto ed altre cose simi-
glìanti.
Capitolo XXXVI.
Della giustizia.
Lo fattwe della legge à agguaglia li contralti, lì qua-
li sono intra il poco ed il soperchio. Il giusto aggua*
gliatore sì parte k pecunia e P onore, e fa divisio-
ne intra due almeno. E la giustizia parte intra quat^
ti*o cose, nelle quali cose ha proporzione dal primo al
secondo, e dal terzo al quarto ^ e Fagguagliamento di
coloro si è secondo la proporzione a sé medesimo ; e
giudica la giustizia tra loro secondo la qualitade della
virtù e del merito. Lo senatore lo quale sana li modi
delli fatti che sono intra gli uomini, si è colui che fece
la legge; e questi discerne e fa giustizia intra coloro
che fanno V ingiurie, e coloro che le ricevono; e ren»*
de la eredità a coloro di cui dee essere, e tollela a co-
loro che la posseggono ingiustamente; ed alquanti con-
danna in la persona, ed alquanti in avere, e cosi ag-
guaglia il poco col troppo, però che colui che riceve
la ingiuria è menovato da colui che la fa di quello che
a lui s^ appartiene; il giudice agguaglia tra costoro se^
condo misura d' arismetrica, e però vanno gli uomi-
ni a^ giudici, perchè il giudice è detto per similitudine
giustizia animata, però ch'egli ordina la giustizia se-
condo il moderamento ch^è possìbile. £ la giustizia non
è in ogni luogo in tal modo, che a colui che ha fatto sia
fatto tanto quanto ha fatto lui, ^ a colui che ha tol-
to sia tolto tanto quanto ha tolto lui, però che lo
IJXRO SESTO. 55
morleramento della agguaglìanza non è sempre in ciò.
E sf come P uomo giusto è contrario all'ingiusto, cosi
r equale è contrario al non equale 3 e 1 mezzo è tal
fiata più contràrio alP uno estremo che alP altro ^ e
Puno degli estremi è più. contrario all' allro che non
è al mezzo. La giustizia della città si è mezzo intra
perdere e guadagnare, e non si puote fare senza dare
e togliere cambio, si come colui che tesse panni per
altre cose che li sono mestieri, e il ferratore sì dà li fer-
ri per altre cose che gli bisognano. E però che questi
cambi erano grande brigarsi fu trovata cosa che aggua-
gliasse le cose insieme, quella che Tale più con quella
che vale meno, e questa cosa fu il danaio, il quale £à
agguagliare F opera di colui che fa la casa con quella
di colui che fa li calzari. Sopraggiustìzia è più che giù-
stinga. Dunque F uomo eh' è migliore che l'uomo buo-
no, si è buono in tutti modi che essere può ; e colui
ch'è più giusto che colui eh' è giusto, si è giusto in
tatti modi che esser puote. La giustizia naturale si è
migliore che quella che è posta dagli uomini, si co-
me il mele, il quale è dolce per natura, è migliore che
non è l'ossimele, il qual è dolce per arte. L'uomo giù--
sto TiTe per vita divina, per la grande dilettazione
ch'egli ha alla giustizia naturale, ed usa le cose giuste
amandole per se medesime. Non si conviene che'l pu-
nitore della legge la ponga generale in tutte le gene-
razioni, però che è impossibile che le regole geoerali
si eseguiscano e sì tegnano in tutte le cose le quali non
sono universali. Dunque le parole • della legge deb-
bono essere particulari, però che giudicano delle cose
corporali.
50 IL TfiSOEO.
Gapitoix) XXXV li. •
Delti TÙii.
Li vìziì delli costumi aono tre molto rei, dalli quali
dee r nomo fuggire, doè malizia, crudeltà e lussuria..
E le virtù contrarie a questi vizli sono ancora tre^
cioè benignitade, demenza e castità. Sono alquanti
uomini che sono di natura divina per V abbondan»
delle virtudi che sono in loro ^ e cotale abito è U^
talmente contrario alla crudeltà: e colali uomini sono
detti angelici o divini per la grande abbondanza ddJe
virtudi che sono in loro ; e son così le virtudi loro
sopra alle bontà degli altri uomini, sì come le virtù di
Dio sono sopra tutte le virtù d^li uomini. Sono altri
uomini crudeli nelli loro costumi, e sono di natura di
fiera ^ e questi cotali sono molto di lungi dalla virtù.
E sono altri uomini li quali sono di natura di bestia
in seguitare loro desiderìi e loro dilettazioni^ e que-
sti cotali sono da assimigliare alla simia ed a' porci. E
li uomini che seguiscono le loro volontadi sono detti
Epicurii, cioè uomini che non pensano se non del cor-
po. Uomini che sono detti divini, ed uomini che han-
no costume di fiera sono pochi nel mondo, e special-
mente quelli che hanno costumi di fiera, però se ne
trovano nelle estreme r^ioni nelle quali elli abitano,
cioè nelle parti di mezzodì, là ove si tro\ ano li schia-
vi. Dicesi delP uomo divino ch'egli è casto e conti-
nente, però che^l s' astiene dalle concupiscenze ree
secondo la potenza della virtude intellettiva. L'uomo
ha suoi tei*mini alli quali si move naturalmente, infra
LIKRO §BSTO. 57
ì quali egli si volge intra il mezzo, se non addiviene
cagione alla sua natura la quale lo inchini a natura di
bestia; li quali però che sono sciolti seguitano i mo-
vimenti di loro propri desideri], e discorrono per le
pasture, e non si astegnono di nissunacosa alla quale
li conduca la natura loro: ed in questo modo sì esce
r uomo dello spazio de' suoi termini; e questo cotale
uomo si è peggio die la bestia per la ria vita eh' egli
ha eletta, però che la scienza dell' uomo sì è vera.
L'uomo che imprende scienza secondo la natura del*
la vìrtade morale e delle virtù divine ed intellettuali,
questo uomo si move verso il suo termine, ed usa pro-
posizioni universali le quali lo conducono alla cogni*
zione vera*.
Capitolo XXXVm.
Del diletto.
Sono cose dilettevoli le quali son dilettevoli per
necessità. E sono cose dilettevoli per elezione ; e di
queste son tali da eleggere per sé, e sono tali che si
eleggono per grazia d'altrui. Le dilettazioni necessarie
ahe l' uomo ha sono in mangiare ed in bere ed in lus»-
suria ed in tutte le altre dilettazioni corporali, là ove
non è misura. Quelle le quali l'uomo elegge per se
stesso son queste, cioè intelletto, certezza, sapere e ra-
gione divina. Le dilettazioni le quali l'uomo elegge
per grazia l' uno dall' altro son queste, vittoria, ono-
re, ricchezza e tutte le altre cose buone nelle quali
comunicano con noi le bestie. Chi tiene lo mezzo
in queste cose si è da laudare, e quegli che viene a
meno in queste cose è da vituperare. Sono dilettazio-
- à
58 Ih TESORO.
ni naturali, e sono dilettazioni bestiali, e sono dilet-
tazioni fìerali, e sono dilettazioni pei* cagione di tem-
po, e sono altre dilettazioni per cagione d^infimnt»-
de, e sono altre per cagione d' usanza, e sono alti^per
male nature. Dilettazioni fierali son quelle di colorucike
si dilettano di fare fendere femine pregne, acciò die
Imo vegghìno il loco delli figliuoli ch'elle hanno in edi'-
pò, e sì come coloro che mangiano carne d' uomini e
carne cruda. Dilettazioni d' infermità o di mala uraon
è di pelarsi ciglia o di rodersi P unghie o di mangiu»
fiaingo o carboni. Dilettazioni per mala natura si è giace-
re Tun maschio con V altro, e tutte le altre cose TÌHi-
perevoli di lussuria. E sono alquante malizie « léodo
di fiere, le quali sono nelli sfrenati e nelli pazzi e me-
lanconici ed in simiglianti a loro. L^uomo furibondo
tiene per sentenza ciò che piaccia a lui tutto che sia
centra agli altri uomini^ e s' egli ha cagione d' adirar-
se un poco, incontinente corre, e fa come il servente
matto che si afiìretta di fare le cose innanzi il tempo
che U signore suo gli comandi; e fa come il cane che
latra per ogni voce d'amico e d'inimico ; e questa in-
continenza che è neir ira si è per molta cupidità e per
Telocità di movimento, e però si è da perdonare pia a
costui che non è a colui che incontanente vole seguire
sua concupiscenza, però che costui incontanente che^
Tede cosa che li diletti non aspetta lo giudicio della ra-
gione, anzi soprastà ad avere quello che desidera. Dun-
que la incontinenza dell' ira è più naturai cosa che la
incontinenza della concupiscenza, e sì addimanda luo-
ghi oscuri, e per ciò è detto della concupiscenza ch'el-
la abbatte lo figliuolo e trade lui. L'uomo lo quale la
LIVIDO SESTO. 59
male e non si pente, non si puote correggere; ma doti*
r uomo che ùl male e pentasì sì può P uomo avere
speranza che si possa correggere. Quelli che non han-
ny iotelletto sono migliori che quelli che V hanno e
non Tadc^perano, però coloro che si lasciano vincere
alla concupiscenza per diletto ddil'intelletto sono simi-
li a coloro che .si inebriano di poco vino per debilità
di celebro. L' uomo continente che ha intelletto sì si
fisrmft e persevera nella ragione vera e nel^ elezione
sana, e non si parte del moderamento diritto. Mutare
1! usan^ è più leggiera cosa che mutare natura ; forte
cosa è però mutare usanza, perchè P usanza è simile
alla iialura. Sono uomini alli quali pare che nulla di-
lettazione aia buona, né per sé né per altrui. £ sono
altri alli quali pare che alcune dilettazioni sìeno buo-
ne, ed^lcune rie; e tali sono a cui pare che tutte di-
lettazioni sien buone. La dilettazione detta senza ri-
spetto non è buona, però eh' è di sensualitade. Dun-
que non è ella simiglianle alle cose compiute ; e Puomo
casto fugge le dilettazioni, però eh' elle imbriacano lo
intelletto, e fanno all'uomo dimenticare lo bene : e'
fanciulli e le bestie fÀ dimandano dilettazioni. E sono
alquante dilettazioni che fanno Pu(»no infermare, ed
inducono loro molestia. Dunque P uomo eh? è di buo-
no intelletto non dimanda dilettazioni corporali se non
con moderato uso.
Cu IL TESORO.
Capitolo XXXIX.
Della castità.
•
La castità e la continenza non sono una com; però
che la castità è tin abito io quale è attaccato nelP Mi»*
nio dell' uomo per avere lungamente vinti li desìdefii
delhì carne, si chMli non sente alcuno assalto di teiH
fazione : ma la continenza è abito per lo quale rdomo
sostiene gravi tentazioni e molte molestie^ ma tolte-
via non si consente a ciò, tanto ha in sé ragiona [hm-
que non sono una cosa castità e continenza. La ioca-
stitade si è abito per lo quale V uomo pecca nelle oO»
se dilettevoli senza grande instanza di tentanoni, si
come r uomo che non è constretto e va cercando le
dile|Éflizioni. Dunque V uomo eh' è incontine^ si è
quegli il quale è vinto dalle tentazioni le quali lo sti-
molano fortemente; ma V uomo non casto si è qndUd
che si lassa vincere alle diletlazioni le quali non k> fti-'
molano. E T uomo incontinente si è cotale per d^M-
lità di ragione, o {^er poca sperienza. Dunque non è
reo in tutto, ma sta mezzo reo, e ^uotesi correggere se
la virtù e la sperienza si correggono insieme; ma l'tKH
mo incasto non si puofe già mai correggere, che la vlr-
tu non ha potenza nella malizia troppo usata, che la
ragione si corrompe spesse volte per troppa coneupH
scenza. E V atto della malizia si cognosce, però che la
virtù è nella ragione sana, e nella malizia si è la ra-
gione corrotta.
LlUaO SESTO. 6l
Capitolo XL.
Della constabza.
Tre sono lì modi di fermezza. L*uno sì è che Tuo-
mo sta fermo in ogni stia operazione, o vera o Mm
che I4 sia. Il secondo modo sì è contrario a questo.
Lo terzo modo è deW uomo che del bène e del 0137
le si parte leggiermente. Ma generalmente Tuomo con-
stante si è meglio che ^1 mobile, però che U mobile si
moYe ad ogni vento, ma Puomo'constante non si mo-
ve per fòrti desiderii, ma tal fiata per la buona e no-
bile dilettazione si move dalla sua falsa credenza e
consente alla veritade. Impossibile è che Fuomo sia sa-
-vio ed incontinente insieme, però che la prudenza non
è se non solamente in operare^ spesse volte sono insie-
me lo scaltrìmento e la incontinenza ^ e però ohe lo
scaltrimento è diviso dalla prudenza, sì è la prudenza
pure nelle buone cose, ma lo scaltrimento è nelle buo-
ne e nelle rie. E l'uomo savio che non adopera secondo
la sua scienza è simile a colui che dorme ed è ebro,però
che neir uomo lascivo l'abisso delli desiderii carnali sì
Paflfogano, e tranghiottiscono Toperazione della ragio-
ne^ ed è così di lui come dell'uomo ebro, lo quale ha
legato il senno suo, ed è affogato nel suo celebro per
molti vapori di vino che li sono montali nel capo, e
però bere vino di soperchio perverte il diritto giudi-
ciò. L' uomo frodolente è colui che fa ad altri ingiu-
ria per consiglio dinanzi pensato, e per ira fa elezioni
di fuor di ragione, li quali sono si rei che non vi si
puote avere rimedio nessung.
Latini. Fot, IL 4
* •
6i IL TESORO.
Capitolo XLI.
Come V amistade è TÌrtude che regna nell^ uomo.
L^ amistade è una delle virludì di Dio e delP no-
mo, ed è molto bisognósa alla vita delP uomo, e ròo-
mo ha bisogno d^ amici sì come di tutti gli altri ht^
ni ^ e gli uomini ricchi e potenti e principi di terre À
hanno bisogno d' amici alli quali ellino facciano bene
e da' quali ellino ricevano servigio, onore e grazie. E
grande securtade defP uomo è quella eh' egli ha per
li amici, però che quanto il gi'ado deUa grandezza è
più. alto, cotanto è più agevole a cadere e la sua caduta
più pericolosa. Dunque vi sono molto mestieri gli a-
mici nelle brighe, nelle angustie e nelle avversità che
ha r uomo, e però è buono e sicuro rifugio. E V do-
mo eh' è senza amico è solo nelli suoi fatti 3 e quando
l'uomo è con l'amico si è accompagnato, ed hanne per-
fetto aiuto a compire le sue operazioni, però che di due
.ipersone perfette viene perfetta operazione ed inten-
dimento. Lo fattore delle leggi sì conforta li suoi df-
tadini ad avere caritade insieme con giustizia, perd
che se ogni uomo fosse giusto anche farebbe mestiere^
caritade ed amistà 5 ma se ogni uomo fosse amico l'u-
no dell' altro non farebbe mestiero giustizia, però che
essa distrugge ogni lite ed ogni discordia che puòté
essere.
loulo sesto. 65
Capitolo XLU.
Delle specie delP amistade.
Le specie dell' amistà sì si conoscono per le cose
che Puomo ama, che sono tre, cioè bene, utile e di-
lettevole^ e non quello ch^è cotale secondo la verità,
ma quello che gli pare. Le specie dell' amistà sono tre.
L'una si è amistà per bene, V altra si è per utile, e
r altra si è per dilettazione. Ed in ciascuna è mestieri
di manifestare tribulazione^ però che coloro che s'a-
mano si vogliono bene a se comunalmente^ e coloro
che s' amano per cagione d' utilidate o di dilettazione
non s'amano veracemente, ma amano le cose per le
quali elli sono amici, cioè dilettazioni ed uUlitadL Onde
tanto basta tra costoro l'amistade quanto basta la di-
lettazione e r utilitade, e però si fanno costoro amici
6 nimicL Questa amistade della utilitade si è tra vec-
chi, e l'amistà della dilettazione si è tra giovani; ma la
perfetta amistade si è solamente tra gli uomini che son
buoni e sono simili in virtudi, e voglìonsi bene per la
similitudine eh' è intra loro delle virtudi, e questa co-
tale amistà si è amistà divina che contene tutti i beni,
ed intra loro non ha detrazione, né ninna cosa di rio.
E però cotale amistade non puote essere fra l'uomo
bono ed il reo, anzi solamente tra li buoni. Ma l'ami-
stade eh' è per dilettazione e per utile puote essei'e tra
li buoni e li rei, ma tuttavia basta poco. L' amisi à è
ornamento laudabile, eh' è intra coloro che conversa-
no insieme e hanno compagnia; ed è bellissima vita per
la quale vivono in tranquillilado; e la tranquillitade che
64 W- TESORO.
è intra loro non si parte per diversità dì luogo, e per
non istare insieme^ ma se fosse molto lungo questo
partimento fa raffreddare ed uscire di mente Pamblade,
e per ciò si dice ne' Proverbi, che li pellegrinaggi e le
lunghe vie partono Pamistadi. La cosa amata ^ ha al-
cuno nobile bene, e però li amici sdamano si tra loro
non per cagione dì passione, ma per cagione d^ abito,
e ciascuno degli amici ama il suo bene, è retrìboisGe
Tuno all'altro secondo agguaglianza.
Capitolò XLIII.
Come quello delli boni amici dee esser comune tra loro.
La participazione di coloro che participano insieme
nel bene ^ nel male, ed in mercanzie ed in conversa-
mento tra loro sogliono essere cominciamento d* ami-
stade^ e secondo la quantità di queste cose cosi è la
quantità delPamistade, e quello ch'hanno gli amici dee
essere comune tra loro, però che l'amistà si è una cosa
di comunitade , e ciascuna cosa di comunità desi-
dera cose simiglianti a concupiscenza, e però si fóndo
le solennitadi delie pasque ed oblazioni ed offèrte del-
la cittade, acciò che di queste cose nasca compagnia
ed amore intra li prossimi, dalla qual rosa procede ò-
nore ed esaltamento da messerDomenedioj esolean-
si fare nel tempo antico quelle solennitadi dopo la ri-
colta del grano e delle biade, per ciò che di quel tem-
po sono più acconci gli uomini ad aiutare amici ed a
rendere grazie a Dio de'beneficii ricevuti.
libro sesto. 65
Ca.pitolo XLIV.
* Delli tre principati.
•
Li principati sono tre. L^uno è principato di re.
L^ altro è principato delle comunitadi, e questo è ot-
timo in tra gli altri. Il terzo si è il principato del pa-
dre sopra i figliuoli. E ciascuno di questi prindpati lia
il suo contrario ^ perciocché il principato del re si ha
lo suo contrario, cioè la signorìa del tiranno \ percioc-
ché il re e 'l tiranno soiio contrarii insieme. Che lo re
si pena di fare solamente quelle cose, (e quali sono
utili al popolo ch^ egli regge, e non quello ch^ é utile
a sé; e questo cotale si é veracemente re; e quando
lo re comincia a lasciare le udlitadì del [.opolo e in-
tendere alla sua, sì diviene del re tiranno, e così la
tirannia non è altro ohe corruzione di principato. E
simigliantemente li buoni, ovvero li grandi, quando
lasciano di curare le cose che son buone a loro, ac-
ciocché la loto signoria non esca della loro schiatta, e
non considerano lo loro onore, e il loro merito, e la
loro dignità, sì si muta lo loro principato al principa-
to della comunità \ e il principato della comunità sì si
corrompe per partirsi dall'uso delle leggi civili, le qua-
li sono buone e laudabili. E lo reggimento dell'uomo
alla sua famiglia si è simigliante al reggimento del re
al suo popolo, perciocché la conversazione del padre
alli suoi figliuoli sì è simigliante al re cogli uomini del
suo regno. E perciò si dice, che il principato del re
SI è principato del padre, e lo principato dei grandi
uomini. ovvero dei buoni, sì è principiato dei fratelli j
66 IL TESORO.
perciocché li fratelli non sono divisi insieme se non
per Tetade. E ciascuno di questi due modi di vivere,
cioè di signoria e di suggezione, sì ha la giustizia, se-
condo la misura della sua bonità, e delli buoni; per-
ciocché il signore, quand^ egli è buono di fare bene
alli suoi sudditi, ed é studioso di procurare lo ano
buono stato, si come il pastore é studioso delle sue
gregge. £ ha di£krenza tra la signoria del re e quella
del padre in questo, che 'l re é signore di più genti
che non è il padre; il padre è cagione d^ ingenerare li
suoi figliuoli e di nutrirli e di Castigarli. Dunque il pa-
dre è signore de^ suoi figliuoli naturalmente, ed aman-
si di grande amore, e però dee essere onorato d^ ono-
re il quale si conviene a lui. La giustizia di ciascuno è
secondo la quantità della sua virtude. Dunque a qusK
lunque é maggiore si si conviene più d' amore e d^o«
nore e di bene, che a ninno altro. L^ amore dei finati^
li è come quello di compgni, però eh' elli sono 'gra-
nuli insieme e hanno similitudine di passione. Ove so-
pravviene tirannia lo signore e M subditcT hanno rela-
zione insieme, sì come Parlìfice e'I suo strumento, e si
come il corpo e V anima. £ colui che usa lo strumen-
to sì si fa prode con esso, però Fama; ma lo strumen-
to non ama colui che V usa, e simlgliantemente lo cor-
po non ama F anima ; lo strumento si è come il servo
lo quale non ama lo signore. Lo padre ama il figliuolo,
il figliuolo il padre, però che V uno è £atto delP altro;
ma V amore del padre si è più forte che quello del fi-
gliuolo, e la ragione sì è che '1 padre conosce essere di
lui vie via che gli é nato; ma lo figliuolo non cognosce
il padre per padre se non di grande tempo poi, cioè
LIBRO SESTOw 67
(yaaoclo U seaui sono compiuti, e là discrezione con-
forta. Ancora cheU padre ama il figliuolo come se, ma.
il figliuolo il padre sì come cosa ulta da lui. Li Oratel-
li s^ amano insieme si come coloro che sono nati d^un
principio, e perciò si dice che li fi^telli sono nati da
una ereditade e sono una cosa, addivegoa ch'eUi sieuo
{nriiti^ è quello clie conferma V amore tra fratelli si è
che sooo nutriti insieme e conversati, e sono d^una e^
tade..
Capitolo XLV.
Deir amore che V uomo ha con Dio.-
Lo amore che Tuomo ha con Dio e V amore che
ìhaomp ha al padre si è d^una natura, però che ciascu-
no di questi amori è per ricordamento di grazia^ ma
r amore di Dio dee passare V amore del padre, che 'i
beneficio che V uomo ha da Dio è maggiore e più nor
bile che quello c^ ha ricevuto dal padre. L^ amistà de^
parenti e delti amici e delli vicini e delli strani si è mag-r
giore e minore secondo la diversità della cagione, per
la quale Tuomo vole bene V uno alP altro ^ però che
quelli che sono nutricati insieme e disciplinati e d'un
lungo tempo conversati insieme, sì si vogliono grande
bene. L'amore lo quale è tra la moglie e'I marito si è
amore naturale e più antico amore che non è quel de'
cittadini intra loro^ ed in questo amore è grande uti-
litade, però che l' operazione dell' uomo si è diversa da
quella della femina, e quello che non può (are l' uno
si & l' altro, e così si compie il loro bisognamento. Li
figliuoli sono legame lo quale lega la moglie col marito
•<>
68 -IL TESORO.
in uno amore, però che 'I figliuolo si è comune bene
d^amendui
Capitolo XLVI.
' Come Pamore è comunicazione intra li amici.
La comunicazione si congiunge li buoni in uno a-
more per cagione di virtude, li quali veramente s* a-
mano insieme^ e non è tra loro calogna niuna, né Con-
tenzione, né volontà di vincere V uno V altro, se non
solamente in servire, però che grande allegrezza è all'uo-
mo quando ha fatto servigio all' amico suo^ono «mi-
sta le quali son dette questionali, e queste amista sono
negli uomini che ricevono servigio P uno dall'altro, e
hanno intra l'uno e l'altro grande accusamento, e dice
l' uno all'altro io t'ho fatto cotale servigio e non ho ri-
* cevuto cambio veruno; cotale amistà può poco durare,
L' amistà è' simile alla giustizia, onde secondo che k
giustizia è in due modi, cioè naturale e legale, e così è
in due modi l'amistà, cioè naturale e legale; e lega-
le è delta quell' nmistade eh' è particnlare e mer-
cimutale, sì come quella che sta pure in dare e in
ricevere manualmente senza dimoranza. Ma vi sono
molti uomini alli quali piace il bene e la cosa conve-
nevole, ma tuttavia lasciano il buono e prendono quel-
lo eh' è utile. Cosa buona è fare ad altrui senza spe-
ranza d' avere cambio, ma utile si è fare altrui con i-
speranza d'avere maggiore guiderdone; e questo ser-
vigli) è quello che l'uomo fa a colui eh' è polente di
rendere guiderdone e cambio del servigio fatto.
luro sesto. 69
Capitolo XLVII.
Deir amore che dee essere tra gli uomini.
Lo amore è pregio di vìrtude e mercede dì rice^u-
to beneficio. Il guadagno è suvvenimento di indigenza.
£ gli uomini maggiori debbono dare a'mioorì guadagno,
e^ minori debbono fare ai maggiori onore e reyerenza ^
e questo dee essere secondo li meriti d' amendui : io
questo modo si conservano le amistà. £ li onori li qua-
li P.uomo dee fare a Domenedio ed al suo padre nou
sono simiglianti alli altri onori ^ però che non può Tuo-
mo sufficientemente rendere onore a Domenedio ed
al suo padre, addivegna ch^egli si sforzi quanto puote.
Il convenevole agguagliamento si è agguagliare le spe-
cie delPamistà che sono diverse, sì come addiviene negli
ordinamenti delle cittadi, che '1 calzolaio vende i suoi
calzari secondo che vole, e simiglìantemente degli al-
tri artefici intra loro, ed una cosa amata per la quale si
agguaglia e conferma mercatanzia, cioè oro ed ariento.
Quando lo amico ama la .sua amica per dilettazione, e
quella ama lui per utilità, non ama V uno V altro per
diritto bene; colale amore tosto si disparte, ed ogni a-
mistà eh' è per cosa lieve, tosto si disparte 5 ma ìe ra-
gioni che sono ferme e forti &nno lungo tempo du-
rare r amistà, che per la virtude e per lo bene basta
lungo tempo. Però che la virtù non si puote lievemen-
te rimutare, ma V utile si disparte quando Tutilitade è
tolta di mezzo. L'uomo che canta per guadagnare se
V uomo li rendesse cantare per cantare non sarebbe
contento, però-ch' e' si aspetta d' avere altro guider-
JO IL TBSOBO.
done. Dunque dod sm concordia nelle meccataoBÌe, se
non t' ha concordia di Tolontade^ la qua! cosa addi*
Tiene qoando Fuomo riceve per quello che dà quel*
lo ch^ egli Tole. E talora è, che per quello che Pnonio
dii noo Tole se non onore e rìrerenza, à come fìcea
Pitagora, lo quale da^sooi discepoli per cagione di dol«»
Irina non yolea se non onore e riverenai; e tdkm è
che per cagione di dottrina Tok Tuomo danari, sleo-f
me addiviene ndrarti meccaniche; ma non è eoa in fi*
losofia ; però colui ch^insegna altrui sapere si dee noe*
vere dalli suoi discepoli onore e soggezione si come
padre e signore. Bisogno è che V uomo cognosca b
dignità degli uomini, acciò che ciascuno uomo possa
vendere onore secondo il suo debito^ e però altro obo-i
re dee fere V uomo al padre, altro al popolo, ed altro
al signore dell* oste, ed altro al compagno, od altro ai
Ticini, ed altro alli strani. L'uomo il quale usa frode
nell' amistà è peggio che colui che usa frode oell' oro
e nell' argento; che tanto quanto T amistà è più pre«
ziosa delPoro e delPargento, tanto peggiore è colui che
frodi damista, di colui che frodi V oro e T argento. £
cosi come M Mso danaio tosto si rompe, così la fìlsa a-
mbtà tosto si disparte.
Capitolo XLVIII.
Come Domenedio è partitore de^ beni.
• . --
Lo eguale partitore de' beni si è Domenedio, lo qua-
le dà a ciascuno secondo che la sua natura è acconcia
a ricevere. L' uomo eh' è buono si diletta in sé mede-
simo avendo allegrezza delle buone operazioni;. e &'•-
LIBMO SESTO. 7I
^i è bncxio molto allegrasi ocm V upko suo, lo qnalo
egli tiene come un altro sé ^ mail reo fii^ dalle buo-
ne e nobili operaiioiii. E scegli è moko reo sa fogge da
aè medesinio, però che quando sta solo à il riprende
fl rìoordaniento delle male opere ch^ egli ha fiitte, o&
orna sé né altmi, per dò che la natura del bene è tolta
mortificata in lui nel proibodo della iniquità^ né non
li diletta pienamente nel male ch'egli &, però che la
BBtnn del bene si trae alla dilettazione, ed è diriso ia
•è medesimo, ed imperò è in peipetna &tÌGa ed angustia
e pieno d'amaritudine, ed è ebbro di sonora e di di^
venitiu Dunque a qudib cotale uomo nearano puole
easere amico, però die Tamico dee a^ere in sé con
d' amare, e questo cotale ha in sé tanta miierìa, clv(^
non è rimedio, niono eh' egli possa Tenire a felìdtadÀ
Dunque nnllo-uoino caglia in questo pdago d'iniqui-»
tade; ansi si dee sforare di yenire a fiue <£ bonlè, pev
la quale egli abbia dilettazione edallegrena in sé me-*
desimo. Looonfortamenlo non è amistà, addivegna che
la somigli. Lo comiDciamento dell'amistà si è dilelta-
«ione aTuta dinanzi, ^ come l' amistà d'una femina del*
la quale l' nomo ha dUellazione, e si è legame ddl'a*
mislade e seguitala ioseparabilmente.
Capitolo XXJX.
Onde procede il conforto.
La disposizione delb quale procede lo confiurta-
mento puote essere amistade per similitudine insino a
tanto che piglia accresdmento per usanza di tempo ^ e
l' uffido di confortare s' appartiene a colui che ha in
7 4 IL TESORO.
animo ed un sangue, e tutte le loro cose sono co-
uiuiii egualmente, sì come il naso alla &ccia, il ginoc-.
chio alla gamba, il dito alla mano, e però dee P uomo
amare P amico suo, però che amando lui ama se 3 e
debbelo amare non per onore o per dilettazione fibr-
porale, anzi per verace amore di virtù ^ e V uomo lo
quale ama V amico suo in questo modo è verace a-
mico, e sopportalo e con pecunia e con tutte pos-
sessioni e con la vita del corpo se bisogna. Lo com-
pimento della felicità umana si è in acquistare amici,
però che niuno uomo vorrebbe avere tutti i beni del
mondo per vivere solo. Dunque V uomo felice ha bi-
sogno d'amici a cui egli faccia bene e coi quali egli
comunichi V' uso della sua felicitade, però che naturai
cosa è air uomo vivere cittadinescamente, e necessa-
ria cosa è alPuomo compire i suoi bisogni e le sue
necessitadi per li suoi vicini e per li suoi amici le qua-
li egli non può compire per sé. Il fare bene è in tutti
modi cosa nobile e dilettevole^ e gli eletti virinosi
li quali ÙLuno bene sono pochi ^ ma li utili e dilet-
tevoli sono molti. Li amici che sono per dilettazione
debbono essere pochi, però clr egli debbono essere si
come condimento del cibo; ma T amico virtuoso non
può essere se non è uno, sì come non può l'uomo
avere più che una amica la quale egli ami verace-
mente, però che quello amore è per sopr' abbondanza,
lo quale si con vene ad un solo, ma convenevolezza e
consiglio ed onestade si dee ad ogni uomo per debi-
to di virlude. L^uomo ha bisogno d' amici nel tempo
della prosperità e delP avversità : nella prosperità ac-
ciò che comunichi con loro il suo bene ed abbia eoa
LIBRO SESTO. j!}
loro TÌla ed allegrezza, acciò che diventino gli nomini
migliorì l'uno per l'altro; nell'avversità, acciò che
l' uomo dall'amico sia sovvenuto e consigliato.
Capitolo LI.
Come la dilettazione è naturale.
-• La dilettazione si è naia e nutricata con noi dal
cominciamento della nostra natura, però dee l' uomo
ammaestrare li garzoni insino dal cominciamento di di-
lettarsi nelle cose che si conviene e nelle opposite si-
migliantemente attristare, però che questo è uno fon-
damento della virtù morale, e nello procèsso si co-
gnosce e si cresce la beatitudine della vita, però che
quando l' uomo si diletta nella cosa sì la elegge, e
quando se ne contrista sì la fugge. E sono uomini li
quali sono servi delle dilettazioni, e però le loro di-
lettazioni sono distrutte al contrariò di quello eh' el-
li debbono. Li uomini li quali vituperano le dilet-
tazioni e fannole, dicono contra di loro «nimo, e non
dicono male di loro secondo la virtù te, perchè le pa-
role vere sì giovano sempre ed a migliorì li costumi
che la vita migliore; e l'operazione si adopera più
che non & la parola, e però l' uomo buono* sì informa
la Tita sua di buone parole e di buone opere. La co-
sa eh' è disiderata per se medesima si è ottima, e la
trìsta. si è ria, però eh"' ella è conlrarìa alla dilettazio-
ne. Ed anche ogni cosa è buona la quale aiuta V al-
tra e falla buono, ma la dilettazione sì aiuta le altre
cose e falle migliori. Dunque è ella buona. Platohe
disse, che la dilettazione non era biiona, e forse che
yCì n, TESORO,
non disse vero, pero che in ciascana còsst è natorai-
iiiente alcuna cosa di bene, dunque nella dilettazìooe
o alcuna cosa di bene. Impossìbile cosa è che V uno
l)ene sìa contrario alF altro, ed impossìbile è che To-
no male non sia contrario air altro, ed amendai sood
da fiiggìn*. Ma due beni non sono contrarii insieme,
an/.i sqn simiglìanti,'ed amendui sono da eleggere 3 ma
l>enc può essere T uno meglio delP altro, sì còme Fa-
no uomo può essere più savio che V altro e più gin-»
sto. La dileltatione non è movimento, però che cia-
scuna cosa che si può movere ha tardamente ed af*
frctlamento, ma le cose relative non hanno movi-
mento per sé. Dunque la dilettazione non è movi-
mento.
Capitolo LII.
Della dilettazione sensibile ed intellettuale.
La dilettazione o essa è sensibile o intellettoale^ e
cola dov' è il sentimento ivi è la dilettazione. I>nn-
que è mestiero che questa dilettazione sia nelP anima
sensibile. E colà dov^ è lo intelletto si è V operazio-
ne sensibile, dunque è bisogno che questa dilettazio-
ne sia nelP anima intellettuale. E spesse volte innanzi
alla dilettazione sensibile si è tristezza, sì come dinan-«
zi alla dilettazione dello mangiare Tuomo ha fame, e
dinanzi alla dilettazione del bere V uomo sì ha sete ;
ma dinanzi alla dilettazione delPudire o del vedere o
dello odorare non ha tristizia, simigliantemente in tut*
te le cose delle dilettazioni intellettuali. Le cose di-
lettevoli agli uomini che hanno la natura perversa non
sono da dire dilettevoli secondo la vcriiade ^ sì come
moto SESTO. 77
le cose che paiono amare a^P iofemn ooa sono da dire
amare secondo la Teritade, cosi di ciascuna operazio-
ne^ sì come r nomo giusto si diletta nelF operazio-
ne della giustizia, e Puomo savio nelP opera delia sa-
pienza 5 ciascuno si diletta deli^ operazione nella quale
egli si diletta, però che la dilettazione ùl ben &re tutte
le sue operazioni. Là dilettazbne si è compiuta forma,
la quale non ha bisogno al suo compimento né di tem-
po) uè di moTunento^ cioè che ninno movimento non
è òompiuto secondo la sua forma nel tempo, ma coni**
pwsi inora del tempo, s^^li non fosse movimento cir-:
calare. La dilettazione sensibile si è secondo la quan-
titade del s^ntkoento e nelk \K)sa cbe sente e nella
ounperazione tra V uno e V altro. Dunque quando il
sentimento è forte, e le cose che si sentono sono più
dilettevoli 3 quindi sì lascia forte dilettamento, però
che k bontà delP operazione si è nella fortezza della
cosa che fk e nel cominciamento della cosa che pa-
tisce.
V Capitolo LEO.
Della più diletteToIe dilettazione.
•
La più dilettevole dilettazione che sia si è quella
la quale è più compiuta e più perfetta, e quella la
quale compie tutte le dilettazioni delPuomo. E tanto
dura la dilettazione delPuomo quanto dura la virtù del-
la cosa per la quale Puomo si diletta, sì come addiviene
del giovane quando egli ha le cose che gli piacciono,
e però non possono bastare le dilettazioni dell^uomo
ch^elle non vegnano meno, sì come addiviene nella vec-
chiezza, però che gli viene meno la virtude. L' uomo
78 IL TESORO. !
che disidera vita disidera dilettazioDe, però che la di-
lettazione si compie della vita. La dilettazione intelli-
gibile si è diversa dalla sensibile, e ciascuna diletta-
zione multiplica e cresce la sua operazione, e per que-
sto modo sono moltiplicate le arti e le scienze, per-
chè r uomo si diletta in esse. Ma sono dilettazioni
ìT operazioni le quali impediscono alquanto le altre
dilettazioni ovvero operazioni, sì come P uomo che
si diletta in ceterare tantoiche li escono di mente le al-
tre operazioni le quali egli ha per mano. La diletta-
zione la quale è nelle nobili operazioni si è nobile, ed
è mollo da seguitare^ e quella ch^è nelle vili è vile
ed è da non seguirla. Quelle dilettazioni sono diver-
se in genere le quali sono nelle operazioni diverse
in genere, sì come la dilettazione intellettuale e sen*«
sibile; e quelle dilettazioni sono di diverse specie le
quali sono nelle operazioni di diverse specie, sì co-
me quelle del viso e del tatto. Ciascuno animale lia
la dilettazione nella quale egli si diletta ; ed in tutte
le altre dilettazioni la intellettuale è la più dilettevole^
però dissero li antichi che questa è più nobile tra
le altre dilettazioni che non è l'oro^tra gli altri metal-
li. Secondo la diversità degli uomini sono diverse le
loro dilettazioni^ ma quella e verace la qual pare al
buono uomo ed al diritto e non al vizioso, sì come
quella cosa è da dire dolce ed iimai^a la quale pare
air uomo sano e non alP infermo.
LIfcftO SESTO. 79
i.
Capitolo LIV.
Come la beatitudine è compimento delle TÌrtudi*
Poi che nói a verno trattato della vìrtude e del di-
letto, *si conviene dire di felicità e di beatitadine, le
quali sono compimento d^ c^ni bene che Puomo ia^ e
questa felicità non è abito, anzi è atto al quale V uo-
mo intende di yenire per sé e per altro non, però che
la beatitudine si è cosa di fuori da sé; e Puomo lo qua-
le non ha assaggiata la dolcezza di questa beatitudine,
nella quale è il dilettamento dello intelletto delP uo-
mo, si rifugge alla dilettazione corporale della qua-
le egli ha prese P esperienze. £ non debbono essere
dette cotadi dilettazioni beatitudine, si come non sono
da eleggere le còse le qnaji eleggono li garzoni; quel-
la cosa è veracemente dilettevole la quale pare di-
lettevole al buono uomo. La felicità non è in gioco
né in operazione giocosa, anzi è in quelle cose che
s' hanno per studio e per fatica e per sollecitudine.
£ manifesta cosa dell^ uomo beato che s^afi&tica con
virtù nelle cose ordinate e non nelle cose focose; e
però è delto che P intelletto è più nobiflRosa che
non è il naso, però che M più nobile membro fa più
nobile operazione ; e P uomo lo quale è migliore si &
migliori opere, per la qual cosa è degno che la felir
cita sia operazione della più nobile virtude, la qual
è naturalmente propesila a tutte le cose che sono da-
te da Dio agli uomini; e non è altra felicità se non fer-
mezza di queste virtudi nelle sue operazioni. La più
perfetta dilettazione che sia si è nelP atto della feli-
8o IL TESOBO.
citade, e mirabili dilettazioni tono trovate nella filo-
so6a per la certezza e per la verilade la quale t»i tro-
va nella legge. E più saporosa dilettazione si è quella
che r ugmo ha quando sa la cosa, che quella quando
V uòmo si pensa di sapere. Dunque V operazione di
questa virtù si è ultima e suprema felicìtade. L'uomo
savio si ha bbogno delle cose necessarie alla vita sì
come un altro. E le virtù si bisognano nelle cose di
fuori, sì come giustizia e castità e fortezza, e le altre le
quali sono ordinate ad operazioni, però che la mate-
ria deir operazione si è di fuori ; ma P operazione del-
la sapienza ha dentro ciò che le fò bisogno^ ma tut-
tavia se Pnomo ha chi V aiuti, si adopera più perfet-^
tamenle ne^ suoi pensieri. Dunque questa felicitade
non è altro se non speranza di sapere e di pensare
La felicitade rappresenta battaglia per cagione di sa-
lute e di pace ^ e questo si pare manifestamente nelle
cittadi le quali fanno battaglie per avere pace e ri-
poso^ e così addiviene a tutte le altre virtudi di bat-
taglie che sempre intende V uomo ad alcuna cosa di
fuori, ma lo intelletto ispeculalivo sempre è in pace
ed in trajmuillitade, ma sì ha bisogno di spazio di vita,
però chMbn si conviene alla felicitade avere ninna
cosa imperfetta 5 e l' uomo quando viene a questo
grado di felicità non vive per vita d' uomo, ma vive
per quella cosa divina la quale è nell' uomo. Dunque
la vita che s' appartiene a quell' atto è vita divina ^
ma la vita che s'appartiene alPatlo dell'altre virtù
si è vita umana, però che non si conviene al buono
che la sua sollecitudine sia umana, e'I suo desiderio
non sia morale, avvegna che para così; anzi è tenuto
LIBRO SESTO. / 8l
<li sforzarsi d' essere inorale secondo la saa potenza, e
sempre si dee sforzare di TÌvere per la più nobile
vita eh' è in lui, però che avvegna che ('uomo sia pic-
ciolo di persona, è sopra posto a tutte le altre creatu-
re. Onde la più dilettevole vita che V uomo ha si è
per intellelto.
Capitolo LV.
' Della virtù morale, e delP nomo beato.
Le virtù morali, o vuoli le civili, sono in maggiore
turbazione ed in maggiore sollecitudine che le intellet*
Uiali, [)erò che la liberalità si ha bisogno di ricchezza ; e
r nomo giusto è a£&ticato da coloro che comandano la
giustizia, e simile è dell'uomo forte e dell' uomo casto;
ina le yirtù intellettuali non han bisogno per compi-
mento di loro operazioni di cose di fuori, anzi molte
^té gli uomini perfettissimi sono in queste viri udì
spediti delle cose di fuori; ma l' uomo lo quale non
puole pei'venire a questa perfezione di vita dee eleg-
gere modo da vivere, secondo il quale viva alla leg-
ge comunalmente, però che l'operazione dell' intelletto
speculativo si è fìne della vita dell'uomo, ed esempio
della verace beatitudine; ed è l'uomo assimigliato a
Dio ed a' suoi angioli; però che le altre operazioni non
sono degne d' assimìgliare a Dio ne alle cose celestia-
li. £ Iddio e' suoi angioli hanno nobilissima vita, e
però sono sempre in ottima speculazione, e però la
loro ispeculazione non si affatica e non viene meno ;
e l' uomo il quale si sforza più continuamente d' in-
tendere e di pensare a quelle cose si è più simiglian-
te a coloro die sono nella verace beatitudine.
8:? il tesoro.
Capitoix) LVI.
Del qpgnoscìinento delle rirtudi.
L^ uomo il quale è beato in questo mondo sì ha bn
sogno di moderato conducimento nelle cose di fuori,
[jerò che la nalura non diede a sufficienza dentro di
quelle cose, sì come sazietà di pane e di Tino e d' al-
tre cose che son bisogno alla vita delP uomo^ ma non
è bisogno però che sia signore del mare e- della terra.
E dei ancora vedere in quelli che sono in minore gra-
do di ricchezze, di questo sono più accorti d' esset>e
beati che non sono li signori dì queste cose. E pefrò
disse bene Anassagora, che felicità non è nelle ricchez-
ze e nelle signorie: il detto suo si è bene da ccederej
però che '1 <lelto di colui è d' allegare, le cui ppere
s' accordano col suo dire. L' uomo lo quale fa le sue
orazioni secondo P ubbidienza e T ordinazione dello
intelletto sì è amato da Dio. Se Domeuedio ha cura
delt^ uomo, la qual è degna cosa da credere, maggior
cura ha di quelli che più si sforzano d^assimigliarsi a
luì, e dà loro maggiore guiderdone, e dilettasi a loro,
cioè con loro come fa l' uno amico con V altro. Dun-
que secondo quel detto noi dovemo pensare che sia ab-
bastanza ad accattare felicitade solamente in sapere le
cose dette in questo libro delle viitudi ed amìsladi e
delP altre cose^ ma il compimento è nelle operazioni^
però che quella cosa che di sua natura è da esser fet-
ta, non basta solo a dirlo, ma è mestiero che si feccia,
ed in questo modo si compie la bontà dell' uomo.
lASAO SESTO. 85
. Capitolo LVII. ^
Anche di simigliante materia.
U eorioscìmeDto delle virtù €à V uomo, potente ad
aoimoiiire alle buone operazioni coloro ohe hanno bona
natura, e mutargli per ammonimenti a &r bene. Anche
la pena fa guardare da^vizii per paura d^esser punito;
però non si guardano da' TÌzii per amore delle virtù,
ma per la paura della pena, e non pensano bene non
ch^^li lo facciano, però che non è pussibUe che quel-
li che sono indurati neUa malizia, ch'elli si possano
^mreggef e per parole. E sono uomini che sono buoni
per dottrina, e quegli nomini chef sono buoni per na-
tura non rhanno da loro ma hannolo per grazia divi-
na, la quale è delta veracemente buona natura. Dun-
que V anima di colui eh' è vestita di bene ama diritto
ed odia il male, e Tammonimento geiiera in lei virtù,
sì come (a il seme eh' è seminalo in bona terra. Con-
viene a ciò che l'uomo abbia dal cominciamcnto buoni
costumi, e d'avere in usanza d'amore lo bene e d^avere
in odio il male; però dee essere il nutricamento da gar-
zone, secondo la nobil legge, ed usarli ad operazioni
di virtù, e questo dee essere per modo di continenza;
però che l' uso della continenza non è dilettevole a
molti uomini, e non si dee ritrattare la mano di ca-
stigare il fanciullo via via dopo la fanciullezza, anzi dee
durare insino al tempo che l' uomo è compiuto. E so-
no uomini li quali si possono correggere per parole; e
sono di quelli che non si possono correggere per pa-
•role, anzi è mestieri la pena : e sono altri che non si
84 IL TESORO.
correggono in nessuno di questi modi, e questi cotali
son da torre dì mezzo. Lo buono e nobile reggitore
della città fa buoni e nobili cittadini che osservano la
legge, e fanno l^opera ch'ella comanda; e sono avvei'*
sari a coloro che non osservano la legge e li suoi co*
mandamenti. In molte città è ito via via lo reggimento
degli uomini, perchè vivono dissolutamente e seguitano
le loro volontadi. Lo più convenevole reggimento che
sia, o che ponere si possa nella città, * sì è quello db^è
temperato provedimento io tal modo che si possa ot*»
servare, e non ò troppo grave, e quello il quale desi*
dera Puomo ch'egli osservi m se e ne' sucm figliuoli e
nelli amici suoi. Il buono ponitore della legge ^ì è qofK
lo il quale & regole universali, le quali sonodetemi*'
nate in questo Ubro, e sannole congiungere alle cose
parliculari le quali vengono infra le mani, però che a
ben ordinare la legge si è mestiero ragione ed etpe*
rienza, Qui finisce l'Etica di Aristotile.
85
ANNOTAZIONI AL LIBRO I^SSTO.
In questo libro, come ho ayreitito nella prefazione,
^ibi a scorta per le corresioni le due edizioni firent^
nft 1754*9 lionese i568 1 noto però le sole Tarianti dì
ipialche conto.
. Gap. ly pag. IO. Si come V uomo che saetia ha 'l
^%no per suo dtrù^zamerUa, ec.
Questa ieadone mi è data daU'ediùone fnrentina del
17545 le tre antiche avevano concordi P altra erro-
«lea: saetta al segnQ^ ee.
Cap. I, pag. IO. Però che non sono saw^^e noia
che^ec.
Anche qui fino a si dice mi sono giovato delP edi-
sdone 17545 le tre antiche avevano: però che non
sono savi dico in due modi. Ed, era pur acuto chi
giogneva ad inteodere!
Gap. IV, pag. 12. Nella quale participa V uomo
con gli arbori^ ec.
Così legge anche P edizione del 17545 hawi però
una noia a pie di pagina che reca la variante di un
codice della Mediceo-Laurenziana : comunica,
Cap. y, pag. l'ò, È simigliante di colui che sta
nel travilo a combattere^ ec
L^ edizione del i555, copiando quella del iSsS,
lui travolto. Ma tra^nio leggo ndl^ antichissima del
86 ANNOTAZIONI
colo XY, e nella moderoissima del XYII. E travUo
si registra dall' Alberti nel suo Dizionarìo*eon questo
esempio. La Crusca non ha né V uno, né Taltro, ben*
61 travata per: unione di trassi congegnati insieme
per riparo^ o per reggere gagliardamente checché
sia. Né voglio lasciar di notare a questo passo quan-
to sia preferibile la lezione della stampa adottata dal^
la Crusca, a quella del i754) che dà: cohU cheAtt^
nel tradito a combattere^ e vince quegli alla corom
della vittoria. Questo e alcun altro consionle paise
doveva rendere V editore men prodigo di vantameoti.
Cap. y, pag. i5. <5£ veggano e stiano intenti^ ec
f^eggino ha la citata, e forse può correggersi n^
gionevolmente con vegghino^ per vegghiare. Veg-
gano ha r edizione 1734.
Cap. y, pag. 16. Le opere di virtudi^ lo frutìo
delle quali si èjelicitade.
Cosi Pedìzione 17549 la citata ha le quali è ilpre^
ziosojruttoy che esce della Jelicitade ,• quella del se-
colo Xy,iZ quale, e quella del 1 528,/t> qualche cor-
rezione mi parve ragionevole.
Cap. yill, pag. 1 8. Ma le radici e 'l comincia^
mento, ec.
Cominciamento porta l'edizione 1734$ le tre an*
tiche invece hanno erroneamente: compimento.
Cap. yill, pag. 19. Ma prodezza si è a tenere
ec. ... come tu hai inteso nella prodezui.
Neir un luogo e nell' altro T edizione citata ha pru"
denza. Ma F errore si fa manifesto, oltreché dal seu-
fto, dal confronto colle anteriori edizioni. Prodezza
ha quella del i^y/^^ddi cui erroneamente deviò €JiìiA^
AL UBAO SBSTO. 87
]a del 1528 leggendo prodewba. La citata intese cor-
reggere quest^ ultima. Prode%TM ha pure la firentina
1754.
- Gap. Vm, pag. 1 9. Quivi ove è dajuggire e d^as--
taUrCy ec:
i^mXoJuggire, che calza cosi bene col precedente,
manca nelle tre edizioni antiche, e mi fu suggerito da
quella del 1734*
- CSap. IX, pag. 19. U abito lo quale è con snrtu--
dey e r abito lo quale, ec;
- i • Così la edizione 1 754* La citata, copiando le due
precedenti, ha: V àbito il quale è sema virtude^ ec.
LMnaTTertenza tipografica che ha cagionato Tominis-
sione è manifesta.
Gap. X, pag. 20. E chi non usa ragione, ec
• Così la edizione 17549 le tre antecedenti invece
erroneamente hanno; chi non v' ha ragione, ec.
Cap. X, pag. 20. E per tenere ragione si è detto, ec.
La edizione del 1764 ha dì più: disse Eraclito,
Gap. XIII, pag. 22. «Se dieci è troppo e lo sei è
poco, ec.
M^lio la firentina del 1734: se dieci è troppo e
lo due è poco, lo me7,zo si è sei, ec. Continua poi que^
sta edizione con allargare d^ assai a parole il senti-
mento.
Cap. XIII, pag. 22. Con determinata ragione.
Così la firentina 1734* Le tre antiche hanno in-
vece F erroneo : o/u/e è terminata cagione,
' Cap. XIV, pag. 23. La liberalità e Vavarizia e la
prodigalità, ec.
: in luogo óì^ avanùa \a citata e le due antecedenti,
ftm cnxx« ««ideate, liHBio «vrà^ 2 oonDOBioolksoor-
Cafv. Xnr. £!•£. a5. £1 ffCKo si chiama parvaaa.
U edinroe del «roto XT In parviania^ f^
crmmi \es^ T ecfiooDe 1 7^4* ^ ^ s^onà stilo teotito
a sccoiiia. se h Omca imo dtasie quert!' tatofio
del /«Somalia xoct pantna^ %1Bj^cr pochaua,ìi
Bmsaacùù repstra la voce pan^fitaua fra qndfe di
9s^Mìeoen al Diiìonancy Ha noo reca eseDOpio alen-
ilo. Ndisi che Pcseinfiio del Tesoro è Panioo alle-
gato dalb Crusca a sostegno di questa ^rooe io àffir
6oalo di prtche^ui.
Gap. XIT. pa^. 23. Inetto in greco mdroeaiot.
L*edizioDe firentina ha Tstxt^;; OKglio «w^itL
Gap. XIV, psK:. 24. £ ^*^g^^ ^Jà per ttiik.
Così la firentiiia. La citata: e F uomo che soper^
chia in ciò s* egli lo fa per uiHe^ ec.
Cap. XIV, pag. 24. Detto in greco reoopies^ ec
La firentina: nc^ii/iw*.
Cap. XT, pag. 24. Onde se tu vuoli^ er.
Io questo perìodo due volte è ommesso lo meuo
nelle tre edizioni antiche, con evidente errore tipogra-
fico. Ce! rimisi, gioTandomi della firentina.
Cap. XY, pag. 25. Appartiene a ciascun uomOy
se non se solamente, ec.
Erroneamente le tre antiche : appartiene a ciascun
uomOf e debbasene brigare di prenderlo se non se
solamente. Il taglio è della edizione firentina.
Cap. XYI, pag. 26. £ queste cotali operavuh
ni, ec.
Qucfto perìodo, rìdotto come si vede, coUa scorta
AL LIBAO SEStO. 89
dell' edizione trentina, leggevasi nelle tre antìch# al
modo seguente : E queste cotali operazioni non sono
composte ad operazione volontaria che non e isfor-
zata. Forse invece di fòrza vorrebbesi leggere Jbr"
zata,
Cap. XVI5 pag. 27. ClfC egli è impossibile, ec.
Leggesi nelle citala, e conformemente nell'altre due
iSaS, 1474 • ^^* ^§^'' ^ impossibile che Vuomojut-
eia le sue volontadi buone, ossero le bone operazio-
ni, ec. Qui mi par trovare un poco grazioso ripieno,
e credetti che si dovesse attribuire alla perplessità del
traduttore, che forse non avrebbe lasciato a quel modo
il manuscrìtto, quando ne avéfese preseduto alla pub-
blicazione egli stesso. Gorreissi colla scoria della edi-
zione firentina.
Cap. XVI, pBg. 27. Perciocché la opinione, ec.
Qui ho seguito la firentina 5 ecco come questo pe-
riodo si legge nella edizione citata, conformemente
alle due antecedenti iSaS, i^y/^: però che la ele-
zione va dinanzi alP operazione, e V operazione va
addietro. Ed è detto V uomo buono e reo per V ope-
razione, che per la elezione non è detto né buono,
né reo,
Cap. XVI, pag. 28. Lo medico non si consiglia, ec.
Il non è della edizione 1474 5 quella del 1628
r ommìse, e la citala le si accompagnò nell' errore.
Cap. XVI, pag. 28, Le cose, le quali V uomo fa
per gli suoi amici, sì leja per sé.
Così la fìréhlina. EiToneamente le tre antiche: o
per loro amici se Ja per se. Solo che nella i474 **
ha di più : silieja per 56, indizio del mancamento.
QO AMNOTAZIONI
Cap. XVI, pag. 29. Onde sejhre lo bene, ec. .. .
l£d addiviene, ec.
Questi due periodi, opportuDemente separati ndla
edizione citala, si hanno congiunti nella fìrentina d€l
1734. E ne fo ricordo affinchè sempre più si vegga
come a dare un' esatta lezione del Tesoro non è pds*
sibile attenersi esclusivamente a nessuna edizione dd^
\& finora comparse. v *
Cap. XVI, pag. 5i. iVe non al suo cominciamento.
Questa lezione è do\iita all' edizione lionese per
Giovanni de Tornes, i568 (Vedi la prefazione). La
citata e consorti hanno: sì non è al suo cominciamene*
fo. La fìrentina finisce a volontà delV uomo.
Cap. XVII, pag. 3i. Dico che fortezza si e...
mezzo tra la paura e Vardìmento.
Erroneamente nella citata : dico che fortezza si è ,,.
che in mezzo tra la paura^ ec. La correzione è del-
l' edizione fìrentina, a cui corrisponde, come quasi
sempre, la lionese.
Cap. XVII, pag. 3i. Sono d'una materia, ec
Così la citata. La fìrentina ha : maniera.
Cap. XVII, pag. 32. Grandi ordinamenti.
Cosi la citata. La fìrentina e la lionese : ardimenti.
Cap. XVIII, pag. 33. Ne' quali noi comunichia-*
mo con li animali^ ec.
Nella citata cominciamo^ ma comunichiamo hanno
d'accordo le due antecedenti i528, i^y/\.
Cap. XVIII, pag. 34. Tal fiala, ec.
Notabile è la variante che danno concordi la lio-
nese e la fìrentina : tal fiata è V uomo intemperato
e incasto, perch* egli s'attrista pia die non dee,
ÀI. LIBRO SESTO. 9I
quand'egli non puote avere la cosa ch'egli desi-
dera.
Gap. Xyni^pag. 54* iS'e l'uomo si lascia vincere^
la ragione rimane di sotto^ ec. ' .
Cosi la lionese e la fìrentioa. Ma la citata ha erro-
neamente: se V uomo si lascia vincere alla ragione
rimane di sotto. Corretta quella del i474'
Cap. XIX5 pag. 55. Acciò che possa fore a màltìn
Sovvenire^ in luogo àìjarey haono concordi la lio-
nese e la firentina. Ma non toIU scostarmi dalla cita-
ta. Tanto più che un modo consimile di dire si legge
nel capitolo seguente: lo magnifico non pensa soìa-^
mente delle sue spese ^ ma egli pensa anche di fare
altrui,
Cap. XIX, pag. 36. JS ritenere giuoco,
À questo passo soggiungono la lionese e la firenti-
na : e di questa maniera sono gli grandi uomini,
che guastano le cittadi e rubano le chiese^ e simi-
gliantemenfe i ruhatori di strada,
Cap. XX, pag. 58. Ed è pigro nelle piccole spe--
se^ ma nelle cose ove sian grandi onori^ ec.
Le tre antiche edizioni erroneamente hanno pegno
in luogo di pigro ^ e in cambio di ove sian hanno che
s'Iva. L'uno e l'altro errore fu corretto colla scorta
della edizione 1754.
Cap. XX, pag. 38. £ tiene bene a mente, ec.
Jl niente ha l'edizione 1754? e così nel^esto pro-
cede alquanto diversa dalla citata, in modo però ria
non meritare, almeno per mio avviso, di essere pre-
ferita.
Cap. XX, pag. 59. Ma non sono ìndio rei.
(/3 ANNOTAZIONI
Moltiy le Ire antiche. Ho seguito il molto della lio-
nese e della firentina.
Gap. XXII9 pag. 4i. NelV amistà per necessitade
si è amore^ ec.
Così ha r edizione Brentina. La citata, e le altre
due antecedenti, hanno invece : che V amistà convie-
ne avere compassione ed umile coraggio^ la conver-
sazione no.
Gap. XXn, pag. ^1, Esser detto discordevole.
Gosi la firentina. La citata e consorti : discredevole.
Gap. XXIII, pag,' ^i, L* uomo verace si è gue-
gliy ec.
Intralciata è la prima parte di questo perìodo: la
lasciai come nella citata, non avendo trovato modo a
correggere con sicurezza. Preferirei la lezione lionese :
/' uomo verace si è quegli che tiene mezzo in tra lo
vantatore che si vanta e mostrasi di fare grandijat-
ti, e grande dicesi più ch'egli non e, e in tra lo disr
pregiato e V umile, lo quale, ec.
Goncorda a questa, con tenue diversità, la firentina.
Gap. XXX, pag. 5o. E di soperchio, o grandi.
Gosi la firentina. Erroneamente le tre antiche: e le
soperchia o grandi.
Gap. XXXV, pag. 55. Efuore di volontà.
La lionese e la firentina, in luogo àìfuore, hanno
furore.
Gap. X^XVI, pag, 55. Migliore che non è V os-
simele, ec,
. Gosi la lionese e la firentina. Ridicolosameute nelle
tre antiche, in luogo di V ossimele, si legge : lo si-
mile.
Ah LIBRO SESTO. 9 5
Gap. XXX VI5 pag. 55. U uomo giusto piW per
vita divina.
Così l'edizioni lionese e firentìna^ le più antiche:
vive per vita di vita.
Gap. XXXVIII5 pag. 59. Si lasciano vincere alla
concupiscenza^ ec.
Cosi la citata. Invece la firentina : alle concupiscen^
ze piccole.
Gap. XL5 pag. 61. IjO terzo modo è delV uomo
che del bene e del male sì parte leggiermente.
La firentina ha: è dell'uomo ch'èjermo nel bene
e dal male si parte», ec.
Gap. XL, pag. 61. Però die nelVuomo lascivo^ ec.
Così la firentina. La citata ha : V uomo.
Gap. XLI, pag. 62. E più agevole a cadere^ ec.
Così la firentina 5 la citata : più eguale.
Cap. XLI, pag 62. Però che di due persone.
Il di manca nella citala, lo ha per altro V edizione
1474.
Gap. XLII, pag. 65. E non quello eh' è cola-
le^ ec.
Ho seguito redizione lionese. La citata mi dava : e
quello eh' è cotale secondo la verità ama quelli che
li pare.
Gap. XLII, pag. 63. Manifestare retribu.zione.
La citata ha : Manifestare le tribulazioni. La firen-
tina invece: manifesta retribuzione.
Gap. XLII, pag. 63. E coloro che s'amano^ ec.
Quanto ci ha fi:a questo primo amano e il secondo
iridi a una riga ce lo posi colla scotta delP edizio-
ne firentina 9 la citata aveva soltanto : s' amano insie"
94 ANNOTAZIONI
me veracemente amano^ ec. Lezione evidentemente
monca.
Cap. XLII, pag. 63. Si è amistà divina^ ec.
Così la firentinaj la citata : si è via.
Cap. XLII, pag. 64. Ma se fosse molto lungo ^ ec.
Così la fìrentina 5 la citata : e non starebbe sefos-
sero molto di lungi. *
Cap. XLIV, pag. 65. -£ ciascuno di questi prin-
cipati ha il suo contrario^ ec.
Qui le tre antiche edizioni hanno una lacuna mol-
to notabile, che ho potuto empire colla scorta delle
edizioni lionese e fìrentina. Dicono adunque quelle tre
dopo il suo contrario : però che il signore sforza li
suoi sudditi diforebene^ ed è studioso di procura-
rcy ec. Di che vedi a pag. 66 della noslra edizione.
Cap. XLI V5 pag. 66. Lo signore e 'Z subdito han-
no relazione insieme^ ec.
Così la fìrentina. La citata e consorti hanno inve-
ce : religione. E anche F ortografìa è molto guasta.
Cap. XLVI5 pag. 68. JS hanno infra l'uno e Val-
trOy ec.
L' uno è aggiunto colla scorta dell' edizione fìren-
tina 5 le tre antiche ne sono mancanti.
Cap. XLVII5 pag. 69. Lo amore è pregio di vir-
tude^ ec.
La fìrentina invece (V amore ha enore ^ male, par-
mi. La stessa sconvenienza si trova nella lionese.
Cap. XLIX5 pag. 7 1 . La disposizione della qua-
le procede^ ec.
Così la fìrentina. En'oneamente quella del secolo
XV, e le due seguaci hanno invece : disperazione.
AL LIBRO SESTO. ^ 9 5
Gap. LI, pag. y5. Al contrario di quello^ ec.
Così la firentina. Le Ire antiche, a cohtra Dio^ ed
è facile l' intendere, che si voleva dire al contradio,
come usarono talvolta gli antichi.
Gap. LII, pag. 77. Ninno movimento non è com-
piuto secondo la sua forma nel tempo^ ec.
Il non è compiuto è aggiunto colla scorta dell' edi-
zione fìrentina. Le tre antiche ne sono mancanti.
Gap. LII, pag. 77. Quindi si lascia^ ec.
Le tre antiche edizioni hanno quando. Quindi è
della fìrentina.
Gap. LUI, pag. 78. La quale pare alV uomo sa-
no, ec.
La quale pare è giunta fatta alle tre antiche edizio^
ni colla scorta della firentlDa.
Gap. LIV, pag. 79. JE non nelle cose giocose.
Il non è della edizione fìrentina. Le tre antiche lo
hanno erroneamente ommesso.
Gap. LV, pag. 81. Si è fine della i>ita dell' uo-
mo, ed esempio, ec.
Così la firentina. Ecco come ci danno questo passo
le tre antiche edizioni : si è infine. Dà V uomo esem-
pio, ec.
Gap. LVI, pag. 82. Non diede a siifflcienza, ec.
Così la fìrentina. Le tre edizioni antiche, in luogo
di diede, hai) no dee.
Gap. LVII, pag. 83. £ V ammonimento genera
in lei virtù, sì come fa il seme eh' è seminato in bona
terra. Conviene a ciò che V uomo, ec.
Così la fìrentina. Molto diversamente la edizione
citata, e le due consorti : o movimento genera in lei
gG AimÒTAZioin .
virtù^ sì comeja il seme cK è seminalo in bona ter-
ra^ acciò che V uomo, ec. E cosi nel resto del perio-
do sonovi cambiamenti notabili, che lo peggforaDO da
quello ch^ esso è presentemente.
Gap. LVn, pag. 84. -^ coloro che non osseTwi-
no la legge e li suoi comandamenti.
A coloro manca nelP edizione citata e consorti^ si
trova neir edizione firentina. In questa poi, per cohh
penso, manca : addwegna cW egli facciano bene.
Gap. LYIl, pag. 84. // hwmo ponitore della leg-
ge, ec. •
La citata ha punitore, ma erroneamente, copiando
r edizione del 1628. La lezione genuina da me scelta
è delP edizione più antica, i474- ^ ^i^ questa una
delle molte pruove che la citata ricopiò Pantecedente,
poco, e forse nulla, badando a quella del secolo XY.
97
LIBRO Settimo. •
Capitolo J.
Qui comincia li ammaestramenti delli rizii e delle virtudi
del Tesoro.
A,
-ppresso che '1 maestro ebbe messo in iscritto il
libro dell'Etica d' Aristotile, eh' è quasi fondameal o
di questo libro, vuole egli seguitare la sua materia su li
insegnamenti delle moralitadi per meglio dischiarare
li detti d'Aristotile 5 secondo che 1' uomo trova per
molti savi: che tanto quanto l' uomo ammassa ed ag-
giunge più di buone cose insieme, tanto cresce quello
bene ed è di maggiore valuta. E ciò è per l'opera che
tutte le arti e tutte le opere ciascuna vuole alcuno bene:
ma secondo che le operazioni sono diverse, così son al-
cuni beni diversi, che ciascuna cosa richiede lo suo bene
che è proveduto al suo fìne. E tra tanti beni quello è
più nobile di tutti che richiede più bontà ed ha mag-
giore valore. Che così come l' uomo ha la signoria di
tutte le creature, così l'umana compagnia non può esser
'altro che d'uomo^ e così è di tutti gli uomini ch'egli sono
sopra ad altrui o egli sono sotto altrui 3 e così come
tutte le creature son signoreggiate dall' uomo, così o-
gni uòmo è signoreggiato dall' uomo, che'l signore ò
Latitti, Foh IL 6
98 IL TESORO.
per guardare i suoi beni, ed ellì^ono per ubbidire al
loro signore ; e l' un e V altro cresce a profiUo del-
la comune compagnia di gente senza torto e senza
onta. E già addiviene che Tuomo è chierico, donde
mostra la religione e la fede di Gesù Cristo e la glo-
ria de'buoni e l'inferno deVeij l'altro è giudice, o me*
dico^ o altro maestro di chieiicìa, e l'altro è laico, che
fa 1' uno la magione, 9 1' altro lavora la terra per suo
frutto, e l'altro è fabbro o cordovaniere o d'altro me-
stieri che sìa. Io dico eh' elli sono tutti Tolonterosi a
quel bene che appartiene alla paziebza comune de-
gli uomini e delle cittadi, perche elli appartiene qoel
bene dove intende. II governatore degli altri è più no-
bile e più onorevole degli altri, che elli dirizza tutti^e
tutti sono per .dirizzare lui.
• a
Capitolo II.
Delle maniere di beni.
Dall' altra parte egli sono tre maniere di beni. Una
dell' anima, ed una del corpo, ed un' altra di ventu-
ra 3 ma sì come l' anima è la più nobile parte dell'oo-
mo che gli dona vita e conoscenza e memoria, secón*'
do che'l maestro disse nel primo libro del sapore
dell'anima, così sono questi beni sopra tutti gli altrt^
che ciascuno ufficio ha in sé la natura di suo mestie**
ri. Aristotile dice, ch^egli è nèll' anima due potenze.
Una eh' è senza ragione, e questa è comune a tcftti
li animali. Ed un'alti:a per ragione, eh' è nello ioten-»
dimento dell'uomo in cui è la potenza della Tolootà^
che può esser chiamata ragionevole tanto com'ella è
LIBBO SETTIMa 99
«bliìdieD'te fldk ragione. Dairaltra parte o egli è onesto
m^egfi èprofittabOe o egli è nel mezzo luogo dell' u-
no- e édH^ akro; ma come che si sia, o il bene è desi-
tevlo per sé medesimo o egli^è desiderato per altra
cosa <iie per lui^ che ciascuno desidera la virtù per a-«
vere beatitudine, cioè l'onore e la gloria che esce del-
le virbfdi e delle opere virtuose, ed è la fìne il com-
punente perciiè Tuomo opera le opere di virtude^ ma
qnella beatiladine non è desiderata per altro fine che
per fiè medesimo; ma quella non è già compiuta per
vdk»tà solamente, anzi conviene ch'ella abbi compi-
OMOto d' opera dopo la buona volontà, che si coma
qHegU die h opere di castità contro al suo volere noa
dee «ssefe contato casto, cosi non perviene V uomo a
beatitodine per opere di virtù che faccia contro al suo
grado ^ così quegli che tiene sua volontade senza fre-
no di fagione vive a modo di bestia senza virtù.
Capitolo III.
Come YÌitude è migliore bene di tutti.
Per questo e per molte altre ragioni pare chiara-
mente che intra tutte le maniere di bene, quello ch'è
onesto è migliore, si come colui che governa e man-
tiene vita onorevole; che virtù ed onestà sono una
medesima cosa che noi allieva per sua dignità. Tullio
dice, che virtù è si graziosa cosa che nullo reo può
soffrire di lodare le migliori cose, però dee 1' uomo
■scegliere ed imprendere virtudi. E per lo compimen-
to della ragione dee V uomo di<%pregiare ciascuna cosa
tanto com'dla si vuole dis[)regiare; che la moralità ha
I OO IL TESORO.
tre parti. Una che divisa la dignità e la valenza me-
désioìàmentedi cose profittevoli. L'altra che ritragge le
convenenze. E la terza che governa le virtudi. Se-
neca dice^ che ninna ^osa è più bisognosa che conta-
re ciascuna cosa secondo la sua valenza. Tullio dire,
colui è onesto che non ha ninna laidezza, che onesta
non è ninna cosa* altro che onestade e permanenza.
Seneca dice, virtù è del tutto accordare a ragione. S.
Bernardo dice, virtù è uso della volontà secondo lo
giudicamento della ragione. Seneca dice, la regola 'del-
la virtù si è la diritta ragione. Tullio dice, lo comìn-
ciamento di virtudi è radicato intra noi in tal manie-
ra, che s'elle potessero crescere certe nature ne me-
nerebbero a beatitudine, ma noi istendiamo lì bran-
doni che natura n' ha donali. S. Bernardo dice, tutte
virtù sono nell' uomo per natura, e però che virlnde
è per natura, s'aggiunse con essa P anima. Seneca di-
ce, virtù è secondo natura, ma i vizii sono suoi ni-
mici. Aristotile dice, virtù è abito di governare ja vo-
lontn per ammonimento secondo la virtude, e l'ammo-
nimento intra due malizie del sopra più e del meno.
Boezio dice, virtù tiene gli uomini. Agostino dice, vir-
tù è la buona maniera del coraggio perchè nullo non
taccia, male, che Dio fece noi senza noi, cioè a dire che
egli la mette in noi senza nostro aiuto, ma l'opera v'è
per noi, sì come tu aprissi una fenestra che la chia-
rezza che la gitta è senza tuo aiuto. Seneca dice, sap-
piate che quello non è virtuoso che somiglia d' essere,
ma quegli eh' è buono in suo cuore, che '1 savio pro-
vede tutte le cose dentro da sé. Addivenne un dì che
un buono uomo sì fuggiva sdlo ed ignudo di sua cit-
a In scHnoBoa <■ oBpsuudKS ooaie ■
ke^ao seco» o Yogl& £nnio>9aB;jlB cfae npleBda nel
loo^ OKOBOu con è b boooa opoa ooolia takiifto.
iperò dine sailo Mattea, senia looena a è tcnelKei le
tenefape dice che sannaou Su Beftmdo dipe. Meglio è
tenebre di foori che riliicaite dnasa. Alb Terìlà diie,
r anaia di oohii che & colale open si è come il cor-
po seoca Tita. e cume V uomo riooo cbe ooo ha nulla.
Boezio disse, che oollo tìzio è senza pena, e noUa
vHiù senza lode. Seneca dice, le lealude delle oneste
cose son in coloro medesimi, cioè a dire la gioia del
cuore. Seneca dice^ Terace firutto delle cose ben fet-
te si è intra loro cbe di fuori non han nulla suflln
dente alki virtude. S. Bernardo dice, noi non perdia-
aio lo diletto, ma sono rimutato di cuore ali* anima, e
rli senno alla conscienza. Agostino <lisse« V essei'e di
virtù si è altresì come la fontana M'altegreztii die na-
sce, dentro la casa. Senera dice, tu credi ch^io ti tolki
aioUi diletti perchè ioli biasimi le qoms di foilima. ma
IOa IL TBSOEO.
non è coù, anzi ti doQO io perpetua allegrezza quando
io veggio che ella non sia in tua magione, cioè in tuo
cuore. Seneca dice, tu credi che quello sia lieto per-
chè ride, ma lo cuore conviene che sia gioioso. Salo-
mone disse, egli non è niuno diletto maggiore che
quello del cuore. Anche disse, dispiacerai quelle co-
se che risplendono di fuori, ed allegrati di te. Dlacca-
beo dice, virtudi fanno solamente uomini bene ope-
rando. Seneca dice, diritta ragione concupisce la buo-
na vita dell' uomo. Yirtù è chiamata, però ch^ella dn
fende suo signore a forza ^ però non inviò Gesù li suoi
discepoli dopo la sua passione, anzi che le loro virtù
fussero mentovate. Santo LUca, non venite nella città
infìno a tanto che voi siate vestiti di virtude. Sene-
•
ca, nullo muro è difendevole del tutto contra fortuna 3
però si dee V uomo armare dentro, però che s^ egli è
gueiTeggiato dentro, ibdito può egli essere, ma non vin-
to. Tullio, lo corraggio del savio si è barca di virtude
si come di muro e di fortezza. Agostino, sì come or-
goglio ed odio od altro vizio abbatte un regno, cosi
il mette virtù in pace ed in gioia; che virtù fa be-
ne,, aggiungonsi movimenti air anima che la fan sta-
bilire, e h diserti fa prati verdicanti. Santo Bernar-
do disse, io trovo che se le bestif parlassero elle di-
rebbono ad Adamo, fate come uno di noi. Però disse
lo maestro, che la beata virtù sormonta il sole e la
luna, ma egli v^ ha nere cose, che Agostino disse che
lo rio ha tutte le belle cose; però fece bene Diogenes,
quando uno laido tomo mostrò sua casa ornata di
oro. e di pietre preziose in tutti li luoghi, ed egli lor-
do con loro, elisegli non vide pio-vii cosa. Salomone dù^
LIHBIO S£TTUf O. I a5
SO, V uomo sayk> ha prezioso spìrito; ed allora disse
egli medesimo, meglio vale un pròde uomo che uno
malvagio. Salomone disse, meglio vale cervio vivo
due leone morto.
Capitolò IV.
• . . .*.
Qui divisa il maestro delle rirtodi.
•
Tirtude, dice Tullio, che anticamente non fu co-
gnosciuta, perchè la debilezza delPuomo non sapea
ancQi'a niente delli autori, ma tuttavìa fu tenuto buo-
«lo uomo quello che bene si mantenea contra*alli di^
lori^ ma apprava li avvenimenti delle cose che avve^
gnono di tempo in tempo, insegnò poi agli altri, e
le antiche storie testimoniano primieramente. Abel
venne per dimostrare la nostra usanza ed a dimostra*
re netta yia. Enoch venne per dimostrare fermezza di
fede e d^ opera. Noè a dimostrare castità di matri-
monio. Isaach venne a dimostrare franchezza contra
lo travaglio. lacob a rendere bene per male. losef
a mostrare mansuetudine. Moisè a mostrare fidanza
cootra le disavventure. losuè a mostrare pazienza
contra il tormento. lob a mostrare umiltà e carità.
Yenne Gesù Cristo, in santo Matteo, e disse: Appren-
dete da me che son umil^. Santo Giovanni divisa la
carità di Cristo, e la sua umiltà, quando egli lavò gli
piedi alli apostoli. £ però che virtù è sì bidono inse-
gnamento, che^suoi frutti sono di tanto profìtto, co-
me tutti li savi lo testimoniano^ dico io che V anima
che»ne è bene ripiena, è interamente nella gioia del
paradiso terreno: che in luogo di quattro fiumi ha
Io4 n- TSSOAO.
r amoB (|iBttro TÌiiiidì die V aiiitaoo. e le danno
m «Iti soGcorn ^ontra aDa Tolantà della carne, ne^oo-
ghi che la Bibbia dice, qoegli si è mollo in ;dto per
ma^iore forza arere. Anche è P anima alta, «*'«*'nii»
che Seneca dice, lo cuore del savio è come il moii-?
ónfj eh' ^li ha sopra la luna là q\e ha tallo dicfaift!-
rato. cosi poote essere tale anima somigflanle al pa-r
radiso celestiale. L' una cagione eh' eQa è magion di
Dio, secondo che santo Giovanni disse^ che nulla cx>?
sa non è più chiaara ne più pura <^1 cuore ove Id-
dio abita, ch'ali non si diletta in grande mostramen-
t^d' oro e di pietre preziose, ma in anima ornata di
virtude, e V altra parte di' dia è in luogo di chiarez-
za, lob dice, sapete la ria che \iene dùarezza, cioè
per la rirtà, però che quello è luc^o d'all^prezza. Lo
secondo, che Seneca dice, il conto medesimo Tha del-r
lo assai innanzi, e dirà ancora qui appresso.
Capitolo V,
Come r uomo dee osare la TÌrtude.
Tutti grinsegnamenti che confortano V uomo ad
operare di virtude diviene per quella medesima via
a guardare se da vizii, specialmente giovano che ap»
pi'ua può essere savio o virtuoso, secondo che Ari-
stotile disse, però eh' egli non può essere savio sen-
za lungo cgrcameoto di molte rose, e lungo cercemento
richiede lungo temjpo, però troviamo noi il primo libro
rifila Bibbia, che senno senza pensato d'uomo è simile
ai vizii de' giovani. Salomone disse, guai alla ten^a^che
ha giovane re, egli non può valei*e s' egli è giovane
LIBRO SETTIMO. Io5
per tempo o per povertà di virtude, ed è somigliante
al re Roboam, che si tenne più al consiglio de' giova**
Iti che ài buono de' vecchi, e ce|to volontà non dee
Ifpere donna sopra la ragione, eh' ella è sua serva.
Sàlómopedice che'l servo non dee avere signorìa so-
pra li principi, e però diss' egli medesimo, il malva-
gio è pifcso per le noie e per le iniquità, e ciascuno
è legato alle corde del suo peccato. Agostino diSse, io
piangerò l^rto non dalle altrui catene, ma per mio
grado, che quivi ove la mia volontà è donna, ella
cre9(*e e diletta, poi ritorna a necessità. Che quando
l'uomo usa la sua vita ne'vizii, egli li pare troppo
grave lo giogo delle virtudi, ed è somigliante a colui
eh' esce del luogo tenebrosb, che non puote sostenere
la luce del sole. Gregorio disse, i rei son tormentati
dentro dal loro cuore per le male volontà. Agostino
disse, cuore tdlte ordinato si è pena di sé. Seneca disse,
già che 'l mio misfatto non sia saputo dagli altrì, non
però il travaglio del tuo cuore non se ne posa, però
eh' egli sente suo male. Il poeta disse, la prima ven-
detta è che ciascuno incolpi se del suo vizio. La cor-
scienza del malfattore è tuttavia in pena, però che le o-
pere di virtude sono mezzane cose, e natura medesima
si conforta mezzanamente, e si conturba del sopra più
. e del meno ; si come il vedere si conforta del colore
verde, perchè è mezzo tra lo bianco e'I nero, si come
la valente femioa si rallegra quando ha conceputo bel-
lo figliuolo, e contristasi se fosse una cosa centra na-
tura, così si allegra l' anima del prò' di virtude, sì co-
me di suo frutto, e si smaga de' vizii che sono conira
lei, usa tutto giorno di ben fare. Che Tullio disse, che
Io6 n. TB90&0.
1^ nomò dee scegliete la più mi^iore cosa della TRtii*
de, die Taomo la & pio leggiere, però che la fievole»-
sa deli^ aomo si è essere poco resistente a^ tìzìL Se«
neca dice, ah! coinè Paomo è vile e dispr^vole cfl||i
se non si aliena da^ vìiii V amane cose; e quando arà
è, egli allora è gentile e di troppo alta natura quando
soa volontà è ubbidiente a ragione, allora dico io che
la nobile partita e colui sia donna e* reina del reame
del cuore; e questo uomo è chiamato pobile por le
nobili operazioni di virtù, e di ciò nacque in priDna
nobiltà di gentil gente, e non di quelli antichisàmL
E ad essere di cattivo cuore e di gran legnaggio si è
come cosa di terra coperta di fino oro di fuori; e di
ciò disse Salomone, bene avventurata è la terra che
ha nobile signore, perchè la ragione che dà nobiltà,
abbatte tutte malvagità. Seneca dice, nobfle sarà egli
colui cb' è per natura istabilito a virtcì^.
Capitolo VL
Di dae maniere di TÌrtudi.
Tirtù si è in due maniere. Una contemplativa, ed
una di memoria; e sì come Arìstotile dice, tutte le
cose desiderano alcuno bene, che ha il suo fine, io
dico, che la virtù contemplativa stabilisce l' anima al-
la sovrana fine, cioè al bene de^ beni. Ma le memo-
riali virtudi islaJ)iliscono il cuore alla virtù contem-
plativa ; e però vuole il maestro prima divisare della
virtù memoriale, però eh' ella è come materia, per
che Puomo viene alla contemplativa. Ragione coman-
da: vedete un maestro che vuole aver uno strumento
umo sBTTfxo. 107
per meniona, e or {Mrende materia dì cosa dora, cioè
ferro^ e poi lì fò punta per pensiero, che altrimenti se
la materia non fosse dora, ed ella non avesse pcmta,
C|^ non potrebbe yenìre a fine, cioè a quello di^ egli
ha memoriato. E tutti gli uomini che vogliono alcuna
cosa fitre^scelgono prima quella memoria e quella ma-
ter», eh? è convenevole alla fine della sua operarne;
eoù dee ciascuno la vita ch^ è compresa per virtù del-
la memoria, per governare sé intra le corporali cose,
die poi sìa ordinato ed apparecchiato a Dio servir^
ed amare e seguire sua divìnitade.
•
Capitolo VII.
Della TÌrtù morale.
4
< Tutti i savi s' accordatK), che virtù contemplativa
ha tre parti, cioè, fede, speranza e carità, e la virtù
di memoria si è divisa in quattro membi'a, cioè pru-
denza, temperanza, fortezza e giustizia. Ma a bene co-
gnoscere la verità, troverai che prudenza è fonda-
mento delF una e dell' altra, che senza senno e senza
sapienza non puote V uomo bene venire né a Dio,
né al mondo ^ però disse Aristotile, che prudenza è la
virtù delP intendimento, e della cognoscenza di noi,
ed è la fortezza e il govemamento della ragione ^Iba
le altre tre memorie sono per drizzare la volontà e le
opere di fuori, e ciò non pu5 P uomo fare senza il
consiglio della prudenza; ma tutte queste quattro vir-
tù sono raggiunte insieme, cl\è nullo uomo del mon-
do puote avere P una perfettamente senza le altre uè
le altre senza ciascuna. E come può P uomo essere
Io8 IL TESORO.
^avio che non sia fòrte, e temperato, e giusto? £ co-
me può r uomo essere giusto, se non è savio, e Ibrte,
e temperato ? Altresì non può Tuomo essere forte, né
temperato, se non ha le altre. Or è ciò dunque una
massa quadrata, per guardare V uomo intorno intor-
no, che di ritto non ci sono posate le dottose cose, dae
noi iy)D possiamo vedere apertamente. Di quelle cose
ci guarda prudenza, che tosto istabilisce per suo sen*^
no, e dirizza suso le ragioni, allegrezze, e tutte buone
opere. Contra ciò apparecchia la temperanza, che
non lassa dismisurare per orgoglio, ne per allegrexsa,
anzi ne trae seco posate le avversità, e li dolori, gob-,
tra cui noi difende forza, che ci conforta ed assicura
contra tutti li pericoli^ ma tutte le cose che V uomo
sa e vede senza nulla dottaoza, sono quasi dinanzi ^
nostri occhi, però giustizia passata pare dinanzi, da
noi, perchè 'sua viitù non è se non certana.
Capitolo Vili.
Della prima virtù; cioè della prudenza.
Per queste virtù possiamo noi intendere che questa
virtù, cioè prudenza, non è altro che senno e sapien-
za, di cui Tullio dice, che prudenza è cognoscenza
d A bene e del male e delP uno e dell'altro 5 e però
disse egli medesimo, ch'ella va dinanzi all' altre vir-
tù e porla la lucerna e mostra all'altre la via; ch'ella
dà il consiglio, ma le altre tre fanno le opere. 11 consi-
glio dee andare sempre^ innanzi al fatto, sì come-Sa*
lustio dice, innanzi che tu cominci ti consiglia, e quan-
do tu se' consigliato ùk tosto l' opera; che Lucano di-
UWkO SBTTUIO. 109
ec^ eaccìa tutti V mdugiì, che saaopre fa male' P atten-
dere a ec^ui che è apparecchiato. Saloioooe dice, li
tuoi occhi yadano dinanzi a' tuoi piedi, cìoh a dire<:he',
tuoi consigli vadano dinand alle tue opere. Tullio
dice^ poco vale V aqrmadura di fìiori sei consiglio non
è^ dentro. Il conto dice qua a dietro, che prudenza è
eognoscensa di buone cose dalle rie, e dell^una e ddl-^
l' altra, che per (preste virtudi sa V uomo divisare lo
iMsne dal male, e V uno dall^ altro. Di cui disse Glia-.
am, che .la cc^oscenaa del male noi ammaestra per
guardare che nullo puote il bene cogoosoere se non^
per la cognoscenea del male; e tùascuno che & il be^
ms^ per la cognosceiiza del male il fa: pesò dico io, seo^
no è degna cosa, che non è ninno uomo che non de-
sideri d' essere savio. Avviso che bella cosa n è so-
prestare gli altri di senno, e parmi malf cosa e laida
di garrire e di folleggiare, e d'essere non saputo,- a
d' essere dicreduto. Salomone dice, per tutte le tue
possessioni accatta sapienza ch'è più preziosa cosa che
nullo tesoro. Anche dice, più vale sapienza che tutte
le ricchezze, e nulla cosa amata puote essere eguaglia-
ta a lei.
Capitoix) IX.
Qui parla Seneca della prudenza.
Chi vole prudenza seguire, ed egli anderà per ra->
gione, viverà dirittamente s'egli pensa tutte le cose di-
nanzf, e s'egli mette in ordine le dignità delle cose
secondo loro natura, e non secondo che certi uomini
pensano ; che cose sono che paiono buone e non so-
no, ed altre cose son buone, che paiono rie. Tutte
Latini. Foì. II, 7
irò IL TBSOBO.
le cose che to ìm Iransilohe dob le credei^ gm-
di. Cose che ta hai in te non le guardale niente e»-
me se le fossero d^ altroi, ma per tue come tiié.-Se
tu ^-uoli arere prudenza sii uno in tutti li luoghi,
non morere te per lo isvariar delle cose.nia guarda le
si come la mano la, che tutto il giorno . è una mède-
sima, e quando ella è chiosa, e quando dUa è aperta.**
La natura del savio è d^ esaminare e di pensare, in-
suo consiglio ÌDoanzi che corra die cose ùAse per ag-
gela credenza. Delle cose che sono da dottare non
dare la sentenza, ma tienila pendente, e non la fermi-:
re, però che tutte le cose vensimili non son vece^ e
ciascuna cosa non verisimile non è &lsa. La. verità ha
molte volte £M3CÌa di menzogna e coperta in simigtian-
za di verità, e come e^ lusinghieri che cuoprono loro
raentellamenti per bella cera di suo viso, poote la fis-
sila ricevere colore e simigtiama di sì alta verità per
meglio diservire. Se tu vogli esser savio tu hai a ooi^'
siderare le cose che sono a venire, e pensare in tuo
coraggio tutto ciò che addivenire» può. Nulla sulnta
cosa V addivegna che tu non abbi in prima prevedu-
ta, che nullo prode uomo non dice, così non crede-
va io ancora, né non dottava. Al cominciamento di
tutte le cose pensa la fine, che V uomo non dee tal
cosà cominciare che sia male a perseverarla. Lo savio
nomo non vole ingannare altrui, e non puote essere
ingannato. Le tue operazioni sieno come sentenze. Li
vani pensieri, che sono simigliaoti a sogni, non li rice-
vere; che se tu te ne dilettarai quando tu pensarai tutte
le cose, tu sarai tristo. Ma tua cogitazione sia ferma
e certa in pensare, ed in consigliare, ed in chiedere.
LIBRO SBrmO. Ili
T^a parola non sia vana, ma per insegnare, o per co-
mandare. Loda lemperatamente, e pra temperatamente
biasàna, però che '1 troppo lodare è altresì biasimato,
etsmiB il troppo biasimare 3 che in tn^po lodare potrd>-
be' avere sospizione dì lusinghe, ed in troppo biasimare
poò essere sospezioni d^odio. Dà lo tuo testimonio alla
venta. La tna promissione sia con grande detiberazione,
e sia il dono maggiore che P impromessa. Se tu se'savio
dèi ordinare tuo coraggio secondo tre tempi, in questa
maniera. Tu ordinerai le presenti cose, e provederai
a cpelle che sono a venire, e licorderaHi di quelle che *
sodò passate; che quelli che non pensano le cose pas-
«ftte perdono loro vita, si come non sono savi, e quegli
rhe non provede le cose che sono a venire, si è in
itMo non savio, sì come colui che non si guarda ; pen-
aa nel tuo cuore, le cose che sono a venire, e le cose
buone, e le rie, sì che possi sofferìre le rie, e tempe-
rare le buone. Non sii sempre in opera, ma alcuna
volta lascia posare tuo coraggio ; ma guarda che quel
posare sia^pieno di sapienza e di onestade. Lo savio
non p^giora di riposare, anzi è alcuna volta il suo
cuore istato un poco istanco, e non sarà però disie-
gato, né non averà però rotti li legami del senno ;
ch^^li avaccia le cose tardate, e le impacciate ispedi-
sce, però eh' egli si è da quale parte Puomo dee co-
mindare le cose, e coramelle debbono essere. Per le
aperte cose dei tu intendere le scure; e per le piccio-
le le grandi ; e per le prossimane quelle dalla lunga ,
é per una parte dei tu intendere tutto. Non ti ismo-
va V autorità di colui che dice, ma guarda ciò ch'egli
ha detto. Dimanda tali cose che possano essere tro-
f f 2 IL TBSOaO»
•vate. Desidera a te tali cose, che tu le possi «iisiare d»^
nanii ad ogni uomo, e noa moatare in sì alto laogjd^
donde ti conyegna iscendere. Allora ti bisogna cobsit
l^io quando tu bai vita di prosperità^. e se ti iiiaii4ocè
tua prosperità in buono luogo fermamente ^ nou-ti
movere troppo tostamente^ ma guarda il luogo ov^ In
.dei andare^ e per che cosa. ,r
Capitolo X.
Ancóra di sìmigliante materia.
£ però che in queste virtudi sono messi tutti i foo*
ni e tutti ammaestramenti, appare egli oognoscere- tutti
i tempi, cioè lo tempo passato per memoria, di cfat
Seneca dice, chi non pensa niente delle cose passate
ha la vita sua perduta; e del tempo presente, per oo*
gnosoenKa; e del tempo che è a venire, per provvt?
denza. E però dicono i tavi^ che prudenza ha qoal-
tro membra per governare sua virtude, e ciascuno ha
secondo il suo officio, ciò sono providenza, sguardo^
cognoscenza ed insegnamento. Il maestro diviserà l-u&
ficio di tutti, e prima della providenza.
Capitolo XL
Della prorìdenza.
Providenza si è un presente senno, che ricerca le
venute delle future cose, e ciò è a dire che provi-^
denza si è in due maniere, e ch^ella ha due officii;
L' uno si è eh' ella pensa, e rimira le cose che sono
presenti, e dà il consiglio, e vede dinanzi ciò che ne
Luao simiio, 1 1 5
può addhénire^ e qod può esa«re k fine del bene^ q
ed nak; e poi ch^ egli ha ciò isitto^ sì ti iunùtee, e
oonsiglk per suo sapere contro alla dìsaYveotura ohe
•ddirieBe; però dee roomo proyedera dhianii lo male
die addÌTenirepnò, che se egli li viene, si il potrà più
IcggeruHBHc passare e soffirire. Gregorio dice, però
non può Tnomo ischi^ure lo pericolo, perchè non fa
proTednto dinanri. Giovenale disse, tu hai acquista-
ta grande dignità, se prudenza è con teoo, che quello
è bene scoralo che puote cognoscere la fine delle co*
se. BocBO dice, non k da maniTigliare dell^uonio che
mede e eonosoe le cose ch^ egli he dinansi agli oochi
b fine delle cose. Tullio àmx^
a rtahiirv dinanzi ciò elle
alFnne porte «dalFalIra, e ciò che d
nuaÉm, si die r nono non
<ktt fi ^fmm^tgm^ dk€^ io moà erede«^ fc^
^wf arimi 4Aéwo ^oomigtiiMre gli uo-
vi ixdmtif 4i ^M>^ tMton'cHOK. e «he cac-
cinn la iub;- rz«:ótnin «ab' <lli iiaonv di kev p>(^^^
ia^cAte ^mem^^amyvr'. ^ 'QiidBi f'wmi^%ìùA^ 43Ue tutte
lecaMrcuf.^aaiutvfUi ssi -oalftr f«HK/ smiuiuUjl « ^ùjit je
t« <alic ÌM. IMhac^ l>i 4M: t^^oU^ <«^> ^ '^
(»«M: -ImC: OH^ MU, «Wì^A^* ''i- «-
\3tu^ .MtaiU'^ f#Wr*« i«M#3^ ^ *A«V
sMwii. ^^^i^^ié^ %mmxfi* f^vM^iy^* ^
4i i<jMU*»<» *y.^ '«'««u *^'^00>^éi^
Tl4 IL TMOBO.
laidamente. Seneca dice: però sono pia volle che non
conoscono di loro fatti, e quando elK credono «spec
così grandi come si tengono, o com^ elli odono dife^
dli cominciano guerre e cose superbe^ che poi ritor:
nano a grande pericolo. Lo maestro disse: però si dee
ciascuno provedere dal parlare di false parole e di Mt
sita, elisegli non sa che di ciò addiviene ch^ elH sono
sì come il dolce suono del snfolo che lusinga ITnccel-»
lo tapto ch^ egli cade preso. E molte yóLte il mortale
veleno è sotto lo mele, però li mali coperti di bene
sono peggiori. Cato dice, non credere di te medesimo
più ad altrui che a te medesimo. Salomone dice, a
pena gitteran giù lagrime gli occhi del tuo nimico^ e
quando vedrà suo tempo non si potrà satollare del tuo
sangue. Ma Giovenale dic^: egli piange, quando vede
lagrimare suo amico, ma del suo male non si doc^
niente.
Ca'pitolo XIL
Qui dice della guardia.
Guardia è guardarsi daVizii contrarli ^ suo officio si
è ch^ egli adoperi il meglio di tutte cose, cioè a dire
che Tuomo sì dee guardare suo avere, che per fare a-
varizia non diventi guasto^ e ch'egli sì dee partire da
folle ardimento, ch^egli non caggia in paura ^ che quel*
lo è veracemente ardito che provede ciò che dee, e
che imprende ciò eh' è da imprendere, e che iugge ciò
eh' è da fuggire, ma lo pauroso non fa né l' uno né
l' altro. Salomone dice, guarda tuo cuore in tutte tue
guardie; egli disse in tutte guardie, che tu non cre-
da aUi tuoi amici. Dunque dall'una parte gli chiude 1q
LIBBa SETTIMO. Il5
porte, *e. dall' j^irà gli apre P entrata^ cioè a dire ehe
per guardare te d'un vizio, tu non ne &ccì un al-
tro pia grandej; ch'egli non è bene a sooprii^e uno
per neoprìré un'altro. €ruardati dunque di tutte Le
fltremotadi, e non desiderare smisurata prudenza che sia
più che convenevole, ma sì tanto €he sia sufficienlìe.
Altresì ti guarda , d' ignoranza, chà quelli che non sa
né bÌBiie - né male ha il suo cuore vocdio e non ve-
niente, -egli non jpuò consigliare ne sé né altrui: che
ae: un 'vocolo volé guidare un altro, certo egli cade
xMdia fossa* innanzi, eP altro dopo lui^ é così dunque
pi'odenza ch'*^ luogo mezzo intra due estremi, die
jeoqtrappesa e dirizza le cose non pesate, e tempera
Topere, e misura le parole ^ che sì come dell! opere
che iKMa 9ono stabilite per virtudi, così Ùl ella del
parhre quando non é secondo ordine di ragione^ e
però innanzi che tu dichi tu dei considerare princi-
palmente sei cose: chi tu se', che tu voli dire, e a cui
tu di', e perchè, e come, e quanto ragione comanda. .
Capitolo XIII.
Delle cose di che ruomo si dee guardare quando vuole
parlare, od alcuna cosa fare.
j . » • . •
Innanzi che tu dica parola considera nel tuo cuore
chi tu se', che voli dire, ed in primamente guarda se
la cosa tocca a te od altrui^ e se l' è cosa che la ap-
partenga ad un altro, non te ne intramettere, che se-
condo la legge egli è incolpabile chi s' intrameite di
cosa che a lui non s' aspetta. Salomone dice, quello
che s.'intramette dell' alti'ui briga, è simile a colui che
tt6 IL TtSOBO»
pf«ad« la scienza per 1» oreodii. £ lerii fliradi^diei:
della cosa ohe noQ tigrata, iraa ti dei ^oolld»ltOM
4p(>re9so, guarda se ta se' in tuo bado aeiuio e {mih
satamonte, senza ira e senza luriMoioiie^-déi pst tiÈcm
e striDgere tuo cuore. TulHo dire, che gH è grandt
Tirtude a sapere costringere li moTÌmenti del ooóff
turbato, e fare tanto che^suoi desiderii siend a tagia •
ne. Seneca dice, quando P nomo è pieno d'èm^ e|^
non Tole ridere. Gato dice, ira impecfooe l' aniìnKi^
che non può giudicare lo Tero^ e però disse uno sa**
vio, la legge vede bene Puomo irato, ma egli ami
▼ede la legge. Ovidio dice, vinci tuo . oaraggio e tot
ira, tu che vinci tutte le cose. Tutte PiDeatem» di
lungi da noi, che con lei ninna cosa punta essèrt ben
fatta, né bene pensata, e ciò che 1* uomo fa in ira^
non puote esser dnralnle. né piacevole a totti^ parò
Alfonso dice, dò è nelP umana natara, che quando* il
coraggio è commosso per alcuno modo, egli perdagli
occhi della conoscenza, intra il- vero ed ii fiilso. Ap»
presso, guarda che tu non sia corrente per desiderio
di parlare, in tal maniera è che tua volontade non con-
senta a ragione, ch^ Salomone dice, quello che non
può constringere il suo spirito in parlare è simigliane
te alla cittade che non ha mura. Lo maestro dice, chi
non sa tacere,*non sa parlare. £ uno fu dimandato,
perchè egU stava così tacente, se per senno, -o per
follia; ed ^li disse, che il folle non può tacere. Sa-
lomone disse, metti freno alla tua bocca, e che la tua
lingua non ti faccia cadere, e che la caduta non aia
a morte, senza guarirne. Gato dice, sopra virtù « ooiv*
stringere la lingua; e quello è prossimano di Dio die
libuo settimo. 1 1 7
sa tacere a ragione. Saiomoue dice, chi guarda la sua
liooca, sì guarda la sua anima, e quello di'* è incon-
siderato nel dire, sentirà male. Se tu voli biasimare
io rispondere altrui, guarda che tu non sia magagna-
io dì quello medesimo^ che istrania cosa è di Tedei-e
il buflco Deir altrui occhio, e nel suo non vedere La
Irave. Li Apostoli dissero, o tu uomo che giudichi, in
rio ohe tu giudichi gli altri danni te medesimo, che
In fin ciò che tu giudichi. ^Allora dice egli medesimo,
la giudichi gli altri, e non insegni a te ^ tu di' che lo
iiomo Doo dee imbolare, e tu imboli ; tu di' che Tuo-
iDO noli &ccia adulterio, e tu il fai. Gato disse, ciò che
tu hiaiiimi, ti guarda di &re, che laida cosa è quan-
do la colpa cade sopra lui. Agostino dice, ben dire,
è flnle operare, non è altro che sì con sua boce dan-
Dare. Appresso, guarda ciò che tu vuoi dire, se tu il
sai) o Do^ che altrimenti non lo potresti tu ben dire.
Uno uomo dimandò suo maestro, come egli potreb-
be ben dire, ed essere buono dicitore. £'1 suo mae-
stro gli disse, di' solamente quello che tu ben sai. lesù
Siradi dice, se tu hai lo intendimento, rispondi im-
HUDtinente, altrimenti sia la tua mano messa sopra
k tua bocca, che tu non sìa ripreso per vane parole,
e pensa tuo diritto, e quello che ne puote addiveni-
re, che molte cose hanno simiglianza di essere buone
nei principio, che hanno mala fine. lesù Sìrach disse,
il tuo bene ha doppio male, però considera il comin-
eiainento e la uscita. Panfilo disse, se l'uomo pruova
tu lo capo, e la fìiie insieme, ma alla fine parrà lo o-
nere ed il biasimo. Là ove tu dotti che di tua paro-
la non vegna n* l)en<% >i>' male, io lodo che tari; pe~
4i*
] 1 8 n. TBsona
rò Alfonso dice, ritirali di dire cosa, donde la li pao-
tissi, che il savio fa meglio di tacere per se, cbe él
parlare contro a sé; ma niuno uomo tacente, e imì
molto parlante, è ripreso, e certo le parole sono tt-
miti alle saette, le quali l'uomo può balestrare 1^
germente, ma ritenere no, cosi è la parola che ytL len-
za ritornare. Tullio disse, non fere la oosa di che la
dubiti se è o bene o male, chÀ bontà riluce ^per aè
medesima, e dottanza ha segno di malvagìfcsu Sweoi
dice, follia non sia di tuo consiglio.
Capitolo XIY.
Come ta dei pensare quello che to foll-din.
Tutto quello che tu Toli dire considera, cioè le è
vero o menzogna, secondo che c'insegna lesù Siradb^
dinanzi alle tue opere veritiere parole e durabile cono
siglio; però dee l'uomo guardare venta sopra tutte
le cose, perocché ci fa prossimani a Dio eh' è tutto
verità. Dunque di' tu sempre la veritade, e guaixlali
dalla menzogna. Salomone dice, lo ladro fa più da lo-
dare che non fa quelli che mente tutto dì. Appeosa*
te alla veritade^ quando ella è detta per una bocca,
o per altrui. Gassiodoro dice, eh' è pessima cosa a
dispregiare la veritade, che verità è stella netta sen-
za alcuna falsitade. Seneca dice, che le pai*ole di co-
lui a cui piace verità debbono essere semplici sema
coveitura nulla. DP dunque la verità in tal manie-
ra che la sia come sacramento. Seneca dice, lo cui
detto non ha fermezza di sacramento, vile cosa è per
ceito lo sacramento suo, che tut^o che tu non chia-
LIBRO SETTIMO. I IQ
mi il nome di Dio, e non vi abbia tesdmoni, n'^ per
tanto grande virtù è non trapassare la legge di giu-
stizia. & se ti conviene rendere la verità per men-
zogna tu non mentirai, ma iscuserai là ove ha onesta
cagione, che ^1 buono uomo non vi cuopre suo segre-
lo, ma tace quello che non ùl bisogno- dire, e dice ciò
che si conviene. Salomone dice, io ti prego Iddio di
dne€Ose,^ck)> die vanità, e parole di menzogna sieno di
kiBgi dame. Li Apostoli dissero, ncm &re niente contra
alla verità, ma per la verità. Lo maestro disse, di^ tal
verità che ti sia creduta, cioè credibile^ che verità in-
credibile non è creduta, ed è in luogo di menzogna, al-
tresì come menzogna cresciuta tiene luogo di verità 3 e
quelli che mente e si crede vero dire non è menzogne-
re, dhe per lui non dice menzogna, ma chi mente cono-
Seendok^ quello^ bene menzognere^ però dico che
le somrsette maniera di menzogna. La prima si è sen-
za insegnamento delk^ fede e di religione, cioè tra mal-
vagi. La seconda si è per nuocere altrui senza giovare
tfd edcuno. La terza si è per cuocere altrui per giova-
re ad alcun altro. La quarta si è per volontà di fal-
lire, ciò; dirittamente menzogna. La quinta si è per
bel dire, o per ingannare, o per piacere alla gente. La
sesta si è per utilità d^alcuno senza danneggiare. La
settima è senza danno di nullo, ma se la s^ è detta per
guardare Tuoroo che non caggia in peccato. In queste
sette maniere di bugie quella è di maggior peccato che
più s^ accosta alla prima, e quella è di minore che più
s'accosta all' ultima, che nulla è senza peccato. Ap-
presso guarda che le tue parole non sieno frodolenti,
pei'ò che nullo dee dire parole che non sieno profittc-
I ao ih TBSOAO.
voli io alcuna parte. Seneca dice, la tua parok boohI
per nieute, od ella sìa per consigliare, od ella tm per
comandare,' u per ammonire. L^ Apostolo diee, acU
(a le malvagie parole e le vane^ appresso guarda m b
tue parole sono per ragione, o senxa ragione, ohe oo*
i»a che non è ragionevple non è durabile; però disM
un savio, se tu voli vincere tutto il.uoDdo<aottoiMt«
Uti alla ragione, che chi se ne scaverà cada io emn
re. Appresso, guarda che '1 tuo detto non sia aaproi-
amì sia dolce e di buona aria. lesu Sirach dio^ ohm
e viole fanno molte melodie, ma amendue le «or*
inonta la 'ngiuria^ se hon v' è la dolce parola umltH
plica li amici ed indolcisce li animi. Panfilo dioe^ ÒBHf
ce parola chiede e nutrisce li amici. Sakwioiie dioe^
che la molle risposta rompe Tira, e la dura aaèra»
ta furore. Appresso, guarda ohe tua parola sia Immh
na e bella, e non laida, ne lia^ eh j l' Apostolo dioO)
che le male paix>le corrompoiio^i buoni eostumi^ad
allora disse egli medesimo, niuna mala parola esea di
vostra bocca. Anche di^e egli medesimo in un altro
luogo, che U buono uomo non dee ricordare laidi e
iblli detti. Seneca, astenetevi da laide parole, che elle
nutiisoono follia. Salomone dice, che V uomo che ha
usate le parole di rimproverare, poco ammenda tutto
il tempo della vita sua. L* Apostolo dice, le vostra
parole sieno sempre condite di quelle di grazia, in
tale maniera, che voi sappiate a ciascuno rispondere,
ikppresso, guarda che tu -non dica oscure parole, an
btfne intendevoli, di che la legge dice, non ha difie*
renza dal dire al tacere, nel lispondere oscuramente,
•»e cnlui che rimane non rimane cerlano; che la ^ùriir
JABRO SETTIMO. * 12 1
tura dke, che più sicura cosa è ad esser' mutolo, che
dicere parole che nullo lìoii rinteoda. Appresso, guai-
fla che le tue parole non sieno sospettose, <aoè non
abbiano sotto alcuno male ingegno da diservire. lesù
Sirach dice, chi parlerà sospettosamente, il sarà via**
to da tutti gli uomini, e sai^à fallante in tutte le cose,
e Dio non gli darà sua grazia. Appresso, ti guarda,
che tu non dichi, né non facci torto, ni> danno, né noia;
che gli è scritto, che molti minaccia chi ad uno fa
torto. lesù Sirach dice, non ti ricordi di cose che ap-*
partengono a noia. Gassiodoro dice, per uno tortorfat-
to SODO più vile conosciuto. L^ Apostolo dice, chi fa
noia averà ciò che farà di male; attendi dagli altri
ciò che tu farai ad altrui. Tullio dice :. e non è nullo
certato fatto, come di quelli che allor^ il fauno, vo-
gliono somigliare che elii sieno buoni. lesù Sirach di*-
ce, la l^ge è trapassata di gente in gente, per li mali
e per li torti 3 ma F uoino non se ne dee guardare so>*
lamente, anzi dee contraddire a quelli che lo fanno ad
altrui. Tullio disse, che due maniere sono di faie tur-
tiy V una che lo fa, V altra chi non contraria a quelli
che lo fanno, e ciò è altresì biasimo, come quello di
colui, che non aiuta il suo figliuolo, n'^ la sua città, e
non per tanto se V uomo ti dice male, o noia, tu dei
tacere. Che Agostino dice, che più bella cosa è a
schifare un torto fatto tacendo, che vincere respon-
dendo. Appresso, ti guarda, che tuo detto non sia pei*
seminare discordia, elisegli non ha si mala cosa intra
gli uomini. Appresso, guarda che tuo detto non ti gabr .
bi malamente, n> di tuo uuùco, ne di tuo nimico, né
di nullo, che gli è iscritto^ che non si conviene gab-
1 aa Hi TESOEO.
bare tuo amico, che egli si croccia, che se la gli fili noia,
più forte il tuo nemico, se tu lo scherni viene toslo alle
battaglia, che non è alcuno, a cui non dispiaccia di e»-
ser gabbato. Amore è cosa mutabile, ed appena ritor-
na ; e se egli muove, tosto falla. Salomone dice, chi dà
sentenza d^ altrui, per quelli medesimi Pavera di lai ^
e ciò medesimo conferma Bfansiale, là cyve dice, dii
scuopre gli altrui vizii per temporale, si scherne, e se
è schernito a sua colpa non ha più generale cosa al
mondo. Appresso, guarda che tu non dica male i tuoi
mofti, che il profeta dice, Dio. distrugge le opere ma-
liziose, e lingua vantalrice. Appresso, guarda che tb
non dichi orgogliosi motti, che Salomone dice, làm
quivi ove è orgoglio si è molta fi>llia, e quivi ove è
molta umilitade si è senno ed allegrezza. Ich disse^ off^
goglioso va su al cielo, il capo suo tuttavia toora gii
nuvoli, alla fine gli conviene cadere, e tornare a
poco, ed a nulla. lesù Siradi dice, orgoglio è citato
dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, e tutte le iniquiUi
con esso. Ed allora diss^ egli, che V orgoglio e il torto
fanno distruggere le sustanze, e grandi ricchezze torna-
re a niente per superbia. Alla fine, guarda che le tue
parole non sieno oziose, ch'egli te ne converrà rendere
ragione di tutti li insegnamenti, cheè mestierodi guar-
dare di parlare; ed in somma di ciò che peggiora l'o-
nore di noi, e che sia contra buono amore, nullo non
dee dire laide parole, né metterle in opera. Socrate di-
(^e, ciò eh' è laido a fare, io non credo che sia onesto a
dire, però dee l' uomo dire oneste parole là ov' egli
sì sia, che chi vole onestamente parlare intra li stra-
ni, non dee però parlare disonestamente con li ami-
UBRO SETTIMO. I 25
ci; e che onestà è necessaria in tutte le partì della
Tita deir nomo.
Capitoi^ XV.
Come tu dei guardare a cai tu parli.
Or tt dei guardar a cni parìi, scegli t'è amico, o no ;
che od tao amico puoi tu parlare bene e dirittamen^
te, però die non è sì dolce cosa al mondo, come ave^
re uno amico a cui tu possi parlare, altresì come a te 5
nn non dire cosa che non debba essere saputa s' e-
gli ti diventasse nimico. Seneca diee, parla con lo. tuo
amico come se Iddio te udisse, e yiyi cogli uomini
come se 'Dio te vedesse. Ed anche disse, tieni il tuo
amico in* tal maniera the tu non temi : oh' egli ti ve-
gna inimico 5 e pero Alfonso disse^ delP amico che tu
hai assaggiato, si ti provedi una volta come d' inimi-
co» Lo maestro dìsse^ tuo segreto di die tu non ti dei
eonsigliare non dire ad uomo vivente. lesù Sirach
dke, a tuo amico, ne a tuo nimico non ne iscoprìre
ciò che tu sai, ispecialmente il male, eh' egli scherni-
rà- in sembianza di difendere tuo peccato. Il maestro
disse, tanto quanto tu ti rìtieni tuo segreto, e^i è co-
me in tua carcere, ma quando tu hai iscoperto, egli
ti tiene in sua prigione, che più sicura cosa è tace-
re, che pregare un altro che taccia; però disse Seneca,
se tu non comandi a te di tacere, come ne pregherai
tu un altro? E non per tanto, -se t'è mestiero di con-
sigliare di tuo segreto, dillo al tuo buono amico di-
ritto e leale, di cui hai provata dii'itta benevolenza.
Salomone disse, abbbte amici in più quantità, n^ con-
I a4 1^ TESORO.
sigliero ti sia uno in mille.Cato dice, dP il tuo «egre^
lo a leale compagno, e il tuo male a feafe woeékù^
Apprèsso, guarda che tu non parli troppo a tuo nir
mico, che in lui non puoi avere nulla fidanza, né an-
f x)ra s^ egli fosse pacificato teco. Isopo dice, non vi
fidate in coloro con cui voi avete guerreggiato, eh' et-
ti hanno sempre nel loro petto lo fuoco dell' odia
Seneca dice, là ovMl fuoco è dimorato luoganNBqil%
tutto dì va fiioGo e fumo. Allora disse egli medesimo^
meglio vale a morire per lo tuo amioo^ che vivei»
con lo tuo nimico. Salomone dice, non credere a toot
antico nimico, e sia ciò che si vole, però che aon è
per amore, ma per prendere ciò ch'egli ne puoto »•
vei'e da te. Ed allora diss' egli medesimo, lo tuo ikk
mi co piange dinanzi a te, ma s'egli vede il tempo, #-
gli non si potrà satollare del tuo sangue^ però AUcMh>
so dice, non ti accompagnare col tuo nimico, che «e tu
uà male, egli il ti crescerà, e se tu fiurai bene, egli il ti
menimerà. £ genei^lmenle, intra tutte genti tu àéi
guardare a cui tu dichi, che più volte tali sono che
mostrano sembianza d' amici, e sono nimicL E però.
Alfonso disse, tutti quelli che tu non cognosct estima
che sieno tuoi nimici^ e scegli vogliono camminare con
teco, o dimandare là ove tu vai, fa sì che tu vadi puÌL
lungi, e s' egli portano lancia, tu va da lato diritto,
e se portano ispada, tu va da lato sinistro. Appresso^
ti guarda che a folle tu non paili, che Salomone di-
ce, agli orecchi del folle non dire molto, ch^ egli dis-
pregia r insegnamento di tua parola. Ed allora dice
il medesimo, lo savio se tenzona col folle, e eh' egli
l'idu, Q(»ii troverà riposo. Il lolle non riceve il tìeiUf
LIBKO SKmMO. 125
del sayio^ b' egli non dice cosa che li sìa grato m soò
4saan, lesù Siiach dice, quelli parla ad uomo che
dorme, che parla allo stolto sapienza. Appresso,' goai^
dati che tu non parU ad uomo isdienutore, e f«i^
il suor detto come yeleiio, che la oranpagpia di lui è
laida a te» Salomone dice, dob t»stigare uomo' gai^-
belore, eh' egli t'odierà^ castiga il sayio^ die ti amerà.
Seneca dice, chi bmsima lo sdiemitorfr & nota a aè
«nedèsimo, e chi biasima il maivagio ricfeiedi le sue
intaoBiom. lesù Sirach dice, no» ti constare' col
folle, eh' egh non consiglia se non quello che li piace
di feve. Appresso, guarda che tu non parli Jid uooso
lusingatore e pieno di disctN'dia, chèl -Profeta 'dice,
Puomo dbe ha lingua kisinghìem non sani «nato so^
pra la terra. lesù Sirach dice, spaventevole è in cit-
tade uomo discprdìoso e folle di parole. Ed allora di-
ce egli medesimo, chi è lusinghiere stende malizie.
Guarda dunque che tu non parli ad uomo discordio»-
•o^ -e che non metta legna in suo fuoco. TuUio dice,
k via de'cani dee Puomo del tutto ischifare, cioè gli
nomini che tutto dì abbaiano come cani. Che di quel-
li e di altri simigiianti dice nosti^) Signore, non gitta«-
re pietre pi^ziose intra porci. Appresso, guardati da
tutti li rei uomini^ che Agostino dice, che sì come il
fooco che cresce sempre per crescervi l^na, così il
malvagio uomo, quando ode maggiore ragione, cresce
in più fiera malizia, che in mala anima non eatra sa-
pienza. ApjM'esso, guarda che di tuo segreto tu non
parli a ubbriaco, né a mala femina» Che Salomone
dice, che dove r^na ebrietà non v'è occulto nulla.
Lo maestro dice, le Cernine sanno celare quello ch'el-
1 a6 n^ TBsoEO. :
le non sanno. Ed in somma, ti guarda
cui tn se\ e mólto bene considera lo lu<^^ die ha ma-
stiero di dire altre cose a oxìe, ed --altre a nozicy ed
altre cose al dolore^ ed altre a magione, -ed idtre co-
se con compagni con cui sei in piazsa, però che U'prò"
Terbio dice, chi è in quésta via non dica follia. Por-
ta del parlatore è prendere guardia ch^e^ ooq diea
alcuna cosa malvagia se alcuno fosse ingannerohnairte
appresso. Guarda, se tn parli al signore, che tu ì
ri e reyensci secondo la sua dignità, che V uomo
tu cognoscere diligentemente, la dignità e il grado di
ciascuno, che altrimenti dei tu parlare a prìncipi dw
a cayalieri, ed altrimenti aUuo^parì che a^tooi nwi»-
ri, ed altrimenti al religioso che al laico.
Capitolo XVL
Come tu àéì guardare come tp parli.
•
Appresso .dei tu guardare perchè tu parli* dòè a
dire la cagione del tuo detto. Che Seneca comanda,
che tu cheggia la cagione di tutte le cosie. Cassiodoro
dice, che nulla cosa puote essere fatta senza cagione,
e cagione è in tre maniere. L^ una che fa!. La secon-
da è la materia di che tu la fai. La terza- è la fine a
che tu la fai, E tu dei guardare per cui tu di', che al-
trimenti dei . parlare per lo servigio di Dio -che per
lo servigio degli uomini, ed altj^imenti per tuo pto^:
ma guarda che tuo guadagno sta bello e convenevole,
che la legge vieta il laido guadagno come la perdita. Lo
maestro dice, guadagno che viene con mala nominan-
ze è rio : amerei più iscapìtai*e che laidamente guada-
LIBRO SETTIHO. 137
gnare, e sì dee lo guadagno essere misurato^ che Gas<-
siodoro dice, die se il guadagno esce di conveoevole
misura non averà la forza di suo nome^ e sì dee es-
sere naturale, cioè a dire del buono nomo alP altro ^
die la legge dice, ch'egli è diritto di natura, die nulla
non ardisca di altrui danno. Tullio dice, né paura, uè
dolore, uè morte, né nulle altre cose di fuori è si fìe*
itiniente oontra di natura, cernie arricchire deiraitcui
goadagno , e specialmente deDa povertà de' poveri.
Gassiodòro dice, sofnra tutte le maniere di cruddtade
e di arricchire ddla povertade Bbbbognosa, e per ca-
gione ddlo tuo amico dei tu bene dire^ ma die dò sia
buono. Tullio e' insegna, che la legge della amistade
comanda, che egli non si intrametta di cosa villana, e
quello eh' è peccato non lo faccia^ che amore non è
difensa di peccato, che l'uomo facda per suo amico;
che molto pecca qu^li che dona opera al peccato. Se-
neca dice, peccare è cosa laida, e da prendere Dio
flue volte. Gassiodòro dice, quelli è buono difendilo-
re che difenda senza torto.
Capitolo XVIL
■ Come ti conTÌene pensare quando voli parlare.
- Or ti conviene considerare come tu parli, che non
p nulla cosa che non abbia mestiero di sua maniera e
Hi sua misura, e ciò che dismisura è male, e tutto dò
che sopra misura torna a noia ; e la misura del parla-
ne è in cinque cose, doè in parlatura soave, e chiara^
ed in tarda, ed in quantitade, ed in qualitade. Parla-
1 a8 IL TEMMO.
tara è hdigntii del oKHidoiy elapuiiJUmdì corposa
coodo file materìa rìrfaiede; e ciò è un» con, cbe «al-
to Tale a bene dre. Tullio dice, già àa diel tao detto
noQ sia di qoelli belli, oè goarì polito^ te ta 1 peoftr»
rai gentilmente, e di bella materia, e di bel pnrtiMfa
ta n sarà egli lodato; e s^egU è boono, e ta non did
beHaaneote, sì sarà bìaHmato. E però dèi tu tenan a
temperare tna bocew e Ino spirito- tatto i mniiaMii»!
del corpo e delb Kngoa, ed amasendare le parole i^
r oscire di bocca in tal maniera ch^elle non sìeno «h
fiate, né dicassate al palato^ né troppo rìaonante di
fiera boce, ma presso alla Terità dell' opera, dm siena
intendeToU e sonanti per bdk proferenza soara e
chiara, sì die dascuna letteraT abbia suo snono, e cà
scon motto suo cenno; e non ti ponere qoando ta
eomÌDCBire più basso cbe alla fine, ma tatto dò t' è
roestiero movere secondo il moTÌmento dd Inogo^ d^
le cose, ddla ragione e del tempo; ch3 una cosa dea
Tuomo contare semplicemente, T altra a disdegno^ Tal»
tra per pietà, in tal maniera cbe tua boce e tuo detto
è tuo portamento sia sempre accordevole alla materia,
e tua portatura. Guarda che tegna tua facda diritta
e non alta, occhi fìtti in terra, non torcere le labbra
laidamente, non crollare sopra loro lo capo, e non
levare le mani, e non sia in te nullo portamento biar
simeTole, ed isnelletto e tardetto di parlare. Guarda
mesca via sempre, che a parlare dee essere nullo uo-
mo corrente, ma alquanto lento ed avvenevolmente.
L^ Apostolo dice, sii tosto alPudire, e tardo al parlare,
e tardo alPàra. Salomone disse, quando tu vedi un
uòmo ratto a parlare, sappi ch^^li ha meno senno che
UliaO SSTTtMO. »39
follia. Gassiodoro dice, ciò è senza fallo reale yirtade
ad andare lentamente al parlare, e ratto ad intendere.
Io penso, dice un savio, che quegli sia buon giudice
che tosto intende, tardi giudica; che dimora per con--
siglio.prendere è molto buona cosa, che chi tosto giu^
dica corre a suo dispregio. D proverbio dice, indugio^
noia, ina egli Ùl Puoipo savio, dunque è ^U buona|
iiqpecblmente a consigliare 3 die ciò è bucno eonsigUo
<M che tu se^ consigliato e pensato Inogamente, cài
dopo breve consiglio viene pentimento. Lo maestra
dice, tre cose sono contrarie al consiglio, cioè fretta^
iva e volontà; ma dopo lo consiglio dee V uomo esse-»
re ratto. Seneca dice, di mene che tu non fai, e lungfrt
mente ti consiglia ; ma & tosto ed avaccia. Salomone*
dice, quelli eh' è isbrìgato in tutte le sue opwe^ di-»
mora dinanzi al re, e non tra il minuto popolo. lesa
Sirach dice, sii. isbrìgato in tutte le tue opere; ma
guarda che tu per prestezza non perdi la perfezione
di tua qpera ; che '1 Villano disse, cane frettoloso fa^ca*
tdli ciechi. E la quantità di tuo detto dei sopra tutte
cose guardare di tr(^po parlare; eh; non è ninna
cosa che tanto dispiaccia quanto lungo parlare. A-»
scolta, tu piacerai a tutti; ciò dice Salomone: però
che lungo detto non può essere senza peccato, dei
tu abbreviare tuo conto, il più breve che tu puoi; ma
quello abbreviare non vi generi oscuritade. La qua-*-
lità di tuo detto guarda che tu dichi bene, che U be-
ne è la cagione delP amistà, e il mal dire è principio
d' inimistade. Dunque buone parole, liete ed oneste e
chiare, semplici e bene ordinate a piena bocca, lo vi-
so chiaro senza troppo ridere e senza ira. Salomone
1 5o . D. TBSOBO. .
dice, che le parole bene ordinate sono baci di dolcez-
za secondo Iddio.
Capitolo XVHI.
Come tu dei guardare tenpo di parlare.
•
9 Altresì dei guardare tempo ipme ta voli parkve^e
quando^ che lesù Siradi dice, il saTio tace iafino uk
tempo, il folle non guarda tempo uè stagione. Sibn
mone dice, egli è tempo da parlare e da tacere. &b*
neca dice, tanto dei tacere infìno che tu hai mestìttP
di parlare. Lo maestro dice, tu dèi tanto tacere- die
gli altri odano tua parola. leau Sirach dice, non spc»f
*dere tuo sermone dove non sei udito, e non mostnH
re tuo senno a forza, che ciò è tanto come eetera in
pianto^ anche non dei tu rispondere, JBaaxi che la d^f
manda sia fatta ^ che Salomone dice, che quello fhé
risponde innanzi eh' egli abbia udito si è fc^e, e obi
parla anzi che P imprenda cade in ischemo^ che leiìi
Sirach dice, comanda che tu imprendi innanzi che hi
giudichi, e che tu imprendi, anzi che tu parli, innafizi
si taccia. Lo maestro dello insegnamento del parlarenoii
dirà ora più infìno a tanto eh' egli non verrà al terzo
libro ov' egli insegnerà tutto P ordine della retorico,
e tornerà alla terza parte di prudenza , cioè cono-
scenza.
LUaO SETTIMO.
l3l
Capitolo XIX.
Come V uomo dee coooscere il tempo di parlare.
Conoscenza è conoscere e sapere divisare dalle vir-
ludi i vhu che hanno colore^ virtude, e dì ciò ci
oonviene guardare^ però dice Seneca, lo tìùq entrr
setto Bome di virtude, ohe H Mso ardimoato entra in
simiglianza di fortezza, e malvagità è tenuta tempera-
mentoi» e lo codardo è teooto savio, e per fìillìre in
qpeste cose siamo noi in grande pericolo; e però vi
doremo mettere certo s^no. Isodcnro noi mena alFo^
fido di questa virtude quando dice, scaccia i vicii che
portano simiglianza di virtude, perchè elli diservono
più pericolosamente che quelli che segniscono quello
che dimostrano, però si cuoprono sotto la coperta di
virlude; che sotto coperta di virtude e di giustizia sia
ÙLÌtà crudeltà e ipocrisia chiamata di buoaarità. Tul-
lio disse, nullo agguato non è si riposto come quello
eh* è appiattato sotto ispecie di servigio. Lo maestro
dice^ uno cavallo di legno distrusse Troia, però che
aveva simiglianza di Minerva eh' era loro Iddea.
Capitolo XX.
Come r uomo dee guardare in conoscenza.
Insegnamento ad imprendere iscienza a' non sa-
puti, suo ufficio si è che V uomo dee primieramente
insegnare a sé medesimo, poi agli altri, secondo che
Salomone disse, quando disse, bevi P acqua di tua ci-
sterna, e ciò che surge del tuo petto, « li ruscelli del-
l53 o
le tue fontane Tadvio fiiorì, e rodi b tmìimdìipcr
ineuo le piazie. Lo maestro àmtj beri Paoqpa di tn
dstema e di tuo pozzo, ciò è a dire che P aomo im-
prenda senno disoo pensiero; e mettere Inori li tuoi
rufodli delle tue fioiilmic^ dò è a dire, ohe dei iipv-
gere tua iscienia, ins^gnandob ad altroL Salomont
disse, io ti priego Iddio che tu mi doni cnore ipiinpcu
Tole. Seneca disse^ e^ è già gran parte in bontà chi
Tooie divenire buono, e bontà di cuore non è già
prestata, né venduta. Seneca dice, virtnde non pnà
essere senza studio di se, che malvagità noo pranda
leggiermente. Yirtude è acquistata per grand* atndb
e travaglio, ella desidera governatore ; ma i vian ìm^
prende V uomo senza maestro. Gregorio dìoe, il ti
eonviene i^>esso ricordare delle cose cbe 1 mondo €i
la dimenticare. Seneca: non giova troppo detto mmk
Agostino, quelli sono malaugurosi, cbe tegnono a ynh
ciò sannoi e sempre diiegja^ono nuove coee. Togli Uà
ben saper insegnare, cbè cosà si presta dottrina, s'ella
à sparta cresce, e s' ella è tenuta discresce $ ansi A
danno di sé, cui so &tto aperto riviene. Sei^^ca disse,
insegnar (Juello che tu non sai non è firutto. Cato ditr
se, laida cosa è al maestro quando la colpa il ripren-
de. Lo maestro disse, la natura degli uomini è tale che
elli giudicano più tosto le altrui cose che le loro ; e
dò addiviene perchè nella nostra cosa noi siamo in
pecca o in troppo grande gioia o in troppo grande
dolore o d^ altre cose simiglianti, perchè noi non pò-*
temo giudicare la cosa secondo ch^ ella èé Però co-
manda la legge romana ohe Tuomo deldm aver awo^
cato nella sua propria causa; ma egli addiviene, non
LIBBO SETTIMO. l55
SO come, che noi vediamo in altiiii far male più tosto
che in noi, e che nell^ occhio d' un altro puote Iluo^
mo vedere pù tosto un picciol busco che nel suo u-
na gran trave: e cosi vede V uomo lo male del suo
vicino o di suo compagno che gli va dinanzi, che il
sao4^^è dirieto a lui. Ed in tutte queste cose è virtude.
Tallio dice, che V uomo dee schifare due vizii. L^uno
è che noi imprendiamo le cose che noi non sapemo
per diritta saputa; e che noi non ci assentiamo folle-
moate, che ciò è presunzione; egli converrà che chi
vorrà ischil&re questi vizii ch^ egli vi metta tempo e
pensieri a conàderate le scure cose. L^ altro vizio è
flMttere grande istudio nelle oscure cose e gravi che
non sono necessarie ; e questo vizio è chiamato cu-
riositade, cioè quando V uomo mette tutta sua cura
nelle cose di che non ha pro^e tutto suo intendimen-
tc^ si come tu lasciassi la scienza di virtude, e mettessi
un grande studio a leggere astrologia ed in agurìe. Se-
neca disse, egli è meglio se tu tieni un poco d' inse-
gnamento di sapienza, e Phaì prestamente per uso, che
se tu n'avessi impresa molta e non T avessi per mani
Lo maestro disse : così come Tuomo chiama buono (at-
tore, non colui che fa molte arti di che usa poco, ma
colui che in una o in due si travaglia diligentemente,
e non v'ha forza, conviene ch'egli sappia pur tanto
ch'egli n'abbia ; così è egli in disciplina, che v' ha mol-
te cose che poco aiutano e molto dilettano; che tutto
sia ciò che tu non sappi perchè ragione lo mare si
sparge, e perchè i fanciulli piccoli sono conceputi in-
sieme, e perchè in diverso destino nascono, non si con-
viene guarì a trapensare ciò che non è lecito a^sepore
Latini. Fdl. IL 8
1 34 n. TÉsoKo.
e che non è perfelto. Tullio disse, senno di' è sen-
za giustìzia dee essere meglio chiamato malizia die
scienza.
Capitolo XXI.
DelP insegnamento.
In prudenza si dee Puomo guardare del tròppo e
del poco e seguire lo mezzo, secondo che fu detto a
dietro nel libro di Aristotile, che là ove virtude si for-
za oltra suo potere senza riteiìimento di ragione, al-
lora cade ella pericolosamente ; mira li raggi del sole
ed abbaglia sì che non vede niente. Salomone dice,
chi non ha previdenza distrugge il suo tesoro ^ nia guar-
dali di provedere ciò che a noi è vietalo e non di no-
stra licenza, disto disse, non è da sapere a voi lo
tempo e' momenti che '1 padre ritenne nella sua pò-
destade. L'Apostolo disse, lo senno della carne è ni-
mico a Dio, e la sapienza del mondo è sloltizia a Dio.
Seneca disse, se prudenza passa oltra le cose buone tu
sarai tenuto per ingeneratore di spaventevoli sotti-
gliezze. Se tu richiedi le cose scerete e ciascuna cosa
minuta vorrai sapere, tu sarai tenuto invidioso, sospet-
toso e pieno di paura e di pensieri. E se tu metterai
tutta tua sottigliezza in trovare una piccola cosa o due,
l'uomo ti mostrerà a dito, e diià ciascuno, che tu sei
molto ingegnoso e pieno di malìzia, e nimico de'sem-
plici, e generalmente malvagio da tutti gli uomini, ed
in tali malvagitadi ti mena la dismisura di prudenza.
Dunque dee V uomo andare per lo mezzo, sì che non
sia troppo grosso, ne troppo sottile.
Gjìpitolo XXIL
DeUa prudenza e di sua manien.
Appresso Pìosegnameoto della prudenza^ ch^è la
prìma delle altre, ch^ è donna ed ordinalrìce, si come
quella che per forsa di ragione divisa le cose V una
dall^ altra, ora dirà il maestro di temperanza, e di for~
teista, e di giustizia, però che V una e V altra è per di-
rizzare il cuore dell' uomo all^ opere di ^ustizia, Ra*
gione comanda volontade, e paura gV impaccia VuÈàr
ciò dì giustizia^-se non jEbsse temperanza, che constrio*'
gè runa forza e T altra; e tuttavia dice il maestro
della temperanza, innanzi che di fortezza, però che
temperanza stabilisce il cuore alle cose che sono eoo
noi, cioè la bocca serve al corpo. Ma &rza istabilisoa
alle cose contrarie; e dalP altra parte p^ temperanza
governa V uomo se medesimo, per forza e giustizia
governa gU altri; e meglio è governare se che altrui.
Capitolo XXID.
Della flecooda TÌrtiide eh* è eonlemplatiTa.
T^nperanza è quella signorìa che P uomo ha con-
tra lussuria, e centra agli altri movimenti, che sono
disavvenevoli; cioè la più nobile virtù che rifrena il
carnale diletto, e che ci dona misura e temperamento
quando nói siamo in prosperità, sì che noi non mon-
tiamo in superbia, uè seguiamo la volontà, e quando
la volontà va innanzi al senno V uomo è in mala via.
Tullio dice, che questa virtù ornamento di tutte vite
1 56 n. TBSomo.
è rappagamento deHaoì turbameoti ; però dee dasi»-
no votare il suo cuore della volootà del desklerìo dèi
carnale diletto, che altrìmeoti virtade noi può aìola-
re, secondo che Orazio disse, se ^ vasello non ^ netto
ciò che tu vi metterai inagrerà ; però dèi tu dÌ9|tte-
giare diletto, che troppo ci nuoce diletto, eh* è eoBH
parato per dolore. Li avari hanno sèmpre Inogo ; doA-
que metti alcun fine al tuo desiderio. Lo invidiofo
sempre addolora delle cose graziose. Chi non tempera
sua ira, egli averà il dolore, e vorrebbe ch^ ^;li noli
avesse fatto quello ch^^li avea pensato. Ira è contro
alla volontà, e che tu dèi governare tua volontà, cliè
se non la fai ubbidire ella comanda; rifrenala danqnè
ul freno, o alla catena. Lo maestro disse, sotto teoÉpe-'
ranza sono tutte le virtù che hanno signoria sopra altre
maggiori, e sopra li malvagi diletti ohe nuocono e^
uomini troppo pericolosamente, eh* elli sono cagionÉe
spesso di morte e di malattia. Seneca dice, per lo de-
siderare periscono la maggior parte dei ccMpi^ T altra;
parte si dà a^ suoi desiderii, ed è sottomesso sd luogo
del servo, egli è orgoglioso, egli ha Iddio perduto, egli
perde suo senno, e sua avventura, e sua virtude. San
lomone disse, sapienza non è già trovata della terra di
quelli dilettevolmente.
Capitolo XXIV.
Della vita conteroplatÌTa.
Diletti e desiderii sono compiuti e messi in opera
per li cinque sensi del corpo, donde assaggiare e toc-
<*are sono principali, ma li altri tre sono stabiliti per
LIBRO SETTIMO. 1 57
li due detti di sopra^ che noi conosciamo la cosa da
lungi per udn*e e per vedere e {ler fiutace, ma per l'as-
saggiare e^l toccare non si può conoscere la cosa se non
d'appresso, però sono tutti gli uccelli di prati di gran»
de veduta, che li conviene da lunga conoscere sao pa-
sto, altresì vide la prima femina il frutto prima eh'
«ella ne toccasse ^ e David vide Bersabea ignuda anzi
ch'egli fecesse l'adolterio. Se noi leggiamo nel libro
della natura degli animali troveremo che toccare e as»
saggiare sono più possenti nel corpo dell'uomo che in
nulla bestia 5 ma lo vedere e l'udire e 1 fiutare sono
più deboli e di minore podere nell* uomo che negli
altri animali^ e perciò dico che li diletti che sono per
toccare e per assaggiare sono più pericolosi che gli al-
tri ; e le virtudi che sopo contrarie allora sono di
maggiore valore ^ e per ciò ohe diletto è nell' animo
dì noi per li cinque sensi del corpo, e ciascuno diver-
samente secondo suo oflicio, addiviene che quella vir*
tu è che temperanza divisa per numero di più mem-
bri per costringere la virtù concupiscibile e la virtù
irascibile, cioè l' uomo vivente ontoso ed adirato per
governare l'autorità de'cinque sensi; e questi membri
sono cinque, misura, onestà, castità, intendere e ri^
tenere.
Capitolo XXV.
Del diletto e del desiderio.
Misura è una virtude che tutti i nostri ornamen-
ti e tutto nostro allure fa essere senza difetto. Ora-
zio dice, in tutte cose è certa misura e certa inse-
gna, sì chc'l retto non può £ire ne più né meno. Tnl-
i58 IL Tuoao.
lio dice, dimentica li tuoi ornamenti che sono indegni
air uomo, pei;p che Seneca dice, che '1 malvagio cm^
namento di fuori è messo di mahragi pensieri. Tdlio
disse, tua nettezza dee essere che ella non sia agio per
troppo ornamento, ma tanto che tu cacci le sairatiche
negligenze e la compassione laida. Egli si ha due mo-
vimenti, r UDO del corpo e P altro del cuore; e quii
del corpo dee Puomo guardare che sua andatura non
sia troppo molle per tardezza, che ciò è segno^ di su-
perbia ; né tenenza troppo presta tanto ch^ella ti fac-
cia ingrossare la lana e mutare il colore ^ e queste co-
se sono segno di poca stabilità^ il movimento del coch
re è doppio. L' uno t* pensiero di ragione. Xi' altro è
desiderio di volontà. Pensiero si è a dimandare il va-
ro, e desiderio fa fói*e le cose^ Dunque dee V uomo cu-
rare che la ragione sia donna dinanzi che ^l desiderio
ubbidisca ^ che se volontà, che è naturalmente sotto-
messa a ragione, non gli è ubbidiente, ella fa ispesse
volte turbare il corpo e ^1 cuore. L' uomo può cono-
scere i cruciali, o i smagali (>er paura, o chi ha gi'an
volontade d^ alcuno dileLlo a ciò ch'egli muove, cam-
bia lo volto e '1 colore e la boce e lutto suo atto ; che
il cuore ch'è iriliammato (Fira batte fortemente, lo coi'-
po triema, la lingua balbetta, la faccia iscalda, gli oc-
chi istende celando sì che noi^ puote conoscere li suoi
amici. La faccia moslm ciò eh' è dentro, però Giove-
nale dice, riguarda lo tormento e la gioia del cuore e
la faccia che sempre mostra suo abito. Per le parole '
che sono dette può T uomo intendere che 1 desiderio
della volontà è ristretto ed acchetato col bisogno ; che.
li afEiri sono diversi secondo la diversità di maggiori
Lnio SBTmio. 159
e di pari cose, si oome ha di corpi grande diver-
sitade, che 1^ uno è leggiere per correre, e F altro è
fijrte per giostrare, altresì ha egli nel cuore maggiore
diversità; che Tuno lia cortesia^ T altro ha letizia, Tal-
tro crudeltà, V altro è savio di celare soo pensiero, ed
altri semplici ed aperti che non vogliono celare loro
£Mto, anzi amano verità e guardano amistà. Che dirò
io? altrettante sono le volontà, come sono le figure,
per questo detto ; egli ci ha mille maniere d^ uomini
che delle loro usanze sono dissimiglianti; dascuno ha
suo volere, e le genti non vivono ad una volontà.
Tullio dice, ciascuno dee mettere sua intenzione a
cosa che li sta convenevole, e già sa ciò che le altre
cose saranno migliori e più onorabili, tuttavia dee egli
misurai'e sua invidia secondo sua regola; e la ragione
eomanda s^ egli è debile suo corpo, ed egli ha buono
ingegno e viva memoiia, che non sia cavaliere, ma
cliasi a studio di lettera, che nullo dee andare contra
a natura, ne seguire quello ch^ egli non può seguita-
re, ma se bisogno non fa misdire a cose che non ap-
partengono a nostro ingegno, noi dovemo operare che
noi facciamo bello senza laidezza, o più a disnore. Ne
noi non dovemo tanto sforzare lo bene comune a noi
donato come di fuori li vizii, le proprietadi, lo tempo ;
che ne conta Orazio in questa maniera, lo fente ha tan-
to ch'egli sa parlare ed andare a giuocare là dov'egli
vole, e si cruccia, e si giostra, e si muta per divei*sc
ore. lii giovani che non hanno oggimai guardia si di-
lettano a cavallo, ed in iicx*.elli, elli si corrompono leg-
germente a' vizii, e si crucciano ; quando V uomo si
castiga, egli si promuove tardi da sua opera^ e guasta
l4o IL TESOHO.
MIO retaggio, egli è orgoglioso, ed ontoso, e laida tcH
sto ciò ch^ egli ama, che giovane uomo non ha pmrto
<li fermezza, e quando vien in tempo^ e di coraggio
<V uomo, egli muta la sua maniera, e rìchieggonoamt-
ci, e ricchezza, ed onore, e si guarda di (are cote che
li convegoa mutare. Li vecchi hanno molte angofcoi
elli chieggono le cose, e quando le hanno acquistate^ li
temono d^ usarle^ egli & tutte queste cose gelalamea*
te e codardamente; egli pensa in chiedere, e vole ciò
M è anche addivenire, egli compiange ciò che per-
de, e loda il tempo passato, e vole castigare li giovani
(i giuocare con le giovane. Massimiano dice, li vecchi
lodano le cose passate, e biasimano le presenti, per fio
che nostra vita peggiora continaai&ente ; lo tempo del
padr« è peggio ohe quello delPavolo; il nostro tempo è
peggiore che quello del padre 3 ed anche saranno i no*
stri figliuoli più pieni di vizii. Giovenale dice, terra
multiplica ora malvagi uomini e rei; e anche di que-
sta materia dice Tullio, cheU giovane uomo dee por-
tare reverenza al vecchio, e intra loro amare le mi-
glioii pruove, ed usare di loro consigli. Seneca dice,
che le onoranze e le follie de^ giovani debbono essere
onorate per lo consiglio de^ vecohL Terenzio dice ,
mentre che il cuore è dottoso, egli va qua e l«h. Tullio
dice, in gioventute è grande debilezza di consiglio, di^
:illora crede ciascuno che debba vivere secondo che
più gli piace, e così egli è soppresso dà alcuno suo cor-
so di vivere, anzi eh' egli possa lo migliore iscegliere,
però che debbono li giovani mirare la via degli altri,
rosi come in uno ispecchio, e di ciò pigliare esemplo
di vivere. Seneca dice, buona cosa è guardwe in al-
'*■
LIBRO SISTTIMO. ' l4l
trui qudlo ch'égK dee fare. Giovenale dice, quegli è
bene agurato che sa gualcare se per altrui perìcolo.
Quando il fuoco è appreso in casa del tuo vicino, ^
dei fornire la tua d^ acqua. lil questo tempo si dee'
1^ uooio guardare sopra tutte cose di lussuria e d'al-
tre levità, e fare sì come Giovenale dice, quando tu
fei le villane cose sieno piccole, e ritaglia i tuoi crini
a tua prima barba. Tullio dice, li giovani si debbono
travagliare di cuore e di corpo, si che lo loro insegna-
mento vaglia ad officio della loro città, cioè a dire,
ch'egli si deano adusare da giovani a ben fare sì che
elli lo ritegnano tutto tempo della loro vita, che '1 va-
sello guarderà e manterrà l'odore ch'egli prese quan-
do fu nuovo. Orazio Hisse, lo fante apprende sofierire
povertà, ed a menare cavalleria e migliori cose. Tul-
lio disse, quanto vale a rilassare suo coraggio, e met-^
tere a intendere a diletto grande, sia dotto di tem-
peranza, sovvegna loro di vergogna, e ciò saranno più
leggeri s'egli sofferranno ch'egli hanno sieno un giuo-
co ^ e loda bene a giuocare alcuna volta per riposa-
re sé, altresì come di dormire, che natura non ti fé né
per giuoco, né per sonno. Orazio disse, profittabile co-
sa è a giovani fanciulli e fanciulle eh' elli si studino
ad avere senno, però che non ci vale giuocare, che 'l
giuoco ingenera briga ed ira ed odio e mortale bat-
taglia. Tullio disse, due maniere sono di giuocare, l'u-
na é villana e malvagia e laida, e l'altra é leale e cor-
tese ed ingegnosa. L' ufficio dell'uomo che ha passato
gioventudine sono quelli che Orazio nominò qua a
dietro, di che egli non ha qui a ricordare, però se ne
passa ora lo conto brevemente. Al vecchio dee l'uomo
l4a * IL TESCNia
menomare la briga dd corpo e crescere qadki de&V
nima ed io prendei*e od in ^tigare o in servire. Iddio;
Terenzio dice, nullo non fu unque sì pteno di aeoiio^
che là ove'! tempo e P usanza non richj^ga sempre di
alcuna novella cosa, ech^eglioon creda sapere di quel-
lo ch^ egli non sa, e che P uomo non rifiuti ciò che io
prima li piacea, e quando egli le pruova che molte co-
se somigliano d^essere buone innaou che ruoitto Ta»^
saggi; ma quando Puomo le assaggia Puomo le trota
malvagie.. Tullio disse, li vecchi debbon laettere Vkt*
tendimento a consigliare gli amici giovam. Tecchb
uomo non si dee tanto guardare neUe cose, oeme àh^
bau donare asprezza, altrimenti li dirà V uomo quello
che Orazio dice, tu imprendi invidia e lasci virLudL
Tullio dice, lussuria è laida in tutto agio di tempo; ma
troppo laida è in vecchiezza, e se intemperanza è con
essa, ciò è di più male, che a vecchio simiglia Tonta, e
la intemperanza del vecchio ùl il giovane meno savMK
E di ciò Giovenale disse, gli esempi de^nostri primi pa-
dri che furo dinanzi a noi ci corrompono più tosto,
che noi siamo leggeri a seguire laidezza e malvagità;
Tullio disse, gli offici de^ bisognosi sono molto diversi,
che 'i signore dee mantenere li bisognosi della città, e
guardare la legge, e ricordarsi che la legge è data in
sua mano, ma non di sua guardia ; ma un altro bor-
ghese dee vivei'e dritto, donde gli altri vivono, eh' e^
gli non faccia troppo alto, né troppo basso, ma guai^
di il comune bene in paee, ed in onestà, sì eh' egli
non caggia nel peccato di Gatellina, di cui Salustio di-
ce, quelli che sono poveri nella città hanno tempre in-
vidia de'rìcchi^ e segniscono lo malvagio, ed odiano
UBKO SETTIMO. ì/^0
le vecchie cose, ed amano le novelle per la inalavo*-
glieota delle bro cose. Desiderano che lo stato della
città » tramoti tutto giorno. Tullio disse, li savi non
sì debbono intramettere di nessuna cosa, se non di
loro bisogna, eh' elli non si intramettino delP altrui
bisogno. Villano officio ha quegli che compera mer^i-
catanzie dal mercatante per rivenderle incontanente,
che non può nulla guadagnare senza tormento^ e nul^
la coéa non è più laida che vanità, e però Fuomo dee
richiedere dò che gli è mestiere senza laido. Tullio
dice, che non è sì grande guadagno come di guada<^
gnare ciò che Fuomo ha. Medicine e' specierie sono
oneste a quegli che li conviene, ma mercatanzia s' el^
la è piccola Fuomo la tiene a laido^ s'ella è grande •
dà guadagno e dà utilità senza vanità ella non dee
essere biasimata. Nullo mestiere è più buono che la«^
Vorare terra, ne più crescevole, ne più degno d' uomo
franco; di cui Orazio dice: quelli ha bene operato che
lascia tutti li mestieri, sì come fecero gli anlichiche col^
tivavano ; e queste cose sono senza laidezza e senza
usura.
Capitolo XXVL
Come r uomo dee dite pesate parole.
Onesta è guardare onore e parole, e da maggiore^
cioè a dire cosa onde si convegna più vergognare che
natura medesima; quando ella la fa l'uomo volse ella
medesima guardare onestà. £lla mise in apeito nostra
figura in che ha onestà sembianza, e ripose le parli
che sono date al bisogno dell' uomoj però elle sareb-*
bero laide a vederle, e li onesti nomini schifano di-
l44 U' TESORO.
ligentemente queste forze dì natura, e ciò è oneiU
cosa che V uomo onesto non mostri suo membro. Al-
tresì dee Puomo avere vergogna in parole, c^^elii non
dee ricordare suo membro, perch^egli è riposto e soi^
zo, e altr^è a dire in modo di sollazzo^ che quando F»^
rides e Goflodes erano compagni in una parte^ elfi
trattavano di loro officio, un bello giovane passò di-
nanzi a loro, Goflodes disse, vedi bello giovane. - Vtr
rides rispose, piovano d'avere vergogna, non tanlD
nelle mani, ma nelli occhi ; ma se Goflodes ciò ayesie
detto di mangiare, elli non dovrebbe essere biasÙDMie
niente. Giò disse Orazio, che ad uomo tristo si con-;
viene tristo parlare ; a corrucciato, parole di cruccio
e di minaccìe; a quelli che si sollazzano, parole di sp-
iazzo ; al savio, parole savie; ma se la parola è divisata
e dissimigliata dall' essere di colui che la dice, tutte le
genti se ne gabberanno. Orazio disse, non cercare il
segreto di alcuno. Lo quinto ufficio disse Orazio mer
desimo, se alcuno ti dice suo segreto, tu il celerai, é
non lo iscoprirai, né per ira, né per giuoco. Guarda
che tu dichi, a cui e di cui, e si ti guarda da quello'
che ti dimanda se gli é lusingatore sgolato, eh' egli non
può celare quello ch'egli ode, né ritener quello che li
entra per li orecchi, che poi che la parola è uscita del-
la bocca ella vola in tal modo che mai non si può ri-
chiamare. Lo maestro disse, non scoprire il tuo spre-
to, che se tu medesimo noi vuoi celare tu non dei
comandare ad altrui che lo celi. Terenzio disse, tieni
io te ciò che tu odi più volontieri che tu non parli.
Salomone disse, in molto parlare non falla peccato.
Sopra tutte le cose sì fuggi tenzone, che dottosa cosa
LIBRO 9BTTIH0. l45
è ad astrìngere contro B suo pari, e faori ^i sienno è
tenzonare a^ suoi maggiori, e laida cosa e più folle chi
si pone a tenzonare con folle, o con ebro. •
Capitolo XXYII.
Come Puomo dee usare parole oneste.
Castità è a dottare lo diletto per temperamento dì
ragione. Salostio disse, se la v^ontà di lussuria pro-
cede, lo coraggio non ha podere di ben fare. Seneca
dice, diletto è fragile e corto, e di tanto come fa più
volonterosamente, dispiace più tosto, e alla fine con-
Tiene che egli si penta, o elli abbia onta ; e lussuria
non ha nessuna cosa che sia avvenente alla natura
deiruomo, anzi è bassa e cattiva, però che viene dal-
F opera del villano membro. Tullio dice, laida cosa è
che molto si fa biasimare lo inchinare la franchezza
deir uomo alla servitù del dilettò, e fare di suo tra-
vaglio altrui volontà. Egli s' avviene tuttodì al forte
uomo e savio, che bene la natura d^ uomo sormon-
ta alle bestie, che elle non amano se non diletto, e a
ciò mettono tutto loro sforzo. Ma cuore d'uomo in-
tende ad altre cose, cioè a pensare e a comprendere 5
e però se alcuno è troppo richiesto di diletto guardisi
che non sia di tignalo di bestia, e s' egli è savio, e
volontà Passale, egli si riprende u pf)co a poco per
vergogna. Guardate dunque che '1 diletto non abbia
signoria sopra di voi, ch^; fa molto sviare P uomo di
virtude^ però disse la santa Scrittura, se tua opera non
h casta, sia privala. Lussuria e vizii confondono la
scienza dell^ uomo, « mettonlo in errore della fede,
Latini, Voi. II. 9
i46 ■
rh' certo di hent c<WBÌikii b iHlDni «li cartilì^ che
^ per cioltarc i «fletto dri toccare, e^ trofqrji dbel
«fileito è in doe nmiierr. uno ch'è per losBorìa^ od d^
tro rhe è tleiraitre membra: e sirrome ornare di robe*
e bascL e di gnioco «fi dare e tollerc e d'altre coiedie
rorrooipooo la TÌta dell* uomo se le sono dismisanle
queste cose^ ma dù le £i alcima Tolta e trmyifralit-
menle e senza malTa^ Tolomà, Fiioaio lo deve bene
sofièrire, s^ ellì non p^^;ia ne questi onori, ne qoesle
cose.
GàFTTOLO XXYHL
Come r nomo dee usare parole caste.
Altra maniera di diletto che è per lussuria è Tera-
mente contra buona TÌta, se ciò non è castamente fat-
to. E ciò puote essere per doqoe ragioni L'ona die
Io aggiugnimento sia d^uomo con femina. La secon-
da che non sieno parenti. La terza che sieno in dirìito
matrimonio. La quarta che sia per ingenerare. La
quinta che sia fallo secondo natura. Per queste paro-
le potemo intendere che matrimooio è santa cosa, e
piacente a Dio e agli uomini. L^ una però che Iddio
lo stabilì primieramente. La seconda per ia dignità
del luogo OY^ egli fu fatto, cioè in paradiso. La terza
che ciò non è per nuovo istabilimento. La quarta che
Adamo ed Eva erano netti di tutti i peccati quando
fu fatto. La quinta, però che Iddio salvò questo ordi-
ne neir arca del diluvio. La sesta che nostra donna
volse essere di questo ordine. La settima perchè Cri-
sto andò alle nozze con sua madre e con suoi disce-
poli. La ottava, però che Cristo nelle nozze fece del-
LIBRO SETTIMO. l^J
V acqua TÌno^ per stgnificaoza del yantaggio che viene
del matrimonio. La nona, per lo frutto che ne nasce,
ciò sono i figliuoli. La decima è, perchè è de' sette sa-
cramentì della chiesa. L'midecìma^ per lo peccato che
l'uomo schifa per lo matrimonio, e per molti altri pe-
rò che sono acquistati alP anima e al corpo. £ tutti
quelli che vogliono fare matrimonio deU>ono consi-
derare quattro cose. L'una è per avere figliuoli. La
seconda ch'ali s'aggiunga' con suoi pari <di lignaggio e
dì ccHrpo e di tempo. La tef za eh' elli sienp stati di
buona gente nati e che sia stato buon uomo il padre,
e buona femina la madre. La quarta ch'elle sìeno buo-
ne e savie, che ricchezza è donata dal padre, e senno
da Dio. Guarda dunque tutti i chierici^ tutti gli al»
tri che sono istabiliti al servigio di Dio, e le vedove
donne, e le pulcelle che non caggiano in questo pe--
rìooloso vizio, che danna il corpo e l'anima.
Capitolo XXIX.
Ancora parla qui del diletto.
Sobrietà è a dottare lo diletto dell' assaggiare 4el-
la bocca per temperanza di ragione. A questa virtù
c'induce la natura quando fece si piccola bocca a co-
si grande corpo. E dall'altra parte li fece due occhi'
e due orecchie, e non li fece più che una gola e una
bocca. Ma molto ci spone sobrietà il diletto della go-
la, che non dura se non tanto quant' egli passa per la
gola, e '1 dolore della malizia che te ne dee venire dura '
lungamente. Considera dunque che ogni cosa imman-
teneàte che l' è mangiata si è corrotta 3 che non è cosi
liB
T
£ *:imàvnt. La
|«cr viviaey e ooo TiTcre per
zìr# «iior: e' ma e cesa dbe T cbineiia ooo
Mmof«ei fcorctflueib meoai 9 disamato
^ *Ìi^ì^f^ Y Zite. GieTonimo dice, che dù è ì
i^f k morto e seppeUito. Agostino dice, quando F
MOcsrtfdeberedTiiioiyeeglìèbeviilodaliii. Lo
LIBBO SETTIMO. l49
Siro disse, più onorevole cosa è che ta ti lamenti di
sete, cbe essere ebbro. Lo poeta disse, yirtude è a sof-
ferìrsi delle cose che dilettano in mala parte. Lo quar-
to oificio è, che per mangiare tu non dispenda dis-
crdinatamente^ die ciò è laida cosa che' tuoi vicini ti
mostrino a dito, e dicano, tu sei divenuto povero per
iQB ghiottomia. Orazio disse, abbiate misura secondo
lo borsa nelle grandi cose e nelle picriole. Guardati
dimqtie di taverne, e dì tuo grande apparecchiamen-
to di mangiare, se non è per tue .nozze, 9 per tuoi amn
d, oper alzare tuo onore secondo la dottrina della
magnifioenza.
Capitolo XXX:
Delle parole di sobrìetade.
. Ritenenza è a costrìngere il diletto degli altri sensi,
cioè del vedere, delP udire e delP odorare, e in tutto
ciò che sia vizio. Salomone dice, non guardare mala
femina. Isaia profeta disse, chi chiude li suoi orecchi
Gontra al male abiterà in cielo. Salomone disse, non
udire femina cantando. Anche dice, chiudi i tuoi o-
recdii, non ascoltare lingua malvagia. Seneca dice,
egli è dura cosa a non udire il diletto del sonatore.
Isaia profeta dice, in luogo di suave odore, sarà gran-
dissima puzzura. Qui si tace ora lo conto di parlare dì
temperanza, ciò che Seneca disse nel suo libro di que-
sta virtude medesima, che è chiamata contenenza, ciò è
tolto una cosa.
1 5o IL TBSOIO.
Capitolo XXXL
Di parole di ntteoimoito.
Se tu ami contenenza cacm il sopra più e 1 trop-
po, e costrìngi lì tuoi desiderìi in istretto luogo. Gm-
sidera con te medesimo quanto è sofficiente d toi na-
tura, e non come desidera tua concopisoeina. Se ta
se^ contenente, attendi infino a tanto che ta sia
tato e contento di te medesimo, che quelli ch'^è
tento di sé egli è sofficiente, o gli è nato con le fio-
chezze. Metti il freno alla tua concupiscenza. Parti da
le tutti li diletti che privatamente ismuovono lo co-
raggio a desiderare. Tanto mangia che tu ti satolli, e
tanto ]>e\'i che tu non t^ inehrì. Quando tu sei in com-
[)agnia di gente, guarda che tu non misdica d^alcimo
che non sia di tuo volei'e. Non ti aggiugnere a. pre«
sente diletto, e non desiderare quelU che presenti non
sono. Sostieni tua vita di poca cosa. Non seguire la
volontà della vivanda. Tuo appetito si muova per
fame, e non per sapore. Tu dèi desiderare poco 3 cbè
tu dei pensare solamente ch^ elli vegna allo esem-
plo divino composto. Partiti dal corpo, e congian-
giti allo spirito. Se tu istudii in continenza, tu ali-
terai in abitazione profittabile; e non sìa conosciuto
il signore per la casa, ma la casa per lo signore. Non
ti fere d'essere quello che tu non se", ma vogli parere
chi tu se'. Sopra tutte le cose dei guardare che tu
non sia povero di laida povertà, e che tu non abbi
inferma la vita, ne laida scarsità. Se tu hai poche co-
se, non sieno btrette^ tue cose non piangere^ del-
LIBRO SETTIMO. l5l
r altrui non ti fare maraviglia. Se tu ami contenenza
fuggi da tele laide cose innanzi ch'elle vegnano. Credi
tutte le cose che possono essere sostenute, se* ciò non
è laidezza. Guardati da laide parole, e' tuoi delti sie-
no profittabili più che coilesi^ che gli nomini amano
ben parlare, ma più amano il parlare diritto. In fra
tuoi detti mischia un poco di giuoco, sì temperata-
mente ch'egli non abbia abbassamento di dignità, ne
di falsità di riverenza, che riprendevole cosa è non
rìdere. Dunque se tempo è di giuocare, portati secon-
do tua dignità saviamente, sì che nullo ti riprenda che
tu sia aspro, ne nullo ti tenga vile, dispeltandoli per
troppo fare. Di te non sia udito nulla villania, anzi
avvenevole cortesia. Tuoi giuochi sieno senza levità,
e tuo riso senza voce, e tua voce senza gridare, e tua
andatura senza romore, e tuo riposo non sia con ne-
gligenza. Quando gli altrì giuocano innanzi a te, pensa
alcuna cosa onesta. E se tu vogli essere contenente,
tu ischiferai tutte lode, e abbi per altre tale essere
lodato dalli rei come esser lodato per ree cose. E
quando elli pensano e dicono male di te, allora ne dei
tu essere lieto, e credere che ciò sia tuo pregio. La
più grave cosa che sìa nella contenenza, è di guardarti
dalle parole che lusingano quella cosa ch'invita il
enore a grande diletto. Non chiedere Y amistà d' al-
cuno uomo per lusinghe. Non essere ardito, ne rigo-
glioso. Umiliati, e abbassati, e non ti vantare gravo-
samente. Insegna volontieri agli altri. Rispondi bel-
lamente se alcuno ti riprende per diritta cagione, e '
sappi eh' egli lo fa per tuo prode. L' aspre parole non
dottare, ma abbi paura delle umili. Caccia da te tutti
1 52 n. TBsomo.
li yizìi, ne degli altrui non unprenderé troppo. Hon
sii riprenditore troppo aspro, ma insegna^enxa rmH
procci, in tal maniera die sempre abbi aUegretza di-
nanzi tuo castigamento . Quando Tuomo fella per*
donagli leggormente. Quelli che parlano chetamente
ritegnono fermamente (dò che odono. Se alcano ti do-
manda d'alcuna cosa, tu dei rispondere isbrigatamen-
te. À colui che contende dà luogo tosto^ e partiti di
lui. Se tu sei contenente, distruggi tutti i malvagi
movimenti del tuo corpo e della tua anima, e non ti
caglia se gli altri non veggono, cb^ assai è che tu lo
veggi tu. Non essere corrente di mano, e sii costante,
ma non pertinace. Tu crederai che tutti gli uomini
sieno tutti pari, se tu non dispetti li più poveri per
oi'goglio, e se tu non dotti li più grandi per dirittura
di vita. Non essere negligente a rendei'e benefidi, e
non essere pronto a ricevere. A tutti gli uomini si tu
benigno, e a nullo lusinghieri. Sii a pochi familiare^
e a tutti diritto. Sii più fiero in giudicamento che in
parole, e più in tua vita che in tua faccia. Sii pietoso
in vendicare, e indi spiacdai\ti tutte crudeltadi. Conta
pregio d' altrui, e di te no. Sii sempre contrario a
coloro che si assottigliano d' ingannare altrui sotto
spede di semplicità. Sii lento alP ira, e tosto alla mi- '
sericordia, e nella avvereità sii fermo e savio. Tu dei
celare le tue virtudi altresì come gli altrui vizii. Spe^
gni vanagloria, e del tuo bene non essere crudele alH
altri. Non avere in dispetto lo poco senno d'alcun
uomo. Parla poco, e intendi chetamente quelli che
parlano. Sii felino, e sicuro, e lieto, e ama sapienza.
Ciò che tu sai guarda senza orgoglio, e dò che non
LIBRO SETTIMO. l55
sai addimanda chetamente che ti sia insegnato. Con-
tenenza sia costretta dentro da te bene, che tu non
sia troppo iscarso, né troppo ispendente. E non met-
tere tuo pensiero troppo nelle cose minute e picciole,
che ciò è vergognosa cosa molto. Dunqpe in questa
maniera mantieni contenenza, che tu non sii dato alla
carnale volontà. Qui tace il«conto di temperanza, e
toma alla virtude della fortezza.
Capitolo XXX II.
Qui dice la terza TÌrtù, doè della fortezza.
Fortezza è virtù che fa T uomo* forte contra a!P as-
salto dell' avversità, e dà cuore e ardimeijto di. fare le
grandi cose; di cui lo conto ha detto qua a dietro,
che la guarda Puomo a sinistro come uno iscudo dalli
mali che vegnono. Veramente ella è scudo e difesa del-
Tuomo, cioè suo osbergo e sua lancia, eh' ella fo l'uo-
mo defendere e offendere quello che dee. Di questa
virtù troviamo noi nellibro dei Re: Tu m'hai forni-
to di fofza alla battaglia, e' miei nemici sottomessi a
me. Santo Luca disse, se l' uomo forte guarda la sua
magione, in pace è ogni cosa che possiede. Salomone
disse, la mano del forte acquista ricchezze, è tutti i
paurosi sono in povertà. La mano del forte ha signo-
rìa, e la mano del codardo serve altrui. Santo Matteo
disse, forte uomo acquista lo regno di Dio. £ sap^
piate eh' egli ci ha dodici cose che confortano noi in
questa virtude. L' una è la diritta feile di Gesù Cristo.
La seconda è l'ammaestramento de' grandi e degli an-
ikbl nostrì. La terza è la memoria di prodi uomini e di
9*
i54 IL
loro opera. La qoarta è vokMità e oso. La qaiola è il
guiderduoe. La sesta è paura. La «^^™a è speraim.
La ottaTa è buona compagnia. La noaa è la yerità e ì
diritta La decùiia è il senoa La niuWàma^ è la de*
hilità del tuo nimico. E la doodedm» è la Iona me-
desima. Codardia è in due maninre. L^una per paura
del male cKe ha a Tenise, o per paura dd male che
è presente. L^ altra per lo cuore oh^ è permaueTole, e
|ier confi >rtare tutte maniere di fievole cuore. E que-
sta virtù è divisa in sei parti, cioè magnificenza, fi-
danza, sicurtà, magnanimità, pazienza e costanza d'ira.
Alcuna cosa dirà lo conto di ciò eh' egli appartiene^
ma innanzi dirà egli ciò che Seneca disse di questa
viitù^ cioè d\ forza, la quale egli chiama magnanimità
in questa maniera.
Capitolo XXXÌTT.
Della mafpianìmitade.
Magnanimità, che è chiamata forza, s' ella intra in
tuo coraggio, tu viverai a grande speranza fi^anco e si-
curo e lieto. Grandissimo bene è all' uomo non dotta*
re, ma essere permanente a sé medesimo, e attendere
lo fine della sua vita sicuramente. Se tu se' magnam-
mo tu non giudicherai per nessun tempo che onta ti
sia fatta ^ e del tuo nemico dirai : questi non mi noe*
que , ebbe animo di nuocermi. E allora die tu '1 ter-
rai iu tuo podere tu crederai avere vendetta pre-
sa, però. che hai podere di te vendicare. Però che la
[)iii nobile maniei'a di veudetta si è perdonare,* quan-
do r uomo può fare sua vendetta. Tu non dèi assali-
LIBRO SETTIMO. I 5 5
re privatamente nessuno uomo, ma palesemente ìa
tutto. Non fare battaglia se tu non la dici innanzi, pe-
rò che tradimento e inganno non si affa, se non è a
malvagio e a codardo. Non mettere tuo corpo a peri-
colo come folle, e non dottare come pamx)so, se la
conscienza di vita biasimevole non è.
Capitolo XXXIV.
Delle sei maniere di forza.
Ora è bene convenevole che 'l conto dica delle sei
maniere di forza, e primamente di magnanimitade.
Questa parola vale altrettanto a dire come grande co-
raggio, ardimento, o prodezza, ch^ella ne & per nostro
grado ragionevolmente pigliare le grandi cose. Io dico
ragionevqlmente, però che nessuna persona dee pren-
dere cosa alcuna contra a diritto. Che chi impigliasse
uno religioso, ciò non saria prodezza. À questa virtù-
de ci ammonisce Virgilio, quando dice, ordinate vo-
stro coraggio a grandi opere di virtude e a grandissi-
mi travagli. Orazio disse, questa virtude apre lo cielo,
e assaggia di andare per la via che gli è divietata, e
sprezza le minute genti, e disdegna le terre, e non dot-
ta pena. Tullio disse, tutto che virtù faccia P uomo
coraggioso all'aspre cose, tuttavia guarda egli più a
comune bene che al proprio. Scienza eh' è dilungata
da giustizia dee essere chiamata malizia, e non senno.
Il coraggio che è appareggiato al pericolo, s'egli è con-
viziosó di suo prò' più che del comune, egli ha nome
follia, e non forza, che questa virtude è codardia o
cattività. Lucano dice, caccia tutti i dimori, eh' egli
1 56 n. TBsoRO.
sempre nuoocioiio a quelli che sono appareocfaiatL Ora-
zìo disse, se tu prolunghi P opere dd ben &re^ tu saia'
cornei villano, che tanto vok attendere a passare 1- ac-
qua del fiume, ch^ella sia tutta corsa ^ ma ella correrà
sempre. Però disse, quando T uomo dice domane sa*
rà fatto una grande cosa, tu non doni altra cosa dio
un giorno viene, e allora avemmo guasto quel dima-
ne. L^anno passa, e sempre rimane un poco ollra.
Tullio disse, quelli debbono essere tenuti prodi uo-
mini e di grande coraggio, che tornan addietro lo tor-
to &tto, e non chi noi fa. Bla però ohe questa TÌrtà
dà alP uomo sicuro cuore e ardimento, e gli fa avere
grande coraggio in tutte le altre cose, conviene ch'ef^
si guardi di tre vizii, che tosto lo irebbero traboocsH
re di suo ardimento, e cadere di sua pensata. Lo pri-
mo vizio s' è avarìzia, che laida cosa sarebbe che quel-
li che non si lascia rompere per paura, sia vinto per
avarìzia o per cupiditade. Lo secondo s* è volontà di
dignità, sì che quelli che non può essere vinto per
travaglio si lasci frangere per volontà di dignità^ che
per grave travaglio acquista l'uomo carità, e ciò ch'è
più faticoso acquista all'uomo maggior pregio, e appe-
na si può trovare chi di sua fatica non desiderì gloria»
altresì come il suo lodo. Seneca disse, lo savio mette
il frutto di sua virtude in conscienza, ma 1 folle il
mette in vanagloria. Tullio disse : e' sono alquanti che
credono montare in grande dignità per sua nomanza,
ma quelli che è veramente di grande coraggio vuole
innanzi essere principe che famigliare. L'uomo non
dee niente acquistare le dignità per la gloria, eh' egli
ne saiebbe cacciato leggermente. Perciò Orazio disse.
UBRO SETTIMO. iBj
che virtude non sarà cacciata leggermente né villana-
mente^ ella risplende a grande onore, e non lieva sua
boce per grido di popolo, e non sarà già mossa per
un poco di vento. Lo terzo vizio è folle ardimento,
cioè a dire quando un uomo è ordito a fare una folle
battaglia, che ciò non è prodezza, anzi è follia. Tullio
disse, chi follemente corre agli assembiamenti a com*
battere di sua mano contra alli suoi nimiqi, egli è si-
migliante a bestia selvatica^ e così loro follia sarebbe.
Non per tanto se necessità lo richiede, anzi che soffri-
re morte o disonore, noi non dovemo fuggire, che sa-
rebbe malvagità, in che non cade nullo senno, e vie-
ne per diffalta di cuore. E non per tanto noi dovemo
bene fuggire quando un grande pericolo sopravviene,
che non potemo sostenere ] e allora è grande prodezza
bene fuggire, secondo che Tullio disse, non vi abban-
donate a pericolo senza ragione; che maggior follia
non può essere fótta. Lo maestro disse, quelli che è in
pace e va cercando guerra, è pazzo. Ma il savio si
mantiene in pace tanto quanto puote, e quand' egli è
costretto d' aver guerra, egli fa direttamente, così co-
me U buono medico fa, che aiuta V uomo sano mante-
nere sua sanità, e sVgli è ammalato leggermente, egli
il cura con leggier medicina, e nelle più gravi infermi-
tà mette più gravi medicine e più dottose. A sua ma-
niera dee r uomo usare sua forza e suo senno, e non
senza ragione; che Orazio disse, forza senza consiglio
discade per sua pesanza. Li degni accrescono forza,
e acquistano li templi. E così vanno quelli che per
loro sicuitade osano prendere le cpse grande folle-
mente.
1 58 IL TESORO.
Capitolo XXXV.
Della fora.
Forza è una virtude che dimora intomo. alla spe-
ranza del cuore, ch^egli possa menare a fine ciò ch^e-
gli incomincia. Suo ufficio è avacciare e proseguitare
le cose cominciate, sì come Lucano dice di Giulio Ce-
sare, che non gli pareva aver fatto nulla ùientre ch'e-
gli aveva a fare nulla cosa. E sì poco avvenente è
quelli che sono già avanti ili come disperati di venire
a buon fine.
Capitolo XXXVI.
Della franchezza e sicurtà.
Sicui*tà è non cogitare li danni che vegnono nella
fine delle cose cominciate. £ sicurtade di due manie-
le. L^ una ch^ è per follia, sì come è combattere senza
tue armi appresso di serpenti. L^ altra per senno e
per viitù^ e suo ufficio è di dare conforto contilo alla
speranza, o di fortuna, secondo che Orazio disse,
(juelli che ha bene apparecchiato suo petto sarà si«
curo in avversità, e temerà nella prosperità; e Dio vi
mena gioco, e egli io piglia. Le cose che fui'ono e che
son male non le lasciare mica sempre, ma una buona
opera di che P uomo avrà speranza. Contra a questa
viitù combatte paura in questa maniera. Paura dice
uir uomo, tu morrai. E sicurtà risponde, ciò è umana
cosa e non pena. Io intrai nel mondo per tale con-
vento, e io Io osserverò. La legge comanda, che ciò che
m
LIBRO SETTIMO. . I Bg
i ' uomo accatta si renda, e quando l' uomo ha iatto
un grande pellegrinaggio sì si posa. Paura dice, tu
morrai. Sicurtà rispondcj^io credea che ti| dicessi no-
vella cosa, ma per morire vivo io, e a ciò umana na-*
tura mi mena ciascuno giorno^ che cosi tosto compio
nacqui mi mise ella questo termine, sì che io non ho
di che mi cruccia, ma io dico per mio sacramento,
che folle cosa è di temere quello che Tuomo non può
schi&re. Lucano dice, morte è pena, ma non la dee
r uomo dottare. Orazio disse, morte è lo diretano ter^
mine di tutte cose. Seneca disse, chi prolunga la mor-
te non scampa. Paura dice, tu morrai. Sicurtà rispon-
de, io non sarò né 'l primo, ne 'l sezzaio. E uomi-
ni sono ^ iti dinanzi a noi, e uomini ci seguiteranno,
ciò è la fine dell'umana generazione. Nullo savio dee
essere dolente. di morte, eh' è la fìne del male. Io non
so ch^ io sia altro che uno animale ragionevole che
dee moiire. Nulla cosa è grave che non addiviene più
che una volta. Per queste condizioni sono tutte cose
ingenerate, che tutle cose che hanno cominciamento
hanno fine. Egli non è strana cosa il morire. E se io
so bene che io debbo morire, a ciò non posso con-
traddicere. Iddio fé troppo bene che uiuno il può mi-
nacciare, che. morte agguaglia il signore al servo, e '1
coronato al pazzo, e tutti li porta in una maniera
quelli che sono molti diversi. Paura dice, tu sarai di-
collato. Sicurtà risponde, di ciò non curo, però che io
morrò più tosto. Paura chce, tu avrai molte ferite. Si-
curtà risponde, a me che pesa ? D' una mi conviene
morire. Paura dice, tu morrai in istrano paese. Sicur-
tà risponde, nulla cosa è stiaoia all' uomo morto, nò
l6<^ IL TEMUUX
la morte non è più grave dì fuori che in casa. Paura
dice, .tu morrai giovane. Sicurtà risponde: altresì vi»-
ne la morte al giovane con^ al vecchio ^ ella non fii
nulla differenza. Ma tanto dico io bene, che allora è
bello morire anzi che tu desideri la morte, per av-
ventura la morte mi scampa d^ alcun male, ma alme^o-
mi scampa di vecchiezza, la quale è molto grave, se»
condo che dice Giovenale : questa pena è donata a
quelli che lungamente vivono, che loro pestilenxà ri-
nnovano lutto giorno, elli invecchiano in dorabili
pene o dolori, e periscono in lorde vestiture. Però
disse Seneca, ch^egli è bono morire, tanto oom^e^
piace a vivere. Lucano dice, che se H diretano di noo
venisse appresso la morte fine del bene, e egli né tri-
sto per isnella morte, avrà tristizia di sua prima £br*
tuna, e metterassi in ventura di disperamento, se egli
non attende la morte. Però non mi cale se muoio gio-
vane, eh' egli non è sì pesante male come vecchiezza.
Giovenale dice, cruda morte, ne agro difiinimento non
dee essere temuta, ma vecchiezza dee esser più te-
muta che morte. Seneca dice: e' non mi può calere co-
tanti anni avere, ma di quanti io ne presi, che s^ io
non posso più vivere quello è la mia vecchiezza ^ chi»
unque addiviene al suo diretano giorno, egli muore
Vecchio. Paura dice, tu morrai, e non sarai seppellito.
Sicurtà risponde, picciolo danno è non avere sepol-
cro. Lucano disse: e''non fa forza se la carogna infinsH
cida, né s'ella è arsa, che natura prende tutto a grado
a cui li corpi divisano senza fìne, morte non ha che
fare di ventura, la terra che tutto genera tutto rice-
ve, e chi non è coperto dalla terra sì è coperto àal
LIBRO SETTfUO. l6l
cielo, di che ^l corpo non sa nulla, non li caglia s^ ^li
è in fossa, e scegli sì sentisse ogni sepoltora li darebbe
tormento, che sepolture non furon fatte in prima per
li morti, ma per li vivi, però che la è carogna fracida,
però è messo Pnno in torra, e P altro in fuoco, e ciò
non è se non per mirare gli occhi dei tìtì. Paura dì*
ce, tu sarai malato. Sicnità risponde^ or veggio bene
che la sicurtà dell^ uomo non si mostra in mare, o in
battaglia solamente, ma ella si mostra in un picciolo
letto. O io lascìerò la febbre, o ella lascerà me. La bat-<
taglia è tra me e la infermità. O ella sarà vinta, o vin-
cerà. Paura dice, le genti dicono male di te. Sicurtà
risponde, io mi turberei se li sa vii dicessero male di
me, e dispiacere avrei, ma lodo e pr^o, che quella
sentenza non è punto d^ autorità, anzi quelli biasima
che dee essere biasimato ^ egli non mi biasima per lea-
le giudicamento, ma per sua malvagità, e dice male di
me, però che non sa dire bene. Bili dicono quello
ch^ elli sogliono, e non quello che io servo, che elli
son cani che hannosi impresa ad abbaiare , eh' elli
non fanno per verità, ma per costume. Giovenale dis^
se, r uomo savio non dotta lo mal detto del folle.
Paura dice, tu sarai cacciato molto alla lunga. Sicurtà
risponde, li paesi non mi sono vietati, ma tutf il luo-
go eh' è sotto il cielo è mio paese, unque tu troverai
borghi o città, sì che tutte le terre sono paese al pro-
de uomo, sì come '1 mare al pesce, ove io ovunque
vado sarò nella mia terra 3 che nulla terra non è scella,
sì che ovunque io dimoro sarò in mio paese, che U
buon essere appartiene all'uomo e non al luogo. Pau-
ra dice, dolore ti viene. Sicurtà risponde, ciò è pie-
fiigy IMO lo dcfatic SicBrta risponde, poche? EgK te
fallir Ji OfumiiK fanL. raon oace, id sani porrcnu
f^ìcarù risponde. lovnioooD è nella povertà, aa ■£!
pirero^ e^ é porcro perche c§fi si crede csHRL Fasa
dkie; fo $ono impofseote, Sicurtà risponde, abbi giaia,
fa far» poifenle. Paura ^ee, quelli ha danarL Situila
riftpoode, e^i ooa è nomo, ne signore, anzi è una
feoce: nollo nomo dee aver invidia di borsa piena.
Paora dice, oohii è molto ricco nomo. Sicartà rispon-
de, effì è araro, n die non ha nalla: egli è guastato-
re, e non li arerà lungamente. Paura dice, molte gen-
ti iranno di poi loL Sicurtà risponde, le mosche ran-
no appresso al mele, e' lupi alla carne, e le fiormiche
al grano ^ dli seguitano il pro^, e non V nomo. Paura
dice, io ho perduti i miei danari. Sicortà rispon^
de, per avventura elli averebbero perduto te, ch^ elli
hanno molti nomini menati a perìcolo, ma di questa
imrtita ti è bene avvenuto, se tu hai avarizia perdu-
ta. Ora tappi che innanzi che tu gli avessi questi da-
nari altri gli avea perduti. Paura dice, ho perduti gli
occhi. Sicurtà risponde, ciò è per tuo bene, che la
vista è tosto chiusa a molte volontà. Molte cose saranno
che tu dovresti cessare nei tuoi occhi, perchè tu non
le veggi. Tu sai bene di'elfè una partita di nocenza»
LIBRO SETTnO. l65
che gli occhi mostrano a uno 1^ adulterio che fa disfa-
re le magioni e le cittadi. Paura dice, io ho perduti
i miei fìgliooli. Sicurtà risponde^ folle è chi piange la
morte ai mortali. Morti sono, perchè morire dovea-
Do. Iddio non averla tolti ma ricevati. In questa ma-
niera Paura, che ovunque non dà buono consiglio, si
combatte con Sicurtade; ma Tuomo sicuro non dotta
niente, secondo che dice Orazio, la maliaùa de'citladini
che danno esemplo di mal&re^ ne a volto tiranno in-
stante non si muove il prode uomo eh' è di vero pro-
ponimento e di forte coraggio. Lucano disse, paura di
male addivenire ha messe più persone a pericolo gran-
de, ma quelli è tra' forti che può soiferire le cose dot-*
tose, ch'egli appartiene a forte coraggio e a fermo, non
sia abbattuto di suo stante avanti che la temuta ve-
gna, anzi usd delle presenti consiglio, e non disperarti
dalla ragione. Seneca disse, elle sono più le cose di
che noi ispaveotiamo, che quelle che ci giovano, e
che noi siamo più spesso in paura per pensieri che
per fatti. £ però, non sia cattivo innanzi il tempo^
che ciò che tu credi non avverrà per avventura giam-
mai. Contro alla paura di morie noi assicurano sei co-
se. L'una è la morte del corpo eh' è nimico di virtù.
La seconda, eh' ella pone fine al pericolo del secolo.
La terza è, la necessità del morire. La quarta, che noi
vediamo morire gli altri tutto dì. La quinta è, che
Iddio morì. La sesta è, la peipetuale vita che è dopo
essa. Qui tace il conto di parlare di sicurtade e di
paura, di chi egli ha lungamente parlato, e mostrate
molte buon^ ragioni che si hanno ad avere in memo-
ria, e tornerà all'ultra paite di ^rza,cioè magnificenza.
l64 tL TBSOROi.
Capitolo XXXVBL
Della magnifioenau
Magnificenza vale tanto a dire come grandezza, e
ciò è una virtude, che noi fa compire le grandi cose e
nobili di grande a£&re. E suo ufiicio è in dae mam»''
re. L^uno è in tempo di pace; T altro in tempo dì-
guerra. In cose di pace dee tenere lo signore li tre co-
mandamenti, che Platone disse, Tuno è che egli gu»r-
di lo profitto a^ cittadini che egli hanno, e ciò ch^ egli
fanno non intendano al loro prode proprio, e ch^egfi
istudi ch^ egli abbiano dovizia ed abbondanza di tì-
Tand<s e delle cose che bisognano alla vita della gen-
te. L' altro comandamento è, ch^ egli sia sollecitudine
di tutti li corpi della città, e ch^egli guardi le cose co-
muni, e le possessioni, e le rendile del comune al bi-
sogno di tutti, e non d^ alcuno singolare. Lo terzo co-'
mandamento è, ch^ egli tegna giustizia tra li suoi sot-
toposti, e ch'egli renda a ciascuno quello eh' è suo, e'
ch'egli guardi l'una parte in tal maniera ch'egli non
abbandoni i' altra, eh j quelli che aiuta l' uno contra
all'altro semina nella città pericolosa discordia. An-
che debbouo i signori delle città guardare che non sia
contenzione tra una parte e l'altra; che Platone disse,
che quelli che sono contenditori sono nella città cosi
come li marinari, eh' essi adastiano intra loro di go-
vernare la nave meglio, che la conducono a mortale
pericolo.
LIBMO flBTTUiO. l65
CàPiTOLo xxxvm.
Come r uomo si dee proTedere in tempo di guerra.
À tempo di guerra, qaando li oonTiene fare batta-
glia, elU dd)bono prima oomuoioare la guerra a tale
intenzione che dopo la battaglia possano viTere in
pace senza torto. £ poi debbono guardare che innan-
zi ch^ elli comincino la battaglia elli sieno apparec-
chiati compiutamente di tutte cose che bisognano a
difendere ed assalire li suoi nimici. Seneca dice, lun«
go apparecchiamento di battaglia fa subita Tittoria, e
questo apparecchiamento è in battaglia ed in fortezza,
e per avviso, e per arme. Terenzio dice, lo savio dee
prendere tutte le cose innanzi ch^ egli combatta, che
meglio è a provedere che a ricevere danno. Lo terzo
ufficio ;è^ che tu non ti spregi troppo per codardia, ne
non ti fidi troppo per volontà, che la smisurata vo^
lontà d' avere mena V uomo a pericolo, secondo che
Orazio dice, V oro fa andare per me li suoi nimici, ed
è più fiero che 1 fuoco, o folgore. Li doni allaccia-
no li folli prìncipi. Lo quarto ufficio eh' è in battaglia
è, che Tuomo dee più schifare laide codardie che la
morte, ed intendere più a bontà che a profìtto, né
scampare, che meglio è morire che laidamente vivere^
nientedimeno V uomo non dee lasciare suo salvamen-
to per gridare, cioè per cessare lo biasimo che V uo-
mo ti lieva a torto per richiedere grande nominanza.
Il quinto ufficio è aJOfalicare spesso suo corpo a cose
che sono a fare. Lucano dice, V uomo ozioso muove
spesso diversi pensieri. Ovidio dice, l' acqua la quale
1 66 n^ TBsoiio.
spesso non si muta, pigHa vizio. Così convien alP uo-
mo per cattivo essere otioso. Lo sesto ufficio è, che
r uomo, poi che viene a combattere, egli dee mettere
grande giustizia, ed ammonire cavalieri e pedoni a ben
fare, é a lodarli di loro prodezze, e de^icnro aot«ce^90-
ri, e dire tanto ch^egli li disponga ad ardire ed a fbg*
gire codardia. Lo settimo ufficio è, ad andare ài pri-
mo assalto e soccorrere ad aiutare quelli che sodo infìfBf
boi iti, ed a sostenere quelli che cambiano e fuggono.
Lo ottavo umcio è, che quando egli ha vittoria egli
dee riguardare e risparmiare quelli che non faron
crudeli nimici. Lo nono ufficio è, che se V uomo fìi
alcuna promissione alli suoi nimici egli la guardi e
mantegna; e non credere quello che si dice, cioè che
r uomo dee vincer lo nimico o per forza, o per tradi-
mento. Ciò ne mostra uno cittadino di Roma, che fa
preso in Cartagine quando i Romani vi fiirono ad
oste; che quelli di Cartagine lo mandaro a Rofaa
per fare iscambiare li prigioni: elli lo fecero giu-
rare ch'egli ritornerebbe, e quando fu a Roma non
ottenne eh' essi cambiassero i prigioni ; e quando li
suoi amici lo volsero retenere, egli volle più tosto tor-
nare a suo tormento che mentire di sua fé. Ma il
grande Alessandro dice, che non ha punto dì difie^
renza come che V uomo abbia vittoria o per forza, o
per baratto 5 femina dee avere pietà de' suoi nimici, e
quello è nimico di se medesimo che prolunga la vita
al suo nimico.
9
LIBRO SETTIMO. 167
• Capitolo XXXIX.
Della guerra e della pace.
Ora ha divisato il conto in due maniere di guarda-
re, ed in guerre ed in pace. Ma per mentOTare la cru-
deltà di coloro che dicono che F afi^e di guerra è
maggiore che quello della città, lo maestro dice, che
pace è P afiSire di cittade mantenuta per senno e per
consìglio di cuore; ma le più volte hanno cosi batlax^
glia per alcuna volta. Ma alla verità dire poco vaglioa
r armi di fuori, se 1 senno non è dentro. Però Salu-
slio disse, tutti gli uomini che studiano in avanzare gli
altri animati debbon guardare di non menare loro vÌt
ta in maniera di bestie che naturalmente sono ubbi-
denti al ventre ; ma tutta nostra fortezza è al cuore ed
al coraggio, che H coraggio comanda al corpo di ser-
vire, ed egli è più diritto che P uomo chieggi più glo-
ria per ingegno che per forza. Tullio dice, tutte cose
oneste l'uomo chiede per altro coraggio e non per
forza di corpo; non per tanto Fuomo dee menare suo
corpo per modo, eh' egli possa cedere a consiglio di
ragione.
Capitolo XL.
Come r uomo dee usare parole costanti.
Costanza è una stabile fermezza di cuore che si tie-
ne a suo proponimento. Suo ulfìcio è a ritenere fer-
mezza nelP una fortuna e nell'altra, sì che l'uomo non
si avvisi troppo, ma tenga lo mezzo, che nobile cosa è
avere in ciascuna fortuna forza ed un medesimo voi-
te leffne^fBMdo pio iKBe ti
tA. ^' ì «m e (^ arU jp|MÌoir>
ronLOrnwdlkis, Fuomm forte lito Jgffi ai
to «n Tcfa • «fmonT db è troppo cnfiila: li
d'ìoliimntà ^ tale, dbe mi ooo
le, n> nKFTeoli al bene, fai oal
allora mio é eOa ivtwle, ciò è die Orano
fjarte 4«gfi uoinini h s raOe^raDo de*TÌziL però m rf>
Unnsmf^ il mal &re: on'^altra partita Tanno iirtaniirriir
«^ una Viltà (a bene.erahra male. Giovenale disse, b na-
tura dellì oaltìri « tattaTia Tana e mobile ijiibiiIii dfi
nrnùtnoOf ancora hanno lermezza tanto die <
bene e male. E quando etti hanno £rtte le
ture M il ùecano in morte dannata, e non se né^
rimiitare. Chi è quelli die mette fine in peccare, poi
diel c^ilfire della Tergogna se n^è ito tìb una ToHa di
Mia fronte? Qual uomo vedi tu che si tegna ad uno
M>lo itecÀ*aU)^ [loi che sua Ciccia indura, e non cura
vergogna? A questa virtù è contrario un vizio che ha
funne niobi lit'i, cioè a dire del coraggio che non ha
tiulla fffrmffzza, anzi ispesso si move in diversi pen-
sieri, h son alquanti si pieni di questo vizio che delti
ali ri creflono che sieno mutabili. Alcuno ne fia si po-
ro stabile che immantinente che gli viene un poco di
male si li ispiacciono tutti diletti, per dolore indebi-
lisce s*', dispregia vanità, e sono vinti per mala rìno*
mala. Ut dò dice un savio, quando son anunalato io a-
UBBO SETTIMO. 1 69
mo Iddio e santa chiesa, ma quando io sarò guarito
quello amore è dimenticato. Però dice Orazio, mia
sentenza si combatte con meco, che ella rifiuta ciò che
Tayea rifiutato. Orazio dice, orali dispiacciono, ora
Yole le cose quadrate, ora le fa ritonde. Quando io
son a Roma, io amo Tivoli, e quando sono a Tivoli,
io amo Roma^ che nulla volta fu sua volontade^ quel-
li che vanno oltra mare mutano loro regione, ma non
loro cuore ^ per quello intendo io uomo senza fermez<*
za, che tutto dì cambia suo volere. Lo maestro dice, di
questo vizio addiviene che nullo uomo si tiene appa-
gato di sua ventura, né di suo essere. Orazio dice, cia-
scuno disira cose diverse, che ^l bue disia fileno e sel-
la, e '1 cavallo arare 3 ora giudico che ciascuno si te-
gna a quello ch^ egli è allevato. À questa virlude ap-
partengono cinque cose. L^una è la fermezza dello
intendimento, che si suole mutare in diversi pensieri.
La seconda è uno medesimo coraggio al bene ed al
male. La terza è fermezza intomo le cose desiderate.
La quarta è fermezza contra la tentazione. La quinta
è permanenza nell' opere.
Capitolo XLI.
Come pazienza è bona.
Pazienza è una virtù, per cui nostro cuore sofferà
gli assalti della avversità e li torti &tti. Suo ufficio
mostra Lucano quando dice, pazienza gioisce nelle
dure cose. La più grande allegrezza eh' ella possa a-
vere si è quand' ella può operare sua virtù. Lo mae-
stro disse, questa virtù è remedio di torto fatto. Ora-
Latini. VoU 11. io
*•.
"7*
sio dfaK;tHltifi
Il sKa b scnpKi pn «pn cke m
noi apporta, cbè Cìifiacdì
In. Sf"^*^ dnCy FiofienBoaoa nbbidieote fii
lelo ■edfeosoo^cb^mlacosicsìl^gpaedie
ti fla grarc se tn la £m ad iniìdia. £ però che qnodi
TÌrtùè copifa paannnf che ¥Ìeoe^ è a sapere die Fan
sia per Tolonlà, e Taltia no. £ tnCto che Fiioaao& per
soo {rado SODO cose biidafaili e degne di merito. Mi
r ona e P altra die sono deatro o di Ikion, s come è
era allcgrezzai e speranoa, paura e dolore. QoeOe die
sono di (bori sono le mne estorti &ttL Io tutte ngio-
nidi trìbolazioiie ta dei iioagioare la passione di Cò-
ste», e le tribolazioni di Job die le seppe si bene aof-
fierìre. Poi to da considerare le pene le qodi li id
portano per compire loro malvagità. Appresto consi-
dera se to avevi di prima servito che quello male dor
▼essi avere è maggiore. E considera la maniera del
male che viene, e di colai che te ^1 fa ^ che in *^<ì:^vf<
di queste cose puoi tu pigliare confòrto, e bène soflfe-
rire tutte tribolazioni dd secolo.
Capitolo XLII.
Della foitezsa.
In questa virtù, cioè fi>rza, ed io tutte sue parti, di
cai voi udite dò che 1 conto n^ ha dello, si dee Tuo-
mo ammisorare e guardare del troppo e dd poco^ se^
condo che Seneca dice, se jnagoanimitade è fuor di
y
LIBRO SETTIMO. 1 7 I
sua misura ella fa nomo minacciatore, ed enfiato, e
crucciato, e senza riposo, e corrente a grandi parole^
s&3za nulla onestade, per picciola cosa s'allieta ed in-
grossa, e sale sopra quelb', e commove altrui, e caccia
e fiere. E tutto ch^ egli sia ardito e fiero ^li avrà cat-
tivo fine, e corto nelle grandi cose, e lasclerà di sé pe*
rìcolosa memoria. Dunque la misura di magnanimità
è, che non sia troppo ardito ne troppo pauroso. Qui
tace il conto di parlare di forza e di soa maniera, •
tornerà alla quarta virtù, cioè giustizia.
Capitolo XLIII.
Della quarta TÌrtù, cioè giustizia.
Giustizia viene appresso tutte le altre virtù ^ e cer-
to giustizia potrebbe nulla finre se le altre virtù non la
facessero; che al cominciamento del secolo quando
non era al mondo ne re, ne imperadore, uè giuslizia'
non era conosciuta, la gente ch'era allora vivea a
modo di bestia, V uno in uno riposto, e V altro in un
altro senza legge, e senza comunità, gH uomini guar-
davano volontìeri la franchezza la quale natura gli a-
vea donala, e non avrebbero messo loro collo a gio-
go di signoria, se non fosse che le malizie multiplica-
rono pericolosamente, e li malfattori non erano casti-
gati. Allora fu alcun buono uomo che per suo senno
assembrò e raunò la gente ad aiutarsi insieme, ed a
guardare l'umana compagnia, e stabilirò giustizia e
dirittura. Dunque pare certamente che giustizia è quel^
la virtù che guarda umana compagnia e comunità di
vita; ch'ò ciò che gli uomini aiutano insieme, ed uno
173 IL TESORO.
ha terre fruttifere, o altre possessioni, ch^ egli ha bi-
sogno d^ un altro, però saremo mossi per invidia e por
discordia se giustizia non fosse. Questa virtù sonaoi-
ta r aspre cose, che in ciò che Tuno è cavaliere, e Ind-
irò mercatante, V altro lavoratore, il procaccio delPti-
no impedisce il guadagno dell'altro, le guerre e li o£
nascono, e sarebbero alla distruzione degli nomiiii, se
giustizia non fosse, che guarda e difende la comumlti
della vita^ di cui la forza è si grande, che quetti thb
si pascono ,di fellonia e malifido non possono vivere
senza alcuna parte di giustizia, che li ladroni che in»-
bolano insieme, vogliono che giustizia sia guardata
intra loro. £ se lo maggiore loro non parte egnalmei^'
te la preda, li suoi compagni V uccidono, ed egli lo
lasciano. Tullio disse, nullo può essere giusto die te-
ma morte, o dolore, o d' essere cacciato, o povertà, o
chi fa contro a lealtà le cose che sono contrarie a que^
sta virtù, cioè a dire, chi è sì disidioso d' avere vita,
o sanità, o ricchezza, od altre cose ch'egli ne faccia
contro a lealtà, egli non può essere giusto. Tutti K
stabilimenti di vita son fatti per aiutare V uomo per
forza di giustizia. Primieramente, che l' uomo abbia a
cui il possa dire sue private parole, e da quelli che
vendono, e comprano, e pigliano, e danno, ed alluo-
gano, e che si intramettono di mercatanzia è giustiz»
necessaria ^ di cui Seneca disse in questa maniera, giu-
stizia è giunta a natura, trovata per lo bene, e per
mantenimento di molte genti, e non è ordinamento
d^ uomini, anzi è legge da Dio, e mantenimento d' n-
mana compagnia. E in questo non conviene ad uomo
pensare che convenevole sia ma ch'ella dimostri e dise-
■'9
LIBEO SETTIMO. 1^5
gna. Se tu voli s^uire giustizia, primieramente ama e
credi Iddyio nostro signore, sì che tu sii amato da lui^
e lui pam tu aliare in questa maniera, cioè che^u Cic-
cia bene a ciascuno, ed a nullo male. Allora ti chia-
meranuo le genti giusto, e ti seguiranno, e iranno* re-
verenza, e t' ameranno. Se tu voli esser giusto, non
è assai a non fare male altrui, anzi ti conviene essere
contrario a quelli che vogliano &rlo, però che non
danneggiare non è giustizia. Non («rendere a forza le
altrui cose, e rendi quelle che tu hai preso, e casti-
ga quelli che le pigliano. Nulla discordia che sia di-
nanzi da te non diitinire per doppie parole, ma guar-
da la qualità dèi coraggio. Una cosa sia tuo affermare
e tuo giurare, che già non sia lo nome di Dìo chiama-
to tuttavia in testimonio 3 però non trapassare la verità,
acciò che tu non trapassi la legge di giustizia. E se al-
cuna volta dirai bugia, non per falsità, ma per verità
riavere. Sì ti convien usare la verità per menzogna, tu
non dèi mentire, ma scusare. Che là ove è onesta ca-
gione, Tuomo giusto non ìscuopre le segrete cose, anzi
tace quello che è da tacere, e dice quello che è da dire.
L^ uomo giusto è così ap[)arecchiato e presto a segui-
re tranquillità, che quando gli allri sono vinti per mal-
vagie cose, egli le vince. Dunque se tu farai tali cose
tu attenderai tuo fine lieto e senza paura, quote vedrai
cose di romore, e sicuro mirerai la povertà. E però
che giustizia è il compimento delPaltre virtù, chiamia--
nio le più volle tutto bene e tutte virtudi insieme, per
questo nome, ciò è giustizia chiamala. Ma il maestro
chiama giustizia lolamente quella virtù che a ciascuno
rende suo diiilLo. A cui opera noi siamo in natura in
«r
174 ih TESORO.
tre modi. L^uoo è, die Dio fé T uomo tutto diritto per
significare lo diritto di giustizia. Lo secondo modo che
cosa c]||S i^>partieQe a giustizia è scrittq in nostro co-;
raggio come per natura. Lo terzo modo è, die tatti
li altri animali guardano a giustizia, e ad amore, e pietà
intra quelli di sua maniera. Altresì noi seguiamo lo ìor
segnamento dd savio Salomone, che dice^ amate giu-
stizia voi che giudicate la terra. Anche disse,- dinann
alla sentenza apparecchiate la giustizia. Santo Matteo
disse, beati que' che patiscono persecuzione per la giù-
stiàa. Salomone disse, giustizia innalza i bisognosa Da*
vid disse. Dio serra la bocca del leone, perchè ha to-
lontade di giustizia. Salomone disse, tesauro ne malizie
non £inno pro\ ma giustizia libera da morte. David dice^
mia giustizia mi merrà securamente dinanzi da te. Sa-
lomone dicey giustizia ^ perpetua senza morte. Seneca
disse, giustizia è grande risplendimeoto di \irtude. A
giustìzia appartiene due cose. Volontà dì pro^ intra tut*
ti, e di non nuocere a nullo, che ciò sono li coman-
damenti della legge natui-ale. Santo Matteo dice, fate
agli uomini ciò che voi volete che facciano a voL Lo
maestro disse, giustizia dee seguire lo senno. Ma duo
volontà impacciano V ufficio di giustizia, cioè paura e
cupidità j e due venture, cioè prosperità ed avversità,
doè a dire, se gli è alcuno che per suo senno sia de-
gno che tu li facci alcun bene, e li altri ti dicono che
tu noi facci che tu n^ averai V odio d^ alcuno possente
uomo; vedi che paura ti farà cessare dalf ufficio ddb
giustizia. Dall'altra parte, se è alcuno verso cui tu dei
esser largp^ e tu voli guardare tuo avere, vedi allora
che cupidità va coatm 9 giustizia^ però conviene che
^
LIBRO SETTIMO. 1^5
giustizia sia appoggiata di due mora, cioè di fortezza
coatra paura e centra avversità, e di temperanza con-
tra cupidità e prosperità. E di .ventura at diparte^ che
contra prosperità si dee V uomo mettere a temperan-
za, e coatra ad avversità si dee Tuomo mettere ad i-
spersoìza^ la prosperità alzerebbe troppo raomo, e
r avversità V abbasserebbe troppo, sì come il conto
be detto apertamsente qua in dietra Però pub inten^
dere ciascuno che chi temperanza e fortezza mettono
al sedio di giustizia, egli lo tiene sì fermamente, che
non è in orgo^o per prosperità, né non isgomenta
per aviversitade. La legge di Roma dice, che la l^ge è
forma e perpetuale volontà in donare a ciascuno suo
diritto^ e però possiamo noi intendere che tutte virtù
e V opere che rendono ciò che elle debbono sono sot-
to giustizia, e sono le sue parti. Ma egli ci ha cose che
noi dovemo a tutti uomini, doè amore, fede e verità;
e cose sono <^ noi non dovemo a tutti nomini, ma ad
alcuno, sì come il maestro diviserà in suo conto dili-
gentemente. Ola innanzi dice egli, che giustizia è di-
visata principalmente in due parole, ciò sono rendi-*
toro e liberalitade.
•
Capitolo XLIV.
Della prima branca di tirtude.
Renditore è una virtù che ristora li danni e litor-
ti fotti per degno tormento. E ha tre uffici. Il primo
è, che nullo non nuoce altrui innanzi ricevuto lo tor"
to fotto. Il secondo, che Tuomo usi le comuni cose
come comuni, e le proprie per le proprie. E tutto che
176 n. TESORO.
nulla cosa sia propria per natura, ma per comune, tut-
tavia ciò che ciascuno ha è suo proprio ^ e se alcuno
ne dimanda più lascia dirittura d' umana compagnia ;
e di ciò vegnono tutte discordie, e tu ti sforzi di tor-
nare le mie cose in tua proprietà. Seneca dice, meglio
vivrebbero gli uoonni in pace se queste due parole mio
e tuo fossero levate del mezzo. Tullio dice, Io terzo a^
fìcio è dipartire li rei dalla comunità degli uomini^ »
^ome ùi Tuomo d'alcuno corrotto membro, perdbè non
fiiorrompa li altri ^ così dee l'uomo la fellonia e la cn»-
deità degli altri malvagi dividere dalla compagnia de^
buoni, ch'elli sono uomini, non per opera, ma per no-
me tanto; qual differenza ha egli dunque se alcuno sì
mula in fiera salvatica, o egli ha sembianza d'uomo, e
«crudeltà di bestia ? Le piaghe che non sentono sanità
per la medicina, debbono essere tagliate dal ferro.
Dunque non dee l'uomo perdonare a tale uomo. Se-
neca dice, lo giusto è dannato quando n malfattore è
assoluto. Tullio disse, lo giudice si dee guardare d' ira
quando giudica, che in ira non potrebbe vedere lo
mezzo tra'l poco e il troppo. Cato dice, l' ira impe-
rlisce lo animo sì che non puoi disoernere il vero. O-
1 ozio dice, quando l' uomo non è signore della sua ira^
egli è ragione che ciò che fa non sia per fetto.
Capitolo XLV.
Delia giustljBÌa, e dei giudici.
Li giudici debbono sempre seguitare la verità, ma
li avvocati alcuna volta seguitano quello che pare ve-
rità, e voglionla difendere tutto ch^ ella non sia veri-
^
UBRO SETTUiO. 1 77
là. SalustìQ dice, quelli che giudicano delle cose dot-
tose, ciò è a dire, quelli che sono per lare giustizia, dd>*
bono essere voti d^ odio, e d'amistà, e d'ira, e di mi-
sericordia; che i cuori a colali cose nocdono, ed appe-
na possono Ted«:« guari di verità; Tullio dice, che'
giudici togUono spesse -volte al ricco per invidia, e
donano al povero per misericordia. Seneca dice, im-
maateoeiite che P uomo veste pemna di giudice dee
egli vestire persona d'amico, e guardare che sua per-
sona non fìdchi l' altra, cosi come fosse venuto in sua
possànxa. Egli dee usare comunità 'm sua parola cosà
come altm cose,
•
CapitoIìO XLVI.
Come Ilberalitade fa benefici! air uomo.
Liberalità è una virtù che dona e ùl benefici!. Que-
sta medesima virtù è chiamata cortesia. JVIa quand'el-
la è in volontà, noi la chiamiamo benignità. E quando
ella è in fatto ed in opera, noi la chiamiamo larghezza.
Questa virtude è tutta in donare ed in guiderdona-
re. Per queste due cose siamo noi religiosi verso no-
stro signore Iddio sovrano padre, ed a nostra madre,
ed a' nostri parenti, ed a nostro paese, e siamo ama-
bili a tutti, e reverenti allo più grande, e mbericor-
diosi alli bisognosi, e non nocenti a'nostri vicini. Dun-
que pare bene che liberalitade è divisa in sette parti,
cioè dono, guiderdone, religione, pietà, carità, reveren-
za e misericordia. E però che ciascuna rende ciò che
dee, sono elle veracemente preziose, e membra di giu-
stizia.
I jS Hi TESORO.
Capitolo XLYIL
Di ciascuna parte di liberaliti, e primo di dono.
I
Ora dirà il conto di ciascuna partii di liberalitii-per
sè^ e prima di dono, dove ^i ha iosegpaameato come
V uomo si dee contenere a donare. Seneca disse^ i»
donare guarda che tu non sia veloce, ma chi è IVxh
mo a cui tu doni; basta d^ essere pregato leggermente
a una sola volta. Chi è quegli che quand^ egli
de che tu lo vogli domandare d^ alcuna cosa, non
ga sua fronte, e non indurì sua faccia, e fa 8emkian->
ti ch^ egli è in bisogno ? Ciò che l' uomo donar il dee
tenere dono per altre tale coraggio com^ egli è dona*
to ; e però non dee V uomo negligentemente dona-
re, né nullo non guiderdona volontierì ciò che non ha
ricevuto di bon grado. £ queste cose dee T uomo dot-
tare a se medesimo,' eh' egli riceve dal non savio. Lo
maestro dice, appresso guarda d' indugiare tuo dono,
che quelli è diceduto che crede avere guiderdone di
quelli eh' egli ha tenuto in indugio, e lasciato in lungo
aspettare. Dunque non dei tu indugiar quello die tu
dei donare, ma debbilo donare immantinente ; che chi
dona tosto dona due volte. L'una volta dona la cosa
per sembianza. L' altra, che 1 dono li piace. Seneca,
dice, r uomo non sa grado del dono lungamente di-
morato intra le mani del donatore, perchè dii tosto
dona è prossimano a nascondere, e chi tardi dona, lun-
gamente pensa di non donare. Di tanto menimi tue
grazie quanto tu metti dimoro, però che la faccia di
colui che ti priega arrossisce per vergogna ; ma qu^li
LIBRO SETTIMO. I y^
che non si fa dimandare lungo tempo multiplica suo
dono i che molto buona cosa è d' avacciare lo deside-
rio di ciascuno. Seneca dice, quelli che non ha nien«-
te, promette la cosa che per preghiera la richiede.
Nulla cosa costa più cara che quella che è comperata
per preghiera. Lo maestro dice, ciò è amara parola 6
noiosa, in cui dee Puomo bassare lo volto che dice:
io pn^o; Tobia dice, preghiera è boce di miseria, e
parola di dolore^ però sormonta tutte maniere di do-
no quelli che yiene a rincontro, e ch^ è fatto senza ri-
chiesta. Tallio dice, più è graziosa un picciolo dono
ulto tostamente, che un grande ch^è a pena donato. E
la grazia di colui che dona menima s^ egli fa pregare
agli altri. £ nulla cosa è sì amara come è lungamente
attendere. Ed a molti uonùni Aprebbe migliore gra-
do il disdire tosto, che metterlo in indugio. TulUo di-^
€6, guarda che H tuo dono non sia di colui a cui tu 9
doni, o d^ altrui ; che chi dona V altrùi cosa egli non
ùi beneficio, anzi malifìcio ; però sono persone si yo*^
lonterose di gloria, che togliono ad uno ciò che dona-
no all'altro. Chi prende il mal dono per bene spen-
dere, più fa di male che di bene, che nulla cosa è sì
contraria a liberalità. Seneca disse, quelli dona a va-*
nagloria, e non a me. Tullio dice, usiamo dunque li-
beralilà in tal maniera che vaglia a' nostri amici, ed a
niuno non nuoccia. Lo maestro disse, guarda che tuo
dono non sia maggiore che tuo potere. Tullio disse, chi
è in tal liberalità nop conviene che abbia in se mali-
zia di tollere Paltrui per donare. Lo maestro disse, poi
ti guarda di non rimproverane altrui cosa che tu adibi
donato, che tu il dei dimenticare; ma quegli che rice-
1 8o IL TKSORO.
ve lo dee tenere a mente. Tullio disse, la legge èà
ben fere intra due è in quella che rane dee, tanto
tosto dimenticare quello che dona, ed alP ahro dee
sempre ricordare di ciò eh' egli ha rìoeTUto. E non
sovviene punto a buono uomo di ciò ch^egli ìm ddos-
to se quegli che'l guiderdona non li fò sovvenire. Edi--
rittamente fa quegli che si di buona aria dona, die gii
pare avere guadagnato quello ch^egli dona senta spe-
ranza di guiderdone^ e ricevono come quegli che non
avesse mai donato quelli che rimproverano asprameoi*
te o leggermente, o ch'egli si rimpentono di loro dono,
disfanno tutta la grazia. A cui Tullio dice, a nullo
uomo piace nulla prendere dal tuo, che tu commopi
ciò che tu doni. Lo maestro dice, appresso ti guarda
di malizioso ingegno .di nascondersi come fece re An-
tigono, che disse al povero che li dimandava pia chea
lui non si oonvenia. E quando gli domandò uno da-
naio, à disse: a re non conviene si piociol dono lare.
Quelli ebbe maliziosa scusa, eh' egli poteva beo do-
nare uno bisante, però ch'egli era re, e potevali dona-
re un danaio, però che quelli chel dimandava era po-
vero. Ma Alessandro la fece meglio quando donò una
città ad uno uomo, e quegli disse, ch'egli era di f roppo
basso affare ad avere città. Alessandro li rispose : io
non pongo cura che cosa tu debba avere, ma qual
cosa io debba donare. Lo maestro dice, appresso ti
guarda che tu non ti lamenti di colui che non ti sa'
grado di quello che tu hai servito: egli è meglio se tu
te ne ridi, ma se tu ti lamenti, ed egli n'abbia ira, egli
starà sempre dottoso di iqa vergogna. Ma immantinen-
te che tu te ne lamenterai sua vergogna è andata, e
IJIIRO SETTIMO. 1 8 1
dlia ciascuoo, queUi non è tale come noi credevamo.
Non sia slmlgliante al ioi'o^ scegli non ti sa grado d^un
dono&tto, egli ti saprà d^un altro. E s'egli dimentica
le due, lo terzo gli ricorderà quelli ch^eglì dimentica.
Che ragione ha di «crucciarsi colui a cui tu hai donate
grandi cose, sì che quelli che è tuo amico ti diventa nv*
mico? Sii largo in donare, e non esser agro in do-
mandare, che quando li disdegni montano più alto che
i meriti, colui a cui egli piace sì ne dimentica che sua
diffidta ne menima. Lo maestro disse, in liberalità dob-
biamo noi seguire Iddio eh' è signore di tutte .cose; e-
gli comincia a donare a quelli che non sanno, e non
cessa di donare, e sua volontà è di profittare, che lo
sole luce sopra li scomunicati, il mare è abbondante
a'IadronL Dunque se tu voli seguire Iddio, dona a chi
non ti sa grado, che se alcun non ti sa grado di ciò
che li doni, e' non ti fa però torto a te, ma a lui. Ma
quegli che è senza grado, dilettan sempre li benefìcii ',
ma colui che ti sa grado, non li diletta più d'una vol-
ta. Che non è grande cosa donare e non perdere, ma
perdere e donare appartiene a grande coraggio. Virtù
è donare senza attendere lo cambio. Io amerei più non
ricevere che non dare. Quegli che non dona quello
ch^ egli promette averà più che non ha quegli che non
sa grado di quello che ha ricevuto. Ricevere dono non
è altro che vendere sua franchezza. E se tu impro-
metti a colui che non è degno, donagli non per dono,
ma per tener tua parola ferma. Lucano disse, franchez-
za non sarebbe ben venduta per tutto Poro del mon*
do. Tullio dice, già sia che tu debbi donare a ciascu-^
no com'egli ti domanda, tuttavia l'uomo dèe scegliere
Latini, Fo!. IL 1 1
•^■'
1 8'J ih TESORO.
chi n^è degno. In ciò ruomo dee guardare li costo-
mi eli colui a cui egli dona, e che cuore ha irerso Un,
e con che gente egli usa, e con che compagnia cgi|
viene ne) servigio eh' egli fa, e se qudili con 4901 egli
viene al servigio sieno perfetti, od abbiaoo sembitD-
ca di virlude. Ch' io non credo che nullo ddbba es-
sere dispregiato, in cui appare alcun segno di virtad&
E tu dei credere che ciascuno è buono, se ^1- contrario
non è provato. Lo maestro dice, ciascun dee essere
«morato tanto come gli è ornato di pia leggier virtù,
•cioè misura, e temperanza, ch3 forte coraggio e pia
ardente è 'in colui che non è troppo savio. La priniii
cosa in servire è, che noi semo più obbligati a colui ths
più ne ama. Ma egli ci ha più gente che fanno molr
te cose per innalzare s\ come se fossero ismossi per
un poco di vento 3 chi è ben fatto non dee essere te-
nuto così grande come se fosse (atto temperatamente.
Egli è altrimenti di colui che ha povertt>, che di ocM
che ha tutto bene e dimanda meglio. L'uomo dee più
tosto far meglio a coloro che sono in povertà, s' elli
non sono degni d' avere povertà. Ma noi dovemo tutr
to ascondere a quelli che vogliono montare più alta
Anche credo bene che ben fatto sia meglio a doppio
in buon povero che ^ malvagio ricco. Quelli che so<-
no ricchi non credono essere dimenticati per bene-
fatti, anzi credono a te fare grande bene quando rice-
vono da te, che egli non crede che tu attenda alcuna
cosa da luL Se tu fai bene al rio ricco, tu non averai
grado se non da lui e da sua famiglia. Ma se tu fitt
bene al buono povero, egli è avviso che tu riguarde-
rai a luì non a sua ventura, ed averaine grado e gra-
'M
MBaO SETTIMO. lS5
ua da tutti gii oomini poTeri, chè*ciascano lo terrà io
siao aiuto. £ però se la cosa Tiene in constaoza, se-
guirai Demostene, die disse, quando Tolea maritare
sua figliuola, io amo uomo che abbia scarta di dir
JMri, più che se li dinari aUùa sofferta di lui. Noi do-
Temo tale dono donare die non sia niente vizioso, che
a femina non si dee donare- arme da raYaIieri< Seneca
diee, non donare tali c^se che dispiacdano alP uomo,
e che non li rimproveri sua malizia, ciò è a dire che
Poome non dee donare vino ad uomo ebra Ora ha
detto il .conto d^ insegnamento, oramai dirà egli di
guiderdtMUure^ dove ha cinque ammaestranfoitL
Capitolo XLVUI.
Del guiderdone.
^^oando V uomo ha ricevuto dono od altro bene-
ficio per k> quale egli è obbligato a rendere guiderdo-
ne, ni:iUa cosa k à necessaria come a rendere grazia ;
Ciò è a dire, che tu riconosci lo bene che tu hai rice-
vuto, non per parole solamente, ma per (^)ere, per-
diè Isidoro comanda che tu renda guiderdone in mi-
sitfa, che tu ne hai improntato. Che dovemo noi fa-
re, quando alcuno ci fa ben di suo grado ? Certo noi
doviamo seguire mercatanti guadagnatori, che rendo-
no molto più che V uomo a loro non dh. Che se noi
dottiamo a servire a quegli che noi crediamo che ne
valerà, che doviamo fare a quelli che a noi hanno
già valuto ? Egli è in nostra podestà donare, o noa
donare. Ma io non lodo a buono uomo chVgli non
refida guiderdone di ciò ch'egli ha noevoto^ s* ^li lo
I 84 n. TESORO.
puote fare. Sopra tutte cose ti guarda^ che tu non di-
mentichi lo bene che altri t' ha fatto, che ad ogni gen-
te paiTebbe che 'l bene ch^ egli ti doTCssero fare ta il
dovessi dimenticare. Qaelli è malTagio ch« dimèotidi
lo bene eh' egli ha ricevuto. Seneca dice, quello è ml-
vagio che non fò sembiante, ma più. è malvagio dà
non rende guiderdone, e oltra malvagio è dii^d»^
mentica. Quello non può graflo saper del bene che
gli è fatto, che tosto il dimentica, e pare eh* egli non
pensi guari a rendere. E quegli che dimentica sonai*
glia colui che gitta lo dono si a lungi eh' egli non te
possa vedare, ch> V uomo non dimentica se non qn4-
li eh' egli non vede spesso. E però dico io, che tu nen
dimentichi lo beneficio passato. Nullo tien beneficio
quello ch'è trapassato, anzi lo tiene come cosa perdu-
ta. Se tu non dessi iscritto dinanzi al giudice in coitè^
allora non è muta. Dunque ben fatto è, anci coann^
eia ad essere si come preso in presto. Con ciò sìa egK
onesta cosa a rendere grazia, egli addiviene disone^
sta s'ella è fatta per forza. Appresso, ti guarda che
tu non ti affretti a benefìcio per tuo fatto, eh' elli so^
no alcuni che rendono troppo grande grazia, si come
quelli malvagi che vorrebbono che quelli a cui sono
tenuti avessero alcun bisogno per mostrare com'elli
si ridano del bene che hanno ricevuto per loro co-
raggio; sì come quelli che sono altresì di malvagio a-
ihore, elli desiderano che loro amiche sieno discac-
ciate per fargli compagnia, quando si fuggirà, o ch'elle
sieiio povere, per donarli a loro bisogno, o che sieno
malate, per ispendere con loro ciò che suo amico var^
rebbe. E per questo la fìne è come dal malvs^ amo*
LIBRO SETTIMO. l85
re, che strania f<itioDÌa è di spegnere il fuoco nelP ac .
qua per trarnelo fuorì, che la fine di torto fatto non
è beneficio e ciò non è servigio, per disfare lo male
che altri fa. Appresso guarda quello che Tullio disse,
che tu non affretti troppo di mostrare che tu sappi gra»
do del bene che l'uomo t^ha fatto. Quelli cheti stag-*
gisce lo tempo del guiderdonare, pecca più che quel-
li che '1 passa. Che cìj che tu non voli che dimori in*
torno a te, pare che sia cambio, e non dono 3 ed è se-
gno di gìttaisi dietro il dono, quando l' uomo ne di-
manda un allro immantinente in quello luogo; ed a
cui'pensa ch'eg'inon ha anccMra guiderdonato né ren-
duto, si ripeute del dono ch^ egli ha ricevuto. Ap-
presso,- ti guarda che tu non rendi grazia in riposto
luogo, che quelli non sa grado del bene ricevuto^ che
ne rende grazia in modo che nessun non V ode. Ma
sopra tutto guarda che ricevi benignamente a cui tu
bai renduto grazia. Ma non credere tu però essere
quietato, anzi sei più sicuramente tenuto a rendere.
Che noi doviamo rendere volontà contra volontà, e
cosa contra cosa, e parole contra parole.
Capitolo XLIX.
Delle due maniere della liberalitade.
Ancora di liberalità divisala in altra maniera, chò .
r una è in opera, e T altra in pecunia. £ chi ha lo po-
dere di serskire di ciascuna, o delPuna o dell'altra. E
quella eh' è in pecunia è più leggiere, e speckilmente al
liceo uomo; ma quella eh' è in opera è più nobile, a
più di grado a buono uomo; di cui Seneca 4ÌMe, vir-
iSO IL TESORO.
tade non è chiusa a nullo uomo, ella h lotta aperta^
ella non chiede magione, ni campi, ella si tiene por
pagata delP uomo nudo^ e tutto che Tuna e P altra
maniera di liberalità, qualunque sia o in opera, ^quel^
k ch^è in pecunia, fii Tuomo piacente e graaJ<jao,tMMi
per tanto P una viene dolce, e V altra da virCudi. B
quello eh* è di pecunia menima più tosto in sua beni»
gnità^ che di tanto come tu usi più, di tanto la' potrai
meno usare. Chiunque più dona e dispende di auol
danari, tanto n* avrà egli meno. L'altra manicn^ dM
Tiene da virtude, fa IHiomo più degno e più apporee^
chiato di fere bene di tanto conoe T uomo vi ai ooitii^
ma più. Quando Alessandro si procacciava d^aveM
la buona volontà di quelli del suo regno di suo pa-
dre, cioè di Macedonia, per danari ch^egli donava loray
siuo padre, cioV il re Filippo, sì man^ lettera in tal-OBa»
niera. Quale errore ti ha mosso in qucfsta apcraaaiy
che tu credi che coloro sieno leali inverso di te, ch«
tu hai conrotto per danari ? Tu fai tanto che qiotillì di
Macedonia non ti terranno niente per re, ma per mi-
nistratore e per donatore. Quelli che riceve ne diven«
ta proprio, che sempre sta intento che tu li doni, non
per tanto V uomo non si dee del tutto ritrarre def do-
nare a coloro che hanno bisogno. Dee V uomo dona-
re bene, ma diligentemente, però che più persone
hanno guasto loro patrimonio per donare follemente.
Lo maestro dice, nulla ha maggiore follia che £ire tan-
to ad una volta, che P uomo non possa durare a fere
lungamente quello ohe fe volontieri. Appresso li gran*
di doni, le rapine. E quando V uofBOo viene povero e
bisognosoper donare, egli è ooslretto di prendere 1^
LIBRO SETTIIfa 1 87
trui i ed allora ha egli maggiore odio da quelli asciti
toglie, ch'egli non ha amore da coloro a cui egli dozui.
Gato dice, chi guasta le sue cose chiede altrui quau?-
do non ha più che guastare. Lo maestro dice, però
che donare oon ha fondo, dee ciascun guardare sua
agio e suo podere. £ generalmente più sodo qaM
che si penton di troppo donare, che di troppo strìn^
gere. Ma intomo questa materia sono tre maniere4
L\ino è distruggitore; T altro è avaro, e P altro libe»-
vale. Distruggitore è quello che giuoca a' dadi, e spen-
de in vivande^ e dà a'giucolari. Il distruggitore di-
spende ciò ch^ ^li ha, che non ne rimane memorìa, ^
in somma egli spende quello eh' egli dovrebbe tenere
e guardare Avaro è qu^li che guarda quello che do*
yiéshe donare e spendere. Liberale è a dir largo, cioè
quegli che di suo capitale raccatta prigioni, ed aiuta
suoi amiei a maritare le loro figliuole, sì come deb-*
bono gli uomini aiutare V uno alP altro e di consiglio
e di parole se gK è mestiero. Ma egli si dee guardare
d^alutare in tal modo ad un, che non nuoccia ad un al-
tro, ciiè molte volte gravano di quelli che non dove-
rebbero gravare. £ s'egli Io fanno a folle si è negli-
genza, e se '1 fanno a savio è follia. -Quando tu gravi
alcuno a mal tuo grado, dettene scusare e mostrare
oome tu non puoi altro fare, e ristorare loro per altro
servigio di quello che tu gli hai gravati. Ma però che
tulte cagioni sono in accusare ed in difendere, io di-
co che meglio è difendimento. E non per tanto si può
V uomo alcuna volta accusare, ma ciò è una sola via
senza più. Tullio dice, che quello è uomo crudele, od
^li noD è uomo, che più gente accusa di cose di che
1 88 IL TESORO.
ellitfono io peiiculo. Yile nomìoanza è d^ essere -ac^
cusatore. Guarda dunque diligentemente che tu non
accusi uomo senza colpa di cosa onde égli sìa in pe-
ncolo, che ciò noD può esser fatto senza fellonia. Tul-
lio dice, e' non è nulla disumana cosa come di volere
usare alla gravezza de^ buoni uomini la parlatura che
fu data per salute delP uomo. Lo maestro dice, guar-
da che tue parole non mostrano d^ avere vizio intra
morte. E ciò suole addivenire, quando alcuno ditratta
altrui, e quando si gabba, e quando si misdice. Tullio
dice, noi dovemo fare atto di dottare, e d^amare quel-
li a cui noi parliamo. £ molte volte convienegli castt*
gare le genti che sotto lui sono per necessità. Allora
dee Tuomo parlare grandemente, e dire agiate parole.
£ questo dovemo fare acciò che non paia che siamo
aidirati, o per castigare, o per vendicare. Non per tanto
a questa maniera di castigamenlo doviamo noi venire
poco e non lietamente. Ma ira sia di fuori di noi, però
ohe con essa nulla cosa si può fare a diritto. Lo ma^.
stro disse, Tuomo dee mostrare. che la crudeltà ch^e-
gli ha nel castigamento sia per V offesa di colui cui e»
gli castiga. £ per onta che noi avessimo con nostri
nimioi doviamo noi soffrire di dire di gravi parole,
che è diritta cosa di tenere temperanza, e cessare ira,
e le cose che Puomo fa con alcuno turbamento non
possono essere dirittamente fatte. Non lodare di quel-
li che lodano i cavaheri che chieggono vanagloria ; e
tulte queste cose conviene egli seguire le maggiori alli
uomini, non a loro natura, ne loro ventura. Ma chi è
quello che più volontieri sostiene la cosa del povero
('he quelb del ricco o del possente? Che nostra vo-
#
LIBRO SETTIMO. I 89
iontà si rìtragge più là ove noi crediamo avere gui-
derdone, e più tosto.
Capitolo L.
Della religione.
lofioò a qui lo conto ha divisato di due parti pri-
miere di liberalità, cioè di donare, e di guiderdonare,
e che lo uomo dee fai*e, e che no, e V u^o e F altro.
Ora vole andare oltra alle sette parli. Ma tuttavia di-
tk egli di religione, però eh' ella è più degna a tutte
cose di tutte viilù che appartengono a divinità, e che
ci mena a fai*e opera che ci meni a vita eterna sor-
montante tutte le altre cose. Religione- è quella virtù
diecijk curiosi di Dio, e facci fare suo servigio. Que-
sta virtù è chiamata fede di santa Chiésàpi;ioe la cre-
denza la quale gli uomini hanno in Dio. E chiunque
non è forte e fìero in sua legge e in sua religione, ap-
pena potrebbe essere leale uomo. Chi chi non è lea-
le verso suo Dio, come potrebbe essere agli uomini?
Il primo officio di religione si è pentirsi di tutto suo
peccato. Orazio disse, quando egli è bene ripentito si
diparte dal suo cuore malvagia volontà, e pensieri che
fanno troppo perdere, dee l' uomo informai'e di più
aspro studio. Lo secondo officio di religione si è, di
poco pregiare la mutabilità delle cose temporali, che
dopo bello giorno viene la nera notte. Orazio dice,
Puu giorno caccia F altro, e la nova luna sempre cor-
re a suo fine, però non dei tu avere speranza nelle
mortali cose, che Tuno anno tolle alF altro, e una ora
fa perdere lutt' il dì. Noi siamo dati alia morte, noi e
II»
è
I go 0' TESORO.
nostri fìgtiuoli e nostre cose. Però se tu hai oggi gio-
ia, per venlura domane morrai. H terzo officio si è
ch^ ella dee commetlère il suo officio a Dio , secondo
che dice Giovenale, se tn vogli consiglio, tu V aTerai
da Dio dispensatore del tempo, e però vede che a noi
conviene, e ch^ è utile a nostre cose: che in luogo di
gioiose cose non si conviene la aconvenevole, ed ane*
più r anime che lei medesima non fa^ però dovemo
noi pregare che nostro pensiero sia sano. Ghè Salo-'
stio dice, che lo aiuto di Dio non è guadagnato per
solamente desiderare, e per avere femine^ anzi per'
vegghiare, e per fare bene, e per prendere buono coih
sigilo vegnono tutte buone virtudi. Quando tu sarai
abbandonato a cattività e a malvagità, non piaci a
Dio, ch^ egli è crucciato ver te. Seneca disse, sappi
che tu ^rai lordo delP opere di volontà, quando ta
non pregherai Iddio di nulla cosa. Se tn vuoli nulla co-,
se, dimandala tutto apertamente, egli è grande disva-
glio deir uomo consigliare a Dio di villano desiderio.
E se alcuno ne viene ascoltarlo, egli si tace, e diman-
da a Dio quello ch^ egli non vole che gli uomini sap-
piano; però dei tu vìvere con gli uomini, come se Dio
ti vedesse, e parlare, a Dio come se gli uomini udisse-
ro. Lo quarto ufficio di religione si è guardare verità
e lealtà. Seneca disse, che lealtà e verità discevra Tno-
mo, e trae franco da quella del servo, ma menzc^poa
V odia, e misdice. Tullio dice : però crede alcuno che
questa virtude sia chiamata fede e lealtà, però che per
lei fa Puomo ciò ch'egli dee. Non per tanto V uomo
non dee sempre &r ciò che egli impromette, quando
la cosa eh' egli ha promtsso non li mette bene, o se
LIBRO SETTIKO. 1 9 1
la cosa è noioaa a te eh' egli non vale a luì, di^ egli è
pia difìtto a schifare il maggior daiino che '1 minore.
Che se ta hai promesso ad mio uomo d^ esserli adiu-
tore io una sua cosa, e infra '1 termine incoglie a tuo
figliudb grande malattia, non è ancora P ufficio della
fede contra lealtà, se tu non fai ciò che tu dèi. E se al-
cuna li fia accomandata in guardia^ ella poò bene tale
essere che tu non la dei rendere sempre. Ch'i se alcn-
no quando egti è savio e di buono pensiero egli ti dà
a guardare uoa lancia, e poi quando egli- è pazzo te la
domanda, tu saresti peccatore se fu gliela rendessi, ed
è virtude se tu non rendi nulla. £ se quelli che t^ ha
dato danari comincia guerra con tuo paese, non glieli
nendere, che tu faresti contra tuo comune, cioè con-
tra '1 cooMioe di tua città, o di tuo paese, il quale tu
dei avere molto caro. Àncora addiviene che molte co-
se paiono oneste, e per natnra divengon disoneste
per trapassamento di tempo.. E contra qnesta virtude
fanno mortalmente gV infingardi, e li falsi ipocriti, che
mostrano quello che non sono per ingannare Iddio
e ^1 mondo.
Capitolo LL
Ora TI conterà di pietade.
Pietà è una virtù che ci fa amare e servire diligen-
temente nostro paese e nostri parentL E ciò viene in
noi per natura, eh*: noi nasciamo prima a Dio, poi a
nostro paese e nostri parenti. L^uomo dee far tutto
suo podere per lo comune profitto di suo paese e di
sua città4 e a queste cose ci mena forza di natura, e
ÌK>n forza di legge. Seneca dice, così come nullo dee
ICj'ix IL TESORO.
essere dislretto, se così non comanda b l^ge, che Tuo-
ino ami padre, e madre, e suoi figlinoli, che dàkiiareb-
he sozza cosa, che V uomo fosse contrario di hre quel-
lo che fa. Lo maestro dice, sopra tutte le cose ci do-
> emo guardar che noi non ci faccia«no alcuno male, ne
alcun torto ci sia fatto. Salustio dice, se tu sei nimi-
VM al tuo comune, saranno tuoi amici li strani. Teren^ •
zio disse, chi osa di disservu'e suo padre, che ùsxk agli
altri ? Chi non perdona ai suoi, come perdonerà agli
aliri ?
Capitolo LU.
Della innocenza.
Innocenza è purità di coraggio che aiuta a fare tutti
i torti fatti. Per questa virtù appaga V uomo Iddia
Orazio dice, non ti dimentichi che nuocila coloro che
fanno torto ^ cavane Pattare. Nullo sacrificio è ^à di-
lettevole ad appagar Iddio. Tullio disse, chi vorrà
guardare bene questa viilù, tenga tutti mis&tti per
grandi come eh' elli sieno piccioli. Orazio dice, che
nullo nasi^e senza vizio, ma quelli è più buono *il qua^
le è meii viziato. Giovenale dice, nullo creda che de
sia assai, s' egli misfà tanto come gli ha anzi in pre-
senza ciascuno largamente lo podere. L'ufficio di que-
sta virtù è andare in più luoghi senza gravezza d'al-
cuno. Tullio dice, chi fa torto a uno, minaccia più
persone, e fa paura a molte genti. L' altro ufficio è,
non fare vendetta. Seneca dice, che laida OQsa è per-
dere innocenza per l'odio d'un nocente. E fellonia
non dee essere vendicata per fellonia. Saluflio dice ,
quelli mette più persone sotto isuoi piedi che ti*oppO'
LIBRO SETTIMO. 196
agramente volle vendicare. Orazio dice, in vendicare
divieQff.r uomo troppo nocente.
CAPITOLO LEU.
Deir ufficio della carità.
Carità è la fine delle virtù, che nasce di fino cuore
e di diritla conscienza e non di falsità di fede. Suo co»
mandamento è tale : Ama Iddio e 'I prossimo tuo cò-
me te medesimo, a ciò ti conforta più volte ragione.
Primieramente santa Chiesa che'sempre grida, ama il
prossimo e li strani come te. La seconda ragione è
V amore che ciascuna bestia porta alla bestie di sua
genei*azione. La terza ragione è il parentado che è in
tra noi per natura, che siamo tutti descendenti da
Adamo e da Eva. La quarta per lo parentado dello
s|>irito, cioè per la fede di santa Chiesa, ch^ è madre
di tutti noi. La quinta è la morte di Cristo, che volse
morire per nostro amore. La sesta si è Pesempio ^ che
poniamo che tu ami il figliuolo del tuo amico, lu Fa-
mi perchè 1 somiglia lo tuo amico, però dei tu amare
tolti ^i uomini, perchè sono fatti alla similitudine di
Dio. La settima è per frutto che esce d^ amore e di
compagnia. Salomone dice, meglio è ad essere due in-
sieme che un solo, che ^l frate aiutato dal frate è co-
me una ferma città. Ambrosio dice, quanto è impre-
so da comune volontà acquista vittoria. Però dunque
r uuo aiolà in cambio dell'altro, che solamente disse,
che cuore si diletta per buono ammonimento, e per
buone ifiecie V animo si allegra del buono consiglio
di suo amico. Tullio dice, che si procaceia Tannstade
194 ^i TESORO.
àegìì uominL Che però che le umane cose scilo
e debili, noi dovemo sempre acquistar anici ohe d
amano e che siano amati da noi, però che là ove la
carità delP uomo è cacciata, tolte le allegrezze di vita
sono morte. E già sia che amare ed essere amato sia
buona cosa, tuttavia è più utile amare che esser ama-
to^ però die la è maggiore virtù donare che prendere.
Capitolo LIV.
Come noi dobbiamo amare noi medesimi.
E però questa virtù vale alla vita delP uomo piò
che tutte ricchezze. Lo maestro dice, che sono molle
ragioni che ci aiutano acciò che V nomo sia amato.*
Prima avere misura in parole. Salomone dice, quello
ch^ è savio in parole acquista amici, e. la grazia del
Mie è perduta. La seconda è virtù e bontà. TulUÒ
dice, non è più amabile cosa che vìrtnde. E nuUa co-
sa è che tanto ci sia nociva ad amare nostri amici, e
quelli che noi non vediamo ancora amiamo per me-
moria di sua valenza. La terza è umilila. Salomone di*
ce, fa opere d^ umilila, e sarai amato sopra lutti La
quarta è lealtà. Salomone dice, se ^l tuo servo è leale
saratti come amico. E allora disse egli medesimo, che
leale amico è medicina di vita. La quinta è, incomin-
ciare. Seneca disse, ama se vegli esser amato. La sesta
e, a servire^ ma io non dico che 1 servire mantegna
r amore, se non è fatto saviamente, ch^ sapMMza è ma-
dre di buono amore. Salomone dice, e' conviene avere
senno a servire gli amici. Seneca dice, qnef^ ehe si
fida solamente de^ suoi servigi non ha nuUo si perì-ò
LiBKo dETTiaro» 195
ceroso male, come qaelló che crede dbe (faeììì siano li
suoi amici cni ^H non ama niente.
Capitolo LV.
Della vera amistade.
Noi dotemo Amare tutti gli uomini, e massimamen-'
te quelK che si contentano di noi, in tre maniere. La
(urima è, che noi li amiamo di buon grado, non per
lode, o per pompa, ne che noi li amiamo solamente per
lo profitto di noi, ma per lo bene di nostra contmen-
zd. Seneca dice, poco è amico acquistato come profit-
tàbile. Ambrosio dice, amistà è virtù, don mercatanzia.
Geronimo dice , amistà non chiede cose di volontà,
ciò è a dire,- bene facendo e cessando vfzn. Ch? sì
come Tullio dice, ciò non è ragionevole scusa che tu
facci male per cagione d^ amistà. E che noi Tamiam^ di
molto gran cuore e amore, che non è nullo maggior
diletto, che metter tua anima per tuo amico. E che
liof ramiamo perfettamente, e di lingua, e d^ opera
insieme. Amistà fa aiuto di detto, e di larghezza, che
l'opera è piena d'amore, e che noi P amiamo durabil-
meote. Gregorio dice, quando uomo aguroso è amato,
ciò è molto dubbiosa cosa a sapere, s'egli è amato, sua
persona o sua ventura. Seneca dice, ciò che tu puoi
sapere per tuo beneficio non saprai per tua povertà.
Boezio dice, scuopre la certezza degli amici, che là
ore ella ai va ella ti lascia il tuo, e seco ella porta quello
che tuo non è. Tullio dice, non isehifare li vecchi a-
mici per H nuovi. Tullio dice, e non è nolla cosa sì
I, eome combattere contra a quelli che hanno ami-
I i)(y IL TESORO.
Sta con noi. La seconda manièra è, che noi anruamaat-
tietlanto come noi medesimi, e non più ; che nulla 1^
gè comanda che tu ami altrui più di te, ma chi ooa
sjprà amare sé, non saprà amare altrui. Ama dunque
il tuo amico oltre alle cose dispare voli, non oltra il
t(io Dio, e oltre a te. La terza maniera è, che noi ci
amiamo, sì come nostre membra, interamente Ttm
r altro. E prima che Puno membro non ha invidia
deir altro, e che ciaschedun mèmbro fa suo ufi&do
air altro, e se T uno fa male alP altro, P altro non fii
vendetta, che P uno si duole del male delP altro, e
così si allegra del bene, che Puno si lira innadzi per
j^ difendere P altro, e che tutto il corpo si duole delk
' perdita d' uno dei membri, e ciò che P uomo riceve
sì lo parte con P altro e 1 pro^e 1 danno.
Capitolo LVI.
4
Della prima branca di rirtude.
Amisth con carità è di tré maniere. L^ una è per
diretta fede e per verace amore di benevolenza, e
però dura sempre in sua fermezza, e non può essere
partila per avversità, né per cosa che addivegna, e
questa > ale tutto il tesoro del mondo, però che nul*
lo uomo può venire a compimento di ben fare per se
solamente. E tale amistà non è altro che buona volon-
tà verso alcuno per cagione di lui. Sallustio dice, Puf-
fìcio di questa virtù è volere e disvolere una mede-
sima cosa, ma ch^ella sia onesta. Seneca dice, che suo
uliicio è, castigare in secreto, e lodare in aperto. Tulr*
Ho dice, la legge d^ amistà è, che noi uou diinaudiamo
LIBRO SETTIMO. I97
villane cose, e che ooi non le ^Kxàamo, se alcuno ce
ne priega. Seneca disse, T altra legge si è, che tu ti
consigli di lulte le cose col tuo amico, ma primamen-
te ti consiglia da te. Lo terzo ufficio è, che tu non ti
sfom di sapere quello chVgli li vuole celare. Più uma*
na cosa è non ùxre sembianti della cosa, che mettere
intenzione a sapere cosa perchè tuo amico ti vuole ma-
le. Lo quarto ufficio è, che disavvenlm'a non parla
amistà, secondo che Lucano dice, non è convenevole
die r uomo fallisca al suo amico nella avversità^ che
fede non volle dimorare col cattivo amico. Lo quinto
uffido è, la comunità delle cose. Però disse il filosofo,
quando udì dire di due uomini ch^ elli erano amici,
perchè è dunque quello povero quando V altro è ric-
co? £ non per tanto Tullio disse: dona secondo tuo
podere, e non tutto il tuo, ma tanto che tu possi so-
stenere r amico tuo. Ma laida cosa è, dice Tullio, di
dimettere il servigio al bisogno Puno per V altro. Lo
sesto uffizio è, di guardare equaliln, che amistà non
sostiene alcuno isuaglio. Tullio dice, grande cosa è
amistà, che fa il grande pare del minore. Salomone
dice, chi dispetla suo amico, egli è povero di virtù.
Lo settimo è perpetualità. Salomone dice, sempre ama
quegli che t^ è amico. Egli medesimo disse appresso,
mantieni tuo amico in sua libertà. L'ottavo è, non
scoprire il segreto del tuo amico, e celare suo peccato.
Lo nono è, a fare tosto sua preghiera. Salomone dice,
non dire all' amico, va e torna dimane. Lo decimo è,
a dire ciò che li dee profittare, più che ciò che li deb-
ba piacere. Salomone dice, lo malvagio uomo lascia il
suo amico, e gli disdice di sua bocca. Della verace
9
lyò a tesoro/
amistà 4ice Salomone, bene è agantto chi troya Pa^
mico suo. Tullio dice, amistade dee esser messa in-
nanzi a tulle umane cose. Di dò dice anchie TuUlo^ in
tanto è meglio amistà che parentado, che amore può
perìre nei parenti, e sempi*e rimane il parentado, ma
se r amistà perisce nelP amico, k> nome deir amistà
perisce con esso. Salomone dice, V uomo amabile in
coQipagDÌa t' è più amico che 'l fratello. Tullio dice,
veder tuo amico e ricordarti di lui, è come vedere te
medesimo in uno specchio. £ di ciò addiviene dm
quelli ch^è di lungi da te è come quello d^ appresso;
e quelli ch^ è morto, allresìcome vi venda Pecò Vju/y
mo che vuole acquistare amici dee considerare qual*.
tro cose. Prima scegli è savio. Chi Salomone dice, b
amico del folle è simigliaote a luL Poi guarda scegli à
buono, che Tullio disse, io so bene che amistà non
dura se non tra buoni Poi guarda s^^li è di buona-
ira, che Salomone dice, non sii amico d^uomo iracon-*
do, che r ira arde e punge. Appresso, ti guarda che
sia umile. Salomone disse, quivi ov^è orgoglio, è cruo*
oio e odio.
Capitolo LVII.
Di quello che traina per sua propria utilitade.
• Quegli che t^ama per suo profitto è somigliante al
corbo e alP avoltoio, che sempre seguitano la carogna^
Egli t'ama tanto quanto egli puote avt^re del tuo.
Dunque ama egli le tue cose, e non te^ e se le tue
cose fallano, che tu vegni in povertà, o in avversità,
egli non ti conosce, anzi e' fa alla maniera delP usigno-
Liiuio siTTmo. igg
lo, che nella primayera quando il sole piglia la sua
forza, e vegnono lì fiori e V erbe rerdicanti, egli di-
mora intomo a noi, e canta e sollazza spesso, ma quan-
do il freddo viene, egli si parte da noi tostamente.
Capitoix) LVIII.
IK' quello che ama per suo diletto.
Qaegli che ama per suo diletto fe come il terznolo
disoa femma, che immantinente ch^egli ha suo vo-
lere camidmente, si fugge più tosto due può, e mai non
Fama. Ma egli interviene molte volte, che amore il
sospende si forte, ch'egli non ha podere nullo di sé
medesimo, anzi abbandona cuore e corpo air amore
d'una femina. In questa maniera perdono ellino il
loro senno, sì che non vagìiono nulla, à come Adamo
fe per sua femina, per cui tutta Fumana generazio-
ne è in pericolo, e sarà sempre. David, che per la
beltà <£ Bersabea femina fece omicido e adulterio.
Salomone suo figliuolo adorò gl'idoli, e^lsò sua fede,
per amore d'una Idumea. Sansone discoperse alla sua
amica la sua forza, ch'egli avea nei capelli, e perde
poi la forza e la vita, e mori egli e tutto lo senno. Di
Troia com' ella fu distrutta sa ogni uomo, e d'altre
terre, e molti prìncipi che sono distrutti per falso amo-*
re. Anche Aristotile, così grandissimo filosofo, e Mer-
lino, furono ingannati per femine, secondo che le bto-
lìé contano.
300 IL TBSomo.
Capitolo LIX.
Della rererenza e di sua materia.
Reyerenza è quella virtù che ci fa rendere onore
ai nobili uomini, e a quelli che hanno alcuna signorìai
ed è suo ufiicio porlare reverenza ai vecchi e ai mag-
giori. Seneca dice, troppo è buona cosa seguire lo àn-
dare de^ maggiori snelli sono alla diritta. Noi dovemo
scegliere un buono uomo, e averlo sempre dinanzi da»
gli occhi, sì che noi viviamo così come se tf^ ci ve»
desse, che grande paii;e del peccato rimane^ se vi hi
testimoni. Tullio dice, tu dei sapere, che nullo luogo
sia senza testimoni Ma pensa quelUr che Giovenale dis"
iie, quando tu voli fare villane cose, non credere esser
veduto senza testimoni £ noi doviamo appresso Dio
e appresso i suoi ministri onorare coloro che sono -in
più alta dignità, secondo quello che gli apostoli co-
, mandano, che Tuomo renda onore a colui che dee ,
esser onorato. Santo Pietro disse, £ite onore ai re.
Allresì dovemo noi onorar li più vècchi Nel Levitico
si comanda, leva te inconlra al capo canuto, e onora
la persona elei vecchia Altresì dovemo noi onorare
per dignità di natma. Nell'Esodo si comanda, onora
il tuo [ladre e la tua madre. £ generalmente noi do-
vemo onorare quelli che sormontano in grazia, o in
alcuna bontà. Però che noi dobbiamo credere, che
ciascuno sia migliore di noi, o in lulto, o in paite, do-
viamo noi rendae onore convenevolmente. Jla Tuo-
rao che serve dee servire e obbedire volentieri, che
non e dubbio che colui che s^ofTera a servire dimandi
unto sBTTiiia aai
ciò che Tuomo gli comandi, che non acquisti più di
grazia che quello ch'egli fa appresso il comandamen-
io. Santo Bernardo disse, che la ubbidienza del grave
comadfdamento è più laudabile, che la contumace non
sardsbe condanaevole. Ma a leggiere comandamento
la contumace è più dannabile, che la ubbidienza noh
è laudabile. Che la contumacia dà danno, per tanto in
ella più dannabile, in quanto il comandamento fu leg-
giere, e senta nulla gravezza. Appresso dee Fuomo ub»
hidirè semplicemente, e senza noia, e senza questióne.
Santo Bemai*do dice, quando tu hai udito il coman-
damento, non £sir nulla dimanda. Deuteronomio, fa ciò
eh' io ti comando, e non fere né più né meno. Ap-^
presso, dee l'uomo servire lietamente. Gli Apostoli
dissero^ ama chi lietam^te dona. lesù Sirach dice, iaf
tuo dono sia lieta la cera e in tuo visaggio. Appresso
dee r uomo ubbidire prestamente, sì come santo Pie-
tro fece, il quale subito lasciò sue reti, e seguì Gesù
Cristo. E si dee ubbidire ciascuno umilmente, e giu-
stamente, e perseverando in tal maniera eh' ellino
acquistino grazia, e che la mantenga quando l'ha ac-^
quislata. Che assai può l' uomo acquistare amici, ma
poco vagliono se V uomo non gli sa guardare.
Capitolo LX.
DeHa concordia.
Concordia è una virtù che lega in uno diritto e in
un altro e in una abitazione, quelli d' una città e di
un paese. Platon disse, noi non semo nati pur per
noi solamente, ma per una parte di nostro paese, e di
un^ altra dei nostri amicL E dissono una manièra di
filosofi, i quali furono chiamati Stoici: tutte cose sono
create alPuso delPuomo, e gli uomini P uno per ca-
gione déT altroy cioè a dire che V uno yale aà^altio.
Péro dovemo noi seguire natura, • mettere maoii
tutto il comune profitto, e guardare le compagnie d^-
gli nomini per servire, cioè donando, e pigliando di
suoi mestieri, e di sua arte, e di sua riocfaesza, e do-
nare, e lasciare agli altri di suo diritto di buono aeiiL
Che donare il suo alcuna Tolta non è sotomente cor*
tesia, ma può essere grande profitto. Lo maeitro dio^
che pace fia molto bene, e giKrra la guasta. Sdnslìs
dice, per concordia crescono le piccole eoae^ e por
discordia distruggono le grandissime. Saloaaone éka,
regno che è partito in sé medesimo sarà dnlmtlo.
1
Capitolo LXL
Della mìierìcordia. '
MiserìcordÌB è una virtù, per cui lo cuore è BMMSa
sulle disaT Tentare e sulle poyotà dei tormentL Te<-
renzio dice, questa TÌrtii non crede che nessuna con
umana sia strana da lei, e tiene gH altrui dannaggi
per suoi profìtti. Virgilio dice, voglio soccorrere li tor-
menti. Seneca disse, chi ha misericordia delle mabtt**
tie, ha misericordia di'sè^ ma le opere delle altrui cose
sono gravose.
LURO SETTIMO. ac>5
Capìtolo LXII.
Dì due maniere di torto.
. In addietro ha dil^ìsato il conto di giustizia e di
latte sue membra, com^ ella è divisala in due modi
prÌDCÌ[)almente, «noè rendere, e liberalità. £ diciascor
no ha detto suliìciaalemente^ secondo che ha trovato
per autoiiià di savi antichi. Dunque è bene consene»-
Tole di dire di due maniere di torto^ che sono contrae
rie a giustizia ^ da quali si conviene guardare molto,
ciò sono crudeltà e negligenza. Crudità è un torto,
che dislealmente fa torto a colui che non ha dbservì-
to. Negligenza è quando Fuomo può tornare addietro^
e vendicare il torto £itto, e non £15 e ciò è contrario
al rendere. Che difendere, e non difendere sono due
contrarii^ cosi crudeltà è contrario a liberalità. Tullio
dice, diritto fatto, e torto fatto sono due contrarii. E
ci ha tre cose perchè T uomo fa crudeltà, cioè paura^
avarizia, e volontà di dignità. Per paura fa Tuomo
crudeltà, che 1 crede se non fa male ad un al ro ch'ali
ne dee ricevere da lui. Per avarizia fa Tuomo crudel-
tà, secondo che dice Sa' usi io, quando egli (à torto ad
mio per avere quello ch^ egli ha. Per volontà di di*
gnità fa r uomo torto, secondo che dice Salomone,
quand^ egli sia costretto più volte mortale di diven-
tare falso, ch^ elli portano una cosa rinchiusa nel pet-
to, e un^ altra nella bocca. Elli non sanno- iscegliere
amistà, o odio, per la cosa, per V opera, amano più
volte che la volontà, né ingegno. Tullio dice, malizia
è una cosa, la quale molte volte la volontà di dignità
'J04 II' TttOftO.
sopprende Pardito, e lo largo noma Ch^ ardimeoto h
r uomo più presto a guerreggiare, e larghezza li dona
grande aiuto, e però spesso viene di loro volontà gran-
de tormento. Lucano dice, intra due re d' un reame
non ha ponto di fè, che nullo che sìa in podestà non
può sofferire compagnia di compiano. Volontà di dign»-
là è cosa pazza e cieca, ne nulla Ce, ne nulla pietà è in
quelli, che se questa gli manca, non intendono se non
a vendere, e non credono che sia diritto il donare. Lo
maestro dice, il torto è padre e nutritore delle malva-
gie cose, egli riceve i malvagi altresì come li giusti, e
li onesti come i disonesti. Crudeltà è divìsa in due
maniere. L^una è foi-za, e P altra è bugia. Ffnrza è co*
me di leone, bugia è come di simia^ Tuna e F altra è
pessima cosa e inumana. Ma bugia dee essere più o-
diata, che in tutta malvagità non ha più pestilente cosa
che quelli, che quand^elli istudiano e afibrzano di par
rer buoni. Nullo agguato è si pericoloso come qn^
ch^è coperto sotto similitudine di servigio. Orazio dis-
se, guarda che non inganni lo coraggio che si mette
sotto la simia. Giù venale dice, le membra di colui e
le dure sue braccia mostrano la durezza e la crudeltà
del cuore, e la fronte non ha nulla fede che non sia
piena di vizii tristi e rei. Lo maestro dice, guardati
dalP acqua quieta, e nella corrente entra sicuramente.
• LIBRO SBTTIMO. !lo5
Capitolo LXIU.
Della negligenza.
Altresì sono tre cose in negligenza, cioè in non di-
fendere il torto Éitto. Ch'egli v' è alcuno che non vuole
avere odio, né travaglio, ne spesa per difendere, o essi
sono » occupati nel loro bisogno, o sono sì pieni d'o-
dio che essi n' abbandonano quelli che dovrebbono
aiutare e difendere. Tullio dice, più sicura cosa è di
essere n^ligenle verso li buoni che li rei. Lo maestro
dbse, che il buono iie viene più volonteroso a ben fa-
re, ma il reo ne viene più in grado*in &r male. Lo
maestro disse : altresì dico io che più sicura cosa è es-
sere negligente inverso il ricco, che inverso il povero
sciagurato. Terenzio si disse, che tutti quelli che in
questo mondo hanno avversità e sciagura, e non san-
no perchè, istimano che ciò che V nomo fa, tutto sia
per loro male, sempre li pare che P uomo li dispetti
per loro impotenza. Tullio disse, in tutte dislealtà e
grandi differenze se il torto è fatto per turbamento è
breve, e non dura un' ora. E tutte cose che avven-
gono per subito movimento, son più leggere che le
pensate dinanzi.
Capitolo LXIV.
• Della giustizia.
Giustizia guarda di fare troppo e poco, e di servare
lo mezzo ^ secondo che dice Seneca: in giustizia ti con-
viene avere misura, però che tu dei essere negligente
Latini. Fot. lì, i%
2o6 IL TBSOBO. ^
in goTeroare nelle grandi cose e nelle piccole. Ti
feccia non dee essere troppo amile, ne troppo cmdekl
Tuo reggimento non sia tanlo aspro, <^e odo pwck
lu abbi in te niente d^ umilia. Dunque dét ta Wdgi
V ordinamento di giustizia in tale maniera, die
dottrina non divegna vile per troppa lunililad^ nei
dura che lu ne perdi la grazia delle geolL
Capitolo LXV.
Tifi* beni die tono più onesti.
Lo conto ha divisato qua addietro, die io qudh
scienza, ch^ insegna a governare se e altrui, paote e^
avere bene, che V uomo vi desidera onestà. Che m
uomo è più onesto che Taltro. E egli ha mostrato ia-
fino a qui, quali beni sono onesti, ciò sono le qml-
tro virtudi, e li loro membri brevemente e aperta-
mente. Or dirà de^ beni che sono più onesti dxs fi
altri. Il maestro ha detto alPincominciamento, che
prudenza, e senno, e conoscenza dee sempre andare
innanzi alP opere, e dice che le altre tre virtù sono
per fare le opere. Ma egli ci lia cose, nelle quali le opere
debbono vantaggiare lo senno. Però che la loro è pia
onesta ragione. Come se alcuno desiderante di sapere
la natura delle cose, e com^egli vi mette in ciò sapere
tutto suo senno, on altro viene e portali novelle che
sua città e suo paese sono in grande pericolo, siegli non
r aiuta, e quelli ha il potere d^ aiutarli. Dunque è egli
onesta cosa ch'egli lasci suo studio, e vada a soccorrere
sua città. In questa maniera vedi tu che prudenza ha
a reggere l'altre virtù. Intra le altre virtù dee tempe-
LIBRO SETTIMO. 207
raoza essere messa innanzi alle altre due; che per lei
governa Tuomo se medesimo. Ma per forza e per giu-
stizia governa V uomo sua famiglia e sua città. E me-
glio vale alPuomo avere signoria di sé, che d^ altrui,
secóndo che Orazio disse, più grande regno governa chi
allaccia sua volontà, che chi avesse la signoria da occi-
dente infino in oriente, e da mezzodì infino settentrio-
ne. Seneca dice, se tu voli sottomettere innanzi te alla
ragione, e con essa ti governerai, tb sarai governatore
di più cose, ma nullo è buono ad altrui, s* egli non è
buono innanzi a se. Tullio dice, Tnomo non«dee nulla
fere contra a temperanza per amore delP altra virtù.
Ma alcune cose son si villane, che nullo savio le &-
rebbe, aè eziandio per guardare suo paese, che in ri-
eordare sono elleno laide. Intra le altre due vale me-
glio giustizia, la quale ha tre nfficii. Lo primo è a Dia
Il secondo è al paese. Il terzo è a' parenti e agli al-
tri. Appresso, secondo ciò che ^1 conto divisò, là ove
disse delle parti di giustizia, intorno alla fine di libe-
ralità. In somma, in quella virtù ch^ è chiamata forza
se alcuna è di sì grande cuore che gli dispetti la co-
mune gente, cioè crudeltà e ferità, s' egli non facesse
giustizia a diritto. Dunque è giustizia più onesta che
forza. Qui tace il conto a parlare di cose oneste, di*
ehe egli ha molto parlato, e tornerà a sua parola, a
dire de' beni del coipo, e del dono di ventura.
3o8 IL TSSOBO.
Capitolo LXTL
■
De^ beni del corpo quanti fono.
Li beni del corpo sono sei, cioè beltà, nobfltii^ U^
gerezza, forza, grandezza e sanità ^ questi sono li beni
da parte del corpo, de^ qoali V uno n^ ha più, e P al-
tro meno. E tali sono che molto sì sforzano e si dilet-
tano a queste cose,. V uno più dell^ altro ; ma ispesso
ne può addivenire più male che bene, die di male è
più onta che onore; che per diletto di loro egli refiH
tano e cacciano le virtudi. Però dice Giovenale^ die
beltà non si accosta guari bene con castità, e che
pregio di beltà non diletta li casti ; ma egli dice, che
<pello è casto, che non fa richiesto, Danqae pare
l)ene che beltà di corpo noa è amica di castità. E qiie^
lo che si diletta ìd nobiltà di grande lignaggio, e st
vanta d^ alta antichitade di antecessori, s^ egli non fii
le buone opere, quel vanto li torna più a vitupero
che ad onore. Che quando Catellioa faceva la congiu-
ra di Roma privatamente, e non adoperava se non
male, ed egli disse dinanzi a' senatori la bontà di suo
padre, e Faltezza di suo lignaggio, e quello die fecero
alla comunità di Roma, certo egli diceva più sua on-
ta che suo onore. Ed in ciò dioe Giovenale, che tanto
r uomo è più biasimato di mal fare, come ^ gente
crede che sia di più gi*ande altezza. .Seneca dice, la
vita delli antecessori è come lumiera a quelli che vi-
vono, appresso tale loro male non sofferà che sia ri-
posto. Lo maestro dice, tuo vizio è tanto più sozzo
quanto tu che'l fai sei grande. Ma della diritta nobiU
LlkAO SETTIMO. aOQ
tà Orazio disse, che V è virtù solamente. E però Àles-^
Sandro dice, che n(d)ilta non è altro se non quello che
adorna il cuore in buono amore. Dunque in colui non
è nulla nobiltade che usa yita disonesta. E però Gio-
Tenale dice, io amo meglio, che tu gii figliuolo di Ter*
sites e tu somigli Ettor, che se fossi figliuolo dì Et-
tor, e tu somigliassi Tersttes, che fu più cattiTO uomo
del mondo. Lo maestro dice, però io dico che ^1 mi-^-
glior firuUo che in nobiltà di antecessori sia, si è quel-
lo che Tullio disse, le grandissime reditadi, che^fi-»
gliuoli hanno de' loro padri; che sopra tutti patrimoni
si è gloria di yirtude, o d* opere ch^ elli hanno fatte.
Or T* ho io detto, come beltà e gentilezza sono con-
trarie ad opere di virtude. Ora vi dirò d' altezza dì
corpo, di cui Boezio dice, voi non sormontate lo leo-
£mte per gran corpo, né i Uni per forza, né lo tigro
per gagliardia. La scurità della morte mostrerà che
SODO lì corpi degli uomini, e come sono disparevoli,
Capitolo LXVil,
Del bene della ventara.
Li beni di ventura sono tre, ricchezza, signoria e
gloria. E veramente sono elli beni di ventura, eh' elli
vanno e vegnono d' ora in ora, e non hanno punto di
fermezza; che ventura non è ragionevole in suo cor-
so, né non é per diritto, né per ragione, si com' ella
mostra sempre di molti uomini che sono nulla di sen-
no e di valore, e montano in grandissime ricchezze,
ed in grandi dignitadi di signore, od in grande lodo e
pregio, ed un altro che sarà il più valente uomo del
3 1 0 IL TESORO.
mondo, e non potrà avere un solo [ùocìolo bene di
venluL'a. Però dicono più pei-sune, che Tentura è to-
cola e cieca, e ch^ell'a sempre diviene errando^ e noo
vedente^ ma noi ne doviamo tenere quello che^ Santi
ce ne mostrano per la scrittura, che Dio abbassa li pos-
Kenti, ed alza li umili. E tuttavia vi dira il maestro al-
cuna cosa, tanto come conviene a boa uomo.
Capitolo LXVIIl.
DelU ricchez/j.
Ricchezza è avere li reditaggi, e li servi, e pecunia.
Li reditaggi sono contadi, editici, e terre, e belli gua-
dagni. Di ciò e' insegna Tullio : guarda se tu edifichi,
che lu non fucci troppo grande spesa, che Puomo vi
dee guardare lo mezzo. Che Orazio dice, chi ama il
mezzo dirittamente, non faccia troppo vile magioiie,
riè troppo grande. Tullio dice, lo signore non dee es^-
sere onorato per la magione, ma la magione per loL
Seneca disse, nulla magione è troppo picciola che ri-
ceve assai amici. Che grande magione ove nulla noo
entra, è onta al signore. Medesimamente, se più per-
sone v'entravano al tempo delP altro signore, villa*
na cosa è quando li viandanti dicono, ahi magione,
come tu hai malamente cambiato signore ! Però Ora-
zio disse, non ti caglia di grande magione, che in pio
ciola magione puoi tu tenere leale vita. Lucano dice
di Giulio Cesare, eh' egli non volle mangiare se non
per vivere, e per sua fame, né magione se non per lo
freddo. Ma Fuomo dee lodare grande vasellamento
ili picciola magione. Non cessa mica la febbre^ seooo-
LORO 8BTTIHO. 211
do che Orazio dice, se tu se' si ricco che tu avessi tut-
ti i danari del mondo, e sii di nobile lignaggio, nulla ti
vale alla fine, più che se tu fossi di bassa gente, po^
vero, e senza magione, che tu morrai, e noi può con-
traddire nessuno sacrifìcio. Tutti venemo alla morte o
per tempo, o tardL Già magione, né terra, ne mone-
te d'oro trarranno la febbre del corpo, che quando e-
gli è malato, quegli eh' è sollecito di guadagnare, ha
paura di perdere, altresì della vita, magione, o suo a-
vere, come le tavole dipinte aiutano colui e' ha male
negli occhi. La nera morte si gitta egualmente alla ca-
sa del povero ed a quella del re.
CapitoIjO LXIK.
Della seconda materia di riochezca.
Poi che avete udito di reditaggi, ora potrete udii*e
della seconda maniera di ricchezza, cioè di servi, e ciò
che li servi debbono fare. Primieramente il signore
dee fare al servo ciò eh' egli è mestiere, e poi li co-
manda il servigio. Seneca dice, il signore è ingannato
s'egli crede che'l servigio discenda in tutto l'uomo, ma
la miglior parte non è sottoposta. Li corpi sono te-
nuti al signore, ma il pensiero è franco, che non può
essere tenuto in carcere ov' egli è rinchiuso, eh' egli
non vada a sua volontade. Lo maestro disse, tu di^i vì-
vere dunque con esso colui eh' è più basso di te, così
come tu vorresti che quegli eh' è piò alto vivesse con
teco. £ tutte le volte che ti sovverrà come tu hai di
[X)dere sopra tutti sergenti, sovvegnati che altro lai
podere ha tuo signore sopra te. L' ufiicio del sei^nte
2 13 li. TESORO.
è conformare sé parimente alla maniera del signorey
secondo che Orazio dice, li tristi odiano li lieti, e K
lieti li tristi, li aitanti li grayi, e li grayi li aitanti, e M
bevitori odiano quelli che non Togliono bere. Non ai
dunque orgoglioso, che li smisurati si misarano molta
volte, e gPimpazienti prendono simigliansa di folfis.
Quelli che crederà ciò che tu confiderai, a soa mt-
lìiei'u tUoderà ed amerà più. Orazio dice, lo servino
«lei possente è dolce a quelli che non P hanno mn
provato, quelli che P hanno provato lo credono. Però
guarda quando tu hai nave in alcun mare, che ta k
governi in tal maniera, che se ^1 vento cambia, e' non
la porti in pericoloso luogo. Lo secondo ufficio è di
lodare il buono signore, e guardarsi dal reo. Orazio
disse, guarda cui tu lodi, e che V altrui peccato non ti
faccia onta. Noi semo alcuna volta ingannati, quando
noi lodiamo colui che non è degno ^ lascia difendere
dunque colui, che sa che la commette ; che per awen»
tura quando egli vole alcuno male fere, egli si fida in
tua difesa. Ma la tua magione è a pericolo se Xo. non
la soccorri quando tu vedi ardere quella del tuo vi-
rino. Lo terzo ufficio è di frenare avarizia e lussuria.
Di che Tullio disse, non ti smuova volontà, e non de-
siderare la bella donna mischina, ed uno fante. Lo
quarto ufficio è cessare orgoglio, e di ciò Tullio dice,
non lodare tue opere, e non biasimare le altrui ; sii
soave in servire tuo possente amico. Lo quinto ufficio
è, che non si lamenti niente. Oraiio dice, quelli che
dinanzi al suo signore si tace di sua povertà, ne por-
ta più che quelli che dimanda sempi'e. Egli ci ha di^
ferenza intra prendere onestamente, e ricevere. Che
LIBRO SETTnO. 2 1 5
sc'l corbo potesse tacere quand'egli mangia, ^i man-
gerebbe più, e con meno noia ed invidia. Lo sesto
ufficio è, compire ciò che suo signore comanda, e eh V
gli non abbia alcuna indugia. Locano dice, il bisogno
del 9ervente.non è grave a lui^ ma al signore, e Io ser-
vente si dee guardare di non essere lingoato. Giove-*
naie dice, la lingua è la maggior parte del malvagio
servo. Seneca dice: ma egli dee tale signore sc^liere
eh* egli sia degno che V uomo lo serva, che per la no-
biltà del signore sono in nobiltà li servigiali e ser*
gentL
Capitolo LXX.
Della terza parte di rìcchesxa.
Ora ha detto il conto delle due parti di ricchezza ^
ora dirà della terza, cioè di pecunia. In pecunia sono
contanti danan, e sono ornamenti, e tutti mobili. Di che
dice Tullio, nulla cosa è di si picciol cuore come è a-
mare ricchezze. Seneca dice, però ch'egli è grande che
usa d' oro come di vasellamento di terra, né di quel-
li non è minore chi usa vaseilamenti di terra come
d' oro. Giovenale dice, nulla è più alta cosa, né più
onesta che dispregiare pecunia a chi non ha, e d' es-
sere largo quegli che Tha. Di troppo desiderare que-
ste cose ne vielan sei speciali cagioni. La prima è, pe-
rò che la vita d'uomo è corta. Orazio dice, la bre-
vità della vita ci mostra che noi non doviamo comin-
ciare cosa di grande speranza. Tu non sai se tu vive-
rai domattina^ non pensare dunque di domane, che
Dio non vole che noi sappbmo quello ch'è addiveni-
re, ma ordina le cose preseotL Che Ipiegli dee essere
3l4 IL TESORO.
lieto, che puote dire, io 8oa bene vÌToto an giorno,
che ^1 di d^ oggi è chiaro, e quello di domane sarà sco-
ro. Ch; nulla cosa è bene operata da tutte partL Se»
neca dice, in ciò semo noi tutti ingannati, che noi ooa
pensiamo alla morte, che gran partita n^ è già pasnti.
Ed ella tiene tutto ciò ch^è passalo di nostro tempo,
però pensati tuttavia che tu morrai immantinente.
Morte ne portò il nobile Ettore, quando vivea gk>*
riosamente, e vecchiezza menima la nominanza del
grande Catone. La seconda è che volontà di rìccho-
za abbatte la virtù. Orazio dice, quegli perde suaaii>>
ma e la virtude, che sempre si studia di crescer suo
castello; egli discade per avere gioia e letizia, e non
viene tanto a ricchi uomini, né quelli non visse male
che si morì mangiandosi. Giovenale dice, nulb di-
manda quello ch^ egli ha, ma quello che pensa avere.
Orazio disse, né lignaggio, ne virtude non è pregiata
senza ricchezza. Nulla cosa non è assai, che tu vedi
che ciascuno ha tanto di se com^ egli ha danari. Nulla
più dura cosa è in povertìi, che ciò che Tuomo se ne
gabba. Orazio disse, ricchezza dona beltà e gentilezza,
però che virtù e fuma ed onore ed uomini ubbidisco*
no a ricchezza. E chi Favrà sarà nubile, leale, savio,
forte e re ; ma ciò lo toma incontra, che pecunia por*
ta vizio, e mala fama in luogo di virtude. La terza co-
sa è, che^ danari fanno Puomo vizioso, secondo che
dice Giovenale, ricchezza mena primamente a malva-
gia morte.^ e riempie il mondo d^ oltraggio. Che quelli
che ebbero primamente le ricchezze sono le parenle*
le, maritaggi, e lignaggi, e magirmi, donde poi sono av-
venuti diversi péticoli al popolo ed a' paesi. Ola Ora-
LIBRO SETTIMO. 2 I 5
zio dke apertamente, che nobiltà non addiviene per
avere, là ove disse, sia si che ta vadi orgogliosamente*
per tao avere, ventura non muta gentilezza, che se un
vasello di terra fosse tutto coperto d^ oro, non rima-
ne però diVgli è pure di terra. La quarta cosa è, che
nullo conquisto sia a volontade. Orazio dice, ricchez-
ze crescono ìngrossamente, e sempre manca alcuna
cosa 5 cosi come l'avere cresce la ventura, e la volon-
tà che molto chiede, molto li falla; quegli è ben ricco
che si tiene appagato, e quegli è povero che aspetta
grande ricchezza ; quegli non è povero a cui soddisfa
ciò ch'egli ha a sua vita. Se tu se' ben calzato e ben ve-
stito, hai saltate tutte le ricchezze, che un re non ti
puote nulla accrescere. La quinta cosa è, la paura che
l'avere ti reca. Giovenale disse, se addiviene che tu
vséà di notte, tu averai paura di ladroni, e se tu vai
alla luna, e un picciolo ramo si muova, si averai pau-
ra; ma quegli che non porta nulla, va cantando innan-
zi alli ladroni. La sesta cosa si è, che pecunia vote che
l' uomo sia suo servo. Orazio dice, la pecynia o ella
serve, o ella è servita, ma egli è più degna cosa ch'el-
la seguisca la corda del suo signore, ch'ella tiri lui. E
però Orazio disse, io non voglio sottomettere me alle
mie cose, ma le mie cose a me: imperò non è da cre-
dere, che quegli che molte cose possiede sia bene ven-
turato, ma quegli che usa saviamente quelle che Dio
gli ha donato, e quegli che bene sofferà sua povertà,
che più scusa vizii che la morte; e ricca cosa ed one-
sta è lieta povertà ; e doloroso usare è grande pover-
tà. Seneca dice, quelli non è povero che è lieto ; e
quelli che bene s'accorda a sua povertade è rieco; e
a 1 6 n< TESORO.
qaegli non è povero che ha poco, ma quegli die pìn
• Yole. Seneca dice, se ta voli arricchire, tu non dèi em*
scere tuo castello, ma menovare tua Totonta. La eat-
ta via d^ arricchire è dispregiar le ricchene, che Ti»*
mo può bene tatto spendere, ma non lotto airare. E
però Tullio disse, lo povero fu più ricco che ^ grande
Alessandro, che più vale qaello ch^ egli non Tole ri-
cevere, che qaello che Alessandro potea donare; che
{>oco valea in sua boce od in saa grandezza, puì che
egli non avea se Hon V altrui, e non cootaYa qodo
ch^egli avea acquistato, ma quello che rìmanefa ■
conquistare. E se alcuno dimanda quale è la misora
di ricchezza ? io dirò, che la prima è ciò che neces-
sità rirhiede. La seconda è, che tu t^appaghi di qaello
che ti basta, che ciò che natura richiede è bene, se ta
non le dai oltraggio. Boezio dice, natura si tiene ip*
pagata di poca cosa. Ma ora tace il conto di parlare
di ricchezza, e tornerà a dire del secondo bene di
ventura, cioè di signoria.
Capitolo LXXI.
Deir ufficio della signoria.
Signorìa è uno de^ beni di ventura, tutto che sieno
signori di più maniere, sopra le altre, e la più degna è
quella del re, e^di governare citta e gente. Questo è
il più nobile mestiere che sia al mondo, ed intomo a
ciò è la scienza pratica, ch^è chiamata politica, si co-
me il maestro divisa qua a dietro, al secondo della fi-
losofia. E di questa scienza non dirà ora il conto più,
se non quello che a moralità se ne appartiene. Ma
LIBEO SETTIMO. 3 1 7
innanzi dirà il majestro quello che si appartiene a si-
gnoria ed a goYernaniento di città, secondo che ri-
chiede V uso di suo paese, e la legge di Roma. E se-
condo il comandamento di moralità e di viitù, P uo-
mo dee temperare il desiderio della signoria. Lucano
dice, V ordine di destinazione è invidioso, ch^ egli è
divietato alle tre cose, ch^elle non durano lungamenr
te^ egli è grave cadere pesante colpo, le grandi co^
discaggiono per loro medesime, e ciò è il termine infi-
DO che Dio lascia crescere le letizie. Ed egli dona leg-.
gemente, le grandi cose, ma appena le guarentisce.
Seneca dice, tu troverai più leggermente ventura che
tu non otterrai. Orazio dice, che '1 grande arbore è
spesso crollato dal vento, e le alte torri caggiono più
pesantemente, e la folgore cade sopra alte montagne.
Altresì fa ventura che spesso cambia e viene in dolo-
re, eùi dì* alto basso quand^ ella abbatte, e mi con-
viene lasciare ciò ch'ella m^ha dato. Seneca disse, ah
ventura, tu non se'durabilmente buona ! Appresso, dee
r uomo attemperare li desiderii di signoria, però che
discuopre fanciullezza e puerizia, ch'egli è grande co-
sa ubbidire alla signoria di quelli eh' elli mostrano
d' essere buoni, per volontà d' avere quella signoria.
Egli addiviene più volte che alcuna volta sono umili,
ed altre volte orgogliosi, e ciò è secondo ventura, e
non secondo cuore. Terenzio dice, egli è così di noi,
che noi siamo grandi e piccioli secondo che natur^ ci
porta. L' ufficio di signoria è, eh' egli tragga il popolo
al loro prode. Tullio disse, e' non è cosa che tanto fec-
cia a tenere signoria, che d'essere amato, né nulla più
straniera che d' esser odiato. Salustio dice, più sicura
La fini, f^of. IT. \ 3
a 1 8 IL TESORO.
cosa è a comaDdare a coloro che TOgliono obbidire,
che a coloro che ne sono costretti. Seneca dice, K sot-
tomessi odiano colui ch^ ellì temono^ e ciascuno di
quelli desidera che quegli perisca. Gioirenale disse, pau-
ra non guarda lungamente suo signore. Tullio dice,
che pochi tiranni muoiono, che non sieno uccisi^ mi
beiievoglienza è buona guardatrìce di suo signore, e
pirpetualmente il fa amare dopo la sua morte. Qnel-
li che vole esser temuto convien che lema colui, ds
cui vole essei' temuto. Boezio disse, non credere che'
quegli sia possente che sempre mena- gnaidie iotar-
no a s^, ch^ egli teme colui, a cui egli fa paura. Tal-
Uo disse, che uno che avea nome Dionisio temea tan*
to il rasoio delli barbieri, perchè li levava i suoi pelL
£ Alessandro tiranno siciliano quando volea giacere
con sua femina, egli mandava H suoi sergenti innanzi
per cercare che in suo letto ed in suoi drappi non a-
Tesse coltello' riposto^ ciò era malvagità, a fidarsi più
in uno sergente, che nella femina sua ^ ne per questa
sospezione non fu egli tradito per sua femina, ma da'
suoi sergenti. Sovvegna al signore, elisegli fu senza di-
gnità. Seneca disse, che quelli che son montati a quel-
lo ch^elli non speravano, lor viene spesso malvagie
spei^nze. Terenzio disse, noi compiremo tosto, quan-
do noi avemo lo desiderio. Orazio disse, nulla cura è
sì grande air uomo come lunga speranza. Qui tace il
conio a parlare di signoria, infìno che ne dirà più a-
pertamente, eh' egh vole prima dire del terzo bene di
ventura, cioè gloria.
libro sbttiho. 31 9
Capitolo LXXII.
Della nominanza, e di sua materia.
Gloria è nominanza che corre per molte terre d'ai-
cnoa persona di grande affare e di sapere bene sua
arte. Questa nominanza desidera ciascano^ però che
senza lei saa yirtù non sarebbe conosciuta, secondo che
Orazio dice, virlude celata non è divisata da pigrizia
nascosta^ e quelli che trattano di grandi cose testimu-
Diano, che gloria dona al prode uomo una seconda
Tita, ciò è a dire, che dopo la sua morte, la nominan-
za che rimane di sue buone opere mostra eh' egli sia
ancora in vita. Orazio disse, la gloria disfa, che quel
Don sia morto, che è degno di lode. Ma contro a glo-
ria egli medesimo Orazio disse, quando tu sarai bene
conosciuto alla piazza di Àgrippa, e ndla yia Àppia,
anche ti converrà andare là, ove andò Numa e Anco,
ciò è a dire, quando tua nominanza sarà andata qua
e là; anche ti converrà andare a loro, cioè alla morte.
Boezio dice, morte dispelta tutte glorie, e inviluppa
gli alti e bassi, e pareggiali tutti. Ma noi chiediamo glo-
ria dismisuratamente, che noi vogliamo più tosto pa-
rere buoni, che essere; e più tosto essere rei, che pa-
rere. Però disse Orazio, falso onore diletta, e nomi-
Danza bugiarda dispayenta.Lo frutto di gloria è spesso
orgoglio, di che Boezio disse, in molle migliaia di uo-
mini non è se non uno udire d'orecchi; ma in gloria
non v'ha punto diTrutto, se egli non. v'ha altro bene
con essa ; secondo che Giovenale dice, tutto che gloriéT
sia grande, non vale nuUa se ella è sola. £ciò disse Tul-
aaO IL TESORO.
lio, chi vuole avere gloria feccia che sìa tale come egli
vuole polvere. Che quelli che crede guadagnare gloria
per false dimostranze, o per false parole, o per fìilse
sembianze di sapere, è villanameote iogannato^ però
che la vera gloria si radica e forma ^ ma la falsa cade
tosto come il fiore, però che nulla cosa falsa può du-
rare lungamente. Lo maestro disse, al mondo dod è
più né sì falsa cosa come voce, mar menzogna ha tor-
to pie.
Capitolo LXXIII.
Dei beni di fentura.
Voi avete udito in questa parte quello che^l conto
ha divisato de^ beni di ventura, e in addietro ha di-
visato de^ beni del corpo, e Tuno e l'altro sodo pn>-
filtubili della vita dell'uomo. Ma, si come egli ha di-
visato altre volte, Puno è più utile che l'altro. Che
se tu vuoli accompagnare li beni del corpo a quelli di
ventura, io dico che sanità è meglio che ricchezza. Dal-
l'altra parte dico, che ricchezza è meglio che fortezza
di corpo. E se voli agguagliare i beni del corpo intra
loro, io dico che buona sanità è migliore che grande
fortezza, e che ardimento. E se voli comparare li beni
di ventura intra loro, io dico che gloria è m^lio che
ricchezza^ e rendita di città è meglio che rendite di
terre.
LIBRO SETTinO. 22 1
CaUtolo LXXIV.
Dell'* onestà e delP utile.
Appresso ciò cheM maestro ha ammaestrato aperta-*
mente quali beni sorro onesti, e quali utili, er quali so-
no più onest^ e qnali sono più utili Tuno che l'altro,
anche rimane la quinta questione intra onestà e utile,>
alla quale Tuomo si dee tenere b al P una, o alP altra.
Che se il chiedere è utile e donare è onesto, egli vie-
ne spesso che nostro cuore è in doltanza, quale egli
farà. Di che Giovenale disse, forza e possanza fanno
persone mal fere; ma tanto come il cielo si divisa dàlia
terra,' e '1 fuoco dalP acqua, tanto si divisa lo utile dalla
dirittura. Che tutta la forza del signore cade immanti-
nente che egli comincia a perdere giustizia e virtude^
e signorìe non vi si accordano guari bene. Ma in que-
sta maniera Tullio dice, che queste tre cose, bene,
onestà e. utile, sono qui in mezzo loro : che tutto quel-
lo che è buono, è tenuto utile; e tutto quello che è
onesto^ è tenuto buono; e di ciò si sicura egli, che
t«tte cose oneste sono utili. Tieni dunque per cer-
tO) e non dottare che onestà è utile. Che nulla cosa
non è ntile s'ella non è onesta; né non ci è nulla dif-
ferenza nella genèralitade di queste due cose, ma in
kiro proprietà. Ragione comanda questo. L' uomo è
ciò che è animale in generalità, non in conoscenza.
Che aid essere animale non è mestière altra cosa, se
non tanto eh' egli è sostanza morale, e .ha anima e
sentimento; ma acciò che egli sia uomo, conviene che
egli conosca ragione e sia mortale. Dunque è la dif-
aia n. tesoro.
ferenza nella jproprìetà solamente. Cosi onesta e utile
sono in genei'dlità una cosa^ ma acciò che alcuna cosa
sia utile, conviene clie egli abbia fratto. E anzi che la
sìa onesta, conviene ch^ella ci attragga per sua dignità^
ciò è dunque una medesima cosa^ perchè egli se ne
discordi, thè nulla cosa è utile che discordi* da TÌrtà.-
Perciò pare egli manifestamente, che non ha ponto di
contrario intra utile e onesto^ ma però che le persone
credono che sia utile ad usare le cose temporali, e che
egli ne lasci affare conlra ad onestà, però è proposta
la questione tra futile e T onesto. Tullio disse^ egli
pare alF uomo che utile sia a crescere lo uomo suo prò'
del danno d^ un altro, e che Puuo toglia air altro. Ma
ciò è più contra a diritto di natura che non è povertà,
o dolore, o morte. Ch^egli caccia in prima lo comune
vivere degli uomini. Che se per guadagnare noi. aTemó
volontà di sforzare e di spogliare altrui, e* conviene
che la compagnia delPuomo, che è cosa secondo na-
tura, sia dispartita. Ragione comanda che se. alcuno
membro crede meglio valere, scegli traesse a sé la sa^
nità del prossimano membix), e^ converrebbe che tutto
il corpo indebilisse e morisse. Altresì è del bene d^cb
mana compagnia. Che altresì come natura vole che
ciascuno richieda ciò che gli è mestiero per suo mi*
gliore che per altrui^ altresì vuole natura che. noi fSb-
crcsciamo le nostre ricchezze per spogliare le altrui.
E colui che aggrava altrui per conquistare alcun bene,
non crede fare contra natura. Ovvero egli è ad avviso
che r uomo. si dee guardare più da povertà, che da
£ire torto altrui^ ma scegli crede fare contra natura,
quello non è umano. E se alcuno mi domandasse: se
LIBRO SETTIMO. 225
alcuno savio muore da fame, dee egli togliere ad altrui
sue vivande, che niente non vale? io dico che no,
perche la vita non è più profìltabile che la volontà^
per quello mi guardo di fare torto altrui per mio prol
Quando V uomo perde la vita, lo corpo è -corrotto dal-
la morte 5 ma se lascio quella volontà, io cader-ò ne}
vizio del CHore, che è più grave a quello del corpo.
Altresì li beni del cuore sono migliprì che quelli del
corpo, che meglio vale virtù che vita, e non conviene
al buon uomo dire bugia, uè meno per guadagno. Tu
non dei dunque tanto apprezzare nulla cosa, né tanto
volere tuo pro\ che tu perda nome di buono uomo,
perchè quello guadagno non ti può valere tanto quaur
to tu perdi, per perdere il nome di buono uomo, e
amenuire tua ^e e giustizia. Perchè dunque voglio-
no gli uomini le grandi cose, e non vogliono le grandi
pene della le^? Lasciamo dunque ' questi pensieri,
e guardiamo se le cose che noi vogliamo sono one-
ste, perchè dove solamente il pensiero è contra virtù,
chiaro è che la opera è viziosa^ La sola volontà del
male pensato soffre tal pena,. come se. Patto fosse com-
pito. E in mal pensiero non dee nessuno a^edere,
che'l suo pensiero sia lungamente celato, pècheM possa
celare a Dio, sì che nessuno dee ^e male per avari-
zia, né per volontà, ne per altre cose. ' Tullio disse,
nulla cosa eh' è corrotta di viziij non può essere pro-
fittabile; gli buoni uomini devono cercare cose one-
ste, e non disoneste, che al prode uomo non conviene
che 'l Ciccia peccato. Lo maestro dice, «e tu ti astieni
di mal fare, acciò ch^ la gente non sappia, tu non ami
ki bontà, ma tu temi la pena, e in quello tu costrìngi
22.4 "' TESORO.
la natura. Ciiè Orazio dice, li malvagi fasciano di pec-
care p(T paura della pena, e i ))uoni per amore del-
la virtù. E perchè detto è apertamente qui addietro,
che sodamente la cosa onesta è profittabile^ perciò la
cosa che porta sembianza di profìtto è compecata a
quella che ha sembianza di oneslà. Certo la sem-
bianza del profitto dee perire, e quella della onesti
dee valere, per ciò che la oneslà è virtù di cuore e
d^ anima, che ti rimana sempre appresso, ma bene di
ventura è vano, senza alcuna fermezza. Per ciò dice Io
Apostolo, buona grazia è stabilire lo cuore. lesù Siradi
dice, se tu sei ricco, tu non sarai senza peccato. Sene-
ca dice, grave cosa è non essere corrotto per la md-
tiludine di ricchezza. Lo maestro dice, la gente del
nostro tempo non ha alcuna cura di sua bontà, ma
rbe le. sue cose siano buone. Seneca dice, li uomioi
han nulle più vili cose che le sue. lesùfiirach dic^ ric-
chezza- è buona a chi non ha mala intenzione. Salo**
mono dice, il folle desidera ogni giórno ciò che gli è
dannevole. Seneca dice, non è buono di vivere, ma
l)(»ne vivere. Tullio dice, credo che colui sia buono
c:h' è giusto e onesto, perchè virtude sono li beni no-
s'ri propriamente 5 ma gli heùì divcptura sono varia-
bili. Tullio dice, tutte le altre cose sono mutabili^ ma
la '^irlù è ficcata nel profondo del nostro cuore. £
cosi. è da credere che le. cose umane sono minori che
le virludi. Senera disse, e' non-ò tuo ciò che ventura ti
dà: certo è di perire 5 non è sì follo cosa come di lodare
se dell' aHrni oose; e nitUo è sì laido pensamento, co--
me rimirare ciò (rhc incontinenlo se ne può mutare,
che freno d'oro non fa migliore cavallo. Abacuch dis-'
IJBHO SETTIMO. 225
se, ismamto è colui che amasse ciò che noti è suo.
Seneca disse! ciò che tu desidererai a ciò dirizza tuo
pensare, che tu sia appagato di te, e di ciò che di te
nasre. Che quando P uomo procaccia delle cose di
fuori, iumiantinente'conifficia ad essere sottomesso al-
la Tentura. Che Seneca disse, égH è meno che servo
chi créde al sei^^o. Ch^ 'i* savio non si tiene appagato
di vivere, ma del bene vivere. Boezio disse : ove è
stretta e cattiva rìcchezzia quando le pia genti non- la
possono avere tra tutti, la non viene ad uno senza po-
vertà d'un altro. lesù Sirach dice, fondamento è di
boon onore non dilettarsi se non in cose divine. Gre-
gorio disse, e' non ha tanto diletto in vizii come in vir-
tù. Boezio dice, l'onore di virtù non fu acquistato per
le dignità ; ma le dignità addivengono per le virtudi.
Che virtude ha sua propria dignità. E se alcuno mi
dimandasse, perch^Dio volse ch^e'beni temporali fos-
sero comnni abbuoni e alli rei? io dico che Agostino
ifese, die Dio lo volse però che' beni, che i malvagi
hanno spesso, non fossero troppo desiderati ; e che li
mali, die addivegnono abbuoni, non fossero troppo in
8isp€ftto» Però è grandissimo senno di pregiare poco
il bene e il male, che sono comnni abbuoni e a 'rei.
Chiederò lo bene eh' è propriamente dei malvagi? A-
gostino dice, però dona Iddio beltà alli rei, acciò che'
bnoni non credano che sia troppo gran bene. Ora
lasda il conto di parlare dei beni dell' anima e del
corpo, e di quelli di ventura, e della compaVazione del-
Puno e dell'altro, di ch'egli ha molto parlato, é tor-
nerà air altrp conto.
i3'
t2jG IL TESORO.
Gapitoix) LXXV.
Della prudenza e della giustizia.
Lo conto divisa qua addiftro, la ove comincia a dn
re di viltà primieramente, che prudenza, e 'giustizia,
e forza sono virtudi attive, per dirizzare lo amore
dell^ uomo, e per adoperare quello che a onesta rita
appaiiiene ^ di ciò ha egli detto assai diligentemente.
Dic^ egli, che le sono tre altre virtudi contemplative^
cioè fede, e speranza, e carità. Però è egli bene ragio-
ne che egli ne dica alcuna cosa. L^una vita è attiva,
e r altra è contemplativa. La vita attiva ^, innocenza
di buone opere, secondo quello che ^1 maestro ha det-
to inGno a qui nel conto delle quattro virtù. Lai^oo-
templativa è li pensieri delle celestiali cose. La vita
attiva usa bene le mondane cose; fk contemplativa rn
fiuta loro, e dilettasi in Dio solamente. Che dii bene
si prova nella vita attiva può bene montare poi alla
contemplativa. Ma quelli che anche desidera la gloria
del mondo e la cai^nale volontà, è divietato dalla vita
contemplativa; però che gli conviene tanto dimorare
alla civile eh* egli sia purgato. La dee fuggire tutti i
vizii per usanza di buone opere, sì eh* egli abbia l'in-
tenzione e '1 pensiero puro e netto quando egli verrà
a contemplare Iddio; che così come quelli che è nella
vita attiva si i*itrae dagli eterni desideri!, così quelli
( h* è nella vita contemplativa si ritrae di tutte cose
attive. E però vedi tu che la vita attiva sormonta la
nionduna ; e la contemplativa sormonta alP attiva. E
sì come V aquila fìcea li suoi oechi conlra li raggi del
LIBRO SETTIMO. 2^7
•
sole^ e non gliene ficca se non per suo pasto, così li san-
ti uomini si tornano alcuna volta alla vita attiva, però
ch^ è di bisogno agli uomini. Ma questi due vizii sono
malvagi tra essi. Che se V uomo si disvia dalla con-
templativa alcuna volta^ e poi vole rivenire e rinno-
vellare sua diritta intenzione^ egli. è bene ricevuto.
Ma scegli si diparte d<illa vita attiva, immantinente è
egli sorpreso indivisamente da\izii. Li due occhi del-
V uomo significano questi due vizii, e però quando Id-
dio comandò che quando il destro occhio si scanda-
lizzasse fosse cavato e gittato fuori, si disse egli della
vita contemplativa, s^ ella corresse in errore,' però che
meglio è a campare P occhio della contemplativa, e
guardare quello della attiva, sì ch^^li abbia a sue ope-
re la vita durabile, innanzi che andare al fuoco d^ in-
ferno per errore della contemplativa. Dio abbassa
molte volte molti uomini nelle carnali cose per sua
grazia. Quelli avanza nella grandezza di contempla-
zione, e molti altri cessa egli di contemplazione, per
diritta salienza, e egli abbandona le terrene cose.
Capitolo LXXYI.
Ancora di ciò medesimo.
•
Li santi uomini sono quelli che questo mondo rifiu-
tano, e lasciano il secolo, in tal manient eh' elli non si
dilettano se non in opere di Dio. E tanto quanto eglino
si disceverano dalla conversazione del secolo, tanto con-
templano eglino la poteoza di Dio, e la veduta di là
[lér sé medesimo dentro. Ma le perverse opere e mal-
va^e sono sì maniteste, che quelli che desiderano le
228 IL TBSORO
paciQche opere, friggono loro amore, e lorooompagoìe si
dipartono da^ malvagi, però che don sono ioviliippati
e di loro malvagitò. Ma più yolte sono che tutto che
non si pensino partire da loro compagnie corporair
mente, tuttavia se ne dipartono spedalmente con IHn-
tenzione. E se la compagnia è comune, lo cuore e
V opere sono divise. E tutto che Dio difenda la vita
de' santi uomini, e le carnali cose, appena sarà alcuno
che nel diletto del secolo-perseveri senza tìzio. Però
è egli bene che l'uomo si parta corporalmente del
mondo, -e meglio è a separarne la Tolontà, ma quelli
che ne parte lo corpo e la volontà è tutto compiuto.
Capitolo LXXVH,
Anche di fimili oomandamemi.
. Altri comandamenti sono dati a' buoni che dimo*-
rano alla vita comune del secolo, ed altri sono dati
a quelli che del tutto lo rifiutano. Che a Quelli che
sono al secolo è comandato generalmente ch'elli fec-
ciano bene in tutte loro cose, ed ancora fenno elli
più. Che acciò eh' elli sieno più perfetti non basta
pure eh' elli rinegano le sue cose^ ma gli conviene ri^
negare sé medesimo. E rinegare sé medesimo non é
altro che rifiutare sua volontà, in tal maniera che
quegli che è superbo divegna umile, e quegli che è
pieno d'ira divegna mansueto. Che chi rifiuta sue cose,
e non rifiuta sua volontà, egli non è discepolo di Dio.
Però .disse, chi vole essere mio discepolc»| e venire
dopo me, rineghi sé medesimo. Di ciò tace ora lo cen-
LIBAO SBTTIMO. .^^9
to^ e litoroà a dii*e di tre virtù contemplative, e prima
dirà di fede.
Capitolo LXXVIII.
DeHe tre TÌrtù contempIatiTe, e primo della fede.
Nullo uomo può venire alla beatitudine, se non per
fede. E quegli è dirittamente beato, che crede dirit-
tamente, e guarda ]a diritta fede. Ed allora è bene Id-
dio lodato e glorificato, quando egli è bene creduto
veramente; ed allora puote egli essere bene richiesto
« pregato. Senza fede non può nullo ucnno piacere a
Dio, che tutto quello che non è per fede è peccato. Sì
come V uomo che ha d' arbitrio e di lìbera signoria
per sua volontà si diparte da Dio, così ritorna egli *
per diritta credenza di suo cuore. Ma Dio guarda la
tede per mezzo il cuore, laonde quelli non si può scu-
sare, i quali mostrano simiglianTa di virtù, e4ìanno in
cuore malizie di grande errore. E sì eome la fede che
è nella bocca, e non è creduta dentro dal cuore, non
& prò' nullo, così la fede che è nel cuore, non vale
nulla, se non si dimostra per la bocca. E quella fede
h senza opera. E però sono più quantitàdi d^ uomini
che sono cristiani solamente per fede^ma nelle opere
si discordano molto dalla cristiana verìtade.
Capitolo LXXDC.
Della carità.
Già sia che alcuni paiano b«>ni di fede ed opere,
io dico eh' elli non lianno punto di virtù, snelli sono
vuoti di carità ed amore agli uomini. Di ciò dissero
35o. IL TESORO.
li Apostoli, se io dessi mio corpo ad ardere, non mi
varrebbe niente se io non ho carità ^ e senza amore di
carità non pu*) venire alcuno a beatitudine, tutto che
egli abbia diritta credenza. Però che la virtù della ca-
rità è sì tragrande, che nullo guiderdone si puote ap-
pareggiare a lei. Ella è donna e reina' di tutte virtudi,
ed è legame delle altre perfezioni, ch^ella lega le altre
virtudi. Carità è amare Domenedip e'I prossimo; Fa-
more di Dio è simile alla morte. Salomone disse,aiiiore
è altresì forte come la morte, perchè così come la mor-
te diparte V anima dal corpo, così V amore di Dio di-
parte Tuomo dair amore del mondo, e dall'amore car-
nale. Quelli non ama Dio che si parte da'suoi couq^n-
* damenti. Altresì non ama lo re quelli che gitta sue
leggi. Quegli ama e guarda la carità che ama il suo
prossimo. Messer lesù Cristo è Iddio ed uomo^ ^luo*
que chi «dia Puomo non ama del tutto Cristo. Ma la
conscienza del buono uomo è di non odiare le persone,
ma di odiare la loro colpa.
Capitolo LXXX.
Della speranza.
Quelli che non fiaano di mal fare per niente han*
no ispei'anza nella pietà di Dio, e nella suaT misericor-
dia richiedere. Ma s' egli sì cessa dalle male opei^, e-
gli lo potrà bene pregare. Alloi-a dee avere V uomo
speranza in Dio eh' egli gli perdoni suo peccato ; ma
Puomo dee molto teiaere, che per isperanza che Dio
promette di suo perdonamento, egli non sia perseve-
ralo nel peccato. Alti*esì non si dee Tnooffo dispera-
LlimC? SETTIMO. 25 1
r»', [wrch^ i tormenti sieno istabiliti secondo il pecca-
lo ; ma debbe schifare l' uno pericolo e l' altro, in tal
maniera che si guardi di mal fare, e ch^egli abbia spe-
ranza alla misericordia di Dio. Li giusti sono sempre
in paura ed in isperanza della perpetuale allegrezza,
un^ altra volta dottano per paura del fuoco etemale.
Capitolo LXXXL
Del peccato e delli tì/.ìL
•
Qua addietro è mostrato che sono virtudi attive e
contemplative. Ma delle contemplative brevemente,
pén> che richiede grande solennità. Ora è convenevo-
le a dire un poco del peccato e de'viziij che se l'uo-
naò conoscesse suo nascinjento,' e loro nutrimento, e-
gli se ne potrebbe meglio guardare. Però io dico, che
peccalo non è altro che passare divina l^ge, e disub-
bidire al celestiale comandamento, che peccato non
sarebbe se '1 ^ivietamento non fosse. Se peccato non
fosse non sarebbe virtude, non sarebbe malizia, e non
potrebbe* essere se alcuna semenza di lui non fosse.
Noi non udiamo li celestiali comandamenti con li o-
recchi del corpo, ma per l' opinione del bene e del
male viene in noi. Glie noi sapemo naturalmente, che
noi dovemo fare bene, e schifare lo male. Dunque di-
co io bene che '1 comandamento di Dio non ci è scrit-
to a noi con lettere d'inchiostro, ma egli è fitto den-
tro al nostro cuore per divino spirito. Però puote cia-
scuno intendere che F opinione dell' uomo diviene
divina legge. E però addiviene, che immantinente che
V uomo [ìeosA di far male, suffire egli la pena e '1 tor-
l33 IL TESdKo.
mento dì sua cooscienza; che tutte cose può P uomo
fuggire, ma suo cuore no, però die nullo uomo puff
sicorare sé dì sé medesimo^ die la mali» delh con-
sdenza non lo abbandona maL E tatto die alcimo die
male faccia scampì dd giadido degli oomim, egli non
scamperà del giudìcìo di sua oonsdenza^ che a Ini od-
io può celare quello ditegli oda agli altri. Eg^ sa bene
che egli & male, e cade sopra lai doppb sentenia, Ta-
na in questo secolo <klb sua consdenza, e rdtra dalh
eternale pena. E però io dico, die la intensione dei-
r opere è lucerna ddP oomo^ Che se la intendone
deir opera è buona, certo è F opera boona, ifta le o-
pere ddle malvagie intenzioni non possono essere se
non rie. Già sìa dò ch^dle paiano buone, però che
ciascuno è giudicato buono o reo^ secondo che è soa
intenzione^ quelli che fenno buone opere o rie, loro
intendimenti sono avocolati e accecali per quelle ope-
re donde elli possono essere allaminali. Dunque eiiH
senno feccia lo bene per buona intenzione, che altrì-
menti sarebbe egli perduto. Da poi chel conto ha det-
to come r uomo si dee guardare che sua «opinione
non sia corretta, e che abbia buona inteniicMie, si tuo-
le dire quante sono le opere di peccato.
■ •
Capitolo LXXXII.
De* peccati criminali.
Li peccati sono sette, superbia, invidia, ira, lussu-
ria, voluttà, miscredente, avarizia. Anche sono molti
{litri peccati che nascono tutti di questi sette, che io
vi ho nominati. Ma di questi peccati è superbia ma-
LIBRO SETTIMO. 233
dre e radice, che tulli gli ha ingenerati. È non per
tanto ciascitno dì questi sette ingenera altri peccati.
Che di superbia viene orgoglio, e dispetto, e vanta-
mento, ipocrisia, contenzione e discordia, perdurabi-
lità e contumacia. Da invidia nasce letizia del .male del
prossimo, e tristizia del suo bene, maldicente, ed ab-
bassare Io bene. Da ira si muove tenzone, e grosso
cuore, e con pianto, gi^da, disdegno, biasimo, torto,
non so£ferenza^ crudeltà, follia, malignità e mutabilità.
Da lussuria viene cecità di cuore, e non fenuezza, a>
more di sé medesimo, ira di Dio, volontà di questo
secolo, e dispetto delP altrui fornicazione, adulterio e
peccato contra natura. Di volontà nascono cattive air
legrezze, molte parole, vanti di parole, fomicaria, prò»
digalità, dismisuranza disonesta, svergognamento. Di
miscredenza nasce malizia, picciol cuore, disperanza,
cattività, conoscenza, non provedente compagno, e di*
letto del male. DalP avarizia MÌene tradimento, ialsità,
pergiuri, forza, duro cuore, somma usQra, ladroneccio,
menzogne, rapina, ingiustizie e discadimento. Questi
peccati e molti altri sono ingenerati per superbia prin^
cipalmente.E si come la virtude mantiene umana com-
pagnia e buona pace e buono amore, e mena T ani-
ma a salvamento, così li peccati corrompono la com-
pagnia dell' uomo, e l' anima (conducono all' inferno.
Che orgoglio ingenera invidia 5 ed invidia menzogna 5
menzogna discadimento 5 e disradimento ira 5 ira ma-
lavoglienza^ malavoglienza nimislà^ nimistà battaglia,
e battaglia dirompe la legge, e guaita la città.
t236 AIIirOTAZtOHt
fatti una parte del libro seltìpio del Tesoro, tradotto
con notabili varianti dalla lezione adottata dalla Cru-
sca. E perchè si vegga di che guisa sia la confiisioiie
accennala, darò la dosa*izione di queste sette pagine.
Dulie parole qualunque huomo (pag. $7) fino a eh
i>c dei andare e infino dove (pag. 69) abbiamo tutto
il capitolo IX. Vedi pag. 107 e segg. della nostra edi-
zione. Dalle parole la magnanimità la quale (pag.59))
fino a r.iprove\>o1e srìta (\à.\ abbiamo il cdp. XXXIO.
Vedi nella nostra edizione pag. i54-i55. Dalle paro-
le: se tuame la continenu» (p. 69) fino a: che ti sia-
no insegnate ( pag. 6a ) retrocediamo al cap. XXXIy
di cui troviamo dal prii^cipio fino a <|aasi il termine.
Vedi nella nostra e<lizione da pag. lao a i53, Un. i.
Dalle parole : la giustizia si è congiugnimerUo (p. fia)
fino a: elli le vince (pag. 6 5) -abbiamo «I principio dd
.capitolo XLIII^ pag. 171 della nostra edizione fino a
due terzi della pagina 175. Poi torniamo indietro al
capitolo XLII, colle parole : la magnanimità se e^
■ la esce (pag. 63) fino: o vuoli secato (pag. 64)*
Vedi la nostra edizione pag. 1 70-171. Per ultimo ah-
biapnp il capitolo LXIV, tolta una riga e mezzo
del principio 3 e ciò .dalle parole: JVe la giusHùa
(pag. 64) fino a: perde la grafia della gente (idem).
Vedi pag. 2o5, 206 della nostra edizione. Voglionsi
aggiugnere a ciò alcuni periodetti disseminati fra i
" brani da me descritti, che potrebbero forse appartene-
re ossi pure al Tesoro^ ma che sfuggirono al mio esa-
me. Giudichisi da ciò che governo facessero gli editon
ed il tempo di questo libro! E se nulla meritano que-
ste mie diligenze, mi giovino a scusare i moltissimi al-
AL LIBRO SETTIMO. HÒy
tri luoghi ne' quali ho dovuto lasciare la lezione spro-
positata come in antico. Sempre che nelle annotazioni
di questo libro nominerò Pedizione lionese, s'intenda
il contenuto delle sette pagine e mezzo qui sopra de-
scritte. Così avessi potuto esaminare con più agio i
passi tutti degli autori allegati tutto lungo il libro ! Ma
forse che io mandi ad effetto questo mio desiderio altra
volta.'
Gap. I, pag. 98. £ già addwiene.
La edizione 1474? ci^viene.
Gap. IH, pag. 99. Cosa che noi alUewi per sua
dignità^
L'Alberti ha nel suo Dizionario, aZZiei'arfi per venir
su crescendo.
Gap. Ili, pag. 99* Nullo reo può soffrire di lodare
le migliori cose.
La Grusca spiega la voce soffrire (§111) per con^
fenereiy astenere^ potrebbesi aggìugnere quest' esem-
pio- . : .
Gap. Ili, pag. 1 00. Li hrandoni che natura n' ha
donatL
'Non so che significhi propriamente qui una tal voce,
che senza divei^tà alcuna si hgge anche nell'altre due
edizioni i5a8, 1774* La Crusca ha orandone sempli-
cemente per branoy brandello.
Gap. Ili, pag. 102. Che la Jan stabilire.
La edizione i474!i eh' ella Ji stabilire.
Gap. IV, pag. 104. Ch'ella è niagion di Dio.
Maggiore leggono, con evidente scorrezione, le tre
lezioni. E quando non bastasse il lume della critica,
abbiamo anche un qualche indizio deli'erronàtà della
258 AmfOTAnoHi
parola nella più antica slampa, che .da magiare cqd
un solo g.
Gap. y, pag. io5. Non dee essere donna sopn Is
ragione.
La citata unitamente air altre due: rum dee esten
sopra donna la ragione. Parvemi vedere V errore né-
la trasposizione, e corressi.
Gap. T, pag. io5. // ndo misfatto non sia safsàs
dagli altri.
La citata e le due antecedenti hanno ^ofe in (am-
bio di saputo.
Gap. Yi, pag. io6. Della virtù memoriale.
Erroneamente sono concordi k tre edizioni nd dare
invece ifirtù contemplativa^ £icendo per giunta plo-
rale il singolare.
Gap. VII, pag. io8. Contra dò apparef^ùa h
temperanti.
La citata e Taltre due hanno appareeehiata la iemr
peranza. Ma forse che in l^iogo d^ altro il traduttore
scrivesse apparecchiati, e il copista secondo il solilo
apparecchiate^ se non volea dire apparecchiati.
Gap. VII9 pag. 10%, Ne trae seco posate le avversità,
Gosi la citata^ quella del secolo XY ha strassero ^
e dove più sotto la prima legge che ci coi^rta, P al-
tra: che ciò conforta.
Gap. IX, pag. no. Cose che tu hai.
La edizione lionese ha : quella cosa che tu hai a
te nolla serbare come s' ella fosse d^ cdtrui^ ma per
te come tua.
Gap. IX, pag. I IO. Ma guarda te, ec.
La lionese : acconciati.
JLh LIBRO SETTIMO. 230
Gap. IX, pag. no. JS' lusinghieri checuoprono
loro mantellamenti,
Mantellamenii è voce strana, data per altro con-
cordemente da tutte tre l'edizioni. Io crederei che in
cambio di mantellamenti si avesse a leggere mali in-
tendimentiy o simile. E mr conferma in questa opinio-
ne il trovare questo passo nella edizione lionese mu-
tato come segue: lo lusinghew>le uomo cuopre la rea
volontà colV allegra Jaccia,
Gap. IX, pag. I IO. Nullo prode uomo non dice, ec.
La edizione lionese: nullo prode uomo dice: io
non pensai questo, anzi aspetta e non dubita.
Gap. IX, pag. I IO. Simiglianti a sogni.
La edisione lionese in luogo di sogni ha suoni. E
noto questa variante per sempre più dimostrare come
non sia da starsene alla cieca a veruna edizione escki-i
sivamente.
Gap. IX, pag. III. Tua parola non sia wina, ec.
La citata ha non sia sola j corressi colla scorta del-
la edizione lionese. E avrei potuto porre in vece in-
tero il periodo nel modo seguente, che tale appunto
nella preiata edizione si legge : non sia vana, ma sem^
pre od ella ammonisca, o elki pensi, o ella comandi.
Quel pensi mi sa tuttavia un po' strano.
Gap. IX, pag. III. £ pia temperatamente,
£ della edizione lionese^ le altre tre ne mancano
afi&tlo.
Gap. IX, pag. III. Dà lo tuo testimonio alla ve-
rità.
Go» nella edizione lionese, le altre tre : dona la tua
testa air amistà.
24u AlIKUTAUOIII
Gap. IX, pag. III. Lo studio non peggiora^ ec.
L"* edizione lionese ha invece : non mariisce de rir
)»oso* e talora ha V animo rimesso ma non disotto
(disciolto). E laddove la diala non ha olire ispedisce^
essa continua: le dure immollay e ìe grandi raggM-
f(lia.
Gap. IX, pag. Ila. Desidera a te tali case, che tu
ìe possi disiare dinanzi ad ogni uomo.
Cosi r edizione lionese ^ la citata e consorti, in cam-
bio di disiare^ ha usare.
Gap. IX, pag. 1 1 a. Allora ti bisogna, ec
Ecco lo stesso periodo secondo la lesioiie lionese :
allotti ti sono bisogno li consigli quando tu ài twbi
di prosperità f e allora ti riterrà la prosperità nel ho-
g(> disdotto JertììOj non ti muos^re tostamente, ma
fMmi mente colà doxw dei andare^ e infino dove.
Gap. XI, pag. 1 14* ^l dolce suono del sitfoh.
La citata e consorti hanno sttfilo ; ma sufòlo ha la
Grusca Veronese, e stifolare la Firentina con esempio
tolto dal Tesoro ^, i, Sufilo è certo voce errata.
Gap. XII, pag. 1 1 5. Che sia più che conveneifole.
Il secondo che manca nella citata, ma si legge nelle
due antecedenti.
Gap. XII, pag. 1 1 5. // suo cuore shkoìo.
f'iKolo si reca dalla Grusca con questo esempio,
panni molto conforme alP aveugle.
Gap. XIU, pag. 117. SeV uomo pruova su lo capo.
Gosi la citata, e certo male^ ma niente meglio le
due antecedenti, che hanno suo capo.
Gap. XIV, pag. 118. Opere veritiere, ec.
Gosi la edizione 1474) ^^ ^^^ posteriori parole^
AL LnmO SETTIMO. ^^l
Gap. XIV, pag. 119. Che inerita incredibile non è
creduta.
Questa correzione è dì mìo capo, ma, pormi, con
ragione. La citata e consorti : cioè credibile^ che non
è creduta f ed in luogo di menzogna.
Gap. XV, pag. 126. Richiedi le sue intenzioni,
Gosì la citata; le due edizioni antecedenti : richiede.
Gap; XVII, pag. 128.' »Sc tu'l profSrrai^ ec.'
Gosì la 14 74) le posteriori : se tu proferirai.
Gap. XVII, pag. 128. Dicassate al palato,
L^ antichissima edizione : dicasate.
Gap. XVII, pag. 128. Ma'presso alla sfcrità^ ec.
Erroneamente nell'edizione antichissima : né prezzo.
Gap. XVII, pag. 128. Non torcere le labbra^ ec.
• Le tre stampe hanno concordi tornare^ prossimo
troppo al francese. Torcere il lessi manoscritto sopra
la stampa dell* esemplare da me consultato nella Mar-
ciana.
Gatp. XX, pag. i35. Tanto eh' egli n'abbia^
Dopo queste parole nelU edizione i474 ^ ^^g^
inttoria.
Gap. XX, pag. 1 55. Conceputi insieme,
Gbncordi le tre edizioni.- Fui per correggere : in
semcy che parmì sia la vera lezione.
Gap. XXV, pag. 137. In tutte cose ...sì che 'l
rettOy ec.
La citata ha : in tutte queste cose.^ tolsi V intruso
queste^ prendendo a scorta le du^ edizioni anAaceden^
ti. Mi fu poi scorta lo stesso Orazio a mutare in retto
il detto che aveano concordi tutti tre.
Gap. XXV, pag. i58. Né tenenza troppo presta.
LcUini. Fol. il. * 14
349 kfmoTknom
La edkione 1474? ^ • contenenta^ senta' il nèJ
Gip. XXY, pag. 1 59. E di pari cose.
Così la 1 474 9 ^Q citata, copìaado la 1 538, ìrnye^
pari o di cose.
Gap. XXY, pag. t4o. Cose che U oommgnè mu-
tare»
Erroneamente la i474 ^ ùa luogo* dt mmlan,
morire.
€ap. XXY, pag. lifi. Né per'giaoca^ me per
sonno.
Erroneamente le antiche edinoni hanno; ne per
senno.
Gap. XXYI; pag* i44* Compagni m tuta parte.
La edizione del 1474? 9eDUL correggere per nulla
questo spropositato perìodo, ha solo : ir tma parte
ditta,
Cap. XXIX, pag. i47* Sobrietà è a dotkare h
diletto^ ec.
Nelle stamele si legge: sobrietà è euiduttore è h
diletto^ ec. La frase da me sostituita ha nn riscontro
nella facciata antecedente, lin. 2 : per doUaret il di"
letto del toccare^ ec. .
Gap. XXIX, pag. i^%, Infino a tanto che natu-
ra si muova.
La citata ha si nuova ; ho seguito le due ediaiooi
antecedenti, come voleva ragione.
Gap. XXX, pag. 149. Grandissima pteKutnu:
Le edizioni fin qui hanno pudore : poteva stare ?
Gap. XXXI, pag. i5o. Costringi li Mwi desi''
derii,
Gosi la edizione lionese; le altre tre: distendi, E
' kh MURO SETTIMO. 2^'5
piik soiU> guanto è soffìciente^ e indi non cornsy si^
milmeote conforine la leziooe lionese. Le altre hanno
•
il franciaso come hency e il peggiore con bene.
Gap. XXXI, pag. 1 5o. Tu dei desiderare^ ec
Quesii due periodetd sono quali ce li dà la edizio-
ne lionese. Eccoli secondo V altre tre, e chi sa inten-
defe mi sgridi per k sostituzione: tu dei desiderare
poco, che tu dei pensare solamente eh* ellijallano
allo esemplo d^iino composto^ parte dal tarpo e non
ti congiungere col tuo spirito. Solo che la edizioqe lio-
nese dopo il vegna ha un meno che qm parve oppor-
tuno di ommettere.
Cag. XXXI, pag. i5a Che tu non abbi inferma
la i^itUy né laida scarsità.
Qui pure abbiamo la lezione lionese. Ecco P altra:
che tu non abbi abbandonata povertà^ né simplicità^
ne laida scarsità.
Cap. XXXI, pag. i5i. Profittabili^ pia che cor-
iesL
n pui che cortesi è della sola edizione lionese.
Gap* XXXI, pag. 1 5 1 . Tuoi giuochi sieno sen%a
levità.
OasÀ\à edizione Ikmese; le altre : ftioi occhi siano
sen%* allegrezui.
G^p. XXXI, pag. i5i. E se tu itogli essere con-
tenente f ec
Sempre secondo V edizione lionese. Ecco quella
della citata e consorti : e se tu itogli essere conte-
nenie, tu ischiferai tutta lode, e altre tali ti parrà es-
sere biasimato dalle male genti come essere lodato
per le buone opere di dispiacere a. rei uomini» .
a44 ANNOTAZIONI *
Gap. XXXI, pag. 1 5 1 . jébbi paura delle umUL
Così r edizione liooesé ^ rìdicolosameote le altre :
abbi paura delV uomo.
Gap. XXXI, pag. i52. Quelli che parUmo., ec.
Melte conto di trascrivere la lezione lioaese, per-
chè notabilmente diversa: sie tacito uditore di colo-
ro die Javellano^ e delle cose che tu odi sie pnmio
rileni Core,
Gap. XXXI, pag. 1 52. Ma non pertinace.
Così r edizione lionese \ le altre hanno peariefict.
Gap. XXXI,. pag. 1 5 a. 5» a pochi JhmUiare,
A pochi è della edizione lionese.
Gap. XXXI, pag. 162. Più in tua vita, ec. -
La edizione lionese : in tua vista.
Gap. XXXI j pag. i52. Ciò che tu sai, ec.
Così la edizione lionese 3 le altre: ciò che tu vedi.
Gap. XXXIII, pag. i54* Attendere lo Jine della
sua vita sicuramente.
Questa è la lezione lionese ^ udite le altre : aften"
dere. alla virtù di suo Jine sicuramente.
Cap.XXXlII,pag. i54« Questi non mi nocque^ec
Così la edizione lionese \ le altre tre : eh' egli ha
cuore di danneggiare te, ma noi fare niente.
Gap. XlftLVI, pag. 1 58. Quelli die ha bene ap-
parecchiato suo peitOy ec.
Le stampe hanno concordi: suo peccato. La corre-
zione mi pare necessaria.
Gap. XXXVI, pag. 160. Se la carogna infracida.
. La sola citata legge così. Le due antecedenti han-
no infra città.
Cai». XX XVI, pag. 1 63. JVè a volto tiramip instante.
AL LIBRO SETTIMO. ^4^
£ traduzione del notissimo passo oraziano ; era for-
se meglio di tiranno. Le stampe hanno concordi vòl-
to tirante.
Gap. XL,pag. 1 68. La legge à^ infermità è tale^ec.
Forse dee leggersi^èrm/tó. Ma in tanta dovizia di
spropositi non tentai coiTezione alcuna.
Gap. XL, pag. 1 6^. Mutano loro regione^ ec.
Le stampe hanno loro re. Ma il passo latino notis-
simo mi fece coraggioso alla correzione. Regione per
eoelum mi par naturale, assai più che re.
Gap. XLIII, pag, i/ji.E in questo non conviene ...
ma ch^ella dimostri^ ec.
Nella citata e consorti mancano l' in e il ma, Gor-
ressi colla scorta della lionese. Oltre a ciò, mette conto
che si legga tutto questo tratto quale si ha nella sud-
detta edizione, cominciando da giunta a natura, —
La giustizia si è congiugntmento tacito de natura
trovato in aiutorio de molti, e^non è ordinamento
^uomoy ma è legge di Dio, e legame de Fumana
compagnia^ et in questa non ti conviene pensare
quello chejhre si convegna, ma ella dice e dimostra
ciò chejhre si conviene. La edizione i474 a"vanza
in questo* passo la scorrezione de P altre.
Gap. XLin, pag, 173. Non danneggiare non è
giustizia. Non prendere ajbrza^ ec.
Gosi 1& lionese. Erroneamente le altre : non è giù-
stizic^g ma non prendere aforza^ ec.
Gfop. XLIII, pag. 1 75. E se alcuna volta dirai
bugia, ec.
Questo* ^le^ia è della edizione -lionese^ manca in tut-
te le altre.
a 4^ AimoTASMHa
Gap. XLIP, pag. 175. Che quatuhgU àUri iùno
, vintiy ec. .
Così la lionese; erroneamente le altre: ma qttaiido
gli altri son vinti per malvagie eose^ egli è. vinto.
Gap. XLm, pag. 173. Quete vedrai le cose di
, romorej ec.
Anche qoi secondo l'ediiione Ikmese^ la ctoie
compagne: JVoì\ dire le ooee di remore^ ptemmtm
un punto fermo. •
Gap. XLni, pag. 174. Lo iecondo modo cAe co-
sa, ec.
La citata e consorti hanno: per cosa^ e tqlIfllViitpo-
trebbe stare. *
Gap. XLIY, pag. 176. Levate del meMo.'
Le stampe tutte hanno dannate. Sarebbe frase mi
po' nuova. Gosì gli uomini ddla riga anieoedenle cel
misi del mìo.
Gap. XLV, pag. 1^7. Togliono spesse volte al ric-
co per invidia^ ec.
Le stampe : il diritto per invidia.
Gap. XLYII, pag. i83. Seguirai Demostene, ec
La edizione i474* seguire.
Gap. XLYIII, pag. 1 84. «$« come preso in presto.
La .edizione i474* ''^ posto* £ anche questa pei
soverchi lodatori delP antichissima stampa. B perìodo
poi susseguente, che nella nostra edizione CDmiiicta:
con ciò sia egliy ec. si legge in tutte Fediziom co-
minciare così : Già sia egli. Il cambiamento fa da aie
fatto per amore di chiarezza, in libro dì tanta invin-
dlnle oscurità.
Gap. XLIX, pag. \%%. Ma ira siajtioridinoij ec.
▲L UMO SETTIMO. ^ìjfj
' liDclé qoi alla stampa anlichìssima: il^or/ è in essa
solamente. La citata e dedizione del i528, ne manca-
no afl^ta
Gap. L^ pag. 190. Egli è grande dtswtgUo del-
Vuomo^ ec.
G)nforme a questo disifOgUo abbiamo (cap. LYI,
pag. 197)1 amistà non sostiene edeuno isvagUo, Ma
Bel prìiDO caso starebbe per errare^ svarione; te già
il senso, come pare, non sia monco* Nel secondo evH
dentemente significa diversità, disuguaglian%a,
'Cap. LI, pag. 191. Seneca dice, così come nullo
dae essere distrettoy ec.
Meglio: Seneca dice così:, come nidlo^ et.
• Gap. LIY, pag. 194. Ma io non dico che *l servi-
re, ec
n fiof» manca nell^ edizione citata, ma si legge nelle
due antecedenti i5a8, i474*
Cap^ LYI, pag. 197. Ma primamente ti consiglia
date.
Così nel? edizione del secolo decìmoqninto; le sue-
cessÌTa hanno da lui.
Cap. LYI, pag. 197. Amistà non sostiene alcuno
isifoglio,' Yedi la nota cap L. pag. 190.
CtqfK LYI, pag. 197. Ciò che li dee pro/Oéure^ più
ek^ eiòfCC. *
liCilMDpe in luogo óipOt che ciò, hanoa: anocraciò.
Cap. LSI, pag. aoa. Misericordia delle makUtie.
La ediaione 1474) malizie. ' -
Cap. LSJY, pag. ao6. Tuo reggimento non sia
tanto aspro, ec.
L^ edizione lionese ha riso in luogo di reggimento.
^4^ AimoT Azioni
Gap. LXV, pag. 307. Chi allaccia sua volontà, '
Le stampe Iuiddo : lascia. Corressi STverteodo al
domare oraziano.
Gap. LXVI, pag. 209." Ne i tori perjòr%a.
Ledile slampe i5a8, 1 535, hanno: né e^iorri^e
chiaramente la i/^y^: le torrm Corressi e, spero^ bene.
hajbrza è data ai tori ùao da' tempi d' Apacreonte,
Oltrechò qui fassi paragone con bestie, e ie farri oi
starebbero come le pantofole in proposito di vege-
tabili.
Gap. LXXy pag. 21 4* La seconda è che voknàà
ili riccìiezui abbatte la virtà.
Qui corressi dielro Iq scorta dell^ edizione i474*
Nelle posteriori leggesì : che è volontà di riccheir
zuy ec.
Cap. LXX, pag. ai 4- Sono le parentele, maritag-
gi, ec.
Nelle stampe! parehtevbe, voce da poter aggiugnere
agli esempi dMle antiquate.
Gap. LXXII5 pag. 219.^ nella ifia jéppia.
Gorressi colla scorta del lesto oraziano, di ohe veg-
gasi V epistola 6, lib. I. Le stampe tutte tre hanno er-
roneamente: vìa ampia.
Gap. XXXIV, pag. 223. iVe meno per guadagno.
E correzione mia 5 le stampe hanno : né male per
guadagno. Non che non ci potesse stare anohe V altra
lezione, ma la sostituita mi sembra più esatta.
Gap. LXXIV, pag. 226. Chiederò h bene cK è
propriamente de' malvagi ?
L' interrogativo cel posi io, a far intelligibile la le-
zione^ ma forse il testo è monco.
▲L LIBRO SETTIMO. sSg
Gap. 1X9 pag. no. E^ lusinghieri checuoprono
loro numiellamenti.
Mantelkunenii è voce strana, data per altro con-
cordemente da tutte tre P edizioni. Io crederei che in
cambio di mantellamenli si avesse a leggere mali in-
iendimentìy o simile. E mi- conferma in questa opinio-
ne il trovare questo passo nella edizione lionese mu-
tato come segue: lo lusinghew^le uomo cuopre la rea
volontà colV allegra foccia.
Gap. IX, pag. I IO. Nullo prode uomo non dice^ ec.
La edizione lionese: nullo prode uomo dice: io
non pensai questo^ anu aspetta e non dubita.
Gap. IX, pag. I IO. ShnigUanU a sogni.
La edizione lionese in luogo di sogni ha suoni. E
noto questa variante per sempre più dimostrare come
non sia da starsene alla cieca a veruna edizione escili*
sivamente.
Gap. IX, pag. III. Tua parola non sia wma^ ec.
La citata ha non sia sola ^ corressi colla scorta del-
la edizione lionese. E avrei potuto porre in vece in*
tero il periodo nel modo seguente, che tale appunto
nella prefata edizione si legge : non sia vana^ ma sem^
pre od ella ammonisca^ o ellcL pensi, o ella comandi.
Quel pensi mi sa tuttavia un po^ strano.
Gap. IX, pag. III. £ più tempenUamenie,
E della edizione lionese; le altre tre ne mancano
affitto.
Gap. IX, pag. III. Dà lo tuo testimonio alla ve-
rità.
Gosì nella edizione lionese, le altre tre : dona la tua
testa air amistà.
a4u ARKOTAUONI
Gap. IX, pag. 111. Lo savio non peggiora, ec.
L^ edizione lionese ha invece : wm martìsce de ri-
posoy e talora ha V animo rimesso ma non discolto
(disciolto). E laddove la citata non ha olire ispedisce,
essa continua : le dure immolla, e le grandi raggu»'
glia.
Gap. IX, pag. 1 1 a. Desidera a te ioli cose, che tu,
le possi disiare dinanù ad ogni uomo.
Così r edizione liònese ^ la citata e coosorti, in casH
bio di disiare, ha usare.
Gap. IX, pag. 1 1 a. ^allora ti bisogna, ec
Ecco lo stesso periodo secondo la lezione Uoaèse :
allora ti sono bisogno li consigli quando tu ài ^ta
di prosperità, e allora ti riterrà la prosperità nel luo-
go disdotto pernio, non ti muovere tosteanente, ma
poni mente colà dove dei andare^ e infino dove.
Gap. XI, pag. 1 14- Il dolce suono del sufolo.
La citata e consorti hanno sufdo ; ma sufblo ha la
Grusca Veronese, e sufolare la Firentina con esempio
tolto dal Tesoro 4* <• Sufih è certo voce errata.
Gap. XII, pag. 1 1 5. Che sia più che convenevole.
Il secondo che manca nella citata, ma si legge nelle
due antecedenlL
Gap. XII, pag. 1 1 5. // suo cuore vocolo,
F^ocolo si reca dalla Grusca con questo esempio,
parmi molto conforme all' aveugle.
Gap. XIII, pag. 117. Se r uomo pruova su lo capo,
Gosi la citata, e certo male 5 ma niente meglio le
due antecedenti, che hanno suo capo.
Gap. XIV, pag. 118. Opere veritiere, ec.
Gosi la edizione i^y^^ìe due posteriori ^ro^^
AL LIBBO SETTIMO. ^4 I
Gap. XrV, pag. 119. Che irrita incredibile non è
creduta.
Questa correzione è di mio capo, ma, pormi, con
ragione. La citata e consorti : cioè credibile^ che non
è creduta^ ed in luogo di menzogna.
Gap. XV, pag. 12 5. Richiedi le sue intenzioni.
Così la citata ^ le due edizioni antecedenti : richiede.
Gap; XVII5 pag. 111%: Se tu 'l profSrrai^ ec.'
Gosì la 1474 9 le posteriori : se tu proferirai.
Gap. XYII, pag. 128. Dicassate al palato,
là antichissima edizione : dicasate.
Gap. XVII, pag. 128. Ma' presso alla {ferità^ ec.
Erroneamente nelPedizione antichissima: ne prezzo.
Gap. XVII, pag. ia8. Non torcere le labbra^ ec.
• Le tre stampe hanno concordi tornare^ prossimo
troppo al francese. Torcere il lessi manoscritto sopra
la stampa dell' esemplare da me consultato nella Mar-
ciana.
Gap. XX, pag. 1 33. Tanto eh* egli n^ abbia.
Dopo queste parole nell'edizione i474 ^ l^g^
vittoria.
Gap. XX, pag. i33. Conceputi insieme.
Goncordi le tre edizioni.- Fui per correggere : in
seme^ che panni sia la vera lezione.
Gap. XXY, pag. 137. In tutte cose ... 3ì che 7
retto, ec.
La citata ha : in tutte queste cose.^ tolsi P intmso
queste, prendendo a scorta le da^ edizioni anteceden-^
ti. Mi fu poi scorta lo stesso Orazio a mutare in retto
il detto che aveano concordi tutti tre.
Gap. XXY, pag. i38. Né tenen%a troppo presta.
Latini, Voi. II. '4
!25a 11/ TBSOHO.
za t> congiunta ni parlare, chi ti dirà che ne possa na-
s(Tere se non bene ? Tullio dice,, che al comincianienlo
gli uomini vivevano come bestie senza propiìa rosa,
sen7a ronosriniento e sen/a conoscenza di Dio, per K
bosriii e per li lur)ghì riposti senza pastore, sì the
nullo guardava matrimonio, e non conosceTa padre,
ne figliuolo. Allora fu un savio parlante che tanto con-
sigliò, e tanto mostrò la grandezza dell' uomo, e la di-
gnità della generazione e della discrezione, rh' egli li
trasse di quello malvagio nido, e ragunógli ad abitare
in uno luogo, ed a mantenere ragione e giustizia. E
così per lo b(^llo parlare che in lui era col senno, fo
questo uomo quasi secondo Iddio, che rilevò il miln-
do por r ordine delP umana compagnia. È ciò ne fii
manifesto V istoria d' Amfion, che fece la città di Tebe,
che faceva venire le pietre e' muratori per dolcezta
del suo canto, cioè a dire, che per le ^ue dolci parole
entrasse gli uoniini da' malvagi luoghi, ov'elli abitava-
no, e menolli ad abitazione di quella città. E dalPaU
■ tra parte s'accorda bene Tullio con quello che dice
Aristotile del parlare senza sapienza^ che quando l'uo-
ifìo ha buona lingua di fuore, e non ha punto di con-
sìglio deAtro, la sua [)arola è fieramente pericolosa 'alla
città ed agli amici. Dunque è provato che la scienza
della retorica non è in tutto acquistata per natura e
per uso, ma per insegnamento e per arte. E per ciò
dico che ciascuno upmo dee istudiare il suo intelletto
e'I suo ingegno a saperla. Che Tullio disse, che l'uo-
mo che ha molto delle cose minori, è più fievole degli
altri animali per la disusanza di questa una cosa, che
può parlare manifestament^. Che quelli acquista nobi-
LIBRO OTTAVO. 253
le cosa che dì ciò avanza gli uomini di che V uomo
soimonta le bestie. Ne per niente non disse il prover-
bio, che nudrìlura pasce natura, che, secondo quello
che noi troviamo nella prima e nella seconda parie di
questo libro, T anima d^ogni uomo è buona natural-
mente 3 ma ella muta la sua natura per malvagità del
corpo, nel quale ella sta rinchiusa, cosi comeM vino si
guasta per la ria botte. E quando il corpo è di buona
natura, la sua anima signoreggia ed aiuta la sua bontà.
Ed allora li vagliono V arte e V uso, però che arte
insegna li comandamenti che a ciò si conviene, e lo
uso li fa presto ed aperto all' opera. E però vole lo
maestro incordare al suo amico le circostanze e V in-
segnamento dell'arte della retorica, che mollo aiute-
ranno alla sottilità ch'è in lui per la buona natura. Ma
tuttavia vi dirà innanzi eh' è retorica e sopra cui ella
è 'y poi del suo ufficio, e della sua materia, e delle sue
parti. Che chi bene sa ciò, egli intende meglio il com-
pimento di questa arte.
Capitolo II.
Della retorica, che cosa è, e di suo ufficio, e di sua arte.
Retorica è una scienza che insegna dire bene pie-
namente le cose comuni e le private. E tutta sua in-
tenzione è a dire parole, in tal maniera, che lo uomo
feccia credere lo suo detto a quelli che l' odono. E
sappiate,.che retorica è sopra la scienza di governare
la città, seconi]^ che disse Aristotile qua addietro nel
suo libro, si come 1' arte di fare freni e selle per l'ar-
te di cavaUeria. L' ufficio di questa arte^ secondo dbe
Latini. Fot, IL i5
254 ^^' TESORO»
dice Tullio^ è di parlare pensatameote, per &re cre-
dere lo $uo detto. E la sua fìae è far credere quello
che dice, in tal maniera che sia onesta. Intra Tuf-
fìcio e la fìne è questa differenza, che neir ufficio ha
a pensare lo parlatore ciò che si conviene alla fine,
ciò è a dire, che parli in tal maniera, che sia creduto;
e nella fìne pensare ciò che si conviene a suo oflido,
cioè a farsi credere per suo parlare. Ragione cooie
r ufficio dd fisico si è di fare medicine e cure per
sanare. E U suo fìne si è, sanare, e però è medidoa. E
brevemente Tufficio di retorica è, di parlare appensa-
tamente, secondo lo insegnamento delFarte. Il fine è
quella cosa, perchè egli parla. La materia dì retorica
è della cosa di che il parlatore dice, sì come P infer-
mità è materia di fìsici. Onde Gorgia disse, che tutte
le cose di che si conviene parlare sono materia di que-
sta arte. Ermagoras disse, che questa materia 9Ì è le
cause alle questioni. E disse, che cause sono quelle^
sopra le quali li parlatori sono in contenzione d^aloQ-
na certa gente, o di altra cosa certa, e di ciò non dis-
se egli male. Ma disse egli, che questione è quella so-
pra che li parlatori sono in contenzione, senza nomi-
nare certa gente. In altre cose che appartengono a cer-
to bisogno sì come della grandezza del sole e della
forma del fìrmamento, E di ciò dice egli troppo male,
che tali cose non si convegnono a^ governatori dì.cit-
là ^ anzi conviene a^fìlosofì, che studiano in proCbnda
scienza, E però sono fuori della via quegli , che peiH
sano contare fevole, od antiche istorie. E ciò che Tao-
mo può dire^ è della materia di retorica. Ma ciò che
r uomo dice di sua bocca, comanda per lettera pensa-
IJBHO OTTAVO. a55
tamente per &r credere, o per contenzione di lodare,
o di biasimare, o d^ avere consìglio sopra alcuno biso-
gno, o di cosa che dimanda gìudicio. Tutto ciò è del-
la materia di retorica. Ma tutto ciò che V uomo non
dice artificialmente, ciò è a dire, per nobili parole,
gravi, e ripiene di buone sentenze, o per alcuna delle
cose dinanzi dette, è fuori di questa scienza, e lungi
delle sue circostanze. E però dice Aristotile, che la
materia di questa arie è sopra tre cose solamente, cioè
dimostramento, consiglio e giudicio. Ed in ciò mede-
simo s^ accorda Tullio, e dice, che dimostramento è,
quando i parlatori biasimano uomo, od altra cosa ge-
neralmente, o particularmeqte. Io lodo molto beltn di
femine, disse Tuno; ed io biasimo, dice P altro 5 que-
stue detto generalmente. Ma particularmente dice Tu-
no: Giulio Cesare fu prode uomo^ dice P altro: non
fu, anzi fu traditore e disleale. E questa questione non
ha luogo se non nelle cose passate e nelle presenti.
Che di quello ch^ è addivenire, non può essere loda-
to, ne biasimalo. Consiglio è. quando li parlatori con-
sigliano sopra una proposta, ch^è posta dinanzi da
loro generalmente, o particolarmente, per mostrar qual
cosa sia utile, o no. Dice un de^cardinali di Roma : ge-
neralmente utile cosa è a metter pace tra^crisliani^non
è, dice r altro. E particularmente dice Funo, utile,
cosa è la pace tra U re di Francia e quello d' Inghil-
terra; dice r altro, non è. E questa questione non ha
luogo sopra alle cose che sono addivenire. E quando
ciascun ha dato lo consiglio, V uomo s^ attiene a colui
che mostra più ferme le sue ragioni. E più credevola
giadicamento si è in accusare o difendere, o in dcH
356 IL
tncasa geaeialmeote, o partiraiM ■mi Ji ^ ili* de «i-
DO giusCe, o no. Io dico, generalaKote F oa dne, ck
taUi ib^droni debbono efKT inipiocati; dice rakn^sM
debbono. Dice V uno, quegli che gOTeru tiene fadì-
tà dee aver booo guiderdone ; dice mitf— inii Fd-
trO) non dee. Sia particalarmenle dice rano^die GoEh
dee esfcre im[>iocato, però ditegli è ladrone; ooa è, dk
ce r altro. Ho dimandalo guiderdone, però che kàh
pro^del comune; non hai, dice V altro. O risponde per
avventura, tu hai discrvito pena. £ questa qnestioae
non Ita luogo, se non nelle cose passate. Che nuUodoe
essere dannalo, né guiderdonato, se non per le cote
{[lassate. Ma di ciò si tace il maestro per divisare lepa-
role di retorica.
Capitolo UL
Delle óaqpit ptrti delh retorict.
Tullio dice, che in questa scienza ha cuoqoe parti,
cioè trovamento, ordine, elocuzione, memoria e par-
lare. Boezio disse, che queste cinque cose si sono del-
la sustauza del parlare, che se alcuna ne mancasse, non
sarebbe compiuto. Così comeH fondamento, le pareti
e*l t(ìlto sono parli della casa, senza le quali non è
compiuta la casa. Trovamento è uà pensamento di
trovare nel suo cuore cose vere, o verisimili a prova-
re sua materia, e questo è fondamento e fermezza di
tutta questa scienza. Che innanzi che V uomo dica, o
scriva, dee trovare la ragione e li argomenti per pro-
vare suo detto, e per farli credere a colui eoa cui par-
LIBRO OTTAVO. 257
la. Ordine è istabilire suoi detti e snoi argomenti, che
ha 1 rovai i ciascun in suo luogo, acciò che possano me-
glio valere, cioè a dire, che innanzi dee mettere le for-
ti ragioni intomo al cominciamento, e nel mezzo le
fragili, e nella fìne li argomenti, ne' quali egli più si fi-
da che il suo avversario non vi possa dire parola con-
traria. Elocuzione è lo ritorno del parlare, e di sen-
tenze avvenevoli, a ciò eh' egli trova. Che trovare e
pensare poco vanebbero, senza accordare le parole a
sua materia. Che le parole debbono seguire la mate-
ria, e non la materia le parole, però che'l motto, o una
buona sentenza, o proverbio, o una similitudine, od uno
esempio, eh' è simile alla materia, conferma tutto il suo
dello, e fililo bello e credevole. E però il parlatore, quan-
do (ralla di oste, o di fornimento, dee dire parole di
guerra, o di vittoria. Ed in dolore, parole di cruccio.
Ed in gioia, parole d'allegrezza. Memoria si è, ricordarsi
fermamente di quello, eh' egli ha pensalo, e messo in
ordine, però che lutto sarebbe niente se non se ne ri-
cordasse quando egli è venuto a parlare. E non pensi
nessuno che ciò sia naturale memoria, eh' è una virtù
dell' anima, che si ricorda di ciò che noi apprendiamo
per alcun senso del corpo ^ anzi è memoria artificia-
le, che l' uomo imprende per dottrina di savi, a rite-
nere ciò che pensa ed apprende per l' opera, ed a di-
re ciò eh' egli ha trovato e stabitìto nel suo pensiei'o,
e nella av venevolezza del corpo, e della voce, e del mo-
vimento, secondo la dignità delle parole. Ed al vero
dire, quando il dicitore viene a dire il suo conto, egli
dee mollo pensare sua materia e suo essere. Altri-
menti dee portare sue membra, e sua cera, e suo
258 IL TESORO.
Sguardo in dolore che in letizia'; ed altrìmeali in mi luo-
go che in un altro. E però dee ciascuno guardare chV
gli non levi la mano verso gli occhi, né la finonte, in
maniera che sia rìprensjbile. £ sopra questa
vale la dottrina, eh' è qua addietro nel libro de*
e delle virtù, nel capitolo della guardia.
Capitolo IV.
Di due maniere di parole, con lettere e con bocca.
Appresso dice il maestro, che la scienza della rcA-
torica è in due maniere. L' una si è dire con bocca;
r altra si è mandare per lettere. Ma V una e P altia
maniera può essere diversamente, s' ella è per conten-
zione, e senza contenzione, non appartiene a retorica,
secondo che Aristotile e Tullb dissero apertamente.
Ma Gorgias disse, che tutto che li parlatori dicono a-
pertamente è retorica. Boezio disse, eh' e' si accorda a
ciò, che ciò che a dire si conviene, puote essere ma-
teria del dettatore. E chi ben vole peosare la sottilitìi
di quest' arte, sì trova che ta prima sentenza è di mag-
gior valore. Però chiunque dice di bocca, o manda
lettere ad alcuno, egli il fa per muovere il cuore di
colui, od a credere, od a volere quello che dice, o no.
£ s' egli no '1 &, io dico che suo detto non appartie-
ne alla scienza di retorica ; anzi è del comune parlare
delli uomini, che sono senz' arte, o maestria. E questo
sia dilungato da noi, e rimanga alla semplicità de' vo-
lani e del minuto popolo, però che a loro non af>-
partengono le cittadine cose. Ma s' egli fisi artificial-
mente per muovere lo cnore di colui, a cui egli par-
LIBRO OTTAVO. 369
la, o manda lettera, eoo viene che ciò sia in pregio,
od in dimandare alcuna cosa, o per consiglio, o per
minaccie, o per conforto, o per comandamento, o per
amore, o per a' tre simiglianti cose, egli sa bene, che
colui a cui manda lettere ^arà defensìone oontra quel
eh' egli manda. E però li savi dettatori confermano le
loro lettere con buone ragioni e con forti argomenti^
che V aiutano a ciò eh' egli vole, sì come fosse alla
contenzione dinanzi lui. E cotal lettera appartiene a
retorica, cosi come le canzoni, nelle quali Tun amante
parla all' altro, sì come si fosse dinanzi a kii alla con-
tenzione. E però potemo noi intendere, che conten-
zione sono in due modi, od in aperto, quando Tuomo
si difende per bocca o permettere, o non in aperto,
quando V uomo manda lettera fornita di buoni argo-
menti contra alla difesa che pensa che P altro abbia.
£ tutte le contenzioni appartengono alla retorica, cioè
delle cose cittadine, e delle bisognose a principi delle
terre, e delle altre genti ^ e non di favole, né del mo-
vimento deir anno, ne del compasso della terra, ne
del movimento della luna, né delle stelle, però che di
tale contenzione non s'intramette questa scienza.
Capitolo V.
* Del conteadimento che nasce delle parole scritte.
Però appare che tutte le contenùoni, od elle tono
per parole scritte, od elle sono per parole a bocca, se-
condo che Tullio disse. E quello eh' è per parole scrit-
te, puote essere in ciuque modi. Che alcuna volta il
parlare non si accorda alla sentenza di colui che la
26o . IL Tisoao.
scrìve. Ed alenila volta due parole in due ìnoi^tp»'
so si discordano iotra loro. Ed alcuoa volta pare, che
quello clì^ è scritto signiGchi due cose, o più. £d di-
cuna volta addiviene, die di quello ch^è scritto l'uo-
mo trae senno ed esempio di quello che debba fiirfrin
alcuna cosa che non sia scritta. Ed alcuna volta 4 b
contenzione su la forza d' una parola scrìtta, per sa-
per quello ch'ella significa.
Capitolo VI.
Come tutte contenzioni nascono in quattro cote.
Da altra parte e' insegna Tullio, che tutte conten-
zioni, o di bocca, o di scritta nascono del fatto, o del
nome di quel fatto, o di sua qualità, o di suo muta-
Hicnto. Perchè se V una di queste quattro oose noff
fosse, non vi potrebbe nascere contenzione. Io dico^
ohe tu hai alcuna cosa £itta, e sì li mostrerò alcun se-
gno per provare che tu V abbi fatto in questa manie-
ra. Tu uccidesti Giovanni^ che io ti vidi trarre lo col-
tello sanguinoso del suo corpo. Ma tu di', che non vi
fosti, (^ dici, che non P hai (alto, ne ucciso 3 e così na-
sce la conlcnzionc del fatto intra me e te, che è mol-
to grave e forte a provare, però che l' uno ha altresì
forti argoqaenti come P altro. La contenzione che na-
sce del no si è, quando ciascuna delle parti conosce il
fatto 3 ma egli son iu discordia del no in questa ma-
niera. Io dico, che questo uomo ha fatto sacrilegio,
però che ha involato uno cavallo dentro ad una chie-
sa. Dice r altro, questo uomo non è sacrilego, anzi è
ladrone, e così nasce la contenzione per lo no del fat-
LIBRO OTTAVO. a6l
to/ E sopra ciò si convien pensare, che h V uno e l'al-
tro. Che sacrilegio si è furare le cose sagrate di luo^
go sagrato^ ma tntte maniere d' involare è ladronezzo.
Ed a questa contenzione conosce l' uomo lo fatto ^ ma
egK sono in discord]5 del nome di quel fatl!b solamen-
te. La contenzione che nasce della qualitade si è quan-
do r uomo conosce il fatto e lo nome, ed egli si di-
scorda dalla maniera del &tto, cioè della forza, e del-
la quantità , e della comparazione. Ragione come io
dico*, che questo è un crndel fiitto, o che è più crude-
le, che non è queir altro, o che questo è ben (atto, se-
condo ragione e secondo giustizia^ e l'altro dice, che
non è. E quando CateUina disse a Tullio, che non
era tanto valuto al comune di Roma, come egli. E
quando il senatore dicea, meno vale a distruggere Car-
tagine, che lasciarla. E quando Giulio Cesare diceva,
io cacciai Pompeio giustamente. Io dico, che le que-
stioni tutte nascono della qualità del fetto, e non del
fatto e del suo no.* La contenzione che nasce del mu-
tamento si è quando un comincia una questione 3 e
l'altro dice, che la dee essere rimossa, però che non
si mutò contra colui a cui doveva, o no, davanti quel-
la legge, o di quel peccato, o di quella pena. La con-
tenzione che nasce della qualità del fatto, come che il
fatto sia, Tullio dice, ch'ella si divide in due parti.
L'una si è diritto, che pensa delle cose pi*esenti e
dello future, secondo l'uso del diritto del paese. Ed a
[•10 vare ciò sì si travagliano i parlatori [>er la compa-
razione che a loro cade a far delle simiglianti cose, o
delle contrarie. L'altra si è di legge, chb considera
solamente nelle cose passate secondo I^gc scritta. Ed
i5*
363 li. TflfOlO.
in ciò basta a dire quello eh* ò scritto odia ìeggBj le-
coodo uso delle cose giudicale, snelle sono g'^fftfwf-,
le filile, o oontra a giustizia. E d^mi uomo s' e|^ è
degno di pena, o di merito. E questa medesìnB di*i
della leggasi è doppia diiani. Che par sua cìmrbi
Ibostra immanliDenle se la cosa è buona, o ria, o di
ragione, odi torta Ed è un'altra impronlena, che pff
sf non ha nulla difesa s'ella non V impronta di fimi
E suo impronto è in quattro maniere, o per cono-
scenza, o per rìmutamea, o per vendetta, o per aosn
[«razione. (Conoscenza si è quando non n^a, uè doo
difende lo fiitto; anzi dimanda che Puomo K perdoaL
E può dò essere in due maniere. L' una senza col-
pa, e V altra per preghiera. Senza colpa è, quand'e-
gli dice, che noU fece scientemente ; anzi per non sa-
pere, o per necessità, o per impacdamento^ e preghie-
ra; e qoand' egli prega che li perdoni la sua oftia,
. e questo non addiTiene spesse Tolte.
•
Capitolo VIL
Di rimutamento di molte maniere.
Rimutanza si è, quando T uomo si vole cessare del
mìs&tto eh' egli non fece, e ch'egli non v' ebbe col-
[)a anzi lo mette sopra un altro. E cosi si sforza di
rimutare lo fatto e la colpa da sé ad un altro. E dò
può essere in due maniere, o mettendo sopra l' altro
la col[)a, o la cagione ; e mettevi lo &tto. E certo la
cagione e la colpa mette- egli soj)ra all' altro, quando*
(lice, dò eh' è addivenuto, è addivenuto per la forza
e |)or la signoria «che quell'altro avea sopra colui che
LIBRO OTTAVO. 265
si difende. Lo fiitto poof egli mettere sopra un altro,
quand^ egli dice, che no^l fe^ ne non fa &tto per col-
pa, né per cagione di Id. Ma egli mostra, che quelPal-
tro lo fece, però che potea e dovea &rlo. Vendetta
si è quando Puomo conosce bene ch^egli fé ciò che
r uomo dice di lui ^ ma non mostra che ciò fu fatto
ragionercdmente, e perciò è Yendetta, perdiè dinanzi
avea egli ricevuto lo perchè. Comperazioiie è quando
conosce che fé quello che V uomo gli oppone ^ ma egli
non mostra di' egli lo feoesse per compire un' altra
cosa onesta, che altrimenti non potrebbe essere me*
nato a buon fine.
CikPiTOLO Ym.
Di che r uomo dee considerare in sua materia.
Anche ne insegna Tullio che noi pensiamo sopra
questa nostra materia, della quale noi dovemo paria-
re, o scrìvere lettere, s'ella è semplice, d'una cosa So-
lamente, o di molle. E poi che noi avemo considerato
diligentemente lo conoscimento della contenzioAe, e
tutto suo essere, e le sue maniere ^ anche ci conviene
sapere, che, e come è Id questione, e la ragione, e 'l
giudicamento, e '1 confermamento della contenzione.
Capitolo IX. •
dome dee enere stabilito V intendimento.
Per questo insegnamento che 'l maestro divisa qua
a dietro, dovete voi intendere, <^ contenxione non è
altra cosa chela disoordia ch'è intra due parti, ointra
:ì64 ''' TESOHO.
due deltalori, si come V uno dice ch^ e^lì ha detto, e
r ullro dice, aon Im. E» quando sono a ciò veooti, aU
loia si convien vedere s^ egli ha diritto, o se no; e
quesl' è la conteiìzionc della questione. Ma però che
})04*o si vale a dire^ ch^egli iia diritto, se non moslia
lagioiie, pcrdìè conviene che dica immantinente k
))ro|iria ragione per la quale egli sì si credea aver di-
rilto nella sua questione, però che s^ egli non dicesse
iminaiitinenle, sua questione per mala difesa sarebbe
iìevole^ e quando egli lia detto la sua ragione, perchè
egli ferì lo suo avversario, dice altri suoi argomenti
per infievolire la ragione che Paltro mostra, e per avvi^
lire sua difesa. Ed allora nasce il giudicio sopra fl det-
to deir uno e delP altro, per giudicare se quegli ha
diritto per la ragione ch^ egli ha dimostrata. E quando ,
sono a ciò venuti, immantinente dicono loro confer-
luameuto, ciò è a dire, U forti argomenti e le buòne
ragioni die più vagliono a giudicamento. In questa
maniera ordinano li savi le lettere e le paix>le per mo-
strar il diritto, e per conformare la ragione. £ sap-
pila lef che tutte maniere di contenzione, tanto quanto
egli hanno discordia e di capitoli questionali, altret-
tanto vi conviene avere di questione, e di ragione, e
di giqdido, e di confermamento ^ salvo che, quando
la contenzione nasce del fatto, di che V uomo conosce,
lo certo giudicio non può essere sopra la ragione, pe-
rò ohi nega, e non assegna nulla dì sua negazione, al-
lora il giudicamento è sopra la ragione solamente, ciò è
a dire s'^egli fece dò, o no. E non dee .l' uomo pen-
sare, che questo insegnamento sia follemente donato
in su le contenzioni, che sono in piato, od in corte j
LIBRO OTTAVO. 265
anzi sono in lutti i fatti che V uomo dice, consigliane
(io, o pregando, od in messaggio^ od in altra maniera.
Ed in lettere che V nomo mandi altrui, osservi que-
sto medesimo ordine, perchè non ti dimanda egli
quello che vole ; e questo si è come questione, per-
chè egli è in questione, ed in paura che P altro si di-
fenda per alcuna ragione contra sua richiesta. B però
dice egli la ragione immantinente, per la quale P altro
debba fiire ciò ehe chere. £ perchè P altro non possa
infievolire con quella ragione, mette egli forti argo-
menti, de' quali egli si fida più. Ed alla fine della sua
lettera, fò egli lo accoglimento, là ove dimanda, che
s'*egli fa quello ch^egli richiede, che ne nascerà que-
sto e quello. E ciò è in luogo di giudicio e di con-
iermamento. Ma di questo divisamento tace il conto,
per dire delP altre parli di buona parlatura, che è bi-
sogno nel conto. Che alla verità dire, P uomo non dee
pensare solamente quello che dee contare dinanzi ; ma
conviene stabilire le primaie parole e le diretane, se
('gli vole che il suo detto sia bene accordante a sua
materia.
Capitolo X.
Di (lue maniere di parlamenti, cioè iu prosa «ed in rima.
La divisione di tutti parlatori si è in due maniere.
L* una è in prosa e P altra in rima. Ma la dottrina
(Iella retorica è comune ad amènduc ; salvo che la vìa
di prosa è larga e piena, sì come la comune parlatura
(Iella gente. Ma lo sentiero di rima è più stretto e più
forte, sì come quello eh' è chiuso e fermato di muri e
di palagi , cioè a dire di peso e di mispra e .di nu-
266 IL TESORO»
mero certo, di che V nomo non può e noD dee tn-
passare. Gh^^ chi voi bene rimare, dee ordinare le sfl-
labe in tal modo, die emersi siano aooordeToli in no-
merò, e che TuDo non abbia pia che F altro. Appre-
so ciò gli convien misurare le due dìretaoe sìIUm
del verso, in tal maniera, che tutte le lettere delle di«
retane sillabe sieno simili, ed almeno le vocali deUs
sillaba che va dinanzi alla diretana. Poi li conviene
cootrappesare la intenzione. Che se tu accordi le let-
tere e le sillabe per rima, e non sia diritto alla inten-
zione, si discorderà. £ se ti conviene parlare, o per
rima, o per prosa, guarda chel tuo detto non sii
magro, ne semplice, anzi sia pieno di diritto e di seo-
no, ciò è a dire di diritto e di sentenza. Gruarda che^
tuoi motli 0on sieoo lievi, anzi sieno di gran peso ; ma
non di sì grande, che feccia traboccare. E guarda che
non apportino laido nullo, anzi abbia bel colore den-
tro e di fuore. £ la scienza di retorica sia nelle tue
dipinture , per dare colore in rima ed in prosa. Bla
guarda di troppo di[>ignere, che alcuna fiata è colore
lo schifare de^ colori.
Capitolo XI.
Ora dirà il maestro delTordine.
In questa parte passata ha divisato il maestro il
fondamento e la natura di questa arte, e come V uo*
mo dee stabilire sua materia per ordine e per parte.
Ma per meglio schiarare ciò ch^ egli ha detto, dirà
delle circostanze che appartengono alP ordine di que-
sta art^. Ch' egli non volse fere come fece Ciclico,
LIBRO OTTkVO. 267
ili coi parla Orazio, egli non vole tornare la lumiera
in fomo, anzi del fumo farà lumiera. Che tutto quel-
lo die dice per circostanze, mostrerà per esem[Ho. E
Toi avete nel comindameoto di questo libro, che poi
che Tuomo ha trovato nel suo cuore quello che ^1 vole
dire, sì dee ordinare suo detto per ordine, ciò è a dire
ch^ egli dica ciascuna cosa in suo luogo. E questo di-
re ordinato è in due maniere. L' una è naturale, -e
\to-9rtì&dale. La naturale se ne va per lo gran cann
mino, né non esce ne d' una parte^ ne d^ altra, dò è a
dire^ le cose secondo di' elle fuco del ooininciamento
alla fine, quel dinanzi dinanzi, qud di mezzo di mez-
zo, e qud ddla fine dietro. £ questa maniera di par-
lare è senza grande maestrìa d^arCe, e però non se ne
intramette questo libro.
Capitolo XII.
Del parhre artifiGialinente.
L^ ordine dd parlare artificiale non si tiene al gran
cammino, anzi ne va per sentieri, e per dirizzamento^
vhe 1 mena più avacciamente là ov^ egli vole andare.
Qiè egli non disse ciascuna cosa secondo eh' ella fu ;
uDzi muta quel dinanzi nel mezzo, o dietro nel suo
dire, e non disavvedutamente, ma con senno, per af-
fermare sua intenzione. E però muta il parlatore spes-
se volte il suo prologo, e sue condizioni, e P altra par-
te del suo conto, e non le mette nd naturale luogo ^
anzi là ove eglino più vagliono. Però die le più fer-
me cose si vogliano mettere al cominciamento ed alla
fine, e le più fragili nd mezzo. E quando tu voli rì^
sGS Us TBSOKO.
AjKHidere a tuo avversano, tu dei cominciare tuo conio
alla sua dirctana lagione, nella quale egli per avreo-
tura più si fida. Simtgliantemenie è dì colui clie voie
contare una vecchia istoriale gli è buono lasciare Io suo
diritto corso, e variare suo ordine, io tale mòdo, che
paia nuova. £ questo medesimo vale mollo io sarmo-
nai^, ed in tre cose, clie V uomo dee guardare alla fi-
ne, ciò che più piaccia, e ciò che più si muova gli aa-
ditori. E questo ordine artificiale è diviso in otto mt-
iiiere. La prima si è, a dire al cominciamento qudhi
che fu alla fine. La seconda è,^ cominciare a qud che
fu nel mezzo. La terza si è, fondare lo tuo conto ad
uno proverbio. La quarta si è, fondare secondo che
sogna lo mezzo del proveii)io. La quinta si è, fondare
la fine del proverbio. La sesta si è, fondare tuo conto
ad uno esempio, scc(mdo che significa il cominciamen-
to (Idr esempio. La settima si è, fondare secondo la
significuzioue del mezzo delP esempio. La ottava si ^,
fondare tuo conto secondo la significazione dclb fine
deir esempio. La fine della cosa comincia quegli che
dire: addivegna che'l sole quando si colca ri lasri
iscura notte, la mattina torna chiara e lucente. E que-
gli rl;e dice: Abraam, quando volea uccidere lo fi*
gli nulo, per rendere sacrificio a Dio, T angiolo gli recò
un montone per fare lo sacrificio. Il simile fece Virgi-
lio, (piando cominciò la istorìa di Troia e di Roma,
(;lic cominciò lo suo libro da Enea, quando egli fuggì
dalla distruzione di Troia. Nel mezzo della cosa co-
mincia quegli che dice: Abrdam lasciò lo suo serva
col somiere a pie del moni e, perchè non volea eh' egli
sapesse sua volontà. La similitudine del cornine iamcn-
LIBRO OTTAVO. 269
te del proverbio comincia quegli, che dice : molto ^r-
ve grande merito, chi ha buona fede serve volentieri
e avaccio, si comeÀbraam fé, che quando Dio gli co-
mandò ch^ egli uccidesse lo suo figliuolo, incontinente
andò a compire lo suo comandamento. Alla signifì-
canza del mezzo del proverbio comincia quegli che '^■
dice : lo servo non dee sapere lo secreto del suo si-
gnore^ e però lasciò Àbraam lo suo servo, quand'egli
andò sul monte per fare suo sacrificio. Secondo la fi-
ne del proverbio comincia quegli che dice : non è de-*
gna cosa, che intera fede perda suo merito^ e però li-
berò Dio Abraam del suo sacrificio, che già era il fi-
gliuolo legato, e posto sulP aliare del sacrifìcio. Se-
condo che significa lo cominciamento d' un esempio,
comincia quegli che dice : buono arbore fa buon frut-
to; e però vuolse Iddio, che'l figliuolo d' Abraam fos-
se messo sopra al suo altare, che non vi morisse. Alla
signìfìcanza del mezzo dell' esempio comincia quegli
che dice : Tiiomo dee trarre del grano ogni mal seme,
acciò che'l pane non sia amaro; e però lasciò Abraam
lo suo servo, perchè non U impacciasse lo suo sacrifi-
cio. Alla signìfìcanza della fine dell'esempio comincia
quegli che dice: si come il sole non perde la sua chia-
rezza per la notte, cosi il figliuolo d' Abraam non
perde sua vita per lo sacrificio del suo padre; anzi
turno bello e chiaro, sì come il sole quando si leva.
Or avete udito, diligentemente come il parlatore può
dire il suo conto secondo ordine naturale, come egli
puote dire secondo ordine artificiale in olio manie-
re. £ sappiale, che' proverbi ed esempi che si accor-
dano alla materia sono molto buoni; ma non siano
2^0 IL TESORO.
troppo spessi, percliè allora sarebbero elli gravi e so-
spetti.
Capitoix) XUL .
Come lo parlatore dee considerare la lua materia
dinanzi che dica, o scriva suo conto.
Appresso conviene che tu guardi in tua materia
quattro cose, se tu voli essere buon parlatore, o bea
dettare saviamente lettere. La prima si è, dbe m tu
hai materia lunga, o scura, che tu la debbi abbrevia-
re per parole brevi ed intendevoli. La seconda si è,
che se tu hai materia e breve ed oscura, che to b
debbi a^escere ed aprire bellamente. La terza « è, che
se tu hai materia lunga ed aperta, tu la dei abbrevia-
re, e rinforzare di buoni motti. La quarta si è, che se
tu hai materia breve e lieve, tu la dèi allogare, ed or-
nare a v vene volmente. Ed in questa maniera dèi tu pen-
sare in te medesimo, e conoscere se la materia è lun-
ga, o breve, o scura, sì che tu possi ordinare ciascuna
secondo suo ordine. Che materia si è come la cera,
che si lascia menare, crescere, e mancare a voloatade
del maestro.
Capitolo XIV.
Come lo uomo può accrescere il auo conto
in otto maniere.
■
Se tua materia è da crescere, puoila crescere in ot-
to maniere, che si chiamano colorì di relorica; Onde
la prima sì chiama ornamento, che tutto ciò che T uo-
mo può dire in tre modi, od in quattro, in poche pa-
role, elli Taccrescono per parole più lunghe e più av-
KIBRO OTTAVO. ^Jt
Tene voti, che dicono: lesa Cristo nacque della Ter-
gine Maria. Lo parlatore che vole ciò adornare, dirà
così : Lo benedetto figliuolo di Dio prese carne della
gloriosa Tergine Maria; che tanto vale a dire^ come
quel poco dinanzi. O se io dicessi : Giulio Cesare fa
imperatore di tutto il mondo. Il parlatore che ^ suo
detto Torrà crescere, dirà così: Lo senno e 'I valore
del buono Giulio Cesare sottomise tutto il mondo a
sua suggestione, e fu imperadore e signore in terra. La
seconda sì chiama tomo, che là ore tua materia è
tutta breve, tu cambierai li propri motti e muterai li
nomi delle cose e delle persone in Hiolte parole bel^
lamente intorno, e &rai punto al tuo detto, e ripose-
rai il tuo spirito, tanto quanto tu allogherai tuo detto,
ed 4n senno ed in parole. £ questo può essere in due
maniere, o ch^ egli dica la verità chiaramente. Ed al-
lora se voli dire, il si fa di, dirai : e^comincia già il sole
a spandere i raggi suoi sopra la terra. O ch^egli lascia
la verità per suo ritorno, che tanto vale secondo VlL-
postolo, che dice, egli hanno rimutato V uso ch^ è di
natura, in quelPuso eh' è contra natura; perciò ritor-
nò r A postolo, e schiva una laida parola, ch'egli volea
dire; e disse quello che tanto vale. Lo terao si è co-
lofe per accrescer tuo detto, e chiamasi comparazione,
e questo è il più bello accrescere e 'l più avvenevole
che 'l parlatore faccia, ma egli è diviso in due manie-
re, cioè coverta e discoverta. Che discoverta si fa co-
noscere per tre motti, che significano comparazione,
cioè più^ e meno, e tanto. Per questo motto più, dice
V uomo così, questo è più forte che U leone. Per que-
sto motto meno, dioe roomo cosi, qdbsto è meno crac-
373 Hi TESORO.
cevole che^l colombo. Per questo motto tanto, dìee
raomo così, questo è tanto codardo quanto lepre. Li
seconda maniera ch^ è coverta, non si (a conoscere a
questi segni, ed ella non Tiene in sua figura 3 anzi mo-
stra un^ altra sìgnifìcanza di fuori, ed è quasi giuolt
con la verità dentix>, come s^ ella fosse della matsrìa
medesima. D^ un uomo pigro io dirò, questo è una te«
sloggine. E d^ un isnello io dirò, questo è an Tento. £
sappiate, che questa maniera di parlare è molto buo-
no, e molto cortese, e di buona sentenza. E pooHa
r uomo molto trovare ne^ detti de^ savi* Lo quarto
colore si chiama lamento, però che T uomo parla, sì
come gridando, e piangendo di croccio, o per disde-
gno, o [)cr altre cose simigliantì. Ragione come: Ahi
natura ! perchè facesti tu loro giovane sì pieno di tutti
buoni alti, quando il dovevi cosi tosto lasciare? Ahi
mala murte! or fossi tu disfatta, quando tu n^hai por-
tato lo fiore del mondo! Lo quinto colore ha nome
fattura, però che V uomo fa una cosa che non ha po-
dere, né cura di parlare, sì come se la paiiasse. Si co-
me noi polcmo vedere delle genti che ciò dicono di
bestie, o d'altre cose, sì come avessero parlalo. E que-
sto è sì inlcodevole, che '1 maestro non intende a ciò
porre alcuno esempio. Lo sesto colore si chiama tra-
passo, però che quando il parlatore ha cominciato suo
detto per dire suo conto, egli se ne parte un poco e
trapassa ad un'altra cosa di' è simigliante a sua mate-
ria, ed allora è egli buono ed utile. Ma se quel tra>
I tasso non è bene accordante a sua materia, certo ella
sarà malvagia e dispiacevole. E però fé bene Giulio
Cesare, quando egli volse difendere quelli della con-
LIBRO OTTAVO. 273
giarazione di Roma, egli fé suo trapasso al perdono, il
quale i loro aotichi avevano per addietro fatto a quegli
di Rodes e di Cartagine. E così fé egli quando li vol-
se giudicare a morte, egli contò Maolio Torquato, co-
me egli giudicò a morte suo figliuolo. Altresì trapassa
V uomo spesse volte alla fìne, od al mezzo di sua ma-
teria, pei;rinnovare quello che parea vecchio, o per al-
tra buona ragione. Lo settimo colore si chiama dimo-
stramento, e dice la proprietà e' segni della cosa e del-
r uomo che si appartenga di provare a sua materia ;
si come la Scrìtlura dice : egli avea nella terra di Hus
uno uomo che area nome lob, semplice, diritto e te-
mente Iddio. Che fé Tristano quando divisò la beltà
di Isotta? Suo'capigli (disse) risplendono come fila d^o~
ro, la sua fronte sormonta sopr^al giglio, sue nere ci-
glia sono piegate come piccoli arcoucelli, ed una pie-
dola via le dipaite mezzo lo suo naso, e sì per misu-
ra, che non ha più, né meno; suoi occhi sormontano
tutti smeraldi lucenti nel suo viso come due stelle; sua
faccia seguita la beltà delP aurora, perchè la ha di ver-
miglio e di bianco insieme, che V un colore con P al-
tro non risplende malamente ; la bocca piccola, e la-
bra spesse, ed ardenti di bel colore ; e denti più bian-
chi che avorio, e sono posti per ordine e per misura;
né pantera, né pesce non si può comparare al suo dol-
ce fiato della sua dolce bocca; lo mento è assai più
pulito che marmo ; latte dà colore al suo collo ; e cri-
stallo risplende alla sua gola; delle sue spalle escono
due braccia forti, e lunghe, e bianche mani, e le dita
grandi e ritonde, nelle quali risplende la beltà délFun-
ghie ; lo suo petto è ornato di due belli pomi di pa-
a^^ IL TESORO.
radiso, e sono com^ una massa di neve^ ed è sì isnella
nella cintola, che Puomo la potrebbe avvincere con le
mani. Ma io tacerò dell^ altre parli delle membra, den-
tro delle quali lo cuore parla m^Uo cbe la lingua.
L' ottavo colore si chiama addoppiamento, pero dici
parlatore addoppia il suo conto, e dicelo due volte in*
sieme. E questo è in due maniere. L^ una ^ è, die
dice sua materia, ed immantinente la ridice per il
contrario del suo detto. Io voglio dire d^ un oooro
eh' egli è giovane, ciò è, raddoppierò mio dire in que-
sta maniera : questo giovane non è vecchio, e questo
dolce non è amaro. L' altra maniera dice sua mate-
ria, ed immantinente ridice altre parole, che cessano
il contrario di quello ch'egli avea detto in questa ma-
niera: vero è che quest'uomo è giovane, ma e* non h
folle 3 e tutto che'l sia nobile, egli non è orgoglioso ;
egli è largo, e non guastatore. Or avete udito come
r uomo puote accrescere la sua materia, ed allungare
suo detto, che di poco si cresce molta biada, e pio-
ciola fontana comincia gran 6ume; e però è ragione,
che 1 maestro mostri come V uomo può abbreviare
suo conto, quand' è troppo lungo. E ciò mostrerà egli
qui innanzi, là ove egli dirà del dire. Qui tace lo mae-
stro delia dottrina del gran parlare, ciò è a dire d'un
conto, e d'una pistola, che tu voli dire, o fare sopra
alcuna materia che viene. Che'l maestro chiama par-
latura lo generale nome di tutti delti. Ma tutti i conti
sono messi in uno solo detto, od in una sola lettera,
od altre cose che l' uomo s' usa in materia.
LIBRO OTTAVO. 2^5
Capitolo XV.
Delle parti del conto, e come il parlatore dee stabilire
li suoi detti per ordine.
Le parti del conio, secondo che Tullio c^ insegna,
sono sei. Il saluto^ il prologo, il dLyisamento, il confer-
mamento^ il disfermamento, e la conclusione. Ma i det-
tatori, che dettano le lettere per arte di retorica, dicono,
che in una lettera non è mai che cinque parti, cioè sa-
lute, prologo, (atto, la dimanda, e la conclusione. E se
alcun dimanda, perchè è discordia tra Tu'lio e' detta-
tori ? Io dico, che la discordia è per sembianza, e non
per Teritù. Che dove i dettatori dicono che lo saluto è
la prima parte della lettera, Tullio intese e volse, che
saluto fosse sotto '1 prologo. Che tutto ciò che Puomo
dice dinanzi al fatto, è come apparecchiare chiara
sua materia, ed è prologo. Ma li dettatori dicono, che
la salute è porta del conto, e^suoi occhi, e però g^ì
danno P onore della prima parte di lei, e ambasciata^
però che mandare lettere, o messi tutto va per una
via. E d^altra parte, che Tullio chiama il divisamento,
li dettatori la comprendono sotto il fatto. E quella che
Tullio chiama confermamento, li dettatori la (^mpreniil
dono sotto loro dimanda. E per meglio intendere li
nomi deir uno e delP altro, e per conoscere la inten-
zione di Tullio e degli altri dettatori, volse il maestro
dichiarare ora le significazioni delFuno e delPaltro, e di
ciascuna parte lo saio nome.
■I.
•2y6 IL TESORO.
Capitolo XVL
Delle sei pnrti del conto a parlare di bocca.
Prologo è cominciamento e la prima parte del con-
to, che dirizza e apparecchia la via e '1 cuore a coloro^
a cai tu parli, ad intendere ciò che tu diraL Lo fìitto si
è a contare le cose che furono, e che noo furono, à
com^ elle fossero. £ questo è quello, quando P aoma
dice quello su '1 quale egli ferma suo conto. Divisa-
mento si è, quando V uomo conta lo fatto, e poi eo-
mincia a divisare le partì, e dice, questo fu in tal ma-
niera, e questo in tal maniera ^ e accresce qudle parti
che sono più utili a luì, e più contrarie al suo avver-
sario, e ficcale lo più ch^ egli può nel cuore di colui a
cui parla. £ allora pare che sia contra al i&tto. £ que*
sta è la cagione, perchè li dettatori contano il divisa-
mento sotto '1 fatto. Confermamento è la ove il det-
tatore mostra le sue ragioni, e assegna tutti li argomenti
che può approvare sue ragioni, e accrescere fede e
credenza al suo detto. Disfermamento è quando il det-
tatore mostra le sue buone ragioni, e^suoi forti argo-
menti, e che indebiliscono e distruggono il conferma-
mento di suo avversario. Conclusione è la direttiva
parte del conto. Queste sono le parole del conto, se-
condo la scienza di Tullio. Ora è buono contare le
parti che i dettatori dicono. £ dirà prima della salate.
libro ottavo. 277
Capitolo XVIL
Della salutazione delle lettere mandate.
Salute è comindamento di epistole, die nomina
quegli che manda, e quegli che riceve le lettere, e la
dìgnitò di ciascuno, e la volontà del cuore, che quegli
che nmnda ha contrario di colui che riceve, ciò è a
dire, che se gli è suo amico, si li manda salute; e al-
tre parole, che tanto vagliono, e più. E se gli è nimi-
co, egli si tacerà; e manderalli alcuna parola coperta e
discoperta di male. E se gli è maggiore, sì li* manda
parole di riverenza. E cosi dee Puomo fare a pari e
a minori, come si conviene a ciascuno ; in tal maniera,
che non abhia vizio, né di più, né di falsità, né di meno.
E sappiate che '1 nome di colui ch^é maggiore e di più
alta dignità, dee sempre essere posto innanzi, se non
è per cortesia, o per umiltà, o per altre cose simi-
glianti. Del prologo, e del fatto, e della forza ha detto
lo maestro qui dinanzi la signifìcanza ; e però non di-
rà più ora. Però che i dettatori se ne accordano bene
alla sentenza di Tullio. Ma della dimanda dice il mae-
stro che l'è quella parte nella quale quella lettera e'I
messaggio dimanda ciò che vuole, pregando, o coman-
dando, o minacciando, o consigliando, o in altra ma-
niera di cose, in ch'egli spera d'acquistare il cuore di
colui a cui egli manda. E quando il dettatore ha fini-
ta sua dimanda, o mostra suo confermamento, o suo
disfermamento, egli fa la conclusione, cioè la fme del
suo detto, nel quale egli conclude la forma del suo
detto com'egli è, e che ne può addivenire.
LaHni. Fot. IL 16
»-*
e A r I Y o L •> 3L Y DL
^t»mA0» «Ik Tullio dinp nel suo liin^ caMfettoi
csMii ^. cIk' ftofjfa dv db lo ww iMi> la so» doUrÌBL
INcliirTiiUiridiiie.cfaefiffulQgo«aD dello die acqoi^
ftU avT^iMniUmHile fl cnofe di colui, a ciò lo pori^
ad fvlire dù che tu dini. E questo può euere io due
maoii.'re, o per acquistare sua lyfoeTolenza, o per «far-
ti \tAfmù d' urlire tuo detto. E però io dico, cbe quaiH
óif tu voli ìftM ùtr tuo prulugo, il ti convieo ionaoii
ciriM'l'rrare tua ontcria, e conusciTc b natura dd fiit-
U»9 i: la taa maoieni. Fa dunque come colui che vole
mÌMirarf', che non corre aviiccio dcll^opera, anzi la im-
sura nella lingua del suo cuore, e comprende nella sua
memoria tutto P ordine della figura. E tu guarda ciie
tua lingua iKm sia corrente a parlare, n^ la oaoo a
scriv(;re, né non cominci ne V una, né PaUra a riirso di
Ibrtuna; ma il tuo senno legna in mano T ufficio di
ciascuna : in tal maniera, che la materia sia lungamen-
te nella bilancia del tuo cuore, e dentro lui prenda
r ordine di sua via e di suo fine. Però che i bisogni
del ^h:o\ì) sono diversi. E però conviene parlare di-
viTsumcnte in ciascuno, secondo lor maniera. Tallio
dice, che tutti detti sono in cinque maniere, o egli è
oncislo, o contrario, o vile, o dottosò, o oscura £
piTÒ pensa, che tu dei altrimenti cominciare e segui-
ne tuo conto nell'una clic nclP altra, e altrimenti ac-
LIBRO OTTAVO. 279
c{iiìstare sua bcncTolenza e la volontà su V una mate-
ria che su l' altra. E sappiate che onestale è quello
che incontanente piace a quelli che l'intendono, senza
prologo, e senza alcuno ordinamento di parlare. Con-
trario è quello che immandnente dispiace per sua ma-
lizia. Yile è quello che dee intendere e non intendere
guarì per la viltà. E per la picciolanza delle cose dot-
tose, in due maniere, o perchè Puomo si dotta di sua
sentenza, o perchè gli è da una parte onesta, e dal-
l'altra disonesta^ in tal maniera che la ingeneri bene-
volenza e odio, e non può intendere, o perchè non è
bene savio, o ch'egli è travagliato^ o perchè tuo detto
sia si oscuro, o coperto, o avviluppato^ che egli non
può bene conoscere.
Capitolo XDL
Di due maniere di prologhi, coverti e discoTertì.
Per la diversità dei detti e delle cose sono li pro-
loghi diversi. E sopra ciò dice Tullio, che tutti i pro<
loghi sono in due maniere, l'uno si chiama comincia-
mento, e l' altro copertura. Cominciamento è quello
che in poche parole acquista la benevolenza e la vo-
lontà di coloro che l' odono. Covertura è, quando iL
parlatore mette molte parole intorno al fiitto, e fa vi-
sta di non volere quel che vole, per acquistare cover-
tamente la benevolenza di goUm^ a cui parìa. E però
si ronvien sapere qual delle due parole, o prologhi .dee
essere sopra ciascuna materia di nostro conto.
39il B* TB9CMO.
Capitolo XX.
Qoak prolofo
La nostra nnleria è d* onesta cosa, sì che noo ▼aok
«■o^efftuia Diifla : nn inocmlancnle oomìnciare nostro
conto, e divisare nostro afl&re; die la onestà ddh
oo» abbia già arqnislala la volontà degli aoditori, m
tal maniera che per coverta non abbino a tfatagfc-
re. E non pertanto alcuna fiata è buono un belio pro-
logo, non per acquistare grana, ma per accresecrk
E se noi Totemo lasciare lo prologo, egli è buono a
cominciare ad un buon detto, o a mio acoro wgih'
mento.
Capitolo XXf .
Quale prolo^ cooTÌene sopra contraria materia.
Quando la materia è contraria, o crudele, o centra
diritto, che tu voli dimandare una grande cosa, o ca-
ra, o strana; allora dei tu pensare se Pnditore è codh
11KJ5SO contra te, o s^ egli ha proposto nel suo cuore
f\i non fare niente di tua richiesta. Che se ciò fosse,
ri ti conviene uggire alla covertora e colore di parole
nel tuo prologo, per abbassare suo cruccio, e addolci-
re sua durezza: e in tal maniera che suo cuore sia ap-
pagato, e tu n'*aoquisti sua grazia. Ma quando suo cuo-
re non è guari turbai contra te, allora ne potrai tu
{lassare leggermente per un poco dì buon comincia-
mento. E quando la materia è vile e pìcciola, e che
r uditore non intende a ciò se non poco, allora con-
viene che tuo prologo sia ordinato di tali parole che
LBHO OTTAVO. 28 1
diano piacere d^udire, e che n'affini tua materia, e che
lo levino di sua intenzione. E quando la materia è dot-
tosa, perchè tu dimandi due cose, e Tuomo dotta del-
la sentenza la quale di due cose dee essere affermata^
allora dei tu cominciare tuo prologo alla sentenza me-
desima della cosa che tu voli, o alla ragione in che tu
più ti fidL E s'ella è dottosa, perchè la cosa è d' una
parte disones!a, allora dei tu ornare tuo prologo per
acquistare Pamore e la grazia degli auditori ; in tal ma-
niera, che paia loro che tutta la cosa è tornata one-
sta. E quando la materia è oscura a intendere, allora
dei tu cominciare tuo conto per parole che diano ta^
lento agli auditori di sapere quello che tu voli dire ;
e puoi divisare tuo conto, secondo che tu penserai che
sia lo meglio.
Capitolo XXIL
Di tre cose che sono bisogno a ciascun prologo, che non può
essere buono senza V altro.
Per questo insegnamento puotemo sapere, che in
tutte maniere di prologhi, sopra qualunque materia elli
sieno, ci convien fiatre una delle tre cose, o d'acquista-
re la grazia di colui a cui noi -parliamo^ in donarli ta-
lento di udire lo tuo detto, o di saperlo. Che quando
nostra materia è d' onesta cosa, o maravigliosa, o dot-
tosa, nostro prologo dee essere per acquistare. Ma se
tua materia è vile, allora dee essere per darli talento
di udire. £ quando la materia è oscura, allora dee
essere per darli talento di sapere quello che tu gli di-
rai. E però è ragione che '1 maestro ci dica come ciò
può essere, e in che maniera.
aSa IL TssoBO.
CAPrTDLO XXIIL
DeUa dottrina per acquistare benetoleiiBa.
Benevolenza s^ acquista da quattro parti, .doè pec
nostro corpo, o per lo corpo di nostro avversario^ o
dagli auditori, o dalla materia medesima. Dal corpo no-
stro s^ acquista, quando noi ricordiamo nostre opere,
o nostre dignitadi cortesemente, senza nullo or^oglìp
e senza nullo oltraggio. E quando Toomo mette sopra
noi alcun biasimo, o alcuna colpa, se noi diciamo cfae
noi no ^1 facciamo, e che ciò non fu da parte nostra)
e se noi mostriamo lo mBJie e le disavventure che so*-
tio state, e che possono addivenire a noi e a^ nostri,
e se nostra preghiera è dolce, e di buona aria, e di
pietà, e di misericordia, e se noi non proferiamo di
buona aria agli auditori, per quest^ altre sembrabìli ca-
se e proprietadi di noi e de^nostri, s^ acquista benevo-
lenza, secondo quello che a retorica s^ appartiene. E
sappiate che ciascun uomo in ciascuna cosa ha sua
proprietà, per la quale V uomo può acquistare grazia,
o disgrazia. E di ciò dirà lo maestro qua dinanzi, là
ov' egli sarà luogo e tempo. Per lo corpo di tuo av-
versario acquisterai tu grazia, se tu conti la proprìelà
di lui, che il metta in invidia, o in dispetto degli au-
dìtorL Che senza fallo tuo avversario è in odio, se tu
vedi che quello ch^ egli ha fatto è contra diritto, e
contra natura, e per suo grande orgoglio, o per sua
fiera crudeltà, o per tioppo malizia. Altresì cade in in-
vidia, se tu conti la forza, e l'ardimento di tuo avver-
sario e sua possanza, e sua signorìa, e sue ricchezze,
LIMLO OTTAVO. !)85
e suoi uomini, e suoi parenti, e^uo lignaggio, e suoi
amici, e suo tesoro, e suoi danari, e la sua fiera natu*
ra, che non è da sostenere, ch^egli usa senno, e suo
podere in malizia, e elisegli si fida più di quello ch'è
di suo diritto. Altresì vien egli in dispetto, se tu mo~
stri che tuo avversario sia vizioso, senza senno e sen-
za arte, e uoiao lento e pigro, e che non si studia se
non ndle cose frodolenti, e che ^;li mette tutto il suo
tempo in levità, in lussuria, io gioco e in taverne.
Per lo corpo degli auditori s^ acquista benevolenza, se
tu dici li buoni costumi, e le proprietà di loro bontà,
e lodi loro^ e le loro opere, e dici che sempre è stato
loro costume di fare tutte loro cose saviamente e ar-
ditamente, secondo Iddio, e secondo giustizia, e che
tu ti fidi di loro, e ch'è tutto ^I mondo in buona ere*-
denza, e quello che faranno ora di questa bisogna sa^
rà sempre in memoria e in esempio degli altri. Per la
materia acquisti tu grazia, se tu dici la proprietà e
le appartinenze della cosa che tu parli, che afforzano
e alzano tua parte, e a£fondino la parte del tuo av-
versario, e mettanla in djlspetto. Qui tace il conto a
{tarlare della grazia, per mostrare come Tuomo dà tar
lento agli auditori d' udire il nostro detto.
Capitolo XXIV.
Deir insegnamento per dare talenti di udire agli auditori.
Quando tu paioli davanti ad alcuna gente, o davanti
u femina, o tu le mandi lettere, se li voli dare ta-
lento ch^ egli intenda tuo detto, però che se tua ma-
teria è picciola e spazievofóy tu dèi dire al .comincia-
3ft4 n.
tmaàoàd {««lavo che In dfaai^nofi micie e^
tif»t, o cìkt imo poÓDo uedevuli, o che bob IoocUw
a' tuoi iKMni. e qodli che soo
ti oooKi di ^nnde nnae. o di
nf9 pro^: o ce lo |)«xMBdti che In
prjche panile : o «e ta toochi od
^Myj 'Ma razirjiie m cm In ti confiilì. £ ^jp— mLì |b
%(jll rlie Tauditore abfab talento di sapere qod che
tu v'Aì dire : perù che b loalcria è oscun. o per ibb
cat^joe. o fier nn* altra: alloffa dèi ta eonnocnfe tao
Oiiito aUa sonma della toa intenziooe brereBeole^
cvjè a dire, in qód ponto in cfa^ è la ftm grande di
toUa bisogna. £ sappiale che ogni nomo che ka ta-
lento di sapere, oerto ha talento d^udire. Ma «gai u»-
mo che ha talento d* udire, non ha talento di sipen
E questa è la diflferenia tra T nn e Tallio ^lf"*i^
Capitolo XXT.
Del prolo^ di* è per cofCtUua,
Lfifin a qui ha divisato il maestro come rnomo dee
cominciare senza prologo, che non abbia ooTertun
nulla ^ ora vuol divisare come Tnomo dee fere suo
prologo per maestria e per covertura. Alla verità di-
re, quando la materia del parlatore è onesta, o vile,
o dottosa, o scura, egli ne può leggermente passare
oltre , e cominciare suo conto per poca di covertura,
9t*cAmd(ì chel maestro divisa qui di sopra. Quando la
materia è contraria e laida, che 'l cuore dell'auditore
i* commosso contra a luì, allora ci conviene tornare
alla maestrale coverta. E ciò può essere per tre cagio-
LIBRO OTTÀYO. 285
ni : o perchè la materia, o qaellcpdi ch^ egli Tolle par-
lare non si fìi a colui^ anzi gli dispiace ; o perchè tuo
avversario, o altro <jual che sia, gli fa intendere al-
tra cosa, si ch^egli la crede in tutto, o la maggior
parte; o perchè. P auditore è travagliato di molti altri
che hanno a Ini parlato dinanzi.
Capitolo- XXVL
Come I^ uomo dee cominciare suo prologo quando la materia
spìace agli auditori.
E se tua materia dispiace, il ti conviene coprire tao
prologo in tal maniera, che s'egli è corpo d'uomo, o
altra cosa che li dispiaccia, o che non ami, tu te ne
tacerai e nominerai un uomo, o altra cosa che gli sia
grazioso e amabile a Ini. Si come fé Gatellina, quan-
do nominò gli antichi suoi, e loro buone opere di-
nanzi li senatori dì Roma, quando egli si volea rico-
prire della congiurazione di Roma. E quando egli
disse a loro, che ciò non era per male, anzi per aiuta-
re li debili, e li meno possenti ; sì com' egli avea sem-
pre in costume, ciò dicea egli. E cosi dei tu bellamente
fingere tua volontà, e in luogo delPnomo che dispiace,
trovarne un altro uomo, o un' altra cosa buona, pia-
cevole, in tale maniera, che tu li ritraggi suo cuore da
quello che non li piace, acciò che gli debbia piacere.
E quando ciò sarà fatto, tu dei mostrare che tu non
voglia ciò che l'uomo pensa che tu vogli, o che tu
non difendi ciò che tu voli difendere, secondo che
fece Giulio Cesare, quando il volse difendere quelli
della congiura, allora commcìò egli addolcire li cuori
a86 u^ TEso&o.
degli auditori. E tu dei immantinente a poco a poco
aocoDciare tua intenzione, e mostrare tutto quello che
piace agli auditori piaccia a te. £ quando averai ap-
pagato coloro a cui tu parli, tu dirai che di quella bi-
sogna a (e non appartiene, ciò è a dire, che tu doo
fiicesti lo male, che un altro lo fece 5 si come disse h
prima amica di Paris nelle lettere eh* ella gli mandù
poich^ella lo perde per Pamore di Elena. Io non di-
mando (diss^ella) tuo argento, né tue gioie peromn
mio corpo. E questo vale tanto a dire come snella dioe»-
se, tutto quello chiese Elena. Appresso, dèi tu n^^
che tu non dici di luì medesimo, che tu ne did; seooiH
do ciò che Tullio disse contra Terre : Io non diso che
tu furasti lo castello di tuo compagno, né nihailicBie^
né ville. E questo vale tanto a dire come se dicesse, tol-
to questo hai tu fatto. Ma tu dèi molto guardare che tu
non dichi né Fun, né Taltro, in tal maniera, che sia dis»
oovertamente contra la volontà degli auditori, o contn
quelli che lo amano, anzi siasi iscovertamente ch^ el*
Uno stessi non si adirino, e che tu dilunghi i loro
cuori da ciò diselli hanno proposto, e commovigli a
tuo desiderio. E quando la cosa sarà a ciò venuta, tu
dei ricordare uno esempio simile a proverbio, q a sen^
tenza, o autorità de' savi, e mostrare che tua bisogna
sia simile a coloro^ sì come disse Gaio a quelli ddla
congiura, che voleano struggere Roma, però che han*
no fatto peggio di colui . . .
Limo ottàto. 287
Capitolo XX VH
Come V uomo dee cominciare suo prologo quando gli auditori
credono al suo aTfersario.
Quando colui a coi tu parli crede ciò die tuo ay-
Tersarìo gli ha fatto veduto, allora dei tu al comin-
damento di tuo conto promettere che tu voli dire. E
dirai quello medesimo nel tuo avversario medesima-
mente di ciò che gli auditori hanno creduto, o tu co-
minci tuo conto a una delle ragioni di tuo avversario,
o a quello ch^ egli dice nella fine del suo conto, o tu
di' che tu sei timoroso come tu dei cominciare, né an-
che a fere sembiante d\ma maraviglia, però che quan-
do gli auditori veggiono che tu sei fermamente appa-
recchiato di contraddire^ la ove tuo avversario pen-
sava avere turbato, elli penseranno d^ avere folle-
mente creduto, e che il diritto sia verso te.
Capitolo XXTm.
Come r uomo dee cominciare suo prologo quando gli auditori
sono in traragKo.
E se gli auditori sono in bisogno, o travagliati da
altri parlatori, allora dèi tu promettere innanzi di non
dire se non p<Ko, e che tuo conto sarà più breve che
tu non avevi pensato, e che tu non voli seguire la
materia degli altri che parlano lungamente. £ alcuna
fiata dèi tu cominciare ad una novella cosa che li fec-
cia rìdere, sì ch^ ella sia apertamente a tuo conto, o a
una febula, o a un esempio, o a on' altra parda pen-
a 88 IL TESORO.
aata, o non pensata, che sia di riso e i£ soUaxso. Ma 9.
è |ier cruccio, allora sarà buono comìnciBre una do-
lorosa novella, o altro orribili parole; che si come b
stomaco carico di vivanda n si scarica per una eoa
amara, o contraria per una dolce, così il cuore tran-
gliato per troppo udire si rìnovella, o per maravigii*,
o per rìso. Qui tace il conto a parlare di prolo^ ^
sono per copertura, o senza copertura, però che par-
titamentc n^ ha detto tutta la dottrina delPano e del-
r altro per sé. Ora vole mostrare il comone insegna-
mento di ciascun insieme.
GafitoIìO XXIX.
Deir insegnamento di tutti i prologhi insieme.
In tutti i prologhi, in qualunque maniera aieno, dei lo
mettere, secondo che disse Tullio, assai di buoni motti
e di buone sentenze. E per tutto dèi tu esser fbmilo
d^awenevolezza, però che sopra tutte cose ti convien
dire cose che ti mettano in grazia degli auditori ^ ma
egli dee avere poca di duratura, e di giuoco, e di con-
sonanza, però che dì tali cose nasce spesse volte ona
sospezione, come di cose pensate per grande mae-
strìa; in tal maniera che gli auditorì si dottino di te,
e non credano le lue parole. Certo chi bene conside-
ra la materia del prologo, il troverà, che non è altro
che apparecchiare li cuori di coloro che debbono udi-
re ad udirti diligentemente tuo detto, e crederlo; e
eh' egli faccia alla fine quel che tu li fai intendere. £
però io dico che dee esser fornito di motti intendevoli,
e d'intenzioni, ciò è a dire d' insegnamento di savi, o
LORO OTTAVO. 289
dì proverbi, o di buoni esempi, ma noD vogliono esser
troppi, ch^egli noa vole esser dorato di lusinghe, uè di
motti coverti, sì che non paia cosa pensata naliziosa-
mente, e non di troppe parole di gioco, né di vanità,
anzi ferme, e di buon sapore. E guarda che non ab-
bia consonanza, ciò è a dire più motti insieme V un
dopo r altro che finiscano, o comincino tutti in una
medesima ietterà o sillaba, però che quella è laida ma-
mera di contare.
Capitolo XXX.
Di sette Tizii di prologhi, e primo del generale.
• Appresso la virtù del prologo è convenevole cosa
da dire de^ suoi vizii, che son sette, secondo che disse
Tullio, cioè generale, comune, mutabile, lungo, stra-
no, diverso, e senza insegnamento. Generale è quello
che Fiiomo puole mettere in molti convenevolmente.
Comune è quello che T avversario può altresì ben di-
re come tu. Mutabile è quello, che tuo avversario per
poca mutazione può adoperare. Lungo è quello, là ove
è troppo di parole e di sentenze oltra a quello ch^ è
convenevole. Strano è quello che in nulla maniera
appartiene a tua materia. Diverso è quello che & al-
tra cosa che tua materia richiede, cioè che là ove tu
dèi acquistare grazia, tu no H fai, anzi doni talento
d^ udire, o di sapere quanto tu dei parlare per cover-
tura parole tutto discoveite. Senza insegnamento è
quello che non fa niente di quello che 1 maestro in-
segna, né acquista grazia, né non dà talento d' udffe,
né di sapere, anzi §à il contrario, che vale p^ia Da
Latifii. Fol TI, 17
ago IL TESORO.
tutti questi sette ci conviene guardare femtanKnte, e
seguire lo insegnamento, in tal maniera, che sahite
ne alcuna parte di prologo sia da biadmare, anzi «
graziosa, e di buona maniera.
Capitolo XXXI.
D* uo antico «scmplo di grande autorità lo qnate fm àtoo
per più safi.
Ora avete udito T insegnamento che appartiene al
prologo, e come il parlatore dee cominciare suo oonfeo^
secondo la diversità delle maniere che addi vegnonon^':
bisogni del secolo. Ma per ciò che 1 maestro vuol mo-
strare più apertamente quello che dice, dirà egli im
veccliio esempio di grande autorità, lo quale fii detto
per più savi. Vero fu, che ^^ndo Gatellina fé la con-
giura in Roma, secondo che le btorie divisano, Tnfiio,
che fé questa arte della retorica , e che per suo gran
senno trovò la congiura, e prese più di quelli della
congiura de^ maggiori uomini di Roma, e di più pos-
senti e miseli in carcere, e la congiurazione fu sco-
perta, e saputa certamente. Tullio fé ragunare li se-
natori e U consiglio di Roma, per consigliare che si
dovesse &re de^ prigioni. Salustio dice, che Decio Sti-
lano, cioè un nobile senatore, ch^ era eletto ad essere
consolo V anno dopo, disse prima sua sentenza, che'
prigioni doveano esser giudicati a morte, e gli altri ^he
si prendessero simigliantemente. £ quand^ egli d)be
quasi compiuto suo conto, e die tutti gli altri s^ accor-
davano quasi a sua sentenza, Giulio Cesare, che volea
LIBRO OTTATO. 29 1
difendere li prigioni per covertura, maestreirolmente
su questa maniera disse.
Capitolo XXXII.
Come parlò Giulio Cesare.
Signori padri consc;rìtti, tutti quelli che TOglion con-
sigliare dirittamente, e dare buon consiglio delle cose
dottose, non debbono guardare ira, ne odio, ne amo-
re, ne pietà, perchè queste quattro cose posson i^r
partire V uomo dalla via della dirittura, e partire dal
dritto giudizio. Senno non Tale là ove l' uomo vuol
:«eguire in tutto suo yolere. Io potrei nominare assai
principi che diritta via lasciano senza ragione, e però
che ira, o pietà gli ha presi s^iza ragione. Ma io to-
KIìo meglio parlare di ciò che i savi uomini anziani
hanno fatto di questa città alcuna Tolta, quando la*
sdavano la volontà di loro cuori, e teneano quello
che il buon ordine insegna, e che trova lo oomun pro-
fitto. La città dì Rodes era contra noi in battaglia che
noi avevamo contra Perseo lo re di Macedonia ; e quan-
do la battaglia fu finita, il senato e 1 consiglio giudicò
che quelli di Rodes non fossero distrutti, acciò che
nullo dicesse, che cupidità di loro ricchezze li distrug-
gesse più, che la cagione di loro fallimento. Quelli di
Cartagine ci &lliro nel tempo della guerra tra noi e
quelli d^ Africa, e ruppero tregua e pace^ e per tutto
ciò nostri maestri non guardarono a quello, ch^elli li
poteano ben distruggere, anzi li ritennero dolcemente.
E quel però medesimo, signori padri, do vemo noi prov-
vedere, che la fellonìa e H &Uo di coloro die son presi
aus iL'ntsofto.
non sormonti nostra dignità e nostra dolceEnu E pia
do verno noi guardar nostra urna, ch^a noaiio enum
Quelli che hanno dinanzi a me sentenziato hanno beUa-
mente mostrato ciò che può di male addivenire per lo-
ro congiura. Crudeltà di battaglia è prendere paeQea
forza, togliere i garzoni di collo ai padri e alle madii
sue, &r forza e onta a donne, dispogliar templi e ma-
gioni, ardere, empiile la città di carogne^ e corpi, e di
sangue, e di pianto. Di questo non ci con vien più par*
lare; però che più può muovere il cruccio di colai
£attto il cuore, chel ricordo delP opere. Nullo wm è^
a cui non pesi suo dannaggio. E tali sono che portaoo
più gravi ch^egli non è; ma egli si fa ad unoqoeflo
che non si fa ad un altro. Che s^io son un basso no*
mo, e io misfaccio in alcuna cosa per mio cruccio^ pochi
lo sapranno. Ma molti sanno se un grande uomo miifii
o in giustizia, o in altra cosa. Che se 11 basso uoibo
misfò, gli è imputato ad ira ; ma quello del grande OS-
mo è imputato ad orgoglio ; e però dovemo noi guar-
dare nostra fama. E dico bene in diritto di me, chel
forfatto di quelli della congiura sormonta tutte pene
Ma quando Puomo vuole tormentare alcun uomo, sei
tormento è aperto, tali ci sono che sanno ben pensare
e biasimare lo tormento 3 ma del fallo non fanno pa-
rola. Io credo che Decio ciò ch^egli ha detto per bea
del comune, ch^egli non guarda ad amore, ne a odiO)
e tutto conosco il suo temperamento, né sua sentenza
non mi pare crudele, che uomo non potrebbe nulla
crudeltà ^e contra tal gente. Ma tuttavia dico io che
sua sentenza non è convenevole a nostro comune. E
tutto sia che SiUano è forte uomo e nobile eletto eoo*-
uno ottàto. 395
solo, egli ha giudicato a morte, per paora di male die
addivenire oe potrebbe, chi gli lasciasse vivere. Paura
non ha qui punto di loro, che Cicerone nostro con-
solo è discreto, e fornito d^arme e di cavalieri, che
noi non dobbiamo temere nulla. Della pena dirò io,
si come '1 succede. Morte non è già tormento, anzi è
fine e riposo di pianto e attività. La morte consuma
tutte pene terrene ^ di poi la morte non curare gioia.
Però disse Sillano, se vuole che uomo li battesse e
tormentasse avanti, se alcuna legge vieta che alcuno
uomo non frusti uomo giudicato a morte; alcuna leg-
ge dice, che uomo non uccida cittiidini dannali, anzi
ne vede Puomo tuttodì scampare. Signori padri con^
scritti, guardate quello che fate, che Tuomo ùk tal cosa
per bene, di che addiviene gran male. Poi che li Ma--
cedoni ebbero preso Atene, elli ordinarono trenta
uomini, ch'erano mastri del comune, e quelli al co-
roinciamento uocideano li pessimi e disleali uomini,
senza giudicamento, e di ciò era tutto il popolo allegro,
e diceano che buon e santo ufficio era questo ; poi
crebbe il costume e la licenza, si che poi uccideano-
buoni e malvagi a loro volontà, tanto che gli altri n'e-
rano ispaventati, e fu la città in tal servaggio, che ben
s'accorgeano, che lor gioie li tornavano in pianto. L.
Siila fu molto lodato di ciò che giudicò, e uccise Da-
masippo e altrì, li quali erano stati contra 1 comune
di Roma ; ma quella cosa fu cominciamento di gran
male, che poi sì come ciascun coooscea voleano le a-
bitazioni della città, li vaselli e la roba d'altrui, e
egli si sforzava di dannar colui, le cui cose egli volea
avere. E erano molti buoni dannati a torto, più per
3 94 1^ TBSORO.
cagione di lor avere, che di lor fililo; e cosi fecero
niente della morte di Damasippo, che chi furooo Heti,
iKf furono poi crucciosi, sì che Siila non fini in que-
sta maniera d^ uccidere, fin a tanto che^ suoi cavalieri
uon furono tutti pieni d'avere e di ricchezze; ma noo
per tanto di tali cose non ho io dot^oza in questo
tem[)o, e specialmente che Tullio è consolo. Ha in sì
gran citta a molti diversi uomini e pieni d^ ingegni,
altri potrebbe metter altro consiglio. £ se il ooos^^
ucciderebbe per lor detto del senato uomo in colpa a
torto, certo mal ne potrebbe avvenire ; quelli che fii-
rono dinanzi a noi ebbero senno e ardimento; ne or-
goglio non tolse loro, eh' elli prendessero buoni ese»-
pi di ragioni de' strani, quando elli trovavano ne'kxo
nemici alcnna taccia; elli sapeano ben naettere in (h
|>era ne' loro alberghi, e meglio amavano s^^ire il bene
ch'averne noia. Elli frustavano li cittadini ch^aveano
misfatto, al modo di Grecia, quando li mali comincit-
ro a montai*e allora furono le leggi date, che li dannati
andassero in cattività. Dunque prenderemo consiglio
novello; così fecero i nostri antichi, e maggior virtù e
più sa[)ienza è in noi, che in loro. Elli erano pochi, e
sì conquislaro con poca ricchezza quello che noi ap-
pena potiamo tenere e guardare. Dunque che fìnremo
noi ? Lascieremo noi questi prigioni andare per accre-
scer Poste di Catellma? Dico di no; anzi è mia sen-
tenza che lor avere sia pubblicato al comune e ripo-
sto, e li loro corpi siano messi in forti castella fuori di
Roma, in diverse prigioni ben guardate, che nessuno
{>arli per loro al senato, ne al popolo; e chi fa contro
a questo, sì sia messo in prigione come un di loro.
UBBO OTTAVO. 296
GiJPITOLO XXXQI.
Come parla Cesare secondo cpiesta arte.
Per qaesta sentenza potemo noi vedere, che il prì-
mo parlatore, cio^ Decio Sillano, passò brevemente
senza prolc^o e senza covertora nulla, però che soa
materia era ad onesta cosa, cioè a giudicare a morte
li traditori del comune di Roma^ ma Giulio Cesare
che pensò altra cosa, si tornò alla covertura con motti
dorati, però che soa materia era contraria^ ch^egli sa-
pea bene che i cuori degli auditori erano commossi con*>
tra sua intenzione, e però li convenia acquistare lor
grazia; e dair altra parte era sua sentenza dottosa per
più sentenze e covale, ch'egli volea consigliare. E
sopra ciò li conveniva dare talento agli auditori d'u-
dire e di sapere quello ch'egli volea dire. Ma però che
doratura di parole è sospettosa cosa, non volle egli a
cominciamento iscoprìrM di benevolenza acquistare,
anzi toccò la somma di sua intenza, per dar agli audi-
tori talento di udire e intendere suo detto, là ove dis-
se delle quattro cose che il buon consigliatore si dee
guardare; e non per tanto suo prologo non fu senza
benevolenza, là ov'egli chiamò, signori padri conscrit-
ti, e là ov" egli innalza sua materia, e la conferma .per
belle parole, e per esempi di vecchie storie che ri-
cordò. E così in luogo della cosa che dispiacea nominò
cose che dovessero piacere, per ritrar li cuori degli au-
ditori da quello ch'era laido a quello che fu onesto
e ragionevole. E in questa maniera passò a dire il &X-
to, nel qual volea fondare il suo conto, ciò'; del con-
3C)G IL TESOaO.
sìglio che (lovea esser sopra 1 misfatto di coloro delli
congiura: e fé tìsU di dod voler difendere loro male,
ma (li guardare la dignità e T onore del senato. Mon
cominciò la terza parte di suo conto, cioè divisamento,
e divisò li detti e le crudeltà degli altri sopra fiitti per
parte, e mise quelle parti che più T aiutavano contro
a a)loro che aveano parlato, e accostolle a' onori d^
auditori tanto quanto egli potè più. E quando <^
ebbe così contato, cominciò la quarta parte, cioè eoo-
fermamento, là ove disse che doveano guardare loco
fama; e mostrava di lodar la sentenza d^li altri, mi
molto la biasimava; e sopra' ciò confermò soo detto
per molte ragioni che davano fede a suo consiglio^ e
toglievanla alla sentenza degli altrL £ poi eh' egU, ebho
fermato suo conto per buoni argomenti, egli se ubando
alla quinta parte, cioè al disfermameoto, per infralire
e distruggere li detti di coloro che aveano parlato ip-
nanzi da lui^ lìi ove disse, guardate che voi fate; e i|n-
mantinente ricordò più esempi, e più sentenze, e au-
torità di savi, eh' erano simili a sua materia ; e poi
(|uando y'ume verso la fine, egli conferma suo detto
con migliori argomenti e per le più forti ragioni ch^egli
[)ui). E viene alla sesta parte, cioè alla conclusione, e
(lice sentenza, e mette line al suo conto. E poi che
Cesare ebbe così parlato^ l'uno dicea uno, e l'altro
(licea un altro, tanto che Cato si levò e disse.
LIBRO OTTAVO. 2y7
Cafitoix> XXXIV.
G)me fu il giudicamento dì Calo.
Signori padri conscrìtti, quando riguardo la congia-
ra e lo pericolo, e penso in me medesimo la sentenza
di coloro che hanno parlato^ io penso altra cosa che
Cesare non ha detto, né alcuno degli altri. Egli han^
no' parlato solamente della pena di coloro della con-
ginra, che hanno apparecchiata battaglia in loro paesi,
ed alloro parenti, ed alloro templi e magioni dlntrug*
gere, ma maggior mestieri è, che V uomo si conigli
come si possa guardare da loro e dal pericolo^ che
prendere consiglio come siano dannati a morte. Se
r uomo non si proTede che non vegna sopra, niente
Tale V uomo a consiglio, quando sarà venuto. Se la
città è presa a forza, li vinti non hanno punto d' in-
tendimento; tutta fia umiliata. Ora parlerò a voi che
avete intendimento, avete magioni, e ville, ed inse-
gne, e tavole d^ oro. e più che al pro^ del comune. Se
voi queste cose che voi tanto amate volete guardare,
e ritenere, e mantenere vostri diletti per ordine e ri-
{)oso, isvegliatevi, e pensate di guardare il comune, e
liberare. Sei comune pericola, come Lscamperete voi?
questa bisogna non è di tuo luogo, né di tuo paraggio^
ma di vostra franchezza, e di vostri corpi, che sono in
pericolo. Signori, io aggio molto parlato, e con pianto
dinanzi a voi della avarizia, e lussuria, e cupidità dei
vostri cittadini. Io aggio la malevoglienza d^ alcuno,
però ch^ io non perdono volentieri altrui lo misfatto,
di che io non sent<> nulla taccia in me. E di nullo
39S IL TBSOBO.
forfiitto perd^mare k> noo dimando akmi gnrà. To-
stre riorbezze fiicea a voi molte cose mettere in non
calere ; tuttaTÌa stava il comune in diritto stato, e fer-
mo. Oramai in diritto non parliamo noi di nostro ben
vivere, né di nostro mal vivere, nò della iignona
de^ Romani accrescere , od innalzare , ansi ci ccxh
viene pensare se quello che noi avemo, ci può rìam-
nere, ed essere nostro, o se sarà de^ nostri vìgìdl
Qui non dee nullo parlare di buonarità e di misefi-
cordia, eh'* noi avemo assai perduto il diritto noaie
di pietli e di mcrc^ : che donare ad altrui bene^ ciò è
nostra bonarìtà ; ed esser cessati da ben fare, ciò •
nostra virtù; e però va nostro comune sì come al di-
chino. Or potete dunque essere di buon aere, e met-
ter lo popolo a ventura. Or potete esser pietosi in cth
loro che non ci lasciavano nulla a guastare, e peme-
vano lo comun tesoro rubare; doniamo loro il nostro
sangue, si che tutti li prodi uomini vadano a perdizio-
ne; e sì come voi vedete, pochi de^ malfattori distra^
gano turba di buona gente. Cesare parlò bello, ed as-
settatamente, udenti noi, della vita e della morte,
quando disse^ appresso la morte non curare gioia. Ma
quand^ egli parlò cosi, credo eh' egli pensava falso, di
quegli si trova air inferno, dove li malvagi sono di-
visi dai buoni ed entrano in neri luoghi orribili e pu-
tenti e spaventevoli. Appresso, giudicò il loro avere
fosse pubblicato al comune, ed elli fossero guardati in
diverse prigioni fuori dì Roma in diverse castella e
forti ; perchè si dubitava che se P uomo li guardava
in Roma, che quelli della congiura, od altra gente pre-
giata li caveranno a foi'za di prigione. Non ha dunque
LIBRO OTTAVO. 299
mala gente se non è io questa città 3 per tutte parli si
può trovare malvagi uomini. Da* niente ci dotta Ce-
sare, s^ egli crede che V uomo non si possa guardare
dentro in Roma come di fuoiì. E scegli solo non ha
pauraehe li fuggissero delle prìgioni^ov^elli disse ch^el-
li siano messi, egli non crede il perÉklo del comune.
Io son quello che ho paura di me, e di voi, e degli
altri ^ e però dovete voi sapere, che ciò che voi giu-
dicherete di questi prigioni dee esser giudicato di tutti
quelli della compagnia di Catellina. Se voi fete di que-
sti aspra giustizia, tutti quelli delP oste di Catellina oe
saran spaventati. E se voi ne fate fievolmente, voi li
vedrete venire crudeli e fieri contra di voi. E non
pensate che^ nostri antecessori accrescessero la signoria
di Roma solamente per arme. Che snelli andassero
cosi, dovunque la possanza ne migliorerebbe che più
avemo compagnia di cittadini, e maggiore abbondan-
za di cavalli e d^ arme, ch^elli non aveano. Ma elli eb-
bero in loro altre cose, perchè elli fiirono di gran no-
minanza e di gran pregio, che non ha guarì in noi.
Elli erano in loro fatti savi ed accorti, ed aveano di-
ritti comandamenti a quelli di fuori. Li cuori aveano
sani e liberi a dar consiglio, senza suggestione di pec-
cato eh' elli credessero, e senza seguire malvagie vo-
luntà. In luogo di ciò può l'uomo trovare in noi lus-
suria, od avarizia, comune povertà, e private ricchez-
ze. Noi non facciamo differenza da buoni a malvagi^
tutto tornato a cupidezza, questo è da lodare di virtu-
de. In questo non è maraviglia che ciascuno tiene sua
via e suo consiglio per s> medesimo. Voi intendete in
vostre magioni, e voslrì diletti, e vostra voluntà
3oO IL TESORO.
guire. Fuori di vostre magbni cercate dVimmunre f-
vere, ed allegrezza d^altnii acquistare. Da dò addivn-
ne che Tuomo guerreggia lo comune, e tutti i oongio-
rati lo vogliono distruggere. Ma di queste cose cKe yqì
fdte, io non dii*ò ora più. Nobili cittadini ikimo insìe*
me congiura, Ift^elli arderanno la città, e recano t
loro la gente di Francia per movere battaglia, che nieiK
te amano la signorìa e V onor di Roma. Cateliina de-
ca de^ nostri nimici ne vien sopra le teste eoo tntto
suo sforzo. State dunque in pensiero che toi fiirete di
vostri nimici, i quali avete presi dentro a queste mv-
ra? E tutto chMo giudichi, che voi non abbiate metók
Dite clic giovani sono, e per follia e per mala cupida*
tà r hanno fatta, e lasciateli andar tutti arnoati. Bb per
certo io vi prometto che questa pietà e questa dokxi^
za vi tornerà in pianto ed in tormento ed in amarìtn-
<line. Della cosa aspra e pericolosa non avete voi te^
menza? E sì avete raalempiezze la malvagità, le bri-
ghe de* vostri cuori, fate che V uno si tiene alP aitnk
Voi mettete vostra speranza neVoslri Iddeì, e dite ch'eli
li hanno guardato il comune .di diversi pericoli. L'a*
luto di Dio non viene a quelli che voglion vivere co-
me femmine; ma tutte cose vegnono a quelli che vo-
gliano vegghiare in ben fere, ed in dare buoni consigli.
Ma chi si mette in disperazione, cade in malvagità.
Manlio Torquato, uno de'nostri anziani duca, coman-
dò che fosse ucciso un suo figliuolo, solamente perchè
romba! tea una battaglia in Francia centra a' suoi ini-
mici, centra al suo comandamento. Per tale forfatto
mori quel nobil giovane. E voi dimorate a far giusti-
zia di qiiesti crudeli giovani [«ergiuri, che voleano la
LIBRO OTTAVO. 5oi
città distruggere. Lasciale voi loro per la buona vita ?
Non morrà Lentulo per la dignità di suo lignaggio ?
Scegli amòunque castità, scegli amò buona nominanza,
s^ ^li amò unque Iddio, scegli sparagnò unque uomo.
Non morrà Cetego per pietà di sua gioventù^ s^ egli
non mosse mai briga ne battaglia in questo paese. 6a-
bino e Statilo e Ceparìo che ne debbono dire? S' egli
avessero in loro ragione né misura, egli non avreb-^
bero tal consiglio preso al diritto contra il comune.
A voi dico, signori padri, che per Dio non li lasciate
scampare^ io non li lascerei, ben sofiressi che voi ne
foste castigati per lor oltraggio, quando voi consiglio
non volete credere, Ma però io dico, che noi siam6
rinchiusi, ed in pericolo da tutte parti. Cdtellina con
tutta sua oste ci è innanzi agli occhi là di fuori, e pen-
saci inghiottire. Li altri sono dentro alla città d^ogni
parte. Non potemo nulla consigliare, ne apparecchia*
re che' nostri uimici non sappiano. N<n ci dovemo a-
vacciare, però ne darò io cotal sentenza. Vero è chel
comune è in pericolo per lo maladetto consiglio. di
cittadini isconvenevoli e disleali ] questi hanno rab~
bia, e son conventati per lo detto di messaggi di Fran-
cia, che voleano la città ardere, ed uccider li migliori
uomini, lo paese distruggere, donne e pulcelle vitu*
perare, ed altre crudeltà fare^ e però dico io, e do
questa sentenza, che V uomo faccia di loro come di
traditoli, e di micidiali, e di ladroni.
Ì<n IL TESO&O.
Capitolo XXXV.
Come Cato parlò secondo questa arte.
Questa è la sentenza di Cato per m^lio .intendere
suo detto 'y e come parlò secondo questuarle. Delibarle
delP ordine di retorica ne convien guardare dioanù
la maniera di suo detto e la natura di sua materia. Di
che molti dicono ch^elPè dottosa, ed un poco oscura,
però che sua materia è da una parte onesta, ch^è a
dire, lo proMel comune ed a difendere lo buono stato
di Roma, e distruggere li rei, ed onesta cosa è, giudi-
care a morte una gran gente di cittadini ^ ed a dire
contra Cesare che uvea sì felinamente stabilito suo
giudicio, che appena il potrebbe uomo contraddire ^ e
che gli auditori erano quasi accordati a suo detto. Cor*
io e"* parca crudel cosa e maravigliosa, e però egli era
mestiero dorare suo prologo, sì ch^egli acquistasse
la grazia degli auditoii, o gh^ egli desse loro talento di
sapere quel ch^ egli volea dire, per levarli della sen-
tenza di Cesare, secondo chel maestro divisa qui die*
Irò, là ov' egli insegna la diversità de' prologhi 5 e pe-
rò toccò egU nel cominciamenlo suo brevemente e par-
titaraente ed apertamente lo punto, in che era tutta
la forza della bisogna, cioè quello che gli auditori a-
veano creduto, quando disse, ch'egli pensava altra
rosa che Cesare non avea detto, ne alcun degli altri,
così di talento, di sapere e d'udire quello ch'egli vo-
lea dire^ e fé sembiante di voler consigliare solamen-
te della guardia del comune, e non della morte de'
congiurali^ ed immantenente procacciò d' avere la
LIBRO OTTAva 3a3
grazia degli auditori, per appagare lor cuori, e per
tornare la cosa a onestà, e per accrescere la grazia
ch^ egli avea, però che sua materia era onesta, secon-
do che '1 buon intenditore potrà sapere, o conoscere,
scegli considera, o sguarda diligentemente P insegna-
ménto, il quale è addietro^ e però ne tace ora k> mae*
stro, però che '1 vorrà dire d'altre dottrine buone ed
utili.
Capitolo XXXYI.
Deir insegnamento della prima parte del prologo.
Appresso la dottrina del prologo se ne viene Id se*
cooda parte del conto, cio*^ il fatto. Di che Tullio dis-
se, che '1 fatto è, quando il parlatore dice il fatto
come '1 fu, o come non fu, ciò è a dire quando egli la*-
scia il prologo, e viene al fatto é dice la pròpria cosa,
di che è la materia di suo conto ; e questo è in tre
maniere. L' una è cittadina, che dice propriamente il
fatto e la cosa, di che è contenzione e là questione, e
divisa le ragioni, perche quella cosa può essere pro-
vata^ e questa maniera appaitiene dirittamente acco-
stumi, però eh' egli insegna tenzonare V un parlatore
con Faltro nel cominciamento. Ma qui si tace lo mae-
stro, e non dirà più, però che dirà Pargomento qui
appresso, anzi vole dire delle due altre maniere del
fatto, che non appartegnono si propriamente a questa
arte.
5o4 IL TESORO. '
Capitolo XXX Y li.
Qui comincia a dirisare che trapasso è faorì della
sua materia.
La seconda materia del fìttto si è, quando T nomo
si diparte nn poco dì saa propria materia, e trapassa
ad altre cose di fuori a sua principale cosa, cT per 1»-
situare lo corpo o la cosa, o per accrescer il male od
il bene ch^ egli disse, o per mostrar che due cose sie-
no sì mischiate insieme, o per fare sollazzare gli ao^
tori d' alcun gabbo, che sia simìgliante a sua materia.
E questa maniera di dire lo fatto tiene spesso il par-
latore per meglio provare ciò che Tole del oofpo o
della cosa.
Cafitolo XXXYffl.
Del conto eh* è per giuoco e per sollasso.
La terza maniera di dire lo fòtto non appartiene
alle cose cittadine, anzi è per sollazzo e per giuoco j
ma niente meno egli è buona cosa che P uomo s^ ac-
costumi a ben contare, che Tuomo ne diventa meglio
parlante al gran bisogno, e però ne dirà il maestro la
natura. Tullio dice, che ciò che Puomo dice in que-
sta diretana materia, quivi ove divisa la proprietà del
corpo, ed ove dice le proprietà d^ una cosa in altra,
egli conviene a forza che 'l suo detto siano favole, od
istorie, od argomenti ^ e però si fanno elli a sapere che
monta Tuna, e che monta F altra. E certo fabula è un
(!onto che l' uomo dice delle cose che non sono ve-
re^ né a vero somigliano, sì come la tabula della neve
LIBRO OTTANO. 5o5
che vola per aere lungamente. Storia è a raccontare
le antiche cose state veramente, le quali furono fuori
di nostra memoria. Argomento è a dir una cosa falsa
che non sia stata ; ma può ben essere, e dicela per si-
militudine d^ alcuna cosa. E se 1 parlatore. divisa la
proprietà del corpo, e^ conviene che per suo detto lo
riconosca le nature e le proprietà del corpo e del co-
raggio insieme, ciò è a dire se gli è vecchio, o giova-
ne, e scegli è cortese, o villano, od altre ootali pro-
prietà. Ed a cotali cose conviene avere grande orna-
mento die siano forti. Ma della diversità delle cose e
della similitudine de^coruggi, e della fierezza, di bua-
narìlà, di speranza, e di paura, e di sospezione, di de-
siderio, d^ infìgnìtudine, d^ errore, e di misericordia,
di mutamento, di subita allegrezza, e di fortuna^ di
pericolo che V uomo non pensi, e di buona fine, se-
condo questo libro diviserà qui dinanzi, là ov^egli in-
segna a conoscere li argomenti e la beltà del parlare ;
e però non ne dice ora più che detto n' ha 5 anzi tor-
nerà alla prima materia del fatto del dire, ch^ è chia-
mato cittadino.
Capitolo XXXIX.
Del conto ch*è chiamato cittadino.
Dice lo maestro che la cittadina maniera di dire è,
che divisa la cosa propriamente dee avere tre cose,
cioè eh' ella sia breve, e chiara, e ricordevole. Di tut-
ti dii;à lo maestro, e prima della brevità.
3o6 n* TESORO.
Capitolo XL.
Qui e* insegua egli a contare lo conto breTemeote.
TulHo disse, che allora è il &tto contato breve-
mente, quando il parlatore s^ incomincia al diritto oo-
minciamento di sua materia, e non di lunga oomin-
ciarla, che non fa utile a suo conto, si come fece S»*
lustio volendo contare la storia di Troia, che oomin-
ciù alla creazione del cielo e della terra, che li bastava
cominciare a Paris, quando furò Elena. Altresì sareb-
be breve, s^ ella, od egli è assai a dire la somma del
fatto, senza divisar per parti; che basta ben dire co»:
quest^ uomo uccise quelFaltro; e non dire: egli lopre*
se, e miseli man alla gola, e così fu questo, e così fa
quell^ altro; che le più volte basta a dire quel eh' è
fatto, senza dire il come, od in. che maniera. Altresì è
breve s^ egli non dice più cose che mestiere sarebbe
di sapere, e non trapassa a dir altre cose strane, che
di nulla non appartiene a sua materia, e s'egli non
dice quel che V uomo può intendere per quel ch'egli
avea detto, e se tu dici, egli andaro là ove poterò, ma
egli basterebbe a dire, egli non andaro là ov' egli non
poterò. E se io dico, Aristotile dice cotal cosa, egli
non si conviene che V uomo dica, egli lo disse di sua
bocca, che bene lo può ciascuno intendere, per quel^
lo eh' è dinanzi. Altresì è egli breve, se conta ciò ch'e-
gli può nominare, o quel che non può aiutare, ne no-
iare; e se dice ciascuna cosa ad una volta, e non più,
e s'egli non comincia spesso alla parola ch'egli ha
detta. E sì come il parlatore si dee guardare della
LIBRO OTTATO. Zoy
moltitadine de' motti, e che non dica troppe cose, per-
chè molte genti ne sono ingannate, che si studia in
poco dire, dicono tròppo, però eh' egli si procacciano
di dire poche cose tanto quanto li bisogna, e non più.
Tu penserai brevemente dire se tu dirai in questa
maniera : io andai a richiedere voi, ed io richiesi vo-
stro garzone^ ed ^li rispose, quando dimandai di voi^
non vi eravate. E tutto che tu dirai brevi motti, tu
conti più cose che mestieri non t' è ^ che assai basta-
va a dire : V uomo mi disse che voi non eravate in
vostra casa. Però si dee guardar ciascuno, che sotto lì
brevi motti non dica tante cose, acciò che suo conto
sia noioso a ascottare.
CapitoI/O XLI.
Quf e* insegna a contar Io fatto, e vedere cliiarameotc.
Appresso ciò dee il parlatore studiar di dire chia-
ramente quello che dice, e che suo detto sia aperto
ed iotendevole. Tullio dice, che 1 fatto è contato chia-
ramente quando il parlatore, od il dettatore comincia
suo detto a quel eh' è detto dinanzi, e segue V ordine
della cosa, e della stagione, cosi com'ella fu, o com«
ella può essere, in tal maniera, che suo detto non sia
turbato, né confuso, né inviluppato sotto strane pa-
role, e che non trapassi ad altre cose dissimili, o di-
lungi da sua materia, e che non coininci a troppo lun-
ga incominciaglia, e che non prolunghi la fine di suo
runto, tanto com' egli potrebbe dire, e che non lasci
nulla di ciò che a contare feccia. Ed in somma egli
dee guardare tutto quello che '1 maestro insegna qui
5o8 IL TISOKO.
dimuEÌ sopra la brenta del fatto, perdiè e^ addivie-
ne molle fiate che 1 conto n^ò pia goqìoso per molto
porbre, che per la scurità ddle parole. £ sopra totto
ciò dee il parlatore usare motti propri, e bdli, e co-
iitmnati, secondo che ^1 maestro diyisa qaà do^aatioei
capitolo ddi parlare.
Capitolo TCT^ÌT,
Qui c^iniegoa a Gootire il fatto che aia feiÌMiiiHc«
•
appresso dee il parlatore contare il fiitto^ in td idbk
miera, che sia yerìsimìle, dò è a dire che gli auditori
possano credere quelle cose, e ditegli dica la verità.
Tullio dice, che a ciò fare li conviene dire, per le pio-
prielà del corpo scegli è vecchio, o giovane, o pasien-
te, o uomo che si cruccti, o d^altre simili proprietà
che sieno testimonio a suo detto. Appresso, gli con-
viene mostrar k cagione del fiitto, ciò è a dire, la n^*
gione perchè, e come le potea, e dovea far quelle co-
se^ e colga oonvenevol tempo a ciò fere^ e che fu buo-
no, e sufficiente a far ciò che il parlatore mette dinanzi
Appresso dee mostrare che Puomo^ o la cosa di ch^e^
dice sia in tal natura ch'egli potrebbe e saprebbe beo
fare, e la nominanza, e la voce del popolo n^è sopra lui,
e che ha tal fede e ha tale credenza e talopiniouQ ch'egli
farà bene una sì fatta cosa.
Lnao OTTAYO. 3o9
Capitolo XLIII.
De^ wmi del dire lo htto.
Ofa avete udito, come il parlatore ad &tto dee
dire in tal maniera che sia breve, e chiaro^ e veriai*
mile. Gbè queste tre cose sono fieramente bisogno a
ben dire. E si come il parlatore dee s^uire le virtù
che appartengono a ben dire^ così dee guardare da^
vizii che disornano suo dire, che sono quattro. L'uno
si è, quando egli è suo danno a conlare lo <o. Lo
secondo è, quando non gli &, pro^ niente a dirlo. Lo
terzo si è, quando il fatto non è' contato in quella ma-*
niera ch'egli è. Lo quarto è, quando egli non dice ia
quella parte del conto ciò che è mestiere a sapere^
Onde fìa lode maggiore al parlatore contare lo fatto
secondo ch'egli è stato. Quando quella cosa dispiace
agli auditori, che elli sieno contra lui molto ad ira, o
a mal talento , se dli non si addolcissero per buoni
argomenti che confermino sue cose. E quando quello
addiviene, tu non dei contare lo fatto tutto a motto
a motto insieme, sì come fu, anzi il convienti divisa-
re per parte, una branca qua e un'altra là^ e imman-
tinente giugnere la ragione di ciascuna parte in suo
luogo ^ in tal maniera, che ciascuna colpa abbia sua
medicina, e la buona difensa addolcisca li cuori tur-
bati degli auditori. Anche sappiate ch'egli non è prò'
contare lo fatto, quando tuo avversario, o altri davanti
a te abbia parlato e detto tutta la cosa e la ragione^
in tal maniera, che non bisogni che tu la rìdichi, né
cosi, né altrimenti di lui, quando colui a chi tu parli
5lO IL TESORO.
sa la cosa, in tal maniera, che non ha bisogno di mo-
strare ch'ella sia d'altra guisa. E quando questa oca
addiviene, Tullio comanda che tu taccia, e non didn
lo fatto. Lo terzo si è, quando il j&tto non è contilo
in quella maniera che dee, cioè quando dee fìur prode
a tuo avversario, tu medesimo lo divisi bene e beflo^
o quando che dee giovare a te, tu 1 dici turbalo e
crucciatamente. Tullio dice, che per schifere qoedn
vizio tu dei recare tutte cose ad utile di tua ragioae^
e tacere il contrario tanto quanto potrai £ se ti eoa-
viene nulla dire di quello che appartiene alPaltra ptf-
te, tu ne passerai leggermente, e tuttavia dirai b tn
parte diligentemente. Lo quarto vizio ai .^ quanda il
fetlo non è detto in quella parte del conto eh' è me-
stieri; e questa è una cosa che appartiene ad ordine.
E però se ne tace ora lo maestro in6no là ove tm-
ter a dell' ordine, come Puomo dee stabilire suo conio
e sue parti.
Capitolo XLIY.
Della teria parte del conto, cioè diTÌsamento.
Appresso la dottrina del fatto viene la terza parte
del conto, cioè divisamento. Di che Tnllio dice, che
divisamento e quando lo parlatore Io dice secondo
suo diritto. Certo egli n' è più ordinato, e più bello,
e più intendevole, e meglio. E lutto che queste bran-
che, cioè il fatto e 'l divisamento, si sono per dire b
cosa, nondimeno infra loro ha differenza ^ che il di-
visamento dice tutto a certo lo punto in che lo par-
latore si ferma, e eh' egli vole provare, ma il fiitto
non dice così. Le parti del divisamente sono due.
LISBO OTTAYO. 3 1 1
L^una che divisa ciò che rairYersarìo ooiiosGe, acciò
ch^ egli dica in tal modo e in tal maniera che eia-
scon può ben intendere Io punto che il parlatore voie
prosare. L^ altra è, quando il parlatore divisa breve-
mente per parte tutto 'I punto ch'egli vorrà provare,
» che Tuditore lo sa in suo cuore, e intende ben che
egli ha detto tutta la forza di sua cosa. E però si con-
vien dividere la dottrina delF un divisamento e del-
Falti'o, come '1 parlatore lo dee usare.
Capitolo XLV,
Come il parbtore dee divisare suo conto.
Nel primo divisamento che conta ciò che Tawersa-
rio conosce, e de ch'egli nega,' dee il parlatore prima
recare quella riconoscenza al pro'djpsua cosa, sì come
r avversario d' Oreste che non disse che Oreste co-
noscesse che egli avesse morto sua madre, anzi disse
altre parole, che più affermaro la cosa contra ad Ore-
ste. Egli ha ben conosciuto, diss'egli, che la madre fu
morta per man di suo figliuolo; che a dire, che il
figliuolo uccise sua madre, è più crudel cosa, che a
dire il nome delFun e dell'altro. Ck)^ fece Gato in sua
sentenza: egli non disse, che ellino avessero conosciirta
la congiura solamente, che molte genti diceano, qh'elli
non l'avevano fatta contra il comune di Roma, ma
contra alquanti che governavano male il comune; però
recò Cato la loro conoscenza all'utile della cosa, e
disse contra loro fiere parole, e maravigliose, cioè che
elli voleano la città ardere, e uccidere i migliori, lo
paese distruggere, e vituperare donne e donzelle. À
5 1 a IL TESOBO.
questo ye&i tu che Può e Paltro disse ciò di^ eia ri-
conosciuto, ma dascuD lo torna a suo migliore. E
quando tu avrai quel medesiiiio fiilto in tuo oonto^ In
dei dire ciò che tuo avversario oega, e stabilir b qat-
5tione sopra 1 giudiùo per sapere lo diritta Orale
rioonoscea Pomicidio, ma egli negava chVgli no 1 te
a torto, anzi a diritto. Ma qui sta la questione che li-
mane sotto U giudizio per sapere scegli fece a tarto^s
a diritto.
Capitolo XLYI.
Come il parlatore dee divisar sao Ditto hreteiucme.
Nel secondo divisameoto, che menerà per parte lo
punto chVgU vorrà provare, dei tu guardare ch*c^
sia breve. £ quando tu ne dici aloon motto^ se qui
non bisognavanogi tua cosa, che tu non dèi travagiÌBe
li cuori agli auditori per parole, o per maraviglio-
si argomenti, quando tu divisi tuo fiitlo, o tua parte.
Tu deliberi, quando tu dici generalmente tutto die
comprende tutte cose di che tu voli dire 5 e sopra
ciò ti conviene fieramente guardare, che tu non lasci
mentovare nulla general cosa che ti sia utile, e che tu
noi dichi tardi, cioj fuori di tuo divisamento^ che là
ove tu dici lo generale motto della tua causa, tu non
dei ^dire Io speciale motto ch^è compreso sotto il
generale che tu avevi già detto. £ sappiale che gene-
rale motto è quello che comprende molte cose sotto
il suo nome; che questo motto animale comprende
uomo, e bestia, e uccello. Speciale motto è quello dbe
è compreso sotto un altro ; che questo Pietro, Carlo,
Giovanni è ben compreso sotto general nome, cioè
LIBRO OTTATO. 5 1 3
uomo. Ma egli ci ha molli gertemlì che sono sotto Puno,
e sono speciali sotto un altro, che questo motto uomo
è speciale sotto questo motto animale; ma egli <'* gene-
rale sopra questo molto Pietro e Giovanni. Questa
dottrina del generale dee il parlatore sì guardare nel
suo generale divisamento, ch^egli non metta la special
parte, che quelli divisa il fatto suo4u questa maniera.
Io mostrerò, diss'egli, che per cupidità, e per lussu-
ria, e per Favarìzia dei nostri nemici tutti i mali sono
addivenuti a nostro comune. Egli non è che nel suo di-'
visamento egli mischia li speciali motti appresso li ge-
nerali ^ che senza fallo cupidità è general nome di tutti
li desiri, e lussuria e avai'izìa sono partiti da lei. Guar-
da dunqae t;he quando tu hai divisato lo generale, che
tu non dichi quelle parti sì compie fossero altre cose
strane^ ma nell'altre branche vengono appresso, cioè
del fermamento, potrai ben mettere le speciali parti
delle generali dette innanzi per meglio fermare lo tuo
divisamento. Tu vuoi provare che Oreste fece omici-
dio* Di' dunque, uccise egli CHtemnestra, dunque fece
omicidio. Appresso, guarda in tuo divisamento, che
tu non divisi più parte che mestieri sia a tua cosa^
che se tu divisassi in questa maniera, io mostrerò bene
die mio avversario aveva bene lo podere di ciò fere,
e ch'egli volea, e ch*egli lo fé 5 certo cotale divisamento
è grave, perchè v' ha entro troppe cose 5 e basterebbe
a dire, io mostrerò ch'egli lo fece. Altresì, guarda che
la tua cosa sia semplice, e una cosa senza più, e non vi
conviene se non poco divisare, eh' egli è assai a dire
lo punto della questione. E non per tanto egli addi-
viene spesso che una cosa può essere provata per più
Latini. Fol. II. 18
5l4 IL TBS<mO
i-agioni. E quando questo è, lo parlatore à dee dÌTÌ-
sare la sua [>roTa, in tale maniera. Io mostrerò che (o
lucesti la ciital cosa, ()ei' tale ragione, e per carte, e
\tQr testimoni. Sopra questa branca dice TuiUo, die
egli trova in filosofìa molti insegnamenti, ma egli b-
^tcia quelli che sono si bene insegneiroli a ben porfare
come quelli che qui sono. E ancora ne comanda ms
altra cosa, che Poomo non dee dimenticare in s»
conto. Quando egli avrà finito suo divisamento, efi
comincia Tiiltra branca, cioè confermamento, per pro-
vare ciò che egli ha detto. Sovvengagli ch'egli confermi
dinanù ciò che divisa dinanzi, e poi ciascuna parte m
suo luogo, in tal modo, che quando vorrà finite soo
conto, egli non abbia dimenticato niente di suo coda*
mamento, ch^egli sarebbe laida cosa a ricominciaft
un altro piato appresso la fine del suo parlamento.
Capitolo XLYII.
Qui dice della quarta branca del conto,
cioè del confermamento.
Appresso la dottrina del divisamento viene la quarta
parie del conto, cioè confermamento, di clie Tullio
dice, confermamento è, quando il parlatore dice buor
ni argomenti che accrescono autorità e fermezza a sua
cosa 5 perchè diverse cose richiedon di diversi conlèr-
mamenti, vorrà lo maestro innanzi mostrare e inse-
gnare i luoghi pa* li quali i parlatori possano rìtenere
suoi argomenti, e poi quando sarà luogo e tempo egli
dirà come Puomo dee formare suo confermamento
sopra ciascuna maniera delle cose. E sappiate che nuHa
LIBRO OTTAVO. 5 1 5
scienza insegna luogo di provare suo detto, se non
dialettica e retorica. Ma tanto ha diflferenza tra Funa
e Taltra, che retorica considera speciali cose, secondo
il suono del nome, e secondo la voce solamente. Ma
dialettica considera le generali cose secondo la signi-
ficazione de^nomi e delle voci. E addivegna che quelli
che sanno leggi, e divinità, e altre arti bedano prova
per luogo, io dico che ciò è per dialettica, o per re-
torica.
Capitolo XLVIH.
Qui divisa li argomenti per provar ciò che il parlator dica.
Tutte cose^ono confermate per argomenti che sono
retralti dalla proprietà della cosa. E sappiate che si
chiama corpo colui, per lo cui detto, o per lo cui fatto
nasce la questione. Ma cosa si chiama quel detto, o
quel fatto di cui la questione nasce. Di queste pro-
prielh dirà il maestro l' insegnamento lutto, e prima
dirà del corpo.
Capitolo XLIX.
Qui divisa le proprietà del corpo che daouo argomento
e prota.
Le proprietà del corpo son tali, che per loro può
lo parlatoi'e dire e provare quel corpo, e tornar a fare
alcuna cosa, o non iàre. Tullio dice, che queste prò-
prìetà sono undici, lo nome, la natura, la nodritura,
la fortuna, T abito, la volontà. Io studio, lo consiglio,.
V opera, lo detto e la cosa. Non è una propria e certa
voce, ch'è posta a ciascuna cosa com'^a sia chiamata.
ti 1 0 IL TBSOftO.
Onde Timo è 1 nome, l'altro ^ il soprannome, e àtà-
Fun e «ieir altro pu) il parlatore fermare sooà jvgu-
menli. Io dico che quesC uomo debbe esser £itto ut-
IO, che egli ha nome lione. Così dice la santa Scrittu-
ra, io elico, dice Tangelo ch'egli avrà nome Gesà,peiò
chVgli avrà nome di saWare lo popolo. Natura è motto
gl'ave c«)sa a scrìver suo essere, che uno dke^ cbe
natura »- cominciamenlo di tutte cose, Taltro dke, dtt
non I- ^ eh*', se ciò fosse, dunque avrebbe avuto Iddio
cominciamento di parte da natura. Ma Platone dice^
che natura (* la volontà di Dio, e però può essere die
Dio e natura siano insieme; ma natura è doppia, uni
che fa nascere, un'*altra di quel eh' è nato. Delle cose
(*.he sono nate, altre sono divine, altre sono mondane.
E delle rose mondane, Puna appartiene agli uomini,
e Taltra alle bestie. Di ciò che appartiene agli uomi-
ni per natura sono sei luoghi, per li quali lo parlatore
può prendere suoi argumenti. Lo prìmo si è scegli è
maschio o femina : voi non dovete credere che ma-
donna facesse la battaglia, però che questo non è o-
[)era di feuiina. Lo secondo luogo si ò suo paese: noi
doverne creder che quest^uomo sia savio, però che è
gl'eco. Lo terzo si è una terra : noi dovenao crede-
re che questo sia buon dra{)piere, poich'egli è di Proi-
no. Lo quarto si è suo lignaggio: ben dee Carlo esser
leale, per ciò ch''è figliuolo del re di Francia. Lo
quinto si è suo tempo: e non è maraviglia se questi è
leggieri e aitante, però eh' è fortemente giovane. Lo
sesto luogo è lo bene e 1 male, che P uomo ha per
natura del suo corpo, o nel suo cuore. Nel corpo,
s'egli è sano o malato, grande o piccolo, bello o soz-
Lai» OTTAVO. 5 1 7
zo, veloce o lento. Nel cuore si è s'egli è duro cuore,
o sollHe, o )4olre, o aspro, o soffereate, o orgoglioso.
E in somma tutte le cose che V uomo ha per natura
nd corpo, o nel cuore son contate sotto luogo di na-
tura; ma quelle che son acquistate sotto insegnamento,
son contate sotto il luogo dell'abito, sì come il mae-
stro dirà qui appresso. Nodritura dimostra come, e tra
che gente, e per cui l'uomo h stato nodrìto, cioè a dire,
chi furono suoi maestri, e chi suoi amici, e suoi compa-
gni, che arti egli fa, e di che s'intramette, e com'egli
governa suoi amici, e come mena sua vita ; e queste
e altre simiglienti proprietà appartengono a nodritu-
ra, e di tutti può prendere suoi argumenti. Alessandi*o
dovea ben esser savio, però che Aristotile fu suo mae-
stro. Questo prete non dee esser vescovo perchè mena
sua vita in lussuria. Fortuna comprende ciò che ad-
diviene all'uomo di bene o di male, ciò'* a dire, que-
st' uomo è servo, o libero; ricco, o povero; proposto,
u senza propostia; o s'egli è ben agurato, o di buona
nominanza, o no; o che GgUuoli egli ha, o che femina.
Ma se tu parli d'uomo morto, considera le sue pro-
prietà, ciò? a dire, che uomo egli fu, e come morì;
che di tutte queste cose puoi tu prender argomento
per luogo di fortuna. Sì come disse Giovenale : e'non
ha nel mondo (diss'egli) sì grave cosa come ricca fé-
mina. Abito si è un compimento che 1' uomo ha d'u-
na cosa permanente nel suo cuore, o nel suo corpo,
^iel cuore si è il compimento delle virtù, che son di-
visate nel secondo libro, il compimento dell'arti e
delle scienze che l'uomo sa adoperare, le quali l'ap-
prende nel suo cuore. Nel corpo ^ono li compimenti
5 1 8 IL TBSOKO.
che Tuomo non acquista per natara, ma per suo stu-
dio, o per insegoamento, sì come di ben cnmbÉttPW^
e di ben bagordare, e di beo cavalcare. Yolaiità si è
un leggier mutaoieato che alcuna yolta yiene al ooq»
e al cuore per alcuna cagione, si come allegretn, co*
pidilà, paura, cruccio, malizia, fieTolesza, e altre sì-
miglianti cose. Studio, si è una cootiQua impresa che
il cuore fa con grande volontà, sì come è studiare n
filosofìa e in altre sciente. Di ciò può il parlatore fiir-
inare suoi argomenti in questa maniera : qnest^ ooo»
è buon avvocato, ch^egli studia soUecitamemte in leg-
ge. Consiglio è una scienza lungamente pensata sopia
a fiire alcuna cosa ^ ma egli ha differenza tra consìglio e
pensamento, che pensamento è a considerare tra ani
parte e P altra, ma consiglio si è la sentenza quando
prende Tuna delle due patrti: però conviene a tutti i
consigli, che la materia del consigliatore e ^1 tempo
siano convenevoli a ciò che Tuomo vole provare^ che
s^ io dicessi, quest^uomo ha ben barattato di suo ca-
vallo, però che se ne consigliò col suo prete, certo lo
consigliatore non è convenevole ; ma se io dico, que-
sl^ uomo è ben confessalo, però che s^ è molto consi-
gliato col suo prete, questo è argomento buouo e cre-
devole. Opera in questo conto non è la propria ca-
gione, sopra die Fuomo parla, anzi è una usanza che
Puomo ha di fare alcuna cosa, o di non fare, e di ciò
può il parlatore prendere suoi argomenti a mostrare
s'egli fé quella cosa incontanente, ovvero s' egli lo
farà 'y sì come uno delli cavalieri di Catellina disse, io
credo (diss' egli) Catellina farà la congiura contro noi,
pei'ch'egli n'è usato di tutte l'usanze che l'uomo suole
UBAO OTTAVO. 3 1 9
avere d^croa cosa dire e non dire, e così di tutta la
materia che è divisata. Dall^ opera qui di sopra, V ar-
gomento & Puomo in questa maniera: io non credo
che quest' nomo dica di me male, però che non saole
dire male d^altrui. Lo detto è delle cose che sono per
ventura, non pensatamente, e seguisce la natura del-
r opere. Adunque il detto che Puomo può trarre suo
argomento di ciò ch^ è addivenuto, e di ciò eh' è a
divenire, in questa maniera : vm dovete ben creder che
quest^uomo uodse quest'altro, però ch'egli avea il
(Xiltello in mano sanguinoso; o in questa maniera: e'
non è maraviglia se quest' uomo ride, ch'egli ha tro-
vato un gran monte d' oro. Qui tace il conto delle
proprietà del corpo per divisare della cosa.
Capitolo L.
Della proprietà della cosa.
E dire il maestro, che le proprietà della cosa son
tali, che per loro può il parlatore dire e pi*ovare la
tensione di quella cosa. Tullio dice, che queste pro-
prietà snn in quattro maniere. L'una si è, che tiene
la cosa; l'altra si è nella cosa facendola; la terza si è
giunta alla cosa; la quarta si è intomo alla cosa. Le
proprietà che si tengono con la cosa sono in tre ma-
niere, cioè la somma del fetto, la cagione, e l'apparec-
chiamento del fatto. La somma del fatto e della cosa che
è £itta, o ch'è presente, o ch'è a divenire in una somma
brevemente, in questa maniera: quest'uomo Ùl ornici-
rHo, quest'altro fa ladronezzo, e quest'altro fe tradi-
gjone. La oagion della cosa si è doppia, l'una pensata.
Trio 11^ TESORO.
« Taltra non pensata. La cagion ch^ è pensata fi è
4|iian(lo Tuomo & una cosa pensatamenle con consi-
^\ìo. La ragion non pensata si è. quando alcun si mno*
ve a fare alcuna cosa per alcun subito movimento
senza consiglio. L'apparecchiamento è in tre maniere.
L^una ch%> innanzi al fatto, in questa maniera: questo;
nomo apposto caccialo lungamente con La spada igoo'
rlii in mano. L^altro apparecchiamento si è in sul fiitto,
in questa maniera: quand'egli Pcbbe giunto, egli ilgit-
tò in terra, e diégli tanto che morì. Lo terzo apparec-
chianienlo si è dopo il &tlo, in (juesla maniera: quan-
dVgli Tcbbe morto, e egli lo seppellì nel bosco. Questi
u altri sembianti si tengono con la cosa fermamente,
che appena può una cosa essere fetta senza loro, e
però non può il parlatore stabilire suoi argomenti a
provar la cosa bene, e fermamente. Le proprietà cbe
sono nelle cose facendo, sono cinque, luogo, tempo,
modo, la stagione ed il prode. Lo luogo è, quella par-
te, là ove la cosa fu fatta ; e certo egli si fa molto a
provar suo detto, che "1 parlatore si guarda bene tut-
te le proprietà del luogo, ciò'» se"l luogo è gi-ande, o
picciolo, o da lungi, o presso, o diserto, od abitato,
o di che natura è il luogo, e lutto il paese d' intomo,
ciò è a dire, s'egli v' ha monti, o valli, o liviera, o
fiume, o senz' acqua, e se T aiia è buona, o ria, e seM
luogo è sagrato, o no, e s'egli è, o fu detto di lui, che
fé la cosa, o no. Tera[)o è lo s[>azio che l' uomo ha
di l'are la cosa, ciò è a dire, per anno, o [)er mese, o
per settimana, o per dì, o per ora, o novellamente^
o anticamente, o tosto, o lardi, che l' uomo dee
guardare se una gran cosa può esser latta in quel
LIBRO OTTAVO. 5a I
lempò. E sappiale che queste due proprietà, cioè luo-
^o e tempo, sono sì utili al provare la cosa, che prò-
pri quelli che misero in scritto l'anziane istorie e quel-
li che fanno carie e lettere, scrivono il luogo ed il
:empo per meglio affermare la bisogna. Stagione è
compresa sotto il tempo, ma tanto ha differenza tra
' un e l'altro, che'l tempo sguarda lo spazio e la quan-
ità del tempo passato, e del presente, e di quel eh' è
I divenire. Ma la stagione sguarda la maniera del tem-
po, ciò è a dire, s'egli è notte, o giorno, o se mostra
tempo chiaro, o scuro, o s'è festa, o feria, o s'è tem-
po di seminare, o di segar^'^ o se quell' uomo dorme,
ù se grida, o seppellisce suo padre. Vedi dunque ch'u-
na stagione appartiene a tutto un paese, sì com' è se-
care. Un' altra appartiene a tutta una città, sì come è
il di della festa, e dì luoghi costumati opere leggieri,
lo proposto, o vescovo, od un altro appartiene ad un
solo, cio^ a chiese e sepolture. Maniera è a mostrare
come quell'uomo fece quella cosa ed a che cuore, ciò
è a dire se 'l fe scientemente, o noj o per suo gra-
do, o contra suo grado. Podere si è in due maniere :
l'una è che aiuta a fer la cosa più leggiermente^ ed
un'altra senza la quale non può esser fatta. Di ciò può
Io parlatore stabilire suoi argomenti, in questa manie»
ra : egli non è maraviglia se questo cavaliere vinse Ja
giostra, però che gli è meglio a cavallo che l' altro ^ e
così quest' uomo non fera la giostra, però che non ha
cavallo ^ e questi non fe il coltello, però che non avea
ferro. Delle proprietà che sono aggiunte alla cosa fe il
parlatore suoi argomenti in questo modo, quand' egli
li tixie d'un' altra cosa più grande, o più picciolai, e
Saa Uj tbsoeo.
simigliante ad una contraria, o del generale, o dello spe-
dale, o della fioe della cosa. £ sappiate che cosa pari
si è più grande, e più picciola, si è considerata per b
forza, e per lo nuniero, e per la figura di laL Fona è
in due maniere. L'Anna, ch^ è nel corpo, si è b fona
quando suo nome significa la proprietà di hii^ ch^e»-
sere cliiamato Salomone non signiGca altro che sa-
pienza ; ed a essere chiamato Nerone non signiBca al-
tro che crudeltà e follia. Nella cosa è la forza quando
il nome della cosa significa la proprietà di lui, però
che a dire patricida significa di gran crudeltà a Dio e
agli uomini. Altresì considerare lo numero quando il
parlatore dice uno, due, o tre genti. Altresì conside-
rare la Ggura del corpo quando V uomo dice, egli è
grande, o picciolo^ e la figura della cosa quand'ella
ha più di proprietà. Che più è a dire, quest^uomo
uccise un prete su Pattare nel giorno di pasqua, che
è a dire, egli uccise un uomo privatamente. Simil cosa
non è pari cosa, che pari cosa significa la grandezza e
la misura^ ma simile non significa altra cosa che la qua-
lità^ che simiglianza è la proprietà che fa due diverse
cose essere simiglianti tra loro. Ragione come qoest*
uomo è leggiere come il tigro^e questo prete dovrebbe
sermonare al popolo come san Piero. Contrarie così II
son quelle che sono dirittamente Tuna conti-a Fattra,
siccome freddo contra a caldo, e morte contra vita, e
male contra bene, e vegghiai^e contra dormire, e orgo-
glio contra umiltà ; di che il parlatore può suoi ai^o^
menti f€U*e in questa maniera: se tu danneggi colui che
ti liberò da morte, che farai dunque a colui che ti vole
uccìdere? Generale cosa è ciò eh' è di sopra, ciò è a
LliaO OTTAVO. Ò'2Ò
dire quello che compreode molte cose sotto sé. Che
virtù è generale, però che compreode giustìzia, sen-
no, temperanza, e molte altre bontà sotto sé. Special
cosa é quella che ò sotto la generale. Che avarìzia è
speciale, però che P è sotto cupidità; e senno é sotto
virtù. La fine della cosa é ciò che già n^addiviene, e
che n^è a divenire ; e di queste cose sì trae lo parlai
tore suoi argomenti qnaudo mostra quello che dee
addivenire, o che addivenire ne suole delle cose si-
miglianti. In questa maniera per orgoglio vìen oltrag-
gio, e per oltraggio viene odio. La quarta maniera
delle proprietà delle cose son quelle che addivegnono
intomo la cosa, non cosi dentro come le altre dette
dinanzi. In che V uomo dee innanzi guardare come
quella cosa é chiamata, e di qual nome, e chi fu il ca-
pitano, od il trovatore della cosa, e chi V aiutò a far
re. Appresso, dee egli guardare qual legge, o quale uso,
che giudicamento è sopra a quella cosa, o quale arte,
quale scienza, o qual mestiere. Altresì dee egli guardare
se*cotali cose sogliono addivenire spesso^ o per na-
tura, o no, e proprietà e molte altre cose che soglio-
no addivenire appresso il fatto presente, o tardi ; e se
ciò è onesto, o utile, dee considerare lo parlatore, in
tal maniera, che di tutte le proprietà egli sappia cod^
formare suo detto, e ritrarre suoi argomenti a provare
la cosa, però che male s^ intramette di parlare chi non
prova sue parole ragionevolmente, sì che sia <nreduto
di quel che dice, o della maggior parte; e però vole
il maestro mostrare come il parlatore dee fare suoi ar-
gomenti.
5*^4 ii' tbsoro.
Capitolo LL
Di due maniere di tutti argomenti.
Tutti argomenti r.he'l parlatore fa per proprietìi ^
vanitade, Tullio disse, eh' egli dee esser necessario, o
verisimile 5 che argomento si è un detto trovalo so-
pr' alcuna materia che la dimostra verisimUmente, o
che la prova necessariamente.
Capitolo LII.
Degli argomenti necessari.
Necessario argomento si è quello che mostra la (»-
sa in tal maniera, che altrimenti esser non può. Ra-
gione come: questa femina giace in parto, dunque
giacque quella con Tuomo. £ sappiate che argomento
che prova la cosa di necessità può esser detto in tre
maniere, o per rimproccio, o per numero, o per semplice
conclusione. Rimprocciamento si è, quando il parlatore
divisa due, o tre, o più parti, delle quali se suo av-
versario conferma l'una, quegli ch'egli ha si è certo
eh' egli sarà concluso. Io dico che Tommaso o egli è
buono, o egli è reo. E se tu dicessi che '1 fosse buo-
no, io dirò, dunque perchè 'l biasimi tu? E se tu dices-
si che fosse rio, io dirò, perch'' conversi tu con lui?
E così va di rimpjrocciamento, che qualunque parte tu
prenderai, io metterò mio argomento che ti conclude
per necessità. E sappiate che questo argomento è in
tre modi. L' uno è per foi'za di due contrarie cose, che
l' uomo dee dire tutto insieme l' una dopo l' altra, sì
LIBRO OTTAVO. 020
come Tesempiochebo dello di sopra. L^allrosi è per
forza di due cose che son contrarie tra loro per forza di
due negazioni in questa maniera: io dico che questo
uomo ha danari, od egli non ha nullo. Cotale argo-
mento fé santo Agostino alli Giudei, quando disse loro:
lo santo dei santi, od egli è Tenuto, o no^ scegli è ve-
nuto, è perduto vostro nocimento, e se non è venuto,
«on è il nocimento perduto. Dunque avete voi re,
dunque v' è Cristo, o un altro 5 ma altro re non ave-
te voi, dunque egli è Cristo. Numerò nel suo detto
molte cose, immantenente le trae tutte via, se non una
solamente, la qual è prova per neces^itade. Io dico
così: e' conviene per viva forza, che quest' uomo uc-
cise queir altro, ch^ egli lo fé per odio che intra loro
fu, o per paura, o per isperanza, o per amore d' al-
cun suo amico. E s^ egli non ha nulla di queste cagio-
ni, dunque non V uccise egli, che senza cagione non
può esser fatto cotal malifìcio. Ma io dico che intima
loro non avea odio alcuno, ne paura, nò speranza d^es-
ser suo erede, o di aver alcun altro utile di sua mor-<
te, né egli, né alcun suo amico. Dunque io dico eh V
gli non r uccise. Questa maniera d^ argomento é per
numero proprietabile a colui che difende sua bisogna,
si come r esempio dimostra di sopra. Altresì è quel-
la utile a colui che accusa : io dico che mio argento o
egli fu arso, o egli é nella fonda, o (u Phai imbolato ;
ma arso non fu egli, né nella fonda non é, dunque ri-
mane questo che tu V hai imbolato. Semplice conriu-
sione è quando il parlatore conclude necessariamente
ciò eh' egli vole provar per forza d' una cosa eh' é
detta dinanzi : tu di' eh' io feci questo omicidio d' a-
Latini, Fof. TI. tg
526 IL TESORO.
gusto, ma in quel tempo era io oltra mare, dooqne
pare egli per necessità che io non il iècL Ora afele
udito le tre maniere de^ necessarìi alimenti, lì qoai
lo parlatore si dee fieramente guardare che suo aifo-
mento non abbia solamente il color e la sùnigliaimdi
necessità, anzi sia di si necessaria ragione, die TaTTcr-
sario non possa nulla contraddire.
Capitolo LUI.
Qui dice come si ditisano li Terisimiglianti argomentL
Lo verisimigliante argomento è quella cosa che e
usata di venir spesso, o delle cose ch^elli hanno alcu-
na simiglianza, ovvero simili. Delle cose usate di Tesi-
re, prende il parlatore suo argomento, in tal maniera:
Se questa femina è madre, dunque ama ella suo fi-
gliuolo j e questo è desperato, dunque non tiene e^
sacramento. Delle cose che V uomo pensa che sieno
prende il |[>arlatore argomento in tal maniera, se que-
sta uomo t' peccatore, la sua anima anderà alla eter-
nale morte; e se quest^ uomo è filosofo, dunque oon
crede egli negP idoli. Delle cose che hanno alcuna si-
miglianza prende il parlatore suo argomento in tre
modi, o per contrario suo, o per sue parole, o per
quelle che sono d^una medesima ragione. £ perTo
contrario fa V uomo suoi argomenti in questa manie-
ra : se i peccatori vanno in inferno, dunque li giusti
vanno in paradiso. Per le simiglianti: sì come luogo
senza porto non è sicuro alle navi, così lo cuore sen-
za fede non è durabile alF amico. Che luogo senza
porto, e cuore senza fede sono simili a mutabili ^ e na-
Limo OTTAVO. 527
\e e amico sono simili in fìgura. Per stabilimento de-
gli uomini si è quand^ elli stabiliscono per loro mede-
simi sopra una cosa dottosa che ne debba essere. Per
le cose che sono d^una medesima ragione prende il
parlatore suoi verìsimili argomenti in questa maniera:
s'egli non è laida cosa a' cavalieri donare le robe,
dunque non è laida a ministrarli s' elli lo vestono. Or
sappiate che questi argomenti e altri sembrabili sono
necessari! in questa maniera: s' egli andò mal grado,
dunque egli fu ferito^ ma il verisimile si è cosi: s'egli
ha molta polvere su' calzari, dunque è egli ito lunga
via. Cotali argomenti sono probabili ; ma elli non so-
no necessarìi. Però che potrebbe venire molta polve-
re su' calzari senza essere ito lunga via; ma mal grado
non potrebbe avere l'uomo senza inavventura. Per-
ch'io ho detto che tutti argomenti verisimili o elli son
segni, o elli sono credevoli, o son slabiliti, o son si-
migliane. Segno si è una dimostranza che dà presun-
zione che la cosa fu, o sarà secondo la significanza di
colui. Ma ella non è vera prova, e però richiede mag-
giore confìrmamento. E questi segni sono secondo lì
cinque sensi del corpo, cioè del vedere, dell'udire, del
fiatare, del saporare e del toccare. Che se io dico,
egli ha d' intomo a qui carogna, perchè ci è grande
puzza , certo questo è segno ; ma non è sì certo che
non vi bisogni ancora maggiore prova. Crede v ole è
quello che senza testimonianza dà fede e credenza in
questa maniera : e' non è nullo che non desideri che
suo figliuolo sia santo e ben aguralo. Stabilimento è
in tre maniere, o per legge, o per comune uso, o per
btabilimento d'uomini. Per legge è stabilita la pena de'
7t'ì% il. TESORO.
ladroni ed oniicìdiàli. Per comune uso è stabilito che
Fuomo renda onore a^ Tecchi e a"* maggior di luL Per
istabilimento degli uomini s^è quando gli uomini isb-
bilissero per loro medesimi sopra una cosa dottossi che
debba essere. Ragione come Gates quando fa seni-
tore di Roma non fé nulla senza il senno desino* com-
pagni, quali gli tomavano a senno, e quali a follia. Hi
la comunità del po[)olo stabili cb^egli fosse console
Fanno appresso, e così fu fermato, egli area fiitto gran
dissimo senno. Simile s'^è quello, che mostra alcum si-
mile ragione in tra due diverse cose; e ciò è per tie
ragioni ] o per imaginazione, o per comparazioiie, o
per esemplo. Imagine s^ è ciò che dice che due o pi&
diverse cose hanno alcuna similitudine tra lóro secon-
do la proprietà del corpo e della natura, in questa ma-
niera : quest^ uomo è più ardito che un leone, e qne^
st' altro è più codardo che lepre. Comparazione è, die
mostra che alcune diverse cose abbiano in tra loro si-
roiglianza secondo le proprietà del cuore, in questa
maniera : questo uomo è ingegnoso come Aristotile ;
e quest^ altro è grosso come asino. Esemplo è quello
argomento che mostra alcuna simiglìanza nelle cose
per lo detto e per lo comandamento che Puomo tro-
va ne' libri de' savi, e però eh' è addivenuto a' savi
uomini, o alle cose che furon di quella simiglianza.
Ma di questi argomenti A tace ora lo conto, perch'e-
gli ritornerà alli altri, li quali appartengono a confir-
mamento. '
UBEO OTTAVO. 529
Capitolo LTV.
Deirargomento io due maniere, o da presso, o da lungi.
Appresso ciò che 1 maestro ha mostrato lì luoghi,
e li argomenti, e la proprìetà, e la ragione come il par-
latore può prendere argomenti di provare sua ipate-
ria e suo detto, a lui parve che scegli divisasse questi
argomenti per parli, la ragione sarebbe più bella e più
intendevole. Simigliantemente però che -questa è una
scienza che pochi parlatori sanno, perchè la è grave a
sapere e mostrare^ e però dice egli in questa manie-
ra, che tutte maniere d^argomenti, di qualche proprie-
tà o di qualunque ragione elli sieno certi, e convien
eh' elli siano dappresso, o da lungi per alcuna fiata.
La materia del parlatore si è, ch'egli no '1 potrebbe
provare sVgli non prendesse da lungi ^ e però è drit-
to a divisare P insegnamento deW un e delP altro.
Capitolo LV.
Di quello argomento cfa* è da lungi.
Da lungi è quello argomento che per la simiglian-
za delle certaue cose dìi lungamento a suo avver-
sario a conoscer quella cosa che'l parlatore voi mo-
strare. Ragione come: io parlai ad Aldobrando che
non amava sua moglie, né ella lui, in questa maniera :
Dinmie, Aldobrando, se 1 vostro vicino ha miglior ca-
vallo di voi, qual vorreste voi innanzi o'I suo, o'I vo-
stro? Lo suo, diss'eglL E s' egli avesse più bella casa
di voi, qual vorreste voi innanzi, o la sua, o la vostra?
53o IL TKSOEO.
I^a sua^ diss^eglL E scegli avesse miglior fisnmiadi
voi, qual vorreste voi innanzi ? A questo motto wm
disse nulla. E io andai alla moglie, e dimandaib m
questa maniera : Se vostra vidna avesse maggior te-
soro di voi, qual vorreste voi innanzi tra ^1 soo o1
vostro? Lo suo, diss^ ella, O s^ egli avesse migliorìe
più belli drappi e più ricchi arnesi di voi, qoali vor-
reste voi, o su ai, o vostri ? Li suoi, diss^ella. E s' eRa
avesse miglior marito di voi, qual vorreste voi piò
tosto tra 1 suo, o H vostro? A questa parola si vei|{^
gnò ; e non disse nulla. Quando fui a ciò venuto, iin-
mantinentc dissi loro, però che nullo non rispose a
ciò che voleadire, io dirò che ciascun pensa. Yor vor-
reste aver buona moglie, e voi buon marito ^ perdo io
dico die se voi fate tanto che dascuno sia lo miglio-
re, voi non finirete giammai di quel che V uomo sia.
Dunque vi convien pensare che voi siate buona mo-
glie e buon marito. Guardate dunque che per la si-
miglianza delle terrene cose da lungi, io recava a con-
sentire ciò ch^ io volea; che se io dimandassi sempli-
cemente se quelli volesse migliore moglie, e quella
miglior marito, certo elli non sarebbero consentiti a
mia dimanda. Colali argomenti usa molto Socrate io
suoi detti 5 e tutte volte eh' egli volea nulla provare,
mcttea egli innanzi cotal ragione che V uomo non pò-
tea negare^' e allora Iacea egli sua conclusione di dò
eh' era nel suo [)rologo e nel suo proponimento. Dee
il parlatore guardar tre cose. Prima che quella cosa
eh' egli prende da lunga per simigUanza di sua cosa
sia celta e senza dottanza, che cosa dottosa dee esser
[trovata per certe ragioni. Appresso, dee egli guarda-
UBRO OTTJkVO. 55 1
re ch^ ella sìa nel tutto simìgliante a quel che volle
provare, che snella fosse strana, o non simile, egli
non potrebbe formare sua prova. Appresso, dee egli
guardare che gli auditori non sappiano iu che lo par-,
latore intende, ne perchè faccia sua dimanda, chiè
s"* egli se n^ accorgesse, egli si tacerebbe, o egli neghereb-
be, o egli risponderebbe per contrario. E quando tu
sverai a cicT menato tuo avversario, e^ conviene che
faccia una di queste tre cose, o ch^egli taccia, o ch^e-
gli nieghi, o che confermi sua prova. E s* egli la niega,
e tu la prova per la simiglianza di quel che tu avevi
dinanzi detto, o d^ altre simili cose che tu dichi im-
mantinente. Ma s^ egli conferma, o egli si tace, imman-
tinente dei tu concludere la dimanda, e poner fìne al
suo detto. Che Tallio, dice, quelli argomenti potete
voi intendere, che in questo argomento da lungi con-
viene avere tre cose. La prima s*h la simiglianza cheU
parlatore dice innanzi. La seconda s^ è la propria cosa
ch^ egli vole provare. La terza è la conclusione che
mostra ciò che si segue di suo argomento, o mostra
prova. Ma acciò che sono molle genti di sì duro cer-
vello, che per V insegnamento che sia posto sopra al-
cuna scienza no^l potrebbe intendere, se egli no M ve-
desse per mostrarlo per esempio^ volle lo maestro
mostrare anche uno esempio del piato, che durò lun-
gamente tra^ Greci, che avevano una legge, che se U
vecchio contestabile non rimandasse tutti li cavalieri
al novello contestabile, eh' egli dovesse perdere la te-
sta. Ora venne che Epamìnunda non rimandò tutti li
cavalieri al contestabile novello quando dovea, anzi
se n' andò con tutta la sua oste contra a' Macedoni,
jda IL T£SOBO.
c vìnsdi per furza (rarmc^ e quando «^li ne fu uccti-
sato, egli (licea che quelli che fece la legge intese chel
vecchio contestabile ritenesse li cavalieri per lo pro
del comune, e ch^(^li non fosse di ciò dannalo. E su»
avversario facea suo argomento centra lui in tal ma-
niera : signori giudici, ciò che Epaminunda volle giun-
gere alla legge fuori di ciò che voi trovate scritto, sof-
ferestclo voi? No; e se ciò fosse che non" io soffriste
[ler b vittoria elisegli ha avuto, questo sarebbe coa-
tra la dignità di voi e contra vostro onore. £ pensa-
te voi chol popolo il sofferi? Certo non sarà. E se
cjuesto è ch^ egli sia diritto a farlo, certo io conosoo
tanto senno in voi, che non vi parrebbe^ per ciò iodi-
co, se la legge non può essere emendata, uh per doI,
uè per altrui, dunque non potete voi rìmutare la sen-
tenza, poi che voi non potete rimutare un solo motta
Qui tace lo maestro a [)arlare dello insegnamento da
lungi, di cli^ egli ha detto assai, e toma allo argumcn-
te da presso.
Capitolo LVI.
Deli^ argomento da preiao.
Da presso è quello argomento che per alcuna pro-
prietà del corpo, o della cosa mostra che ^1 detto sia
verisimile, e confermalo per sua forza, e per sua ra-
gione, senza nullo argomento da lunga. Di questo ar^
gomento dice Aristotile che si fa cinque parti. La pri-
ma è [)ro£H)iiimcnto, ciò è a dire, quando tu procioni
brevemenle la somma di tuo argomento. Ragione co-
me: tu dici che tutte cose son meglio govciiiute con
t-
LIBRO OTTAYO. 555
consiglio che senza consiglio, questo è tuo poponi-
mento, ed è la prima parte di tuo argomento. Or ti
conviene andare alla seconda, cioè a conferiÉBrla per
molte ragioni in questa maniera: la magione ch^è sta-
bilita per ragione è meglio governata di tutte cose,
che quella che è governata follemente. L^ oste che ha
buon capitano e buon signore è più saviamente menata
di quella ch^ha folle capitano e signore. La nave fa be-
ne suo corso quando ha buoni governatoti. Ora è
compiuta la seconda parte deir argomento, cioè il con^
fermamento del primo proponimento. Ora ti convie-
ne andare alla terza parte, cioè apprendere ciò che tu
▼oli provare per la prima proposta in questa manie-
ra : nulla cosa non è sì ben governata per consiglio
come tutt^ il mondo. Quest^ è Pimpresa che tu vuo-
ti provare. E immantinente ti conviene andare alla
quarta parte dell' argomento, cioè a confermare V im-
presa per molte ragioni in * questa maniera : noi ve-
demo che M corso del sole, e delle piaikiete, e di tut-
te le stelle è stabilito in loro ordine, K movimenti del
tempo sono per ciascuno anno, o per necessità, o per
la utilità di tutte terrene cose, né V ordine del dì e del-
la notte non sono per danno d'alcuno. Tutte queste
cose son segni che'l mondo governato è per grandissi-
ma providenza. Ora è compiuta 'la quarta parte del-
r argomento, cioè Paffermamento dell'impresa. Ora si
convìcn andare alla quinta parte dell'argomento, cioè
alla conclusione, che può esser detto in due maniere.
O senza ridire niente del primo proponimento, né
dell' impresa, in questa maniera : dunque io dico che
il mondo è governato per consiglio. O ridicendo il
■9*
?i34 ^ TESORO.
primo proponimento, e la impresa io questa manien:
se tutte le cose son meglio gOTemate con coosì(^
che senza consiglio, e nnlla cosa non è sì ben gover-
nata per consiglio come tutto ^1 mondo 5 dunque èm
cheM mondo è goTemato per consiglio. Queste son le
cinque parti dell^ argomento da presso, cioè il pro-
punimento, il confirmamento, V impresa, il suo cod-
fermamento e la conclusione. Ma sono mcJtegend
che dicono che in questo argomento non è mai che
quattro parti senza più ; ch^elli credono chel propo-
nimento eM confermamento Steno una cosa medesima,
e r impresa e H suo confirmamento è una cosa, e k
conclusione è un^ altra còsa. Ma elli sono malamente
ingannati. Ragione perchè : senza che una cosa non
può essere, non è quella cosa medesima, anzi è nn^al*
tra cosa per sé, e così sono due cose, e non una. Se
io possa essere uomo senza sapere leggere ^ dunque
sono io una cosa, e leggere è un^ altra. Cosi d^un pro-
ponimento che può essere fermato in questa maniera:
sei dì che fu fatto questo omicidio, fu fatto a Roma,
io era a Parigi ] dunque non fui io a quest^ omicidio.
Qui non ha mestieri nullo confermamento 3 immanti-
nente farai tua impresa, e dirai in questa maniera: a
Parigi era io senza fallo. Quando tu avrai ciò detto,
dei confermare, e provare, e fare poi tua conclusione,
e dire : dunque non fui io a questo omicidio. E altre-
sì una impresa può essere fermata e stabilita senza
nullo confermamento, in questa maniera : se tu voli
essere savio dei tu istudiare in filosofìa. Questo è il
primo proponimento che richiede d' essere confirma-
to, però che molte genti pensano che lo studio della
LIBRO OTTAVO. 335
filosofia sìa no. E quando tu V avrai confermato di
buone ragioni, tu farai tua impresa in questa maniera:
tutti gli uomini desiderano essere savi. Questa ìmpre-
sa è si certa che non si convien confermare ; ma im-
mantinente fa tua conclusione in questa maniera :
dunque dee ciascuno istudiare in filosofia. Per queste
ragioni, per questi esempli puoi tu ben conoscere che
sono tali proponimenti, e di tali imprese che vogliono
essere confermate, e di tali che no. E però s^ accorda
Tullio alla sentenza d'Aristotile, e dice che in que-
sta argomento è cinque parti. E quelli son in erro-
re die pensano eh' elle sieno tre parti tanto ^ ma
non per tanto, e' può ben esser alcuna volta che V ar-
gomento è di tal natura che non usano se non le quat-
tro, o le tre parti senza più. E alla venta, Targomento
ha tutte cinque le parti, quand' egli dice lo proponi-
mento e lo suo confermamento, e l'impresa, e la con-
clusione; ma quando il proponimento e l'impresa so-
no stabiliti, che l'un di loro non ha mestieri di nullo
confermamento, non ha che quattro parti. E se'i pro-
ponimento e l' impresa sono tali che l' un ne l' altro
non dimanda confermamento, allora non ha l'argo-
mento ma che tre parti, cioè confermamento, impresa
e conclusione. Ma vi sono molte genti che dicono che
questo argomento può essere da due parti, che se 1
proponimento e la impresa sono stabiliti che la con-
clusione avea niente, si che non la conviene dire, al-
lora non ha egli ma che due partì. E se '1 proponimen-
to è sì forte che '1 parlatore non può formare sua con-
clusione senza impresa, allora non ha ma che due par-
ti in questa maniera : questa femina partorì, dunque
536 Hi TESORO.
conobbe ella uomo. £ se 1 pro{>oiii mento è sì forte
stabilito che Puomo intende ben la conclusione sena
udirla, allora non ha egli ma che una parte. Che seta
di\ questa femina è grossa, ciascuno intende eh' elTha
conosciuto maschio, sì che non li resta nulla a dire so-
pra queste parole. E dice Tullio, ch^egli non pensa
che diritto argomento possa esser latto secondo qoe-
sf arte di meno di tre parti. E tutto che diverse sdeo-
ze abbiano diversi insegnamenti, non per tanto la
scienza di retorica vole argomenti chiarì e certi che
si fòcciano credere agli auditori. E però ha il maestro
divisato diligentemente tutte maniere di provare qaei^
lo che r uomo vole dire a confermare suo detto se-
condo che appartiene alla quarfe parte del conto, cioè
a confirmamento, e ritorna a sua materia per dire del-
la quinta parte del differmamento.
Capitolo LVII.
Della quiuta parte, cioè del diflfermamento.
Appresso la dottrina del confermamenlo viene la
quinta parte del conto, cioè del differmamento. Di che
Tullio dice, che 'l <liffermamento è chiamato quan-
do M parlatore menima e strugge l'argomento del suo
avversario in tutto, o in maggior parte. E sappiate
che differmamento esce di quella medesima fontana
che 'l confermamento. Che come una cosa può esser
confermata per la proprietà del corpo e della cosa,
così può essere differmata ; e però dei tu prendere gli
argumentì medesimi che '1 maestro divisa in addietro
nel capitolo del confermamento. E nondimeno egli ne
LIBRO OTTATO. 357
daà alcuno per meglio dimostrare la forza e la natu-
ra* del confermamento. E ciascheduno può intendere
più leggermente quando V un contrario è messo ap-
presso r altro. Tutti argomenti difiermano in quattro
maniere. La prima è se tu voli negare Timpi'esa del
tuo avversario, quel medesimo cH' egli vole provare.
Appresso ciò che '1 confirmi tu nieghi la conclusione.
Appresso che se tu dici che suo argomento sia vizio-
so. Appresso che contra suo argomento tu ne dichi
uno altresì fermo, o più. £ però vole lo maestro mo-
strare la dottrina che si conviene a ciascuna di queste
quattro maniere.
Capitolo LVffl. '
Delle quattro maniere di difièrmamento.
Lo primo differmamento è a negare ciò che tuo
avversario prende a provare per argomenti necessarìi,
e per argomenti verìsimili. E se quello eh' egli dice è
argomento verisimile, tu '1 potrai negare in quattro
maniere. L'una è, quand'egli ha detto una cosa veri-
simile, tu dici che non è, che suo detto è chiaramente
falso in questa maniera ^ùo avversano dice, che non
è nullo che non sia piùxupido di danari che di sen-
no. Certo di ciò non dice egli lo vero, ch'elli ne sono
molti che più amano senno che danari. O se '1 suo det-
to è tale che '1 * suo contrario sia altresì credevoLe, co-
me 1 suo detto in questa maniera 3 tuo avversario dice
che non è nullo che non sia più desideroso di signo-
ria che di denari, C«erto altresì puoi tu dire fermamen-
te il suo contrario, che non è nullo che non desideri
338 IL Tsso&o. •
più denari che sigoorìa. O se U suo detto nfm è ce-
devole in questa maniera: un uomo ch^è fierameete
avaro dice, che per un picciolo servigio d'un sao a-
mioo lasciò un suo grandissimo pro\ £ se ciò che suo-
le addivenire alcuna volta, tuo avversario dice ch\^'
addiviene tutto diversamente, in questa maniera: e^
dice che tutti i poveri desiderano più danari che si-
gnoria, ma elli ne sono d^ altri che amano più la si-
gnoria, sì come in alcun luogo diserto fa Puomoo-
micidio, e non in tutti; e se quel che addiviene alcu-
na volta, tuo avversario dice che non addiviene mai
in questa maniera: Egli dice, che nullo uomo puoes*
sere preso d'amore per femina per un solo isguardo^
perchè questa è una cosa che può avvenire, die per
un solo isguardo e per una sola veduta Puomo l'ama
per amore. La seconda maniera di negare il detto di
tuo avversario è quando dice T insegnamenti d'una
cosa, e tu li difiermi per quella medesima voce chV
gli conferma con tutti insegni ; conviene mostrare due
cose. L'una che quel segno sia vero; l'altra che sia
proprio segno della cosa che vole provare : si come
sangue eh' è segno di mislea, e carbone è segno di
fuoco. E poi conviene mostrare che sia fetto quello
che conviene, o che non è tSto quello che si convie-
ne; e che l'uomo di cui il parlatore dice sapea la leg-
ge e il costume di quella cosa, che tutte queste cose
appartengono a segni e a simiglianze. E però quando tu
voli differmare li segni di tuo avversario, tu dei guar-
dare com' egli lo dice, che s' egli lo dice che ciò sia
segno di quella cosa, tu dei dire che non«è; in questa
maniera : egli dice che la tocca sanguinosa che tu por-
LIBRO OTTAVO. SSq
ti è segno che tu fosti alla mislea, e tu di^ che questo
è leggier segno, che la tocca sanguinosa può esser se-
gno che tu sei sanguinato. O tu di' che quel segno ap-
partiene più a te che a lui. Che se dice che sia fatlo
quello che non si<;onTÌene, in questa maniera: tu hai
rosso nel volto, però che tu ìm colpa in quello mis-
fatto ; e tu di', che ciò non fu per male, anzi per o-
nestà e per diritto. O tu di' che quel segno s' è del
tutto falso, che s'egli dice che tu avevi il coltello san-
guinoso in mano, tu di' che sanguinoso non era egli
già, anzi era rugginoso. O tu di' che quel sia apparte-
nente all'altra sospezione che tuo avversario non dice.
Che se dice che non è fatlo quello che si conviene, in
questa maniera : tu te n'andasti senza prendere commia-
to, questo è simigliante al ladroneccio^ e tu di'* che ciò
non fu per male, anzi fu perchè tu non volevi isve-
gliare lo signore. La terza maniera di negare lo detto
di tuo avversario s' è quando egli fa nel suo detto
una comparazione contra due cose, e tu di' che quel-
la cosa non è simile a quell' altra, però eh' elle sono
diverse maniere. Ch'egli dice, tu vorresti aver miglior
cavallo che tuo vicino, dunque vorresti aver miglior
femina^ e tu nieghi suo detto, perchè femina è d' al-
tra ragione che cavallo, e però che son diverse na-
ture. Che s' egli dice che V uomo dee lottare come
leone, e tu nega suo detto, però che l'uomo è d'al-
tra natura che '1 leone, però che son di diversa forza.
E s' egli dicesse che Pirro dee essere dannato a morte
per la moglie d^ Oreste ch'egli furò, sì come Paris che
furò Elena; e tu ni^hi suo detto, però che '1 forfatto
di Paris fu maggiore che quel di Pirro, e però eh' elli
7)4u II' TESOAO.
noD sono d'una grandezza. Che s^ egli dice, qual'oih
mo dee essere giudicato a morte, però che ha ocdio
un uomo cosi come quest^ altro che n^ ha morti due;
e tu nieglii suo detto, per ciò che non fé cosi gran m-
le come quell^ altro. Altresì dico io della diversità del
luogo e del tempo, del corpo e deli^ opinione^ e di
tutte le diversità che sono nelli uomini e ndle co»;
che di ciascuna può il buon parlatore riprendere- sud
avversario, e differmare suo confermamento. La qov-
ta maniera eli negare U detto di suo aTrersarìo s* è
quand'egli ricorda alcun giudicio di savio; che ootaK
argomenti possono elli confermare in quattro mame-
re. O per la lingua di colui che dà il giudicio, si come
Giulio Gasare disse, che li anziani di Roma aveano
{)cr lo lor gran senno perdonato a quelli di Rodes.
() egli lo può confermare per la simiglianza di quel
giudicamento alla cosa di cui egli parla ; sì come fisoe
un predicatore di Roma, quando disse, sì come i nostri
antichi perdonaro a quelli di Cartagine, così dovemo
perdonare a quelli di Grecia. Altresì lo può egli con-
fermare, per ciò che dice che '1 giudizio ch'egli men-
tovò fu confermato per tutti quelli che l'udirò, cchel
doveaiio confermare. Altresì il polca egli confermare,
[)erò che quel giudicio fu maggiore e più grave che
la cosa di ch'egli parla, sì come Cato quando disse,
che Manlio Torquato giudicò a morte il figliuolo, solo
{>erchè combattè con Franceschi con tra suo comanda-
mento. Queste sono le quattro maniere per confer-
mare lo giudicio, e tu sii immantinente apparecchiato
a differmare ciò che per lo coutrario di suo difTerma-
mento, se tu unquo puoi, ciò è a dire, s\'gli lo loda.
UBRO OTTAVO. 54 I
e tu lo biasimi, e se dice che M giudicameoto fu con-
lermato, e tu di^ che non £14 altresì di tutte le ragioni.
Ma però che V insegnamento del parlatore dee esser
comune a un parlatore e all^ altro, dice il maestro,
che ^1 parlatore che ricorda del giudicio debbe molto
guardare cheU giudicio non sia dissimile da quello
che parla, però che suo avversario lo potrd}be leg-
germente riprendere. E poi dee guardare di non con-
tare tale giudicio che tocchi ad alcun degli auditori
però che gridano immantinente, e dicono che ciò fu
contra giustizia, e che 1 giudice ne dovrd>be esser
dannato. Appresso dee egli guardare che quand^ egli
può mentovare -molti buoni giudici lodati e saputi,
ch^egli non mentovi strano e sconosciuto, che quelFè
una cosa che '1 tuo avversario può leggeimente ri-
prendere, e infermare tuo detto. Ora avete udito co-
me Tuomo dee infermar tutti verisimili argomenti,
dunque è da dire del dilTermamento degli argomenti
necessurii.
Capitolo LIX.
Del differmamento degli argomenti necessarìi.
Se il tuo avversario fa sopra il suo detto argomenti
necessari!, tu dei immantinente considerare s^ elli sono
necessarìi, o elli paiono. E s* elli sono veramente ne-
cessaiii, tu non hai podere di conti*addirli. Ma s^ el-
li pai'eno necessarii e non sono, allora potrai tu dif-
fcrmare per quelle medesime vie che sono dette di so-
[>ra nel capitolo de^ necessarii argomenti, cioè pei'rim-
procciamento,o per semplice conclusbne. Rimproccia-
mento è quando il pai'latot*e divisa due, o tre, o più
54^ IL TESORO.
partì, delle quali se tu coofermi V una, quale che h
sia, certo il te conclude s^ ella è vera, ma s^eUa è Él-
sa tu puoi dificrmare Pana senza più. Ragioiie co-
me, tuo avversario vole concludere che tu dei ca-
stigare lo tuo amico, e sopra ciò divisa due parti io
questa maniera. O egli teme vergogna, o no. Sceglila
teme, non castigare, che non è buono. E se non la te-
me, no 'l castigare, ch^ egli ha per niente tuo castiga-
mento. Quest^ argomento non è necessario, ma pare ;
tu dei immantinente difFermare amendue le parti in
questa maniera: Anzi lo debbo castigare, che s'^
teme vergogna e non dispregia, tanto il debbo io più
tosto castigare, però che non è ben savio. E se tu di-
rai parte senza piii, tu dirai così: s^ egli non la teme
veracemente, il debbo castigare, ch'egli si ammenderà
per mio detto, e lascierà suo errore. Numero è quan-
do il parlatore conta nel suo conto molte cose per
provarne una, secondo che U conto divisa nel capita-
lo de' necessarii argomenti. Allora ti conviene difTer-
niare tuo numero che può avere tre vizii. Lo primo
sì è, s' egli numera quella parte che tu voli afiermare^
tuo avversario dice così: o tu hai comperato questo
cavallo, od egli ti fu donato, od egli fu allevato in tua
casa, od egli ti rimase per retaggio, e non ti nacque b
casa, dunque P hai tu imbolato senza fallo. E quando
egli è sì concluso, tu dei immantenente dire la parte
cip egli lasciò in suo numero, e di' che tu V hai gua-
cTagnaln al torniamento. E suo argomento è tutto dif-
fermato, se ciò è la verità, eh' egli non avea contato.
Lo secondo vizio è, quand' egli numera una cosa che
tu puoi contraddire. Che se dice che quel cavallo non
LIBRO OTTAVO. 343
ti rimase per redkà, tu puoi dire che si fece ^ certo suo
argomento è tutto spezzato. LfO terzo vizio si è quan-
do una delle cose ch^egli numera tu la puoi ricono^
scere e fermare senza laidura. Ragione come tuo av-
versario.dice così: o tu stai qui per lussuria, o per
agguato, o per lo pro^ di tuo amico. Semplice conclu-
sione è, quando il parlatore conclude quel che vole
per la forza d^ una cosa ch^ è detta innanzi. £ questo
è in due maniere : che s^ egli prova per necessità*, tu
non puoi contraddire ; che se dice, questa femina è
grossa, dunque giacque con uomo^ e se quest' uomo
fiata, dunque è egli vivo ; certo non potrai dire con-
tra. Ma s'egli pare di necessità si è in questa maniera :
s'ella è madre, dunque ama ella i figliuoli^ certo tu '1
potrai ben riprendere, e mostrare che ciò non sia per
necessità, anzi può essere per maniera.
Capitolo LX.
Del secondo differmamento.
Lo secondo difièrmamento si è, quando tu conosci
che'l proponimento, o l' impresa di tuo avversario sia
vera, tu nieghi la conclusione, però che quella non
nasce di quel che tu avevi conosciuto, anzi conclude
altra cosa che non dee, ne può. Ragione come : le
genti della citlade andarono nell'oste, e addivenne che
quando tu andavi una infermità ti prese nella via che
non ti lasciò andare infin all'oste, si che tuo avversa-
rio te ne accusa, e conclude in questa maniera : se tu
fossi venuto nell' oste, nostro contestabile vi t'avreb-
ì^ veduto, ma egli non ti vide, dunque, non vi vole-
j44 U. TB80A0.
sti tu vemre. Or guarda che ia questo argooMiilD ti
affermi bene il proponimento di tuo avversario, cioè
che se tu vi fossi stato li contestabili vi i^avrdilKfo
veduto, ed afferma i^ impresa, cioè ch^ ellì non ti n-
dero^ ma la conclusione non nasce di ciò, che là ovV
gli dice, ciie tu non vi volesti andare , ^1i non dioe
vero, però che tu vi volesti ben andare^ ma tu ubo
potesti. Ma questo esemplo è sì chiaro e si aperto^dhe
gli è leggier cosa a conoscere lo suo vizio ^ e però vi
vole lo ma(*stro mostrare la ragione, ed un altro ese»*
pio più scuro ad intendere, per meglio insegnare queir
lo che appartiene al buon parlatore. Che là ove li vi-
zii SODO scuri ad intendere, e^può ben essere provato
sì come s* egli fosse vero; e ciò può essere in due ms-
iiiere: o perchè egli crede che tu affermi al certo ooa
cosa dottosa; o perchè crede che non ti sovvegna di
quello che tu hai affermato, o riconosciuto. Che scegli
crede che tu abbi affermata uua cosa dottosa perchè
tuo avversarlo ti conclude, allora ti conviene mostra-
re r iiiteudimento che tu avevi quando tu feimasli
quella cosa, e dire eh' egli ha recato suo argomento
ad altra cosa. Ragione come tuo avversai'io dice così:
tu hai bisogno d' ai'gento, e tu affermi che si, secondo
la tua intenzione, ciò è a dire, che tu ne von*esti avere
più gi-an somma che tu non hai 3 ma tuo avversario
pensa altra cosa, e dice così: tu hai mestiero d'argen-
to, che se ciò non fosse tu non faresti mercanzia^ dun-
que se' tu povero. Guarda dunque eh' egli ti convie- .
ne per altra intenzione; e però puoi tu difièrmare tuo
argomento eh' egli pieghi e muti ciò che tu intendi.
Ma s' egli pensa che tu abbi dimenticato quello che
LIBRO OTTAVO. 54 5
tu hai conosciuto, come egli ne farà una malvagia con-
clusione contra te in questa maniera : se il reditaggìo
del morto appartiene a te, cìa<;cuno dee credere che
tu Fuccidessi^ e sopra questo motto tuo avversario di-
ce molte parole, ed assegna più ragioni da provare
sua cosa. E quando egli ha ciò fatto, e prende suo ar-*
gomento, e dice : senza fallo lo reditaggìo appartiene a
te, dunque P hai tu ucciso ; guardati dunque che que-
sta conclusione non esce di ciò che il reditaggio ap*
partiene a te ^ e però ti conviene diligentemente guar-
dare la forza di suo argomento, e come egli lo ritragiò.
Capitolo LXI.
Del terzo differmame nto.
Lo terzo diOèrmamento è quando tu dici che F ar-
gomento di tuo avversario è vizioso. E può essere in
due maniere. O perchè il vizio è nelP argomento me-
desimo, per ciò che non appartiene a quel che'l par-
latore lo propose. E sappiate che vizio è tutto o fal-
so, o comune, od universale, o leggieri, o lontano, o
male appropriato, o dottoso, o certo, o non affermato,
o laido, o noioso, o contrario, o mutabile, od avversa-»
rio. Falso è quello che dee appartenere a menzogna.
Ragione come : nullo potrebbe essere savio che dis-
pregia i danari; Socrate dispregia i danari, dunque
non fu egli savio. Comune è quello che non appar-«
tiene più a te che a tuo avversario. Che se tu dici co-
si : io dirò brevemente, perciò eh' io aggio diritto, al-
tresì lo può dire tuo avversario come tu. Universale è
quello che può essere retratto sopra alcuna altra cosa
546 IL TESORO.
bhe noo è verace, in questa maniera : Signori giadki,
io non mi sarei messo in Toi se io non credessi avere
lo diritto. Leggiero si è in due maniere. L^ una ch^è
detto taixli, si come lo villano che dice : s^ io avesà
creduto che^ buoi mi fossero imbolati^ io averci serra-
ta la stalla. L^ altra maniera è a coprire una laida cosi
di leggiere covertura, sì come fé lo cavaliere che ab-
bandonò suo re quand'egli era in su alta signorìa^ e
quando lo re fu disertato, suo cavaliere lo scontrò on
dì, e disse : signore, voi mi dovete perdonare perchè b
v^ abbandonai, però eh' io m' apparecchio di venire,
io son al vostro soccorso. Lontano è quello argomento
che è preso troppo Inngi, sì come fé la cameriera £
Medea, che disse: Dio volesse chèl legname non fos-
se tagliato di che le navi furon fatte. Male appropriato
si è in tre maniere. Una che dice le proprietà, che al-
tri sa che sono comuni ad un' altra cosa. Che ta mi
domanda delle proprietà dell' uomo che son discorde*
voli, io dico che discordevoli son quelli che son mal-
vagi, e noiosi intra gli uomini. Certo queste proprietà
non sono più discordevoli che V orgoglio d' un folle
che d'un altro uomo. La seconda maniera è di taU pro-
prietà che non son vere, anzi false. Che se tu diman-
dassi delle proprietà di sapienza, ed io dicessi che sa-'
pienza non è altro che guadagnare argento, io ti direi
falsa proprietà. La terza maniera dice alcuna proprie-
tà, ma non tutte. Che se tu mi dimandassi delle pro-
prietà di follia, ed io dicessi, che follia è desiderare
alta nominanza, certo già si è ciò follia d' alcuna parte,
non dico di tutte le proprietà di follia. Dottoso è
quell'argomento che per dottose cose vole provare
I,"'
LIBRO OTTAVO. 34?
una dottosa cosa iisr qaesta maniera : Signori prìncipi
della terra, voi non dovete avere guerra Tun con
Paltro, però che li Dei che governano i movimenti
del cielo non cambattono. Certo è quelP argomento
quando il parlatore conclude quel medesimo che suo
avversario conferma, e lascia hiò che si dovrebbe pro-
vare, si come fece P avversario di Orestes quando
dovea mosti*are che Orestes avea morta sua ihadre
a torto, egli mostrò ch^egli Tavea uccisa 5 e ciò non
bisognava, però che egli no 1 negava, anzi dicea ch'e-
gli V avea uccisa a diritto. Non affermato argomen-
to è quando il parlatore dice molte parole di con-
fermamento sopra ad una cosa che suo avversario
ni^a pienamente. Ulisse fu accusato ch'egli avea mor-
to Aiace, ma egli dicea che non avea, e tuttavia suo
avversario iacea gran romore, e ciò era laida cosa mol-
to, che un villano uccidesse un così nobil cavaliere.
Laido argomento è quello eh' è disonesto per ragione
del luogo, ciò è a dire motti innanzi P altare. O per
ragione di colui che li dice, cioè se un vescovo pària
di femine, o di lussuria. O per ragione del tempo, cioè
se il dì di pasqua V uomo dicesse, che Cristo non re-
suscitò. O per ragione degli auditori, cioè se dinanzi
a religiosi V uomo parla di vanità e di diletti del se*
colo. O per ragione della cosa, ciò è a dire, che chi
parla della santa croce non dee dire ch'ella sia for-
che. Noioso è quello che noia la volontà degli audi-
tori, che se dinanzi a' predicatori io lodassi la legge
clie danna lussuria, certo mio argomento noierebbe »-
gli auditori. Contrario è quello quando il parlatore
dice contra quello che gli auditori fisurdbbero. Io vo
i
54^ li' T£soao.
dinanzi ad Alessandro ad accusare alcun prode uomo
che avesse viola una città per fora d'arme a dire: che
al mondo non è si crudel cosa come è a vìncere un
cillà per fi)rza e guastarla . Certo colale argomento è
molto contrario^ però che T auditore, cioè Alessandro,
distrusse più città e castella. Mutabile si è quando il
parlatore d^ una medesima cosa dice due diverntà che
sono Tuna contra T altra, secondo ciò che Tuomo di-
ce che la virtù non ha mestiere d^alfcrui a ben vivere;
e poi appresso disse egli medesimo che nullo puu ben
vivere senza sanità. Ed un altro quando ebbe detto
oh^ egli seguiva suo amico per amore, e poi appresso
disse, ch^ egli attendeva di lui gran servigio. Avver-
sario è quello argomento che più fa contra il parlato-
re, che per lui^ che se io volessi confortare li cavalieri
a battaglia, ed io dicessi : vostri nimici sono grandi e
forti e ben agurosi, cerio questo sarebbe più contra me,
che per me. Or conviene di dire dell^ altre maniere
d^ argomenti viziosi, cioè quando egli non appartiene
a quello clie^l parlatore propose. E questo può essere
in molte maniere, cioè sei parlatore promette che dirà
più cose, e poi non dice se non una ; o scegli dee mo-
strare tutto, e sì non mostra più che Tuna parte. Ra-
gione come se 1 parlatore volesse mostrare che tutte
femine sien avare, ed egli non mostra se non d^ una,
o di due. O s^ egli non si difende di quel che gli è
biasimato, secondo che fé Paces quando volse difen-
dere musica biasimata per più, egli non la difese, ma
egli lodò molto sapienza. Così fé quegli ch^era biasi-
mato di vanagloria, ch^egli era molto fiero ed ardito
d^ arme. O se la cosa è biasimata per lo vizio delP no-
LIBRO OTTAVO. 549
mo, sì come fanno quelli che dioono male delia santa
chiesa per la malvagità de^ prelati. O se io volessi lo*
dare un uomo, ed io dicessi ch'egli fosse molto* ricco
e bene aguroso, e non dicessi eh' ^li avesse niuna
virtù. O s'io &CCÌO comparazione intra due uomini, od
intra due cose, od in altra maniera eh' egli non creda
ch'io possa r una lodare senza biasimare l'altrai.0
s' egli loda l' una, e non fa dell' altra menzione, come
noi fossimo al consiglio per provedere qual è meglio
o la pace, o la guerra, e io non finis» di lodare la pace,
ma della guerra non facessi altra men^one. O se io
dimandassi d' una certa cosa e tu mi rispondessi d'u-
na generale ; che se io ti dimandassi dell' uomo se 1 .
corre, e tu mi dicessi eh' un animale corre. O se la ra-
gione che'l parlatore rende è falsa, che s'egli dice che'
danari sono buoni, però che danno più felice vita che
cosa del mondo, certo la ragione è falsa; però che' da-
nari danno id altrui grandissimo travaglio e mala ven-
tura, secondo Iddio e secondo il mondo. O se il par-
latore rende fievoli ragioni di suo detto si come fece
Plaustro; ed egli non è buono (diss' egli) che l'uomo
castighi il suo amico del misfatto anzi tempo, e però
non voglio io oggi castigar lo mio amico del mal ch'e-
gli ha fatto. O se il parlatore rende tal ragione di suo
detto che sia quel detto medesimo ; che se dice die
avarizia è troppo mala cosa, però che cupidità d' ar-
gento ha fatto già molti dannaggi a molte genti; certo
avarizia e cupidità sono una cosa. O se il parlatore
rende picciole ragioni là ov' egli le potrebbe rendere
più grandi; che se dice, buona cosa è amistà, però che
l'uomo n' ha .molti diletti, certo egli può rendere mi-
LaHni, FoL II. 20
584 "' TKSORO.
do, noi per la sola fidanza di lui, e non per nostra
bontà, nel "nome del sovrano Padre, per lo comune
consiglio di tutti i nostri amici, e V onore, e V uffiò)
riceviamo di vostro govemamento, secondo 0 dÌTÌsa-
mento di vostre lettere, specialmente sopra qaella fi-
danza che noi crediamo veracemente^ che'l senno df'
cavalieri e del popolo, e la fede e la lealtà di tatti i
cittadini aiuterà portare parte di nostro carico, per
buona ubbidienza. E quando egli ha a rimandare le
lettere indietro, e lo messaggio, allora immanteoeole
apparecchi suo fornimento, ed allora si procacci d'a-
vere cavalli ed arnesi buoni ed onorevoli. Ma sopn
tutte cose si brighi d^ avere buon giudice, e suo asses-
sore discreto, savio e provato, che tema Iddio, e sii
buon parlatore, e non duro, che sia casto di suo cor-
po, né non sia orgoglioso, ne cruccioso, né pauroso,
ne bilingue, e non desideri pregio di fierìtà, ne di pie-
tà, anzi sia forte, giusto e di buona fé, religioso a Db
ed a santa chiesa 3 che nella legge è chiamato il giud-
ee sacramento, al cominciamento della digesta, là ove
egli ti dice, l' uomo ti chiama degnamente prete, ed
uomo che ha dentro a se giudicamento ; ed in molti
altri luoghi dice la legge che 1 giudice è come sagrato
della presenza di Dio, e eh' egli è in terra, come un
Iddio 5 ma se non il trova così compiuto di tutte cose,
per ciò che tutti li antichi uccelli non sono cecini, sia
almeno leale, proamabile, che non possa essere cor-
rotto, e sia di buona fé, ma non semplice, non sia in-
viluppato di vizii rei. Guardi duilque il signore di non
lasciare buon giudice per danari, là ove egli lo trove-
rà ; riiè gli è scrìtto, male a colui che va solo, che se
LIBRO NONO. 585
cade, non è chi 'I rilevi. Perchè io dico, che 'l signo-
re che va nella signoria per onore più che per mone-
ta, e' dee guardare per cui lo diritto sarà governale :
che sì come la nave è governala per li timoni, così è
governata la città per lo savere di giudici. Altresì dee
egli avere suoi nolari buoni, e savi di legge, che sap-
piano ben parlare e ben scrivere carte e lettere, che
sian buoni dettatori, e casti di suo corpo ; che mollo
la bontà del notaio ammenda e cuopre il fallo del giu-
dice. Anche dee menare a sua compagnia savi cava-
lieri, e ben costumati, che amino T onore di loro si-
gnore, e siniscalco buono, e valenti sergenti, e tulta la
famiglia savia e temperata, senza orgoglio, e senza fol-
lia, e che volentieri ubbidiscano a lui ed a quelli di
suo albergo. Appresso ciò,, suole P uomo fare nuove
robe per lui e per suoi compagni, e vestire tutta sua
famiglia ad una taglia, e rinnovare sue armi, e sue ban-
diere, e sue altre cose che vegnono alla bisogna ^ e poi
quando il tempo appressa, egli dee mandare suo sini-
scalco, per fornire la casa di quelle cose che bisogna.
Che il savio dice, meglio è accorgersi dinanzi, che di-
mandare consiglio dopo la fine del fatto.
Capitolo IX.
Della compagnia che il signore dee menare per il cammino
con seco.
Or suole addivenire che nel tempo che '1 signor è
per andare a sua via, lo comune della città gli suol
mandare delli onorevoli cittadini insino al suo alber-
go per fargli compagnia per il cammino, o per pregare
Latini. Voi. II. aa
7»Hf» m TEsoBo.
il comune di sua città che ^1 lascino andare alla loro
signoria, o per altra cagione'; ma come si sia, egli lì
dee onorare e congioire maravigliosamente, e mandare
loro grandi presenti, ed andarli a vedere al loro al-
bergo. Ma guardisi bene che egli non parli ad alcun
di loro in privato, eh-'; di tal parlamento nasce spesso
mala sospezione. E però è ora lasciato queir uso. che
poche città gli manda tali ambasciatori airincontro ; e
quando si mcllc alla via, nel nome del Terace corpo
di Dio, egli se ne va tutto diritto a suo ufficio, infie-
rendo sempre, e spiando del r usa e delle condiiion
della città, e della natura delle genti, si ch^ egli sappii
innanzi di' egli entri. E quando egli è appresso alh
città ad una giornata, egli dee mandare innanzi swi
siniscalchi con tutti li cuodii che governino la magio-
ne e Talbergo; e dee altresì mandare alla città le let-
tere di sua venula, e la mattina eh' egli dee entrare
nella città dee senza fallo udire V ufììcio e la messa
del nostro signore Gesù Cristo. DalP altra parte il suo
antecessore, ciò è a dire quello che tiene la signorìa
della città, immantenenle che riceve le lettere del no-
vel signore, la sua venuta facci bandire per h città,
che tutti i cavalieri e borghesi che hanno cavallo va-
dano incontra al podestà, ed egli medesimo vi dee an-
dare con messer lo vescovo, s' egli v' è, o s'egli vole
andare. E cerio il novo signore quando si trova con
r altro debbono cavalcare amendue per cavare tutta
la sospezione alla gente, e salutare la gente di buon'
cuore, ed in questa maniera debbono andare tutti deiH
tro alla mastra chiesa, ed andar dinanzi all' altare in-
ginocchione e pregare Iddio umilmente con tutto suo
ÌAhKO NONO. 587
cuore e con lulta sua fede, ed offerir onorevolmeate,
e poi andare là oy^ egli dee.
Capitolo X.
Come il signore deBbe parlare il giorno della sua venuta.
A questo punto ha più diversità^ che le son alcune
terre che hanno a costume, che ^1 signore se ne va al
suo albergo, e Puomo li porla il libro degli statuti
della città, anzi ch^egli faccia suo sacramento^ e in ciò
ha egli gran vantaggio, che si può meglio provvedere
contra li capitoli che sono contra di lui. Altri sono
che hanno in usanza, che immantinente che U signofie
è dentro alla città, e che gli è stato dinanzi alP altare, è
menalo dinanzi al consiglio della cittade, dinanzi alla
comunità della gente, là ove sono assembrati, e quivi
fanno giurare Idi e li suoi ufficiali innanzi che '1 Ubro
de^ capitoli sia aperto, né che sia portato a lui, né a^
suoi giudici. Ma lo signore ch^ è savio richiede lo co-
mune, che li dieno arbitri sopra li rei statuti, e non
per suo prò', ma per il meglio della città, e per il male
delii malfattori. Se Tuomo li dà, ciò è buono ^ e se ciò
non è, egli li prieghi, che se avesse alcun malizioso
capitolo contra lui, o contra '1 comune, o contra san-
ta chiesa, egli possa essere ammendato per lo buon con-
siglio 5 ed è buono s' egli lo fa scrivere in carta pub-
blica ^ e se ciò non è, egli &rà lo sacramento, secondo
chVgli saia divisato da parte del comune. La Cbrma
del sacramento è tale: voi, messere, giurerete al santo
vangelo d"* Iddio, di governare le cose e la bisogna di
questa cittn, le quali appartegnono al vostro ufficio, e
549 n.
di ^uklve. oMidnoere e ■antcnere ìm città, e 1 cn
taflo. e tulio MIO distretto, e tutti ■■■■■»■ e feaifl
caTaberL e borehesi: e kiro diritto ■■■ntcìMH, defa
dcre. e euardare ciò die 'I conone oidiiwiento a
manda di lare, che sia fitlto per tutte genti : spedi
meute sii oiiaDi. e le TcdoTC. e le ali ve genti che si
r^oivi io piaUi dinanzi da toì e dalli Tostrì giudici :
di guardare chiese, spedali, e toUe altre ongioai e
religiosi, e di pellegrìni, e di mercatanti, e di 6r qn
che è sciitlo io questo libro delti ordinamenti ifi qoe
sia ritta, nel quale voi giurate in leale oonsaena, li
mrjsso amore, odio, e prego, e Intte ntnìwwi^^ aeoood
la vostra verace intenzione, da questo prossimo d
d^ogni santi ad un anno, e tutti li giorni di qoesl
«igni santi. In questa maniera dee fere il sonore su
sagramento ^ salvo ciò, s'egli v^ha nulla cosa die deb
ba essere cavata del sagramento, che se ne cavi pri
ma che pena la mano in sul libro. E quando egli h
giurato, immaotenente debbano giurare tutti li gÙicì
cavalieri, notarì, e ciascuno in diritto di se, di fo
ììene e lealmente il loro ufficio, e di dare al s^nor
buono consiglio, e di tenere credenza, ciò ch^è da te
nere privato.
Capitolo XI.
Che lo signore debbe fare quando è venuto alla cittade.
A questo punto ha più diversità di cittadini^ son
cIk; hanno in coslume, clic immantinente che ^1 signo
ha futU) suo sagramento, egli parla dinanzi alle geni
<lellu città ^ e altri son nelli quali non fa niente, ana
se tic va L)e]lamente al suo albergo, ispecialmente s
UBRO NONO. 589
la città è in buona pace. Anche v'ha altre diversita-
di, che o ella ha guerra di fuori contra suoi nimici, o
ella ha guerra dentro con suoi cittadini, o eli' è in pa-
ce dentro e di fuori. Per la qual cosa io dico ohe M si-
gnore si dee tenere alli savi del paese; che se Fuso
della città richiede ch^egli dica, egli potrà ben dire
cortesemente le parole, senza comandare alcuna cosa ;
che tanto quanto egli è il suo antecessore in sigtioria^
egli convien mettere la mano, ma non comandare al*
trui nulla; ma e* può ben pregare e ammonire la gen**
te senza alcun comandamento, e divietare alcuna co-
sa ; o se la terra è in pace, egli può parlare in questa
maniera: Al cominciamento del mio dire chiamo io il
nome di Gesù Cristo, lo re che può tutto, e che dona
tutti i beni, e tutte potesladi, e la gloriosa Vergine
Maria, e messer santo Giovanni, eh' è capo e guida di
questa città, che per loro santa pietà mi dieno grazia
e podere ch'io oggi in questo dì, e tanto com'io sarò
al vostro servìgio, dica e faccia quel che sia laude e
gloria di loro, e reverenza di messer lo Papa, e di mes-
ser rimperadore della santa Chiesa, e dell' imperio di
ISoma; e che sia Onore e pregio di messere ; a che j^
stato vostro signore, ed è ancora; e che sia accresci-^
mento, e ammendamento, e stato, e buona ventura di voi
e di questa città e di tutti vostri amici. Se io volessi
fermare la materia di mio parlamento di sì nobile cit-
tà come è questa, e ricordare il senno, e 'l podere, e
r altre buone opere di voi e de' vostri antecessori,
certo io non potrei venire a capo, tanto è alta la ca-
valleria e 'I franco popolo di questa città; però mi ta-
cerò io anche di messere A. medesimo, e delle sue
Sgo ii< HBSORO,
buone opere ch^ egli ha fiilto qoesl^ anno in vostra si-
gnorìa e al goTemamento del cornane, e di tutte gen-
ti, non dirò io niente, ch^ egli risplende per il mon-
do come la chiarezza del sole. Egli è vero che Toi
m^avete eletto vostro signore e podestade di voi, tat-
to che di ciò non sia degno per miei meriti, ne per mia
bontà, non però, alla fidanza di Cristo e dei buoni
uomini di questa città, io ricevetti P onore che voi mi
faceste con tal cuore e con tal intenzione ch^ io metto
[ler voi cuore e corpo, senza schifare del corpo dan-
naggio d^ a vere. E poi che voi m^ avete fatto il più
grand^ onore che gente possa fare io questo secolo^
cioè a far me signore e conducitore di voi per vostra
voluntà, io spero veramente* che voi^ starete fermi e
obbedienti al mio onore e al mio comandamento^ spe-
cialmente per il pro^ e per il governamento di voi e di
vostra citta ^ e tanto sappiate che tutti quelli che del
consiglio saranno, io li amerò, e farò loro grande ono-
re ; gli altri che faranno torto, e fuori di ragione, a
qualunque sia grande, o picciolo, io li condannerò e
tormenterò della persona e dell' avere, in tal maniera,
che la pena d' uno sarà paura a più. Io non son ve-
nuto per guadagnare argento, ma per acquistare laude
e pregio e onore a me e a' miei amici ; però me ne
anderò io per lo diritto e per lo corso di giustizia, in
tal maniera, che io non penda ne a destra, né a sini-
stra ; che tanto conosco io bene, e ciascun il dee sa-
pere che la città dee essere governala secondo ragio-
ne, e secondo dinlto,e secondo vii'tude,sì che ciascun
abbia ciò che dee avere; che quando li malfattori siano
l'uno cacciati fuori, e l'altro liveralo a pene, certo
• LIBRO NOMO. 3pl
ellu cresce e multìplìca di gente e d^ avere, e dura
sempre a buona pace, alP onore di luì e de^suoi ami-
ci. Perchè io mi torno a colui, al quale io incomin-
ciai, cioì a Dio onnipotente^ che dia a yoi e a me e a .
tutti li cittadini e abitatori di questa città che qui so-
no e altrove, grazia e potere di ^e e dire quel che
sia accrescimento di voi e del comune e della città e
di tutti quelli che ci amano di buon cuore. In questa
maniera può il nuovo podestà dire parole di sua ve-
nula. Ma il savio parlatore dee molto guardare T uso
e lo stato e la condizione della città, sì che potesse mu-
tare queste parole, e trovare altro, secondo luogo e
tempo. Ma se la città ha guerra dentro per la discordia
che fosse tra loro, allora conviene che ^1 signore parli
^ questa maniera. £ sì può bene seguire quel che è
dinanzi, e là ove egli vede che meglio sia a suo delto^
puote egli rammentare come nostro Signore coman-
dò, che pace e buona voluntade fosse tra la gente, e
come egli sarebbe lieto di averli trovati in pace e buo-
no amore ^ che si conviene molto che suoi suggelti
sieno in concordia, e se elli non sono, che li torni ^ e
come concordia innalza le cittadi, e fa arricchire li
borghesi, e guerra li distrugge^ e rammentare Roma
e delle altre buone citta, che per guerre dentro sono
menovate, e andate male, e come la guerra de^ citta-
dini ùi molti mali, sì come di rubare chiese, cammini,
ardere case, malefìcii, ladronecci, adulteiìi, tradimen-
to, e perdizione di Dio e del mondo. Queste altre pa-
role dirà il signore nella sua venuta, pregando e am-
monendo la gente d^ avere pace, e lasciare Podio, e di
fare bene, e dire^ come non lasrierà lo consiglio de^
;>C|3 IL TESOEO.
suvi uomÌDi, e slalNlirà. la bisogna bene e onorevol-
loente. E quando la città ha guerra con un^ altra città,
certo il signore nella sua venuta può ben s^uitare b
* materia eh* è divisata qua innanzi, là ove egli vede
f'he meglio stia, e giungere tra P altre parole: egli h
\ ero che tutto '1 mondo il sa, che per lo torto fàtto^
che non potea, né dovea essere pia soffèrto, guerra è
venuta in tra voi e' vostri nimici a gran torto, e a
(;ran dislealtà di lor parlare. £ già sia questa bisogna,
ella richiede di molte cose, non per tanto io non par-
lerò se non poco, che si conviene che sia più il fallo
che U detto ^ ma scegli ha in questo secolo vivente co-
sa ov(> r uomo potesse operar sua forza, o suo potere
ad acquistar la nominanza di sua virtù, dico io, in ciò
la guerra passa tutte bisogne, ch^ ella fa V uomo prqi
dell' arme, ardito di cuore, vigoroso, e pieno di virtù,
e forte al travaglio, sollecito agli aguati, e ingegnoso
in ogni cosa ^ studia ciascuno dunque in sé medesimo,
se in queste cose dinanzi dette sia cresciuto fornimea-
to di belle armi, e di buoni cavalli, che tali cose dan-
no air uomo talento di combattere, e sicurtà di vitto-
ria, e fanno ai nimici paura, e voiuntà di fuggire: siate
d'un cuore e d'una voiuntà; siate fieri e fermi alPas-
.«-embramenlo; andate slrelti alla battaglia, e non con-
viene sceverare senza comandamento; sovvegnavi de'
vostri antichi, e delle vittoriose battaglie; e io mi fido
tanto nel valore e nella bontà di voi, e di vostra gen-
te, e al diritto che voi avete conlra vostri nimici, che
avrete la vittoria e l' onore con voi. Tali e altre jte-
rolc, che 'i savio parlatore saprà dire e trovare alla
niaiiiera. dee egli dire in Ira suoi cittadini, in tal ma-
LIBRO NONO. 593
niera, eh' egli Teggia che sia più loro a grado, e poi
far fine al suo detto ^ e quando egli è assiso, il suo an-
tecessore dee immantinente levare suso, e fare suo
prologo breve, e saviamente, e rispondere a quello
che r altro ha detto, e lodare lui, e suo detto, e suo
senno, e sue opere, e di suo lignaggio, e farli grazia
dell'onore ch'egli gli ha fatto in suo detto ^ e alla fine
di suo parlare sì debbe egli comandare a tutti, che
ubbidiscano al novo signore 3 « quando egli ha ciò
detto, ^a comiato alla gente tutta, e ciascun se ne
vada a sua magione. Or suole addivenire alcuna vol-
ta che col novel signore vegnono alcuna volta gentili
uomini di sua terra per lo comune di sua città che
[>arlano in quel luogo medesimo, e portano salute, e
divisano 1' amore eh' è in tra P un e l' altro comune, e
lodano la città e' cittadini, e il podestà vecchio e sua
signoria ^ e lodano il signore novo, e suo lignaggio, e
le lor buone opere; e mostrano come tutto '1 comune
di lor città si tiene a grand' onore, e a grand' amore
ciò eh' elli hanno eletto loro governatore 5 e dicono
che '1 comune di loro città e '1 signore li comandaro, a
pena della persona e di suo avere, che faccia e dica
quel ch'egli torni onore e utilità della città eh' egli ha
a governare; e però pregano le genti della città ch'el-
lino l' ubbidiscano, e diengli aiuto e consiglio, in tal
maniera che possa onorevolmente finire suo ufficio. E
quando eg^i ha così detto, il vecchio signore dee fai*e
onorevole responsione in questo parlamento medesi-
mo eh' egli risponde al novello signore, così come il
conto qui dinanzi conta, ovvero in altra maniera, se
la condizione porla.
5^4 ''' TESORO.
Capitolo XH.
Come debbe (are il signore quando egli ha fatto il sacnmeoto.
Appresso il parlamento deiruno e delF altro e del
sacramento se ne dee andare il signore al suo albergo
e aprire il libro delli statuti e dei capitoli della città,
nelli quali i suoi giudici e suoi notari debbono legge-
re e studiare dì e notte quel che hanno a fare, quel di-
nanzi dinanzi, e quel di dietro didietro^ chè^uestaè
grandissima bontà di gludicL E rìtegnano e leggano li
statoli sì spesso, e in tale maniera, ch^ elli li tengano
in tutto loro bisogno. E al signore medesimo si coo-
vicne ch^ egli si sappia bene, e specialmente tutti li
punti, che quanto più lo leggano più se ne ricordano
tutto di. E quand^ elli hanno diligentemente riguar-
dato, allora debbono elli immantenenle notare la for-
ma del sacramento, e li ufficiali debbono giurare d'es-
sere leali alla signoria, e mandare per tutti queUi che
sono rettoli in ciascuna cappella, ch'olii giurino innan-
zi, e poi facciano giurare tutti quelli che sono da por-
tare arme, e scrivano i nomi, e diengli iscritti alli nota-
ri. Appresso ciò, debbe egli eleggere suo consiglio se-
condo la legge della città : ma debbono procacciare
che' consiglieri siano savi, e buoni, e di buon talento:
che da buona gente viene buon consiglio ; poi li altri
ufficiali e sergenti della corte buoni e leali, che gli aiu-
tano a portare il pondo di suo ufficio, e mettere col si-
gnore e albergo, eh' egli fa questi e quest' altri appa-
recchiamenti. E anzi che monti in su l'albergo del co-
mune, né che sia in sua propria signoria, egli si dee
LIBRO SONO. 3y5
Spesso consigliare a^ savi della città; e se la città ha
nulla discordia dentro, o di fuori, egli si dee molto
sforzare di mettere pace : e se ciò non fosse, di tal ma-
niera che^ suoi cittadini non volessero ch^ egli vi si
obbligasse, il signore si dee molto guardare ch^eglì
non dica già ne V odio, ne la discordia di sua gente.
Capitolo XIII.
Come il signore dee ammonire li suoi ufficiali quando egli
entra prima in sua signoria.
E quando il dì è venuto, che P uomo dee comia^
ciare il suo ufficio, egli dee la mattina primamente an*
dare alla chiesa a udire V ufficio, e a orar Iddio e li
suoi santi, poi immantenente se ne vada al palagio dd
comune, e tegna la sedia di sua signoria. E però ch'e»
gli è venuto al sedio, dee V uomo lasciare al governa-
tore la provvidenza di stabilir le pene, specialnoente
sopra le picciole colpe; dee il signore stabilire suo ban-
do per lo consiglio de^ savi, e suoi ordinamenti tali
che sieno accordevoli air uso della terra, che non con-
traddicano a' capitoli della terra ch^egli giura. In pri-»
ma che il primo dì di festa, che viene egli, si faccia as-
sembrare tutte le genti delia citlade, nel luogo che ha
costumalo, e dinanzi loro dee egli parlare sì alto, che
tutti lo intendano , e tegna suo detto per quella ma-
niera medesima ch^ egli tenne il primo dì, salvo che
ora dee parlare più fìeramente, e comandare, e divie-
tare come signore, e pregare, e minacciare, e ammo-
nire, sì come egli vederà che bene sia. E quando egli
ha finito suo conto, e suo notaio dica ad alte voci in-
596 IL TESORO.
tendevolmente gli ordinameoti ; e non dee sofftrire
niente lo signore, che nullo uomo della cittade si lie?i
nel parlamento : che se uno vi dicesse, l' altro vi di-
rebbe, e così sarebbe un grande ìmpacciamento, e
ispecialmente s"* egli ha nella cittade due parti.
Capitolo XIV.
Come il signore dee ammoDire i suoi ufficiali
quando è in signoria.
Appresso debbe il signore suoi giudici e suoi noia-
ri e suoi compagni e gli altri suoi ufficiali del suo al?
bergo pregare e ammonire .di ben fare, il più dolce-
mente ch^egli può : e dopo il prego comandare ch^e-
gliiio guardino Tonor suo e del comune, e che vegghi-
no e studino ciascuno a suo ufficio, e che rendano a
ciascuno suo dritto, e sbrighino tutte cose il più tosto
che possono, e salvare V ordine della ragione, e che
si guardino da tutti i vizìi, e dal biasimo della gente,
e che non si cruccino con gli uomini, e che non va-
dano in taverna con un uomo ne per mangiare ne pec
bere, e che a nullo siano famigliari, e che guardino
che non siano corrotti per moneta, ne per femina, né
per allra cosa 3 e se altrimenti facessero, io dico eh' io
li debbo punire vie più gravemente che gli altri ; che
più grave pena cade sopra i nostri, e sopra quelli che
debbono guardare li nostri comandamenti.
ijbho ?roffo. 597
Capitolo XV.
Come il signor novello dee onorar il suo antecessore.
■
In tra le altre cose che con regnano al signore si è,
ch^egli addolciste il cuore del suo antecessore, e che gli
faccia onore e amore- quaat^ egli può 3 e quand^cgU
TÌon a rendere sua ragione, non sofferi che gli sìa fat-
to Aèonla né torto. Che si convien al signore di-
struggere r iniquità de^ rei sotto buona giustizia ] o sa
egli ch^egli veiiii a quel punto: e sì come egli avrìi
misurato al stto padre^ così mìsnrera a lui 1 suo fi-
gliuolo 3 ch'egli è scritto che tali doycmo essere a' no-
stri padn, che noi Tolemo che sieno a noi i nostri fi-
gliuoli.
Capitolo XVI.
Come il signore dee ragunare il consiglio delia terra.
Quando '1 signore è venuto a sua signoria tenere,
c^ dee molto pensare di di e di notte delle cose ch'ap-
partegnono a suo ufficio e a suo govemamcnto ; e tut-
to che sia guardia e capo del comune, nientemeno ne*
gran bisogni e ne'dottosi debb' egli assembrare il con-
siglio della citte, e proporre dinanzi da loro la biso-
gtia, e dimandare eh' eglino il consiglino, acciò che'l
buono sia f>er il bene della ciltò, o udire quel che di*
iianno. E se la bbogna fosse grande, egli se ne dee con-
sigliare una Tolta e più, e se è mestieri nel picciolo
consiglio o nel grande agglugnere al consiglio degli al-
tri savi e eie' giudici e de'i-eggilori dell'arti e dell'al-
tra buone genti ^ ch'egli è scritto, che di gran consiglio
LuUiù. fof. ti, ai 3
39B IT' TESORO.
Tiene gran salule. E al -vero dire, il signore può sictH
ramente andare secondo lo stabitimento del ^XMisigliof
che Salomone dice, ogni cosa fa con consiglio^ e do-
po ^1 fatto non te ne pentirai. Ma guardi bene il si-
gnore che la proposta che fa innanzi al consiglio ^
breve^ e sia scritta a pochi capitoli ^ cbè la moltitudi-
ne delle cose ingenera impaccio, e scura li cuori, e
fievoiisce il miglioi'e senno, perchè il. senno che pen-
sa molte cose è minore in Ciascuna eosa. E .quando il
notaio ha letta la proposta dinanzi aVconsiglieiij il
signore si lievi e ridica la bisogna com\ella è, e co'
m^ ella fu ^ poi guardi bene ohe^ suoi d#li siano nodi
e semplici, in tal maniera,- che -nullo possa .dire che
voglia più r una cosa che P altra, io non dico niente
che ^1 signore non poàsa dire alcuna Volta, se ciò n^
fosse cosa che generi sospezione, che vi ba molte gea-
ti, che per invidia e per odio dicono più coatra al sh
-goore. E quaud^ egli ha detto sua proposta e^ dee in»-
mantenente comandare che non si dica d^ altre Cose,
se non dì quelle che son proposte, e che nxdlo si bri-
ghi di lodare né lui, né li suoi, e che ascoltino quelli
che parlano; allora dee egli comandare alli «iuoi nc^
ch^ eglino immanteneàte mettano in iscritto il detto
delli dicitori, e non tutto ciò che dicono, ma qtìel che
tocca al punto del consìglio, E quando elli hanno det^
to e d^ una parte e d^ altra, lo signore si leti, a divisa-
re lì detti per partire V uno dalP altro:- e quello a che
s^ accorda la maggior parte della gente che sono nel
consiglio debba essere fermo eslabile, e così dee scrì-
vere il notaio ; e se è mestieri per meglio chiarire la
bisogna, egli può scrìvere li consiglieri^ e oom!elli s'ac-
LIBRO HOVO. 599
cordano air una parie e alPaltra.E quao^^o quest^ è
fallo bene e diligentemente, ii signore sì dia loro co-
miato: e s^è mestieri sì comandi di tenere credenza, e
chi non la tiene, sì debba essere procondannato co-
me traditore. E infra P alt re cose debbe il signore o»
norare quelli del consiglio, ch^elli sono suoi membri:
e ciò ch'elli fermano sì dee essere fermo senza muta-
zione, se quello non fosse per il m^ltoramento del
comune. Ma P uomo non dee raunare il consiglio per
ogni òisa, ma per quelle solamente ch^hanno mestieri.
Capitolo XVII.
Come il signore dee onorare gli ambasciatori.
E quando gU ambasciatori delle strane t^rre ve-
gnono a Ini per alcuna bisogna che tocca all' una ter-*
ra e all'altra, il signor li debbe Totentieri vedere e
onorare e ricevere lietamente. E innanzi eh' egli dia
loro il consiglio sì dee molto procacciare di sapere per^
che sono venuti, se può : che potrebbono venire per
tal cosa che non sarebbe da darli consiglio : e tal po-
trebbe es!$ere eh' egli lo Tannerebbe il picciolo consi-
glio senza più, o per ventura il grande, o tutto '1 co-
mune della città. Mas'dlisono legati di messerloPapa,
o di messer loImperadorediRoma o di Costantinopoli,-
o d'altri grandi signori, egli non dee niente vietare il
consiglio, anzi lo dee andare a rincontro, e accompa-
gnarli, e onorarli in tutto suo podere. E quando egli
hanno parlato al consìglio, il signor dee rispondere,
e dire ch'elli sono signori dell'andare e del stare, e
li savi della città penseranno quello che sia coovene-
4oO ili TESORO. .
Tole. E quando li ambasciatori sono in fuori del con-
siglio, sì dee egli intender le voluntà delli consiglieri,
e com^ eglino stanziano di far lo fatto e la risposta.
Capitolo XVIU.
Come il signore dee mandare gli ambasciatori .
Qoando addiviene che 1 signore abbia a mandare
ambasciata fuori della terra, se la bisogna ne fosse di
gran peso, egli si dee legger per pulizie in Ira ixmisì-
glieri della città, o altramente secondo l'uso della cit-
tà : ma s^ elli debbono esser mandati a messer lo Papa,
o a messer l'Imperadore, o in altra parte che richieg-
gia gran sollecitudine, io lodo chel signor medesimo
li elegga tra tutti li migliori della città, s'egli è volere
del consiglio.
Capitolo XIX.
Come il signor dee udire le cose e gli aTTOcatì.
Per udir il desiderio della gente, e per appareggiare
il romore de' cittadini si conviene eh' egli sia spesso
ad udire le slraordinate cose che si fanno, e eh' impe-
disca e menimi li piati di tutti: che questa è gran
bontà che'l signor costringa li suoi suggetti intra' ter-
mini del diritto, eh' egli non vegliano in discordia ;
però che'l fuoco che non è spento prende alcuna vol-
ta gran forza. Ma s' elli addiviene alcun forte ponto
onde egli dotti, io lodo ch'egli vi meni uno de^suoi giu-
dici, ed usi loro consiglio, o eh' egli vi ponga fine tan-
to eh' egli ne sia consigliato. E molto è bella cosa ed
LIBRO KOKO. 4^1
onesta al signore quando siede a banco ch^ egli inlen-
da volentieri P un e T altro, e specialmente gli avvo-
cati e principali delle cose, che gli scuoprono*la forza
de' piati, e manifestano la natura delle questioni : per-
chè la l^ge dice, che loro ufficio è molto buono ed
utile agli uomini ed a loro vita, tanto, o più come s'e-
gli combattessero con la spada, (MCol coltello, per lo-
ro parenti, o per loro paesi, che a noi non crediamo
oescientemente. Disse Pimperadore, che solamente co-
loro fossero cavalieri che usano lo scudo e lo sbergo,
ma nella cavalleria li avvocati e padroni delle cause :
e però dee lo signore ben provedere, che se alcun po-
vero, od altro si lamenta dinanzi da lui, che non pos-
sa avere avvocato, o per fievolezza, o per potenza dei
suo avversaiio, egli dee costringere alcun buono av-
vocato che sìa in suo aiuto, e che'l consigli, e dica
sua ragione e sua parola. £ quando il signore ha udi-
re le parti, allora debbe molto ben pensare com' egli
risponda ^ né non debbe nulla cosa fai*e co.me folle, an-
zi siivlamenle ciò ch'egli dimanda^ e quello che stabi-
lisce sia per consiglio e per stabilito, sì che sia di-
ritta e savia opera e palmola: altrimenti suo detto sa-
rebbe in luogo di stultizia, e ciascuno V intenderebbe
per niente : perchè io dico che se trapassa alcuna voi-
ta il bene, od in suo detto, od in suo fatto, egli non
ha onta s'egli l'ammenda, anzi è grande virtù che cia-
scun errore torni al diritto^ e quel debbe il signore
fai'e, secondo che la legge comanda.
4 02 IL TESOEO.
Capitolo XX. ^
Come il signore dee (are sopra li malefici.
Sopra latte cose debbe il podestà fiire che la città
elle ha suo goreiTiamentQ sia in buon stato, senza bri-
ga e senza forfatto. 'Er questo non può fare, scegli noa
fii che- li malfattori, ladroni e falsatori sieno fìiori del
paese : che la legge comanda bene che ^1 signore pos->
sa purgare il paese detta mala gente. Pero faa egli la
signoria sopra li forestieri e sopra* cittadini che fìinno
* li peccati nella sua iuridizione, e non per tanto egli
non giudicherà a pena quelli ch^è senza colpa: ch^e^
gli è più santa cosa a solrere un peccatore che dan-
nare un giusto ; e laida cosa è. che tu peixia ti nome
d^ innocenza per odio d^un nocente. Sopra li malefi-
ci debbe il signore e suoi ufficiali seguire il modo del
paese, e \ ordine di ragione, in questa maniera: pri-
ma debbe quelli cne accusa giurare sopra il libro di
dire il vero in accusando ed in difendendo, e che non
vi mena nullo testimonio a suo sciente: allora dee dare
r accusa in iscritto: ed il notaio la scrìva tutta a pa-
rola a parola, si come egli la divisa : e dee inchiedere
da lui medesimo diligentemente ciò ch^ egli, q li giu-
dici, od il signoi'e crederanno apertamente die sia
del fatto, o della cosa: e poi si mandi a ridiiedere
quelli che è accusato del maleficio : e s' egli viene sì
lo facci» giurare e sicurare la corte de^ malfattori: e
metta in scrìtto sua confessione e sua negazione, sì
come egli dice: e se non da^malfòttori, o che H male-
ficio sia troppo grande, allora debbe il s^^oore, ed il
MBRO NONO. 49^
giudice porre il 9ì da provare, e da ricevere li testi-
moni che vegliano, e costringere qudli che non ve-
gnono, ed esaminar ogni cosa bene, e saviamente, e
toettere li detti in iscritto^ e quando i testimoni sono
i>ene ricevuti» ^ giudice ed il- notaio debbon far ri-
credere le parti dinanzi da loro 3 e snelli vegnono, si
deU}oo aprire li detti de^ teslimoai^ e darli a ciascun
no, perchè si possano consigliare e mostrar loro ra-
gione. Ora addiviene alcuna volta ne^ grandi malefici,
die non possono essere provati interamente, ma V uo-
mo trova ben contra quelli ch^ è accusato alcun segno,
e forti ai^omenti di «ospezione ; a quel punto il può
Ttiomo mettere alla colla per farli confessare la colpa,
altrimenti no; e sL dico io, ch^alla colla il giudice non
dee dimandare se Giovanni fece maleficio, ma gene-
ralmente dee dimandare chi ^1 fece.
IS A PIT o L o XXI. •
Come il signore debbe condannare ed a.ssolrere gli accusati.
In questa maniera dee V uomo ricevere le accuse e
prove de^ malefìoifE quando amendue le parti hanjoo
mostrato ciò che vogliono, allora immantenente deb-
be il signor^ in una delle camere avere li giudici suoi,
e li notari, e vedere, e cercare tutto piato, e da mon-
te e da valle, tanto che conoscano la verità quello ch^è
mostrato dinanzi da loro. E se sono cei*ti del maleficio
per la confessione del mal&ttore medesimo, per sua
voglia, senza tormento, per testimonio, o per batta-
glia di cam[)o, o per contumacia, elli lo debbono con-
dannare di persona, o d^ avere secondo la quantità
4o4 li' TESOBO.
della oolpa, e secondo la legge delToso del paese, sì
che non sia né jpiù agramente, ne più mollemente che
Toglia la natura della colpa per nominanza di fierez-
za, o di pietà. E tutto che nelli gravi malefìzii conve-
gna grave pena, nientemeno il signore dee avere al-
cuno temperamento dì benignità : ma quelli che fu-
rono al nostro tempo non fecero così , ch^ elli dava-
no li tormenti al più fieramente che poteano. Ma quel-
li che non sono colpevoli V uomo li dee assolvere 5 e^
Dotari debbono mettere li condannati dair una parte
del quatemo, e li assoluti dalF altra. Appresso ciò dèh-
be il signore raunare lo consiglio, con nullo romore,
ne grida, e se vole può ben un poco parlare per ammo-
nire le genti, che si guardino che a sì picciole pene
come egli dà allora a quel malfattore, che un^ altra fia-
ta egli le darebbe più fiere 5 e che sempre le crescerà
insino alla fine del suo ufficio. Allora dee egli manda-
re per quelli che sono condannati in persona, che sie-
no quivi presente per udire loro sentenze: però che
sentenza di persona non può essere data contra nullo,
se non presente. ATlpra il notaio si lievi su, e legga la
sentenza, e li condannati : e quandis: egli ha tutto let-
to, lo signore P affermi, e comandi, che quelli della
persona imraantenente sieno giudicati^ e li altri pa-
ghino a certo termine assignato, e diane copia al<ra-
merlingo del comune, e dia commiato alle genti.
Capitolo XXII,
Come il signore dee guardare le cose del comune.
E quando il signore trapassa, che^ condannati deb*
bouo pagare loro condannazione, snelli non pagano.
LIBRO NONO. 4o5
lo signore sì dee costringere molto a pagare: cìiè poco
vale il condannare, s^ egli non il fa pagare. E dalP al-
tra parte il camerlingo del comune dee studiare che
sia ben fornito di moneta, per fare gran spese, e pie-
ciòle, che vegndno sopra il comuQe. E spesso e minu-
to vedere ragione del camerlingo^ è l' entrata, e 1' u-
scita, e che Paver del comune non sia spèso mal ordi-
natamente : che se^l dee guardare se medesimo di trop-
po largamente spendere, certo eMee assai meglio ri-
sparmiare le cose del comune, però che laida cosa è
all^uomo ad essere del suo avaro, e delP altrui largo 5
e tutto che fosse spenditore del suo ayei'e, sì dee es-
sere guardatore di quello del comune, e salvare e man-
tenere lo diritto del comune, le date, e le giustizie del
signore, le castella, e le magioni, e ville, le corti, gli uf-
ficiali, le piazze, e le vie, li cammini, e tutte cose che
appartengono al comune della città dee guardare in
tal maniera, che ^1 prò' e V onore del comune non me-
nomi, anzi accresca ed augmenti nel suo tempo. Altre-
sì dee il signore guardar .e fare méflesimamente dentro
e di fuori, e di di e di notte per li ladroni, e per li al-
tri malfattori.
Capitolo XXIII.
Come il signor dee guardare le cose del suo albergo.
Dentro dal suo albergo dee il signor ordinare sua
fòmiglia bene e saviamente, ciascuno in suo luogo e
in suo ufficio, e castigare V uno di [carole, e V altro di
verga, e ammonire suo siniscalco che sia temperato nel-
le spese, ma non in tal maniera eh' egli ne sia biasi-
mato d' avarizia, nìa che mantegna P onore di lui, e
2.y
4^)6 IL TESORO. . •
che sìa sufficienle alla genite di sua casa, sì che nulla
cosa manchi alla famiglia : pei^ò che *l bisogno' delle
rose necessarie potrebbe menare alimi a villano pen^
siero.
(Capitolo XXIV.
. .Come il ^igoor si.dee toosiglisre pon li sudi savi.
Péro dee egii onorare ed amare tutti quelli di sua
famigUa, e ridere e sollazzare, alclinà fiata con loro, ma
sopi-a tutti (tee àmafe ed otiordreli giudici e notaridi
sua corte, ch^ ellr hanno in maho'la maggior parte dt:!
suo ufficio,' e di suo onore, e dì sua bontà. E però
débbe lo savio podési ade a minilto e spesso, special-
mente li giorni delle feste, ed -alle ' fuocorsi di Terno
tulli raunare in sua camera, od in altra luogo, e par-
lare con loro delle cose che appart^nono al loro uf-
ficio, e cercare eh* etti fanno, e che questione ha di-
nanzi a loio, e vedere ' delle nature de' piati, ed im-
prendere così delle cose che debbon ferej che quesl'è
una cosa di gran serfno sovvenirsi dèlie coseandate, ed
ordire le presentì, e provedei'é queUe che son addi--
venire. Anche li debbe pregare, ebollì sieno la dirit-
ta bilancia che Contrappesi il diritto, secondo Iddio e
giustizia, e eh' elli guardnqo che 1 dirìtlo non sia ven-
duto per moTaeta, né per amore, ne per odio, ne per
altra cosa del mondo ^ma sovvegna loro che nostro Si-
gnoi*e comanda: amatela giustizia voi che giudicate ha
terra. Di questo si tace il maestro ora, e torna ad qU
tre cose.
LiBiio Nono. 4^7
Capitolo XXV.
Della discordia di loro che Togtiono esser temuti, *
e ili quelli che voglion essere amati.
Iq questa parte dice il conto, che tra^ governatori
della città suole avere una cotale differenza, che V un
ama più d^ esser temuto che amato, T altro desidera
più d^ esser amatQ-^pbè temuto. Quegli che ama più
d^ esser temuto che amalc^ desidera d^avere nome di
gran fierità; e però quegli voie mettete fiere pene ed-
aspri tormenti e crudeli, che Fuomo li tema più che
le città ne sieno più in pace ; e ciò provano per il det-
to di Seneca, che dice : che scarsità di pene corrompe
la città, e Tabbondanza de^ peccatoi'i mene Toso di pec-
care^ e quelli perde T ardimento di sua malizia ch^ è
fortemente tormentato^ e cheH signore sofferente con-
ferma li vizii, e la dolcezza del signore lieva la ver-
gogna de^ malfattori^ e più teme la pena posta per suo
6Ìgnoi*e, che la pena posta per suo amico ^ e tanti quan-
ti U tormenti sono più aperti tanti son più utili per
esemplo ; e tutto il mondo teme le pene degli arditi
signoi'i; e le pene delP uno sono paura di più. Gontra
questo dice P altro: ehe più vale ad essere amato che
temuto^ che amore non può essere senza timore, ma
timore può ben esser senz' amore. Tullio dice : che al
mondo non ha più sicura cosa a difendere sue cose
chVssere amato, che ciascun odia quegli cui egli teme,
e chi da tutti è odiato perire li conviene^ che nulla
ricchezza può contrastare alPodio di più, lunga pau-
ra manda guardia, e crudeltà è nemica di paura; egli
4u8 IL TESORO.,
conviene che ciascun tema. colui, da cui egli vole es-
sere temuto, e forse che paura non avrà già lunga du-
rata ^ e tutte pene debbono essere mosse senza torto,
non per il signore, ma per il bene del comune ^ né
pena non dee essere maggiore che la colpa; né nullo
dee esser condannato per tema d' un altro ; tutti i go-
vernamenti debbono essere senza follia e senza negli-
genza. Tullio dice : guarda che lu non faccia cosa che
tu non possi rendere ragione del perché. E# Seneca
dice; che mal fa chi piace più a sua nominanza che a
sua conscienza ^ crudeltà non è altro che 6erità di pe-
ne, perchè io dico, che quello è crudele che non ha
misura in condannare quand^ egli ne ha cagione. Pla-
to dice, che nullo savio dannò il peccato perchè fosse
fatto, ma acciò che non sia fòtto più per innanzi. Qoal
di0èr«nza è tra il re ed il tiranno? elli sono pari di
ventura e di podere, ma il tiranno & opere di cra-
deltà per sua voglia, che no 'l ùi gi'i il re senza neces-
sità; P un é amato, e V altro é temuto; quel è temuto
reo padre che sempre batte i figliuoli aspramente ; Io
più sicuro fornimento è T amore di cittadini ; quale è
più bella cosa in questo secolo, che ciascuno desideri
che tu viva? Per queste parole può l' uomo ben co-
noscere questa questione, che è «lemenza che conta e
un temporale ch^ egli può stabilire. Tullio dice : che la
più bella cosa ch^ essere possa a signoria si è clemen-
za e pietà, s' ella è giunta al diritto, senza il quale la
città non può essere governata. Seneca dice : quand** io
sou a governare ed a curare la città, io trovo tanti vi-
zii intra tanta gente, che per guarire il male di cia-
st uno il conviene che Funo sia sanato per ira, l'altro
LIBHU NONO* 4^9
Der mellerlo fuore per pileggìo, l' altro per dolore, e
y altro per poverlò, e V altro per ferro : e tatto che
jni convegna andare per lo dannare, io non andrò già
a furore, ne a crudeltà, ma io andrò per una vìa di
l^ge, per opera di savie voci, senza orgoglio. Giudi-
camento senza ira, è fare alti rei tal vista chente fan-
.no lì serpenti ad altre bestie che portano veleno: e
non si conviene che ^1 signor sia del tutto crudele^ ne
in tutto pieno di clemenza : che altresì è crudeltà per-
donare aWidi come perdonare a nullo: ma questa è
opra d^ altra clemenza a confonder li mali, e non per-
donarli : però io dico, che niun dee perdonare li mali
fetti: il giudice è condannato, perchè ^1 malfa ttor è as-
soluto ^altresì non dee esser troppo crudele, però che
nulla pena dee esser maggiore che la colpa, ne cader
■sopra V innocente^ che s^ ella è pena corporale, egli* è
omiddiale; e s^è de' danari, è tenuto di restituirli.
Capitolo XX VI. ,
4>elle cose che *1 signore debbe considerare nella
sua signoria.
Sovvegnati dunque che governi la città del sacrar
mento che facesti sul libro quando tu prendesti V uf-
ficio di tua giustizia e signoria, sovvegnati della legge e
de' comandamenti, e non dimenticare Iddio, e' suoi
santi, anzi va spesso alla chiesa, e prega Iddio per te
e tuo' soggetti 3 che David profeta disse: che se Dio non
guarda la città, per niente s' affaticano quelli die la
guardano. Onora il Pastore di santa chiesa, che Iddio
disse di sua bocca: clii voi riceve è religioso ^ e mo-
4 1 O IL TESORO.
slra diritta fede, però che non è più diritla cosa ne^
BÌgbor della terra, che avere diritta ùde e verace cre-
denza : ch^ egli è scritto, quando il giusto siede, sul se-
dio suo, nullo male può cadere contra lui. £ però
guarda le vedove femine e li oifenl: ch^egli è scritto,
siate difenditori delii orfani e delle vedove, questo è
che tu difendi il diritto contra lar malvagità de^ poten-
ti; non però in tale maniera che M potente perda suo
diritto per le lagiìme delle fievoli femine, però che tu
hai' in tua guardia li grandi, li piccioli € li mezzani.
Dunque ti conviene dal comandamento che tu prenda
r ufficio a netto cuore e pura intenzione, che le tue
mani sieno nette a Dio ed alia legge di tutti i guada-
gni oltra il salaiio del comune; e che tu difenda bene
1& cose del comune, e dia a ciascuno quel ch^ è suo e
prov végghi intra i tuoi sudditi che non abbiano tra loro
alcuna discordia; e snella v'è, che tu non sìa pi^to
più datr uno che dall'altro, ne per moneta, né per co-
sa che sia; e che tu intenda diligentemente li piati e
li lamenti ; e che tu debbi determinare picciole que-
stioni, tosto, e leggermente e senza scritto isbrighi ; e
che tu facci tutto quello ch'è scnito nel libro delle con-
stil azioni della citlà; e che tu mantenghi l* opre e gli
ediQcii del comune, e facci ben racconciare li ponti, e
le vie, e le porte, e le mura, e' fossi, e P altre cose; e
non sofTerir già che' malfattori scampino senza pena,
che nullo del paese li tenga ; li falsatori, e li li^ditori,
e quelli che sforzano le pulcelle, e che fanno gli altri
pessimi peccati d^i tu condannare fieramente, secondo
la legge e T uso del paese: tieni li (uoi ufficiali, in tal
maniera, che non facciano altrui ne torto, nò noia: ab-
LIBRO NOSO. 4 * '
hi inlorno'a.te'Ial consiglio «he sia buono e savio a
te: ed a ragione sia lale che tu paia a' rei lenibile, ed
a^ buoni grazioso. In somma guarda la seconda parte
di questo libro, ih ove paria qui addietro de^ % izìi e
delle virtudi : guarda cbe tu sii foraito di virtù e non
d. • • •• • . .
I vizn.
Capitolo XXVIl.
•''■■..
Delle cose di che il signore si dee guardare per cagione di sé stesso.
" ' , • • •
• ■ Ora dice il conto j che non vòle in questa diretana
fMiiie nominare la virtù della quale dee esser fornito
il signore, però- che n^ha assai detto lungamente nel-
la seconda ^rte del gi^n libro^ però se né tare. E non
per tanto egli dirà alcuno deVizìi, dalli quali il' signo-
re si dee guardare' veramente egli e li suoi savi; che
senza rullo' egli si dee mollo- guardare delle cose che
l'uomo comanda che si guardi ; secondo che T Apo-
stolo dice: io gastigo il mio corpo, e recolo in servi-
tude, acciò ch^ io non sia giudicato. Ed anche dice il
poeta, laida cosia è quando il maestro torna la colpa
sopra lui^ ma il ben dii^ si è da lodare quando fa quel
die dice, che ben dire e mal fare non è altro se non
condannare se con la sua parola. Appresso $i dee egli
guardare dà ebbrezza, e da orgoglio^ è da ira, e da a-^
varizia, e da invidia, é da lussuria, che ciascun dì que-
sti peccati è mortale a Dio ed al mondo, e fa il si-
gnore leggermente cadere del suo sedio. Ma molto si
dee guardare di Iroppo parlare, ch'i s'è' parla legger-
mente poco e buono P uomo lo tien più savio; molto
parlare non è già senza peccato : anche si dee guar-
dare da troppo ridere, ctfegli è scrìtto, che 'i riso è
4 1 a IL TEsuao.
nella bocca dello stolto; e non per tanto egli può ben
ridere e sollazzare alcuna volta, ma non a modo dì
garzone, nè*di femina, ne che paia falso riso, ne or-
goglioso; e scegli è buono delP altre cose egli sarà più
^muto scegli non mostra lieto viso, ispecialmente
quando è assiso ad udire piati. Anche non debbe Io-
dure se medesimo, acciò che sia lodato da^ buoni ; e
non caglia scegli è biasimato da^reì. £ guardisi daliuf-
ioni che^l lodano dinanzi a lui, e creda dì se più es-
sere ched^altrui: e sia altresì tristo quando è lodato da
rei come qiuindo £[isse biasimalo da buoni. E deesi
guai^dare dalli spioni che non dicano, ne £icciano cosa
folle e saputa eh** egli ne fia biasimato. Altresì guardi
che giustizia non sia venduta per danari, che la l^ge
dice : chi vende la giustizia per danari, che sia dan-
nato come ladrone; £ guardisi di non essere ^miliare
de^suoi sudditi, però che ne cade in sospezione ed in
dispetto. Anche si guardi di non ricever nullo presen-
te da nullo suo suddito, però che V uomo che riceve
ù dono, o presente, o servigio vende la sua franchez-
za, ed è obbligato come debitore. Anche si guardi die
lion si consigli occultamente con alcuno, ne non caval-
chi con nullo, ne non vada a sua magione ne per be-
re, ne per mangiare, uè per altra cosa, però che di
questo nasce sospezione ed invidia tra^ cittadini.
Capitolo XXVIII.
Delle cose di de il signore si debbe guardare
per cagione del comune.
Altresì si dee il signore mollo guardar elisegli in sua
guardia non faccia nulla cijngiuraztone, ne compagnia
LIBRO NONO. 4 * ^
con altra città, o gente del paese, e se a fare li con-
viene sì faccia per consiglio della città, e per comu-
ne volere delle genti : che in tali cose dee l'uomo .pen-
sare, anzi eh' egli faccia tale lega, che convegna poi
rompere sua fede, o s' egli non la rompe, che perico-
lo non ne vegna sopra lui. Anche si guardi eh' egli
non metta al suo tempo né dazio, né colta, e non fac-
cia nulla' carta, né debito, né nullo podere del comu-
ne, se ciò non fosse per manifesta utilità della città, e
per comune stanziamento del consiglio.
Capitolo XXIX.
Come Io signore si debbe proyredere in tempo di guerra.
In questa parte dice il conto, che in signoria ha due
stagioni. Una di pace e l' altra di guerra : e però ch'e-
gli disse assai neiruno e nell'altro libro de' vizii e del-
le virtù, nel capitolo della magniGcenza 3 non dirà ora
altra cosa, se non di ciò che si conviene al signore
quando va a governare la città. S' egli la trova in pa-
ce, egli dee essere troppo lieto e gioioso, e deesi guar-
dare eh' egli non cominci guerra al suo tempo, s' egli
unque può fare altro, che in guerra ha molti pericoli:
ma se ciò &r li conviene, faccia di comune stanzia-
mento del consiglio de' cittadini, e della savia gente
della città. Ma se la guerra fosse cominciata al tempo
del suo antecessoi^e, io lodo eh' egli procacci la pace, o
almeno la triegua : e se non può ciò, egli debbe spesso
ricogliere il consiglio de' savi, e s[)iar il podere della sua
gente, e de'nimici, e studiar che la città sia ben forni-
ta dentro, e di fuorì, e castella, e ville che sono date
4l4 IL TESUHO.
io sua guardia 5 e dee avere intorao a lui una quantità
d^uomim che s^ intendano di guerre, e che sieno sem-
pre al suo consiglio 3 e che sieno appresso di lui capitam
e guidatori della guerra^ e dee. richiedere tutti li amiei
e conypagni e li sudditi della città, V uno per leti»?,
Taltro a bocca, e P altro per messo, che lienojappa"
recchiati d^arme e di foroimeato da guerra ^ appresso
dee. egli rassegnare alla piazza mastra, o in altro lupgo
costumato (iella ctttày le genti della citta, e dire di*
napzi a loro parole di guerra^ e. ricordare loro il torto
de^ nemici, e Io diritto de^.suoi, e nominare le prodez-
2e e n valore de^ loro amici, 9 le loro yirtuose batta-
glie, e commovere la gente alla guerra e alla battaglia,
e comandare che ciascun faccia grande apparecchia-
mento d^arme, e di cavalli, e di tende, e padiglioni, e
di tutte cose che sono mestiere a guerra. Tali e simili
parole dee lo signore dire per aguzzare li cuori de^ cit-
tadini il più ch^egli unque puote.:. ma' ben si gyardi
egli che wm dica nessuno, motto fievole, anzi sia suo
viso a cruccio e a ira, lo sembiante terribile, e là voce
minaccevole; e suo cavallo annelrìsca, e freghi li pie in
terra i e facci tanto che anzi che finisca suo detto monti
le grida e H romore tra la gente, sì come fossero in
battaglia. E non per tanto egli dee molto considerare
la maniera della guerra, perchè altri sembianti son
contra li pari. Appresso del suo parlamento faccia leg-
gere al suo notaio, che abbia alta voce, e chiara, e in-^
tendevole, i capitoli, e li ordinamenti della. guerra: e
procacci quantunque può avere arbitri sopra li qoalifi-
Oli delP osLe: e quando ha fatto tutto questo, egli dee
di sua mano dare li gonfaloni e le bandiere secondo
LIBRO NONO. 4 I ^
r USO delia terra. DalP ora io Danzi non fini io signore
ài apparecchiare alla guerra sé e' suoi soggetti, in tal
maniera che nulla non vi manchi al punto delFoste e
della battaglia: come dee egli guardare l'oste, e- porre
il t^ampo e'padigliont, e guardare Toste intomo intór-
no di di e di notte, è come dee ordinare le schiere^ e
come dee essere in tutti luoghi, ora di qua e ora di
là, e t:ome dee guardare suo corpo ch'egli non com-
batta, se non è gran necessità, s'ella è assediata. Edi
mohe altre cose che conyègnono a guerra, lo maestro
non dirà ora più, anzi lo l^iscia alla provedenza del
signore é del suo consiglio.
Capitolo XXX.
Questue il generale insegnamento delli podestà.
Per lò insegnamento di questo libro, può ben eia-
scunb che dirittamente 1 riguarda governare la città
al tempo di pace e di guèrra, all'aiuto di Dio e del
buon consiglio. E tutto ch'egli abbia assai d'insegna-^
mento, nientemeno egli ha tante diversità in signorìa,
che nullo ne potrebbe scrìvere, ne dire con bócca : ma
in somuKi egli dee seguire la legge comune, e 1' uso
delta città a buona fede, e conducere suo ufficiò, se-
condo il costume del paese; però che '1 villano disse :
quando tu sei a Roma usa costumi di Romani, che di
tal terra tal porta. Sopra li malèfici dee egli seguire la
maniera del medico, che- al picciolo male pone pic-
ciolo impiastro, e alli maggiori più forti, e alti mol*
to grandi mette il fuoco e '1 ferro: così dee egli con-
dannare li nfiilBittorì secondo la maniera di sua offesa,
4 1 6 IL 1 Ksoao.
seoza perdonare a quelli che hanno colpa, e senza con-
dannare chi non ha colpa.
Capitolo XXXI.
Come il norello goTerI^ltore dee essere eletto.
E quando viene il tempo che l'uomo vogKa éeg-
gftre il novel governatore per Panno che viene ap-
presso, lo signore dèe raunare il consiglio della città,
è per loro trovare secondo la legge della città li sa^ì
che debbono mendar le constituzioni della città. E
quando egli li ha trovati,' e elli hanno fatto lór savi,
élli debbono essere in un luogo privatamente, tanto
eh' elli abbiano fatto ciò che si appartiene a loro uf-
ficio. E immanlenente che 'l libro è stabilito e compiu-
to, egli dee essere chiuso e suggellato infìno alla ve-
nula del nòvel signore, e stare in guardia. È quando
queste cose sono diligentemente compiute e messe in
ordine, l'uomo dee eleggere il nuòvo signore secondo
V ordine che divisa il maestro nel principio di questo
libro. Ma se ì cittadini ti vogliono per signore per lo
anno che viene, io lodo che tu non lo prenda, che
appena può essere ben finita la seconda signoria.
Capitolo XXXII.
Delle cose che *1 signore dee fare air uscita di suo ufficio.
Appresso dei tu raunare li giùdici, e li notari, e li
altri tuoi ufficiali, e pregarli^ ed ammonirli, che tutti i
piati e questioni che son dinanzi da loro, elli li spC"
discano secondo dirjUo giudicio, e che non lascino ad
alli'ui ammendare. Tu medesimo ti consiglia eoa loro, e
LIBRO NONO. 4 ' 7
ti pensa nel tuo cuore se hai gravato nullo più o me-
no che diritto voglia: e se hai lasciato a fare di quel
del libro, e delli capitoli della città, immantenente ti
provedi, sì che tu ammendi e rompi e torni a punto ciò
che tu puoi^ o per té, o per istanziamento di consi-
glio : che ^ savio governatore si proved» dinanzi, o per
quelli che ammendano li statuti , o per consìglio loro
medesimo, e si si fa assolvere di tutte cose addivenute al
camerlingo del comune, e delli altri capitoli che sono
dimorati a comprendere. Altresì dei tu del tempo tro-
var ambasciadori per la volontà» del comune, che ti
facciano compagnia insino al tuo albergo, e portino
grazie e salute e buona testimonianza di te e di tue o*
pere al comune di tua città. Altresì ti provedi per con-
siglio della città delF albergo dove tu dimori alla fìa
del tuo ufficio per rendere tua ragione. Ma non di-
menticare una cosa, che otto, o dieci dì dinanzi aUa fin.
di tuo termine, tu faeci bandire spesso che chi avesse
a ricevere da te o da^ tuoi poco o assai, vegnano a farsi
pagare; e fa che siano bene pagati. Altresì guarda che
rilenghi li esempli di tutti li stanziamenti de^ consigli
che toccano a te, a tuo sacramento, ed in tal maniera
che tu t6 ne possi aiutare se F uomo il mettesse sopra
nullo fatto.
Capitolo XXXIII.
Ancora delle cose cheU signore debbe fare alPuscita del suo uiScio.
E quando viene lo diretano dì di tuo ufficio, tu dei
raunare la gente della città, e dire dinanzi a loro di
grandi parole e graziose per acquistare P amore deVit-
tadini : e ricordare delle lue buone opere, e l' onore e
4 1 S If' TESORO.
r utilità del comune ch^ è addivenuto nel tuo lempo,
e di ringraxìare lofe deU' onore e delP amore che han-
no mostrato a te ed a^ tuoi, e profferire te e tutto tuo
potere air onore ed al servìgio loro sempre mai; e per
meglio trarre li cuori delle genti a te, tu puoi dire,
che se alcuna ha fallito nel tempo del tuo sacra-
mento^ tu li perdoni, o per negligenza, o per non sa-
pere, o per altra cagione, se ciò non fosse Calskà, o la-
droneccio, o altri mal&ttori, o condannati della città :
vofi tuttavia toa signpria è infìno a mezza notte, ove
to cominciasti aUa fNÌma entrata. Appresso questo par-
lamento, il dì m^esìmo, o Faltro appresso, seéondo b
usanaa del paese, dei tu rendere al noyel signore, od
al camerlingo tutti i libri, e tutte le cose che to avevi
del. comune: e poi te ne andrai alFalbergOi, ove tu dei
albergare tanto qiiaoto .tu dimori a xendere tua ra-
gione.- • - . •• •
Gapitoix) XXXiy.
CoiYW! il signor dee dimorare e render 6uà ragione.
Quando tu sei a ciò venuto, che convien che tu stia
a sindacato, e renda ragione di tutto il tuo ufficio e di
tutti, se nullo vi fosse che si lamentasse di te, tu dèi
far dare le petizioni di sua dimanda, ed aver consiglio
da^ tuoi savi, e rispondere come ti cónsiglieranno. In
questo dei tu dimorare nella città infino al giorno
che fu ordinato quando tu prendesti la signorìa : allo-
ra, se a Dio piace, tu sarai assoluto onorevolmente, e
prenderai commiato dal comune e dal consiglio della
città, e anderai con gloria^ e c<m onore, e con buona
ventura.
4'9
ANNOTAZIONI- AL LIBRO NONO.
Gap. m, pag. 377. Che sen%a fede lealtà nm è
diritto, . . • .'
. Cosi- nella edizione 1474 da me seguita. Ma la «i-
tata^copiando HO enrore introdotto dalla edizione 1 5a8,
ha: che senza fede e lealtà non è diritto.
Cap. VIII5 page 383. Come a tal cosa egli sotto^
mette^ec.
Anche qui mi attenni alla edizione i474« ^ i5aS,
copiata dalla citata, ha erroneamente sottomettere.
Tutte e tre poi sono concordi nel darci a 91 alto ca-^
ricoy che torna inalile dopo tal cosa,
Cap. Ylil, pag. 383. Abbattere le equalitadi.
Questa è la correzione più ardita che tentassi nel
Tesoro. Tutte tre P edizioni hanno iniqmtadiy epo«
Irebbe anche stare. Tuttavia mi sembra che la sosti-
tuzione meglio consuoni al resto : ne giudichi il let*
tore.
Gap. IX, pag. 386. Congioire maravigUosametir
te, ec.
Cosi la edizione 14^4 9 qtieUa del i5a8 cominciò
erroneamente a leggere con gioie^ ed ebbe seguace'
nell' errore la citata.
Cap. XYII, pag. 399. Lo ùnperadore di Roma o
di Costantinopoli.
4aO ANNOTAZIONI
Questo Costantinopoli cel misi io 5 le stampe non
hanno che di costo, Qual senso se ne caverebbe ?
Gap. XXXII, pag. 417* degnano a farsi pa-
gare.
Le stampe hanno regnano a pagare. Ma che raz-
za di senso sarebbe egli: che chi ha da ricevere ven-
ga a pagare? Forse altre parole dovevano stare fram-
mezzo, ma per non osar troppo, mi contentai di quella
semplice giunta del^r^i, che raggiusta ogni cosa.
TAVOLA
DEU.A.
PARTE SECONDA
Prologo Pag. 7
Libro Sesto.
Elica d' Aristotile »» 9
Delle tre vile » 11
Del bene » ivi
Qui divisa delle tre potenze deiranima . . » i ^
Di tre maniere di bene » 1 3
Delle potenze deir anima » t6
Di due maniere di virludi w 17
Come la virtù nasce nelPuomo .... » ivi
Come l'uomo è virtuoso >' '9
Le tre cose che r uomo desidera . ...» 20
Come V uomo è virtuoso u a i
Che le virtù sono in abito » iiri
Qui dice della virtù, quello che è e come . » 2 a
Àncora di ciò medesimo » ivi
Qui insegna il maestro acognoscerele virtudi. » 24
Come V uomo fa bene e male » 2G
Della fortezza » 3e
Della castitade . . • » 35
Latini. Fot. II. ^
Della larghezza ......:.. Pi^. 54
Della mugiiificeoza n ^6
Dell^ira e della mansiieliKline ...» 69
Della conTersazione degli uomini . . . m 4^
Della Tenta e della bogia » 4 >
Come Puomo si cognosce per lo suo moTt-
mento >. 4^
Della gìuslizia » 4^
Della legge >i ivi
Anche della giostizia m 4^
Della prodezza » 4^
Di ciò medesimo » ivi
Della fortezza . » 5o
Della custodia ......... . . . m 5.i
D%;lla mansuetudine ......... . . . » iti
Della liberalità ........... . . n 53
Della inagnanimitede . . . .... tt m
Delle compagnie ........ * . , ^ » 55
DeDa giustizia ..... . . . . . »> 54
Delli vizii • . M 56
Del diletto .,,1157
Della castità *. ..•...• ^ 60
Della constanza . u . 6t
Come Tamistade è Tirtude che regna.fidl'wmo w 6a
Delle specie delF amistade n 65
Come quello delli boni amici dee ienar tXMDODe
tra loro m 64
Delli tre principati m 65
Deir amore che Tuomo ha ocm Dio ... m 67
Come r amore è comunicazione inlni li amici n 68
Deir amore cl.e dee essere tni gli uoraiai . )i 69
Come Doménedio è partitore de^beni
Onde procede il conforto. . ......
Come r uomo si diletta in molte cose
Gomela dilettazione è naturale . , .
E>èlla dilgttaùone sensibile ed intellettuale.
Della più .dilettevole dilettazione . . •.
€k>me^(la J>eatitudine è compimento ddUe
i tudi ........ , . . • • .
Della virtù m«>raley e delP uomo beato .
Del cogno.scioieiito delle yirtudi . . .
Anche di simigliante materia ....
Pag.
var-
I)
4-25
70
7'
7.*»'
76
77
79
8.1
82
8S
LuRO Settoho.
Qui comicia li ammaestramenti deUi yizii e delle
' virtudi.del Tesoro . »
Delle maniere di be.ni . . . . » . , ,
Gome^irtude è .migliore bene di tutti , .
Qui divisa il maestro delle virtudi . . . 11
Come r uomo dee usare la virtude . . . i»
Dì due maniere di yirtudi ....,.»
Della virtù morale ., .
Della prima virtù, cioè della prudenza . .
Qui parla Seneca della prudenza ....
Àncora di simigliante materia »
Della providenza . . . .... • . • . n
Qui dice della guardia . d
Delle cose di che Tuomo si dee guardare quan-
do vuole parlare, od alcuna cosa fare
G>me tu dei pensare quello che tu voli dire »
Come tu dei .guardare a cui tu parli . . »
Come tu dei guardare rome tu parli . . »
»
I)
97
9»^
99
io3
104
106
107
108
109
112
IVI
1,4
ii5
118
ia3
126
424
Come ti conviene pensare quando voli par-
lare . . . .• Pag. 127
Come tu dei guardare tempo di parlare . . » 1 5o
Come Tuomo dee conoscere il tempo di par-
lare » i3(
Come i^ uomoT dee guardare in conoscenza . » ivi
Deir insegnamento i> 1 54
Della prudenza e di sua maniera . . . » 1 55
Delia seconda virtude ch^ è contemplativa . » ivi
Della vita contemplativa ...?..» i56
Del diletto e del desiderio » 157
Come r uomo dee dire pesate parole . . » i45
Come r uomo dee usare parole oneste . . » i45
Come Puomo dee usare parole caste . . . >»' 146
Ancora parla qui del diletto >> i47
Delle parole di sobrietade '' ^49
Di parole dì rattenimento » 1 5o
Qui dice la terza virtù, cioj della fortezza . » 1 55
Della magnanimitade . » i54
Delle sei maniere di tbrza » 1 55
Della forza » 1 58
Della fVauchezza e sicurtà . . . . . . » ivi
Della magnificenza ». 164
Come r uomo si dee provedere in tempo di
guerra ...» 1 65
Della guerra e della pace » 167
Come r uomo dee usare parole costanti m ivi
Come pazienza è bona . ^ '^1^9
Dolla fortezza » 1 70
Della quarta virtù, cioè giustizia . . . » 1 7 1
Della prima branca di virtude » 175
Delia giuslizia, e dei giudici . . . . Pag.
Come liberalitade fa beaeficii air uomo .
Di ciascuna parte di liberalit'-t^e primo di dono
Del guiderdone . . . ■
Delle due maniere della liberalitade . . .
Della religione . . . ...
Ora vi conterà di pietade . . . . . * .
bella innocenza
Deir ufficio della carità
Come noi dobbiamo amare noi medesimi
Della vera amislade
jDella prima branca di virlude ....
Di quello che t^uma per sua pcppria utilitade
Di quello che ama per suo diletto . .
Della reverenza e di sua materia . . . .
Della concordia
Della misericordia
Di due maniere di torto
Della negligenza
Della giustizia . . • •
De^ beni che sono più onesti
De' beni del coi*po quanti sono ....
Del bene della ventura
Della ricchezza
Della seconda materia di ricchezza . ' .
Della terza (>arte di ricchezza
Deir ufficio della signoria
Della nominanza, e di sua materia ... .
Dei beni di ventura
Deir onestà e dell' utile
Della pi udenza e della giustizia . r . .
4-^5
176
177
178
1^83
i85
189
192
193
'94
195
196
198
'99
200
201
202
2Ò3'
2o5
• •
IVI
206
208
209
210
21 f
2l3
216
219
220
22 1
226
4a6
Àncora di ciò tnedesiiQO ' l . . : P^. Sa^
Anche dìsiioili comandamenti . • . • » aaS
DeUe tre yirtù ooùlempkitive, e primo dellii
fede ... ..... .....'. . M lag
DieUa carità . . . v . . . . . • . . . »> iti
» a5Q
I»- »5i
I) 33a
• » a34
DeUa speranza . . . .-. . .
Del peccato e delli. yìvà
Pe* peccati criminali . .
Della dottrina del settimo libro
Libro Oitavo.
Tratta della retorica, che c^ insegua a ben palare,
• e di governare città e popoli- «... . » 35o
Della retorica, che cosa è, e di suo ufficio, e di
. sua arte - )> a53
JDelle cinque parli della retorica . . . . » u56
Di due maniere di parole, con lettere e con
bocca » a58
Del contendimento che nasce delle parolescritte » aSg
Come tutte contenzioni nascono in quattro cose » 260
Di rimutamento e di molte maniere • • .■ » a6a
Di che r uomo dee considerare in sua materia » a65
Come dee essere stabilito P intendimento . 1* ivi
Di due maniere di parlamenti, cioè ia prosa ed
in rima » 265
Ora dirà il maestro dell'ordine . ... . a 2GG
Del parlare artificialmente » 367
Come lo parlatore dee considerare la sua mate-
ria dinanzi che dica, o scrìva suo conto » a 70
427
Come lo uomo può accrescere il suo conto in
otto maniere Pag. 270
PeHe parli del conio, e come il parlatore dee sta-
bilice li suoi delti per ordine • . . . n nyS,
Delie .^ei parti del conto a parlare di bocca » 276
Pella :^lutazione delle lettere mandate . . » 277
Petto insegnamento del prologo, secondo la di-
yersità delle maniere ....... 278
pi duf$ maniere di prologhi, coyerti e discoverti i> 279
Quale, prologo conTiene sopra nostra materia » 280
Quale prologo conviene sopra contraria mate-
ria. . )). ivi.
pi tre cose che sono bisogno a ciascun prologo,
che non può essere buono senza r altro . » 281
pella dottrina per acquistare benevolenza . » 282
DelP insegnamento per dare talenti di udire agli
auditori » 285
pel prologo ch^ è per covertura .... » 284
Come Tuomo dee cominciare suo prologo quan-
do la materia spiace agli auditori • . . » 285
Come V uomo dee cominciare suo prologo quan-
do gli auditori credono al suo avversario » 287
Come r uomo dee cominciare suo prologo quan-
do gli auditori sono in travaglio ...» ivi
Deir insegnamento di tutti i prologhi insieme » 288
Di sette vizii di prologlù, e primo del generale d 289
D^un antico esemplo di grande autorità lo quale
fu detto per più savi » 290
Come parlò Giulio Cesare » 291
Come park Cesare secondo questa arte . . )i 296
Cume lìi il giudicumeiito di Calo .... » 297
428
Come Culo parlò secondo questa arie Pag. 3o2
Deir inseguamenlo della prima parie del pro-
logo » 5o5
Qui comincia a divisare che trapasso è fuori dei**
la sua mateiia ...>.*,...» 3o4
Del conto eh' è per giuoco e per sollazzo » ivi ^
Del conto ch^è chiamalo cittadino ...» 5o5
Qui c'insegna egli a contare lo conto breve-
mente n 5o6
Qui e** insegna a contar lo fatto, e vedere chiara-
mente . . . . s ,' ìì 3o7
Qui e' insegna a contare il fallo che sia verisi-
mile * M 3o8
De' vizii del dire lo fatto n Soq
Della terza parte del conto, cioè divisamento )> 3 1 o
Come il parlatore dee divisare suo conto . » 3 1 1
Come il parlatore dee divisar suo fatto breve-
mente .....' )) 3f3
Qui dice della quarta branca del conto, cioè del
confermamento » 3i4
Qui divisa li argomenti per provar ciò che il par-
lator dica » 3 1 5
Qui divisa le proprietà del coipo che danno ar-
gomento e pix)va w ivi
Delle proprietà della cosa .' » 3 1 9
Di due maniere di tutti argomenti , . . )) 3^4
Dogli argomenti necessarii » ivi
Qui dice come si divisano li verisimigUanli argo-
inenlì . » 32fi
Delt' argomento in due maniere, o da presso, o
da lungi » 029
4^9
Di quello argomenlo eh' è da lungi . . Pag. 529
Dell'argomento da presso » 33 2
Della quinta parte, cio^ del differmamento » 336
Delle^qualtro maniere di differmanieiito . . » 337
Del difFermamento degli argoiùenti necessarii » 34 1
Del secondo differmamento » 343
Del terzo differmamento » 345
Del quarto differmamento » 35o
Della sesta parte, cioè conclusione . . » 35i
Del ricontx) » 352
Come nasce lo disdegnamento . . . . » 353
Di acquistare pietà » 357
Della diversità che è tra parlatori e dettatori, del-
la conclusione » 36i
Come lo conto puote essere di meno di cinque
parti » ivi
Delle parti che hanno luogo determinato e luo-
go stabilito » 363
LifiRo Nono.
Qui incomincia la politica, cioè il libro del go-
vernamento delle ciltà » 37 1
Di signoria, e delle sue parli » 373
Come il signore dee essere eletto il governatore
delle ciltà e delle terre ** ^74
In che maniera dee essere eletto il signore . » 377
Come si dettano le lettere *> ^79
Come il signore debbe fare quando egli ha ri-
cevuto le lettere »> 38i
43e
Di ciòcie il. signoro debbe fóre quando egli rì-
fiula la signoria ... . . . . Pag. 383
Di ciò che il signore dee fa^e quando lo riceve
la s^Qoria . . » 585
Della compagnia che il'signore dee nleoanrper
cammino con seco ... . . . . v 385
Come il signore debbe parlare i! giorno dèlia mxt
venuta. ......... . . . . . » 387
Che lo signore debbe hie quanuda è venuto alla
citlade ......,.,..•. » 388
Come debbe fare il signore quaildo ^Uha fìllio
' ìi sacramento ..... . . . » 594
Come il signore' dee ammonire li suoi affidali
- quando egli entra pi'ima in sua signoria . n SqS
Come il signóre, dee ammonire i suoi ufiìcialì
quando è in signoria . . ....... m 396
Come il signor novello dee onanx il suo aule-
cessore ........... m 597
Come il signore dee ragunare il consiglio della
terra » ivi
Come il signore dee onorare gli ambasciatori » 3c,9
Come il signore dee mandare gli ambasciatori » 4^^
Come il signore dee udire le cose, e gli avvo-
cati ». ivi
Come il signore dee fare sopra li malefici . n ^wi
Come il signore debbe condannare ed assolvere
gli accusati » 4^3
Come il signore dee guardare le cose del co-
mune » 4^4
Come il signore dee guardare le cose del suo al-
bergo » 4 "5
43i
Come il signore si dee consigliare con li suoi
savi Pag. 4o6
Della discordia di loro che vogliono esser temu-
ti, e di quelli che voglion essere amati . » 407
Delle cosmiche 1 signore debbe considerare nella
sua signoria » 409
Delle cose di che il signore si dee guardare per
cagione di se stesso » 4 ^ '
Delle cose di che il signore si debbe guardare
per cagione del comune » 4 1 ^
Come lo signore si debbe provvedere in tempo
di guerra «...)) 4 ^ 3
Quesl^ è il generale insegnamento delli podestà » 4 ^ ^
Come il novello governatore dee essere eletto » 4 1 6
Delle cose che ^1 signore dee fare air uscita di suo
ufficio .•....•....» ivi
Àncora delle cose che ^1 signore debbe fare al-
l' uscita del suo ufficio "4^7
Come il signore dee dimorare e render sua ra-
gione w 4*8
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