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Full text of "I promessi sposi, storia milanese del secolo XVII"

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Art/C.-p^.  3t.  la^o 


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'  I 

I 

:  I 


I  PROMESSI  SPOSI 

STORIA  MIUNESE  DEL  SECOLO  XVIl 

SCOPERTA  I!  RIHArrA 

ALESSANDRO  MANZONI. 

KDIZIONE  RIVEUt'TA  IIALL'AVTORK 

s  r  0  u  1 A 

DELLA 

COLOINNA  INFAME 


MILANO 

DALLA  TIPUCHAFIA  GUGLISLMIM  E  KEDAELLI. 
1840 


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a  prevenir  «lizlonc  : 
tcglianli  liggi  !•  «Il 


vi'dut».  e  r.-ifiiicniliri'  indilla  *iiiio  pnslr  snilo  In  lufclu  delle 


,y  Google 


IiN^ROl)(IZIO^F,. 


'hMuria  tiiìuà 

rcfameHh  dcf- 

liiiirrtnotiurr- 

I  raillutfrrroH- 

Irò  il  Tempo, 

j.n-ché  toglie»' 

I  iluIhUmanogl' 

anni  iiioì  pri' 

ijioHìeri,  ami 

già  falli  tadautti,  li  rìehiama  in  vlla, 

ti  pasta  in  ttuiegHa,  t  ti  tchiera  <li  iiuoio 

in  òattaglia.  Ma  gt'iltutlri  Campioni  che 

III   mi  Aninfio  fiumo  meue  lU  l'alme  e 


il' Alluri .  raiti$cono  tota  che  Ir  mie  ipo- 
f/lic  più  tfarzote  e  bi-illanli,  imbalui' 
manila  m'  loro  iuchioilri  le  Int/ireie  ile 
Prcncipì  e  l'olenliili ,  e  qualìfleali  Pcr- 
tomujgj  ,  e  traponlando  eoli'  <ujo  finiui- 
mo  dell' intfegno  i  fili  d'oro  e  di  Kla,  ehr 
formano  un  perpetuo  ricaaio  di  bilioni 
gloriate,  l'ero  alla  mia  debolezza  non  è 
leeito  tolleuarti  a  lai'  argomenti ,  e  imbli' 
mila  perieoloie,  con  aggirarli  Ira  Labi- 
rinti de'  Politici  maneggi,  et  il  rimbombo 
de'  bellici  Oriealehì:  toh  che  hanrndo  ha- 
uulo  notula  di  falli  memorabili,  te  ben 


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mnioDUZiuNE. 


capilorno  a  g«nle  nuxciiniche ,  e  Ai  pie- 
col  affare,  mi  accingo  di  liuclarne  »iemo- 
ria  a  Poilert,  con  far  di  lutto  tchìella  e 
nfuuiiiaiiieHle  il  Baceonto,  ouuero  $ia  Ite- 
ialiom.  Sella  quale  ti  tedrà  in  angmlo 
lialro  lullttOK  Traggedic  d'horrori,  e 
Scene  dimalvaggilà  grandioia,  con  ialer- 
«iczì  d'Itnprete  vlrltiott  e  buonlà  aniieUclie, 
oppoile  alle  t^ralìoHi  dii^jolielie.  E  cerit- 
tiieHle,eoiaideramlo  che  queÉlinntl ri  climi 
tijno  totlo  P  uniparo  del  He  Callolico  iio- 
nlro  Signore,  che  è  qiietSole  che  mai  Ira- 
monta,  e  che  topra  di  essi,  con  riflciio 
Litme,qualLii»iigiaittaicalaule,riiiylenda 
I' ller«:  ,'\i  nobii  Protofiia  che  pm  tempore 
ne  licml^^^4»e  parli,  e  gP .1u^tlit»iini  Sc- 
milori  qiittliSMIc  /Ute,  e  ql'nllri  S/>elhi- 
liili  Mt^i^rali  qnaP erranti  Piiuielitpan- 
ilina  la  luce  /ler  ugni  doue,  veneiulo  coti 
a  formare  iin  nobìlluimo  Cielo,  altra  caa- 
tritf  .ùHor  HOH»  può  del  cederlo  trama- 
i-ilo  in  inferno  d'alti  teiiebroti,  iiialcag- 
gilà  e  tecilie  che  diigl' huomini  leinerarij 
lì  tantto  ttuUiplieatulo ,  k  non  te  arte  e 
faUnradinMieo,  alleiptlK  Chumana  ma- 
li'im  per  $è  tola  ÒMhir  non  doureltlx  a 
rwtitlert  a  ItuUi  Utrai,  che  con  ocehij 
iVArgo  e  braeejdi  Briareo,  ti  vanno  Iraf- 
/kando  per  li  ptMliei  emoluinenli.  Per 
loccliè  deterittendo  quello  Racconto  auue- 
nulo  tic'  tempi  di  mia  verde  ilaggione , 
aòbenehé  la  pia  pwte  delle  pertone  che  vi 
rappresentano  le  loro  partì,  tIjno  iparile 
dalla  Scena  del  Mondo,  con  i-enderii  tri- 
tnitofij  delle  Parche,  pure  per  degni  ri- 
ipttli,  li  lacera  li  loro  rumi,  cioè  la  ;u- 
/■enlela,  et  il  luedeino  ti  farà  di^  laoehl, 
nolo  indicando  li  TerrHorijsenct»\\\ct.  Ni 
alcuno  dirà  quetla  lij  imperfeltione  del 


Racconto,  e  de/formilà  dì  qtieito  mio  rojzo 
Parto,  a  tucno  quello  tale  Critico  non  lij 
ptriona  inailo  diffgiuna  delia  FUoiofla: 
che  quanto  agi' huomini  in  eiKi  vertali, 
ìienvederànno  nulla  mancare  alla  soilanza 
di  della  PFarralione.  linpeixiocchè ,  enendo 
cota  evidente,  e  da  rerun  negala  itoii  ei-  \ 
lere  i  nomi  te  non  puri  purissimi  arci- 
denti....- 

—  !Ua.  quando  lo  avrò  ilurola  l'iTCìica 
fuHca  (li  IrasiTÌvtr  qui'sla  storia  ila  qut- 
sla  ililavalci  e  grnrilalo  aiilognifn.  e  l'avrii 
ilalu.  <'omr  si  siinl  clirr-.  alla  lui'c,  si  Iro- 
VLTJ  ]>fìi  chi  duri  la  Talira  ili  leggerla'!  — 

Quv»(a  riHeNsionc  duliMativa.  naia  nel 
Iminglio  del  decifrare  uno  xraraliotvhin 
elle  leniva  do|>n  accidenti, mi  fece  Mi<i|>en- 
der  la  copia,  e  pensar  più  MTiamenle  n 
quello  die  convenisse  di  fare.  —  Ben  è 
vero,  dicevo  Irame,  srarlabellaiido  il  iiin- 
nnHerillo.  ben  è  vero  cliu  quella  grandine 
di  i-oneellliil  e  di  figure  non  eonllnuacosi 
Mila  dUlcM  per  lulla  ro|>cra.  Il  liunn  se- 
ecnlisla  ha  volulo  sul  principio  mcllere 
In  morirà  la  sna  virtù;  ma  poi.  nel  rorso 
della  narraiinnc,  e  talvolta  i>cr  lunglii 
tratit,  lo  stile  cammina  ben  più  naturale 
e  più  plano.  Si;  ma  com'è  dozzinale!  eom'ò 
sgualalol  com'è  scorretto!  iiliotlsiiii  lom- 
bardi a  iosa.  Frasi  della  lingua  adojierBtc 
a  riproposi to,  grammatica  artillraria,  pe- 
riodi sgangiicralì.  E  |H>Ì,  qualche  clegania 
spagiiota  scmlualu  qua  e  là;  e  |Kil,  rh'è 
peggio,  ne'  luoghi  più  lerribill  o  più  pie- 
losi  della  sloria.  n  ogni  occasione  d'ecri- 
lar  maraviglia,  o  iti  far  pensare,  a  lultl 
quu'  luissl  Insomma  rhc  rieliiedoun  Itcìisi 
un  po'  di  rultortea.  ma  rcKoriea  discreta. 
Une,  di  buongusto,  costui  non  mancaaiai 


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i! 


l^Tnonl]ZIo^e. 
(Il  meltercldi  quella  sua  cosi  (alta  del  proc- 
niio.  E  allora,  arroizando,  con  un'abKilù 
mirabile,  le  qualità  più  opposlc,  trova  la 
maniera  <li  riuscir  rouo  insieme  e  alTel- 
lato,  nella  slcssn  pagina,  nello  stesso  pv- 
riodo,  nello  sti^sso  vocabolo.  Eeto  qui: 
ilcclamaiionl  ampollu^e,  composte  a  fona 
(Il  solecismi  pedestri,  e  da  per  lutto  quella 
(ColTaggine  nmlilziosa,  eh 'è  11  proprio  carat- 
tere degli  »:ril(i  di  qu<'1  secolo,  in  questo 
Itaose.  In  vero,  non  è  cosa  da  presentare 
a  lettori  d'oKgigiDnio:.son  troppo  animn- 
Uzlati,  troppo  disKUsI ali  di  questo  genere 
di  stra\'aganze.  Menu  male,  che  il  buon  pen- 
siero ro'ù  venule  sul  principio  di  i|UC3lo 
sringurato  Invaro:  e  me  ne  tavole  mani. — 

Nell'atto  però  di  cliludure  lo  scurlarae- 
cio.  pt-T  riporto,  mi  sapeva  male  clic  una 
storia  cosi  bella  dovesse  rimanersi  tutta- 
via sconosciuta;  [wrché,  In  quanto  storia, 
può  essere  che  al  Icllore  ne  |miIu  altrimenti, 
ma  a  me  era  parsa tK-lln.  come  dico;  mollo 
bella.  —  Perrtiè  nou  si  jMtrebbc,  pensai, 
premier  la  serie  de'  falli  da  (|ueslo  inano- 
seritlu,  e  rifame  tu  ilieituraf  —  ^on  ci- 
scnclosi  presentato  alcuna  nbieiion  rugio- 
nevolc.  Il  partilo  fu  subito  abbracciato. 
Ed  occo  t'origiue  del  presente  libro,  espo- 
sta con  un'ingenuiln  pari  alt'iuiporlanxa 
dot  libro  medesimo. 

Taluni  pert'i  di  i|Ue'  talli,  certi  costumi 
descritti  ital  nostro  autore,  e'erati  sem- 
brati cosi  nuovi,  co^  strani,  per  non  dir 
pcf^io,  che,  prima  di  prestargli  fede,  ab- 
biala voluto  Interrogare  altri  tcslimoni;  e 
ci  siuoi  messi  a  frugar  nelle  memorie  di 
quel  tempo,  per  chiarirci  se  veramente  il 
mondo  camminasse  alloraaquel  modo,  lina 
tale  indagine  dlssii»  tulli  1  nostri  dubbi: 


a  ogni  passo  ci  abbattevamo  in  cose  con- 
simili, e  In  cose  più  forti:  e,  quello  die 
ci  parve  più  decisivo,  abbiaro  pertliio  ri- 
Irovali  alcuni  personaggi,  de'  quali  non 
:ivehdo  mni  avulo  notizia  fuor  che  daino-' 
Siro  manoscritto,  eravamo  in  dubbio  se 
fossero  realfflente  esistiti.  E,  atl'oceorrenia, 
citeremo  alcuna  di  quelle  tcstimonlante , 
per  procacciar  lede  alte  cose,  alto  quali, 
per  la  toro  stranezza,  il  lettore  sarebbe 
più  tentalo  Ul  ncgaiia. 

Ma,  rillutandu  come  intollerabile  la  di- 
citura del  nostro  autore,  elle  dicitura  vi 
abbiam  noi  susllluila?  Qui  sia  II  puiilo. 

Chiunque,  senza  esser  pregato  intro- 
melte  a    rifar  l'opera  altrui,  |M>ne  n 

rendere  uno  stretto  conio  detta  sia,  e  ne 
contrae  in  certo  modo  t*obbli[»>  one:  è 
questa  una  regola  di  fallo  o  di  dIritto,alla 
quale  non  prclcndium  punlo  di  sottrarc' 
Anzi,  per  conformarci  ad  essa  di  buoi!' 
do,  avevam  proposto  di  dar  qui  minula- 
menlc  ragione  del  modo  di  scrivere  da  noi 
tenuto)  e,  a  questo  llm',9lamo  andati,  i»er 
tutto  il  tempo  del  lavoro,  cercando  d'In- 
dovinare le  critiche  possibili  e  contingenti, 
con  intenzione  di  riliotterlc  tulle  anllcl|)a- 
lantenle.  >è  In  questo  sarcblic  siala  la 
difllcolln;  giacché  (dobblam  dirlo  a  oiior 
del  vero)  non  ci  si  presentò  alla  mente 
una  critica,  che  non  le  venisse  Insieme 
una  risposta  trionfante,  di  quelle  risposte 
che,  non  dico  risolvon  le  questioni,  male 
mutano.  Spesso  anche,  mettendo  «lue  cri- 
tiche alle  mani  tra  loro,  le  fuccvani  bat- 
lere  l'uiM  dall'allra;  o,  esaminandole  ben 
a  fondo,  ri  scon  Iran  dote  at  lentamente,  riu- 
scivamo a  sco|irire  e  a  mostrare  die,  così 
npiMstr  in  apparenza,  eran  |)erò  d'  uno 


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sleHO  genere,  onsrevnn  lult'  e  Une  dal 
non  badare  ul  falli  e  ai  |irinci|ii  «■  cui  il 
giudizio  doveva  c^^cr  rondaloji',  messele, 
con  loro  (tran  sorpresa,  insieme,  le  man- 
davamo insiuinc  a  spasso.  >on  el  sareblw 
mai  slaloaiiloru  clie  provasse  cosi  nd  evi- 
denza d'aver  tallo  bene.  Ma  ehei  qiuuuln 
siamo  sluti  al  pnnlo  di  rareap«t»r  tulle 
le  delle  obiciiuni  e  rlstioste .  per  ilixporle 


lRTnO»UZIo>E. 

COI)  quakliu  ordine,  miserieonlla !  veni- 
vano a  (are  un  libro.  Veduta  la  quid  cosa, 
al>))!ain  messo  da  parte  it  pensiero,  per 
due  ragioni  clic  11  lellorc  troverà  certa- 
mente  buone:  la  prima,  cbe  un  libro  in- 
piegato  a  Ri  usi  locarne  un  allro.ami  tostile 
d'un  allro,  poirelitie  parer  cosa  ridieola: 
la  seconda,  ehcdilifiri  tia«lnun«pervnlla, 
quando  non  è  d'avanzo. 


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J  PROMESSI  SPOSI. 


CAPITOLO   l'RIMO 


ci  nuiio  del  Inf^odi  Cfliim,fho  vt^t^eu  iiieK- 

Dftiorno,  Ira  due  ralene  non  inlerroKo  dì 

tonti,  luKo  a  .soni  t?  n  golfi,  a  seconda  dello 

ior(;ere  e  del  rientrare  di  quelli,  vien,  quasi 

nn  Iratlo,  a  rislringersi,  e  a  prender  eorso 

figura   di  flnme.  Ira    un    promontorio   a 

esira,  e  un'ampia  costiera  dall'altra  |>arlc: 

il  ponte,  che  ivi  oongiunge  le  due  rive. 

ir  ehc  renda  aneor  più  sen»bifc  all'oerliio 

questa  trasformazione,  e  segni  il  punto  in  cui  il  lago  cessa,  e  rA,dda 

rincomincia,  per  ripigliar  poi  nome  dì  lago  dove  le  rive,  allontanan* 

dosi  dì  nuovo,  lascìan  l'acqua  distendersi  e  rallentarsi  in  nuovi  golii 

e  in  nuovi  seni.  La  costiera,  formata  dal  deposilo  di  tre  grossi  lor* 

.renti,  scende  appoggiata   a  due  monti  contigui,  l'uno  detto  di  san 


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IO  I  PROMESSI  SP06I 

Martino,  l'allro,  ooii  voce  lombarda,  il  AeMVforWjdai  molli  suoi  cocuz- 
zoli in  fila,  che  in  vero  lo  fanno  somigliare  a  una  sega:  falche  non  è 
chi,  al  i>rinio  \'ederlo,  purché  sia  di  fronte,  come  per  esempio  di  su 
le  mura  di  Milano  che  guardano  a  scltcntrìonc,  non  lo  disccrna  (osto, 
a  un  tal  eonlrassegno,  in  quella  lunga  e  vasta  giogaia,  dagli  altri 
monti  di  nome  più  oscuro  e  di  forma  più  comune.  Per  un  buon  pezzo, 
la  cosla  sale  con  un  pendio  lento  e  continuo;  poi  si  rompe  in  po^i 
e  in  valloncclli,  in  erte  e  in  ispianale,  sec<H)do  l'ossatura  de'  due 
monti,  e  il  lavoro  dell'  acque.  It  lembo  estremo,  tagliato  dalle  foci  de' 
torrenti,  è  quasi  tutto  ghiaia  e  ciotloloni;  il  resto,  campi  e  vigne, 
s|>arse  di  terre,  di  ville,  di  casali;  in  qualche  parte  boschi,  che  si  pro- 
lungano su  |>cr  la  montagna.  Lecco,  la  principale  di  quelle  terre,  e 
che  dà  nome  al  territorio,  giace  |>oco  discosto  dal  ponte,  alla  riva  del 
lago,  anzi  viene  in  parte  a  trovarsi  nel  lago  stesso,  quando  questo 
ingrossa:  un  gran  borgo  al  giorno  d'oggi,  e  che  s'incammina  a  di- 
ventar città.  Ai  tempi  in  cut  accaddero  i  fatti  che  prendiamo  a  rac- 
contare, quel  borgo,  già  considerabile,  era  anche  un  castello,  e  aveva 
perciò  l'onore  d'alloggiare  un  comandante,  e  il  vantaggio  di  posse- 
dere una  slabile  guiu'nigione  di  soldati  spagnoli,  che  insegnavan  la 
modestia  alle  fanciulle  e  alle  donne  del  paese,  accarezzavan  di  tempo 
in  tempo  le  spalle  a  qualche  marito,  a  qualche  padre;  e,std  finir  del- 
l'estate, non  mancavan  mai  di  spandersi  nelle  vigne,  per  diradar  l'uve, 
e  alleggerire  a'  contadini  le  fatiche  della  vendemmia.  Dall'  una  all'  al- 
tra di  quelle  terre,  dall'  alture  alla  ri^a,  da  un  pf^io  all'  altro,  cor- 
l'c^'ano,  e  corrono  tuttavia,  strade  e  stradette,  più  o  mcn  ripide,  o 
piane;  ogni  tanto  affondale,  sepolte  Ira  due  muri,  donde,  alzando  lo 
sguardo,  non  ìscoprilc  che  un  pezzo  di  cielo  e  qualche  vetta  di  mcKite-. 
f^i  tanto  elevate  su  terrapieni  aperti:  e  da  qui  la  vista  sjiazia  pei- 
prospetti  più  o  meno  estesi,  ma  ricchi  sempre  e  sempre  qualcosa  nuo^i. 
secondo  che  i  diversi  punti  piglian  più  o  meno  della  \asta  scena  cir- 
costante, e  secondo  che  questa  o  quella  parte  campeggia  o  si  scorcia, 
s|)unta  o  sparisce  a  vicenda.  Dove  un  pezzo,  dove  un  altro,  dove  una 
lunga  distesa  di  quel  vasto  e  variato  s])Ccchio  dell' acqua;  di  qua  lago, 
chiuso  all'estremità  o  piuttosto  smarrito  in  un  gruppo,  in  un  andiri- 
vieni di  montagne,  e  di  mano  in  mano  più  allargato  tra  altri  monti 
che  si  spiegano,  a  uno  a  uno,  allo  sguardo,  e  che  l'acqua  riflette  ca- 
iwvolti,  co'  paeselti  posti  sulle  rive;  di  là  braccio  di  fiume,  |ioi  lago, 
))oi  fiume  ancora,  che  va  a  perdersi  in  lucido  serpeggiamento  pur  tra'  ■ 


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CAPITOLO  PRIMO.  1 1 

monli  cbe  I' accompagnano,  degradando  via  via,  e  perdendosi  quasi 
anch'essi  nell'orizzonte.  Il  luogo  slesso  da  dove  conlemplate  qiie'  vari 
spettacoli,  vi  (a  spettacolo  da  ogni  parte:  il  monte  di  cui  passeggiate 
le  falde,  vi  svolge,  al  di  sopra,  d'intorno,  le  sue  cime  e  le  balze,  di- 
stinte, rilevale,  mutabili  quasi  a  ogni  passo,  aprendosi  e  contornan- 
dosi in  gioghi  ciò  che  v'era  sembrato  prima  un  sol  giogo,  e  compa- 
rendo in  velta  ciò  che  poco  innanzi  vi  si  rappresentava  sulla  costa:  e 
l'ameno,  il  domestico  di  quelle  falde  tempera  gradevolmente  il  sel- 
vaf^o,  e  orna  vie  più  il  magnifìeo  dell'  altre  vedute.  . 


Per  ima  di  queste  slradicciole,  tornava  bel  bello  dalla  passeggiala  verso 
casa,  sulla  sera  del  giorno  7  novembre  dell'anno  1618,  don  Ablion- 
dio,  curalo  d'una  delle  terre  accennate  di  sopra:  il  nome  di  questa, 
né  il  casato  del  personaggio,  non  si  Irovan  nel  manoscritto,  né  a 
questo  luogo  né  sJtrove.  Diceva  tranquillanienle  il  suo  ufìzio,  e  lalvtJla, 


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la  I  PROMESSI  SPOSI 

Ira  un  salmo  e  l' altro,  chiudeva  il  breviario,  lenendovi  dentro,  per 
segno,  I'  indice  della  niano  destra,  e,  messa  poi  questa  nell'  altra 
dietro  la  schiena,  pros^iiiva  il  suo  cammino,  guardando  a  terra, 
e  buttando  con  un  piede  verso  il  muro  i  ciottoli  che  facevano 
inciampo  nel  sentiero:  poi  alzava  il  viso,  e,  girati  otiosamentc  gli  occhi 
all'  intorno,  li  fissava  alla  parte  d' un  monte,  dove  la  luce  del  sole  già 
scomparso,  scappando  per  i  fessi  del  monte  opposto,  si  dipingeva  qua  e 
là  sui  Diassi  sporgenti,  come  a  larghe  e  inuguali  pezze  di  |K>rpora.  Aperto 
,p(H  di  nuovo  il  breviario,  e  recitato  un  altro  squarcio,  giunse  a  una 
voltala  della  stradetta,  dov'era  solito  d'alzar  sempre  gli  occhi  dal  li- 
bro, e  di  guardarsi  dinimzi:  e  cosi  fece  anclie  quel  giorno.  Dopo  la  veri- 
lata,  la  strada  correva  diritta,  forse  un  sessanta  passi,  e  [mi  si  divideva 
in  due  viottole,  a  fc^ia  d'un  ipsilon:  quella  a  destra  saliva  verso  il 
monte,  e  menava  alla  cura:  l'altra  scendeva  nella  valle  fino  a  un  tor- 
rente; e  da  questa  |»arte  il  muro  non  arrivava  che  all'anche  del  pas- 
st^iero.  I  muri  interni  delle  due  viottole,  in  vece  di  riunirsi  ad  angolo, 
Icmiinavano  in  lui  tabernacolo,  sul  (piale  erun  dipìnte  certe  figure  lun- 
ghe, ser|)cggianli,  che  finivano  in  punta,  e  che,  nell' intenzion  dell'ar- 
Ibta,  e  agji  occhi  degli  abitanti  del  vicinalo,  volevan  dir  fiamme;  e,  al- 
ternate con  Iv  fiamme,  ceri' altre  figure  da  non  potersi  descrivere,  che 
volevan  dire  anime  del  purgatorio:  anime  e  fiamme  a  ctrior  di  mal- 
Ione,  sur  un  fondo  bigiognolo,  con  qualche  scalcinatura  qua  e  là.  Il 
curato,  voltala  la  stradetta,  c'dirìzzando,  com'era  solito,  lo  sguardo  al 
tabernacolo,  vide  una  cosa  che  non  s'aspettava,  e  che  non  avrebbe 
voluto  vedere.  Due  uomini  stavano,  l'miu  dÌrim|>et(o  all'altro,  al  con- 
fluente, per  dir  cosi,  delle  due  viottole:  un  di  costoro,  a  cavalcioni  sul 
muricciolo  basso,  con  una  gamba  spenzolata  al  di  fuori,  e  l'altro  piede 
|>o5ato  sul  terreno  della  slrada;  il  compagno,  in  piedi,  appoggiato  al 
muro,  con  le  braccia  incrociate  .sul  petto.  L'abito,  il  portamento,  e 
quello  che,  dal  luogo  ov'  era  giunto  il  curato,  sì  poteva  distinguer  (Ìel- 
l'as)>elto,  non  lasciavan  dubbio  intorno  alla  lor  condizione.  Avevano 
entrambi  intorno  al  capo  una  reticella  verde,  die  cade\'a  sull'omero 
siniìitro,  teniiinata  in  una  gran  nappa,  e  dalla  quale  u$ci\a  sulla  frante 
j  un  enorme   ciuflb:   due  lunglii  mustawbi  arricciati   in  punta:  una 

i    I      einliira  lucida  di  cuoio,  e  a  quelhi  attaccate  due  pistole:  un  piecol  conio 
I    I      ripieno  di  iwhere,  cascante  sul  |>etto,  come  una  collana:  un  manico 
!    I      di  coltellaccio  che  spinilava  fuori   d' un   lastthino  degli  ampi  e   gonfi 
I      calzoni,  uno  spadone,  con  una  gran  guardia  traforata  a  lamine  d'ottone, 


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CAPITOLO  PRIMO.  13 

fong^nalc  come  in  cifra,  forbite  e  lucenti  :  a  prima  vista  si  davano  a 
conoscere  per  individiii  della  specie  de'  bravi. 

Questa  specie,  ora  del  tutto  |>ci'duta,  era  allora  floridissima  in  Lom- 
bardia, e  già  molto  antica.  Chi  non  ne  avesse  idea,  ecco  alcuni  squarci 
aulenlici,  che  potranno  darne  una  bastante  de' suoi  caratteri  principali, 
degli  sforzi  fatti  per  ispegncrla,  e  della  sua  dura  e  rigogliosa  vitalità. 

Fino  dall'otto  aprile  dell'anno  ltE83,  l'Illuslj-issimo  ed  Eceellcntie- 
simo  signor  don  Carlo  d'Aragon,  Princi|)e  di  Castclvctrano ,  Duca  di 
Terranuova,  Mai-elicsc  d'Avola,  Conte  di  Burgelo,  grande  Ammiraglio, 
e  gran  Contestabile  di  Sicilia,  Go\'eriiatore  di  Milano  e  Capitan  Gene- 
rale dì  Sua  Maestà  Cattolica  in  Italia,  pienamente  informato  della  in- 
tollerabile miseria  ia  che  è  vintta  e  vive  questa  Città  di  Milano^  jìer 
cagione   dei  bravi  e  vagabondi ,   pubblica  un  bando  contro  di  essi. 


Jtichiara  e  diffinisce  tutti  coloro  essere  compresi  in  r/uesto  bando,  e  do- 
versi ritenere  bravi  e  vagaboiuH...  i  quali ^  essendo  forestieri  o  del fìoese, 

non  hanno  esercizio  alcuno,  od  avendolo,  non  lo  fanno ma,  senza 

salario,  o  pur  con  esso,  s' ap/io'jyiauo  a  (/ualche  cavaliere  o  gentiluomo, 
officiale  o  mercante ...  per  fanjli  s/ialte  e  favore,  o  reniwieitte,  conte  si 


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I  PHOMESai  SPOSI 


può  pretumere,  per  tetulere  insidie  ad  altri....  A  tiiltì  costoro  ordin» 
che,  nel  Icrmuic  di  giorni  sei,  abbiano  a  sgomberare  il  paese,  inlima 
la  galera  a' renitenti,  e  dà  a  tutti  gli  ufiziali  della  giustizia  le  più  slhi- 
namente  ampie  e  indefinile  facoltà,  per  l'esecuzione  dell'ordine.  Ma, 
nell'anno  seguente,  il  12  aprile,  scorgendo  il  detto  signore,  c/ie  ^iipite 
Ciltà  è  tuttavia  piena  di'  detti  bravi.. . .  tornati  a  vigere  come  prima 
vivevano,  twn  punto  mutato  il  costume  loro,  «è  scemato  il  numem,  dà 
fuori  un'altra  grida,  ancor  più  vigorosa  e  notabile,  ndla  quale,  Ira 
r  altre  ordinazioni ,  prescrive: 

Che  qualsivoglia  persona,  cosi  di  questa  Città,  come  forestiera,  che 
per  due  testimoni  consterà  esser  tenuto,  e  comuttemente  riputato  per 
bravo,  et  aver  tal  nome,  aiicorckè  no»  ti  verifichi  aver  fatto  delitto 
alcuno... per  questa  sola  riputazione  di  bravo,ienza  altri indizj, possa 
dai  detti  giudici  e  da  ognuno  di  loro  esser  posto  alla  corda  et  al  tor- 
mento, per  processo  in  formativo....  et  ancorché  non  rj)Hfeisi  delitto  al- 
cuno, tuttavia  sia  mandato  alla  galea,  per  detto  triennio,  per  la  sola 
opinione  e  nome  di  bravo,  come  di  sopra.  Tutto  ciò,  e  il  di  più  che  si 
tralascia,  |>erchè  Sua  Eccellenza  è  risoluta  di  mler  essere  obbedita  da 
ognuno. 

All'udir  parole  d'un  tanto  signore,  così  gagliarde  e  sicure,  e  ac- 
c>>ni|>agnate  da  tali  ordini,  viene  una  gran  voglia  di  ciTderc  che,  al 
solo  rimbombo  di  esse,  lutti  i  bi'avi  siano  scoui))arsi  per  seni|H-e.  Ma 
la  testimonianza  d'  un  signore  non  meno  aulore%'olc,  ne  meno  dotato 
di  nomi,  ci  obbliga  a  credere  lutto  il  contrario.  Équcsli  l'Illustrissinio 
»h1  Eccellenlissinio  Signor  Juan  Fernandez  de  A'clasco,  Cuniestabile  di 
Castiglia,  Canieriero  maggiore  di  Sua  Maestà,  Duca  della  CilUt  di  Frìas, 
Conte  di  Haro  e  Castelnovo,  Signore  della  Casa  di  Velasoo,  e  di  quella 
(Mi  selle  Infanti  di  Lara,  Governatore  dello  Stalo  di  Milano,  eie.  Il 
a  giugno  dell'anno  lìios,  pienamente  informato  anche  lui  di  quanto 
danno  e  rovine  sieno....  i  bravi  e  vagabondi^  e  del  pessimo  effetto  che 
tal  sorta  di  gente  fa  cantra  il  ben  pubblico,  et  in  delusione  della  giu- 
stizia, intima  loro  di  nuovo  che,  nel  termine  di  giorni  sci,  aUtiano  a- 
slH^tlarc  il  paese,  ripetendo  a  un  dipresso  le  prescrizioni  e  le  minacce 
medesime  del  suo  predecessore.  Il  SS-  maggio  poi  dell'anno  iifos,  >n- 
formato,  con  nonpoco  dispiacere  dell'animo  suo,  die...  ogni  di  più  in 
questa  Città  e  Stato  va  crescendo  il  numero  di  questi  tali  (  bravi  e 
vagabondi),  »iè  di  loro,  giorno  e  notte,  altro  si  sente  che  ferite  api»' 
statamente  date,  omicida  e  ruberie  et  ogni  altra  qualità  di  delitti,  ai 


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CAPITOLO  PRIHU.  tu 

qtiali  ti  mtdono  più  facili,  confidati  essi  bravi  d'estere  aiutati  dai  capi 
e  ^tutori  toro,....  prescrive  dì  nuovo  gli  slcssi  rimedi,  accreseendo  la 
dose,  eohie  s'  usa  nelle  iiialallic  ostinale.  Ognuno  dunque,  concbiAdfì 
poi,  onniuamenle  si  guardi  di  contravvenire  in  parte  alcuna  alla  grida 
presente  j,  perchè,  in  luogo  di  provare  la  clemenza  di  Sua  Eccellenza, 

proverà  il  rigore,  e  l'ira  sua essendo  risoluta  e  determinata  clttf 

tfuesta  sia  f  ultima  e  perentoria  moniziotie. 

Non  Tu  |ieró  di  qiieslo  parere  l' llluslrissrmo  ed  Ececllenlis^mo  Si- 
gnore, il  Signor  Don  Pietro  Enriquez  de  Eee\'edo,  Conle  dì  Fuentes, 
Capitano,  e  Go^cmulore  dello  Slato  di  Milano;  non  fu  di  questo  pa- 
rere, V  |»er  buone  ragioni.  Pìenamenlf  informato  della  nmeria  in  che 
vive  questa  Città  e  Sialo  ;>er  cagione  del  gran  nuntero  di  bravi  che  in 

esso  abbonda e  risoluto  di  totalmente  estirpare  seme  tanto  pemi- 

zioso,  dà  fuori,  ii  a  dccembre  1000,  una  nuova  grida  piena  aneli'  essa 
di  scverisame  CMnoiinazioni,  con  fermo  proponimento  che,  con  ogni  ri- 
gore, e  senza  speranza  di  remissione,  siano  mminameitle  eseguite. 

Convien  credere  \wrò  che  non  ci  si  mettesse  con  tutta  quella 
buona  vo^ia  che  sapeva  impiegare  ndl' ordir  cabale,  e.  ne)  suscitar 
ntmtci  al  suo  gran  nemico  Enrico  IV';  giueeliè,  per  questa  parte,  la 
storia  attesta  come  riuscisse  ad  armare  contro  quel  re  il  duca  di 
Savoia,  a  cui  fece  iierder  più  d'  una  città;  cunic  riuscisse  a  far  con- 
giurare il  duca  di  Biron,  a  cui  fece  pei-der  la  lesta;  ma,  per  ciò  clic 
riguarda  (piel  seme  tanto  pcmizioso  de'  bravi,  certo  è  che  esso  eonti- 
niiava  a  germogliare,  Ìl  9S  settembi*o  dell'anno  iota.  In  quel  giorno 
l'Illustrissimo  ed  Eccellentissimo  Signore,  Don  (ìiovanni  de  Mendozza, 
Marcliese  de  la  llynojosa,  Gentiluomo  eie.  Governatore  etc,  pensò  se- 
riamente ad  estirparlo.  A.  qucst' effetto,  spedi  a  Pandolfo  e  Marco  Tul- 
lio Malatestì,  stampatori  regii  camerali,  la  solito  grida,  corretta  (hI .ac- 
cresciuta; iwrehe  la  stampassero  ad  esterminio  de'  bravi.  Ma  questi 
vissero  ancora  \wr  ricevere,  il  9i  deecndire  dell'anno  I6I8,  gli  stessi 
e  più  furti  colpi  dall' Illuslrissiino  ed  Eceellenlissìmo  Signore,  ii  Signor 
Don  Gomez  Suarez  de  Figueroa,  Duca  di  Feria,  etc.  Go\crnatorc,  eie. 
Peni,  non  essendo  essi  morti  neppur  di  quelli,  l'Illustrissimo  cdE^ccel- 
Icnlissimo  Signore,  il  Signor  Gonzalo  Fernandez  di  Cordova,  sotto  il 
cui  governo  accadde  la  jiasscggiafa  di  don  Abbondio,  s'era  trovato  co- 
slretlo  a  ricorreggere  e  ripubblicare  la  solita  grida  contro  ì  bravi ,  il 
giorno  K  ottobre  del  ICS 7,  cioè  un  anno,  un  mese  e  due  giorni  prima 
di  quel  memorabile  avvenimento. 


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«e  1  PROMESSI  SPOSI 

Né  fu  quella  I'  ultima  piil)blicazJoiie  ;  ma  noi  tlHIc  posteriori  non 
crediamo  dover  far  menzione,  come  di  cosa  che  esee  dal  periodo  (Iella 
noi^ra  storia.  Ne  accenneremo  soltanto  una  del  13  Tcbbraìo  dell'anno 
I65S,  nella  quale  l' llliislrissimo  ed  Eccellentissimo  Signore,  «/ ZJur/ric 
de  Feria  j  |>cr  la  seconda  volta  governatore,  ci  av\Ìsa  die  le  laagejion 
Ketcrfu/gini  procedono  da  quelli  che  chiamano  braei.  Questo  basta  ad 
assicurarci  che,  nel  leni]»  di  cui  noi  tralliamo,  c'era  de'bravi  tuttavia. 

Che  i  due  descritti  di  sopra  stessero  ivi  ad  aspettar  qualcheduno, 
era  cosa  troppo  evidente;  ma  quel  che  più  dìspiawiue  a  don  Abbon- 
dio fu  il  dover  accoi^'i-si,  per  certi  atti,  che  1"  aspettalo  era  Ini.  Pelu- 
che, al  suo  ap|K>rÌre,  coloro  s'eran  guardali  in  viso,  alzando  la  testa, 
con  im  movimento  dal  quale  si  scorgeva  che  luti'  e  due  a  un  tratto 
avevan  detto:  e  lui;  quello  che  .slava  a  cavalcioni  s' era  alzato,  tirando 
la  sua  gamba  sulla  strada;  l'altro  s'era  staccato  dal  muro;  e  lutt'  e 


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CAPITOLO  PRIMO.  IT 

due  gli  s'avviavano  incontro.  Egli,  tenendosi  sempre  il  breviario  aperto 
dinanzi,  come  se  lef^esse ,  spingeva  lo  sguardo,  in  su,  per  bpiar  ìlc 
mosse  di  coloro;  e,  vedendoseli  venir  proprio  incontro,  fu  assalito  a 
un  tratto  da  mille  pensieri.  Domandò  subito  in  fretta  a  sé  stesso,  se, 
tra  )  bravi  e  lui,  ci  fosse  qualche  uscita  di  strada,  a  destra  o  a  si- 
nistra; e  gli  sovvenne  subito  di  no.  Pece  un  rapido  esame,  se  avesse 
peccato  contro  qualche  potente,  contro  qualche  vendicativo;  ma,  anche 
in  quel  turbamento,  il  testimonio  consolante  della  coscienza  lo  rassi- 
curava alquanto:  i  bravi  però  s'avvicinavano,  guardandolo  fisso.  Mise 
l' indice  e  il  medio  della  mano  sinistra  nel  collare ,  come  per  racco- 
modarlo; e,  girando  le  due  dita  intorno  al  collo,  volgeva  intanto  la 
faccia  all'  indietro,  torcendo  insieme  la  bocca,  e  guardando  con  la  coda 
dell'occhio,  fin  dove  poteva,  so  qualcheduno  arrivasse;  ma  non  vide 


nessuno.  Diede  un'occhiaia,  a)  dì  sopra  del  muricciolo,  ne' campi:  nes- 
suno; un'  altra  più  modesta  sulla  strada  dinanzi:  nessuno,  fuorché  ì 
bravi.  Che  fare?  loniare  indietro,  non  era  a  tempo:  darla  a  gambe , 
era  lo  stesso  che  dire,  inseguitemi,  o  peggio.  Non  polendo  schivare  il 
pericolo,  vi  corse  incontro,  perché  (momenti  di  quell'incertezza  erano 
allora  cosi  penosi  per  lui,  che  non  desiderava  altro  che  d'abbreviarli. 
Affrettò  il  posso,  recitò  un  versetto  a  voce  più  alla,  compose  la  faccia 
a  tntla  quella  quiete  e  ilarità  che  potè,  fece  ogni  sforzo  per  preparare 
un  sorriso;  quando  si  trovò  a  fronte  dei  due  galantuomini,  disse  men- 
talmente; ci  siamo;  e  si  fermò  su  due  piedi.  «  Signor  curato,  n  disse 
un  di  que'  due,  pianlandogli  gli  occhi  in  faccia. 


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■  S  I  PROMESSI  SPOSI 

u  Cosa  comanda?  »  rispose  subito  don  Abbondio,  alzando  i  suoi 
dal  libro,  che  gli  restò  spalancato  nelle  mani,  come  sur  un  leggio. 

«  Lei  ha  intenzione,"  proseguì  l'altro,  con  l'alto  minaccioso  e  ira- 
condo di  ehi  coglie  un  suo  inrerìore  suH'  intraprendere  una  ribalde- 
ria, «lei  ha  intenzione  di  maritar  domani  Renzo  Tramaglino  e  Lucia 
Mondella!  » 

«  Cioè  . . . .  n  rispose,  con  voce  tremolante,  don  Abbondio:  «  cioè. 
Lor  signori  son  uomini  di  mondo,  e  sanno  benissimo  come  vanno 
queste  faccende.  Il  povero  curalo  non  e' entra:  fanno  i  loro  pasticci  tra 

loro,  e  poi e  poi,  vengon  da  noi,  come  s'anderebbe  a  un  banco  a 

1  riscolere;  e  noi ... .  noi  siamo  i  servitori  del  comune.  " 

1  Or  bene,  «  gli  disse  il  bravo,  all'orecchio,  ma  in  tono  solemie  di 
coniando,  «  questo  matrimonio  non  s'ha  da  fare,  né  domani,  né  mai.  » 

u  Ma,  signori  mici,»  replicò  don  Abbondio^  con  la  voce  mansueta 
e  gentile  di  chi  vuol  persuadere  un  impaziente,  »  ma,  signori  miei, 


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■  CAPITOLO  PRTMO.  19 

si  (legnino  di  mettersi  ne'  miei  panni.  Se  la  cosa  dipendesse  da  me,... 
vedon  bene  che  a  me  non  me  ne  vìen  nirila  in  lasca...." 

u  Orsù,  f  interruppe  il  bravo,  u  se  la  cosa  avesse  a  decidersi  a  ciarle, 
lei  ci  metterebbe  in  sacco.  Noi  non  ne  sappiamo,  né  vogliam  saperne 
di  pitì.  Uomo  avvertito....  lei  c'intende.  " 

u  Ma  lor  signori  son  troppo  giusti,  troppo  ragionevoli....  <• 

u  Ma,»  interruppe  questa  volta  l'altro  compagnone,  che  non  aveva 
parlato  fin  allora,  "  ma  il  matrimonio  non  si  farà,  o ....  n  e  qui  una 
buona  bestemmia,  u  o  chi  lo  farà  non  se  ne  pentirà,  perchè  non  ne 
avrà  tempo,  e,.,."  un'altra  bestemmia. 

"  Zitto,  lìtio,  "  riprese  il  primo  oratore,  u  il  signor  curato  è  un  uomo 
che  sa  il  viver  del  mondo;  e  noi  siam  galantuomini,  che  non  vogliam 
largh  del  male,  purché  abbia  giudizio.  Signor  curalo,  (' illuslrissimo  si- 
gnor don  Rodrigo  nostro  padrone  la  riverisce  caramenle.  » 


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fl«  I  PROMESSI  9POSI 

Questo  nome  fu,  nella  mente  di  don  Abbondio,  come,  nel  forte  d'un 
temporale  notturno,  un  lampo  cbe  illumina  mamentaneamcnte  e  in 
confuso  gli  oggetti ,  e  accresce  il  terrore.  Fece,  cwne  per  istinto,  un 
grand'  inchino,  e  disse:  e  se  mi  sapessero  suggerire ..." 

u  Oh!  suggerire  a  lei  che  sa  di  Ialino!  i  interruppe  ancora  il  bravo, 
con  un  riso  tra  lo  sguaiato  e  il  feroce.  «  A  lei  tocca.  E  sopra  tutto,  non 
^  lasci  uscir  parola  su  questo  avviso  che  le  abbiam  dato  per  suo  bene; 
altrìmenli....  ehm....  sarebbe  lo  stesso  che  fare  quel  tal  matrimonio. 
Via,  che  vuol  che  si  dica  in  suo  nome  all' illustrissimo  signor  don  Ro- 
drigo ?  » 

1  11  mio  rispetto  ....'• 

u  Si  spieghi  meglio!  " 

u  . . . .  Disposto disposto  sempre  all'ubbidienza,  n  E,  proferendo 

queste  parole ,  non  sapeva  nemnien  lui  se  faceva  una  promessa ,  o 
un  complimento.  I  bravi  le  presero,  o  mostraron  di  prenderle  nel  si- 
(^ificato  più  serio. 

«  Benissimo,  e  buona  notte,  messere,"  disse  l'un  d'essi,  in  allo  di 
partir  col  compagno.  Don  Abbondio,  che,  pochi  momenti  prima,  avrebbe 
dato  un  ocdiio  per  iscansarli,  allora  avrebbe  voluto  proliuigar  la  con- 
versazione e  le  trattative.  "  Signori ..."  cominciò,  chiudendo  il  libro 
con  le  due  manij  ma  quelli,  senza  più  dargli  udienza,  presero  la  strada 
dond'  era  lui  venuto,  e  s'allontanarono,  cantando  una  canzonacela 
che  non  voglio  trascrivere.  Il  povero  don  Abbondio  rimase  un  momento 
a  bocca  aperta,  come  incantato;  poi  prese  quella  delle  due  stradetle 
cite  conduceva  a  casa  sua,  mettendo  innanzi  a  stento  una  gamt>a  dopo 
l'altra,  che  parevano  aggranchiate.  Come  stesse  di  dentro,  s'intenderà 
meglio,  quando  avrem  detto  qualche  cosa  del  suo  naturale,  e  de'  tempi 
in  cui  gli  era  toccalo  di  vivere. 

Don  Abbondio  (il  lettore  se  n'è  già  avveduto)  non  era  nato  con  un 
cuor  di  leone.  Ma,  fin  da'  primi  suoi  anni,  aveva  dovuto  comprendere 
che  la  pcggior  condizione,  a  que'  tempi,  era  quella  d'un  animale  senza 
artigli  e  senza  zanne,  e  che  pure  non  si  sentisse  inclinazione  d"  esser 
divoralo.  La  forza  legale  ncm  prole^eva  in  alcun  conto  l'uomo  tran- 
quillo ,  inoflensivo ,  e  che  non  avesse  altri  mezzi  di  far  paura  altrui. 
Non  già  che  mancassero  leggi  e  pene  contro  le  violenze  privale.  Le 
leggi  anzi  diluviavano  ;  ì  delitti  erano  enumerali ,  e  particolareggiati, 
con  minuta  prolissità;  le  pene,  pazzamente  esorbitanti  e,  se  non  basta, 
aumentabili ,  quasi  per  ogni  caso ,  ad  arbitrio  del  legislatore  slesso  e 


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CAPITOLO  PRIMO.  K 

di  cenlo  esecutori;  le  procedure,  studiate  soltanto,  a  liberare  il  giudice 
da  c^i  cosa  che  potesse  essergli  d'impedimento  a  proferire  una  con- 
danna: gli  squarci  clic  abbiam  riportali  delle  gride  c(mtro  i  bravi,  ne 
sono  un  piccolo,  ma  fedd  saggio.  Con  tutto  ciò,  anzi  in  gran  parte  a 
cagion  di  ciò,  quelle  gride,  ripidjblicate  e  rinforzale  di  governo  In  go- 
verno, non  servivano  ad  altro  che  ad  allestare  ampollosamenle  V  im- 
polwza  de'  loro  aulori  ;  o,  se  producevan  qualche  effetto  immediato, 
era  principalmente  d'  a^unger  molle  vessazioni  a  quelle  che  i  paci- 
Iki  e  i  deboti  già  soffrivano  da'  perturt)atori,  e  d'accrescer  le  violenze 
e  I'  astuzia  di  questi.  L' impunità  era  organizzata,  e  ave\'a  radici  che 
le  gride  non  toccavano,  o  non  potevano  smovere.  Tali  eran  gli  asili, 
tali  i  privilegi  d'  alcune  classi ,  in  parte  riconosciuti  dalla  forza  le- 
gale, in  parte  tollerati  con  astioso  silenzio,  o  impugnati  con  vane  pro- 
teste ,  ma  sostenuti  in  fallo  e  difesi  da  qudle  classi,  con  atlivilà 
d' interesse,  e  con  gelosia  di  puntiglio.  Ora,  quest'impunità  minacciata 
e  insultata,  ma  non  distrutta  dalle  gride,  do^'eva  naturalmente,  a 
ogni  minaccia,  e  a  ogni  insulto,  adoperar  nuovi  sforzi  e  nuove  in- 
venzioni, per  conservarsi.  Cosi  accadeva  in  effetto;  e,  all'apparire 
delle  gride  dirette  a  comprimere  i  violenti ,  questi  cercavano  nella 
loro  forza  reale  i  nuovi  mezzi  più  opportuni,  per  continuare  a  far 
ciò  che  le  gride  venivano  a  proibire.  Poteian  ben  C8.se  inceppare  a 
<^i  passo,  e  molestare  l'uomo  bonario,  che  fosse  senza  forza  propria» 
e  senza  protezione;  perchè,  col  fine  d'aver  sotto  la  mano  ogni  uomo, 
per  prevenire  o  per  punire  ogni  delitto ,  assoggettavano  ogni  mossa 
del  privato  ah  volere  arbitrario  d'  esecutori  d' ogni  genere.  Ma  chi, 
prima  di  commeltere  il  delitto,  aveva  prese  le  sue  misure  fter  ricove- 
rarsi a  tempo  in  un  convento,  in  un  palazzo,  dove  i  birri  non  avreb- 
ber  mai  osalo  metter  piede;  chi,  senz'aure  precauzióni,  portava  una 
livrea  che  impegnasse  a  difenderlo  la  vanità  e  l'interesse  d'una  fami- 
glia potente,  di  tutto  un  celo,  era  libero  nelle  sue  operazioni,  e  poteva 
ridersi  dì  tutto  quel  fracasso  delle  gride.  Di  quegli  stessi  eli'  eran  de- 
putati a  farle  eseguire ,  alcuni  appartene\'ano  per  nascita  alla  parte 
privilegiala,  alcuni  ne  dipendevano  per  clientela  ;  gli  uni  e  gli  altri , 
per  educazione,  per  interesse,  per  consuetudine,  per  imitazione  ,  ne 
avevano  abbracciale  le  massime,  e  si  sarebbero  ben  guardali  dall'  of- 
fenderle, per  amor  d'  un  pezzo  di  caria  attaccato  sulle  cantonate.  Gli 
uomini  poi  incaricati  dell'  esecuzione  immediata,  quando  fossero  stati 
ÌDlrapr«idcnti  come  croi,  ubbidienti  come  monaci,  e  pronti  a  .sacri- 


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fls  I  PROMESSI  SPOSI 

ficarsì  cóme  martìri,  non  avrebber  però  potuto  veairne  alla  line,  inr^ 
riori  com'  eran  di  numero  a  quelli  che  si  trattava  di  sottomettere,  e 
con  una  gran  probabilità  d'essere  abbandonati  da  chi,  in  astratto  e, 
per  cosi  dire,  in  teoria,  imponeva  loro  di  operare.  Ma ,  olire  di  ciò , 
costOTO  eran  generalmente  de'  più  abbietti  e  ribaldi  so^^tli  del  loro 
tempo;  l'incarico  loro  era  tenuto  a  vile  anche  da  qudli  che  potevano 
avenie  terrore,  e  il  loro  titolo  un  improperio.  Era  quindi  ben  naturale 
che  costoro,  in  vece  d'arrischiare,  anzi  di  gettar  la  vita  in  un'  impresa 
dbperala,  vendessero  la  loro  inazione,  o  anche  la  loro  connivenza  ai 
polenti ,  e  si  riservassero  a  esercitare  la  loro  esecrata  autorità  e  la 
forza  che  pure  avevano,  in  quelle  occasioni  dove  non  e'  era  pericolo; 
neir  opprimer  cioè,  e  nel  vessare  gli  uomini  pacifici  e  senza  difesa. 

L'  uooio  che  vuole  offendere,  o  che  teme,  ogni  momento,  d'  essere 
offeso,  cerca  naturalmente  alleali  e  compagni.  Quindi  era,  in  que'  tempi, 
portata  al  massimo  punto  la  tendenza  degl'individui  a  tenersi  collegati 
in  classi,  a  formarne  delle  nuove,  e  a  procurare  ognuno  la  maggior  po- 
tenza di  quella  a  cui  apparteneva.  Il  clero  vegliava  a  sostenere  e  ad 
estendere  le  sue  immunità,  la  nobiltà  i  suoi  privilegi ,  il  militare  le 
sue  esenzioni.  I  mercanti,  gli  artigiani  erano  arrotati  in  maestranze  e 
in  confraternite,  i  giurisperiti  formavano  una  lega,  i  medici  slessi  una 


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CAPITOLO  PRINO.  » 

corporaxione.  Ognuna  di  queste  picc(^  oligardiie  aveva  una  sua  Torza 
speciale  e  propria  ;  in  ognuna  l' individuo  trovava  il  voltaggio  d"  im- 
piegar per  sé,  a  proporsìone  della  sua  autorità  e  della  sua  destrezza, 
k  forze  riunite  di  molti.  I  più  onesti  si  vfJevan  di  questo  vantarlo  ' 
a  difesa  soltanto  ;  ^i  astuti  e  i  facinorosi  ne  approfittavano,  per  con- 
durre a  termine  ribalderie ,  alle  quali  i  loro  mezzi  personali  non  sa- 
rritber  bastali,  e  per  assicurarsene  l' impunità.  Le  forze  però  di  que- 
ste varie  leghe  eran  molto  disuguali  ;  e,  nelle  campagne  principalmente, 
il  QolMle  dovizioso  e  vicdento,  con  intorno  uno  stuolo  di  bravi,  e  una 
popolazione  di  contadini  avvezzi,  per  traditone  famigliare,  e  interessati 
0  forzati  a  riguardarsi  quasi  come  sudditi  e  soldati  del  padrone,  eser- 
eJlava  un  potere,  a  cui  difficilmente  nessun' altra  frazione  di  l^a 
avrebbe  ivi  potuto  resistere. 

11  nostro  Abbondio,  non  nobile,  non  rieco,  coraggioso  ancor  meno, 
s'era  dunque  accorto,  prima  quasi  di  toccar  gli  anni  della  discrezione, 
d' essere ,  in  quella  società ,  come  un  vaso  di  terra  cotta,  costretto  a 
viaggiare  in  compagnia  di  molti  vasi  di  ferro.  Aveva  quindi,  assai  di 
buon  grado,  ubbidito  ai  parenti,  che  lo  \'ollero  prete.  Per  dir  la  verità, 
non  ave^-a  gran  btto  pensato  agli  obblighi  e  ai  nobili  lini  del  mi- 
nistero al  quale  sì  dedicava  :  procacciarsi  di  che  vivere  con  qualche 
agio,  e  mettersi  in  una  classe  riverita  e  forte,  gli  eran  sembrale  due 
ragioni  più  che  sutlkicnti  per  una  tale  scella.  Ma  una  classe  qualun-  , 
que  non  protegge  un  individuo,  non  lo  assicura,  che  tino  a  un  certo 
segno  :  nessuna  lo  dispensa  dal  farsi  un  suo  sistema  partictdare.  Don 
Abbondio,  assorbito  continuamente  ne'  pensieri  della  propria  quiete, 
iMtn  »  curava  di  (|ue'  vantaggi,  per  ottenere  i  quaiì  facesse  bisogno 
d'adoperarsi  molto,  o  d' arrischiarsi  un  poco.  Il  suo  sistema  consistc^'a 
|H-incì|>almente  nello  scansar  tutti  i  contrasti,  e  nel  cedere,  in  quelli 
ehe  non  poteva  scansare.  Neutralità  disarmata  in  tutte  le  guerre  die 
scoppiavano  intorno  a  lui,  dalle  contese,  allora  frequentissime,  tra  il 
clero  e  le  podestà  laiche,  tra  il  militare  e  il  civile,  tra  nobili  e  nobili, 
fino  alle  questioni  tra  due  contadini,  nate  da  una  parola,  e  decise  coi 
pugni,  0  con  le  coltellate.  Se  si  trovava  assolutamente  costretto  a  pren- 
der |)arte  tra  due  contendenti,  stava  col  più  forte,  sempre  però  alla 
retroguardia,  e  procurando  di  far  vedere  all'  altro  eh'  egli  non  gli  era 
volontariamente  nemico:  pareva  che  gli  dicesse:  ma  perché  non  avete- 
saputo  esser  voi  il  più  forte?  eh'  io  mi  sarei  messo  dalla  vostra  par- 
te. Stando  alla  lai^  da'  prepotenti,  dissimulando  le  loro  soveniiierie 


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14  I  PROMESSI  SPOSI 

passeggiere  e  capricciose,  corrispondendo  con  sommissioni  a  quelle  che 
venissero  da  un'intenzione  più  seria  e  più  meditata,  costringendo,  a 
forza  d' inchini  e  di  rispetto  gioviale,  anche  Ì  più  burberi  e  sdegnosi, 
a  fargli  un  sorriso,  quando  gt* incontrava  per  la  strada,  il  pover'uomo 
era  riuscito  a  passare  i  sessant'  anni,  senza  gran  burrasche. 

Non  è  però  che  non  avesse  andie  lui  il  suo  po'  di  fiele  in  corpo  ; 
e  quel  contìnuo  esercitar  la  pazienza,  quel  dar  così  spesso  ragione 
agli  altri,  qiie'  t^ili  bocconi  amari  inghiottiti  in  silenzio,  gjielo  avevano 
esacerbato  a  segno  che,  se  non  avesse,  dì  tanto  in  tanto,  potuto  dargli  un 
|Kt'  di  sfogo,  la  sua  salute  n'avrebbe  certamente  sofferto.  Ma  siccome 
v'eran  poi  tìnalnieiite  al  mondo,  e  vicino  a  lui,  persone  ch'olì  cono- 
sceva ben  bene  per  incapaci  di  far  male,  cosi  poteva  con  quelle  sfo- 
gare qualche  volta  il  mal  umore  lungamente  represso,  e  cavarsi  anche 
lui  la  voglia  d'  essere  un  po'  fantastico,  e  di  gridiu'c  a  torto.  Era  poi 


un  rigido  censore  degli  nomini  clie  non  si  regolavan  come  lui,  quando 
però  la  censura  potesse  esercitarsi  senza  alcuno,  anche  lontano,  peri- 
colo. Il  battuto  era  almeno  almeno  un  imprudente;  l'ammazzato  era 


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CAPITOLO  paiuo.  t» 

sempre  s(ato  un  uomo  torbido.  A  chi ,  messosi  a  sostener  te  sue  ra- 
gioni contro  un  polente,  rimaneva  col  capo  rotto,  don  Abtmndio  sapeva 
trovar  sempre  qualclic  torto;  <»>sa  non  diflìcilc,  perchè  la  ragione  e  il 
torto  non  si  dividon  mai  con  un  taglio  così  netto,  ette  ogni  parie  abbia 
soltanto  dell'  una  o  dell'altro.  Sopra  tutto  poi,  declamava  contro  que" 
suoi  confralelli  ehc,  a  loro  rischio*  prendevan  le  parti  d'un  debole  op- 
presso, contro  un  soverchiatore  potente.  Questo  chiamava  un  comprarsi 
gl'impìcci  a  contanti,  un  voler  raddirizzar  le  gambe  ai  cani;  diceva 
anche  severamente,  eli'  era  un  mischiarsi  nelle  cose  profane,  a  danno 
della  dignità  del  sacro  ministero.  E  contro  questi  predicava ,  sempre 
però  a  quattr'occhi,  o  in  un  piccolissimo  crocchio,  i»n  tanto  più  di  vee- 
menza, quanto  più  essi  eran  conosciuti  per  alieni  dal  risentir»,  in  cosa 
dte  li  toccasse  personalmente.  Aveva  poi  una  sua  sentenza  prediletta, 
con  la  quale  sigillava  sempre  i  discorsi  su  queste  materie  :  che  a  un 
galantuomo,  il  qual  badi  a  sé,  e  stia  ne'  suoi  panni,  non  aeeadon  mai 
brutti  incontri. 

Pensino  ora  i  miei  venticinque  lettori  che  impressione  dovesse  fare 
suU'  animo  del  poveretto,  quello  che  s'  è  raccontalo.  Lo  spavento  di 
que'visaccì  e  di  quelle  parolacce,  la  minaccia  d'un  signore  noto  per 
non  minacciare  invano,  un  sistema  di  quieto  vivere,  ch'era  costato 
lant'anni  di  studio  e  di  pazienza,  sconcertato  in  un  punto,  e  un  passo 
dal  qnde  non  si  poteva  veder  come  uscirne:  tutti  questi  pensieri  ron- 
zavano (umulluariamente  nel  capo  basso  di  don  Abbondio. — Se  Renzo 
si  potesse  mandare  in  pace  con  un  bel  no,  via;  ma  vorrà  delle  ragioni; 
e  cosa  ho  da  rispondergli,  per  amor  del  cielo?  E,  e,  e,  anche  costui 
é  una  lesta:  un  agnèllo  se  nessun  lo  tocca,  ma  se  miO  vuol  contrad- 
direi  ih!  E  poi,  e  poi,  perduto  dietra  a  quella  Lucia,  innamorato 

cerne....  Ragazzacci,  die,  per  non  saper  che  fare,  s*  innamorano,  vo- 
glion  maritarsi,  e  non  pensano  ad  altro;  noù  si  fiumo  carico  de'  tro- 
vai in  che  mettono  un  povero  galantuoino.  Oh  povero  mei  vedete  se 
quelle  due  flguracce  dovcvan  proprio  piantarsi  sulla  mia  strada,  e 
prenderla  con  me!  Qie  c'entro  io?  Son  io  che  voglio  maritarmi?  Per- 

diè  non  son  andati  piuttosto  a  parlare Oh  vedete  un  poco:  gran 

destino  è  il  mio,  che  le  cose  a  proposito  mi  vcngan  sanpre  tn  mente 
un  momento  dopo  l'occasione.  Se  avessi  pensato  di  suggerir  loro  che 
andassero  a  portar  la  loro  imbasciata...  —  Ma,  a  questo  punto,  s'ac- 
corse che  il  pentir»  di  non  essere  stato  consigliere  e  cooperatore  del- 
l' iniqaità  era  cosa  troppo  inìqua  ;  e  rivolse  tutta  hi  stizza  de'  suoi 


i 


„GoogIe 


I  PROMESSI  SPOSI 


pensieri  oiotro  quell'altro  die  veniva  così  a  togliergli  la  sua  pace.  Non 
conosceva  don  Rodrigo  che  di  vista  e  di  fama,  né  a^eva  mai  avuto 
che  far  con  Im,  altro  che  di  toccare  il  petto  col  mento,  e  la  terra  con 
la  punta  del  suo  cappello,  quelle  poche  volte  che  1'  aveva  incontralo 


per  la  strada.  Gli  era  occorso  di  difendere,  in  più  d'  un'  occasione,  la 
riputazione  di  quel  signore,  contro  coloro  che,  a  bassa  voce,  sospirando, 
&  alzando  gli  occhi  al  cielo,  maledicevano  qualche  suo  (atto:  aveva  detto 
cento  vfAìe  ch'era  un  rispettabile  cavaliere.  Ma,  in  quel  momento,  gli 
diede  in  cuor  suo  tutti  que'  titoli  che  non  aveva  mai  udito  applicar- 
gli da  altri,  senza  inlerrompere  in  fretta  con  un  oibò.  Giunto,  tra  il 
tumulto  di  questi  pensieri,  alla  porta  di  casa  sua,  ch'era  in  fondo  del 
paesello,  mise  in  fretta  nella  loppa  la  chiave,  che  già  teneva  in  mano; 
apri,  «ntró,  richiuse  diligentemente;  e,  ansioso,  dì  trovarsi  in  una  eom- 
pagnia  fldata,  chiamò  subito:  «Perpetua!  Perpetua!» ,  avviandosi  pure 
verso  il  salotto,  dove  questa  doleva  esser  certamente  ad  apparecchiar 
la  tavola  per  la  cena.  Era  Perpetua  ,  come  ognun  se  n'  avvede ,  la 
serva  di  don  Abbondio:  serva  aRedonata  e  fedele,  che  sapeva  ubbidire 


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CAPITOLO  PRIVO.  IT 

e  comandare,  secondo  1'  occasione,  tollerare  a  tempo  il  brontolio  e  le- 
fanlasticagf^ni  del  padrone,  e  fargli  a  tempo  tollerar  le  proprie,  che 
diveniva»  di  giorno  in  giorno  più  frequenti,  da  che  aveva  passata  l'eli 
sinodale  dei  quaranta,  rimanendo  celibe,  per  aver  rifiutali  tutti  i  par- 
titi che  le  si  erano  offrii,  come  diceva  lei,  o  per  non  aver  mai  trovato 
un  cane  che  la  volesse,  come  ilicevan  le  sue  amiche. 

«  Vengo,  »  rispose,  mettendo  sul  tavolino,  al  luogo  solito,  il  lìaschetto 
del  vino  prediletto  dì  don  Ablxtndio,  e  si  mosse  lentamente;  ma  non 
aveva  ancor  toccala  la  soglia  del  salotto,  ch'egli  v'entrò,  con  un  passo 
così  legato,  con  uno  sguardo  così  adombrato,  con  un  viso  così  stra- 
volto, che  non  ci  sarebbero  nemmen  bistrati  gli  occhi  esperti  di  Per- 
petua, per  iscoprìre  a  prima  vista  che  gli  era  accaduto  qualdie  cosa  dì 
straordinario  davvero. 

a  Misericordia!  cos'  ha,  signor  padrone?  » 

«  Niente,  niente,  »  rispose  don  Abbondio,  lasciandosi  andar  tutto 
ansante  sul  suo  seggiolone. 


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BB  1  PROMESSI  SPOSI 

a  Come,  niente?  La  vuol  cbre  ad  intendere  a  me?  eoa  brutto  co- 
ni' è?  Qualche  gran  caso  è  avvenuto.  » 

«  Oh,  per  amor  del  delo!  Quando  dico  niente,  o  è  nìoite,  o  è  eosa 
die  non  posso  dire.  » 

«  Che  non  può  dir  neppure  a  me?  Chi  si  prenderii  cura  della  sua  sa- 
lute? Chi  le  darà  un  parere?....» 

«  Ohimè!  tacete ,  e  non  apparecchiate  altro  :  datemi  un  tncchiere 
del  mio  vino.  " 

u  E  lei  mi  vorrà  sostenere  che  non  ha  niente!  "  disse  Perpetua , 
empiendo  il  bicchiere,  e  tenendolo  poi  in  mano,  come  se  non  volesse 
darìo  che  in  premio  della  confidenza  che  sì  faceva  tanto  aspettare. 

«  Date  qui,  fiate  qui,  »  disse  don  Abbondio,  prendendole  il  bic- 
chiere, con  la  mano  nwi  ben  ferma,  e  votandolo  poi  in  fretta,  come 
se  fosse  una  medicina. 

«  Vu(4  dunque  ch'io  sia  costretta  di  domandar  qua  e  là  cosa  sia  ac- 
caduto al  mio  padrone?  n  disse  Perpetua,  ritta  dinanzi  a  luì,  cMi  le 
mani  arrovesciate  sui  fianchi,  e  le  gomita  appuntale  davanti,  guardan- 
dolo fisso,  quasi  vedesse  succhiargli  dagli  occhi  il  segreto. 

u  Per  amor  del  cielo!  non  fate  pettegolezzi,  non  fate  schiamazsi  : 
ne  va....  ne  va  la  vita!  " 

«  La  vita!  » 

t  La  vita.  » 

"  Lei  sa  bene,  che  ogni  volta  che  m'  ha  detto  qualche  cosa  since- 
ramente, in  confidenza,  io  non  lio  mai...." 

u  Brava!  come  quando....  n 

Perpetua  s' avvide  d' aver  toccato  un  tasto  falso;  Onde,  cambiando 
sid>ìto  il  tono,  «  signor  padrone,  »  disse,  con  voce  commossa  e  da 
commovere,  u  io  le  sono  sempre  slata  affeziouala;  e,  se  ora  voglio  sa- 
pere, è  per  pranura,  perchè  voirei  poterla  soccorrere,  darle  mi  buon 
parere,  sollevarle  l'animo....» 

n  fatto  sta  che  don  Abbondio  avevB  torse  tanta  voglia  di  scaricarsi 
del  suo  doloroso  segreto,  quanta  ne  avesse  Perpetua  di  conoscerlo: 
onde,  dopo  aver  respinti  sempre  più  debolmente  i  nuovi  e  più  in- 
calzanti assalti  di  tei,  dopo  averle  fello  più  d'una  volta  giurare  che 
non  fiaterebbe,  fìnahnenle,  con  molle  sospensioni,  con  molli  ohimè, 
le  raccontò  il  miserabile  caso.  Quando  si  venne  al  nome  terrìbile  del 
inandante,  bisognò  che  Perpetua  proferisse  un  nuovo  e  più  solenne  giu- 
ramento; e  don  Abbondio,  pronunzialo  quel  nome,  si  ro\esfiò  sulla 


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CAPITOLO  PRUIO.  ■• 

Spalliera  della  s^iola,  eCm  an  gran  sospiro,  alzando  le  inani,  in  atto 
insieme  di  comando  e  di  supplica,  e  dicendo:  »  per  amor  del  cielo!» 

«Delle  sue!»  esdamò  Perpetua.  «Oh  che  bìrìione!  oh  che  sover- 
diiatore!  oh  che  uomo  senza  timor  di  Dio!  » 

«  Vtdele  tacere?  o  volete  rovinarmi  del  tutto?  n 

"Oh!  Siam  qui  soli  che  nessun  ci  sente.  Ma  come  farà,  povero  si- 
gitor  padrone?  » 

«  Oh  vedete,  »  disse  don  Abbondio,  con  voce  stizzosa:  »  vedete 
che  bei  pareri  mi  sa  dar  costei  !  Viene  a  domandarmi  come  (arò,  come 
forò;  quasi  fosse  lei  nell'  impiccio,  e  toccasse  a  me  di  levamela.  » 

«  Ma!  io  l'avrei  bene  il  mio  povero  parere  da  darle;  ma|)oi....  « 

«  Ma  poi,  sentiamo.  »  v 

u  II  mio  parere  sarebbe  che,  siccome  lutti  dicono  che  il  nostro  ar- 
civescovo è  un  sant'  uomo,  e  un  uomo  di  polso,  e  che  non  Ita  paura 
di  nessuno,  e,  quando  può  Tare  star  a  dovere  un  di  questi  prepotenti, 
per  sostenere  im  curato,  ci  gongola;  io  direi,  e  dico  che  lei  gli  scri- 
vesse una  bella  lettera,  per  informarlo  come  qualmente....  " 

"Volete  lacere? volete  tacere? Son  pareri  codesti  da  dare  a  un  po- 
vcr  uomo?  Quando  mi  fosse  loccala  una  schio|)peltala  nella  schiena , 
Dio  liberi!  l'arcivescovo  me  la  levereblw?" 

u  Eh!  le  schioppettale  non  si  danno  via  come  oonfelli:  e  guai  se 
questi  cani  dovessero  mordere  tutte  le  volte  che  abbaiano!  E  io  Ito 
sempre  veduto  che  a  dii  sa  mostrare  i  denti,  e  farsi  stimare,  gli  si 
porta  rispetto;  e,  appunto  perchè  lei  non  vuol  mai  dir  la  sua  ragione, 
siam  ridotti  a  segno  che  lutti  vengono,  con  licenza,  a....n 

u  Volete  tacere?  « 

«  Io  taccio  subito;  ma  è  però  certo  che,  quando  il  mondo  s'accorge 
die  uno,  sempre,  in  ogni  incontro,  è  pronto'  a  calar  le....  " 

u  Volete  tacere?  È  tempo  ora  di  dir  codeste  ba^^ianate?" 

1  Basta:  ci  penserà  questa  notte;  ma  intanto  non  cominci  a  farsi 
male  da  se,  a  rovinarsi  la  salute;  mangi  un  boccone.  » 

u  Ci  penserò  io,  »  rispose,  brontolando,  don  Abbondio;  «  sicuro;  Ìo 
ci  |>enserò,  io  ci  ho  da  pensare,  n  E  s'  alzò,  continuando:  «  non  vo- 
glio prender  niente; niente:  ho  altra  voglia:  lo  so  anch'io  che  tocca  a 
[(Cnsarci  a  me.  Ma!  la  doveva  accader  per  l'appunto  a  me.  » 

«Mandi  aimcn  giù  quest'altro  gocciolo,»  disse  Perpetua, mescendo. 
"  Lei  sa  che  questo  le  rimette  sonpre  lo  stomaco.  » 

•I  Eh!  d  vuol  altro,  ci  vuol  altro,  ci  vuol  allro.  » 


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so  I  PROMESSI  SPOSI 

Così  dicendo,  prese  il  lume,  e,  brmitolando  sempre:  «  una  piccola 
bagattella!  a  un  galantuomo  par  mio!  e  domani  coni'  andrà?»  e  altre 
simili  lamentazioni,  s'avviò  per  salire  in  camera.  Giunto  su  la  soglia, 
si  voltò  indietro  verso  Perpetua,  mise  il  dito  sulla  iKx-ca,  disse,  con 
lono  lento  e  solenne:  «  per  amor  del  cielo!  n  e  disparve. 


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%onta  che  il  prìncipe  di  Gondé  dormi 
fondamente  la  notte  avanti  la  giornata 
Rocroi:  ma,  in  primo  luogo,  era  molto 
(icalo;  secondarìamente  aveva  già  date 
le. le  disposizioni  necessarie,  e  stabilito 
che  dovesse  lare,  la  mallina,  Don  Abbon- 
in  vece  non  sapeva  altro  ancora  se  non 
l'indomani  sarebbe  giorno  di  battaglia; 
ndi  una  gran  parte  della  notte  fu  spesa 
consulle  angosciose.  Non  far  caso  del- 
.  ..itimazione  ribalda ,  né  delle  minacce,  e 
fare  il  matrimonio,  era  un  partilo,  che  non  volle  neppur  mettere 
in  deliberazione.  Confidare  a  Renzo  1'  occorrente ,  e  cercar  con  lui 
qualche  mezzo Dìo  liberi!  "  Non  si  lasci  scappar  parola....  altri- 
menti... .  ehm'.  "  aveva  detto  un  di  que' bravi;  e,  al  sentirsi  rim- 
bombar quelKeAm!  nella  mente,  don  Abbondio,  non  che  pensare  a 
trasgredire  una  (al  legge,  si  pentiva  anclie  dell'aver  ciarlato  oin  Perpe- 
tua. Fugf^re?  Dove?  E  poi!  Quanf  impicci,  e  quanti  conti  da  rendere! 
A  c^ni  partito  che  rifiutava ,  il  pover*  uomo  si  rivoltava  nel  letto. 


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su  1  PKUHKSSl  Sl'ltSI 

Quello  che,  per  ogni  verso,  gli  parve  il  meglio  o  il  men  niale,  fu  di 
guadagnar  tcm|H>,  menando  Renzo  per  le  lunghe.  Si  rammentò  a  |>ro- 
po^to,  che  mancava])  pochi  giorni  al  tempo  proibito  per  le  nozze; 
— -e,  se  posso  tenere  a  Irada,  per  questi  pochi  giorni, quel  ragazzone, 
ho  poi  due  mesi  dì  respiro;  e,  in  due  mesi,  può  nascer  di  gran  cose.  — 
Rimiinò  pretesti  da  metter  in  campo;  e,  henchè  gli  paressero  un  po' 
leggieri,  pur  s'andava  rassicurando  col  pensiero  che  la  sua  autorità 
gji  avrebbe  fatti  parer  di  giusto  peso,  e  che  la  sua  antica  esperienza 
(^i  darebbe  gran  vantaggio  sur  un  giovanetto  ignorante.  -^  Vedremo, 
—  diceva  tra  sé:  —  egli  pensa  alla  morosa;  ma  io  penso  alla  pelle: 
il  più  interessato  son  io,  lasciando  stare  die  sono  il  più  accorto.  Fi- 
glino! caro,  se  tu  ti  senti  il  bruciore  addosso,  non  so  che  dire;  ma  io 
non  voglio  andarne  di  mezzo.  —  Feimalo  così  un  poco  l'animo  a  una 
deliberazione,  potè  nnalmente  chiuder  occhio:  ma  che  sonno!  che  so- 
gni! Bravi,  don  Rodrigo,  Renzo,  viottole,  rupi,  fughe,  inseguimenti, 
grida,  schioppettate. 


n  primo  svegliarsi,  dopo  una  sciagura,  e  in  un  impiccio,  è  un  mo- 
mento mfdto  amaro.  La  mente,  appena  risentita,  ricorre  all'  idee  abi- 
tuali della  vita  tranquilla  antecedente;  ma  il  jicnsiero  del  nuovo  stato 
di  cose  le  si  alTaccia  subito  garbatamente;  e  il  dispiacere  ne  è  più  vivo 
in  quel  paragone  istantaneo.  Assaporato  dolorosamente  questo  momento, 
don  Abbondio  ricapitolò  subito  i  suoi  disegni  della  notte,  si  confermò 
in  essi,  gli  ordinò  meglio,  s'alzò,  e  stette  aspettando  Renzo  con  ti- 
more e,  ad  un  tempo,  con  impazienza. 


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CAPITOLO  II.  S 

Lorenzo  o,  come  dioevan  tiiUi,  Renxo  non  si  fix-c  molto  a<i|)('ll;ii 


ApiiL-na  gii  parve  ora  di  iwler,  aenza  imiìs<^reKÌoiic,  presentarsi  al  cu- 
rato, v'andò,  eon  ta  lieta  furia  d'un  uomo  di  veni' anni,  che  deve  in 
quel  giorno  sposare  quella  che  ama.  Era,  fin  dall'adolescenza,  rima- 
si» privo  de'  parenti,  ed  esercitava  la  professione  di  filatore  di  seta, 
ereditaria,  per  dir  così,  nella  sua  famiglia;  professione,  negli  anni  in- 
dietro, assai  lucrosa;  allora  già  in  decadenza,  ma  non  però  a  s^no 
i-he  un  aliile  operaio  non  ))Otesse  cavarne  di  che  vivere  onestamente. 
Il  lavoro  andava  di  giorno  in  giorno  scemaniio;  ma  l'emigrazione  con- 
tinua de'  lavoranti,  attirali  negli  slati  vicini  (!a  promesse,  da  privilegi 
e  da  grosse  paghe,  faceva  si  che  non  ne  mancasse  ancora  a  quelli  che 
rimanevano  in  paese.  Oltre  di  questo,  possedeva  Renzo  un  poderelto 
che  laceva  lavorare  e  lavorava  egli  slesso,  quando  il  lilatoio  stava  fer- 
mo; (li  modo  che,  per  la  sua  condizione,  poteva  dii-si  agiato.  E  qiiaii- 
lunque  quell'annata  fosse  ancor  più  scarsa  delle  antecedenti,  e  già 
si  cominciasse  a  provare  una  vera  carestia,  pure  il  nostro  giovine, 


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14  I  PROMFJSI  SPOSI 

che,  da  q^iando  aveva  messi  gli  oechi  addosso  a  Lucia,  era  divennlo 
massaio,  si  («pvava  provvisto  bastanlemenlc,  e  non  aveva  a  contra- 
star con  la  lanin^  Compar\'e  davanti  %  dtm  Abbondio,  in  gran  gala, 
con  penne  di  vano  ODJorr  al  cappello,  cot  sno  pugnale  del  manico  bello, 
nel  taschino  de*  calzoni,  wn  una  cerl'arìa  di  festa  e  nello  stesso  tempo 
ili  braverìa,  comune  allora  andie  adi  uomini  più  quieti.  L'accoglimento 
ineerio  e  misterioso  di  don  Abbondio  fece  un  contrapposto  singolare 
ai  modi  gioviali  e  risoluti  del  giovinotto. 

— ■  Che  abbia  qualche  pensiero  per  la  lesta,  —  argomentò  Raizo  tra 
se,  poi  disse:  «  son  venuto,  signor  curato,  per  sapere  a  che  ora  le 
comoda  che  ci  troviamo  in  chiesa.  » 

u  Di  che  giorno  volete  parlare?  » 

u  Come,  di  che  giorno?  non  si  ricorda  che  s'è  fissato  per  oggi?  " 

u  Oggi?  n  replicò  don  Abbondio,  come  se  ne  sentisse  pM-tare  per 
la  prima  volta.  "Oggi,  oggi.... abbiate  pazienza,  ina  oggi  non  posso.n 

■■'  Oggi  non  può!  Cos'è  nato?  » 

li  Prìma  di  tulio,  non  mi  sento  bene,  vedete.  " 

u  Mi  dispiace;  ma  quello  che  ha  da  f»vc  e  cosa  di  cosi  poco  tempo, 
e  di  cosi  poca  fatica ..." 

u  E  poi,  e  poi,  e  poi....  -> 

u  E  poi  die  cosa?  " 

i'  E  poi  e'  è  dt^li  imbrogli.  i" 

-  Degl'imbrogli?  Che  imbn^li  ci  può  essere?  " 

u  Bisognerebbe  trovarsi  nei  nostrì  piedi,  per  conoscer  quanti  ini- 
|iicci  nascano  in  queste  matel-ie,  quanti  conti  s'  ha  da  rendere.  Io  son 
troppo  dolce  di  cuore,  non  penso  die  a  levar  di  mazzo  gli  ostacoli,  a 
facilitar  lutto,  a  far  le  cose  secondo  il  piaG»«  altrui,  e  trascuro  il  mio 
dovere;  e  poi  mi  toccan  de'  rimproveri,  e  pej^io.  " 

u  Ma,  col  nome  del  cielo,  non  mi  loiga  così  sulla  corda,  e  mi  dica 
chiaro  e  netto  cosa  e'  è.  " 

<t  Sapete  voi  quante  e  quante  fonnaliti  ci  vogliono  per  fare  un  ma- 
Irinionìo  in  regola?  » 

u  Bisogna  ben  ch'io  ne  sappia  qualche  cosa,  »  disse  Renzo,  comin- 
ciando ad  alterarsi,  u  poiché  mene  ha  già  rotta  bastantemente  la  lesta, 
questì  giorni  addietro.  Ma  ora  non  s'  è  sbrigalo  ogni  còsa  ?  non  s'  è 
fetlo  lutto  ciò  che  s*  aveva  a  lare?  » 

«  Tutto,  tutto,  pare  a  voi:  perchè,  abbiate  pazienza,  la  bestia  son 
io,  che  trascuro  il  mìo  dovere,  per  noa  far  penare  la  gente.  Ma  ora.... 


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basta,  80  quei  che  dico.  Noi  poveri  curati  sàamo  Ira  l'ancu^ne  e  il 
martello:  voi  impaziente;  vi  compatisco,  povero  giovane;  e  i  superio- 
ri.... basta,  non  si  può  dir  tutto.  E  noi  siam  quelli  che  ne  andiam  di 
meuo.  » 

X  Ma  mi  spieghi  una  volta  cos'  è  quest'altra  formalità  che  s'tia  a 
fare,  emne  dice;  e  sarà  subito  fatta.  " 

u  Sapete  voi  quanti  siano  gl'impedimenti  dirimcnli?  » 

"  Che  vuol  eh'  io  sappia  d' impedimenti?  " 

Il  Errar,  conditio,  votum,  cogiiatio,  crimen, 
Cultus  dùparitaSf  vis^  ordOj  ligamen,  honestat. 
Si  là  affmùj....  « 
cominciava  don  Abbondio,  ctnifando  sulla  punta  delle  dita. 

u  Si  piglia  gioco  di  me?»  interruppe  il  giovine.  «  Clic  vuol  ch'io 
faccia  de)  suo  latinorum! 

1  Dunque,  se  non  sapete  le  cose,  abbiale  pazienza,  e  rimellelevi 
a  ehi  le  sa.  n 

-  Orsù!....  " 

"Via,  caro  Renzo,  non  andate  in  collera, che  son  pronto  a  fare.... 
tutto  queHo  che  dipende  da  me.  Io,  io  vorrei  vedervi  contento;  vi 
voglio  bene  io.  Eh!....  quando  penso  che  slavale  così  bene;  cosa  vi 
mancava?  V  è  sidlalo  il  grillo  dì  maritarvi....  " 

u  Che  discorsi  son  questi,  signor  mìo?"  proruppe  Renzo,  con  un 
volto  tra  r  attonito  e  l' adirato. 

-  Dico  per  dire ,  abbiate  pazienza ,  dico  per  dire.  Vorrei  vedervi 
contento.  » 

»  In  somma....  » 

u  In  somma,  fi^j^iuol  caro,  io  non  ci  ho  colpa;  la  legge  non  l'ho 
fatta  io.  E,  prima  di  conchiudere  un  matrimcmio,  noi  siam  proprio  ob- 
bligati a  far  molte  e  molte  ricerche,  per  assicurarci  che  non  ci  siano 
impedimenti.  » 

a  Ma  via,  mi  dica  una  volta  che  impedimento  è  sopravvenuto?" 

«  Abbiate  pazienza,  non  son  cose  da  potersi  decifrare  cosi  su  due 
piedi.  Non  ci  sarà  niente,  cosi  spero;  ma,  non  ostante,  queste  ricerche 
noi  le  dobbiam  fare.  Il  lesto  è  chiaro  e  lampante:  antequam  matrimO' 
ni'um  denunciet ....  « 

«  Le  ho  detto  che  non  voglio  latino.  " 

"  Ma  bisogna  pur  che  vi  pieghi...,  <- 

«  Ma  niMi  le  ha  già  fatte  queste  ricerdie?  n 


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■le  I  PiiuMESsi  srosi 

j  Non  le  ho  fatte  tulle,  come  avrei  dovuto,  vi  dico,  r 
.   u  Perchè  non  le  Ita  fatte  a  tempo?  perchè  dirmi  che  tullu  era  fi- 
ntlo?  percliè  aspellarc . , . .  - 

"  Ecco!  mi  rimproverate  la  mia  troppa  bontà.  No  facilitalo  ogni 
cosa  per  scnirvi  pili  presto:  ma  ...  ma  ora  mi  soii  venule....  iwisla, 
so  io.  - 

i.  E  clw  vom'hlH"  eh'  io  facessi  ?  « 

-  Che  aveste  itazienza  per  qualche  giorno.  Figliuol  ci«ro,  <]uak-hc 
giorno  non  è  |>oi  l'eternila:  abbiate  pazìenzii.  >- 

-  Per  quanto?  « 

-  Siamo  a  buon  porlo,  —  jwnsò  tra  sé  don  AW^ndio;  e.  con  un 
fare  più  manieroso  che  mai,  -  via.  '•  disse:  *  in  quindici  giorni  wi^ 
chcrò procuren't . . . .  " 

"  Quindici  giorni!  oh  questa  si  eh' è  nuova!  S'è  fatto  lutto  ciò  che 
ha  voluto  lei;  s'è  (issato  il  giorno;  il  giorno  arriva;  e  ora  lei  mi  viene 
a  dire  che  aspetti  quindici  giorni!  Quindi<'i...-  ripreso  i»oÌ,  con  voce 
più  alta  e  stizzosa,  stendendo  il  braccio,  e  biillendo  il  pugno  nell'a- 
ria; e  clii  sa  qual  diavoleria  avrebbe  attaccata  a  quel  numero,  se  do» 
Abbondio  non  l'avesse  interroHo,  prendendogli  l'altra  mano,  con  mi' 
amorevolezza  timida  e  premurosa:  «  via,  via,  non  v'allerale,  per  amor 
del  cielo,  Vcdm.  cerclierA  se,  in  una  settimana....  " 


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cApmn.0  II. 


il 


1  E  a  Lucia  die  devo  dii'e?  <■ 

■<  Ch'  è  sialo  un  mio  sbaftlio.  « 

u  E  i  discorsi  del  mondo'  '- 

^  Dite  pure  a  lutti ,  che  ho  sbagliato  io,  pel*  troppa  furia,  per 
troppo  buon  cuore:  gettate  tutta  la  colpa  addosso  a  me.  Posso  parlar 
meglio?  via,  per  una  settimana,  n 

•>  E  poi,  non  ci  sarà  più  altri  impedimenli?  « 

"  Quando  vi  dico....  «^ 

^  Ebbene:  avrò  pazienza  per  una  settimana;  ma  ritenga  bene  che, 
lussala  questa,  nim  m'ap|>i^her(>  più  di  chiacchiere.  Inlanlo  la  rive- 
risco.  n  E  cosi  dello,  se  ii'  andò,  facendo  a  ilon  Ablrandio  un  Inchino 
mra  proTcHido  de)  solito,  e  dandogli  un'  occhiata  più  espressiva  die 
rivwenle. 

Uscito  poi,  <!  camminando  di  mala  vt^ia,  per  la  prima  volta,  >'erso 
la  casa  della  sua  promessa,  in  mezzo  alia  stizza,  tornava  con  la  mente 
su  quel  colloquio;  e  sempre  più  lo  ti'ovavii  strano.  L'acci^lienza  fredda 
e  inipicciata  di  don  Abbondio,  iiuel  suo  parìare  stentato  insieme  e 
impaziente,  que'  due  occhi  grigi  che,  meiiire  parlava,  cran  sempre 
andati  scappando  qua  e  là,  come  se  avesser  avuto  paura  d' incontrarsi 
con  le  parole  che  gli  uscivaii  di  bocca,  quel  farsi  quasi  nuovo  del  inalrì- 
nionio  cosi  esprewuimente  concertalo,  e  sopra  tutto  (pieir  accennar  sem- 
pre quaklie  gi-aii  cosa,  non  dicendo  inai  nulla  dì  chiaro;  tutte  (picsle 
circostanze  messe  insieme  fiioe^an  pensare  a  Rienzo  che  ci  (osse  sotto 
un  mistero  diverso  da  quello  che  don  Ablwiidio  a\eva  volulo  far  crc- 
(lere.  Stelle  il  giovine  in  forse  un  momento  di  tornare  indietro,  |m.t 
metterlo  alle  dirette,  e  farhi  parlar  più  chiaro  ;  ma,  alziuido  gli  occhi,  vide 
Perpetua  che  camminava  dinanzi  a  lui,  ed  entrava  in  un  (H-li<-ello  )>o- 
chi  passi  distante  dalla  casa.  Le  diede  una  voce,  mentre  essa  apriva  l'u- 
scio; studiò  il  passo,  la  ra^iunse,  la  ritenne  sulla  soglia,  e,  col  disegno 
di  scovar  qualche  eusa  di  più  posi(i\'o.  si  fermò  ad  allaecar  disi-orso 
con  essa. 

"  Buon  giorno.  Perpetua:  io  speravo  che  oggi  si  .san'blR-  stati  al- 
legri insieme.  >■ 

"  Mal  quel  die  Dio  \uole,  il  mio  po\ero  Renzo.  - 

u  Falerni  un  piacere:  quel  benedett'  uomo  del  signor  curato  m'  ha 
impastocchiale  certe  ragioni  che  non  ho  potuto  ben  eai)ipe;  spiegatemi 
voi  meglio  perchè  non  può  o  non  vuole  niarilarei  oggi.  " 

«  Oh!  vi  par  ^li  eh'  io  sappia  i  segreti  del  mio  padrone?  r 


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»  I  PROMESSI  SPOM 

—  L'  ho  detto  io,  che  c'era  nlFstero  sotto.  —  pensò  Renzo;  e,  |>er 
tirario  in  luce,  contìniiò:  u  via,  Perpetua;  siamo  amici;  ditemi  quel 
che  sapete,  aiutate  un  povero  tìgliuolo.  '■ 

«  Mala  cosa  nascer  povero,  il  mio  caro  Renzo.  " 

H  É  vero ,  »  riprese  questo ,  sempre  più  confermandosi  ne'  sum 
sospetti;  e,  cercando  d'accostarsi  più  alla  quesliooe,  u  è  vero,  »  sog- 
giunse, "  ma  tocca  ai  preti  a  trattar  male  co'  poveri?  r. 

u  Sentite,  Renzo;  io  non  posso  dir  niente,  perdiè...  non  so  niente; 
ina  qudlo  che  vi  posso  assicurare  è  che  il  mio  padrone  non  vuol  Tar 
Iorio,  né  a  voi  né  a  nessuno;  e  lui  non  ci  ha  colpa.  " 

«  Chi  è  (fanque  die  ci  ha  colpa?  n  dwnandò  Renso,  con  un  cer- 
t' atto  trascuralo,  ma  col  cuor  sospeso,  e  con  l' orecchio  all'  erta. 

u  Quando  vi  dico  che  non  so  niente ....  In  difesa  dei  mio  padnme, 
posso  parlare;  perchè  mi  fa  male  sentire  che  gli  si  dia  carico  di  voler 
far  dispiacere  a  qualcheduno.  Pover'  uomo  !  se  pecca,  è  per  trojipa  bontà. 
C'è  bene  a  questo  mondo  de* birboni,  de'  prepotenti,  degli  uomini 
senza  timor  di  Dio....  •< 

— '  Prepotenti!  biiitonì!  — pensò  Renzo:  —  questi  non  sono  i  su- 
periori. «  Via,  1  disse  poi,  nascondendo  a  stento  l'a^iiitazione  cresoentc, 
«  via,  ditoni  chi  è.  » 


"4hIvoi  vorreste  farmi  parlare;c  io  non  posso  parlare, perchè,. 


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CAPITOLO  ti.  n 

non  so  nieole:  quando  non  so  niente,  è  oome  se  avessi  giurato  di  la- 
cere. Potreste  danni  la  eorda,  che  non  mi  cavereste  nulla  di  bocca. 
Addio;  è  tempo  perduto  per  tutt'  e  due.  »  Cosi  dicendo,  entrò  in 
fretta  nell'orto,  e  cbiuse  l'uscio.  Renzo,  rispostile  con  un  saluto, 
tornò  indiebv  pian  piano,  per  non  larìa  accorgere  del  cammino  cbe 
prendeva;  ma,  quando  fu  fuor  del  tiro  dell'  orecdiio  della  buona  donna, 
allungò  il  passo;  in  un  momento  fu  all'uscio  di  don  AUKMidio;  entrò, 
andò  diviato  al  salotto  dove  l'aveva  lasciato,  ve  lo  trovò,  e  corse  verso 
lui,  con  un  fare  ardito,  e  con  gli  occhi  stralunati. 

u  Eh!  eh!  die  novità  è  questa?"  disse  don  Abbondio. 

"  Chi  è  quel  prepotente,  "  disse  Renzo,  con  la  voce  d'un  uomo 
eh'  è  risoluto  d"  ottenere  una  risposta  precisa ,  «  clii  è  quel  prepo- 
tente cbe  non  vuol  eh'  io  sposi  Lucia  ?  " 

«Che?  che?  che?»  balbeltò  il  povero  sorpreso,  con  un  volto  fallo 
in  uii  istante  bianco  e  floscio,  come  un  cencio  che  esca  dd  bucato.  E, 
pur  iHvntdando,  spiccò  un  salto  dal  suo  seggiolone,  per  lanciarsi  al- 
l'uscio. Ma  Renzo,  che  doveva  aspettarsi  quella  mossa,  e  slava  all'erta, 
vi  balzò  prima  di  lui,  girò  la  chiave,  e  se  la  mise  in  tasca. 

1  Ab!  ab!  parlerà  ora,  signor  curato?  Tutti  sanno  i  fatti  miei,  fuori 
di  me.  Voglio  saperìi,  per  bacco,  anch'  io.  Cmbìs  si  chiama  c(dui?n 

u  Renzo!  Renzo!  per  carità,  badate  a  quel  che  late;  pensate  all'a- 
nima vostra,  n  , 

u  Penso  che  lo  voglio  saper  subito,  sul  momento.  "  E,  così  dicendo, 
mise,  forse  senza  avvedersene,  la  mano  sul  manico  del  coltello  die  gli 
usciva  dal  taschino. 

e  Misericordia!  "  esclamò  con  voce  fioca  don  Abb<Hidio. 

u  Lo  vof^io  sapere.  " 

u  Chi  v'ha  detto...» 

«  No,  no;  non  più  fandonie.  Parli  chiaro  e  subilo.  » 

«  Mi  volete  morto?  » 

«  Voglio  sapere  ciò  cbe  ho  ragion  di  sapere.  » 

"  Ma  se  parlo,  son  morto.  Non  m'  ba  da  pranere  la  mia  vita?  » 

«  Dunque  parli,  n 

Quel  u  dunque  n  fu  proferito  con  una  tale  energia,  f  aspetto  dì 
Rem»  divenne  co»  minaccioso,  cbe  don  Abbondio  non  potè  più  neni- 
men  supporre  la  possibilità  di  disubbidire. 

<t  Mi  promettete,  mi  giurate,  »  disse  «  di  non  parlarne  con  nes- 
suno, di  non  dir  mai....?» 


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««  I  PKOMEtlSI  SFO.SI 

u  Le  pronictlo  clw  fo  uno  sproposito,  se  lei  non  mi  dice  snhilo  su- 
bito il  nome  di  colui.  » 

A  quel  nuovo  scongiuro,  don  Abbondio,  col  volto,  e  con  lo  sguardo 
di  chi  ha  in  bocca  le  tenaglie  del  cavadenti,  proferi:  •'  don....r 

«Don?»  ripete  Renio,  come  per  aiutare  il  paiiente  a  buttar  fuori 
il  resto;  e  stava  curvo,  con  l'orecchio  chino  sulla  lM>oea  di  lui.  con 
le  braccia  lese,  e  i  pugni  stretti  all'  indietro. 


u  Don  Rodrigo!"  pronunziò  in  fretta  il  forzato,  precipitando  quelle 
poche  sillabe,  e  strisciando  le  consonanti,  parte  per  il  turbamento,  jiarte 
perchè,  rivolgendo  pure  (piella  poca  nttenzionc  che  gli  rimaneva  lit>era, 
a  fare  una  transazione  Ira  le  due  paure,  |>areva  die  volesse  soltrarre 
e  fare  scomparir  la  parola,  nel  punto  stesso  ch'era  costrello  a  mellerla 
fuori. 

uAhcancI"  urlò  Renzo,  u  Ecomc  ha  fatto?  Cosa  le  ha  detto  pei'.... ?'< 

■•Come  eh?  come?"  rispose,  con  voce  quasi  sdegnosa,  tlon  \I)bon- 

dio,  il  quale,  dopo  un  così  gran  sagiifizio,  si  sentiva  in  certo  modo 

divenuto  creditore.  «  Come  eh?  Vorrei  che  la  fosse  toccata  a  voi,  come 

è  toccata  a  me ,  che  non  e'  entro  per  nulla  ;  che  certamente  non  vi 


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CAPITOLO  II.  *.l 

Bsrfiiibep  rinviati  lanli  grilli  in  capo.  »  E  qui  si  fece  a  dipinger  «on 
coleri  terribili  il  bruito  incontro;  e,  nel  discorrere,  accorgendosi  sem- 
pre pili  d'  una  gran  collera  che  aveva  in  corpo ,  e  ebe  An  allora  era 
stala  nascosta  e  involta  nella  paura,  e  vedendo  nello  stesso  tempo  che 
Renzo,  tra  la  rabbia  e  la  confusione,  stava  immobile,  col  capo  basso, 
continuò  allegramente:  «  avete  falla  una  bella  azione!  M'avete  reso 
un  bd  servizio!  Un  tiro  di  questa  sorte  a  un  galantuomo,  al  vostro 
curalo!  in  casa  sua!  in  luogo  sacro!  Avete  falla  una  bella  prodezza! 
Per  cavannì  di  bocca  il  mio  malanno,  il  vostro  malanno!  ciò  ch'io 
vi  nascondevo  per  prudenza,  per  vostro  bene!  E  ora  che  lo  sapete? 
Vorrei  vedere  die  mi  faceste....!  Per  amor  del  cielo!  Non  si  scherza. 
Non  si  tratta  dì  torto  o  di  ragione;  si  tratta  di  forza.  E  quando,  questa 
mallina,  vi  davo  un  buon  parere....  eh!  libito  nelle  furie.  Io  avevo 
giudizio  per  me  e  per  voi;  ma  come  si  fa?  Aprile  almeno;  datemi  la 
mia  chiave.  » 

u  Posso  aver  fallato,  n  rispose  Renzo,  con  voce  raddolcita  verso  don 
Abbondio,  ma  nella  quale  si  sentiva  il  furare  contro  il  nemico  sco- 
perto: u  posso  aver  fallato;  ma  si  metta  la  mano  al  petto,  e  pensi  se 
nd  mio  caso....  n 

Cosi  dicendo,  s'era  levata  la  dilava  di  tasca,  e  andava  ad  aprire. 
Don  Abbródio  gli  andò  dietro,  e,  mentre  quegli  girava  la  chiave  nella 
loppa,  se  gli  accostò,  e,  con  volto  serio  e  ansioso,  alzandogli  davanti 
a^  occhi  le  tre  prime  dita  della  destra,  come  per  aiutarlo  anctie  luì 
dal  canto  suo,  «  giurale  almeno....»  gli  disse. 

«Posso  aver  fallalo; e  mi  scusi,»  rispose  Renzo,  aprendo,  e  dispo- 
nendosi ad  usare. 

«Giurate....»  replicò  don  Abbondio,  afferrandogli  il  bracdo  con  fa 
mano  U-emante. 

«  Posso  aver  fallato,  »  ripetè  Renzo,  sprigionandosi  da  lui;  e  paKi 
in  furia,  troncando  cosi  la  questione,  che,  al  pari  d' una  questione  di 
letteratura  o  di  fliosofla  o  d'  aHro,  avrebtie  potuto  durar  dei  secoli , 
giacdié  ognuna  delle  parti  non  faceva  che  replicare  il  suo  proprio  ar- 
gomento. 

«  Perpetua!  Perpetuai  n  gridò  don  AUMndio,  dopo  avere  invano 
ridiiamalo  il  fuggitivo.  Perpetua  non  risponde:  don  Abbondio  non  sa- 
peva più  in  che  mondo  si  fosse. 

E  accaduto  più  d*  tuia  volta  a  personaggi  di  ben  più  allo  affare 
ohe  don  Abbondio ,  di  trovarsi  in  frangenti  così  fastidiosi ,  in    (anta 


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ti  I  PROMESSI  SPOSI 

iucertexza  di  parliti,  cbe  parve  loro  un  oltirao  ripiego  melt^^  a  lelio 
con  la  febbre.  Questo  ripiego,  egli  non  lo  dovette  andare  a  cercare , 
perchè  gli  si  offerse  da  sé.  La  paura  del  giorno  avanti,  la  veglia  an- 
gosciosa della  notte,  la  paura  avuta  in  quel  momento,  l'ansietà  flel^ 
l' avvenire,  fecero  l' effetto.  Affannato  e  balordo,  si  ripose  sul  suo  seg- 
giolone, cominciò  a  sentirsi  qualche  brivido  ndi'  ossa,  si  guardava  le 
unj^  sospirando,  e  chiamava  di  tempo  in  tempo,  c(m  voce  tremo- 
lante e  stizzosa:  «Perpetua!  n  La  venne  finalmente,  con  un  gran  ca- 
volo sotto  il  braccio,  e  con  la  faccia  tosta,  come  se  nulla  tosse  stalo. 
I  Risparmio  al  lettore  ì  lamenti,  le  condoglianze,  le  accuse,  le  difese,  i 
«  voi  sola  potete  aver  partalo,  »  e  i  u  non  ho  parlato,  »  tutti  i  pa- 
sticci in  somma  di  iiuel  colloquio.  Basti  dire  che  àaa  Abbondio  ordinò 
a  Perpetua  di  metter  la  stanga  all'  uscio ,  di  non  aprir  più  per  ne»- 
sona  cagi<me,  e,  se  alcun  bussasse,  risponder  dalla  finestra  die  il  cu- 
rato era  andato  a  letto  con  la  lebbre.  Sali  poi  lenlamente  le  scale,  di- 
cendo, ogni  Ire  scalini,  -  son  swvilo;  »  e  si  mise  davvero  a  letto,  dove 
lo  lasceremo. 

Renio  intanto  camminava  a  passi  infuriali  verso  casa,  sensa  aver 
determinato  quel  die  dovesse  fare,  ma  con  una  smania  addosso  di  far 
qualcosa  di  strano  e  di  terribile.  I  provocatori,  i  sov«x!hiatori,  tutti 
coloro  che,  in  qualunque  modo,  tanno  torto  altrui,  sono  rei,  non  solo 
del  male  cbe  commettono,  ma  del  per%'ertimento  ancora  a  ciù  pm'taiio 
gli  animi  degli  offici.  Renzo  era  un  giovine  padfico  e  alieno  dal  san- 
gue, un  giovine  sdiietto  e  nemico  d'ogni  insidia;  ma,  in  que'momeo- 
lì,  il  suo  cuore  non  batteva  cbe  jier  l'omicidio,  la  sua  mente  uoo  era 
occupata  die  a  fantasticare  un  tradimento.  A^Tebbe  v(dulo  correre  alta 
casa  di  dwi  Rodrigo,  aSerrarlo  per  il  collo,  e....  ma  gli  veniva  in  mente 
di'  era  come  una  fortezza,  guarnita  di  bravi  al  di  dentro,  e  guardata 
«I  di  ftiorì;  che  i  soli  amid  e  servitori  ben  conosduti  v'  entra%'an  li- 
beramente, senza  essere  squadrati  da  capo  a  piedi;  die  un  artigiandlo 
sctmosduto  DOD  vi  potrd)b'  «itrare  senza  un  esame,  e  di'  ^i  aopn 
lutto....  q^i  vi  sareUie  forse  trvqipo  cooosduta  Sì  ^ura\-a  aUora  di 
prendere  il  suo  sdiic^po,  d'appiattarsi  dietro  una  si^ie,  aspettando 
se  mai,  se  mai  colui  venisse  a  passar  solo;  e,  internandosi,  eoo  fovee 
compiaeenn,  in  quel!'  immaginaxtooc,  si  figurava  di  sentire  una  pedata, 
qudla  pedala,  d' alzar  chetamente  la  testa;  rìcmiosceva  k»  scellerato , 
spianava  lo  sdiioppo,  prendeva  la  mira,  spara\-a,  lo  vedeva  cadere  e 
àan  i  tratti,  ^  landa^'a  una  mdedizione,  e  correva  sulla  strada  dd 


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CAPITOLO  II.  43 

eoofine  a  mettersi  in  salvo.  —  E  Lucia?  —  Appena  questa  parola  s 


fu  gettata  a  traverso  di  quelle  bieche  fantasie,  i  migliori  pensieri  -a  cui 
era  avveua  la  mente  di  Renzo,  v'entrarono  in  folla.  Si  rammentò  degli 
ullimi  ricordi  de'  suoi  parenti,  si  rammentò  di  Dio,  della  Madonna  e 
de'  santi,  pensò  alla  consolazione  die  aveva  tante  volte  provata  dì 
trovarsi  senza  delitti,  all'  orrore  cbe  aveva  tante  volte  proxato  al  rac- 
conto d'un  omicidio;  e  si  risvef^ió  da  quel  sogno  di  sangue,  con  ispa- 
vmto,  con  rimorso,  e  insieme  con  una  specie  di  gioia  di  non  aver  tallo  al- 
tro che  immaginare.  Ma  il  pensiero  di  Lucia,  quanti  pensieri  tirava  seco! 
Tante  speranze,  tante  promesse,  un  avvenire  cosi  vagheggiato,  e  così 
tenuto  sicuro,  e  qud  giorno  cosi  sospirato!  E  come,  con  die  parole 
annunziarle  una  lai  nuova?  E  poi,  che  partito  prendere?  Onne  farla 
uva,  a  dispetto  ddla  forza  di  quel!'  iniquo  potente?  E  insieme  a  tutto 


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ti  I  PROMESSI  SPOSI 

questo,  non  un  sospetto  formalo,  ma  un'  ambra  lormenlosa  gti  passava 
per  la  niente.  Quella  soverchieria  di  don  Rodrigo  non  poteva  esser 
mossa  che  da  una  brutale  passione  per  Lucia.  E  Lucia?  Clie  avesse 
data  a  colui  la  più  piccola  occasione,  la  più  leggiera  lusinga,  non  era 
un  pensiero  che  potesse  fennai^i  un  momento  nella  testa  di  Renzo. 
Ma  n'era  informata?  Poteva  colui  aver  concepita  quell'  infame  passione, 
senza  che  lei  se  n'avvedesse?  Avrebbe  spinte  le  cose  tanto  in  là,  prima 
d'averla  tentata  in  qualche  modo?  E  Lucia  non  ne  aveva  mai  delta 
una  parola  a  lui  !  al  suo  prcHuesso  ! 

Dominalo  da  questi  pensieri,  passò  davanti  a  casa  sua,  ch'era  nel 
mezzo  del  villaggio,  e,  attraversatolo,  s'avviò  a  quella  di  Lucia  di' era 
in  fondo,  anzi  un  po'  fuori.  Aveva  quella  casetta  un  piccolo  cortile  ^^^ 
nanu,  che  la  separava  dalla  strada,  ed  era  cinto  da  un  muretlino. 
Renzo  cnlrò  nel  cortile,  e  sentì  un  misto  e  continuo  ronzio  che  ve- 
niva da  una  stanza  di  sopra.  S'inunaginò  che  sarebbero  amiche  e  co- 
mari, venule  a  far  cotIc^ìo  a  Lucia;  e  non  si  volle  mostrare  a  quel 
mercato,  con  quella  nuova  in  corpo  e  sul  volto.  Una  fanciulletta  che  w 
trovava  nel  cortile,  gli  corse  incontro  gridando:  «lo  sposo!  lo  sposo!  " 

u  Zitta,  Bettina,  zitla!  n  disse  Renzo.  »  Vien  qua;  va  su  da  Lucia, 

tirala  in  disparte,  e  dille  .-all'orecchio ma  che  nessun  senta,  né 

sortii  di  nulla,  ve' dille  che  ho  da  parlarle,  che  l'aspetto  nella 

stanza  ten-cna,  e  che  venga  subito,  n  La  fanciullella  sali  in  fretta  le 
scale,  lieta  e  superba  d'  avere  ima  comniission  segreta  da  eseguire. 

Lucia  usciva  in  quel  momento  tutta  attillata  dalle  mani  della  ma- 
dre. Le  amiche  sì  rubavano  la  sposa ,  e  le  facevan  forza  perchè  si 
lasciasse  vedere;  e  tei  s'andava  schermendo,  con  quella  modestia  un 
po'  guerriera  delle  contadine,  Tacendosi  scudo  alla  faccia  col  gomito, 
diìnandola  sul  busto,  e  aggrottando  i  lunglii  e  neri  sopracci^i,  mentre 
però  la  bocca  s'apriva  al  sorriso.  1  neri  e  giovanili  capellt,  spartili  so- 
pra la  fronte,  con  una  bianca  e-Mltile  dirizzatura,  si  ravvolgevan,  dietro 
il  capo,  in  cerchi  mtritiplici  di  trecce,  trapassate  da  lunghi  spilli  d'ar-' 
genio,  che  si  dividevano  all'intorno,  quasi  a  guisa  de' raggi  d'un' au- 
reola, come  ancora  usano  le  contadine  nel  Milanese.  Intorno  al  ixiìo 
aveva  un  vezzo  di  granali  alternati  con  bottoni  d'oro  a  filigrana:  por- 
tava un  bel  busto  di  broccato  a  fiori,  con  le  maniche  separate  e  allac- 
ciale da  bei  nastri:  una  corta  gonnella  di  filaticcio  di  seta,  a  pieglie  lìlte 
e  minute,  due  calze  vermiglie,  due  pianelle,  di  seta  anch'esse,  a  ri- 
cami. Oltre  a  questo,  di' era  l'ornamento  particolare  dd  giorno  ddle 


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CAPITOLO  11.  (d 

nozze.  Lucia  aveva  quello  quotidiano  d'una  modesta  bellezza,  rilevata 
allora  e  accresdula  dalle  varie  aHezioni  che  le  si  dipingevan  sul  viso: 
una  gioia  temperata  da  un  turbamento  leggiero,  quel  placido  acco- 
ramento che  si  mostra  dì  quand"  in  quando  sul  volto  delle  spose ,  e, 
senza  scooipor  la  bellezza,  le  dà  un  carattere  particolare.  La  piccola 
Bettina  si  cacciò  nel  crocchio,  s'accosl^^  a  Lucìa,  le  fece  intendere  ac- 
cortamente che  aveva  qualcosa  da  comunicarle,  e  le  <lisse  la  sua  pa- 
rolina all'orecchio. 


^  Vo  un  momento,  e  torno,  "  disse  Lucia  alle  donne;  o  scese  in 
fretta.  M  veder  la  faccia  mutata,  e  ÌI  portamento  inquieto  di  Renzo, 
"  cosa  c'è?  "  disse,  non  senza  un  presentimento  di  terrore. 

u  Lucia!  "  rispose  Renzo,  «  per  oggi,  tulio  è  a  monte;  e  Dio  sa 
quando  potremo  esser  marito  e  moglie.  » 

^Che?n  disse  Lucia  tutta  smarrita.  Renzo  le  raccontò  brevemente 
la  storia  dì  quella  mattina  :  ella  ascoltava  con  angoscia  .*  e  quando  udì 
il  nome  di  don  Rodrigo,  "  ah!  »  esclamò,  arrossendo  e  tremando,  u  fino 
a  questo  segno!  n 

«  Dunque  voi  sapevate....?"  disse  Renzo. 

"  Pur  troppo!  "  rispose  Lucia;  ^ma  a  questo  segno!" 

u  Che  cosa  sapevate  ?  n 


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4«  I  PHOllESSI  SPOSI 

u  Non  mi  fate  ora  parlare,  non  mi  fate  piangere.  Corro  a  diìamar 
mia  madre,  e  a  licenziar  le  donne:  bisf^a  che  siam  soli.  » 

Mentre  ella  partiva,  Renzo  susurrò:  "  non  m'avete  mai  detto  niente.  « 

u  Ah,  Renzo!"  rispose  Lucia,  rivolgendosi  un  momento,  senza  fer- 
marsi. Renzo  inlese  benìssimo  che  il  suo  nwne  pronunziato  in  quel 
momento,  con  quel  tono,  da  Lucia,  voleva  dire:  potete  voi  dutùlare 
ch'io  abbia  taciuto  se  non  per  motivi  giusti  e  puri? 

Intanto  la  tiuona  Agnese  (cosi  si  chiamava  la  madre  di  Lucia),  messa 
in  sospetto  e  in  curiosità  dalla  parolina  all'  orecchio,  e  dallo  sparir 
della  liglia,  era  discesa  a  veder  cosa  c'era  di  nuovo.  La  figlia  la  lasciò 
con  Renzo,  (ornò  alle  donne  radunate,  e,  accomodando  l'aspetto  e  la 
voce,  come  potè  meglio,  disse;  »  il  signor  curato  è  ammalato;  e  f^gi 
non  si  fa  nulla,  n  Ciò  detto,  le  salutò  tutte  in  fretta,  e  scese  di  nuovo. 

Le  donne  sfilarono,  e  si  sparsero  a  raccontar  l'accaduto.  Due  o  Ire 
andaron  fin  all'uscio  del  curalo,  per  verificar  se  era  ammalato  davvero. 

«  Un  febbrone,  "  rispose  Perpetua  dalla  finestra;  e  la  trista  parola,  ri- 
|>ortata  all'  altre,  troncò  le  congetture  che  già  cominciavano  a  brulicar 
ne'  loro  cervelli,  e  ad  annunziarsi  tronche  e  misteriose  ne'  loro  discorsi. 


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C\PITOLO  in. 


ucia  entrò  nella  staDia  terrena,  men- 
tre Renzo  slava  angosciosamente  in- 
formando Agnese,  la  quale  angoscio- 
samente lo  asctdtava.  Tutl'  e  due  si 
volsero  a  chi  ne  sapeva  più  dì  loro, 
e  da  cui  aspettavano  uno  scbiari- 
menlo,  il  quale  non  poteva  essere  ehc 
_  doloroso:  lutt'e  due,  lasciando  tra- 
So         ^.— -c.=--^^"-^"'''~'  vedere,  in  mezzo  al  dolore,  e  con 

r  amore  diverso  che  ognmi  d'essi  p<Hiava  a  Lucia,  un  cruccio  pur  di- 
verso perchè  avesse  taciuto  loro  qualche  cosa,  e  una  lai  cosa.  Agnese, 
bendw  ansiosa  di  sentir  parlare  la  figlia,  non  potè  tenersi  di  non  farle 
on  rimprovero.  "  A  tua  madre  non  dir  niente  d'una  cosa  simile!» 

«  Ora  vi  dirò  lutto,  »   rispose  Lucia,  asciugandosi  ^i  occhi  col 
grembiule. 

<•  Parla,  parla  !  —  Parlale,  parlate!  "  gridarono  a  un  tratto  la  madre 
e  lo  sposo. 


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tu  1  l'HOMESSl  SPOSI 

u  Santissima  Verginei  »  esclamò  Lucia:  u  chi  avrebbe  credulo  che 
le  cose  potessero  arrivare  a  questo  s^no!  "  E,  con  voce  rolla  dat  pian* 
lo,  raccontò  come,  poclii  giorni  prima,  mentre  tornava  dalla  filiuida, 
ed  era  rimasta  indietro  dalle  sue  compagne,  le  era  passato  innanzi  don 
Rodrigo,  in  compagnia  d'un  altro  signore;  che  il  primo  aveva  cercato 
di  trattenerla  con  eliiàcchiere,  com'ella  diceva,  non  punto  belle;  ma 
essa,  senza  dargli  retta,  aveva  affrettato  il  passo,  e  rag^unle  le  compa- 
pie;  e  intanto  aveva  sentito  quell'altro  signore  rider  forte,  e  don  Ro- 
drigo dire:  scommettiamo.  [|  giorno  dopo,  coloro  s'  eran  trovati  ancora 
sulla  strada  ;  ma  Lucia  era  nel  mezzo  ddle  compagne,  ceni  gli  occhi 
bassi;  e  l'altro  signore  sghignazzava,  e  don  Rodrigo  diceva:  vedremo, 
vedremo.  «Per  grazia  del  cielo,»  continuò  Lucia,  uqnel  giorno  era 
r  ultimo  della  filanda.  Io  racconlai  subito....  » 

"  A  chi  hai  racconlaloN  domandò  Agnese,  andando  incontro,  non 
senza  un  po'  di  sdegno,  al  nome  del  confidente  preferito. 

«  Al  padre  Cristoforo,  in  confessione,  mamma,»  rispose  Lucia,  con 
un  accento  soave  di  scusa.  «  Gli  raccontai  lutto ,  1'  ultima  volta  die 
siamo  andate  insieme  alla  chiesa  del  convento:  e,  se  vi  ricordate,  quella 
mattina,  io  andava  mettendo  mano  ora  a  una  cosa,  ora  a  un'altra,  per 
indugiare,  lauto  che  passasse  altra  gente  del  paese  avviata  a  quella 
volta,  e  làr  la  strada  in  compagnia  con  loro;  perchè,  dopo  queir  in- 
contro, le  strade  mi  fecevan  tanta  paura. ...^ 

Al  nome  riverito  del  padre  Cristoforo,  lo  sdegno  d'  Agnese  si  rad- 
dolcì, uHai  fatto  bene,"  disse,  u  ma  perchè  non  raccontar  tutto  an- 
che a  tua  madre?  n 

Lucia  aveva  avute  due  buone  ragioni:  l'una,  di  non  contristare  ne 
spaventare  la  buona  donna,  per  cosa  alla  quale  essa  non  avrcUtc  po- 
tuto trovar  rimedio;  l'altra,  di  non  metter  a  rischio  di  viaggiar  per 
molte  bocche  una  storia  che  voleva  essere  gelosamente  sepolta:  tanto 
più  che  Lucia  sperava  che  le  sue  nozze  avrebber  troncata,  sul  prin- 
cipiare, queir  abbominata  persecuzione.  Di  queste  due  ragioni  però,  non 
allegò  che  la  prima. 

"  E  a  voi,  »  disse  poi,  rivolgendosi  a  Renzo,  con  quella  voce  die 
vuol  far  riconoscere  a  un  amico  che  ha  avuto  torlo  :  u  e  a  voi  doveva  io 
parlar  di  questo?  Pur  troppo  lo  sapete  CMra!  » 

"  E  die  l'  ha  detto  il  padre?  n  domandò  Agnese. 

"  M'  ha  detto  che  cercassi  d'affrettar  le  nozze  il  più  che  potessi,  e 
intanto  stessi  rinchiusa;  che  pregassi  bene  il  Signore;  e  die  sperava 


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CAPITOLO  HI.  10 

(^  ct^ui,  non  vetlendoDiì,  non  si  curerebbe  più  di  me.  E  fu  allora 
elle  mi  sforzai,  »  prosegui,  rivolgendosi  di  nuovo  a  Renzo,  senza  al- 
saT^i  però  gli  occhi  in  viso ,  e  arrossendo  tutta ,  «  fu  allora  che 
feci  la  sfacciala,  e  che  vi  pregai  io  che  proeiirasle  di  far  presto,  e  di 
coneludere  prima  del  tempo  che  s'era  stabilito.  Chi  sa  cosa  avrete  pen- 
sato di  me!  Ma  io  facevo  per  bene,  ed  ero  stata  consigliata,  e  tenero 
per  certo.. ..e  questa  mattina,  ero  tanto  lontana  da  pensare.... rr  Qui  le 
parole  furon  troncale  da  un  violento  scoppio  di  pianto. 

u  Ah  birlwnc!  ah  dannato!  ah  assassino!  »  gridava  Renzo,  cor- 
rendo innanzi  e  indietro  per  la  stanza,  e  stringendo  dì  tanto  in  tanto 
il  manico  del  suo  coltello. 

"Oh  che  imbroglio,  per  amor  di  Dio!  n  esciamava  Agnese.  D  gio- 
vine si  fermò  d'improvviso  davanti  a  Lucia  che  piangeva;  la  gnaulò 
con  im  allo  di  tenerezza  mesta  e  rabbiosa,  e  disse:  «  questa  e  1'  ul- 
tima che  fa  quelf  assassino.  » 

u  Ah!  no,  Renzo,  per  amor  del  deh)!  "  gridò  Lucia.  "  No,  no,  per 
amor  del  cielo!  Il  Signore  e' e  anche  per  i  i»overÌ;  e  rome  volete  che 
ci  aiuti,  se  faceiam  del  male?  ^ 

"  No,  no,  per  amor  del  cielo!»  ripeteva  Agnese. 

u  Renzo,  »  disse  Lucia,  ron  un'aria  di  pranza  e  di  risolnziune 
più  tranquilla:  «  voi  avete  un  mestiere,  e  io  so  lavorare:  andiamo 
tanto  lontano,  che  ctduì  non  senta  più  parlar  di  noi.  « 

u  Ah  Lucia!  e  poi  ?  Non  siamo  ancora  marito  e  nit^lìe!  Il  curalo 
vorrà  farci  la  fede  di  slato  libero?  Un  uomo  come  quello?  Se  fossimo 
maritati,  oh  allora ....  !  n 

Lucia  si  rimise  a  piangere;  e  tult'e  tre  rimasero  iu  silenzio,  e  in 
im  abbattimento  che  feceva  un  tristo  contrapposto  alla  pompa  festina 
de'  loro  abiti. 

"Sentite,  ligliuoli;  date  retta  a  me,"  dissc,dopo  quatelte  momento, 
Agnese.  »  lo  son  venula  ai  mondo  prima  di  voi;  e  il  mondo  lo  co- 
nosco mi  poco.  Non  bisogna  poi  spaventarsi  tanto:  il  diavolo  non  è 
brutto  quanto  sì  dipinge.  A  noi  poverelli  le  matasse  paion  più  imlH^ 
gliate ,  perchè  non  sappiam  trovarne  il  bandolo;  ma  alle  volte  un  pa- 
rere, una  parolina  d'  un  uomo  che  abbia  studiato....  so  ben  io  quel 
che  vog^o  dire.  Fate  a  mio  modo,  Renzo;  andate  a  Lecco;  cercale  del 
dottor  Azzeeca-garbugli, raccontategli....  IVla  non  lo  chiamate  cosi, |>er 
amor  del  delo  :  è  un  soprannome.  Bisogna  dire  il  signor  dottor ....  Come 
,  ora?  Oh  lo'!  non  io  so  il  nome  vero:  lo  chiaman  tutti  a 


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I  PROMESSI  SPOSI 


qiiel  modo.  Basta,  cercale  di  quel  dottore  allo,  asciutto,  pelalo,  col 
naso  rosso,  e  una  coglia  di  lampone  sulla  guancia.  " 


u  Lo  conosco  di  vista,  n  disM'  Renzo. 

«  Bene,»  continuò  Agnese:  ^quello  e  una  cima  d'uomo!  Ho  visto 
io  più  d'uno  ch'era  i)iu  impiccialo  che  un  pulcin  nella  sloppa,  e  non 
sapeva  dove  batter  la  testa,  e,  dopo  essere  sialo  un'ora  a  quallr' oc- 
chi co)  dottor  Azzecca-garbugli,  (badale  bene  di  non  chiamarlo  così!) 
l'ho  visto,  dico,  ridersene.  Pigliate  quei  quattro  capponi,  poveretti! 
a  cui  dovevo  tirare  il  collo,  per  ìl  banchetto  di  domenica,  e  portate- 
glieli; perché  non  bisogna  mai  andar  con  le  mani  vote  da  que'  si- 
gnori. Raccontategli  tutto  l'accaduto;  e  vedrete  che  vi  dirà,  su  due 
piedi,  di  quelle  cose  che  a  noi  non  verrebbero  in  tesla,  a  pensarci  un 
anno.  >> 

Renzo  abbracciò  tiloito  volentieri  qlicsto  parere;  Lucia  l'approvò; 
e  Agnese,  superba  d'averlo  dato,  levò,  a  una  ai  una,  le  povere  bestie 
dalld  stia,  riuni  le  loro  otto  gambe,  come  se  facesse  un  mazzetto  di 
llori,  le  avvolse  e  le  strinse  con  uno  spago,  e  le  consegnò  in  mano 
a  Renzo;  il  quide,  date  e  ricevute  parole  di  speranza,  usci  dalla  parie 
dell'orto,  per  non  esser  veduto  da'  ragazzi,  che  gli  correrebber  dietro, 
gridando:  lo  sposo!  lo  sposo!  Cosi,  attraversando  i  campi  o,  come  dì- 
con  colà,  i  luoghi,  se  n*  andò  per  viottole,  fremendo,  ripensando  alla 


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CAPITOLO  III.  HI 

sua  disgrazia,  e  ruminando  il  discorso  da  Tare  al  dottor  Azzecca-gar- 
bi^i.  Lascio  por  pensare  al  lettore,  come  dovessero  stare  in  viaggio 
quelle  povere  bestie,  cosi  legale  e  tenute  per  le  zampe,  a  capo  all'  in 
giù,  nella  mano  d'un  uomo  il  quale,  agitato  da  tante  passioni,  accom- 
pagnava col  gesto  i  poisieri  che  ^ì  passavan  a  tumulto  per  la  mente. 
Ora  stendeva  il  'braccio  per  collera,  ora  l'alzava  per  disperazione, 
ora  lo  dibatteva  in  aria,  come  per  minaccia,  e,  in  tutti  i  modi,  dava 
loro  di  fiere  scosse,  e  faceva  balzare  quelle  quattro  teste  spenzolate; 
le  quali  intanto  s'ingegnavano  a  beccarsi  l'una  con  l'altra,  conie  accade 
troppo  sovente  tra  compagni  di  sventura. 


Giunto  al  borgo ,  domandò,  dell'  abitazione  del  dottore  ;  gli  fu  in- 
dicata, e  v'andò.  All'entrare,  si  sentì  preso  da  quella  suggezione  [che 
i  poverelli  illelterali  provano  ìn  vicinanza  d'un  signore  e  d'un  dotto, 
e  dimmticò  lutti  i  discorsi  £bc  aveva  preparati;  ma  diede  un'occhiata 
ai  capponi,  e  si  rincorò.  Entrato  in  cucina,  domandò  alla  serva,  se  si 
poteva  parììu^  a!  signor  dottore.  Adocchiò  essa  le  bestie,  e,  come  av- 
vezza a  somiglianti  doni ,  mise  loro  le  mani  addosso ,  quantunque 
Renzo  andasse  tirando  indietro,  perchè  voleva  che  il  dottwe  vedesse 
e  sapesse  di'  egli  portava  qualche  cosa.  Capitò  appunto  mentre  la 
donna  diceva:  «  dale  qui,  e  andate  innanzi.»  Renzo  fece  un  grande 
inchino:  il  dottore  l' accolse  umanamente,  con  un  "  venite,  lì^uolq.  » 
e  lo  feee  entrar  con  sé  nello  studio.  Era  questo  uno  stanzone,  su 
tre  pareli  del  quale  eran  distribuiti  i  ritratti  de*  dodici  Cesari;  la. 


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KS  I  PROMESSI  SPOSI 

-quarla,  raparla  da  un  grande  scaflale  ili  libri  vpoclii  e  polverosi:  nel 
mezzo,  una  tavtria  gi'emila  d'allegazioni,  di  suppUclic,  di  libelli,  tli 
gride,  eon  Ire  o  quattro  seggiole  all'intorno,  e  da  uiìa  fiarle  un  se^ 
(tiolone  a  braecìoli,  con  una  spalliera  alla  e  quadrala,  terminata  agli 
angoli  tla  due  ornamenti  di  legno,  che  s'alzavano  a  foggia  di  eorna,  oo- 
perla  di  vaechctta,  eon  grosse  borcliie,  alcune  delle  quali,  radute  da 
gran  tempo,  lasciavano  in  libertÀ  gli  angoli  della  copertura,  die  s'  ae- 
eartoccia^a  i^ua  e  là.  Il  dottore  era  in  veste  da  camera,  cioè  eojipi'lo 
d'una  toga  ormai  consunta,  che  gli  aveva  servilo,  moll'anni  adilielro, 
per  jH^rorare,  ne' giorni -d'apparato,  quando  andava  a  Milano,  [ter  qual- 
che eausa  d*  iin|>ortan£a.  Chiuse  l'uscio,  e  fece  animo  al  giovine,  eon 
queste  parole:  «  ligliuolo,  ditemi  il  vostro  caso.  ^ 

"  Vorrei  dirle  una  (larola  in  confidenza.  " 

"  Son  qui,»  rispose  il  dottore:  u  partale.»  E  s'accomodò  sul  seg- 
giolone. Renzo,  rillo  davanti  alla  tavola,  con  una  mano  nel  cocciizzoio 
del  cappello,  clie  faceva  girar  con  l'altra,  ricominciò;  j  v«n-eì  sapei-»- 
da  lei  che  ha  sliidialo....  " 

1  Ditemi  il  fallo  come  sia.  »  inteiruppe  il  dottore. 

uLei  m'ha  da  scusare:  noi  altri  poveri  non  sappiamo  parlar  bene. 
Vorrei  dunque  sapere....» 

"  Benedetta  genie!  siete  tutti  cosi:  in  vece  di  raccontar  il  (atto, 
volete  interrogare,  jiercltè  avete  già  i  mostri  disegni  in  lesla.  » 

^  Mi  scusi,  signor  dottore.  Vorrei  sapere  se,  a  minacciare  un  curato, 
perchè  non  faccia  un  matrimonio,  e'  è  penale.  » 

—  Ho  capito,  — disse  tra  sé  il  dottore,  che  in  verità  non  aveva  ca- 
pilo. —  Ho  capito.  — E  subito  si  fece  serio,  ma  d'una  serietà  mista  di 
compassione  e  di  premura;'strinse  fortemente  le  labbra,  facendone  uscire 
un  suono  inarticolato  che  accennav»  un  sentimento,  espresso  poi  più 
chiaramente  nelle  sue  prime  parole.  «  Gaso  serio,  figliuolo;  caso  con- 
templalo. Avete  fatto  bene  a  venir  da  me.  È  un  caso  chiaro,  contem- 
plato in  cento  gride,  e....  appunto,  in  una  dell' anno  scorso,  dell'attuale 
signor  governatore.  Ora  vi  fo  ledere,  e  toccar  con -mano.  « 

Cosi  dicendo,  s'alzò  dal  suo  scggiol^Mie,  e  cacciò  le  mani  in  quel 
'caos  di  carie,  rimescolandole  dal  sotto  in  su,  come  se  mettesse  grano 
in  uno  staio. 

u  Dov'è  ora?  Vien  fuori,  vien  fuori.  Bisogna  aver  (ante  cose  alle 
mani!  Ma  la  dev'esser  «pii  sicuro,  perchè  è  una  grida  d'importanza. 
Ah!  ecco,  ecco.»  La  prese,  la  spiegò,  guardò  alla  data,  e,  fatto  ud  viso 


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CAPITOLO  Ut.  H3 

ancor  più  seri»,  chiamò:  "  il  in  d'ottobre  les?!  Sicuro;  è  dell'anno 
|)assato:  grida  fresca;  son  quelle  che  fonno  più  paura.  Sapete  leggere, 
fi^iuoto?  " 

'<  Un  pochino,  signor  dottore,  y 
"  Bene,  vcnilenii  dietro  con  l'occliio,  e  vedrete.  " 
E,  lenendo  la  grida  sciorinala  in  aria,  cominciò  a  leggere,  l>orbot- 
lando  a  precipizio  ìn  alcuni  passi,  e  fermandosi  dislinlamente,  ooii 
grand'  espressione,  sopra  alctmi  altri,  secondo  il  bisogno: 


"  Se  bene,  per  la  grida  pubblicala  d' online  del  signor  Duca  di  Feria 
ai  14  di  dicembre  1690,  et  confirmata  <lalf  ftlustriss.  pI  Eccellentifu. 
Signore  il  Signor  domalo  Fernattdez  de  Cordof^a,  erectera,  fu  con  ri- 
medii  Btraordinarii  e  rt'goroéi  provt^igto  alle  oppressionij  concussioni  et 
atti  liranniciche  alcuni  ardiscono  di  commettere  centra  questi  f 'assalii 
tanto  divoti  di  S.  M.,  ad  ogni  modo  la  frequenza  degli  eccessi,  e  la 
maMia,  cccelera.  è  cresciuta  a  segno,  che  ha  jmsto  in  necessità  l'tkcell. 
Sua,  eccelera.  Onde,  col  parere  del  Senato  et  di  una  Giunta,  eccrlcra, 
Ao  risoluto  che  si  pubblichi  la  presente. 

"  £  cominciando  dagli  alti  tirannici,  mostrando  l'esperienza  che 


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HI  I  PROMESSI  SPOSI 

molti,  così  nelle  Città ,  come  nelle  ^ille....  seatìteì  di  queito  Stato ^ 
con  tirannide  e$ercÌtaHO  concussioni  et  opprimono  i  più  deboli  invanì 
modi,  come  in  operare  che  si  facciano  contratti  violenti  di  compre,  d'af- 
fiUi....  ccceler»;  dove  sei?  ahi  ecco;  seotiteicAe  seguano  o  non  seguano 
matrimonii.  Eh?  » 

e  É  il  mio  caso ,  "  disse  Renzo. 

u  Sentile,  sentite,  c'è  lien  altro;  e  poi  vedremo  la  pena.  Si  tettifi- 
chi,  0  non  si  testifichi,-  che  uno  ti  parta  dal  luogo  dove  abita,  ecce' 
lera;  che  quello  paghi  ttn  debito,-  quell'altro  non  lo  molesti,  quello 
vada  al  suo  tno/ino.- lutto  questo  non  liache  far  ron  noi.  Ah  ci  siamo: 
quel  prete  non  faccia  quello  che  è  obbligato  per  l'uficio  suOj  o  faccia 
cose  che  non  gli  toccano.  Eh?  r 

"  Pare  che  abbian  falla  la  grida  apposta  per  me.  " 

u  Eh?  non  è  vero?  sentite,  sentite:  et  altre  siiniii  violense,  quali 
seguono  da  feudatarii,  nobili,  mediocri,  vili,  e  plebei.  Non  se  ne  scappa: 
ci  son  tulli:  è  eome  la  valle  di  Giosafat.  Sentite  ora  ta' pena.  Tutte 
queste  el  altre  simili  male  attioni,  benché  siano  proibite,  nondimeno, 
convenendo  mettermano  a  maggior  rigore,  S.  E.,  per  la  presente,  non 
derogando,  eccetera,  ordina  e  comanda  che  contra  li  contravventori  in 
qualsivoglia  dei  suddetti  capi,  o  altro  simile,  si  proceda. da  tutti  li  giu- 
dici ordinarii  di  questo  Stalo  a  pena  pecuniaria  escorporale ,  ancora 
di  relegationeo  di  galera,  e  ftno  alla  morte....  una  piccola  bagattella! 
all'arbitrio  dell'  Eccellenza  Sua,  o  del  Senato,  secoìido  la  qualità  dei 
casi,  persone  e  circostanze.  £  questo  ir-re-mis-si-bil-mente  e  con  ogni 
rigore,  eccetera.  Ce  n'è  della  roba,  eh?  E  vedete  qui  le  sottoscrizioni: 
Gonzalo  Fernandez  de  Cordova;  e  più  in  giù:  Platonus;  e  qui  ancora: 
P'idit  Ferrer:  non  ci  manca  niente.  " 

Mentre  il  dotlore  leggeva,  Renzo  gli  andava  dietro  lenlamenle  con 
l'oechio,  cercando  di  cavar  il  costrutto  chiaro,  e  di  mirar  proprio  quelle 
sacrosante  parole,  che  gli  parevano  dover  essere  il  suo  {ùulo.  D  dottore, 
vedendo  il  nuovo  cliente  più  allento  che  allerrito,$i  maravigliava. — 
Che  sia  matricolalo  costui,  —  pensava  Ira  sé.  "  Ah!  ah!  »  gli  disse  poi: 
«  vi  siete  però  fatto  tagliare  il  ciutfo.  Avcle  avuto  prudenza:  però,  vo- 
lendo metterai  nelle  mie  mani,  non  faceva  bisogno. Il  caso  è  serio;  ma 
voi  non  sapete  quel  che  mi  basti  l'animo  di  fare,  in  un'occasione.  » 

Per  intender  quesl' uscita  del  dottore,  bisogna  sapere,  o  raramen' 
lar^  che,  a  quel  tempo,  ì  bravi  di  mestiere,  e  i  facinorosi  d'ogni  genere, 
ì  portare  un  lungo  ciuffo,  che  si  tiravan  poi  sul  volto, come  una 


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visiera,  alfatto  cfaffixthtar  qualcheduno,  ne'  casi  in  cui  slimasser  ne< 
cessarlo  di  travisarsi ,  e  l'impresa  fòsse  di  quelle,  che  richiedevano  nello 
stesso  tempo  forza  e  prudenza.  Le  gride  non  erano  siale  in  silenzio  su 
quesla  moda.  Comanda  Sua  Eccellenza  {il  marchese  de  la  Hynojosa) 
che  chi  porterà  i  capelli  di  tal  lunghezza  che  coprano  il  fronte  pno 
alli  cigli  eKlusioaniente,  ovvero  porterà  la  trezza,  o  avanti  o  dopo  le 
orecchie,  incorra  la  pena  di  trecento  scudij  et  in  caio  d"  inhabilità,  di  tre 
anni  di  galera,  per  la  prima  volta,  e  per  la  KecondUj  oltre  la  suddetta, 
maggiore  ancora,  pecuniaria  et  corporale,  all'arbitrio  di  Sita  Eccellenza. 

Permette  però  die,  per  occatione  di  trovarsi  alcuno  calvo,  o  per  altra 
ragionevole  cauta  di  segnale  o  ferita,  possano  quelli  tali,  per  maggior 
decoro  e  sanità  toro,  portare  i  capelli  tanto  lunghi,  quanto  sia  bisogno 
per  coprire  simili  mancamenti  e  niente  di  piàj  avvertendo  bene  a  non 
eccedere  il  dovere  e  pura  necessità,  per  (non)  incorrere  nella  pena  agli 
altri  eontraffacienti  imposta. 

E  parimente  comanda  a'  barbieri,  sotto  pena  di  cento  scìtdi  o  di  tre 
tratti  di  corda  da  esser  dati  loro  in  pubblico,  et  maggiore  anco  corpo- 
rale, all'arbitrio  come  sopra,  che  lion  lascino  a  quelli  che  toseranno, 
sorte  alcuna  didette  trezze,  zuffì,  rizzi,  ne  capelli  più  lunghi  dell'or- 
dinario, così  nella  fronte  come  dalle  bamle,  e  dopo  le  orecchie,  ma 
che  siano  tutti  uguali,  come  sopra,  salvo  nel  caso  dei  calvi,  o  altri 
difettosi,  come  si  è  detto.  Il  ciuffo  era  dunque  quasi  una  parte  dell'ar- 
matura, e  un  distintivo  de'  bravacci  e  degli  scapestrati;  i  quali  poi  da 
dò  vennero  comunem^ite  chiamati  ciufll.  Questo  termine  è  rimasto  e 
vive  tuttavia,  con  significazione  più  mitigata,  nel  dialetto:  e  non  ci 
sarà  forse  nessuno  de'  nostri  lettori  milanesi,  che  non  si  rammenti  d'aver 
sentito,  nella  sua  fanciullezza ,  o  ■  parenti ,  o  il  maestro,  o  qualche  amico 
di  casa,  o  qualche  persona  dj  servizio,  dir  di  lui  :  è  un  ciuffo,  è  un  ciufletto. 
"  In  verità,  da  povero  llgliuolo,"  rispose  RenzA,  "io  non  ho  mai 
portato  ciuffo  in  vita  mia.  » 

u  Non  facciam  niente,  n  rispose  il  dottore,  scolendu  il  capo,  con 
un  sorrìso,  Ira  malizioso  e  impaziente,  u  Se  non  avete  fede  in  me,  non 
Eacciam  nioile.  Chi  dice  le  bugie  si  dottore,  vedete  figliuolo,  è  uno 
sdocco  che  dirà  la  verità  al  giudice.  All'avvocato  bisogna  raccontar  le 
cose  chiare:  a  noi  tocca  poi  a  imbrogliarle.  Se  volete  ch'io  v'aiuti,  biso- 
gna dirmi  lutto,  dall'a  fino  alla  zeta,  col  cuore  in  mano,  come  al  con- 
fessore. Dovete  nominarmi  la  persona  da  cui  avete  avuto  il  mandato: 
sarà  naturalmente  persona  dì  riguardo;  e,  in  questo  caso,  io  anderò  da 


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aa  I  PROMESSI  SPOSI 

lui,  a  fare  uii  allu  di  dovere.  Non  gli  dirò,  vedete,  eh'  io  sappia  da  voi, 
l'he  v'ha  mandato  lui:  fidatevi.  Gli  dirò  che  vengo  ad  inii^orar  la  sua 
proteziwie,  per  un  povero  giovine  calunnialo,  E  con  lui  prenderò  i  eon- 
ccrli  opportuni,  )>er  finir  radare  lodevoloiente.  Capile  bene  che,  sal- 
vando sé,  saiveri  anche  voi.  Se  poi  la  scappata  fosse  lulla  vostra,  via, 
non  mi  ritiro:  ho  cavato  altri  da  peggio  imbrt^i....  Purché  non  ah- 
liiate  olTeso  persona  dì  riguardo,  hitendiamoci ,  m' ini)x>giio  a  logitervi 
d'impiccio:  con  un  po'  di  s|)e$a,  iolendiaiuoci.  Dovete  dirmi  elii  sia 
l'ofTeso,  conie  si  dice:  e,  secondo  la  condizione,  la  qualità  e  l'umore 
dell" amico,  si  \edrà  se  eon%e»ga  più  di  leiierlo  a  segno  con  le  pro- 
lezioni, o  trovar  qualche  modo  d'  atlaccarlo  noi  in  criminale,  e  met- 
lorglì  una  pulce  nell'orecdiio;  |)erchè,  vedete,  a  saper  ben  manc^^re 
le  gride,  nessuno  è  reo,  e  nessuno  e  innocente.  In  quanto  al  curato, 
se  è  persona  di  giudizio,  se  ne  slarà  xitloj  se  fosse  una  testolina,  c'è 
rimedio  andie  per  quelle.  D'ogni  inlrigo  si  può  usare;  ma  ci  vuole 
un  uomo:  e  il  vostro  caso  è  serio;  serio,  vi  dico,  serio:  la  grida  canta 
chiaro;  e  se  la  cosa  si  deve  decider  tra  la  giusUxìa  e  voi ,  coù  a  quat- 
tr'occhi, state  fresco.  Io  vi  parlo  da  amico:  le  scappale  bisogna  pagarle: 
se  volete  passarvela  liscia,  danari  e  sincerità,  fidarvi  di  dii  vi  vu<4 
bene,  ubbidire,  (ar  tutto  qudlo  che  vi  sarà  suggerito.  » 

Mentre  il  dottore  mandava  fuori  tutte  queste  parole,  Renzo  lo  slava 
guardando  con  un'attenzione  estatica,  come  un  malerialone  sta  sulla 
piazza  guardando  al  gìocalor  di  bussolotti,  che,  d(^  essersi  cacciala 
in  bocca  sloppa  e  sloppa  e  stoppa,  ne  cava  nastro  e  nastro  e  nastro, 
che  non  flnbcc  mai.  Quand'ebbe  però  capilo  bene  cosa  il  dottore  vo- 
lesse  dire,  e  quale  equivoco  avesse  preso,  gli  troncò  Ìl  nastro  in  bocca, 
dicendo:  «  oh!  signor  dottore,  come  l'ha  intesa?  l'è  proprio  tutta 
al  rovescio.  Io  non  bo  minacciato  nessuno;  io  non  fo  di  queste  cose,  io: 
e  domandi  pure  a  tutto  il  mio  comune,  che  sentirà  che  non  ho  mai 
avuto  die  lare  ccm  la  giustizia.  La  bricconeria  l'hanno  fatta  a  me;  e 
vengo  da  lei  per  sapere  come  ho  da  fare  per  ottener  giustizia;  e  son 
ben  contento  d'aver  visto  quella  grida,  n 

u  Diavolo!  n  esclamò  il  dottore,  spalancando  gli  occhi.  «  Che  pa- 
sticci mi  fate?  Tant'é;  siete  tulU  cosi:  possibile  che  non  sappiate  dirle 
chiare  le  cose?  » 

«  Ma  mi  scusi;  lei  non  m' ha  dato  tempo:  ora  le  racconterò  la  co- 
sa, com'  è.  Sappia  dunque  eh'  io  dovevo  sposare  oggi ,  «  e  qui  la  voce 
di  Renzo  si  commosse,  «  dovevo  sposare  oggi  una  giovine,  alla  qnale 


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CAPITOLO  III.  MI 

ilìscorrevo.  lin  da  quesl'eslatej  e  oggi,  come  le  dico,  era  il  giorno  sla- 
bilìlo  col  signor  curato,  e  s'era  disposto  ogni  cosa.  Ecco  che  il  signor 
curato  comincia  a  cavar  Tuori  certe  scuse....  basta,  per  non  tediarla, 
io  l'ho  fatto  parlar  chiaro,  com'era  giusto;  e  lui  m'  ha  confessato  die 
gli  era  stato  proibito,  pena  la  vita,  di  far  questo  matrimonio.  Qufì 
prepotente  di  don  Rodrigo....  » 

«  Eh  via!  »  interruppe  subilo  il  dottore,  aggrottando  le  ciglia,  ag- 
grinzando il  naso  rosso,  e  storcendo  la  bocca,  "  eh  via!  Che  mi  ve- 
nite a  rompere  il  capo  con  queste  fandonie?  Pale  di  questi  discorsi 
Ira  voi  altri,  che  non  sapete  misurar  le  parole;  e  non  venite  a  farli 
eon  un  galantuomo  che  sa  quanto  valgono.  Ajidale ,  andate  ;  non 
sapete  quel  che  vi  dite  :  io  non  m' impiccio  con  ragazzi  ;  non  voglio 
sentir  discorsi  di  questa  sortA,  discorsi  in  aria.  « 


"  Le  giuro....  " 

'  Andate,  vi  dico:  die  volete  eh' io  faccia  de'  vostri  giununenti  ?  lo 
non  c'entro:  me  ne  lavo  le  mani.  »  E  se  le  andava  stropicciando,  come 
se  le  lavasse  davvero.  «  Imparate  a  parlare:  non  si  viene  a  sorpren- 
der cosi  un  galantuomo,  i^ 


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«u  I  PH0UES3I  srus) 

u  Ma  sL'iila.  ma  grilla,  "  riprieva  iiulanu)  Renzo:  il  «lollore,  ^ein- 
pre  gridaiulo.  lo  !<|iiiigeva  con  le  mani  verso  I'um-Ìo;  e,  <|uamlo  ve 
I' el^  caceialo,  a(>ri ,  ehiamó  la  serva,  e  le  disse:  »  resliluite  subito 
a  qui-st'uoiiio  (|uellu  ehe  ha  |H)rìalo:  io  non  voglio  iiieiilc,  non  voglio 
BÌente.  » 

Quella  donna  non  a^eva  mai.  in  lutto  il  tempo  ch'tTa  stala  in  quella 
casa,  eseguito  un  ordine  simile:  ma  era  stato  proferito  con  una  tale 
risoluzione,  die  non  esitò  a  ubbidire.  Prese  le  quattro  povere  bestie, 
e  le  diede  a  Renzo,  con  un'  oeeliiala  di  compassione  sprezzante,  che 
paix'va  volesse  dire:  iiiso^a  che  tu  l'abbia  falla  bella,  Renzo  voleva 
far  <>erÌmonÌe;  ma  il  dottore  fu  inespugnabile;  e  il  giovine,  |hù  attonito 
e  pili  stizzito  ehe  mai,  dovette  riprendersi  le  \  ittìme  rifiulale,  e  tornar 
al  (mese,  a  raccontar  alle  donne  il  bel  costrutto  «Iella  sua  spediziope. 


Le  donne,  nella  sua  assenza,  dopo  essersi  tristamente  levate  il  ^'cslito 
delle  feste  e  messo  quello  dei  giorno  di  lavoro,  sì  misero  a  eonsullar  di 
nuovo,  Lucia  singhiozzando  e  Agnese  sospirando.  Quando  ciuesta  ebbe 
l>en  parlato  de' grandi  eFTelli  chp  si  dovevano  sperare  dai  consigli  del 
dottore,  Lucia  disse  che  bisognava  veder  d'aiutarsi  in  tutte  le  maniere; 
che  il  padre  Cristoforo  era  uomo  non  solo  da  consigliare,  ma  da  met- 
ter l'opera  sua,  quando  si  (pattasse  di  sollevar 'poverelli;  e  che  sarebbe 
una  gran  bella  cosa  potergli  far  sajiereciò  ch'era  accaduto.  «Sicuro," 


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CAPITOLO  III.  tn 

disse  Agnese:  e  si  diedero  a  cercare  insieme  Ui  maniera;  giacclié  art- 
dar  esse  al  convento,  distante  di  là  forse  due  miglia,  non  se  ne  senti- 
vano il  corano,  in  quel  giorno:  ecerto  nessun  uomo  di  giudizio  gliene 
avrebbe  dato  il  parere.  Ma,  nel  mentj-e  che  bilanciavano  i  partili,  si 
sentì  un  picchietto  all'uscio,  e,  nello  stesso  momento,  un  soiimiesso 
ma  distinto  «  Deo  gratias.  "  Lucia,  immaginandosi  chi  poteva  essere, 
corse  ad  aprire;  e  subito,  fatto  un  piccolo  inchino  famigliare,  \enne 
avMili  im  laico  cercatore  cappuccino,  con  la  sua  bisareia  pendente  alla 
spalla  sinistra,  e  lenendwie  l'imboccalupa  attortigliata  e  stretta  nelle 
due  mani  sul  petto. 

«  Oh  fra  Caldino!  '  dissero  le  due  donne. 


u  II  Signore  sia  con  voi,  "  disse  il  frale.  "  Vengo  alla  eerca  delle 
noci.  " 

u  Va  a  prender  le  noci  per  ì  padri,  »  disse  Agnese.  Lucia  s'alzò, 
e  s'avviò  all'altra  stanza,  ma,  prima  d'entrarvi,  si  trattenne  dietro  le 
spaile  di  fra  Caldino,  che  rimaneva  diritto  nella  medesima  positura; 
e,  mettendo  il  tUto  alla  bocca ,  diede  alla  madre  un'occhiata  che  eliie- 
deva  il  segreto,  con  tenerezza,  con  supplicazione,  e  anche  con  una  certa 
autorità. 

n  cercatore,  sbirciando  Agnese  così  da  lontano,  disse:  »  e  questo 


Digitizf^riiiyGoOgle 


•0  I  MtOUESSI  SPOSI 

inalriraonio?  Si  doveva  pur  fare  oggi:  ho  veduto  nel  paese  un»  «xsrtt 
confusione,  come  se  ci  fosse  una  novità.  Cos'è  sialo?  « 

<•  11  signor  curato  è  ammaJalo,  e  bisogna  differire,  n  rispose  in  frette 
la  dtHma.  Se  Lucia  non  faceva  quel  s^no,  la  risposta  sarebbe  proba- 
bilmente stata  diversa.  «  E  cmne  va  la  cerca?  n  soggiuuse  poi,  per 
Diular  discorso. 

»  Poco  bene,  buona  donna,  poco  bene,  he  son  tutte  qui.  »  E ,  così 
dicendo,  si  levò  la  bisaccia  d' addosso,  e  la  fece  saltar  tra  le  due  mani. 
«  SoD  tutte  qui;  e,  per  mettere  insieme  questa  bdla  aUwndanza,  bo 
dovuto  picchiare  a  dieci  porte.  » 

u  Ma!  le  annate  vanno  scarse,  fra  Caldino;  e,  quando  s'Ita  a  misu- 
rar il  pane,  non  sì  può  allargar  la  mano  nel  resto.  « 

u  E  per  far  tornare  il  buon  tempo,  cite  rimedia  c'è,  la  mìa  donna? 
L'elemo»na.  Sapete  dì  quel  miracolo  delle  noci,  che  avvenne,  moH' anni 
sono,  in  quel  nostro  convento  di  Romagna?  » 

u  No,  in  verità;  racconlatemeto  un  i>oco.  ^ 

u  Oh!  dovete  dunque  sapere  die,  in  quel  convento,' c'era  un  nostro 
padre,  il  quale  era  un  santo,  e  si  chiamava  il  padre  Macario.  Un  giwno 
d'inverno,  passando  per  una  viotlc^a,  in  un  campo  d'un  nostro  be- 
nefattore, uomo  dabbene  andte  lui,  il  paiire  Macario  vide  questo  be> 
nefattore  vicino  a  un  suo  gran  noce;  e  quattro  contadini,  con  le  zappe 
in  aria,  che  principiavano  a  scalzar  la  pianta,  per  metterle  le  radici  al 
sole.  —  Che  fote  voi  a  quella  povera  pianta?  domandò  il  padre  Ma- 
cario. —  Eh!  padre,  son  anni  e  anni  che  la  non  mi  vuol  far  noci;  e 
io  ne  faedo  legna.  —  Lasciatela  stare,  disse  il  [ladre:  sappiate  che, 
quest'anno,  la  farà  più  noci  che  foglie.  Il  benefattore,  che  sapeva  chi 
era  «dui  che  aveva  detta  quella  parola,  ordinò  subito  ai  lavoratori,  che 
getlasser  di  nuovo  la  terra  sulle  radici;  e,  cliiamalo  il  padre,  che  «m- 
tinuava  la  sua  strada,  —  padre  Macario,  gli  disse,  la  metà  della  raccolta 
sarà  per  il  convento.  Si  sparse  la  voce  della  predizione;  e  tutti  cor- 
revano a  guardare  il  noce.  In  latti,  a  primavera,  Cori  a  bizzefle,  e,  a 
suo  tempo,  noci  a  bizzefle.  U  buon  benefattore  non  eU}e  la  conso- 
lazione di  bacchiarle;  perdiè  andò,  prima  della  raccolta,  a  ricevere 
il  premio  della  sua  carità.  Ma  il  miracolo  fu  tanto  jiiù  grande,  eune 
sentirete.  Quel  brav*  uomo  aveva  lasdato  un  figliuolo  di  stampa  ben 
diversa.  Or  dunque,  alla  raccolta,  il  cercatore  andò  per  riscotere  la 
metà  ch'era  dovuta  al  convento;  ma  colui  se  ne  fece  nnovo  affatto, 
ed  ebbe  la  temerità  dì  rispondere  che  non  aveva  mai  sentito  dire  clic 


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CAPITOLO  IH. 


i  cappuci-iiii  sapessero  fiar  noci.  Sapete  ora  posa  avvenne?  Un  );iorno, 
(Rrnlilc  questa)  lo  scapestrato  aveva  invitato  alcuni  suoi  amici  dello 
slesso  pelo.  e.  gozzovigliando,  raccontava  la  sloria  del  noce,  e  rideva 


de' frali.  Que'  giovinastri  ebber  voglia  d'andar  a  vedere  quello  ster- 
DÙnalo  mucchio  di  noci;  e  Ini  IÌ  mena  su  in  granaio.  Ma  sentite:  apre 
Tusdo,  va  verso  il  canltireio  dov'era  stato  riposto  il  gran  mucchio,  e 
mentre  dice:  guardale,  guarda  egli  st4;sso  e  vede....  dio  cosa?  Un  liei 
mucchio  di  foglie  secche  di  noce.  Fu  un  esempio  questo?  E  il  convento, 
invece  di  scapitare,  ci  guadagnò;  |>erchè,  dopo  un  cosi  gran  fatto,  la 
cerca  delle  noci  ren(le\'a  tanto,  tanto,  che  un  benefattore,  mosso  a  com- 
pasNone  del  povero  ccmitore .  fece  al  convento  la  carità  d'un  asim>, 
che  aialas.se  a  portar  le  n<H!Ì  a  casa.  E  si  faceva  lant'olio,  che  ogni  posero 
veniva  a  prenderne,  secondo  il  suo  Liscino;  porche  noi  siam  come  il 
nare,  che  riceve  acqua  da  tulle  le  parli,  e  la  toma  a  distribuire  a 
lutti  i  fiumi.  « 


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•■  I  PROMESSI  SPOSI 

Qui  rìcooiparve  Lucia,  col  grembiule  così  carico  di  noci,  cbe  lo  reg- 
geva a  fatica,  tenendone  le  due  cocche  in  allo,  con  le  braccia  tene,  e  al- 
lungate. Mentre  fra  Galdino,  levatasi  di  nuovo  la  bisaccia,  la  metteva 
giù,  e  ne  scioglieva  la  bocca,  per  introdurvi  l'abbooilante  eleinosììna, 
la  madre  fece  un  volto  ailonito  e  severo  a  Lucia,  per  la  sua  prodiga- 
lità; nu  Lucia  le  diede  un' occhiala,  che  voleva  dire:  mi  giustiliciterò. 
Fra  Galdino  proruppe  in  ^gi,  in  au{^ri,  in  |)romesse,  in  ringraziamenti, 
e,  rimessa  la  bisaccia  al  posto,  s'avviava.  Ma  Lucia,  ridiiamal^do,  disse: 
u  vorrei  un  servizio  da  voi;  vorrei  che  diceste  al  padre  Grìs(o((iro,  che 
ho  gran  premura  di  parlargli,  e  die  mi  faccia  la  carità  di  venir  da  noi 
)>overelte,  subilo  subito;  perché  uoii  |>ossiuiiio  andar  noi  alla  chiesa.  « 

u  Non  volete  altro?  Non  passerà  un'ora  che  il  (ladre  Cristoforo  saprà 
il  \ostro  desiderio.  " 

^  Mi  fido.  " 

u  Non  dubitale.  »  E  cosi  detto,  se  n'andò,  un  \hì'  |iiù  curvo  e  più 
conlento,  di  quel  che  fosse  venuto. 

Al  vedere  cbe  una  povera  ragazza  iiiantlava  a  chiamare,  con  laida 
confidenza,  il  padre  Cristoforo,  e  che  il  cercatore  accettava  la  commis- 
sione ,  senza  maraviglia  e  senza  diflicoltà ,  nessun  si  |>ensi  che  quel 
Cristoforo  fosse  un  frate  (U  dozzina,  una  co.sa  da  strapazzo.  Era  anzi 
uomo  di  molla  autorità,  presso  i  suoi,  e  in  tutto  il  contorno;  ma  lak> 
era  la  condizione  de'  cappuccini,  clic  nulla  paitva  |»cr  loro  trop|)o  basso, 
flè  troppo  elevato.  Servir  gl'infimi,  od  esser  servito  da'  |totcntÌ,  entrar 
ne'  palazzi  e  ne'  tuguri,  con  lo  stesso  C(Hitcgno  d'umiltà  e  di  sicurezza, 
esser  talvolta,  nella  slessa  casa,  un  soggetto  dì  passatempo,  e  un  [ìcr- 
sona^io  senza  il  quale  non  si  decideva  nulla,  chieder  l'elemosina  per 
lutto,  e  farla  a  lutti  qudli  che  la  chiedevano  al  convento,  a  tulio  èra 
avvezzo  un  cappuociua  Andando  per  la  strada ,  poteva  ugualmente  ab- 
battersi in  un  principe  che  gli  baciasse  riverentemente  la  punta  del 
cordone,  o  in  una  brigata  di  ragazzacci  che,  flngeudo  d'esser  alle 
mani  tra  loro,  gì' inzaccherassero  la  barba  di  fango.  La  parola  »  frale  » 
veniva,  in  que'  tempi,  proferita  col  più  gran  rispetto,  e  col  più  amaro  di- 
sprezzo: e  i  cappuccini,  forse  più  d'ogni  altr' ordine,  eran  oggetto  de' 
due  opposti  sentimenti,  e  provavano  le  due  opposte  fortune;  perchè, 
non  possedendo  nulla,  portando  un  abito  più  slranamenlc  diverso  dal 
comune,  facendo  più  ajierla  professione  d'umiltà,  s'esponevao  più  da 
vicino  alla  venerazione  e  al  vilipendio  cbe  queste  cose  possono  attirare 
da'  diversi  umori,  e  dal  diverso  pensare  degli  uomini. 


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CAPITOLO  Ili. 


Parlilo  Tra  Galdino,  "  (ulte  quelle  noci!  <■  esclaiihr' Agnese  :  u  in 
quest'anno!  " 

u  Mamma,  perdonatemi,  n  rispose  Lucìa;  ^  ma,  se  avessìui»  falla 
un'  elemosina  come  gli  altri,  Tra  Caldino  a%Tt:bbc  dovuto  girare  ancora^ 
Dio,  sa  quanto,  prima  d'aver  la  bisaccia  piena;  Dio  sa  quando  sareM)e 
tornato  al  convento;  e,  con  le  ciarle  die  avrebbe  falle  e  sentite,  Dio 
sa  se  gli  sarebbe  rimasto  in  metile....  " 

"  Hai  pensato  bene;  e  poi  e  tutta  carità  che  porla  sempre  buon 
frutto,  "  disse  Agnese,  la  quale,  co' suoi  difettucci,  era  una  gran  buona 
donna,  e  si  sarebbe,  come  si  dice,  buttala  nel  fuoco  per  quell'unica 
figlia,  in  cui  aveva  riposta  tutta  la  sua  compiacenza. 

In  questa,  arrivò  Renzo,  ed  entrando  con  un  volto  dispettoso  insieme 
e  morlilìcalo,gettà  i  capponi  sur  una  tavola;  e  fu  questa  l'ultima  trista 
vicenda  delle  povere  bestie,  per  quel  giorno. 


hBcI  parere  che  m'avete  dato!»  disse  ad  Agnese,  u  IVI' avete  man- 
dalo da  un  buon  galantuomo,  da  uno  che  aiuta  veramente  i  poverelli!  ^ 
E  raccontò  il  suo  abboccamento  col  dotlore.  La  donna,  stupefatta  di  cosi 
Irisla  riuscita,  voleva  mettersi  a  dimostrare  che  il  parere  però  era  buono, 
e  che  Renzo  non  doveva  aver  sapulo  far  la  cosa  come  andava  fatta; 


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ma  Lucia  inlemippe  quella  questUme,  annunziando  die  sperava  d'aver 
trovato  un  aiuto  migliore.  Renzo  accolse  anche  questa  speranza,  come 
accade  a  quelli  che  sono  nella  sventura  e  nell'  impiccio.  »  Ma,  se  il  padre,  " 
disse,  "  non  ci  trova  un  ripiego,  lo  troverò  io,  in  un  modo  o  nell'altro.  " 

Le  donne  consigliaron  la  pac« ,  la  {tazienza ,  la  prudenza,  u  Do- 
mani, "  disse  Lucìa,  «  il  padre  Cristoforo  verrà  sicuramente;  e  ve- 
drete rhe  troverà  qualche  rimedio,  di  quelli  che  noi  poveretti  nonsap- 
piani  nemmeno  immaginare.  » 

u  Lo  spero; TI  disse  Renzo,  urna,  in  ogni  caso,  sapii)  tarmi  ragione, 
o  Tarmela  fare.  A.  questo  mondo  c'è  giustizia  finalmente.  " 

Co'  dolorosi  discorsi,  e  con  le  andate  e  venule  che  si  son  riferite, 
quel  giorno  era  passato;  e  cominciava  a  imbrunire. 

;>  Buona  notte,'-  disse  tristamente  Lucia  a  Renzo,  il  quale  non  sa- 
|)e\a  risolversi  d'andar.sene. 

'  Buona  notte,  "  rispose  Renzo,  ancor  più  tristamente. 

'  Qualche  santo  ci  aiuterà,  "  replicò  Lucia:  ^  usate  prudenza,  e 
rassegnatevi.  " 

La  madre  aggiunse  altri  consigli  detto  stesso  genere;  e  lo  sposo  se 
n'andò,  col  cuore  in  tempesta,  ripetendo  sempre  quelle  strane  j»- 
role:  u  a  questo  mondo  c'è  giustizia,  finalmente!  "  Tanl' è  vero  che 
un  uomo  sopraffatto  dal  dolore  non  sa  più  quel  che  si  dica. 


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(:\i»rnn,<(  iv 


cnoii  oraancortutluapi>arsostiirorìz- 

c,  quando  il  padre  Cristoforo  usci  dal 

.'onvenlo  ài  Pescarenico,  |)er  salire  alla 

Ha  dov'  era  aspettalo.  È  Pescarenico 

terricciola,  sulla  riva  sinistra  deli'Ad- 

>  vogliam  dire  del  lago,  poco  disoosto 

ionie:  un  gruppetto  dì  case,  aLilale  la 

|)arte  da  |)e¥calori,  e  addobbate  qua 

di  tramagli  e  di  reti  tese  ad  ascingare. 

nvenlo  era  situalo  {e  la  fabbrica  ne 

sussiste  tullavia)  al  dì  fuori,  e  in  faccia  all'entrala  della  terra,  con  di  mezzo 

la  strada  che  da  Lecco  conduce  a  Bergamo.  Il  cielo  era  tulio  sereno:  di 

mant»  in  mano  che  il  sole  s'alza\'a  dietro  il  monte,  si  vedeva  la  sua  luce, 

dalle  sommila  de'  monti  opposti,  scendere,  come  spiegandosi  rapida- 

nieiile,  giù  per  i  |>endiì,  e  nella  valle.  Un  venticello  d' autunno,  staccando 

da'  rami  le  foglie  ap|)assìte  del  gelso,  le  portava  a  cadere,  qualche  passo 

distante  dall'albero.  A  destra  e  a  sinistra,  nelle  vigne,  sui  tralci  ancor 


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M  I  PROMESSI  SPOSI 

Iesi,  biiltavan  le  roglic  rosseggianli  a  varie  linle;  e  la  lerra  lavorala  di 
fresco,  spicra\'a  bruna  e  distinla  ne'  campì  dì  stoppie  btanraslrc  e  luc- 
cìcanli  dalla  guazza.  La  scena  era  lieta^  ma  ogui  figura  d'uomo  che  vi 
apparisse,  raltrìsiava  lo  sguardo  e  il  pensiero.  Ogni  tanlo,  s' inconlravano 
mendichi  laceri  e  macilenti,  o  inveechiatì  nel  mestiere,  o  spinti  allora 
dalla  necessità  a  toider  la  mano.  Passavano  zitti  accanto  al  padre  Cri- 
stoforo, lo  guardavano  pietosamente,  e,  benché  non  a^esser  nulla  a 
sperar  da  lui,  giacché  un  cappuccino  non  toccava  mai  moneta,  gli 
facevano  un  inchino  di  ringraziamento,  per  l'elemosÌDa  che  ave\'an  ri- 
cevuta, o  che  andavano  a  cercare  al  convento.  Lo  spettacolo  de'  lavo- 
ratori  sparsi  ne'  campi,  aveva  qualcosa  d'ancor  più  doloroso.  Alcuni 
andavan  gettando  le  lor  sem^ite,  rade,  con  risparmio,  e  a  malincuore, 
come  chi  arrischia  cosa  che  troppo  gli  premei  altri  spìngevan  la  vanga 
come  a  stailo,  e  rovesciavano  svoglialammte  la  zolla.  La  fanciulla  scarna, 
lenendo  per  la  corda  al  |>asc<^o  la  vaccherella  magra  stecchila,  giiar- 
davainnanzi,  e  si  chinava  hi  fretta,  a  rubarle,  |ier  cibo  della  famiglia, 
qualche  erba,  di  cui  la  fame  aveva  insegnato  che  anche  gli  uomini  po- 
levan  vivere.  Questi  spettacoli  accrescevano,  a  ogni  passo,  la  mestizia 
del  frate,  il  quale  camminava  già  col  tristo  presentimento  in  cuore, 
d'andar  a  sentire  qualche  sciagura. 

—  Ma  perché  sì  prendeva  tanto  pensiero  di  Lucia?  E  perché,  al  primo 
avviso,  s'era  mosso  con  tanta  sollecitudine, come  a  una  chiamala  dd 
padre  provinciale?  E  chi  era  questo  padre  Cristoforo? — Bisogna  sod- 
disfare a  tulle  queste  domande. 

Il  padre  Cristoforo  da  *'"  era  un  uomo  più  vicino  ai  sessanta  che 
ai  einquant' anni.  D  suo  vapo  raso,  salvo  la  piccola  corona  di  capel- 
'  lì ,  che  vi  girava  intorno ,  secondo  il  rito  cappuccinesco ,  s'  alzava  di 
tempo  in  tempo,  con  un  movimento  che  lasciava  tras|>arirc  un  non 
so  che  d'altero  e  d'inquieto;  e  subito  s'abbassava,  per  riflessione  d'n- 
inillà.  La  barba  bianca  e  lunga,  die  gli  copri\a  le  guance  e  il  mento, 
faceva  ancor  più  risaltare  le  foiinc  rilevate  della  parte  superiore  del 
volto,  alle  quali  un'astinenza,  già  da  gran  pezzo  abituale,  aveva  assai  più 
af^unto  di  gravità  che  tolto  d'espressione.  Due  occhi  incavati  cran  per 
lo  più  chinati  a  terra,  ma  lalvolta  sfolgoravano,  con  vivacità  repentina; 
come  due  cavalli  bizzarri,  condotti  a  mano  da  un  cocchiere,  col  quale 
sanno,  per  esperienza,  che  non  sì  può  vincerla,  pure  fanno,  di  tempo  in 
tempo,  qualche  sgamliolto,  che  scontan  subito,  <-on  una  buona  tirala 
di  i»oi>o. 


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U  padre  Ci'i»toruru  noi)  era  scii)|>re  sialo  cosi,  né  M'ilipiT  cru  blalu 
Crìiiluforo:  il  stio  nome  di  ballotìiino  era  Lodovico.  Era  ligliuolo  (Tuii 
Riercanle  di  "*  (qnesìU  asterischi  vcngon  tulli  dalia  circospezione  del 
mio  anonimo)  che,  ne' suoi  iiHim'anni.itrovaiidosi  assai  foniilo  di  beni, 
e  con  quell'unico  figliuolo,  aveva  rinunzialo  al  Iraflìco,  e  s'era  daìo 
a  viv  cr  da  signore. 

Nel  suo  nuovo  ozio,  cominciò  a  entrargli  in  corpo  una  gran  ver- 
gogna di  tulio  quel  tem)>o  che  aveva  speso  a  far  qualcosa  in  questo 
inondo.  Predominalo  da  luia  tal  Tanlasia,  studiava  tulle  le  maniere  di 
for  dimenticare  ch'era  slato  mercante:  avrebbe  voluto  poterlo  dimen- 
ticare anche  lui.  Ma  il  fondaco,  le  l>alle,  il  libro,  il  braccio,  gli  coni- 
parivaii  sempre  nella  memoria,  come  I'  ombra  di  Banco  a  Macbelh, 
andie  tra  la  pompa  delle  mense,  e  i)  sorriso  de'  parassiti.  E  non  si  po< 
Irebbe  dire  la  cura  che  dovevano  aver  que*  poveretti,  per  schivare  ogni 
parola  c^  potesse  parere  allusiva  all'antica  condizione  del  convitante. 
Un  giorno,  per  raccontarne  una,  un  giorno,  sul  Unir  della  I avola,  ne' 


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1 1 


«a  I  PfKMIESSI  SPOcU 

momenti  (Mia  più  viva  e  M-hit-tta  allegrìa,  die  non  si  sarebbe  polulo 

diredii  imù  jcudesse.  o  la  brigata  di  spareechiarc,  o  il  padrone  d'aver 

apparerebiato,  anda\a  stuzzicando,  con  Riiperiorìlà  amiehevole,  uno 

di  que'eonuneosali,  il  più  iHieslo  mangiatore  del  mondo.  Quello,  per 

eorrìspondere  alla  celia,  senza  la  minima  ombra  di  malizia,  pru|MÌo 

eoi  «nidore  d'uii  bambino,  rispose:  ueb!ìoi6Ì'oreeefaiodeÌmercanlc.  " 

Egli  slesso  fu  subilo  eolpìlo  dal  suono  della  parola  ehc  gli  era  uscila 

(ti  boeca:  guardò,  con  laceia  ineerìa,  alla  (accia  del  padrone,  che  s'en 

rannuvolala:  l'uno  e  l'altro  a\Tebber  voluto  riprender  queUa  di  prima; 

ma  non  era  possibile.  Gli  dtri  roniilati  pensa\-ano.  i^mun  da  se,  al 

I      modo  di  sopire  il  piccolo  seandolo,  e  dì  lare  una  diversione;  ma.  pcn- 

i      saiMio.  tacevano,  e.  in  quel  silenziojoseanddo  era  più  maniiesta  C^nuno 

I      seansiva  d'incontrar  gli  occhi  d^i  altri;  ognuno  senliv  a  che  tutti  wan 

!      oeeujKiti  del  |>ensiero  che  tulli  vulevau  dìsi^imulare.  La  gioia,  jierquel 

'      giorno,  se  n'andò;  e  l'imprudente  o,  per  parlar  con  più  giustizia,  lo 

'     sAirlunato,  non  ricevette  più  invito.  Om  il  padre  di  Lodovico  passò 

gli  lAimi  suoi  anni  in  angustie  continue,  temendo  sempre  d*  essere 

seheniito .  e  non  riflettendo  mai  che  il  vender?  non  è  cosa  più  ridicola 

ebe  il  comprare,  e  che  quella  prolessiooe  di  cui  allora  si  vergopiava, 

l'aveva  pure  esercitata  per  tant'  anni,  in  presenza  del  pubblico,  e  sraza 

rimorso.  Fece  educare  ìl  tìglio  iiobìhDente.  secondo  la  condizione  de' 

tcm|H.  e  per  quanto  gli  era  concesso  dalle  le^i  e  dalle  i-<iiisue1udini  ; 

gli  diede  maestri  di  lettere  e  d'e^er(■izi  cav'aUerer^^ii:  e  mori,  lascian- 

tlolo  ricco  e  giovinetto. 

LiutovÌM»  aveva  c«»lralte  aMudini  signorili;  e  ^i  adidatori.  tra  Ì 
quali  iTa  cresciuto,  l'avevano  avt  czzato  ad  esser  trattato  con  moHo  ri- 
sprila  Ma.  quando  volle  misefaìarsì  CM  principali  dela  sua  citlà.  trovò 
un  £ire  ben  div  erso  da  quello  a  cui  era  arcoslumato;  e  vide  che,  a  voler 
e;«or  dHb  lor  compagnia,  come  avrebbe  desiderato,  gb  eonvvnìva 
biv  una  nuova  scuola  di  paiieiua  e  dì  soatnùiajMne.  slv  sempre  al  di 
sotto,  e  ìn^nname una, itpù  mooienta  Ina  (al  maniera  (fi  vivere  non 
s'aceonfava.  né  e«n  l'eduraiione.  né  con  la  natura  di  Lodovica  8'al- 
ImlaDÒ  (fa  e^  indispellito.  3la  poi  ne  sta^-a  lontano  con  rwniirirn. 
perchè  gli  pareva  che  questi  VTramente  avTpbber  dovuto  essere  i  suoi 
«ooipagni:  soltulo  gli  avrebbe  voluti  pili  traltabiU.  Con  ({oeslo  misto 
(fiodinaziane  e  di  laDCore.  non  potendo  frcqueiriarli  fwiiigliw  im  iili  , 
e  vTilendo  pure  aver  che  br  con  loro  in  ({ualcfae  modo,  s'era  (fato  a 
competer  con  loro  di  sl()ggi  e~  di  m:^Ìfìcenn.  («nipraiKiasì  eoa  a 


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CAPITOLO  IV. 


cwilanti  inioiicizie,  invidie  e  ridicoto.  La  sua  indole,  onesta  insieine  e 
violenta,  l'aveva  poi  imbarcalo  per  tempo  in  altre  gare  più  serie.  Sen- 
lìva  un  orrore  spontaneo  e  sincero  per  1'  anglierie  e  jier  i  sopriLsi  : 
orrore  reso  uneor  più  vivo  in  lui  dalla  qualità  delie  persone  elie  più 
ne  ciHiiniettevano  alla  giornata;  cit'erano  appunto  coloro  c<>i  quali  aveva 
più  di  quella  ruggine.  Per  acquietare,  o  |>er  esercitare  tutte  queste  |>as- 
sìoni  in  una  volta,  prendeva  volentieri  le  parti  d'un  debole  supralTatto, 
si  piccava  di  farci  slare  un  sov6rchialore,s'inlrometteva  in  una  briga, 
se  ne  tirava  addosso  un'altra;  tanto  che,  a  poco  a  poco,  venne  a  co> 
sliluirsi  come  un  protetlOT  degli  oppressi,  e  un  vendicatore  de'  torti. 
L'inipi«%o  era  gravoso;  e  non  è  da  domandare  se  il  povero  Lodovico 
avesse  nemici,  impegni  e  pensieri.  Oltre  la  guerra  esterna,  era  jioi 
tribolato  cfmtinuamente  da  contrasti  interni;  perchè,  a  spuntarla  in  un 
impegno  (senza  ]Kirlare  di  quelli  Jn  cui  reslava  al  di  sotto),  <)ovcva 
anche  lui  adoperar  raggiri  e  violenze,  che  la  stia  coseienza  non  po- 
teva poi  approvare.  Doveva  tenersi  intomo  un  buon  numero  di  bra- 
vacri  ;  e,  cosi  per  la  sua  sicurezza,  come  per  averne  un  aiuto  più  vigoroso, 
doveva  scegliere  i  più  arrischiati,  cioè  i  più  ribaldi;  e  vivere  co' birboni, 


per  amor  della  giustizia.  Tanto  che ,  più  d'  una  volta ,  o  scoraggi- 
lo, dopo  una  trista  riuscita,  o  inquieto  per  un  pericolo  imminente, 
annoialo  del  continuo  guardarsi ,  stomacato  della  sua  compagnia ,  in 


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7«  I  PROMESSI  SPOSI 

pensiero  dell' awenìre,  per  le  sue  sostanze  ehe  se  ii'aiwla^an,  di  giorno 
in  giorno,  in  o|»ere  buone  e  in  braxerie,  più  d'una  \olta  gli  i-i-a  saltala 
la  fantasia  di  forù  frale;  ebe.  a  qiic'  (empi,  era  il  ripiego  più  romuite,  iwt 
uscir  d'iinpieci.  Ma  questa,  ebe  sarebbe  forse  stata  una  fantasia  per 
(ulta  la  sua  vita,  divenne  una  risoluzione,  a  causa  d'un  acrìdenle, 
il  più  serio  ehe  gli  fosse  aneor  capitato. 

Andava  un  giorno  per  una  strada  della  sua  eìtlà,  seguito  da  due 
l>ravi,  e  aeoompagnato  da  untai  Cristoforo,  altre  volto  gio\ine  di  liot- 
tega  e.  dopo  ebiusa  cpieMa,  diventato  ni.icstro  di  easa.  Era  un  uonio 
di  circa  cinqiiant'anni,  affezionato,  dalla  gioventù,  a  IxhIovìco,  che  ave^a 
veduto  nascere,  e  ehe,  tra  salario  e  regali,  gli  dava  non  strio  da  vi- 
vere, ma  dì  che  mantenere  e  tirar  su  una  numerosa  famiglia.  Vide  Ixt- 
dovieo  spuntar  da  lontano  un  signor  tale,  arrogante  e  soverchiatore  di 
professione,  eoi  quale  non  a^eva  mai  parlato  in  \ita  sua.  ma  ebe  gli 
era  cordiale  nemieo,  e  al  quale  rendeva,  pur  di  cuore,  il  eontraeeam- 
liio:  giacché  è  uno  de' vantaci  di  questo  mondo,  quello  di  poter  odiare 
ed  esser  odiati,  senza  conoscersi.  0>stui.  seguito  da  quattro  bravi,  s'a- 
vanzava diritto,  con  passo  superbo,  con  la  testa  alta,  eoii  la  Itooea  eom|>o- 
sta  airaltcrigia  e  allo  sprezzo.  Tutt'c  due  eamminavan  rasente  al  muro; 


ma  Loduvìeo  (  notate  bene  )  lo  strisciava  eoi  lato  destro  ;  e  ciò ,  se- 
condo una  consuetudine, gli  dava  il  diritto {do^e  mai  si  va  a  ficcare  il 


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CAPITOLO  IV.  Il 

diritlo!)  di  non  islaccarsi  dal  dello  muro,  per  dar  passo  a  chi  si  fosse; 
eosa  della  quale  allora  si  faceva  gran  caso.  L'altro  pretendeva,  all'op- 
l>o$to,  che  quel  dirìllo  competesse  a  lui,  come  a  nobile,  e  che  a  Lodo- 
vico toccasse  d'andar  nel  mezzo;  e  ciò  in  forza  d'un' altra  consuetu- 
dine. Perocché,  in  questo,  come  accade  in  molli  altri  afforl,  erano  in 
vigore  due  consuetudini  contrarie,  senza  che  fosse  deciso  qual  delle 
due  fosse  la  buona;  il  che  dava  opportiuiìtà  di  fare  una  guerra,  ogni 
volla  che  una  lesta  dura  s'abbattesse  in  un'altra  della  slessa  tempra. 
Que'  due  si  venivano  incontro,  ristretli  alta  muraglia,  come  due  figure  di 
basso  rilievo  ambulanti.  Quando  si  trovarono  a  ^iso  a  viso,  il  signoi' 
tale,  squadrando  Lodovico,  a  capo  allo,  col  cipiglio  imperioso,  gli  disse, 
in  un  tono  corrispondente  di  \'oce:  »  falò  luogo.  " 

a  Fale  luogo  voi,  «  rispose  Lodovico.   «  I>a  diritta  è  mia.  " 

u  Co'  vosti'i  pari,  è  sempre  mia.  " 

u  Si,  se  l'arroganza  de'  \ostri  pari  fosse  legge  per  i  pari  miei.  " 

I  bra\"i  dell'uno  e  dell' altro  eraii  rimasti  fermi,  ciascuno  dietro  il 
suo  padrone,  guardandosi  in  cagnesco,  con  le  mani  alle  daghe,  preparali 
alla  batt^lia.  La  gente  che  arrivava  di  qua  e  di  là,  si  teneva  in  disianza, 
a  osservare  il  fatto;  e  la  presenza  di  quegli  s|)ollatori  animava  sempre 
pili  il  puntiglio  de'  contendenti. 

«  Nel  mezzo,  vile  meccanico;  o  ch'io  t'insegno  mia  \'olla  come  si 
traila  co'  genliluoniini.  » 

a  Voi  mentile  ch'io  sia  vile.  » 

u  Tu  menti  ch'io  abbia  mentito.  "  Questa  risposta  era  di  pranuua- 
lica.  u E,  se  tu  fossi  cavaliere,  come  son  io,»  aggiunse  quel  signore, 
"li  vorrei  far  vedere,  con  la  spada  e  con  la  cappa,  ehc  il  mentitore 
sei  tu.  n 

■i  E  im  buon  pretesto  per  dispensarci  di  sostener  cu'  falli  l'inso- 
lenza flelle  vostre  parole,  n 

"GeUate  nel  fango  questo  ribaldo.»  disse  il  gentiluomo,  voltandosi 
a'  suoi. 

u  Vediamo!  »  disse  Lodovico,  dando  subitamente  un  jiasso  indiètro, 
e  mettendo  mano  alla  spada. 

"  Temerario  !  71  gridò  l'altro,  sfoderando  la  sua:  «  io  spezzerò  questui, 
quando  sarà  macchiala  del  tuo  vii  sangue,  n 

Cosi  s'avventarono  l'uno  all'altro;  i  servitori  delle  due  parti  si  slan- 
ciarono alla  difesa  de'  loro  padroni.  Il  conibaltimenlo  era  disuguale,  e 
per  il  numero,  e  anche  perchè  Lodovico  mirava  {HuUosio  a  scansare 


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Il  I  PROMESSI  SPOSI 

i  <«lpi,  c  a  Jisannare  il  nemico,  che  ad  ucciilei'lo;  ma  questo  voleva  la 
morìe  di  lui,  a  ogni  costo.  Lodovico  aveva  già  ricevula  al  braccio  si- 
nistro una  pugnalata  d'un  bravo,  e  una  ^graffiatura  leggiera  in  tuia 
guancia,  e  il  nemico  principale  gli  piondjava  addosso  per  finirlo;  quando 
Cristoforo,  vedendo  il  suo  padrone  iieiret-tremo  pericolo,  andò  col  pu- 
gnale addosso  al  signore.  Questo,  rivolta  tutta  la  sua  ira  contro  di  lui, 
lo  passò eun  la s|)ada.  A  quella  vista,  Lodovico,  come  fuor  di  sé, cacciò 
la  sua  nel  ventre  del  feritore,  il  quale  cadde  moribondo,  qua-*!  a  un  punti) 


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col  |)overo  Cristoforo.  I  bravi  del  gentiluomo,  visto  ch'era  finita,  si 
diedero  alla  fuga,  malconci  :  quelli  di  Lodovico,  tartassali  e  sfregiali  an- 
che loro,  non  essendovi  più  a  chi  dare,  e  non  volendo  trovarsi  impic- 
ciati nella  gente,  che  già  accorreva,  scantonarono  ds^l' altra  parìe:  e  Lo- 
dovico si  trovò  solo,  con  que"  due  funesti  com|tagni  ai  piedi,  in  mezzo 
a  una  folla. 

«  Com'è  andata?  —  È  uno.  —  Son  due.  —  Gii  ha  fallo  un  «•- 
chtello  nel  ventre.  —  Chi  è  slato  ammazzato? — Quel  prepolenle.  — 
Oh  santa  Maria,  che  sconquasso! —  Chi  cerca  trova. —  Una  le  paga 


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CAPITOLO  IV.  73 

(ulte.  —  Ha  finito  anche  hii.  —  Che  coipo!  —  Vuol  essere  una  fac- 
cenda seria.  —  E  quell'allro  di^raziato!  —  Misericordia!  che  spetta- 
colo !  —  Salvatelo,  salvalelo.  —  Sia  fresco  anche  lui.  —  Vedete  com'  è 
concio!  butta  sangue  da  tulle  le  parti.  — Scappi,  scappi.  Non  si  lasci 
prendere,  t 

Queste  parole,  che  più  di  tutte  si  facevan  sentire  nel  frastono  con- 
fuso di  quella  folla, esprìmev-ano il  voto  co[nune;e,col  consiglio,  venne 
anche  l'aiuto,  il  folto  era  accaduto  vicino  a  una  chiesa  di  caiqiuccìni, 
asilo,  come  ognun  sa,  impenetrabile  allora  a'  birri,  e  a  lutto  quel  com- 
plesso di  cose  e  di  persone,  che  si  chiamava  la  giustìzia.  L'uccisore  fe- 
rito fu  quivi  condotto  o  portato  dalla  folla,  quasi  fuor  di  sentimento; 
e  i  frali  Io  ricevettero  dalle  mani  del  popolo,  che  glielo  raccomandava, 
dicendo:  «è  un  uomo  dalAene  die  ha  freddato  un  birbone  superbo: 
rha  latto  per  sua  difesa:  c'è  slato  tirato  per  i  capelli.  » 

Lodovico  non  aveva  mai,  prima  d'allora,  sparso  sangue;  e,  benclic 
l'omicidio  fosse,  a  quc'  tempi,  cosa  tanto  comune,  che  gli  orecdii  d'ognuno 
erano  avvezzi  a  sentirlo  raccontare,  e  gli  occhi  a  vederlo,  pure  l'im- 
pressione ch'egli  ricevellc  dal  veder  l'uomo  morto  per  luì,  e  l'uomo 
morto  da  luì,  hi  nuova  e  indicibile;  fu  una  rivelazione  di  sentimenti 
ancora  sconosciuti.  Il  cadere  del  suo  nemico,  l'alterazione  di  quel  volto, 
che  passava,  in  un  momento,  dalla  minaccia  e  dal  furore,  all'abballimenlo 
e  alla  quiete  solenne  della  morte,  fu  ima  vista  che  cambiò,  in  un  punto, 
l'animo  dell'uccisore.  Strascinato  al  convento,  non  sapeva  quasi  dove 
si  fosse,  uè  cosa  si  facesse;  e,  quando  fu  tornato  in  sé,  si  trovò  ia  un 
Ietto  dell'infermeria,  nelle  mani  del  frale  cbirurgo,  (i  cappuccini  ne 
avevano  ordinariamente  imo  in  ogni  convento)  che  accomodava  faldelle 
e  (iasce  sulle  due  ferite  ch'egli  aveva  ricevute  nello  scontro.  Un  padre,  il 
cui  impiego  particolare  era  d'assisterei  moribondi,  e  che  aveva  spesso 
avuto  a  render  questo  servizio  sulla  strada,  fu  chiamato  subilo  2\  luogo 
del  combattimento.  Tornato, pochi  minuti  dopo,  entrò  nell'infermeria, 
e,  avvicinatosi  al  letto  dove  Lodovico  giaceva,  u  consolatevi  «  gli  disse: 
«  almeno  è  morto  bene,  e  m'ha  incaricato  di  chiedere  il  vostro  pcr- 
d(H)o,  e  di  portarvi  il  suo."  Questa  parola  fece  rinvenire  affatto  il  po- 
vero Lodovico,  e  gli  risv^liò  più  vivamente  e  più  distintamente  i  sen- 
timenti ch'eran  confusi  e  afTolIati  nel  suo  animo:  dolore  dell'amico, 
sgomento  e  rimorso  del  colpo  che  gli  era  uscito  di  mano,  e,  nello  stesso 
tempo,  un'angosciosa  compassione  dell'uomo  che  aveva  ucciso,  u  E  Tal* 
tre?  »  domandò  ansiosamente  al  frate. 


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74  1  PHOUESSi  SPOSI 

u  L'altro  era  spirato,  quancfio  arrivai.  " 

Frattanto,  gli  accessi  e  i  contorni  del  concento  forniicolavan  di  po- 
polo curioso:  ma,  giunta  la  sbirraglia,  fece  (smaltir  la  folla,  e  si  postò 
Il  una  «-cria  distanza  dalla  porla,  in  modo  però  clic  nessuno  pote»^c 
uscirne  inosservato.  Un  fratello  del  morto,  due  ^uoi  cugini  e  un  vc<^ 
diio  zio,  vennero  pure,  armali  da  capo  a  pieili,  con  grande  acconipa- 
gnamcntodi  bravi;  e  si  miseroafor  la  ronda  intorno,  guardando , con 
aria  e  con  atti  di  dis|H-tlo  minaccioso,  igue'  curiosi ,  clic  non  osavaii  dire  : 
gli  sta  bene:  ma  l'avevano  t-erillo  in  viifo. 


Appena  Lodo\ico  eU)e  potuto  raccogliere  j  suoi  pensieri,  chiamato 
im  frale  confessore,  lo  pregò  che  cercasse  della  vedova  di  Crislofm-o, 
le  chiedesse  in  suo  nome  perdono  d'essere  slato  lui  la  cagione,  quan- 
tunque ben  certo  involontaria,  di  quella  desolazione,  e,  nello  stesso  tempo, 
l'assicurasse  ch'egli  prendeva  la  famiglia  sopra  di  se.  Riflettendo  quindi 
a"  casi  suoi,  senti  rinascere  più  che  mai  vivo  e  serio  quel  pensiero  di 
farsi  frale,  ehealti'C  volle  gli  era  passato  per  la  mente:  gli  parve  die 
Dio  medesimo  l'avesse  messo  sulhi  strada,  e  datogli  un  segno  del  suo 


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CAPITOLO  IV.  jn 

volere,  facendirio  capitare  in  un  convento,  in  quella  congiuntura;  e  il 
partito  fìi  preso.  Fece  cliìamare  il  guardiuio,  e  gli  manifestò  il  suo  desi- 
derio. N' eblie  in  rbposta,  ctie  bisognava  guardarsi  dalle  risoluzioni 
precipitate^  ma  che,  se  persisteva,  non  sarebbe  riputato.  AUora,  fatto 
venire  un  notaro,  dettò  una  donazione  dì  lutto  ciò  che  gli  rimaneva 
(ch'era  tuttavia  un  bel  palrimoaio)  alla  famiglia  di  Cristoforo:  un» 
somma  alla  vedova,  come  se  le  costiluisse  una  contraddote,  e  il  resto 
a  otto  figliuoli  che  Crìstofbi-o  aveva  lasciati. 

La  risoluzione  di  Lodovico  veniva  molto  a  proposito  per  i  suoi  ospiti^ 
i  quali,  per  cf^^fon  sua,  erano  in  un  beli'  intrigo.  Rimandarlo  dal  con- 
\'ento,  ed  esporlo  cosi  alla  giustizia,  cioè  alla  vendetta  de' suoi  nemici, 
non  era  partilo  da  metter  neppure  in  consulla.  Sarebbe  stalo  lo  stesso 
che  rinunziare  a'  propri  privilegi,  screditare  il  convento  presso  il  pò- 
ptrio,  attirarsi  il  biasimo  di  tutti  i  cappuccini  dell'universo,  per  aver 
lasciato  violare  il  diritto  di  tutti ,  concitarsi  contro  tutte  t'  autorità  ec- 
clesiastiche, le  quali  si  consideravan  come  tutrìd  di  questo  diritto.  Dal- 
l'altra  parte,  la  famiglia  dell'ucciso,  potente  assai,  e  per  sé,  e  per  le  sue 
aderenze,  s'era  messa  al  punto  di  voler  vendetta;  e  dichiarava  suo  ne- 
mico chiunque  s'attentasse  di  mettervi  ostacolo.  La  storia  non  dice  che 
a  loro  dolesse  mollo  dell'ucciso,  e  nemmeno  che  una  lagrima  fosse  stata 
sparsa  per  lui,  in  tutto  il  parentado:  dice  soltanto  ch'eran  tutti  sma- 
niosi d' aver  nell'unghie  l'uccisore,  o  vivo  o  morto.  Ora  questo,  vestendo 
l'abito  di  cappuccino,  accomodava  4^i  cosa.  Faceva,  in  certa  maniera, 
un'emenda,  s'imponeva  una  penitenza,  si  chiamava  implicilamoite  in 
colpa,  si  ritirava  da  ogni  gara;  era  in  somma  un  nemico  che  depon 
l'arrai.  I  parenti  del  morto  potevan  poi  anche,  se  loro  piacesse,  cre- 
dere e  vantarsi  che  s'era  fatto  frate  per  disperazione,  e  per  terrore  del 
loro  sdegno.  E,  ad  <^ni  modo ,  ridurre  un  uomo  a  spropriarsi  del  suo, 
a  tosare  la  testa,  a  camminare  a  piedi  nudi,  a  dormir  sur  un  saccone, 
a  viver  d'elemosina,  iMteva  parere  una  punizione  competente,  anche 
all'offeso  il  più  borioso. 

0  padre  guardiano  si  presentò,  con  un'umiltà  dbinvolla,  al  fratello 
del  morto,  e,  dopo  mille  proteste  di  rispetto  per  l' illustrissima  casa,  e 
di  desiderio  di  compiacere  ad  essa  in  tutto  ciò  che  fosse  fattibile,  parlò 
del  pentimento  di  Lodovico,  e  della  sua  risoluzione,  facendo  garbata- 
mente sentire  che  la  casa  poteva  esseme  contenta,  e  insinuando  poi  soa- 
vemente, e  con  maniera  ancor  più  destra,  che,  piacesse  o  non  piacesse, 
la  cosa  doveva  essere.  Il  fratello  diede  in  ismanie,  che  il  cappuccino 


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is  I  ntoifssei  SPOSI 

lasciò  svaporare,  dicendo  di  l^npo  io  tempo:  «e  un  troppo  giusto  do- 
lore, n  Pece  intendere  che,  in  ogni  caso,  la  sua  famiglia  avrebbe  saputo 
prendersi  una  soddisfazimie:  e  il  cappuccino,  qualunque  cosa  ne  pen- 
sasse, non  disse  di  no.  Finalmente  ridiiesc,  impose  come  una  condt- 
zìiHic,  che  l'uccisor  dì  suo  fratello  partireste  subilo  da  quella  eillà. 
(I  guardiano,  che  aveva  già  deliberato  che  questo  fosse  folto,  disse  che 
si  farebbe,  lasciando  che  l'altro  credesse,  se  gli  piaceva,  esser  questo 
un  atto  d' iU>bidienza:  e  tutto  fu  concluso.  Contenta  la  famiglia,  che 
ne  usciva  con  onore;  contenti  ì  frati,  che  salvavano  un  uomo  e  i  loro 
privilegi,  senza  &rsi  alcun  nemico;  contenti  i  d'Iettanti  di  cavallerìa, 
che  vedevano  un  alfarc  lermìnarsi  lodevolmente;  contento  il  pop<do, 
die  vedeva  fuor  d'impiccio  un  uomo  ben  voluto,  e  die,  nello  stesso 
tempo,  ammirava  una  conversione;  contento  (inahnenlc,e  più  di  tutti, 
in  mezzo  al  dolore,  il  nostro  Lodovico,  il  quale  cominciava  una  vita 
d'espiazione  e  diservizio,  che  potesse,  se  non  riparare ,  p^are  almeno 
il  mal  latto,  e  rintuzzare  il  pungolo  intollerabile  dd  rimorso.  D  soqiello 
che  la  sua  risoluzione  fosse  attribuita  alla  paura,  l' afflisse  un  momento; 
ma  si  consolò  subito,  col  pensiero  che  anche  quell'ingiusto  giudizio  sa- 
rebbe un  gastigo  per  lui,  e  un  mezzo  ^ espiazione.  Co^,  a  treni' anni, 
si  ravvolse nd  sacco;  e,  dovendo,  secondo  l'uso,  lasciare  il  suo  nome, 
e  prenderne  un  altro,  ne  scelse  uno  che  gli  rammentasse,  ogni  mo- 
mento, ciò  che  aveva  da  es|Mare:  e  si  chiamò  fra  Cristoforo. 

Appena  compita  la  cerimonia  della  vestizione,  il  guardiano  gf  intimò 
cl)e  sarebbe  andato  a  fare  il  suo  noviziato  a  '",  sessanta  miglia  lon- 
t»io,  e  che  partirebbe  all'indomani.  Il  novizio  s'inchinò  profondamente, 
e  chiese  una  grazia,  u  Permettetemi,  padre,  »  disse,  «  die,  prima 
di  partir  da  questa  città,  dove  ho  sparso  il  sangue  d'un  uomo,  dove 
lascio  una  famiglia  crudelmente  offesa,  to  la  ristori  almeno  dell' alTronto, 
eh'  io  mostri  almeno  il  mio  rammarico  di  non  poter  risarcire  il  danno, 
col  chiedere  scusa  al  fratello  dell'ucciso,  e  gli  levi,  se  Dio  benedice 
la  mia  intenzione,  il  rancore  dall'animo.  »  Al  guardiano  parve  die  un 
tal  passo,  oltre  all'esser  buono  in  sé,  servirebbe  a  rictmciliar  sempre 
più  la  famìglia  col  convento;  e  andò  diviato  da  qud  signor  fratello,  ad 
cspoi^i  la  domanda  di  fra  Cristoforo.  A  proposta  così  inaspettata,  colui 
sentì,  insieme  con  la  maravi^ia,  un  ribollimento  dì  sdegno,  non  perù 
senza  qualche  compiacenza.  Dopo  aver  pensalo  un  momento,  »  venga 
domani,  »  disse;  e  assegnò  l'ora.  Q  guardiano  tornò,  a  portare  al  novizio 
il  consenso  desiderato. 


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CAPITOLO  IV.  71 

Il  gentiluomo  pensò  subito  die,  quanto  più  quella  soddisfazione  fosse 
solenne  e  clamorosa,  tanto  più  accrescerebbe  il  suo  credilo  presso  tutta 
la  parentela,  e  presso  il  pubblico;  e  sarebbe  (per  dirìa  con  un'eicganz» 
moderna)  una  beila  pagina  nella  stona  della  famiglia.  Fece  avvertire 
in  Iretta  tutti  i  parenti  che,  all'indomani,  a  mezzogiorno,  restassero  ser- 
viti (così  si  diceva  allora)  di  venir  da  lui,  a  ricevere  una  soddisfa- 
zione comune.  A  mezzogiorno,  il  palazzo  brulicava  di  signori  d'ogni 
età  e  d'ogni  sesso:  era  un  girare,  un  rimescolarsi  di  gran  cappe, 
d'alte  penne,  di  durlindanc  |)endenti,  un  moversi  librato  di  gorgiere 
inamidale  e  crespe,  uno  strascico  intralciato  di  rabescate  zimarre.  Le 
anticamere,  il  cortile  eia  strada  funnicolavan  di  servitori,  di  paggi, di 


bravi  e  di  curiosi.  Fra  Cristoforo  vide  quell'apparecchio,  ne  indovinò 
il  motivo,  e  provò  un  leggier  turbamento;  ma,  dopo  un  istante,  disse 
Ira  sé:  —  sta  bme:  l'ho  ucciso  in  pubblico,  alla  presenza  di  tanti 
suoi  nemici:  quello  fu  scandolo,  questa  è  riparazione.  —  Osi,  con  gli 
occhi  bassi,  col  padre  compagno  al  fianco,  passò  la  porla  di  quella 
casa,  attraversò  il  cortile,  tra  una  folla  che  lo  squadrava  con  una  cu- 
riosità poco  cerimoniosa;  sali  te  scale,  e,  dì  mezzo  all'altra  folla  signo- 
rile, che  fece  ala  al  suo  passaggio,  seguito  da  cento  sguardi,  giunse 
alla  presenza  del  padron  di  casa;  il  quale,  circondato  da'  parenti  più 


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IS  I  PROMESSI  SPOSI 

prossimi,  slava  rillo  ne)  mezzo  della  sala,  con  lo  sguardo  a  lerra ,  i- 
il  incnloinarìa,  impugnando,  con  la  mano  sinistra,  i)  pomo  della  spada, 
e  stringendo  con  la  destra  il  bavero  della  cappa  sul  petto. 

C'è  talvolta,  nel  volto  e  ne!  contegno  d'un  nomo,  un' espressone 
cosi  immediata,  si  direbbe  quasi  un'elTusione  dell'animo  interno,  che. 
in  una  folla  di  spettatori,  il  giudizio  sopra  quell'animo  sarà  un  solo. 
U  volto  e  il  eontcgno  di  fra  Cristoforo  disser  diiaro  agli  astanti,  che 
non  s'era  fallo  fi-ate,  né  veniva  a  quell'umiliazione  per  limore  umano: 
e  questo  cominciò  a  concigliarglìeli  tulli.  Quando  vide  l' offeso,  affrellò 
il  passo,  gli  si  pose  ingiitocchioni  ai  piedi ,  incrociò  le  mani  sul  pedo, 
e,  chinando  la  testa  rasìi,  disse  queslc  parole:  u  io  sono  l'omicida  ài 
suo  fratello.  Sa  Iddio  se  vorrei  restituirglielo  a  costo  del  mio  san- 
gue; ma,  non  potendo  altro  che  farle  inelfìcaei  e  Iarde  scuse,  la  sup- 
plico d'accettarle  \)er  l'amor  di  Dio.  >■  Tutti  gli  occhi  erano  inuntrfMlì 


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CAPITOLO  IV,  TO 

9ul  novizio,  e  sul  personaggio  a  cui  egli  parìava;  tulli  gli  oreccbi  eran 
tesi.  Quando  fra  Grìstfribro  tacque,  s'alzò,  per  lulla  la  sda,  un  idot" 
mono  di  pietà  e  di  rìspello.  D  gentiluomo,  che  slava  in  atto  di 
degnaziiHie  forzala,  e  d' ira  compressa ,  Tu  turbalo  da  quelle  parole; 
e,  chinandosi  verso  l' inginocchiato,  u  alzatevi,  n  disse,  con  voce  alte- 
rata: e  l'offesa..,,  il  fatto  veramenle....  ma  l'abito  che  portate 

iHMi  solo  questo,  ma  anche  per  voi...  S'alzi,  padre....  Mio  fratello... 
non  fo  posso  negare....  era  un  cavaliere....  era  un  uomo....  un  po' 
impetuoso....  un  po'  vivo.  Ma  tutto  accade  per  disposizion  di  Dio. 
Non  se  ne  parli  più...  Ma,  padre,  lei  non  deve  slare  hi  codesta  po- 
situra. B  E,  presolo  per  le  braccia,  lo  sollevò.  Fra  Cristoforo,  in  piedi, 
ma  col  capo  chino,  rispoi^c:  »  io  posso  dunque  sperare  che  lei  m'  ab- 
bia concesso  il  suo  perdono!  E  se  1'  ottengo  da  lei,  da  chi  non  devo 
sperarlo?Oh!  s'io  potessi  sentire  dalla  sua  bocca  questa  parola, perdono  In 

u  Perdono?"  disse  il  gentiluomo,  u  Lei  non  ne  ha  più  bisogno. 
Ma  pure,  poiché  lo  desidera,  certo,  certo,  io  le  perdono  dì  cuore,  e 
lutti. ...  > 

"Tutti!  tutti!"  grìdaiNMio,  a  una  voce,  gli  astanti.  Il  volto  del  frale 
s' aprì  a  una  ^oia  rìeonoscenle  ,  sotto  la  quale  traspariva  però  an- 
cora un'  umile  e  prdonda  compunzione  del  male  a  cui  la  remissione 
degli  uomini  non  pote^'a  riparare.  U  gentiluomo,  vinto  da  qu^l'aspetlo, 
e  trasportato  dalla  commozione  generale,  gli  gelìò  le  braccia  al  collo, 
e  {^i  diede  e  ne  ricevette  il  bacio  di  pace. 

(Jn  u  bravo!  bene!  »  scoppiò  da  tutte  le  partì  della  sala;  tutti  si  mos- 
sero, e  si  strinsero  intorno  al  frate.  Intanto  vennero  servitori,  con  gran 
copia  di  rinfreschi.  L  gentiluomo  sì  raccostò  al  nostro  Cristoforo,  ti  quale 
&eeva  segno  di  volersi  licenziare,  e  gli  disse:  u  padre,  gradisca  qual- 
die  cosa;  mi  dia  questa  prova  d'amicizia.  »  E  sì  mise  per  servirlo 
prima  d'ogni  altro;  ma  egli,  ritirandosi,  con  una  certa  resislenza  cor- 
diale, u  queste  cose,  n  disse,  «non  Fanno  più  per  me;  ma  non  sarà 
mai  eb'io  rifluii  ■  sam  doni.  Io  sto  per  mettermi  in  viaggio:  :9ì  degni 
dì  fermi  portare  un  pane,  perchè  io  possa  dire  d'  aver  goduto  la  sua 
carità,  d'  aver  mangiato  il  suo  pane,  e  avuto  un  segno  del  suo  per- 
dono." n  gentiluomo,  commosso,  ordinò  che  cosi  sì  facesse;  e  vc«ine 
subito  un  cameriere,  in  gran  gala,  portando  un  pane  sur  un  piatto 
d'ai^iito,  e  lo  presentò  al  padre;  ÌI  quale,  presolo  e  ringraeiato,  lo 
mise  nella  sporta.  Chiese  quindi  licenza;  e,  abbraccialo  di  nuovo  il  pa- 
driHi  dì  casa,  e  tutti  quelH  che,  trovandosi  più  vicini  a  Ini,  ]H)terono 


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1  raouEssi  SPOSI 


impadronirsene  UD  momento,  si  liberò  da  osiìi  a  fatica;  ebbe  a  com- 
batter nell'anticamere,  per  isbrìgarsi  da' servitori,  e  aiicbe  da'  bra- 
vi, che  gli  baciavano  il  lembo  dell'abito,  il  cordone,  il  cappucci»; 


e  si  trovò  nella  strada,  portalo  come  in  trionfo,  e  accompagnato  <la 
una  folla  di  popolo,  lino  a  una  )K)rta  della  città;  d'onde  usci,  comin- 
ciando il  suo  pedestre  viaggio,  verso  il  luogo  del  suo  llo^'iziato. 

Il  fratello  dell'  ucciso,  e  il  parentado,  che  s'  er-ano  aspettati  d'  assa~ 
porarc  in  quel  giorno  la  trista  gioia  doli' orgoglio,  si  trovarono  in  vece 
ripieni  della  gioia  serena  del  perdono  e  della  benev  olenza.  La  compagnia 
si  trattenne  ancor  qualche  tempo,  con  una  bonarietà  e  con  una  cor- 
dialità insolita,  in  ragionamenti  ai  quali  nessuno  era  preparato,  an- 
dando là.  In  vece  di  soddisfazioni  prese,  di  soprusi  vendicati,  d'im- 
pegni spuntali,  le  lodi  del  novizio,  la  riconciliazione,  la  mansuetudine 
furono  i  temi  della  conversazione.  E  taluno,  clic,  per  la  cinquantesima 
volta,  avrebbe  raccontato  come  il  conte  Muzio  suo  padre  aveva  saputo, 
in  quella  famosa  congiuntura,  far  slare  a  dovere  il  marchese  Stanislao, 
ch'era  quel  rodomonte  che  (^nun  sa,  parlò  in  vece  delle  penitenze 
e  della  pazienza  mirabile  d'un  fra  Simone,  morto  moli' anni  prima. 
Partila  la  compagnia,  il  padrone,  ancor  tutto  commosso,  riandava  Ira  se, 
con  maraviglia,  ciò  che  aveva  inleso,  ciò  eli'  egli  medesimo  a^■e^'a  detto; 


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CAPITOLO  IV.  ai 

e  borboUava  tra  i  denti  :  —  diavolo  d' un  frale  !  (  biscia  t>ene  clw 
iKH  trascriviamo  le  sue  precise  parole  )  —  diavolo  d'  un  frate!  se  ri- 
maneva )ì  in  ginocchio,  ancora  per  qualche  momento,  quasi  quasi  gli 
chiedevo  scusa  io,  che  m'  abbia  ammazzalo  il  fratello.  —  La  nostra 
sttHia  nota  espressamente  che,  da  quei  giorno  in  poi,  quel  signore 
fn  un  po'  me»  precipitoso,  e  un  po'  più  alla  mano. 

U  padre  Cristoforo  camminava,  con  una  consolauone  che  non  aveva 
mai  più  provata,  dopo  quel  giorno  terrìbile,  ad  espiare  il  quale  (utia 
la  sua  vita  doveva  esser  consacrala.  Il  sit^izio  eh'  era  imposto  a'  no- 
vizi,  l'osservava,  senza  avvedersene,  assorto  com'era,  nel  pensiero 
delle  fatidie,  delle  privazioni  e  dell' umiliazioni  che  avrebbe  sofferte, 
pò*  iscontare  il  suo  fallo.  Fermandosi,  all'  ora  delta  refezione,  presso 
un  benefattore,  mangiò,  con  una  specie  di  vduttà,  del  pane  del  per- 
dono: ma  ne  serbò  un  pezzo,  e  lo  ripose  nella  sporta,  j)er  tenerlo, 
come  un  ricordo  perpetuo. 

Non  è  nostro  disegno  di  br  la  storia  della  sua  vita  claustrale:  dire- 
mo soltanto  che,  adempiendo,  sempre  con  gran  voglia,  e  con  gran  cura, 
gli  ufizi  che  gli  venivano  ordinariamente  assegnati,  di  predicare  e  d'as- 
sistere ì  moribondi,  non  lasciava  mai  sfuggire  un'  occasione  d'eser- 
citarne due  altri, che  s'era  imposti  da  sè:accomodar  differenze, e pro- 
te|3;ere  oppressi.  In  questo  genio  entrava ,  per  qualdie  parte,  senza 
ch'egli  se  n'avvedesse,  quella  sua  vecchia  abitudine,  e  un  reslìcciolo  di 
spiriti  guerreschi ,  che  1*  umiliazioni  e  le  macerazioni  non  avevan  po- 
tuto spegner  del  tutto.  U  suo  linguaggio  era  abitualmente  umile  e 
posato;  ma,  quando  si  trattasse  dì  giustizia  o  di  verità  combattuta,  ru<Mno 
s'animava,  a  un  tratto,  dell'  impeto  antico,  che,  secondato  e  modificato  da 
un'ea&si  solenne,  venutagli  dall'uso  del  predicare,  dava  a  quel  linguaggio 
un  carattere  singolare.  Tutto  il  suo  contegno,  come  l'aspetto,  annun- 
ziava una  lunga  guerra,  tra  un'indole  focosa,  risentita,  e  una  volontà 
O[^)osta,  abitualmente  vittoriosa,  sempre  all'erta,  e  diretta  da  molivi 
e  da  isiHrazioni  superiori.  Un  suo  confratello  ed  amico,  che  lo  co- 
nosceva bene,  l'aveva  una  volta  paragonato  a  quelle  parole  Irof^ 
espressive  nella  loro  forma  naturale,  che  alcuni,  anche  ben  educali, 
pronunziano,  quando  la  passione  trabocca,  smozzicale,  con  qualche 
lettera  mutala;  parole  che,  in  quel  travisamento,  fanno  però  ricordare 
(Iella  loro  energia  primitiva. 

Se  una  poverella  sconosciuta,  nd  tristo  caso  di  Lucia,  avesse  diie- 
sto  r  aiulo  del  padre  Cristoforo,  ^li  sarebbe  corso  immediatamente. 


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SI  I  PROMESSI  SPOSI 

lYattandosi  poi  di  Lucia,  accorse  con  tanta  più  sollecitudine,  in  quanto 
conosceva  e  ammirava  l' innocenza  di  lei,  era  già  in  pensiero  per  i  suoi 
pericoli,  e  sentiva  un' ìndegnazione  santa,  per  la  turpe  persecuzione 
della  quale  era  divenuta  l'ometto.  Oltre  di  ciò,  avendola  consigliata, 
per  il  meno  male,  di  non  palesar  nulla,  e  di  starsene  quieta,  temeva 
ora  che  il  consiglio  potesse  aver  prodotto  qualche  tristo  efledo;  e  aHa 
soUeciludine  di  carità ,  eh'  era  in  lui  come  ingenita ,  s' aggiungeva  ,  in 
questo  caso,  quell'angustia  scrupolosa  che  spesso  tormenta  i  buoni. 

Ma,  intanto  che  noi  siamo  slati  a  raccontare  i  fatti  del  padre  Cri- 
stoforo, è  arrivato,  s'è  affacciato  all'  uscio;  e  le  donne,  lasciando  il 
'  manico  dell'aspo  che  facevan  girare  e  strìdere,  si  sono  alzate,  dicen- 
do, a  una  voce:  «  oh  padre  Cristoforo!  sia  benedetto!" 


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I  qual   |)adrc   Grisloforo  si   ferniù 
rillo  sulla  soglia,  e,  appena  ebbe 
data  un'occhiaia  alle  donne,  do- 
velte  accorgersi  die  i  suoi  presen- 
linienti  non  eran  falsi.  Onde,  eoo 
quel  tono  d' inlen-ogazione  che  va 
incontro  a  una  trista  risposta,  al- 
Eando  la  barba  con  un  moto  leg- 
giero della  lesta  all' indietro,  disse: 
«  ebbene?  «  Lucia  rispose  con  uno 
scoppio  di  pianto.  La  madre  cominciava  a  far  le  scuse  d'aver  osato... 
ma  il  frale  s'avanzò, e,  messosi  a  sedere  sur  un  panchetto  a  tre  piedi, 
troncò  i  complimenti,  dicendo  a  Lucia:  «quietatevi,  povera  figliuola. 
E  voi ,  n  disse  poi  ad  Agnese,   u  raccontatemi  cosa  c'è!  »   M«itre 
la  buona  donna  faceva  alla  meglio  la  sua  dolorosa  relazione,  il  frate  di- 
ventava di  mille  colorì ,  e  ora  alzava  gli  occhi  al  cielo ,  ora  batteva 
ì  piedi.  Terminala  la  storia,  si  copri  il  volto  con  le  mani,  ed  esclamò: 
«o  Dio  benedetto!  fino  a  quando....!  «  IVta,  senza  compirla  frase,  vol- 
tandosi di  nuovo  alle  donne:  «  poverette!  »  disse:  »  Dio  vi  ha  visitate. 
Povera  Lucia!  » 


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04  I  PROMESSI  SPOSI 

u  No»  ci  abbandonerà,  padre?  »  disse  questa,  singhiozzando. 

u  Abbandonarvi  !  »  rispose.  «  E  con  vlie  faccia  potrei  io  chieder  n 
Dio  qualcosa  per  me ,  quando  v'  avessi  abbandonata  ?  voi  in  questo 
slato!  voi,  eli' Egli  mi  confida!  Non  vi  perdete  d'animo:  Egli  v'assisterà: 
Egli  vede  tutto:  Egli  può  servirsi  anche  d'un  uomo  da  nulla  come  son 
io,  )U'r  confondere  un....  Vediamo,  pensiamo  qnel  che  si  possa  fare.  " 
Cosi  dicendo,  appoggiò  il  gomito  sinìslro  sul  ginocchio,  chinò  la 
fronte  nella  palma,  e  con  la  destra  strinse  la  barba  e  il  mento,  come 
|)er  (cncr  ferme  e  unite  tutte  le  potenze  dell' animo.  Ma  la  più  attenta 
eonsidcrazionc  non  serviva  che  a  fargli  scorgere  più  distintamente 
quanto  Ì1  caso  fosse  pressante  e  intrigalo,  e  quanto  scar^,  quanto  in- 
certi e  perieolosi  i  ripieghi.  —  Mettere  un  po'  di  vergogna  a  don 
Abbondio,  e  fargli  sentire  quanto  manchi  al  suo  dovere?  Vei^ogna 
e  dovere  sono  un  nulla  per  lui,  quando  ha  paura.  E  hr^i  paura? 
Che  mezzi  ho  io  mai  di  fargliene  una  che  superi  quella  che  ha  d'una 
schioppettala?  Informar  di  tutto  il  cardinale  arcivescovo,  e  invocar  la 
sua  autorità?  Ci  vuol  tempo:  e  intanto?  e  poi?  Quand'anche  que- 
sta povera  innocente  fosse  maritala ,  sarebbe  questo  un  freno  per 
qiidl'  uomo?  Chi  sa  a  qiial  segno  possa  arrivare?,...  E  resistergli? 
Come?  Ali!  se  |>olessi,  itensava  il  povero  frate,  se  potessi  tirar  dalla 
mia  i  miei  frati  di  qui,  quc'di  lUilano!  Ma!  non  è  im  affare  comune; 
sarei  abbandonato.  Costui  fa  l'amico  del  eon\-ento,  si  spaccia  per  par- 
tigiano de' cappuccini:  e  i  suoi  bravi  non  son  venuti  più  d'una  volta 
a  ricoverarsi  da  noi?  Sarei  solo  in  ballo;  mi  buscherei  anche  dell'in- 
quieto, dell'imbrc^lione,  dell' araattabriglie;  e,  quel  eli'  è  più,  potrei 
fors' anche,  con  un  lentatÌ\o  fuor  di  lempo,  {leggiorar  la  condizione 
di  questa  poveretta.  —  Contrappcsalo  il  prò  e  il  contro  di  questo  e 
di  quei  partito,  il  migliore  gli  parve  d'affrontar  don  Rodrigo  stesso, 
tentar  di  smoverlo  dal  suo  infame  proposito,  con  le  pr^liiere,  coi 
Icrrori  dell' aHra  vita,  anche  di  questa,  se  fosse  possibile.  Alla  peg- 
gio, si  |>otreU)e  almeno  conoscere,  per  qnesla  via,  più  distintamente 
quanto  colui  fosse  ostinato  nel  suo  sporco  im|>egno,  scoprir  di  più  le 
sue  intenzioni,  e  prender  consiglio  da  ciò. 

Mentre  il  frate  stava  cosi  meditando,  Renzo,  il  quale,  per  tutte  le 
n^poni  che  ognun  può  indovinare,  non  sapeva  star  lontano  da  quella 
casa,  era  comparso  sull'uscio;  ma,  visto  il  padre  sopra  pensiero,  e  le 
donne  die  facevan  cenno  di  non  disturbarlo,  si  fermò  sulla  soglia,  in 
silenzio.  Alzando  la  faccia,  per  comunicare  alle  donne  il  suo  progetto. 


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il  frale  s'accorse  «li  lui,  e  lo  salutò  in  un  modo  ch'esprimeva  un'afTc- 
tionc  consueta,  resa  più  intensa  dalla  pietà. 

u  Le  hanno  detto...,  padre?  »  gli  domandò  Renzo,  con  voce  com- 


i-  Pur  troppo;  e  |H;r  questo  son  qui.  " 

-■  Cile  dice  di  quel  birbone...?  " 

-  Clic  vuoi  di' io  dica  di  lui?  Non  è  qui  a  sentire:  che  giovereb- 
l>ero  le  mie  parole?  Dico  a  le,  il  mio  Renzo,  che  tu  conlìdi  in  Dio,  e 
ebe  Dio  nrni  l'abbandonerà.  " 

"  Benedette  le  sue  parole!  "  esdamò  il  giovane.  «  Lei  non  è  di  quelli 
che  dan  sempre  torlo  a' poveri.  Ma  il  signor  curato,  e  quel  signor  <)ot- 
Inr  delle  cause  perse....  » 

u  Non  rivangare  quello  die  non  può  servire  ad  altro  che  a  inquie- 
tarli inulilniente.  Io  sono  un  povero  (rate  ;  ma  ti  ripeto  quel  che  ho 
detto  a  queslc  donne:  per  quel  poco  che  posso,  non  v'abbandonerò.  " 


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B«  I  PROMESSI  SPOSI 

u  Oh,  lei  non  è  come  gli  amici  del  mondo!  Cìarìoni!  Chi  avesse 
creduto  alle  proteste  che  mi  tacevan  costoro,  nel  buon  tempo;  eh  eh! 
Eran  pronti  a  dare  il  sangue  per  me;  m'avreUtero  sostenuto  contro 
il  diavolo.  S' Jo  avessi  avuto  un  nemico?....  bastava  che  mi  lasdassì 
intendere;  avrebbe  finito  presto  di  mangiar  pane.  E  ora,  se  vedesse 
come  si  ritirano....  »  A  questo  punto,  alzando  gli  occhi  al  volto  de) 
padre,  vide  ctie  s'era  tutto  rannuvolato,  e  s'accorse  d'aver  detto  ciò 
che  conveniva  tacere.  .Ma  volendo  raccomodarla,  s'andava  intrigando 

e  imbrogliando:  u  volevo  dire non  intendo  dire cioè,  vivevo 

dire,,,.  « 

u  Cosa  volevi  dire?  E  che?  tu  avevi  dunque  comincialo  a  guastar 
l'opera  mia,  prima  che  fosse  intrapresa!  Buon  per  te  che  sci  stalo  dis- 
ingannato in  tempo. Che!  Ui  andavi  in  cerca  d'amici.,.,  quali  amici!... 
che  non  t'avrcblicr  potuto  aiutare,  neppur  volendo!  E  cercavi  di  per- 
der Quel  solo  cite  lo  può  e  lo  vuole!  Non  sai  tu  che  Dio  è  l'amico 
de'tnbolatJ,ehe  confidano  in  Lui?  Non  sai  tu  che,  a  metter  fuori  l'un- 
ghie, il  debole  non  ci  guadagna?  E  quando  pure....  »  A  questo  punto, 
alTerrò  rortemenle  il  braccio  di  Renzo:  il  suo  aspetto,  senza  perder 
d' autorità  ,  s' atteggiò  d'  una  compunzione  solenne  ,  gli  occhi  s'  ab- 
bassarono, la  voce  divenne  lenta  e  come  sotterranea:  uquando  pure.... 
è  un  terribile  guadagno!  Renzo!  vuoi  tu  confidare  in  me?...  die  dico 
in  me,  omiciattolo,  fraticello?  Vuoi  tu  confidare  in  Dio?  « 

u  Oh  si!  »  rispose  Renzo,  u  Quello  è  il  Signore  day\'ero.  » 

"  EHienc;  prometti  ctkc  non  affronterai,  che^^non  provocherai  nes- 
suno, che  ti  lascerai  guidar  da  me.  " 

«  Lo  prometto.  « 

Lucia  fece  un  gran  respiro,  come  se  le  avesser  levato  un  peso  d'ad- 
dosso; e  Agnese  disse:  «  bravo  figliuolo.  » 

u  Sentite ,  figliuoli ,  »  riprese  fra  Oistofbro  :  u  io  anderò  oggi  a 
parlare  a  queir  uomo.  Se  Dio  gli  tocca  il  cuore,  e  dà  forza  alle  mie 
parole,  bene:  se  no,  Egli  ci  farà  trovare  quaklie  altro  rimedio.  Voi  in- 
tanto, statevi  quieti,  ritirati,  scansate  le  eiarìe,  non  vi  late  ved««.  Sta- 
sera, 0  domattina  al  più  (ardi,  mi  rivedrete.  "  Detto  questo,  troncò 
tutu  i  ringraziamenti  e  le  benedizioni,  e  parti.  S'avviò  al  convento, 
arrivò  a  tempo  d'andare  in  coro  a  cantar  sesia,  desinò,  e  si  mise  su- 
bito in  calumino,  verso  il  covile  della  fiera  che  voleva  provarsi  d'am- 
mansare. 

Il  palazzotto  di  don  Rodrigo  sorgeva  isolato,  a  somiglianza  d'una 


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bicocca,  sulla  cìnw  d'uno  de'  poggi  ond'è  sparsa  e  rilevala  quella  co- 
sliera.  A  questa  indicazione  l' anoitiino  aggiunge  che  il  luogo  (avrebbe 
Tatto  meglio  a  scriverne  alla  buona  il  nome)  era  più  in  su  del  paesello 
de^i  sposi,  discosto  da  questo  forse  tre  miglia,  e  quattro  dal  «onvento. 
Appiè  del  poggio,  dalla  parte  che  guarda  a  mezzogiorno,  e  verso  il 
lago,  giaceva  un  mucchiello  di  casupole,  abitate  da  conladini  di  dtm 
Rodrigo;  ed  era  come  la  picctria  capitale  del  suo  piccol  regno.  Bastava 
passarvi,  per  esser  chiarito  della  condizione  e  de'  coiitumi  del  paese. 
Dando  un'occhiata  nelle  stanze  terrene,  dove  qualche  uscio  fosse  aperto, 
»  vedevano  attaccati  al  muro  schioppi,  tromboni,  zappe,  rastrelli,  cap- 
pelli di  piglia,  reticelle  e  (iaschelti  da  polvere,  alla  rinfusa.  La  genie  die 
vi  s'incontrava  erano  omacci  tarchiati  e  arcigni,  con  un  gran  ciuffo 
arrovescialo  sul  capo,  e  chiuso  in  una  reticeUa;'vecchi  che,  perdute  le 
canne,  parevan  sempre  pronti,  chi  nulla  nulla  gli  aizzasse,  a  digri- 
gnar le  gengive;  donne  con  certe  facce  maschie,  e  con  certe  braccia 
neriwrute,  buone  da  venire  in  aiuto  della  lingua,  quando  questa  non 
bastasse:  ne'  semlHanti  e  nelle  mosse  de'  fanciulli  stessi,  che  giocavan 
per  la  strada,  sì  vedeva  un  non  so  che  di  petulante  e  di  provocativo. 
Fra  Cristoforo  attraversò^  il  villaggio,  sali  per  una  viuzza  a  (goc- 
ciola, e  pervenne  sur  una  piccola  spianata,  davanti  al  palazzotto.  La 
porta  era  chiusa,  segno  che  il  padrone  stava  desinando,  e  non  voleva 
esser  frastornalo.  Le  rade  e  piccole  finestre  che  davan  sulla  strada, 
chiuse  da  imposte  sconnesse  e  consunte  dagli  anni ,  eran  però  difese 
da  grosse  inferriate,  e  quelle  del  pian  terreno  tanf  alte  che  appena  vi 
sard>be  arrivato  un  uomo  sulle  spalle  d'  un  altro.  —  Regnava  quivi 
un  gran  silenzio;  e  un  passeggiero  avrd>be  potuto  credere  che  fosse 
una  casa  abbandonala,  se  quattro  creature,  due  vive  e  due  morte, 
ooOocale  in  simmetria,  di  fuori,  non  avesser  dato  un  indizio  d' abi- 
tanti. Due  grand* avoltoi,  con  l'ali  spalancate,  e  co'  tesdii  penz(4oni, 
f  uno  spennacchiato  e  mezzo  roso  dal  tempo ,  1'  altro  ancor  saldo  e 
pennuto,  erano  inchiodati,  ciascuno  sur  un  battente  del  portone;  e 
due  bravi,  sdraiati,  ciascuno  sur  una  delle  pandie  poste  a  destra  e  a 
sinisU^,  facevan  la  guardia,  aspettando  d'esser  chiamali  a  goder  gli 
avanzi  della  tavola  del  signore.  Il  padre  si  fermò  ritto ,  in  allo  di  chi 
si  dispone  ad  aspettare;  ma  un  de'bravi  s'alzò,  e  gli  disse:  »  padre, 
padre ,  venga  pure  avanti  :  qui  non  si  fanno  aspettare  i  cappuocìn!  : 
noi  siamo  amici  del  convento:  e  io  ci  sono  stato  in  certi  momenti  che 
(iiorì  non  era  troppo  buon'aria  ]>cr  me;  e  se  mi  avesser  tenuta  la 


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BS  I  PROHESSl  SPOSI 

porta  chiusa,  la  sarebbe  andata  male,  n  Cosi  dicendo,  diede  due  piccfiì 


col  martello.  A  quel  suono  rbposer  subito  di  dentro  gli  urli  e  le  filrj<k 
di  mastini  e  di  cagnolini;  e,  pochi  momenti  dopo,  giunse  borbottan- 
do un  vecchio  servitore;  ma,  veduto  il  padre,  gli  fece  un  grand'  in- 
citino, acquietò  le  bestie ,  con  le  mani  e  con  la  voce,  introdusse  I'  o~ 
spile  in  un  angusto  cortile,  e  richiuse  la  porta.  Accompagnatolo  poi  in 
un  salotto ,  e  guardandolo  con  una  cert'  aria  di  maraviglia  e  di  ri- 
spetto, disse:  u  non  è  lei....  il  padre  Cristoforo  di  Pescaroiico?  » 

a  Per  l'appunto.  * 

t  Lei  qui?  >• 

~  Come  vedete,  buon  uomo.  " 

"  Sarà  per  Tar  del  bene.  Del  bene,  »  continuò  moi'nioraiido  tra  i 
<lenli,  e  rincanmiinandosi,  u  se  ne  può  far  per  tutto.  »  Attraversati  due 
otre  altri  salotti  oscuri,  arrivarono  all'uscio  della  sala  del  convito. 
Quivi  un  gran  frastono  confuso  di  forchette,  di  ctdtelli,  di  bicdiieri,  di 


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piatti,  e  sofira  tutto  dì  voci  discordi,  che  cercavano  a  vic«H)a  di  so- 
verchiarsi. Il  frale  voleva  ritirarsi,  e  stava  ctmtraslando  dietro  l'uscio 
ed  servitore,  per  ottenere  d'esser  lasciato  in  qualche  canto  della  casa,  fin 
che  il  pranzo  fosse  terminalo;  quando  l'uscio  s'apri.  Va  certo  conte 
Attilio,  che  stava  seduto  in  faceta  (era  un  cugino  del  padron  di  casa; 
e  abbiam  già  fatta  menzione  di  lui,  senza  nominarlo),  veduta  una  testa 
rasa  e  una  tonaca,  e  accortosi  dell'intenzione  modesta  del  buon  frale, 
i'  elù!  ehi!  «  gridò;  ■  non  ci  scappi,  padre  riverito:  avanti,  avanti.  « 


Don  Rodrigo,  senza  indovinar  precisamente  il  soggetto  di  quella  vi- 
sita, pure,  per  non  so  qual  presentimento  confuso,  n'avrebbe  fatto 
di  meno.  Ma ,  poiché  lo  spensierato  d'Allilio  aveva  fatta  quella  gran 
chiamata,  non  conveniva  a  luì  di  tirarsene  indietro;  e  disse:  «venga, 
padre,  venga,  n  II  padre  s'avanzò,  inchinandosi  al  padrone,  e  rispon- 
dendo, a  due  mani,  ai  saluti  de' commensali. 


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DO  1  PHUUESSI  Sl'OSI 

L'uomo  onesto  in  faccia  al  malvagio,  piace  generaJmeute  (non  dice 
a  lutti)  immaginarselo  con  la  fronte  alta,  con  lo  sguardo  sicuro,  col 
pcllo  rilevato,  con  lo  scilinguagnolo  bene  sciolto.  Nel  tatto  però,  per 
fargli  prender  quell'attitudine,  si  rlcbiedon  ntolte  circostanze,  le  quali 
ben  di  rado  si  riscontrano  insieme.  Perciò,  non  vi  maravigliate  se  fra 
Cristoforo,  col  buon  testimonio  della  sua  coscienza ,  c(d  sentimento  fer- 
missimo della  giustizia  della  causa  che  veniva  a  sostenere,  con  un  sen- 
limcnto  misto  d'orrore  e  di  compassione  per  don  Rodrigo,  stesse  con 
una  cercaria  di  suf^zifflie  e  di  rispetto,  alla  presenza  di  quello  stesso 
don  Rodrigo,  eli' era  IÌ  in  capo  di  tavola,  in  casa  sua,  nel  suo  regno, 
circondalo  d'amici,  d'omaggi,  di  tanti  segni  della  sua  potenza,  con  un 
viso  da  far  morire  in  bocca  a  chi  si  sia  una  preghiera,  non  die  un 
consiglio,  non  che  una  coirezione,  non  che  un  rimprovero.  Alla  sua 
destra  sedeva  quel  conte  Attilio  suo  cugino,  e,  se  fa  bisogno  di  dirlo, 
suo  collega  di  libertinaggio  e  di  so^ercbieria,  il  quale  era  venuto  da 
Milano  a  villeggiare,  per  alcuni  giorni,  con  lui.  A  sinistra,  e  a  un  al- 
tro lato  della  tavola,  stava,  con  gran  rispetto,  temperalo  però  d'  una 
certa  scurezza,  e  d' una  certa  saccenlcria,  il  signor  podestà,  quel  me- 
desimo a  cui,  in  teoria,  sarebbe  toccato  a  far  giustizia  a  Renzo  Tra- 
maglino, e  a  fare  star  a  dovere  don  Rodrigo,  cmne  s'è  visto  di  sopra. 
In  faccia  al  podestà,  in  atto  d'un  rispetto  il  più  puro,  il  più  sviscerato, 
se<leva  il  nostro  dottor  Azzecca-garbugli,  in  cappa  nera,  e  col  naso  più 
rubicondo  del  solito:  in  faccia  ai  due  cugini,  due  convitati  oscuri, 
de'  quali  la  nostra  storia  dice  sollanto  che  non  facevano  altro  che  man- 
giare, chinare  il  capo,  sorridere  e  approvare  ogni  cosa  che  dicesse  un 
commensale,  e  a  cui  un  altro  non  contraddicesse. 

"  Da  sedere  al  padre',  n  disse  don  Rodrigo.  Un  servitore  presentò 
una  sedia,  sulla  quale  si  mise  il  padre  Cristoforo,  facendo  qualche  scusa 
al  signore,  d'esser  venuto  in  ora  inopportuna.  "Bramerei  di  parlarle 
da  solo  a  solo,  con  suo  comodo,  per  un  alTare  d'importanza,"  soggiunse 
poi,  con  voce  più  sommessa,  all' oi-ecchio  di  don  Rodrigo. 

u  Bene,  bene,  parleremo  ;  "  rispose  questo:  u  ma  intanto  si  porli 
da  bere  al  padre.  » 

Il  padre  voleva  scliermirsì;  ma  don  Rodrigo,  alzando  la  voce,  in 
mezzo  al  trambusto  eh'  era'  ricomiociato ,  gridava  :  «  no,  per  liacco , 
non  mi  farà  questo  torlo;  non  sarà  mai  ^■ero  che  un  cappuccino  va- 
da via  da  questa  casa,  senza  aver  gustato  del  mio  vino,  né  un  credi- 
tore insolente,  senza  aver  assaggiate  le  legna  de'  mìei  boschi.  "  Queste 


Digitizf^riiiyGoOgle 


parole  eccitarono  un  rìso  universale,  e  interruppero  un  momento 
la  questione  che  s'agitava  caldamente  tra  i  commensali.  Un  servitore, 
portando  sur  una  sottocoppa  un'ampolla  di  vino,  e  un  lungo- bic- 
chiere in  forma  di  calice,  lo  presenta  al  padre;  il  quale,  non  volendo 
resistor  a  un  invito  tanto  pressante  dell'uomo  die  gli  premeva  tanto 
di  (arsi  propizio,  non  esitò  a  mescere,  e  si  mise  a  sorbir  lenlanimlc 
il  vino. 

u  L'autorità  del  Tasso  non  serve  al  suo  assunto ,  signor  podestà  ri- 
verito; anzi  è  contro  di  lei;  n  riprese  a  urlare  il  conte  Attilio:  «per- 
ette queir  uomo  erudito,  r|ueir  uomo  grande  ,  clic  R»|)eva  a  menadito 
tutte  le  regole  della  cavalleria,  ha  fatto  che  il  messo  d'Argante,  prima 
d"  esporre  la  sfida  ai  ea^'alieri  cristiani  chictla  lirenza  al  pio  Bu- 
glirnie » 

B  Ma  questo»  replicava,  non  meno  urlando,  iI-|)odcslii,  «questo  e 
im  di  più,  un  mero  di  più,  un  ornamento  poetico,  giacclié  il  messag- 
giero  è  di  sua  natura  inviolabile ,  per  diritto  delle  genti ,  jure  </e»- 
tium  ;  e,  senza  andar  tanto  a  cercare,  lo  dice  anche  il  proverbio:  am- 
basetator  non  porta  pena.  E,  i  proverbi,  signor  conte,  sono  la  sapienza 
del  genere  umano.  G,  non  avendo  il  messaggìero  detto  nulla  in  suo 
proprio  nome,  ma  solamente  presentata  la  sfida  in  iscritto ....  » 

u  Ma  quando  vorrà  capire  che  quel  messaggiero  era  un  aiiitio  te- 
merario, che  non  conosceva  le  prime...  ?  « 

«  Con  buona  licenza  di  lor  signori,  "  interruppe  don  Rodrigo, 
il  quale  non  avrdìbe  voluto  che  la  «{ueslione  andasse  troppo  avanti  : 
H  rimettiamola  nel  padre  Cristoforo;  e  si  sUa  alla  sua  sentenza,  n 

«  Bene,  benissimo,  n  disse  il  conte  Attilio,  al  quale  parve  cosa  mollo 
garbata  il  far  decidere  un  punto  di  cavalleria  da  un  cappuccino;  men- 
tre il  podestà,  più  infer^'orato  di  cuore  nella  questione ,  si  chetava  a 
stento,  e  con  un  certo  viso,  che  pareva  volesse  dire:  ragazzate. 

u  Ma,  da  quel  che  mi  pare  d'aver  capilo,  "  disse  il  padre,  «  noa 
afta  cose  di  cui  io  mi  deva  intendere.  » 

u  Solile  scuse  di  modestia  di  loro  padri  ;  ><  disse  don  Rodrigo:  <•  ma 
non  mi  scapperà.  Eh  via  !  sappìam  bene  die  lei  non  è  venuta  al 
mondo  col  cappuccio  in  capo,  e  che  il  mondo  l'Ita  conosciuto.  Via, 
via  :  ecco  la  questione.  » 

u  U  latto  è  questo,  »  cominciava  a  gridare  il  conte  Attilio. 

u  Lasciale  dir  a  me,  die  son  neutrale,  cugino,  »  riprese  don  Ro- 
drigo. B  Ecco  la  storia.  Un  cavaliere  spagnolo  manda  una  sfida  a  un 


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BS  I  PR(niESSl  SPOSI 

cavalìer  milanese  :  il  portatore ,  non  Irovando  il  provocalo  in  casa , 
consegna  il  cartello  a  un  Tratello  del  cavaliere;  il  qual  Tralello  legge 
la  s/ida,  e  in  risposta  dà  alcune  bastonale  al  portatore.  Si  traila....» 

«  Ben  date,  ben  applicate,  »  gridò  il  cMite  Attilio.  «  Fu  una  vera 
ispirazione,  n 

K  Del  demonio,  »  soggiunse  il  |)odestà.  u  Battere  un  anibascialore! 
persona  sacra!  Anche  lei,  padre,  mi  dirà  se  questa  è  azione  da  ca- 
valiere. » 

«  Si,  signore,  da  cavaliere,  »  gridò  il  conte:  u  e  lo  lasci  dire  a  me, 
che  devo  intendermi  di  ciò  che  conviene  a  un  cavaliere.  Oh,  se  fos- 
sero stati  pugni,  sarebbe  un'altra  faccenda;  ma  il  bastone  non  isporca 
le  mani  a  nesswio.  Quello  che  non  posso  capire  è  perchè  le  pre- 
mano tanto  le  spalle  d'  un  mascalzone.  " 

"  Chi  le  ha  parlalo  delle  spaile,  signor  conte  mio?  Lei  mi  fa  dire 
spropositi  che  non  mi  son  mai  passati  per  la  mente.  Ho  parlato  del 
carattere,  e  non  di  spalle,  io.  Parlo  sopra  lutto  del  diritto  delle  genti. 
Mi  dica  un  poco,  di  grazia,  se  i  leciali  che  gli  antichi  Romani  mands- 
vano  a  intioiar  le  sfide  agli  altri  popoli,  chJedevan  licenza  d' esporre 
l'ambasciala:  e  mi  trovi  un  poco  uno  saitlore  clic  faccia  menzione 
che  un  feciale  sia  mai  sialo  bastonato.  " 


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K  Che  hinno  a  far  con  noi  gli  ufiziali  degli  antichi  Romani?  genie 
cfae  uidava  alla  buona,  e  che,  in  queste  coae,  era  indietro ,  indietro.  Ma, 
secondo  le  leggi  della  cavalleria  moderna,  eh'  è  la  ^era,  dico  e  sostengo 
che  un  messo  il  quale  ardisce  di  ])orre  in  mano  a  un  cavaliere  uiia 
sfida,  senza  avergliene  chiesta  licenza,  è  un  temerario,  \'iolabiIe  vÌo- 
labilissimo,  bastonabile  basionabilissinio . . . .  " 

«  Risponda  un  poco  a  questo  sillogismo.  " 

u  Niente,  niente,  niente.  ^ 

«Ma  asciati,  ma  ascolti,  ma  ascolti.  Percoterc  mi  disarmalo  e  alto 
proditorio;  atqui  il  messo  de  quo  era  senz'arme;  ergo  . . . ." 

u  Piano,  piano,  signor  podesU.  •> 

"  Che  piano?  " 

->  Piano,  le  dico:  cosa  mi  viene  a  dire?  Atto  proditorio  e  ferire 
uno  con  la  spada,  per  di  dietro,  o  dai^li  una  scbiop]>ettata  nella  schiena  : 
e,  anche  per  questo,  si  possono  dar  certi  casi . . .  ma  stiamo  nella  que- 
stione. Concedo  che  questo  generalmente  possa  chiamarsi  allo  prodi- 
torio; ma  appellar  quattro  bastonate  a  nn  mascalzone!  Sarebbe  bella 
die  si  dovesse  dirgli:  guarda  che  ti  bastono:  coitic  si  direbbe  a  un 
galantuomo:  mano  alla  spada.  — E  lei,  signor  dottor  riverito,  in  \tce 
di  tarmi  de's<^bigni,  |>er  fanni  capire  eh' è  del  mio  parere,  [lercliè 
non  sostiene  le  mie  ragioni,  con  la  sua  buona  tabella,  per  aiutarmi  a 
|)er8uader  questo  signore?  " 

u  lo....  n  rispose  conrusetloil  dottore:  u  io  g<Hlo  di  questa  dotta  di- 
.sputa;  e  ringrazio  i)  bdl' accidente  che  liu  dalo  occasione  a  una  guerra 
d'ingegni  coai  graziosa.  E  poi,  a  me  non  compete  di  dar  sentenza: 
sua  signoria  illustrissima  lia  già  dcl^ato  un  giudice...  qui  il  padre...  >< 

u  É  vero;  n  disse  don  Rodrigo:  «  ma  come  volete  die  il  giudice 
pai-li,  quando  i  litiganti  non  vogliwio  slare  zitti?  » 

u  Ammutolisco,  »  disse  il  conte  Attilio.  Il  podestà  strinse  le  labbra, 
e  alzò  la  mano ,  conte  in  atto  di  rassegnazione. 

»  Ah  sia  riognfziato  il  cielo!  A  lei,  padre,  »  disse  don  Rodrigo,  con 
una  serietà  mezzo  canzonatoria. 

a  Ho  già  fatte  le  mie  scuse,  col  dire  elie  non  me  n'  intendo,  »  rÌ3i>ose 
fra  Cristoforo,  rendendo  il  bicchiere  a  un  servitore. 

u  Scuse  magre:  "  gridarono  i  due  cugini:  u  vogliamo  la  sentenza.  « 

»  Quand'  é  cosi,  »  riprese  il  frate,  u  il  mio  debole  |)arere  sarebbe 
che  non  vi  fossero  né  slide,  né  portatori,  né  bastonale,  n 

I  commensali  si  guardarono  1'  un  con  l' altro  maravigliati. 


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>l  I  PllOHESSt  SPOSI 

«Ob  questa  è  grossa!  <>  disse  il  conte  Aililio.  <•  Mi  perdoni,  |>adre, 
ma  è  grossa.  Si  vede  che  lei  non  conosce  il  mondo.  " 

"Lui  ?  »  disse  don  Rodrigo:  «  me  lo  vcrfele  far  ridire:  lo  conosce, 
cugino  mio,  quanto  voi:  non  è  vero,  padre?  Dica,  dica  se  non  lia 
gitla  la  sua  carovana  ?  » 


In  vece  di  rispondere  a  quest'  amorevole  domanda,  il  padre  disse 
una  parolina  in  segreto  a  sé  medesimo:  —  queste  vengono  a  le;  ma 
l'Icordati,  frate,  die  non  sei  qui  per  te,  e  che  lutto  ciò  che  tocca  le 
solo,  non  entra  nel  conto. 

uSar&,n  disse  il  cugino:  «mail  padre...  come  ^  chiama  il  padre?  « 

"  Padre  Cristoforo  »  rispose  j)iù  d'  uno. 

u  Ma,  padre  Cristoforo,  padron  mio  colendissimo,  con  qnesle  sue 
massime,  lei  vorrebbe  mandare  il  mondo  sottosopra.  Senza  ^de!  Senza 
bastonale!  Addìo  il  punto  d'onore:  impunità  per  tulli  i  mascalzoni. 
Per  buona  sorte  che  il  supposto  è  impossibile,  n 

«  Animo,  dottore,  »  scappò  fuori  don  Rodrigo, che  voleva  sempre 
più  divertire  la  dÌ3[mta  dai  due  primi  contendenti,  «  animo,  a  voi,  che, 
per  dar  ragione  a  tultJ,  siete  un  uomo.  Vediamo  un  poco  come  farete 
per  dar  ragione  in  questo  al  padre  Cristoforo,  n 


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CAPITOLO  V.  «» 

u  In  verità,  n  rispose  il  dotlore,  lenendo  brandita  in  aria  la  for- 
chetta, e  rivolgendo»  al  padre,  «  ìa  verità  io  non  so  intendere  come 
il  padre  Oristoloro,  il  quale  è  insieme  il  perfetto  religioso  e  l'uomo  di 
mondo,  non  abbia  pensato  che  la  sua  sentenza,  buona,  ottima  e  di 
giusto  peso  sul  pulpito,  non  vai  niente,  sia  detto  co)  dovuto  ridilo, 
in  una  disputa  cavalleresca.  Ma  il  padre  sa,  meglio  di  me,  cbe  ogni 
cosa  è  buona  «  suo  luogo;  e  io  eredo  che,  quella  volta,  abbia  voluto 
cavarsi,  con  una  celia,  dall'impiccio  di  proferire  una  sentenza.  « 

Cbe  si  poteva  mai  rispondere  a  ragionamenli  dedotti  da  una  sa- 
pienza così  antica,  e  sempre  nuova?  Niente:  e  cosi  fece  il  nostro  frale. 

Ma  don  Rodrigo,  per  voler  troncare  quella  questione,  ne  venne  n 
suscitare  un'altra.  »  A  proposilo,  »  disse,  «  ho  sentito  che  a  Milano 
cwrevan  voci  d'accomodamento,  n 

D  lettore  sa  che  in  quell'anno  si  combatteva  per  la  successione  ai 
ducato  di  Mantova,  del  quale,  alla  morte  di  Vincenzo  Gonzaga,  che 
non  aveva  lasciata  prole  legittima,  era  entrato  in  possesso  il  duca  di 
Nevcrs,  suo  parente  più  prossimo.  Luigi  XHI,  ossia  il  cardinale  di  Ri- 
chelieu,  sosteneva  quel  principcj  suo  ben  affetto,  e  naturalizzalo  fran- 
cese:  Filippo  IV,  ossìa  il  conte  d'Olivares,  comunemente  chiamalo  il 


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«S  1  PKMIESSI  SPOSI 

eoDle  duca,  noD  lo  voleva  lì,  per  le  slesse  ragioni;  e  gli  aveva  riosso 
guerra.  Siccome  poi  quel  ducalo  era  feudo  dell'impero,  cosi  le  due 
parli  s'adoperavano,  con  pratiche,  con  istanze,  con  minacce,  presso 
l'imperator  Ferdinando  II,  la  prima  perchè  accordasse  l'investitura  al 
nuovo  duca;  la  seconda  perché  glida  negasse,  ansi  aiutasse  a  cacciarlo 
da  quello  stato. 

u  Non  son  lontano  dal  crédere,  »  disse  ìl  conte  Attilio,  u  che  le 
cose  si  possano  accomodare.  Ho  certi  indizi ....  t 

u  Non  creda,  signor  conte,  non  creda,"  interruppe  il  podestà,  ulo, 
in  questo  cantuccio,  posso  saperle  le  cose;  perchè  il  signor  castellano 
spagnolo,  clic,  per  sua  iMnIà,  mi  vuole  un  po'  di  bene,  e  per  esser 
figliuolo  d' un  creato  del  conte  duca,  è  informato  d'ogni  cosa . . . .  " 

B  Le  dico  elle  a  ine  accade  ogni  giorno  di  parlare  in  Milano  con 
ben  altri  personaggi;  e  so  ili  buon  luogo  che  il  papa,  interessatissimo, 
com'è,  per  In  pace,  ha  fatto  proposizioni ....  » 

•i  Cosi  dev'essere;  la  cosa  è  in  regola;  sua  santità  fa  il  suo  dovere; 
un  papa  deve  sempre  meller  bene  Ira  ì  principi  cristiani;  ma  il  conte 
duca  Ila  la  sua  politica,  e . .  . .  " 

"  E,  e,  e;  sa  lei,  signor  mio,  come  la  pensi  l'imperatore,  in  questo 
momento?  Creile  lei  che  non  ci  sia  altro  che  Mantova  a  questo  mon- 
do? Le  cose  a  cui  si  deve  |>ensare  son  molte,  signor  mio.  Sa  tei,  per 
esempio,  fmo  a  che  segno  l'imperatore  possa  ora  fidarsi  di  quel  suo 
prìncipe  di  Valdislano  o  di  Valiistai,  o  come  lo  chiamano,  e  se....» 

u  11  nome  legittimo  in  lingua  alemanna,  »  interruppe  ancora  il  po- 
destà, u  è  Vuglienstòiiio,  come  l'ho  sentilo  proferir  pm  volle  dal  no- 
stro signor  castellano  s|)agnolo.  Ma  stia  pur  di  buon  animo,  die....» 

«  Mi  vuole  insegnale ....  ?  "  riprendeva  il  conte  ;  ma  don  Ro- 
drigo gli  die  d'occhio,  per  fargli  intendere  che,  per  amor  suo,  cessasse 
di  contraddire.  Il  conte  tacque,  e  il  podestà,  come  un  basUinciilo  dis- 
iinbr(^liato  da  una  secca,  continuò,  a  vele  gonfie,  il  corso  della  sua 
eloquenza.  «  Vaglienstcino  mi  dà  poco  fastidio;  |>erchè  il  conte  duca 
ha  l'occhio  a  tutto,  e  per  Inllo;  e  se  Vagliensteino  voi'rà  fare  il  beli'  u- 
more,  saprà  ben  lui  farlo  rigar  diritto,  con  le  buone,  o  con  le  cattive. 
Ha  l'occhio  per  tutto,  dico,  e  le  mani  lunghe;  e,  se  ha  fisso  il  chiodo, 
come  riia  fìsso,  e  ginsfamcnte,  da  quel  gran  politico  che  è,  che  il 
signor  duca  di  Nivers  non  metta  le  radici  in  Mantova,  il  signor  due» 
di  Ni^'ers  non  ce  le  metterà;  e  il  signor  cardinale  di  Riciliù  farà  mi 
buco  neir  acqua.    Mi  fa  pur  ridere  quel  caro  signor  cardinale,  a  voler 


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CAPITOLO  V.  ni 

cozzare  con  un  conle  duca,  ooii  uiiOlivares.  Dico  il  ver»,  clic  vorrei 


rìnascerv  di  qiii  a  dugent'anni,  per  seiilir  cosn  diraimo  i  posteri,  di 
questa  bella  pretensione.  Ci  vuol  altroché  invidia;  testa  vuol  essere: 
e  teste  conte  la  testa  d'un  conte  duca,  ce  n'é  una  sola  al  mondo.  Il 
conte  duca,  signori  mìei,  »  proseguiva  il  podestà,  sempre  col  vento 
in  poppa,  e  un  po'  maravigliato  anclie  liti  di  non  incontrar  mai  uno 
scoglio:  u  il  eonte  duca  è  una  volpe  vecchia,  parlando  col  dovuto  ri- 
spetto, che  farebbe  perderla  traccia  a  chi  si  sia:  e,  quando  accenna  a 
destra,  si  può  esser  sicuri  che  batterà  a  sinistra:  ond'è  che  nessuno 
può  mai  vantarsi  di  conoscere  i  suoi  disegni;  e  quegli  stessi  che  de- 
von  metterli  in  esecuzione ,  quegli  stessi  che  scrivono  i  dispacci ,  non 
ne  capiscon  niente,  lo  posso  parlare  con  qualche  cognizion  di  causa; 
perchè  quel  brav'uomo  del  signor  castellano  si  degna  di  trattenersi  meco, 
con  qualche  confidenza.  Il  conte  duca,  viceversa,  sa  appuntino  cosa 
bolle  in  pentola  di  tutte  1'  altre  corti;  e  tutti  que'  politiconi  (che  ee 
n'  è  di  diritti  assai ,  non  si  può  negare)  hanno  appena  immaginato  un 
disegno,  elie  il  conte  duca  te  l'ha  già  indovinalo,  con  quella  sua  testa, 


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I  PROMESSI  SPOSI 


con  quelle  sue  strade  coperte,  eoa  qua'  suoi  tìli  lesi  per  tutto.  Quel 
pover'uomo  del  cardinale  di  Riciliù  tenta  di  qua,  fiuta  di  là,  suda, 


s'Ingegna:  e  poi?  quando  gli  è  riuscito  di  scavare  una  mina,  trova  la 
contrammina  già  bell'e  fatta  dal  conte  duca » 

Sa  il  cielo  quando  il  podestà  avrebbe  preso  terra;  ma  don  Rodrigo, 
stimolato  anche  da'  versacci  che  faceva  il  cugino,  si  voltò  all' improv- 
viso, come  se  gli  venisse  un' ispiratione,  a  un  servitore,  egli  accennò 
che  portasse  un  certo  liasco.  «  Signor  podestà,  e  signori  miei  !  »  disse 
poi  :  H  un  brindisi  al  conte  duca;  e  mi  sapranno  <Ure  se  il  vino  sia 
degno  del  personaggio.  »  Il  podestà  rispose  eoa  un  inchino,  nel  quale 
traspariva  un  sentimento  di  riconoscenza  particolare;  perchè  tutto  ciò 
che  si  faceva  o  si  diceva  in  onore  del  conte  duca,  lo  riteneva  in 
parte  come  fatto  a  sé. 

«  Viva  mill'anni  don  Gasparo  Guzman,  eonte  d'Olivares,  duca  di 
sanLucar,  gran  privato  del  re  don  Filippo  il  grande,  nostro  signore  !  » 
esclamò,  alzando  il  bicchiere. 

Privato,  chi  non  lo  sapesse,  era  il  termine  in  uso,  a  que'  tempi,  ix»* 
significare  il  favorito  d'un  principe. 


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"  Viva  mill'anni!  "  rìsposer  tutti. 

u  Servite  il  padre,  »  disse  don  Rodrigo. 

u  Mi  perdoni;  »  rispose  il  padre:  u  ma  ho  già  fallo  un  ditsoi-diiie, 
e  non  potrei ...  « . 

u  Cune!  «  disse  don  Rodrigo:  «  si  tratta  d'  un  brindisi  al  conte 
duca.  Vuol  dunque  far  credere  ch'ella  tenga  dai  navarrìni?  " 

Cosi  si  diiamavano  allora,  per  ischemo,  i  Francesi,  dai  principi  di  Na- 
varra,  che  avevan  cominciato,  con  Enrico IV,  a  regnar  sopra  di  loro. 

A. tale  scongiuro, convenne  bere.  Tutti  i  commensali  proruppero  in 
esdamasioni ,  e  in  elo^i  del  vino:  fuor  che  il  dottore,  il  quale,  col 
capo  alzato,  con  gli  o&Aà  fìssi,  con  le  labbra  strette,  esprìmeva  molto 
[HÙ  che  non  avrebbe  potuto  far  con  parole. 

«  Che  ne  dite  eh,  doUore?  »  domanda  don  Rodrigo. 
Tirato  fuor  del  bicchiere  un  naso  più  vermiglio  e  più  lucente  di 
quello,  il  dottore  rispose , battendo  con  eo&si  ogni  sillaba:  «dico, pro- 
ferisco, e  sentenzio  die  questo  è  l' Olivares  de'  vini  :  censui,  et  in  tam 
ivi  tentenliam,  che  un  liquor  simile  non  si  trova  in  tutti  i  ventidue 
regni  del  re  nostro  signore,  che  Dio  guardi:  dicliiaro  e  definisco  che 
i  pranzi  dell' ìllus^issimo  signor  don  Rodrigo  vincono  le  cene  d'  EUio- 
gabak»;  e  che  la  carestia  é  bandita  e  confinata  in  pa*|>eluo  da  questo 
palazzo,  dove  siede  e  regna  la  splendidezza.  " 

«  Ben  detto!  ben  definito!  »  gridarono,  a  una  voce,  i  commensali: 
ma  quella  parola,  carestia,  che  il  dottore  aveva  buttata  fuori  a  caso, 
rivolse  in  un  punto  tutte  le  menti  a  quel  tristo  soggetto;  e  lutti  par- 
larono ddla  carestia.  Qui  andavan  tutti  d'accordo,  almeno  nel  princi- 
pale ;  ma  il  fracasso  era  forse  più  grande  che  se  ci  fosse  slato  dispa- 
rere. Parlavan  tulli  insieme,  «  Non  c'è  carestia,  »  diceva  lino;  «  sono 
gl'incettatori ....  » 

u  E  i  Tomai, »  diceva  un  altro:  «che  nascondono  il  grano.  Implc- 
cwli.  » 

u  Appunto;  impiccarìi,  senza  misericordia.  " 

"  De'  buoni  processi,  »  gridava  il  podestà. 

«  Che  processi?  "  gridava  più  forte  il  conte  Attilio:  «  giustizia  som- 
maria. Pigliarne  tre  o  quattro  o  cinque  o  sei,  di  quelli  che,  per  voce 
pubblica,  siHi  conosciuti  come  i  più  ricchi  e  i  più  cani,  e  impiccarli.  » 

<f  Esempi!  esempi  !  senza  esempi  non  si  fa  nulla.  " 

«  Impiccarli!  impiccarli!;  e  salterà  fuori  grano  da  tutte  le  parli,  n 

Qu,  passando  per  una  fiera,  s'è  trovato  a  goder  l'armonia  che  fa 


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100  I  PROMESSI  SPOSI 

una  compagnia  di  cantambanchi,  <]uando,  tra  una  sonala  e  l'attra,  c^uno 
accorda  il  suo  stromento,  fu^endolo  slriden;  quanlo  più  |»u6,  affine  di 
sentirlo  disUnlamenle,  in  mezeo  al  nimon;  degli  altri,  s'immagini  che 
(ale  fosse  la  consonanza  di  quei,  se  si  può  dire,  discorsi.  S'andava  in- 
tanto mescendo  e  rimescendo  di  quel  lai  vino;  e  le  lodi  di  esso  veni- 
vano, com'  era  giusto,  frammischiate  alle  sentenze  di  giurbpnidenza 
economica;  sicché  le  parole  che  s'  udivan  più  sonore  e  più  frequenti, 
erano:  ambrosia,  e  impiccarli. 

Don  Rodrigo  intanto  dava  dell'occhiale  al  solo  che  stava  zitto;  e  lo 
vedeva  sempre  li  fermo,  senza  dar  segno  d' impazienza  né  di  (retta,  sema 
far  atto  che  tendesse  a  ricordare  che  stava  as)>etlando;  ma  in  via  di 
non  ^'olcr  andarsene,  prima  d'essere  stato  ascoltato.  L'avrebbe  mandato 
a  spasso  volentieri,  e  fatto  di  meno  di  quel  colloquio;  ma  congedare 
un  cappuccino,  senza  avergli  dato  udienza,  non  era  secondo  le  regole 
della  sua  polìtica.  Poiclic  la  seccatura  non  si  poteva  scansare,  sì  risol- 
vette d'affrontarla  subito,  e  di  liberarsene;  s'alzò  da  tavola,  e  seco 
tutta  la  rubiconda  brigala,  senza  interrompere  il  chiasso.  Ciiiesta  poi 
licenza  agli  ospiti,  s'av^'icinò,  in  allo  cont^noso,  al  frate,  che  i^'era  su- 
bito alzato  con  gli  altri;  gli  disse:  ^  eccomi  a'  suoi  comaiHli;  •>  e  lo 
condusse  in  un'altra  sala. 


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n  che  ]>osso  ubbidirla?»  disse  don  Rodrigo , 
])ianliU)do$i  in  piedi  nel  mezzo  della  sala. 
Il  suono  delle  parole  era  tale;  ma  il  modo 
con  cui  eran  [irofcrile,  voleva  dir  chiara- 
nienle,  bada  a  ehi  sci  davanti,  pesa  le  pa- 
role, e  sbrigali. 

Per  dar  coraggio  al  nostro  fra  Cristoforo, 
non  c'era  mezzo  più  sieuro  e  più  spedilo, 
che  prenderlo  con  maniera  arrogante.  Egli 
clic  sla^a  sosi>eso ,  cercando  le  parole ,  e  facendo  scorrere  tra  le  dita  le 
ave  marie  della  corona  che  teneva  a  cintola ,  come  se  in  qualdieduna 
di  quelle  sperasse  di  trovare  il  suo  esordio;  a  quel  fare  di  don  Rodrigo, 
sì  sentì  subito  venir  sulle  labbra  più  parole  del  bisogno.  Ma  iiensando 
quanto  importasse  di  non  guasltu%  i  fatti  suoi  o,  ciò  ch'era  assai  più, 
i  falli  altrui,  corresse  e  temperò  le  frasi  ehe  gli  si  eran  presentate  alla 
niente,  e  disse,  con  guardinga  umiltà:  «  vengo  a  proporle  un  allo  di 
giustizia,  a  pregarla  d'una  carila.  Ceri' uomini  di  mal  affare  hanno 
messo  innanzi  il  nome  di  vossignfH^a  illustrissima ,  per  far  paura  a  un 


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IDI  I  PROMESSI  SPOSI 

povero  curato,  e  impedirgli  di  compire  il  suo  dovere,  e  per  sover- 
cliiare  due  innocenti.  Lei  può,  con  una  parola,  confonder  coloro,  re- 
stituire al  diritto  la  sua  forza,  e  sollevar  quelli  a  cui  è  fatta  una  così 
crude!  violenza.  Lo  può;  e  potendolo la  coscienza,  l'onore —  i 

«  Lei  mi  parlerà  della  mia  coscienza ,  quando  verrò  a  confessarmi 
da  lei.  In  quanto  al  mio  onore,  ha  da  sapere  che  il  custode  ne  son 
io,  e  io  solo;  e  che  chiunque  ardisce  entrare  a  parte  con  me  di  que- 
sta cura,  lo  riguardo  come  il  temerario  che  l'offende.  « 

Fra  Cristoforo,  avvertito  da  queste  parole  che  quel  signore  cercava 
di  tirare  al  peggio  le  sue,  per  volgere  il  discorso  in  contesa,  e  non 
dargli  luogo  di  venire  alle  strette,  s' impegnò  tanto  più  alla  sofferenza, 
risolvette  di  mandar  giù  qualunque  cosa  piacesse  all'altro  di  dire,  e 
rispose  subito,  con  un  tono  sommesso:  »  se  ho  detto  cosa  che  le  di- 
spiaccia, è  stato  eertamente  contro  la  mia  intenzione.  Mi  corregga  pure, 
mi  riprenda,  se  non  so  parlare  come  si  conviene;  ma  si  degni  ascol- 
tarmi. Per  amor  del  cielo,  per  quel  Dio,  al  cui  cospetto  dobbiam  tutti 
comparire »  e,  cosi  dicendo,  aveva  preso  tra  le  dita,  e  metteva  da- 
vanti agli  occhi  del  suo  accif^ialo  ascoltatore  il  teschietto  di  legno  at- 
taccato alla  sua  corona,  u  non  s'ostini  a  negare  una  giustìzia  così 


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CAriTOLO  VI.  I«l 

Tarile,  e  così  dovuta  a  de*  poverelli.  Pen«  die  Dio  ha  aempre  gli  occhi 
sopra  di  loro,  e  cbe  le  loro  grida,  i  loro  gemiti  sodo  ascoltati  lassù, 
L' innocenza  é  polente  al  suo  —  » 

1  Eh,  padre!  •>  interruppe  bruscamente  don  Rodrigo:  «  il  rispetto 
(di'  io  porto  al  suo  abito  è  grande  :  ma  se  qualche  cosa  potesse  far- 
melo  dimenticare,  sard^  il  vederlo  indosso  a  uno  che  ardisse  di  ve- 
nire  a  farmi  la  spia  in  casa.  » 

Questa  parola  fece  venir  le  fiamme  sul  viso  del  frate  :  il  quale  però, 
col  sembiante  di  chi  inghiottisce  una  medicina  molto  amara  riprese  : 
li  lei  non  crede  che  un  tal  titolo  mi  si  convenga.  Lei  sente  in  cuor  suo, 
che  il  passo  ch'io  fo  ora  qui,  non  è  né  vile  né  spregevole.  M' ascolli, 
signor  don  Rodrigo;  e  voglia  il  cido  che  non  venga  un  giorno  in 
cui  si  penta  di  non  avermi  ascoltato.  Non  voglia  metter  la  sua  glo- 
ria....  qual  gloria,  ^gnor  don  Rodrigo!  qoal  gloria  dinanzi  agli  uomini! 
E  dinanzi  a  Dio!  Ld  può  mdto  quaggiù;  ma " 

«  Sa  lei ,  »  disse  don  Rodrigo,  interrompendo,  con  islJzza,  ma  non 
senza  qualche  raccapricdo,  «  sa  Id  che,  quando  mi  viene  lo  sdiirìbizzo 
di  senlire  una  predica,  so  benissimo  andare  in  chiesa,  come  fanno  gli 
altri?  Ma  in  casa  mia!  Oh!  »  e  continuò,  con  un  sorriso  forzato  di 
sdiemo:  x  ld  mi  tratta  da  più  di  qud  che  sono.  Il  predicalore  in  casa! 
Non  r  hanno  che  i  prindpi.  » 

u  E  qud  Dio  che  chiede  conto  ai  prindpi  della  parola  che  fa  loro 
sentire,  ndle  loro  reji^;  quel  Dio  che  le  usa  ora  un  tratto  di  mise- 
ricordia, mandando  un  suo  ministro,  indegno  e  miserabile,  ma  un 
suo  ministro,  a  pregar  per  una  innocente —  » 

u  In  somma,  padre,  »  disse  don  Rodrigo,  facendo  atto  d'andarsene, 
u  io  non  so  qud  che  Id  voglia  dire:  non  capisco  altro  se  non  che 
d  dev'essere  qualche  fondulla  che  le  preme  mollo.  Vada  a  far  le  sue 
confidenze  a  dù  le  piace;  e  non  sì  prenda  la  liberlà  d'iu^idir  più 
a  lungo  un  gentiluomo.  » 

Al  moversi  di  don  Rodrigo,  il  nostro  frate  gli  s'era  messo  davanti, 
ma  con  gran  rispetto;  e,  alzate  le  mani,  come  per  supplicare  e  per 
trattenerlo  ad  un  punto ,  rispose  ancora  :  <<  la  mi  preme ,  è  vero,  ma 
mm  più  di  lei;  son  due  anime  che,  Tuna  e  l'altra,  mi  prcmon  più  dd 
mio  sangue.  Don  Rodrigo  !  io  non  posso  far  altro  per  lei,  che  pregar  Dio  ; 
ma  lo  fero  ben  di  cuore.  Non  mi  dica  di  no:  non  voglia  tener  nel- 
l'angoscia e  nel  (err(H%  una  povera  innocente.  Una  parola  di  lei  può 
far  tutto.  " 


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101  I  PROMESSI  SPOSI 

»  EUienc,  »  disse  don  Rodrigo,  <•  giacché  lei  crede  ch'io  possa 
far  molto  per  questa  persona;  giacché  questa  persona  le  sia  tanto  a 
cuore —  " 

a  Ebbene?"  riprese  ansiosunenle  il  padre  Crìstoforo,  al  quale  l'alio 
e  il  contegno  di  don  Rodrigo  non  pennetlevano  d' abbandonarsi  alla 
speranza  che  parevano  annunziare  quelle  pande. 

u  EUltene,  la  consigli  di  venire  a  metlersì  sotto  b  mìa  protezioDe. 
Non  le  mancherà  più  nulla ,  e  nessuno  ardirà  d' inquietarla ,  o  eh'  io 
non  son  cavaliere,  n 

A  sifhlta  proposta,  l' indegnazione  del  Trale,  rattenuta  a  stento  fin 
allora,  traboccò.  Tutti  que'  bei  proponimenti  di  prudenza  e  di  pazienza 
andarono  in  fumo  :  1'  uomo  vecchio  si  trovò  d' accordo  col  nuovo  ;  e . 
in  que'  casi,  fra  Cristoforo  VQle\'a  \'eniineii(e  per  due.  u  La  vostra  pro- 
tezione!» esdaiDÒ,  dando  indietro  due  pasiii,  postandosi  fieramente  sul 
piede  destro,  mettendo  la  destra  sull'anca,  alzando  la  sinistra  con  l' indice 
leso  verso  don  Rodrigo ,  e  piantandogli  in  faccia  due  occhi  infiammati  : 
u  la  vostra  prolezione  !  È  meglio  che  abbiate  parlato  cosi,  clic  aU>iatc  fatta 
a  me  un  tale  proposta.  Avete  colmata  la  misura;  e  ntHi  vi  temo  pili.  " 

1  Come  parti,  frate? t 

"  Parlo  come  si  parla  a  clii  è  alibandonato  da  Dio ,  e  non  può  più 
far  paura.  La  vostra  protezione!  Sapevo  bene  che  ipiclla  innocente 
é  sotto  la  protezione  di  Dio  ;  ma  voi ,  voi  me  lo  fate  sentire  ora .  con 
tanta  certezza,  die  non  ho  più  bisogno  di  riguardi  a  parlarvene.  Lucia, 
dico:  vedete  come  io  pronunzio  questo  nome  con  la  fronte  alla,  e  con 
gli  occhi  immobili.  -^ 

"  Come  !  in  questa  casa '.  ^ 

u  Ho  compassione  di  questa  casa:  la  maledizione  le  sta  sopra  so- 
spesa. Stale  a  vedere  che  la  giustizia  di  Dio  avrà  riguardo  a  quattro 
pietre,  e  suggezione  di  quattro  ^hcrri.  Voi  avete  creduto  che  Dio  abbia 
fatta  una  creatura  a  sua  immagine,  per  darvi  il  piacere  di  tormentarla! 
Voi  avete  creduto  che  Dio  non  saprebbe  difenderla!  Voi  avete  di- 
sprezzato il  suo  avviso!  Vi  siete  giudicato.  Il  cuore  di  Faraone  era 
indurito  quanto  il  vostro;  e  Dio  ha  saputo  spezzarlo.  Lucia  è  sicura 
da  voi:  ve  lo  dico  io  povero  frate;  e  in  quanto  a  voi,  sentile  bene 
qud  ch'io  vi  prometto.  Veirà  un  giorno...." 

Don  Rodrigo  era  tìn  allora  rimasto  tra  la  rabbia  e  la  maraviglia , 
attonito,  non  trovando  parole;  ma,  quando  senti  intonare  una  pre- 
dizione, s'  aggiunse  alla  rabbia  un  lontano  e  misterioso  spavento. 


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CAPITOLO   VI. 


Alferrò  rapidameiito  per  aria  quvlla  mano  minacciosa,  v,  alzando 
tavow,  per  (roncar  quella  dell' ìnfeuslo  [H-ofela,  gridò:  -  escimi  di  Ira 
piedi;  villano  lemerario.  ]>oltrone  incappucrialo,  « 


Qacsle  parole  così  chiare  acquietarono  in  un  moracnlo  il  padre 
Cristoforo.  AH'  idea  di  strapazzo  e  di  villania  era,  nella  sua  mente,  cosi 
bene,  e  da  tanto  tempo,  associata  l' idea  di  soflerenza  e  di  silenzio,  che, 
a  quel  complimento,  gli  cadde  (^i  spìrito  d*  ira  e  d'entusiasmo ,  e  non 
gji  restò  altra  risoluzione  che  quella  d' udir  tranquillamente  ciò  che  a 
don  Rodrigo  piacesse  d'aggiungere.  Onde,  ritirata  placidamente  la  mano 
dagli  artigli  dei  gentiluomo,  abbassò  il  capo,  e  rimase  immobile,  come, 
al  cader  del  vento,  nel  Ibrte  delia  burrasca,  un  albero  agitato  ricom- 
pone naturalmente  ì  suoi  rami ,  e  riceve  la  grandine  come  il  dtJ  la 
manda. 

u  Villano  rincivilito!  »  proseguì  don  Rodrigo:  "  tu  tratti  da  par  tuo. 
Ma  ringrazia  il  saio  die  ti  copre  codeste  spalle  di  mascalzone,  e  ti  salva 


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106  1  PROHESSl  SPOSI 

dalle  carezze  che  si  fanno  a'  tuoi  pari,  per  insegnar  loro  a  |wrlare. 
Esci  con  le  lue  gambe,  per  questa  rolla;  e  la  vedremo,  b 

Così  dicendo,  addilo,  con  impero  sprezzante,  un  uscio  in  feccia  a  quello 
per  cui  erano  entrati  ;  ìl  padre  Cristoforo  chinò  il  capo,  e  se  n'  andò,  la- 
sciando don  Rodrigo  a  misurare,  a  passi  infuriati,  il  campo  di  battaglia. 

Quando  il  frale  ebbe  serrato  l'uscio  dietro  a  sé,'  vide  nell'altra  stanza 
dove  entrava,  un  uomo  ritirarsi  pian  piano,  strisdando  il  muro,  come 
per  non  esser  veduto  dalla  stanza  del  colloquio;  e  riconobbe  il  vecchio 
servitore  ch'era  venuto  a  riceverlo  alla  porta  di  strada.  Era  costui  in 
quella  casa,  forse  da  quarant'  anni ,  cioè  prima  che  nascesse  don  Ro- 
drigo; entratovi  al  servizio  del  padre,  il  quale  era  stato  tuli' im' altra 
cosa.  Morto  lui,  il  nuovo  padrone,  dando  Io  sfratto  a  tutta  la  fiuni^ia, 
e  facendo  brigata  nuova,  a\  èva  però  ritenuto  quel  servitore,  e  per  es- 
ser già  vecchio,  e  perché,  sebben  di  massime  e  di  costume  diverso  in- 
teramente dal  suo ,  compensava  però  questo  difetto  con  due  qualità  : 
un'alta  opinione  della  dignità  della  casa,  e  una  gran  pratica  del  ceri- 
moniale, di  cui  conosceva,  meglio  d'ogni  allro,  le  più  antiche  tradizioni, 
e  i  più  minuti  particolari.  In  faccia  al  signore,  il  povero  vecchio  non 
si  sarebbe  mai  arrischiato  d'accennare,  non  che  d'esprimere  la  sua 
disapprovazione  di  ciò  che  vedeva  tutto  il  giorno;  appena  ne  faceva 
qualche  esclamazione,  qualche  rimprovero  tra  i  denti  a'  suoi  ccrfle- 
ghi  di  servizio;  i  quali  se  ne  ridevano,  e  prendevano  anzi  pìwere 
qualche  vcdta  a  toccargli  quel  tasto,  per  fargli  dir  di  più  che  non  avrebbe 
voluto,  e  per  sentirlo  ricantar  le  lodi  dell'  antico  modo  di  vivere  in 
quella  casa.  Le  sue  censure  non  arrivavano  agli  orecchi  del  padrone 
che  accompagnate  dal  racconto  delle  rìsa  che  se  n'eraii  fatte;  dimodo- 
ché riuscivano  andie  per  lui  un  soggetto  di  scherno ,  senza  risenti- 
mento. Ne"  giorni  poi  d'invito  e  di  ricevimento,  il  vecchio  diventava 
un  personaggio  serio  e  d'importanza. 

D  padre  Cristoforo  lo  guardò,  passando,  lo  salutò,  e  seguitava  la  sua 
strada  ;  ma  il  vecchio  se  gli  accostò  misteriosamente ,  mise  il  dito  alla 
bocca,  e  poi,  col  dito  stesso,  gli  fece  un  cenno,  per  invitarlo  a  en- 
trar con  lui  in  un  andito  buio.  Quando  furon  li,  gli  disse  sotto  voce: 
u  padre,  ho  sentito  tutto,  e  ho  bisogno  di  parlarle,  n 

"  Dite  presto,  buon  uomo.  » 

"Qui no:  guai  se  il  padrone  s'avvede —  Ma  io  so  molte  coec;  e 
vedrò  di  venir  domani  al  c(mvento.  » 

«  C'è  qualche  disegno?  » 


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CAPITOLO  VI.  lOT 

u  Qualcosa  per  aria  e'  è  dì  sicoro  :  già  me  ne  son  potuto  aecorgei'e. 
Ma  ora  starò  sull'  iotesa ,  e  spero  di  scoprir  lutto.  Lasci  fare  a  me.  Mi 
tocca  a  vedere  e  a  sentir  cose...!  cose  di  fuoco!  Sono  in  una  casa...! 
Ma  io  vorrei  salvar  l'anima  mia.  » 

B  II  Signore  vi  benedica!  n  e,  proferendo  sottovoce  queste  |)arole, 
il  frate  mise  la  mano  sul  capo  del  servitore,  che,  quantunque  più 
vecchio  di  lui,  gli  sla^a  curvo  dinanzi,  nell'alliludine  d'un  figliuolo. 


»  Il  Signore  vi' ricompenserà,  »  proseguì  il  frate:  u  non  mancate  di 
venir  domani.  •• 

«  Verrò,  n  rispose  il  servitore:  «  ma  lei  vada  via  subito  c....'|)er 
amor  del  ciclo non  mi  nomini.  »  Cosi  dicendo,  e  guardando  in- 
torno, usci,  per  l'altra  parie  dell'andito,  in  un  salotto,  che  rispondeva 
nel  c(H-tile;  e,  visto  il  campo  libero,  chiamò  fuori  il  buon  frale,  il  jvollo 
(tei  quale  rispose  a  quell'  ultima  parola  più  chiaro  che  non  avrebbe 
potuto  fore  qualunque  protesta,  li  servitore  gli  additò  l'uscita;  e  il 
Irate,  senza  dir  altro,  parti. 


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lOB  I  PROMESSI  SPOSI 

Queil'  uomo  era  sialo  a  sentire  all'  uscio  del  suo  pìKiroiie  :  aveva 
fallo  bene?  E  fra  Grislororo  faceva  bene  a  lodarìo  di  ciò?  Secwido  le 
regole  più  cornimi  e  mcn  contraddcllc ,  è  cosa  molto  brutta;  oia  quel 
caso  non  poteva  riguardarsi  come  un'eccezione?  E  d  sono  dell' ee- 
ceuoni  alle  regole  più  comuni  C  mcn  contraddette?  Questioni  impor- 
tanti; ma  clic  il  lettore  risolverà  da  se,  se  ne  ha  voglia.  Noi  non  in- 
tendiamo di  dar  giudizi:   ci  basta  d'aver  dei  falli  da  raccontare. 

Uscito  ftiori ,  e  voltale  le  (spalle  a  quella  casacci»,  fra  Cristoforo  re- 
spirò più  liberamente,  e  s'avviò  in  fretta  per  la  scesa,  tutto  infocato 
in  volto,  commosso  e  sottosopra,  come  (^luio  può  immaginarsi,  per 
quel  che  aveva  sentito,  e  per  quel  che  aveva  detto.  Ma  quella  cosi 
inaspettata  esibizione  del  vecchio  era  stata  tmgran  ristorativo  per  lui: 
gli  pareva  che  il  cielo  gli  avesse  dato  un  segno  visibile  della  sua  pro- 
iezione. —  Ecco  un  filo ,  pensava ,  un  filo  che  ia  provvidenza  mi  mette 
nelle  mani.  E  in  quella  casa  medesima!  E  senza  ch'io  so^^assi  nep- 
pure di  cercarlo!  —  Così  nmiinando,  alzò  gli  occhi  verso  l'occidente, 
vide  il  sole  inclinalo,  che  già  già  toccava  la  cima  del  monte,  e  pensò 


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CAPITOLO  VI.  lOS 

ebe  rìmmeva  ben  poco  del  giorno.  Allora ,  benché  sentisse  le  ossa 
gravi  e  fiaccale  da'  vari  strapazzi  di  quella  gìwnata ,  pure  studiò  dì 
più  il  passo,  per  poter  riportare  un  avviso,  qual  si  fosse,  a'  suo! 
fnoletti, e  arrivar  poi  al  convento,  prima  di  notte:  che  era  una  delle 
leggi  più  predse,  e  più  severamente  mantenute  del  codice  cappucci- 
nesco. 

Intanto,  nella  casetta  di  Lucia,  erano  stati  messi  in  campo  e  venti- 
lati disegni,  de'  quali  ci  conviene  informare  il  lettore.  Dopo  la  {ortensi 
del  frate,  i  tre  rimasti  erano  slati  qualclie  tempo  in  silenzio;  Lucia 
preparando  tristamente  il  desinare  ;  Renzo  sul  punto  d' andarsene 
ogni  momento,  per  levarsi  dalla  vista  di  lei  cosi  accorata,  e  non  sa- 
pendo staccarsi;  Agnese  tutta  inlenta,  in  apparenza,  all'aspo  clic  feceva 
girare.  Ma,  in  realtà,  stava  maturando  un  progetto;  e,  ([uando  le  parve 
maturo,  ruppe  il  silenzio  in  qutsti  termini: 

il  Saltile,  flgliuoli!  Se  volete  aver  cuore  e  destrezza,  quanto  brso- 
ffa,  se  vi  fidale  di  vostra  madre,  »  a  quel  cottra  Lucia  si  riscosse, 
u  io  m' impegno  di  cavarvi  di  quest'  impiccio,  meglio  forse,  e  più  presto 
del  padre  Cristoforo,  quantunque  sia  quell'uomo  che  è.  "  Lucia  ri- 
mase li,  e  la  guardò  con  un  volto  ch'esprimeva  più  niaravi^ia  che 
fiducia  in  una  promessa  tanto  magnifica;  e  Renzo  disse  sidjilamenle  : 
a  cuore?  desb^zza?  dite,  dite  pure  quel  cìie  si  può  fare.  » 

■I  Non  è  vero ,  »  prosegui  Agnese ,  »  che ,  se  foste  maritati ,  sf 
swebbe  già  un  pezzo  avanti?  E  die  a  tutto  il  reslo  si  IrovereUje  più 
(adlmente  ripiego?  " 

«  Ce  dul^io?  «  disse  Renzo:  «  marilali  clic  fossimo....  lutto 
il  mondo  è  paese;  e,  a  due  passi  di  qui,  sul  bei^amasco,  chi  lavora 
seta  e  ricevuto  a  braccia  aperte.  Sapete  quante  volte  Bortolo  mio  cu- 
gino m' ha  fatto  sollecilare  d"  andar  là  a  star  con  lui ,  che  f^^i  fortuna , 

oom'ha  fatto  lui:  e  se  non  ^\  ho  mai  dato  retta,  ^t  è che  serve? 

perchè  il  mio  cuore  era  qui.  Maritati,  si  va  tutti  insieme,  si  mette  su 
casa  là,  si  vive  in  santa  pace,iuor  dell'unghie  di  questo  ribaldo,  fon- 
tano dalla  tentatone  di  fare  uno  sproposito.  N'è  vero.  Lucia?  n 

«  Si ,  ff  disse  Lucia  :  «  ma  come ?  » 

«  Come  ho  detto  io,  *  riprese  la  madre:  u  cuore  e  destrezza;  e 
la  cosa  è  facile.  » 

«  Facile^  »  dissero  msieme  que'  due,  per  cui  la  cosa  era  divenuta 
ttfito  stranamente  e  dolorossunente  difficile. 

"  Facile,  a  saperla  fare,»  replicò  Agnese,  u  Ascollateraì  bene,  die 


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lift  I  PftOUESSI  SPOSI 

vedrò  di  làrvela  intendere.  Io  ho  seattlo  dire  da  gente  che  sa ,  e  anzi 
ne  bo  veduto  io  un  caso,  che,  per  fare  un  matrimonio,  ci  vuole  bensì 
il  eurato,  ma  non  è  necessario  che  voglia;  basta  che  ci  sia.  » 

u  Come  sta  questa  faccenda?  »  domandò  Renzo. 

u  Ascoltate  e  sentirete.  Bisogna  aver  due  testimoni  bai  lesti  e  ben 
d'accordo.  Si  va  dal  curato:  il  punto  stadi  chiapparlo  all'improvviso, 
che  non  abbia  tempo  di  scappare.  L' uomo  dice  :  signor  curato ,  que- 
sta è  mia  mo^ie;  la  donna  dice  :  signor  curato,  questo  è  mio  marito. 
Biso^ia  che  il  curato  senta,  che  i  testimoni  sentano;  e  il  matrimonio 
è  beli'  e  fatto ,  sacrosanto  come  se  i'  avesse  fatto  il  papa.  Quando  le  pa- 
role son  dette  ,  il  curato  può  strillare ,  strepitare ,  fare  il  diavolo  ;  è 
inutile;  siete  marito  e  moglie.  » 

«  Possibile?  »  esclamò  Lucia. 

u  Come!  n  disse  Agnese:  «  state  a  vedere  che,  in  trent'anni  d>e 
ho  passati  in  questo  mondo,  prima  che  nasceste  voi  altri,  non  avrò 
imparalo  nulla.  La  cosa  e  tale  quale  ve  la  dico:  per  segno  tale  àie 
una  mia  amica ,  che  voleva  prender  uno  contro  la  volontà  d^  suoi 
parenti,  facendo  in  quella  maniera,  ottenne  il  suo  intento.  D  eurato, 
che  ne  aveva  so^wtlo,  stava  all'erta;  ma  i  due  diavoli  seppero  far 
così  bene,  che  lo  colsero  in  un  punto  giusto,  dissero  le  pande ,  e 
furon  marito  e  moglie:  benché  la  poveretta  se  ne  pentì  poi,  in  capo 
a  tre  giorni.  » 

Agnese  diceva  il  vero,  e  riguardo  alla  possibilità,  e  riguardo  al  peri- 
colo di  non  ci  riuscire:  che,  siccome  non  ricorrevano  a  un  tide  espe- 
diente, se  non  persone  die  avesser  trovato  ostacolo  o  rifiuto  nella 
via  ordinaria,  così  i  parrocbì  meltevan  gran  cura  a  scansare  quella 
coop^'aùone  forzata;  e,  quando  un  d'essi  venisse  pure  sorpreso  da 
una  dì  quelle  coppie ,  accompagnata  da  testimoni ,  faceva  di  tutto 
per  iscapolarsene ,  come  Proteo  dalle  mani  di  coloro  che  volevano 
fario  vaticinare  per  forza. 

e  Se  (osse  vero.  Lucìa!»  disse  Reqzo,  guardandola  con  un'aria 
d*  aspettazione  supplichevole. 

u  Come  !  se  fosse  vero  !  »  disse  Agnese.  «  Anche  voi  credete  ch'io 
dica  fandonie.  Io  m'affanno  per  voi,  e  non  son  creduta:  bene  bene; 
cavatevi  d'impiccio  come  potete:  io  me  ne  lavo  le  mani.» 

«Ah  no!  non  ci  abbandonale,»  disse  Renzo.  uParìo  così,  perchè 
la  cosa  mi  par  troppo  bella.  Sono  ndle  vostre  maoi  ; 
come  se  foste  proprio  mìa  madre.  » 


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CAPITOLO  VI.  IH 

Queste  parole  fecero  svanire  il  pìccolo  sdegno  d' Agnese ,  e  dhneB- 
(icare  un  proponimento  che,  per  verità,  non  era  stalo  seno. 

u  Ma  perchè  dunque,  manuna ,  »  disse  Lucia,  coti  quel  suo  conte- 
gno sommesso,  "  perette  questa  cosa  non  è  venula  in  mente  al  padre 
Grisloforo  ?  n 

"  In  mente  ?  »  rispose  Agnese  :  "  pensa  se  non  gli  sarà  venuta  in 
mente  !  Ma  non  ne  avrà  voluto  parlare.  " 

u  Perché?  "  domandarono  a  un  tratto  i  due  giovani. 

u  Perché ....  perchè ,  quando  lo  volete  sapere ,  i  religiosi  dicono 
die  veramente  è  cosa  che  non  istà  bene  ». 

u  Come  può  essere  che  non  istia  bene,  e  che  sia  ben  fatta,  quan- 
d*  è  fatta  ?  »  disse  Renzo. 

«  Che  volete  eh'  io  vi  dica  ?  »  rispose  Agnese,  a  La  legge  l' banno 
latta  loro,  come  gli  è  piaciuto;  e  noi  poverelli  non  possiamo  capir 
tutto.  E  poi  quante  cose  . . .  Ecco  ;  e  come  lasciar  andare  un  pugno 
a  un  cristiano.  Non  istà  bene;  ma,  dato  che  glid  abbiale,  né  anche  il 
papa  non  glielo  può  levare.  " 

«  Se  é  cosa  che  non  istà  bene,  n  disse  Lucia,  «  non  bisogna  farla.  « 

u  Che!  n  disse  Agnese,  u  ti  vorrei  forse  dare  un  parere  contro  il 
timor  di  Dio?  Se  fosse  contro  la  volontà  de'  tuoi  parenti,  per  pren- 
dere un  rompicollo ....  ma,  conlenta  me,  e  per  prender  questo  fi- 
gliiH^;  e  chi  fa  nascer  tutte  le  diRIcollà  è  un  birtxme;  e  il  signor 
curato ....  » 

"L'è  cluara,  che  l' intenderdtbe  c^uno,  »  disse  R«f)zo. 

«  Non  bisogna  parlarne  al  padre  Crìstdbro,  prima  di  far  la  cosa,» 
pros^ui  Agnese:  «  ma,  fatta  che  sia,  e  ben  rìusdla,  che  pensi  tu  che 
ti  dirà  il  padre  ?  —  Ab  figliuola  !  è  una  scappata  grossa;  me  l' avete 
Ufa.  —  I  religiosi  dcvon  parlar  così.  Ma  eredi  pure  che,  in  Cttor  suo, 
sarà  contento  andie  lui.  n 

Lucia ,  senza  trovar  che  rispondere  a  quel  ragionamento ,  non  ne 
sembrava  però  capacitata:  ma  Renzo,  tutto  rincorato,  disse:  «  quan- 
d' è  così ,  la  cosa  è  fatta.  " 

u  Piano,  »  disse  Agnese.  «  E  i  testimoni?  Trovar  due  che  vo- 
f^ìano,  e  che  intanto  sappiano  Stare  zitti!  E  poter  cogliere  il  signor 
curato  die,  da  due  giorni,  se  ne  sta  rintanato  in  casa?  E  farlo  star' 
li  ?  die,  benché  sia  pesante  di  sua  natura,  vi  so  dir  io  che,  al  vedervi 
«mperìre  in  qu^a  conformità,  diventerà  lesto  come  un  gatto,  e'scap- 
perà  come  il  diavolo  dalf  aequa  santa.  « 


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I  PROMESSI  SPOSI 


u  L'  bo  ti-ovalo  io  jl  verso,  l' lio  trovato,  »  disse  Renzo,  ballendo 
il  pugno  sulla  tavola,  e  facendo  balzellare  le   stoviglie  apparecchiale 


per  il  desinare.  E  seguitò  esponendo  il  suo  pensiero,  che  Agnese  ap- 
provò in  tutto  e  per  tulio. 

"  Son  imbrc^li,  ^  disse  Lucia:  "  non  son  cose  lisce.  Finora  ab- 
biamo operalo  sinceramcnle :  tiriamo  avanti  con  fede,  e  Dio  ci  aiu- 
terà :  il  padre  Cristoforo  V  ha  detto.  Sentiamo  il  suo  parere.  « 

"  Lasciati  guidare  da  chi  ne  sa  più  di  te,  n  disse  Agnese,  con  v^to 
grave.  «  Che  bisogno  c'è  di  chieder  pareri?  Dio  dice:  aiutati,  ch'io 
l' aiuto.  Al  padre  raccontn-emo  tutto ,  a  cose  fatte.  " 

uLucia,»  disse  Renzo,  u  volete  voi  mancarmi  ora?  Ntm  avevamo 
noi  fatto  tutte  le  cose  da  buon  cristiani?  Non  dovremmo  esser  già 
marito  e  moglie?  Il  curalo  non  ci  aveva  fissalo  lui  il  giiHvo  e  l'ora? 
E  di  elii  è  la  colpa,  se  dobbiamo  ora  aiularcì  con  un  po'  d'ingegno? 
No,  non  mi  mancherete.  Vado  e  (orno  con  la  risposta.  »  E,  salutando 
Lucia,  con  un  atto  di  preghiera ,  e  Agnese,  con  un'aria  d'intelligenza, 
parli  in  fretta. 

Le  tribolazioni  aguzzano  il  c^veilo  :  e  Renzo  il  quale,  nd  sentiero 
retto  e  piano  di  vita  percorso  da  luì  (in  allora,  non  a'  era  mai  trovato 
nell'occasione  d'assottigliar  molto  il  suo,  ne  aveva,  in  questo  caso,  im- 
maginata una,  da  far  onore  a  un  giureconsulto.  Andò  addirittura,  se- 
condo clic  aveva  disegnato ,  alla  casetta  d'  un  certo  Tonio ,  eh'  era  lì 


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CAPITOLO  VI,  US 

poro  disiatile;  e  lo  trovò  in  cucina,  che,  con  un  ginocchio  sitilo 
scalino  del  focolare ,  e  tenendo,  con  una  mano,  1' orto  d'un  paiolo, 
messo  sulle  ceneri  calde ,  dimenava ,  col  matlcrello  ricurvo ,  una 
piccola  polenta  bigia,  di  gran  saraceno.  La  madre ,  un  fratello,  la 
moglie  di  Tonio,  erano  a  tavola;  e  tre  o  quattro  ragazzetti,  ritti  ac- 
canto al  babbo,  stavano  aspettando,  con  gli  occhi  fissi  al  paiolo, 


che  venisse  il  momento  di  scodellare.  Ma  non  e'  era  quell'  allegrìa  che 
la  vbta  del  desinare  suol  pur  dare  a  chi  se  l'è  meritato  con  la  fatica. 
La  mole  della  polenta  era  in  ragion  dell'  annata ,  e  non  del  numero 
e  della  buona  voglia  de'  commensali:  e  ognun  d'essi,  fissando,  con 
uno  sguardo  bieco  d'amor  rabbioso,  la  vivanda  comune,  pareva  pen- 
sare alla  porzione  d' appetito  ,  che  le  doveva  sopravvivere.  Mentre 
Renzo  barattava  i  saluti  con  la  famiglia,  Tonio  scodellò  la  polenta  sulla 
lafTerìa  dì  faggio,  che  slava  apparecchiata  a  riceverìa:  e  parve  una 
piccola  luna,  in  un  gran  cerchio  di  vapori.  Nondimeno  le  donne  dis- 
sero cortesemente  a  Renzo  :  «  volete  restar  servito  ?  »  comirfìtnento 
che  il  contadino  di  Lombardia ,  e  chi  sa  di  quant*  altri  paesi  !  non 
lascia  mai  di  fare  a  chi  lo  Irovi  a  mangiare,  quand'anche  questo 


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114  I  PROMESSI  SPOSI 

fosse  un  ricco  epulone  alzatosi  allora  da  tavola,  e  lui  fosse  all'ullìmo 
boccone. 

u  Vi  rinf^^o,»  rispose  Renzo:  «venivo  solamente  per  dire  una 
parolina  a  Tonio;  e,  se  vuoi,  Tonio,  per  non  disturbar  le  tue  donne, 
possiamo  andar  a  desinare  all'  osterìa,  e  lì  parleremo.  »  La  proposta  fu 
per  Tonio  tanto  più  gradita,  quanto  meno  aspettata  ;  e  le  donne,  e  anche 
i  bimbi  (giacché,  su  questa  materia,  princtpian  presto  a  ragionare)  non 
videro  mal  volentieri  che  si  sottraesse  alla  polenta  un  concorrente,  e 
il  più  formidabile.  L'invitato  non  islette  a  domandar  altro,  e  andò 
con  Renzo. 

Giunti  all'osteria  del  villaggio;  sedati,  con  tutta  libertà,  in  una  per- 
fetta sdiludine,  giacché  )a  miseria  aveva  divezzati  tutti  i  frequentatori 
di  quel  luogo  di  delizie;  fatto  portare  quel  poco  che  si  trovava;  volalo 
un  boccale  di  vino;  Renzo,  con  aria  di  mistero,  disse  a  Tonio:  o  se  tu 
vuoi  farmi  un  piccolo  servizio,  Ìo  te  ne  voglio  fare  uno  grande.  » 

f Parla,  parla;  comandami  pure,  n  rispose  Tonio,  mescendo.  fOggi 
mi  butterei  nel  fuoco  per  le.  » 

X  Tu  liai  un  debito  di  venticinque  lire  col  signor  curato,  per  fitto 
del  suo  campo,  che  lavoravi,  l'anno  passalo.  « 

u  Ah,  Renzo,  Renzo!  tu  mi  guasti  il  benefizio.  Con  che  cosa  mi 
vieni  fuori?  M'hai  fatto  andar  via  il  buon  umore.  » 

"  Se  ti  parlo  del  debito,  »  disse  Renzo,  u  é  perché,  se  tu  vuoi, 
io  intendo  di  darli  il  mezzo  di  pagarlo.  <> 

«  Dici  davvero?  " 

tt  Davvero.  Eh?  saresti  contento?  « 

"  Conlento?  Per  diana,  se  sarei  contento!  Se  non  foss' altro,  per 
non  veder  più  que'  versacci ,  e  que'  cenni  col  capo,  che  mi  fa  il  signin- 
curalo,  ogni  volta  che  e'  incontriamo.  E  poi  sempre:  Tonio,  ricorda- 
tevi: Tonio,  quando  ci  vediamo,  per  quel  negozio?  A  tal  segno  che 
quando,  nel  predicare,  mi  fìssa  quegli  occhi  addosso,  io  sto  quasi  in 
timore  che  abbia  a  dirmi,  lì  in  pubblico:  quelle  ventidoquc  lire!  Che 
maledette  ^ano  le  venticinque  lire!  E  poi,  m'  avrebbe  a  restituir  la 
collana  d' oro  di  mia  moglie,  che  la  baratterei  in  tanta  polenta.  Ma » 

u  Ma,  ma,  se  tu  mi  vuoi  fare  un  servìzìelto,  le  venticinque  lire 
son  preparate  " 

«  Di  su.  1 

u  Ma ....  !  »  disse  Renzo ,  mettendo  il  dito  alla  bocca. 

a  Fa  bistro  di  queste  cose?  tu  mi  conosci.  » 


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CAPITOtO  VI.  IK 

<•  U  ijtgnor  curato  va  cavando  fuori  certe  ragioni  senza  suj^,  per 
tirare  in  lungo  il  mio  niatriincmio;  e  io  in  vece  vorrei  spìeciaraii.  Mi 
tlicon  di  sicuro  che,  presenlandosegli  davanli  i  due  sposi,  con  due 
testimoni,  e  dicendo  io:  questa  è  mìa  moglie,  e  Lucia:  questo  è  mio 
marito,  il  matrimonio  è  bell'e  fatto.  M'hai  tu  inleso? 

u  Tu  vuoi  eh*  io  venga  per  lestimonio?  » 

"  Per  l'appunto,  n 

u  E  pagherai  per  me  le  venticinque  lli-e?  ^ 

"  Così  r  intendo.  » 

H  Birt>a  chi  manca.  » 

"  Ma  bisogna  trovare  un  altro  testimonio.  » 

u  L'ho  trovato.  Quél  sempliciollo  di  mio  fralel  GervaMt  fai-n  quello 
che  gli  dirò  io.  Tu  gli  pagherai  da  bere  ?  « 

u  E  da  mangiare,  »  rispose  Renzo,  u  Lo  condurremo  <|ui  a  slare 
allegro  con  noi.  Ma  saprà  fare?  n 

«  Gt'insegnerò  io:  tu  sai  bene  ch'io  ho  avuta  anche  la  sua  parie 
di  cer^'cllo.  " 

"  Dwnani  —  « 

>-  Bene,  n 

«  Verso  sera....  " 

^  Benone.  » 

"  Ma!..."  disse  Renzo,  mettendo  di  nuovo  il  dito  alhi  Loeca. 

"  Poh!...»  rispose  Tonio,  piegando  il  capo  sulla  spalla  destra,  e 
alzando  la  mano  sinistra,  con  un  viso  ette  diceva:  mi  foì  torlo. 


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Ito  I  PROMESSI  SPOSI 

«Ha,  se  tua  nu^ie  ti  domaDila,  come  ti  donuuiderà,  senza  dub- 
bio  

(«  Di  buffe,  sono  in  debito  io  con  ima  mo^ie,  e  tanto  tanto,  che 
non  so  se  arriverò  mai  a  saldare  il  conto.  Qualche  pastocchia  la  tro- 
verò, da  mellerle  il  cuore  in  pace.  » 

u  Domattina,  n  disse  Renzo,  «  discorreremo  con  pia  comodo,  per 
intenderei  bene  su  tutto,  n 

Con  questo,  uscirono  dall' osteria,  Tonio  avviandosi  a  casa,  e  stu- 
diando la  fandonia  che  racconterebbe  alle  donne,  e  Renzo  a  render 
conto  de'  concerti  presi. 

In  questo  tempo  Agnese,  s' era  anaticata  invano  a  persuader  la  fl- 
^iuola.  Questa  andava  opponendo  a  ogni  ripone,  ora  l'una,  ora 
l'altra  parte  del  suo  dilemma:  o  )a  cosa  è  calliva,  e  non  bisogna 
farla;  o  non  è,  e  perché  non  dirla  al  padre  Cristoforo? 

Renzo  arrivò  tutto  trionfante,  fece  il  suo  rapporto,  e  terminò  con 
un  ahn  1  interiezione  che  signilica  :  sono  o  non  sono  un  uomo  io  ?  si  po< 
leva  trovar  di  meglio?  vi  sarebbe  venula  in  mente?  e  cento  cose  simili. 

Lucia  tentennava  mollemente  il  capo;  ma  i  due  infervorati  le  bada- 
van  poco,  come  si  suol  fare  con  un  fanciullo^  al  quale  non  si  spera  di 
far  intendere  tutta  la  ragione  d'una  cosa,  e  che  s'indurrà  poi,  con 
le  pr^^ere  e  con  l'autorità,  a  ciò  che  si  vuol  da  lui. 

«Va  bene,  »  disse  Agnese:  «va  bene;  ma....  non  avete  pensalo 
a  tutto.  " 

"  Cosa  ci  manca  ?  »  rispose  Renzo. 

«  E  Perpetua?  non  avete  pensato  a  Perpetua.  Tonio  e  suo  fratel- 
lo ,  li  lascerà  entrare  ;  ma  voi  !  voi  due  !  pensate  !  avrà  ordine  di 
tenervi  lontani ,  più  che  un  ragazzo  da  un  pero  che  ha  le  frutte 
mature:  » 

"  Come  faremo?  "  disse  Renzo,  un  po'  imbrogliato. 

«  Ecco:  ci  ho  poisalo  io.  Verrò  io  con  voi;  e  ho  un  segreto  per 
attirarla,  e  per  incantarla  di  maniera  die  non  s'accorga  di  voi  altri,  e 
possiate  entrare.  La  diiamerò  io,  e  le  toccherò  una  corda. . .  vedrete." 

«  Renedetta  voi  !  »  esclamò  Renzo  :  u  l' ho  sempre  detto  che  siete 
nostro  aiuto  in  tutto.  " 

tt  Ma  tutto  questo  non  ser\'e  a  nulla,  •«  disse  Agnese,  «se  non  si 
persuade  costei,  che  si  ostina  a  dire  che  è  peccato." 

Renzo  mise  in  campo  anche  lui  la  sua  eloquenza;  ma  Lucìa  non  à 
lasciava  sraovere. 


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CAPITOLO  VI.  UT 

1  Io  DOn  90  che  rispondere  a  queste  vostre  ragioni,  »  diceva  :  «  ma 
■vedo  che,  per  far  questa  cosa,  come  dite  voi,  bisogna  andar  avanli  a 
furia  di  sotterfugi,  di  bugie,  di  finzioni.  Ah  Renzo!  non  abbiam  co- 
minciato così.  Io  voglio  esser  vostra  moglie,  »  e  non  c'era  verso  che 
potesse  proferir  quella  parola,  e  spiegar  quell'  intenzione,  senza  fare 
il  viso  rosso:  u  io  voglio  esser  vostra  moglie,  ma  per  la  strada  diritta, 
col  timor  di  Dio,  all'altare.  Lasciamo  fare  a  Quello  lassù.  Non  volete 
che  sappia  trovar  Lui  il  bandolo  d'aiutarci,  meglio  che  non  possiamo 
far  noi,  con  tutte  codeste  furberie  ì  E  perchè  tar  misteri  al  padre  Cri- 
stoforo? » 

La  disputa  durava  tuttavia,  e  non  pareva  vicina  a  finire,  quando 
nn  calpestio  aflrettalo  di  sandali,  e  un  rumore  di  tonaca  El)attuta, 
somigliante  a  quello  die  fanno  in  una  vela  allentata  i  soffi  ripetuti  del 
vailo,  annunziarono  il  padre  Cristoforo.  Si  chetaron  tutti;  e  Agnese 
eUw  appena  tempo  di  susurrare  all'  orecchio  di  Lucia  :  «  bada  bene , 
ve',  di  non  dirgli  nulla,  n 


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I  padre  Cristoforo  arrivava  nell'altitudine 
d'  un  buou  capitano  che ,  perduta,  senza 
sua  colpa,  una  ballaglia  importante  ,  af- 
flitto ma  non  scoraggilo,  sopra  pensiero 
ma  non  sbalordito,  di  corsa  e  non  in  fuga, 
si  porta  dove  il  bisogno  lo  chiede,  a  pre- 
munire i  luoghi  minacciati,  a  raccoglier 
le  truppe,  a  dar  nuovi  ordini. 
u  La  pace  sia  con  voi ,  »  disse,  nell'  entrare.  »  Non  c'è  nulla  da 
s|>erarc  dall'uomo:  tanto  più  bisogna  confidare  in  Dìo  :  e  già  ho  qual- 
che pegno  della  sua  protezione.  » 

Sebbene  nessuno  dei  tre  sperasse  nitrito  nel  tentativo  del  padre 
Cristoforo,  giacché  il  vedere  un  potente  ritirarsi  da  una  soverchie- 
ria, senza  esserci  costretto,  e  per  mera  condiscendenza  a  preghiere 
disarmate,  era  cosa  piuttosto  inaudita  che  rara;  nulladimeno  la  Irisla 
certezza  fu  un  colpo  per  tutti.  Le  donne  abbassarono  il  capo;  ma 
neir  animo  di  Renzo ,  l' ira  prevalse  all'  abbattimento.  Quell*  annunzio 
lo  trovava  già  amareggialo  da  tante  sorprese  dolorose,  da  tanti  ten- 
tativi andati  a  voto,  da  tante  speranze  deluse,  e,  per  di  più,  esacer- 
bato, in  quel  momento,  dalle  ripulse  di  Lucia. 


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CAPITOLO  vn.  Il» 

•■  Vorrei  sapere,  »  grida,  digrigRaodo  i  denti,  e  alzando  la  voce, 
quanto  noQ  aveva  mai  fiitlo  prima  d'  allora,  alla  presenza  del  padre 
Cristoforo;  u  vorrei  sapere  che  ragioni  ha  dette  quel  cane,  per  soste- 
nere . . .  per  sostenere  che  la  mia  sposa  non  dev'  essere  la  mia  sposa,  n 

«Povero  Renzo!»  rispose  il  frale,  con  una  voce  grave  e  pietosa, 
e  con  uno  sguardo  die  comandava  amorevolmente  la  pacatezza  :  u  so 
il  polente  che  vuol  commettere  l' ingiustizia  fosse  sempre  obbligato  n 
dir  le  sue  ragioni,  le  cose  non  anderdd>ero  come  vanno.  " 

«Ha  detto  dunque  quel  cane,  che  non  vuole,  perchè  non  vuole?» 

«  Non  Ila  detto  nemmen  questo,  povero  Renzol  Sarebbe  ancora 
un  vanlaggio  se ,  per  commetter  1'  iniquità ,  dovessero  confessarla 
apertamente.  » 

«  Ma  qualcosa  ha  dovuto  dire  :  cos'  ha  detto  quel  tizzone  d*  inferno  ì  » 

u  Le  sue  parole,  io  t'ho  sentite,  e  non  te  te  saprei  ripetere.  Le 
parole  dell'  iniquo  die  è  forte ,  penetrano  e  sfuggono.  Può  adirarsi 
die  tu  mostri  sospetto  di  lui,  e,  nello  stesso  tempo,  farti  sentire  che 
quello  dì  che  tu  sospetti  è  cerio:  può  insultare  e  chiamarsi  oReso, 
schernire  e  chieder  ragione,  atterrire  e  lagnarsi,  essere  sfacciato  e 
irreprensibUe.  Non  chieder  più  in  là.  Colui  non  ha  proferito  il  nome 
di  questa  innocente,  né  il  tuo,  non  ha  figurato  nemniM  di  conoscervi, 

non  ha  dello  di  pretender  nulla;  ma ma  por  troppo  ho  doluto 

intendere  eh'  è   irremovibile.   Nondimeno ,  confidenza  in  Dio  I  Voi , 

poverette,  non  vi  perdete  d'animo;  e  tu,  Renzo oh!  credi  pure, 

di' io  so  mettermi  ne'  tuoi  panni,  ch'io  sento  quello  che  passa  nel 
tuo  cuore,  Ma,  pazienza!  É  una  magra  parola,  una  parola  amara,  per 

chi  non  crede  ;  ma  tu !  non  vorrai  tu  concedere  a  Dìo  un  giorno, 

due  giorni,  il  tempo  che  vorrà  prendere,  per  fer  trionfare  la  giu- 
stizia ?  Il  tempo  è  suo;  e  ce  n'  ha  promesso  tanto  1  Lasda  fare  a  Lui , 

Reozo  ;  e  sappi sappiate  tutti  eh'  io  ho  {pà  in  mano  un  filo , 

per  aiutarvi.  Per  ora,  non  posso  dirvi  di  più.  Domani  io  ncm  verrò 
quassù;  devo  stare  al  convento  tutto  il  giorno,  per  voi.  Tu,  Renzo, 
procura  di  venirci:  o  se,  per  caso  impensato,  tu  non  potessi,  mandate 
un  uomo  Sdato,  un  garzonodlo  di  giudizio,  per  mezzo  del  quale  io 
possa  farvi  sapere  qudlo  che  occorrerà.  Si  fa  buio;  bisogna  eh'  io 
corra  al  convento.  Fede,  coraggio;  e  addio.  » 

Detlo  questo,  usd  in  frelta,  e  se  n'andò,  correndo,  e  quasi  sal- 
telloni, giù  per  quella  viottola  storta  e  sassosa,  per  non  arrivar  tardi 
al  convento,  a  rischio  di  buscarsi  una  buona  sgridala,  o  quel  die  gli 


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IBO  I  PROUESSI  SPOSI 

sarebbe  pesalo  ancor  più,  una  penitenza,  che  gP impedisse,  il  giorno 
dopo ,  di  trovarsi  pronto  e  spedilo  a  ciò  die  potesse  ricliiedcrc  il 
bis«^o  de'  suoi  prolelli. 

«Avete  sentito  cos'ha  detto  d'un  non  so  che....  d'un  filo  che  ha, 
per  aiutarci?  »  disse  Lucia.  «  Gonvien  fidar»  a  lui;  è  un  uomo  ehe, 
quando  promette  dieci « 

«  Se  non  t^é  altro  ....!  «  interruppe  Agnese.  «  Avrebbe  dovuto  par- 
lar più  chiaro,  o  chiamar  me  da  una  parte,  e  dirmi  cosa  sia  questo...» 

«  Ghiacdiiere!  la  finirò  io:  io  la  finirò!"  interruppe  Renzo, questa 
volta,  andando  in  su  e  in  giù  per  la  stanza,  e  con  una  voce,  con  un 
viso,  da  non  lasciar  dubbio  su)  senso  di  quelle  parole. 

"  Oh  Renzo!  »  esclamò  Lucia. 

H  Cosa  volete  dire?  «  esdamò  Agnese. 

u  Che  biseco  e'  è  di  dire?  La  finirò  io.  AU>ia  pur  cento,  mille 
diavoli  neir  anima,  finalmente  è  di  carne  e  ossa  ànelte  lai n 

u  No,  no,  per  amor  del  delo [  »  cominciò  Lucia;  ma  il  pianto 

le  troncò  la  voce. 

«  Non  son  discorsi  da  tarsi,  neppur  per  burla,  »  disse  Agnese. 

u  Per  buria?  n  gridò  Renzo,  fermandosi  ritto  in  Tacda  ad  Agnese 
seduta,  e  piantandfde  in  laccia  due  occhi  stralunati,  u  Per  burla!  ve- 
drete se  sarà  burla.  » 

"  Oh  Renzo  !  »  disse  Lucia,  a  st^to,  tra  i  singhiozzi:  ^  non  v'  Ito 
mai  visto  cosi.  » 

«  Non  dite  queste  cose,  per  amor  del  cielo,  n  riprese  ancora  in 
Tretta  Agnese,  abbassando  la  voce.  «  Non  vi  ricordale  quante  bntc- 

da  ba  al  suo  comando  colui?  £  quand'anche Dio  libm!...  contro 

i  poveri  e'  è  sempre  giustizia.  »> 

«  La  forò  io,  la  giustitia,  io!  È  ormai  tempo.  La  cosa  non  è  faeile: 
lo  so  anch'  io.  Si  guarda  bene ,  il  cane  assassino  :  sa  come  sta  ;  ma 
nrni  importa.  Risoluzione  e  pazienza ....  e  il  momento  arriva.  Si,  la 
brò  io,  la  giustizia:  lo  libererò  io,  il  paese:  quanta  gente  mi  benedi- 
rà....! e  poi  in  tre  salti....!  « 

L'orrore  che  Luda  senti  di  queste  più  chiare  parole,  le  sospese  il 
pianto,  e  le  diede  forza  di  parlare.  Levando  Mìe  palme  il  viso  !»• 
grimoso,  disse  a  Renzo,  con  voce  accorata,  ma  risoluta:  -  non  v'  im- 
pwta  più  dunque  d'avermi  per  moglie.  Io  m'era  promessa  a  un  gio- 
vine che  aveva  il  timor  di  Dio;  ma  un  uomo  che  avesse....  Fosse  al 
«euro  d'ogni  {pustizia  e  d'ogni  vendetta,  foss' anche  il  figlio  del  re...." 


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CAPITOLO  Vir.  HI 

"  E  benei  n  gridò  Renzo,  con  un  viso  più  che  mai  stravollo: 
B  io  non  v'avrò;  ma  non  v'avrà  né  anche  luì.  lo  qui  senza  di  voi, 
e  lui  a  casa  del ... .  » 

"  Ah  no!  per  cariU,  non  dite  così,  non  fate  quegli  occhi:  no, 
non  posso  vedervi  cosi,  n  esclamò  Lucia,  piangendo,  supplicando,  con 
le  mani  giunte;  mentre  Agnese  chiamava  e  richiamava  il  giovine  per 
nome,  e  gli  palpava  le  spalle,  te  braccia,  le  mani,  per  acquietarlo. 
Stette  egli  immobile  e  pensieroso,  qualche  tempo,  a  contemplar  quella 
taccia  supplichevole  dì  Lucia;  poi,  tult'a  un  tratto,  la  guardò  torvo, 
diede  addietro,  lese  il  braccio  e  l'indice  verso  di  essa,  e  gridò: 
"  questa!  si  questa  ^li  vuole.  Ha  da  morire!  » 

"E  io  che  male  v'ho  Tatto,  perchè  mi  facciale  morire?»  disse  Lu- 
cia, buttandosegli  inginoct^ioni  davanti. 


-  Voi!  "  rispose,  con  una  voce  eh'  esprimeva  un'ira  ben  diversa, 
ma  un'ira  tuttavia:  «  voi!  Che  bene  mi  volete  voi?  Che  prova  m'  a- 
vele  data?  Non  v'ho  io  pregala,  e  pregala,  e  pregata?  E  voi:  no!  no!  » 

u  Si  si,  1  rispose  precipitosamente  Lucia  :  ••  verrò  dal  curalo,  doma- 
ni, ora,  se  volete;  verrò.  Tornate  quello  di  prima;  verrò.  " 

«  Me  lo  promettete?  «  disse  Renzo,  con  una  voce  e  con  un  viso 
divenuto,  lutt'a  un  tratto,  più  umano. 

u  Ve  lo  prometto.  » 

«  Me  l'avete  promesso.  » 

«  Sipiore,  vi  ringrazio!  «  esclamò  Agnese,  doppiamente  conlenla. 


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Ili  I  PROMESSI  SPOSI 

In  mezzo  a  quella  sua  gran  collera ,  aveva  Renzo  pensalo  di  che  pro- 
fitto poleva  esser  per  lui  lo  spavento  di  Lucia?  E  non  aveva  adope- 
rato un  po'  d'  artifizio  a  farlo  crescere,  per  farlo  fruttare?  11  nostro 
autore  protesta  di  non  ne  saper  nulla;  e  Ìo  credo  che  nemmea  Renzo 
non  lo  sapesse  bene.  Il  latto  sta  eh'  era  realmente  infuriato  contro 
don  Rodr^;o,  e  che  bramava  ardentemente  il  consenso  di  Lucia;  e 
quando  due  forti  passioni  schiamazzano  insieme  nel  cuor  d'un  uomo, 
nessuno,  neppure  il  paziente,  può  sempre  distinguer  chiaramente 
una  voce  dall'  altra,  e  dir  con  sicurezza  qual  sia  quella  che  predomini. 

«  Ve  l'ho  promesso,  ■  rispose  Lucia,  con  un  tono  di  rimprovero 
timido  e  affettuoso:  «  ma  anche  voi  avevate  promesso  di  non  lare 
scandoli ,  di  rimettervene  al  padre  ....  » 

e  Oh  via!  per  amor  dì  clii  vado  in  furia?  Volete  tornare  iniiietro, 
ora?  e  farmi  fare  uno  sproposito?  n 

u  No  no,  »  disse  Lucia,  cominciando  a  rispaventarsi.  «  Ho  promesso, 
e  non  mi  ritiro.  Ma  vedete  voi  come  mi  avete  fatto  promettere.  Dio 
non  voglia  . . . .  " 

"  Perche  volete  far  de'  eattivi  augùri,  Lucia?  Dio  sa  che  non  tao- 
ciam  male  a  nessuno,  n 

u  Promettetemi  aJmeno  che  questa  sarà  l' ultima.  " 

u  Ve  lo  prometto,  da  povero  figliuolo.  " 

"  Ma,  questa  volta,  mantenete  poi,  »  disse  Agnese. 

Qui  r  autore  confessa  di  non  sapere  mi'  altra  cosa:  se  Lucia  fosse, 
in  tutto  e  per  lutto ,  mdcontenta  d'essere  stata  spinta  ad  aceonsen- 
lire.  Noi  lasciamo,  come  luì,  la  cosa  in  duM>io. 

Renzo  avrebbe  voluto  prolungare  il  discorso,  e  fissare,  a  parte  a 
parte,  quello  che  si  doveva  fare  il  gionio  dopo;  ma  era  già  notte,  e 
le  donne  gHel'augurarMio  buona]  non  parendo  loro  cosa  conveniente 
che ,  a  queir  ora ,  d  trattenesse  più  a  lungo. 

La  notte  perà  fu  a  lutt'  e  tre  così  buona  come  può  essere  quella 
cbe  succede  a  un  giorno  pieno  d' agìlazÌ(Mie  e  di  guai,  e  che  ne  pre- 
cede uno  destinato  a  un'  impresa  importante ,  e  d' esito  incerto.  Renzo 
si  lasciò  veder  di  buon'  ora,  e  concertò  con  le  donne ,  o  piuttosto  con 
Agnese,  la  grand' operaatHie  della  sera,  proponendo  e  sciogliendo  a 
vicenda  diffictJtà,  antivedendo  contrattempi,  e  rioorainctando,  ora  l'uno 
ora  l'altra,  a  descriver  la  faccenda,  come  si  racconterebbe  una  cosa 
fatta.  Lucia  ascoltava;e,  senza  approvar  con  panrie  ciò  che  non  poteva 
approvare  in  cuor  suo,  prometteva  di  far  meglio  che  saprebbe. 


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CAPITOLO  vri.  <«1 

u  Anelerete  voi  giù  al  convenlo,  per  pariare  al  padre  Cristororo, 
come  v'ha  detta  ier  sera?  »  domandò  Agnese  a  Renzo. 

u  Le  zucche  !  n  rispose  questo  :  «  sapete  che  diavoli  d'occhi  ha  il  pa- 
dre :  mi  leggerebbe  in  viso ,  come  sur  un  libro ,  che  e'  è  qualcosa 
per  aria;  e  se  cominciasse  a  Ianni  dell'interrogazioni,  non  potrei 
uscirne  a  bene.  E  poi,  io  devo  star  qui,  per  accudire  all'  affare.  Sarà 
ntef!^io  che  mandiate  voi  qualcheduno.» 

u  Manderò  Menico.  » 

"  Va  l)ene,  -.  rispose  Renzo;  e  parti,  per  accudire  all'affare,  come 
aveva  detto, 

Agnese  andò  a  una  casa  vicina,  a  cercar  Menico,  eh'  era  un  ragaz- 
zetto di  circa  dodici  anni,  sveglio  la  sua  parie,  e  che,  per  via  di  cugini 
e  di  cognati,  veniva  a  essere  un  po'  suo  nipote.  Lo  chiese  ai  pa- 
renti, come  in  prestilo,  per  tutto  quel  giorno,  »  per  un  certo  servi- 
zio, n  diceva.  Avutolo,  Io  condusse  nella  sua  cucina,  gli  diede  da 
colazione,  e  gli  disse  che  andasse  a  Pescarenico,  e  si  facesse  vedere  al 
padre  Cristoforo,  il  quale  lo  rimanderebbe  poi,  con  una  risposta,  quando 
sarebbe  tempo.  "  U  padre  Cristoforo ,  quel  bel  vecchio,  tu  sai,  con  la 
barba  bianca,  quello  che  chiamano  il  santo ..." 

"  Ho  capito,  »  disse  Menico  ;  "  quello  che  ci  accarezza  sempre,  noi 
altri  ragazzi,  e  ci  dà,  ogni  tanto,  qualche  santino.  " 

u  Appunto,  Menico.  E  se  li  dirà  che  tu  aspetti  qualche  poco,  li  vh 
ciiio  al  convento,  non  ti  sviare:  bada  di  non  andar,  con  de' compa- 
gni, al  lago,  a  veder  pescare,  né  a  divertirti  vaa  le  reti  attaccale  al 
muro  ad  asciugare,  né  a  far  quell'altro  tuo  giochetto  solito...." 

Bisogna  saper  che  Menico  era  bravissimo  per  fare  a  rimbalzalo; 


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,,4  t  PROMESSI  SPOSI 

e  si  sa  che  tulli,  grandi  e  piccoli,  faeciam  volentieri  le  cose  atte  quali 
abbiamo  abilità:  non  dico  quelle  sole. 

u  Pob!  zia;  non  son  poi  un  ragazzo.  » 

uBene,  abbi  giudizio;  e,  quando  tornerai  con  la  risposta ...  guarda  ; 
queste  due  belle  parpagliole  nuove  son  per  te.  " 

t.  Datemele  ora ,  eh'  è  lo  slesso.  « 

"  No,  no,  lu  le  giocheresti.  Va,  e  portali  bene;  che  n'  avrai  an- 
che di  più.  " 

Nel  rimanente  di  qoella  lunga  mattinata,  si  videro  certe  novità  che 
misero  non  poco  in  sospetto  1"  animo  già  conturbalo  delle  donne.  Un 
mendico,  ne  rifinito  né  cencioso  come  i  suoi  pari,  e  con  un  non  so 
che  d'  oscuro  e  di  sinistro  nel  semWanle,  entrò  a  chieder  la  carità, 
dando  in  qua  e  in  là  cert' occhiate  da  spione.  Gli  fii  dato  un  pezzo  di 
pane,  che  ricevetle  e  ripose,  con  un'  indìflercnza  mal  dissimulala. 


Si  Iraltoine  poi,  con  una  certa  sfacciaUggine ,  e,  nello  slesso  tempo, 
con  esitazione,  facendo  molte  domande,  alle  quali  Agnese  s'affrettò  di 
risponder  sempre  il  contrario  di  quello  che  era.  Movendosi,  come  per 
andar  via,  finse  di  sbagliar  1'  uscio,  entrò  in  quello  che  metteva  alla 
scala,  e  li  diede  un'altra  occhbta  in  fretta,  come  potè.  Gridatf^li 
dietro:  u  ehi  ehi!  dove  andate  galantuomo?  di  qua!  dì  qua!  "  tornò 
indietro,  e  uscì  dalla  parie  che  gli  veniva  indicala,  scusandosi,  con  una 
sommissione ,  con  un'  umiltà  affettata ,  che  stentava  a  collocarsi  nei 


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CAPITOLO  Vn.  ISK 

lineamenti  duri  di  quella  fÌEiccia.  Dopo  costai,  continuarono  a  farà  ve- 
dere, di  tempo  in  tempo,  altre  strane  figure.  €be  razza  d'uomini  fos- 
sero, non  si  sarebbe  potuto  dir  fadlmente;  ma  non  si  poteva  creder 
neppure  che  fossero  quegli  onesti  viandanti  che  volevan  parere.  Uno 
entrava  col  pretesto  di  farsi  insegnar  la  strada;  altri,  passaodo  da- 
vanti alf  uscio,  rallentavano  il  passo,  e  guardavan  sott'  occhio  nella 
stanza,  a  traverso  il  cortile,  come  chi  vuol  vedere  senza  dar  sospetto. 
Finalmente,  verso  il  mezzogiorno,  quella  fastidiosa  processione  fini. 
Agnese  s'alzava  ogni  tanto,  attraversava  il  cortile,  s'afTacciava  all'u- 
scio di  strada,  guardava  a  destra  e  a  sinistra,  e  tornava  dicendo: 
"  nessuno:  «  parola  che  proferiva  con  piacere,  e  che  Lucia  con  pia- 
cere sentiva,  senza  che  né  l'una  né  1'  altra  ne  sapessero  ben  chiara- 
mente il  perchè.  Ma  ne  rimase  a  tutt'  e  due  una  noo  so  quale  inquie- 
tudine, che  levò  loro,  e  alla  figliuola  principalmente,  una  gran  parte 
del  coraggio  che  avevan  messo  in  serbo  per  la  sera. 

Convien  però  che  il  lettore  sappia  qu^cosa  di  più  preeiso,  intorno 
a  qne'  ronzatori  misteriosi:  e,  per  informarlo  di  tutto,  dobbiam  tor- 
nare un  passo  indietro,  e  ritrovar  don  Rodrigo,  che  aUiiam  lasciato 
ieri,  solo  in  una  sala  del  suo  palazzotto,  al  partir  del  padre  Cristoforo. 

Don  Rodrigo,  come  àbbiam  detto,  misurava  innanzi  e  indietro,  a 
passi  lunghi,  quella  sala,  dalle  pareti  della  quale  pendevano  ritratti 
di  famiglia,  di  varie  generazioni.  Quando  si  trovava  col  viso  a  un» 
parete,  e  voltava,  si  vedeva  in  faccia  un  suo  antenato  guerriero, 


terrore  de' nemici  e  de' suoi  soldati,  torvo  nella  guardatura,  co'capelli 
corti  e  ritti,  co'  baffi  tirati  e  a  punta,  che  sporgevan  dalle  guance. 


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IS«  I  PHOMESSI  SPOSI 

col  mento  obliquo:  ritto  in  piedi  l'eroe,  con  le  gambiere,  co'  cosciali, 
con  la  corazza,  co'  bracciali,  co'  guanti,  tutto  di  ferro;  con  la  destra 
sul  fianco,  e  la  sinistra  sul  pomo  della  ^Nida.  Don  Rodrigo  lo  guardava  ; 
e  quando  gli  era  arrivato  sotto,  e  voltava,  ecco  in  faccia  un  altro  ante- 
nato, magistrato,  terrore  de' litiganti  e  degli  avvocati,  a  sedere  sur 
una  gran  seggiola  coperta  di  velluto  rosso,  ravvolto  in  un'ampia  Ioga 
nera;  tutto  nero,  fuorché  un  collare  bianco,  con  due  larghe  facciole, 
e  una  fodera  di  zibellino  arrovesciata  (  era  il  distintivo  de'  senatori, 
e  non  lo  portavan  che  l'inverno,  ragion  per  cui  non  si  troverà  mai 
un  ritratto  di  senatore  vestito  d'  estate);  macilento,  con  le  ciglia  ag- 
grottato :  teneva  in  mano  una  supplica,  e  pareva  che  dicesse:  vedremo. 


Di  qua  una  matrona,  terrore  delle  sue  cameriere  ;  di  là  un  aliale,  (er- 
rore de'  suoi  monaci:  tutta  gente  in  somma  che  aveva  fallo  terrore, 


^ 


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CAPITOLO  VU.  It7 

e  Io  spirava  ancora  dalle  lele.  Alla  [H'esenia  di  tali  memorie ,  don 
Rodrigo  tanto  più  s'  arrovellava ,  sì  vergognava ,  non  poteva  darsi 
pace,  che  un  frate  avesse  osato  venirgli  addosso,  eoo  la  prosopopea  di 
Nalban.  Formava  un  disegno  di  vendetta,  l'abbandonava,  pensava 
come  soddisfare  insieme  alla  passione ,  e  a  ciò  che  chiamava  onore  ; 
e  talvolta  (  vedete  un  poco  !  )  sentendosi  fischiare  ancora  agji  orecchi 
quell'esordio  di  profezia,  si  sentiva  venir,  come  si  dice,  i  bordoni, 
e  stava  quasi  per  deporre  il  pensiero  delle  due  soddisfazioni.  Final- 
mente, per  far  qualche  cosa,  chiamò  un  servitore,  e  gli  ordinò  che  lo 
scusasse  con  la  compagnia,  dicendo  eh'  era  trattenuto  da  un  affare  ur- 
gente. Quando  quello  tornò  a  ritmre  dte  que'signori  eran  partiti, 
lasciando  ì  loro  rispetti:  «  e  il  conte  Attilio?  •»  domandò,  sempre 
camminando,  don  Rodrigo. 

v  É  uscito  con  que'  signori,  illustrìssimo.  " 

«  Bene  :  sei  persone  di  seguito,  per  la  passq^iala  :  subito.  La  spada, 
la  cappa,  il  cappello:  subilo.  » 

Il  servitore  partì,  rispiHidendo  con  un  inchino;  e,  poco  dopo,  tornò, 
portando  la  ricca  spada,  che  il  padrone  si  cìnse;  la  cappa,  che  si 
buttò  sulle  spalle;  il  cappello  a  gran  penne,  che  mise  e  indiiodò,  con 
una  manata,  fieramente  sul  capo:  segno  dì  marina  toiitìda.  Si  mosse, 
e,  alla  porta,  trovò  ì  sei  ribaldi  tutti  annali,  i  quali,  follo  ala,  e  inchi< 
natolo,  gli  andaron  dietro.  Più  burbero,  più  superbioso,  più  accigliato 
del  solito,  usd,  e  andò  passeggiando  verso  Lecco.  I  conladini,  gli  ai^ 
ligiani,  al  vederla  venire,  si  ritiravan  rasente  al  muro,  e  di  li  fo- 
cevacw  scappeUate  e  inchini  profondi ,  ai  quali  non  rispondeva.  Grane 
inferiori,  l'inchinavano  anche  quelli  che  da  questi  eran  detti  signori; 
che,  in  que'  contorni,  non  ce  n'  era  uno  che  potesse,  a  mille  mi- 
glia, competer  con  lui,  di  nome,  di  ricchezze,  d'aderenze  e  ddla  vo- 
glia di  servirsi  di  tulio  ciò,  per  islare  al  dì  s(^ra  definì  altri.  E  a  que- 
sti corrispondeva  con  una  degnazione  contegnosa.  Quel  giorno  non 
avvenne,  ma  quando  avveniva  che  s'incontrasse  col  signor  castellano 
spagnolo,  l'inchino  allora  era  ugualmenle  profondo  dalle  due  parti; 
la  cosa  era  come  Ira  due  potentati ,  i  quali  non  abbiano  nulla  da 
spartire  tra  loro;  ma,  per  convenienza,  fanno  onore  al  grado  1'  uno 
ddl' altro.  Per  passare  un  poco  la  mattana,  e  per  contrapporre  al- 
l'immagine del  frale  die  gli  assediava  la  fantasia,  inmiagini  in  lutto 
diverse,  don  Rodrigo  entrò,  quel  giorno,  in  una  casa,  dove  andava,  per  il 
solito,  molla  goite,  e  dove  fu  ricevuto  eoo  qudla  cordialità  affaccendata 


Digitizf^riiiyGoOgle 


Ita  1  PROMESSI  SPOSI 

c  rispettosa,  eh'  è  riserbata  agli  uomini  che  si  fanno  molto  amare  o  mollo 
lemere;  e,  a  notte  già  fatta,  tornò  al  suo  palazzotto.  D  conte  Attilio 
era  anche  lui  tornalo  in  quel  momento;  e  fu  messa  in  tavtria  la  cena, 
durante  la  quale,  don  Rodrigo  fu  sempre  sopra  pensiero ,  e  parìò  poco. 

«  Cugino,  quando  pagate  questa  scommessaci'  disse,  con  un  fare 
di  malizia  e  di  stremo,  il  conte  Attilio,  appena  sparecchialo,  e  andati 
via  i  servitori. 

«  San  Martino  n<Mi  è  aneor  passato.  » 

«  Tant'è  che  la  paghiate  suIhIo;  perchè  passeranno  tutti  i  santi 
del  lunario ,  prima  die ..." 

-  Questo  è  quel  che  si  vedrà.  » 

u  Cugino,  voi  volete  lare  il  politico;  ma  io  ho  capito  lutto,  e  son 
tanto  cerio  d'aver  vinta  la  scmnmessa,  che  son  pronto  a  Utrae  un' 
altra.  " 

u  Sentiamo.  » 

u  Che  il  padre Il  padre che  so  io?  quel  frale  in  somma 

v'ha  convertilo.  « 

«  Elcoone  un'altra  delle  vostre.  " 

"  Converlrto,  cibino;  convertilo,  vi  dico,  lo  per  me,  ne  godo.  Sa- 
jiele  che  sarà  un  bello  spettacolo  vedervi  tutto  compunto,  e  eoa  gli 
occhi  bassi  !  E  che  gloria  per  quel  padre  !  Come  sarà  tornato  a  casa 
gonfio  e  pettoruto!  Non  son  pesci  che  si  pigino  tutti  i  giorni,  né  cou 
tutte  le  reti.  Siale  cerio  che  vi  porterà  per  esempio;  e,  quando  anderà 
a  far  qualche  missitMie  un  po'  lontano,  parìerà  de'  fatti  vostri.  Mi  par 
di  sealirlo.  n  E  qui ,  parìando  col  naso ,  e  acc(Hnpa{pMndo  le  parole 
con  gesti  caricati ,  continuò,  in  tono  di  predica:  «  in  una  parte  di 
questo  mondo,  che,  per  degni  ri^)eUÌ,  non  nomino,  viveva,  uditori 
carissimi,  e  vive  tuttavia,  un  cavaliere  scapestrato,  amico  più  delle 
h»ninine,  che  degli  uomini  dabbene,  il  quale,  avvezzo  a  lar  d*  ogni 
erba  un  fascio,  aveva  messo  gli  occhi  ....•> 

«  Basta,  basla,  i  interruppe  don  Rodrigo,  mezzo sogf^i^ando,  e 
mezzo  annoiato.  "  Se  volete  raildoppiar  la  scommessa,  son  pronto 
anch'  io.  " 

"  Diavolo!  che  aveste  voi  convertito  il  padre!  » 

»  Non  mi  parlate  di  colui  :  e  in  quanto  alia  scommessa ,  san  lUarlino 
deciderà.  «  La  curiosità  dd  cernie  era  stuzzicala  ;  non  gli  rispannìò  inter- 
rogazioni, ma  don  Rodrigo  le  seppe  eluder  tutte,  rimettendosi  sem- 
pre al  giorno  della  decisione,  e  rum  volendo  ccnnunicare  alla  parie 


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CAPITOLO  vn. 


[Ili  ebe  noli  erano 


'.  assdiudimeiilu 


avversa  » 
fisaati. 

La  niattiita  seguente,  don  Rodrigo  si  desiò  don  Rodrigo.  L'appren- 
sioiie  die  quel  verri  un  gi'onio  gli  aveva  messa  in  eoFpo,  era  svanita 
dd  iDtIo,  co'sogni  della  noUe;egli  rimaneva  la  raUiia  sola,  esacerbala 
»icbe  dalla  vergogna  di  quella  debolezza  passe^iera.  L' immagini  più 
recenti  della  passef^iata  trionfale,  degi'  inchini,  dell'accoglienze,  e  il 
canzonare  del  cugino,  avevano  contribuito  non  poco  a  rendergli  1'  a- 
nimo  antico.  Appena  alzato,  fece  chiamape  il  Griso.  —  Cose  grosse, 
—  disse  tra  sé  il  servitore  a  cui  fu  dato  l'ordine;  perché  l'uomo  die 
aveva  quel  soprannome,  non  era  niente  meno  che  il  capo  de'  bravi, 
quello  a  cui  s'imponevano  te  imprese  più  rischiose  e  più  inique,  il 
fidatissimo  del  padrone,  1'  uomo  lutto  suo,  per  gratitudine  e  per  in- 
teresse. Dopo  aver  ammazzato  uno,  di  giomo,  in  piazza,  era  andato 
ad  implorar  la  protezione  di  don  Rodrigo;  e  questo,  vestendolo  della 
sua  livrea,  l'aveva  messo  al  coperto  da  ogni  ricerca  della  giustizia. 
Cosi,  impegnandosi  a  ogni  delitto  che  gli  venisse  comandato,  colui  si 
era  assicurala  l'impunità  del  primo.  Per  don  Rodrigo,  l'acquisto  non 
era  stato  dì  poca  importanza;  perchè  il  Griso,  oltre  all'essere,  senza 
paragone,  il  più  valente  della  famiglia,  era  anche  una  prova  di  ciò  che 
il  suo  padrone  aveva  potuto  attentar  felicemente  contro  le  leggi  ;  di 
modo  che  la  sua  potenza  ne  veni\'a  ingrandita,  nel  fallo  e  nell'  opi- 
nione. 

«  Griso!  n  disse  don  Rodrigo:  »  in  questa  congiuntura,  si  vedrà 
<|uel  che  tu  vali.  Prima  di  domani,  quella  Lucia  deve  trovarsi  in 
questo  palazzo.  » 

«  Non  si  dirà  mai  che  il  Griso  si  sia  ritirato  da  un  comando  del- 
l'illustrìssimo signor  padrone.  » 

«  Piglia  quanti  uomini  ti  possono  bisognare,  ordina  e  disponi,  come 
lì  par  meglio;  purché  la  cosa  riesca  a  bnon  fine.  Ma  bada  sopra  tutto, 
die  non  le  sia  fatto  male,  r 

"  Signore,  un  po'  di  spavento,  perchè  la  non  faccia  troppo  stre- 
pito  non  si  potrà  fer  di  meno.  » 

«  Spavento....  capisco....  è  inevitabile.  Ma  non  le  si  torca  un  ca- 
pello; e  sopra  lutto, le  si  porli  rispetto  in  ogni  maniera.  Hai  inteso?» 

«  Signore,  non  si  può  levare  un  fiore  dalla  pianta,  e  portarlo  a 
vossignoria ,  senza  toccarlo.  Ma  non  si  farà  die  il  puro  necessario.  » 

"  Sotto  la  tua  sicurtà.  E come  forai?  " 


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I  imuuKssi  SPOSI 


uCi  slavo  pensando,  signore.  Siam  fortunati  che  la  casa  é  in  fondo 
al  paese.  Abbiam  bisogno  d'  un  luogo  per  andarci  a  poslare  :  e  ap- 
punto c'è,  poco  disiarne  di  là,  quel  casolare  disabitato  e  solo,  in 
mezzo  ai  campi,  quella  casa...  vossignoria  non  saprà  niente  di  queste 
4>osc...  una  casa  che  bruciti,  |Kichi  anni  sono,  e  non  hanno  avuto  da- 
nari  da  riattarla,  e  l'hanno  abbandonala,  e  ora  ei  vaimo  le  streghe: 


ma  non  è  sabato,  e  me  ne  rido.  Questi  villani,  clic  son  pieni  d'uM)ie, 
non  ci  bazxicherebbero,  in  nessuna  notte  ddla  scltimana,  per  tutto 
l'oro  del  mondo:  sicdic  possiamo  andare  a  fermarci  là,  con  sicurezza 
die  lìessnno  verrà  a  guastare  i  fatti  nostri.  " 

«  Va  bene?  e  poi?  n 

Qui,  il  Griso  a  proporre,  don  Rodrigo  a  discutere,  finché  d' accordo 
ebbero  concertala  la  maniera  di  condurre  a  fine  l'impresa,  senza  che 
rimanesse  traccia  degli  autori ,  la  maniera  anche  di  rivolgere ,  con 
falsi  indizi ,  i  sospetti  altrove,  d' impor  silenzio  ^la  povera  Agnese, 
ti'  incutere  a  Renio  tale  spavento,  da  fargli  passare  il  dolore,  e  il  pen- 
siero di  ricorrere  alla  giustizia,  e  anclie  la  volontà  di  lagnarsi;  e  tutte 
r  altre  briocoiicrie  necessarie  alla  riuscita  della  bricconerìa  princi|>ale. 
Noi  lral%iciamo  di  riferir  que' concerti,  perche,  come  il  lettore  vedrà. 
non  son  necessari  all'intelligenza  della  storia;  e  siam  eonleiili  anclic  noi 
ili  non  doverlo  trattener  più  lungamente  a  sentir  pai'Iuuienlare  que'dui- 
faslitliosi  ribiildi.  .Basta  clic,  inenliv  il  tìrìso  so  n'  andava,  (ter  nieitcr 


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CAPITOLO  VII.  131 

mano  all'esectizioiic,  don  Rodrigo  (o  riciiiainò,  e  gli  disse:  «  svìiti: 
se  per  caso,  quel  tanghero  temerario  vi  desse  nell'  unghie  questa  sera, 
non  sarà  male  che  gli  sia  dato  anticipatamente  mi  buon  ricordo  sulle 
spaile.  Così,  l' ordine  che  gli  verrà  intimato  domani  di  stare  zillo,  farà 
più  sicurainenlc  1'  effetto.  Ma  non  l'andate  a  cercare,  per  non  gua- 
stare quetto  cbe  pi»  importa:  tu  m'hai  inteso.  » 

u  Lasci  fare  a  me,  »  rispose  il  Griso,  inchinandosi,  con  un  atto 
d'ossequio  e  di  millanteria;  e  se  n'andò.  La  mattina  fu  spesa  in  giri, 
per  riconoscere  il  paese.  Quel  falso  pezzente  che  s'  era  inoltrato  a 
quel  modo  nella  )>overa  casetta,  non  era  altro  cbe  il  Griso,  il  quale 
veniva  per  levarne  a  occhio  la  pianta:  i  falsi  viandanti  eran  suoi  ri- 
baldi, ai  quali,  per  operare  sotto  i  suoi  ordini,  bastava  una  cognizione 
più  superficiale  del  luogo.  E,  fatta  la  scoperta,  non  s'eran  più  lasciati 
vedere,  per  non  dar  troppo  sospetto. 

Tornati  che  furon  tutti  al  palazzotto,  il  Griso  rese  conto,  e  (issò 
definitivamente  il  disegno  dell'impresa;  assegnò  le  parti,  diede  istru- 
zioni. Tutto  ciò  iMHi  si  potè  fare,  senza  cbe  quel  vecchio  ser\'itore,  il 
quale  stava  a  occbi  aperti,  e  a  orecchi  lesi,  s'  accorgesse  che  qualche 
gran  cosa  si  macchinava.  A  forza  di  stare  attento  e  di  domandare: 
accattando  una  mezza  notizia  di  qua,  una  mezza  di  là,  commentando 
tra  sé  una  parola  oscura,  interpretando  un  andare  misterioso,  tanto 
lece,  che  venne  in  chiaro  di  ciò  che  si  doveva  eseguir  quella  notte. 
Ma  quando  ci  fu  riuscito,  essa  era  già  poco  lontana,  e  già  una  pic- 
cola vanguardia  di  bravi  era  andata  a  imboscarsi  in  quel  casolare 
diroccato.  11  povero  veediio,  quantunque  sentisse  bene  a  che  rischioso 
giuoco  giocava,  e  avesse  anche  paura  di  portare  il  soccorso  di  Pisa, 
pure  non  volle  mancare:  usci,  con  la  scusa  di  prendere  un  po'  d'aria, 
e  s'incamminò  in  fretta  in  fretta  al  convento,  per  dare  al  padre  Cri- 
stt^òro  l'avviso  promesso.  Poco  dopo,  «  mossero  gli  altri  bravi,  e  disce- 
sero spicdolati,  per  non  parere  una  compagnia:  il  Griso  venne  dopo; 
e  non  rimase  indietro  che  una  bussola,  la  quale  doveva  esser  portata 
al  casolare,  a  sera  intdlrata;  come  fu  fatto.  Radunali  che  furono  in  quel 
hiogo,  il  Griso  spedi  tre  di  coloro  all'  osteria  del  paeselto  :  uno  che  si 
mettesse  suir  uscio,  a  osservar  ciò  che  accadesse  nella  strada,  e  a  veder 
quando  tutti  gli  abitanti  fossero  ritirati  :  gli  altri  due  che  stessero 
dentro  a  giocare  e  a  bere,  come  dilettanti;  e  attendessero  intanto  a 
spiare  se  qualclie  cosa  da  spiare  ci  fosse.  Egli,  col  grosso  della  tru|>- 
pa,  rimase  nell'agguato  ad  aspettare 


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I3V  I  PftOSESSl  SPOSI 

Il  povero  ^eochio  trollava  ancora;  ì  Ire  esploratori  arrivavano  al 
loro  posto;  il  sole  cadeva;  quando  Renzo  entrò  dalle  donne,  e  disse: 
u  Tonio  e  Gervaso  m'  aspellan  fuori:  vo  eon  loro  all'osteria,  a  man- 
giare un  boccone;  e,  quando  sonerà  l'ave  maria,  verremo  a  prendervi. 
Sii,  coraggio,  Lucia!  lutto  dipende  da  un  momento.  »  Lucia  sospirò, 
e  ripetè:   «  coraggio,  n  con  una  voce  che  smentiva  la  parola. 

Quando  Renzo  e  i  due  compagni  giunsero  all'osteria,  vi  Irovaron 
quel  tale  già  piantalo  in  sentinella,  che  ingombrava  mezzo  il  vano 
della  porla,  appoggialo  con  la  schiena  a  uno  stipite,  con  le  braccia  in- 
crociate sul  petto;  e  guardava  e  riguardava,  a  destra  e  a  sinistra,  fa- 
cendo lampeggiare  ora  il  bianco,  ora  il  nero  di  due  occhi  griragni. 


Un  berretto  piatto  di  velluto  cliermisi,  messo  storto,  gli  copriva  la 
metà  del  ciuffo,  che,  dividendosi  sur  una  fronte  fosca,  girava,  da  una 
parte  e  dall'altra,  sotto  gli  orecchi,  e  terminava  in  trecce,  fermate  con 
un  pettine  sulla  nuca.  Teneva  sospeso  in  una  mano  un  grosso  randel- 
lo; arme  propriamente,  non  ne  portava  in  vista;  ma,  solo  a  guardar- 
gli in  viso,  anche  un  fonciullo  avrebbe  pensalo  che  doveva  averne 
sotto  quante  ce  ne  poteva  stare.  Quando  Renzo ,  eh'  era  innanzi  agli 
altri,  fu  li  per  entrare,  colui,  senza  scomodarsi  ,  lo  guardò  fisso 
(isso;  ma    il  giovine,  inlento  a  schivare  ogni  questione,  come  suole 


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CAPITOLO  VII.  113 

Ognuno  che  abbia  un'impresa  scabrosa  alle  mani,  non  fece  vista  d'ac< 
coT^rsene,  non  disse  neppure  :  fatevi  in  ìk;  e,  rasentando  l'altro  sti- 
pite, passò  per  isbieco,  col  fianco  innanzi,  per  l'apertura  lasciala  da 
quella  cariatide.  I  due  compagni  dovettero  far  la  slessa  evoluzione,  se 
vollero  entrare.  Entrati,  videro  gli  altri,  de' quali  avevan  già  sentila 
la  voce,  cioè  que'  due  bravacci,  che  seduti  a  un  canto  della  (avola, 
giocavano  alla  mora,  gridando  tutt'e  due  insieme  (lì,  è  il  giuoco  che 
lo  richiede),  e  mescendosi  or  l'uno  or  l'altro  da  bere,  con  un  gran 
Gasoo  ch'era  tra  loro.  Questi  pure  guardaron  fisso  la  nuova  compa- 
gnia; e  un  de*  due  spedalmente,  lenendo  una  mano  in  aria,  con  tre 
dititoci  tesi  e  allargali,  e  avendo  la  bocca  ancora  aperta,  per  un  gran 
«sei  »  dte  n'era  scoppiato  fuori  in  quel  momento,  squadrò  Renzo  da 
capo  a  piedi;  poi  diede  d'  occhio  al  omipagno,  poi  a  quel  dell'uscio,  che 
rispose  con  un  cenno  del  capo.  Renzo  insospettilo  e  incerto  guardava  ai 
suoi  due  convitati ,  come  se  volesse  cercare  ne'  loro  aspetti  un'  inter- 
pretazione di  tutti  que'  segni  :  ma  i  loro  aspetti  non  indicavano  altro 
che  un  buon  appetito.  L'oste  guardava  in  viso  a  lui,  come  per 
aspettar  gli  ordini:  egli  lo  fece  venir  con  sé  in  una  stanza  vicina,  e 
ordinò  da  cena. 

«Chi  sono  que'  forestieri?»  gli  domandò  poi  a'  voce  bassa,  quando 
quello  tornò,  con  una  tovaglia  grossolana  sotto  il  braccio ,  e  un  fiasco 

1  Ntm  li  conosco,'»  rispose  l'oste,  spiegando  la  tovaglia. 

e  Come?  né  anche  uno?» 

"  Sapete  bene ,  »  riqiose  ancora  colui ,  stirando,  con  tutt'  e  due  le 
mani,  la  tovaglia  sulla  tavola,  «  die  la  prioka  rqjola  del  nostro  mestiere, 
è  di  non  domandare  i  falli  degli  altri:  tanto  che,  fin  le  nostre  donne 
non  son  curiose.  Si  starebbe  freschi,  con  tanta  gente  che  va  e  viene: 
è  sempre  im  porto  di  mare:  quando  le  annate  son  ragionevoli,  voglio 
dire;  ma  stiamo  allegri,  che  tornerà  il  buon  tempo.  A  noi  basta  che 
gji  avventori  siano  galantuomini  :  chi  siano  poi,  o  chi  non  siano,  non 
fa  niente.  E  ora  vi  porterò  un  piallo  di  polpette,  che  le  simili  non  le 
avete  mai  mangiate.  » 

u  Come  potete  sapere  ....?•>  ripigliava  Renzo;  ma  l'oste,  già  av- 
vialo alla  cucina,  seguitò  la  sua  slrada.  E  li,  mentre  prendeva  il 
legame  delle  polpette  summentovate,  gli  s'accostò  pian  piano  quel 
bravaccio  che  aveva  squadrato  il  nostro  giovine,  e  gli  disse  sottovoce: 
"  Chi  sono  que'  galantuomini  ?  » 


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1  pflOMESSi  srosi 


u  Buona  genie  qui  del  paese,  »  rispose  l'oslc,  scodellando  le  |h^- 
pelle  Del  piallo. 


u  Va  bene;  ma  come  si  chiamano?  ehi  sono?"  insistette  colui, con 
voce  inquanto  ^rbala. 

«Uno  81  chiama  Renzo, n  rispose  l'oste,  pur  sottovoce:  «  un  buon 
giovine,  assestato;  Itlatore  di  seta,  che  sa  bene  il  suo  mestiere.  L'al- 
tro è  un  contadino  die  ha  nome  Tonio:  buon  camerata),  allegro:  pec- 
cato che  n'  abbia  pochi;  che  gli  spenderebbe  tutti  qui.  L'  altro  è  un 
semplidotto,  che  mangia  però  volentieri,  quando  gliene  danno.  Con  per- 
messo. » 

E, con  uno  sgambetto,  uscì  tra  il  fornello  e  l' interrogante;  e  andò 
a  portare  il  piatto  a  chi  si  doveva.  «Come  potete  sapere,»  riattaccò 
Renzo,  quando  lo  vide  ricomparire,  u  che  siano  galantuomini,  se  non 
li  conoscete?  " 

«Le  azioni,  caro  mio:  l'uomo  si  conosce  all'azioni.  Quelli  che  be- 
vono il  vino  senza  criticarlo ,  che  pagano  il  conto  senza  tirare,  che 
non  melton  su  lite  con  gli  altri  avventori ,  e  se  hanno  una  coltellata 
da  consegnare  a  uno,  lo  vanno  ad  aspettar  fuori,  e  lontano  dall'oste- 
ria, tanto  che  il  povero  oste  non  ne  vada  di  mezzo,  quelli  sono  i  ga- 


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CAPITOLO  VII.  ist 

lantuomìni.  Però,  se  si  può  conoscer  la  genie  bene,  come  ci  coiibscia- 
mo  Ira  noi  quattro,  è  meglio.  E  che  diavolo  vi  vìen  voglia  di  saper 
tante  cose,  quando  siete  sposo,  e  dovete  aver  tuli'  altro  iii  tesla?  e 
em  davanti  quelle  polpeIte,chc  farebbero  resuscitare  un  nwrio?»  Cosi 
dicendo,  se  ne  tornò  in  cucina. 

H  nostro  autore,  osservando  al  diverso  Diodo  che  teneva  cosini  nel 
soddisfare  alle  domande,  dice  ch'era  un  uomo  così  latto,  che,  in  tulli 
i  suoi  discorsi,  faceva  professione  d'esser  mollo  amico  de'  galantuomini 
in  generale;  ma,  in  atto  pratico,  usava  multo  maggior  compiacenza 
roii  quelli  che  avessero  riputazione  o  sembianza  di  birboni.  Glie  ca- 
rattere singoiare!  eh? 

La  cena  non  fu  molto  allegra.  1  due  convitali  avrebbero  voluto  go- 
dersela con  lutto  loro  comodo;  ma  l'invilanle,  preoccupato  di  ciò  che  il 
lettore  sa,  e  infastidito,  e  anche  un  po'  inquieto  del  contegno  strano 
di  quegli  sconosciuti ,  non  vedeva  i'  ora  d'  andarsene.  Sì  parlava  sot- 
lovoce,  per  causa  loro;  ed  eran  paride  tronche  e  svogliale. 

"  Che  bella  cosa,  n  scappò  fuori  di  punto  in  bianco  Gervaso, 
"  ebe  Renzo  votata  prender  moglie ,  e  abbia  bisogno  . .  !  "  Renzo  gli 
lece  un  viso  brusco.  «  Vuoi  stare  zitto,  bestia?»  gli  disse  Tonio,  accom- 
Itagnando  il  titolo  con  una  gomitata.  La  conversazione  fu  sempre  più 
fredda,  fino  alla  fine.  Renzo,  stando  indietro  nel  mangiare,  come  nel 
liere,  attese  a  mescere  ai  due  testimoni,  con  discrezione,  in  maniera 
di  dar  loro  un  po'  di  brio,  senza  lari!  uscir  di  cervello.  Sparecchialo, 
p^fo  il  conto  da  colui  che  aveva  fatto  men  guasto,  dovettero  tutti  e 
Ire  passar  novamcnte  davanti  a  quelle  facce,  le  quali  tutte  si  voltarono 
a  Renzo,  come  quand'era  entralo.  Questo,  fatti  ch'ebbe  podii  passi 
borì  deir osteria,  si  voltò  indietro,  e  vide  che  i  due  che  aveva  lasciati 
seduti  in  cucina ,  lo  seguitavano:  si  lermò  allora,  co'  suoi  compagni,  come 
se  dicesse:  vediamo  cosa  voglion  da  me  costoro.  Ma  i  due,  quando 
!>' accorsero  d'essere  osservati,  si  fermarono  anch'essi,  si  parlarOn 
MiUovoce,  e  lomarono  indietro.  Se  Renzo  fosse  stato  tanto  vicino  da 
Acniir  le  loro  parole,  gli  sarcherò  parse  molto  strane.  "  Sarebbe 
|)crò  un  beli'  onore,  senza  contar  la  mancia,  n  diceva  uno  de'  malan- 
drini, u  se,  tornando  al  palazzo,  potessimo  raccontare  d'avergli  spia- 
nate le  costole  in  fretta  in  fretta,  e  cosi  da  noi,  senza  che  il  signor 
làriso  fosse  qui  a  regolare,  n 

"  E  guastare  il  negozio  principale!  »  rispondeva  1'  altro.  «  Ecco: 
»'  e  avvisto  di  qualche  cosa;  si  leniia  a  guardarci.  Ih!  se  fosse  pni 


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I3B  1  PROMESSI  SPOSI 

tardi!  Torniamo  iudieiro,  per  non  dar  sospeUo.  Vedi  dte  vieii  genlv 
da  tutte  le  parli:  lasciamoli  andar  lutti  a  pollaio.  » 

C  era  in  fotti  quel  brulichio,  quel  ronzio  che  si  satle  in  un  vil- 
b^io,  sulla  sera,  e  che,  dopo  pochi  momenti,  dà  luogo  alla  quiete 
solenne  delta  notte.  Le  donne  venivan  dal  campo,  portandosi  in  collo 
i  bambini ,  e  lenendo  per  la  mano  i  ragazzi  più  grandini,  ai  qtiidi  lit- 
cevati  dire  le  divozioni  della  sera  ;  venivan  gli  nomini,  con  li*  vanglie, 


e  con  le  zappe  sulle  sp^le.  All'aprirsi  degli  usci,  si  vedevan  luccicare 
qua  e  là  i  fuochi  accesi  per  le  povere  cene:  sì  sentiva  nella  strada 
barattare  i  saluti,  e  qualche  parola,  sulla  scarsità  della  raccolta ,  e  sulla 
miseria  dell'  annata;  e  più  delle  panile,  si  sientivano  i  tocchi  misurati 
e  sonori  della  campana,  che  annunziava  il  finir  del  giorno.  Quando 
Renzo  vide  che  i  due  indiscreti  s'eran  ritirati,  continuò  la  sua  strada 
nelle  tenebre  crescenti,  dando  sottovoce  ora  un  ricordo,  ora  un  altro, 
ora  all'  uno,  ora  all'altro  fratello.  Arrivarono  alla  casetta  di  Lucia, 
ch'era  già  notte. 

Tra  il  primo  pensiero  d'una  impresa  terrìbile,  e  I' esecuùohè  di 
essa,  (ha  detto  un  t>arbaro  che  non  era  privo  d'ingegno)  l'intervallo 
è  un  sogno,  pieno'  dì  Ikntasmi  e  di  paure.  Lucia  era,  da  motte  ore, 
ncir  angosce  d'  un  lai  sogno:  e  Agnese,  Agnese  medesima,  1'  autrice 
del  consiglio,  slave  sópra  pensièro,  e  trovava  a  stento  parole  -per  rin- 
corare la  figlia.  Ma,  al  momento  dì  destar»,  al  momento  cioè  di  dar 


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CAPITOLO    VII.  1S7 

princìpio  all'opera,  l'animo  si  trova  lutto  Irasformato.  A.I  terrore  é  al 
coraggio  che  vi  contrastavano,  succede  un  altro  terrore  e  un  altro 
coraggio:  l'impresa  s'arTaecia  alla  mente,  come  una  nuova  apparizione  : 
ciò  che  prima  spaventava  di  più,  sembra  talvolta  divenuto  agevolo 
tutt'a  un  tratto:  talvolta  comparisce  grande  l'ostactrio  a  cui  s'  era  a|v 
pena  badalo;  l'immaginazione  dà  indietro  sgomentala;  le  membra  par 
die  ricusino  d'ut^idìre;  e  il  cuore  manca  alle  promesse  che  aveva 
folte  eoo  più  sicurezza.  Al  picchiare  sommesso  di  Renzo,  Lucia  fu  assa- 
lila da  tanto  terrore,  che  risolvette,  in  quel  momento,  di  soRVirc  ogni 
cosa,  di  star  sempre  divisa  da  lui ,  piuttosto  eh'  eseguire  quella  riso- 
luzione; ma  quando  si  fu  fatto  vedere,  ed  ebbe  detto:  «  son  qui, 
andiamo  ;  »  quando  tulli  si  mostraron  pronti  ad  avviarsi,  senza  esitazio- 
ne, come  a  cosa  stabilita,  irrevocabile;  Lucìa  non  ebbe  tempo  ne  forza 
di  far  difflooltà,  e,  come  strascinata,  prese  tremaiido  un  braccio  della 
madre,  un  braccio  del  promesso  sposo,  e  sì  mòsse  con  la  brigala  av- 
venturiera. 

Zitti  EÌtli,  nelle  tenebre,  a  passo  misurato,  usciron  dalla  casetta, 
e  preser  la  strada  fuori  del  paese.  La  jhù  corta  shrebtic  stata  d'attra- 
versarìo:  che  s'andava  diritto  alla  casa  di'dòn  Abbondio;  ma  scelsero 
quella,  per  non  esser  visti.  Per  viottole,  tra  gli  oi4i. e  i  campi, 


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Ita  I  PROMBSSI  SPOSI 

arrìvaron  vidno  a  quella  casa,  e  lì  si  divisero.  I  due  promessi  rimaser 
nascosti  dietro  l'angolo  di  essa;  Agnese  con  loro,  ma  un  po' più  innanzi, 
per  accorrere  in  lempo  a  feiroar  Perpetua,  e  a  impadronirsene;  Tonio, 
Con  lo  scempiato  di  Gervaso,  che  non  sapeva  far  nulla  da  sé,  e  senza 
il  quale  ncm  si  poteva  (ar  nulla,  s'  affacciarcHi  bravamente  alla  porta, 
e  picchiarono. 

«  Chi  è,  a  quest'ora?  «  gridò  una  voce  dalla  finestra,  dtc  s'apri  in 
quel  momento:  era  la  voce  di  Perpetua,  u  Ammalati  non  ce  n' é, 
ch'io  sappia.  È  forse  accaduta  qualche  disgrazia?  » 

uSon  io,n  rispose  Tonio,  u  con  mio  fratello,  che  abbiam  bisogno 
di  parlare  al  signor  curato.  " 

u  É  ora  da  cristiani  questa?  «  disse  bruscamente  Perpetua.  «  Oic 
discrezione?  Tornate  domani.  « 

«  Sentite:  tornerò  0  non  tornerò:  ho  riscosso  non  so  che  danari, 
e  venivo  à  saldar  quel  debìtuccio  che  sapete:  aveva  qui  venticinque 
belle  berlinghe  nuove;  ma  se  non  si  può,  pazienza:  questi,  so  come 
spenderli,  e  tornerò  quando  n'aU)ia  messi  insieme  d^i  altri,  n 

uAspcltale,  aspettate:  vo  e  torno.  Ma  perdio  venire  a  quest'ora?" 

«  Gli  ho  ricevuti,  andi'io,poco  fa;e  ho  pensalo, come  vi  dico, che, 
se  li  tengo  a  dormir  con  me,  non  so  dì  che  parere  sarò  domattina. 
Però,  se  l'ora  non  vi  piace,  non  so  che  dire:  per  me,  son  qui;  e 
se  non  mi  volete,  me  ne  vo.  » 

u  No,  no,  aspettate  un  momento:  torno  con  la  risposta.» 

Cosi  dicendo,  richiuse  la  finestra.  A  questo  punto,  Agnese  si  staccò 
dai  promessi,  e,  detto  sottovoce  a  Lucia:  u  corallo;  è  un  momoilo; 
è  come  fòrsì  cavar  un  dente ,  »  si  riiuii  ai  due  fratelli,  davanti  all'  li- 
scio; e  si  mise  a  ciariarc  con  Tonio,  in  maniera  clic  Perjieliia,  venendo 
ad  aprire,  dovesse  credere  che  si  fosse  abbattuta  li  a  caso,  e  che  To- 
nio l'avesse  trattenuta  un  momento. 


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CAPITOLO  VIU. 


omcadc  !  Chi  era  costui  ?  —  ruini' 
flava  tra  se  don  Abbondio  seduto  sul 
suo  se^^loite,  la  una  stanza  del  plano 
superiore,  con  un  Ijbricdolo  aperto 
davanti ,  quando  Perpetua  enArò  a 
porlai^li  l' imbasciata.  —  Cameade  ! 
questo  nome  mi  par  bene  d*  averlo 
letto  0  sentito;  doveva  essere  un  uo- 
mo di  studio,  un  leiteratone  del  tem- 
po antico:  è  un  nome  di  quelli;  ma 
chi  diavolo  era  costui?  — ■  Tanto  il  pover  uomo  era  lontano  da  pre- 
vedere che  burrasca  gli  si  addensasse  sul  capo! 


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<  40  I  PROMESSI  SPOSI 

Biiiogiia  sapere  che  don  Abbondio  sì  dilettava  di  lecere  un  po< 
(filino  <^i  giorno;  e  un  curato  suo  vicino,  che  aveva  un  po'  di  libre- 
ria, gli  prestava  un  libro  dopo  1'  altro,  il  primo  che  gli  veniva  alle 
mani.  Quello  su  cui  meditava  in  quel  momento  don  Abbondio,  con- 
valescente della  febbre  dello  spavento,  anzi  più  guarito  (quaiìlo  alla 
febbre  )  che  non  volesse  lasciar  credere,  era  un  panegirico  &i  onore 
di  san  Carlo ,  detto  con  molta  enfasi ,  e  udito  con  molta  ammirazione 
nel  duomo  di  Milano,  due  anni  prima.  Il  santo  v'era  paragonato, 
per  l'amore  allo  studio,  ad  Archimede;  e  fìn  qui  don  Abbondio  non 
trovava  inciampo;  perchè  Archimede  ne  ha  fatte  di  così  curiose,  ha 
fatto  dir  tanto  di  sé,  che,  per  saperne  qualche  cosa,  non  e'  è  bisogno 
d' un'erudizione  mollo  vasla.  Ma, dopo  Archimede,  l'oratore  chiama\'a 
a  paragone  anche  Cameade:  e  li  il  lettore  era  rimasto  arrenato,  bi 
quel  momento  entrò  Perpetua  ad  annunziar  la  visita  di  Tonio. 

u  A  quest'ora?  n  disse  anche  don  Abbondio,  com'era  naturate. 

«  Cosa  vuole?  Non  hanno  discrezione:  ma  se  non  lo  piglia  al 
volo n 

H  Già  :  se  non  lo  piglio  ora,  chi  sa  quaoflo  lo  potrò  pigliare  1  Fatelo 
venire Ehi!  ehi!  siete  poi  ben  sicura  che  sia  proprio  lui?  " 

«Diavolo!»  risposta  Peri>etua,e  scese;  apri  ruscio,edisse:  "dove 
siete?»  Tonio  si  fece  vedere;  e,  nello  stesso  lem|>o,  venne  avanti  sn- 
elle Agnese,  e  salutò  Perpetua  per  nome. 

u  Buona  sera,  Agnese, n disse  Perpetua:  «di  dove  sì  viene, a  que- 
st'ora? » 

"Vengo  da....»  e  nominò  un  paescttó  vicino.  »  E  se  sapeste...» 
continuò:  u  mi  son  fermata  di  piò,  appunto  in  grazia  vostra.  » 

«  Oh  perchè?  »  domandò  Perpetua;  e  voltandosi  a'  due  fratelli, 
«  entrate,  n  disse,  u  che  vengo  anch'io.  » 

«Perchè,»  rispose  Agnese,  «  una  donna  di  quelle  ebe  non  sanno 
le  cose,  e  voglion  parlare ....  credereste?  s' ostinava  a  dire  che  voi 
non  vi  siete  maritata  con  Beppe  Suolavecchia,  ne  con  Anselmo  Lun- 
ghigna,  perchè  non  v' Iranno  voluta.  Io  sostenevo  che  siete  stala  voi 
rfie  gli  avete  rifiutati,  l'uno  e  l'altro....  » 

"  Sicuro.  Oh  la  bugiarda!  la  bugìardona!  Chi  è  costei?  •> 

«  Non  me  lo  domandale,  che  non  mi  piace  metter  male,  f 

«  Me  lo  direte,  me  l'avete  a  dire:  oh  la  bugiarda!  » 

«  Basta....  ma  non  potete  credere  quanto  mi  sra  dbpiacìulo  di  non 
saper  bene  tutta  la  storia,  per  confonder  colei.  » 


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CAPITOLO  Vili.  Ili 

H  Guardale  se  si  può  invenlarc,  a  questo  modo!  »  csdamò  di  duovo 


Perpetua  ;  e  riprese  subilo  :  "  in  quanto  a  Beppe ,  lutti  sanno ,  e 
iianno  |>otiito  vedere —  Ehi,  Tonio!  accostate  l'uscio,  e  salite  pu- 
re, ehe  vengo."  Tonio,  di  dentro,  rispose  di  si;  e  Perpetua  continuò 
la  sua  narrazione  appassionata. 

In  faccia  all'uscio  di  don  Abbondio,  s'apri\'a,  tra  due  casi|>ole,  una 
stradella,  che,  finite  quelle,  voltava  in  un  campo.  Agnese  vi  s'avviò, 
come  se  volesse  tirarsi  alquanto  in  disparte,  per  parlar  più  libera- 
mente; e  Perpetua  dietro.  Quand'ebbero  vtdialo,  e  furono  in  luogo, 
donde  non  si  poteva  più  veder  ciò  ehe  accadesse  davanti  alla  casa  di 
don  Abbondio,  Agnese  tossì  forte.  Era  il  segnale:  Renzo  lo  senti,  fece 
con^o  a  Lucia,  con  una  stretta  di  braccio;  e  tutt'  e  due,  in  punta 
di  piedi,  vennero  avanti,  rasentando  il  muro,  zitti  zitti;  arrivarono  al- 
l'uscio, lo  spinsero  adagino  adagino;  cheli  e  chinati,  entraron  nell'an- 
dito, dov'erano  i  due  fratelli,  ad  aspettarìi.  Renzo  accostò  di  nuovo 
l'uscio  pian  piano;  e  tuli' e  quattro  su  per  le  scale,  non  facendo  ru- 
more neppur  per  uno.  Giunti  sul  pianerottolo,  i  due  fratelli  s'avvici- 
narono all'  uscio  della  stanza,  eh'  era  di  fianco  alla  scala;  gli  sposi  si 
strinsero  al  muro. 

«  Deo  gratiaa,  »  disse  Tonio,  a  voce  chiara. 

»  Tonio,  eh?  Entrate,  t  rispose  la  voce  di  dentro. 

Il  chiamato  apri  l'uscio,  appena  quanto  bastava  per  poter  passar 
lui  e  il  fratello,  a  un  per  volta.  La  striscia  di  luce,  che  usci  d'improv- 
viso per  quella  apertura,  e  si  disegnò  stA  pavimento  oscuro  del  pia- 
nerottolo, fece  riscoter  Lucia,  come  se  fosse  scoperta.  Entrali  i  fra- 
telli, Tonio  si  tirò  dietro  l'uscio:  gli  sposi  rimasero  imniidHli  nelle  te- 
ueòre,  con  l'orecchie  tese,  lenendo  il  fiato:  il  rumore  più  torte  era 
il  muldlar  che  faceva  il  povero  cuore  di  Lucia. 


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I4S  I  PI10UE8SI  SPOSI 

Don  Abbondio  slava,  come  aM>ian]  dello,  sur  una  vecdiia  seggiola, 
ravvolto  in  una  vecchia  zimarra,  con  in  capo  una  vecchia  papalina, 
che  gli  faceva  cornice  intorno  alla  faccia,  al  lume  scarso  d'  una  pic- 
cola lucerna.  Due  folte  ciocche  di  capelli ,  che  gli  scappavano  fuor 
della  papalina,  due  folti  sopraccigli,  due  folti  baffi,  un  folto  pizzo, 
tutti  canuti,  e  sparsi  su  quella  faccia  bruna  e  rugosa,  potevano  as- 
somi^iarsi  a  cespugli  coperti  di  neve ,  sporgenti  da  un  dirupo ,  al 
chiaro  di  luna. 


"  Ab!  ah!»  fu  il  suo  saluto,  mentre  si  levava  gli  occhiali,  e  li  ri- 
|>oneva  nel  libricciolo. 

u  Dirà  il  signor  curato,  che  son  venuto  lardi,  "  disse  Tonio,  in- 
chinandosi ,  come  pure  fece ,  ma  più  goITamentc ,  Gervaso. 

«  Sicuro  cb'  è  lardi  :  tardi  in  tutte  le  maniere.  Lo  sapete,  che  sono 
ammalato?  •> 

«  Oh!  mi  dispiace.  » 

"  L' avrete  sentito  dire  ;  sono  ammalato ,  e  non  so  quando  potrò 

lasciarmi  vedere Ma  perchè  vi  siete  condotto  dietro  quel —  qud 

figliuolo?  " 

■  Così  per  compagnia,  signor  curato,  n 

«  Basta,  vediamo.  •> 

»  Son  venlidnque  berlinghe  nuove,  di  quelle  eoi  sant'Ambrogio  a 
cavallo,  »  disse  Tonio,  levaudosi  un  involtino  di  tasca. 

«  Vediamo,  «  replicò  don  Abbondio:  e,  preso  l'involtino,  si  ri- 
messe gli  occhiali,  l'aprì,  cavò  le  berlinghe,  le  contò,  le  voltò,  le 
rivoltò,  le  trovò  senza  difetto. 


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CAPITOLO  VIIL  Iti 

t  Ora,  eigncH*  curalo,  mi  darà  la  collana  della  mìa  Tecla,  n 

«  È  giusto,  »  rispose  don  Aldrandio;  poi  and^  a  un  armadio,  si 
levi  una  chiave  di  lasca,  e,  guardandosi  ìnlomo,  come  per  lener  lon- 
tani gli  spettatori ,  apri  una  parte  di  sportello ,  riempì  1'  apertura 
tati  la  persona,  mise  dentro  la  testa,  per  guardare,  e  un  braccio,  por 
prender  la  collana;  la  prese,  e,  chiuso  l'armadio,  la  consegnò  a  Tonio, 
dicendo:  u  va  l)ene7  » 

"Ora,  n  disse  Tonio,  u  si  conienti  di  mettere  un  po' di  nero  sul 
bianco.  » 

u Anche  questa !n  disse  don  Abbondio:  de  sanno  tutte.  Ih!  com'è 
divoiuto  sospettoso  il  mondo!  Non 'vi  fidate  di  mcl« 

«  Come,  «gnor  curato!  s'io  mi  fido?  Lei  mi  fa  torto.  Ma  siccome 

9  mio  nome  è  sul  suo  libraccio,  dalla  parte  dd  debito dunque, 

giacdtè  ha  ^k  avuto  l'incomodo  di  scrivere  una  volta,  cosi . .  .  dalla 
vila  alla  morte  ....  » 

«  Bene  bene,  »  interruppe  don  Abbondio,  e  brontolando,  tirò  a 
sé  una  cassetta  del  tavolino,  levò  fuori  carta,  penna  e  calamaio,  e  si 
mise  a  scrivere,  ripetendo  a  viva  voce  le  parole,  di  mano  in  mano 
die  gli  uscivan  dalla  penna.  Frattanto  Tonio  e,  a  un  suo  cenno, 
Gervaso,  si  piantaron  ritti  davanti  al  tavolino,  in  maniera  d' impedire 
allo  scrivente  la  vista  dell'  uscio;  e,  come  per  ozio,  andavano  stro- 
picciando, co'  piedi,  il  pavimento,  per  dar  segno  a  quei  ch'erano 
fuori,  d'entrare,  e  per  confondere  nello  stesso  tempo  il  rumore  delle 
loro  pedate.  Don  Abbondio,  immerso  nella  sua  scrittura,  non  badava 
ad  altro.  Allo  stropiccio  de'  quattro  piedi,  Renzo  prese  un  braccio  di 
Lucia,  lo  strinse,  per  darle  concio,  e  si  mosse,  tirandosela  dietro 
tutta  U>emante,  che  da  sé  non  vi  sarebbe  potuta  venire.  Entraron 
pian  piano,  in  punta  di  piedi,  ratlenendo  il  respiro;  e  si  nascosero 
dietro  i  due  fratelli.  Intanto  don  Abbondio,  finito  di  scrivere,  rilesse 
attentamente,  senza  alzar  gli  occhi  dalla  caria  ;  la  piegò  in  quattro,  di- 
cendo: «ora, sarete  contento?  »  e,  levatosi  con  una  mano  gli  occhiali 
dal  naso,  la  porse  con  l^altra  a  Tonio,  alzando  il  viso.  Tonio,  allun- 
gando la  mano  per  prender  la  carta,  si  ritirò  da  una  parte;  Gervaso, 
a  un  suo  cenno,  dall'altra;  e,  nel  mezzo,  come  al  dividersi  d'una  sce- 
na, apparvero  Renzo  e  Lucia.  Don  Abbondio,  vide  confusamente,  poi 
vide  chiaro,  si  spaventò,  si  stupì,  s'infuriò,  pensò,  prese  una  risolu- 
zìme  :  tutto  questo  nel  tempo  che  Renzo  mise  a  proferire  le  parole  : 
«signor  curato,  in  presenza  di  questi  testimoni,  quest'è  mia  mt^ie.» 


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1  PnOMESSI  SPOSI 


Le  sue  labbra  non  erano  àncora  (ornale  al  posto,  che  don  Abbondio, 
lasciando  cader  la  caria,  aveva  già  afTerrala  e  alzata,  con  la  mancina, 
la  lucerna,  ghermito,  con  la  diritta,  il  Uppcto  del  tavcdioo,  e  tiratolo 


a  sé,  con  furia,  buttando  io  terra  libro,  carta,  calaniaìoe  polv<TÌno;e, 
balzando  tra  la  seggiola  e  il  tavolino,  a'  era  avvicinato  a  Lucia.  Li 
l>overct(à,  con  quella  sua  voce  son>-e,  e  allora  tnlla  tremante,  aveva 
appena  potuto  proferire:  uc  questo..,."  che. don  Abbondio  le  aveva 
buttato  sgarbatamente  il  tappeto  sulla  testa  e  sul  viso,  per  impedirle 
di  pronunziare  intera  la  formota.  E  subito,  lasciata  cader  la  lucerna 
che  teneva  nell'altra  mano,  s'aiutò  anche  con  quella  a  imbacuccarla 
col  tappcio,  che  quasi  la  solTogava;e  intanto  gridava  quanto  n'aveva 
in  canna:  u  Perpetua!  Perpetua!  tradimento!  aiuto!  »  Il  lucignolo, 
che  moriva  sul  pavimento,  mandava  una  luce  languida  e  saltellante 


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Mi]>ra  Lucia,  lu  quale,  alTalto  smamla.  non  Iciilava  uoppiu'e  di  vol- 
gersi ,  e  poteva  parere  luia  statua  abbozzata  iu  crela ,  sulla  <|ualc 
r  arlcfire  ha  gifllalo  ui)  umido  panno.  Ossala  o^iii  luce,  don  AMwii- 
dio  last'iii  la  poveretta,  e  andò  »-rcando  a  tastoni  l'usm  i-li<>  ntel- 
(èva  a  ima  stanza  |>iù  interna;  lo  tmvó,  entrò  in  quella,  si  rhiuM' 
ilciili-o,  gridando  tuttavia:  u  Per|>etua  !  tradimento!  aiuto!  rtiori  di 
questa  casal  fuori  di  questa  casa!  "  Nell'altra  stanza,  tutto  eraconru- 
sJwne:  Renzo,  cercando  di  Termare  il  curalo,  e  remando  con  lo  mani, 
(wne  se  facesse  a  uiosea  cieca,  era  ai'rivato  ull'uscto,  e  piecliiava,  gri- 
llando: 'i  apra,  apra;  non  Taccia  schiamazzo.''  Lucia  chiamava  Renzo, 
con  voce  fioca,  e  diceva,  pivgando  :  "  andiamo,  andiamo,  per  fa- 
■noi-  di  Dio.  «  Tonio ,  earpone,  andava  s|>azzando  con  le  munì  il  |)<i- 
vimenlo,  per  veder  di  raccapezzare  la  sua  ricevuta,  pervaso,  spiritato, 
gridava  e  saltellava,  cercando  l'uscio  di  scala,  per  uscire  a  siihamento. 


In  mezzo  a  quc^to  serra  serra,  non  |>ossiairi  Ias<'Ìar  <li  fei-maici  un 


Digitizf^riiiyGoOgle 


ne  1  piioiiESSi  SPOSI 

momento  a  fare  una  rinessìone.  Renzo ,  t-he  strepitava  di  notte  in 
caisa  altrui,  che  vi  s'era  introdolto  di  sojipiatlo,  e  teneva  il  padrone 
slesso  assediato  in  una  stanza,  ha  tutta  l'apparenza  d'un  oppressore; 
eppure,  alla  fin  de'  fatti,  era  l'oppresso.  Don  Abbondio,  sorpreso, 
luesso  in  fuga,  spaventato,  mentre  attendeva  tranquillamente  a' falli 
suoi,  parrebbe  la  vidima;  eppure,  in  realtà,  era  lui  che  faceva  un  so- 
pruso. Cosi  va  spesso  il  mondo voglio  dire,  cosi  andava  nel  se- 
colo decimo  settimo. 

L'assedialo,  vedendo  che  il  nemico  non  dava  segno  di  ritirarsi, 
iipri  una  finestra  che  guardava  sulla  piazza  della  chiesa ,  e  si  diede  a 
gridare:  »  aiuto!  aiuto!  n  Era  ii  più  bel  chiaro  di  luna;  l'ombra 
della  chiesa,  e  più  in  fuori  l'ombra  lunga  ed  acuta  del  campanile,  si 
.stendeva  bruna  e  spiccata  sul  piano  erboso  e  lucente  della  piazza  : 
ogni  oggetto  si  |>oleva  distinguere,  quasi  come  di  giorno.  IVla,  fin  dove 
arrivava  lo  sguardo,  non  appariva  indizio  di  persona  vivente.  Con- 
tiguo però  al  muro  laterale  della  chiesa,  e  appunto  dal  lato  elio  ri- 
spondeva verso  la  casa  parrocchiale ,  era  un  piccolo  abituro ,  un 
bugigattolo,  dove  dormiva  Ìl  sagrestano.  Fu  questo  riscosso  da  quel  di- 
sordinalo grido,  fece  un  salto,  scese  il  letto  in  furia,  apri  l'impan- 
nata d' una  sua  flnestrina,  mise  fuori  la  testa,  con  gli  oeehi  tra'  peli , 
e  disse  :    "  cosa  c'è?  " 

■'  Correte,  Ambrogio!  aiuto!  gente  in  casa,  ^  gridò  verso  lui  don 
Abbon<lio.  ^.  Vengo  subito ,  n  rispose  «piello  ;  tirò  indietro  la  testa , 
nehiuse  la  sua  impannala,  e,  quantunque  mezzo  Ira  '1  sonno,  e  più 
che  mezzo  shigollilo,  trovò  su  due  piedi  un  espediente  per  dar  più 
aiuto  di  quello  che  gli  si  chiedeva,  senza  nietlerst  lui  nel  tafferuglio. 
(|uale  si  fosse.  Dà  di  piglio  alle  brache,  che  Icncva  sul  letto;  se  le 
caccia  sotto  ìl  braccio,  come  un  cappello  di  gala,  e  giù  balzellali  per 
una  scaletta  di  legno;  corre  al  campanile,  afTerra  la  coirla  della  più 
grossa  di  due  campanelle  clic  e'  erano ,  e  suona  a  martello. 

T<m .  fon,  tun,  lon:  i  contadini  balzano  a  sedere  sul  letto;  i  gio- 
vinetti sdraiati  sul  fenile ,  lendon  1'  orecchio ,  si  rizzano.  ^  Cos'  è  ? 
Cus'  è  ?  Cani|>ana  a  martello  !  fuoco  ?  ladri  ?  banditi  ?  »  Molte  donne 
(wnsigliano,  pregano  i  mariti,  di  non  moversi,  di  lasciar  correre  gli 
altri:  alcuni  s'alzano,  e  vanno  alla  fìnesli'a  :  i  poltroni .  come  se  si 
aiTcndess<-ro  alle  pi-eghiere,  rilonian  sotto:  i  più  curiosi  e  più  bravi 
M-cndouo  a  prender  le  forclic  e  gli  schioppi ,  per  correre  al  rumore: 
altri  stanno  a  vedere. 


Digitizf^dtiyGoOgle 

O 


CAPITOLO  Vili.  UT 

Ma.  prima  che  quelli  fiwsero  all'ordine,  prima  anzi  che  fobser  ben 
desti ,  il  rumore  era  giiinlo  agli  orecchi  d' altre  persone  che  veglia- 
vano, non  lontano,  ritte  e  vestite:  i  bravi  in  un  luogo,  Agnese 
e  Perpetua  in  un  altro.  Diremo  pnma  brevemente  ciò  che  faces-ìer 
coloro,  dal  momento  in  cui  gli  abbiamo  lasciati,  parte  nel  casolare  e 
parte  all'  ost^a.  Questi  tre ,  quando  videro  tutti  gli  usci  chiusi  e  la 
strada  dcs^a ,  uscirono  in  (retta ,  come  se  si  fossero  avvisti  d'  aver 
folto  tardi,  e  dicendo  di  voler  andar  subilo  a  casa  ;  diedero  una  giravolta 
per  il  paese,  per  venire  in  chiaro  se  tutti  eran  ritirali;  e  in  fatti,  non 
incontrarono  anima  vivente,  nò  sentirono  il  più  pìccolo  strepito.  Pa.s- 
sarono  anche,  pian  piano,  davanti  alla  nostra  povera  casetta:  la  più 
quieta  di  tutte,  giacché  non  c'era  più  nessuno.  Andarono  allora  di- 
viato al  casolare,  e  fecero  la  loro  relazione  al  signor  Griso.  Subito, 
questo  si  mise  in  testa  un  cappellaccio,  sulle  spalle  un  sanroechiiio  di 
tda  incerata ,  sparso  di  conchiglie  ;  prese  un  bordone  da  pellegrino , 
disse:  «  andiamo  da  bravi:  zitti,  e  attenti  agli  ordini,  »  s'incamminò 
il  primo,  gli  altri  dietro;  e,  in  un  momento,  arrivarono  alla  casetta, 
per  una  strada  opposta  a  quella  per  cui  se  n'  era  allontanata  la  nostra 
brigatella,  andando  aneti'  essa  idla  sua  spedizione.  Il  Griso  trattenne  la 
truppa,  alcuni  passi  lontano,  andò  innanzi  solo  ad  esplorai-e,  e,  vislo 
tutto  deserto  e  tranquillo  di  fuori,  fece  venire  avanti  due  di  quei 
Irisli .  diede  loro  ordine  di  scalar  adagino  il  muro  die  chiudeva  il 
cortiletto,  e,  calati  dentro,  nascondersi  ìn  un  angolo,  dietro  un  follo 
fico,  sul  quale  aveva  messo  l'occhio,  la  mattina.  Ciò  fatto,  pìechiò  pian 
piano ,  con  intenzione  di  dirsi  un  pellegrino  smarrito,  che  chiedeva 
ricovero,  fino  a  giorno.  Nessun  risponde:  ripicchia  un  |mi'  più  forte; 
nemmeno  uno  zitto.  Allora,  va  a  chiamare  un  terzo  malandrino,  lo  fa 
scendere  nel  cortiletto,  come  gli  altri  due,  con  l'ordine  di  sconficcare 
ailagio  il  paletto,  per  aver  libero  l'ingresso  e  la  ritirata.  Tutto  s'ese- 
guisce con  gran  cautela ,  e  con  prospero  successo.  Va  a  chiamar  gli 
altri,  li  fa  entrar  con  sé,  lì  manda  a  nascondersi  accanto  ai  primi; ac- 
costa adagio  adagio  l'uscio  di  strada,  vi  posta  due  sentinelle  di  dentro; 
e  va  diritto  all'uscio  del  terreno.  Picchia  anche  lì,  e  aspella  :  e'  poteva 
ben  aspettare.  Sconficca  pian  pianissimo  anche  quell'uscio:  nessuno  di 
dentro  dice:  chi  va  là?;  nessuno  sì  fa  sentire:  meglio  non  può  andare. 
Avanti  dunque  :  "  st ,  "  chiama  quei  del  fico ,  entra  con  loro  nella 
stanza  terrena,  dove,  la  mattina,  a^eva  scelleratamente  accattato  quel 
pezzo  di  pane.  Cava  fuori  esca,  pietra,  acciarino  e  zolfanelli,  accende 


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Mii  1  i'iiu.Mi:ssi  SIGISI 

un  SI»)  [aiilcriiiim ,  entra  ncll' altra  stanza  |)iii  interna,  |>er  aet-erlarsi 
che  nessun  ci  sia:  non  (■(•  nessuno.  Torna  indietro,  va  al)' uscio  di 
.scala,  guarda,  porge  l'orecchio:  solitudine  e  silenzio.  Lascia  due  atlrc 
senlincllc  a  terreno,  si  Ta  venir  dietro  it  Grignapoco,  eh' era  un  bravo 
del  contado  di  Bergamo,  il  quale  solo  doveva  minacciare,  acchetare, 
comandare,  essere  in  somma  il  dicitore,  affìnehc  il  suo  lìngua^io  \nt- 
(essc  Tal-  credere  ad  Agnese  che  la  spedizione  venixa  da  quella  parie. 
Con  costui  al  fianco ,  e  gli  altri  dietro ,  il  Griso  sale  adagio  adagio , 
hestemniiando  in  eiror  suo  ogni  scalino  che  scriecliiolasse,  o^i  passo 
di  c|uc'  mascalzoni  che  facesse  rumore.  Finalmente  e  in  cima.  Qui 
giace  la  lepiv.  Spìnge  niolicmenle  l'uscio  che  mette  alla  prima  stanza; 
ruscio  cede,  si  fa  spiraglio:  vi  mette  l'occhio;  è  buio:  vi  mette  l'o- 
recchio, per  sentire  se  qualcheduno  russa,  lìata,  brulica  là  dentro: 
nrenlc.  Dunque  avanti:  si  mette  la  lanterna  davanti  al  viso,  per  vedere. 


senza  esser  \eduto,  spalanca  1'  uscio,  vede  un  letto;  addosso:  il 
letto  è  fatto  e  spianato,  con  la  l'imboccatura  arrovesciata,  e  cwnposta  sul 
capezzale.  Si  stringe  nelle  spaìk ,  si  \olta  alla  comi>agiiia ,  accenna 
loi-o  che  va  a  >edei'e  nell'altra  stanza,  e  cJie  gli  vengan  dietro  pian 


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I    I  CAPITOLO  Vili.  ita 

!  j     piano  ;  entra ,  fa  le  slesse  eerìmoni<! ,  trova  la  stossa  cosa.  "  Che  dia- 
I        volo  è  questo?  »  dice  allora:  «  elie  qualche  cane  Iradilore  alibi»  TalU) 
;     la  spia?  "  Si  rnetton  ditti,  con  nien  cautela,  a  guardare,  a  laslare  [kt 
I   '     i^ni  canto,  bullan  sottosopra  la  casa.  Mentre  costoro  sono  in  tali  rac- 
cende ,  i  due  che  fan  la  guardia  all'  uscio  di  strada ,  sentono  un  cal- 
pestio  di   passini   frettolosi  ,  elie  s' avvicinano   in  fretta  ;  b'  irania- 
I     ginanu  che ,  chiunque  sìa ,  passerà  diritto  ;  stan  quieti ,  e ,  a  buon 
I     conio,  si  inetlono  all'erta.  In  (atti,  il  calpestio  si  ferma  appunto  all'u- 
j     scio.    Era  Menico  che  veniva  dì  corsa ,  mandalo  dal  padre  Crislu- 
I     furo  ad  avvisar  le  due  donne  che,  per  l'amor  del  cielo,  scappassiTO  sii- 
!     bilo  di  casa,  e  si  rifugiassero  al  convento,  |>erchè....  il  perchè  lo  sa- 
pete. Prende  la  maniglia  del  paletto ,  per  picchiare ,  e  se  lo  sente 
tentennare  in  mano,  schiodato  e  sconficcato.  —  Che  è  questo?  — 
;        pensa  ;  e  spinge  l'uscio  con  paura  :  quello  s'apre.  Menico  mette  il  piede 
1  !     dentro,  in  gran  sospetto,  e  d  sente  a  un  punto  acchiappar  per  le 
braecia ,  e  due  voci  sommesse,  a  destra  e  a  sinistra,  che  dicono,  in 
l«no  minaccioso:  t  zìHo!  o  sei  morlo.  «  Lui  in  vece  caccia  un  urlo: 


uno  di  que'  malandrini  gli  mette  una  mano  alla  boica;  l'altro  (ira 
lucri  un  eollcllaccio,  per  fargli  paura.  Il  garzoncello  trema  come  una 
tflglia,  e  non  tenia  neppur  di  gridare;  ma,    lulC  a  un  trailo,  in 


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IttO  t  PROMESSI  SPOSI 

vere  di  luì,  e  con  ben  altro  tono ,  si  fa  sentir  quel  primo  tocco  di 
cani|)ana  cosi  fallo ,  e  dietro  una  tempesta  di  rintocchi  in  Illa.  Chi  é 
in  difelto  è  in  sospetto,  dice  il  proverbio  milanese:  all' uno  e  all'altro 
furfante  parve  dì  sentire  in  qiie'tocehi  il  suo  nome,  cognome  e  s4>- 
prannome  :  lasciano  andar  le  braccia  di  Menico ,  ritirano  le  loro  in 
furia,  spalancan  la  mano  e  la  bocca,  si  guardano  in  viso,  e  cornino 
alla  casa,  dov'era  il  grosso  della  compagnia.  Menico,  via  a  gambe 
per  la  strada,  alla  volta  del  campanile ,  dove  a  buon  conto  qualche- 
duno  ci  doveva  essere.  Agli  altri  furfanti  che  frugavan  la  casa,  dal- 
l'allo  al  basso,  il  terrìbile  tocco  fece  la  slessa  impressione:  si  confon- 
dono, si  scompigliano,  s'urlano  a  vicenda:  ognuno  cerca  la  strada 
più  corla,  per  arrivare  all'  uscio.  Eppure  era  tutta  gente  provata  e 
av\ezza  a  moslrare  il  viso;  ma  non  poterono  star  saldi  contro  un  pe- 
ricolo indelerminatfl,  e  che  non  s'era  fallo  \-cdere  un  po'  da  lontano, 
prima  di  venir  loro  addosso.  Ci  volle  tutta  la  superiorità  del  Gris4)  a 
lenerli  insieme,  tanto  che  fosse  ritirata  e  non  fuga.  Come  il  cane  che 
scorta  una  mandra  di  iwrci ,  corre  or  qua  or  là  a  quei  che  sì  sban- 
dano; ne  addenta  uno  per  un  oi-ccchio,  e  lo  lira. in  ischiera;nc  spinge- 
un  allro  col  muso;  alibaia  a  un  altro  die  esce  di  Illa  in  quel  momen- 
to ;  così  il  pellegrino  neeiulTa  un  dì  coloro,  che  già  toccsiva  la  soglia, 


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CAPITOLO  Vili.  liti 

e  lo  strappa  indietro;  caccia  indietro  col  bordone  uno  e  un  altro  che 
s'avviavan  da  quella  parte:  grida  agli  altri  che  corron  «jua  e  là,  senza 
$apcr  dove;  lanlo  che  lì  raccozzò  tutti  nel  mezzo  del  cortiletto,  u  Presto, 
|)resto!  pistole  in  mano,  coltelli  in  pronto,  tutti  insieme;  e  poi  anderemo: 
cosi  si  va.  Chi  volete  che  ci  tocchi ,  se  sliani  ben  insieme ,  sciocconi? 
.Va,  se  ci  lasciamo  acchiappare  a  uno  a  uno,  anche  i  villani  ce  ne  darau- 
no.  Vei^ogoa!  Dietro  a  me,  e  uniti,  n  Dojw  questa  breve  aringa,  si 
mise  alla  fronte ,  e  usci  il  primo.  La  casa ,  come  abbiani  detto ,  era 
in  fondo  al  villaggio  ;  il  Griso  prese  la  strada  che  metteva  fuori ,  e 
tulli  gli  andaron  dietro  in  buon  ordine. 

Lasciamoli  andare,  e  torniamo  un  passo  indietro  a  prendere  Agnese 
e  Perpetua,  die  abbìam  lasciale  in  una  certa  stradctla.  Agnese  aveva 
Itrocurato  d'allontanar  l' altra  dalla  casa  di  don  Abbondio,  il  più  che 
fosse  possibile  ;  e,  fino  a  un  4-erlo  punto,  la  cosa  era  andata  bene.  Ma 
tutt'a  un  tratto,  la  serva  s'era  ricordata  dell' uscio  rimasto  aperto,  e 
aveva  voluto  tornare  indietro.  Non  c'era  che  ridire:  Agnese,  per  nou 
farle  nascere  qualche  sospetto,  aveva  dovuto  voKar  con  lei,  e  andarle 
dietro,  cercando  però  di  trattenerla,  ogni  volta  che  la  vedesse  riscal- 
data ben  bene  nel  racconto  di  que'  tali  matrimoni  andati  a  monte. 
Mostrava  di  darle  molla  udienza,  e,  ogni  tanto,  per  far  vedere  che 
stara  attenta ,  o  per  ravviare  il  cicalio ,  dfceva  :  «  sicuro  :  adesso 
capisco:  va  benissimo:  è  chiara:  e  poi?  e  lui?  e  voi?  »  Ma  intan- 
to, faceva  un  altro  discorso  con  sé  stessa.  —  Saranno  usciti  a  que- 
st'ora?  o  saranno  ancor  dentro?  Che  sciocchi  che  siamo  stati  lutt'e 
tre,  a  non  concertar  qualche  segnale,  per  avvisarmi,  quando  la  cosa 
fosse  riuscita  !  É  stala  proprio  grossa  !  Ma  è  fatta  :  ora  non  e'  è  altro 
cbc.  tener  costei  a  bada ,  più  che  posso  :  alla  peggio,  sarà  un  po'  di 
tempo  perduto. —  Cosi,  a  eorserelle  e  a  fermatine,  cran  tornale  poco 
distante  dalla  casa  di  don  AM>ondio,  la  quale  però  non  vedevano, 
per  ra^one  di  quella  cantonata:  e  Perpetua,  trovandosi  a  un  punto 
importante  del  racconto ,  s'  era  lasciata  fermare  senza  far  resistenza , 
anzi  senza  avvedersene  ;  quando,  tuli'  a  un  tratto,  si  senti  \  enir  rlm- 
txunbando  dall'alto,  nel  vano  immoto  dell'aria,  i>er  l'ampio  silenzio 
della  notte,  quel  primo  sganglicrato  grido  di  don  Abbondio:  u  aiuto! 
aiuto!  n 

■■^  Misericordia!  cos'  è  stato?  »  gridò  Perpetua,  e  volle  correre. 

^  Cosa  c'è  ?  cosa  c'è  ?  n  disse  Agnese ,  lenendola  per  la  sollwia. 

'  Misericordia!  non  avete  sentito?  »  replicò  quella,  svincolandosi. 


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I  PIIOUESSI  SPOSI 


-  Cosa  c'<!?  cosa  c'è?"  ri|M;tè  Agnese,  afferrandola  per  un  braecio. 

-  Diavolo  d' lina  doinia  I  »  esclamò  Perpetua ,  rispingcndola ,  |>er 


mettersi  in  libertà;  e  prese  la  rìneorsa.  Quando,  più  lontano,  |iiù 
aeiilo ,  più  istantaneo ,  si  sente  E'  urlo  <li  Menico. 

~  Misericordia  I  r^  grida  anche  Agnese  ;  e  di  galoppo  dietro  l' al- 
tra. A^'e^-an  quasi  appena  alzali  i  calcagni,  quando  si<oceò  la  campa- 
na :  un  tocco ,  e  due  ,  e  tre ,  e  st^'guita  :  sarebbero  stali  spi-onÌ ,  se 
<|Uelle  ne  a\essero  avuto  bisogno.  Perpetua  arrida,  un  momento  prima 
dell'altra;  n>entre  vuole  spinger  l'uscio,  l'uscio  si  spalanca  dì  denin», 
e  sulla  soglia  ctmiparìscono  Touto,  Gervaso,  Renzo,  Lucìa,  che.  Irò- 
vaia  la  scala,  eran  venuti  gin  saltelloni;  e,  sentendo  poi  (pid  terribile 
scaniimiiio,  coi'revano  in  furia,  a  mettersi  in  salvo. 

-  Cosa  c'è?  cosa  c'è?  n  domandò  Perpetua  ansante  ai  fralelli,  cIh- 
le  ris|>oseru  con  un  urlone,  e  scanlonaroiio.  -^  E  voi]  come!  che  fate 
(|ui  voi  ?  n  domandò  poscia  all'  altra  coppia ,  «juando  1'  ebbe  i-affigu- 
rala.  Ma  quelli  piu-e  uscìron  sciìza  rispondere.  Perpetua ,  pvr  aceor- 
n're  do\'e  il  bisogno  era  maggiore ,  non  domandò  altro ,  entix'i  Ìii 
Tretta  nell'andito,  e  corsi',  come  poteva  al  buio,  verso  la  scala. 


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CAPITOLO   Vili.  Ut 

I  due  sposi  rimasti  ])roiiiessi  si  trovarono  in  fiicda  Agnese,  che  ar- 
rivava tutt' afTiuinata.  «  Ah  siete  qui!»  disse  quesla,  cavando- fuori  la 
parola  a  stento:  «  com'è  andata?  cos'è  la  campana?  mi  par  d'aver 
sentilo....  " 

«  A  casa ,  a  casa ,  "  diceva  Renzo ,  «  prima  clie  xenga  gente,  n 
E  s*  avviavano  ;  ma  arriva  Menico  di  corsa ,  ti  riconosce ,  li  ferma, 
e,  ancor  tutto  tremante,  con  voce  mezza  fioca,  dice  :  u  dove  andate  ? 
indietro,  indietro!  per  di  qua,  al  convento!  " 

u  Sei  tu  die....?  »  cominciava  Agnese. 

«  Cosa  c'è  d'ailro?  «  domandava  Renzo.  Lucia,  tutta  smarrita,  ta- 
ceva e  tremava. 

«  Ce  il  diavolo  in  casa,  »  riprese  Menico  ansante,  u  Gli  lio  visti 
io:  m'hanno  voluto  ammazzare:  l'Iia  detto  il  padre  Cristoforo:  e  an- 
che voi,  Renzo,  lia  detto  che  veniale  subito:  e  poi  gli  lio  visti  io: 
provvidenza  clic  vi  trovo  qui  tutti!  vi  dirò  poi,  quando  saremo  fuori.  » 

Renzo,  ch'era  il  più  in  sé  di  tutti,  pensò  che,  di  qua  o  di  là, 
conveniva  andar  subito,  prima  che  la  gente  accorresse;  e  die  la  . 
più  sicura  era  di  far  ciò  che  IMeniuo  consigliava,  anzi  comandava,  con 
la  forza  d'uno  spavenlato.  Per  istrada  poi,  e  fuor  del  periodo,  si  po- 
trebbe domandare  al  ragazzo  una  spiegazione  più  chiara.  "  Cam- 
mina avanti ,  »  gli  disse,  u  Andiam  con  lui ,  n  disse  alle  donne.  Vol- 
tarono, s'incamminarono  in  fretta  verso  la  chiesa,  attraversaron  la 
piazza,  dove  per  grazia  del  ciclo,  non  c'era  ancora  anima  vivente; 
entrarono  in  una  stradelta  che  era  Ira  la  chiesa  e  la  casa  di  don  Ab- 
bondio; al  primo  buco  che  videro  in  una  siepe,  deniro,  e  via  )>er  i 
campi. 

Non  s' eran  forse  allontanati  un  cinquanta  passi ,  quando  la  gente 
cominciò  ad  accorrere  sulla  piazza ,  e  ingrossava  ogni  momento.  Si 
guardavano  in  viso  gli  uni  con  gli  altri:  ognuno  aveva  una  domanda 
da  fare ,  nessuno  una  risposta  da  dare.  I  primi  arrivati  corsero  alla 
porta  della  cliiesa:  era  seirata.  Corsero  al  campanile  di  fuori;  e  uno 
di  quelli ,  messa  la  l>ocea  a  un  finestrino,  una  specie  di  feritoia ,  cac- 
ciò dentro  un:  «die  diavolo  c'è?"  Quando  Ambrogio  senti  una  voce 
conosciuta,  lasciò  andar  la  corda;  e  assicurato  dal  ronzio,  ch'era  ac- 
corso molto  popolo,  rispose:  «  vengo  ad  aprire.  •>  Si  mise  in  fretta 
r  arnese  ctie  aveva  portato  sotto  il  braccio ,  venne ,  dalla  parte  di 
dentro ,  alla  porta  della  difesa  ,  e  1*  apri. 

«  Cos'  è  tutto  questo  fracasso?  — Cos'è?  — Dov'è?  —  Chi  è?  « 


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I  PROMESSI  SPOSI 


«  Come,  diì  è?  »  disse  Ambrogio,  tenendo  con  una  luaiio  un  bat- 
(eiilc  delia  porla,  e,  con  l'altra,  il  lembo  di  quel  tale  arnese,  ^e  s'era 


■  messo  cosi  in  fretta:  «  come!  non  lo  sapete?  gente  in  casa  del  si- 
gnor curato.  Animo,  figliuoli:  aiuto.  »  Si  voltati  lutti  a  quella  casa, 
vi  s' avvicinano  in  Tolta ,  guardano  ìn  su ,  stanno  in  orecchi  :  tulio 
quieto.  Altri  corrono  dalla  parte  dove  c'era  l'uscio:  è  eliiuso;  e  non  par 
che  sia  sialo  toccato.  Guardano  in  su  anche  loro:  non  e'  è  una  fineslni 
aperta:  non  si  sente  uno  zitto. 

«  Chi  è  là  dentro  ?  —  Olie ,  ohe  !  —  Signor  curalo  !  —  Signor 
curato  !  » 

Don  Abbondio,  il  quale,  appena  accortosi  della  fuga  degl'invasori, 
s' era  ritirato  dalla  finestra ,  e  l' aveva  richiusa ,  e  che  in  questo  mo^ 
mento  stava  a  bisticciar  sottovoce  con  Perpetua,  che  l'aveva  lasciato 
sole  in  queir  imbroglio ,  dovette,  quando  si  senti  chiamare  a  voce  df 
popolo,  venir  di  nuovo  alla  finestra;  e  visto  qnel  gran  soccorso,  si 
penti  d'averlo  chiesto. 

«  Cos'  è  stato  ?  —  Che  le  hanno  fatto  ?  —  Chi  sono  costoro?  — 
Dove  sono?  n  gli  veniva  gridato  da  cinquanta  voci  a  un  tratto. 
«  Non  c'è  più  nessuno:  vi  ringrazio:  tornale  pure  a  casa.  » 
«  Ma  chi  è  stato  ?  —  Dove  sono  andati  ?  —  Che  è  accaduto  ?  n 
«  Cattiva  gente,  gente  che  gira  di  notte;  ma  sono  fuggili:  tornate 
a  casa  i  non  e'  è  più  niente  :  un'  altra  volta ,  figliuoli  :  vi  ringrazio  del 
vostro  buon  cuore.  «  E,  detto  questo,  si  ritirò ,  e  chiuse  la  finestra. 
Qui  alcuni  cominciarono  a  brontolare ,  idlrì   a  canzonare ,  altri  a 


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CAPITOLO  vm.  IH 

agnvvT  ìHttì  ^!  slfiDgeVaD  nelle  spalle,  e  se  ii'aDdaraco:  quando 
«riva  uiio  lutto  trafelato,  cbe  stent«va  a  formar  le  parole.  Stava  co- 
stui di  casa  quasi  dirimpetto  alle  ooetre  donne ,  ed  essendosi ,  al  ru- 
more, afTaocialo  alla  iìnestra,  aveva  veduto  nel  eorliletto  quello  sooin- 
piglio  de' bravi,  quando  il  Griso  s'aflfonnava  a  racei^ierli.  Quand'eUK 
ripreso  fiato,  gridò:  «  cbe  fate  qui,  flgliuoli?  non  è  qui  il  diavdo; 
è  giù  in  fondo  alla  strada ,  alla  easa  d'Agnese  MtHidella  :  gente  arma- 
la ;  son  dentro  ;  par  che  vogliano  ammazzare  un  pellegrino  ;  chi  sa 
che  diavolo  c'è!  " 

"  Che?  —  Clic?  —  Cbe?  «  E  comincia  una  cwisulla  tumultuosa. 
«  Bisogna  andare.  —  Bisogna  vedere.  — .  Quanli  sono?  —  Quanti 
siamo  ?  —  Chi  sodo  ?  —  11  console  !  il .  console  !  » 

«  Son  qui,  "  risponde  il  console,  di  mezzo  alla  folla  :  «  son  qui  ; 
ma  bisogna  aiutamii ,  bist^^na  ubbidire.  Presto  :  dov'  è  il  sagrestano  ? 
Alla  campana,  alla  campana.  Presto:  uno  che  corra  a  Lecco  a  cercar 

soccorso  ;  venite  qui  tutti » 

.  Chi  accorre ,  citi  sguizza  tra  uomo  e  uomo ,  e  se  la  balte  ;  il  tu- 
multo era  grande ,  quando  arriva  un  altro,  die  gli  aveva  veduti  par> 
tire  in  fretta ,  e  grida  :  "  correte,  figliuoli  :  ladri ,  o  banditi  che  scap- 
pano con  un  pellegrino:  son  già  fuori  del  paese:  addosso!  addosso!» 
A  quest'avviso,  senza  aspettar  gli  ordini  del  capitano,  si  movono 
in  massa,  e  giù  alla  rinfusa  per  la  strada;  di  mano  in  mano  che  l'eaer- 
ctto  s' avanza,  qualcheduno  di  quei  della  vanguardia  rallenta  il  passo,  sì 
lascia  sopravanzare,  e  si  Heca  nel  corpo  della  battaglia:  gli  ultimi  spin- 
gono innanzi  :  lo  sciame  confuso  giunge  finalmente  al  lui^  indicalo. 
Le  tracce  dell'invasione  eran  fresche  e  manifeste:  l'uscio  spalancato, 
la  serratura  sconfinala;  ma  gl'invasori  erano  spariti.  S'entra  nel  cor- 
tile; si  va  all'uscio  del  terreno:  aperto  e  sconficcato  anche  quello i  si 
chiama  :  u  Agnese  1  Lucift  !  H  pellegrino  !  Dov"  è  il  pellegrino  ?  L' avrà 
sognato  Stefano,  il  pellegrino.  —  No,  no:  Tha  visto  anche  Carian- 
drea.  Ohe,  pellegrino  !  — '  Agnese  !  Lucia!  ^  Nessuno  risponde.  «  Le 
hanno  portate  via  !  Le  hanno  portate  via  !  n  Ci  fu  allora  di  quelli 
cbe,  alzando  la  voce,  proposero  d'inseguire  i  rapitori:  che  era  un'in- 
famità; e  sarebbe  una  vergogna  per  il  paese,  se  ogni  birbone  po- 
tesse a  man  salva  venire  a  portar  via  le  donne ,  come  il  nibbio  i 
pulcini  da  un'aia  deserta.  Nuova  consulta  e  più  tumultuosa:  ma  uno 
(e  non  si  seppe  mai  bene  chi  fosse  stalo)  gettò  nella  brigata  una 
voce,  che  Agnese  e  Lucia  s'eran  messe  in  salvo  in  una  casa.  La  voce 


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■  ita  I  PROCESSI  SP05t 

corse  rapidamente,  ol tenne  credenza;  non  sì  parlò  più  di  dar  la  cac- 
da  ai  fuggitivi  ;  e  la  brigata  si  sparpagli» ,  andando  (^uno  a  casa 
sua.  Era  un  bisbiglio,  uno  strepito,  un  picchiare  e  un  aprir  d'nsei, 
un  apparire  e  uno  sparir  di  lucerne ,  un  interrogare  di  donne  dalle 
fìneslre,  un  rispondere  dalla  strada.  Tornala  questa  descrla  e  saien- 
ziosa,  i  discorsi  continuaron  nelle  case,  e  moriron  negli  sbadigli,  per 
ricominciar  poi  la  mallina.  Fatti  però ,  non  ce  ne  fu  altri  ;  se  non 
che,  quella  medesima  mattina,  il  console,  stando  ne)  suo  campo,  col 
mento  in  una  mano,  e  il  gomito  appoggialo  sid  manico  della  vanga 
mezza  ficcala  nel  lerreno,  e  con  un  piede  sul  vangile;  stando,  dico,  a 
speculare  tra  se  sui  misteri  della  notte  passala,  e  sulla  ragion  composta 
di  ciò  che  gli  toccasse  a  fare,  e  di  ciò  che  gii  convenisse  fare,  vide  ve- 
nirsi incontro  due  uomini  d'  assai  gagliarda  presenza ,  chiomati  come 
due  re  de'  Franchi  della  prima  razza ,  e  somigliantissimi  nel  resto  a 
(jue'  due  che  cinque  giorni  prima  avevano  affrontalo  don  Abbondio , 
se  pur  non  eran  qiie'  medesimi.  Costoro ,  con  un  fare  ancor  men  ce- 
riihonioso ,  Intimarono  al  console  che  guardasse  bene  di  non  far  de- 
posizione al  podestà  dell'accaduto,  di  non  rispondere  il  verf ,  caso 
che  ne  venisse  interrogato,  di  non  ciarlare,  di  non  fomentar  le  ciaHe 
de'  villani ,  per  quanlo  ave^a  cara  la  speranza  dì  morir  di  malattia. 


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CAPITOLO  Vm.  11(7 

1  nostri  Infiaschi  camminarono  un  pezzo  dì  buon  Irolto,  in  silen- 
zio, voltandosi,  ora  l'uno  ora  l'altro,  a  guardare  se  nessuno  gì' insegui- 
va, tulli  in  affanno  per  la  fatica  della  fuga,  per  il  batticuore  e  per 
la  sospensione  in  cui  erano  stali,  per  il  dolore  della  cattiva  riuscita, 
per  r  apprensione  confusa  del  nuovo  oscuro  pericolo.  E  ancor  più  in 
afianno  li  teneva  l'incalzare  continuo  di  que' rintocchi,  i  quali,  quanto, 
per  l'altontanarsi ,  venivan  più  fiochi  e  ottusi,  tanto  i>areva  che  pren- 
dessero un  non  so  che  di  più  lugubre  e  sinistro.  Finalmente  cessarono. 
I  fuggiaschi  allora,  trovandosi  in  un  campo  disabitato,  e  non  sentendo 
un  alilo  all'intorno,  rallentarono  il  [>asso;e  fu  la  prima  Agnese  che, 
ripreso  fiato,  ruppe  il  silenzio,  domandando  a  Renzo  com'era  andata, 
domandando  a  Menico  cosa  fosse  quel  diavolo  in  casa.  Renzo  raccontò 
brevemente  la  sua  trista  storia;  e  tutt'  e  tre  si  voltarono  al  fanciullo, 
il  quale  rìferi  più  espressamente  l'avviso  del  padre,  e  raccontò  quello 
th'egli  stesso  aveva  veduto  e  rischiato,  e  che  pur  troppo  confermava 
l'avviso.  Gli  ascollalori  compresero  più  di  quel  che  Menico  avesse  sa- 
puto dire  :  a  quella  scoperta ,  si  sentiron  rabbrividire  ;  si  fermaron 
(ulf  e  tre  a  un  tratto,  si  guardarono  in  viso  fun  con  l'altro,  spa- 
ventati; G  subito,  con  un  movimento  unanime,  tutt' e  tre  posero  una 
mano,  chi  sul  capo,  chi  sulle  spalle  del  ragazzo,  come  per  accarez- 
zarlo, per  ringraziarlo  lacitamenle  che  fosse  sialo  per  loro  un  angelo 
tutelare,  per  dimostrargli  la  compassione  che  sentivano  dell'  angoscia 


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tua  I  PROMESSI  SPOSI 

da  lui  soCTerla,  e  del  pericolo  eorso  per  la  loro  salvezza;  e  quasi  per 
-cliiedei^iene  scusa.  «  Ora  (orna  a  casa,  percbè  i  tuoi  noD  abbtan» 
a  star  più  in  pena  per  te,  a  gli  disse  Agnese;  e  rammentandosi 
delle  due  parpagliole  promesse,  se  ne  levò  quattro  di  tasca,  e  gliele 
diede,  a^ìungendo  :  «  basla  ;  prega  il  Signore  che  ci  rivediamo  pre- 
sto :  e  allora "  Renzo  gli  diede  una  berlinga  nuova ,  e  gli  rac* 

comandò  molto  di  non  dir  nulla  della  commissione  avuta  dal  frale; 
Lucia  r  accìu'ezzò  di  nuovo ,  lo  salutò  con  voce  accorala  ;  il  ragazzo 
li  salutò  tutti ,  intenerito  ;  e  tornò  indietro.  Quelli  ripresero  la  loro 
strada,  tutti  pensierosi;  le  donne  innanzi,  e  Renzo  dietro,  cwne  per 
guardia.  Lucia  sta^a  stretta  al  braccio  della  madre,  e  scansava  dol- 
cemcnte,  e  con  destrezza,  l'aiuto  che  il  giovine  le  offriva  ne' passi 
malagevoli  di  quel  viaggio  fuor  dì  strada;  vergognosa  in  sé,  andie 
in  un  (ale  turbamento ,  d'esser  già  stata  tanto  sola  con  lui,  e  tanto 
famigliarmenle ,  quando  s'  aspettava  di  divenir  sua  moglie,  tra  pochi 
momenti.  Ora ,  svanito  cosi  dolorosamente  quel  sogno ,  si  pentiva 
d*  essere  andata  troppo  avanti,  e,  tra  tante  cagioni  di  tremare,  tre- 
mava anche  per  quel  pudore  che  non  nasce  dalla  trista  scienza  del 
male ,  per  quel  pudore  che  ignora  sé  stesso,  somigliante  alla  paura 
del  fenciiiUo,  che  trema  nelle  tenebre,  senza  saper  di  che. 

"  E  la  casa?  «  disse  a  un  tratto  Agnese.  Ma,  per  qimnto  la  do- 
manda fosse  importante ,  nessuno  rispose ,  perchè  nessuno  poteva 
darle  una  risposta  soddisfacente.  Continuarono  in  silenzio  la  loro 
strada,  e  poco  dopo,  sboccarono  finalmente  sulla  piazzetta  davanti  alla 
chiesa  del  convento. 

Renzo  s'affacciò  alla  porta,  e  la  sospinse  bel  bello.  La  )H>rta  di 
fatto  s'apri;  e  la  luna,  entrando  per  lo  spiraglio,  illuminò  la  faccia 
pallida ,  e  la  barba  d' argento  del  padre  Cristoforo ,  che  sta\'a  quivi 
ritto  -in  aspettativa.  Visto  che  non  ci  mancava  nessuno,  »  Dio  sia 
benedetto!  «  disse,  e  fece  lor  cenno  ch'entrassero.  Accanto  a  luì, 
stava  un  altro  cappuccino;  ed  era  il  laico  sagrestano,  ch'egli,  con 
preghiere  e  con  ragioni,  aveva  persuaso  a  vegliar  con  lui ,  a  lasciar 
socchiusa  la  porta,  e  a  starci  in  sentmella,  per  accogliere  que'  poveri 
minacciati  :  e  non  si  richiedeva  meno  deli'  autorità  del  padre,  e  della 
sua  fama  di  santo,  per  ottener  dal  laico  una  condiscendenza  incomoda, 
pericolosa  e  irregolare.  Entrati  che  furono ,  il  padre  Cristoforo  riac- 
costò la  porta  adagio  adagio.  Allora  il  sagrestano  non  potè  più  refj^^ere, 
e,  chiamato  il  padre  da  una  parte,  gli  andava  susurrando  airtH-ecchio: 


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CAPITOLO  vm.  IH» 

Kina  padre,  padre!  di  nelle...  in  chiesa...  con^lonne...  chiudere... 

fa  r^ola ma  padre!  «  E  tentennava  ia  testa.  Mentre  diceva  sten- 

(alameQle  quelle  parole,  —  vedete  un  poco  !  —  pensava  il  padre  Cri- 
sleforo,  —  se  (osse  un  masnadiero  inseguito,  ira  Fazio  non  gli  farebbe 
una  diffw(4là  al  mondo;  e  una  povera  innocente,  che  scappa  dagli  ar- 
tigli del  lupo —  »  Omnia  munda  viundisj  n  disse  poi,  voltan- 
dosi tuli' a  un  tratto  a  fra  Fazio,  e  dimenticando  che  questo  non  m- 
lendeva  il  latino.  Ma  una  tale  dimenticanza  fu  appunto  quella  che 
fece  l'effetto.  Se  il  padre  si  fosse  messo  a  questionare  con  ragioni ,  a 
fi^  Fazio  non  sarebber  mancate  altre  ragioni  da  opporre;  e  sa  il  cielo 
quando  e  come  la  cosa  sarebbe  Rnila.  Ma,  al  sentir  quelle  parole 
gravide  d'  un  senso  misterioso ,  e  proferite  così  risolutamente ,  gli 
parve  die  in  quelle  dovesse  contenersi  la  soluzione  di  lutti  Ì  suoi 
dubbi.  S' acquietò ,  e  disse  :  »  basta  !  lei  ne  sa  più  di  me.  " 

u  Fidatevi  pure,  »  rispose  il  padre  Cristoforo  ;  e,  all'  incerto  chia- 
rore della  lampada  che  ardeva  davanti  all'  altare,  s' accostò  ai  ricove- 
rati, i  quali  slavano  sospesi  aspettando,  e  disse  loro:  «  figliuoli!  rin- 
graziate il  Signore,  ette  v'ha  scampati  da  un  gran  pericolo.  Forse  in 

questo  momento !»  E  qui  si  mise  a  spiegare  ciò  die  aveva  fatto 

accennare  dal  piceo!  messo  :  giacché  non  sospettava  eh'  e(!si  ne  sape»- 
ser  più  di  lui ,  e  supponeva  che  Menico  gli  avesse  trovati  tranquilli 
in  casa ,  prima  che  arrivassero  i  malandrini.  Nessuno  lo  disingannò , 
nemmeno  Lucia,  la  quale  però  sentiva  un  rimorso  segreto  d'una  (ale 
dissimulazione,  con  un  tal  uomo;  ma  era  ia  notte  degl'imbrogli  e  de' 
sotterfugi. 

u  Dopo  di  ciò ,  »  continuò  e^i ,  «  vedete  bene ,  flgliuiJi ,  che  ora 
questo  paese  non  è  ^curo  per  voi.  É  il  vostro;  ci  siete  nati;  non 
avete  fatto  male  a  nessuno;  ma  Dio  vuol  così.  É  una  prova,  SglìuoU: 
soppMiatela  con  pazienza,  con  fiducia,  senza  odio,  e  siate  sicuri  àte 
verrà  un  tempo  in  cui  vi  troverete  contenti  di  ciò  che  ora  accade. 
k  ho  pensato  a  trovarvi  un  rifugio ,  per  questi  primi  momenti.  Pre- 
sto, io  spero,  potrete  ritornar  sicuri  a  casa  vostra;  a  ogni  modo,  Dio 
vi  provvedere,  per  il  vostro  meglio;  e  io  certo  mi  studierò  di  non 
mancare  alla  grazia  che  mi  fa ,  scegliendomi  per  suo  ministro ,  nel 
servizio  di  voi  suoi  poveri  cari  trìbcdati.  Voi,  "  continuò  volgendosi 
alle  due  donne,  «  potrete  fermarvi  a*'*.  Là  sarete  aU)astanza  fuori 
d'ogni  pericolo,  e,  nello  stesso  tempo,  non  troppo  lontane  da  casa 
vostra.  Cercale  dd  nostro  convento ,  fole  chiamare  il  padre  guar- 


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I  PROMESSI  SPOSI 


diano,  dategli  questa  lettera:  sarà  per  voi  un  altro  fra  Cristoforo.  E 
anche  tu,  il  mio  Renzo,  anche  tu  devi  metterti,  per  ora,  in  salvo 


dalla  rabbia  degli  altri,  e  dalla  tua.  Porta  questa  lettera  al  padre  Bo- 
naventura da  Lodi,  nel  nostro  convento  di  Porla  Orientale  in  Milano. 
Egli  ti  farà  da  padre,  ti  guiderà,  ti  troverà  del  lavoro,  per  fin  che  tu 
non  possa  tornare  a  viver  qui  tranquillamente.  Andate  alla  riva  del 
lago,  vicino  allo  sbocco  del  Bione.  n  È  un  torrente  a  pochi  passi  da 
Pescarenico,  u  Lì  vedrete  un  battello  fermo;  direte:  barca;  vi  sarà 
domandato  per  chi;  rispondete:  san  Francesco.  La  barca  vi  riceverà, 
vi  trasporterà  all'altra  riva,  dove  troverete  un  biUYtccio  che  vi  con- 
durrà addirittura  fino  a  ***.  » 

Chi  domandasse  come  fra  Cristoforo  avesse  così  subito  a  sua  di- 
sposizione que'  mezzi  di  trasporlo,  per  actjua  e  )ier  terra,  fareUic 
vedere  di  non  conoscere  qual  fosse  il  potere  d'un  cappuccino  tenuto 
in  concetto  di  santo. 


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CAPITOLO  VHl.  iui 

Reslava  da  pensare  alla  custodia  delle  case.  Il  jiadre  ne  ricevclle 
le  chiavi,  incaricandosi  di  consegnarle  a  quelli  che  Renzo  e  Agnese 
gì' indicarono.  Quest'ultima,  levandosi  di  tasca  la  sita,  mise  un  gran 
sospiro,  pensando  che,  in  (|uel  momeiilo,  la  casa  era  aperta,  che  c'era 
stato  il  diavolo,  e  ehi  sa  cosa  ci  rimaneva  da  custodire! 

u  Prima  che  partiate,  »  disse  il  padre,  "  preghiamo  tutti  insieme 
il  Signore ,  perchè  sia  con  voi ,  in  codesto  viaggio ,  e  sempre  ;  e  so- 
pra tutto  vi  dia  forza,  vi  dia  amore  di  volere  ciò  ch'Egli  ha  voluto.  " 
Così   dicendo  s' inginocchiò  nel  mezzo  della  cliìest  ;  e  tulli   fecer  lo 


stesso.  Dopo  eh"  ebbero  pregato,  alcimi  momenti,  in  silenzio,  il  [la- 
dre, con  voce  sommessa,  ma  distìnta,  articolò  (|ueste  parole:  u  noi  \ì 
preghiamo  ancora  per  quel  poveretto  che  ci  ha  condotti  a  (juesto  passo. 
Noi  sai-emmo  indegni  della  vostra  misericordia,  se  non  ve  la  chiedes- 
simo di  cuore  per  lui  :  ne  ha  tanto  bisogno  !  Noi ,  nella  nostra  tribo- 
lazione ,  abbiamo  questo  conrui-to ,  che  siamo    nella  strada   do^-c   ci 


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(CI  1  PHOllESSI  SPOSI  { 

avete  meiisi  \oì  :  possiamo  offrirvi  i  noslH  guai  ;  e  diventano  un  gua-     | 
dagno.  Ma  lui!  ...  è  rostro  nemico.  Ob  disgraziato!  compete  eoii 
Voi  !  Abbiale  pietà  di  lui ,  o  Signore ,  toccategli  il  cuore ,  rendetelo 
vostro  amico,  concedetegli  lutti  i  beni  che  noi  possiamo  desiderare  a 
noi  stessi.  » 

Alzatosi  poi,  come  in  fretta,  disse:  u  via,  figliuoli,  non  c'è  tempo 
da  perdere  :  Dio  vi  guardi ,  il  suo  angelo  v'accompagni:  andate.  »  E 
mentre  s'  avviavano,  con  quella  commozione  che  non  trova  parole,  e 
che  si  manifesta  senza  di  esse ,  il  padre  soggiunse,  con  voce  alterala: 
«  il  cuor  mi  dice  che  ci  rivedremo  presto.  » 

GfTto ,  il  cuore ,  dii  gli  dà  retta ,  ha  sempre  quache  cosa  da  dire 
su  quello  che  sarà.  Ma  che  sa  ti  cuore?  Appena  un  |)oco  di  quello 
che  è  già  accaduto. 

Senza  aspettar  risposta,  fra  Cristoforo,  andò  verso  la  sagrestia;  i 
viaggiatori  usciron  di  diiesa;  e  fra  Fazio  diiuse  la  porta,  dando  loro 
un  addio,  con  la  voce  alterata  anche  lui.  Essi  s'avviarono  zittì  zitti 
alla  riva  ch'era  slata  loro  indicala;  videro  il  battello  pronto,  e  data  e 
barattata  la  par(Ja,  c'entrarono.  Il  barcaiolo,  puntando  un  remo  alla 
proda ,  se  ne  staccò  ;  afferrato  poi  l' altro  remo ,  e  vogando  a  due 
braccia,  prese  il  largo,  \'erso  la  spiaggia  opposta.  Non  tirava  un  alito 
dì  vento;  il  lago  giaceva  liscio  e  piano,  e  sarebbe  parso  immobile, 
se  non  fosse  stato  il  tremolare  e  l'ondeggiar  leggiero  della  luna,  che 
vi  si  specchiava  da  mezzo  il  cielo.  S'udiva  soltanto  il  fiotto  morto  e 
lento  frangersi  sulle  ghiaie  del  lido,  il  gorgoglio  più  lontano  dell'acqua 
rotta  tra  le  pile  del  ponte ,  e  il  tonfo  misurato  di  quc'  due  remi,  che 
ta^^ia^'ano  la  superficie  azzurra  del  lago,  uscivano  a  un  colpo  gron- 
danti, e  si  rituffavano.  L'onda  s^^la  dalla  barca,  riunendosi  dietro 
la  poppa,  segnava  una  striscia  increspata,  che  s'andava  allontanando 
dal  lido.  I  passcggieri  silenziosi,  con  la  testa  vtritata  indietro,  guarda- 
vano ì  monti,  e  il  paese  rischiarato  dalla  lima,  e  cariato  qua  e  là  di 
grand' ombre.  Si  distìnguevano  i  villaggi,  le  case,  le  capanne:  il  pa- 
lazzotto di  don  Rodrigo,  con  la  sua  torre  piatta,  elevato  sopra  le  co- 
succe ammucchiate  alla  falda  del  prommitorio ,  parei  a  un  feroce  che, 
ritto  nelle  tenebre,  in  mezzo  a  una  comjiagnia  d'addormentati,  ve- 
gliasse, meditando  un  delitto.  Lucia  lo  vide,  e  rabbrividì;  scese  con 
r  ocdiio  giù  giù  |H-r  la  china,  fino  al  suo  paesello,  guardò  fisso  all'  e- 
stremità,  scopri  la  sua  casella,  scopri  la  chioma  folta  del  fico  che  so- 
pravanzava il  muro  del  eoriilc,  scopri  la  finestra  della  sua  caiucra;  e. 


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CAPITOLO  Vili.  103 

seduta,  com'  era,  nel  fondo  della  barca  ,  posò  1)  braccio  sulla  sponda , 
pos6  sul  braccio  la  fronte,  come  per  dormire,  e  pianse  segretamente. 
Addio,  monti  sorgenti  dall'acque,  ed  elevali  al  cielo;  cime  inu- 
guali, note  a  chi  è  «resciulo  Ira  voi,  e  impresse  odia  sua  mente,  non 
meno  che  lo  sia  l'aspetto  de" suoi  più  familiari;  (orrenli,  de'  quali  di- 
stingue Io  scroscio,  come  il  suono  delle  voci  domestiche;  ville  sparse 
e  bianchegfpanli  sul  pendio,  come  branchi  di  pecore  pascenti;  addio! 
Quanto  è  tristo  i[  passo  dì  chi,  cresciuto  tra  voi,  se  ne  allontana!  Alla 
fantasia  di  quello  stesso  che  se  ne  parte  vcdontariamciite ,  tratto  didla 
speranza  di  fare  altrove  fortuna,  si  disabbelliscono,  in  quel  momento, 
i  sogni  della  ricchezza;  egli  si  maraviglia  d'essersi  potuto  risolvere, 
e  lomerebbe  aMora  indietro,  se  non  pensasse  che,  un  giorno,  tornerà 
dovizioso.  Quanto  più  s'avanza  nel  piano,  il  suo  occhio  si  ritira,  di- 
sgustato e  stanco,  da  quell'ampiezza  iinifonne;  l'aria  gli  par  gravosa 
e  morta;  s'inoltra  mesto  e  disattento  nelle  città  tunmituose;  le  case 
aritmie  a  case,  le  strade  che  sboccano  nelle  strade,  |«ire  che  gli  le- 
vino il  respiro;  e  davanti  agli  edifìzi  ammirati  dallo  straniero,  pen»a, 
con  desiderio  inquieto,  al  campicello  del  suo  paese,  alla  casuccra  a  cui 
ha  già  messi  gli  occhi  addosso,  da  gran  tempo,  e  che  comprerà,  tor- 
nando ricco  a'  suoi  monti. 

Ma  chi  non  aveva  mai  spinto  al  di  là  di  (|uelli  neppure  un  desi- 
derio fuggitivo,  eh!  aveva  composti  in  essi  tutti  i  disegni  dell'  avve- 
nire, e  n' è  sbalzato  lontano,  da  mia  forza  perversa!  Chi,  staccato  a 
un  tempo  dalle  più  care  abitudini,  e  disturbato  nelle  più  care  speran- 
ze, [ascia  que' monti,  per  avviarsi  in  traccia  dì  sconosciuti  ctie  non  lia 
mai  desiderato  di  conoscere,  e  non  può  con  l' immaginazione  arrivare 
a  un  momento  stabilito  per  il  ritorno!  Addìo,  casa  natia,  dove,  se- 
dendo,  con  un  pensiero  occulto,  s'imparò  a  distinguere  dal  rumore 
de'  passi  comuni  il  rumore  d'  un  passo  aspettalo  con  un  misterioso 
timore.  Ai]dìo,  casa  ancora  straniera,  casa  sogguardata  tante  volte 
alla  sfuggita ,  passando ,  e  non  senza  rossore  ;  nella  qu^e  la  mente 
sì  figurava  un  soggiorno  tranquillo  e  perpetuo  di  sposa.  Addìo , 
chiesa,  dove  l'animo  tornò  tante  volte  sereno,  cantando  le  lodi  del 
Signore;  dov'  era  promesso,  preparato  un  rito;  dove  il  sospiro  sc- 
ipito del  cuore  doveva  essere  solennemente  benedetto,  e  l'amore  ve- 
nir comandato,  e  chiamarsi  santo;  addìo!  Chi  dava  a  ^'oi  tanta  giocon- 
dità è  per  lutto;  e  non  turba  mai  la  gioia  de'  suoi  figli ,  se  non  per 
■    prepararne  loro  una  più  certa  e  più  grande. 


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I  piiu.uessi  SPOSI 


I    j  Di  IhI  genere,  se  non  tali  appunto,  erano  i  pensieri  di  Lucia,  e 

I     j      poco  divci-si  ì  pensieri  degli  altri  due  pellegrini,  mentre  la  barca  j^i 
I     j      jHidiiva  avvieinaiido  alia  riva  destra  dell'Adda. 


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CAPITOLO   IX. 


iii'Iar  che  fece  la  barra  contro 
la  proda,  scosse  Lucia,  la  quale, 
(topo  aver  asciugale  in  segreto  le 
lacrime,  alzò  la  lesta,  come  se  si 
svegliasse.  Renzo  uscì  il  primo, 
'  e  diede  la  mano  ad  Agnese ,  la 

r  quale,  uscita  pure,  la  diede  alla 
figlia;  e  tutl'  e  Ire  resero  trista- 
mente grazie  al  barcaiolo.  "  Di  che  cosa?  u  rispose  quello:  u  slam 
quaggiù  per  aiutarci  l'uno  con  l'altro,  »  e  ritirò  la  mano,  quasi  con 
ribrezzo,  come  se  gli  fosse  proposto  di  rubare ,  allorché  Renzo  cercò 
di  farvi  sdrucciolare  una  parte  de' quattrinelli  che  sì  trovava  indosso, 
e  che  ave%'a -presi  quella  sera,  con  intenzione  di  regalar  generosa* 
mente  don  Abbondio,  quando  questo  l' avesse,  suo  malgrado,  servilo. 
n  baroccio  era  li  pronto;  il  conduttore  salutò  i  Ire  aspettali,  li  fece 
salire,  diede  una  voce  alla  bestia,  una  frustala,  e  via. 

U  nostro  autore  non  descrìve  quel  viaggio  notturno,  tace  il  nome 
de)  paese  dove  fra  Cristoforo  aveva  indirizzate  le  due  donne;  anzi 


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100  I  PROMESSI  SPOSI 

protesta  espressanienle  di  non  lo  voler  dire.  Dal  progresso  della  storia 
si  rìleva  poi  la  cacone  di  queslc  relicenze.  Le  avventure  di  Lucia  in 
quel  soggiorno,  si  Irovuno  avviluppale  in  un  intrigo  tenebroso  di  per- 
sona appartenente  a  una  famiglia,  come  pare,  mollo  potente,  al  tempo 
che  l'autore  scriveva.  Per  render  ragione  della  strana  condotta  di  quella 
[lersona,  nel  caso  particolare,  egli  ha  poi  anche  dovuto  raccontarne 
in  sufcinto  la  vita  antecedente;  o  la  famiglia  ci  fa  quella  figura  che 
vedrà  chi  vorrà  leggere.  Ma  ciò  clic  la  circosjiezione  del  poveruomo 
ci  ha  voluto  sottrarre,  le  nusli'c  diligenze  ce  l'hanno  fatto  trovare  in 
altra  parte.  Uno  storico  milanese  '  che  ha  avuto  a  far  menzione  di 
quella  pei-sona  medesima,  non  nomina,  è  vero,  né  lei,  né  il  paese;  ma  di 
(guesto  dice  ch'era  un  borgo  antico  e  nobile,  a  cui  di  ciltà  non  man- 
cava allro  che  il  nome;  dice  altrove,  che  ci  passa  il  Lambro;  altrove, 
che  e'  è  un  arciprete.  Dal  riscontro  di  questi  dati  noi  deduciamo  che 
fosse  Monza  senz'  sJtro,  Nel  vasto  tesoro  dell'  induzioni  erudite,  ce  ne 
|iotrà  ben  essere  delle  più  fine,  ma  delle  più  sicure,  non  crederei. 
Potremmo  anche,  sopra  eongelture  molto  fondale,  dire  il  nome  della 
famiglia;  ma,  sebbene  sia  estinta  da  un  pezzo,  ci  |)ar  meglio  lasciarlo 
nella  penna,  |ier  non  metterci  a  rischio  dì  far  torlo  neppure  ai  morti, 
0  per  lasciare  ai  dotti  qualche  soggetto  di  ricerca. 

I  nostri  viaggiatori  arrivaron  dunque  a  Monza,  poco  dopo  il  levar 
del  sole:  il  conduttore  entrò  in  un'  osteria,  e  li,  come  pratico  del  luogo, 
e  conoscente  del  padrone,  fece  assegnar  loro  una  stanza,  e  ve  gii  ac- 
compagnò. Tra  i  ringraziamenti,  Renzo  tentò  pure  di  fargli  ricevere 
qualche  danaro;  ma  quello,  al  pa.vì  del  barcaiolo,  aveva  in  mira  un'  al- 
tra ricompensa,  più  lontana,  ma  più  abbondante:  rilirò  le  mani,  an- 
dte  lui,  e,  come  fuggendo,  corse  a  governare  la  sua  bestia. 

Dopo  una  sera  quale  l'abbiamo  descritta,  e  una  notte  quale  ognuno 
può  immaginarsela,  passala  in  compagnia  di  que'  pensieri,  col  sospetto 
incessante  dì  qualche  incontro  spiacevole ,  al  soffio  d'  una  brczzolina 
più  che  autunnale,  e  tra  le  continue  scosse  della  disagiala  vettura,  che 
ridestavano  sgarbalainenle  chi  dì  loro  cominciasse  appena  a  velar  l'oc- 
chio, ntm  parve  vero  a  tult'  e  tre  dì  sedersi  sur  una  panca  che  stava 
ferma,  in  una  stanza,  qualunque  fosse.  Fecero  colazione,  come  per- 
metteva la  penuria  de'  tempi,  e  i  mezzi  scarsi  in  pi-oporzionc  de'  con- 
tingenti bisogni  d'nn  avvenire  incerto,  e  il  poco  appetito.  A  tult*  e 

*  Joseph!  Riptiinonlll,  llistoriir  Pnlri.r,  OcriHlii  V,  Lilt.  VI,  C«p.  HI,  png.  SUB  ci  scq. 


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CAPITOLO.  IX.  167 

tre  passò  per  la  niente  il  bancbetlo  che,  due  glorili  prima,  s'aspet- 
tavan  di  fare;  e  ciascuno  mise  un  gran  sos[)iro.  Renzo  avrebbe  voluto 
fermarsi  li,  almeno  tutto  quel  giorno,  veder  le  donne  allogale,  ren- 
der loro  i  primi  servizi;  ma  il  padre  aveva  raccomandato  a  queste  di 
mandarlo  subito  per  la  sua  strada.  Addussero  quindi  esse  e  quegli  or- 
dini, e  cento  altre  ragioni;  che  la  gente  ciarlerebbe,  che  la  separa- 
zione più  rilardata  sarebbe  più  dolorosa,  eh'  egli  potrebbe  venir  pre- 
sto a  dar  nuove  e  a  sentirne;  tanto  che  si  risolvette  di  partire.  Si 
concerlaron,  come  poterono,  sulla  maniera  dì  rivedersi,  più  presto 
che  fosse  possìbile.  Lucìa  non  nascose  le  lacrime;  Renzo  trattenne  a 
stento  le  sue,  e,  stringendo  forte  forte  la  mano  a  Agnese,  disse  con 
voce  soffogata:  «  a  rivederci,  »  e  parti. 

Le  donne  si  sarebber  trovate  ben  impicciale,  se  non  fosse  slato 
quel  buon  baroccìaio,  che  aveva  ordine  di  guidarle  al  convento  de' 
ca[^uccÌDÌ,  e  di  dar  loro  c^n'  altro  aiuto  che  potesse  bisognare.  S' av- 
viaron  dunque  con  lui  a  quel  convento;  il  quale,  come  <^nun  sa,  era 
podii  passi  distante  da  Monza.  Arrivali  alla  (lorla,  il  conduttore  tirò 
il  campanello,  fece  chiamare  il  padre  guardiano;  questo  venne  subito, 
e  ricevette  la  lettera,  sulla  soglia. 


"  Oli  !  fra  Cristoforo!  »  disse,  riconoscendo  il  carattere.  Il  tono 
ella  voce  e  i  movimenti  del  volto  indicavano    nianifeslameiite  che 


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IM  1  PHO^ESSI  SPOSI 

proferiva  il  ooine  d'un  grand' amico.  Coovien  poi  dire  che  il  nostro 
buon  Cristoforo  avesse,  in  quella  lettera,  raccomandate  le  donne  con 
mollo  calore,  e  riferito  il  loro  caso  con  molto  sentimento,  perdiè  il 
guardiano,  faceva,  di  tanto  in  tanto,  atti  di  sorpresa  e  d' indegnazio- 
ne; e,  alzando  gli  occhi  dal  foglio,  li  fissava  sulle  donne  con  una  certa 
espressione  di  pietà  e  d' interesse.  Finito  eh'  ebbe  di  leggere,  stette  lì 
alquanto  a  pensare;  poi  disse  :  "  non  e'  è  che  la  signora:  se  la  si- 
gnora vucd  prendersi  quesl'  impegno ....  y 

Tirata  quindi  Agnese  in  disparte,  sulla  piazza  damanti  al  convento,  le 
fece  alcune  intem^azioni,  alle  quali  essa  soddisfece;  e,  tornalo  veirso 
Lucia,  disse  a  tult'e  due:  >•  donne  mie,  io  tenterò;  e  spero  di  po- 
lervi  trovare  un  ricovero  più  che  sicuro,  più  che  onorato,  fin  clic  Dio 
non  v'abbia  provvedute  in  mi^ior  maniera.  Volete  venir  con  me?  n 

Le  donne  accennarono  rispettosamente  di  si;  e  il  frale  riprese:  u  be- 
ne; io  ^i  conduco  subito  al  monastero  della  signora,  State  perà  disco- 
ste da  me  alcuni  passi,  perché  la  gente  si  diletta  di  dir  male;  e  Dio 
sa  qimnle  belle  chiacdiiere  si  fareU>ero,  se  si  vedesse  il  padre  guar- 
diano per  la  strada,  con  una  bella  giovine  . . .  con  donne  voglio  dire.  » 

Cosi  dicendo,  andò  avanti.  Lucia  arrossì;  il  barocciaio  sorrise,  guar- 
dando Agnese,  la  quale  non  polè  tenersi  di  non  fare  allretlanlo;  e 
tutt'  e  li'c  si  mossero,  quando  il  frate  si  fu  avviato;  e  gli  andarcm  die- 
tro, dieci  passi  discosto.  Le  donne  allora  domandarono  al  barocciaio, 
ciò  ohe  non  avevano  osato  al  padre  guardiano,  clii  fosse  la  signora. 

■>  La  signora,  n  rispose  quello,  »  è  una  monaca;  ma  non  è  una  mo- 
itaca  come  l'altre.  Non  è  che  sia  la  badessa,  né  la  priora;  die  anzi,  a 
quel  che  dicono,  è  una  delle  più  giovani:  ma  e  della  costola  d'Ada- 
mo; e  i  suoi  dd  tcm|M)  antico  erano  genie  grande,  ^'enuta  di  Spa- 
gna, do\e  sun  quelli  che  comandano;  e  per  questo  la  chiamano  la 
signora,  \Kr  dire  eh'  é  una  gran  signora;  e  tulio  il  |>aese  la  chiama 
con  quel  nome,  perche  dicono  che  in  quel  monastero  non  lianno  avuto 
mai  una  |>ersoiia  simile;  e  ì  suoi  d'adesso,  laggiù  a  Milano,  conlan 
mollo,  e  son  di  quelli  che  liaimo  sempre  ragione;  e  in  Monza  anclie  di 
più,  iK'rcIiè  suo  padre,  quantunque  non  ci  stia,  é  il  primo  del  paese; 
onde  anclie  lei  può  far  alto  e  basso  nel  monastero;  e  anche  la  genie  di 
fuori  le  porla  un  gran  ricetto;  e  quando  prende  un  impano,  le 
riesce  anche  di  spuntarlo;  e  perciò,  se  quel  buon  religioso  li,  ottiene 
di  mettervi  nelle  sue  mani,  e  che  lei  v'accetli,  vi  po»iO  dire  che  sa- 
rete sicure  come  sull'  altare,  n 


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Quando  fu  vicino  alla  porla  del  borgo,  fiancheggiala  allora  da  un 
aulico  torraechione  mezzo  rovinalo,  e  da  un  pezzo  di  castcllaccio,  dìroo* 
calo  aneli' esso,  che  forse  dieci  de'  miei  lettori  possono  ancor  rani- 
inenlarsi  d'  aver  veduto  in  piedi,. Ìl  guardiano  si  fermò,  e  si   voltò 


a  guardar  se  gli  altri  venivano;  quindi  entrò,  e  s'javvió  al  mutia- 
stero;  dove  arrivato,  si  fermò  di  nuovo  sulla  soglia,  aspettando  la 
piccola  brigala.  Pregò  il  barocciaio  che,  Ira  un  par  d'ore,  tornasse 
da  lui,  a  prender  la  risposta:  questo  lo  promise,  e  si  licenziò  dalle 
donne ,  che  lo  caricaron  di  ringraziamenti ,  e  di  commissioni  per  il 
padre  Cristoforo.  Il  guardiano  fece  entrare  la  madre  e  la  figlia  nel 
primo  cortile  del  monastero,  le  introdusse  nelle  camere  della  faltoressa; 
e  andò  solo  a  chieder  la  grazia.  Dopo  qualche  tempo,  ricomiKirve  giu- 
livo, a  dir  loro  che  venissero  avanti  con  lui;  ed  era  ora,  perché  la  figlia 
e  la  madre  non  sapevan  più  come  fare  a  distrigarsi  dall'  inlern^azioni 
pressanti  della  fatloressa.  Attraversando  un  secondo  cortile,  diede  qual- 


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I  PROMESSI  SPOSI 


che  avverlimeiilo  alle  ikiniie,  stil  modo  di  portarsi  con  la  signora.  <•  È 
ben  disposla  per  voi  altre,  -.  disse,  «  e  vi  può  far  dd  bene  quanl» 
vuole.  Siale  umili  e  rispettose,  rispondete  con  sincerità  alle  domande 
che  le  piacerà  di  larvi,  e  quando  non  siete  interrogate,  lasciate  fare  a 
ine  » .  Entrarono  in  una  stanza  terrena,  dalla  quale  »  passava  nel  pai^ 
lalorio:  prima  di  mettervi  il  piede,  il  guardiano,  accennando  l'uscio, 
disse  sottovoce  alle  donne:  <*  è  qui,  »  come  per  rammentar  loro  lutti 
quegli  avvertimenti.  Lucia,  che  non  aveva  mai  visto  un  monastero, 
quando  fu  nel  parlatorio,  guardò  in  gira  dove  fosse  la  signora  a  cui  fare 
il  suo  inchino,  e,  non  Iscorgendo  persona,  stava  come  incantata;  quan- 
do, vislo  il  padre  e  Agnese  andar  ^erso  un  angolo,  guardò  da  quella 
parie ,  e  vide  una  finestra  d'  una  forma  singolare ,  con  due  grosse  e 
fide  grate  di  ferro,  distanti  l'una  dall' altra  un  palmo;  e  dietro  quelle 
una  monaca  ritta.  Il  suo  aspetto ,  che  poteva  dimostrar  venticinque 
anni,  faceva  a  prima  vista  un'impressione  dì  bellezza,  ma  d'una  bel- 
lezza sbattuta,  sfiorita  e,  direi  quasi,  sctunposta.  Un  velo  nero,  so- 
speso e  stirato  orizzontalmente  sulla  testa,  cadeva  dalle  due  parli,  di- 
scosto alquanto  dal  viso;  sotto  il  velo,  una  bianchissima  benda  di  lino 
cingeva,  fino  al  mezzo,  una  fronte  di  diversa,  ma  non  d'inferiore  bian- 
chezza; un'altra  benda  a  pieghe  circondava  il  viso,  e  le^mina^'a 
sotto  il  mento  ìn  un  soggolo,  che  si  stendeva  alquanto  sul  petto,  a 
coprire  lo  scollo  d'  un  nero  saio.  Ma  quella  fronte  si  raggrinzava 
spesso,  come  per  una  contrazione  dolorosa;  e  allora  due  sopraccigli 
neri  si  ravvicinavano, con  un  rapido  movimento.  Due  occhi,  neri  neri 
anch'  essi,  si  fissavano  talora  in  viso  alle  persone,  con  un'investiga- 
zione superba;  talora  si  chinavano  in  fretta ,  come  per  cercare  un 
nascondiglio;  in  certi  momenti,  un  attento  osservatore  avrebbe  ali- 
mentato che  chiedessero  alTetto ,  corrispondenza  ,  pietà  ;  altre  volle 
avrebbe  creduto  coglierci  la  rivelazione  istantanea  d'  un  odio  invelC' 
rato  e  compresso,  un  non  so  che  di  minaccioso  e  di  feroce:  quando 
restavano  immobili  e  fissi  senza  attenzione,  chi  ci  avrebbe  immagi- 
nala una  svogliatezza  orgogliosa,  chi  avrebbe  potuto  sospettarci  il 
travaglio  d'  un  pensiero  nascosto,  d'  una  preoccupazione  familiare 
all'animo,  e  più  forte  su  quello  che  ^i  oggetti  circostanti.  Le  gote 
pallidissime  scendevano  con  un  contomo  delicato  e  grazioso,  ma  al- 
terato e  reso  mancante  da  una  lenta  estenuazione.  Lia  hiblH^,  quan- 
tunque appena  tinte  d'un  roseo  sbiadito,  pure,  spiccavano  in  quel 
pallore:  ì  loro  moti  orano,  come  quelli  degli  occhi,  subitanei,  vivi. 


Digitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  IK.  ITI 

pieni  d'  espressione  e  dì  mistero.  La  grandezza  ben  formala  della  per- 
sona scompariva  in  un  certo  abbandono  del  poi'IamentUj  o  coniimriva 
sfigurala  in  cerlc  mosse  repentine,  irregolari  e  troppo  risolute  per 
una  donna,  non  che  per  una  monaca.  Nel  vestire  stesso  c'era  qua  e 
là  qual  cosa  di  studiato  o  di  negletto ,  che  annunziava  una  monaca 
singolare:  la  vila  era  attillata  con  una  certa  cui'a  secolaresca,  e  dalla 
benda  usciva  sur  una  tempia  una  ciocchettina  di  neri  capelli;  cosa 
die  dimostrava  o  dimenticanza  o  disprezzo  della  regola  che  prescri- 
veva di  tenerli  sempre  corti ,  da  quando  erano  siali  tagliali ,  nella 
cerimonia  solenne  del  vestimento. 


Queste  cose  non  Tacevano  specie  alle  due  donne,  non  esercitate  a 
distinguer  monaca  da  monaca:  e  il  padre  guardiano,  che  non  vedeva 
la  signora  per  la  prima  volta,  era  già  avvezzo,  come  tant' altri,  a 
quel  non  so  che  di  strano,  che  appariva  nella  sua  persona,  come  nelle 
sue  maniere. 


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I  PROMESSI  SPOSI 


Era  essa,  in  quel  momento,  come  abbiain  dello,  ritta  vicino  alla 
graia,  con  una  mano  appoggiala  languidamente  a  quella,  e  le  bian- 
chissinie  dita  intrecciale  ne'  vóti;  e  guardava  fisso  Lucia,  che  veniva 
avanti  esitando,  a  Reverenda  madre,  e  signora  illuslrissima,  "  disse 
il  guardiano,  a  capo  basso,  e  con  la  mano  al  petto;  u  questa  è  quella 
povera  giovine ,  per  la  quale  m'  ha  fello  s[)eran>  In  sua  valida  prote- 
zione; e  questa  è  la  madre,  " 

Le  due  presentate  facevano  grand' inchini:  la  signora  accennò  loro 
con  la  mano,  che  bastava,  e  disse,  voltandosi,  al  padre:  "  è  una  for- 
tuna per  me  il  poter  Tare  un  piacere  a'  nostri  buoni  amici  ì  padri 
cappuccini.  Ma,  "  continuò;  u  mi  dica  un  po' più  particolarmente  il 
caso  di  quesla  giovine,  per  veder  meglio  cosa  si  possa  fare  per  lei." 

Lucia  diveniò  rossa,  e  abbassò  la  festa. 

"  Deve  sai>ere,  reverenda  madre  . . . .  "  incominciala  Agnese;  ma 
il  guardiano  le  troncò,  con  un'occhiata,  le  jKirole  in  bocca,  e  rispose: 
"  quesla  giovine,  signora  illustrissima,  mi  vtcn  raccomandala,  come 
le  ho  dello,  da  un  mio  confralello.  Essa  ha  dovuto  partir  di  nasco- 
sto dal  suo  iiaese,  irer  solirarsi  a  de'  gravi  jicricoli;  e  lia  bisogno,  per 
qualche  tempo,  d'  un  asilo  nel  (|ualc  possa  vivere  sconosciuta,  e  do^c 
nessuno  ardisca  venire  a  disturbarla,  quaitd' anche ..,.■" 

"  Quali  perìcoli? n  interruppe  la  signora.  «DÌ  grazia,  |)adre  guar- 
diano, non  mi  dica  la  cosa  cosi  in  enìmma.  Lei  sa  che  noi  altre  mo- 
nache, ci  piace  di  sentir  le  storie  per  minuto.  i 

"  Sono  perìcoli,  "  rispose  il  guardiano,  "  che  ali*  orecchie  puris- 
sime della  reverenda  madre  devon  essere  appena  leggermente  accen- 
nali   " 

«Oh  certamente,  n  disse  in  fretta  la  signora,  arrossendo  alquanto. 
Era  verecondia?  Chi  a\es5e  osservata  una  rajuda  espressione  di  di- 
spetto die  accompagnava  quel  rossore,  avrebbe  potuto  dubitarne;  e 
tanto  più  se  1'  avesse  paragonato  con  quello  che  di  tanto  in  tanto  si 
spandeva  sulle  gole  dì  Lucia. 

"  Basterà  dire,  "  riprese  il  guardiano,  «  che  un  cavalier  prepo- 
tente ....  non  tulli  i  grandi  del  mondo  si  servono  dei  doni  di  Dio 
a  gloria  sua,  e  in  vantaggio  del  prossimo,  come  vossignoria  illustris- 
sima:, un  cavalier  prepotente,  dojM)  aver  perseguitata  qualdie  tempo 
questa  creatura  con  indegne  lusinghe,  vedendo  ch'erano  inutili,  ebl>e 
cuore  di  perseguitarìa  apertamente  con  la  forza,  di  modo  che  la  po- 
veretta è  stata  ridotta  a  fuggir  da  casa  sua.  » 


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CAPITOLO  IX.  173 

u Accoslalevi ,  quella  giovine,  udisse  la  signora  a  Liiciu,  facendole 
cenno  col  dito.  «  So  che  il  padre  guardiano  è  la  bocca  della  verità; 
ma  nessuno  può  esser  meglio  informato  di  voi,  in  quesl'  aifare.  Tocca 
a  voi  a  dirci  se  questo  cavaliere  era  un  |iersecutorc  odioso.  «  In 
quanto  all' accostarsi.  Lucia  ubbidì  subito;  ma  rispondere  era  un'altra 
faccenda.  Una  domanda  su  quella  materia,  quand'  anche  le  fosse  slata 
latta  da  una  persona  sua  |)ari,  l'avrebbe  imbrc^iata  non  poco:  pro- 
ferita da  quella  signora,  e  con  una  cert'aria  di  dubbio  maligno,  le 
levò  ogni  coraggio  a  rispondere.  "  Signora ....  madre ....  reveren- 
da.-..^ balbettò,  e  non  dava  segno  d'aver  altro  a  dire.  Qui  Agnese, 


come  quella  die,  dopo  di  lei,  era  certamente  la  meglio  informa- 
ta, si  credè  autorizzala  a  venirle  in  aiuto,  u  Iliustrissima  signora,  » 
disse,  e  io  posso  far  testimonianza  che  questa  mia  frgliu  aveva  in  odio 
quel  cavaliere,  come  il  diavolo  l'acqua  santa:  voglio  dire,  il  diavolo 
era  lui;  ma  mi  perdonerà  se  parlo  male,  perché  noi  slam  gente  alla 


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IT4  I  PROMESSI  SPOSI 

buona.  I)  fatto  sia  che  questa  povera  ragazza  era  promessa  a  un  gio- 
vine nostro  pari,  timorato  ili  Dio,  e  ben  avviato;  e  se  il  signor  cu- 
rato fosse  stato  un  po'  più  un  uomo  di  quelli  che  m' intendo  io ....  so 
che  parlo  d'un  religioso,  ma  il  padre  Cristoforo,  amico  qui  del  padre 
guardiano,  è  religioso  al  par  di  lui ,  e  quello  é  un  uomo  pieno  di  ca- 
rità, e ,  se  fosse  qui,  potrebbe  attestare ...» 

H  Siete  ben  pronta  a  parlare  scnz'  essere  interrogala,  »  interru[^ 
la  signora,  con  un  atto  allet-o  e  iracondo,  che  la  fece  quasi  parer 
brutta.  «  State  zitta  voi:  già  lo  so  che  i  parenti  hanno  sempre  una 
risposta  da  dare  in  nome  de'  loro  figliuoli!  n 

Agnese  mortificala  diede  a  Lucia  una  occhiala  che  voleva  dire  : 
vedi  quel  che  mi  tocca,  per  esser  tu  tanto  impicciata.  Anche  il  guar- 
diano accennava  alla  giovine,  dandole  d'occhio  e  tentennando  il  capo, 
che  quello  era  il  momento  di  sgranchirsi,  e  di  non  lasciare  in  secco  la 
graverà  mamma. 

u  Reverenda  signora,»  disse  Lucia,  "quanto  le  ha  detto  mia  madre 
è  la  pura  verità.  U  giovine  che  mi  discorreva,  «  e  qui  diventò  rossa 
rossa,  ù  lo  prendevo  io  di  mia  volontà.  Mi  scua  se  parìo  da  slacciala, 
ma  è  per  non  lasciar  pensar  male  di  mia  madre.  E  in  quanto  a  quel 
signore  (Dio  gli  perdoni!)  vorrei  piuttosto  morire,  che  cader  nelle 
sue  mani.  E  se  lei  fa  questa  carità  di  metterci  al  sicuro,  giacché  slam 
ridotte  a  fòr  questa  faccia  di  chieder  ricovero,  e  ad  incomodare  le 
persone  dabbene;  ma  sia  fatta  la  volontà  di  Dio;  sia  certa,  signora, 
che  nessuno  potrà  pregare  per  lei  più  di  cuore  clie  noi  povere  donne.  » 
-  u  \  voi  credo,  »  disse  la  signora  con  voce  raddolcita.  "  Ma  avrò 
piacere  di  sentirvi  da  solo  a  solo.  Non  che  ablua  bisogno  d'altri  schia- 
rimenti, né  d'altri  motivi,  per  servire  alle  premure  del  padi'C  guardia- 
no," aggiunse  subito,  rivolgendosi  a  lui,  con  una  compitezza  studiala. 
u  Anzi,  »  continuò,  «  ci  ho  già  pensato;  ed  ecco  ciò  che  mi  pare  di 
poter  far  di  meglio,  per  ora.  La  fatloressa  dei  monastero  ha  maritata, 
pochi  giorni  sono,  1'  ultima  sua  figliuola.  Queste  donne  potranno  oc- 
cupar la  camera  lasciata  in  libertà  da  quella,  e  supi^irc  a  que'  pochi 
servizi  clic  faceva  lei.  Veramente . . . .  n  e  qui  accennò  al  guardiano 
che  s'avvicinasse  alla  grata,  e  continuò  sottovoce:  «  veramente,  attesa 
la  scarsezza  dell'  annate,  non  si  pensava  dì  sostituir  nessuno  a  quella 
giovine;  ma  parlerò  io  alla  madre  badessa,  e  una  mia  parola ...  e  per 

una  premura  del  padre  guardiano In    somma  do  la  cosa  per 

fatta.  » 


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CAPITOLO  IX.  UH 

Il  guardiano  cominciava  a  ringraziare,  ma  la  signora  l' interruppe: 
u  non  occorron  cerimonie:  aneh' io,  in  un  caso,  in  un  bisogno,  sa- 
prei far  capitale  dell'assistenza  de'  padri  cappuccini.  Alla  fine,»  con- 
tinuò, con  un  sorriso,  nel  quale  traspariva  un  non  so  che  d*  ironico  e 
d'amaro,  <•  alla  fine,  non  sìam  noi  fratelli  e  sorelle?  " 

Cosi  detto,  chiamò  una  conversa,  (due  dì  queste  erano,  per  una 
distinzione  singolare,  assegnate  al  suo  servizio  privalo)  e  le  ordinò 
che  avvertisse  di  ciò  la  badessa,  e  prendesse  poi  i  concerti  <^portuni, 
con  la  fattoressa  e  con  Agnese.  Licenziò  questa,  accommiatò  il  guar- 
diano, e  ritenne  Lucia.  Il  guardiano  accompagnò  Agnese  alla  porta, 
dandole  nuove  Istruzioni,  e  se  n'andò  a  scriver  la  lettera  di  raggua- 
glio all' amico  Cristoforo.  — -  Gran  cervellino  che  é  questa  signora!  — 
pensava  tra  sé,  per  la  strada:  —  curiosa  davvero!  Ma  chi  la  sa  pren- 
dere per  il  suo  verso,  le  fa  far  ciò  che  vuole.  Il  mio  Cristoforo  non 
s' aspetterà  certamente  eh'  io  l' abbia  servito  cosi  presto  e  bene.  Quel 
brav'  uomo  !  non  e'  è  rimedio  :  biscia  che  si  prenda  sempre  quaiclie 
impegno;  ma  lo  fa  per  bene.  Buon  per  lui  questa  volta,  che  ha  tro- 
vato un  amico,  il  quale,  senza  tanto  strepito,  senza  tanto  apparalo, 
senza  tante  faccende,  ha  condotto  l' affare  a  buon  porto,  in  un  batter 
d'occhio.  Sarà  conlento  quel  buon  Cristoforo,  e  s'accorgerà  che,  an- 
dx  noi  qui,  siam  buoni  a  qualche  cosa.  — 

La  signora ,  che ,  alla  presenza  d' un  provetto  cappuccino ,  aveva 
studiati  gli  alti  e  le  parole,  rimasta  poi  sola  con  una  giovine  conta- 
dina inesperta,  non  pensava  più  tanto  a  contenersi;  e  i  suoi  di- 
scorsi divennero  a  poco  a  poco  cosi  strani,  che,  in  vece  di  riferirli , 
noi  crediam  più  opportuno  di  raccontar  brevemente  la  storia  antece- 
dente di  questa  infelice;  quel  tanto  cioè  che  basti  a  render  ragione 
dell'  insolilo  e  del  misterioso  che  abbiam  veduto  in  lei ,  e  a  far  com- 
prendere i  motivi  della  sua  condotta,  in  quello  che  avvenne  dopo. 

Era  essa  r ultinta  figlia  del  principe  "*,  gran*  gentiluomo  mila- 
nese, che  poteva  coniarsi  tra  i  più  doviziosi  della  città.  Ma  l'alta 
opinione  che  aveva  del  suo  titolo  gli  faceva  parer  le  sue  sostanze 
appena  sufficienti ,  anzi  scarse ,  a  sostenerne  il  decoro  ;  e  tutto  il 
suo  pensiero  era  di  conservarle,  almeno  quali  erano,  unite  in  per- 
petuo, per  quanto  dipendeva  da  lui.  Quanti  figliuoli  avesse,  la  storia 
non  lo  dice  espressamente  ;  fa  solamente  intendere  che  aveva  desti- 
nati al  chiostro  tutti  i  cadetti  dell'uno  e  dell'  altro  sesso ,  per  lasciare 
intatta  la  sostanza  al  primogenito,  destinato  a  conservar  la  famiglia,  a 


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■  TU  I  PROMESSI  SPOSI 

procrear  cioè  de'  fìgliuoli,  per  lortnenlarsi  a  (ormeiilarli  nella  stessa 
maniera.  La  nostra  infelice  era  ancor  nascosta  nel  ventre  della  madre, 
che  la  sua  condizione  era  già  irrevocabilmente  stabilila.  Rimaneva 
soltanto  da  decidersi  se  sarebbe  un  monaco  o  una  monaca;  decisione     i 
per  la  quale  faceva  bisogno,  non  il  suo  consenso,  ma  la  sua  presenza.     | 
Quando  venne  alla  luce,  il  principe  suo  padre,  volendo  darle  un  nome     j 
che  risvegliasse  immedialameiite  l'idea  del  cliioslro,  e  cbe  fosse  stato     { 
portato  da  una  santa  d'alti  natali,  la  cliiaiuù  Gertrude.  Bambole  vestite 
da  monaca  furono  ì  iirimi  baloccbi  che  le  si  diedero  in  mano;  poi  santini 


4^e  rapprcsenlavan  monache;  e  que'  regali  eran  sempre  accompagnati 
con  gran  raccomandazioni  dì  tenerli  ben  di  conto,  come  cosa  preziosa, 
e  con  queir  interrogare  affermalivo:  "bello  eh?  t>  Quando  il  principe,  ola 
principessa  o  il  principino,  che  solo  de'  maschi  veniva  allevato  in  casa, 
volevano  lodar  1'  aspetto  prosperoso  della  fanciullina,  pareva  che  non 
Irovasser  mo<)o  d'esprimer  bene  la  loro  idea,  se  non  con  te  parole: 
u  che  madre  badessa!  «  Nessuno  però  le  disse  mai  direttamente:  tu 
devi  farli  monaca.  Era  un'  idea  sottintesa  e  toccala  incidentemente, 
in  ogni  discorso  che  riguardasse  i  suoi  destini  futuri.  Se  qualche 
volta  la  Gertrudina  trascorreva  a  qualche  atto  un  po'  arrogante  e  im- 
perioso, al  che  la  sua  indole  la  portava  molto  facilmente,  u  tu  sei  una 


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CAPITOLO  IX. 


rafsazzina,  "  le  si  diceva:  u  queste  maniere  non  ti  convengono: 
qoando  sarai  madre  badessa,  allora  comanderai  a  bacchetta,  farai  alto 
e  basso.  "  Qualche  altra  volta  il  prìncipe,  riprendendola  di  ceri'  altre 
maniere  tropjH)  libere  e  famigliari  alle  quali  essa  trascorreva  con  uguale 
facilità,  "  ehi!  ehi!  •>  le  diceva;  «  non  è  questo  il  fare  d'una  par 


lua:  se  vuoi  die  un  giorno  ti  sì  porti  il  rispetto  che  li  sarò  dovuto, 
impara  fin  d'ora  a  star  sopra  di  te:  ricordati  che  tu  devi  essere,  in 
ogni  cosa,  la  prima  del  monastero;  perchè  il  sangue  si  porla  per 
lutto  dove  si  va.  y 

Tulle  te  parole  di  questo  genere  stampavano  nd  cervello  della  fan- 
ciullina  l'idea  che  già  lei  doveva  esser  monaca;  ma  quelle  che  venivan 
dalla  bocca  del  padre,  facevan  più  efTelto  di  tulle  l'altre  Insieme.  D 
contegno  del  prìncipe  era  abitualmente  quello  d'un  padrone  austero; 
ma  quando  si  trattava  dello  stato  futuro  de'  suoi  tìgli,  dal  sno  volto 
e  da  ogni  sua  parola  traspariva  un'  immobilità  di  rìsoluziooe ,  una 
ombrosa  gelosia  di  comando,  che  imprimeva  il  sentimento  d'  una  ne- 
cessità fatale. 


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t18  I  FKOUESSl  SPOSI 

A  sei  Olmi,  Gertrude  fu  collocala,  per  educazione  e  ancor  più  per 
isli'adanieiilo  alla  vocazione  impostale,  nel  monastero  dove  l'abbiamo 
veduta:  e  la  scelta  del  luogo  non  fu  senza  disegno.  Il  buon  condut- 
tore delle  due  donne  ha  detto  che  il  padre  della  signoi-a  era  il  primo 
in  Monza:  e,  accozzando  questa  qualsisia  testimonianza  con  alcune  al- 
tre indicazioni  che  ranontmo  lascia  scappare  sbadatamente  qua  e  là, 
noi  potremmo  anche  asserire  che  fosse  il  feudatario  di  qud  paese. 
Comunque  sia,  vi  godeva  d'una  grandissima  autorità;  e  pensò  che 
li ,  meglio  che  altrove ,  la  sua  figlia  sarebbe  trattata  con  quelle  di- 
stinzioni e  con  quelle  finezze  che  potesser  più  ìdletlarla  a  scegliere 
quel  monastero  per  sua  perpetua  dimora.  Né  s'ingannava:  la  badessa 
e  alcune  altre  monache  faccendiere,  che  avevano,  come  si  suol  dire, 
il  mestolo  in  mano ,  esultarono  nel  vedersi  offerto  il  p^no  d'  una 
protezione  tanto  utile  in  ogni  oocorrenza,  tanto  gloriosa  in  opù  mo- 
mento ;  accettaron  la  proposta,  con  espressioni  di  riconoscenza,  non 
esagerate,  per  quanto  fossero  forti;  e  corrisposero  pienamente  all'in- 
tenzioni che  il  principe  aveva  lasciate  trasparire  sul  collocamento 
stabile  della  figliuola  :  intenzioni  che  andavan  cosi  d'  accordo  con  le 
loro.  Gertrude,  appena  entrata  nel  monastero,  fu  chiamata  per  an- 
tonomasia la  signorina  ;  posto  distinto  a  tavola ,  nel  dormitorio  ;  la 
sua  condotta  proposta  all'  altre  per  esemplare  ;  chicche  e  carezze  senza 
fine,  e  condite  con  quella  famigliarità  un  po' rispettosa,  che  tanto  ade- 
sca i  fanciulli,  quando  la  trovano  in  coloro  che  vedon  trattare  gli  al- 
tri fanciulli  con  un  conlegno  abituale  di  superiorità.  Non  che  tutte  le 
monache  fossero  congiurate  a  tirar  la  poverina  nel  laccio  :  ce  n'  cran 
molte  delle  sempiici  e  lontane  da  ogni  intrigo ,  alle  quali  il  pensiero 
di  sacrificare  una  figlia  a  mire  interessate  avrebbe  fatto  ribrezzo  ; 
ma  queste,  tulle  alleale  alle  loro  occupazioni  particolari,  parte  non 
s'accorgevan  bene  di  tutti  que'  maneggi,  parte  non  distinguevano 
quanto  vi  fosse  di  cattivo,  parie  s'  astenevano  dal  farvi  sopra  esame, 
parte  stavano  zitte,  per  non  fare  seandoli  inutili.  Qualcheduna 
anche ,  rammentandosi  d'  essere  stata ,  coti  simili  arii ,  condotta  a 
quello  di  cui  s'  era  pentita  poi ,  saitiva  compassione  della  po- 
vera innoeenlina,  e  si  sfogava  col  ferie  carezze  tenere  e  malin- 
coniclie;  ma  questa  era  ben  lontana  dal  sospettare  che  ci  fosse  sotto 
mistero;  e  la  faccenda  camminava.  Sarebbe  fiM-se  camminata  cosi  fino 
alla  fine,  se  Gellrude  fosse  stata  hi  sola  ragazza  in  quel  monastero. 
Ma,  Ira  le  sue  compagne  d*  educazione,  ce  n'  erano  alcune  che  sapevano 


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CAPITOLO  IX.  IT» 

d'esser  destinale  al  matrimonio.  Gertnidina,  nudrìta  nelle  idee  della 
sua  siiperiorilà ,  parlava  magnificamente  de'  suoi  destini  futuri  di  ba- 
dessa, di  principessa  del  monastero,  Voleva  a  ogni  conio  esser  per  le 
altre  un  soggetto  d'invidia;  e  vedeva  con  maraviglia  e  con  dispetto, 
che  alcune  di  quelle  non  ne  sentivano  punto.  AH'  immagini  maestose, 
ma  cireoscritte  e  fredde,  che  può  somministrare  il  primato  in  un  mo- 
nastero, conlrapponevan  esee  le  immagini  varie  e  luccicanti,  di  nozze, 
di  pranzi,  di  conversazioni,  di  festini,  come  dicevano  allora,  di  villeg- 
giature, di  vestiti,  di  carrozze.  Queste  immagini  cagionarono  nel  ccr- 
vello  di  Gertrude  quel  movimento,  quel  brulichio  che  produrrebbe 
un  gran  paniere  di  fiori  appena  colli,  messo  davanti  a  un  alveare.  I 
parenti  e  1'  educatrici  avevan  coltivata  e  accresciuta  in  lei  la  vanità 
naturale,  per  farle  piacere  il  chiostro;  ma  quando  questa  passione  fu 
stuzzicata  da  idee  tanto  più  omogenee  ad  essa,  si  gclló  su  quelle,  con 
un  ardore  ben  più  vivo  e  più  spontaneo.  Per  non  rcslare  al  di  sotto  di 
quelle  sue  compagne,  e  per  condiscendere  nello  stesso  tempo  al  suo 
nuovo  genio,  rispondeva  che,  alla  (in  de'  conti,  nessuno  le  poteva  met- 
tere il  velo  in  capo  senza  il  suo  consenso,  che  anche  lei  poteva  mari- 
tarsi, abitare  un  palazzo,   godersi  il   mondo,  e  meglio  di   tutte  loro; 


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mo  I  PROMESSI  SPOSI 

clic  lo  poteva,  pur  che  t'avesse  voluto,  che  lo  vorrebbe,  che  lo  vi^va; 
e  lo  voleva  in  folti.  L' idea  della  necessità  del  suo  consenso,  idea  che,  fino 
a  quel  tempo,  era  stala  come  inosservata  e  rannicchiala  in  un  angdo  della 
sua  mente,  si  sviluppò  allora,  e  si  manifestò,  con  tutta  la  sua  importan- 
za. Essa  la  chiamava  ogni  momento  in  aiuto,  per  godersi  più  tranquil- 
lamente l' immagini  d'  un  avvenire  gradilo.  Dietro  questa  idea  però, 
ne  compariva  sempre  infollibilmente  un'altra:  che  quel  consenso  si 
trattava  dì  negarìo  ai  principe  padre,  il  quale  h>  teneva  già,  o  mo- 
strava di  tencrìo  per  dato;  e,  a  questa  idea,  l'animo  della  figlia  era 
ben  lontano  dalla  sicurezza  che  ostentavano  le  sue  paride.  Si  parago- 
nava allora  con  le  compagne ,  eh'  erano  ben  altrimenti  sicure ,  e  pro> 
vava  per  esse  dolorosamente  l'invidia  cbe,  da  principio,  aveva  credulo 
di  lar  loro  provare.  Invidiandole,  le  odiava:  talvolta  l'odio  s'esalava 
in  dispetti,  in  isgarbateue,  in  motti  pungenti;  talvolta  1'  uniformità 
dell'inclinazioni  e  delle  speranze  lo  sopiva,  e  hfx\a  nascere  un'  in- 
trinsichezza aj^rente  e  passeggiera.  Talvolta ,  volendo  pure  godersi 
intanto  qualdie  cosa  di  reale  e  di  presente,  sì  compiaceva  delle  pre- 
ferenze che  le  venivano  accordate,  e  faceva  sentire  all'  altre  quella 
sua  superiorità;  talvolta,  non  potendo  più  tollerar  la  solitudine  de'  suoi 
timori  e  de'  suoi  desidèri,  andava,  tutta  buona,  in  cerca  di  quelle, 
quasi  ad  implorar  benevolenza,  consigli,  coraggio.  Tra  queste  deplo- 
rabili guerricciole  con  sé  e  con  gli  altri ,  aveva  varcata  la  puerizia , 
e  s*  inoltrava  in  queir  età  cosi  crìtica,  nella  quale  par  che  entri  nel- 
l' animo  quasi  una  potenza  misteriosa,  che  solleva,  adorna,  rinvigo- 
risce tutte  r inclinazioni,  tutte  l'idee,  e  qualche  volta  le  trasforma,  o 
le  rivolge  a  un  corso  imprevedulo.  Ciò  che  Gertrude  aveva  fino  al- 
lora più  distintamente  vaghcfj^iato  in  que'  sogni  dell'  avvenire,  era  lo 
sfdendore  esterno  e  la  pompa:  un  non  so  che  di  nu^e  e  d'affettuoso, 
che  da  prima  v'  era  diffuso  leggermente  e  come  in  nebbia,  cominciò 
allora  a  spiegarsi  e  a  prim^^are  nelle  sue  bntasie.  S'era  fatto,  nella 
parte  più  riposta  della  mente,  come  uno  splendido  ritiro  :  ivi  si  rifu- 
giava dagli  oggetti  presenti ,  ivi  accot^ieva  certi  personaggi  strana- 
mente  composti  di  confuse  memorie  della  puerizia,  di  quel  poco  che 
poteva  vedere  del  mondo  esteriore ,  di  ciò  che  aveva  imparato  dai 
discorsi  delle  compagne;  si  tratteneva  con  es^,  parlava  loro,  e  si  ri- 
spondeva In  loro  nome;  ivi  dava  ordini,  e  riceveva  omaggi  d'ogni 
genere.  Di  quando  in  quando,  i  pensieri  della  religione  venivano  a 
dbturbare  quelle  feste  brillanti  e  faticose.  Ma  la  religione,  come  l'ave- 


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CAPITOLO  IX.  181 

vano  insegnata  alla  nostra  poveretta ,  e  come  essa  1'  aveva  ricevuta , 
non  bandiva  1'  orgoglio ,  anzi  lo  santificava  e  Io  proponeva  come  un 
mezzo  per  ottenere  una  felicità  terrena.  Privata  così  della  sua  es- 
senia,  non  era  più  la  religione ,  ma  una  larva  come  1'  altre.  NegI'  in- 
tervalli in  cui  questa  larva  prendeva  il  primo  posto,  e  grandeg^ava 
iwlb  fantasia  di  G^nide,  l' infelice,  soprafiiatta  da  terrori  confusi,  e 
compresa  da  una  confusa  idea  dì  doveri ,  s' immaginava  che  la  sua 
ripngnanza  al  chiostro,  e  la  resistenza  all'insinuazioni  de'  suoi  mag- 
giori, nella  scelta  dello  stato,  fossero  una  colpa  ;  e  prometteva  in  cuor 
suo  d'espiarla,  chiudendosi  volontariamente  nel  chiostro. 

Era  legge  che  una  giovine  non  potesse  venire  accettata  monaca , 
prima  d' essere  stata  esaminata  da  un  ecclesiastico,  chiamalo  il  vicario 
deUe  monache,  o  da  qualche  altro  deputato  a  ciò,  afflncUè  fosse  certo  che 
ci  andava  di  sua  libera  scelta:  e  questo  esame  non  poteva  aver  luogo, 
se  non  un  anno  dopo  ch'ella  avesse  esposto  a  quel  vicario  il  suo  de- 
siderio, con  una  supplica  in  iscritto.  Quelle  monache  che  avcvan  preso 
il  tristo  incarico  di  far  che  Gertrude  s'  obbligasse  per  sempre ,  con  la 
minor  possibile  cognizione  di  ciò  che  faceva,  colsero  un  de*  momenti 
die  abbiam  detto,  per  forle  trascrivere  e  sottoscrivere  una  (al  sup- 
plica. E  a  fine  d' indurla  più  facilmente  a  ciò ,  non  mancaron  di  dirle 
e  di  ripeterle,  che  finalmente  era  una  mera  formalità,  la  quale  (e 
questo  era  vero)  non  poteva  avere  efficacia,  se  non  da  altri  atti  po- 
sleriorì,  che  dipenderebtiero  dalla  sua  volontà.  Con  tulio  ciò,  la  sup- 
plica non  era  forse  ancor  giunta  al  suo  destino ,  che  Gertrude  s' era 
già  penUla  d'  averla  sottoscritta.  Si  pentiva  poi  d'  essersi  pentita , 
passando  cosi  i  giorni  e  i  mesi  in  un'  incessante  vicenda  di  sentimenti 
contrari.  Tenne  lungo  tempo  nascosto  alle  compagne  quel  passo,  ora 
per  timore  d' esporre  alle  contraddizioni  una  buona  risoluzione ,  ora 
per  vergogna  di  palesare  uno  sproposito.  Vinse  finalmente  il  desi- 
derio di  sfogar  l' animo,  e  d"  accattar  consiglio  e  coraggio.  C  era  un' 
altra  le^e,  die  una  giovine  non  fosse  ammessa  a  quell'esame  della 
vocasone,  se  non  dopo  aver  dimorato  almeno  un  mese  fuori  dei  mo< 
nastero  dove  era  stata  in  educazione.  Era  già  scorso  l' anno  da  che 
la  supplica  era  stata  mandata;  e  Gertrude  fu  avvertila  che  tra  pOQO 
verrebbe  levata  dal  monastero,  e  condotta  nella  casa  patema,  per  ri* 
manervi  quel  mese,  e  far  tutti  i  passi  necessari  al  compimento  del- 
l' opera  die  aveva  di  fetto  cominciala.  B  prìncipe  e  il  resto  della  fo- 
Du'giia  tenevano  tutto  ciò  per  cerio,  come  se  fosse  già  avvenuto; 


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I8S  )  PROMESSI  SPOSI 

ma  ta  giovine  aveva  tutl' altro  in  testa:  in  vece  di  far  gli  altri  passi, 
pensava  alla  maniera  di  tirare  indietro  il  primo.  In  tali  angustie,  si  ri- 
solvette d'aprire  con  una  delle  sue  compagne,  la  più  franca,  e  pronta 
sempre  a  dar  consìgli  risoluti.  Questa  su^^rì  a  Gertrude  d' infonnar 
con  una  lettera  il  padre  della  sua  nuova  risoluzione;  giacché  non  le 
basta^'a  l'animo  di  spiattellargli  sul  viso  un  bravo:  non  voglio.  E  per- 
chè i  pareri  gratuiti,  in  questo  mondo,  son  molto  rari,  la  consigliera 
fece  pagar  questo  a  Gertrude,  con  tante  befTe  sulla  sua  dappocaggine. 
La  lettera  fu  concertata  tra  quattro  o  cinque  confidenti ,  scrìtta  di 


nascosto ,  e  fìilta  ricapitare  per  via  d'artifizi  mollo  studiati.  Gertrude 
stava  oon  grand'  ansietà,  aspettando  una  risposta  che  non  venne  mai. 
Se  non  che,  alcuni  giorni  dopo,  la  badessa,  la  fece  venir  nella  sua  cella, 
e,  con  un  conlegno  di  mistero,  di  disgusto  e  di  compassione,  le  diede 
un  cenno  oscuro  d'una  gran  collera  del  prìncipe,  e  d'un  follo  ch'ella 
doveva  aver  c(Mnmesso ,  lasciandole  però  intendere  che ,  portandosi 
bene,  poteva  sperare  che  tutto  sarebbe  dimenticato.  La  giovinetta  in- 
tese, e  non  osò  domandar  più  in  là. 


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CAPITOLO  IX.  I8S 

Venne  Anaiucnte  il  giorno  tanto  temuto  e  bramato.  Quantunque 
Gertrude  sapesse  che  andava  a  un  combattimento ,  pure  1'  uscir  di 
DHHiastero,  il  lasciar  quelle  mura  nelle  quali  era  stata  ott'  anni  rin- 
ttiiusa,  lo  scorrere  in  carrozza  per  l'aperta  campagna,  il  riveder  la 
città,  la  casa,  furon  sensazioni  piene  d'una  gioia  tumultuosa.  In  quanto 
al  combattimento,  la  poveretta,  con  la  direzione  di  quelle  confidenti, 
aveva  già  prese  le  sue  misure,  e  btlo,  com'ora  si  direbbe,  il  suo 
piano. —  O  mi  vorranno  forzare,  —  pensava, — e  io  starò  dura;saró 
umile,  rispettosa,  ma  non  acconsentirò:  non  si  tratta  che  di  non  dire 
un  altro  sì;  e  non  lo  dirò.  Ovvero  mi  prenderanno  con  le  buone;  e 
io  sarò  più  buona  di  loro;  piangerò,  pregherò,  li  moverò  a  compas- 
sione: finalmente  non  pretendo  altro  che  di  non  esser  sacrificata.  — 
Ma,  come  accade  spesso  di  simili  previdenze,  non  avvenne  né  una  cosa 
né  l'altra.  1  giorni  passavano,  senza  che  il  padre  né  altri  le  parlasse 
della  supplica,  né  della  ritrattazione,  senza  che  le  voiisse  fatta  prò- 
posta  nessuna,  né  con  carezze,  né  con  minacce.  1  piu^nti  eran  seri, 
tristi,  burberi  ccm  lei,  senza  mai  dime  il  perché.  Si  vedeva  solamente 
che  la  riguardavano  come  una  rea,  come  un'  indegna:  un  anatema 
misterioso  pareva  che  pesasse  sopra  di  lei,  e  la  segregasse  dalla  fiuni- 
^ia,  lasciandoveia  soltanto  unita  quanto  bisognava  per  farle  sentire 
h  sua  suggezione.  Dì  rado,  e  solo  a  certe  ore  stabilite,  era  ammessa 
aRa  compagnia  de'  parenti  e  del  primogenito.  Tra  loro  tre  pareva  che 
regnasse  una  gran  confidenza,  la  quale  rendeva  più  sensibile  e  più 
doloroso  l' abbandono  in  cui  era  lasciata  Gertrude.  Nessuno  le  rivol- 
geva il  discorso; e  quando  essa  arrischiava  timidamente  qualche  paro- 
la, che  non  fosse  per  cosa  ueeessarìa,  o  non  attaccava,  o  veniva  corri- 
sposta con  uno  sguardo  distratto,  o  sprezzante,  o  severo.  Che  se,  non 
potendo  più  soffrire  una  cosi  amara  e  umiliante  distinzione,  insisteva, 
e  tentava  di  famigliarìzzarsi;  se  implorava  un  po' d'amore,  si  sentiva 
subilo  toccare,  in  maniera  indiretta  ma  chiara,  quel  tasto  della  scelta 
dello  stato;  le  si  bceva  copertamente  sentire  che  e'  era  un  mezzo  di 
riacquistar  l'affetto  della  famiglia.  Allora  Gertrude,  che  non  l'avrebbe 
voluto  a  quella  condizione,  era  costretta  di  tirarsi  indietro,  dì  rifiutar 
quasi  i  primi  segni  di  benevolenza  (^  aveva  tanto  desiderati,  di  ri- 
mettersi da  sé  fd  suo  posto  di  scomunicata  ;  e  per  di  più,  vi  rimaneva 
con  una  certa  apparenza  del  torto. 

Tali  sensaeioni  d'oggetti  presenti  facevano  un  contrasto  doloroso  con 
quelle  rideoli  visioni  delle  quali  Gertrude  s'era  già  tanto  occupata,  e 


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184  I  PROMESSI  SPOSI 

s'occupava  tuttavìa,  nel  segreto  della  sua  mente.  Aveva  sperato  che, 
nella  splendida  e  frequentata  casa  paterna,  avrebbe  potuto  godere  al- 
meno qualche  saggio  reale  delle  cose  immaginate;  ma  si  trovò  dd  tutto 
ingannata.  La  clausura  era  stretta  e  intera,  come  nel  monastero;  d'an- 
dare a  spasso  non  si  parlava  neppure;  e  un  coretto  che,  dalla  casa, 
guardava  in  una  chiesa  contìgua,  toglieva  andie  l' unica  necessità  che 
ci  sarebbe  stata  d'uscire.  La  compagnia  era  più  trista,  più  scarsa, 
meno  variata  die  nel  monastero,  A  ogni  annunzio  d'una  visita,  Ger- 
trude doveva  salire  all'ultimo  piano,  per  chiudersi  con  alcune  vecchie 
donne  di  servizio:  e  li  anche  desinava,  quando  c'era  invito.  1  servitori 


s' uniformavano,  nelle  maniere  e  ne'  discorsi,  all'  eaem)HO  e  all'  inten- 
zioni de'  padroni:  e  Gertrude,  che,  per  sua  inclinazione,  avretdte 
voluto  trattarli  con  una  familiarità  signorile,  e  che,  nello  stalo  in 
cui  sì  trovava,  avrebbe  avuto  di  grazia  che  le  facessero  qualche  di- 
mostrazione d'  afTetto ,  come  a  una  loro  pari ,  e  scendeva  anche  a 
mendicarne,  rimaneva  poi  umiliata,  e  sem[H«  più  afflitta  dì  vedersi 
corrisposta  con  una  noncuranza  manifesta,  benché  accompagnata  da 
un  leggiero  ossequio  di  formalità.  Dovette  però  accorgersi  che  un 
paggio,  ben  diverso  da  coloro,  le  portava  un  rispetto,  e  sentiva  per 
lei  una  compas^one  d'  un  genere  particolare.  Il  contegno  di  qud  ra- 
gazzotto  era  ciò  che  Gertrude  aveva  fino  allora  visto  di  più  som 


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CAPITOLO  IX.  IS< 

a  quell'  ordine  di  cose  tanto  contemplalo  nella  sua  imnwgì nativa , 
d  contégno  di  quelle  sue  creature  ideali.  A  poco  a  poco  si  scoprì  un 
non  so  che  di  nuovo  nelle  maniere  della  giovinetta:  una  tranquillità 
e  un'  inquietudine  diversa  dalla  solita ,  un  fare  di  chi  ba  trovato 
quache  cosa  die  gli  preme,  che  vorrebbe  guardare  ogni  ntomenlo,  e 
non  lasciar  vedere  agli  altri.  Le  furon  tenuti  gli  occhi  addosso  più 
che  mai  :  che  è  che  non  è,  una  mattina,  fu  sorpresa  da  una  di  quelle 
lameriere,  mentre  slava  piegando  alla  sfuggila  una  carta,  sulla  quale 
avrete  fatto  meglio  a  non  iscriver  nulla.  Dopo  un  brève  tira  tira , 
la  carta  rimase  nelle  mani  della  cameriera  ,  e  da  queste  passò  in 
quelle  del  principe. 

11  terrore  di  Gertrude ,  al  rumor  de'  passi  dì  lui ,  non  sì  può  de- 
scrìvere né  imma^nare:  era  quel  padre,  era  irritato,  e  lei  si  sentiva 
colpevole.  Ma  quando  lo  vide  comparire  ,  con  quel  cipiglio ,  con 
quella  carta  in  mano,  avrebbe  voluto  esser  cento  braccia  sotto  lerra. 


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lag  1  raoMcssi  sroai 

uon  ehe  in  un  ehìoslro.  Le  pan^e  non  furon  molle,  ma  terribili:  il 
gasligo  inlìinalo  subilo  non  fu  che  d'  esser  rinchiusa  in  quella  ca- 
mera, sodo  la  guardia  della  donna  die  a\'eva  fatta  la  scoperta;  ma 
questo  non  era  che  im  principio,  die  un  ripiego  del  momento;  si 
prometteva,  si  lasciava  vedere  per  aria,  un  altro  gastigo  oscuro,  in< 
delenninalo,  e  quindi  più  ^a^enloso. 

Il  paggio  fu  subito  sflratlato,  com'  era  oalurale;  e  fu  uiinacciat«  ai>- 
che  a  lui  qualcosa  di  terribile,  se,  in  quidunque  tempo,  avesse  osato 
datar  nulla  ddi' avvenuto.  Nel  fatali  questa  intimasione,  il  prìodpe 
gli  appoggiò  due  solenni  schiaffi,  per  associare  a  quell'avventura  un 
ricordo,  che  lof^ìesse  ai  ragazzaccio  ogni  teutazion  di  vantarsene.  Un 
prelesto  qualunque,  per  coonestare  la  licenza  data  a  un  paggio,  non 
era  diflìcile  a  trovarsi;  in  quanto  alla  figlia,  si  disse  ch'era  incomodata. 

Rimase  essa  dunque  col  batticuore,  con  la  vergc^na,  col  rimorso, 
col  terrore  dell'  avvenire,  e  eou  la  sola  compagnia  di  quella  donna 
odiala  da  lei,  come  il  testimonio  ddla  sua  colpa,  e  la  cagione  della  sua 
disgrazia.  Costei  odia\'a  poi  a  AÌeenda  Gertrude,  per  la  quale  si  tro- 
vava ridotta,  senza  saper  per  quanto  lein|H),  alla  vita  noiosa  di  car- 
ccriera,  e  divenuta  per  sempre  custode  d'un  segreto  pericoloso. 

Il  primo  confuso  (umullo  di  que'  sentimenti  s'  acquietò  a  poco  a 
poco;  ma  tornando  essi  ppi  a  uno  per  volta  nell'animo,  vi  s'ingran- 
divano, e  si  fermavano  a  tormenlarlo  più  distintamente  e  a  bell'agio. 
Che  poteva  mai  esser  qudla  punizione  minacciata  in  cninuiia?  Molle 
e  varie  e  strane  se  ne  affacciavano  alla  fantasia  ardente  e  inesperta 
di  Gertrude.  Quella  che  pareva  più  probabile,  era  di  venir  ricondolla 
al  monastero  di  Monza,  di  ricomparirvi,  non  più  come  la  signorina, 
ina  in  forma  di  colpevole,  e  di  starvi  rindiìusa,  chi  sa  fino  a  quando! 
chi  sa  con  quali  trattanienli!  Ciò  che  una  lale  immaginazione,  ditta 
piena  di  dolori,  aveva  forse  di  più  doloroso  i>cr  lei,  era  l'apprensione 
della  ^ei^ogna.  Le  frasi,  le  [>arole,  le  vii^ole  di  quel  foglio  sciagu- 
rato, passamano  e  ripassavano  nella  sua  memoria:  le  immaginava  os- 
servate, pesale  da  un  lettore  tanto  impreveduto,  lauto  diverso  da 
qudlo  a  cui  eraii  destinate;  sì  figurava  elic  avesser  potuto  cader  sotto 
gli  occhi  anche  della  madre  o  dd  fratello,  o  di  chi  sa  allrì;  e,  al  para- 
gon  di  ciò,  lutto  il  rimanente  le  pareva  quasi  un  nulla.  L' ìnmiagine  di 
colui  eh'  era  stato  la  prima  origine  di  lutto  lo  scandolo,  non  lasciava 
di  venire  spesso  anch'  essa  ad  infestar  hi  jwvera  rinchiusa:  e  pensate 
che  strana  com|>aRìa  doveva  far  quel  fantasma.  Ira  quegli  altri  cosi 


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CAPITOLO  IX.  I» 

diverai  da  lui,  seri,  freddi,  ininaeciosi.  Ma,  appunto  percliè  iton  po- 
teva separarlo  da  essi ,  né  tornare  un  momento  a  quelle  foggllive 
ooDipiacenze ,  senza' ette  subito  doa  le  s' afTaoeiassero  i  dolori  presenti 
che  a'  erano  la  ctHis^juenza,  oomìneiò  a  poco  a  poco  a  tornarci  friù 
di  rado,  a  ritingerne  la  rimembranza,  a  divezsarsaie.  Né  più  a  lungo, 
0  più  volentieri,  si  fermava  in  quelle  liete. e  brillanti  fantasie  d'una 
volta:  eran  troppo  opposte  alle  circostanze  reali,  a  ogni  probatólità 
ddl"  avvenire.  Il  solo  castello  nel  quale  Gertrude  potesse  immaginare 
un  rifugio  tranquillo  e  onorevole,  e  che  non  fosse  in  aria,  era  il  mo- 
nastero, quando  si  risolvesse  d'  entrarci  per  sempre.  Una  tal  risolu- 
zione (non  poteva  dubitarne)  avrebbe  accomodalo  ogni  cosa,  saldalo 
ogni  debito,  e  cambiata  in  un  attimo  la  sua  situazione.  Contro  questo 
proposilo  insorgevano,  è  vero,  i  pensieri  di  tutta  la  sua  vita:  ma  i 
tempi  eran  mutali;  e,  nell'abisso  in  cui  Gertrude  era  caduta,  e  al  pa- 
ragone di  ciò  che  poteva  temere  in  certi  momenti,  la  condizione  dì 
monaca  festeggiata,  ossequiala,  ubbidita,  le  pareva  uno  zuccherino.  Due 
sentimenti  di  ben  diverso  genere  contrìbuivan  pure  a  intervalli  a 
^tceoiare  quella  sua  antica  avversione:  talvolta  il  rimorso  del  fallo,  e 
una  tenerezza  fantastica  di  divozione;  talvolta  1'  orgoglio  amareggiato 
e  irritalo  dalle  maniere  delta  carcerìera,  la  quale  (spesso,  a  dire  il  ve- 
ro, provocala  da  lei  )  si  vendicava ,  ora  facendole  paura  di  qud  mi- 
nacciato gastigo ,  ora  svergognandola  del  fallo.  Quando  poi  voleva 
mostrarsi  benigna,  prendG\'a  un  tono  di  protezione,  più  odioso  an- 
cora dell'  insulto,  bi  (ali  di^  erse  occasioni ,  il  desiderio  che  Gertrude 
sentiva  d*  uscir  dall'  unghie  di  colei ,  e  di  comparirle  in  uno  stato  al 
di  sopra  della  suo  collera  e  della  sua  pietà,  questo  desiderio  abituale 
diveni^'a  tanto  vivo  e  pungente,  da  far  parere  amabile  ogni  cosa  che 
potesse  condurre  ad  appagarlo. 

In  capo  a  quattro  o  cinque  lunghi  giorni  di  prigionia,  una  mat- 
tina, Gertrude  stuccata  e  invelenita  all'  eccesso,  per  un  di  que'  di- 
giti della  sua  guardiana,  andò  a  cacdarsi  in  un  angolo  della  camera, 
e  li,  con  la  faccia  nascosta  Irà  le  mani,  stette  qualche  tempo  a  divorar  la 
sua  rabbia.  Senti  allora  un  bisogno  prepotente  di  vedere  altri  visi,  di 
sentire  altre  parole,  d'esser  trattata  diversamente.  Pensò  al  padre,  alla 
^miglia:  il  pensiero  se  ne  arretrava  spaventato.  Ma  te  venne  in  mente 
che  dipendeva  da  lei  di  trovare  in  loro  degli  amici;  e  provò  una 
gioia  improvvisa.  Dietro  questa,  una  confusione  e  un  pentimento  stra- 
ordinario del  suo  fallo,  e  un  ugual  desiderio  d"  espiarlo.  Non  già  che 


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Ita  I  PROMESSI  SPOSI 

la  sua  volontà  si  fermasse  in  quel  proponimento,  ma  giammai  non 
c'era  entrata  con  tanto  ardore.  S'alzò  di  li,  andò  a  un  tavolino,  ri- 
prese quella  penna  btale,  e  scrisse  al  padre  una  lettera  piena  d'en> 
tusiasmo  e  d'abbattimento,  d'afflizione  e  di  speranza,  imfritHrando  -il 
perdono,  e  mostrandosi  indeterminatamente  pronta  a  tutto  ciò  clie  po- 
tesse piacere  a  clii  doveva  accordarlo. 


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CAPITOLO   X. 


i  son  de'  momenti  iit  cui  l'animo.  |>arlic«>- 
larmenle  de'  giovani,  è  disfioslo  in  maniera 
che  ogni  poco  d' islanza  basta  a  ollenenie 
ogni  cosa  che  abbia  un'  apparenza  di  bene 
e  di  sacrifizio:  come  un  fiore  appena  sboc- 
ciato, s'  abbandona  iiiollemenle  sul  suo  fra- 
gile stelo,  pronto  a  concedere  Je  sue  fra- 
granze alla  prim'  aria  che  gli  aliti  punto 
d'intorno.  Questi  momenti,  che  si  dovreb- 
bero dagli  altri  ammirare  con  timitlo  ri- 
spetto, son  quelli  appunto  che  l'astuzia  interessala  spia  allenlamentc  e 
coglie  di  volo,  per  legare  una  volontà  che  non  si  guarda. 


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IM  I  PROMESSI  SPOSI 

Al  legger  quella  lettera ,  il  priflci|)e  '  '  '  vide  subilo  lo  spiraglio 
aperto  alle  sue  aiitiehe  e  costanti  mire.  Mandò  a  dire  a  Gertrude  che 
venisse  da  luij  e  as|)elIandola,  si  dis|>ose  a  batter  il  ferro,  meni r' era 
caldo.  Gertrwle  comparve,  e,  senza  alzar  gli  ocdii  in  viso  al  padre,  gli  si 
buttò  in  ginocchioni  davanti,  ed  ebbe  ap|>ena  tìato  di  dire:  ^  pcrdoiiol  ^ 


Egli  le  Tece  cenno  che  s  alzasse  ;  iiii),  con  una  voce  poco  alla  a  i-ìncoi-ai-e, 
le  rispose  che  il  perdono  non  bastava  desiderarlo  né  chiedcrlo;cli'era 
I-osa  IropiM)  agevole  e  trop{io  naturale  a  chiunque  sia  trovato  in  col- 
pa, e  tenia  la  punizione;  che  in  somma  bisognava  meritarlo.  Gertrude 
domandò,  sommessamente  e  tremando,  che  cosa  dovesse  fare.  Il  priii- 
ei|>e  (  non  ci  re^^e  il  cuore  di  dargli  in  questo  momento  il  titolo  di 
(ladre)  non  rispose  dircltaniente,  ma  coniineiò  a  parlare  a  lungo  del 
fallo  di  Gertrude:  e  quelle  t>arole  frizzavano  sull'animo  della  pove- 
retta, come  lo  scorrere  d'  una  mano  ruvida  sur  una  (eiWa.  Continuò 

direndo  che,  quand'anche casomai che  avesse  avuto  prima 

qualche  intenzione  di  collocarla  nel  secdo,  lei  stessa  ci  a\cva  messo 
ora  im  ostacolo  insuperabile;  giacché  a  uà  cavalier  d'  onore,  com'era 
lui ,  non  sarebbe  mai  bastalo  I'  animo  di  regalare  a  un  galantuo- 
mo una  signorina  che  avc^a  dato  mi  (al  saggio  di  sé.  La  misera 
ascollatricc  era  annicbilata:  allora  il  principe,  raddolcendo  a  grado  a 
grado  la  voce  e  le  parole,  prosegui  dicendo  che  però  a  ogni  fallo  e' era 
rimedio  e  misericordia;  che  il  suo  era  di  (pielli  per  i  quali  il  rimedio 


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è  più  cliianunente  indifialo:  cb'  essa  doveva  vedere,  in  quanto  tristo 
accidente,  come  un  avviso  cbe  la  vita  del  secolo  era  troppo  piena  di 
perìcoli  per  lei 

"  Ah  si  1  »  esclamò  Gertrude ,  scossa  dal  timore ,  preparala  dalla 
vergogna,  e  mossa  in  quel  punto  da  una  tenerezza  istantanea. 

«Ah!  io  capite  anche  voi,»  riprese  incontanente  il  principe.  «Eb- 
Iwne,  non  si  parti  più  del  passato:  tutto  è  cancellalo.  Avete  preso  il 
solo  partilo  onorevole,  conveniente,  che  vi  rimanesse;  ma  perchè  l'a- 
vete preso  di  buona  v(^ia,  e  con  buona  maniera,  tocca  a  me  a  far- 
vtìo  riuseir  gradito  in  tutto  e  per  tutto:  tocca  a  me  a  larne  tornare 
tutto  il  vantaggio  e  iutto  ii  merito  sopra  di  voi.  Ne  prendo  io  la  cu- 
ra. "  Cìosi  dicendo,  scosse  un  camjianello  cbe  stava  sul  tavolino,  e  al 
servitore  che  enlrò,  disse:  «  la  principessa  e  il  principino  subito,  n 
E  seguitò  poi  con  Gertrude:  ^  voglio  metterli  subilo  a  parte  della 
mia  consolazione;  voglio  cbe  tutti  comincin  subito  a  trattarvi  come  si 
conviene.  Avete  sperimentato  in  parte  il  padi-c  severo;  ma  da  qui  in- 
nanzi provCTete  tutto  il  padre  amoroso.  " 

A  queste  parole,  Gertrude  limaneva  ccHne  sbalordita.  Ora  rìpensa\'a 
come  mai  quel  si  che  le  era  scappato,  avesse  potuto  significar  tanto, 
ora  cercava  se  ci  fosse  maniera  dì  riprenderlo,  di  ristringerne  il  senso; 
ma  la  persuasione  del  principe  pareva  cosi  intera,  la  sua  gioia  cosi 
gelosa,  la  benignità  così  condizionata,  die  Gertrude  non  osò  prorerirc 
una  parola  che  potesse  turbarle  menomamente. 

Dopo  pochi  momenti,  vennero  t  due  chiamali,  e  vedendo  li  (Gertru- 
de, la  guardarono  in  viso,  incerti  e  maravigliati.  Ma  il  prìncipe,  con  un 
contegno  lieto  e  amorevole,  che  ne  prescriveva  loro  un-somigtiante, 
X  ecco,  "  disse,  u  la  pecora  smarrita;  e  sia  questa  l'ultima  parola 
cbe  rìchiaiui  triste  memorie.  Ecco  la  cons<dazione  della  famiglia.  Ger- 
trude non  ha  più  bisogno  di  consigli;  ciò  che  noi  desideravEono  per 
suo  bene,  l'ha  voluto  lei  sptMitaneamente.  E  risoluta,  m'  ha  fatto  in- 
tendere che  è  risoluta n  A  questo  passo,  alzò  essa  verso  il  padre 

uno  sguardo  tra  atterrito  e  supplichevole,  come  per  chiederti  die  so- 
spradesse,  ma  egli  proseguì  francamente:  »  ohe  è  risolula  di  pren- 
dere il  velo.  " 

<t  Brava!  bene!  "  esclamarono,  a  una  voce,  la  madre  e  il  figlio,  e 
r  uno  dopo  l'altra  abbracciaron  Gei-trude:  la  quale  ricevette  queste 
accii^ieoze  con  lacrime,  che  furono  interpretate  per  lacrime  di  con- 
solazione. Allora  il  princi|)e  si  diffuse  a  s^iiegar  ciò  die  fareMie  per 


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IS9  t  PROMESSI  SPOSI 

render  liela  e  splendida  la  sorte  della  figlia.  Parlò  delle  distinzioni  di 
cui  goderebbe  nel  monastero  e  nel  paese;  che,  là  sarebbe  come  una 
principessa,  come  la  rappresentante  della  famiglia;  che,  appena  l'età  l'a- 
vrebbe permesso,  sarebbe  innalzata  alla  prima  dignità;  e,  intanto,  non 
sarebbe  so^tla  che  di  nome.  La  principessa  e  il  principino  rinnova- 
vano, ogni  momento,  le  congratulazioni  e  gli  applausi:  Gertrude  era 
come  dominata  da  un  sogno. 


u  Converrà  poi  fissare  il  giorno,  per  andare  a  Monza,  a  far  la  ri- 
chiesta alla  badessa,  »  disse  il  principe.  "Come  sarà  contenta!  Vi  so 
dire  che  tutto  il  monastero  saprà  valutar  l'onore  cheGertnide  gli  fa. 
Anzi ....  perchè  non  ci  andiamo  oggi?  Gertrude  prenderà  volentieri 
un  po'  d'  aria,  n 

u  Andiamo  pure,  »  disse  la  principessa. 

"  Vo  a  dar  gli  ordini ,  n  disse  ìl  principino. 

"Ma  ....  »  proferì  sommessamente  Gertrude. 

"  Piano,  piano, n  riprese  ìl  principe:  ulascìam  decidere  a  lei:  forse 
o^i  non  si  sente  abbastanza  disposta,  eie  piacerebbe  più  aspettar  lino 
a  domani.  Dite:  volete  che  andiamo  oggi  o  domani?  n 


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"Domani,  «  ris|>05C,  con  voc«  Aacca,  Gertrude,  alla  quale  pareva 
ancora  di  far  (jualchc  c«sa,  prendendo  un  po'  di  tempo. 

u  Domani,  "  dis.sc  solennemente  ìl  principe:  «  ha  stabilito  che  sì 
vada  domani.  Intanto  io  vo  dal  vicario  delle  monache,  a  (issare  un 
giorno  per  l'esame.»  Detto  Tatto,  il  principe  usci,  e  andò  veramente 
(  ctie  non  fn  piccola  degnazione  )  dai  detto  vicario  ;  e  concertarono 
che  verrebbe  di  li  a  due  giorni. 

In  tulio  il  resto  di  quella  gicrnala,  Gertrude  non  ebbe  un  minuto 
di  bene.  Avrebbe  desiderato  riposar  l' animo  da  tante  commozioni , 
lasciar,  per  dir  cosi,  chiarire  i  suoi  pensieri,  render  conto  a  sé  stessa 
di  rio  che  aveva  fatto,  di  ciò  che  le  rimaneva  da  fere,  sapere  ciò  che 
vdesse,  rallentare  un  momento  quella  macchina  che,  appena  avvia- 
ta ,  andava  cosi  precipitosamente  ;  ma  non  ci  fu  verso.  L' ocrtipazioni 
si  succedevano  senza  interruzione ,  s' incastravano  1'  una  con  1'  altra. 
Subito  dopo  partito  il  princi|>e,  fu  condotta  nel  gabinetto  della  prin- 
cipessa ,  per  essere,  sotto  la  sua  direzione ,  pettinata  e  rivestita  dalla 
sua  propria  cameriera.  Non  era  ancor  terminato  di  dar  l'ultima  mano, 
ebe  furon  avvertile  ch'era  in  (avola.  Gertrude  passò  in  mezzo  agi'  in- 
chini della  servitù,  che  accennava  di  congratularsi  per  la  guarigione , 
e  trovò  alcuni  parenti  più  prossimi,  eh'  erano  stati  invitati  in  fretta, 
per  ferie  onore,  e  per  rallegrarsi  con  lei  de' due  felici  avvenimenti,  la 
ricuperala  salute,  e  la  spiegata  vocazione. 

La  sposina  (così  si  chiamavan  le  giovani  monacande,  e  Gertrude, 
al  suo  apparire,  fu  da  tulli  salutata  con  quel  nome),  la  sposina  d)be 
da  dire  e  da  fare  a  ris|Hindere  a' complimenti  die  le  lioecavan  da  tutte 
le  parti.  Sentiva  bene  che  ognuna  delle  sue  risposte  era  come  un'ac- 
cettazione e  una  conferma  ;  ma  come  rispondere  diversamente  ?  Poco 
dopo  alzati  da  tavda ,  venne  1'  ora  della  trottata.  Gertrude  entrò  in 
carrozza  con  la  madre,  e  con  due  zìi  eh'  erano  stati  al  pranzo.  Dopo 
un  solito  giro,  si  riusci  alla  strada  Marina,  che  allora  attraversava  lo 
spazio  occupato  ora  dal  giardin  pubblico ,  ed  era  il  luogo  dove  i  si- 
gnori venivano  in  carrozza  a  ricrearsi  delie  fatiche  della  giornata.  Gli 
sii  parlarono  anche  a  Gertrude,  eome  porlava  la  convenienza  in  quel 
giorno:  e  uno  di  loro,  il  qiial  pareva  che,  più  dell'altro,  conoscesse 
ogni  persona ,  <^i  carrozza ,  ogni  livrea ,  e  aveva  <^i  momento 
qualcosa  da  dire  del  signor  tale  e  della  signora  tal  altra ,  si  voltò  a 
lei  tuffa  un  tratto,  e  le  disse:  u  ah  furbetla!  voi  date  un  calcio  a 
tulle  queste  corbellerie;  siete  una  diriltona  voi;  piantate  negi'  impieci 


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194  I  PBOMESSI  SPOSI 

noi  poveri  mondani,  vi  ritirale  a  fai-c  una  vila  beata,  e  andate  in 
paradiso  in  carrozza.  " 

Sul  lardi,  si  tornò  a  casa  ;  e  i  servitori,  scendendo  in  fretta  con  le 
torce,  avvertirono  che  molte  visite  stavano  a8i)ellando.  La  voce  era 
corsa;  e  i  parenti  e  gli  amici  venivano  a  fare  il  loro  dovere.  S'entrò 
nella  sala  della  conversazione.  La  siiosina  ne  fu  l' idolo ,  il  trastnllo , 
la  vittima.  Ognuno  la  voleva  per  sé  ;  chi  si  faceva  prometler  dolci , 
ehi  prometteva  visite ,  chi  parlava  della  madre  lalc  sua  parente ,  cliì 
della  madre  tal  altra  sua  conoscente,  chi  lodava  il  cielo  di  Monza,  chi 
discorreva,  con  gran  salare,  della  gran  figura  ch'essa  avrehhe  falla  là. 


Altri,  che  non  avevaa  |>oluto  ancora  a^'vicina^sì  a  Gertrude  così  asse- 
diala ,  stavano  spiando  l' occasione  di  farsi  innanzi ,  e  sentivano  un 
certo  rimorso,  fin  che  non  avessero  fatlo  il  loro  dovere,  A  poco  a  poco, 
la  compagnia  s'andò  dileguando;  tulli  se  n'andarono  senza  rimorso, 
e  Gertrude  rimase  sola  co'  genitori  e  il  fratello. 

u  Finalmente ,  "  disse  il  principe ,  u  ho  avuto  la  consolazione  di 
veder  mia  figlia  trattata  da  par  sua.  Bisogna  però  confessiire  che  an< 
che  lei  s'è  portata  benone,  e  ha  fatto  vedere  che  non  sarà  impicdala 
a  far  la  prima  figura ,  e  a  sostenere  il  decoro  della  famiglia.  » 


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CAPITOLO  X. 


Si  cenò  in  fretta ,  per  ritirarsi  subito ,  ed  esser  pronti  presto  la 
mattina  seguente. 

Gertrude  contristata,  indispettita  e,  nello  slesso  t^npo,  tin  po' 
gonfiata  da  lutti  que'  compliinenli ,  si  rammentò  in  quel  punto  ciò 
d)e  aveva  patito  dalla  sua  carcerìera;  e,  vedentlo  il  padre  cosi  di- 
i^wsto  a  compiacerla  in  tulio,  fuor  che  in  una  cosa,  volle  approfltlare 
dell'  auge  in  cui  si  trovava,  per  acquietare  almeno  una  delle  passioni 
che  la  tormentavano.  Mostrò  quindi  una  gran  ripugnanza  a  trovarsi 
con  cedei,  lagnandosi  fortemente  delle  sue  maniere. 

"  C<Hne!  "  disse  il  principe:  «  v'ha  mancalo  di  rispetto  colei!  Do- 
mani ,  domani ,  le  laverò  il  capo  come  va.  Lasciate  fare  a  me ,  clic  le 
farò  conoscere  cbi  è  lei,  e  clii  siete  voi.  E  a  ogni  modo,  una  figlia  della 
quale  io  son  contento ,  non  deve  vedersi  intomo  una  persona  che  le 
dispiaccia.  »  Cosi  detto,  fece  chiamare  un'  altra  donna,  e  le  ordinò  di 
servir  Gertrude;  la  quale  intanto,  masticando  e  assaporando  la  soddi- 
sfazione che  aveva  ricevuta,  si  stupiva  di  trovarci  così  poco  sugo,  in 
parinone  del  desiderio  che  n'aveva  avuto.  Ciò  che,  anche  suo  mal- 
grado, s'impossessava  di  tutto  il  suo  animo,  era  il  sentimento  de' gran 
progressi  clic  aveva  fatti,  in  quella  giornata,  sulla  strada  del  chio- 
stro ,  il  [lensiero  che  a  ritirarsene  ora  ci  vorrebbe  m(dla  più  forza 
e  risolutezza  dì  quella  che  sarebbe  bastala  pochi  giorni  prima,  e  che 
pure  non  s' era  sentita  d"  avere. 

La  donna  che  andò  ad  accompagnarìa  in  camera,  era  una  vecchia 
di  casa ,  stala  già  governante  del  principino,  che  aveva  ricevuto  ap- 
pena uscito  dalle  fasce,  e  tirato  su  fino  all'adolescenza,  e  nei  quale 
aveva  riposte  tutte  le  sue  compiacenze,  le  sue  speranze,  la  sua  gloria. 
Era  essa  cwitenta  della  decisione  fatta  in  -quel  giorno,  come  d'una  sua 
propria  fortuna;  e  Gertrude,  per  ultimo  divertimento,  dovette  succiarsi 
le  cmigratulazioni ,  le  lodi ,  i  constai  della  vecchia ,  e  sentir  parlare 
di  certe  sue  zie  e  prozie,  le  quali  s'eran  trovate  ben  contente  d'esser 
monache ,  perchè ,  essendo  di  quella  easa ,  avevan  sempre  goduto  i 
primi  onori ,  avevan  sempre  sapulo  tenere  uno  zampino  di  fuori ,  e, 
dal  loro  parlatorio,  avevano  ottenuto  cose  die  le  più  gran  dame,  nelle 
loro  sale,  non  c'eran  potute  arrivare.  Le  parlò  delle  visite  die  avrebbe 
ricevute:  un  giorno  poi,  verrebbe  il  signor  principino  con  la  sua  sposa, 
la  quale  doveva  esser  certamente  una  gran  signorona;  e  allora,  non 
sdo  il  monastero,  ma  lutto  il  paese  sarebbe  in  moto.  ha.  vecchia  aveva 
parlalo  mentre  spogliava  (jertnide ,  quando  Gertrude  era  a  letto  ; 


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I  PHOMESSI  SPOSI 


j)arlava  aiicura,  che  Gertrude  doroiìva.  La  giovinezza  e  la  fatica  erano 
stale  più  forti  de' pensieri.  Il  sonno  fu  affannoso,  torbido,  pieno  di 
s(^nì  penosi,  ma  non  fu  rotto  che  dalla  voce  strillante  della  veccliia, 
che  venne  a  svegliarla,  perchè  si  preparasse  per  la  gita  di  Monza. 


■>  Andiamo,  andiamo,  signora  sposina:  è  giorno  fatto;  e  prima  che 
^a  vestila  e  pettinala,  ci  vorrà  mi'  ora  almeno.  La  signora  principessa 
si  sia  vestendo;  e  l'hanno  svegliala  quatir' ore  prima  del  solito.  Il 
signor  principino  è  già  sceso  ^le  scnderie ,  poi  è  (ornato  su ,  ed  è 
air  ordine  per  parlìi-e  quando  si  sia.  Vispo  come  una  lepre ,  quel 
diavoletto  :  ma  !  è  stalo  cosi  (In  da  bambino  ;  e  io  posso  dirlo ,  che 
l'ho  portato  in  odio.  Ma  quand'é  pronto,  non  bisogna  farlo  a8|>etla- 
re ,  perchè ,  sebbene  sia  della  miglior  pasta  del  mondo ,  allora  s'  im- 
pazientisce e  strepita.  Poveretto  !  bisogna  compatirlo  :  è  il  suo  natu- 
rale; e  poi  questa  volta  avrebbe  anclie  un  |>o'  di  ragione,  perchè 
s'  incomoda  per  lei.  Guai  chi  lo  tocca  in  que'  momenti  !  non  ha 
riguardo  per  nessuno,  fuorché  per  il  signor  principe.  Ma,  un  giorno, 
il  signor  principe  sarà  lui;  più  lardi  che  sia  possibile,  però.  Lesta, 
lesta,  signorina  !  Perchè  mi  guarda  cosi  incantata  ?  A  quest'  ora  do- 
vrebbe esser  fuor  della  cuccia.  " 

All' immagine,  del  principino  im|>azicnte,  tulli  gli  altri  pensieri  che 
s'erano  affollati  alla  mente  risvegliala  di  Gertrude,  si  levaron  subito,     I 


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CAPITOLO  X.  IBT 

come  uno  stormo  di  passere  all'apparir  del  nibbio.  Ubbidì,  si  vestì 
ÌD  fretta,  si  lasciò  pettinare,  e  comparve  nella  sala,  dove  i  genitori  e 
il  fratello  eraii  radunati.  Fu  fatta  sedere  sur  una  sedia  a  braccioli,  e 
le  fu  portata  una  chicchera  di  cioccolata  :  il  che  ,  a  que'  tempi ,  era 
quel  ette  già  presso  i  Romani  il  dare  la  veste  virile. 

Quando  vennero  a  avvertir  ch'era  attaccato,  il  principe  tirò  la  figlia 
in  disparte,  e  le  disse:  u orsù, Gertrude, ieri  vi  siete  fatta  onore:  oggi 
dovete  superar  voi  medesima.  Sì  tratta  di  fare  ima  comparsa  solenne 
nel  monastero  e  nel  paese  dove  siete  destinata  a  far  la  prima  figura. 


\''  aspettano »  É  inutile  dire  che  il  principe  aveva  spedito  un 

avviso  alla  badessa,  il  giorno  avanti,  u  \'  aspettano ,  e  tutti  gli  occhi 
saranno  sopra  di  voi.  Dignità  e  disinvoltura.  La  badessa  vi  doman- 
derà cosavfdele:  e  una  formalità.  Potete  rispondere  che  diiedele  d'es- 
sere ammessa  a  vestir  l'abito  in  quel  monastero,  dove  siete  stata  edu- 
cala così  amorevolmente,  dove  avete  ricevute  tante  finezze:  die  é  la 
pura  verità.  Dite  quelle  poche  parole,  con  un  fare  sciolto  :  die  non 
s'  avesse  a  dire  che  v'  hanno  imboccata,  e  die  non  sapete  parlare  da 
voi.  Quelle  buone  madri  non  sanno  nulla  dell'accaduto:  è  un  segreto 
che  de^e  restar  sepolto  nella  famiglia  ;  e  perciò  non  fate  una  faccia 
coDlrila  e  dubbiosa,  che  potesse  dar  qualche  sospetto.  Fate  vedere  di 


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198  I  PaOHESSI  SPOSI 

vbe  sangue  uscite:  manierosa,  modesta j  ma  ricordatevi  che,  ■■>  quei 
liH^,  fuor  della  famiglia,  non  ci  sarà  nessuno  sopra  di  voi.  » 

Senza  aspettar  risposta ,  il  prìncipe  sì  mosse  ;  Gertrude ,  la  princi- 
{lessa  e  il  principino  lo  »eguirMio;  scesero  tutti  le  scale,  e  montarono 
in  carrozza.  Gl'impicci  e  le  noie  del  mondo,-e  la  vita  beata  del  chio- 
stro, principalmente  per  le  giovani  di  sangue  nobilissimo,  fnrono  il 
tema  della  conversatone,  durante  il  tragitto.  Sul  finir  della  strada,  il 
jH-incipe  rinnovò  l' istruzioni  alla  figlia ,  e  le  ripetè  più  volte  la  for- 
mola  della  risposta.  All'entrare  in  Monza,  Gertrude  si  senti  strìngere 
il  cuore  ;  ma  la  sua  attenzione  fu  attirata  per  un  istante  da  non  so 
quali  signori  che ,  falla  fermar  la  carrozza ,  recitarono  non  so  qual 
complimento.  Ripreso  ìl  cammino ,  s'  andò  quasi  di  passo  al  mona- 
stero, tra  gli  sguardi  de'euriosi,  che  accorrevano  da  tutte  le  parti  sulb 
strada.  Al  fermarsi  della  carrozza ,  davanti  a  quelle  mura ,  davanti  a 
({uella  porta ,  il  cuore  si  strinse  ancor  più  a  Gertrude.  Si  smontò  tra 
due  ale  di  popolo,  che  ì  servitori  facevano  slare  indietro.  Tutti  qu^i 
occhi  addosso  alla  poveretta  l' obbligavano  a  studiar  continuamente  il 
suo  contegno:  ma  più  di  tutti  quelli  insieme,  la  tenevano  in  sugge- 
zione  i  due  del  padre,  a' quali  essa,  quanliuique  ne  avesse  cosi  gran 
|>aura,  non  poteva  lasciar  di  rìvolgei-e  i  suoi,  ogni  momento.  E  quegli 
occhi  governavano  le  sue  mosse  e  ìl  suo  volto ,  come  [ter  mezzo  dì 
redini  invisibili.  Attraversato  il  primo  cortile,  s'  entrò  in  un  altro, 
e  li  si  vide  la  porla  del  chiostro  interno,  spalancala  e  tutta  occupata 
da  monache.  Nella  prima  (ila ,  la  badessa  circxindata  da  anziane  ;  die- 
tro, altre  monache  alla  rinfusa,  alcune  in  punta  di  piedi;  in  ultimo 
le  conva^  ritte  sopra  panchetti.  Si  vedevan  pure  qua  e  là  lue- 
cicare  a  mezz'aria  alcuni  ocdiìelti ,  spuntar  qualche  visino  tra  le  to- 
nadte:  eran  le  più  destre,  e  le  più  cora^iose  tra  l'educande,  die, 
ficcandosi  e  penetrando  tra  monaca  e  monaca ,  eran  riuscite  a  farsi 
un  po'  di  pertugio ,  per  vedere  andi'  esse  qualche  cosa.  Da  qudla 
calca  uscivano  acclamazioni  ;  si  vedevan  molle  braccia  dimenarsi ,  in 
segno  d'accoglienza  e  di  gioia.  Giunsero  alla  porla;  Gertrude  si  trovò 
a  viso  a  viso  con  la  madre  badessa.  Dopo  i  primi  complimenti ,  que- 
sta, con  una  maniera  tra  il  giulivo  e  il  solenne,  le  domandò  cosa  de- 
siderasse in  quel  luogo,  dove  non  c'era  dii  le  potesse  negar  nulla. 

"  Son  qui  .  .  .  .  ,  »  cominciò  Gertrude;  ma,  al  punto  di  proferir 
le  parole  che  dovevano  decider  quasi  irrevocabilmente  del  suo  de- 
stino, esitò  un  momento,  e  rimase  con  gli  occhi  fissi  sulla  folla  che 


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CAPITOLO  X.  I8S 

le  slava  davanti.  Vide,  in  quel  momenlo,  una  di  quelle  sue  note  com- 
pagne, che  la  guardava  con  un'aria  di  eom|>assione  e  di  malizia  in- 
sieme, e  pareva  che  dicesse:  ah!  la  c'è  castola  la  brava.  Quella  visla, 
risvegliando  più  vivi  nell'animo  suo  tulli  gh  antichi  seutiuienti,  le  re- 
stituì anche  un  po'di  quel  poco  antico  coraggio:  e  già  stava  cercando 
una  risposta  qualunque,  diversa  da  quella  che  le  era  stala  dettala; 


quando ,  alzato  lo  sguardo  alla  faccia  del  padre ,  qua»  per  esperi- 
menlar  le  sue  forze,  scorse  su  quella  un'inquietudine  cosi  cupa,  un' 
iinpazi«iza  così  minaccevole ,  che ,  risoluta  per  paura ,  con  la  stessa 
prontezza  che  avrebbe  preso  la  fuga  dinanzi  un  oggetto  terrìbile,  pro- 
seguì :  "  son  qui  a  chiedere  d'esser  ammessa  a  vestir  l'abilo  reli- 
gioso ,  in  questo  monastero ,  dove  sono  stala  allevata  così  amorevol- 
mente. 1  La  badessa  rispose  subito,  che  le  dispiaceva  molto,  in  una 


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■00  1  PROMESSI  SPOSI 

ìsie  occasione,  che  le  r^Kole  non  le  permeUesscro  di  dare  imtnediala- 
mente  una  risposta,  la  quale  doveva  venire  dai  voti  comuni  delle  suo- 
re, e  alla  quale  doveva  precedere  la  licenza  de'  superiori.  Che  però 
Gertrude,  conoscendo  i  sentimenti  che  s'avevan  per  lei  in  quel  Iim^, 
poteva  preveder  con  certezza  qual  sarebbe  questa  risposta;  e  che  in- 
tanto nessuna  regola  proibiva  alla  badessa  e  alle  suore  di  manifeslarc 
la  consolazione  che  sentivano  di  quella  richiesta.  S'  alzò  allora  un  fra- 
stono  confuso  di  con^tulaziont  e  d' acclamazioni.  Vennero  subilo 
gran  guantiere  colme  di  dolci,  che  furon  presentati,  prima  alla  spo- 
sina, e  dopo  ai  parenti.  Mentre  alcune  monache  facevano  a  rubarsela, 
e  altre  eomplimenlavan  la  madre ,  altre  il  principino,  la  badessa  fece 
pregare  il  princiiie  die  volesse  venire  alla  graia  del  parlatorio ,  dove 
r  attendeva.  Era  accompagnata  da  due  anziane;  e  quando  lo  vide  com- 
parire, «  signor  principe,  "  disse:  «  per  ubbidire  alle  regole 

per  adempire  una  formalità  indispensabile,  sebbene  in  questo  caso .. . 

pure  devo  dirle che,  ogni  volta  che  una  figlia  chiede  d'essere 

ammessa  a  vestir  l'abito , la  superiora ,  quale  io  sono  indegna- 
mente, ...  è  obbfa'gata  d'av\'ertire  i  genitori ....  che  se,  per  caso.... 
forzassero  la  volontà  della  figlia,  incorrerebt>ero  nella  scomunica.  Mi 
scuserà  . . . .  i 

"  Benls^mo ,  benissimo ,  reverenda  madre.  Lodo  la  sua  esattezza  : 
è  troppo  giusto  ....  Ma  lei  non  può  dubitare -> 

"  Oh  !  pensi,  signor  principe,...  ho  parlato  per  obbligo  preciso,... 
del  resto . . . .  " 

"  Certo ,  certo ,  madre  badessa.  « 

Barattate  queste  poche  parole,  i  due  interlocutori  s' inchinarono  vi- 
cendevolmente, e  si  separarono,  come  se  a  lutf  e  due  ]>csasse  di  ri- 
maner li  lesta  testa  ;  e  andarono  a  riunirsi  ciascuno  alla  sua  compa- 
gnia, l'uno  fuori,  l'altra  dentro  la  soglia  claustrale. 

«  Oh  vìa,  n  disse  il  principe:  ^  Gertrude  potrà  presto  godersi  a 
suo  bell'agio  la  compagnia  di  queste  madri.  Per  ora  le  abbiamo  inco- 
modate abbastanza.»  Cosi  detto, fece  un  inchino;  la  famiglia  si  mosse 
con  lui  ;  si  rinnovarono  ì  complimenti ,  e  si  parti. 

Gertrude,  nel  tm^iare,  non  aveva  troppa  v(^ia  di  discorrere.  Spa- 
ventata del  passo  che  aveva  fatto ,  vergognosa  della  sua  dappocag- 
gine ,  indispettita  contro  gli  altri  e  contro  sé  stessa ,  faceva  Irisla- 
meole  il  conto  dell'  occasioni ,  che  le  rimanevano  ancora  di  dir  di 
no;  e  prometteva  deboUnente  e  confusamente  a  sé  slessa  che,  in 


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questa,  0  in  quella,  o  in  quell'altra,  sarebbe  più  destra  e  più  forte. 
Con  (ulti  questi  pensieri ,  non  le  era  però  cessato  aflalto  il  terrore 
di  quel  cifMglio  dei  padre;  talché,  quando,  con  un'occhiata  datali  alla 
sfuggita,  potè  chiarirsi  che  sul  volto  di  lui  non  c'era  più  alcun  ve- 
stigio di  collera,  quando  anzi  vide  che  sì  mostrava  soddisfatlìssimo  di 
lei,  le  parve  una  bella  cosa,  e  fu,  per  un  istante,  tutta  contenta. 

Appena  arrivati,  bisognò  rivestirsi  e  rilisciarsi;  poi  il  desinare,  jioi 
alcune  visite,  poi  la  Irotlala,  \mì  la  conversazione,  poi  la  cena.  Sulla  (Ine 
di  questa,  il  principe  mise  in  campo  un  altro  affare,  la  scelta  ddla 
madrina.  Cosi  si  chiamava  una  dama,  la  quale,  pr^ata  da'  genitori, 
diventava  custode  e  scoria  della  giovane  monacanda,  nel  tempo  tra  la 
rii^iiesta  e  l'entratura  nel  monastero;  tempo  che  veniva  six>so  in  visi' 
(ar  le  chiese,  i  palazzi  pubblici,  le  conversazioni,  le  ville,  i  santuari: 
tutte  le  cose  in  somma  più  notabili  della  città  e  de'  contorni;  affinchè 
le  giovani ,  prima  di  proferire  un  voto  irrevocabile,  vedessero  bene  a 
cosa  davano  un  calcio,  u  Bisognerà  pensare  a  una  madrina ,  n  disse 
il  principe  :  "  perchè  domani  verrà  il  vicario  ddle  monache,  per  la 
formalità  dell'esame,  e  subito  dopo,  Gertrude  verrà  proposta  in  capi- 
tolo, per  esser  accettala  dalle  madri.  »  Nel  dir  questo,  s'era  voltato 
verso  la  principessa;  e  questa ,  credendo  che  fosse  un  invilo  a  pro- 
porre ,  cominciava  :  «  ci  sarebbe n  Ma  il  prìncipe  interruppe: 

"No,  no,  signora  principessa:  la  madrina  deve  prima  di  tutto  piacere 
dia  sposina  ;  e  bcn(;hè  I'  uso  universale  dia  la  scelta  ai  parenti,  pure 
Gertrude  ha  tanto  giudizio,  tanta  assennatezza,  che  merita  bene  che  si 
faccia  un'  eccezione  per  lei.  n  E)  qui ,  voltandosi  a  Gertrude,  in  atto  di 
citi  annunzia  ima  grazia  singolare,  continuò:  «  ognuna  delle  dame  che 
si  son  trovale  questa  sera  alla  conversazione,  ha  quel  che  si  richiede 
per  esser  madrina  d'una  lìglia  della  nostra  casa;  non  ce  n'  è  nessuna, 
crederei,  che  non  sia  per  tenersi  onorata  della  preferenza:  sc^liete  voi.  » 

Gertrude  vedeva  bene  che  far  questa  scella  era  dare  un  nuovo  con- 
senso; ma  la  proposta  veniva  fatta  con  tanto  apparalo,  che  il  rifiuto, 
per  quanto  fosse  umile ,  poteva  parer  disprezzo ,  o  almeno  capriccio 
e  leziosa^ine.  Fece  dunque  anche  quel  passo;  e  nmninò  la  dama  che, 
in  quella  sera,  le  era  andata  più  a  genio;  quella  cioè  che  le  aveva  fallo 
più  carezze,  die  l'aveva  più  lodata,  che  l'aveva  trattala  con  quelle 
muùere  famigliari ,  affettuose  e  premurose ,  che ,  ne"  primi  momenti 
d'una  conoscenza,  contraffanno  im* antica  amicizia.  «  Ottima  scelta,  » 
disse  il  principe,  che  desiderava  e  aspettava  appunto  quella.  Fosse 


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I«s  I  PROMESSI  SPOSI 

arte  o  caso ,  era  avvenuto  come  quando  il  giocalor  di  bussolotti  Ta- 
cendovi scorrere  davanti  agli  occhi  le  carte  d'  un  mazzo,  vi  dice 
die  ne  pensiate  una ,  e  lui  [loi  ve  la  indovinerà }  ma  le  ha  fatte 
scorrere  in  maniera  che  ne  vediate  una  sola,  Quella  dama  era  slata 
tanto  intomo  a  Gertrude  tutta  la  sera,  I'  aveva  tanto  occupata  di  eé , 


che  a  questa  sarebbe  bisognato  uno  sforzo  dì  fantasia  per  pensarne 
un'altra.  Tante  premure  poi  non  cran  senza  motivo;  la  dama  aveva, 
da  molto  tempo,  messo  gli  occhi  addosso  al  principino,  per  farlo  suo 
genero  :  quindi  riguardava  le  cose  di  quella  casa  come  sue  proprie  ; 
ed  era  ben  n&lurale  che  »'  interessasse  per  quella  cara  Gertrude , 
niente  meilo  de'  suoi  parenti  più  prossimi. 

n  giorno  dopo,  Gertrude  si  svegliò  col  pensiero  dell'esaminatore  che 
doveva  venire;  e  mentre  stava  ruminando  se  potesse  cogliere  quella 
occasione  cosi  decisiva,  per  tornare  indietro,  e  in  qual  maniera,  il  prìn- 
cipe la  fece  chiamare.  «  Orsù,  tlgliuola,  «  le  disse  :  «  finora  vi  siete  por- 
tala egregiamente:  oggi  si  tratta  di  coronar  l'opera.  Tutto  quel  che 
s'è  (ktto  finora,  s'è  fatto  di  vostro  consenso.  Se  in  questo  tempo  vi 
fosse  nato  qualche  dubbio,  qualche  pentimentuccJo,  grilli  di  gioventù, 
avreste  dovuto  spiegarvi;  ma  al  punto  a  cui  sono  ora  le  cose,  non 
è  più  tempo  di  far  ragazzate.  Queir  uomo  dabbene  che  deve  venire 


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stamattina,  vi  farà  cento  domande  sulla  vostra  vocazicme:  e  so  vi  fate 
monaca  di  vostra  volontà,  e  il  perchè  e  il  per  come,  e  che  so  io?  Se 
voi  titubate  nel  rispondere ,  vi  terrà  sulla  corda  chi  sa  quanto.  Sa-r 
rebbe  un'  uggia,  un  tormento  per  voi;  ma  ne  potrebbe  anche  ve^ 
Dire  un  altro  guaio  più  serio.  Dopo  tutte  le  dimostrazioni  pidibliche 
che  si  son  fatte ,  ogni  più  pìccola  esitazione  che  si  vedesse  in  voi , 
metterebbe  a  repentaglio  il  mio  onore ,  potrebbe  far  credere  eh'  io 
avessi  presa  una  vostra  leggereeza  per  una  ferma  risoluzione ,  che 

avessi  precipitato  la  cosa,  che  avessi che  so  io?ln  questo  caso,  mi 

troverei  nella  necessità  di  scef^iere  tra  due  partiti  dolorosi:  o  lasciar 
che  il  mondo  formi  mi  tristo  concetto  ddla  mia  condotta:  partilo  che 
non  può  stare  assolutamente  con  ciò  che  devo  a  me  stesso.  0  sve- 
lare il  vero  motivo  della  vostra  risoluzitme  e . . . .  «  Ma  qui,  vedendo 
che  Gertrude  era  diventala  scarlatta ,  che  le  si  gonfiavan  gli  occhi , 
e  il  viso  si  contraeva,  come  le  figlie  d'un  flore,  nell'afa  che  precede 
la  burrasca,  troncò  quel  discorso,  e,  con  aria  serena,  riprese  :  "  via, 
via,  tutto  dipende  da  voi,  dal  vostra  giudizio.  So  che  n'avete  molto, 
e  non  siete  ragazza  da  guastar  sulla  fine  una  cosa  falla  bene;  ma  io 
doveva  preveder  tutti  i  casi.  Non  se  ne  parli  più  ;  e  restiam  d' ac- 
cordo che  voi  risponderete  con  franchezza,  in  maniera  di  non  far  na- 
scer dubbi  nella  testa  di  quel!*  uomo  dabbene.  Cosi  anche  voi  ne  sa- 
rete fuori  più  presto.  »  E  qui ,  dopo  aver  suggerita  qualche  risposta 
all' inteiTOgazioni  più  probabili,  entrò  nel  solito  discorso  delle  dolcezze 
e  de'  godimenli  eh'  eran  preparali  a  Gertrude  nel  monastero  ;  e  la 
trattenne  in  quello,  fin  ehe  venne  un  servitore  ad  annunziare  il  vica- 
rio, n  principe  rinnovò  in  fretta  gli  avvertimenti  più  importanti,  o 
lasciò  la  figlia  sola  con  lui ,  com'  era  prescritto. 

L'  uomo  dabbene  veniva  con  un  po'  d' opinione  già  fatta  che  Ger- 
bude  avesse  una  gran  vocazione  al  chiostro  :  perchè  così  01  aveva 
detto  il  principe,  quando  era  stato  a  invitarlo.  È  vero  che  il  buon 
prete,  il  quale  sapeva  che  la  diffidenza  era  una  delle  virtù  più  nece»> 
sane  nel  suo  uflzio ,  aveva  per  massima  d' andar  adagio  nel  credere 
a  simili  proteste,  e  di  stare  in  guardia  contro  le  preoccupazioni;  ma 
beo  di  rado  avviene  che  le  parole  affermative  e  sicure  d'una  persona 
autorevole ,  in  qualsivoglia  genere ,  non  tingano  del  loro  colore  la 
mente  di  chi  le  ascolta. 

Dopo  i  primi  complimenti,  «  signorina,  »  le  disse,  "  io  vengo  a 
far  la  parte  del  diavolo;  vengo  a  mettere  in  dubbio  ciò  che,  nella  sna 


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1  pnoiiEssi  SPOSI 


I 


supplica  lei  tia  dalo  per  cerio;  vengo  a  metterle  davanti  agli  ocelli  le 
difficoltà,  e  ad  accOTtarmi  se  le  ha  ben  considerate.  Si  c(mtenti  eh'  io 
le  faccia  qualche  interrogazione,  n  | 

«  Dica  pure ,  "  rispose  Gertrude.  | 

Il  buon  prete  comincila  allora  a  internarla,  nella  forma  prescrìtta  ' 
dalle  regole.  "  Sente  lei  in  cuor  suo  una  libera ,  spontanea  ris^du-  ! 
zione  di  farsi  monaca  ?  Non  sono  state  adoperale  minacce ,  o  lusin- 
ghe ?  Non  s*  è  fallo  uso  dì  nessuna  autorità ,  per  indurla  a  questo  ?  1 
Parli  senza  riguardi ,  e  con  sincerità ,  a  un  uomo  il  cui  dovere  è  di  i 
conoscere  la  sua  vera  vtdontà ,  per  impedire  die  non  le  v^ga  usala  | 
violenza  in  nessun  modo.  »  1 

La  vera  risposta  a  una  tale  domanda  s'  affacciò  subilo  alla  mente 
di  Gertrude,  con  un'  evidenza  terribile.  Per  dare  quella  risposta ,  bi- 
sognava venire  a  una  spiegazione ,  dire  di  che  era  stata  minacciala ,      i 

raccontare  una  storia L'infelice  rìfi^gi  spaventata  da  questa  idea;     ; 

cercò  in  fretta  un'  altra  risposta  ;  ne  trovò  una  sola  che  potesse  libe- 
rarla presto  e  sicuramente  da  quel  supplizio,  la  più  contraria  al  vero. 
u  Mi  fo  monaca,  »  disse,  nascondendo  il  suo  turbamento,  «  mi  fo 
monaca,  di  mio  genio,  lìberamente,  n 


-  Da  quanto  temi»  '^^  "*'»  «xl»'»  iwnsiero?  -  domandò  ancora 
il  buon  prete. 


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«L'ho  sempre  avuto,  »  rispose  Gertrude,  divenula,  dopo  quel 
primo  passo,  più  franca  a  mentire  contro  sé  stessa. 

"  Ma  quale  è  II  motivo  prineipale  die  la  induce  a  farsi  monaca?  » 

Il  buon  prete  non  sapeva  che  terribile  tasto  toccasse  ;  e  Gertrude 
si  fece  una  gran  forza  per  non  lasciar  trasparire  sul  viso  l'effetto  die 
quelle  parole  le  producevano  nell'animo.  ".Il  motivo,  »  disse,  «  è  di 
servire  a  Dio,  e  di  fuggire  ì  pericoli  del  mondo,  t 

"  Non  sarebbe  mai  qualche  disgusto  ?  qualche mi  scusi 

capriccio?  Alle  volte ,  una  cagione  momentanea  può  fare  un'  impres- 
sione che  par  che  deva  durar  sempre;  e  quando  poi  la  cagione  cessa, 
e  l'animo  si  mula ,  allora » 

"  No ,  no ,  »  rispose  precipitosaniente  Gertrude  :  «  la  cagiope  è 
quella  che  le  ho  detto.  » 

U  vicario ,  più  per  adempire  interamente  il  suo  obbligo ,  che  per 
la  persuasione  che  ce  ne  fosse  bisogno,  insistette  con  le  domande;  ma 
Gertrude  era  determinata  d' ingannarlo.  Oltre  il  ribrezzo  che  le  ca- 
gionava il  pensiero  di  render  consapevole  della  sua  debolezza  quel 
grave  e  dabben  prete ,  che  pareva  così  lontano  dal  sospettar  tal  cosa 
iti  lei  ;  la  poverella  pensava  poi  anche  eh'  egli  poteva  bene  impedire 
che  si  dicesse  monaca  ;  ma  li  flniva  la  sua  autorità  sopra  di  lei ,  e  la 
sua  protezione.  Parlilo  che  fosse ,  essa  rimarrebbe  sola  col  prin- 
cipe. E  qualunque  cosa  avesse  poi  a  patire  in  quella  casa ,  il  buon 
prete  non  n'  avrebbe  saputo  nulla ,  o  sapendolo ,  con  tutta  la  sua 
buona  intenzione,  non  avrebbe  potuto  (ar  altro  che  aver  compassione 
di  lei,  quella  compassione  tranquilla  e  misurata,  che  ,  in  generale, 
s'accorda,  come  per  cortesia,  a  dii  abbia  dato  cagione  o  pretesto  al 
male  che  gli  hnno.  L'  esaminatore  fu  prima  stanco  d' interrogare,  che 
la  sventurata  di  mentire:  e,  sentendo- quelle  risposte  sempre  conformi, 
e  non  avendo  ateun  motivo  di  dubitare  della  loro  schiettezza,  mutò 
Analmente  linguaggio;  si  rallegrò  con  lei,  le  chiese,  in  certo  modo, 
scusa  d'aver  tardato  tanto  a  far  questo  suo  dovere;  aggimise  ciò  che 
credeva  più  atto  a  confermarla  nel  buon  proposito;  e  si  licenziò. 

Attraversando  le  sale  per  uscire,  s'abbattè  nel  prìncipe,  il  quale 
pareva  che  passasse  di  là  a  caso  ;  e  con  lui  pure  si  congratulò  delle 
buone  disposizioni  in  cui  aveva  trovata  la  sua  figliuola.  U  prìncipe 
era  stato  fhio  allora  in  una  sospensione  molto  penosa  :  a  quella  no- 
tizia, respirò,  e  dimenlicimdo  la  sua  gravità  consueta,  andò  quasi  di 
corsa  da  Gertrude ,  la  ricobnò  di  lodi ,  di  carezze  e  di  promesse  » 


Digitizf^riiiyGoOgle 


I  PROMESSI   SPOSI 


con  un  giubilo  cordiale ,  con  una  tenerezza  in  gran  parie  sincera  : 
cosi  fatto  è  questo  guazzabuglio  del  cuore  umano. 


Noi  non  seguiremo  Gertrude  in  quel  giro  continuato  di  spettacoli 
e  di  divertimenti.  E  neppure  descriveremo,  in  particolare  e  per  or- 
dine, i  sentimenti  dell'  animo  suo  in  lutto  quel  tempo:  sarebbe  una 
storia  di  dolori  e  dì  fluttuazioni ,  troppo  monotona ,  e  troppo  somi- 
gliante alle  cose  già  dette.  L' amenità  de'  luoghi ,  la  varietà  degli  og- 
getti, quello  svago  che  pur  trovava  nello  scorrere  in  qua  e  in  là  al- 
l' aria  aperta ,  le  rendevan  più  odiosa  l' idea  del  luogo  dove  alla  fine 
si  smonterebbe  per  1'  ultima  volta,  per  sempre.  Più  pungenti  ancora 
eran  l' impressioni  che  riceveva  ndle  conversazioni  e  nelle  feste.  La 
vista  delle  spose  alle  quali  si  dava  questo  titolo  nel  senso  più  ovvio  e 
più  usilalo ,  le  cagionava  un'  invidia ,  un  rodimento  intollerabile  ;  e 
talvolta  l'aspetto  di  qualche  altro  personaggio  le  faceva  parere  che,  nel 
sentirsi  dare  quel  titolo,  dovesse  trovarsi  il  colmo  d'ogni  felicità.  Tal- 
volta la  pompa  de' palazzi,  lo  splendore  degli  addobbi,  il  brulichio  e  il 
fracasso  giulivo  delle  feste,  le  comunicavano  un'ebbrezza,  un  ardor 
(ale  di  viver  lieto,  che  prometteva  a  sé  slessa  di  disdirsi,  di  soffrir 
tutto ,  piuttosto  che  tornare  all'  ombra  fredda  e  morta  del  chiostro. 


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Ma  tutte  quelle  rÌ9(duzionì  sTumavano  alla  considerazione  più  riposata 
delle  diflScoltà ,  al  solo  Bssar  gli  oeehi  io  viso  al  prìncipe.  Talvolta 
andie,  il  pensiero  di  dover  abbandonare  per  sempre  que'  godimenti , 
{^iene  rendeva  amaro  e  penoso  qud  piccol  saggio;  eome  l'infénnoas' 
sciato  guarda  eon  rabbia ,  e  quasi  rispinge  con  dispetto  il  cucchiaio 
d'acqua  che  il  medico  gli  concede  a  fatica.  Intanto  il  vicario  delle  mo- 
nache ebbe  rilasciala  l' attestazione  necessaria ,  e  venne  la  licenza  di 
lenere  il  capitolo  per  )'  accettazione  di  Gertrude.  Il  capitolo  si  tenne  ; 
«mcorsero,  com'era  da  aspettarsi,  i  due  terzi  de'voti  segreti  ch'eran 
ridiiesti  da'  regolamenti  ;  e  Gertrude  fu  accettata.  Lei  medesima , 
stanca  di  quel  lungo  strazio,  chiese  allora  d'entrar  più  presto  che  fos- 
se  possibile,  nel  monastero.  Non  c'era  sicuramente  chi  volesse  (renu% 
una  tale  impazienza.  Fu  dunque  fatta  la  sua  volontà  ;  e ,  condotta 
pomposamente  al  monastero,  vesti  l'aiuto.  Dopo  dodici  mesi  di  novi- 
ziato, pieni  di  pentimenti  e  di  rìpentimenti,  si  trovò  al  momento  della 
professione,  al  momento  cioè  in  cui  conveniva,  o  dire  un  no  più  stra- 
no ,  più  inaspettalo ,  più  scandaloso  che  mai ,  o  ripetere  un  si  tante 
volle  detto  ;  lo  ripetè,  e  fu  m<Hiaca  per  sempre. 

É  una  delle  bcoltà  singolari  e  incomunicabili  della  religione  cri- 
stiana, il  poter  indirizzare  e  consolare  chiunque,  in  qualsivoglia  con- 
giuntura, a  qualsivoglia  tennine ,  ricorra  ad  essa.  Se  al  passato  c'è 
rimedio ,  essa  Io  prescrive ,  lo  somministra ,  dà  lume  e  vigore  per 
metterlo  io  opera,  a  qualtuique  costo;  se  non  c'è,  essa  dà  il  modo  di 
lar  reabnente  e  in  elTetto,  ciò  che  si  dice  in  proverbio,  di  neces- 
sità virtù.  Insegna  a  continuare  con  sapienza  ciò  eh'  è  stato  intrapreso 
per  leggerezza  ;  piega  1'  animo  ad  abbracciar  con  propensione  ciò 
che  è  stato  imposto  dalla  prepotenza,  e  dà  a  una  scelta  che  fu  teme- 
raria, ma  che  è  irrevocabile,  tutta  la  santità,  tutta  la  saviezza,  di- 
ciìunolo  pur  francamente,  tutte  le  gioie  della  vocazione.  È  una  strada 
cosi  fatta  che,  da  qualunque  laberinto,  da  qualunque  precipizio,  l'uomo 
capiti  ad  essa ,  e  vi  faccia  un  passo ,  può  d'  allora  in  poi  camminare 
eoa  sicurezza  e  di  buona  voglia,  e  arrivar  lietamente  a  un  lieto  fine. 
Con  questo  mezzo,  Gertrude  avrebbe  potuto  essere  una  monaca  santa 
e  contenta,  comunque  lo  fosse  divenuta.  Ma  l' infelice  si  dibatteva  in 
vece  sotto  il  ffog/o,  e  cosi  ne  sentiva  più  forte  il  peso  e  le  scosse. 
Un  rammarico  incessante  della  libertà  perduta,  l' abborrimenlo  dello 
stato  presente,  un  vagar  faticoso  dietro  a  desidèri  che  non  sarebbero 
mai  soddisfatti,  tali  erano  le  principali  occupazioni  dell'animo  suo. 


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I  pnOMESSI  SPOSI 


Rimasticava  quel!'  amaro  passato,  ricomponeva  nella  memoria  (ulte  le 
circostanze  per  le  quali  sì  trovava  lì;  e  disfaceva  mille  volle  inulil- 
mente  col  pensiero  ciò  che  aveva  fatto  con  l'opera;  accusava  sé  di 
dappocaggine ,  altri  di  tirannia  e  di  perfìdia  ;  e  si  rodeva.  Idtdalrava 


insieme  e  piangeva  la  sua  bellezza,  deplorava  una  gioventù  destinata 
a  struggersi  in  un  lento  martirio ,  e  invidiava ,  in  certi  momenlj , 
qualunque  donna ,  in  qualunque  condizione ,  con  qualunque  eoscicn* 
za,  polesse  liberamente  godersi  nel  mondo  que'doni. 

La  vista  di  quelle  monache  che  avevan  tenuto  di  mano  a  liraria 
là  dentro ,  le  era  odiosa.  Si  ricordava  1'  arti  e  i  raggiri  che  avevan 
messi  in  opera,  e  le  pagava  con  tante  sgarbatezze,  con  tanti  dispetti, 
e  anche  con  aperti  rinfacciamcnti.  A  quelle  conveniva  le  più  volte 
mandar  giù  e  tacere  :  perchè  il  principe  aveva  ben  voluto  tiranneg- 
giar  la  figlia  quanto  era  necessario  per  ispingerla  al  chiostro  ;  ma  ot- 
tenuto r  intento ,  non  avrebt>e  così  facilmente  sofferto  cite  altri  pre- 
tendesse d' aver  ragione  contro  il  suo  sangue  :  e  ogni  po'  di  rumore 
che  avesser  fatto,  poteva  esser  cagione  di  far  loro  perdere  qudla  gran 
protezione,  o  cambiar  per  avventura  il  protettore  in  nemico.  Pare  che 
Gertrude  avrebbe  dovuto  sentire  una  eerta  propensione  per  l' altre 
suore,  che  non  avevano  avuto  parte  in  quegi'  intrighi,  e  che,  senza 
averla  desiderala  per  compagna,  l'amavano  come  tale;  e  pie,  occupate 
e  ilari,  le  mostravano  col  loro  esempio  come  anche  là  dentro  si  potesse 
non  solo  vivere,  ma  starci  bene.  Ma  querfte  pure  le  erano  odiose,  per 
un  altro  verso.  La  loro  aria  di  pietà  e  di  conlentezza  le  riusciva  come 
un  rimprovero  della  sua  inquietudine,  e  della  sua  condotta  bisbetica; 


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e  non  lasciava  sfuggire  occasione  di  deriderle  dietro  le  spalle,  come 
pinzochere ,  o  di  morderle  come  ipocrite.  Forse  sarebbe  stala  meno 
avversa  ad  esse,  se  avesse  sapulo  o  indovinalo  che  le  poche  palle 
nere,  trovale  nel  bossolo  che  decise  della  sua  accettazione,  c'erano 
ai^UDto  state  messe  da  quelle. 

Qualche  consolazione  le  pareva  talvolta  di  trovar  nel  comandare , 
neir esser  corteggiata  in  monastero,  nel  ricever  visite  di  complimento 
da  persone  di  fuori,  nello  spuntar  qualche  ibipegno,  nello  spendere 
la  sua  protezione ,  nel  sentirsi  chiamar  la  signora  ;  ma  quali  consola- 
zioni !  D  cuore,  trovandosene  cosi  poco  appagato ,  avrebbe  voluto  di 
quando  ìd  quando  aggiunger\-i ,  e  goder  con  esse  le  consolazioni  della 
religione;  ma  queste  non  vengono  se  non  a  chi  trascura  quell' altre  .- 
cwne  il  naufrago ,  se  vuole  afferrar  la  tavola  che  può  condurlo  in 
salvo  sulla  riva,  deve  pure  allargare  il  pugno,  e  abbandonar  l'alghe, 
che  aveva  prese,  per  una  rabbia  d' istinto. 

Poco  dopo  la  professione ,  Gertrude  era  stala  fatta  maestra  dell'  e- 
ducvide;  ora  pensate  come  dovevano  slare  quelle  giovinette,  sotto 
una  tal  disciplina.  Le  sue  antiche  confidenti  eran  tutte  uscite;  ma  lei 
serbava  vive  tutte  le  passioni  di  quel  tempo;  e,  in  un  modo  o  in  un 
altro,  l'allieve  dovevan  portarne  il  peso.  Quando  le  veniva  in  mente 
ebe  molle  di  loro  eran  destinate  a  vivere  in  quel  mondo  dal  quale  essa 
era  esdusa  per  sempre,  provava  contro  quelle  poverine  un  astio,  un 
desiderio  quasi  di  vendetta;  e  le  teneva  sotto,  le  bislrallava,  fticeva 


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3  10  I  PROMESSI  SPOSI 

loro  sccmlare  antìcipalamenle  i  piaceri  che  avrebbcr  goduti  un  giorno. 
Chi  avesse  sentito,  in  que'  momenti,  con  ebe  sdegno  magistnde  le  gri- 
dava, per  ogni  piccola  scappatella,  l'avrebbe  creduta  una  d(Hina  d'una 
spirilualilà  salvatica  e  indiscreta.  In  altri  momenti ,  lo  slesso  orrore 
per  il  chiostro,  per  la  regola,  per  l'ubbidienza,  scoppiava  in  aoeessi 
d'uinore  tulio  opposto.  Allora,  non  solo  sopportava  la  svagatezza  cla- 
morosa delle  sue  allieve,  ma  l'eccitava;  si  mischiava  ne' loro  giochi, 
e  li  rendeva  più  sregolati;  entrava  a  parte  de' loro  discorsi,  e  li  ^io' 
geva  più  in  là  dell'  intenzioni  con  le  quali  esse  gli  avevano  inoomìn- 
dati.  Se  qualcheduna  diceva  una  parola  sul  cicalio  della  madre  bades- 
sa, la  maestra  lo  imitava  Imigamente,  e  ne  faceva  una  scena  di  com- 
media ;  contraffaceva  il  volto  d'  una  monaca ,  I'  andatura  d'  un'  altra  : 
rideva  allora  sgangheratamente  ;  ma  eran  risa  che  noa  la  lasciavano 
più  allegra  di  prima.  Così  era  vissuta  alcuni  anni ,  non  avendo  co- 
modo ,  né  occasione  dì  far  di  più  ;  quando  la  sua  disgrazia  volle  che 
un'  occasione  si  presentasse. 

Tra  r  altre  distinzioni  e  privilegi  che  le  erano  stali  concessi , 
per  compensarla  di  non  poter  esser  badessa,  c'era  anche  qudlo  di 
slare  in  un  quartiere  a  parie.  Quel  iato  del  monastero  era  contiguo 
a  una  casa  abitata  da  un  {Rovine ,  scdln^to  di  .'professione ,  uno  de' 
tanti,  che,  in  que' tempi,  e  co'  loro  sgherri,  è  con  l'alleanze  d'altri 
scellerati ,  potevano ,  lino  a  un  certo  segno ,  rid«^i  della  forza  pub- 
blica e  delle  leggi.  U  nostro  manoscritto  lo  nomina  Egidio,  senza  par-  ' 
lar  del  casato.  Costui ,  da  una  sua  flnestrìna  che  dominava  un  corti- 
letto di  quel  quartiere,  avendo  veduta  Gertrude  qualche  volta  passare 
o  girandolar  lì,  per  ozio,  allettalo  anzi  che  atterrito  dai  pericoli  e  dal- 
l' empietà  dell'  impresa,  un  giorno  osò  rivolgerle  il  discorso.  La  svffl- 
lurata  rispose. 

In  que'  primi  momenti ,  provò  una  contentezza ,  non  schietta  al 
eerto,  ma  viva.  Nel  vóto  uggioso  dell'animo  suo  s'era  venuta  a  in- 
fondere un'occupazione  forte,  continua  e,  direi  qua»,  una  vita  po- 
lente ;  ma  quella  contentezza  era  simile  alla  bevanda  ristorativa  cèe 
la  crudeltà  ingegnosa  degli  antichi  mesceva  al  condannato,  per  dai^i 
forza  a  sostenere  i  tormenti.  Sì  videro,  nello  stesso  tempo,  di  gran  no- 
vità in  tutta  la  sua  condotta:  divenne,  tuli'  a  un  tratto,  più  regolare, 
più  tranquilla,  smesse  gli  schemi  e  il  brontolio,  si  mostra  anzi  ca- 
rezzevole e  mani^'osa ,  dimodoché  le  suore  »  rallegravano  a  vicenda 
dd  cambiamento  felice  ;  lontane  eom'  erano  dall'  immaginarne  il  vero 


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CAPITOLO   X.  SII 

HWtivo,  e  dal  comprendere  che  quella  nuova  virlù  non  era  altro  cUe 
ipocrisìa  agf^unla  all'  antiche  magagne.  Queir  apparenza  perù,  quella , 
per  dir  così,  imbiancatura  esteriore,  non  durò  gran  tempo,  almeno  con 
quella  continuità  e  uguaglianza:  ben  presto  tornarono  in  campo  i  so- 
lili dispetti  e  i  soliti  capricci,  tornarono  a  farsi  sentire  l' imprecazioni 
e  gli  scherni  contro  la  prigione  claustrale,  e  talvolta  espressi  in  un  lin- 
guaggio insolito  in  quel  luogo,  e  anche  in  quella  bocca.  Però,  ad  t^nuna 
di  queste  scappate  veniva  dietro  un  pentimento,  una  gran  cura  di  farle 
dimenticare,  a  forza  di  moine  e  buone  parole.  Le  suore  sopportavano 
alla  meglio  tutti  questi  alt'  e  bassi,  e  gli  attribuivano  all'  indole  bisbe- 
tica e  leggiera  della  signora. 

Per  qualche  tempo,  non  parve  che  nessuna  pensasse  più  in  là;  nia 
un  giorno  che  la  signora,  venuta  a  parole  con  una  conversa,  per  non 
so  che  pettegolezzo,  si  lasciò  andare  a  maltrattarla  fuor  di  modo,  e  non 
la  Qniva  più,  la  convei-sa,  dopo  aver  sofferto,  ed  essersi  morse  le  lab- 
bra un  pezzo,  scappatale  finalmente  la  pazienza,  buttò  là  una  parola, 
che  lei  sapeva  qualdie  cosa,  e  che,  a  tempo  e  luogo,  avrebbe  parlalo. 


Da  quel  momento  in  poi,  la  signora  non  ebbe  più  pace.  Non  passò  però 
mollo  tempo,  che  la  conversa  fu  aspettala  in  vano,  una  mattina,  a'  suoi 


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SIS  1  PR0UES8I  SPOSI 

ulìzi  raosueti:  si  va  a  veder  nella  sua  cella,  e  non  si  (rova:  è  chia- 
mala ad  alta  voce;  non  risponde:  cerca  dì  qua,  CCTCa  dì  là,  gira  e 
rigira,  dalla  cinta  al  fondo;  non  c'è  in  nessun  luogo.  E  ehi  sa  quali 
congetture  si  sarebber  falle,  se,  appunto  nel  cercare,  non  si  fosse  sco- 
perto una  buca  nel  muro  dell'  orto;  la  qual  cosa  fece  pensare  a  tulle, 
che  fosse  sfrattata  di  là.  Si  fecero  gran  ricerche  in  Monza  e  ne'  con- 
torni^e  principalmente  a  Meda,  di  dov'era  qudla  conversa;  sì  sarìsse 
in  ^'a^ie  parti:  non  se  n'dbbe  mai  la  più  piccola  notizia.  Forse  se  ne 
sarebbe  potuto  saper  di  più,  se,  in  vece  di  cercar  lontano,  sì  fosse 
scavalo  vicino.  Dopo  molte  maraviglie,  perchè  nessuno  l'avrebbe  cre- 
duta capace  di  ciò,  e  dopo  molti  discorsi,  si  concluse  che  doveva  es- 
sere andata  lontano,  lontano.  E  perché  scappò  dello  a  una  suora:  «  s' è 
rifugiata  in  [Olanda  di  sicuro,  »  si  disse  subito,  e  si  ritenne  per  un 
pezzo,  nel  monastero  e  fuori ,  che  si  fosse  rifugiala  in  Olanda.  Non 
pare  però  che  la  signora  fosse  di  questo  parere.  Non  già  die  nu>- 
strasse  di  non  credere,  o  combattesse  l'opinion  comune,  con  sue  ra- 
gioni particolari:  se  ne  aveva,  cerio,  ragioni  non  furono  mai  cosi  ben 
dissimulale;  né  e'  era  cosa  da  cui  s'  astenesse  più  volentieri  che  da 
rimestar  quella  storia,  cosa  di  cui  si  cwasse  meno  che  di  toccare  il 
fondo  di  quel  mistero.  Ma  quanto  meno  ne  parlava,  tanto  più  ci  pen- 
sava. Quante  volte  al  giorno  l' immagine  di  quella  donna  veniva  a  cac- 
ciarsi d'improvviso  nella  sua  mente,  e  si  piantava  li,  e  non  voleva 
moversi!  Quante  volle  avrebbe  desiderato  di  vedersela  dinanzi  viva  e 
reale,  piuttoslo  che  averta  sempre  fissa  nel  pensiero,  piuttosto  che  do- 
ver trovarsi,  giorno  e  notte,  ìn  compagnia  di  quella  forma  vana,  terri- 
bile, impassibile  !  Quante  ^'olte  avrebbe  voluto  sentir  davvero  la  voce 
di  colei,  qualunque  cosa  avesse  potuto  minacciare,  piuttosto  che  aver 
sempre  neir  intimo  dell'orecchio  mentale  il  susurro  fantastico  di  quella 
stessa  voce,  e  sentirne  parole  ripetute  con  una  pertinacia,  con  un'in- 
sistenza infaticabile,  che  nessuna  persona  vivente  non  ebbe  mai  ! 

Era  scorso  circa  un  anno  dopo  quel  fatto,  quando  Lucia  fu  pre- 
sentala alla  signora,  ed  ebbe  con  lei  quel  ciriloquio  al  quale  siam  ri- 
masti col  racconto.  La  signora  moltiplicava  le  domande  intomo  alla 
persecuzione  di  don  Rodrigo,  e  entrava  in  certi  particolari ,  con  una 
intrepidezza,  che  riusci  e  doveva  riuscire  più  che  nuova  a  Lucia, 
la  quale  non  aveva  mai  pensato  che  la  curiosità  delle  monaclkc  po- 
tesse esercitarsi  intorno  a  simili  argomenti.  I  giudizi  poi  che  quella 
frammischiava  all' interrogazioni ,  o  che  lasciava  trasparire,  non  eran 


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CAPITOLO  X.  SII 

meno  strani.  Pareva  quasi  che  ridesse  del  gran  ribrezzo  che  Lucìa 
aveva  sempre  avuto  dì  quel  signore,  e  domandava  se  era  un  mostro, 
da  far  lanla  paura  :  pareva  quasi  che  avrebbe  trovato  irragionevole  e 
sciocca  la  ritrosia  della  giovine ,  se  non  avesse  avuto  per  ragione  la 
preferenza  data  a  Renzo.  E  su  questo  pure  s'  avanzava  a  domande, 
che  Tacevano  stupire  e  arrossire  l'interrogata.  Avvedendosi  poi  d'aver 
troppo  lasciala  correr  la  lingua  dietro  agli  svagamenti  del  cervello , 
cercò  di  corrèggere  e  d' Interpretare  in  meglio  qudle  sue  ciarle  ;  ma 
non  potè  fere  che  a  Lucia  n<m  ne  rimanesse  uno  stupore  dispiace- 
vi^, e  come  un  confuso  spavento.  E  appena  potè  trovarsi  sola  con 
la  madre ,  se  n'  apri  con  lei  ;  ma  Agnese ,  come  più  esperta ,  sciolse, 
con  poche  parole,  tutti  que'  dubbi,  e  spiegò  tutto  il  mistero.  <•  Non  le 
ne  far  mara^ig^ia,  "  disse:  u  quando  avrai  conosciuto  il  mondo  quanto 
me,  vedrai  che  non  son  cose  da  farsene  maraviglia.  1  signori,  chi  pili, 
chi  meno ,  chi  per  un  verso ,  chi  per  un  altro ,  ban  tutti  un  po'  del 
mallo.  Convien  lasciarti  dire,  principalmente  quando  s' ha  bisogno  di 
loro;  far  vista  d'ascollarìi  sul  serio,  come  se  dicessero  delle  cose  giu- 
ste. Hai  sentilo  come  m'ha  dato  sulla  voce,  come  se  avessi  detto  qual- 
che gran  sproposito?  Io  non  me  ne  son  fetta  caso  punto.  Son  lutti  cosi. 


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114  I  PROMESSI  SPOSI 

E  con  lutto  ciò,  sia  ringraziato  il  cielo,  cbe  pare  cbe  questa  signora 
t'  aU)ia  preso  a  beo  volere ,  e  voglia  proteggerci  davvero.  Del  resto , 
se  camperai ,  figliuola  mia ,  e  se  t'  accaderà  ancora  d' aver  die  fare 
con  de'  signori ,  ne  sentirai,  ne  sentirai ,  ne  sentirai.  » 

Il  desiderio  d' obbligare  il  padre  guardiano,  la  compiacenza  di  prò- 
te^re ,  il  pensiero  del  buon  concetto  cbe  poteva  (ruttare  la  prole* 
zione  impiegala  cosi  santamente ,  una  certa  inclinazione  per  Lucia,  e 
anche  un  ch'Io  si^ievo  nel  far  dei  bene  a  una  creatura  innocente,  nel 
soccorrere  e  consolare  oppressi,  avevan  realmente  disposta  la  signora 
a  prendersi  a  petto  la  sorte  delle  due  povere  fuf^tive.  A  sua  richie- 
sta], e  a  suo  riguardo,  furono  alloggiate  nel  quartiere  della  fattoressa 
attiguo  al  chiostro ,  e  trattale  come  se  fossero  addette  ti  servizio  dd 
monastero.  La  madre  e  la  fij^ia  si  rallegravano  insieme  d' aver  tro- 
vato cosi  presto  un  asilo  sicuro  e  onorato.  Avrebber  anche  avuto 
nuÀUt  piacere  di  rimanervi  ignorate  da  ogni  persona;  ma  la  cosa  non 
era  facile  in  un  monastero  :  tantn  più  che  e'  era  un  uomo  troppo  pre- 
mun^o  d'  aver  notizie  d'  una  di  loro  ,  e  nel!'  animo  del  quale  ,  alla 
passione  e  alla  picca  di  prima  s'era  aggiunta  anche  la  stizza  d'essere 
stalo  prevenuto  e  deluso.  E  noi,  lasciando  le  donne  nel  loro  ricovero, 
torneremo  al  palazzotto  di  costui ,  neH*  ora  in  cui  slava  altendendo 
l'esito  della  sua  scellerata  spedizione. 


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le   un    branco  di  segugi , 
dopo   aver   inseguita   in- 
vano  una.lepre,  tornano 
inortiiìcali  verso  il  padro- 
ne, eo'  musi  bassi,  e  con  le 
code  ciondoloni ,  così ,  in 
quella  scompigliata  notte, 
tornavano  i  bravi  al  pa- 
lazzotto di   don  Rodrigo. 
Egli  camminava  innanzi  e 
indietro,  al  buio,  per  una 
stanzaccia  disabitata  dell'ultimo  piano,  che  rispondeva  sulla  spianata. 
Ogni  tanto  si  fermava  ,  tendeva   l' orecchio ,  guardava  dalle  fessure 
dell'  imposte   intarlate ,  pieno  à'  impazienza  e  non  privo  d'  inquie- 
tudine ,  non  solo    per  l' incertezza  della  riuscita ,   ma    anebe   per   le 
cons^^enzc  possibili  ;  perchè  era  la  più  grossa  e  la  più  arrischiata  a 
cui  il  brav'  uomo  avesse  ancor  messo  mano.  S' andava  però  rassicu- 
rando col  pensiero  delle  precauzioni  prese  per  distrugger  gì'  indizi,  se 


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9lt)  I  PROUESSI  SPOSI 

non  i  sospelli  —  In  quanto  ai  sospelti, — pensava — mene  rido.  Vor- 
rei un  po'  sapere  rhi  sarà  quel  voglioso  die  venga  quassii  a  vedo- 
se  c'è  0  non  .c'è  una  ragazza.  Venga,  venga  quel  tanghero,  die  sani 
ben  ricevuto.  Venga  il  frate,  venga.  La  vecchia?  Vada  a  Bergamo  la 
vecchia.  La  giustizia  ?  Poh  la  giustizia  !  U  podestà  non  è  un  ragazzo, 
né  un  malto.  E  a  Alilano  ?  Chi  si  cura  di  costoro  a  Milano  ?  Chi  gli 
darebbe  retta?  Chi  sa  che  ci  siano?  Son  come  gente  perduta  sulla 
ferra;  non  hanno  né  anche  un  padrone:  genie  di  nessuno.  Via,  via, 
niente  paura.  Come  rimarrà  Attilio,  domattina!  Vedrà,  vedrà  s'io  io 

ciarle  o  fatti.  E  poi se  mai  nascesse  qualche  imbroglio che 

so  io?  qualche  nemico  che  volesse  cogliere  quest'occasione, . . .  anche 
Attilio  saprà  consigliarmi  :  e'  è  impegnato  l' onore  di  tutto  il  paren- 
tado. — '  Ma  il  penderò  sul  quale  d  fermava  di  più,  perché  in  esso 
trovava  insieme  un  acquietamento  de' dubbi,  e  un  pascolo  alla  pas- 
sion  principale ,  era  il  pensiero  delle  lusinglie ,  delle  promesse  che 
adoprerebbe  per  abbonire  Lucia.  —  Avrà  tanta  paura  di  trovarsi 

qui  sola ,  in  mezzo  a  costoro ,  a  queste  facce ,  che il  viso  più 

umano  qui  son  io,  per  bacco. . .  che  dovrà  ricoirere  a  me,  toccherà 
a  lei  a  pregare  ;  e  se  prega ...  — 

Mentre  la  questi  bei  conti,  sente  un  calpestio,  va  alla  finestra,  apre 
un  poco,  fa  capolino;  son  loro.  —  E  la  bussola?  Diavolo!  dov'è  la 
biissola?Tre,  cinque,  otto:  ci  son  lutti;  c'è  anche  il  Griso;  la  bussola 
non  <r' è:  diavolo!  diavolo!  il  Griso  me  ne  renderà  conto.  — 


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CAPITOLO  XI.  -IIT 

Strati  che  furono,  il  Griso  posò  in  un  angolo  d'una  slunza  ler- 
rou  il  suo  bordone ,  posò  il  cappellaccio  e  il  sanrocchino ,  e ,  come 
richiedeva  la  sua  carica,  che  in  quel  momento  nessuno  gì'  invidiava, 
sdì  a  render  quel  conto  a  don  Rodrigo.  Questo  l' aspettava  in  cima 
alla  scala  ;  e  vistolo  apparire  con  quella  gofla  e  sguaiata  presenza  dd 
birtMne  deluso,  »  ebbene,  »  gli  disse,  o  gli  gridò:  "  signore  spac- 
cone, signor  capitano,  signor  laacifareatne?  n 

u  h'  è  dura,  n  rispose  il  Griso ,  restando  con  un  piede  sul  primo 
scalino,  »  l'è  dura  di  ricever  de*  rimproveri,  dopo  aver  lavorato 
fedeUnenle ,  e  cercato  dì  fare  il  proprio  dovere ,  e  arrischiata  anche 
la  pelle.  » 

<•  Com'è  andata?  Sentiremo,  sentiremo,  »  disse  don  Rodrigo,  e 
i^ avviò  verso  la  sua  camera ,  dove  il  Griso  lo  segui,  e  fece  subito  la 
relazione  di  ciò  che  aveva  disposto,  fatto,  veduto  e  non  veduto,  sen- 
tito, temuto,  riparato;  e  la  fece  con  quell'ordine  e  con  quella  confn- 
sione,  con  quella  dubbiezza  e  con  quello  sbalordimento,  che  dovevano 
per  forza  regnare  insieme  nelle  sue  idee. 

«  Tu  non  bai  torto,  e  ti  sei  portato  bene,  »  disse  don  Rodrigo  : 
u  hai  fotto  qudlo  che  si  poteva;  ma....  ma,  ohe  sotto  questo  tetto 
ci  fosse  una  spia  !  Se  e'  è ,  se  lo  arrivo  a  scoprire ,  e  lo  scopriremo 
se  e'  è ,  te  raccomodo  io;  ti  so  dir  io,  Griso,  che  lo  concio  per  il  di 
delle  feste.  » 

«  Anche  a  me,  signore,  »  disse  il  Griso,  »  è  passato  per  la  mente 
un  tal  sospetto  :  e  se  fosse  vero,  se  s!  venisse  a  scoprire  un  birbone 
di  questa  sorte,  il  signor  padrone  Io  deve  metter  nelle  mie  mani.  Uno 
che  si  fosse  preso  il  diverlimenlo  di  farmi  passare  una  notte  come 
questa  !  toccherebbe  a  me  a  pagarlo.  Però,  da  varie  cose  ra'è  parso 
di  poter  rilevare  che  ci  dev'  essere  qualche  altro  intrigo,  die  per  ora 
non  si  può  capire.  Domani,  signore,  domani  se  ne  verrà  in  chiaro.  " 

"  Non  siete  stali  riconosciuti  almeno  ?  » 

Il  Griso  rispose  che  sperava  di  no  ;  e  la  conclusione  del  discorso 
fu  che  don  Rodrigo  gli  ordinò,  per  il  giorno  dopo.  Ire  cose  dte  colui 
avreUie  sapute  ben  pensare  anche  da  se.  Spedire  la  inaltiiia  presto 
due  nomini  a  fare  al  console  quella  lale  intimazione ,  che  fu  poi 
fatta ,  come  abbiam  veduto;  due  altri  al  casolare  a  far  la  ronda ,  per 
tenerne  lontano  ogni  ozioso  che  vi  capitasse ,  e  sottrarre  a  ogni 
sguardo  la  bussola  fino  alla  notte  prossfana,  in  cui  si  ntanderebl)e  a 
prenderia  ;  giacché  per  allora  non  conveniva  fare  altri  movimenti  da 


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iifl  I  rnoMEssi  SPOSI 

dar  50S|>el(o;  andar  |>oi  lai,  e  mandai'e  anche  altri,  de' più  distinvolti  e 
di  buona  (csla,  a  mescolarsi  con  la  gente,  per  scovar  qualcosa  intorno 
all'imbroglio  di  quella  notte.  Dati  tali  ordini,  don  Rodrigo  se  n'andò 
a  dormire,  e  ci  lasciò  andare  anche  il  Griso,  congedandolo  con  molte 
lodi,  dalle  quali  traspariva  evidentemente  l' intenzione  di  risarcirlo  de- 
gl'  improperi  prcciptiati  coi  quali  lo  aveva  accollo. 

Va  a  doriiiire,  povero  Griso,  che  tu  ne  de>'i  aver  bisi^^.  Povero 
Griso!  In  faccende  tulio  il  giorno,  in  faccende  mezza  la  noKc,  senza 
conlare  il  pericolo  di  cader  sodo  1'  unghie  de'  villani ,  o  di  buscarti 
una  taglia  per  rapto  di  donna  konetta,  per  giunta  di  quelle  ctie  hai 
già  addosso  ;  e  poi  esser  ricevuto  in  quella  maniera  !  Ma  !  cosi  pagano 
spesso  gli  uomini.  Tu  hai  però  potuto  vedere,  in  questa  circostanza,  che 
qualdie  volta  la  giustizia,  se  non  arriva  alla  prima,  arriva,  o  presto  o 
lardi  anche  in  questo  mondo.  Va  a  doraiire  per  ora  :  ohe  un  giorno 
avrai  forse  a  somministrarcene  un'altra  prova,  e  più  notabile  di  questa. 

La  mattina  seguente,  il  Griso  era  fuori  di  nuovo  in  (accende , 
quando  don  Rodrigo  s'aitò.  Questo  cercò  subito  del  conte  Allilio,  il 
quale,  vetlcndolo  spuntare,  foce  un  viso  e  un  atto  canzonatorio,  egli 
gridò  :  "  san  Mari  ino  !  >- 


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CAPITOLO   \I.  Sto 

u  NoD  SU  cosa  vi  dire,  "  rispose  don  Rotkigo,  airi^aiidogli  ae- 
i^iU)  :  "  ])agherò  la  scommessa  ;  ma  non  è  questo  quel  clic  più  ini 
scolla.  Non  v'  avevo  dello  nulla,  perchè,  lo  confesso,  pensavo  di  farvi 
l'iflianere  s(aniaU»ia.  Ma....  basta,  ora  vi  racconlerò  tutto. 

u  Ci  Ita  messo  uno  zampino  quel  frate  in  quest'  affare,  "  disse  il 
cm;Ìno ,  dopo  aver  sentito  lutto ,  con  più  serietà  clie  non  si  sa- 
r^be  aspedalo  da  un  cervello  cosi  balzano.  «  Quel  frale,  n  conti- 
nuò ,  u  con  quel  suo  fare  di  galla  morta ,  e  con  qudle  sue  proposi- 
zioni sciocche,  io  l' bo  ]H:r  un  dirittone,  e  |)cr  un  impiccione.  E  voi 
Doo  vi  siete  fidalo  di  me,  non  ni'a\'ete  mai  dello  eliiaro  cosa  sia  ve- 
nuto qui  a  impastocchiarvi  1'  altro  giorno.  »  Don  Rodrigo  riferì  il 
dialogò.  «  E  voi  avete  avuto  lanla  soflerenza?  »  esclamò  il  conte  At- 
tilio: «  e  l'avete  lasciato  andare  com'era  venuto?  » 

«  Gbe  volevate  ch'io  mi  tirassi  addosso  tulli  i  cappuccini  d'Ita- 
lia? ^ 

u  Non  so,  ri  disse  il  eonle  Allilio,  u  se,  in  quel  momento,  mi  saR'i 
rieordato  che  ci  fossero  al  mondo  altri  ca]>puccini  che  quel  teuierai'io 
birbante;  ma  via,  anelie  nelle  regole  della  ))rudenza,  manca  la  ma- 
niera di  prendersi  soddisfazione  anche  d'  un  cappuccino?  Bisogna  sa- 
per raddoppiare  a  tempo  le  gentilezze  a  tulio  il  corpo ,  e  allora  si 
può  impunemente  dare  un  carico  di  bastonale  a  un  membro.  Basta  ; 
ba  scansalo  la  punizione  che  gli  slava  più  bene;  ma  lo  prendo  io  solto 
la  mia  prolezione,  e  voglio  aver  la  consolazione  d'insegnargli  come  si 
parla  co'  pari  nostri.  " 

"  Non  mi  tale  peggio,  n 

^  Fidatevi  una  volta ,  che  ^i  servirò  da  parente  e  da  amico.  » 

"  Cosa  pensate  di  lare  ?  » 

u  Non  Io  so  ancora  ;  ma  lo  servirò  io  di  sicuro  il  frate.  Gì  pense- 
rò, e..,,  il  signor  ooale  zio  del  Consilio  spreto  e  lui  che  mi  deve 
lare  il  servizio.  Caro  signor  conte  zio!  Quanto  mi  diverto  ogni  vtdta 
che  lo  posso  far  lavorare  per  me,  un  politicone  di  quel  calibro!  Do- 
man  l'idtro  sarò  a  Milano,  e,  in  una  maniera  o  in  un'altra,  il  frate 
sarà  servito.  « 

Venne  intanlo  la  colazione ,  la  quale  non  interruppe  il  discorso 
d*  un  aflare  di  quell'importanza.  Il  conte  Attilio  ne  parlava  con  disii:- 
vullura;  e,  sebbene  ci  prendesse  quella  irarte  che  richiedeva  la  sua 
amicizia  per  il  cugino,  e  l'onore  del  nome  eomimc,  secondo  le  idee 
che  aveva  d'amicizia  e  d'onore,  pure  ugni  latito  non  |ioleva  tenersi 


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tso  <  PROIIF^I  SPOSI 

di  non  rider  sotto  i  baffi,  di  quella  bella  riuscita.  Ma  don  Rodrigo, 
ch'era  in  causa  propria,  e  che,  credendo  di  far  quietamente  un  gr»i 
colpo,  gji  er»  andato  fallito  con  fracasso,  era  agitato  da  passioni  più 
gravi,  e  distratto  da  pensieri  più  fastidiosi.  «  Di  belle  ciarle,  «  di- 
ceva, u  faranno  questi  mascalzoni,  in  lutto  il  contorno.  Ma  che  m'im- 
porta? Inquanto  alla  giustizia,  me  ne  rido:  prove  non  ce  n'è;  quando 
ce  ne  fosse,  me  ne  riderei  ugualmente  :  a  buon  confo,  ho  fallo  sta- 
mattina avvertire  il  console  che  guardi  bene  di  non  far  deposizione 
dell' avvenuto.  Non  ne  Bruirebbe  nulla;  ma  le  ciarle,  quando  vanno 
in  lungo,  mi  seccano.  É  anche  troppo  ch'io  sia  stato  burlalo  cosi 
l)arìl)aramenle.  *> 

«  Avete  tatto  benissimo ,  »  rispondeva  il  conte  Attilio.  «  Codesto 
vostro  podestà ....  gran  caparbio,  gran  testa  vola,  gran  seccatore  d*  un 
podestà ....  è  poi  un  galantuòmo ,  un  nomo  che  sa  il  suo  dovere  ;  e 
appunto  quando  s'  ha  che  fare  con  persone  lalì ,  bisogna  aver  phì  ri- 
guardo di  non  mellerle  in  impicci.  Se  un  mascalzone  di  console  la 
una  deposizione ,  il  podestà .  per  quanto  sia  ben  intenzionato ,  biso- 
gna pure  che. ..." 

"  Ma  voi,  »  interruppe,  con  un  po' di  stizza,  don  Rodrigo,  «  voi 
guastale  le  mie  faccende,  con  qud  vostro  conlraddii^li  in  tutto,  e  dar> 
gli  sulla  voce,  e  canzonarlo  anche,  all' occorrenza.  Che  diavolo,  che  un 
)M)destà  non  po^a  esser  bestia  e  ostinato ,  quando  nel  rimanente  è 
un  galantuomo!  " 

1  Sapete,  cugino,  »  disse  guardandolo,  maravigliato,  il  conte  At- 
tilio, u  sapete,  che  comincio  a  credere  che  abbiate  un  po' di  paura? 
Mi  prendete  sul  serio  anche  il  podestà » 

"  Vìa  via,  non  avete  detto  voi  stesso  che  bisogna  tenerlo  di  conto?» 

"  L'ho  dettò:  e  quando  si  traila  d'  un  aflare  serio,  vi  farò  vedere 
che  non  sono  un  ragazzo.  Sapete  cosa  mi  basta  I'  animo  di  far  per 
voi  ?  Son  uomo  da  andare  in  persona  a  far  visita  al  signor  podestà. 
Ah!  sarà  contento  ddl' onore?  E  son  uomo  da  lasciarìo  parlare  per 
mezz'ora  del  conte  duca,  e  del  nostro  signor  castellano  spagnolo,  e 
da  dargli  ragione  in  tutto ,  anche  quando  ne  dirà  di  quelle  cosi  mas- 
sicce, butterà  poi  là  qualche  parolina  sul  conte  zio  del  Consiglio  se- 
greto: e  sapele  che  effetto  fanno  quelle  pancine  ndl'orecdiio  dd  si- 
gnor podestà.  Alla  fin  de' conti ,  ha  più  bisogno  lui  della  nostra  pro- 
tezione, che  voi  della  sua  condiscendenza.  Farò  di  buono,  e  ciande- 
rò,  e  ve  lo  lascerò  meglio  disposto  die  mai.  » 


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CAPITOLO  \l.  SII 

Dopo  quesle  e  allrc  simili  parole,  il  conte  Allìtio  usci,  per  andare 
a  caccia;  e  don  Rodrigo  stelle  aspettando  con  ansietà  il  ritorno  dei 
Griso.  Venne  costui  Gnalmenle,  sull'ora  del  desinare,  a  far  la  sua  re- 
lazione. 

Lo  scompiglio  dì  quella  notte  era  stalo  tanto  clamoroso,  la  spari- 
jionc  di  tre  persone  da  un  paesello  era  un  tal  avvenimento ,  clie  le 
ricerche,  e  per  premura  e  per  curiosità,  dovevano  naluralaicnte  esser 
molle  e  calde  e  insistenti;  e  dall'altra  parte,  gl'informati  di  qualche 
cosa  eran  troppi,  per  andar  tulli  d'  accordo  a  tacer  tulio.  Perpetua 
non  poteva  tarsi  veder  sull'  uscio,  clie  non  fosse  tempestata  da  quello 


e  da  quell'altro,  perche  dicesse  chi  era  stato  a  far  quella  gran  paura 
al  suo  padrone  :  e  Perpetua ,  ripensando  a  tulle  le  circostanze  del 
fatto,  e  raccapezzandosi  finalmente  ch'era  siala  infinocchiala  da  Agne- 
se,  sentiva  tanta  rabbia  di  quella  pcrlldia,  che  aveva  proprio  bisogno 
d"  un  po'  di  sfogo.  Non  già  che  andasse  lamentuidosi  col  terzo  e  col 
quarto  della  maniera  tenuta  per  infinocchiar  lei  :  su  questo  non  fia- 
tava; ma  it  tiro  fatto  al  suo  povero  padrone  non  lo  poteva  passare 
afblto  sotto  silenzio;  e  sopra  lutto,  che  un  tiro  (ale  fosse  slato  con- 
certalo e  tentato  da  quel  giovine  dabbme,  da  quella  buona  vedova, 
da  quella  madonnina  infilzata.  Don  Abbondio  poteva  ben  comandarle 
risdularoente ,  e  pregarla  cordialmente  che  stesse  zitta;  lei  poteva 


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ttS  I  PHUMESSI  SPOSI 

bciie  ripetergli  che  non  faceta  bisogno  dì  suggerirle  una  cosa  lanlo 
chiara  e  tanto  naturale;  certo  è  clic  un  cosi  gran  segreto  slava  nel  cuore 
della  povera  donna,  come,  in  una  bolle  vecchia  e  mal  cerchiala,  un 
vino  mollo  giovine,  che  grilla  e  gorgoglia  e  ribolle,  e,  se  non  manda 
il  tappo  per  aria,  gli  geme  all'  intorno ,  e  vien  fuori  in  ischiuma,  o 
trapela  tra  doga  e  doga ,  e  goectota  di  qua  e  di  là ,  tanto  che  uno 
può  assaggiarlo,  e  dire  a  un  di  presso  che  vino  è.  Gervaso,  a  cui  non  jia- 
reva  vera  d'essere  una  volta  più  informalo  degli  altri,  a  cui  non  i>a- 
rcva  piccola  (^oria  l'avere  avuta  una  gran  paura,  a  cui,  per  a\er 
tenuto  di  mano  a  una  cosa  che  puzzava  di  criminale ,  pareva  d' esser 
diventato  un  uomo  come  gli  alli'i,  crepava  di  voglia  di  vantarsene.  E 
quantunque  Tonio,  che  pensava  scriamcnle  all'  inquisizioni  e  ai  pro- 
cessi possibili  e  al  conto  da  rendere,  gli  comandiissc,  co'  pugni  sul  viso, 


di  non  dir  nulla  a  nessuno ,  pure  non  ci  fu  verso  di  soffogargli  in 
bocca  (^li  (KU-ola-Dcl  resto  Tonio,  anche  lui,doj>o  essere  slato  quella 
notte  fuor  di  casa  in  ora  insolita,  tornandovi,  con  un  passo  e  con  un 
sembiante  insolito ,  e  con  un'  agilazioii  d' animo  che  lo  disimneva 
alla  sincerità,  non  potè  dissimulare  il  fatto  a  sua  moglie;  la  quale  non 
era  mula.  Chi  parlò  meno,  fu  Menico;  perché,  appena  ebbe  raccon- 
tata ai  genitori  la  storia  e  il  moti\'o  della  sua  sp<^^lizionc ,  par\c  a 


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que4Ì  una  cosa  cosi  Ivrribìlo  che  un  loro  figliuolo  avesse  avuto  parie 
a  buttare  all'aria  un'impresa  di  don  Rodrigo,  die  quasi  quasi  non  la- 
sciaron  finire  al  ragazzo  il  suo  racconto.  Gii  Teccro  poi  subito  i  più 
Torti  e  minacciosi  comandi  che  guardasse  bene  di  non  far  neppure 


un  cenno  di  nulla:  e  la  mattina  seguènte,  non  parendo  loro  d'essersi 
abbastanza  assicurali,  risolvettero  di  tenerlo  chiuso  in  casa,  per  quel 
giorno,  e  per  qualche  atiro  ancora.  Ma  che?  essi  medesimi  poi,  chiac- 
chierando con  la  gente  del  paese,  e  senza  voler  mostrar  di  saperne 
più  dì  loro,  quando  si  veniva  a  quel  punto  oscuro  della  fuga  de' no- 
stri Ire  poverelli,  e  del  come,  e  del  perchè,  e  del  dove,  aggiunge- 
vano, come  cosa  conosciuta,  che  s'  eran  rifugiali  a  Pescarenico.  Cosi 
anche  questa  circostanza  entrò  ne'  discorsi  comuni. 

Con  tulli  questi  brani  di  notizie,  messi  poi  insieme  e  uniti  come 
s'usa,  e  con  la  frangia  che  ci  s'attacca  naturalmente  nel  cucire, 
c'era  da  fare  una  storia  d'una  certezza  e  d'una  chiarezza  tale,  da 
esserne  pago  ogni  intelletto  più  critico.  Ma  quella  invasion  de' bravi, 
accidente  troppo  grave  e  troppo  rumoroso  per  esser  lasciato  fuori , 
e  del  quale  nessuno  aveva  una  conoscenza  un  po'  positiva ,  quel- 
r  accidente  era  ciò  che  imbrogliava  tutta  la  storia.  Si  mormorava  il 
mnne  di  don  Rodrigo:  in  questo  andavan  tutti  d'accordo;  nel  resto 
tutto  era  oscurità  e  congetture  diverse.  Si  parlava  mollo  de'  due 
bravacci  ch'erano  stali  veduti  nella  strada,  sul  far  della  sera,  e  del- 
l'altro che  stava  sull'uscio  dell'osteria;  ma  che  lume  si  poteva  ri- 
cavare da  questo  fatto  cosi  asciutto?  Si  domandava  bene  all'oste  chi 


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114  I  PROMESSI  SPOSI 

era  slato  da  lui  la  sera  avanti;  raa  l'osle,  a  dargli  retta,  non  sì  ram- 
mentava neppure  se  avesse  veduto  gente  quella  sera;  e  badava  a  dire 
che  l'osteria  è  un  porto  di  mare.  So[Mtt  tutto,  confondeva  le  leste,  e 
disordinava  le  congcilure  quel  pellegrino  veduto  da  Stefano  e  da 
Carlandrea,  quel  pellegrino  ehe  ì  malandrini  volevano  ammazzare,  e 
che  se  n'era  andato  eon  loro, o  che  essi  avevan  portato  via.  Cos'era  ve- 
nuto a  fare?  Era  un'anima  del  purgatorio,  comparsa  per  aiutar  le 
donne;  era  un'anioia  dannata  d'un  pell^ino  biriiante  e  impostore, 
che  veniva  sempre  di  notte  a  unirsi  con  chi  facesse  di  quelle  che  lui 
aveva  fatte  vivendo  ;  era  un  pellegrino  vivo  e  vero ,  che  coloro  ave- 
van voluto  ammazzare ,  per  timor  che  gridasse ,  e  destasse  il  pae- 
se; era  (vedete  un  po'  cosa  si  va  a  pensare!)  uno  di  quegli  stessi  ma- 
landrini travestito  da  pellegrino;  era  questo,  era  quello,  era  tante 
cose  che  tutta  la  sagacità  e  l'esperienza  del  Griso  non  sarebbe  bastata 
a  scoprire  chi  fosse,  se  il  Griso  avesse  dovuto  rilevar  questa  parte 
della  sloria  da' discorsi  altrui.  Ma,  come  il  lettore  sa,  ciò  che  la  ren- 
deva imbrogliata  agli  altri,  era  appunto  il  piùcliiaro  per  lui:  serven* 
dosene  di  chiave  per  interpretare  le  altre  notizie  raccolte  da  lui  im- 
mediatamente, 0  col  mezzo  degli  esploratori  subordinali,  potè  di  tutto 
oompome  per  don  Rodrigo  una  relazione  bastantemente  distinta.  Si 
chiuse  subilo  con  lui,  e  l'informò  del  colpo  tentato  dai  poveri  spost,  il 
che  spiegava  naturalmente  la  casa  trovala  vota  e  il  sonare  a  martello, 
senza  che  facesse  bisogno  di  supporre  che  in  casa  ci  fosse  qualche  tra- 
ditore, come  dicevano  que'  due  galantuomini.  L' informò  della  fuga;  e 
anche  a  questa  era  facile  trovarci  le  sue  ragioni  :  il  timwe  d^li  sposi 
colti  in  fallo,  o  qualdie  avviso  dell'invasione,  dalo  loro  quand'era  sco- 
perta, e  il  paese  lutto  a  soqquadro.  Disse  finalmente  che  s'<»^n  rico- 
verali a  Pescarenico;  più  in  là  non  andava  la  sua  scienza.  Piacque  a 
don  Rodrigo  l'esser  cerio  che  nessuno  l'aveva  lradilo,e  il  vedere  che 
non  rimanevano  tracce  del  suo  fatto;  ma  fu  quella  una  rapida  e  leg- 
giera compiacenza.  "Fuggili  insieme!»  gridò:  «  insieme!  E  quel  frate 
birbante!  Quel  frate!  n  la  parola  gli  usciva  arranlolata  d^la  gola,  e 
smozzicata  tra' denti,  che  mordevano  il  dito:  ì)  suo  aspetto  era  brutto 
come  le  sue  passioni.  "  Quel  frale  me  la  paglierà.  Griso!  non  son  chi 

sono vf^io  sapere,  voglio  trovare....  questa  sera,  voglio  saper 

dove  sono.  Non  ho  pace.  A  Pescarenico,  subito,  a  sapere,  a  vedere,  a 
trovare  ....  Quattro  scudi  subilo,  e  la  mia  protezione  per  sempre. 
Questa  sera  lo  vo^io  sapere.  E  quel  birbone !  quel  frate !» 


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h  Grbo  di  nuovo  in  campo;  e,  la  sera  <li  quel  giorno  medesimo, 
polè  riporìare  al  suo  degno  padrone  la  notìzia  desiderata  :  ed  ecco 
in  qual  maniera. 

Una  delle  più  gran  consolazioni  di  questa  vita  è  l'amicizia;  e  una 
delle  consolazioni  dell'amicizia  é  quell'avere  a  cui  confidare  im  se- 
greto. Ora,  gli  amici  non  sono  a'due  a  due,  come  gli  S|>08Ì;  (^uno, 
generalmente  parlando,  ne  ha  più  d'uno:  il  che  forma  una  catena, 
dì  cui  nessuno  potrebbe  trovar  la  fine.  Quando  dunque  un  amico  si 
procura  quella  consolazione  di  deporre  un  segreto  nel  seno  d'  un  al- 
tro, dà  a  costui  la  voglia  di  prociu-arsi  la  slessa  consolazione  anche 
lui.  Lo  prega,  è  vero,  di  non  dir  nulla  a  nessuno;  e  una  tal  condizio- 
ne, chi  la  prendesse  nel  senso  rigoroso  delle  parole,  troncherebbe  imme- 
diatamente il  corso  delle  consolazioni.  Ma  la  pratica  generale  ha  voluto 
che  obblighi  s(rilanlo  a  non  confidare  il  segreto,  se  non  a  chi  sia  un  amico 
ugualmente  fidato,  e  imponendt^li  la  slessa  condizione.  Così,  d'amico 
fidalo  in  amico  fidalo,  il  segreto  gira  e  gira  per  quell'immensa  ca- 
tena, tanto  die  arriva  all' orecchio  di  colui  o  di  coloro  a  cui  il  primo 
che  ha  parlato  intendeva  appunto  di  non  laseiarìo  arrivar  mai.  Avrebbe 
però  ordinariamente  a  stare  un  gran  pozzo  in  cammino,  se  ognuno 
non  avesse  che  due  amici:  quello  che  gli  dice,  e  quello  a  cui  ridice 
la  cosa  da  tacersi.  Ma  ci  son  degli  uomini  privilegiati  che  li  contano 
a  centinaia;  e  quando  il  segreto  è  venuto  a  uno  di  questi  uomini,  i 
giri  divengon  sì  rapidi  e  si  molliplici,  die  non  è  più  possibile  dì  se- 
guirne la  traccia.  Il  nostro  autore  non  ha  potuto  accertarsi  per  quante 
bocche  fosse  passalo  il  segreto  che  il  Griso  aveva  ordine  di  scovare: 
il  fallo  sta  che  il  buon  uomo  da  cui  erano  slate  scortate  le  donne  a 
Monza,  tornando,  verso  le  venlitrc,  col  suo  baroccio,  a  Pescarenico, 
s'abbatte,  prima  d'arrivare  a  casa,  in  un  amico  fidato,  al  quale  rac- 
contò, in  gran  confidenza,  1'  opera  buona  che  aveva  fatta,  e  il  rima- 
nenie;  e  il  fatto  sta  che  il  Griso  polè,  due  ore  dopo,  correre  al  palaz- 
zollo,  a  riferire  a  don  Rodrigo  che  Lucia  e  sua  madre  s'eran  ricoverale 
in  un  convento  di  Monza,  e  che  Renzo  aveva  seguìlata  la  sua  strada 
fino  a  Milano. 

Don  Rodrigo  provò  una  scellerata  allegrezza  di  quella  separazione, 
e  senti  rinascere  un  po' di  quella  scellerata  speranza  d'arrivare  al  suo 
intento.  Pensò  alla  maniera,  gran  jarte  della  notte;  e  s'alzò  presto,  con 
due  disegni,  l'uno  stabilito,  l'altro  abbozzato.  Il  primo  era  di  spedire 
immantinente  il  Griso  a  Monza,  per  aver  più  chiare  notizie  di  Lucia, 


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HO  I  PROMESSI  SPOSI 

e  sa|>ere  se  ci  Tosse  da  tentar  qualche  cosa.  Fece  dunque  cliìainar  su- 
bito quel  suo  fedele,  gli  mise  in  mano  i  quattro  scudi,  lo  lodò  dì 
nuovo  dell'abilità  con  cui  gli  aveva  guadagnati,  e  gli  diede  l'ordine 
che  aveva  premeditato. 

"  Signore....  »  disse,  tentennando,  il  Griso. 

u  Che?  non  ho  io  parlato  chiaro?  " 

u  Se  potesse  mandar  qualchedun-allro....  " 

«  Come?  n 

u  Signore  illustrissimo ,  io  son  pronto  a  metterci  la  pelle  per  il 
mio  pailrone:  è  il  mio  dovere;  ma  so  anche  die  lei  non  vuole  arri- 
schiar troppo  la  vita  de'  suoi  sudditi.  » 

«  Ebbene  ?  » 

«  Vossignoria  illustrissima,  sa  bene  quelle  poche  taglie  eh'  io  ho 
addosso:  e....  Qui  son  sotto  la  sua  prolezione;  siamo  una  brigala; 
il  signor  podestà  è  amico  di  casa;  i  birri  mi  porlan  rispetto;  e  an- 
ch'io.... è  cosa  che  fa  poco  onore,  ma  per  viver  quieto....  Il  tratto 
da  amici.  In  Milano  la  livrea  di  vossignoria  e  conosciuta;  ma  in  Mon- 
ca.... ci  sono  conosciuto  io  ìn  vece.  E  sa  vossignoria  che,  non  fo  per 
dire,  chi  mi  potesse  consegnare  alla  giustizia,  o  presentar  la  mia  te- 
sta, farebbe  un  bel  colpo?  Cento  scudi  l'uno  sull'altro,  e  la  facoltà 
di  liberar  due  banditi,  n 


«  Che  diavtrfo!  »  disse  don  Rodrigo  :  «  tu  mi  riesci  ora  im  can 
da  paf^iaio  che  ha  cuore  appena  d' avventarsi  alle  gambe  dì  chi  passa 
sulla  porta,  guardandosi  indietro  se  quei  di  casa  lo  spalleggiano,  e 
non  si  sente  d'allontanarsi!  « 


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CAPITOLO  XI. 


,.,  n 


«  Credo,  signor  pudrone,  d'aver  date  prove...  n 

u  Dunque  !  i 

u  Dunque,  »  ripigliò  francamenle  il  Griso,  messo  così  al  punto, 
(•  dunque  vossignoria  faccia  conto  eh'  io  non  abbia  parlalo  :  cuor  di 
Icone,  gamba  di  lepre,  e  son  pronto  a  partire,  y 

u  E  io  non  ho  detto  che  tu  vada  solo.  Piglia  con  le  un  paio  de' 
meglio....  lo  Sfregiato,  e  il  Tira-dritto;  e  va  dì  buon  animo,  e  sii  il 
Griso.  Che  diavolo!  Tre  figure  come  le  vosli'e,  e  che  vanno  per  i  fatti 
loro,  chi  vuoi  che  non  sia  conlento  di  lasciarìe  passare?  Bisognerebbe 
che  a' birri  di  Monza  fosse  ben  venuta  a  noia  la  vita,  per  metterla 
su  contro  cento  scudi  a  un  gioco  cosi  rischioso.  E  poi ,  e  poi ,  non 
credo  d'esser  co»  sconosciuto  da  quelle  parti,  die  la  qualità  di  mio 
servitore  non  ci  si  conti  per  nulla.  « 

Svei^ognato  così  un  poco  il  Griso,  gli  diede  poi  più  ampie  e  par- 
ticolari istruzioni.  11  Griso  prese  i  due  compagni ,  e  parti  con  faccia 
allegra  e  baldanzosa,  ma  bestemmiando  in  cuor  suo  Monza  e  le  taglie 
e  le  donne  e  i  capricci  de' padroni;  e  camminava  come  il  lupo,  che 
spinto  dalla  fame,  col  ventre  raggrinzalo,  e  con  le  costole  che  gli  si 
potrebber  contare,  scende  da' suoi  monti,  dove  non  c'è  che  neve,  s'a- 
vanza sospettosamente  nel  piano,  sì  ferma  ogni  tanto,  con  una  zampa 
sospesa,  dimenando  la  coda  spelacchiata , 

Le>a  il  muso,  odomnilo  tt   tdiIo  inlìJo, 


I  se  mai  gli  porli  odore  d'  uomo  o  di  ferro,  rizza  gli  wecchi  acuti , 
I  e  gira  due  occhi  sanguigni,  da  cui  Iraluce  insieme  l'ardore  della  preda, 
i        e  il  (errore  della  caccia.  Del  rimanente ,  quel  bel  verso  ,  chi  volesse 


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I  PMOUESSI  Sl'OSI 


saper  donde  venga,  è  tratto  da  una  diavoleria  inedita  di  crociale  e 
di  lombardi,  die  presto  iioti  sarà  più  inedita,  e  Tara  ui  bel  rumore; 
e  io  l'bo  {M-eso,  perchè  mi  veniva  in  (aglio;  e  dico  dove,  per  non  farmi 
bello  della  roba  altrui  :  cbe  qualcheduno  non  pensasse  che  sia  una 
mia  astuzia  per  far  sapere  che  l'autore  di  quella  diavoleria  ed  io  sia* 
mo  come  fratelli ,  e  eh'  io  frugo  a  piacer  mio  ne'  suoi  manoscrKii. 

L'altra  cosa  die  premeva  a  don  Rodrigo,  era  dì  trovar  la  maniera 
die  Renzo  non  potesse  più  tornar  con  Lucia,  né  metter  piede  in 
paese;  e  a  questo  line,  macchinava  di  fare  sparger  voci  di  minacce  e 
d'Insidie,  che,  venendogli  all'orecchio,  per  mezzo  di  qualche  amico,  0ì 
facessero  passar  la  voglia  di  tornar  da  quelle  parti.  Pensava  però  die 
la  più  sicura  sardrfw'se  sì  potesse  farlo  sfrattar  dallo  stato:  e  per  riu- 
scire in  questo,  ve(lc^'a  che  più  della  forza  gli  a\Teblje  potuto  servir 
la  giustizia.  Si  poteva ,  per  esempio,  dare  un  po'  di  ctÀore  al  tentativo 
fatto  nella  casa  parrocchiale,  dipingerlo  come  un'aggressione,  un  atto 
sedizioso,  e,  per  mezzo  del  dottore,  fare  intendere  al  podestà  cb'era 
il  caso  di  spedir  contro  Renzo  una  buona  cattura.  Ma  pensò  die  non 
conveniva  a  lui  di  rimestar  quella  brutta  faccenda;  e  senza  star  altro 
a  lambiccarsi  il  cervello,  sì  risolvette  d' aprirsi  col  dotlor  Azzecca-garbu- 
gli,  quanto  era  net^ssarìo  per  fargli  comprendere  il  suo  desiderio.  —^ 
Le  gride  son  laute!  —  pensava:  —  e  il  dottore  non  è  un'oca:  qual- 
cosa che  faccia  al  caso  mìQ  saprà  trovare ,  qualche  garbuglio  da  az- 
zeccare a  quel  vìllanaccìo  :  altrimenti  gli  muto  nome.  —  Ma  (come 
vanno  alle  volle  le  cose  di  questo  moiidoi)  intanlo  che  colui  pensava 
al  dottore,  come  all'uomo  più  abile  a  servirlo  in  questo,  un  altr*  uo- 
mo, r  uomo  che  nessuno  s'  ìnunagìi>erebl>c ,  Renzo  medesimo ,  per 
dìrìa,  lavorava  di  cuore  a  scr\'Jrlo,  in  un  modo  più  certo  e  più  sjtedilo 
di  lutti  quelli  clic  il  dottore  avrebbe  mai  sapuli  trovare. 

Ho  visto  più  volte  un  caro  fanciullo,  vispo ,  per  dire  il  vero,  più 
del  bisogno,  ma  che,  a  lutti  i  segnali,  mostra  di  voler  riuscire  un  ga- 
lantuomo; l'ho  visto,  dico,  più  volle  aHacccndato  sulla  sera  a  man- 
dare al  coperto  un  suo  gregge  di  porcellini  d' Lidia,  che  aveva  lasciati 
scorrer  liberi  il  giorno ,  in  un  giardinetto.  Avrebbe  voluto  fargli  an- 
dar lutti  insieme  al  covile  ;  ma  era  fotica  buttata  :  uno  si  sbandava  a 
destra,  e  mentre  il  piccolo  pastore  correva  per  cacciarlo  nel  branco, 
un  altro ,  due ,  tre  ne  uscivano  a  sinistra ,  da  ogni  parte.  Dimodo- 
ché, dopo  essersi  un  po' impazientito,  s'adattava  al  loro  genio,  spin- 
geva prima  dentro  quelli  eh'  eran  più  vicini  all'  uscio,  poi  andava  a 


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CAPITOLO  XI.  910 

prender  gli  altri ,  a  uno ,  a  tlue ,  a  Ire ,  come  gli  riusciva.  Un  gioco 
simile  ci  convien  fare  co'  nostri  personali  :  rico\'erata  Lucia ,  siam 
corsi  a  don  Rodrigo;  e  ora  lo  dobbiamo  abbandonare,  per  andar  die- 
tro a  Renzo,  che  avevam  perduto  di  vista. 

Dopo  la  separazione  dolorosa  che  abbiani  raccontala ,  camminava 
Renzo  da  Monza  verso  Milano,  in  quello  stalo  d'animo  che  ognuno  può 
immaginarsi  facilmente.  Abbandonar  la  casa,  lialasciarc  il  mestiere,  e 
quel  ch'era  più  di  tulio,  allontanarsi  da  Lucia,  trovarsi  sur  una 
strada,  senza  saper  dove  andercbbe  a  posarsi;  e  tutto  per  causa  di 
quel  birbone!  Quando  si  tratteneva  col  pensiero  sull'  una  o  sull'altra 
di  queste  cose,  s' ingolfava  tutto  nella  rabbia,  e  nel  desiderio  della 
vendetta;  ma  gli  tornava  poi  in  mmtc  quella  preghiera  che  aveva  re- 
citata anche  luì  col  suo  buon  frate,  nella  chiesa  di  Pescarenico  ;  e  si 
ravvedeva:  gli  si  risvegliava  ancora  la  stizza;  ma  vedendo  un'  imma- 
gine sul  muro ,  si  levava  il  cappello ,  e  si  fermava  un  momento  a 
pr^r  di  nuovo  :  tanto  die,  in  quel  viaggio,  eU>e  ammazzalo  in  cuor 


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130  I  PR0UCS81  SPOSI 

SUO  (loii  Rodrigo,  e  risuscilalolo ,  almeno  venti  volle.  La  strada  era 
allora  tutta  sepolta  tra  due  alle  rive,  fangosa,  sassosa,  solcala  da  ro- 
taie profonde,  die,  dopo  una  pioggia,  divenìvan  rigagnoli;  e  in  certe 
parti  più  basse,  s' allagava  tutta,  che  si  sarebbe  potuto  andarci  in  barca. 
Aque'passi,  uii  pìccol  sentiero  erto,  a  scalini,  sulla  riva,  indicava  che 
altri  passeggicri  s' eran  fatta  una  strada  ne' campi.  Renzo,  salito  per 
un  di  que'  valiclii  sul  terreno  più  elevato,  vide  quella  gran  macchina 
del  duomo  sola  sul  piano,  come  se,  non  di  mezzo  a  una  città,  ma 
solvesse  in  un  deserto;  e  si  fermò  su  due  piedi,  dimenticando  lutti 
ì  suoi  guai,  a  contemplare  anche  da  lontano  quell'ottava  maraviglia, 
di  cui  aveva  Unto  sentilo  parlare  fin  da  bambino.  Ma  dopo  qualche 
momento,  voltandosi  indietro,  vide  all'orizzonte  quella  eresia  frasta- 
gliata di  montagne,  vide  distinto  e  alto  tra  quelle  i)  suo  Re»egone_,  si 
sentì  tutto  rimescolare  il  sangue,  stette  li  alquanto  a  guardar  trisla- 
menle  da  quella  parte,  poi  tristamente  si  voltò,  e  seguitò  la  sua  stra- 
da. A  |>oco  a  poco  comineiò  poi  a  scoprir  cam|ianili  e  torri  e  cupole 
e  tetti  ;  scese  allora  nella  strada ,  camminò  ancora  qualche  tempo ,  e 
quando  s'  accorse  d'esser  ben  vicino  alla  città  ,  s'  accostò  a  un  vian- 
dante, e,  inchinatolo,  con  tutto  quel  garbo  che  seppe,  gli  disse:  u  di 
grazia,  quel  signore.  « 

"  Che  volete,  bravo  giovine  ì  " 

u  Saprebbe  insegnarmi  la  strada  più  corta,  per  andare  al  eonvcnlo 
de' cappuccini  dove  sta  il  padi'e  Bonaventui'a  ?  n 

L'uomo  a  cui  Renzo  s'indirizzava,  era  un  agiato  abitante  del  con- 
torno, che,  andato  quella  mattina  a  Milano,  per  certi  suoi  atfari,  se 
ne  tornava,  senza  aver  fatto  nulla,  in  gran  fretta,  che  non  vedeva 
l'ora  di  trovarsi  a  casa,  e  avrebbe  fatto  volentieri  dì  meno  di  quella 
Termata.  Con  tutto  ciò,  senza  dar  segno  d'  im|iazienza ,  rispose  molto 
gentilmente:  "  (i(^iuol  caro,  de' conventi  ce  n'è  più  d'uno:  bisogne- 
rebbe che  mi  sapeste  dir  più  chiaro  quale  è  quello  che  voi  cercale.  « 
Renzo  allora  si  levò  di  seno  la  lettera  del  padre  Cristoforo,  e  la  fece 
vedere  a  quel  signore,  il  quale,  lettovi  :  porla  orientale,  gliela  ren- 
dette dicendo:  »  siete  foHunato,  bravo  giovine;  il  convento  che  cer- 
cate è  poco  lontano  di  qui.  Prendete  per  questa  viotttria  a  mancina: 
è  una  scorciatoia:  in  pochi  minuti  arri>'erete  a  una  cantonata  d'  una 
fìdibrica  lunga  e  bassa:  è  il  lazzeretto;  costeggiate  il  fossato  die  lo 
circonda,  e  riuscirete  a  porla  orientale.  Entrate,  e,  dopo  tre  o  quat- 
trocento passi,  vedrete  una  piazzetta  con  de' begli  olmi:  là  è  il  eon- 


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CAPITOLO  XI.  Ili 

vento:  non  potele  sbagliare.  Dìo  v' assista,  bravo  giovine.  »  E,  ac< 
«omp^nando  l'ultime  parole  con  un  gesto  grazioso  della  inanOj  se 
n'andò.  Renzo  rimase  stupefatto  e  edificato  delia  buona  maniera  de' 
dtladini  verso  la  gente  di  campagna;  e  non  sapeva  ch'era  un  giorno 
fuor  deirordinario,  un  giorno  in  cui  le  cappe  s'inchinavano  ai  farsetti. 
Fece  la  strada  che  gli  era  slata  insegnata  ,  e  si  trovò  a  porta  orien- 
tale. Non  bisogna  però  che,  a  questo  nome,  il  lettore  si  lasci  correre 
alla  fantasia  V  immagini  che  ora  vi  sono  associale.  Quando  Renzo  entrò 
per  quella  porta ,  la  strada  al  di  fuori  non  andava  diritta  che  per 
tutta  la  lunghezza  del  lazzeretlo;poi  scorreva  serpeggiante  e  stretta,  Ira 
due  siepi.  La  porla  consiste\'a  in  due  pilastri,  con  sopra  una  tettoia, 
per  riparare  i  battenli,  e  da  una  parte,  una  casuccìa  per  i  gabellini. 
I  bastioni  scendevano  in  pendio  irregolare,  e  il  terreno  era  una  super- 
ficie aspra  e  inuguale  di  rollami  e  di  cocci  buttati  là  a  caso.  La  strada 
che  s'apriva  dinanzi  a  chi  entrava  per  quella  porla,  non  si  paragMie- 
rebbe  male  a  quella  che  ora  si  presenta  a  chi  entri  da  porla  Tosa.  Un 
fbssalello  'le  scorreva  nel  mezzo,  fino  a  poca  distanza  dalla  porta,  e  la 
divideva  cosi  in  due  stradette  tortuose,  ricoperte  di  polvere  o  di  fan- 
go, secondo  la  stagione.  AI  punto  dov'era,  e  dov'è  tuttora  quella 
viuzza  chiamala  di  Borgbello ,  il  fossatello  si  perdeva  in  una  fogna. 
LI  e'  era  una  colonna,  con  sopra  una  croce,  detta  di  san  Dionigi  :  a 
destra  e  a  sinistra,  erano  orti  cinti  di  siepe  e,  ad  intervalli,  casucce, 
abitate  per  lo  più  da  lavandai.  Renzo  entra,  passa;  nessuno  de'  gabel- 
lini gli  bada:  cosa  che  gli  parve  strana,  giacché,  da  que' pochi  del  suo 
paese  che  potevan  vantarsi  d'essere  stati  a  Milano,  aveva  sentito  rac- 
eonlar  cose  grosse  de'  fruganienti  e  dell'  interrogazioni  a  cui  venìvan 
sottoposti  quelli  che  arrivava»  dalla  campagna.  La  strada  era  deserta, 
dimodoché,  se  non  avesse  sentito  nn  ronzio  lontano  che  indicava  un 
gran  movimento,  gli  sarebbe  ])arso  d'entrare  in  una  città  disabitata. 
Andando  avanti,  ^nza  saper  cosa  si  pensare,  vide  per  terra  certe 
strìsce  bianche  e  soffici,  come  dì  neve  ;  ma  neve  non  poteva  essere  ; 
che  non  viene  a  strisce,  né,  per  il  solito,  in  quella  stagione.  Si 
diinò  sur  una  di  quelle ,  guardò ,  toccò ,  e  trovò  eh'  era  farina.  — 
Grand'  abbondanza ,  —  disse  tra  sé  ,  —  ci  dev'  essere  in  Milano , 
se  straziano  in  questa  maniera  la  grazia  di  Dio.  Ci  davan  poi  ad  in- 
tendere che  la  carestia  é  per  tutto.  Ecco  come  fanno,,  per  tener  quieta 
la  pov»^  gente  di  campagna.  —  Ma,  dopo  pochi  altri  passi,  arrivato 
a  fianco  della  colonna,  vide,  appiè  di  quella,  qualcosa  di  più  strano; 


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351  1  PROMESSI  SFUSI 

vide  sugli  scalini  del  piedestallo  eerle  cose  sparse,  che  certameDfe 
non  eran  cioKoli,  e  se  fossero  stale  sul  banco  d'un  fornaio,  non  si 
sarebbe  esitato  un  momento  a  cliianiarli  pani.  Ma  Renzo  non  ardiva 
creder  cosi  presto  a' suoi  occhi;  perchè,  diamine!  non  era  lut^o  da 
pani  quello.  —  Vediamo  un  po' che  affare  è  questo, —  disse  ancora  tra 
sé;  andò  verso  la  colonna,  si  chinò,  ne  raccolse  uno:  era  veramente 
un  pan  tondo,  bianchissimo,  di  quelli  che  Renzo  non  era  solilo  man- 
giarne che  nelle  solennità.  —  È  pane  davvero!  —  disse  ad  aita  voce; 


tanla  era  la  sua  jnaravìglia:  —  cosi  lo  seminano  in  questo  paese? 
in  quest'anno?  e  non  si  scomodano  neppure  per  mecoglierlo,  quando 
eade?Chesia  il  paese  di  cuccagna  questo? — Dopo  dicci  miglia  distra- 
ila, all'aria  fresca  della  mattina, quel  pane,  insieme  con  la  maraviglia, 
gli  risvegliò  l'appetito.  —  Lo  piglio  ?  —  deliberava  tra  sé:  —  poh  ! 
l'hanno  lasciato  qui  alla  discrezion  de' cani;  tanl'  è  che  ne  goda  anche 
un  cristiano.  A.lla  fine ,  se  comparisce  il  padrone ,  glielo  pgltcrò.  — 


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CAPITOLO  \r,  asi 

Cosi  pvnsaiiilo,  si  mise  in  una  lasca  t[uello  che  aveva  in  mano,  ne 
ftresc  un  sceoiulo,  e  lo  mise  nell'altra;  un  terzo,  e  conitiieiò  a  man- 
giare; e  si  rincamminò,  più  int-crto  die  mai,  e  desideroso  dì  chiarirsi 
i-lie  storia  fosse  quella.  Appena  mosso,  vide  spuntar  gente  che  veni\'a 
(hir  interno  della  cittù,  e  guardò  attentamente  quelli  elie  api>arivaiio 
i  primi.  Erano  un  uomo,  una  donna  e,  (|ualche  passo  indietro,  uiì  ra< 
gazzotto:  tutt'  e  tre  con  lui  carico  addosso,  che  parc\a  supcriore  all<^ 
loro  forze,  e  tati' e  ti-e  in  una  figura  strana.  I  vestili  o  gli  stracci  in- 
^inali  ;  infarinali  i  \ÌsÌ,  e  di  più  stravolli  e  accesi;  e  andavano, 
non  solo  <.'ur\i.  \)cv  i)  peso,  ma  sopra  doglia,  come  se  gli  fossero  state 
|H»te  l'ossa.  L'uomo  reggeva  a  stento  sulle  spalle  un  gran  sacco  di 
farina,  il  quale,  bucato  qua  e  là,  ne  seminava  un  poco,  a  ogni  in- 
toppo, a  (^li  mossa  disequililirala.  Ma  più  sconcia  era  la  flgui'a  della 
(loiuia:  un  pancione  smisurato,  che  pareva  tenuto  a  fatica  4la  due 
braccia  piegale:  eume  una  |xrnlolaccia  a  due  nianiebiie  disotluaquel 
pancione  u>ei\'an  due  gambe ,  nude  fin  sopita  il  ginoccbio,  clic  veni- 
vano innanzi  Itarcollando.  Renzo  giiai'dò  più  attentamente,  e  vide  clic 
<|ucl  gran  nH\>o eia  la  sottana  clic  la  donna  teneva  per  il  lembo, con 
dentro  fiiriiia  quanta  ce  ne  poteva  slare,  e  un:  po' di  pi»;  dimodoché, 


A-'^!^ 


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!       »<  I  pnoiiESSi  SPOSI 

quasi  a  ogtii  passo,  ne  velava  via  una  ventala.  Il  ragazzolto  teneva 
;         con  tuli'  e  due  le  mani  sul  capo  una  paniera  colma  di  pani  ;  ma , 
I    I     per  aver  le  pmbe  più  corte  de'  suoi  genitori,  rimaneva  a  poco  a 
I      |K>co  indietro,  e,  allungando  poi  il  passo  ogni  lanlo,  per  raggìun- 
j     gerii,  la  paniera  perdeva  l'equilibrio,  e  qualche  pane  cadeva. 
I  a  Buttane  via  ancor  un  altro,  buono  a  niente  che  sei,  n  disse  la 

'         madre,  digrignando  i  denti  verso  il  ragazzo. 

I  «  lo  non  li  butto  via;  cascan  da  sé:  com'bo  a  fare?  »  rispose  quello. 

i  «  III!  buon  per  te,  clie  ho  le  mani  impicciate,  »  riprese  la  donna, 

dimenando  i  pugni,  come  se  desse  una  buona  scossa  al  povero  ragaz- 
zo; e,  con  quel  movimento,  fece  volar  via  più  farina,  di  quel  che  ci 
sarebbe  voluto  per  farne  ì  due  pani  lasciati  cadere  allora  dal  r^;azzo. 
»  Via,  via,  «  disse  l'ucuno:  u  torneremo  indietro  a  raccoglierli,  o  qual- 
cheduno  li  raccoglierà.  Si  stenta  da  tanto  tempo:  ora  che  viene  un  po' 
<r  abbondanza,  godiamola  in  santa  pace.  » 

In  tanto  arrivava  altra  gente  dalla  porta;  e  uno  di  questi,  aocosla- 
iosì  alla  donna,  le  domandò:  u  dove  si  va  a  prendere  il  pane?  " 

«  Più  avanti,  »  rispose  qudla;e  quando  furon  lontani  dieci  passi, 
soggiunse  borbottando:  «questi  contadini  birboni  verranno  a  spazzar 
tulli  i  forni  e  tutti  i  magazzini,  e  non  resterà  più  niente  per  noi.  " 

«  Un  po'  per  uno,  tormento  che  sei,  "  disse  i)  marito:  «  abbon- 
danza, abbondanza,  n 

Da  queste  e  da  altrettali  cose  die  vedeva  e  sentiva,  Renzo  cominciò 
a  raccapezzarsi  ch'era  arrivato  in  una  città  sollevata,  e  che  quello 
era  un  giorno  dì  conquista,  vale  a  dire  che  ognuno  pigliava,  a  pro- 
porzione delia  voglia  e  della  forza ,  dando  busse  in  pagamento.  Per 
quanto  noi  desideriamo  di  far  fare  buona  figura  al  nostro  povero 
montanaro,  la  sincerità  storica  ei  obbliga  a  dire  che  il  suo  primo  seti- 
Itmenlo  fu  di  piacere,  \veva  cosi  poco  da  lodarsi  dell'andamento  ordi- 
nario delle  cose,  die  si  trovava  indinato  ad  appro\are  ciò  che  lo  mu- 
tasse in  qualunque  maniera.  E  del  resto,  non  essendo  punto  un  uomo 
supcriore  al  suo  secolo,  viveva  anche  luì  in  quell'opinione  o  in  qudla 
passione  comune,  che  la  scarsezza  del  pane  fos.'ic  cagionala  dagl'  incet- 
tatori e  da'  fornai;  ed  era  disposto  a  trovar  giusto  ogni  modo  di 
strappar  loro  dalle  mani  l' alimento  che  essi,  secondo  quell'opinione, 
negavano  crudelmente  alia  fame  di  lutto  un  pogwlo.  Pure,  si  propose 
di  star  fuori  del  tumulto ,  e  si  rallegrò  d'  p,sser  diretto  a  un  cappuc- 
cino, che  gli  troverebbe  ricovero,  e  gli  farebbe  da  padre.  Così  pen- 


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CAPITOLO  XI.  SSH 

sando,  e  guardando  inlanto  ì  nuovi  conquislalori  die  venivano  cari- 
chi di  preda,  fece  quella  po'  di  strada  che  gli  rimaneva  per  arrivare 
al  convento. 

Dove  ora  sorge  quel  bel  palazzo,  con  quell'alto  loggiato,  c'era  al- 
lora, e  e'  era  ancora  non  son  moli' anni,  una  piazzetta,  e  in  fondo  a 
quella  la  chiesa  e  il  convento  de'  cappuccini,  con  quattro  grand' olmi 
davanti.  Noi  ci  rallegriamo,  non  senza  invidia,  con  que' nostri  lettori 
che  non  han  visto  le  cose  in  quello  slato:  ciò  vuol  dire  che  son  mollo 
giovani,  e  non  hanno  avuto  tempo  di  far  molte  corbellerie.  Renzo 
andò  diritto  alla  porla,  si  l'ipose  in  seno  il  mezzo  pane  che  gli  rima- 
oeva,  levò  fuori  e  tenne  preparala  in  mano  la  lettera,  e  tirò  il  cam- 
panello. S'apri  uno  sportellino  clic  aveva  una  grata,  e  vi  comparve 
la  faccia  del  frate  portinaio  a  domandar  chi  era. 

«  Uno  di  campagna,  che  porla  al  padre  Bonaventura  una  lettera 
pressante  del  padre  Cristoforo.  » 

"  Date  qui ,  »  disse  ri  portinaio,  mettendo  una  mano  alla  gl'ala. 


<  No,  no,  ^  diste  Renzo:    «  gliela  devo  consegnare  in  proprie 


'  Non  è  in  convento.  » 

«  Mi  lasi'i  entrare,  che  1' aspelteró.  " 


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■<  Fate  a  niiu  modu,  "  rispose  il  frate:  "  andate  a  aspellan;  in 
chiesa,  die  intanto  potrete  fare  un  pu'di  licne.  In  convento,  per  adesMi, 
non  s'entra.  "  E  detto  qucslo,  ricUÌii?«  lo  5|>ortelIo. Renzo  rimase  li, 
con  la  sua  lederà  in  mano.  Fece  dicci  passi  vei"so  la  porla  della  cliicsa, 
|icr  seguire  il  consiglio  del  portinaio;  nia  poi  pensò  di  dar  prima  uii' 
altra  occliiala  al  tumulto.  Attraversò  la  piaziietta ,  si  |>orti>  sull'orlo 
della  strada,  e  si  fermò,  con  le  braccia  incrociate  sul  petto,  a  guar- 
dare a  sinistra,  verso  l'interno  della  cillà ,  dove  il  brulichio  era  ]iiù 
follo  e  più  rumoroso.  Il  vortice  attrasse  lo  spcttalore.  —  Andiamo  a 
vedere,  —  disse  tra  sé;  tirò  fuori  il  suo  mezzo  pane,  e  slioccuiieel- 
lando,  si  mosse  verso  <|iiclla  parte.  Intanto  die  s'incammina,  noi  rac- 
eonleremo,  più  brevemente  che  sia  ])os.'sihÌie ,  le  uigioiii  e  il  principio 
di  ipiello  sconvolgimento. 


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((lidio  il  (recoiul'  alino  di  raccolfa  scarsa. 
N«!ll'  anletedonle ,  le  pruvvisloni  i-imaslv 
(logli  anni  addietro  avevan  supplito,  (ino 
a  un  cerio  se^^io,  al  difcllo;  e  la  popola- 
zione era  giunta,  non  satolla  né  afTamata, 
Illa,  ecrto,  afTattu  sprovveduta,  alla  messe 
de)  I6S8  ,  nel  (piale  siamo  con  la  nostra 
storia.  Ora,  questa  messo  tanto  desiderata 
t.  rìiLsci  ancor  più  misera  della  precedente, 

in  parie  por  maggior  contrarietà  delle  sta- 
gioni (e  (|uesto  non  solo  nel  milaii<^se,  ma  in  un  Imon  tnitlo  di  paese 
(rircon\n(ano);  ìli  parte  per  colpa  degli  nomini.  Il  guasto  e  lo  spcr- 
|ierio  della  guerra,  dì  quella  bella  guerra  di  cui  abbiam  fatlo  menzione 
di  sopra,  era  tale,  che,  nella  parte  dello  stato  più  %  icina  ad  es»a,  molti 
poderi  più  dell'ordinario  rimanevano  incolti  e  abbandonati  da'  conta- 
dini, i  quali,  in  vece  di  procacciar  col  lavoro  pane  por  sé  e  per  gli 
altri,  cran  coslrelli  d'andair  ad  acoaltarto  per  carità.  Ho  dello:  più 
delC ordinario:  perchè  le  insopportabili  gravezze,  imposto  con  una  eii- 
pìdigia  e  con  un'  insensatezza  del  |)ari  sterminato ,  la  condotta  abi- 
tuale, alleile  Ìii  piena  paco,  delle  truppe  alloggiale  ne'  paesi,  condotta 


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che  i  dolorosi  documenti  di  que'  (empi  uguagliaao  a  qudla  d' un  ne- 
mico invasore,  altre  cagioni  che  non  e  qui  il  luogo  dì  mentovare,  an- 
davano già  da  qualdie  tempo  operando  lentamente  quel  tristo  élTelto 
in  tutto  il  milanese:  le  circostanze  particolari  di  cui  ora  parliamo, 
erano  come  una  repentina  esacerbazione  d'  un  mal  cronico.  E  quella 
qualunque  raccolta  non  era  ancor  finita  di  riporre,  che  le  provvisitMii 
per  l'esercito,  e  io  seiupinio  che  sempre  le  accompagna,  ci  fecero 
dentro  un  tal  vóto,  die  la  penuria  si  fece  subilo  sentire,  e  con  la 
penuria  quel  suo  doloroso,  ma  salutevole  come  inevitabile  effetto, 
il  rincaro. 

Ma  quando  questo  arriva  a  un  certo  segno ,  nasce  sempre  (o  al- 
meno è  sempre  nata  finora;  e  se  ancora,  dopo  tanti  scritti  di  valen- 
tuomini, pensate  in  quel  tempo!),  nasce  un'opinione  ne'  molli,  die 
non  ne  sia  cagione  la  scarsezza.  Si  dimentica  d'averla  temuta,  pre- 
detta; si  suppone  tult'a  un  tratto  che  ci  sia  grano  abbastanza,  e  che 
il  male  venga  dal  non  vendersene  abbastanza  per  il  consuuK>:  suppo- 
sizioni ette  non  stanno  né  in  cielo,  né  in  terra;  ma  che  lusingano  a 
un  tempo  la  collera  e  la  speranza.  GÌ'  incettatori  di  grano,  reali  o  im- 
maginari, t  possessori  di  terre,  che  non  lo  vendevano  tutto  in  un 
giorno,  i  fornai  che  ne  compravano,  tutti  coloro  in  somma  che  ne 
avessero  o  poco  o  assai ,  o  che  avessero  il  nome  d'averne,  a  questi 
si  dava  la  colpa  della  penuria  e  del  rincaro,  questi  erano  il  bersaglio 
del  lamento  miiversale,  l'al^mmìnio  della  moltitudine  male  e  ben  ve- 
stita. Si  diceva  dì  sicuro  dov'  erano  i  magazzini,  i  granai,  colmi,  tra- 
boccanti, appuntellati;  s' indicava  il  numero  de'  sacchi,  spropositato;  ^ 
parlava  con  certezza  dell'  immensa  quantità  di  granaglie  che  veniva 
spedita  segretamente  in  altri  paesi;  ne'  quali  probabilmente  si  gridava, 
con  altrettanta  sicurezza  e  con  fremito  ugwde,  che  le  granaglie  di  là 
venivano  a  Milano.  S' imploravan  da'  magistrati  que'  provvedimenti, 
che  alla  moltitudine  paion  sempre,  o  almeno  sono  sempre  parsi  tlnora, 
cosi  giusti,  così  semplici,  così  atli  a  far  saltar  fuori  il  grano,  nascosto, 
muralo,  sepolto,  come  dicevano,  e  a  far  ritornar  l'abbondanza.  1  ma- 
gistrali qualche  cosa  facevano  :  come  di  slabiKre  il  prezzo  massimo  d'al- 
cune derrate,  d'intimar  pene  a  chi  ricusasse  di  vendere,  e  altri  editti 
di  quel  genere.  Siccome  però  tutti  i  provvedimenti  dì  questo  mondo, 
per  quanto  siano  gagliardi,  non  hanno  virtù  di  diminuire  il  biseco 
dd  cibo,  né  di  far  venire  derrate  fuor  di  stagione;  e  siccome  questi 
in  ispecie  non  avevan  certamente  quella  d'altiranieda  dove  ce  ne 


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CAPITOLO  XII.  tm 

potesse  essere  di  soprabbondanti;  cosi  il  male  durava  e  cresceva.  La 
iDollUudine  attribuiva  un  tale  effetto  alla  scarsezza  e  alla  debolezza 
de'  rimedi,  e  ne  sollecitava  ad  alte  grida  de'  più  generosi  e  decisivi. 
E  per  sua  sveolura,  trovò  l'uomo  secondo  il  suo  cuore. 

Nell'assenza  del  governatore  don  Gonzalo  Femandez  de  Cordova, 
che  comandava  1'  assedio  di  Gasale  del  Monferrato,  faceva  le  sue  veci 
in  Milano  il  gran  cancdliere  Antonio  Ferrer,  pure  spagnolo.  Costui 
vide,  e  chi  non  l'avrebbe  veduto?  che  l'essere  il  pane  a  un  prezzo 
giusto,  è  per  sé  una  cosa  mollo  desiderabile^  e  pensò,  e  qui  fu  lo  sba- 
glio, che  un  suo  ordine  potesse  bastare  a  produrla.  Fissò  la  meta  (così  chia- 
mano qui  la  tariffa  in  materia  di  commestibili),  fissò  la  mela  del  pane 
al  prezzo  che  sarebbe  stato  il  giusto,  se  il  grano  si  fosse  comunemente 
venduto  trentatre  lire  il  moggio  :  e  si  vendeva  fino  a  ottanta.  Fece 
come  una  donna  stala  giovine,  che  pensasise  di  ringiovinire,  alterando 
la  sua  lede  di  battesimo. 

Ordini  meno  insensati  t:  meno  iniqui  eran,  più  d'una  volta,  per  la 
resistenza  delle  cose  stesse,  rimasti  ineseguiti;  ma  all'esecuzione  di 
questo  vegliava  la  molliludinc,  che,  vedendo  finalmente  convertito  in 
legge  il  suo  desiderio,  non  avrebbe  sofferto  che  fosse  per  cdia.  Ac- 
corse subito  ai  forni,  a  chieder  pane  al  prezzo  lassalo;  e  lo  chiese 


1  PRESTir- 


-"^S  ■ 


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sto  I  PKOIIESSI  SPOSI 

con  quel  fare  di  risoliilezza  e  di  minaccia,  che  <Ianiio  la  passiom;, 
la  forza  e  ta  legge  riunite  insieme.  Se  i  fornai  strillassero,  non  lo  do- 
mandalo. Intrìdere,  dimenare,  infornare  e  sfornare  senza  posa;  per- 
dio il  |>oi>oIo,  sentendo  in  confuso  che  l'era  una  cosa  violenta,  as- 
sediava i  forni  dì  continuo,  |>cr  goder  quella  cuccagna  tìn  die  durava; 
affacchinarsi,  dico,  e  scalmanarsi  più  del  solito,  per  iscapilarci.  ognun 
vede  che  bel  piacere  ilovcssc  essere.  Ma,  da  una  (larle  i  magistrali  die 
intimava]]  pene,  tlall' altra  il  popolo  che  voleva  esser  servilo,  e,  punto 
punto  che  qualche  fornaio  ii]<lugiass(- ,  pressava  e  brontolava ,  con 
quel  suo  vocione,  e  minacciava  una  <)i  quelle  sue  giustizie,  die  sono 
delle  Jieggio  che  si  facciano  in  questo  mondo:  non  c'era  reitcnzioiic, 
bisognava  rimenare,  infornare,  sfornare  e  vendere.  Però,  a  farìj  coi>- 
tinuare  in  queir  impresa,  non  bastava  die  fosse  lor  <-omaiidato,  ne  che 
avessero  molla  [launi;  bisognava  potere:  e  un  po' più  che  la  cosa  fosse 
durala ,  non  avrebbero  più  potuto.  Faec\an  vedere  ai  nuigislrali 
l'iniquità  o  l' insopiiortahililà  del  carico  imposto  loro,  protestavano 
di  \'OhT  gettar  la  pala  nel  forno ,  t<  andarsene  ;  e  intanto  tiravano 
avanti  come  potevano ,  sjieraiido ,  spcran<lo  che,  una  volta  o  l'allni. 
il  gran  cancelliere  avrebl>c  inteso  la  ragione.  Ma  A.nlonio  Ferrer,  il 
quale  era  quel  clic  ora  si  direbbe  un  uomo  di  caratteri',  rispondeva 
die  i  fornai  s'ei'ano  av^-antaggiati  molto  e  |>oi  inolio  nel  passato,  die 
n' avvantaggei'eblicro  mollo  e  poi  mollo  col  ritornar  dell' abliondanza: 
che  anche  si  vedrebbe,  si  perisercbl)e  forse  a  dar  loro  cpiatclie  risarci- 
mento; e  che  intanto  tirassero  ancora  avanti.  0  fosse  veRimcnIc  pei*- 
suaso  lui  di  queste  ragioni  die  allegava  agli  altri,  o  che,  anche  co- 
noscendo dagli  effetti  1'  iiii|iossibihìà  di  mantener  (luel  suo  trillo, 
volesse  lasciare  agli  altri  1'  odiosità  di  rìvocarlo  :  giacché  ,  chi  può 
ora  entrar  nel  cervello  d'  Antonio  Feri'cr?  il  fatto  sia  che  rimase 
fc^mo  su  ciò  che  aveva  stabilito.  Finalnienle  i  decurioni  (un  magi- 
strato nmiiicipale  coin|H>sto  di  nobili,  che  dui'ò  lino  al  iiovanlasei  del 
secolo  scorso)  iiifomni'on  per  letlera  il  governaloiT ,  dello  slato  ii) 
mi  eran  le  cose:  tro\assc  lui  qualche  ripiego,  die  le  facesse  andare. 
Don  Gonsuilo.  ingolfalo  (in  sopra  i  ca|iflli  nelle  facci-ndo  della  guer- 
ra, feccciòche  il  lettore  s'immagina  cerlainenlc:  nominò  una  giunla. 
alla  quale  conferi  l' autorità  di  slabilire  al  pane  un  pi-czzo  clic  potesse 
correre;  una  cosa  da  iwtercl  campar  tahio  una  parte  die  I'  altra.  1 
deputati  si  railunarono.  o  come  qui  si  di<-eva  s|ii^;iiolescaniente  nel 
gergo  segretariesco  d'allora,  ai  giunlarono;  e  dopo  mille  riverenze, 


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CAnTOLO  XH.  S*l 

complimenti,  preamboli,  sospiri,  sospensioni,  proposizioni  in  aria,  ter- 
giversazioni, strascinali  tulli  verso  una  deliberazione  da  una  necessità 
sentila  da  lutti, sapendo  bene  che  giocavano  una  gran  caria,  ma  in- 
viali che  non  c'era  da  far  altro,  conclusero  di  rincarare  il  pone.  [ 
fornai  respirarono;  ma  il  popolo  imbestiali. 

La  sera  avanti  qneslo  gìonio  in  cui  Renzo  arrivò  in  Milano,  le 
strade  e  le  piazze  brulicavano  d'uomini,  die  lras|>orlali  da  una  rab- 
bia comune,  predominali  da  un  pensiero  comune,  conoscenti  o  estra- 
nei, si  riunivano  in  crocchi,  senza  essersi  dati  l'intesa,  quasi  senza 
avvedersene,  come  gocciole  sparse  sullo  stesso  pendio.  Ogni  discorso 
accresceva  la  persuasione  e  .la  passione  degli  uditori ,  come  di  co- 
lui che  l'aveva  proferito.  Tra  tanti  appassionati,  c'eran  pure  alcmii 
più  di  sangue  freddo,  i  quali  slavano  osservando  con  mollo  piacere, 
che  l'acqua  s'andava  intorbidando;  e  s'ingegnavano  d'intorbidarla 
di  più,  con  que'  ragìonanieiili ,  e  con  (juelle  storio  che  i  furbi  sanno 
comporre,  e  che  gli  animi  alterali  sanno  credere;  e  si  proponevano 
di  non  lasciarla  posare,  quell'acqua,  senza  farci  un  po'  di  pesca.  Mi- 
gliaia d'  uomini  andarono  a  lello  col  sentimento  indeterminato  cIh- 
qualdie  cosa  bisognava  fare ,  che  qualdie.  cosa  si  fard>be.  Avanti 
giorno,  le  strade  eran  di  nuovo  sparse  di  crocchi:  fanciulli,  donne, 
uomini,  vecchi,  operai,  poveri,  si  radunavano  a  sorte:  qui  era  un 
bisbiglio  confuso  di  molte  voci;  là  uno  predicava,  e  gli  altri  applau- 
divano; questo  faceva  al  più  vicino  la  slessa  domanda  eh'  era  allora 
slata  fatta  a  lui;  quest'altro  ripeteva  l'esclamazione  che  s'era  sentila 
risonare  agli  orecdii;  per  tutto  lamenti,  minacce,  maraviglie:  un  pic- 
co! numero  di  vocaboli  era  il  materiale  di  tanti  discorsi. 

Non  mancava  altro  che  un'occasione,  una  spinta,  un  avviamento 
qualunque,  per  ridurre  le  parole  a  fatti;  e  non  tardò  mollo.  Usci- 
v'Mio,  sul  far  del  giorno,  dalle  botteghe  de'  fornai  i  gwzoDÌ  die,  con 
una  gerla  carica  di  pane,  andavano  a  portarne  alle  solile  case.  Il 
primo  cwnparire  d'uno  di  que'  malcapitati  ragazzi  dov'era  un  croc- 
chio di  gente,  fu  come  il  cadere  d'im  salterello  acceso  in  una  polve- 
riera. «  Ecco  se  c'è  il  pane!  "  gridarono  cento  voci  insieme.  «  Si, 
per  i  tiranni,  che  nolano  nell'abbondanza,  e  voglion  far  morir  noi  di 
fame,  <*  dice  uno;  s'accosta  al  ragazzetto,  avventa  la  mano  all' orìo 
ddla  gerla,  dà  una  stralla,  e  dice:  u  lascia  vedere.  i  II  ragaszetlu 
diventa  rosso,  pallido,  trema,  vorrebbe  dire:  lasciatemi  andare;  ma 
la  parola  gli  muore  in  l)occa;  allenla  le  braccia,  e  cerca  di  liberarle 


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Kl  I  PKOUESSI  SPOSI 

ili  frvKa  dallo  cijjiie.   -^  Giù  quella  gerla ,  " 


jiida  iiilaitto.   Molte 


Ulani  l'afleiTano  a  un  tempo:  è  ìli  terra;  si  bulla  per  aria  il  cauo- 
^acciu  che  la  copre  :  una  tepida  fragranza  si  dillonde  all'  ìiilonw. 
u  Siam  cristiani  anche  noi:  dobbiamo  mangiar  pane  anche  noi,  »  dice 
il  primo;  prende  un  pan  tondo,  l'alza,  facendolo  vedere  alla  folla,  l'ad- 
denta: mani  alla  gerla,  pani  per  aria;  in  m«n  che  iion  si  dice,  fu 
sparecchialo.  Coloro  a  cui  non  era  toccato  nulla,  irritali  alla  vista  del 
guadilo  altrui,  e  animati  dalla  fadlità  dell'impresa,  si  mossero  a 
branchi,  in  cerea  d'altre  gerle  :  quante  incontrale,  tante  svaligiale.  E 
noii  c'era  néppur  bisogno  di  dar  l'assalto  ai  portatori:  quelli  che,  per 
loro  disgrazia,  si  trovavano  in  giro,  visla  la  mala  parala,  posavano  vo- 
lonlarìameote  il  carico,  e  via  a  gambe.  Con  tulio  ciò,  coloro  che  rima- 
nevano a  denti  secchi,  erano  senza  paragone  i  più;  aiiclie  i  cmiquislalori 
non  eran  soddisfalli  di  prede  cosi  piccole,  e,  mescolati  poi  con  gli  udì 
e  con  gli  altri,  e' eran  coloro  che  avevan  fallo  disegno  sopra  un  disor 
dine  più  co'  fiocchi.  »  Al  forno!  al  fonio!  »  h  grida. 


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CAflTOLU  \H.  '  a41 

Nella  slradti  diiamata  la  Corsia  de' Servi,  c'era,  e  u  è  tuttavia  uii 
fonio,  che  consena  lo  slesso  nome;  nome  che  in  toscano  viene  a  dire 
il  forno  delle  grucve,  e  in  milanese  ì-  composto  di  parole  così  elcro- 
Hite,  cosi  bisbetiche,  co»  salvatiche.  che  l'airabelo  della  lingua  non 
ha  i  segni  per  indicarne  il  suono'.  A  quella  parte  s'  avventò  la 
gente.  Quelli  ddla  bollega  slavano  iiiterrogaiido  il  garzoite  tomaio 
scarico,  il  quale,  lutto  sbigottito  e  abbarulTalo,  riferiva  balbellando 
la  sua  trista  avventura;  quando  si  senic  un  calpestio  e  un  urìio  insieme: 
cresce  e  s'avvicina;  compariscono  i  forieri  deUa  masnada. 

Serra,  serra;  presto,  presto:  uno  corre  a  chiedere  aiuto  al  capitano 
di  giustizia;  gli  altri  chiudono  in  frella  la  bottega,  e  appuntellano  i 
ballenti.'  La  genie  eomiikcia  a  alTellarsi  dì  fuori,  e  a  gridare:  "  pane! 
I»ne!  aprite!  aprite!  n 

Pochi  liiomenti  dopo,  arrivali  capitano  di  giustizia, con  una  scorta 
d'alabardieri.    '^  Largo,  largo,  figliuoli;  a  casa,  a  casa:  fate  liiogo  al 


ipilaoo  di  giustizia,  <-  grida  lui  e  gli  alabardieri.  I^a  genie,  che  non 

•  r,\  iireflìti  di  sranv: 


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t44  ,  1  PROMESSI  SPOSI 

tra  aneor  troppo  Zilla,  fa  un  po' di  luogo;  diiiiodocliè  quelli  )H»ter<HW 
arrivare,  e  postarsi,  insieme,  se  non  in  ordine,  davanti  alla  porta 
dcUa  bottega. 

>>  Ma  figliuoli, n  predicava  di  li  il  capitano,  "che  fate  qui!  A  casa, 
a  casa.  Dov'è  il  timor  di  Dio?  Che  dirà  il  re  nostro  signore?  Non  vo- 
gliam  farvi  male;  ma  andate  a  casa.  Da  bra\'il  Che  diamine  vuk-le 
Tur  qui,  cosi  ammontati?  Niente  dì  bene,  né  per  l'anima,  né  per  il  corpo. 
A  casa,  a  casa.  " 

Ma  quelli  die  vedevan  la  fiicda  del  dtctlore,  c-senlivan  le  sue 
(tarolc,  quand'andie  avessero  veduto  ubLidire,  dilc  un  poro  in  che 
maniera  avrebber  potuto,  spìnti  com'erano,  e  incalzati  da  quelli  di 
dietro,  spinti  anch'essi  da  altri,  come  (lutti  da  flutti,  via.  via  fino 
all'estremila  della  folla,  cbe  andava  sempre  crescendo.  M  capitano, 
cominciava  a  mancargli  il  respiro.  "  Fateli  dare  addietro  di' io  possa 
riprender  fiato,  "  diceva  agli  alabardieri:  »  ma  non  fate  male  a  nes- 
suno. Vediamo  d'entrare  in  bottega:  picchiate;  fateli  stare  indietro.  >; 

"  Indietro!  indietro!  »  gridano  gli  alabardieri,  buttandosi  tulli  in- 
itieme  addosso  ai  primi,  e  respingendoti  (;on  l' aste  dell'alabarde.  Qudli 
urtano,  m  tirano  indietro,  come  possono;  danno  con  le  sdiicne  ne' 
[ietti ,  co'  gomiti  nelle  pance ,  co'  calcagni  sulle  punte  de'  piedi  a 
f|Uellr  che  son  dietro  a  loro:  si  Ut  un  pigio,  una  calca,  che  quelli  dte 
»i  trovavano  in  mezzo,  avrebbero  pagalo  qualcosa  a  essere  altrove. 
Intanto  un  po'  di  \Mo  s  e  fatto  davanti  alia  porta  :  ìl  capitano  pie- 
clu'a ,  ripicdiia ,  urla  clic  gli  aprano  :  qudli  di  dentro  vedono  dalie 
finestre,  sceinlon  di  corsa,  aprono;  il  capitano  entra,  cliiama  gli  ala- 
bardieri, che  si  ficcan  dentro  anch'essi  1' un  dopo  l'altro,  gli  ultimi 
ratlenendo  la  folla  con  l'alabarde.  Quando  sono  entrati  lutti,  si  mette 
tanto  di  catenaccio,  si  riappuntella;  il  capitano  sale  di  corsa,  e  s' af- 
faccia a  una  finestra.  Uh,  che  fonnicolaio! 

u  Figliuoli,  »  grida:  molti  si  voltano  in  su;  »  figliuoli,  andale  a 
cosa.  Perdono  generale  a  chi  (orna  subito  a  casa.  " 

u  Pane!  pane!  aprite!  aprite!  >y  cran  le  parole  più  distinte  ndl'ui^ 
lio  orrendo,  che  la  folla  mandava  in  risposta. 

u  Giudizio,  figliuoli!  badate  benel  siete  ancora  a  tempo.  Via,  an- 
dale, tornate  a  casa.  Pane,  ne  avrete;  ma  non  è  questa  la  maniera. 
Eh!...  eh!  che  fate  laggiù!  Eh!  a  quella  porla!  Oibò  oibó!  Vedo, 
vedo  :  giudizio  !  badate  bene  1  è  un  delitto  grosso.  Or  ora  ^eiigo  io. 
Eh!  eh!  smettele  con  que'  ferri;  giù  quelle  mani.  Vergogna!  Voi  altri 


Digitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  XII. 


milanesi,  che,  per  la  boiitù,  siele  nominati  in  liillu  il  mondo!  Sentite, 
sentile:  siete  sempre  stali  buoni  fi Mi  eanagliul  -^ 


Questa  rapida  mutazione  di  stile  Tu  cagionala  da  una  pietra  eliu, 
usdla  dalle  mani  d'uno  di  que'  buoni  figliuoli,  venne  a  batter  nella 
fronte  del  capitano,  sulla  protuberanza  sinistra  della  profondità  mela- 
fisica.  "  Canaglia!  canaglia!''  continuava  a  gridare,  chiudendo  presto 
prcslo  la  finestra,  e  ritirandosi  IVfa  quantunque  avesse  gridato  quanto 
n'aveva  in  canna,  le  sue  parole,  buone  e  cattive,  s'eran  tutte  dile- 
guale e  disfatte  a  mezz'aria,  nella  tcm|)esla  delle  grida  che  ^enivan  di 
giù.  Quello  poi  che  diee\'a  di  vedere,  era  un  gran  lavorare  di  pietre, 
di  ferri  {i  primi  che  c<duro  avevano  potuto  procacciarsi  per  la  stra- 
da), che  si  faceva  alla  porta,  per  sfondarla,  e  alle  finestre,  per  svel- 
lere r  inferriate:  e  già  1'  opera  era  molto  avanzata. 

Intanto ,  padroni  e  garzoni  della  bottega ,  eh'  erano  alle  finestre 
de'piani  di  sopra,  con  una  munitone  di  pietre  (avranno  probabil- 
mente disseirìato  un  cortile), 'nrla%'ano  e  focevan  versacci  a  quelli  di 
giù,  perchè  smettessero;  facevan  vedere  le  pietre,  accennavano  dì  vo- 
lerle buttare.  Visto  eh'  era  tempo  perso,  cominciarono  a  butlarìe  dav- 
vero. Neppur  una  ne  cadeva  in  fallo;  giacché  la  calca  era  tale,  che' 
un  granello  di  miglio,  come  si  suo)  dirCj  non  sarebbe  andato  in  terra. 

«  Ah  birboni!  ah  furfantuniiÈ  questo  il  pane,  che  date  alla  povera 
gente?  Ahi!  Ahimè!  Ohi!  Ora,  ora  !  "   s'  urlava  di  giù.  Più  d'  uno  fu 


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Ila  1  PROMESSI  SPOSI 

concialo  inale;  due  ragazzi  vi  rimasero  morti.  D  furwe  accrebbe  le 
forze  della  moltitudine:  la  porla  fu  sfondala,  l' inferriate,  svelle;  e  it 
torrente  [lenelrò  per  tutti  ì  varchi.  Quelli  di  dentro,  vedendo  la  mala 
parata,  scapparono  in  soffitta:  il  capitano,  gli  alabardieri,  e  alcuni  della 
casa  stetlcro  li  ranniecliiali  ne'  cantucci;  altri,  uscendo  per  gli  ab- 
baini, andavano  su  pe'  letti,  come  i  gatti. 

La  vista  della  preda  fece  dimenticare  ai  \incilori  i  disegni  di  ven- 
dette sanguinose.  Si  slanciano  ai  cassoni  ;  il  pane  è  messo  a  ruba. 
Qualcheduno  in  vece  corre  al  l)anco,  butta  giù  la  serratura,  agguanta 
le  ciotole ,  piglia  a  manate,  intasca ,  ed  esce  carico  di  quattrini,  per 
tornar  poi  a  rubar  pane,  se  ne  rimarrà.  La  folla  si  sparge  ne'  ma- 
gazzini. Mellon  mano  ai  saccbi,  li  strascicano,  li  rovesciano:  chi  se  ne 
caccia  uno  Ira  le  gambe,  gli  scioglie  la  bocca,  e,  per  ridurlo  a  un  ca- 
rico da  potersi  portare,  bulla  via  una  parte  della  farina:  cbi,  gridando: 
u  aspella,  aspetta,  «  si  china  a  parare  il  grembiule,  un  fazzoletto,  il 
cappello,  per  ricever  quella  grazia  di  Dio;  uno  corre  a  una  madia,  e 
prende  un  pezzo  di  pasta,  che  s'allunga,  e  gli  scappa  da  ogni  park-: 


un  altro,  che  ha  conquistato  un  burallello,  lo  porla  per  aria:  dà  va. 
ohi  viene:  uomini,  donne,  fanciulli,  spinte,  rispinle,  uriì,  e  un  bianco 
polverio  che  per  lutto  si  posa,  per  tulto  si  solleva,  e  tutto  vela  e 
annebbia.  Di  fuori,  una  calca  composta  di  due  pi-ocessioni  opposte. 
che  si  rompono  e  s'intndciano  a  vicenda,  di  chi  esce  con  la  preda,  e 
di  dtì  vuol  entrare  a  farne. 

Mentre  quel  forno  veniva  cosi  messo  sottosopra,  nessun  altro  della 
città  era  quieto    e  senza  pericolo.   Ma  a  nessuno  la  gente  accorse  in 


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CAPITOLO  XII  ttl 

numero  tale  da  potere  inlraprender  luUo;Ìiì  aicuiii,i  padroni  avevaii 

raeeolto  degli  ausiliari ,  e  stavan  sulle  difese  ;  altrove,  trovandosi  io  pochi, 
venivaDO  in  certo  modoapalli;  distribuivan  pane  a  quelli  die  s'eraq 
eominciali  a  aOollare  davanti  alle  botteglie,  con  questo  che  se  n'an- 
dassero. E  qudli  se  n'andavano,  non  tanto  perchè  Tosser  soddisfalli, 
quanto  perchè  gli  alabardieri  e  la  sbirraglia,  stando  aUa  larga  da  quel 
tremendo  forno  delle  grucce,  si  facevan  però  vedere  altrove,  in  tamk 
bastante  a  tenere  in  rispetto  i  tristi  che  non  fossero  una  folla.  Cosi  il 
trambusto  andava  sempre  crescendo  a  quel  primo  disgraziato  forno; 
))erchè  tiilìì  coloro  che  gli  ])izzieavan  le  mani  di  for  qualche  beli'  im- 
presa, correvan  là,  dove  gli  amici  erano  i  più  forti,  e  l'impunità  sicura. 

A  questo  punto  eran  te  cose,  quando  Renzo,  avendo  ormai  sgra- 
nocchialo il  suo  pane,  veniva  acanti  per  il  borgo  di  porta  orientale, 
e  s'  avviava ,  senza  saperlo ,  proprio  al  luogo  centrale  del  tumulto. 
Andava,  ora  lesto,  ora  rilardalo  dalla  folla;  e  andando,  guardava  e 
stava  in  orecchi,  per  ricavar  da  quel  ronzio  confuso  di  discorsi  qual- 
che notizia  più  positiva  dello  slato  delle  cose.  Ed  ecco  a  un  di  presso 
le  parole  che  gli  riuscì  di  rilevare  in  tutta  la  strada  che  fece. 

^  Ora  è  scoperta,  »  gridava  uno,  -^  l'impostura  infame  di  qui-' 
birboni,  che  dicevano  che  non  c'era  né  paine-,  né  farina,  ne  grano. 
Ora  si  vede  la  cosa  chiara  e  lampante  ;  e  non  ce  la  potranno  |mù 
dare  ad  intendere.  Viva  l'abbondanza!  " 

u  Vi  dico  io  che  tutto  questo  non  serve  a  nulla,"  diceva  un  altro: 
"  è  un  buco  ndl'a^qua;  anzi  sarà  peggio,  se  non  si  fa  una  buona 
giustizia.  Il  pane  verrà  a  buon  mercato,  ma  ci  mellerantio  il  veleno, 
per  far  morir  la  povera  gente,  come  mosche.  Già  Io  dicono  che  siam 
troppi;  l'hanno  detto  nella  giunta;  e  lo  so  di  certo,  per  averlo  sentito 
dir  io,  con  guest'  orecchi,  da  una  mia  comare,  che  è  amica  d'un  pa- 
rente d'  uno-  sguattero  d' uno  di  que'  signori.  « 

Parole  da  non  ripetersi  diceva,  con  la  schiuma  alla  bocca,  un  altro, 
che  teneva  con  una  mano  un  cencio  di  fazzoletto  su'  capelli  arruffoli 
e  insanguinati.  E  qualche  vicino,  come  per  consolario,  gli  taceva  eco. 

«  L^i^,  largo,  signori,  in  cortesia;  lascin  passare  un  povero  padre 
di  famiglia,  che  porla  da  mangiare  a  cinque  figliuoli.  »  Cosi  diqe^'B 
uno  die  veniva  barcollando  sotto  un  gran  sacco  di  farina;  e  ognuno 
s'ingegnava  di  ritirarsi,  per  fargli  largo. 

«  Io?n  diceva  un  altro,  quasi  sottovoce,  a  un  suo  compagno:  e  io 
me  la  batto.  Son  uomo  di  mondo,  e  so  come  vanno  queste  cose. 


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I  PROMESSI  SPOSI 


Questi  iiiciiotli  che  fìanno  ora  tanto  fracasso, domani  o  donian  l'altro,  se 
ne  staranno  in  casa,  liilli  pieni  di  paura.  Ho  già  visto  certi  vi^i,  certi 
galantuomini  che  giran,  facendo  J'indìanp,  e  nolano  chi  e'  è  e  chi  non  e'  è: 
quando  poi  tutto  è  finito,  si  raccolgono  i  conti,  e  a  chi  tocca,  locea.  » 


"  Quello  die  prolegge  i  fornai,  n  grida>a  una  voce  sonora,  elie  al- 
lirt)  l'attenzione  di  Renzo,  "  é  il  vicario  di  provvisione,  x 

t<  Son  lutti  birboni ,  n  diceva  un  ^'icino. 

u  Si;  ma  il  capo  è  lui,  »  replicava  il  primo. 

Il  vicario  di  provvisione,  eletto  ogn' anno  dal  goVériiatore  Ira  sei 
nobili  proposti  dal  Consiglio  de'  decurioiri,  era  il  presidente  di  questo,  e 
del  tribunale  di  provvisióne;  il  quale,  composto  di  dodici,  andic  que- 
sti nobili ,  avevti,  con  altre  atlribuzioui ,  quella  prineipalmenle  del- 
l'annona. Chi  occupava  un  (al  |>oslo  doveva  necessariamente,  in  lemjM 
di  fame  e  d'ignoranza,  esser  detto  l'autore  de'  mali:  meno  che  noH 
avesse  fallo  ciò  che  fece  Ferrer;  cosa  che  non  era  nelle  sue  facoltà, 
^  anche  fosse  stata  nelle  sue  idee. 

«  Scellerati!  "  esclamava  un  altro:  «  si  può  far  di  pejHpo?  sono  arri- 
vati a  dire  che  il  gran  cancelliere  è  un  vecchio  rìmbambilo,  per  levai^ti 
il  credito,  e  comandar  loro  soli.  Bisognerebbe  fare  una  gran  9Ka,e'meI- 
terK  dentrOi  a  viver  di  vecce  e  di  loglio,  come  volevano  Irallar  nói;  " 

«  Pane  eh?  «  dicevauno  die  cercava  d'andar  in  (retta:  «  sassale 
dì  libbra:  pietre  di  questa  fatta,  che  venivan  giù  come  la  grandioe. 
E  ctie  schiacciata  di  costole!  Non  vedo  l'ora  d'  es^e  a  casA  mia.  n 

Tra  questi  discoi-si,  dai  quali  non  saprei  dire  se  fosse  più  informato 
o  sbalordito,  e  tra  gli  urloni,  arrivò  Renzo  finalmente  davanti  a  quel 
forno.  La  gente  era  già  molto  diradala,  dimodoché  potè  contemplare 


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CAPITOLO  XII.  am 

H  brullo  e  rccenle  soqquadro.  Le  mura  scalcinate  e  animdoedk;  da 
saasi,  da  maltoni,  le  finestre  sgangherate,  diroccala  la  porla. 

—  Questa  poi  non  è  una  bella  cosa, — ^  disse  Renzo  tra  sé:  —  se 
condan  cosi  tutti  i  /orni,  dove  vogtion  fare  il  pane?  Ne'  pozzi?  —  ■ 

Ogni  tanto,  usciva  dalla  botila  qualeheduno  che  portava  un  pezzo 
di  cassone,  o  di  madia,  o  di  frullone,  la  stanga  d'una  gramc^a.  ima 
(tanca,  una  paniera,  un  libro  di  conti,  qualche  cosa  in  somma  di  quel 
liovero  Tomo  ;  e  gridando  :  u  largo  ,  largo ,  n  passava  Ira  la  <eitlc. 
Tulli  questi  s'incamminavano  dalla  slessa  parte,  e  a  un  luogo^conve- 
nuto,  si  vedeva.  —  Cos'è  quest'altra  storia?  —  pensò  di  nuovo  Renzo; 
e  andò  dietro  a  uno  che,  Tatto  un  fascio  d'asse  spezzate  e  di  scheg- 
ge, se  lo  mise  in  ispalla,  avviandosi ,  come  gli  altri,  per  la  strada  ohe 
costeggia  il  lianco  settentrionale  del  duomo,  e  ha  preso  nome  dagli 
scalini  che  c'erano,  e  da  poco  in  qua  non  ci  son  più.  La  voglia  d'os- 
servar gli  avvenimenti  non  potè  fare  che  il  montanaro,  (jiiando  gli  si 
scopri  davanti  la  gran  mole,  non  si  soffermasse  a  guardare  in  su. 


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suo  I  PROMESSI  SPOSI 

con  la  bocca  aperta.  Studiò  poi  il  passo,  per  ra^unger  colui  die 
nveva  preso  come  per  guida;  voltò  il  canto,  diede  un'occhiata  anche 
alla  facciata  del  duomo,  rustica  allora  in  gran  parte  e  ben  lontana  dal 
compimento;  e  sempre  dietro  a  colui,  che  andava  verso  il  mezzo  ddla 
piazza.  La  gente  era  più  fitta  quanto  più  s'  andava  avanti,  ma  al  por- 
latore  gli  si  faceva  lai^  :  egli  fendeva  l' onda  del  popolo ,  e  Renzo , 
standogli  sempre  attaccato ,  arrivò  con  lui  al  centro  della  folla.  Li 
c'era  uno  spazio  vóto,  e  in  mezzo,  un  mucchio  di  brace,  reliquie 
degli  attrezzi  detti  di  sopra.  All'intorno  era  un  batter  di  mani  e  di 
piedi,  un  frastono  di  mille  grida  di  trionfo  e  d'imprecazione. 

L'  uomo  del  fascio  lo  buttò  su  quel  mucchio  ;  un  altro ,  con  un 
mozzicone  di  pala  mezzo  abbruciacchialo,  sbracia  il  fuoco:  il  fumo 
cresce  e  s'  addensa  ;  la  fiamma  si  ridesta  ;  con  essa  le  grida  sorgon 
più  forti,  u  Viva  l'abbondanza!  Molano  gli  affamatorì  !  Moia  la  ca- 
restia! Crcpi  la  Provvisione!  Crepi  la  giunta!  Viva  il  pane!  « 


^'eramente,  la  dislruzion  de'  frulloni  e  delle  madie,  la  devaslazion 
de'  forni,  e  lo  scompiglio  de'  fornai,  non  sono  i  mezzi  più  spìcci  per 
far  vivere  il  pane;  ma  questa  è  una  di  quelle  sottigliezze  metafisiche. 


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CAPITOLO  XII.  SUI 

che  una  iiHilUtudiiie  non  ei  arriva.  Però,  senza  essere  un  gran  meta- 
fisico, un  uomo  ci  arriva  talvolta  alta  jtriraa,  finch'  è  nuovo  neIJa  que- 
Klione  ;  e  solo  a  forza  di  parlarne ,  e  di  sentirne  parlare,  diventerà 
inabile  anche  a  intenderle.  A  Renzo  in  fatti  quel  pensiero  gli  era  ve- 
nuto da  principio,  e  gli  tornava,  come  abbiam  visto,  ogni  momento. 
Lo  tenne  per  altro  in  sé;  |>ercliè,  dì  tanti  visi,  non  ce  n'era  uno  che 
sembrasse  dire:  fratello,  se  fallo,  correggimi,  che  l'avrò  t-ai-o. 

tiià  era  di  nuo^o  tìiiila  la  fiamma;  non  si  ^ede^a  più  \'enir  nes- 
suno con  altra  materia,  e  la  gente  cominciala  a  annoiarsi;  quando  si 
sparse  la  \o«<,  che,  al  Cordusio  (  una  piazzetta  o  un  crocicchio  non 
molto  distante  di  li  ),  s'era  messo  l'assedio  a  un  forno.  8|>esso,  in 
simili  circostanze ,  1'  annunzio  d'  una  cosa  la  fa  cssci'c.  Insieme  con 
qudta  voce,  si  dìriuse  nella  multtludinc  una  voglia  di  correr  là:  «  io 
^'0  ;  tu ,  vai  ì  vengo  ;  andiamo ,  »  si  sentiva  per  tutto  :  la  calca  si 
rompe,  e  diventa  una  processione.  Renzo  rimaneva  indietro,  non  mo- 
vendosi quasi,  se  non  quanto  era  strascinato  dal  torrente;  e  teneva 
intanto  consiglio  in  cuor  suo,  se  dovesse  uscir  dal  baccano,  e  ritornare 
al  convento,  in  cerca  del  padre  Bonaventura,  o  andare  a  vedere  an- 
die  quest'altra.  Prevalse  di  nuovo  la  curiosità.  Però  risolvette  di  non 
cacciarsi  nel  fìtto  della  mischia,  a  farsi  ammaccar  1'  ossa,  o  a  risicar 
qualcosa  di  peggio;  ma  di  tenersi  in  qualche  distanza,  a  osser^ai-e.  E 
trovandosi  già  un  poco  al  largo,  si  levò  di  tasca  il  secondo  pane,  e 
attaccandoci  im  morso,  s'avviò  alla  coda  dell'esercito  tumultuoso. 

Questo,  dalla  piazza,  era  già  entrato  nella  strada  corta  e  stretta 
di  Pescheria  vecchia,  e  di  là,  per  quell'arco  a  sbieco,  nella  piazza  de' 
Mercanti.  E  li  eran  ben  pochi  quelli  che ,  nel  passar  davaiiti  alla 
nicchia  che  taglia  il  mezzo  della  loggia  dell'  edifìzio  chiamato  allora  il 
eoKegio  de' dottori,  non  dessero  iin'ocdiiatina  alla  grande  statua  che 
vi  camp^^jiava,  a  quel  viso  serio,  burbero,  accipigliato,  è  non  dico 
abbastanza,  di  don  Filippo  II,  che,  anche  dal  marmo,  imponeva  uh 
non  ao  che  di  rispetto,  e,  con  quel  bracdo  teso,  pareva  che  fosse  lì 
per  dire:  ora  vengo  io,  marmaf^ia. 

Quella  statua  non  e'  è  più,  per  un  caso  singolare.  Orca  cento  set- 
tant'anni  dopo  quello  che  stiam  raccontando,  un  giorno  le  fu  cam- 
biata la  testa,  le  fu  levato  di  mano  lo  scettro,  e  sostituito  a  questo 
un  pugnale;  e  alla  statua  fu  messo  nome  Marco  Bruto.  Così  accomO' 
data  stette  forse  un  par  d'anni;  ma,  una  mattina,  certuni  che  non 
avevan  simpatia  eon  Marco  Bruto,  anzi  dovevano  avere  eoo  lui  una 


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lUl  I  PHOMCSSl  SPOSI 

cuggine  segreta.,  gellaroiio  ima  fune  intomo  alla  statua,  la  tiraroD 
giti,  le  recero,  curio  angherie;  e,  mutilala  e  ridotta  a  un  torso  ioforme, 
la  strascicarono,  con  gli  occhi  in  fuori ,  e  con  le  lingue  fuori,  per  le 
-  htrade,  e,  quando  furono  stracchi  bene,  la  ruzzolarono  non  so  dove. 
Clii  r  avesse  detto  a  Andrea  Biffi,  quando  la  scolpiva! 

Dalla  piazza  de' mercanti,  la  marmaglia  insaccò,  per  queir  altr' arco. 


nella  via  de'  fmtagnai,  e  dì  li  si  sparpagliò  nel  Gordusio.  Ognuno,  ^  pri'> 
nio sboccarvi, guardava  subito  verso  il  forno  ch'era  stato  indicato.  Ma 
in  vece  della  moltitudine  d'amici  che  s' aspettavano  di  trovar  li  già  al  la- 
voro, videro  soltanto  alcuni  starsene,  come  esitando,  a  qualche  dlstanca 
della  bottega,  la  quale  era  chiusa,  e  alle  finestre  gente  armata,  in  alto  di 
star  pronti  a  difendersi.  A  quella  vista,  chi  si  maravigliava,  chi  sa- 
grava, chi  rideva;  chi  si  voltava,  per  informar  quelli  che  arrìvavan 
via  via  ;  chi  si  fermava ,  chi  voleva  tornare  indietro ,  chi  diceva  : 
it  avanti,  avanti.  "  C  era  un  incalzare  e  un  rattenere,  come  lui  ri- 
stagno, una  tiluba;»one,  un  ronzio  confuso  di  contrasti  e  di  consulte. 
in  questa,  scoppiò  di  mezzo  alla  folla  una  maledetta  voce:  «  c'è  qui 
vicino  la  casa  del  vicario  di  provvisione:  andiamo  a  far  {pustlzìa,  e 
a  dare  il  sacco.  »  Parve  il  rammentarsi  comune  d'un  concerto  preso, 
piuttosto  che  l'accettazione  d'una  proposta,  u  Dal  vicario  !  dal  vicario  !  » 
è  il  solo  grido  che  si  possa  sentire.  La  turba  si  move,  tutta  insieme, 
verso  la  strada  dov'  era  la  casa  nominata  in  un  così  cattivo  punto. 


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CAPITOLO  XJII. 


turalo  vicario  sta\at,  in  quel 
momento,  Scendo  un  chilo 
agro  e  stentalo  d'un  desinare 
biascicato  senza  ^petito,  e 
senza  pan  Tresco;  e  attende- 
va, con  gran  sospensione , 
come  avesse  a  finire  qutHta 
burrasca ,  ItMitano  però  dal 
sospettar  che  dovesse  cader 
così  spaventosamente  addosso  a  lui.  Qualche  galantuomo  precorse  di 
galoppo  la  fdla,  per  avvertirlo  di  quel  che  gli  sovrastava.  I  servi- 
lori,  attirati  già  dal  rumore  sulla  porla,  guardavano  sgomentati  lungo 
la  strada,  dalla  parte  donde  il  rumore  veniva  avvieinandosi.  Mentre 


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1114  I  PROuessi  SPOSI 

asooltan  l'avviso,  vedon  comparire  la  vanguardia:  in  fretta  e  in  furia, 
si  porta  l'avviso  al  padrone:  mentre  questo  pensa  a  fuf^re,  e  catae 
Aiggire,  un  altro  viene  a  dirgli  che  non  è  più  a  tempo.  1  servitori  ne 
hanno  appena  tanto  che  basii  per  chiuder  la  porta.  Metton  la  stanga, 
inelton  puntelli,  corrono  a  chiuder  le  finestre,  come  quando  si  vede 
venire  avanti  uii  lempo  nero,  e  s'aspetta  la  grandine,  da  un  momento 
all'altro.  L'urlio  crescente,  scendendo  dall'alto  cune  un  tuono,  rim- 
bomba nel  voto  cortile;  ogni  buco  della  casa  ne  rintrona:  e  dimezzo 
ai  vasto  e  confuso  strepito,  si  senton  forti  e  fìtti  colpi  di  fàetn 
idla  porla. 

u  11  vicario!  Il  tiranno!  L'aflamatorelLo  vogliamo!  vivoomorto!» 
Il  meschino  girava  di  stanza  in  stanza ,  pallido ,  senza  fìato ,  bal- 
lendo  palma  a  palma,  raccomandandosi  a  Dio,  e  a' suoi  servitori,  che 
tenessero  fermo  ,  che  trovassero  la  mani»^  di  farlo  scappare.  Ma 
(«me ,  e  di  dove  ?  Sali  in  soffitta  ;  da  un  pertugio ,  guardò  ansio- 
samente nella  strada ,  e  la  vide  piena  zeppa  dì  furibondi  ;  senti  le 
voci  ehe  diiedevan  la  sua  morte;  e  più  smairilo  che  mai,  si  ritirò,  e 
andò  a  cercare  il  più  sicuro  e  riposto  nascondiglio.  Li  rannicciiialo, 
stava  attento,  attento,  se  mai  il  funesto  rumena  s'  affievolisse,  se  il  tu- 
multo s'acquietasse  un  poco;  ma  sentendo  in  vece  il  muggito  alzar»  più 
feroce  e  più  rumoroso,  e  raddoppiare  i  picchi,  preso  da  un  nuovo 
soprassalto  al  cuore,  si  turava  gli  orecchi  in  fretta.  Poi ,  come  fuori  di 
sé,  strìngendo  i  denti,  e  raggrinzando  il  viso,  stendeva  le  bracda,  e 
(Hinlava  i  pugni,  come  se  volesse  tener  ferma  la  porta....  Del  resto, 
quel  che  facesse  precisamente  non  si  può  sapere,  giacché  era  solo; 
e  la  stona  é  costretta  a  indovinare.  Fortuna  cl»e  c'è  avvezza. 

Renzo,  questa  volta,  si  trovava  nel  forte  del  tumulto,  non  già  por- 
tatovi dalla  piena,  ma  cacciatovi»  deliberatamoile.  A  quella  prima 
proposta  di  sangue,  aveva  sentito  il  suo  rimescolarsi  tutto:  in  quanto 
a)  saccheggio,  non  avrebbe  saputo  dire  se  fosse  bene  o  male  in  quel 
ca^;  ma  l'idea  dell'omicidio  gli  cadono  un  orrore  pretto  e  immediato. 
E  quantunque,  per  quella  funesta  dodlìtà  degli  animi  appassionati  al* 
l'aflennare  appassionato  di  molti,  fosse  persuasìssimo  die  il  vicario  era 
la  cagion  principale  della  fome,  il  nemico  de'  poveri,  pure,  avendo,  al 
primo  movere  della  turba,  sentita  a  caso  qualche  parola  die  indicava 
la  volontà  dì  fare  <ygm  dono  per  salvarìo,  s'era  subito  proposto  d'aiu- 
tare anche  lui  un'opera  tale;  e,  con  quest'intenzione,  s'era  caocialo, 
quasi  fino  a  qodla  porla,  die  veniva  travagliata  in  cento  modi.  Chi  con 


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CAPITOLO  XIII.  lU 

ciottoli  picchiava  su'  chiodi  della  serratura ,  per  iscoofìcvarla  ;  altri , 
con  pali  e  scarpelli  e  martelli,  cercavano  ili  lavorar  più  in  regtda: 
altri  poi,  con  pietre,  con  coltali  spuntati,  con  chiodi,  con  bastonr, 
con  l'unghie,  non  avendo  altro,  scaldnavaDO  e  sgretolavano  il  muro, 
e  s' ingegnavano  dì  levare  i  mattoni,  e  fare  una  breccia.  Quelli  che 
non  potevano  aiutare,  &cevan  coraggio  con  gli  urti;  ma  nello  slesso 
tempo,  con  lo  star  li  a  pigiare,  impicdavandi  più  il  lavoro  già  impic- 
ciato dalla  gara  disordinala  de'  lavoranti:  giacché,  per  grazia  del  cielo, 
accade  talvolta  anche  nel  mal^  quella  cosa  troppo  frequente  nel  bene, 
che  i  foutorì  più  ardenti  divengano  un  impedimento. 

I  magistrati  ch'ebbero  i  primi  l'avviso  di  quel  che  accadeva,  spe- 
dìron  subito  a  chieder  soccorso  al  comandante  del  castello,  che  allora 
si  diceva  di  porla  Giovia;  il  quale  mandò  alcuni  soldati.  Ma,  Ira  l'avviso, 
e  r  ordine ,  e  il  radunarsi,  e  il  mettersi  io  cammino,  e  il  cammino, 
essi  arrivarono  che  la  casa  era  già  cinta  di  vasto  assedio;  e  fecero  ^lo 
lontano  da  quella,  all'estremità  della  folla.  L'ufiziale  che  li  comandava, 
non  sapeva  che  partito  prendere.  Li  non  era  altro  die  una,  lasaalemi 
dire,  accozzaglia  di  gente  varia  d'età  e  di  sesso,  che  stava  a  vedere. 
\ir intinuuioni  che  gli  venivan  fatte,  di  sbandarsi,  e  di  dar  luogo,  ri- 
spondevano con  un  cupo  e  lungo  mormorio;  nessuno  si  moveva.  Far 
fuoco  sopra  quella  ciurma,  pareva  all'uiìzìale  cosa  non  solo  crudele,  ma 
piena  di  pericolo;  cosa  che,  oflendendo  i  meno  terribili,  avrebbe  irri- 
tato i  molti  violenti:  e  del  resto,  non  aveva  una  tale  istruzione.  Aprire 
quella  prima  folla,  rovesciarla  a  destra  e  a  sinistra,  e  andare  avanti 
a  portar  la  guerra  a  chi  la  faceva,  sareUie  stala  la  meglio;  ma  riu- 
scirvi ,  li  stava  il  punto.  Chi  sapeva  se  i  solflali  avrebber  potuto  avan* 
zarsi  uniti  e  oi'dinali  ?  Che  se,  in. vece  di  romper  la  folla,  si  fossero 
sparpagliati  loro  tra  quella,  si  sarebber  trovati  a  sua  discrezione; 
dopo  averla  aizzata.  L'irresolutezza  del  comandante  e  l'immobilità  de' 
soldati  parve,  a  diritto  o  a  torto,  paura.  La  gente  che  si  trova^'W  vi- 
cìno  a  loro,  si  contentavano  di  guardargli  in  viso,  con  un'aria,  come 
si  dice,  dì  me  n'impipo;  quelli  ch'erano  un  po'  più  lontani,  non  se 
ne  stavano  di  provocarìi,  con  visacci  e  con  grida  di  scherno;  più  in 
là,  pochi  sapevano  o  si  curavano  che  ci  fossero;  i  guastatwi  seguita- 
vano a  smurare,  senz'altro  p«isiero  die  di  riuscir  presto  nell'impresa; 
gli  spettatori  non  cessavano  d'animarìa  con  f^iurii. 

Spiccava  tra  questi ,  ed  era  lui  stesso  spettacolo ,  un  veodiio  mal 
vissuto,  che,  spalancando  due  occhi  affossati  e  infocati,  conlniendo  le 


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1  pRouessi  SPOSI 


grinze  K  un  at^ghigno  di  compiacenza  diabolica ,  eoo  le  maiii  alzate 
sopra  una  canizie  viluperosa,  agitava  in  aria  un  marldlo,  una  corda, 
qiialbY)  gran  chiodi,  con  che  diceva  di  volere  attaccare  il  vicario  a  un 
battente  ddla  sua  porìa,  ammazzato  che  fosse. 


u-'Oibólvergt^na!"  scappò  fuori  Renzo,  inorridito  a  qudJe  parole, 
alla  vista,  di  tant'allrì  visi  ette  davan  se^o  d'approvarìe,  e  incon^- 
gHo  dat  vedane  degli  ^ri,  sui  quali,  benché  muti ,  traspariva  lo 
slessb  orrore  del  qiiale  era  compreso  lui.  u  Vei^ogna  !  Vogliam  noi 
rubare  il  mestiere  al  l>oia?  assassin»^  un  cristiano?  Come  volete  che 
Dio  a  dia  del  pane ,  se  facciamo  di  queste  alrocilà  ?  Ci  manderà  de' 
fulmini,  e  non  del  pane!  « 

M  Ab  canel  ah  tratfitor  ddla  patria!  «  gridò,  volhindosi  a  Renzo, 
con  un  viso  da  indemonialo ,  un  di  coloro  che  avevan  potuto  sentire 
tra  il  frastono  quelle  sante  parole.  «  Aspetta,  aspetta!  É  un  servitore 
del  vicario,  travestito  da  contadino:  è  una  spia:  dalli,  dalli!  «  Genio 
voà  si  spargono  all'intorno,  u  Cos'è?  dov'è?  chi  è?  Un  so^itore  del 
vicario.  tJna  spia.  Il  vicario  travestilo  da  conladino,  die  scappa.,  Dih 
v'è?  dov'è?  daUij  dalli!  n.. 


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CAPITOLO  XIII.  IHT 

Renzo  ammutolisce,  diventa  piccino  piccino ,  vorrebtte  spai'ire;  alcuni 
suoi  vicini  lo  prendono  in  mezzo;  e  eon  alte  e  diverse  gi-ida  cercano 
di  cMifondere  (|uelle  voci  nemiche  e  omicide.  Ma  ciò  che  più  di  (ulto 
lo  servì  fu  un  u  largo,  largo,  »  che  si  senti  gridar  li  vicino:  e  largo!  e 
qui  l'aiuto:  largo,  ohe!  " 

Cos'era?  Era  una  lunga  scala  a  mano,  die  alcuni  iwrtavano,  per 
appof^arla  alla  casa,  e  entrarci  da  una  finestra.  Ma  per  buona  sorte, 
quel  mezzo,  che  avrebbe  resa  la  cosa  facile,  non  era  facile  esso  a  met- 
tere in  opera.  1  portatori,  all'una  e  all' altra  cima,  e  di  qua  e  di  là 
della  maediina ,  urtati ,  scompigliati ,  divisi  dalla  calca ,  andavano  a 
onde  :  uno ,  con  la  lesta  tra  due  scalini  e  gli  staggi  suHe  si)alle ,  op- 
presso come  sotto  un  giogo  scosso,  mugghiava;  un  altro  veniva  stac- 
cato dfd  carico,  con  una  spinta; la  scala  abbandonata  picchiava  sjKille, 
braccia,  costole:  pensate  cosa  dovevan  dire  coloro  de"  quali  erano. 
Altri  sollevano  con  le  mani  il  peso  morto,  vi  si  caccian  sotto,  se  lo 
mettono  addosso,  gridando:  "  animo!  andiamo!  »  1^  macchina  fatale 


s'  avanza  tialzelloni ,  e  serpeggiando.  Arrivò  a  tcm|>o  a  disti-arre  e  a 
disordinare  i  nemici  di  Renzo ,  il  quale  profittò  della  confusione  naia 
nella  confusione;  e,  quàtio  quatto  sul  principio,  poi  giocando  di  gomita 
a  più  non  posso,  s'allontanò  da  quel  luogo,  dove  non  c'era  buon'aria 
per  Ihì,  con  l'intenzione  anelie  d'uscire,  più  presto  che  potesse,  dal 
liunulto,  e  d'andar  davvero  a  trovare  o  a  appellare  il  padre  Bona- 
ventura. 


Digitizf^riiiyGoOgle 


tW  I   PROMESSI  SPOSI 

Tuli'  a  un  Irallo,  un  movimento  sb^ordìnario  oomìneìalo  a  una 
(^IromitA,  si  propaga  per  la  folla,  una  vocesìspai^,  viene  avanti  di 
l)ocoa  in  bocca:  u  Ferrer  !  Ferrer  !  »  Una  maraviglia,  una  gioia,  una  rab- 
bia, un'indinnzione,  una  ripiifpianza,  scoppiano  per  (utio  dove  arriva 
f|Uel  nome;  ctii  lo  grida,  ehi  vtiol  soFTogarìo;  chi  afTerma,  ehi  nega, 
chi  benedice  ,  chi  bestemmia. 

«  É  qui  Ferrer!  —  Non  è  l'ero,  non  è  vero!  —  Si,  si;  viva  Ferrer! 
qudlo  che  ha  messo  il  pane  a  buon  mercato.  —  No,  no!  —  É  qui,  è  qui 
in  carrozza.  —  Cosa  imporla?  che  e'  entra  lui  ?  non  vogliamo  nessuno! 
—  Ferrer!  \iva  Ferrer!  1'  amico  della  povera  gente!  viene  per  con- 
durre in  prigione  il  vicario.  —  No,  no:  vogliamo  far  giustizia  noi: 
indietro,  indietro! — Si,  si;  Ferrer!  v^ga  Ferrer!  in  ]>rigione  il  vicario!" 
E  tutti ,  alzandosi  in  punta  di  piedi ,  si  voltano  a  guardare  da 
(|uella  |>arle  donde  s'anniHiziava  l'innaspellalo  arrivo.  Alzandosi  tutti, 
vedevano  né  più  né  meno  elic  se  (ossero  stali  ludi  con  le  piante  in 
terra;  ma  lant'c,  tulli  s'alzavano. 

In  falli,  all'estremila  della  folla,  dalla  parte  opposta  a  quella  dove 
stavano  i  soldati,  era  arriialo  in  carrozza  AnlcMiio  Ferrer,  il  gran  can- 
i-elliere;  il  quale,  rimordendogli  probabilmente  la  coscienza  d'essere 
vo'  suoi  spropositi  e  con  la  stia  ostinazione,  stalo  eausa ,  o  almeno  oc- 
casione di  quella  sommossa,  leniva  ora  a  cercar  d'acquietarla,  e  d'im- 
pedirne alméno  il  più  terribile  e  irreparabile  elTetlo:  veniva  a  spender 
bene  una  popolarità  mal  acquistata. 

Ne'  tumulti  {wpolari  e'  è  sempre  un  certo  numero  d'  uomini  die, 
o  per  un  riscaldamento  di  passione,  o  per  una  persuasione  fanatica, 
o  per  un  disegno  scellerato,  o  per  un  maledetto  gusto  del  soqquadro, 
fanno  di  lutto  per  ispingcr  le  cose  al  p^^o  ;  propongono  o  promo- 
l'ono  i  più  spietati  consigli,  soffiai)  nel  fuoco  ogni  volta  che  prindpb 
a  illanguidire:  non  e  mai  troppo  per  costoro;  non  correbbero  che  il 
tumulto  avesse  né  line  né  misura.  Ma  per  contrappeso,  c'è  sempre 
anche  un  certo  numero  d'altri  uomini  che,  con  pari  ardore  e  con 
insistenza  |)ari,  s'adoprano  per  produr  l'effetto  eontrarìo:  taluni  mossi 
«laamicieia  o  dn  parzialità  jier  le  persone  minacciate;  altri  senz'altro 
impulso  che  d'un  pio  e  spontaneo  orrore  del  sangue  e  de'  fatti  atroci. 
Il  cielo  li  benedica.  In  ciascuna  di  queste  due  parti  opposte ,  andie 
quando  non  ei  siano  concerti  antecedenti,  l'uniformità  de'  voleri  crea 
iin  concerto  istantancD  nell'operazioni.  Chi  forma  poi  la  massa,  e  quasi 
il  materiale  del  tumulln,  è  un  miscuglio  accidentale  d'uomini,  che. 


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CAPITOLO   \1<).  tuo 

più  o  meno,  per  gradazioni  indefinite,  tengono  delfuiio  e  dell'altro 
eslrano:  un  po'  riscaldati,  un  po'  furili,  un  po'  inclinati  a  una  certa 
giuslizia ,  come  I'  inlendon  loro ,  un  po'  vogliosi  di  vederne  qualche- 
duna  grossa,  pronti  alla  ferocia  e  alla  miseriuirdia ,  a  dt^'lcslarc  e  a<l 
adorare,  secondo  che  si  prescniì  l'occasione  di  provar  con  picneeza 
l'uno  0  l'altro  sentimento;  avidi  ogni  momento  di  sapere,  di  credere 
qualche  cosa  grossa ,  bisognosi  di  grìttare ,  d'applaudire  a  qualelie- 
duno,  o  d'urlargli  dietro.  Viva  e  moia,  son  le  parole  clic  niantlaii 
fuori  più  volentieri;  e  chi  è  riuscito  a  persuaderli  che  un  tale  non  me- 
riti d'essere  squartato,  non  ha  bisogno  di  spender  più  parole  i>er  con- 
vincerli che  sia  degno  d'  esser  portalo  in  trionfo  :  attori  ,  spedaloii  , 
strumenti,  ostacoli,  secondo  il  \'enlo;  pronti  anche  a  stare  zitti,  quando 
non  scntan  più  grida  da  ripetere,  a  Unirla,  quando  manchino  gl'isti- 
gatori, a  sbandarsi ,  quando  molle  voci  concordi  e  non  eontrad<letle 
aUiiano  detto  :  andiamo;  e  a  tornarsene  a  easa,  domandandosi  1'  uno 
con  l'altro:  cos'è  stato?  Siccome  però  questa  massa,  avendo  la  maggior 
forza ,  la  può  dare  a  cliì  vuote,  cosi  ognuna  delle  due  partì  attive  us» 
ogni  arte  per  tirarla  dalla  sua ,  per  impadronirsene  :  sono  quasi  due 
anime  nemiche,  che  combattono  per  entrare  in  quel  corpaccio,  e  fario 
movere.  Fanno  a  chi  saprà  sjiarger  te  ^'oci  jiiù  atte  a  eccitar  le  pas- 
sioni, a  dirigere  i  movimenti  a  favore  dell'uno  o  dell'altro  intento;  a 
chi  sajirà  più  a  proposilo  trovare  le  nuo^e  che  riaccendano  gli  sdegni, 
0  gli  afQevt^scano ,  risveglino  le  speranze  o  i  terrori;  a  ehi  saprà  tro- 
vare il  grido,  che  ripetuto  dai  più  e  più  forte,  esprima,  attesti  e  crei 
nello  stesso  tempo  il  voto  della  pluralità,  jier  l'uria  o  per  l'altra  parte. 
Tulla  questa  chiacchierala  s'è  fatta  per  \'enirc  a  dire  che,  nella  lolla 
tra  le  due  parti  che  si  contendevano  il  volo  della  gente  alTollala  alla 
casa  del  vicario,  1' a|){)arizionc  d'Antonio  Ferrer  diede,  quasi  in  un 
m(Hiiento,  un  gran  vantaggio  alla  parte  degli  umani,  la  (juale  era  ma- 
nifestamente al  disotto,  e,  un  po' più  clic  quel  soccorso  fosse  tardalo, 
non  avrebbe  a\  ulo  più ,  né  forza ,  né  motivo  di  eombatterc.  L' uomo 
era  gradito  alla  moltitudine,  per  quella  tariffa  di  sua  invenzione  cosi 
fovorevole  a'  compratori,  e  per  quel  suo  ei-oico  star  duro  contro  ogni 
ragi<Hiamento  incontrario.  Gli  animi  già  propensi  erano  ora  ancor  più 
innamorati  dalla  fiducia  animosa  del  veecliio  che,  senza  guardie,  senza 
apparato,  veniva  cosi  a  trovare,  ad  affrontare  una  niollilndinc  irri- 
tata e  procellosa.  Faceva  poi  un  elTetto  mirabile  il  sentire  che  veniva 
a  condurre  in  prigione  il  vicario  :  così  il  furore  contro  costui,  i-hè  si 


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100  1  PROMESSI  SPOSI 

$areU>e  scatenalo  peggio,  chi  l'avesse  preso  con  ìv  brusche,  e  non  gli 
avesse  voluto  conceder  nulla,  ora,  con  quella  promessa  di  soddisla- 
zjone,  con  quell'osso  in  bocca,  s'acquie(a\'a  un  poco,  e  dava  luogo  ag^ 
altri  opposti  sentimenti,  che  sorgevano  in  una  gran  parte  degli  animi. 
I  partigiani  della  pace,  ripreso  (iato,  secondavano  Ferrer  in  cento 
maniere  :  quelli  che  si  trovavan  vicini  a  lui ,  ceeilando  e  rieccilando 
col  loro  il  pubblico  applauso,  e  cercando  insieme  dì  far  ritirare  la 
gente,  per  aprire  il  passo  alla  carrozza;  gli  altri,  applaudendo,  ripe- 
tendo e  facendo  passare  le  sue  parole,  o  quette  che  a  lor  parevano  le 
migliori  che  potesse  dire,  dando  sulla  voce  ai  furiosi  ostinali,  e  rìviA- 
gendo  contro  di  loro  la  nuova  passione  della  mobile  adunanza.  «  Chi 
è  che  non  vuole  che  si  dica  :  viva  Ferrer  ?  Tu  non  vorresti  eh ,  che 
il  pane  fosse  a  buon  mercato  ?  Son  birboni  che-  non  vogliono  una 
giustizia  da  crìsiiani:  e  c'è  di  quelli  ohe  schiamazzano  più  defili  altri, 
per  fare  scappare  il  vicario.  In  prigione  il  vicario!  Viva  Ferrerl  Lai^ 
a  Ferrer!  »  E  crescendo  sempre  più  quelli  clic  parla^an  cosi,  s'an- 
dava a  proporzione  abbassando  la  baldanza  delia  parte  contraria;  di 
maniera  che  i  primi  dal  predicare  vennero  anche  a  dar  sulle  mani 
a  quelli  che  diroccavano  ancora,  a  cacciarli  indietro,  a  le^'ar  loro 
dall'  unghie    gli    ordigni.  Questi    fremevano ,  minacciavano    anche , 


cercavan  di  rifarsi;  ma  la  causa  del  sangue  eia  perduta:  il  grido  die 
predominava  era:  prigione,  giustizia,  Ferrer!  Dopo  un  po'  di  dibat- 
timento, coloro  furon  respinti:  gli  altri  s' impadroniron  della  porta, 


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CAPITOLO  XIII.  sei 

e  per  tenerla  difesa  da  nuovi  assalti,  e  per  prepararvi  l'adilo  a  Ferrei-; 
e  alcuno  di  essi,  mandando  dentro  una  voce  a  quelli  di  casa,  (fessure 
non  ne  mancava)  gli  avvisò  che  arrivava  soccorso,  e  che  facessero  star 
pronto  il  vicario,  «  per  andar  subito....  in  prigione:  ehm,  avole  inleso?» 

H  É  quel  Perrer  che  aiuta  a  far  le  gride?  »  domandò  a  un  nuovo 
vicino  il  nostro  Renzo ,  che  si  rammentò  del  vidit  Ferrei-  che  il  dot- 
tore gli  aveva  gridato  all'orecchio,  facendoglielo  ^ edere  in  fondo  ili 
quella  tale. 

«  Gàh:  il  gran  cancdliere  <•.  gli  fu  risposto. 

1  É  un  gal^uituomo,  n'  e  vero?  » 

«  Eccome  se  è  un  galantuomo!  è  quello  die  avc^a  messo  il  |>iiiic 
a  buon  mercato  ;  e  gli  altri  non  hanno  voluto  ;  e  ora  \  iene  a  con- 
durre in  prigione  il  vicario,  che  non  ha  fatto  le  cose  giuste.  » 

Non  b  bisogno  di  dire  che  Renzo  fu  subito  per  Fcrrcr.  Vdie  an- 
dargli incontro  addirittura:  la  cosa  non  era  facile;  ma  con  certe  sue 
spinte  e  gomitate  da  alpigiano ,  riusci  a  far^  far  largo .  e  a  arri\'arc 
in  prima  ffla,  proprio  di  fianco  alla  carrozza. 

Era  questa  già  im  po'  in<dlrala  nella  folla;  e  in  quel  momento  slava 
ferma,  per  uno  di  quegl'ineagli  inevitabili  e  frequenti,  in  un'andata 
di  quella  sorte.  Il  vecdiio  Ferrer  presentava  ora  all'uno,  ora  all'altro 
sportello,  un  viso  lutto  umile,  tutto  ridente,  tulio  amoroso,  un  viso 
cbc  aveva  tenuto  sempre  ìn  serbo  per  quando  si  trovasse  alla  presenza 
di  don  Filippo  IV;  ma  fu  costretto  a  spenderlo  anche  in  quesl'occa- 
»one.  Pariava  anche;  ma  il  diiasso  e  il  ronzio  di  tante  voci,  gli  ev- 
viva stessi  che  si  facevano  a  Ini ,  lasciavano  ben  poco  e  a  ben  pochi 
sentir  le  sue  parole.  S'aiutava  dunque  co' gesti,  ora  mettendo  la  punta 
ddle  mani  sulle  labbra,  a  prendere  un  bacio  che  le  mani,  separan- 
dosi subito,  distribuivano  a  destra  e  a  sinistra  in  ringraziamento  alla 
pubblica  benevolenza;  ora  stendendole  e  movendole  lentamente  fuori 
d'uno  sportello,  per  diiedere  un  po'  di  luogo;  ora  abbassandole  gar- 
batamente, per  chiedere  un  po'  di  silenzio.  Quando  n'aveva  ottenuto 
UD  poco,  i  più  vicini  sentivano  e  ripetevano  le  sue  parole:  "  pane, 
abb(HndaDza:  vengo  a  far  gìuslizia:  un  po'  di  luogo  di  grazia.  »  So- 
praflatto  poi  e  come  soffogato  dal  fracasso  di  tante  voci ,  dalla  vista 
di  tanti  via  Qtti,  di  lant' occhi  addosso  a  lui,  si  tirava  indietro  un  mo- 
mento,  gonfiava  le  gote ,  mandava  mi  gran  solito,  e  diceva  tra  sé: 
—  por  mi  Vida,  que  de  gente!  — 

«  Viva  Ferrer!  Non  abbia  paura.  Ia-ì  ò  un  galantuomo.  Pane,  pane!» 


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1  fHOUESSI  Sfusi 


I  Sì;  [laiiP,  liane,  "   lispotideta  Ferrei*:  u  ubboiHlaiiza;  lo  |ii'onicMa 
n  e  niellevH  la  mano  al  pello. 


1 1 

I  ! 


u  Un  po'  di  luogo,  »  aggiungeva  subito:  «  vengo  per  condurio  in 
prigione,  per  dargli  il  giusto  gastigo  che  si  merita:  »  e  soggiungeva 
sottovoce  :  u  SI  es  culpable.  »  Chinandosi  poi  innanzi  verso  il  coc- 
cliiere,  gli  diceva  in  fretta:  «  adelante,  Pèdro,  si  puedes.  " 

Il  cocchiere  sorrideva  anche  lui  alla  moltitudine,  con  una  grazia  af- 
fettuosa ,  come  se  fosse  stalo  un  gran  personaggio  ;  e  con  un  garbo 
ineffabile,  dimenava  adagio  adagio  la  frusta,  a  destra  e  a  sinistra,  per 
chiedere  agl'incwnodi  vicini  che  si  rìsiringessero  e  si  ritirassera  un 
poco.  «Di  grazia,  «  diceva  anche  lui,  »  signori  miei,  un  po'  di  luogo. 
un  pochino;  appena  appena  da  poter  |>assare.  « 

Intanto  i  benevoli  più  attivi  s' adopra^'ano  a  far  fare  il  lu(^o  chie- 
sto cosi  gentilmente.  Alcuni  davanti  ai  cavalli  facevano  ritirar  le  per- 
sone, con  buone  parole,  con  un  mettere  ie  mani  sui  pelli,  con  cei'l»' 


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CAPITOLO  Xtll.  iiGS 

spinte  soavi:  «  in  là,  vi:i,  un  )>o'  di  luogo,  signori;  »  alcuni  facevan 
lo  stesso  dulie  due  parli  della  carrozza,  perchè  potesse  passare  senza 
arrotar  piedi,  né  aniinaccar  oioslacd  ;  che,  oltre  il  male  delle  persone, 
sarebbe  stato  porre  a  un  gran  repentaglio  l' auge  d"  Antonio  Ferrer. 
Renzo,  dopo  essere  sialo  qualche  momento  a  vagheggiare  quella 
ikcorosa  vecchiezza,  conturbala  un  po'  dall'angustia,  aggravata  dalla 
latita  ,  ma  animata  dalla  sollecitudine ,  abbellita ,  per  dir  cosi ,  dalla 
speranza  di  togliere  un  uomo  all'angosce  mortali,  Renzo,  dico,  mise 
da  |>arle  t^ni  pefìsiero  d'andarsene;  e  si  l'isolvette  d'aiutare  Ferrer, 
e  di  non  abbandonarlo,  tin  che  non  fosse  ottenuto  l'intento.  Detto 
fatto,  si  mise  con  gli  altri  a  far  far  largo;  e  non  era  cerio  de'  meno 


aitivi.  D  largo  si  fece;  «  venite  pure  avanti,  »  diceva  più  d'uno  al 
cocchiere,  ritirandosi  o  andando  a  fargli  un  po'  di  strada  più  innanzi. 
"Jdelante,  presto,  eoa  juicio,"  gli  disse  anche  il  padrone;  e  la  car- 
rozza si  mosse.  Ferrer,  in  mezzo  ai  saluti  che  scialacquava  al  pubUico 
in  massa,  ne  faceva  certi  partictdari  di  ringraziamento,  con  un  sorrìso 
d'intelligenza;  a  quelli  che  vedeva  adoprarsi  per  lui:  e  dì  questi  sorrisi 
ne  toccò  più  d'uno  a  Renzo,  il  quale  per  verità  se  li  meritava,  e  serviva' 
in  quel  giorno  il  gran  cancelliere  meglio  che  non  avrebbe  potuto  fare  il 
più  bravo  de'  suoi  segretari.  Al  giovane  montanaro  invaghito  di  quella 
buona  grazia,  pareva  quasi  d'aver  fatto  amicìzia  con  Antonio  Ferrer: 
La  carrozza,  una  volta  incamminata,  seguitò  poi,  più  o  meno  adagiò, 
e  non  senza  qualche  altra  fermalina.  Il  tragitto  non  era  forse  più  che 
un  tiro  di  schioppo;  ma  riguardo  al  tempo  impiegatovi,  avrebbe  po- 
tuto parere  un  viaggetto,  anche  a  chi  non  avesse  avuto  la  santa  fretta 


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SOI  1  pRouessi  SPOSI 

(li  Ferrcr.  La  gente  si  moveva,  davanti  e  di  dietro,  a  destra  e  a  sini- 
slra  della  carrozza,  a  guisa  di  cavalloni  intorno  a  nna  nave  che  avanza 
nel  forte  della  tempesta.  Piti  aculo,  più  scordato,  più  assordante  di 
quello  della  tempesta  era  il  bastono.  Ferrer,  guardando  ora  da  una 
parte,  ora  dall'altra;  atte^andosi  e  gestendo  insieme ,  cercava  d'in- 
tender qualche  cosa,  per  accomodar  le  risposte  al  bìst^no;  voleva  far 
alla  meglio  un  po'  di  dialogo  con  quella  brigala  d'  amici;  ma  la  cosa 
era  difficile,  la  più  diOìcile  Torse  che  gli  fosse  ancora  capitata,  in  tan- 
l'anni  di  grao-caiicellierato.  Ogni  tanto  però,  qualdie  parola,  anche 
qualche  frase,  ripetuta  da  un  crocchio  nel  sud  passaggio,  gli  si  faceva 
sentire,  come  lo  scoppio  d'un  razzo  più  forte  si  fa  sentire  nell' im- 
menso scoppieltio  d'  un  fuoco  artiiiziale.  E  lui,  ora  ingegnandosi  di 
rispondere  in  modo  soddisfacente  a  queste  grida,  ora  dicendo  a  buon 
coido  le  parole  che  sapeva  dover  esser  più  accette,  o  die  qualche  ne- 
cessità istaittauea  |«ireva  rieliiedere,  parlò  anche  lui  per  tutta  la  slrada. 
"  Si,  signori;  pane,  abbondanza.  Lo  condurrò  io  in  prigione:  sarà 
gasligato...  si  e»  niìpable.  Si,  si,  comanderò  Ìo:  il  paiie  a  buon  mer- 
cato. Àti  es....  cosi  è,  voglio  dire:  il  re  nostro  signore  non  vu*Ac 
che  codesti  fedelissimi  vassalli  patisean  la  fame,  Ox!  ox!  gum-doot: 
non  sì  facciano  male,  signori.  J^droj  adelante  con  juicio.  Abbondanza, 
abbondanza.  Un  pò*  di  luogo,  per  carila.  Pane,  pane.  In  prigione,  in 
prigione.  Cosa?  »  domandava  poi  a  uno  che  s'era  buttalo  mezzo  den- 
tro lo  s|>ort6llo,  a  urlargli  qualche  suo  consiglio  o  preghiera  0  applauso 
che  fosse.  Ma  costui ,  senza  poter  neppure  ricevere  il  "  cosa?  «,  era 
siato  (irato,  indietro  da  uno  che  lo  vedeva  lì  li  per  essere  scliiacciato 
da  una  rota.  Con  queiste  botte  e  risposte,  tra  le  incessanti  acclanuzioni, 
tra  qualche . fremito  anclie  d'opposizione,  che  si  faceva  sentire  qua  e 
là, niaci?» subilo  soffogalo,  ecco  alla  fine  Ferra-  arrivato  alla  casa,  per 
opera  principalmeìite  di  que'  biioni  ausiliari, 

'■  Gli  altri  .che,' c(Hne  abtaam  dello,  eran  già  li  con  le  medesiine 
buòne  infenuoii!,  avcvaoio  intanto  làwrato  a  fare  e  a  riferì  un  po'  di 
pìaSEè.  Fréga,  esorta^  minaccia;'pigia,,rìpigìa,  iocìdza  'di  qua  e;  di  là, 
eóii.quel  raddoppiare  di  voglia,  e  coìi  quel  rinnovamento  di  forze  che 
vienedal  veder  vicino  il  fine  desiderato;  g)i  era  finalmenle  i-ìusdlo  di 
tlividcr  la  calca  in  due,  e  poi  di  spìngere  indietro  le  duccaldie;  tanto 
che,  tra  la  porta  e  La  carrozza,  che  vi  sì  fermò  davanti,  v'era  un 
piccolo  spazio  voto.  Renzo,  che,  facendo  un  jio'  da  battistrada,  mi  {to' 
da  scorta,  era  arrivato  con  la  carrozza,  potè  collocarsi  in  una  di  qiidle 


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CAPITOLO  XIII.  tOJ 

flue  fl'oiilìcrc  di  bciie\uli,  che  facevano,  nello  slcsso  (viii|>o,  ala  alla 
earrozza  e  argine  alle  due  onde  |>reinenli  di  popolo.  E  ainlan<1o  a  ral- 
leiieriie  una  con  le  pmlerose  sue  8|>aHe,  si  (rovo  anche  in  nn  Ih;I  posto 
per  poter  vedere. 

Ferrer  mise  nn  gran  respiro,  quando  vide  (|uella  piazzetta  Utiera,  r 
la  porla  ancor  chiusa.  Chiusa  qui  vuol  dire  non  aperta;  del  resto  i 
gangheri  eran  quasi  seontìceati  fuor  de'  pilastri:  t  battenli  scheggiati, 
ammaccali,  sforzati  e  scombaciati  nel  mezzo  lasciavano  vedei-  fuori  da 
un  largo  spiraglio  un  jwzzo  di  catenaccio  storto,  allentalo,  e  quasi  di  ■ 
\ello,  che,  se  vogliam  dir  cosi,  li  teneva  insieme.  Un  galantuomo  s'era 
alTaeciato  a  quel  fesso,  a  gridar  che  aprissero;  un  alti-o  spalanetV  in 
frella  lo  sportello  della  carrozza; -il  vecchio  mise  fuori  la  testa, s'alzò, 
e  afferrando  con  la  deslm  il  braccio  di  quel  galantuomo,  usci,  e  scese 
sul  predellino. 


La  folla,  da  una  parie  e  dall'allra,  slava  lulla  in  puiila  di  piedi 
per  veliere:  mille  visi,  mille  barbe  in  aria:  la  curiosità  e  l'altenzione 
generale  creò  un  momento  di  generale  silenzio.  Fcrrér,  fermatcHi  quel 


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SOfl  I  PflOMESSI  SPOSI 

monieiiio  sul  itrcdellìno ,  diede  un'occhiaia  in  giro,  saluU^  con  un  in- 
eliino  la  molliludine,  come  da  un  pidpilo,c  messa  la  mano  sinislra  al 
petto,  gridò:  "  pane  e  giustìzia;  "  e  franco,  diritto,  togato,  scese  iii 
terra,  Ira  l'acclamazioni  che  andavano  alle  stelle. 

Intanto  quelli  di  dentro  avevano  aperto,  ossia  avevan  lìiiito  d'aprire, 
tirando  via  il  catenaccio  insieme  con  gli  anelli  già  mcui  sconliccati,  e 
ailai^ndo  Io  spiraglio,  appena  quanto  bastava  per  fare  entrare  il  de- 
sideralissimo  ospile.  "  Presto,  presto,  »  diceva  lui:  "  aprite  bene, 
ch'io  possa  entrare:  e  voi,  da  bravi,  tenete  indietro  la  gente;  non 
mi  lasciale  venire  addosso...  per  l'amor  del  ciek>!  Seriale  un  po'  di 
lai^  per  tra  poco. . . .  Ehi  !  chi!  signori,  un  miHnenlo,  »  diceva  poi 
ancora  a  quelli  di  dentro:  u  adagio  con  quel  battente,  lasciatemi  pas- 
sare: eh!  le  mie  costole;  vi  raanmaodo  le  mie  costile.  Chiudete  ora: 
no;  eh!  eh!  la  toga!  la  toga!  n  Sarebbe  in  fatti  rimasta  presa  tra  i  bat- 
tenti, se  Ferrer  nwi  n'avesse  ritirato  con  molta  disinvoltura  lo  slrn- 
scico,  che  disparve  come  la  coda  d'ima  serpe,  che  si  rìmbuca  inseguii». 

Riaccostati  i  battenti,  furono  anche  riappuntellati  alla  meglio.  Di 
fuori,  quelli  che  s'eran  coslituiti  guardia  del  corpo  di  Ferrer,  lavora- 
vano di  spalle,  di  braccia,  e  di  grida,  a  mantener  la  piazza  vota, 
pregando  in  cuor  loro  che  il  Signore  lo  facesse  far  presto. 

1  Presto,  presto,  »  diceva  anche  lui  di  dentro,  sotto  il  portico,  ai 
servitori,  che  gli  sì  eran  mes^  intorno  ansanti,  gridando:  "  sì»  bene- 
detto! ab  eccellenza!  oh  eccellenza!  uh  eccellenza!  n 

u  Pfeslo,  presto,  n  ripeteva  Ferrer:  «  dov'è  questo  bencdelt'uomo?  ^ 

n  \'ieario  scendeva  le  scale,  mezzo  slrasdcato  e  mezzo  portalo  da 
alti-i  suoi  servitori ,  bianco  come  un  panno  lavalo.  Quando  vide  il  suo 
aiuto,  mise  un  gran  respiro;  gli  tornò  il  polso,  gli  scorse  un  po'  di 
vita  nelle  gambe,  un  po'  di  colore  sidle  gote;  e  corse,  come  potè. 
verso  Ferrer,  dicendo:  «  sono  nelle  mani  di  Dio  e  di  vostra  eccel- 
lenza. Ma  come  uscir  di  qui  ?  Per  tutto  c'è  gente  che  mi  vurA  mwto.  « 

u  Veìxga  usted  conmù/o,  e  si  faccia  ooraj^io:  qui  fuori  c'è  la  mia 
carrozza;  presto,  presto.  "  Lo  prese  per  la  mano  e  lo  condusse  verso 
la  porta;  facendogli  corallo  tuttavia;  ma  diceva  intanto  tra  sé:  —  at^ii 
està  el  butilis;  Dio»  nos  valga!  — 

La  porta  s'apre;  Ferrer  esce  il  primo;  l'altro  dietro,  rannicchiato, 
attaccato,  incollalo  alla  toga  salvatrice,  come  un  l>ambino  alla  sottanii 
della  mamma.  Quelli  che  avevan  mantenuta  la  piazza  vola,  fanno  ora, 
con  mi  alzar  di  mani,  di  cappelli,  come  una  rete,  una  nuvola,  per 


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CAPITOLO  XIII.  9«7 

soUraire  alla  vista  pericolosa  della  ni(rililudiiie  il  vivano;  il  qiuilc  ciitra 
H  primo  nella  carrozza ,  e  vi  si  rimpialla  in  un  angolo.  Ferrei-  sale 
dopo  ;  io  sportello  vieii  chiuso.  La  mollitudine  \  ide  in  confuso,  riscp|>e, 
indovinò  quel  eh'  era  aifadulo-;  e  niandó  un  m'Io  d' applausi  e  d' ini- 
lirerazìoni. 

La  parte  della  strada  die  'Hmaneva  da  farsi,  |>o(eva  parer  la  pili 
diflldle  e  la  più  pericolosa.  Ma  il  voto  pubblico  era  aUiaslanza  spiegalo 
per  lasciar  andare  in  prigione  il  vicario  ;  e  nel  tempo  della  fermala , 
molli  di  quelli  che  avevano  agevolalo  l'arrivo  di  Ferrer,  s'eran  lanlo 
ingegnati  a  preparare  e  a  mantener  come  una  corsia  nel  mezzo  della 
folla,  che  la  carrozza  potò,  questa  seconda  volla,  andare  un  po'  più  le- 
sta, e  di  seguito.  Di  mano  in  mano  clic  s'avanzava,  le  due  folle  ratte- 
nutc  dalle  |>ar(i,  si  ricadevano  attdosso  e  sì  rimischiavano,  dietro  a  quella. 

Ferrer,  appena  seduto,  s'era  chinalo  per  avvertire  il  vicario,  clic 
slesse  ben  rìneanliicciato  nel  fondo,  e  non  sì  facesse  vetlerc,  per  l'amor 
del  cielo;  ma  l'avverlimento  era  superfluo.  Luì,  in  vece,  bisognava 
che  si  facesse  vedere,  per  oceu|iare  e  attirare  a  sé  tutta  l'attenzione 
dd  pubblico.  E  |>cr  tutta  quesla  gita,  come  nella  prima,  fece  al  mu- 
tabile uditorio  un  discorso,  il  pili  continuo  nel  tempo,  e  il  più  scon- 
nesso nel  senso  che  fosse  mai;  interrompendolo  però  ogni  tanto  con 
t|ualclie  parolina  spagnola,  clic  in  frella  in  frettasi  voltava  a  bisbigliar 
neir  orecchio  del  suo  acquattato  compagno,  u  Si,  signori  ;  pane  e  giu- 
stizia: in  castello,  in  prigione,  solfo  la  mia  guardia.  Grazie,  graEie, 
grazie  tante.  No,  no:  non  iscapperà!  /^r  ablandarlot.  È  troppo  giu- 
sto; s'esaminerà,  si  vedrà.  Anch'io  voglio  bene  a  lor  signori.  Dn  ga- 
stigo  severo.  Esto  lo  dtgo  por  su  bien.  Una  meta  ^usla,  una  mela 
onesta,  e  gastigo  a^ì  aflamatori.  Si  tirìn  da  parte,  di  grazia.  Si,  sì; 
io  sono  un  galantuomo,  amico  del  popolo.  Sarà  gastigato:  è  vero,  e 
un  birbante,  uno  scdleralo.  Perdane ,  nsted.  la  passerà  male,  la  pas- 
serà male »i  e$  culpa/ile.  Sì,  sì,  li  faremo  rigar  diritto  i  fornai. 

Vi\a  il  re,  e  i  buoni  milanesi,  suoi  fedelissimi  vassalli!  Sia  fresco,  sta 
fresco.  Amtno;  estaiiws  ya  quasi  fuera.  » 

Avevano  in  falli  attraversala  la  maf^ior  ealca,  e  già  eran  vicini 
a  uscir  al  largo,  dd  lutto.  Lì  Ferrer,  mentre  cominciava  a  dare  un 
po'  di  riposo  a'  suoi  polmoni,  vide  il  soccorso  di  Pisa,  que'  soldali 
spagnoli ,  che  però  sulla  fine  non  erano  siali  affatto  inutili ,  giacche 
sostenuti  e  diretti  da  qualche  ciltadino,  avevano  cooperalo  a  mandare 
in  pace  un  |to'  di  gente,  e  a  tenere  il  |)asso  lil)«-o  all'ultima  uscita. 


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«ea  I  PROMESSI  SPOSI 

All' arrivar  della  can'ozza,  fecero  ala,  e  preseiituron  Tarme  al  gran 
cancelliei'e ,  il  quale  fece  anche  qui  un  salufo  a  destra,  un  saluto  a 
siiiialra;  e  all' ufizJale ,  che  venne  più  vicino  a  far^ì  il  suo,  disse,  ac- 
compagnando le  parole  con  un  cenno  della  destra:  ubem  a  uilèd  lai 
manog:  »  prole  che  l'iillziale  intese  per  quel  che  volevano  dir  real- 
mente, àoò.:  m'avete  dato  Un,  bell'aiuto^  In  risposta ,' fece  un  aliro 
saluto ,  e  si  rislrinsc  nelle  spaUe.  Era  veramente  il  caso  di  dire  :  ce- 
dant  arma  togae  j  .TUB  .Ferrar  non  aveva  in  quel  momento  la  testa  a 
citazioni:  e  del  resto  earel^iero  stale  parole  Lutiate  vìa,  perehè  fuR- 
ziale  non  intendeva  il  Ialino. 

A  Pedro,  nel  passar  tra  quelle  due  file  di  michelelli,  tra  que'  mo- 
schetli  cosi  ris|>eUosamente  alzati ,  gli  tornò  in  petto  il  cuore  antico. 
Si  riebbe  afiatlo  dallo  sLalor^menlo,  si  raiiimenlò  chi  era,  e  ebi  eon- 
dueeva;  e  ^dando:  u  ohe!  ohe!  «  senz'aggiunta  d'altre  cerimonie, 
alla  gente  ormai  rada  abbastanza  per  poter  esser  trattala  cosi,  e  ^er- 
zando  i  cavalli,  fece  loro  prender  la  rincorsa  verso  il  castello. 

a  Levantese,  levantetej  eitdmos  ya  fuera  ,  "  disse  Ferrer  al  vica- 
rio ;  il  quale,  ras»curalo  dal  cessar  delle  ^da,  e  dal  rapido  moto  della 
carrozza,  e  da  quelle  parole,  si  svdse,  si  sgruppò,  s'alzò;  e  riavute»! 
alquant»,  cominciò  a  render  grazie,  grazie  e  graue  al  suo. liberatore. 
Questi,  dopo  essersi  condoluto  con  luì  <lel  perìcolo  e  rallegrato  della 
salvezza:  «  ah  !  ^  esclamò,  ballendo  la  mano  sulla  sua  zucca  monda, 
«  ^e  dii-à  de  etto  su  excefenciaj  die  ha  già  tanto  la  luna  a  rovescio, 
per  quel  maledetto  Casale,  che  non  vuole  arrendere?  Que  dirà  el  amóe 
duqvfj  che  piglia  ombra  se  una  foglia  fa  più  rimiore  del  soIHo?  Que 
dirà  el  rey  nue$lro  letiorj  che  pur  qualche  cosa  bisognerà. che  venga 
a  risapere  d'un  fracasso  cosi?  E  sarà  poi  finito?  Dios  lo  sabe.  » 

"  Ah!  per  me,  non  v<^io  più  intpioeiamiene,  n  diceva  il  vicario: 
e  me  ne  chiamo  fuori;  rassegno  la  mia  carica  nelle  mani  di  vostra  ec-: 
cellenia,  e  vo  a  vivere  in  una  grotta,  sur  una  monlagna ,  a  far  l'e- 
remita, lontano,  lontano  da  questa  genie  bestiale.  » 

«  Utled  farà  quello  che  sarà  più  conveniente  por  el  seroicio  de  m 
magestadj  n  rispose  gravemente  il  gran  cancelliere. 

"  Sua  maestà  non  vorrà  la  mia  morie,  »  replicava  il  vicai-io  :  «  in 
una  grotta,  in  una  grotta;  lontano  da  costoro.  » 

Ole  avvenisse  poi  di  questo  suo  prepeiiimento  non  io  dice  il  no- 
Siro  autore,  il  quale,  dopo  avere  accompagnalo  il  pover'uonìo  in  ca- 
stello, non  fa  più  menzione  de'  falli  suoi. 


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CAPITOLO  XIV. 


Mia    l'intarsia    iiidieiro 
cominciò  a  sbandarsi,  a 
diramarsi  a  destra  e  a 
!>inis(ra,  per  qiiesla  e 
per  quella  strada.  Chi 
andava  a  casa,  a  accu- 
dire anche  alle  sue  fac- 
cende; vili  s'allontana- 
va, per  respirare  un  po'  al  largo,  dopo  tante  ore  di  stretta;  chi,  in 
cerca  d'amici,  per  ciarlare  de' gran  fatti  della  giornata.  Lo  slesso 
Romberò  s'andava  facendo  dall'altro  ^micco  della  strada,  nella  quale 
ta  genie  restò  abbastanza  rada  perchè  qud  drappello  di  spagnoli  po- 
tesse ,  senza  trovar  resistenza ,  avanzarsi ,  e  postarsi  alla  casa  del  vi- 
cario. Accosto  a  quella  stava  ancor  condensato  ti  fondaccio ,  per  dir 
cosi,  del  tumulto;  un  branco  di  birboni,  che  malcontenti  d'una  line 


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ITO  I   PROMESSI  SPOSI 

rosi  fredda  e  cosi  iinperfclta  d'uii  così  grand' apparalo,  parie  broiilo- 
la\'aiio,  parfv  beslemniìavano,  parte  lenevan  consiglio,  per  veder  $e 
rgiialohe  cosa  si  potesse  aneora  intraprendere  ;  e,  conie  per  provare, 
andavano  iirlacchìando  e  pigiando  quella  po\'era  porla ,  eli'  era  slata 
di  nuovo  appuntellala  alla  meglio.  All'  arrivar  del  drappello,  tulli  co- 
loro, chi  diritto  diritto,  eli)  baloccandosi,  e  come  a  slento,  se  n'an- 
darono dalla. parte  opposta,  lasciando  il  campo  libero  a' soldati,  che 
lo  presero,  e  vi  si  postarono,  a  guardia  della  casa  e  della  strada.  Mji 
tulle  le  strade  del  coiilorno  erano  seminate  di  crocchi  :  ào\e  t' e- 
ran  due  o  (re  |>ersone  ferme,  se  ne  fermavano  tre,  quattro,  venti 
altre:  qui  qualcheduno  si  staccava;  là  lutto  un  erocchio  si  moveva 
insieme  :  era  come  quella  nuvolaglia  die  lalvolla  rimane  sparsa ,  e 
gira  per  l'azzurro  del  cielo,  dopo  una  burrasca;  e  fa  dire  a  chi 
guarda  in  su  :  questo  tempo  non  è  rimesso  bene.  Pensate  poi  die 
iKtbilonia  di  discorsi.  Chi  raccontava  con  enfasi  i  casi  particolari  cdtc 
aveva  visti;  ehi  raccontava  ciò  che  lui  slesso  aveva  fatto;  chi  si  ralle- 
grala che  la  cosa  fosse  finita  bene,  e  lodava  Ferrei",  e  p^onoslica^a 
guai  seri  per  il  vicario;  chi,  sghignazzando,  diceva:  "  non  abbiate 
paura,  che  non  l'ammazzeranno:  il  lupo  non  mangia  la  carne  del 


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CAPITOLO  XIT.  Ila 

lupo  ;  »  dii  più  sitzzosameiile  mormorava  che  non  s'  cran  falle  le 
eose  a  dovere,  eli' era  un  inganno,  e  eh'  era  slafa  una  pazzia  il  far 
tanto  chiasso,  per  lasciarsi  poi  canzonare  in  quella  maniera. 

Intanto  il  sole  era  andato  sotto  ,  le  cose  divcnlavan  tutte  d'  un  co- 
lore;  e  molli,  stanchi  della  giornata  e  annoiati  di  ciarìare  al  buio, 
tornavano  verso  casa.  Il  nostro  giovine,  dopo  avere  aiutato  il  passag- 
gio della  carrozza,  finché  e'  era  slato  bisogno  d'  aiuto,  e  esser  passalo 
inebe  lui  dietro  a  quella,  Ira  le  file  de' soldati ,  come  in  trionfo,  si 
rallegrò  quando  la  vide  correr  liberamente,  e  fuor  di  pericolo;  fece 
un  po' di  strada  con  la  folla,  e  n'  usci,  alla  prima  cantonata,  per  re- 
spirare anclie  lui  un  po'  liberamente.  Fallo  eh'  ebbe  pochi  passi  al 
lar)[o,  in  mezzo  all' agitazione  di  Unti  sentimenti,  di  tante  immagini, 
recenti  e  confuse,  senti  un  gran  bisogno  di  mangiare  e  di  rijiosarsi; 
e  cominciò  a  guardare  in  su,  da  una  parte  e  dall'altra,  cercando  un' 
insegna  d'osteria;  giacché,  per  andare  al  convento  de' cappuccini,  ei-a 
troppo  tardi.  Camminando  cosi  con  la  lesta  per  aria,  si  trovò  a  ri- 
dosso a  un  crocchio;  e  feruialosì,  sentì  clic  vi  dìscorrevan  di  conget- 
ture ,  di  disegni ,  per  il  giorno  dopo.  Stato  un  momento  a  sentire, 
non  potè  tenersi  di  non  dire  anche  lui  la  sua;  parendogli  clic  potesse 
senza  presunzione  proporre  qualche  cosa  chi  aveva  fatto  lauto.  E 
persuaso,  per  tulio  ciò  che  aveva  visto  in  quel  giorno,  che  ormai , 
per  mandare  a  effetto  una  cosa ,  bastasse  forta  entrare  in  grazia  a 
quelli  die  giravano  per  le  strade,  »  signori  miei  !  »  gridò,  in  tono 
d'esordio  :  «  devo  dire  anch'  io  il  mio  debol  parere  ?  Il  mio  debol 
parei-e  é  questo:  che  non  è  solamente  nell'affare  del  itane  che  si  fanno 
delle  bricconerie:  e  giacché  oggi  s'è  visto  chiaro  che,  a  farsi  sentire, 
s' otlicne  quel  che  è  giusto  ;  bisogna  andar  avanti  cosi ,  fin  die  non 
si  sia  messo  rimedio  a  tulle  quelle  altre  scelleratezze  e  ohe  il  mondo 
vada  un  po' più  da  cristiani.  Non  è  vero,  signori  miei,  che  c'è  una 
nano  di  tiranni ,  che  bnno  proprio  al  rovescio  de'  dieci  comanda- 
menli ,  e  vanno  a  cercar  la  gente  quieta,  clic  non  pensa  a  loro,  per 
farle  ogni  male,  e  poi  hanno  sempre  ragiwie?  anzi  quando  ii'  hanno 
fatta  una  più  grossa  del  solilo,  camminano  con  la  testa  più  alta,  clic 
par  cbe  gli  s' abbia  a  rifare  il  resto  ?  Già  andie  in  Milano  ce  ne 
dev'  essere  la  sua  parte.  » 

"  Pur  troppo ,  "  disse  una  voce. 

"  Lo  dicevo  io,  »  riprese  Renzo:  "già  le  storie  si  raccontano  an- 
ebe  da  noi.  E  poi  la  cosa  parla  da  sé.  Mettiamo ,  |»er  esempio ,  che 


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1T3  I  PROuessi  SPOSI 

ijualvheduim  <li  costoro  che  voglio  dir  io  sliii  un  po'  in  (!a»i|>agna, 
un  po'  in  Milano  :  »c  «  un  diavolo  là ,  non  ^'o^ril  esser  un  angiolo 
qui  ;  ini  pare.  Dunque  mi  dicano  un  poco ,  siignori  miei ,  se  lianno 
inai  vislo  uno  di  questi  col  muxo  aW  inferriata.  E  quel  che  è  peggio 
(e  questo  lo  posso  dir  io  di  sicuro),  è  che  le  gride  ci  sono,  stampale, 
per  gasligarli  :  e  non  già  gride  senza  costrutto  ;  fatte  benissimo ,  clw 
noi  non  potremmo  trovar  niente  di  meglio  ;  ci  son  nominale  le  bri(y 
eonerie  chiare,  proprio  come  succedono;  e  a  ciascheduna,  il  suo  buon 
gastigo.  E  dice:  sia  chi  sì  sia,  vili  e  plebei,  e  che  so  io.  Ora,  andate 
a  dire  ai  dottori,  scribi  e  fari>iei ,  che  vi  Tacciano  far  giustizia,  se- 
condo che  canta  la  grida  :  vi  danno  retta  come  il  papa  ai  furfanti  : 
cose  da  far  girare  il  cervello  a  qualunque  galantuomo.  9t  vede  dun- 
que chiaramente  che  il  re,  e  quelli  che  comandano,  vorrebbero  che  i 
birb(Nii  fossero  gastigali;  ma  non  se  ne  fa  nulla,  perchè  e' è  nna  lega. 


Dunque  bisogna  romperla;  bisogna  andar  domatlina  da  Ferrer,  the 
quello  è  un  galantuomo,  un  signore  alla  mano;  e  oggi  s'è  potuto  ve- 
dere cwn'era  contento  di  trovarsi  con  la  povera  gente,  e  come  cer- 
cava di  sentir  le  ragioni  die  gli  venìvan  tietic ,  e  rispondeva  con 


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CAPITOLO  VIV.  173 

buma  grazia.  Bisogna  andar  tia  Ferrer,  e  dirgli  come  stannò  le  cose: 
e  io,  per  la  parte  mia,  gliene  posso  raccontar  delle  belle;  die  ho  vislu 
io,  co' miei  occhi,  una  grida  con  tanto  d'arme  in  cima,  ed  era  siala 
fatta  da  tre  di  quelli  che  possono ,  che  d'  oguuno  e'  era  sotto  il  suo 
nome  bell'e  stampalo,  e  uno  di  questi  nomi  era  Ferrer,  visto  da  me, 
co' miei  ocelli:  ora,  questa  grida  diceva  proprio  le  cose  giuste  per 
me;  e  un  dottore  al  quale  io  gli  illesi  che  dunque  mi  Tacesse  render 
giustizia,  com'era  l'intenzione  di  que'  Ire  signori,  tra  i  quali  c'era 
anche  Ferrer,  questo  signor  dollore,  che  m'aveva  latto  veder  la  grida 
luì  medesimo,  che  è  il  più  bello,  ah  !  ah  *  pareva  che  gti  dicessi  delle 
pazzie.  Son  sicuro  cite,  quando  quel  caro  vecchione  sentirà  queste 
belle  cose;  che  lui  non  le  può  saper  tulle,  specialmente  quelle 
«li  Tuori;  non  vorrà  più  che  il  mondo  vada  cosi,  e  ci  niellerà  un 
buon  rimedio.  E  poi,  anche  loro,  se  lanno  le  gride,  devono  aver 
piacere  che  s'ubbidisca:  che  è  anche  un  disprezzo,  un  pitafììo  col 
loro  nome,  contarlo  per  nulla.  E  se  i  pre|M>tciitÌ  non  vogliono  abbas- 
sar la  lesta,  e  fanno  il  pazzo,  siaiu  qui  noi  per  aiutarlo,  come  s'è 
fatto  oggi.  \on  dico  che  deva  andar  lui  in  giro,  in  carroilza,  ad  ac- 
chiappar tulli  1  birboni,  prepolenti  e  tiranni:  si;  ci  vorrebbe  l'arca 
di  Nqp.  Bi.sogna  che  lui  comandi  a  chi  tocca,  e  non  solamente  in  Mi- 
latW;,;  wa  per  (ulto,  che  faccia»  le  cose  conforme  dicon  te  gride;  e 
IWnupe  un  buon  processo  addosso  a  lutti  quelli  ohe  liann»  eom- 
messo  di  quelle  bricconerìe;  e  dove  dice  prigione,  prigione;  dove 
dice  galera,  galera;  e  dire  ai  podestà  che  faccian  davvcm;  se  no, 
Diaodarìi  a  spasso,  e  metterne  de'  meglio:  e  poi,  eeme  dico,  d  sa- 
remo awlte  noi  a  dare  una  mano.  E  ordinare  a'doltori'  che  stiano  a 
senfirn  i  poveri:  e  parlino  in  difesa  della  ragioue.  Dieo  bene,  signori 
miei;  ""  ■  ;:  ■ 

Renzo  aveva,  parlato  tunCo  di  cuore,  cbe,  fìn  dall'esordio,  una 
gran  parte' de'  radunali,  sospeso  ogni  altro  discorso,  s'era»  rivoltali 
a  lui;  e,  a  un  certo  punto,  lutti  erano  divenuti  suoi  uditori.  Un  grido 
confuso  d'applausi,  di  "bravo:  sicuro:  ha  ragione:  è  vero  pur  Irop- 
po,"  fu  come  la  risposta  <lcir  udienza.  Non  niancaron  però  i  critici, 
u  Eb  sì,  n  diceva  uno:  «ilar  retta  a'  montanari:  son  tutti  avvocati;» 
e  se  ne  andava.  «  Ora,  »  mormorava  un  altro,  «  ogni  scalzacane  vorrà 
dir  la  sua;  e  a  furia  dì  metter  carne  a  fuoco,  non  s'avrà  il  pane  a 
buon  mercato;  cbe  è-  quello  per  cui  ci  sìam  mo^i.»  Renzo  però  non 
sentì  che-i  complimenti;  chi  gli  prendeva  una  mano,  chi  gli  prendeva 


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I  PHOHESSI  SPOSI 


l'iillra.  «  A  rivederci  a  iluiiiani.  —  Dove?  —  Sulhi  piazza  del  duoiito. 
—  \a  Iwiic.  —  Va  iM'f»'.  —  K  i|iialco.sa  sr  farà.  —  E  ijunlcosi  si  fera.  " 


«  Chi  è  (li  quesli  bravi  signori  che  voglia  iiispgiianni  un'osteria, 
per  mangiare  mi  Loceone,  e  dormìn-  da  povero  figliuolo?»  disse 
Rcnxo. 

u  Soii  qui  io  a  servirvi,  quel  bravo  giovine,  n  disse  uno,  el«' 
aveva  a^eollala  altenlameiile  la  )iredica,  e  non  aveva  detlo  ancor 
nulla.  "  Conopeo  appunto  un'osteria  ohe  farà  al  raso  voslro;  e  vi  rac- 
i-omanderò  al  padrone,  che  è  mio  ainieo,  e  galantuomo.  » 

u  Qui  vicino?  "  domandò  Renzo.  »  Poco  dislaiite,  «  ns|>o$e  colui. 

Lii  raduhata  si  sciolse;  e  Renzo,  dopo  molle  slreOe  di  maniscono- 
friufe,  s'avviò  con  lo  sconosciulo,  ringraziandolo  della  sua  cortesia. 

u  Di  che  cosa?  "  diceva  colui;  "  una  mano  laVa  l'altra,  e  tutC  e 
due  lavano  il  viso.  Non  sramo  obbligali  a  far  servizio  al  prosfiimo?» 
C  camminando,  faceva  a  Renzo,  in  aria  di  discorso,  ora  una,  ora 
un'altra  domanda.  "  Non  per  sa|)erc  i  falli  vostri;  ma  voi  mi  parete 
molto  stracco:  da  che  paese  venite?  " 

"  Vengo,"  rispose  Renzo,  "  fino,  fino  da  Lecco,  n 

"  Fin  da  Lecco?  Dì  Lecco  siete?" 

«  Di  Lecco . . ,  cioè  del  territorio.  » 

u  Povero  giovine!  per  quanto  ho  polulo  intendere  da'  vostri  di- 
scorsi ,  ve  n*  hanno  fatte  delle  gros*;e.  " 

u  El>!  caro  il  mio  galantuomo!  ho  dovuto  jkarlare  con  un  po'  di 
politica,  per  non  dire  in  pubblico  t  falli  mìei;  ma...  basta,  qualclie 


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CAPITOLO  XIV. 


giorno  si  saprà;  e  allora. . .  Ma  qui  vedo  mi'  iii.sc);na  «l'oMleria  ;  e,  in 
fede  mia,  non  ho  voglia  d'andar  [iti'i  lonlaiio.  " 


"  No,  no;  venilo  dov'  ho  dello  io,  die  c'è  |ioco^  ;r  <lissi'  la  gui- 
da:  "  qui  non  islaresle  bene.  » 

u  Eli,  sì;'"  rispose  il  giovine  :  «  non  sono  nn  signorino  avvezzi» 
a  star  nel  rolone:  «iiialeosa  alla  buona  da  niedere  in  castello,  e  un 
.saccone,  mi  basta:  quel  etie  mi  |)reiiie  è  dì  trovar  prcslo  1' «no  e 
l'altro.  Alla  provvidenza!"  Ed  enti'ò  in  un  lisciacelo,  sopra  Ìl  quale 
pendeva  l'insegna  della  luna  piena.  «Bene;  vi  condurrò  qui,  gìaeelié 
vi  piace  cosi,"  disse  lo  sconosciuto;  e  gli  andò  dietro. 

uNon  occorre  che  v'iu«Hnodiale  di  più."  rispose  Renzo,  uperò,» 
sf^iunse,  «se  venite  a  bere  un  bicchiere  con  me,  mi  fate  piacere.  » 

li  Aceelleró  le  vostre  grazie,"  rispose  colui;  e  andò,  come  più 
pratico  del  luogo,   innanzi  a  Renzo,   per   mi  cortiletto;  s'accostò 


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sie  t  PROMESSI  sposr 

all'  liscio  clic  metteva  in  cucina,  alzò  il  saliscendi,  a|>rì,  e  v'  enln» 
col  .suo  eonijiagno.  Due  lumi  a  mano ,  peiidenli  da  due  perlìebe  at- 
taccale alla  trave  del  paleo ,  \'i  spandevano  una  mezza  luce.  Molla 
genie  era  seduta,  non  però  in  ozio,  su  due  panche,  di  qua  e  di  là 
d'una  tavola  slretla  e  lunga,  che  teneva  quasi  tutta  una  parte  dellii 
stanza:  a  intervalli,  tovaglie  e  pialli;  a  intervalli,  carte  voltate  e 
rivoltate,  dadi  buttati  e  raccolti;  fiaschi  e  bicchieri  per  tutto.  Si  vede- 
vano anche  correre  berlinghe,  reali  e  parpagliole,  che,  se  avessero  po- 
tuto parlare,  avrebbero  dello  probabilmenle : —  noi  eravamo  stamat- 
tina nella  ciotola  d'  un  fornaio ,  o  nelle  tasche  di  qualche  spellatorc 
del  tumulto,  che  tutt' intento  a  vedere  come  andassero  gli  aflari  pub- 
blici, si  dimenticava  'di  \'igilar  le  sue  faceendole  privale.  —  Il  chiasso 
era  grande.  Un  garzone  girava  innanzi  e  indietro,  in  fretta  e  in 
furia,  al  servizio  di  quella  tavola  insieme  e  tavoliere:  l'oste  era  a 
sedere  sur  una  piccola  panca,  sotto  la  cappa  del  cammino,  occupato, 
in  apparenza,  in  eerte  ligure  che  faceva  e  disfaceva  nella  cenere,  con 
le  molle;  ma  in  realtà  intento  a  tutto  ciò  che  accadeva  intorno  a  lui. 
S'alzò,  al  rumore  del  saliscendi;  e  andò  incontro  ai  soprarrivali.  Vista 
ch'ebbe  la  guida,  —  maledetto!  —  disse  tra  sé:  —  che  tu  m'  abbia 
a  venir  sempre  tra  piedi,  quando  meno  li  vorrei!  — Data  poi  un'oc- 
citiata  in  fretta  a  Renzo,  disse,  ancora  tra  sé:  — '  non  ti  conosco;  ma 
venendo  con  im  tal  cacciatori; ,  o  cane  o  lepre  sarai  :  quando  a\'rai 
detto  due  i>arole,  ti  conoscerò.  —  Però,  di  queste  riflessioni  nulla 
trasparve  sulla  faccia  dell'  oste ,  la  quale  stava  immobile  come  un 
ritratto:  una  faccia  pienotta  e  lucente,  con  una  barbetta  folla ,  rossic- 
cia, e  due  occhietti  chiari  e  fissi. 

«  Cosa  comandai)  questi  signori?»  disse  ad  alta  voce. 

»  Prima  di  lutto,  un  buon  fiasco  di  vino  sincerò,  "  disse  Renzo: 
«  e  \m  un  boccone,  n  Cosi  dicendo,  si  buttò  a  sedere  ^r  una  pan- 
ca, verso  la  cima  della  ta\'ola.  e  mandò  un  u  ah!  "  sonoro,  come  se 
volesse  dire:  fa  bene  un  po'  di  panca,  dopo  essere  stato,  lauto  tempo. 
ritto  e  in  faccende.  IMa  gli  ^cnne  subito  in  mente  quella  panca  e 
quella  tavola,  a  cui  era  stato  seduto  l'ultima  volta,  con  Lucia  e  con 
/Vgiiesc:  e  mise  un  sospiro.  Scosse  poi  la  lesta,  come  per  iscacciai* 
quel  pensiero:  e  vide  venir  l'oste  col  vino.  Il  compagno  s'era  messo 
a  sedere  in  faccia  a  Renzo.  Questo  gli  mescè  subito  da  bere,  dicen- 
do: «per  bagnar  le  labbra.  »  E  riempito  l'altro  bicchiere,  lo  tra- 
cannò in  un  sorso. 


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CAI'ITOLO  XIV.  J7T 

u  Comi  mi  darete  da  mangiare?  "  disse  poi  all'uste. 

u  Ho  dello  stufato:  vi  |)iai'e?  n  disse  questo. 

f  Si ,  bra\o;  dello  stufato.  '^ 

"  Sarete  servito,  >■  disse  l'oste  a  Renzo;  e  al  garzone:  «  servite 
questo  forestiero,  ji  E  s'avvio  verso  il  eammino.  «Ma..."  riprese  poi. 
tornando  verso  Renzo:  "  ma  pane,  non  ce  n'ho  in  questa  giornata.  » 

«  Ai  pane,  n  disse  Renzo,  ad  alta  voce  e  ridendo,  «  eì  ha  pen- 
sato la  provvidenza.  "  E  tirato  fuori  il  terzo  e  ulUmo  di  que'  pani 
raecolli  sotto  la  erocedi  san  Dionigi,  l'alzò  per  aria,  gridando:  «  eeoo 
il  pane  della  provvidenza!  » 

All'esclamazione,  molli  si  voltarono;  e  vedendo  quel  trofeo  in 
aria,  uno  gridò:   «  viva  il  pane  a  Iniou  mercatol  n 

«  A  buon  men'ato  ?  «  disse  Renzo:  «  grati»  et  amore,  n 

»  Miglio ,  meglio.  » 

>■  Ma,  "  soggiunse  subilo  Renzo,  »  non  vonx'i  che  lor  signori  pen- 
sassero a  male.  Non  è  ch'io  l'abbia,  eonic  si  suol  dire,  sgraffignato. 
L'ho  trovato  in  terra;  e  .se  potessi  trovare  anche  il  padrone,  soii 
pronto  a  pagarglielo.  « 

«  Bravo!  bravo!  y  gridarono,  sghignazzando  più  forte,  i  compa- 
gnoni ;  a  nessuno  de'  quali  pasw'i  per  la  niente  che  ([uelle  jKirole  fossero 
(lette  davvero. 

"  Credono  eh'  io  «'anzoni  ;  ma  l'è  proprio  cosi,  n  disse  Renzo 
alla  sua  guida:  e.  girando  in  mano  quel  pane,  soggiunse:  "  vedetft 
come  )'  hanno  accomodato;  pare  una  seliiacciata  :  ma  ee  n'  era  del 
prossimo  !  Se  ci  si  lro^'avan  di  quelli  che  han  1'  ossa  un  po'  tenere , 
siranno  stati  freschi.  "  E  sùbito,  divorati  tre  o  quattro  bocconi  di 
quel  pane,  gli  niandt)  dietro  un  secondo  bicchier  di  vhio;  e  sog- 
giunse; "  da  SI-  non  vuol  andar  giù  (piesto  ))ane.  Non  ho  avuto  inai 
la  gola  tanto  si-cea.  S'è  fatto  un  gran  gridare!  " 

u  Preparate  un  buon  letto  a  ipiesto  bravo  giovine,"  disse  )a  gui- 
da :  «  perchè  ha  iiitenzioirc  di  dormir  qui.  » 

"  Volete  donnir  qui  ?  »  domandò  1'  oste  a  Renzo  ,  avvicinandosi 
alla  tavola. 

K  Sicuro,  n  rispasc  Renzo;  "  un  Ietto  alla  buona:  basta  che  i  lenzoli 
sian  di  bucato:  perchè  son  povero  figlinolo,  ina  av\ezzo  alhi  pulizia.» 

f  Oh.  ili  quanto  n  i|urstn!  n  dis-n;  l'oste:  andò  al  banco,  ch'era 
in  un  angolo  della  cucina;  e  riloi-nò,  con  un  calamaio  e  un  iiezzetto 
di  carta  bianca  in  una  mano,  e  una  penna  nell'altra. 


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178  I  PHOUESSI  SPOSI 

u  Cosa  vuol  dir  (jucsto?  n  escbmó  Renzo,  ingoiando  un  ExK-conc 
delio  stufato  che  il  garzone  gli  iiveva  messo  davanti ,  e  sorridendo 
poi  con  maraviglia,  M>ggiunse.-  m  è  il  lenzolo  di  bucato,  codesto?  » 

L'oste,  senza  rispondere,  posò  sulla  (avola  i)  calamaio  e  la  carta: 
poi  appoggiò  sulla  tavola  medesima  ÌI  braccio  sinistro  e  il  gomito  dc> 
Siro;  e,  con  la  penna  in  aria,  e  Ìl  viso  alzato  verso  Renzo,  gli  disse: 
u  fatemi  il  piacere  di  dirmi  il  vostro  nome,  cognome  e  patria.  '> 

u  Cosa?  "  disse  Renzo:  "  cosa  c'entrano  codeste  storie  col  Ietto?" 


"  Io  fo  il  mio  dovece.  ^  disse  Toste,  guaidando  in  viso  alla  ^ui- 
da:  u  noi  siamo  obbligali  a  i-ettder  conto  di  tutte  le  |H-rs<>ue  die  ven- 
gono a  alloggiar  da  noi:   nomfi  ù  cnipuime ,  e  ili  elio  nazione  sarà. 

a  che  negozio  rii-ne.  se  ha  secn  armi quanti}  lempo  ha  di  fermarci 

in  questa  città —  Son  parole  della  grida.  - 

Prima  di  ris]H)ndi'riì ,  Renzo  volò  un  altro  bicchiere:  era  il   terzo: 


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CAPITOLO  XIV.  S7U 

V  d'ora  in  poi  ho  paura  che  noti  li  potremo  più  coniare.  Poi  disse: 
"  ah  ali  !  avete  la  grida  !  E  io  fo  conio  d' esser  doltor  di  legge  ;  e  al- 
lora so  subilo  che  caso  si  fa  delle  gride.  " 

"  Dico  davvero,  n  disse  l'osle,  sempre  guardando  il  muto  com- 
pagno di  Renzo;  e,  andato  di  nuovo  al  banco,  ne  levò  dalla  cassetta 
un  gran  foglio,  un  proprio  esemplare  della  grida:  e  venne  a  spie- 
garlo davanti  agli  occhi  di  Renzo, 

"  Ah!  ecco!  «  esdamò  questo,  alzando  con  una  mano  il  bicchiere 
riempilo  di  nuovo,  e  rivolandolo  sid)ilo,  e  stendendo  poi  l' al  Ira 
Diano,  con  un  dito  teso,  verso  la  grida:  "  ecco  quel  bel  foglio  di 
messale.  Me  ne  rallegro  moltissimo.  La  conosco  queir  arme  ;  so  cosa 
vuol  dire  qudla  faccia  d'ariano,  con  la  corda  al  collo.  '■■  (In  cima  alle 
gride  si  metteva  allora  l'arme  del  governatore;  e  in  quella  di  don  Gonzalo 
Fernandez  de  Cordova,  spiccava  un  re  moro  ìncaleiialo  per  la  gola.) 


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tmt  I  l'KOMRASl  SPOSI 

■'  \'iiol  àìfv ,  (|iiulta  faucia:  cumanda  chi  può,  e  ubbidisce  chi  vuole. 

Quando  que!«la  faccia  avrà  fallu  andare  in  galera  il  signor  don 

biisla ,  lo  80  io  ;  come  dic«  in  un  altro  foglio  di  messale  eom|KH 
giio  u  questo;  quando  avrà  fallo  in  maniera  die  un  giovine  one- 
sto possa  s|>osare  una  giovine  onesta  che  è  contenta  di  sposarlo,  al- 
loi-a  le  «lirò  il  mio  nome  a  questa  bccia;  le  darò  anclie  un  bacio  )>er 
di  jtii'i.  Posso  aver  delle  buone  ragioni  per  non  dirìo ,  Ìl  mio  nome. 
Oh  bella!  E  se  un  furfantone,  che  avesse  al  suo  coniando  una  mano 

d'altri  fuKanli:  |>erché  se  fosse  solo »  e  qui  tini  la  frase  con  un 

gesto:  u  se  un  furfantone  volesse  saper  dov'  io  sono,  per  farmi  qu^ 
che  brullo  tiro,  domando  io  se  questa  faccia  si  moverebbe  per  aiu- 
tarmi. Devo  dire  i  fatti  miei  1  Andie  quesla  è  nuova.  Son  venuto 
a  Milano  per  confessarmi,  supponiamo  ;  ma  voglio  confessarmi  da  un 
padre  cappuccino,  per  modo  di  dire ,  e  non  da  un  oste,  n 

L'oste  slava  zitto,  e  seguitava  a  guardar  la  guida,  la  quale  min 
faceva  dimostrazione  di  sorte  veruna,  Renzo,  ci  dispiace  il  dirlo,  tra- 
cannò un  altro  bicchiere,  e  prosegui:  "  (i  porterò  una  ragione,  il 
mio  caro  oste,  che  li  capaciterà.  Se  le  gi-ide  che  parlan  bene,  in  fa- 
vore de'  buoni  cristiani,  non  contano;  tanto  meno  dcvon  contare 
(juelle  che  pariau  male.  Dunque  leva  tulli  quest'imbrogli,  e  |>or(a  in 
vece  un  altro  fiaso);  perchè  questo  è  fes,«o.  "  Cosi  dicendo,  lo  per- 
(•osse  leggermente  con  le  nocca,  e  soggiunse:  «  senti,  senti,  oste, 
come  d'Occhia.  " 

Andie  quesla  volta,  Renzo  aveva,  a  poco  a  |H>eo,  attirata  l'atten- 
zione di  quelli  che  gli  sta\'an  d'intorno:  e  anche  questa  volta,  fu  ap- 
plaudito dal  suo  uditorio. 

«  Cosa  devo  fare?  "  disse  l'oste,  guai-dando  quello  sconosciuto, 
che  non  era  tale  per  lui. 

1  Via,  via,  "  gridaron  multi  di  que'  compagnoni:  u  ha  ragione 
(piel  giovine:  son  tulle  angherie,  trappole,  impicci:  te^e  nuova  oggi, 
legge  imo  va.  « 

In  mezzo  a  queste  grida,  lo  sconosciuto,  dando  all'oste  un'occhiata 
di  rimprovero,  per  queir  interrogatone  troppo  scoperta,  disse:  ^  la- 
M-Iatelo  un  po' fare  a  suo  modo:  non  fate  scene.  " 

■•  Ho  fatto  il  mio  dovere,  "  disse  l'oste, forle;e  poi  Ira  sé:  —  ora 
ho  le  spalle  al  muro.  —  E  prese  la  carta,  la  |>enoa,  il  calamaio,  In 
grida ,  e  il  tìasw  voto ,  per  consegnarlo  al  garzone. 

■>  l'olia  «lei  medesimo,  «  disse  Renzo:  u  elie  lo  trovo  galantuomo: 


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CAPITOLO  XIV.  aai 

e  lo  metteremo  a  lello  come  1'  allro ,  senza  domandargli  nome  e  co- 
gnome, e  dì  ebe  nazioi)e  sarà,  e  cosa  viene  a  Tnre,  e  se  ha  a  slare 
un  pexzo  in  questa  città.  « 

«  Del  medesimo,  «  disse  l'oste  al  garzone,  dandogli  il  fiasco;  e 
ritornò  a  sedere  sotto  la  cappa  del  cammino.  —  Altroché  lepre  !  — 
pensava,  istoriando  dì  nuovo  la  cenere:  —  e  in  che  mani  sei  capi- 
lalol  Pezzo  d'asino!  se  vuoi  affogare,  aflbga;  ma  l'oste  della  luna 
piena  non  deve  andarne  di  mezzo,  per  le  tue  pazzie.  — 

Renzo  ringraziò  la  guida,  e  tutir  quegli  altri  che  avevan  |>rcsc  le 
sue  parti.  "  Bravi  amici!  »  disse:  "  ora  vedo  proprio  che  i  galan- 
tuomini si  danno  la  mano,  e.  si  sostengono.  »  Poi,  spianando  la  destra 
per  aria  sopra  la  tavola,  e  mettendosi  di  nuovo  in  attitudine  di  pre- 
dicatore, «  gran  cosa,  »  esclamò,  «  che  tutti  qnelli  che  ruotano  il 
mondo,  voglian  fare  entrar  per  lutto  caria,  penna  e  calamaio!  Sem- 
pre la  penna  per  aria!  (srande  smania  che  hanno  que'  signori  d'  ado- 
prar  la  penna!  n 

1  Eliì,  quel  galantuomo  dì  campagna!  volete  saperne  la  ragione?» 
disse  ridendo  uno  di  que'  giocatori,  che  vinceva. 

u  Sentiamo  un  poco,  »  rispose  Renzo. 

»  La  ragione  è  questa,  »  disse  colui  :  "  che  que'  signori  son  loro 
die  mangian  l'oche,  e  si  Irovan  li  (ante  penne,  tante  penne,  che 
qualcosa  bisogna  che  ne  facciano.  <> 

Tutti  si  mìsero  a  ridere ,  fuor  che  il  compagno  che  perdeva. 

u  To' ,  "  disse  Renzo:  «  é  un  ixtcla  costui.  Ce  n'è  anche  qui  de' 
poeti  :  già  ne  nasce  per  lutlo.  IS'  ho  una  vena  anch'  io ,  e  qualche 
volta  ne  dico  delle  curiose....  ma  quando  le  cose  vanno  bene.  » 

Per  capire  questa  baggìanala  del  povero  Renzo,  bisogna  sapere 
che,  presso  il  volgo  di  Milano,  e  del  contado  ancora  più ,  poeta  non 
significa  già ,  come  per  tutti  Ì  galantuomini ,  un  sacro  ingegno ,  un 
abitator  di  Pindo,  un  allievo  delle  Muse;  vuol  dire  un  cervello  biz- 
zarro e  un  po' balzano,  che,  ne' discorsi  e  ne'  fatti,  abbia  più  dell'ar- 
guto e  del  singolare  ebe  del  ragionevole.  Tanto  qud  guastamestieri 
del  volgo  è  ardilo  a  manomettere  le  parole,  e  a  far  dir  loro  le  cose 
più  lontane  dal  loro  legittimo  significalo!  Perchè,  vi  domando  io,  cosa 
ci  ha  che  fare  poeta  con  cervello  balzano  ? 

u  Ma  la  ragione  giusta  la  dirò  io,  »  soggiunge  Renzo:  «  è  perché 
la  penna  la  tcngon  loro:  e  così ,  le  parole  che  dicon  loro ,  volan  via, 
e  sparisecmo  ;  le  parole  che  dice  un  povero  fì^iuolo ,  stanno  attenti 


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tuit  I  PROMESSI  SPOSI 

l)enc,  e  presto  presto  k>  infilzali  per  aria,  con  quella  penna,  e  le  le  in- 
cliiòdano  sulla  carta,  per  servirsene,  a  tempo  e  luogo.  Hanno  poi  an- 
che un'altra  malizia;  che,  quando  vogliono  imbrogliare  un  povero 

figliuolo,  che  non  abbia  studiato,  ma  che  abbia  un  po'  di so  iu 

quel  che  voglio  (tire «  e,  per  farsi  intendere,  andava  picchiando, 

e  come  anelando  la  fronte  con  la  punta  dell'indice;  " 


che  comincia  a  capir  l'imbroglio,  taffete,  buUan  dentro  nel  discorso 
qualche  parola  in  Ialino,  per  fargli  perdere  il  lilo,  per  confondergli 
la  testa.  Basta;  se  ne  deve  smetter  dell'usanze!  Oggi,  a  buon  conio, 
s'è  fatto  tutto  in  volgare,  e  senza  carta ,  penna  e  calamaio;  e  doma- 
ni ,  se  la  gente  saprà  regolarsi,  se  ne  farà  anche  delle  meglio  :  senza 
torcere  un  capello  a  nessuno,  però;  tutto  per  via  di  giustizia,  n 

Intanto  alcuni  di  que*  compagnoni  s'  eran  rimessi  a  giocare,  dltri 
A  mangiare,  molti  a  gridare;  alcuni  se  n'andavano;  altra  gente  arri- 


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CARTOLO  XIV.  S83 

vava;  l'oste  badava  agli  uni  e  agli  altri:  tutte  cose  clie  noo  hanno 
che  fare  con  la  nostra  storia.  Anche  la  sconosciuta  guida  non  vedeva 
l'ora  d'andarsene;  non  aveva,  a  quel  che  paresse,  nessun  alTare  in 
quel  luogo  ;  eppure  non  voleva  partire  prima  d' aver  chiacchierato 
un  altro  poco  con  Renzo  in  particolare.  Si  voltò  a  lui,  riattaccò  il 
discorso  del  pane  ;  e  dopo  alcune  dì  quelle  frasi  che,  da  qualche  tem- 
po, correvano  per  tutte  le  bocche,  venne  a  metter  fuori  un  suo  pro- 
getto, u  Eh  !  se  comandasi  io ,  n  disse ,  u  lo  troverei  il  verso  dì  fare 
andar  le  cose  bene.  » 

"  Come  vorreste  fare?  »  domandò  Renzo ,  guardandolo  con  due 
occhietti  brillanti  più  del  dovere,  e  storcendo  un  po' la  bocca,  come 
per  star  più  attento. 

u  Come  vorrei  fare?  "  disse  colui:  "  vorrei  che  ci  fosse  pane  per 
lutti  ;  tanto  |>er  1  poveri ,  come  per  i  ricchi.  " 
«  Ah!  così  va  bene,  "  disse  Renzo. 

«  Ecco  come  farei.  Una  meta  onesta ,  clic  tulli  ci  potessero  cam- 
pare. E  poi,  distribuire  il  pane  in  ragione  delle  bocche:  perchè  c'è 
degC  ingwdi  indiscreti,  che  vorrebbero  lutto  per  loro,  e  fanno  a  ruffa 
raffa,  pìf^iano  a  buon  conto;  e  poi  manca  il  pane  alla  povera  gente. 
Dunque  dividere  il  pane.  E  come  sì  fa?  Ecco  :  dare  un  bel  biglietto 
a  ogni  famiglia,  in  proporzion  delle  bocche,  per  andare  a  prendere 
il  pane  dal  fornaio.  A  me,  per  esempio,  dovrebbero  rilasciare  un  bì- 
^ietlo  in  questa  forma  :  Ambrogio  Fusella ,  di  professione  spadaio , 
cm  moglie  e  quattro  figliuoli,  tutti  ìn  età  da  mangiar  pane  (nolat« 
bene):  gli  si  dia  pane  tanto,  e  paghi  soldi  tanti.  Ma  far  le  cose  giu- 
ste, sempre  in  ragion  delle  bocche.  A  voi,  per  esempio,  dovrebbero 
fare  un  biglielto  per....  il  vostro  nome?  » 

"  Lorenzo  Tramaglino,  »  disse  il  giovine;  il  quale,  invagliito  del 
progetto,  non  fece  attenzione  ch'era  tutto  fondato  su  caria,  penna  e 
calamaio;  e  che,  per  metterlo  in  opera,  la  prima  cosa  doveva  essere 
di  raccogliere  i  nomi  delle  persone. 

"  Benissimo,»  disse  lo  sconosciuto:  «ma  avete  moglie  e  lìgliuoli?» 

u  Dovrei  bene figliuoli  no troppo  presto ma  la  mo^ 

glie....  se  il  mondo  andasse  come  dovrebbe  andare » 

«  Ah  siete  solo  1  Dunque  abbiate  pazienza ,  ma  una  porzione  più 
piccola.  " 

«  E  giusto;  ma  se  presto,  come  spero e  con  l'aiuto  di  Dio.... 

Ba^a  ;  quando  avessi  medile  anch'  io  ?  » 


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■■t  I  PROUESSI  SPOSI 

«  Allora  si  cambia  il  biglietto,  e  si  cresce  la  porzione.  Come  v'ho 
detto;  sempre  in  ragion  ddle  bocche,»  disse  lo  sconosciuto, alzando^. 

■•  Cosi  va  bene,  •>  gridò  Renzo;  e  continuò,  gridando  e  balteado 
il  pugno  sulla  (avola  :  «  e  perché  non  la  fanno  una  l^ge  cosi?  n 

1  Cosa  volete  che  vi  dica?  Intanto  vi  do  la  buona  notte,  e  me  ne 
vo  ;  perché  penso  che  la  moglie  e  i  figliuoli  m' aspetteranno  da  un 
pezzo.  X 

"  Un  altro  gocciolino,  im  altro  gocciolino,  «  gridava  Renzo,  riem- 
piendo in  fretta  il  bicchiere  di  colui;e  subilo  alzatosi,  e  accltiappatolo 
per  una  falda  del  farsello,  tirava  forte,  per  farlo  seder  di  nuovo.  «Un 
altro  gocciolino  :  non  mi  fate  quest'  a^ronto.  " 


Ì! 


Ma  l'amico,  con  una  stratta,  si  liberò,  e  lasciando  Renzo  fare  un 
guazzabuglio  d'  istanze  e  di  rimproveri,  disse  di  nuovo:  «  buona 
notte,  »  e  se  n'  andò.  Renzo  seguitava  ancora  a  predicargli,  che 
(|uello  era  già  in  istrada;  e  poi  ripiombò  sulla  panca.  Fissò  gli  occhi 
su  quel  bicchiere  che  aveva  riempito;  e,  vedendo  passar  davanti  alla 
tavola  il  garzone,  gli  accennò  di  fermarsi,  come  se  avesse  qualche 


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CAPITOLO  XiV.  tSB 

affare  da  comuaicargli;  poi  gli  accennò  il  bicchiere,  e  con  una  pro- 
nunzia lenta  e  solenne,  spiccando  le  parole  in  un  cerio  modo  parti- 
colare, disse:  "  ecco,  l'avevo  preparalo  per  quel  galantuomo:  vedete; 
pieno  raso,  proprio  da  amico;  ma  non  l'ha  voluto.  Alle  volte,  la  gente 
ha  dell'idee  curiose.  Io  non  ci  ho  colpa:  il  mio  buon  cuore  l'iio  fatto 
vedere.  Ora,  giacché  la  cosa  è  fatta,  non  bisogna  lasciarlo  andare  a 
male.  »  Cosi  detto,  lo  prese,  e  lo  volò  in  un  sorso. 

«  Ho  inleso,  »  disse  il  garzone,  andandosene. 

"  Air!  avete  inteso  anche  voi,  n  riprese  Renzo:  «  dunque  è  vero. 
Quando  le  ragioni  son  giuste !  i 

Qui  è  necessario  tutto  l'amore,  che  portiamo  alla  verità,  per  farcì 
proseguire  fedeJmenle  un  racconto  di  cosi  poco  onore  a  un  perso- 
naggio tanto  principale,  si  potrebbe  quasi  dire  al  primo  uomo  della 
nostra  storia.  Per  questa  stessa  ragione  d'imparzialità,  dobbiamo  però 
andie  avvertire  ch'era  la  prima  volta,  che  a  Renzo  avvenisse  un  caso 
simile:  e  appunto  ques}o  suo  non  esser  uso  a  stravizi  fu  cagione  in 
gran  parte  che  il  primo  gli  riuscisse  cosi  fatale.  Que'  pochi  bicchini 
die  aveva  buttati  giù  da  principio,  l'uno  dietro  l'altro,  contro  il  suo 
solito,  parte  per  quell'arsione  che  si  sentiva,  parte  per  una  certa  al' 
terazione  d'animo,  che  non  gli  lasciava  far  niUla  con  misura,  gli  die- 
dero subito  alla  testa:  a  un  bevitore  un  po'  esercitato  non  avreU>ero 
latto  altro  che  levargli  la  sete.  Su  questo  il  nostro  anonimo  fa  una 
osservazione,  che  noi  ripeteremo:  e  conti  quel  che  può  contare.  Le 
abitudini  temperate  e  oneste,  dice,  recano  anche  questo  vantaggio, 
che,  quanto  più  sono  inveterate  e  radicale  in  un  uomo,  tanto  più  fa- 
cilmente, appena  appena  se  n'allontani,  se  ne  risente  subito;  dimo- 
doché se  ne  ricorda  poi  per  un  pezzo;  e  anche  uno  sproposito  gji 
serve  di  scola. 

Comunque  sia,  quando  que' primi  fumi  furono  salili  alla  tesla  di 
Renzo,  vino  e  parole  continuarono  a  andare,  l'uno  in  giù  e  l'altre 
in  su,  senza  misura  né  regola:  e,  al  punto  a  cui  l'abbiam  lasciato, 
stava  già  come  poteva.  Si  sentiva  una  gran  voglia  di  pariare  :  ascol- 
tatori, o  almeno  uomini  presali  che  potesse  prender  per  tali,  non 
ne  mancava;  e,  per  quache  tempo,  anche  le  parole  eran  venute  via 
senza  fersi  pregare,  e  s'eran  lasciate  collocare  in  un  certo  qual  or- 
dine. Ma  a  poco  a  poco,  quella  faccenda  di  flnir  le  frasi  cominciò  a 
divenii^i  fieramente  difficile.  Il  pensiero,  che  s'era  presentato  vivo  e 
risoluto  alla  sua  mente,  s'annebbiava  e  svaniva  tult'a  un  tratto;  e  la 


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■88  I  PROHESSl  SPOSI 

jiarola,  dopo  essersi  fatta  aspettare  un  pezzo,  n(M)  era  quella  che  fosse 
al  caso.  In  queste  angustie,  per  uno  di  que'  falsi  islinli  clie,  in  tante 
cose,  rovinan  gli  uomini,  ricorreva  a  quel  benedetto  fiasco.  Ma  di  die 
aiuto  gli  potesse  essere  il  Basco,  in  una  tale  circostanza,  clii  ha  fior 
di  senno  lo  dica. 

Noi  riferirenw  soltanto  alcune  delle  mollissime  parole  die  mandò 
fuori,  in  quella  sciagurata  sera:  le  molle  più  che  tralasciamo,  disdi- 
rebbero troppo;  perchè,  non  solo  non  hanno  senso,  ma  non  fanno 
vista  d'averlo:  condizione  necessaria  in  un  libro  stampato. 

u  Ah  oste,  oste!  n  ricominciò,  accompagnandolo  con  l'occhio  in- 
torno alla  tavola,  o  sotto  la  cappa  del  cammino;  talvolta  fissandolo 
dove  non  era,  e  |)arlando  sempre  in  mezzo  al  chiasso  della  brigata: 


"  oste  che  tu  sei!  Non  posso  mandarla  giù quel  tiro  del  nome, 

cognome  e  negozio.  A  un  figliuolo  par  mio !  Non  li  sei  portato 

bene.  Che  soddisfazione,  che  sugo,  che  gusto di  mettere  in  caria 

un  povero  figliuolo?  Parlo  bene,  signori?  Gli  osti  dovrebbero  tenere 
dalla  parie  de' buoni  figliuoli Senti,  senti,  oste;  ti  voglio. fare 


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CAPITOLO  XIV.  «67 

IBI  paragone per  la  ragione Ridono  eh?  Ho  un  po'  dì  brìo, 

sì ma  le  ragioni  le  dico  giuste.  Dimmi  un  poco;  chi  è  che  (i 

noanda  avanti  la  bottega?  I  poveri  Hgliuoli,  n'è  vero?  dico  bene? 
Guarda  un  po'  se  que'  signori  delle  gride  vengono  mai  da  le  a  bere 
un  bicchierino.  » 

1  Tulla  genie  che  beve  acqua ,  »  disse  un  vldno  di  Renzo. 

«  Vt^iono  stare  in  sé,  »  sc^iunse  un  altro,  "  per  poter  dir  le 
bugie  a  dovere.  » 

"Ah!  »  gridò  Renzo:  «  ora  è  il  poeta  che  ha  parlato.  Dunque 
intendete  anche  voi  altri  le  mie  ragioni.  Rispondi  dunque ,  oste  :  e 
Ferrar,  che  è  il  meglio  di  tulli,  è  mai  venuto  qui  a  fare  un  brin- 
disi ,  e  a  spendere  un  becco  d'un  quattrino  ?  E  quel  cane  assassino 

di  don ?  Sto  zitto,  perché  sono  in  cervello  andte  troppo.  Perrer  e 

il  padre  Grrr so  io,  son  due  galantuomini;  ma  ce  n'è  pochi  de' 

galantuMnini.  I  vecchi  peggio  de'  giovani  ;  e  Ì  giovani peggio  an- 

Cora  de'  vecchi.  Però,  son  contento  che  non  si  sia  fatto  sangue,  oibò; 
barbarie,  da  lasciarle  fare  al  boia.  Pane;  oh  questo  si.  Ne  ho  rice- 
vuti degli  urloni;  ma ne  ho  anche  dati.  Largo!  abbondanza!  vi- 
va!—  E4>pure,  anche  Ferrer qualche  parolina  in  Ialino siés 

baraò»  trapolorum Maledetto  vizio!  Viva!  giustizia!  pane!  ah, 

ecco  le  parole  giuste!...  Là  ci  volevano  que' galantuomini....  quando 
scappò  fuori  quel  maledetto  ton  ton  lon,  e  poi  ancora  lon  ton  lon. 

Non  si  sarebbe  fuggiti,  ve',  allora.  Tenerlo  li  quel  signor  curato 

So  io  a  chi  penso!  » 

A  questa  parola,  abbassò  la  testa ,  e  stelle  qualche  leoipo,  come 
assorto  in  un  pensiero  :  poi  mise  un  gran  sospiro ,  ,e  alzò  il  viso , 
con  due  occhi  inumiditi  e  lustri,  con  un  cerio  accoramento  così  sve- 
nevole, cosi  sguaiato,  che  guai  se  ctii  n'era  l'oggetto  avesse  potuto 
vederlo  un  momento.  Ma  quegli  omacci  che  già  avevan  cominciato  a 
prendersi  spasso  dell'eloquenza  appassionala  e  imbrogliala  di  Renzo, 
lanto  più  se  ne  presero  della  sua  aria  compunta;  i  più  vicini  dice- 
vano agli  altri:  guardate;  e  tutti  si  voltavano  a  luì;  lanto  che  divenne 
lo  zimbello  della  brigata.  Non  già  che  tutti  fossero  nel  loro  buon  sen- 
no, o  nel  loro  qual  si  fosse  senno  ordinario;  ma,  per  dire  il  vero, 
nessuno  n'era  tanto  uscito,  quanto  il  povero  Renzo:  e  per  di  [hù 
era  conladino.  Si  misero,  or  l'uno  or  l'altro,  a  stuzzicarlo  con  do- 
mande sciocche  e  grossolane,  con  cerimonie  canzonatorie.  Renzo,  ora 
dava  segno  d'averselo  per  male,  ora  prendeva  la  cosa  i 


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188  I  PROUESSl  SPOSI 

ora,  senza  badare  a  tutte  quelle  voci,  parlava  tli  luti' altro,  ora  ri- 
spondeva, ora  interrogava;  sempre  a  salti,  e  fuor  di  proposilo.  Per 
buona  sorte,  in  quel  vaneggiamento,  gli  era  però  rimasta  come  un' 
attenzione  istintiva  a  scansare  i  nomi  ddle  persone;  dimodoché  anche 
quello  che  doveva  esser  più  altamente  fitto  nella  sua  memoria ,  non 
fu  proferito:  che  troppo  ci  dispiacerebbe  se  quel  nome,  per  il  quale 
anche  noi  sentiamo  un  po'  d'afTetlo  e  di  riverenza ,  fosse  stalo  stra- 
scinalo per  quelle  boccacce,  fosse  divenulo  trastullo  di  quelle  lingue 
sciagurate. 


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r.APlT4»l,4»  X\. 


>sk-,  vLileiido  die  il  gioco  andava  in  luii- 
f^o,  s'era  accostato  a  Renzo;  e  pregando, 
con  buona  grazia,  quegli  altri  che  lo  la- 
sciassero stare,  l'andava  M:olendo  per  un 
braccio ,  e  cercava  di  Targli  intendere  e  di 
persuaderlo  che  andasse  a  dormire.  Ma 
Renzo  tornava  sempre  da  capo  col  nome 
e  cognome,  e  con  le  gride,  e  co'  buoni 
figliuoli.  Però  quelle  parole  :  lello  e  dor- 
mire, ripetute  al  suo  orecchio,  gli  entra- 
roa  finalmente  in  testa;  gli  fecero  sentire  un  po'  più  distintamente  il 
bisogno  di  ciò  che  significavano,  e  produssero  un  momento  di  lucido 
intervallo.  Qud  po' di  senno  che  gli  tornò,  gli  fece  in  certo  modo  ca- 
pire che  il  più  se  n'era  andato:  a  un  di  presso  come  l'ultimo  moccolo 
rimasto  acceso  d'un'  illuminazione,  fa  vedere  gli  altri  spenti.  Si  fece 
corano;  sfese  le  mani,  e  le  appuntellò  sulla  tavola;  tentò,  una  e  due 
volle,  d'alzarsi;  sospirò,  barcollò;  alla  lerza,  sorretto  dall'oste,  sì  rizzò. 


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V.»,  I  PROMESSI  S4>0SI 

Quello,  ivggiiiidolo  tuUa\ia,  lo  fece  uscii'e  di  tra  la  tavola  e  la  paii- 
ca;  K ,  preso  con  una  mano  un  lume,  con  l' altra,  parte  lo  condusse, 
parie  lo  tirò,  alla  meglio,  verso  l'uscio  di  scala.  Li  Renzo,  al  chiasso 
de'^jiluti  che  coloro  gli  urìavan  dietro,  si  voltò  in  fretta;  e  se  ir  suo 
sostenitore  non  Tosse  stalo  ben  lesto  a  tenerlo  ]Kr  un  braccio,  la  vol- 
tata sarebbe  stala  un  capitombolo;  si  vc^tò  dunque,  e,  con  l'altro  brac- 
cio die  gli  rimaneva  libero,  andava  trinciando  e  iscrivendo  nell'aria 
certi  saluti,  a  guisa  d'un  nodo  di  Salomone. 

u  Andiamo  a  letlo,  a  letto,  "  disse  l'oste,  strascicandolo;  gli  fecv 
imboccar  l'uscio;  e  con  più  latica  ancora,  lo  tirò  in  cinta  di  quella 
scaletta ,  e  poi  nella  camera  clic  gli  aveva  destinata.  Renzo ,  visto  il 
letto  die  l'aspettava,  si  rallegrò;  guardò  amorevolmente  l'oste,  con  due 
occbietti  olle  ora  seintillavan  più  che  mai,  ora  s' ceelissavano ,  come 
due  lucciole;  cercò  d'equilibrarsi  sulle  gambe;  e  stese  la  mano  al  viso 
dell'  uste  ,    per   prendergli  il  ganaseiiio  ,  in   segno  d'  amicizia  e  di 


l'icoiiosi-eiizu;  ina  non  gli  riùsci.  «  Bravo  ostel»  gli'riusci|>erò*di  dire: 
i'  ora  vedo  che  sci  un  galantuomo:  questa  e  un'opera  buòna,  dare 
un  Ietto  !)  un  buon  lìgliuolo;  ma  quella  figura  che  in'  hai  fatta,  sul 
nome  e  cognome,  quella  non  era  da  galantuomo.  Per  buopa  sorte  die 
andi'io  son  furbo  la  mia  parte  . . . .  n 

L'oste,  il  quale  non  pensava  che  colui  potesse  ancor  tanto  coiinet- 
Icre;  1' oste  clic,  per  lunga  esperienza,  sapeva  quanto  gli  uoniiui,  in 


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:    CAPITOLO  XV. ,  ini 

quello  sialo,  siali  pil'i  stuelli  del  solito  a  eaiiibiar  <li  itart-Ti^,  volte  iip- 
profittare  di  quel  lucido  iii(t>rvallo,'per  fare  un  altro  tentativo,  u  Fi' 
gliui^o  caro,  "'  disse,  con  una  voce  e  con  un  fare  lutto  gentile:  "non 
l'ho  fatto  per  seccarvi,  né  per  sapere  i  fatti  vostri.  Cosa  volete?  è 
l^e:  anche  noi  bisogna  ubbidire;  altrimeitU  siamo  i  primi  a  por- 
tarne la  pena.  É  meglio  contentarli-,  e ...  Di  che  si  tratta  finalmente? 
Gran  cosa!  dir  due  parole.  N<m  per  loro;  ma  per  fare  un  piacere  a 
me:  via;  qui  Ira  noi,  a  qualtr' occhi,  facciam  le  nostre  cose;  ditemi 
il  vostro  nome,  e...  e  poi  andate  a  letto  col  cuor  quieto,  » 

u  Ali  birbone!  «  esdamò  Renzo:  u  mariolo!  tu  mi  (orni  ancora  in 
campo  con  queir  infamità  del  nome,  cognome  e  negozi»!  ■■ 

u  Sta  zitto,  buH'one;  va  a  letto,  «  diceva  l'oste. 

.Ma  Renzo  continuava  più  forte:  u  ho  inteso:  sei  della  lega  anclic 
Ih.  Aspella,  aspetta,  che  l'accomodo  io.  n  E  voltando  la  tesla  verso 
la  scaletta,  cominciava  a  urlare  più  forte  ancora;  »  amici!  l'oslc  è 
della ....  t' 

«  Ho  detlo  per  celia,»  gridò  questo  sul  viso  dì  Renzo, spingendolo 
verso  il  Iclto:  u  per  celia;  non  hai  inteso  che  ho  detlo  per  celia?  r. 

"  Ali!  per  celia:  ora  parli  bene.  Quando  hai  detto  per  cch» . . , . 
Son  proprio  celie.  «  E  cadde  bocconi  sul  letto. 

li  Animo;  sp(^ialevi;  presto,  «  disse  l'aste,  e  al  consiglio  aggiunse 
l'aiulo;  che  ce  n'era  bisogno.  Quand»  Renzo  si  Tu  levato  il  farscllo, 
(e  ce  ne  volle)  l'oste  l'agguantò  subilo,  e  corse  con  le  mani  alle  tti' 
sche ,  pcit  vedere  se  c'era  il  morto.  Lo  trovò:  e  pensando  che,  il 
giorno  <lopo,  il  suo  ospite  avrebbe  avuto  a  fare  i  conli  con  tuli'  allri 
che  con  luì,  e  che  quel  morto  sarebbe  probabilmente  caduto  in  mani 
di  dove  un  oste  non  avrebbe  potuto  farlo  uscire;  volle  provarsi  se 
almeno  gli  riusciva  dì  eoncluitcr  quest'altro  alTare. 

"  Voi  siete  un  buon  llglinolo,  un  galantuomo;  n'è  vero?  «^  di.sse. 

t'  Buon  figtiuolo,  galantuomo,  »  rispose  Renzo,  facendo  tuttavia  li- 
tigar le  dita  co'  bottoni  de'  panni  die  non  s' era  ancor  potuto  levare. 

«  Bene,  «  replicò  l'oste:  »  saldate  ora  dunque  quel  jwco  ronticìno. 
perdio  ilomani  io  devo  uscire  per  certi  miei  affari....  » 

«  Quest'c  giusto,  ^  disse  Renzo.  "  Son  furbo,  ma  galantuomo.... 
Ma  i  danari  ?  Andare  a  cercare  i  danari  ora  !  r^ 

"  Eccoli  qui,  «  disse  l'onte:  e,  mettendo  in  opera  tutta  la  sua  pra- 
tica, tutla  la  sua  pazienza,  tutta  la  sua  destrezza,  gli  riuscì  di  fere  il 
conio  con  Renzo,  e  di  ))agarsi. 


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liti  1  PKUUE88I  SPOSI 

u  Dammi  una  mano,  ch'io  possa  finir  di  spogliarmi,  oste,  r>  disse 
Renzo.  "  Lo  %'edo  anch'  io,  ve',  che  ho  addosso  un  gran  sonno.  » 

L'oste  gli  diede  l'aiulo  ricliiesto;  gli  stese  per  di  più  la  coperta  ad- 
dosso, e  gli  disse  sgarbatamente  u  buona  notte,  »  che  già  quello  rus- 
sava. Poi,  per  quella  specie  d'atlrattiva,  che  alle  volle  ci  tiene  a  con- 
siderare un  oggetto  dì  stizza,  al  pari  che  un  oggetto  d'amore,  e  ctie 
forse  non  è  altro  che  il  desiderio  dì  conoscere  ciò  che  opera  fortemente 
sull'animo  nostro,  sì  ttvmò  un  momento  a  contemplare  l'ospite  cosi 
noioso  per  lui,  alzandogli  il  lume  sul  viso,  e  facendovi,  eoo  la  mano 
stesa,  ribatter  sopra  la  luce;  in  quell'alto  a  un  di  presso  che  vien  dipinta 
Psiche .   quando   sia   a   spiare   furli\'amenlc   le    forme  del    conswle 


sfoiiosciwto.  a  Pezzo  d' asino  S  disse  nella  sua  mente  al  povero  addor- 
mentato: '^  sci  andato  proprio  a  cerearlela.  Domani  |>oi,  mi  saprai  dire 
elle  bel  gusto  CI  a\riu.  Tangheri,  clie  volete  girare  it  mondo,  senza  sa- 
per da  clic  i)ar)c  si  levi  il  .sole;  per  imbrogliar  voi  e  il  prossimo.  " 
Osi  dello  o  (H'iLsaltt,  ritirò  il  lume,  si  nuvwe.  ilscì  dalla  camera,  e 


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CAPITOLO  XV.  »3 

chiuse  l'uscio  a  chiave.  Sul  pièneroKolo  della  scala,  chiamò  l'ostessa;  alla 
quale  disse  che  lasciasse  i  figliutrii  in  guardia  a  una  loro  scrvella,  e 
scendesse  in  cudna,  a  far  le  sue  veci.  «  Bisogna  eh' io  vada  fuori,  Jn 
ftrazia  d*  un  forestiero  capitato  qui,  non  so  come  diavolo,  per  mìa  di- 
sgrazia,  »  soggiunse;  e  le  raccontò  in  compendio  il  noioso  accidente. 
Poi  soggiunse  ancora:  «  occhio  a  tutto;  e  sopra  tulio  prudenza,  in 
questa  maledetta  giomala.  Abbiamo  laggiù  una  mano  di  scapestrali 
lAte,  Ira  il  bere,  e  tra  che  di  natura  sono  sboccati,  ne  dicon  di  lutti 
i  colorì.  Basta,  se  qualche  temerario  . . . .  n 

«  Oh!  non  sono  una  bambina,  e  so  anch'  io  quel  die  va  fallo.  Pi' 
nora,  mi  pare  che  non  si  possa  dire ....  » 

u  Bene,  bene;  e  badar  che  paghino;  e  tulli  que' discorsi  che  fanno, 
sul  vicario  di  provvisione  e  il  governatore  e  Ferrer  e  i  decurioni  e  i 
cavalieri  e  Spagna  e  Francia  e  altre  simili  corbellerie,  far  vista  di  non 
sentire;  perchè,  se  si  contraddice,  la  può  andar  male  subilo;  e  se  si  da 
ragione,  la  può  andar  male  in  avvenire:  e  già  sai  anche  lu  che  qual- 
die  volta  quelli  che  le  dicon  piti  grosse  —  Basta;  quando  si  senloii 
certe  proposizioni,  girar  la  lesta,  e  dire:  vengo;  come  se  qualchedimo 
chiamasse  da  un'altra  parie.  Io  cerctieró  dì  tornare  più  presto  clic 
posso.  " 

Ciò  detto,  scese  con  lei  in  cucina,  diede  un' oecliiata  in  giro,  per 
veder  se  e'  era  noiìtà  di  rilievo;  staccò  da  un  cavicchio  il  cappello  e 
la  cappa,  prese  un  randello  da  un  cantuccio,  ricapitolò,  con  Un'altra 
occhiala  idla  moglie,  I'  istruzioni  che  le  aveva  date;  e  uscì.  Ma,  già 
nel  for  quelle  operazioni,  aveva  ripreso,  dentro  di  si-,  il  filo  dell'apo- 
strofe cominciala  al  letto  del  po^'ero  Renzo;  e  la  proseguiva,  cammi- 
nando in  istrada. 

—  Testardo  d'un  montanaro!  —  Che,  per  quanto  Renzo  a^■esse 
volato  tener  nascosto  l'esser  suo,  questa  qualità  si  manifesta\'a  da  sé, 
nelle  parole,  nella  pronunzia,  nell'aspetto  e  negli  alti.  —  Una  gior- 
nata come  questa,  a  forza  di  politica,  a  forza  tfaver  giudìzio,  io  n'u- 
scivo netto;  e  dovevi  venir  tu  sulla  fine,  u  guastarmi  l'uova  nel  pa- 
niere. Manca  osterie  in  Milano,  die  tu  dovessi  proprio  capitare  alla 
mia?  Fossi  almeno  capitato  solo;  die  avrei  chiuso  un  occhio,  per  questa 
sera;  e  domattina  t'avrei  fatto  intender  la  ragione.  Ma  no  signoro; 
ili  compagnia  ci  vieni;  e  in  compagnia  d'un  bargello,  per  far  meglio! 

A  ogni  passo,  l'oste  incontrava  o  passeggieri  scompagnali,  o  coppie, 
o  brigate  di  gente .  che  giravano  susurrando.  A  questo  punto  delia 


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I  PRUHES3I  SPOSI 


sua  mula  allocuzione,  vide  venire  una  paUuglia  ili  soktati  ;  e  tiran- 
dosi da  parie,  per  lasciarli  passare,  li  guardò  con  la  coda  dell' oc^iio. 


e  continuò  Ira  sé  :  —  eccoli  i  gasligamalti.  E  l« ,  pezzo  tV  asino, 
per  a\'er  visto  un  po'  di  gente  in  giro  a  far  baccano,  ti  su'  eaccìato 
in  testa  die  il  mondo  abbia  a  mutarsi.  E  su  questo  bel  fondamento,  li  sei 
rovinato  le,  e  volevi  anche  rovinar  me;  che  non  è  giusto.  Io  facevo  di 
lutto  per  salvarli;  e  lu,  bestia,  in  contraccambio,  e'  è  mancalo  poco 
che  non  m'iiai  messo  sottosopra  l' osteria.  Ora  tocolierà  .1  le  a  levarli 
d'impiccio:  per  me  ei  penso  io.  Come  se  io  volessi  sapere  il  tuo  nome 
per  una  mia  curiosità  !  Cosa  m'  imporla  a  me  die  tu  ti  ehiami  Tad^ 
deo  o  Barlolommeo  ?  Ci  ho  un  bel  gusto  anch'  io  a  prender  la  penna 
in  mano!  ma  non  siete  voi  altri  soli  a  voler  le  cose  a  modo  vostro. 
Lo  so  andi'io  che  ci  son  delle  gride  die  non  conlan  nulla:  bella  no- 
vità, da  venircela  a  dire  un  montanaro!  Ma  tu  non  sai  che  le  gride 
contro  gli  osti  coniano.  E  pretendi  girare  il  mondo,  e  parlare;  e  non 
sai  che,  a  voler  fare  a  modo  suo,  e  impiparsi  delle  gride,  la  prima 
cosa  è  di  parlarne  con  gran  riguardo.  E  per  un  povero  oste  che  fosse 
del  tuo  parere,  e  non  domandasse  il  nome  di  chi  capila  a  favorirlo, 
sai  tu,  bestia,  cosa  c'è  dì  bello?  Sotto  pena  a  qual  si  voglia  dei  itetti 
oiti,  tavernai  ed  altri,  come  sopra,  di  trecento  scudi:  si,  son  li  die  co- 
vano trecento  scudi;  e  per  ispenderli  così  bene;  da  essere  applicati ,. 
per  I  due  terzi  alla  regia  Camera,  e  l'altro  all'  accusatore  o  dela- 
tore: qud  bel  cecino!  Ed  in  caso  di  inabilità,  cinque  anni  di  galera, 
e  maggior  pena,  pecuniaria  0  corporate,  all' arbitrio  di  sua  eccellfnza. 
ObblÌgatis.simo  alle  sue  grazie.  — 


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'     CAPITOLO  XV.  «0:1 

\  queste  jiarole,  l'oste  toccava  la  soglia  del  palazzo  di  giustizia. 

Li,  come  a  lutti  gli  altri  ufizi,  c'era  tui  gran  da  fare:  per  tulio 
s'attendeva  a  dar  gli  ordini  che  parevan  più  atti  a  preoccupare  il 
giorno  M^uenlc,  a  levare  i  prelesti  e  l'ardire  agli  animi  vogliosi  di 
nuovi  tumulti,  ad  assicurare  la  forza  nelle  mani  solile  a  adoprarla. 
S'accrebbe  la  soldatesca  alla  casa  del  vicario;  gli  sbocchi  della  strada 
furono -sbarrati  di  travi,  trincerali  di  carri.  S'ordinò  a  tulli  i  foniai 
che  facessero  pane  senza  intermissione;  si  spedirono  staffetle  a'  paesi 
circonvicini,  con  ordini  di  mandar  grano  alla  città;  a  ogni  forno  furono 
deputati  nobili,  che  vi  si  portassero  di  buon  nuiUino,  a  invigilare  sulla 
distribuzione  e  a  tenere  a  freno  gl'inquieti,  con  l'autorità  della  pre- 
senza, e  con  le  buone  paroFe.  Ma  per  dar,  come  si  dice,  un  colpo  al 
cerchio  e  uno  alla  botte ,  e  render  più  efficaci  i  consigli  con  un  po' 
di  spavento,  si  pensò  anche  a  trovar  la  maniera  di  metter  le  mani 
addosso  a  qualche  sedizioso  :  e  questa  era  principalmente  la  parte  del 
capitano  di  giustizia;  il  (piale,  ognuno  può  pensare  die  senlimcnli 
avesse  per  le  sollevazioni  e  pur  i  sollevati,  con  una  pezzella  d'acqua 
\  ulncraria  sur  uno  degli  organi  della  profondità  melalìsica.  I  suoi  brac- 
cdi  erano  in  campo  tino  dal  principio  del  lumulto:  e  quel  sedicente 
Ambrogio  Fusella  era,  come  ha  detto  l'oste,  un  bargello  travestilo, 
mandalo  in  giro  uppunto  per  cogliere  sul  fatto  qualclieduno  da  po- 
lersi  riconoscere,  e  tenerlo  in  petto,  e  appostarlo,  e  acchiapparlo  poi, 
a  notte  affalto  quieta,  o  il  giorno  dopo.  Sentite  quattro  parole  di 
quella  predica  di  Renzo,  colui  gli  aveva  fatto  subilo  assegnamento 
sopra;  parendogli  quello  un  reo  buon  uomo,  proprio  quel  che  ci  vo- 
leva. Trovandolo  poi  nuovo  affatto  del  paese ,  aveva  tentalo  il  colpo 
maestro  di  condurlo  caldo  caldo  alle  carceri,  come  alla  locanda  più  si- 
cura della  città;  ma  gli  andò  fallito,  come  avete  visto,  Potè  però  por- 
lare  a  casa  la  notìzia  sicura  del  nome,  cognome  e  patria,  oltre  cen- 
l' altre  belle  nolizie  congetturali;  dimodoché,  quando  l'osle  capitò  lì,  a 
dir  eió  che  sapeva  intorno  Renzo,  ne  sapevan  già  più  dì  lui.  Entrò 
nella  solila  stanza,  e  fece  la  sua  deposizione:  come  era  giunto  ad  al- 
loggiar da  lui  un  forestiero,  che  non  ave\'a  mai  v<duto  manifestare  il 
suo  nome. 

f  Avete  fatto.il  voslro  dovere  a  informar  la  giuslizia;  «  disse  un 
notaio  criminale^  mettendo  giù  la  penna,  u  ma  già  Io  sapevamo.  » 

'—  Bel  segreto!  —  pensò  l'oste:  —  ci  vuole  un  gran  talento!  — 
«  E  sappiamo  anche,  »  continuò  il  notaio,  «  (|ucl  rivcrilo  home.  » 


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loe  I  PHOHESSI  SPOSI 

—  Diavolo!  il  nome  poi,  com'lianno  fatlo?  —  pensò  l'osle  qtiesla 
voi  la. 

u  Ma  voi,  y'  riprese  l'altro,  eon  volto  serio,  "  voi  noti  dite  liilto 
sinceramenie.  " 

u  Cosa  devo  dire  di  più?  » 

X  \h!  ali!  sappiamo  benissimo  che  colui  ha  portalo  nella  vostra 
osteria  una  quantità  di  pane  rubato,  e  rubato  con  violenza,  per  via 
di  sacclieggio  e  di  sediziotte.  » 

»  Vien  uno  con  un  pane  in  tasca;  so  assai  dov'  è  andato  a  pren- 
derlo. Pereliè,  a  parlar  come  in  punto  di  morte,  |>os50  dii-c  di  non 
avergli  visto  che  un  pane  solo.  " 

u  Già;  sempre  scusare,  difendere:  clii  sente  voi  altri,  son  tulli 
galantuomini.  Come  potete  provare  che  quel  pane  fosse  di  buon 
acquisto?  " 

"  Cosa  ho  da  provare  io?  io  non  c'enlr'o:  io  fo  l'osle.  ■^ 


"  Non  |>utrete  però  n^^re  che  eodcslo  vostro  avventore  non  ab- 
bia avuta  la  temerità  di  proferir  parole  ingiuriose  contro  le  gride, 
I-  di  fare  alti  inali  e  iudeeenti  contro  l' arme  di  sua  eccellenza.  » 

u  Mi  faccia  grazb,  vossignoria:  come  può  nuu  essere  mio  avven- 
tore, se  lo  vedo  per  la  prima  volta?  É  il  diavolo,  con  rispetto  par- 
lando, che  l'ha  mandalo  a  casa  mia:  e  se  lo  conoscessi,  vossignoria 
%edc  bene  che  non  avrei  avuto  bisogno  di  domandargli  il  suo  nome.  » 

"  Però,  nella  vostra  osterìa,  alla  vostra  presenta,  si  son  flette  cose 
di  fuoco  :  i)arole  temerarie,  proposÌEioni  sediziose ,  mormoruionì,  ^rìda, 
clamori.  » 


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CAPITOLO  XV.  lOT 

"  Come  vuole  vossignoria  eli'  io  badi  agii  spropositi  che  posson 
dire  tanti  orioni  che  parlai)  ditti  insieme?  Io  devo  attendere  a' miei 
interessi,  che  sono  un  pover'uomo.  E  poi  vossignoria  sa  bene  che 
chi  è  di  lingua  sciolta,  per  il  solito  è  andie  lesto  di  mano,  tanto  più 
quando  sono  una  brigala,  e  ...  » 

1  Si,  si;  lasciateli  Tare  e  dire:  d(Hnani,  domani,  vedrete  se  gli  sarà 
passato  il  riuzo.  Cosa  credete?  » 

«  lo  non  credo  nulla.  » 

u  Che  la  cani^ia  »a  diventala  padrona  di  Milano?  » 

»  Oh  giusto  !  » 

«  Vedrete,  vedrete.  " 

u  Intendo  benissimo  :  il  re  sarà  sempre  il  re;  ma  chi  avrà  riscosso, 
a\Tà  riscosso:  e  naturalmente  un  povero  padre  di  famiglia  non  ha 
voglia  di  riscolere.  Lor  signori  hanno  la  forza:  a  lor  signori  tocca.  « 

"  Avete  ancora  molta  gente  in  casa?  » 

u  Un  visibilio.  » 

<•  E  quel  vostro  avventore  cosa  fa?  Continua  a  schiamazzare,  a 
metter  su  la  gente,  a  preparar  tumulti  per  domani?  » 

«  Quel  forestiero,  vuol  dire  vossignoria:  e  andato  a  letto,  n 

u  Dunque  avete  molla  gente Basta;  badalo  a  non  lasciarlo 

scappare.  « 

—  Che  (levo  fare  il  birro  io?  —  |iensò  l'oste;  ma  non  disse  né  si 
né  no. 

^  Tornate  pure  a  casa;  e  abbiate  giudizio,  »  riprese  il  nolaio. 
u  Io  ho  sempre  avuto  giudizio.  Vossignoria  può  dire  se  ho  inai 
dato  da  fare  alla  giustizia.  " 

i-  E  non  crediate  che  la  giustizia  abbia  perduta  la  sua  forza.  " 

-  [o^  per  carità!  io  non  credo  nulla:  abbado  a  far  l'oste,  n 
"  La  solila  canzone:  non  avete  mai  altro  da  dire,  r 

1  Che  ho  da  dire  altro?  La  verità  è  una  sola.  » 

"  Basta;  per  ora  riteniamo  ciò  che  avete  deposto;  se  verrà  poi  Ìl 
<-aso,  informerete  più  minutamente  la  giustizia,  intorno  a  ciò  che  vi 
l>olrà  venir  domandato,  n 

u  Cosa  ho  da  informare?  io  non  so  nulla;  appena  ho  la  lesta  da 
attendere  ai  falli  miei,  n 

u  Badate  a  non  laseiari»  partire.  '' 

u  Spero  che  l' illustrissimo  signor  capilano  saprà  che  son  venuto 
subilo  a  fare  il  mio  dovere.  Bacio  le  mani  a  vossignoria.  « 


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■i„a  I  l'IlOllESSI  SPOSI 

Allo  !ipiiiilar  drl  giorno,  Renzo  russava  da  virca  scU'ore,  ed  era 
iiiicora,  [loverelto!  sul  più  bello,  quando  due  forti  scosse  alle  h'accìa, 
e  una  voec  clic  dappiè  del  Ietto  gridava  :  «  Lorenzo  Tcamaglino  1  "  . 
lo  fecero  riseotere.  Si  risenti,  ritirò  le  braccia,  apri  gli  occhi  a  stento; 
(!  vide  ritto  appiè  del  Ietto  un  uomo  vestito  di  nero,  e  due  armali, 
uno  (li  (pia,  uno  di  là  del  capezzale.  E,  tra  la  sorpresa,  e  il  non  es- 
ser desto  bene,  e  la  spranglietla  di  quel  vino  che  sapete,  rimase  un 
momento  come  Incantalo;  e  credendo  di  sognare,  e  non  piacendogli 
(]uel  sogno,  si  diluena^'a,  come  per  is^egliarsi  afTatlo. 

"  Ah!  avete  sentito  una  volla,  Lorenzo  Tramaglino?  «  disse  l'uomo 
dalla  cappa  nera,  (pici  iiolnio  medesimo  della  si-ra  itvanti.  "  Animo 
dunque;  levatevi,  e  venite  con  noi.  >■ 

u  Lorenzo  Tramiiglino!  »  disse  Renzo  Tramaglino:  "  cosa  vuol 
dir  questo?  Cosa  volete  da  me?  Chi  v'ha  dello  il  mio  nome?  " 

«  Meno  ciarle,  e  fate  presto,  n  disse  uno  de"  birri  che  gli  stavano 
a  lianeo,  prendendogli  di  nuovo  il  braccio. 

j  Ohe!  che  pi-e|ioleiiza  ("■  qiicsla?  "  gndt)  Renzo,  riliraiido  il  brac- 
cio. «  Osici  a  i'osic;  « 


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CAPITOLO  XY  «0(1 

«  Lo  porliam  via  in  camJm?  "  disse  ani-ora  quel  btrro,  voltali' 
dosi  ai  notaio. 

X  Avete  inteso?  n  disse  ijucslo  a  Renzo:  »  ai  farà  cosi,  se  non  ^1 
levale  subito  subito ,  per  %'enir  con  noi.  >■ 

"  E  percliè?  "  diMiiandò  Renzo. 

t  U  perchè  lo  sentirete  dal  signor  i-apilano  di  giustizia.  - 

u  Io?  Io  sono  un  galantuomo:  non  lio  latto  nulla;  e  mi  mai-avi- 
gtio » 

>.  Meglio  per  voi,  meglio  per  voi;  t-osi,  in  due  parole  sarete  spir- 
da(o,  e  potrete  andarvene  per  i  Talli  vostri,  n 

u  Mi  lascino  andare  ora,  «  (lis.se  Renzo:  »  io  non  Ito  elle  far  niilb 
eon  la  giuslizla.  '^ 

>•  Orsù,  liiiiamola!  »  diss«'  un  birro. 

■i  Lo  portiamo  via  <lavvero?  «  disse  l'allro.* 

-  Lorenzo  Tramaglino!  n  disse  il  notaio 
»  Come  sa  il  mio  nome,  vossignoria?  " 

-  Fate  il  vostro  dovere ,  «  disse  il  notaio  a'  birri  ;  i  c|nali  misero 
subito  le  mani  addosso  a  Renzo,  per  timrlo  fuori  del  letto. 

"  Eli  !  non  toccale  la  canie  d' un  galaiiltiomo ,  elie  ....  1  Hi  so  ve- 
stir da  me.  " 

-  Dunque  vestiteci  subito,  »  disse  il  notaio. 

••  Mi  vesto,  y  rispose  Renzo;  e  and:i\'a  di  fatti  rm-cogliendo  qua  e 
là  ì  panni  sparsi  sul  letto,  come  gli  avanzi  d'nn  naufragio  sul  lido. 
E  cominciando  à  méllerseli,  proseguiva  tuttavia  dicendo:  »  ma  io 
non  d  viglio  andare  dal  capitano  di  giustizia.  Non  lio  elic  far  nulla 
con  lui.  Giacché  mi  si  fa  quesf  aflroiilo  ÌEiginstamcnte,  voglio  esser 
condotto  da  Ferrer.  Qnello  lo  conosco,  so  che  è  un  galantuomo;  i; 
ra'ba  dell' (^Uigazioni.  » 

u  Si,  M,  figliuolo,  sarete  condotto  da  Ferrer,  <>  m|iose  il  notaio. 
In  allrc  circostanze,  avrebbe  riso,  proprio  di  gusto,  d'una  richieda 
ornile;  ma  non  era  moinento  da  ridere.  Già  nel  venire,  aveva  visto 
per  le  strade  un  certo  movimento,  da  non  potersi  ben  definire  se  fos- 
sero rimasugli  d'una  sollevazione  non  del  lutto  sedata^  o  principi  d'una 
nuova:  uno  sbucar  di  persone,  un  accozzarsi,  un  andare  a  brigate, 
un  far  croccili.  E  ora,  senza  farne  sembiante,  o  cercando  almeno  di 
non  farlo,  stava  in  orecchi,  e  gli  pareva  che  il  ronzio  andiasse  cre- 
scendo. Desiderava  dunque  di  spicciarsi;  ina  avrebbe  anche  voluto 
condur  via  Renzo  d'amore  e  d'accordo;  giacché,  se  si  fosse  \'emiti  n 


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100  I  PlIOUESSl  SPOSI 

guerra  aperta  con  lui,  noit  itoleva  esser  cerio,  quando  fossei'o  iti 
istrada,  di  trovarsi  tre  coiiU-'uiio.  Perciò  dava  d'occhio  a'  birri,  die 
avessero  pazienza,  e  non  inasprissero  il  giovine;  e  dalia  parie  sua, 
cercava  di  persuaderlo  con  buone  parole.  Il  giovine  intanto,  mentre  si 
vestiva  adagino  adagino,  richiamandosi,  come  poteva,  alla  memoria  ^'t 
avvenimenli  del  giorno  avanti ,  indovinava  bene,  a  un  di  presso,  che 
le  gride  e  il  nome  e  il  cognome  dovevano  esser  la  causa  di  tutto; 
ma  come  diamine  colui  lo  sapeva  quel  nome?  E  clic  diamine  era 
accaduto  in  quella  notte,  perchè  la  giustizia  avesse  preso  lant' ani- 
mo, da  venire  a  colpo  sicuro,  a  metter  le  mani  addosso  a  uno  de' 
buoni  figliuoli  che,  il  giorno  avanti,  avevan  tanta  voce  in  capitolo? 
e  die  non  dovevano  esser  tutti  addormentali,  poiché  Renzo  s'accor- 
geva anche  lui  d'un  ronzio  crescente  nella  strada.  Guardando  poi  in 
viso  il  notaio,  vi  scorgeva  in  pelle  in  pelle  la  titubazione  che  costui 
si  sforzava  invano  di  tener  nascosta.  Onde,  cosi  per  venire  in  diìaro 
delle  sue  congetture,  e  scoprir  paese,  come  per  tirare  in  lungo,  e 
anche  per  tentare  un  colpo,  disse:  «  vedo  bene  cos'è  l'origine  di 
tutto  questo:  gli  e  per  amor  del  nome  e  del  econome.  ler  sera  ve- 
ramente ero  un  po'  allegro:  questi  oali  alle  volte  hanno  certi  vini 
traditori;  e  alle  volle,  come  dico,  si  sa,  quando  il  vino  è  giù,  è  lui 
che  parla.  Ma,  se  non  si  tratta  d'altro,  ora  son  pronto  a  darle  ogni 
soddisfazione.  E  poi,  già  lei  lo  sa  il  mio  nome.  Chi  diamine  gliel  ha 
detto?  » 

"  Bravo,  figliuolo,  bravo!  «  rispose  il  notaio,  tutto  manieroso: 
«  vedo  che  avete  giudizio;  e,  credete  a  me  che  son  dd  mestiere,  voi 
siete  più  furbo  che  tanl' altri.  E  la  miglior  maniera  d'uscirne  presto 
e  bene:  con  codeste  buone  disposizioni,  in  due  parole  siete  spicdalo, 
e  lasdato  in  liberlà.  Ma  io,  vedete  Dgliuolo,  ho  le  mani  legale,  non 
posso  rilasciarvi  qui,  come  vorrei.  Via,  fate  presto,  e  venite  pure 
senza  timore;  che  quando  vedranno  dii  siete;  e  poi  io  dirò. ...  La- 
ssale fare  a  me Basta  ;  sbrigatevi ,  figliuolo.  » 

«  Ah!  lei  non  può:  intendo,  »  disse  Renzo;  e  continuava  a  ve- 
stirsi, rispingendo  con  de'  cenni  i  cenni  che  i  bin-i  facevano  di  met- 
lergli  le  mani  addosso,  per  farlo  spicciare. 

«  Passeremo  dalla  piazza  del  duomo?  »  domandò  poi  al  notaio. 

1  Di  dove  volete;  per  la  più  corta,  affine  di  lasciarvi  più  presto  in 
libertà,  »  disse  qudlo,  rodendosi  dentro  di  sé,  di  dover  lasciar  cadere 
in  terra  quella  domanda  misteriosa  di  Renzo,  che  poteva  divenire  un 


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CAPITOLO  XV,  MI 

(enia  dì  cento  inlurrogazioni.  —  Quando  uno  nasce  disgrazialo!  — 
pensava.  —  Ecco;  mi  viene  alle  mani  uno  clic,  si  vede,  non  vor- 
rebbe altro  clic  cantare;  e,  un  |>o'  di  respiro  che  s'avesse,  così  extra 
Ibrnutm ,  accademicamente,  in  via  di  discorso  amichevole,  gli  si  fa- 
rebbe confessar,  senza  corda,  quel  che  uno  volesse;  un  uomo  da  con- 
durlo ili  prigione  già  beli' e  esaminalo,  senza  che  se  ne  fosse  accorto: 
e  un  uomo  di  questa  sorte  mi  deve  per  I'  appunto  capitare  in  un 
momento  cosi  angustiato.  Eh!  non  c'è  scampo,  —  continuava  a  pen- 
sare, tendendo  gli  orecchi,  e  piegando  la  testa  all'indietro:  —  non 
c'è  rimedio;  e'  risica  d'essere  una  giornata  peggio  di  ieri.  —  Ciò  che 
lo  fece  pensar  cosi ,  fu  un  rumore  straordinario  die  si  senti  nella 
strada:  e  non   potè  tenersi  di  non  aprir  l'impannata,  per  dare  un' 


ocdiiatina.  Vide  ch'era  un  erocchio  di  cittadini,  i  quali,  all'  intima- 
zione di  sbandarsi,  fatta  loro  da  una  pattuglia,  avevan  da  principio 
risposto  con  cattive  parole ,  e  fmalinente  si  separavan  continuando  a 
brontolare;  e  quel  die  al  notaio  parve  un  segno  mortale,  i  soldati 
eran  pieni  di  civiltà.  Chiuse  l' impannata,  e  stette  nn  momento  in 
forse,  se  dovesse  condor  l'impresa  a  termine,  o  lasciar  Renzo  in 
guardia  de'  due  birri,  e  correr  dal  capitano  di  giustizia,  a  render 
conto  di  ciò  che  accadeva.  —  Ma,  —  pensò  subilo,  —  mi  si  dirà 
che  sono  un  buon  a  nulla,  un  pusillanime,  e  che  dovevo  eseguir  gli 
ordini.  Siamo  in  ballo;  bisogna  ballare.  Malannaggia  la  furia!  Maledetto 
il  mestiere! 


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Renzu  era  l<.-\alo,:  i  due  sa'ellili  gli  alavano  a'  fiaiic-lii.  Il  notaio 
iuremió  a  (;0!>loro  che  non  lo  sfurza^scr  (ro|>|io.  e  (lìst-o  a  lui:  »  da 
bravo,  (ìgliiiulu;  a  noi,  s|iic(-iatevi.  i 

Anche  Ronzo  svnliva,  vedc\a  e  pensava.  Era  ormai  tuHu  veslilo. 
salvo  il  (arsetlo,  die  teneva  con  una  mano,  frugaiiilo  con  l'altra  nelle 
lascile.  "  Ohe!  "  di^e,  guardando  il  notaio,  co»  un  viso  mollo  si- 
gnilicanle:  »  (|iii  c'era  de'  soldi  e  una  lettera.  Signor  mio!  -^ 

u  Vi  sarà  dato  ogni  cosa  luinlualnieiile,  ->  disse  il  notaio,  ^  do)»* 
adenijiile  (|ueMe  gioehe  fornialilà.  Andiamo,  andiamo.  •- 


»  \o,  DO,  no,  n  disse  Renzo,  tentennando  il  capo:  »  <jues(a  non 
mi  va:  voglio  la  roba  mia,  signor  mio.  Renderò  conto  delle  mie  azioni; 
ma  voglio  la  roba  mia.  n 

"  Voglio  farvi  vedere  die  mi  fido  di  voi:  tenete,  e  fate  presto,  " 
(lisine  il  notaio,  levandosi  di  seno,  e  consegnando,  con  un  sospiro,  a 
Renzo  le  cose  setiucstrale.  Questo,  r-iponendolc  al  loro  [loslo,  mormo- 
rava tra'  denti:  "  alla  larga!  bazzicate  tanto  co'  ladri ,  che  avete  un 
poco  imparato  il  mestiere,  n  I  birri  non  potcvan  più  stare  alle  mos- 
se; ma  il  notaio  li  teneva  a  freno  con  gli  occhi,  e  diceva  intanto  tra 
sé:  —  se  tu  arrivi  a  metter  piede  dentro  quella  soglia,  l'Ila!  da  [u- 
gar  con  usura  ;  l'hai  da  pagare.  — 


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CAPITOLO  W.  MS 

Mentre  Renzo  si  metteva  il  Eetrsetlo,  e  jtrendeva  il  capitilo,,  il  no- 
taio fece  cenno  a  un  de'  birri,  die  s'avviasse  per  la  scala;  gii  mandò 
dietro  il  prigioniero,  poi  l'altro  amico;  poi  si  mosse  anclie  lui.  In  cu- 
cina che  furono,  mentre  Renzo  dice:  «  e  que^^t'osle  benedetto  dove 
s'è  cacciato?  »  il  notaio  fa  un  altro  cenno  a'  birri;  ì  quali  afferrano, 
l'uno  la  destra,  l'altro  la  sinistra  del  giovine,  e  in  fretta  in  fretta  gli 
legano  i  polsi  con  certi  ordigni,  |ier  quell'ipocrita  figura  d'eufemi- 
smo, chiamati  manichini.  Consistevano  questi  (ci  dispiace  di  dover 
discendere  a  particolari  indegni  della  gravità  slorica;  ma  la  chiarezza 
lo  richiede),  consistevano  in  una  cordicella  lunga  un  po'  più  che  il 
giro  d'un  polso  ordinario,  la  quale  aveva  nelle  cime  due  pezzetti  di 
I^^o,  come  due  piccole  slanglictle.  La  cordicella  circondava  il  ])olso 
del  paziente;  i  legnelti,  |)assali  tra  il  medio  e  1'  anulare  del  prendi- 
tore, gli  rimanevano  chiusi  in  pugno,  dì  modo  che,  girandoli,  ri- 
stringeva la  legatura,  a  volontà;  e  con  ciò  aveva  mezzo,  non  solo 
d'assicurare  la  presa,  ma  anche  di  martirizzare  un  ricalcitrante:  e  a 
questo  fìne,  la  cordicella  era  sparsa  di  tiodì. 

Renzo  si  divincola,  grida:  «  che  tradimento  è  questo?  A.  un  galan- 
tuomo ....'.«  Ma  il  notaio ,  che  per  ogni  tristo  fatto  a\  èva  le  sue 
buone  parole,  «  abbiale  |>azienza,  »  dicc^'a:  »  fanno  il  loro  dovere. 
Cosa  volete?  son  tulle  formalità;  e  anche  noi  non  possiamo  trattar  la 
gente  a  seconda  del  nostro  cuore.  Se  non  si  facesse  quello  che  ci  \ien 
comandato,  staremmo  freschi  noi  altri,  pe^^io  di  \oi.  Abbiale  pa- 
zienza. " 

Mentre  parlava,  i  due  a  cui  toccava  a  fare,  <licdero  mia  gii'ata  a~ 
legnetti.  Renzo  s'acquietò,  come  un  cavallo  bizzarro  che  si  sente  il 
kdibro  stretto  tra  le  morse,  e  esclamò:  «  pazienza!  ^^ 

«  Bravo  figliuolo!  »  disse  il 'notaio:  «  questa  è  la  vera  maniera 
d' uscirne  a  bene.  Cosa  vol*te?  è  una  seccatura;  lo  vedo  anch'io;  ma, 
IMrtandovi  bene,  in  un  momento  ne  siete  fuori.  E  giacché  \edo  che 
siele  ben  disposto,  e  io.  mi  sento  inclinato  a  aiutarvi,  voglio  darvi 
anche  un  altro  parere,  i>er  vostro  bene.  Creilctc  a  nie,  die  son  pra- 
tico di  queste  cose:  andate  via  diritto  diritto,  senza  guardare  in  qua 
e  in  là,  senza  fervi  scorgere:  così  nessuno  bada  a  voi,  nessuno  s'av'- 
vcde  di  quel  cbe  è;  e  voi  conservate  il  vostro  onore.  Ui  qui  a  un'wa 
voi  siete  in  libertà:  c'è  tanto  da  fare,  die  avranno  fretta  anctic  loro 
di  sbrigarvi:  e  poi  parlerò  io. . . ,  Ve  n'andate  per  i  fatti  vostri;  e 
nessuno  saprà  cbe  siete  stalo  nelle  mani  <lel)a  giustizia.  E  voi  altri,  " 


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.104  I  PROMESSI  SPOSI 

vonlimiò  poi,  vollaiidosi  a'  birri,  con  un  viso  severo:  u  guardate  bene 
di  non  fargli  male,  perchè  lo  proteggo  io:  il  vostro  dovere  bisogna 
che  lo  facciate;  ma  ricordatevi  che  e  un  galantuomo,  un  giovine  ci- 
vile, il  quale,  di  qui  a  poco,  sarà  in  libertà;  e  che  gli  deve  premere 
il  suo  onore.  Andate  in  maniera  che  nessuno  s'avveda  di  nulla:  come 
se  foste  tre  galantuomini  che  vanno  a  spasso.  »  E,  con  tono  imperativo, 
e  con  sopracciglio  minaccioso,  concluse:  »  m'a^'ele  inleso.  »  Vollalosì 


l>oi  a  Renzo,  col  sopracciglio  spianato,  e  col  viso  divenuto  a  un  tratto 
riilcnle,  che  pareva  volesse  dire:  oh'noi  sì  che  siamo  amici!,  gli  bi- 
sbigliò di  nuovo  :  u  giudizio  ;  fate  a  mio  modo  :  andate-  raccolto  e 
(|uieto;  fìdatevi  di  chi  vi  vuol  bene:  andiamo,  n  Eia  comitiva  s'av%-Ìò. 
Però,  di  tante  belle  parole  Renzo,  non  ne  credette  una:  né  che  il 
notaio  volesse  più  bene  a  lui  che  a'  biiri,  né  die  prendesse  lauto  a 
cuore  la  sua  riputazione,  nò  che  avesse  inlenzion  d'aiutarlo:  capi  be- 
nri^imo  che  il  galantuomo,  temendo  che  si  presentasse  per  la  slrada 
qualche  buona  occasione  di  scappargli  dalle  mani,  metteva  innanzi 
<|ue'  bei  motivi,  per  istornar  lui  dallo  starci  attento  e  da  approfittarne. 
Dìmododiè  tulle  quelle  esortazioni  non  servirono  ad  altro  che  a  eon- 
fcnnarlo  nel  disegno  che  già  aveva  in  testa,  di  far  lutto  il  contrario. 


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CAPITOLO  XV.  SOH 

Nessuno  concluda  da  ciò  che  il  notaio  fosse  un  furbo  inesperto  e 
novizio;  perchè  s'ingannerebbe.  Era  un  furìw  matricolato,  dice  il  no- 
stro storico,  il  quale  pare  che  fosse  nel  numero  de' suoi  amici:  ma,  in 
quel  momento,  si  trovava  con  l'animo  agitato.  A  sangue  freddo,  vi  so 
dir  io  come  si  sarebbe  tatto  beffe  di  chi,  per  indurre  un  altro  a  fare 
una  cosa  per  sé  sospetta,  fosse  andato  su^;erend(^iela  e  inculcando- 
gliela caldamente,  con  quella  miserabile  finta  di  dargli  un  parere  di- 
sinteressato, da  amico.  Ma  é  una  tendenza  generale  degli  uomini, 
quando  sono  agitati  e  angustiati ,  e  vedono  ciò  che  un  altro  (lotrebbe 
lare  per  levarli  d'impìccio,  di  chiederglielo  con  istanza  e  ripetuta- 
mente e  con  ogni  sorte  di  prelesti;  e  i  furbi,  quando  sono  angustiali 
e  aitati,  cadono  anche  loro  sotto  questa  legge  comune.  Quindi  è  che, 
in  simili  circostanze,  fanno  per  lo  più  una  così  meschina  figura.  Que' 
ritrovali  maestri,  quelle  belle  malizie,  con  le  quali  sono  avvezzi  a 
vincere,  che  son  diventate  |>er  loro  quasi  una  seconda  natura,  e  che, 
messe  in  opera  a  tempo,  e  condotte  con  la  (Kicalezza  d'animo,  con  la 
serenità  di  mente  necessarie,  fanno  il  colpo  così  bene  e  cosi  nascosta- 
mente, e  conosciute  anche,  dopo  la  riuscita,  riscolono  l'applauso  uni- 
versale; i  poverini  quando  sono  alle  strette,  le  adoprano  in  fretta,  al- 
l'impazzala, senza  garbo  né  grazia.  Di  maniera  che  a  uno  che  li  veda 
ingegnarsi  e  arrabattarsi  a  quel' modo,  fanno  pietà  e  movou  lo  risa;  e 
Tuomo  che  pretendono  allora  di  mettere  in  mezzo,  quantimque  meno 
accw^o  di  loro,  scopre  benissimo  tutto  il  loro  gioco,  e  ila  quegli  ar- 
tifizi ricava  lume  per  sé,  contro  di  loro.  Perciò  non  si  può  mai  ab- 
bastanza raccomandare  a'  furbi  di  professsione  di  conservar  sempre  il 
loro  sangue  freddo,  o  d'esser  sempre  i  più  forti,  che  è  la  più  sicura. 

Renzo  adunque,  appena  furono  in  istrada,  cominciò  a  girargli  oc- 
chi in  qua  e  in  là,  a  spoi^rsì  con  la  iwrsoaa,  a  destra  e  a  sinistra, 
a  tender  gli  orecchi.  Non  e'  era  però  concorso  straordinario;  e  bendiè 
sul  viso  di  più  d'un  passeggìero  si  potesse  legger  facilmente  un  cerio 
non  so  che  dì  sediuoso,  pure  ognuno  andava  diritto  per  la  sua  stra- 
da;  e  sedizione  propriamente  delta,  non  e'  era. 

«  Giudizio,  giudizio!  n  gli  susurrava  il  notaio  dietro  le  spalle:  "il 
vostro  onore;  l'onore,  figliuolo.  »  Ma  quando  Renzo,  badando  atten- 
tamente a  tre  che  venivano  con  visi  accesi,  senti  che  pariavan  d'un 
forno,  di  farina  nascosta,  di  giustizia,  cominciò  anche  a  far  loro  de' 
cenni  col  viso,  e  a  tossire  in  quel  modo  che  indica  tutt'  altro  die 
un  raffreddore.  Quelli  guardarono  più  attenlamente  la  comitiva,  e  si 


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I  rnouGSSi  sposi 


fermarono  ;  con  loro  si  fei-marono  iillri  che  airivavaiio;  allrì,  che  gli  <,Taii 
)>a8satì  davanti,  voltatisi  al  bisbiglio,  tornavano  indietro,  e  faMvan  coda. 


'  Jliiitilt-  il  voi;  i^iiidizio,  figliuolo:  iieggiu  per  voi  vedete;  non  glia- 
slnl<-  i  Tiilti  vostri; l'onore,  la  riputazione,»  continuava  a  susurrare  il 
iioliiin.  Ronzo  Tiireva  peggio.  I  bim,  dopo  essersi  consultati  con  l'oo- 
clrìo,  |ifns;)ii<l<)  di  Tar  bene  (ognnno  è  soggetto  a  sbagliare),  gli  die- 
dero mia  NliTlla  di  inanidiint. 

■•  Ahi!  uhi!  ahi!  »  grida  il  tormentato:  al  grido,  la  gente  s'afTolla 
intorno;  n'accorre  da  ogni  parte  della  strada:  la  comitiva  si  trova  in- 
cagliala. "  È  un  inalviveiile,  n  bisbigliava  il  notaio  a  quelli  che  gli 
erdiio  a  ridosso  :  ^  è  un  ladro  colto  sul  fatto.  SÌ  ritirino,  lascili  passar 
la  giustizia.  •>  Ma  Renzo,  visto  il  M  iiiomentu,  visti  i  birri  diventar 
bianclii.  o  almeno  pallidi,  —  se  non  m'aiuto  ora,  pensò,  mio  danno. 
—  G  subito  alzò  la  voce:  «  figliuoli!  mi  menano  in  prigione,  perchè 
ieri  ho  gridato:  pane  e  giustizia.  Non  ho  fatto  nulla;  son  galanlnonio: 
aiulalcmì ,  nuii  ni'  abbandonale  ,  fìgliuolì  !  » 


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C*riTOLO  XV.  SUI 

Un  moiTOOi-io  favorevole,  voci  piti  chiare  di  proli-ziune  s'ulzano  in 
rÉjiposIa:  ì  birri  siil  principio  comandano,  poi  ditt'dono,  ])oi  pregano 
i  più  vidni  d'andarsene,  e  di  Tar  largo:  la  folla  in  vece  incalza  e  pi- 
gia sempre  più.  Qnclli,  vista  la  mala  parala,  lascian  andare  i  ma- 
nichini ,  e  non  si  coran  più  d'  allro  che  di  perdersi  nella  folla ,  pei- 
uscirne  inosservati.il  notaio  desiderava  anlcnlemenlc  di  far  lo  stesso; 
nia  c'era  de' guai,  per  amor  della  cappa  nera.  Il  (mver'uomo,  pallido 
e  sbigottito,  cercava  dì  farsi  piccino  piccine,  s'andava  storcendo,  pei- 
i^usciar  fnor  della  folla;  ma  non  poteva  alzar  gli  occhi,  che  non  se 
ne  vedesse  \'cnli  addosso.  Studiava  (ulte  le  maniere  di  comparire  un 
estraneo  che,  passando  di  lì  a  caso,  si  fosse  trovalo  stretto  nella  calca, 
come  una  pagliueola  nel  ghiaccio;  e  riscontrandosi  a  viso  a  viso  con 
uno  che  lo  guardava  fìsso,  con  un  cipiglio  peggio  degli  altri,  lui,  com- 
posta la  bocca  al  sorriso,  con  un  suo  fare  sciocco,  gli  domandò:  "  eos'  è 
slato?  " 

«  Uh  corvaccio!  "  rispose  colui.  «  Corvaccio!  eorvacciol  «  risonò 
all'intorno.  Alle  grida  s'aggiunsero  gli  urloni;  dì  maniera  elie,  in  poco 
tempo,  parte  con  le  gambe  proprie,  parie  con  le  gomita  altrui,  ot- 
tenne ciò  che  più  gii  premeva  in  «juel  momento,  d'essei- fuori  di  (jiicl 
serra  serra. 


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CAPITOLO  XVI. 


ij)|ia,  ijcuppa,  galiiiituoiiio :  U  e' è  un  L-oiivciito, 
ceco  là  unu  chiesa;  di  qui ,  di  là,  <•  si  grida  a 
Renzo  da  ogni  parte.  In  quanto  allo  scappare, 
jicnsate  se  aveva  bisogno  dì  consigli.  Fin  dal 
primo  momento  che  gli  era  balenato  in  mente 
una  speranza  d'uscir  da*quell'  unghie,  aveva 
cominciato  a  fare  i  suoi  conti,  e  stabilito,  se 
i|uesto  gli  riusciva,  d'andare  scnzafennarsi, Rn 
che  non  fosse  fuori,  non  solo  della  cilUi,  na  del 
ducato.  —  Perchè,  —  aveva  pensato,  —  il  mio  nome  l' hanno  su'  loro 
libracci ,  in  qualunque  maniera  1'  abbiano  avuto  ;  e  ccd    nome  e  co- 
gnome, mi  vengono  a  pi-endere  quando  vf^liono.  —  E  in  quanto  a 
un  asilo,  non  vi  si  sarebbe  caccialo  che  quando  avesse  avuto  i  birri 
alte  spalle.  —  Perchè,  se  posso  essere  uccel  di  bosco,  —  aveva  an- 
che pensalo,  —  non  voglio  diventare  ucccI  di  gabbia.  —  Aveva  dun- 
que disegnato  per  suo  rifugio  quel  paese  nel  territorio  di  Bei^jamo, 
ilov'  era  accasato  quel  suo  cugino  Bortolo,  se  ve  ne  rammentale,  che 
più  volle  l'aveva  invitalo  a  andar  là.  Ma  trovar  la  strada,  li  slava  il 
male.  Lascialo  in  una  parie  sconosciuta  d'una  città  si  può  dire  sco- 
nosciuta, Rento  non  sapeva  neppure  da  che  porta  s'  uscisse  per  an- 
dare a  Bergamo;  e  quando  l'avesse  sapulo,  non  sapeva  poi  andare  alla 
porta.  Fu  li  lì  per  farsi  insegnar  la  strada  da  qualcheduno  de'  suoi 
liberatori;  masiceome  nel  poco  tempo  che  aveva  avuto  per  meditare 


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CAPITOLO  XVI.  SM 

sa'  casi  suoi,  gli  eran  passate  per  la  mente  certe  idee  su  quello  spa- 
daio cosi  obbligante,  padre  di  quattro  lìgliooli,  cosi,  a  buon  c(H)to, 
non  volle  manifestare  i  suoi  disegni  a  una  gran  brigata,  dove  ce  ne 
poteva  essere  qualche  altro  di  quel  conio;  e  risolvette  subilo  d'allonla- 
itarsì  in  fretta  di  li  :  che  la  strada  se  la  farebbe  poi  insegnare,  in  luogo 
dove  nessuno  sapesse  rlii  era,  uè  il  perché  la  domandasse.  Disse  a'suoi 
liberatori:  u  grazie  tante,  l^iuoli:  siate  benedetti,  »  e,  uscendo  per  il 
largo  che  gli  fu  fatto  immediatamente,  prese  la  rincorsa,  e  via;  den- 
tro per  un  vicolo,  giù  per  una  stradetla,  galoppò  un  pezzo,  senza  sa- 
per dove.  Quando  gli  parve  (tessersi  allontanalo  abbastanza ,  rallentò 
il  passo,  per  non  dar  sospetto;  e  cominciò  a  guardare  in  qua  e  in 
là,  per  isceglier  la  persona  a  cui  far  la  sua  domanda,  una  faccia  che 
ispirasse  confidenza.  Ma  anche  qui  c'era  dell'  imbroglio.  La  domanda 
per  sé  era  sospetta;  il  tempo  stringeva;  i  birri,  appena  liberati  da 
quel  piccolo  intoppo,  dovevan  senza  dubbio  essersi  rimessi  in  traccia 
del  loro  fuggitivo;  la  voce  di  <|uclla  fuga  poteva  essere  arrivata  fin 
là;  e  in  liJi  strette,  Renzo  dovette  fare  forse  dieci  giudizi  fisionomici, 
prima  di  trovar  la  figura  che  gli  paresse  a  proposito.  Quel  grassotto, 
che  slava  ritto  sulla  soglia  ddlu  sua  bottega,  a  gambe  laiche,  con 
le  mani  di  dietro,  con  la  pancia  in  fuori,  col  mento  in  aria,  dal  quale 
pendeva  una  gran  |>appagorgia ,  e  che,  non  avendo  altro  che  fare, 
andava  alternativamente  sollevando  sulla  punta  de'  piedi  la  sua  massa 
(remolanlc,  e  lasciandola  ricadere  sui  calcagni,  aveva  un  viso  di  ci- 
catone  curioso,  che,  in  vece  di  dar  d(.<lie  risposte,  avrebbe  fatto  delle 


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siv  I  PROuessi  SPOSI 

inleriY^zioni.  Quell'altro  che  veniva  innanzi,  con  gli  occhi  fissi,  e  col 
labbro  in  fuori,  non  che  insegnar  \tresto  e  bene  la  strada  a  un  altro, 
appena  pareva  conoscer  la  sua.  Quel  ragazzotlo,  che,  a  dire  il  vero, 
mostrava  d'esser  mollo  sveglio,  mostrava  perù  d'essere  anche  jiiù  ma- 
lizioso; e  probabilmente  avrebbe  avuto  un  gusto  matto  a  far  andare 
un  povero  contadino  dàlia  parte  opposta  a  quella  che  desiderava.  Tan- 
fo vero  che  all'uomo  impicdato,  quasi  ogni  cosa  è  un  nuovo  impìc- 
vio!  Visio  tinalmente  uno  die  veniva  in  fretta,  pensò  che  questo, 
avendo  probabilmente  ([ualchc  afbrc  jii-essante ,  gli  risponderebln;  su- 
bilo, senz' altre  chiacchiere;  e  sentendolo  parlar  da  se,  giudicò  Hie 
dovesse  essei'e  un  uomo  sincero.  Gli  s'accostò,  e  disse:  «  di  grazia,  quel 
signore,  da  die  parte  si  va  pei-  andare  a  Bergamo?  » 
»  Per  andare  a  Stergamo?  Da  porta  orienlalo.  » 
u  Grazie  tante;  e  per  andare  a  porla  orientale?  » 
"  Prendete  questa  strada  a  inancinii  ;  vi  troverete  sulla  piazza  del 
duomo;  poi . . .  » 

u  Basla,  signore;  il  resto  lo  so.  Dio  gliene  renda  merito,  n  E  di- 
viato s'incamminò  dalla  parie  che  gli  era  stala  indicata.  L'altro  gli 
guardò  dietro  un  momento,  e,  accozzando  nel  suo  pensiero  qudla  ma- 
niera di  camminare  con  la  domanda,  disse  Ira  sé:  —  o  n'  ha  fatta 
una,  0  qualcheduno  la  vuol  fare  a  lui.  — 

Renzo  arriva  sulla  piazza  del  duomo;  l'attraversa,  )ìassa  accanto  a 
un  mucchio  di  cenere  e  di  carboni  spenti,  e  riconosce  gli  avanzi  àe\ 
falò  di  cui  era  stato  spettatore  il  giorno  avanti  ;  eosteggia  gli  scalini 
del  duomo,  rivede  il  forno  delle  grucce,  mezzo  smantt^llato ,  e  guar- 
dato da  soldati;  e  tira  diritto  per  la  strada  da  cui  era  venuto  iii-sieme 
con  la  folla;  arriva  al  convento  de'  cappuccini;  dà  un'  occhiata  a 
quella  piazza  e  alla  porta  della  diiesa,  e.  dice  tra  se,  sospirando:  — 
m'aveva  però  da(o  un  buon  parere  quel  frate  di  iei-i:  die  slessi  in 
chiesa  a  asjyellarc,  e  a  fare  un  jw'di  bene.  — 

Qui ,  essendosi  fermalo  un  momento  a  guardai^*  attenlamenle  alla 
iwria  per  cui  doveva  passare,  e  vedendovi,  cosi  da  lontano,  molla 
genie  a  guardia,  e  avendo  la  fanlasia  un  po' riscaldala  (bisogna  coni- 
jiatìrlo;  aveva  Ì  suoi  motivi),  provò  una  certa  ripugnanza  ad  affrontare 
quel  passo.  SÌ  trovava  così  a  mano  un  luogo  d'asilo,  e  dove,  con 
quella  lettera,  sarebbe  ben  raccomandato;  fu  tentato  fortemente  d'en- 
trarvi. Ma,  subilo  ripreso  animo,  pensò:  —  uceei  di  bosco,  fin  clie  si 
può.  Chi  mi  conosce?  Di  ragione,  i  brrri  non  si  saran  fatti  in  pezzi. 


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CAPITOLO  XVI.  SII 

per  andarmi  ad  aspeMare  a  tulle  le  porle.  —  Sì  ^oUò,  per  vedere  se 
luai  vimissero  da  quella  parie:  non  vide  né  quelli,  ne  altri  che  pares- 
sero occultarsi  di  lui.  Va  innanzi;  rallenta  quelle  gambe  benedette , 
cbevolevan  sempre  correre,  mentre  conveniva  soltanto  camminare;  e 
adagio  adagio,  fischiando  in  semitono,  arriva  alla  porla. 

C'era,  proprio  sul  passo,  un  muccliio  di  gabcltini,  e,  per  rinforzo, 
anche  de'  micbelelti  spagnoli;  ma  slavan  tulli  attenti  verso  il  di  fuori, 


per  non  lasciare  entrar  di  quelli  clic,  alla  nolizia  d'una  sommossa, 
v'accorrono,  come  i  corvi  al  campo  dove  è  slata  data  ballagli»;  di  ma- 
niera elle  Renzo,  con  un'aria  indifferente,  con  gli  ocelli  bassi,  e  con 
un  andare  cosi  tra  il  viandante  e  uno  che  vada  a  spasso,  usci,  senza 
che  nessuno  gli  dicesse  nulla;  ma  il  cuore  di  dentro  faceva  un  gran 
battere.  Vedendo  a  diritta  una  %  iottota ,  entrò  in  quella ,  per  evitare 
la  strada  maestra  ;  e  camminò  un  pezzo  prima  di  voltarsi  neppure  in- 
dietro, 

Camntiita,  cammina;  trova  cascine,  trova  villaggi ,  lira  innanzi  senza 


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SII  1  PROMESSI  SPOSI 

domuidarne  il  nome;  e  certo  d' allonUnarsi  da  Milano,  spera  d'andar 
verso  Bergamo;  questo  gli  basta  per  ora.  Ogni  tanto,  si  voltava  indie- 
tro; ogni  tanto,  andava  anche  guardando  e  strofinando  or  l'uno  or 
l'altro  p<^so,  ancora  un  po'  indolenziti ,  e  segnati  in  giro  d'una  stri- 
scia  rosseggiante,  vestigio  della  cordicella.  I suoi  pensieri  erano,  come 
c^nuno  può  immaginarsi,  un  guazzabuglio  di  pentimenti,  d'inquietu- 
dini, di  rabbie,  di  tenerezze;  era  uno  studio  faticoso  di  raccapezzare 
le  cose  dette  e  fatte  la  sera  avanti,  di  scoprir  la  parte  segreta  della 
sua  dolorosa  storia,  e  sopra  tutto  come  avean  potuto  risapere  il  suo 
nome.  I  suoi  sospetti  cadevan  naturalmente  sullo  spadaio,  al  quale  si 
rammentava  bene  d'averlo  spiattellato.  E  ri|>ensaiido  alta  maniera  cou 
cui  gliel  aveva  cavato  di  bocca,  e  a  lutto  il  fare  di  colui,  e  a  tutte 
queir  esibizioni  che  rinscivan  sempre  a  voler  saper  qualcosa ,  il  so- 
spetto diveniva  quasi  certezza.  Se  non  che  sì  rammentava  poi  anche, 
in  confuso,  d'aver,  dopo  la  partenza  dello  spadaio,  contiimato  a  cica- 
lare; con  chi,  indovinala  grillo;  di  cosa,  la  memoria,  per  quanto  ve- 
nisse esaminata,  non  lo  sapeva  dire:  non  sapeva  dir  altro  che  d'es- 
sersi in  quel  tempo  trovata  fuor  di  casa.  Il  poverino  si  smarriva  in 
quella  ricerca:  era  come  un  uomo  che  ha  sottoscritti  molti  fogli  bianchì, 
e  gli  ha  affidati  a  uno  che  credeva  il  fior  de' galantuomini  ;  e  scopren- 
dolo poi  un  imbroglione,  vorrebbe  conoscere  lo  stato  de' suoi  alTari: 
che  oonoseei-e?  è  un  caos.  Un  altro  studio  penoso  era  quello  di  far 
sull'avvenire  un  disegno  che  gli  potesse  piacere:  quelli  clic  non  erano 
in  aria,  eran  tutti  malinconici. 

Ma  ben  presto,  lo  studio  più  penoso  fu  quello  di  trovar  la  strada. 
Dopo  aver  camminalo  un  pezzo,  si  può  dire,  alla  ventura,  vide  che 
da  sé  non  ne  poteva  uscire.  Provava  bensì  una  certa  ripugnanza  a 
mcller  fuori  quella  giarola  Bergamo ,  come  se  avesse  un  non  so  che 
di  sospetto,  di  sfacciato;  ma  non  si  polc\'a  far  di  meno.  Risolvette 
dunque  di  rivolgei'si,  come  aveva  fatto  in  Milano,  al  primo  viandanle 
la  cui  fìsonomia  gli  andasse  a  genio  ;  e  cosi  fece. 

u  Siete  fuor  di  strada,  n  gii  rispose  questo;  e,  pensalo«  un  poco, 
parte  con  parole,  parte  co' cenni,  gl'indico  il  giro  che  doveva  lare, 
per  rimettersi  sulla  strada  maestra.  Renzo  lo  ringraziò,  fece  le  viste  di 
far  come  gli  era  slato  detto,  prese  in  falli  da  quella  parte,  con  inten- 
zione però  d'avvicinarsi  bensì  a  quella  benedetta  strada  maestra,  di 
non  perderla  di  vista,  di  costeggiarla  più  che  fosse  possibile;  ma  senza 
mettavi  piede.  Il  disino  era  più  facile  da  concepirai  die  da  eseguirsi. 


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CAPITOLO  XVI.  US 

La  conclusione  fu  che,  andando  cosi  da  destra  a  sinistra,  e,  conte  si 
dice,  a  zig  zag ,  parte  seguendo  l'altre  indicazioni  che  si  faceva  corag- 
gio a  pescar  qua  e  là,  parie  correggendole  secondo  i  suoi  lumi,  e  adatr 
(andole  al  suo  intento,  parte  lasciandosi  guidar  dalle  strade  in  cui  si 
trovava  incamminato,  il  nostro  fuggitivo  aveva  fatte  forse  dodici  mi- 
glia, che  non  era  distante  da  Milano  più  di  sci;  e  in  quanto  a  Berga- 
mo, era  mollo  se  non  se  n'  era  allontanato.  Cominciò  a  jiersuadersi 
che,  anche  in  qudla  maniera,  non  se  n'usciva  a  bene;  e  pensò  a  tro- 
var qualche  altro  ripii^o.  Quello  che  gli  \'ennc  iu  mente,  fu  di  scovar, 
con  qualche  astuzia ,  il  nome  dì  qualche  paese  vicino  al  confine ,  e  al 
quale  si  potesse  andare  per  istrade  comunali:  e  domandando  di  quello, 
si  farebbe  insegnar  la  strada,  senza  seminar  qua  e  là  quella  domanda  di 
Bergamo,  che  gli  pareva  puzzar  tanto  di  fuga,  di  sfratto,  di  criminale. 

Mentre  cerca  la  maniera  di  pescar  tutte  quelle  notizie,  senza  dar  . 
sospetto,  vede  pendere  una  frasca  da  una  casuccia  solitaria,  fuori  d'un 
paesello.  Da  qualche  tempo,  sentiva  anche  crescere  il  bisogno  di  risto- 
rar le  sue  forze;  pensò  che  li  sarebbe  il  luogo  di  fare  ì  due  servizi  in 
una  volta;  entrò.  Non  c'era  che  una  vecchia,  con  la  rocca  al  Ranco,  e 
col  fuso  in  mano.  Chiese  un  boccone;  gli  fu  offerto  un  po'<li  strac- 
chino e  del  vin  buono:  accettò  lo  stracchino,  del  vino  la  ringraziò  (gli 
era  venuto  in  odio,  per  quello  scherzo  che  gli  aveva  fatto  la  sera 
avanti);  e  si  mise  a  sedere,  pregando  la  donna  che  facesse  presto.  Que- 
.■«ta,  in  un  mtHnento,  ebbe  messo  in  tavola;  e  subilo  dopo  cominciò  a 
tempestare  il  suo  ospite  di  domande,  e  sul  suo  essere,  e  sui  gran  fatti 
di  Milano:  che  la  voce  n'era  arrivata  tin  là.  Renzo,  non  solo  seppi; 
sciiermirsì  dalle  domande,  con  molta  disinvoltura;  ma,  approfittandosi 
della  diflicoltà  medesima,  fece  servire  al  suo  intento  la  curiosità  dell» 
veocliia,  che  gli  domandava  dove  fosse  incamminato. 

«  Devo  andare  in  molti  luoghi,  »  rispose:  u  e,  se  trovo  un  ritaglio 
di  lempo,  vorrei  anche  passare  un  momento  da  quel  paese,  piuttosto 
grosso,  sulla  strada  di  Bergamo,  vicino  al  confine,  però  nello  stato  di 
Milano . . .  Come  si  chiama  ?»  —  Qualchcduno  ce  ne  sarà ,  —  pen- 
sava intanto  tra  se. 

"  Gorgonzola,  volete  dire,  n  rispose  la  vecchia, 

"  Gorgonzola!  »  ripetè  Renzo,  (|Ui>sÌ  per  mettersi  meglio  in  mente 
la  parola.  «  È  mollo  lontano  di  qui?  "  riprese  |)0i. 

«  Non  lo  so  precisamente:  saranno  dieci,  saranno  dodici  miglia.  Se 
ci  Posse  qualchctluno  de' miei  figliuoli,  \c  Io  saprebbe  dire.  " 


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I  PROMESSI  SPOSI 


«  E  tt-ttMc  die  ui  si  possii  andare  jier  qucsic  Iwlle  \ioltole,  st'iiia 
prwidPT  la  strada  macslra?  dove  t'è  uitu  polvere,  una  polvere!  Tanto 
li'inp»!  clic  noli  pi«\el  " 


-<  A  me  mi  par  di  si:  potete  domandare  nel  primo  paese  die  tro- 
\ei-cle  andando  a  diritta.  '^  E  glielo  nominò. 

u  Va  bene:  n  disse  Renzo;  s'alzò,  prese  un  pezzo  di  pane  che  gli 
ora  a^ill)zalo  della  magra  colazione,  un  pane  ben  diverso  da  quello 
die  aveva  trovalo,  il  giorno  avanti,  appiè  della  eroee  di  san  Dionigi: 
pagò  il  conio,  usci,  e  prese  a  diritta.  E,  per  no»  ve  l'allungar  più  del 
bisogno,  col  nome  di  Gorgonzola  in  bocca,  di  pae^e  in  paese,  ci  ar- 
rivò, un'ora  circa  prima  di  sera. 

Già  cainmin  iacendu,  aveva  disegnalo  di  far  li  un'  allra  fermaticia. 
per  fare  un  pasto  un  po'  più  sostanzioso.  Il  corpo  avi-ebbe  anche  gradito 
un  po' dì  letto;  ma  prima  che  contentarlo  in  questo,  Renzo  l'avrebbe 
lascialo  cader  ritmilo  sulla  strada.  Il  suo  proposilo  era  d' infonnarsi 
all' osteria,  della  distanza  dell'Adda,  di  cavar  destramente  notizia  di 
qualelic  traversa  che  mcltesse  là,  e  di  rincamminarsi  da  qudla  parie, 
subito  dopo  essersi  rinfrescato.  Nato  e  cresciuto  alla  seconda  sorgente, 
per  dir  cosi,  di  quel  fiume,  aveva  sentito  dir  più  volte,  die,  a  un 
certo  punto,  e  iter  un  certo  tratto,  esso  faceva  confine  tra  lo  stato 
mitaiiese  e  il  vtneto:  del  punto  e  de)  tratto  non  aveva  un'  idea  pre- 
cisa; ma,  allora  come  allora,  1'  aitar  più  urgente  era  di  passarlo,  do- 
vunque si  fosse.  Se  non  gli  riusciva  in  quel  giorno,  era  risoluto  di 
canmiinare  (in  die  l'ora  e  la  Iena  glielo  permettessero:  e  d'aspettar 
poi  l'alba,  in  un  eani|>o,  in  un  deserto;  dove  piacesse  a  Dio;  pur  che 
no»  fosse  un'osteria. 


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UAPITOU»  XVi.  nij 

Falli  alcuni  passi  i»  G«i'goi>zota,  vide  un'insegna,  enlrò;  v  all'oste, 
cbe  gli  venne  ìoconlro,  chiese  un  boccone,  e  una  meszella  di  vino: 
le  miglia  di  più ,  e  ìi  tempo  gli  avevan  fatto  passare  quell'  odio  così 
estremo  e  fanatico.  "  Vi  prego  di  far  presto,  »  soggiunse:  "  perchè 
ho  bisogno  di  rimettermi  subito  in  istrada.  «  E  questo  lo  disse ,  non 
solo  perchè  era  vero,  ma  anche  per  paura  clie  l'oste,  immaginandosi 
i4ie  colesse  dormir  li ,  non  gli  uscisse  fuori  a  domandar  de)  nome  <■ 
del  cognome ,  e  donde  veniva,  e  per  clic  negozio Alta  larga  I 

L'oste  rispose  a  Renzo,  che  sarebbe  servito;  e  (|uesto  si  mise  a  se- 
dere in  fondo  della  tavola,  vicino  all'uscio:  il  posto  de'  vci^ognosi- 

C'erano  in  quella  stanza  alcuni  sfaccendati  del  paese,  i  {piali,  dopo 
aver  discusse  e  commentate  le  gran  notizie  di  Milano  del  giorno  a\'anti, 
si  struggevano  di  sapere  un  poco  come  fosse  andata  anclie  in  quel 
giorno;  tanto  più  che  ([uelle  prime  eran  più  atte  a  stuzzicar  la  curio- 
sità, che  a  soddisfarla:  una  sollevazione,  ne  soggiogata  né  vittoriosa, 
sospesa  più  che  terminata  dalla  notte;  una  cosa  tronca,  la  line  d'un 
atto  piuttosto  che  d'un  dramma.  Vn  di  coloro  si  slaccò  dalla  brigata, 
s'accostò  al  soprarrivato,  e  gli  domandò  se  veniva  da  Milano. 

"  Io?  "  disse  Renzo  sorpreso,  i)er  prender  t('m|>o  a  rispondere. 

ti  Voi,  se  la  domanda  è  lecita.  « 

Renzo,  Icniennando  ÌI  capo,  stringendo  le  labbra,  e  facendone  nseìrc 
un  suono  inarticolato,  disse:  "  Milano,  da  quel  die  ho  sentito  dire... 
non  dev'essere  un'  luogo  da  andarci  in  questi  momenti,  meno  c-lie  {ler 
una  gran  necessità.  » 

"  Continua  dunque  anche  oggi  il  fracasso?  '■  domandò,  iihi  più 
inlanza,  il  curioso. 

-  Bisognerebbe  esser  là,  per  saperlo,  "   disse  Renzo. 

u  Ma  \  oi ,  non  venite  da  Milano  ?  " 

«  Vengo  da  Liscale,  »  rispose  lesto  ÌI  ^io^ine,  cìk-  inlunio  ave^a 
jieiisala  la  sua  risposta.  Ne  veniva  in  fatti,  a  rigor  di  termini,  |>creliè 
c'era  passato;  e  il  nome  l'aveva  saputo,  a  un  certo  punto  della  stra- 
da, da  un  viandante  che  gli  aveva  indicato  quel  paese  come  il  primo 
die  doveva  attraversare,  jier  arrivare  a  Gorgonzola. 

"  Ohi  "  disse  l'amico:  come  se  volesse  dire:  faresti  meglio  a  venir 
da  Mibno,  ma  pazienza.  ^E  a  Liseate,  r.  soggiunse,  "  non  sì  sapeva 
niente  dì  Milano?  » 

"  Poirehb'essere  benissimo  che  qualcheduno  )h  Siipcsse  (](ialelie  ro- 
-«a,  n  rispose  il  montanaro:  "  ma  io  non  ho  sentilo  dir  nulla.  " 


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3IU  I  PHUUESSl  SFUSI 

E  queste  parole  le  proferi  in  quella  maniera  ]>ar(Ìcolare  die  par 
che  voglia  dire:  ho  finito.  Il  curioso  rilornó  al  suo  posto;  e,  un  mo- 
mento dopo,  l'oste  venite  a  mettere  in  (avola. 

"  Quanto  c'è  di  qui  all'Adda?  »  gli  disse  Renzo,  mezzo  Ira' denti, 
con  un  fare  tla  addormentato,  che  gli  abbtam  visto  qualche  altra  volta. 

u  M'Adda,  per  passare?  »  disse  l'oste. 

u  Cioè ....  si ... .  all'Adda,  n 

»  Volete  passare  dal  |)ontc  di  Cassano,  o  sulla  chiatta  di  Canonica?» 

u  Dove  si  sia ... .  Domando  cosi  per  curiosità.  » 

u  Eh,  \'olevo  dire,  perchè  quelli  sono  i  luoghi  dove  passano  i  ga- 
lantuomini, la  gente  che  può  dar  conto  di  sé.  " 

ii  Va  bene  :  e  quanto  e'  è?  » 

u  Fate  conto  che,  tanto  a  un  luogo,  rome  all'altro,  poco  più,  poco 
meno,  ci  sarà  sei  miglia.  > 


«  Sei  miglia!  non  credevo  tanto,  »  disse  Renzo.  »  E  già,  «  rìprcse 
poi,  con   un'  aria  d'  indifferenza,  (lortata  fìno  all'  alTellazìone :  «   e 


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CAPITOLO  XVr.  31T 

già ,  chi  aressu  bisc^no  <ti  |>rciidci'c  una  scorciatoia ,  ci  saruniio  alti'i 
luoghi  da  polcr  passare?  » 

«  Ce  n'è  sicuro,  n  rispose  l'oslc,  ficcandogli  in  viso  due  oeclu  |>ieii! 
(Cuna  curiosità  malisiosa. Bastò  questo  per  far  morir  Ira'  denti  al  gio- 
vine l'altre  domande  che  aveva  preparate.  Si  tirò  davanti  il  piatto;  e 
guardando  la  mezzetta  che  l'oste  aveva  posala,  insieme  con  quello, 
sulla  tavola,  disse:  u  il  vino  è  sincero?  » 

«  Come  l'oro,  "  disse  l'oste:  u  domandatene  pui-e  a  tuKa  la  gente 
del  paese  e  del  contomo,  che  se  n'intende:  e  poi,  lo  sentirete.  »  E 
COSI  dicendo,  tornò  verso  la  brigata. 

— -  Maledetti  gli  osti  !  —  esclamò  Renzo  tra  se:  —  più  ne  conosco, 
peggio  li  trovo.  —  Non  ostante,  si  mise  a  mangiare  con  grand'ap|ic- 
lito,  stando,  nello  stesso  tempo,  in  orecchi,  senza  die  paresse  suo  fatto, 
per  veder  di  scoprir  paese,  di  rilevare  come  sì  jKnsasse  colà  sul  gran- 
d'avvenimento  nel  quale  egli  aveva  avuta  non  piccola  parie,  e  d'os- 
servare specialmente  se,  Ira  quo'  parlatori,  ci  fosse  qualche  galantuomo, 
a  cui  un  povero  fìgihiitlo  potesse  fidarsi  di  domandar  la  strada,  senza 
Itniore  d'esser  messo  alle  strette ,  e  forzalo  a  ciarlare  de'  fatti  suoi. 

u  Ma!  n  diceva  uno:  u  <{ues(a  V(dla  par  proprio  die  i  milanesi  abbian 
\'otulo  far  davvero.  Basta;  domani  al  |)iCi  tardi,  si  saprà  qualcosa.  « 

u  Mi  pento  di  non  esser  andato  a  Milano  stamallina,  "  diceva  un 
allro. 

u  Se  vai  domani,  vengo  anch'io,  r  disse  un  terzo;  ])0i  mi  altro, 
{toi  un  altro. 

«  Quel  che  vorrei  sapere,  n  riprese  il  jn'iuio,  «  è  se  que' signori 
di  Milano  penseranno  anche  alla  povera  genie  di  cain|>agna ,  o  se  fa- 
ranno far  la  legge  buona  solamente  per  loro.  Sapete  come  sono  eh  ? 
Cittadini  superbi,  tutto  por  loro:  gli  altri,  come  se  non  ci  fossero.  '< 

u  La  bocca  l'abbiamo  anche  noi ,  sia  per  mangiare,  sia  per  dir  la 
nostra  ragione,  i  disse  un  altro,  con  voce  tanto  più  modesta,  quanto 
jtiù  la  proposicìone  era  avanzala:  »  e  quando  la  cosa  sia  incammina- 
ta....  "  Ma  credette  meglio  di  non  finir  la  frase. 

»  Dd  grano  nascosto,  non  ce  n'è  solamente  in  Milano,  »  comiu- 
ciava  un  altro ,  con  un'  aria  eu)>a  e  maliziosa  ;  quando  sentono  avvi- 
cinarsi un  cavallo.  Corron  tulli  all' uscio;  e,  riconosciuto  colui  che 
arrivava,  gli  vanno  ineonlro.  Era  un  mercante  di  Milano,  che,  an- 
dando più  volle  r  anno  a  Bci-gamo,  jter  i  suoi  trarfidii ,  era  solito 
IKtssM-  la  notte  in  (piell'  oslerìa;  e  eccome  ci  trovava  quasi  scmjtrc  ki 


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I  PROMESSI  SPOSI 


i>li%su  lomjiagiiia,  li  tuiio^rvxa  ludi,  tìli  ^^'ufToltuiiu  iiilunio:  uno  preiule 
hi  briglia,  un  altru  la  MafTa.   ^  Ben  arriv<i1o,  ben  arrivalo!  « 


;  I 

M 


^.  Ben  trovali,  f^ 

-  Avek'  fallo  buon  \  iaggio  '  " 

-  Bollissimo  ;  v  \'oi  allrì ,  come  siate  '  '- 

-  Bene ,  bene,  die  nuove  ci  portate  di  Milano  '  '■ 

-  Ab!  ecco  quelli  delle  novità,  '■■  disse  il  mercante,  snionlandu,  e 
lasciando  il  cavallo  in  mano  d'un  garzone,  u  E  |)oi,  e  [loi,  '<  eonti- 
nuò,- entrando  con  la  compagnia,  uà  quest'ora  le  saprete  forse  meglio 
di  me.  - 

-  Non  sappiamo  iiuila,  davvero,  ^  disse  più  d'uno,  ineltendosi  la 
mano  al  petto. 

"  Possibile?  "  disse  il  mercante.  «  Dunque  iie  sentirete  delle  bel- 
le   o  delle  brulle.  Elii,  oste,  il  mio  letto  solito  è  in  libertà?  Bene: 

un  bicchier  di  vino,  e  il  mio  solilo  boccone,  subilo;  perche   voglio 


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CAPITOLO  XVI.  310 

andare  a  letto  (>re:>lu ,  jier  [larlir  pre»(o  doniallìim,  e  arn\iii-e  a  Bei'- 
ganio  per  t'  ora    cti>l  de:iinare.  E  ^'oi  altri ,  »  continuò ,  iiiellendosi  a 
sedere,  dalla  |tarte  opposta  a  quella  dove  stava  Renzo,  zillo  e  attento, 
"  voi  altri  non  sapete  di  tutte  quelle  diavolerie  di  ieri?  » 
'    u  Di  ieri  sì  «. 

4  Vedete  dunque,  n  riprese  il  mercante,  h  se  le  sapete  le  novilti. 
Lo  dicevo  io  che,  stando  qui  sempre  di  guardia,  per  frugar  quelli  ohe 
passano ..." 

u  Ma  oggi,  com'  è  andata  oggi?  n 

'  Ah  oggi.  Non  sapete  niente  d' oggi  !  " 

■■'  Niéole  adatto  :  non  é  passato  nessuno,  r 

u  Dunque  laseiatenii  bagnar  te  labbra;  e  poi  vi  dirò  le  cose  d'oggi. 
Sentirete.  »  Empi  il  bicchiere ,  to  prese  con  una  mano ,  poi  con  le 
prime  due  dita  dell'altra  sollevò  i  bafìi,  poi  tsi  lisciò  la  barba, bevclte. 
e  riprese  :  u  oggi,  amici  cari,  ci  mancò  poco,  che  non  fosse  una  giornata 
brusca  cwne  ieri ,  o  peggio.  E  non  mì  par  quasi  \'ero  d' esser  qui  a 
(jiiacchierar  con  voi  altri;  perchè  avevo  già  messo  da  parte  ogni  |icii' 
siero  di  viaggio,  per  restare  a  guardar  la  mia  povera  bottega.  ^ 

■■'  Che  diavolo  c'era?  "  disse  uno  degli  ascoltanti. 

»  Proprio  il  diavolo:  sentirete.  "  E  trinciando  la  [Helanza  die  gli 
era  stala  messa  davanti,  e  |h>ì  mangiando,  continuò  il  suo  racconto.  I 
compagni,  ritti  di  qua  e  di  là  della  tavola,  lo  sta^'ano  a  sentire,  con 
la  bocca  aperta;  Renzo,  al  suo  posto,  senza  che  paresse  suo  fatto, 
slava  attento ,  forse  più  di  tulli ,  masticando  adagio  adagio  gli  ultimi 
suoi  bocconi. 

"  Stamattina  dunque  quc'  birboni  che  ieri  avevano  follo  quel 
chiasso  orrendo,  si  trovarono  a'  )>osti  eonvenuli  (già  c'era  un'intel- 
ligenza: tutto  cose  preparate);  si  riunirono,  e  rieomineiarono  quella 
bella  storia  di  girare  di  strada  in  strada,  gridando  per  tirar  altra  gen- 
te. Sapete  che  è  come  quando  si  spazza,  con  riverenza  parlando,  la 
casa;  il  muecliio  del  sudiciume  ingrossa  quanto  più  va  avanti.  Quando 
parve  loro  d' essei'  gente  abbastanza ,  s'  avviarono  verso  la  casa  del 
!>ignor  vicario  di  provvisione;  come  se  non  bastassero  le  tirannie  ch(- 
gli  hanno  folte  ieri  :  a  im  signore  di  quella  sorte  !  oh  che  birboni  !  E 
la  rcrf>a  che  dicevan  contro  di  lui  !  Tutte  invenzioni  :  un  signor  dab- 
bene, puntuale;  e  io  lo  posso  dire,  che  son  tutto  di  casa,  e  lo  servo 
tli  panno  per  le  livree  della  servitù.  S' incamminaron  dunque  verso 
quella  casa  :  bis(^nava  veder  che  canaglia  ,  che  facce  :  figurateli  che 


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ZIO  I  PROMESSI  SPOSI 

SOI)   [Kissali  davaiili  alla  mia  bottega:  facre  clic i  giudei  ildbi 

f^ia  Crucis  non  ci  sci)  |>cr  nulla.  E  le  cose  che  nscivan  da  (judic 
bocche  !  da  ttii'ai'seiic  gli  orecchi,  se  non  fosse  slnto  che  non  (ornava 
conio  di  farsi  scorgere.  Andavan  dunque  con  la  buona  intenzione  di 
dare  il  sacco;  ma .....  n  E  qui,  alzata  in  aria,  e  slcsa  la  mano  sini- 
stra, si  mise  la  punta  del  pollice  alla  pmila  del  naso. 

»  Ma?  n  dissero  forse  lutti  gli  ascoKalori. 

>«  Ma,  9)  continuò  it  mercante ,  "  trovaron  la  strada  cliìusa  con 
ti-avi  e  eon  carri,  e,  dietro  quella  barricala,  una  bella  fila  di  michc- 
lelli ,  con  gli  archibusi  spianati  per  riceverli  come  si  meritavano. 
Quando  videro  qiteslo  bell'apparato Cosa  avreste  fallo  voi  altri?  - 


«  Tornare  indielro.  « 

"  Sicuro;  e  cosi  fe<rcro.  Ala  \'edclc  un  poco  se  non  era  il  demonio 
die  li  portava.  Son  li  sul  Cordusio,  vcdon  lì  quel  forno  che,  fin  da 
ieri,  avevan  voluto  saccheggiare  ;  e  cosa  si  faceva  in  quella  bottega?  si 
distribuiva  il  pane  agli  avventori;  e' era  de' cavalieri ,  e  fior  di  cava- 
lieri, a  invigilare  che  tutto  andasse  bene;  e  costoro  (avevano  il  dia- 
%'olo  addosso  vi  dico,  e  poi  e'  era  ehi  gli  aizzava),  costoro,  dentro  come 
disperali;  piglia  tu,  che  piglio  anch'  io:  in  un  batter  d'occhio,  cavalieri, 
fornai,  avventori, pani,  banco,  panche,  madie,  casse,  sacchi,  frulloni, 
crusca,  farina,  pasta,  tuKo  sottosopra.  " 

u  E  i  michelelti?  >> 

u  I  niichelettì  avevan  la  casa  del  vicario  da  guardare:  non  si  ptiù 
cantare,  e  portar  la  croce.  Fu  in  un  batter  d'occhio,  ^■  dico:  piglia 
piglia;  tutto  ciò  che  c'era  buono  a  qualcosa,  fu  preso.  E  |ioì  (orna  in 


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CAPITOLO  \VI.  331 

campo  quel  Lwl  ritrovato  di  ieri,  di  porlarv  il  resto  sulla  piazza,  e 
«li  rame  una  lianiuiata.  E  già  comincia^'ano,  i  mauigoUli,  a  tirar  fuori 
nÌKi;  (|uaiido  uno  più  iitaiiigoUlo  degli  altri,  indovinale  un  po'  con 
(-1)6  l)ella  proposta  venne  fuori.  » 

«  CoH  clie  cosa?  " 

u  Di  fare  uu  niuc(*bÌo  di  tutto  nella  bottega,  e  di  dar  fumo  al 
aiucchio  e  alla  casa  insieme.  Dello  fatto ....  « 

u  Ci  han  dato  fuoco?  » 

«  Aspettate.  Un  galantuomo  del  vicinalo  ebbe  un'ispirazione  dal 
cielo.  Corse  su  nelle  stanze,  cercò  d'un  Crocifisso,  lo  trovò,  l'atlaccò 
all' archetto  d'una  finestra,  prese  da  capo  d'un  letto  due  candele  bc- 
itedelle,  le  accese,  e  le  mise  sul  davanzale,  a  destra  e  a  sinistra  dei 
Crocifìsso.  La  gente  guarda  in  su.  In  un  Milano,  bisogna  dirla,  c'è 
aitcora  del  timor  di  Dio;  tulli  lornai-ono  in  sé.  La  più  jtarte,  voglio 
dire;  c'era  bensì  de'  diavoli  elie,  per  rubare,  avrcblicro  dalo  fuoco 
anebe  al  paradiso;  ma  ^ìsto  che  la  gente  non  era  del  loro  parei-e,  do- 
veUero  smettere,  e  star  dieli.  Indovinate  ora  chi  arrivò  all'improv- 
viso. Tulli  i  monsignori  del  duomo,  in  processione,  a  croce  alzata. 


in  abito  corale;  e  monsignor  Mazenta,  arciprele,  cominciò  a  predicare 
da  una  parie,  e  monsignor  Sellala,  penitenziere,  da  un'alira,  e  gif 
allri  anche  loro:  ma,  brava  gente!  ma  cosa  volete  fare?  ma  è  queslo 
l'esempio  elie  dale  a'  vostri  figliuoli?  ma  tornate  a  casa;  ma  non  sa- 
pete che  il  pane  e  a  buon  mercato,  più  di  prima?  ma  andate  a  ve- 
dere, che  c'è  l'avviso  sulle  cantonate^ 
«  Era  vero?  " 


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SJ3  I  PRUUKSSI  SPOSI. 

«  Diabolo!  Volete  die  i  monsignori  del  duomo  venissero  in  cappa 
magna  a  dir  delle  fandonie?  » 

"  E  la  genie  cosa  fece?  « 

u  A  poco  a  poco  se  n'andarono;  corsero  alle  cantonale;  e,  dii  sa- 
peva lecere,  la  c'era  proprio  la  mela. Indovinate  un  poco:  un  pane 
d*  ott'  once,  per  un  soldo,  n 

u  Cile  bazza!  " 

«  La  vigna  è  bella;  pur  che  la  duri.  Sapete  quanta  farina  Iranno 
mandata  a  male,  tra  ieri  e  stamattina?  Da  mantenerne  il  ducato  per 
due  mesi,  n 

u  £  per  fuori  di  Milano,  non  s'è  fatta  nessuna  legge  buona?  » 

«  Quel  che  s'è  fatto  per  Milano,  è  tutto  a  spese  della  città.  Non 
so  che  vi  dire:  per  voi  altri  sarà  quel  che  Dio  vOTrà.  A  buon  c(Hito, 
i  fracassi  son  finiti.  Non  v'ho  detto  tntto;  ora  viene  il  buono,  r 

1  Cosa  c'è  ancora?  <■ 

"C'è  che,  ier  sera  o  stamattina  che  sia,  ne  sono  stali  agguan- 
tati molti;  e  subito  s'è  saputo  che  i  capì  saranno  impiccati.  Appena 
cominciò  a  spargersi  questa  voce,  c^uiio  andava  a  casa  per  la  più 
corta,  per  non  arrischiare  d'esser  nel  numero.  Milano,  quand'io  ne 
sono  uscito,  pareva  un  convento  di  frati.  » 

u  Gì' impiccheranno  poi  davvero?  » 

1  Eccome!  e  presto,  "  rispose  il  mercante. 

a  E  U  gente  cosa  farà?  "  domandò  ancora  colui  che  aveva  fatta 
l'altra  domanda. 

"  La  gente?  anderà  a  vedere,  »  disse  il  mercante.  "  Avevan  tanta 
voglia  di  veder  morire  un  cristiano  all'aria  aperta,  che  volevano,  bir- 
boni !  far  la  festa  al  signor  \icario  di  provvisione.  In  vece  sua,  avranno 
quattro  tristi,  serviti  con  tulle  le  formalità,  accomp^nati  da' cappuc- 
cini, e  da'  confratelli  della  buona  morte;  e  gente  che  se  l'è  meritato. 
E  una  provvidenza,  vedete;  era  una  cosa  necessaria.  Couiinciavan  già 
a  prender  il  vizio  d'entrar  nelle  botteghe,  e  di  servirsi,  senza  metter 
mano  alla  borsa;  se  li  lasciavan  fare,  dopo  il  pane  sarebbero  venati 
al  vino,  e  cosi  di  mano  in  mano Pensale  se  coloro  volevano  smet- 
tere, di  loro  spontanea  volontà,  una  usanza  così  comoda.  E  vi  so  dir 
io  che,  per  un  galantuomo  che  ha  bottega  aperta,  era  un  |>ensier 
poco  allegro.  » 

e  Davvero,  n  disse  uno  degli  ascoltatori,  u  Davvero,  »  ripeleron 
gli  altri,  a  una  voce. 


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CAPITOLO   XVI.  3ÌZ 

«E,  »  continuò  il  mercante,  asrìugandosi  la  liarl»  voi  tovagliolo, 
^  l'era  ordita  da  un  pezzo:  c'era  una  lega,  sapete?  » 

«  C'era  una  lega?  » 

«  Cera  una  lega.  Tutte  cabale  ordite  da'  iia\arrini,  da  quel  car- 
dinale là  di  Francia ,  sapete  chi  A'oglio  dire ,  che  ha  un  certo  nome 
mezzo  tureo,  e  che  ogni  giorno  ne  pensa  una,  per  far  qualche  dispetto 
alla  corona  di  Spagna.  Ma  sopra  tutto,  tende  a  Tur  qualche  tiro  a  Mi' 
lano;  perchè  vede  bene,  il  furbo,  clic  qui  sta  la  forza  del  re.  - 

'i  Già.  n 

"  Ne  volete  una  prova?  Chi  ha  Tallo  il  più  gran  chiasso ,  eran  fo- 
restieri; andavano  in  giro  iacee,  che  in  Milano  non  s'eran  inai  ve- 
dute. Anzi  mi  dimenticavo  di  dirvenc  una  che  m'è  stata  data  |>er 
eerta.  La  giustizia  aveva  acchiappalo  uno  in  un'osterìa ....  »  Renzo, 
il  quale  non  perdeva  un  ette  di  quel  discorso,  al  tocco  di  questa 
corda,  si  sentì  venir  freddo,  e  diede  un  guizzo,  prima  che  potesse  - 
pensare  a  contenersi.  Nessuno  però  se  n'avvide;  e  il  dicitore,  senza 
interrompere  il  filo  del  racconto,  seguitò:  u  uno  che  non  si  sa  bene 
NKtHra  <1b  die  parte  fosse  venuto,  da  chi  fosse  mandato,  né  che  razza 
ifuomo  si  fosse;  ma  certo  era  uno  de'  capi.  Già  ieri,  nel  forte  del 
baccano,  aveva  fallo  il  diavolo;  e  \m,  non  contento  di  questo,  s'era 
messo  a  predicare,  e  a  proporre,  così  una  galanteria,  che  s' ammazzas- 
sero tulli  i  signori.  Birbante!  Chi  farebbe  viver  la  povera  gente ,  quando 
i  signori  fossero  ammazzali?  La  giustìzia,  che  l'aveva  appostato,  gli 
mise  l'unghie  addosso;  gli  trovarono  un  fascio  di  lettere;  e  lo  mena- 
vano in  gabbia;  ma  che?  i  suoi  compagni,  che  facevan  la  ronda  intorno 
all'osteria,  vennero  in  gran  numero,  e  lo  liberarono,  il  manigolilo.  » 

»  E  cosa  n'è  stato?  ^ 

■•  Non  si  sa;  sarà  scap[)ato,  o  sai'à  nascosto  in  Milano:  son  gente 
che  non  ha  né  casa  né  tetto,  e  Irovui  per  tutto  da  alloggiai'e  e  da 
rintanarsi:  però  finché  il  diavolo  può,  e  vuole  aiutarli:  ci  dan  poi 
dentro  quando  meno  se  lo  pensano;  perché,  quando  la  pera  é  ma- 
tura, convìen  che  caschi.  Per  ora  si  sa  di  sicuro  che  le  lettere  son 
rimaste  in  mano  della  giustizia,  e  clic  c'è  descritta  tutta  la  cabala;  e 
si  dice  che  n'  anderà  di  mezzo  molla  genie.  Peggio  per  loro;  che 
hanno  messo  a  soqquadro  mezzo  Milano,  e  volevano  aiiclic  far  peg- 
gio. Dicono  che  i  foniai  son  birboni.  Lo  so  anch'io;  ma  bisogna  im- 
piccarli per  via  di  giustizia.  C'è  del  grano  nascosto.  Chi  non  Io  sa? 
Ma  tocca  a  chi  comanda  a  tener  buone  spie,  e  andarlo  a  disollcrrare. 


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m  I  PROHBSSI  SPOSI 

e  iiiaiiJai'e  aiiclie  gì' incctUilori  a  dar  calci  all'aria,  in  comp^oia  de' 
fornai.  E  se  chi  comanda  noo  fa  nulla,  tocca  alla  ciltà  a  ricorrere; 
e  se  non  danno  reità  alla  prima,  ricorrere  ancora;  die  a  forza  di  ri- 
correre s'ottiene;  e  non  metter  su  un'usanza  cosi  scellerala  d'entrar 
nelle  botteghe  e  ne'  fondachi ,  a  prender  la  roba  a  man  salva,  n 

A  Renzo  quel  poco  mangiare  era  andato  in  tanto  veleno.  Gli  pa< 
rcva  mill'anuì  d'esser  fuori  e  tonidno  da  quell'osteria,  da  quel  paese; 
e  più  di  dieci  volte  aveva  detto  a  sé  stesso:  andiamo,  andiamo.  Ma 
quella  paura  di  dar  sospetto,  creseiula  allora  oitremodo,  e  fatla  liramia 
di  (ulti  i  suoi  pensieri,  ^ave^'a  tenuto  sempre  inchiodato  sulla  panra. 
In  qudla  ))crplessilà,  pensò  die  il  ciarlone  doveva  |>oi  Onire  dì  par- 
lar di  lui;  e  conduse  tra  s*:.  di  moversi,  appena  sentisse  attaccare 
qualche  altro  discorso. 

u  E  per  questo,  »  disse  uno  della  brigata,  u  io  che  so  come  vanno 
ipicste  raccende,  e  che  ne'  lunnilti  i  galantuomini  non  ci  sLiiino  bene, 
non  mi  son  lascialo  vincere  dalla  curiosila,  e  son  rimasto  a  casa  mia.  i 

e  E  io,  mi  son  mosso?  »  disse  un  altro. 

«  Io?  »  sf^iunse  un  terzo:  »  se  per  caso  mi  fossi  trovato  in  Mi- 
lano, avrei  lascialo  imperfetto  qualunque  affare,  e  sarei  tornalo  su- 
bilo a  casa  mia.  Ho  moglie  e  figliuoli;  e  |toÌ,  dico  la  verità,  i  baccani 
non  mi  piacdono.  t> 

A  questo  punto,  l'oste,  ch'era  stato  anche  lui  a  sentire,  andò  verso 
l'altra  cima  della  tavola,  per  veder  cosa  faceva  quel  forestiero.  Renzo 
colse  l'occasione,  chiamò  l'oste  con  un  cenno,  gli  chiese  il  conto,  lo 
saldò  senza  tirare,  quantunque  l'acque  fossero  mollo  basse  ;  e,  senza  fir 
altri  discorsi,  andò  diritto  all'usdo,  passò  la  soglia,  e,  a  guida  della  Prov- 
videnza, s'incamminò  dalla  parte  opposta  a  quella  per  cui  era  venuto. 


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CAPITOLO  XVII. 


asla  spesso  una  voglia,  per  non 
lasciar  ben  avere  un  uomo;  pen- 
sale poi  due  alla  volla,ruDa  in 
guerra  coH'allra.  Il  povero  Renio 
n'aveva,  da  molle  ore,  due  tali  in 
corpo,  come  sapete:  la  voglia  di 
correre,  e  quella  di  star  nascosto  ; 
e  le  sciagurate  parole  del  mer- 
cante gli  avevano  accresciuta  ol- 
tremodo l'una  e  l'altra  a  un  colpo. 
Dunque  la  sua  avvuitura  aveva 
fallo  chiasso;  dunque  lo  volevano 
a  qualunque  patto;chi  sa  quanli 
birri  erano  in  campo  per  dargli  la 
«tccia  !  quali  ordini  erano  siali  spedili  di  frugar  ne'  paesi,  nell'osterie,  pa 
le  strade!  Pensava  bensì  che  finalmente  i  birri  die  lo  conoscevano,  eran 


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sio  I  PROMESSI  SPOSI 

due  soli,  e  «he  il  nome  non  lo  portava  seritto  in  fronte;  ina  gli  lurna- 
vano  in  mente  certe  storie  che  aveva  sentile  raccontare,  di  fuggitivi  colli 
e  scoperti  per  istranc  combinazioni,  riconoscinti  all'andare,  all'aria  so- 
spettosa, ad  altri  segnali  impensati:  lutto  gli  face\'a  ombra.  Quantunque, 
nel  momento  che  usciva  di  Gorgonzola,  scoccassero  le  Aentiquallro,  e  le 
tenebre  che  venivano  innanzi,  diminuissero  sempre  più  quc'  pericoli,  ciò 
non  ostante  prese  contro  voglia  la  strada  maestra,  e  si  propose  d'entrar 
nella  prima  viottola  che  gli  paresse  condur  dalla  parte  dove  gli  pre- 
meva di  riuscire.  Sul  principio,  incontrava  qualche  viandante;  ma, 
pieno  la  fantasia  di  quelle  brutte  apprensioni,  non  ebbe  cuore  d'ab- 
bordarne nessuno,  per  informarsi  deila  strada.  — -  Ha  detto  sei  mi- 
glia, colui,  —  pensava: —  se  andando  fuor  dì  strada,  dovessero  anche 
diventar  otto  o  dieci,  le  gambe  che  hanno  fatt«  l'altre,  faranno  anche 
queste.  Verso  Milano  non  vo  di  eerto;  dunque  vu  verso  l'A.dda.  Cam- 
mina, cammina,  o  presto  o  tardi  ci  arriverò.  L'Adda  lia  buona  \oce; 
e,  quando  le  sarò  vjcino,  non  ho  piAbisogno  di  chi  me  l'insegni. Se 
qualche  barca  c'è,  da  poter  passare,  passo  subito,  altrìinenli  mi  fer- 
merò fino  alla  mattina,  in  un  campo,  sur  una  pianta,  come  le  pas- 
sere: meglio  sur  una  pianta,  che  in  prigione.  — 

Ben  presto  vide  aprirsi  una  slraducola  a  mancina;  e  v'entrò.  A 
quell'ora,  se  si  fosse  abbattuto  in  qualcheduno.non  avrebbe  più  fatte 
tante  cerimonie  per  farsi  insegnar  la  strada;  ma  non  sentiva  anima 
vivente.  Andava  dunque  dove  la  strada  lo  conduceva;  e  pensava. 

—  lo  fare  il  diavolo!  Io  ammazzare  tutti  i  signori!  Un  fascio  di  let- 
tere, io!  I  miei  compagni  che  mi  stavano  a  far  la  guardia!  Pagherei 
qualche  cosa  a  trovarmi  a  viso  a  viso  con  quel  mercante,  dt  là  dal- 
l'Adda  (ah  quando  l'avrò  passata  quest'Adda  benedetta!),  e  fenuarlo, 
e  domandargli  con  comodo  dov'  abbia  pescale  tutte  quelle  belle  no- 
tizie. Sappiate  ora,  mio  caro  signore,  che  la  cosa  è  andata  così  e  cosi, 
e  che  il  diavolo  ch'io  ho  fetto,  è  stato  d'aiutar  Ferrar,  come  se  fosse 
stalo  un  mio  fratello;  sappiate  che  que'  birboni  die,  a  sentir  voi, 
erano  i  miei  imiici,  perchè,  in  un  certo  momento,  io  dissi  una  pa- 
rola da  buon  cristiano,  mi  %'ollero  fare  im  bnitto  scherzo;  sappiate 
che,  intanto  die  voi  slavate  a  guardarla  vostra  l)Ot  lega,  io  mi  foceva 
schiacciar  le  costole,  per  salvare  il  vostro  signor  vicario  di  provvi- 
sione, che  non  l'ho  mai  né  visto  né  conosciuto.  Aspetta  che  mi  mova 
un'  altra  volta,  per  aiutar  signori .  .  .  ,  É  vero  che  bisogna  farlo  per 
l'anima:  S(m  prossimo  anche  loro.  E  quel  gran  fascio  di  lettere,  dove 


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CAPITOLO  XVII.  ilf 

t'er^  tutla  la  cabala,  e  che  adesso  è  In  mano  della  giustizia,  come 
voi  sapete  di  certo;  scommetliamo  che  ve  lo  fo  comparir  ((ui,  senza 
l'aiuto  del  diavolo?  Avreste  curiosità  di  vederìo  quel  fascio?  Eccolo 
qui ....  Una  lettera  sola?.. ...  Si  signore,  una  lettera  sola;  e  questa 
lettera,  se  lo  volete  sapere,  l'ha  scritta  un  religioso  che  vi  può  inse- 
gnar la  dottrina,  quando  si  sia;  un  religioso  che,  senza  farvi  torlo, 
vai  fÀù  un  pelo  della  sua  barba  che  tutta  la  vostra;  e  é  scritta,  que- 
sta ietterà,  come  vedete,  a  un  altro  religioso,  un  uomo  anche  lui ... . 
Vedete  ora  quali  sono  i  furfanti  miei  amici.  E  imparale  a  parlare  un' 
altra  volta;  principalmente  quando  si  tratta  del  pfossimo.  — 

Ma  dopo  qualche  lempo,  questi  pensieri  ed  altri  simili  cessarono 
affatto:  le  circostanze  presenti  occupavan  tutte  le  facoltà  del  povero 
pellegrino.  La  paura  d'essere  inseguito  o  scoperto,  che  aveva  tanto 
amareggialo  il  viaggio  in  pieno  giorno,  non  gli  dava  ormai  più  fasti- 
dio; ma  quante  cose  rendevan  questo  molto  più  noioso!  Le  tenebre;  la 
solitudine,  la  stanchezza  cresciuta ,  e  ormai  dolorosa;  tirava  una  brez- 
zolina  sorda,  uguale,  sottile,  che  doveva  far  poco  servizio  a  chi  si 
trovava  ancora  indosso  quegli  stessi  vestiti  che  s'era  messi  per  andare 
a  nozze  in  quattro  salti,  e  lornare  subilo  trionfante  a  casa  sua;  e,  ciò 
che  rendeva  ogni  cosa  più  grave,  queir  andare  alla  ventura,  e,  per  dir 
cosÌt  al  tasto,  cercando  un  luogo  di  riposo  e  di  sicurezza. 

Quando  s'abbatteva  a  passare  per  qualctie  paese,  andava  adagio 
adagio,  guardando  però  se  ci  fosse  ancora  qualche  uscio  aperto;  ma 
iHHi  vide  mai  altro  segno  di  gente  desta,  che  qualche  lumicino  tra- 
sparente da  qualche  impannata.  Nella  strada  fuor  dell'abitato,  si  sof- 
fermava ogni  tanto;  slava  in  orecchi,  )>er  veder  se  sentiva  quella  be- 
nedetta voce  dell'Adda;  ma  invano.  Altre  voci  non  sentiva,  che  un 
mugolio  di  cani,  che  veniva  da  qualche  cascina  isolata,  vagando  per 
l'aria,  lamentevole  insieme  e  minacdoso.  Al  suo  avvicinarsi  a  qualcbe- 
duna  di  quelle,  il  muglilo  si  cambiava  in  un  ablwiar  frettoloso  e  rab- 
bioso: nel  passar  davanti  alla  porla,  sentiva,  vedeva  quasi,  il  bestione, 
od  muso  al  fessolino  della  porta,  raddoppiar  gli  urli:  cosa  «he  ^i  fa- 
ceva andar  via  la  teolazitme  di  picchiare,  e  di  chieder  ricovero.  E 
forse,  anche  senza  i  cani,  non  ci  si  sarebbe  risolto.  —  Citi  è  là?— 
pensava:  —  cosa  volete  a  quest'ora?  Come  siete  venuto  qui?  Fatevi 
conoscere.  Non  <^è  osterie  da  alloggiare?  Ecco,  andandomi  bene,  quel 
che  mi  diranno,  se  picchio:  quand'anche  non  ci  dorma  qualche  pauroso 
die,  a  buon  conto,  si  metta  a  gridare:  aiuto!  al  ladro!  Bisogna  aver 


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SIB  1  PROMESSI  SPO&Ì 

subilo  ()iialco$a  di  cliiaro  da  rispondere:  e  cosa  ho  da  rispondere  io? 


Chi  sente  un  rumore  ta  notte,  non  gli  viene  in  testa  altro  che  la- 
dri, malviventi,  trappole;  non  si  pensa  mai  che  un  galantuomo 
possa  trovarsi  in  istrada  di  notte,  se  non  è  un  cavaliere  in  carrozsa. 
—  Allora  serbava  quel  |>arlito  all'estrema  necessità,  e  tirava  innanzi, 
con  la  speranza  di  scoprire  almeno  l'Adda,  se  non  passarla,  in  quella 
notte;  e  di  non  dover  andarne  alla  cerea ,  di  giorno  chiaro. 

Cammina,  cammina;  arrivò  dove  la  campagna  coltivala  moriva  in 
una  sodaglia  si)arsa  di  felci  e  di  scope.  Gli  parve,  se  non  indìzio,  al- 
meno un  cerio  qnal  argomento  di  (lume  vicino,  e  s'inoltrò  per  quella, 
sq;uendo  un  sentiero  che  l'attraversava.  Falli  pochi  passi,  si  fermò  ad 
ascoltare;  ma  ancora  invano.  La  noia  del  viaggio  veniva  aecresdula 
dalla  salvalichezza  del  luogo,  da  quel  non  veder  più  né  un  gelso,  ne 
una  vile,  né  altri  segni  di  coltura  umana,  che  prima  pareva  quasi  che 
gli  facessero  una  mezza  compagnia.  Ciò  non  ostante  andò  avanti  ;  e 
siccome  nella  sua  mente  cominciavano  a  suscitarsi  certe  immagini , 
certe  apparizioni,  lasciatevi  in  serbo  dalle  novelle  sentite  raccontar*  da 
bambino,  cosi,  |ier  discucciarlo,  o  per  acquietarle,  recitava,  cammi- 
nando ,  dell'  orazioni  per  i  morti. 


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CAPITOLO  XVII,  .-.li> 

A  poco  a  poco,  si  travò  Ira  mai^hie  più  alte,  di  pruni,  di  quercioli, 
I  (li  marrtidic.  Seguitando  a  andHi*e  avanli,  e  allungando  il  passo,  con 
i  pili  impazienza  die  voglia  ,  cominciò  a  veder  tra  le  macchie  qualche 
albero  sparso;  e  andando  ancora,  sempre  per  ki  stesso  sentiero,  s'ac- 
corse d'entrare  in  un  bosco.  Provava  un  certo  ribrezzo  a  inoli rai'visi; 
ma  lo  vinse,  e  contro  voglia  andò  avanti  ;  ma  più  che  s' inoltrava,  più  ' 
il  ribrezzo  cresceva,  più  ogni  cosa  gli  dava  fastidio.  Gli  alberi  clic 
\edeva  in  lontananza,  gli  rapprescntavan  figure  strane,  derornii,  mo- 
struose; l'annoiava  l'ombra  delle  cime  leggermente  agitate,  che  (rc- 
inolava  sul  sentiero  illuminato  qua  e  là  dalla  luna;  lo  stesso  scrosciar 
Jelle  foglie  secche  che  calJ>esla^'a  o  moveva  camminando ,  a\eva  per 
il  suo  orecchia  un  non  so  clic  d'  odioso.  Le  gambe  p^o^■a\■ano  come 
lilla  smania ,  un  impulso  di  corsa ,  e  nello  slesso  teni|Mi  pareva  che 
durassero  fatica  a  ref^^er  la  persona.  Sentiva  ta  brezza  notturna  bat- 
ter più  rigida  e  maligna  sulla  fronte  e  sulle  gote;  se  la  sentiva  scor- 
rer Ira  i  panni  e  le  carni,  e  raggrinzarle,  e  penetrar  più  acuta  nelle 
ossa  l'Otte  dalla  stanchezza ,  e  sp^nervi  queir  ultimo  rimasuglio  dì 
vigore.  A  un  certo  punto,  quell'uggia,  quell'orrore  iiidefinilo  con  cui 
r  animo  combatteva  da  qualche  tempo ,  parve  che  a  un  tratto  lo  so- 
perchiasse. Era  per  perdersi  affatlo  ;  ma  atlerrito ,  più  che  d"  ogni 
altra  cosa,  del  suo  terrore,  richiamò  al  cuore  gli  antichi  spirili,  e  gli 
comandò  che  reggesse.  Cosi  rinfrancato  un  momento,  si  feniiò  su  due 
piedi  a  deliberare  ;  e  risolveva  d'  uscir  subito  di  li  per  la  strada  già 
fatta,  d'  andar  diritto  all'  ultimo  paese  per  cui  era  passato ,  di  tornar 
Ira  gli  uomini,  e  di  cercare  un  ricovero,  anche  all' osteria.  C  stando 
cosi  ferino,  sos|>eso  il  fruscio  de'  piedi  nel  fogliame,  tutto  tacendo 
d'intorno  a  lui,  ccnninciò  a  sentii-e  un  rumore,  un  mormorio,  un  mor- 
morio d'acqua  corrente.  Sta  in  orecchi;  n' è  eerto;  esclama:  «è  l'Adda!» 
Fu  il  ritrovamento  d'un  amico,  d'un  fratello,  d'un  salvatore.  La  stan- 
chezza quasi  scomparve,  gli  (ornò  il  (wlso,  senti  Ìl  sangue  scorrer  li- 
bero e  lepido  per  tutte  le  \ene,  senti  crescer  la  fiducia  de'  (lensicri,  e 
svanire  in  gran  |)arte  quell' incerlezza  e  gravità  delle  cose;  e  non  esitò 
a  internarsi  senqH'e  più  nel  bosco,  dietro  all'  amico  niinore. 

Ari'ivò  in  pochi  momenli  all'estremità  del  piano,  sull'orlo  d'una 
ri%'a  profonda;  e  guardando  in  giù  Ira  le  macchie  che  tuKa  la  ri- 
vestivano, vide  l'acqua  luccicare  e  correre.  Alzando  |K)i  lo  guardo, 
vide  il  vasto  piano  dell'altra  riva,  spai'so  di  paesi,  e  al  di  là  i  colli,  e 
sur  uno  di  quelli  una  gran  macchia  biancastra,  che  gli  parxc  dover 


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I  PROIIESSI  SPOSI 


essere  una  città,  Bergamo  sicuramenle.  Scese  un  po'  sul  pendio,  e, 
separando  e  diramando,  con  le  mani  e  con  le  braccia,  il  prunaio, 


guardò  giù,  se  qualche  barebelta si  movesse  nel  fiume,  ascoltò  se  sen- 
tisse batter  de'  remi  ;  ma  non  vide  né  senti  nulla.  Se  fosse  slato 
qualcosa  di  meno  dell'Adda,  Renzo  scendeva  subilo,  per  lenlarne  il 
guado;  ma  sapeva  bene  che  l'Adda  non  era  fiume  da  Iratlarsi  cosi 
in  confidenza. 

Perciò  si  mise  a  consultar  tra  sé,  molto  a  sangue  freddo,  sul  par- 
tito da  prendere-  Arrampicarsi  sur  una  pianta,  e  star  li  a  aspellar 
l'aurora,  per  forse  sei  ore  che  poteva  ancora  indugiare,  con  quella 
brezza,  con  quella  brina,  vestito  così,  c'era  più  che  non  bisognasse 
per  inlirizzir  davvero.  Passeggiare  innanzi  e  indietro,  tutto  quel  tempo, 
oltre  che  sarebbe  stalo  poco  efficace  aiuto  contro  il  rigore  del  sereiio, 


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CAPITOLO  XVII.  Xnl 

era  un  rìehieder  troppo  da  quelle  povere  gambe,  clie  già  avevano 
fatto  più  del  loro  dovere.  Gli  venne  in  mente  d'aver  veduto,  in  uno 
de'  campì  più  vicini  alla  sodaglia,  una  di  quelle  capanne  coperte  di 
paglia,  costrutte  di  tronchi  e  di  rami,  intonacali  poi  con  la  mola,  dove 
i conladini  del  milanese  usan,  l'estate,  depositar  la  raccolta,  e  ripararsi 
la  nolle  a  guardarla:  nell'altre  stagioni,  rimangono  abbandonate.  La 
disino  subilo  per  suo  albergo;  sì  rimise  sul  sentiero,  ripassò  il  bo- 
sco, le  macchie,  la  sodaglia;  e  andò  verso  la  capanna.  Un  usciaccto 
inlarlalo-e  sconnesso,  era  rabbattuto,  senza  chiave  uè  catenaccio;  Renzo 
l'apri,  enlrò;  vide  sospeso  per  aria,  e  sostenuto  da  ritorte  di  rami,  un 
graticcio,  a  foggia  d'  hamac;  ma  non  si  cura  di  salirvi.  Vide  in  terra 
un  po'  di  paglia;  e  pensò  che,  anche  li,  una  dormitina  sarebbe  ben 
saporita. 

Prima  però  di  sdraiarsi  su  quel  letto  clic  la  Provvidenza  gli  a\'eva 
preparato,  vi  s'inginocchiò,  a  ringraziarla  di  quel  benefizio,  e  di  luUa 
l'assislenia  che  aveva  avuta  da  essa,  in  quella  terribile  giornata.  Disse 


|)Oi  le  sue  solite  divozioni;  e  per  di  più,  chiese  perdono  a  Domened- 
dio  di  non  averle  delle  la  sera  avanti;  anzi,  per  dir  le  sue  pai-ole, 
d'essere  andato  a  dormire  come  un  cane,  e  peggio.  —  E  per  que- 
sto, —  soggiunse  poi  tra  sé;  appoggiando  le  mani  sulla  paglia,  e 
d' inginocchionì  mettendosi  a  giacere:  —  per  questo,  ni' e  leccala,  lu 
mattina,  quella  bella  svegliata.  — Raccolse  poi  tulla  la  paglia  che  ri- 
maneva all'intorno,  e  se  l'accomodò  addosso,  facendosene,  alla  meglio, 
■ma  specie  di  coperta,  per  temperare  il  freddo,  che  anche  là  dentro 


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X31  I  PROVKSSI  SPOSI 

si  faceva  soiilir  mollo  bene;  e  vi  si  raniiieehiò  sotto,  eoii  l'iiilenzionc 
di  dormire  mi  bel  sonno,  paiiei)d«glr  d'averlo  compralo  anche  più 
earo  del  do^■c^!. 

Ma  appena  ebbe  chuid  gli  occhi,  comineiò  nella  sua  memoria  o 
nella  snn  fantasia  t'I  luogo  preciso  non  ve  lo  saprei  dire),  cominciò, 
dico,  un  andare  «  venire  di  gente,  così  alTollato,  cosi  incessanle,  die 
addio  sonno.  Il  mercante,  il  notaio,  i  birri,  lo  spadaio,  l'oste,  Feircr, 
il  vicario,  la  brigala  dell'osteria,  tutta  quella  turba  delle  strade,  poi  don 
Abbondio,  poi  don  Rodrigo:  lulla  genie  con  cui  Renzo  aveva  che  dire. 
Ti-e  sole  immagini  gli  si  presentavano  non  accompagnate  da  al- 
cuna memoria  amara,  nelle  d'ogni  sospetto,  amabili  in  tutto;  e  due 
pi'incipalmente ,  molto  differenti  al  certo,  ma  strettamente  legate  nei 
cuore  del  giovine  :  una  treccia  nera  e  una  barba  bianca.  Ma  anche  la 
consolazione  die  provava  nel  fermare  sopra  dì  esse  il  pensiero,  era 
tutt' altro  che  pretta  e  tranquilla.  Pensando  al  buon  frate,  sentiva  più 
divamente  la  vergogna  delle  proprie  scappale,  delia  turpe  intempe- 
ranza, del  bel  caso  che  aveva  fatto  de'  paterni  consigli  di  lui  ;  e  con- 
templando l'immagine  dì  Lucìa!  non  ci  proveremo  a  dire  ciò  che  sen- 
tisse: il  lettore  conosce  le  circostanze;  se  lo  figuri.  E  quella  povera 
Agnese,  come  l'avrebbe  potuta  dimenticare?  Quell'Agnese,  che  l'aveva 
scelto,  che  l'aveva  già  considerato  come  una  cosa  sola  con  la  sua  unica 
figlia,  e  prima  di  ricever  da  lui  ii  titolo  dì  madra,  n'aveva  preso  il 
linguaggio  e  il  cuore,  e  dimostrata  co*  fatti  la  premura.  Ma  era  un 
dolore  dì  più,  e  non  il  meno  pungente,  quel  pensiero,  che,  in  grazia 
appunto  di  cosi  ahiorevoli  intenzioni,  dì  tanto  bene  che  voleva  a  luì, 
la  povera  donna  si  trovava  ora  snidala,  quasi  raminga,  incerta  del- 
l'avvenire, e  raccoglieva  guai  e  travili  da  quelle  cose  appunto  da 
cui  aveva  speralo  il  riposo  e  la  giocondità  d^li  ultimi  suoi  anni.  Cbe 
nolte,  |)overo  Renzo!  Quella  che  doveva  esser  la  quinta  delle  sue 
nozze!  Che  slanea!  Che  letto  matrimoniale!  E  dopo  qual  giornata!  E 
per  arrivare  a  qual  domani ,  a  qual  serie  di  giorni  t  —  Quel  cbe  Dìo 
vuole ,  —  rispondeva  ai  pensieri  che  gli  davan  più  noia  :  — ■  qùd  die 
Dio  vuole.  Luisa  quel  che  fa:  c'è  andie  per  noi.  Vada  tutto  in  isccuito 
de'  mìei  peccati.  Lucia  è  tanto  buona!  non  vorrà  poi  farla  patire  un 
pezzo,  un  pezzo,  un  pezzo!  — 

Tra  questi  pensieri,  e  disperando  ormai  d'attaccar  sonno,  e  faceo- 
dosegli  il  freddo  sentir  sempre  piò ,  a  segno  eh'  era  costretto  ogni 
tanto  a  tremare  e  a  balt«%  i  dcnli,  sospirava  la  venuta  del  giorno. 


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CAPITOLO  XVII. 


e  inistirava  con  impazienza  il  lento  scorrer  dell'ore.  Dico  misurava, 
liercfaè,  ogni  mezz'ora,  sciiliva  in  quel  vasto  silenzio,  rimbombare  i 
tocchi  d'un  orologio:  m'immagino  che  dovesse  esser  quello  di  Trczzo. 
E  la  prima  volta  che  gli  feri  gli  orecchi  quello  scocco,  cosi  inaspet- 
tato, senza  che  potesse  avere  alcuna  idea  del  luogo  donde  venisse, 
^i  fece  un  senso  misterioso  e  solenne,  come  d'  un  avvei'limento  che 
venisse  da  persona  non  vista ,  con  una  voce  sconosciuta. 

Quando  finalmente  quel  martello  ebbe  battuto  undici  tocchi,  ch'era 
l'ora  disegnata  ila  Renzo  per  levarsi,  s'alzò  mezzo  intirizzito,  si  mise 
inginoochioni ,  disse,  e  con  più  fervore  del  solilo,  le  divozioni  della 
mattina,  si  rizzò,  si  stirò  in  lungo  e  in  lai^o,  scosse  la  vita  e  le 
spalle,  come  per  mettere  insieme  tutte  le  membra,  che  ognuno  pa- 
reva che  facesse  da  sé,  soffiò  in  una  mano,  poi  nell'altra,  se  le  stro- 
picciò, aprì  Tuscio  della  capanna^  e,  per  la  prima  cosa,  diede  un'oc- 
chiata in  qua  e  in  là,  [ter  veder  se  e'  era  nessuno.  E  non  \edendo 
nessuno,  cercò  con  Cocchio  il  sentiero  della  sera  avanti;  lo  riconobbe 
subito,  e  prese  per  quello. 

Il  cielo  promclleva  una  bella  giornata:  la  luna,  in  un  canto,  pal- 
lida e  senza  r^|;gÌo ,  pure  spiccava  nel  campo  immenso  d' un  bigio  ce- 
ruleo, die,  giù  giù  verso  l'oriente,  s'andava  sfumando  leggermente 
in  un  giallo  roseo.  Più  giù,  all'orizzonte,  si  stendevano,  a  lunghe 
falde  ineguali,  poche  nuvole,  tra  1'  azzurro  e  il  bruno,  le  più  basse 
orlate  al  di  sotto  d'una  striscia  quasi  di  fuoco,  che  di  mano  in  mano 
si  taceva  più  viva  e  tagliente:  da  mezzogiorno,  altre  nuvole  ravvolte 
insieme,  leggieri  e  solfìci,  per  dir  così,  s'andavan  lumeggiando  di 
mille  colori  senza  nome:  quel  cielo  di  Lombardia,  cosi  bello  quand'è 
bello,  cosi  splendido,  cosi  in  pace.  Se  Renzo  si  fosse  trovalo  li  an- 
dando a  spasso,  certo  avrebbe  guardalo  in  su,  e  ammiralo  queir  al- 
beggiare così  diverso  da  quello  ch'era  solito  vedere  ne'  suoi  monti; 
ma  badava  alla  sua  strada,  e  camminava  a  passi  lunglii,  per  riscal- 
darsi, e  per  arrivar  presto.  Passa  i  campì,  passa  la  sodaglia,  passa  le 
macchie,  attraversa  il  bosco,  guardando  in  qua  e  in  là,  e  ridendo  e 
vergognandosi  nello  slesso  tempo,  del  ribrezzo  che  vi  ave\'a  provalo 
poche  ore  prima;  è  sul  ciglio  della  riva,  guarda  giù;  e,  di  tra  i  rami, 
vede  una  barchetta  di  pescatore,  che  veniva  adagio,  contr'acqua,  ra- 
dendo quella  sponda.  Scende  subito  per  la  più  corta,  tra  t  pnini;  è 
suHb  riva;  dà  una  voce  leggiera  leggiera  al  pescatore;  e,  con  l'inten- 
sione di  far  come  se  eliiedcsse  un  servizio  di  poca  importanza,  ma. 


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^34  I  movessi  SPOSI. 

senza  avvedersene,  in  una  maniera  mezzo  supplicbevok ,  gli  accenna 
che  approdi.  Il  pescatore  gira  uno  sguardo  lungo  la  riva,  guaiola  al- 
tenlamente  lungo  l'acqua  clie  viene,  si  volla  a  guardare  indietro,  lungo 
l'acqua  che  va,  e  poi  dirizza  la  prora  vn-so  Renzo,  e  approda.  Renzo 
che  stava  sull'orlo  della  riva,  quasi  con  un  piede  nell'acqua,  alTerra 
la  punta  del  batlcllo,  ci  salta  dentro,  e  dice:  »  mi  fareste  il  servizio, 
eoi  pagare,  di  tragittarmi  dì  là?»  Il  pescatore  l'aveva  indovinalo,  e 
già  mollava  da  quella  paiie.  Renzo,  vedendo  sul  fondo  della  barca  un 
altro  remo,  si  china,  e  l' afferra. 

u  Adagio,  adagio,  »  disse  il  padrone 3  ma  nel  veder  poi  con  die 
garbo  il  giovine  aveva  preso  lo  strumento,  e  si  disponeva  a  maneg- 
giarlo, »  ah,  ah,  «  riprese:  «  siete  del  mestiere,  n 

e  Un  pochino,  »  rispose  Renzo,  e  ci  sì  mise  con  un  vigore  e  con 
una  maestria,  più  che  da  dilellante.  E  senza  mai  rallentare ,  dava  ogni 


tanto  un'occhiata  ombrosa  alla  riva  da  cut  s' allonlanavano ,  e  poi  una 
impaziente  a  quella  dov'eran  rivolti,  e  si  coceva  di  non  imlvrci  an- 
dar per  la  più  copia;  che  la  corrente  era,  in  quel   luogo,  troppo 


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CAPITOLO  XVII.  33K 

rapida,  per  tagliarla  direttamoile;  e  la  barca,  parte  rompendo,  |>arte 
secondando  il  filo  dell'acqua ,  doveva  Tare  un  tragitto  diagonale.  Conio 
accade  in  tutti  gli  affari  un  po'  imbrogliati,  che  ie  difficoltà  alla  prima 
si  presentino  all'ingrosso,  e  nell' eseguire  poi,  vengan  fuori  per  mi- 
nuto, Renzo,  ora  che  l'Adda  era,  si  può.  dir,  passata,  gli  dava  fasti- 
dio il  non  saper  dì  certo  se  lì  essa  fosse  contine,  o  se,  superato  qud- 
l'oslacolo,  gliene  rimanesse  un  altro  da  superare.  Onde,  diiamalo  il 
pescatore,  e  accennando  col  capo  quella  maccliia  biancastra  clic  aveva 
veduta  la  notte  avanti,  e  elie  allora  gji  appariva  ben  più  distinta,  disse: 
"  è  Bergamo,  quel  paese?  " 

u  La  città  di  Belano,  «  rispose  il  pescaloi-e. 

■i  E  quella  riva  lì ,  è  bergamasca  ?  » 

-  Terra  di  san  Marco.  « 

■>  Viva  san  Marco!  »  eselaniA  Renzo.  Il  pescatore  non  disse  nulla. 

Toccano  finalmente  quella  riva;  Renzo  vi  si  slancia;  ringrazia  Dio 
Ira  sé,  e  poi  con  la  bocca  il  barcaiolo;  inette  le  mani  in  tasca,  lira 
fuori  una  berlinga,  che,  attese  le  circostanze,  non  fu  un  piccolo  spro- 
prio, e  la  poi^e  al  galantuomo;  il  quale,  data  ancora  una  occhiata 
alla  riva  milanese,  e  ai  fiume  di  sopra  e  di  sotto,  stese  la  mano,  prese 
la  mancia,  la  ripose,  poi  strinse  le  labbra,  e  per  di  più  ci  mise  il 
dito  in  croce,  accompagnando  quel  gesto  con  un'occhiata  espres»va: 
e  disse  poi:   «  buon  viaggio,  n  e  tornò  indietro. 

Perchè  la  così  pronta  e  discreta  cortesia  di  costui  verso  uno  sco- 
nosciuto non  faccia  troppo  maravigliare  il  lettore,  dobbiamo  informarlo 
che  quell'uòmo,  pregato  spesso  d'un  simile  servizio  da  contrabban- 
dieri e  da  banditi,  era  avvezzo  a  farlo;  non  lauto  per  aniore  del  poco 
e  inòerto  guadagno  che  gliene  poteva  venire,  quanto  per  ncm  farsi 
de'  nemici  in  quelle  classi.  Lo  faceva,  dico,  ogni  volta  che  potesse 
esser  sicuro  che  non  lo  vedessero  né  gabellieri,  né  birri,  né  esplora- 
tori. Cosi,  senza  voler  più  bene  ai  primi  che  a!  secondi,  cercava  di 
soddisfarli  tutti,  con  quell'imparzialità,  t^e  è  la  dote  ordinaria  dì  chi 
è  obbligato  a  trattar  con  cerl'uni,  e  soggetto  a  render  conto  a  cerl'allrii 

Renzo  si  fermò  un  momentino  sulla  riva  a  contemplar  la  riva  op- 
posta, quella  terra  che  poco  prima  scottava  tanto  sotto  i  suoi  piedi. 
—  Ah  !  ne  son  proprio  fuori  !  —  fu  il  suo  primo  penserò.  —  Sta  li, 
maledetto  paese,  —  fu  il  secondo,  l'addio  alla  patria.  Ma  il  terzo 
corse  a  chi  lasciava  in  quel  paese.  Allora  incrociò  le  braccia  sul 
|>ctto,  mise  un  sospiro,  abbassò  gli  occhi  sull'acqua  die  gli  scorreva 


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330  I   PHOUESSI  SPOSI 

a' piedi,  «  pensò  —  è  passala  eolio  il  iwnle!  —Cosi,  all'uso  del  siio 
|)aese,  cliianiava,  per  anlonoioasia,  quello  di  Lecco.  —  Ab  mondo  bir- 
bone! Basla;  quel  die  Dio  vuole.  — 

Voltò  le  spalle  a  que'  tristi  oggetti,  e  s'incamminò,  prendendo  per 
punto  di  mira  la  macchia  biancastra  sul  pendio  del  monte,  Bnchè  tro- 
vasse qualclieduno  da  farsi  insegnar  ia  strada  giusta.  E  bisognava  ve- 
dere con  che  disinvollura  s'accostava  a'  viandanti,  e,  senza  tanti  rì- 
gii-i,  nominala  il  paese  dove  abitava  quel  suo  cugino.  Dal  primo  a 
cui  si  rivolse ,  seppe  clic  gli  ^imane^'a^o  ancor  nove  miglia  da  fare. 


Quel  viaggio  non  fu  lieto.  Senza  parlare  de'  guai  che  Renzo  por- 
tava con  sé,  il  suo  occhio  veniva  ogni  momento  rattristalo  da  oggetti 
dolorosi,  da'  quali  dovette  accorgersi  che  troverebbe  nel  paese  in  cui 
s'inoltrava,  la  penuria  che  aveva  lasciala  nel  sno.  Per  tutta  la  strada, 
e  più  ancora  nelle  terre  e  ne'  borghi ,  inconti'ava  a  ogni  passo  po\'eri, 
die  non  eran  poveri  di  mestiere,  e  moslra\'an  la  miseria  più  nel  viso 
che  nel  vesliario:  conladini,  montanari,  artigiani,  famiglie  intere;  e 
un  misto  ronzio  di  preghiere,  di  lamenti  e  di  vagiti.  Quella  vista, 
oltre  la  compassione  e  la  malinconia,  lo  mctte^'a  anche  in  pensiero 
tic'  casi  suoi. 

—  Chi  sa,  —  andava  meditando,  —  se  lro\o  da  far  bene?  se  e« 
lavoro,  come  ne^^i  anni  |iassali?  Basta;  Bortolo  mi  voleva  bene,  è  nn 
buon  figliuolo,  ha  fatto  danari,  m'ha  invitalo  tante  volle;  non  in'ab- 
liandoiierà.  E  (miì,  la  Provvidenza  m'ha  aiutalo  (inora;  m'aiuterà  an- 
che per  l'avvenire.  — 


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CAPITOLO  Wll.  3ST 

Inlanto  l'appetilo,  nsvegliaU)  già  ila  qualche  leinpo,  an(la\'a  cre* 
sceodo  di  miglio  in  mìglio;  e  quantunque  Renzo,  quando  cominciò  a 
dar^i  reità,  sentisse  di  poter  reggere,  senza  grand' incomodo,  per 
quelle  due  o  tre  che  gli  polevan  rimanere;  pensò,  da  un'altra  )>arte, 
che  non  sarebbe  una  bella  cosa  di  presentarsi  al  cugino ,  come  un 
pitocco,  e  dirgli,  per  primo  complimenlo:  dammi  da  mangiare.  Si  levò 
di  lasca  tutte  le  sue  ricchezze,  le  fece  scorrere  shp  ima  mano,  tirò  la 


sorama.  Non  era  un  conto  che  richiedesse  una  grande  aritmetica;  ma 
però  e'  era  abbondantemente  da  fare  una  mangiatina.  Entrò  in  un'oste- 
ria a  ristorarsi  lo  stomaco;  e  in  fatti,  pagato  che  ebbe,  gli  rimase  an- 
cor qualche  soldo. 

Neil' uscire,  vide,  accanto  alla  porla,  che  quasi  v'inciampava,  sdra- 
iale in  terra,  più  che  sedute,  due  donne,  una  attempala,  un'altra 
più  giovine,  con  un  t>ambiiio,  che,  dopo  aver  succhiala  invano  l'una 
e  l'altra  mammella,  piangeva,  piangeva;  tutti  del  color  delta  morte: 
e  ritto,  vicino  a  loro,  un  uomo,  nel  viso  del  quale  e  nelle  membra, 
si  potevano  ancora  vedere  i  segni  d'un' antica  robustezza,  domala  e 
quasi  spenta  dal  lungo  disagio.  Tiilt'e  Ire  stesero  la  mano  verso  colui 
die  usciva  con  passo  franco,  e  con  l'aspetto  rianimato:  nessuno  parlò; 
che  poteva  dir  di  più  una  preghiera? 


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:(3a  I  pkohessi  sposi. 

«  La  c'è  la  Provvidenza!»  disse  Renzo;  e,  cacciata  subito  la  mano     { 
in  lasca,  la  volò  di  que'  pochi  soldi  ;  li  mise  nella  mano  che  si  trovò 
più  vicina,  e  riprese  la  sua  strada.  i 


La  refezione  e  l'o|>era  buona  (giaccìièsiam  composti  d'anima  e  di 
corpo)  avevano  riconfortati  e  rallegrati  lutti  i  suoi  pensieri.  Cerio, 
dall' essersi  cosi  spogliato  degli  ultimi  danari,  gli  era  venuto  più  di 
eonfidenza  per  l'avvenire,  che  non  gliene  avrebbe  dato  il  trovarne 
dieci  \'olte  tanti.  Perchè,  se  a  sostenere  in  quei  giorno  que'  poverini 
che  mancavano  sulla  strada,  la  Pi-ovvidenza  aveva  tenuti  in  sert)0  pro- 
prio gli  ultimi  quattrini  d'un  estraneo,  fuggitivo,  incerto  anche  lui 
del  come  vivrebbe;  chi  poteva  credere  che  volesse  poi  lasciare  in  secco 
colui  del  quale  s'era  servila  a  ciò,  e  a  cui  aveva  dato  un  sentimento 
così  vìvo  di  se  stessa,  cosi  efficace,  cosi  risoluto?  Questo  era,  a  un 
di  presso,  il  pensiero  del  giovine;  però  men  chiaro  ancora  di  qudlo 
ch'io  l'abbia  saputo  esprimere.  Nel  rimanente  della  strada,  ripensando 
a'  casi  suoi,  ludo  gli  si  spianava.  La  carestia  doveva  poi  finire:  lutti 


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CAPITOLO  WII.  3S» 

gli  anni  si  miele:  intanto  aveva  ìl  cugino  Bortolo  e  la  propria  abilità; 
aveva,  per  di  più,  a  casa  un  po'  di  danaro,  die  si  farebbe  mandar 
subito.  Con  quello,  alla  peggio,  camperebbe,  giorno  per  giorno,  (Indie 
tornasse  l'abbondanza.  —  Ecco  poi  tornata  flnalmeiite  l'abbondanza, 
—  pros^^iva  Renzo  nella  sua  fentasia:  —  rinasce  la  furia  de'  lavori: 
i  padroni  fanno  a  gara  per  aver  degli  operai  milanesi,  die  son  quelli 
die  sanno  bene  il  mestiere;  gli  operai  milanesi  alzan  la  cresta;  chi 
vu<d  gente  abile,  biscia  che  hi  paghi;  si  guadagna  da  vivere  per  più 
(funo,  e  da  metter  qualcosa  da  parte;  e  si  fa  scrìvere  alle  donne 
che  vengano....  E  poi,  perchè  aspettar  tanlof  Non  è  vero  che,  con 
quel  poco  che  abbiamo  in  serbo,  si  sarebbe  campati  là,  anche  que- 
st'inverno? Cosi  camperemo  qui.  De'  curali  ce  n'è  per  tutto.  Ven- 
gono quelle  due  care  donne:  si  mette  su  casa.  Che  piacere,  andar 
passeggiando  su  questa  slessa  strada  tutti  insieme!  andar  fino  all'Adda 
in  baroccìo,  e  far  merenda  sulla  riva,  proprio  sulla  riva,  e  far  ve- 
dere alle  donne  il  luogo  dove  mi  sono  imbarcato,  il  prunaio  da  cui 
sono  sceso,  quel  posto  dove  sono  stato  a  guardare  sé  c'era  un  bal- 
tdlo.  — 

Arriva  al  paese  del  cugino;  nell'entrare,  anzi  prima  di  mettervi 
piede,  distingue  una  casa  alla  alla,  a  più  ordini  di  lìnestre  lunghe 
lunghe;  riconosce  un  filatoio,  entra,  domanda  adatta  voee,  tra  il  ru- 
more dell'acqua  cadente  e  delle  rote,  se  stia  h  un  certo  Bortolo  Ca- 
stagneri. 

e  0  «gnor  Bortolol  Eccolo  là.  « 

—  StgnM-e?  buon  se^o,  —  pensa  Renzo;  vede  il  cugino,  gli  corre 
incontro.  Quello  si  volta,  riconosce  il  giovine,  che  gli  dice:  "  son 
qui.  »  Un  oh!  di  sorpresa,  un  alzar  di  braccia,  un  gettarsele  al  collo 
scambievolmente.  Dopo  quelle  prime  accoglienze,  Bortolo  tira  il  nostro 
giovine  lontano  dallo  strepilo  d^li  ordigni,  e  dagli  occhi  de*  curiosi, 
in  un'altra  slanza,  e  gli  dice:  «  li  vedo  volentieri;  ma  sei  un  bene- 
detto fl^ìuolo.  T'avevo  invitalo  tante  volte;  non  sei  mai  voluto  ve- 
nire; ora  arrivi  in  un  momento  un  po'  critico.  » 

«  Se  te  lo  devo  dire,  non  sono  venuto  via  di  mia  volontà,  »  disse 
Renzo;  e,  con  la  più  gran  brevità,  non  però  senza  molta  commozione, 
gli  rsecMitó  la  dolorosa  storia. 

»  È  un  allro  par  di  maniche,  »  disse  Bortolo,  u  Oh  povero  Renzo! 
Ma  tu  hai  fatto  capitale  di  me  ;  e  io  non  t'  abbandonerò.  Veramente, 
un  non  e' è  ricerca  d'operai;  anzi  appena  appena  t^nuno  tiene  i  suoi, 


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SII)  I  1>K0)IF.S.SI  SPOSI 

))er  DOn  perderli  e  disviare  il  negozio;  ma  il  padrone  mi  vuol  bene, 
e  ha  della  rdb».  E,  a  dirtela,  in  gran  parte  la  deve  a  me,  senza  van- 
larini:  lui  il  capitale,  e  io  quella  poca  abilità.  Sono  il  primo  lavo- 
rante, sai?  e  poi,  a  dirtela,  sono  il  factotum.  Povera  Lucia  Mondello! 
Me  ne  ricordo ,  come  se  fosse  ieri  :  una  buona  ragazza  !  sempre  la  più 

composta  in  chiesa;  e  quando  si  passava  da  quella  sua  casuccia 

Mi  pardi  vederla,  quella  casuccia,  appena  fuor  del  paese,  eoa  un  bel 
fico  che  passava  il  muro  . . . .  " 

u  No,  no;  non  ne  parliamo.  " 

u  Volevo  dire  che,  quando  (à  passava  da  quella  casuccia,  sempre 
sì  sentiva  quell'aspo,  che  girava, girava,  girava.Equel  don  Rodrìgol 
già,  anche  al  mio  tempo,  era  per  quella  strada;  ma  ora  fa  il  diavolo 
affatto,  a  quel  die  vedo:  fin  che  Dio  gli  lascia  la  briglia  sul  ctdio. 
Dunque,  come  ti  dicevo,  anche  qui  si  patisce  un  po'  la  fame...  Apro- 
posito,  come  stai  d'appetito?  " 

^  Ho  mangialo  poco  fa,  per  viaggio,  r^ 

•<  E  a  danari,  come  stiamo?  r 

Renzo  slese  una  mano,  l'avvicinò  alla  bocca,  e  \i  fece  scori-cr  so- 
pra un  piccol  soffio. 

1  Non  importa,  »  disse  Bortolo:  ^  n'ho  io:  e  non  ci  pensare,  clie, 
presto  presto,  cambiandosi  le  cose,  se  Dio  vorrà,  me  li  renderai,  e 
te  n'avanzerà  anche  per  te.  » 

u  Ho  qualcosina  a  casa;  e  me  li  farò  mandare.  >■ 

»  Va  bene;  e  intanto  fa  conto  di  me.  Dio  m'ha  dato  del  bene, 
perchè  faccia  del  bene;  e  se  non  ne  fo  a'  parenti  e  agli  amici,  a  chi 
ne  fard?  » 

u  L'ho  detto  io  della  Provvidenza!  "  cschimó  Renzo,  sb-ingendo 
affelluosamente  la  mano  al  buon  cugino. 

u  Dunque,  »  riprese  questo,  "  in  Milano  hanno  fatto  tutto  quel 
chiasso.  Mi  paiono  un  po'  matti  coloro.  Già,  n'  era  corsa  la  voce  an- 
che qui  ;  ma  voglio  che  (u  mi  racconti  poi  la  cosa  più  mioulamente. 
Eh!  n'abbiamo  delle  cose  da  discorrere.  Qui  però,  vedi,  la  va  più 
quietamente,  e  si  fanno  le  cose  con  un  po'  più  dì  giudizio.  La  cilU 
ha  comprate  duemila  some  di  grano  da  un  mercante  che  sta  a  Vene- 
zìa:  grano  che  vien  di  Turchia;  ma,  quando  si  tratta  di  mangiare, 
non  sì  guarda  tanto  per  il  sottile.  Ora  senti  un  po'  cosa  nasce:  nasce 
die  i  rettori  di  Verona  e  di  Brescia  chiudono  i  passi ,  e  dicono  : 
dì  qui  non  passa  grano.  Che  li  fanno  i  bergamaschi?  Spediscono  a 


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CAPITOLO  XVII.  SII 

Venezia  Lorenzo  Torre,  un  dottore,  ma  di  quelli!  É  partilo  in  fretta, 
s'è  presentalo  al  doge,  e  ha  detto:  che  idea  è  venula  a  que'signwi 
rettori?  Ma  un  discorso!  un  discorso,  dicono,  da  dare  alle  stampe. 
Cosa  vuoi  dire  avere  un  uomo  che  sappia  parlare  I  Subito  un  or- 
dine che  si  Usd  passare  il  grano;  e  i  rettori,  non  solo  lasciarìo  pas- 
sare, ma  bisogna  che  lo  facciano  scortare;  ed  è  in  viaggio.  E  s'è  pen- 
salo aoehe  al  contado.  Giovanbatisla  Biava,  nunzio  di  Bergamo  in 
Venezia  (un  uomo  anche  quello!)  ha  fatto  intendere  al  senato  che,  an- 
che in  campagna,  si  pativa  la  fame;  e  il  senato  ha  concesso  quattro 
mila  staia  di  miglio.  Anche  questo  aiuta  a  far  pane.  E  poi ,  lo  vuoi 
sapere  ?  se  non  ci  sarà  pane,  mangeremo  del  companatico.  Il  Signore 
m'ha  dato  del  bene,  come  ti  dico.  Ora  ti  condurrò  daJ  mio  padnme: 
gli  ho  parìato  di  le  tante  volte,  e  ti  fora  buona  accoglienza.  Un  buon 
bergamascone  all'antica,  un  u<Hno  di  cuor  largo.  Veramente,  ora  non 
t'aspettava;  ma  quando  sentirà  la  storia E  poi  gli  operai  sa  te- 
nerti dì  conto,  perchè  la  carestia  passa,  e  il  negozio  dura.  Ma  prima 
di  tutto,  bisogna  che  t'avverta  d'una  cosa.  Sai  come  ci  chiamano  in 
questo  paese,  noi  altri  dello  stalo  di  Milano?  -^ 

1  Come  ci  chiamano?  r> 

'  Ci  chiaman  baggiani.  ^' 

-  Non  è  un  bel  nome.  ^ 

"  Tant'è:  chi  è  nato  nel  milanese,  e  vuol,  vivere  nel  bergamasco, 
bisf^na  prenderselo  in  santa  pace.  Per  questa  genie,  dar  del  baggiano 
a  un  milanese,  è  come  dar  dell'illustrissimo  a  un  cavaliere.  ^ 

u  Lo  diranno,  m'immagino,  a  chi  se  lo  vorrà  lasciar  dire,  n 

u  Figliuolo  mio,  se  tu  non  sei  disposto  a  succiarli  del  baggiano  a 
tutto  pasto,  non  far  conto  di  poter  viver  qui.  Bisognerebbe  esser  sem- 
pre col  coltello  in  mano:  e  quando,  supponiamo,  tu  n'avessi  ammaz- 
zati due.  Ire,  quattro,  verrebbe  poi  quello  che  ammazzerebbe  te:  e 
allora,  che  bel  gusto  di  comparire  al  tribunal  di  Dio,  con  tre  o  quat- 
tro omicidi  sull'anima!  n 

u  E  un  milanese  che  aUiia  im  po'  di »  e  qui  picchiò  la  fronte 

eoi  dito ,  come  aveva  fatto  nell'osteria  della  luna  piena,  u  Voglio  dire, 
uno  che  sappia  bene  il  suo  mestiere?  » 

"  Tutl'uno:  qui  è  un  ba^^ano  anche  lui.  Sai  come  dice  il  mio 
padrone,  quando  parla  di  me  co'  suoi  amici?  —  Quel  baggiano  è 
stalo  la  man  di  Dìo,  per  il  mio  negozio;  se  non  avessi  quel  baggiano, 
sarei  ben  impicciato.  —  L'è  usanza  cosi.  » 


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341  I  PROMESSI  SPOSI. 

1  L'è  un'usanza  sciocca.  E  vedendo  quello  che  sappìam  fare  (che 
finalmente  chi  ba  portata  qui  quest'arte,  e  chi  la  fa  andare,  siamo 
noi),  possibile  che  non  si  sian  corretti?  » 

u  Finora  no:  col  tempo  può  essere;  ì  ragazzi  che  vengon  su;  ma 
gli  uomini  fatti,  non  c'è  rimedio:  hanno  preso  q»el  vizio;  non  lo 
smetton  più.  Cos'è  poi  finalmente?  Era  ben  un'altra  cosa  quelle  ga- 
lanterie che  t'hanno  fatte ,  e  il  di  più  die  ti  volevan  lare  i  nostri  cari 
compatriotti.  » 

ti  Già,  è  vero:  se  non  c'è  altro  di  male ....  » 

«  Ora  che  sei  persuaso  di  questo,  tutto  anderà  bene.  Vieni  dal  pa- 
drone, e  coraggio.  » 

Tutto  in  fatti  andò  bene,  e  tanto  a  seconda  delle  promesse  di  Bor- 
tolo, che  crediamo  inutile  di  farne  particolar  relazione.  E  fu  vera- 
mente provvidenza;  perchè  la  roba  e  i  quattrini  che  Renzo  aveva  la- 
sciati in  casa,  vedremo  or  ora  quanto  fosse  da  farci  ass^oamento. 


I' 


II 


„GoogIe 


CAPITOLO  XVUI. 


V  H<!llo  r1«rso  giorno,  is  di  noveinbre,aiTÌva  un  espresso 
al  signor  podestà  di  Lecco,  e  gli  presenta 
un  dispaccio  del  signor  capitano  di  giu- 
stizia, contenente  un  ordine  di  fare  ogni 
possibile  e  pii'i  opportuna  inquisizione  , 
per  iseoprire  se  un  certo  giovine  nomi- 
nalo Lorenzo  Tramaglino,  filatore  di  seta, 
scappato  dalle  forze  praedicti  egregii  do- 
'  mini  capitaneij  sia  tornalo,  palavi  oel 
clam^  al  suo  paese,  ignotum  quale  per 
l'appunlo,  verum  in  territorio  Leuci:  f/uod  ti  compertum  (uerit  tic 
tue,  cerchi  il  detto  signor  podestà,  quanta  maxima  diligentia  (ieri 
poterit,  d'averlo  nelle  mani;  e,  legalo  a  dovere,  videlizet  con  buone 
maDetle ,  attesa  l' esperìmenlala  insufficienza  de'  manichini  per  il  no- 
minalo soggetto,  lo  faccia  condurre  nelle  carceri,  e  lo  ritenga  li,  sotto 
buona  custodia,  per  fame  consegna  a  chi  sarà  spedito  a  prenderlo;  e 
lanlo  nel  caso  del  si,  come  nel  caso  del  no,  aecedatii ad domum prat- 
rficti'  Laurentii  TramaUinìj  et,  facto  debita  diligentia,  quidquid  ad  rem 
repertum  fuerit  auferatit,-  et  informationei  de  UHui  prava  qttalitatei 


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S44  I  PROMESSI  SPOSI. 

Vita,  et  complicibus  sumalisj  e  dì  tulio  il  detto  e  il  fatto ,  il  tro\alo 
e  i)  non  Irovato,  il  preso  e  il  lasciato,  diligenler  referatts.  Il  signor  po- 
destà, dopo  essersi  umanamente  cerziorato  che  il  soggetto  non  era 
tornalo  in  paese,  fa  diiamare  il  console  del  villaggio,  e  si  fa  condur 
da  lui  alla  casa  indicata,  con  gran  treno  di  notaio  e  di  birri.  La  casa 
è  chiusa;  chi  ha  le  chiavi  non  e'  è,  o  non  si  lasda  trovare.  Si  sfonda 
l'uscio;  si  fa  la  debita  diligenza,  vale  a  dire  che  si  fa  come  in  una 
città  presa  d'assalto.  La  \oce  di  quella  spedizione  si  sparge  immedia- 
tamente per  tutto  il  contorno;  viene  agli  orecchi  del  padre  Cristoforo; 
il  quale,  attonito  non  meno-che  afflitto,  domanda  al  terzo  e  al  quarto, 
per  aver  qualche  lume  intorno  alla  cagione  d'un  fatto  cosi  inaspettato; 
ma  non  raccoglie  altro  che  congetture  in  aria ,  e  scrive  subito  al  pa- 
dre Bonaventura,  dal  quale  spera  di  poter  ricevere  qualche  notizia  più 
precisa.  Intanto  i  parenti  e  gli  amici  di  Renzo  vengono  citali  a  deporre 


ciò  che  posson  sapere  della  sua  prova  qualità:  aver  nome  Tramaglino 
è  una  di^razia,  una  vergogna,  nn  delitto:  il  paese  è  sottosopra.  A 
poco  a  poco,  si  viene  a  sapere  che  Renzo  è  scappato  dalla  giustizia, 
nel  bel  mezzo  di  Milano,  e  poi  scomparso;  corre  voce  che  abbia  fatto 
qualcosa  di  grosso;  ma  la  cosa  poi  non  si  sa  dire,  o  sì  racconta  in 
cento  maniere.  Quanto  più  è  grossa ,  tanto  meno  vien  credula  ori 


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CAPITOLO  XVIII.  '     34iE 

|iaesc,  dove  Renzo  è  conosciuto  per  un  bravo  gio\'Ìnc  :  ì  più  presu- 
mono, e  vanno  susurrandosi  agii  orecdii  l'uno  con  l'allro,  clic  e  una 
macchina  mossa  da  quel  prepotente  di  don  Rodrigo,  per  rovinare  il 
suo  povero  rivale.  Tant'è  vero  che,  a  giudicar  per  induzione,  e  senz:i 
la  necessaria  cognizione  da'  fallì,  si  fa  alle  volte  gran  torlo  anche  ai 
biriuinti. 

Ma  noi,  co' fatti  alla  mano,  come  si  suol  dire,  possiamo  affermare 
che,  se  colui  non  aveva  a\'Uto  parte  nella  sciagura  di  Renzo,  se  ne 
rompiacque  però,  come  se  fosse  opei'a  sua,  e  ne  trionfò  co'  suoi  fidati, 
e  prìneipalmenle  col  conte  Attilio.  Questo,  secondo  i  suoi  primi  disegni, 
airebbe  dovuto  a  quell'ora  trovarsi  già  in  Milano;  ma,  alle  prime  noti- 
zie del  tumulto,  e  della  canaglia  clic  girava  per  le  strade,  in  lutl'altra 
attitudine  che  dì  ricever  bastonate,  aveva  credulo  tiene  di  trattenersi 
in  campagna,  fino  a  cose  quiclc.  Tanto  più  che,  avendo  offeso  molti, 
aveva  ({ualche  ragion  di  temere  die  alcuno  de'  tanti,  che  solo  per  iin- 
palenza  slavano  cheti,  non  prendesse  animo  dalle  circostanze,  e  giu- 
dicasse il  momento  buono  da  far  le  rendette  di  tutti.  Questa  sospen- 
sione non  fu  di  lunga  durala:  l'ordine  venuto  da  Milano  detl' esecu- 
zione da  farsi  contro  Renzo  era  già  un  indizio  clic  le  cose  avevan 
ripreso  il  corso  ordinario;  e,  quasi  nello  stesso  tempo,  se  n'ebbe  la 
certezza  positiva.  Il  conte  Attilio  parli  ìmiuedialamente ,  animando  il 
cugino  a  persister  nell'impresa,  a  spuntar  l'impegno,  e  promettendo- 
gli che,  dal  canto  suo,  metterebbe  subito  mano  a  sbrigarlo  dal  frate; 
al  qual  aCfare ,  il  fortunato  accidente  dell'  abietto  rivale  dove\'a  fare 
un  gioco  mirabile.  Appena  partilo  Attilio ,  arrivò  il  Griso  da  Monza 
sano  e  salvo,  e  riferì  al  suo  padrone  ciò  che  aveva  potuto  raccoglie- 
re: che  Lucia  era  ricoverata  nel  (al  monastero,  sotto  la  protezione 
della  (al  signora;  e  stava  sempre  nascosta,  come  se  fosse  una  monaca 
andie  lei,  non  mettendo  mai  piede  fuor  della  porta,  e  assistendo  alle 
funzioni  di  chiesa  da  una  finestrina  con  la  grata:  cosa  clic  dispiaceva 
a  molti,  i  quali  avendo  sentilo  motivar  aoa  so  che  di  sue  avventure, 
e  dir  gran  cose  del  suo  viso,  avrebbero  voluto  un  poco  \edcre  come 
fosse  fallo. 

Questa  relazione  mise  il  diavolo  addosso  a  don  Rodrigo,  o,  per  dir 
meglio,  rendè  più  cattivo  quello  che  già  ci  slava  di  casa.  Tante  cir- 
costanze favorevoU  al  suo  disegno  inliammavano  sempre  più  la  sua 
passione ,  cioè  quel  misto  di  puntiglio ,  di  rabbia  e  d' infame  capric- 
cio, di  cui  la  sua  passione  era  composta.  Renzo  assente,  sfrattato, 


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Ite  I  PROHESM  WOSI. 

bandito,  di  maDÌera  die  ogni  cosa  diventava  lecita  conliv  di  liu,e  an- 
che la  sua  sposa  poteva  esser  considerata,  in  certo  modo,  come  roba 
dirubello:  il  solo  uomo  a)  mondo  che  volesse  e  potesse  prender  le  sue 
parli ,  e  fare  un  rumore  da  esser  sentito  anclie  lontano  e  da  persone 
alte,  l'arrabbiato  frate,  tra  poco  sarebbe  probabilmente  anche  lui  fuor 
del  caso  di  nuocere.  Ed  ecco  che  un  nuovo  impedimento ,  non  die 
contrappesare  tutti  qne' vantaggi ,  li  rendeva,  si  può  dire,  inutili.  Un 
monastero  di  Monza ,  quand'anche  non  ci  fosse  slata  una  principessa, 
era  un  osso  troppo  duro  per  ì  denti  di  don  Rodrigo;  e  per  quanto 
egli  ronzasse  con  la  fantasia  intorno  a  quel  ricovero,  non  sapeva  im- 
maginar né  via  né  verso  d'espugnarìo,  né  con  la  forza,  né  per  insidie. 
Fu  quasi  quasi  per  abbandonar  l' impresa;  fu  per  risolversi  d'andare  a 
Milano,  allungando  anche  la  strada,  per  non  passar  neppure  da  Mon- 
za; e  a  Milano,  gettarsi  in  mezzo  agli  amici  e  ai  divertimenti,  per  di- 
scacciar, con  pensieri  affatto  allegri,  quei  pensiero  divenuto  ormai  lutto 
tormentoso.  Ma,  ma,  ma,  gli  amici  ;  piano  un  poco  con  questi  amici. 
In  vece  d'una  distrazione,  poteva  aspettarsi  di  trovar  nella  loro  com- 
))agnia,  nuovi  dispiaceri:  perchè  Attilio  certamente  avreUw  gii  preso 
la  tromba,  e  messo  tutti  in  aspettativa.  Da  ogni  parte  gli  verrebbero 
domandate  notizie  della  montanara  :  bisognava  render  ragione.  S' era 
voluto,  s'era  tentato;  cosa  s'era  ottenuto?  S'era  preso  un  impegno: 
un  impegno  un  po'  ignobile,  a  dire  il  vero:  ma,  via,  uno  non  può 
alle  volte  regolare  i  suoi  capricci;  il  punto  é  di  soddisfarli;  e  come 
s'usdva  da  quest'ìmp^nof  Dandola  vìnta  a  un  villano  e  a  un  frale! 
Uh  !  E  quando  una  buona  sorte  inaspettata,  senza  fatica  del  buon  a  nul- 
la, aveva  tolto  di  mezzo  runo,e  un  abile  amico  l'altro,  il  buonanulta 
non  aveva  saputo  valersi  ddla  congiuntura,  e  si  ritirava  vilmente  dal- 
l' impresa.  Ce  n'  era  più  del  bisogno,  per  non  alzar  mai  più  il  viso  tra  i 
galantuomim' ,  o  avere  ogni  momento  la  spada  alle  mani.  G  poi,  come 
tornare,  o  come  rimanere  in  quella  villa,  in  quel  paese ,  dove,  lasdando 
da  parte  i  ricordi  incessanti  e  pungenti  della  passione,  si  portereUie 
lo  sfregio  d'un  cdpo  fallilo?  dove,  nello  slesso  tempo,  sarebbe  cre- 
sciuto l'odio  pubblico,  e  scemata  la  ripulazion  del  potere?  dove  sul 
viso  d'ogni  mascalzone,  anche  in  mezzo  agl'inchini,  si  potrebbe  1^- 
gere  un  amaro:  l'hai  ingoiala,  d  ho  gusto?  La  strada  ddl' iniquità , 
dice  qui  il  manoscritto,  è  larga;  ma  questo  non  vuol  dire  che  sia  co- 
moda: ha  i  suoi  buoni  intoppi,  i  suoi  passi  scabrosi;  è  noiosa  la  sua 
parie,  e  faticosa,  benché  vada  all'ingiù. 


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CAPITOLO  XVIII.  S4T 

A  don  Rodrigo,  il  quale  non  voleva  uscirne,  uè  dare  addietro,  né 
fermarsi,  e  non  poteva  andare  avanti  da  sé,  veniva  bensi  in  mente 
un  mezzo  con  cui  potrebbe  :  ed  era  di  chieder  l'aiuto  d'un  tale,  le  cui 
mani  arrivavano  spesso  dove  non  arrivava  la  vista  degli  altri:  un 
uomo  o  un  diavolo,  per  cui  la  difficoltà  dell'imprese  era  spesso  uno 
stimolo  a  prenderle  sopra  di  sé.  Ma  questo  partito  aveva  anche  i  suoi 
inconvenienti  e  i  suoi  rischi,  tanto  più  gra\'i  quanto  meno  sì  poic- 
h'ano calcolar  prima;  giacché  nessuno  avrebbe  sapulo  prevedere  fin 
dove  anderebbe,  una  volta  che  sì  fosse  imbarcato  con  quell'uomo, 
potente  ausiliario  certamente ,  ma  non  meno  assoluto  e  pericoloso 
condotUere. 

Tali  pensieri  tennero  per  fiù  giorni  don.  Rodrigo  tra  un  si  e  un 
no,  r  uno  e  l'altro  più  che  noiosi.  Venne  intanto  una  letlera  del  cu- 
gino, la  quale  diceva  che  la  trama  era  ben  avviata.  Poco  dopo  il  ba- 
leno, scoppiò  il  tuono;  vale  a  dire  che,  una  t>ella  mattina,  si  senti  die 
il  padre  Cristoforo  era  partilo  dal  convento  di  Pescarenico,  Questo 
buon  successo  così  pronto,  la  lettera  d'Attilio  che  faceva  un  gran 
coraggio,  e  minacciava  di  gran  canzonature,  fecero  inclinar  sempre 
più  don  Rodrigo  al  parlilo  rischioso:  ciò  che  gli  diede  l' ultima  spinta, 
fu  la  notizia  inaspettata  che  Agnese  era  tornata  a  casa  sua:  un  impe- 
dimento di  meno  vicino  a  Lucia.  Rendiam  conto  di  questi  due  avve- 
nimenti, cominciando  dall'ultimo. 

Le  due  povere  donne  s'erano  appena  accomodate  nel  loro  ricovero, 
che  si  sparse  per  Monza,  e  per  conseguenza  anche  nel  monastero,  la 
nuova  di  quel  gran  fracasso  di  Milano;  e  dietro  alla  nuova  grande, 
una  serie  infinita  di  particolari,  che  andavano  crescendo  e  variandosi 
ogni  momento.  La  falloressa,  che,  dalla  sua  casa,  poteva  tenere  un 
orecebio  alla  strada,  e  uno  al  monastero,  raeci^licva  notizie  di  qui, 
notizie  di  li,  e  ne  fa(%va  parte  all'ospiti.  »  Due,  sei,  otto,  quattro, 
sette  ne  hanno  messi  in  prigione;  gì' impiccheranno,  parte  davanti  al 
forno  delle  gruceej  parte  in  cim^  alla  strada  dove  e'  é  la  casa  del  vi- 
cario di  provvisione. . . .  Ehi,  ehi,  sentite  questa!  n'  é  scappato  uno, 
cÌK  è  di  Lecco,  o  di  quelle  parti.  Il  nome  non  lo  so  ;  ma  verrà  qual- 
cheduDo  che  me  lo  saprà  dire;  per  veder  se  lo  conoscete.  » 

Quest'annunzio,  con  la  circoslanza  d'esser  Renzo  appunto  arrivato 
in  Milano  nel  giorno  fatale,  diede  qualche  inquietudine  alle  donne,  e 
principalmente  a  Lucia;  ma  pensate  cosa  fu  quando  la  falloressa  venne 
a  dir  loro:  »  è  proprio  del  vo^ro  paese  quello  che  se  Té  battuta,  per 


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.-.Ili  I  PitouKssi  srasi. 

1)011  essere  Jinpiccalo;  un  filatore  di  se(a,  che  sA  cliiama  Tramaglino: 
lo  conoscete?  « 

A  Lucia,  ch'era  a  sedere,  orlando  non  so  che  cosa,  cadde  il  la- 
voro di  mano;  impallidì,  si  cambiò  luUa,  di  maniera  che  la  faltoressa 
se  ne  sarebbe  avvista  certamente,  se  le  fosse  siala  più  vicina.  Ma  era 
ritta  sniia  soglia  con  Agnese;  la  quale,  conturl>ata  anche  lei,  però  non 
tanto,  potò  star  Torte;  e,  per  risponder  «jiialcosa,  disse  ctie,  in  un  pic- 
colo paese,  lutti  si  conoscono,  e  che  lo  conosceva;ma  che  non  sapeva 
pensare  emne  mai  gli  fosse  potuta  seguire  ima  cosa  simile  ;  perchè 
era  nn  giovine  posato.  Domandò  poi  se  era  scappalo  di  certo,  e  dove. 


"  SeapiKilo,  lo  dieon  tutti;  dove,  non  sì  sa;  può  essere  che  l'ac- 
chiappino ancora,  può  essere  che  sia  in  salvo:  ma  st\  gli  torna  sodo 
l'unghie,  il  vostro  giovine  posalo  . . . .  n 

Qui,  per  buona  sorte,  la  fatlorcssa  fu  chiamata,  e  se  n'andò:  figura- 
tevi come  rimanessero  la  madre  e  la  figlia.  Più  d'un  giorno,  dovellero 
la  povera  donna  e  la  desolata  fanciulla  stare  in  una  tale  incertezza. 
a  mulinare  sul  come,  sul  pcrclic,  sulle  conseguenze  di  quel  fatto  do- 
loroso, a  commentare,  ognuna  tra  sé,  o  sottovoce  tra  loro,  quando 
potevano,  quelle  terribili  parole. 


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CAPITOLO  Wtll.  34» 

Un  giovedì  finnlmcntc ,  capilo  al  iiionasl«ro  un  uomo  a  cei-car 
d' Agnese.  Ei'a  UD  pesciaìolo  dì  Pescarenico,  die  andava  a  Milano,  se- 
condo  l'ordinario,  a  spacciar  la  sua  mercanzia;  e  il  buon  frate  Cristo- 
foro I'  aveva  pregato  che,  passando  per  Monza ,  facesse  nna  scappala 
al  monaslero,  salutasse  le  donne  da  parte  sua,  raccontasse  loro  quel 
che  si  sapeva  del  tristo  caso  di  Renzo,  raccomandasse  loro  d'aver  pa- 
zienza, e  confldare  in  Dio;  e  che  lui  povero  frate  non  sì  dimenliclie- 
reU>e  certamente  di  loro,  e  spiercbbc  l'occasione  di  poterle  aiutare; 
e  intanto  non  mancherebbe,  ogni  settimana,  di  far  loro  saper  le  sue 
nuove,  per  quel  mezzo,  o  altrimenti.  Intorno  a  Renzo,  il  messo  non 
seppe  dir  altro  di  nuovo  e  di  certo,  se  non  la  visita  fallagli  in  casa, 
e  le  ricerche  per  averlo  nelle  numi  ;  ma  insieme  ch'erano  andate  tutte 
a  voto,  e  si  sapeva  di  certo  che  s'era  messo  in  s^vo  sul  bergamasco. 
Una  tale  certezza,  e  non  fa  bisogno  di  dirlo,  fu  un  gran  balsamo  per 
Lucia:  d'allora  in  poi  le  sue  lacrime  scorsero  più  facili  e  più  dolci; 
provò  maggior  conforto  negli  sfoghi  segreti  con  la  madi'c;  e  in  tutte 
le  sue  prcgltiere,  c'era  mescolato  un  ringraziamento. 

Gertrude  la  faceva  venire  spesso  in  un  suo  parlatorio  pri\'alo,  e 
la  IraKcneva  talvolta  lungamente,  compiacendosi  dell'ingenuità  e  della 
dolcezza  della  poverina,  e  nel  sentirsi  ringraziare  e  benedire  c^ni  mo- 
mento. Le  raccontava  anche,  in  confidenza,  una  parte  (la  parte  nella) 
delta  sua  storia,  di  ciò  che  aveva  patito,  per  andarli  a  patire;  e  quella 
prima  maraviglia  sospettosa  di  Lucia  s'andava  eambiando  in  compas- 
sione. Trovava  in  quella  storia  ragioni  più  che  sufficienti  a  spiegar  ciò 
die  c'era  d'un  po'  strano  nelle  maniere  della  sua  benefalfricc;  tanto 
più  con  r  aiuto  di  quella  dottrina  d'Agnese  su'  cervelli  de'  signori.  Per 
quanto  [lerò  sì  sentisse  portata  a  contraccambiare  la  confidenza  che 
Gertrude  le  dimostrava,  noii  le  passò  ncppur  per  la  testa  di  parlarlo 
delle  sue  nuove  inquietudini,  della  sua  nuova  disgrazia,  di  dirle  ehi 
fosse  quel  filatore  scappato;  per  non  rischiare  di  spargere  una  \ow 
così  piena  di  dolore  e  di  scandolo.  Si  schermiva  anche,  quanto  poteva, 
dal  rispondere  alle  domande  curiose  di  quella,  sulla  storia  antecedente 
alia  promessa;  ma  qui  non  eran  ragioni  di  prudenza.  Era  perche  alla 
povera  innocente  quella  storia  pareva  più  spinosa,  più  dilVìcìlc  da 
raccontarsi,  di  tutte  quelle  che  aveva  senlilc,  e  che  credesse  dì  poter 
sentire  dalla  signora.  In  queste  c'era  tirannia,  insidie,  patimenti;  cose 
brutte  e  dolorose,  ma  che  pur  si  potevan  nominare:  nella  sua  c'era 
mescolalo  per  tutto  un  sentimento,  una  parola,  che  non  le  pareva 


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sso  I  psoiiESai  SPOSI. 

iwssibile  di  proferire,  parlando  di  sé;  e  alla  quale  non  avrebbe  mai 
trovalo  ila  sostituire  una  perìfrasi  che  non  le  paresse  succiala:  l'amore! 
Qualche  volta,  Gertrude  quasi  s'indispettiva  di  quello  star  cosi  sulle 
difese;  ma  vi  trasparìva  tanta  amorevolezza,  tanto  rispetto,  tanta  ri- 
conoscenza, e  anche  tanta  fiducia!  Qualche  volta  forse,  quel  pudore 
così  delicato,  cosi  ombroso,  le  dispiaceva  ancor  più  per  un  altro  verso; 
ma  tutto  si  perdeva  nella  soavità  d' un  pensiero  che  le  tornava  ogni 
momento,  guardando  Lucia:  —  a  questa  fo  del  bene. — Ed  era  vero; 
perchè,  oltre  il  rìcovero,  que'  discorsi,  quelle  carezze  famigliari  erano 
di  non  poco  conforto  a  Lucia.  Un  altro  ne  trovava  nel  lavorar  di 
continuo;  e  pregava  sempre  die  le  dessero  qualcosa  da  fare:  anche 
nel  parlatorio,  portava  sempre  qualche  lavoro  da  tener  le  mani  in 
esercizio  :  ma,  come  i  pensieri  dolorosi  si  caccian  per  tutto!  cucendo, 
cucendo, ch'era  un  mestiere  quasi  nuovo  per  lei,  le  veniva  ogni  poco 
in  mente  il  suo  aspo;  e  dietro  all'aspo,  quante  cose! 


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CAPITOLO  XVm.  IBI 

Il  secoado  giovedì,  tornò  quel  pesciaiolo  o  un  allro  messo,  co' sa- 
luti dd  padre  Cristoforo,  e  con  la  conferma  della  fuga  felice  di  Renzo. 
Notizie  più  positive  intorno  a' suoi  guai,  nessuna;  perchè,  come  ab- 
biam  detto  al  lettore,  il  cappuccino  aveva  sperato  d'averìe  dal  suo 
confratello  di  Milano,  a  cui  l'aveva  raccomandalo;  e  questo  rispose  di 
utHi  aver  veduto  né  la  persona,  né  la  lettera;  che  uno  di  campagna 
era  bensì  venuto  al  convento,  a  cercar  di  lui;  ma  die,  non  avendocelo* 
trovato,  era  andato  via,  e  non  'era  più  comparso. 

Il  terzo  giovedì,  non  si  vide  nessuno;  e,  per  le  povere  donne,  fu 
non  s<^o  una  privazione  d'un  conforto  desideralo  e  sperato,  ma,  come 
accade  per  ogni  piccola  cosa  a  chi  è  afllitto  e  impiccialo,  una  cagione 
d'inquietudine,  di  cento  sospetti  molesti.  Già  prima  d'allora,  Agnese 
aveva  pensalo  a  fare  una  scappala  a  casa;  questa  novità  di  non  ve- 
dere l'ambasciatore  promesso,  la  fece  risolvere.  Per  Lucia  era  una 
becenda  seria  il  rimanere  dislaccata  dalla  gonnella  della  madre  ;  ma 
la  smania  di  saper  qualche  cosa,  e  la  sicurezza  che  trovava  in  quel- 
l'asilo cosi  guardalo  e  sacro,  vinsero  le  sue  ripugnanze.  E  fu  deciso 
tra  loro  che  Agnese  aoderebbe  il  giorno  seguente  ad  aspettar  sulla 
strada  il  pesciaiolo  che  doveva  passar  di  li,  tornando  da  Milano;  e  gli 
diiederebbe  in  cortesia  un  posto  sul  baroccio ,  per  farsi  condurre  a' 
suoi  monti.  Lo  trovò  in  fatti ,  gli  domandò  se  il  padre  Crisloforo  non 
gli  aveva  data  qualche  commissione  per  lei  :  il  pesciaiolo,  tulio  il  giorno 
avanti  la  sua  partenza  era  stato  a  pescare,  e  non  aveva  saputo  niente 
dd  padre.  La  donna  non  ebbe  bisogno  di  pregare,  per  ottenere  il 
piacere  che  desiderava:  prese  congedo  dalla  signora  e  dalla  figlia,  non 
senza  lacrime,  promettendo  di  mandar  subilo  le  sue  nuove,  e  di  tor- 
nar presto;  e  parli. 

Nel  viaggio,  non  accadde  nulla  di  particolare.  Riposarono  parie  della 
notte  in  un'osterìa,  secondo  il  solito;  riparlirono  innanzi  giorno;  e 
arrivaron  di  buon'ora  a  Pescarenico.  Agnese  smontò  sulla  piazzetta 
dd  convento ,  lasciò  andare  il  suo  conduttore  con  molli  :  Dio  ve  ne 
renda  merito;  e  giacché  era  li,  volle ,  prìma  d'andare  a  casa,  vedere 
il  suo  buon  frate  benefattore.  Sonò  il  campandlo;  chi  venne  a  aprire, 
fu  fra  Gfddino,  quel  delle  noci. 

«  Oh!  la  mia  donna,  che  vento  v'ha  portata?  » 

<•  Vengo  a  cercare  il  padre  Cristoforo.» 

"  D  padre  Cristoforo?  Non  c'è.  i 

"  Oh!  stari  mollo  a  tornare?  » 


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SS9  I  Pitaiitssi  SPOSI. 

u  Ma ....  ?  n  disse  il  frate,  alzando  le  spalle,  k  i-itiraiido  nel  cap- 
puccio la  ledila  rasa. 

X  Dov'è  andalo?  " 

u  A  Rimitii.  <i 

-  A?" 

u  A  Riniini.  » 

u  Dov'  è  questo  paese  ?  » 

"  Eh  eb  ehi  «  rispose  il  frate,  U-ificiaiido  verliealmeiilc  l'una  cu» 
la  mano  distesa,  })er  significare  una  gran  distanza. 


u  Oh  |H)vera  me!  Ma  |>erchG  è  andato  via  cosi  all'improvviso?  ■ 

"  Perchè  ha  voluto  così  il  padre  provinciale,  n 

»  E  perchè  mandarlo  via?chc  faceva  lanlo  bene  qui?  Oh  Signore!» 

.-  Se  i  superiori  do\ess«ro  i-cnder  conio  degli  ordini  che  danno, 
do\e  sarebbe  l'ubbidienza,  la  mia  donna?  n 

"  Si;  ma  questa  è  la  mia  rovina.  »> 

»  Sapete  cosa  sarà?  Sarà  che  a  Riminì  avranno  avuto  bisogno  d'un 
buon  predicatore;  (ce  n'  abbiamo  |>cr  tuUo  ;  ma  alle  volte  ci  vuol 


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CAPITOLO  XVIII.  5US 

queir  uomo  fatto  apposta  )  il  padre  provinciale  di  Ik  avrà  scrìtto  al 
padre  provineiaie  di  qui ,  se  aveva  un  stretto  così  e  cosi  ;  e  il  pa- 
dre provinciale  avrà  detto:  qui  ci  vuole  il  padre  Cristoforo.  Dev'es- 
ser proprio  cosi ,  vedete,  n 

«  Ob  poveri  noi!  Quand'è  partito?  » 

«  Jerìaltro.  " 

u  Ecco!  s'io  davo  retta  alta  mia  ispirazione  dì  venir  via  qualche 
giorno  prìma!  E  non  si  sa  quando  possa  tornare?  cosi  a  uii  di  presso? 

«  Eb  la  mia  donna!  lo  sa  il  padre  provinciale;  se  lo  sa  anclie  lui. 
Quando  un  nostro  padre  predicatore  ha  preso  il  >'olo ,  non  si  può  pre- 
vedere su  che  ramo  potrà  andarsi  a  posare.  Li  cercan  di  qua,  li  cer- 
can  di  là:  e  abbiamo  conventi  in  tutte  le  quattro  parti  del  mondo. 
Supponete  che, 'a  Rimini,  il  padre  Grìstoforo  faccia  un  gran  fracasso 
co)  suo  quaresimale  :  perchè  non  predica  sempre  a  braccio ,  come 
faceva  qui,  per  i  pescatori  e  i  conladini:  per  ì  pulpiti  delle  città,. ha 
le  sue  belle  prediche  scritte;  e  Ctor  di  roba.  Si  sparge  la  xùee,  da 
quelle  parti,  di  questo  gran  predicatore;  e  lo  possono  cercare  da . .  . 
da  che  so  io?  E  allora,  bisogna  mandarlo;  perchè  noi  viviamo,  della 
carità  di  tulio  il  mondo,  ed  è  giusto  cbe  serviamo  tutto  il  mondo,  n 

"  Ob  Signore!  Signore!  "  esclamò  di  nuovo  Agnese,  quasi  piangendo: 
"  come  devo  fare,  senza  quell'uomo?  Era  quello  che  ci  faceva  da  pa- 
dre! Per  noi  è  una  rovina.  » 

«  Sentite,.buonadonna;it  padre  Grieloforo  era  véramente  un  uomo; 
ma  ce  n'abbiamo  degli  altri,  sapete?  pieni  di  carità  e  di  talento,  e  che 
sanno  trattare  ugualmente  co'  signori  e  co'  poveri.  Volete  il  padre 
Atanasio?  volete  il  padre  Girolamo?  volete  il  padre  Zaccaria?  É  un 
uomo  di  vaglia,  vedete,  il  padre  Zaccaria.  E  non  istate  a  badare,  come 
fanno  certi  ignoranti,  che  sia  cosi  mingherlino,  con  una  vocina  fessa, 
e  una  barbetta  misera  misera:  non  dico  per  predicare,  perchè  ognuno 
ha  ì  suoi  doni;  ma  per  dar  pareri,  é  un  uomo,  sapele?  n 

«  Oh  per  carità!  n  esclamò  Agnese,  con  quel  misto  di  gratitudine  e 
d'impazienza,  che  si  prova  a  un'  esibizione  in  cui  si  trovi  più  la  buona 
volontà  altrui,  che  la  propria  convenienza:  «  cosa  m'importa  a  me 
cbe  uomo  sia  o  non  sia  un  altro,  quando  quel  pover'  uomo  che  non 
c'è  più,  era  quello  die  sapeva  le  nostre  cose,  e  aveva  preparato  tutto 
per  aiutarci?  t> 

"  Allora,  Insogna  aver  pazienza,  n 

«  Questo  lo  so,  f^  rispose  Agnese:  «  scusale  dell'incomodo,  n 


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SH<  I  pROJiessi  SPOSI. 

u  Di  che  cosa,  la  mia  donna?  mi  dispiace  per  voi.  E  se  vi  risolvete 
di  cercar  qualdieduno  de'  nostri  padri,  il  convento  è  qui  che  non  sì 
move.  Ehi,  mi  lascerà  poi  veder  presto,  per  la  cerca  dell'olio.  >• 

■  State  bene,  »  disse  Agnese;  e  s'incamminò  verso  il  suo  paesello, 
desolata,  confusa,  sconcertata,  come  il  povero  cieco  die  avesse  per- 
duto il  suo  bastone. 


Un  (to'  niegilu  informati  che  fra  Caldino,  noi  possiamo  dire  come 
amlù  veramente  la  cosa.  .Attilio,  appena  arrivalo  a  Milano,  andò,  coinè  ~ 
aveva  promésso  a  dòn  Rodrigo,  a  far  visita  al  loro  comune  zio  del 
Coniglio  segréte.  (Era  una  consulta,  composta  allora  di  tredìd  perso- 
naggi di  Ioga  e  di  spada,  da  cui  il  governatore  prendeva  parere,  e 
ebe,  morendo  uiio  di  questi,  o  venendo  mutato,  assumeva  tcsnpora- 
riamente  il  governo.)  Il  conte  zio,  togato,  e  uno  degli  anziani  del  con- 
siglio, vi  godeva  un  cerio  credilo;  ma  nel  farlo  valere,  e  nel  fiarlo 
rendere  coit  gli  altri ,  non  e'  era  il  suo  compagno.  Un  pariare  ambi- 
guo, tm  lacere  significativo,  un  restare  a  mezzo,  uno  stringer  d'oc- 
chi  che  esprimeva:  non  posso  p»-lare; un  lusingare  senza  promettere, 
un  minacciare  in  cerimonia;  tutto  era  diretto  a  quel  fine;  e  tutto,  o 
più  o  meno,  tornava  in  prò.  A  segno  che  (ino  a  un:  io  non  posso 
niente  in  questo  affare:  detto  talvolta  per  la  pura  verità,  ma  detto  in 
modo  che  non  gli  era  creduto,  serviva  ad  accrescere  il  concetto,  e 
quindi  la  realtà  del  suo  potere:  oome  quelle  scatole  che  si  vedono  an- 
cora in  qualche  bottega  di  speziale ,  con  su  certe  parole  arabe,  e  den- 


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CAPITOLO  XVIir.  Sun 

Irò  non  c'è  nulla;  ma  servono  a  manleoere  il  credito  alla  bottega. 
Quello  del  conte  zio,  che,  da  gran  tempo,  era  sempre  andato  crescendo 
a  lenlissimì  gradi,  ullimamenle  aveva  fatto  in  una  volta  un  passo, 
tome  si  dice,  di  gigante,  per  un'occasione  straordinaria,  un  viaggio 
a  Madrid,  con  una  missione  alla  corte  ;  dove,  che  accoglienza  gli  fosse 
ralla,  bisognava  sentirìo  raccontar  da  lui.  Per  non  dir  altro,  il  conte 
duca  l'aveva  trattato  con  una  degnazione  particolare,  e  ammesso  alla 
sua  confideoza,  a  segno  d'avergli  una  volta  domandalo,  in  presenza, 
si  può  dire,  di  mezza  la  corte,  come  gli  piacesse  Madrid,  e  d'avergli 
un'  altra  ^olta  detto  a  quatl/  occhi ,  nel  vano  d'  una  finestra ,  che  il 
duomo  di  Milano  era  il  tempio  più  grande  rlie  fosse  negli  stali  del  re, 


Falli  i  suoi  complimcDli  al  conte  zio,  e  presenlaligli  quelli  del  cugi- 
no, Attilio,  con-  un  suo  contegno  serio,  che  sapeva  prendere  a  tempo, 
disse:  H  credo  di  fare  il  mio  dovere,  senza  mancare  alla  confidenza 
di  Rodrigo,'  avvertendo  il  signore  zio  d'  un  affare  che,  se  lei  non  ci 
incile  una  mano,  può  diventar  serio,  e  portar  delle  conseguenze ..." 


Digitizf^riiiyGoOgle' 


ssa  I  PROMESSI  SPOSI 

u  Qualcheduna  delle  sue,  in' immagino.  » 

u  Per  giustizia,  devo  dire  che  il  torto  non  è  dalla  parte  dì  mio  cu- 
gino. Ma  è  riscaldato;  e,  come  dico,  non  c'è  che  il  signore  zio,  che 
possa  .    .    '• 

u  Vediamo,  vediamo.  » 

u  C'è  da  quelle  parli  un  frate  cappuccino  che  l'ha  con  Rodrigo;  e 
la  cosa  è  arrivala  a  un  punto  che ....  « 

u  Quante  volle  v'ho  detto,  all'uno  e  all' altro,  che  i  frati  bisogna 
lasciarii  cuocere  nel  loro  brodo?  Basta  il  da  fare  che  danno  a  chi 
deve  ...  a.  chi  tocca  ...»  E  qui  sodio.  »  Ma  voi  altri  che  polcle  scan- 
sarli .  .  . .  n 


"  Signore  uo,  in  questo,  è  mio  dovere  di  dirle  che  Rodrigo  l'avrebbe 
scansato,  se  avesse  potuto.  È  il  frale  che  l'ha  con  lui,  che  ha  preso 
a  provocarlo  in  tutte  le  maniere  . .  . .  ^ 

«  Che  diavolo  ha  codesto  frate  con  mio  nipote?  « 


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CAPITOLO  XVIII.  sat 

«  Prima  di  tutto^  è  una  lesla  inquieta,  conosciuto  per  tale,  e  ehe 
fa  professione  di  prendersela  coi  cavaKerì.  Cosini  prolegge,  dirìge, 
che  so  io?  una  contadinotta  di  là;  e  ha  per  questa  creatura  una  ca- 
rità, una  carità non  dico  pelosa,  n>a  una  carità  molto  gelosa,  so- 
spettosa, permalosa,  n 

«  latendo,  »  <iisse  il  conte  zio;  e  sur  un  certo  fondo  di  gofTa^ne, 
dipintici  ÌD  viso  dalla  natura,  velaio  poi  e  ricoperto,  a  più  mani, 
dì  politica,  balenò  un  raggio  di  malizia,  che  vi  faceva  un  bellisùmo 
vedere. 


"  Ora,  da  qualche  tempo,  n  continuò  Attilio,  us'è  cacciato  in  te- 
sta questo  frate,  die  Rodrigo  avesse  non  so  die  disegni  sopra  questa...» 

«  8'ò  caecialo  in  testa,  s'è  cacciato  in  testa:  lo  conosco  anch'io  il 
signor  don  Rodrigo;  e  ci  vuol  altro  avvocalo  che  vossignoria,  per 
giustificarlo  in  queste  mat^ie.  " 

"  Signore  zio,  che  Rodrigo  possa  aver  fatto  qualche  scherzo  a  quella 
creatura,  incontrandola  per  la  strada,  non  sarei  lontano  dal  crederlo: 
è  giovine,  e  finalmente  non  è  cappuccino  ;  nia  queste  son  bazzeocJc 
da  non  trattenerne  il  signore  zio:  il  serio  è  che  il  frale  s'è  messo  a 
piHiar  di  Rodrigo  come  si  farebbe  d'un  mascalzone,  cerca  d'iùuai^i 
ewitro  tulio  il  paese ....  » 

o  E  gli  altri  frati?  » 


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sua  1  PROHCSBI  SPOSI 

«  Non  se  ne  impicciano,  perchè  lo  conoscono  per  una  lesta  calda, 
e  hanno  tulio  il  rispelto  per  Rodrigo;  ma,  dall'altra  |iarte ,  questo 
frate  ha  un  gran  credito  presso  i  villani,  perché  fa  poi  anche  il  san- 
to,  e  » 

u  M'immagino  che  non  sappia  che  Rodrigo  è  mio  nipote.  " 

e  Se  Io  sa  !  Anzi  questo  è  quel  che  g(j  mette  più  il  diavolo  ad- 
dosso. » 

u  Come?  come?  » 

«  Perché,  e  lo  va  dicendo- lui,  ci  trova  più  gusto  a  farla  vedere  a 
Rodrigo,  appunto  perchè  questo  ha  un  prolettor  naturale,  di  tanta 
autorità  come  vossignoria:  e  che  lui  se  la  ride  de'  grandi  e  de' politici, 
-  e  dte  il  cordone  di  san  Francesco  tien  legate  andie  le  spade,  e  che ...» 

u  Oli  frate  temerario  !  Come  si  chiama  costui  ?  » 

«  Fra  Cristoforo  da  *  *  *  n  disse  Attilio;  e  il  conte  zio,  preso  da 
una  cassetta  del  suo  tavolino,  un  librìccino  ài  memorie,  vi  scrisse,  s(rf- 
RandOj  soffiando,  quel  povero  nome.  Intanto  Attilio  s^uitava:  «  è 
sempre  stalo  di  quell'umore,  costui:  sì  sa  la  sua  vita.  Era  un  plebeo 
che,  trovandosi  aver  quattro  soldi,  voleva  competere  coi  cavalieri  del 
suo  paese;  e,  pò*  rabbia  di  non  poterla  vincer  con  lutti,  ne  ammazzò 
UDO  ;  onde ,  per  ìacansar  la  forca ,  si  fece  frate.  r> 

u  Ma  bravo!  ma  bene!  La  vedremo,  la  vedremo,"  diceva  il  conte 
no ,  s^:uitando  a  soffiare. 

«  Ora  poi,  1  continuava  Attilio,  «  è  più  arrabtnato  che  mai,  per- 
chè gli  è  andato  a  monte  un  disegno  che  gli  premeva  mdlo  molto:  e 
da  questo  il  signore  zio  capirai  che  uomo  sia.  Voleva  costui  maritare 
quella  sua  creatura:  fosse  per  levarla  dai  perìcoli  del  mondo,  lei  m'in- 
tende, 0  per  che  altro  si  fosse,  la  voleva  maritare  assolutamente  ;  e 

aveva  trovato  il l'uomo:  un'altra  sua  creatura,  un  soggetto,  che, 

forse  e  senta  forse,  andie  il  signore  zio  lo  conoscerà  di  nome;  perchè 
tengo  per  certo  che  il  Coniglio  segreto  avrà  dovuto  occuparsi  di  quel 
degno  soggetto.  " 

«  Chi  é  costui?  » 
'  u  Un  filatore  di  seta,  Lorenzo  Tramaglino,  quello  che ....  » 

"  Lorenzo  Tramaglinol»  esclamò  il  conte  zio.  «  Ma  bene!  ma  bravo, 
padre!  Sicuro  ....  in  falli . . . ,  aveva  una  lettera  per  un  ... .  Peccalo 
che-. ...  Ma  non  importa  ;  va  bene.  E  perchè  il  signor  don  Rodrigo 
non  mi  dice  nulla  di  tutto  questo?  perchè  lascia  andar  le  cose  tant'a- 
vanti,  e  non  si  rivolge  a  chi  lo  può  e  vuole  dirigere  e  sostenere?  » 


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CAPITOLO  XVIII.  SS» 

»  Dirò  il  vero  anche  io  questo,  »  |HX>seguiva  AlUlio.  «  Da  una 
parte,  sapendo  quante  brigbe ,  quante  cose  ha  per  la  testa  il  signore 
no ... .  »  (questo,  soffiando,  vi  mise  la  mano,  come  per  significare 
la  gran  fatica  ch'era  a  farcele  star  tutte)  «  s'è  fatto  scrupolo  di  darle 
una  briga  di  più.  E  poi,  dirò  tutto:  da  quello  che  ho  potuto  capire, 
è  cosi  irritalo,  così  fuor  de'  gangheri ,  cosi  stucco  delle  villanie  di 
qud  frate ,  che  ha  più  veglia  di  farsi  giustizia  da  sé ,  in  qualche  ma- 
niera sommaria ,  che  d'ottenerla  in  una  maniera  regcriare,  dalla  pru- 
denza e  dal  braccio  del  signore  zio.  Io  ho  cercato  di  smorzare;  ma  ve- 
dendo elle  la  rosa  andava  per  le  brutte ,  ho  credulo  che  fosse  mio 
dovere  d'avvertir  di  tutto  il  signore  zio,  che  alla  fine  è  il  capo  e  la 
colonna  della  casa  ....  » 

"  Avresti  fatto  meglio  a  parlare  un  poco  [«-ima.  » 

«  É  vero;  ma  io  andavo  sperando  che  la  cosa  svanirebbe  da  sé, 
o  che  il  fi^te  tornerebbe  (inaimente  in  cervello,  o  ctie  se  n'  anderebbe 
da  quel  convento,  come  accade  di  questi  frali,  che  ora  sono  qua,  ora 
sono  là  ;  e  allora  tutto  sarebbe  finito.  Ma » 

«  Ora  toccherà  a  me  a  raccomodarla.  » 

«  Cosi  ho  pensato  anch'io.  Ho  dello  Ira  me:  il  signore  zìo,  con  la 
sua  avvedutezza,  con  la  sua  autorità,  saprà  lui  prevenire  uno  Beando- 
lo, e  insieme  salvar  1'  onore  di  Rodrigo,  ebe  è  poi  anche  il  suo.  Que- 
sto frate,  dicevo  io,  l'ha  sempre  col  cordone  di  san  Francesco;  ma 
per  adoprario  a  proposilo,  il  cordone  di  san  Francesco,  non  è  neces- 
sario d'averlo  intorno  alla  pancia.  Il  signore  zio  ha  cento  mezzi  cli'io 
non  conosco:  so  cbe  il  padre  provinciale  ha,  com'è  giusto,  una  gran 
deferenza  per  la!  ;  e  se  il  signore  zio  crede  che  in  questo  caso  il  mi- 
glior ripiego  sia  di  far  cambiar  aria  al  frate,  lui  con  due  parole ...» 

«  Lasci  il  pensiero  a  chi  tocca,  vossignoria,  »  disse  un  po' ruvida- 
mente il  conte  zìo. 

H  Ah  è  vero!"  esclamò  Attilio,  con  una  tentennatina  di  testa,  e  con 
un  sogghigno  di  compassione  per  sé  stesso.  "  Son  io  l' ucmo  da  dar 
pareri  al  signore  uo!  Ma  é  la  passone  che  ho  delta  riputazione  del 
casato  ebe  mi  fa  parlare.  E  ho  anche  paura  d' aver  fatto  un  altro  male,  » 
soggiunse  con  un'aria  pensierosa:  «ho  paura  d'aver  fatto  Iorio  a  Ro- 
drigo nel  concetto  del  signore  zio.  Non  mi  darei  pace,  se  fossi  cagione 
di  forte  pensare  che  Rodrigo  non  abbia  tutta  quella  fede  in  lei ,  tutta 
quella  sommissione  che  deve  avere.  Creda,  signore  zio,  che  in  questo 
caso  è  proprio . . . .  n 


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I«0  1  PROMESSI  H>OSI 

"  Via,  via;  che  torlo,  che  kH-to  tra  voi  altri  due?  die  sarete  sem- 
pre amid,  Anche  l'uno  non  niella  giudizio.  Scapestrati,  scapestrali, 
che  sempre  ne  fole  una;  e  a  me  tocca  di  ratlopparìe  :  che . . . .  mì 
foreste  dire  uno  sproposito,  rai  date  più  da  penswe  v<m  altri  due, 
che,  n  e  qui  iinin^matevi  che  sofHo  mise ,  u  (ulti  questi  benedetti  af- 
fari  di  slato.  » 

AUiJio  fece  ancora  qualche  scusa ,  qualche  promessa,  qualche  com- 
plimento;  poi  si  licenziò,  e  se  n'andò,  acccunpagnato  da  un  «  e  ah- 
biamo  giudìzio,  »  ch'era  la  fomiola  di  commiato  del  conte  zio  per  i 
suoi  nipoti. 


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CAPITOLO  XIX. 


,  vedendo  in  un  campo  mal  coltivalo ,  un' 
erbaccia,  per  esempio  un  bei  lapazio,  vo- 
lesse proprio  sapere  se  sia  venuto  da  un 
seme  maturato  nel  campo  stesso ,  o  porta- 
tovi dal  vento,  0  lasciatovi  cader  da  unnc- 
cello,  per  quanto  ci  pensasse,  non  ne  ver- 
rebbe  mai  a  una  conclusione.  Cosi  anche 
noi  non  sapremmo  dire  se  dal  fondo  natu- 
rale del  suo  cervello ,  o  dall'  insinuazione 
d'Attilio ,  venisse  al  conte  zio  la  risoluzione 
di  servirsi  del  padre  provinciale  per  troncare  nella  miglior  maniera 
quel  nodo  imbrogliato.  Certo  è  che  Attilio  non   aveva  detta  a  caso 
quella  parola  ;  e  quantunque  dovesse  aspettarsi  cbe ,  a  un   sumeri- 
mento  cosi  scoperto,  la  boria  ombrosa  del  conte  zio  avrebbe  ricalci- 
Irato,  a  ogni  modo  volle  fargli  balenar  dìoaus  l'idea  di  quel  ripiego, 


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sei  I  PROUESSl  SPOSI 

c  metterlo  sulla  strada,  dove  desiderava  che  andasse.  Dall'altra  parte, 
il  ripiego  era  (almeiite  adallato  all'umore  del  conte  zio,  lalmente  in- 
dicalo dalle  circoslanzc,che,  senza  suggerimento  di  ehi  si  sia,  à  può 
scommettere  che  l' avrebbe  trovato  da  sé.  Si  trallava  che ,  in  una 
guerra  pur'  troppo  aperta,  uno  del  suo  nome,  un  sbo  nipote,  non  ri- 
manesse al  di  sotto:  punto  essenzialissiroo  alla  riputatone  del  potere 
che  gli  stava  tanto  a  cuore.  La  soddisfazione  che  il  nipote  poteva 
prendersi  da  sé,  sarebbe  stala  un  rimedio  peggior  del  male,  una 
sementa  di  guai  ;  e  bisognava  impedirla ,  ìn  qualouque  maniera , 
e  senza  perder  tempo.  Comandargli  che  partisse  in  quel  mooiento 
dalla  sua  villa;  già  non  avrebbe  ubbidito;  e  quand'anche  avesse,  era 
nn  cedere  il  campo ,  una  ritirata  della  casa  dinanzi  a  un  convento. 
Ordini ,  forza  legale,  spauracotii  di  lai  genere ,  non  valevano  contro 
un  avversario  di  quella  condizione:  il  clero  regolare  e  secolare  era 
affatto  immune  da  ogni  giurisdizione  laicale  ;  non  solo  le  persone,  ma 
i  luoghi  ancora  abitati  da  esso  :  come  deve  sapere  anche  chi  non 
avesse  letta  altra  storia  che  la  presente;  che  stareUw  fresco.  Tutto 
quel  che  si  poteva  contro  im  tale  avversario  era  cercar  d'  allonta- 
iiarlo,  e  il  mezzo  a  ciò  era  il  padre  provinciale,  in  arbitrio  del  quale 
en  Y  andare  e  Io  stare  di  qudlo. 

Ora,  Ira  il  padre  provinciale  e  il  conte  zio  passava  un'antica  etmo- 
scenza  :  s' eran  veduti  di  rado ,  ma  sempre  con  gran  dimostrazioni 
d'amicizia,  e  con  esibizioni  sperticate  di  servizi,  E  alle  volte,  è  meglio 
aver  che  fare  eoa  uno  che  sia  sopra  a  molti  individui,  che  con  un  solo 
di  questi,  il  quale  non  vede  che  la  sua  causa ,  non  senle  che  la  sua     I 
passione,  non  cura  che  il  suo  punto;  mentre  l'altro  vede  in  uà  Iratto     1 
cento  relazioni  j  cento  conseguenze ,  cento  interessi ,  cento  cose  da     i 
scansare,  cento  cose  da  salviu*e;  e  si  può  quindi  prendere  da  cento     > 
parti.  i 

'  Tutto  ben  ponderato,  il  conte  zio  invilo  un  gÌ(M-no  a  pranzo  il  pa-  ] 
dre  provinciale,  e  gli  fece  trovare  una  corona  di  commensali  assortili  | 
con  un  inleiidimenlo  sopraffino.  Qualche  parente  de' più  titolati,  di  | 
quelli  il  ieui  solo  e&sato  era  un  gran  titolo;  e  che,  col  solo  contegno,  \ 
con  una  certa  sicurezza  nati^'a ,  con  una  sprezzatura  signorile,  par-  { 
landò  di  cose  grandi  con  termini  famigliari,  riuscivano,  anche  senza  farlo  | 
apposta,  a  imprimere  e  rinfrescare,  ogni  momento,  l'idea  della  supe-  | 
riorità  e  della  potenza;  e  alcuni  clienti  legali  alla  casa  per  una  dipffl-  I 
densa  eredìlaria,  e  al  personaggio  per  una  servitù  di  tutta  la  vita;  i     I 


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CiU>1T0L0  XIX  MS 

qoalt,  cominciando  dalla  minestra  a  dir  di  si,  con  la  bocca,  con  gli  oc- 
chi, con  gli  orecchi,  con  tulla  la  tesla,  con  lutto  il  corpo,  con  littla 
l'anima,  alle  frutte  v'avevan  ridotto  un  uomo  a  non  ricordarsi  più 
coae  si  facesse  a  dir  di  no. 

A  tavola,  il  conte  padrone  fece  cader  ben  presto  il  discorso  sul 
tema  di  Madrid.  A  Roma  si  va  per  più  strade  ;  a  Madrid  egli  andana 
per  tutte.  Parìò  della  corte ,  del  eonte  duca ,  de'  ministri ,  della  fami- 
glia del  go\'ernatore ,  delle  eacce  del  loro,  clic  lui  poteva  descriver 
benissimo,  perchè  le  aveva  godute  da  un  posto  distinto,  dcH'Escuriale 
di  cui  poteva  render  conto  a  un  puntino,  perché  un  creato  del  conte  duca 
l'aveva  condotto  per  tulli  i  buclii.  Per  qualche  tempo,  lulla  la  compa- 
gnia stette,  oome  un  uditorio,  attenta  a  lui  solo,  poi  si  divise  in  col- 
loqui particolari;  e  lui  allora  continuò  a  raccontare  altre  di  quelle  belle 
cose,  come  in  confidenza,  al  padre  provinciale  die  gli  era  accanto, 


e  die  lo  lasciò  dire,  dire  e  dire.  Ma  a  un  cerio  punto,  diede  una  gi- 
ralina  al  discorso,  lo  slaccò  da  Madrid,  e  eh  corte  in  corte,  df  dignità 


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Se«  I  PROUESSI  SPOSI 

in  dignità,  lo  tirò  sul  cardine  Barberini,  di' era  cappuccino,  e  fratello 
del  papa  allora  sedente.  Urbano  VUI:  nìeale  meno.  Il  conte  zio  do- 
velle  anche  lui  lasciar  parlare  un  poco,  e  stare  a  sentire,  e  ricordar» 
che  finalmente,  in  questo  mondo,  non  c'era  soltanto  i  personaggi  che 
facevan  per  lui.  Poco  dopo  alzati  da  tavola,  pregò  il  padre  provinciale 
di  passar  con  lui  in  un'altra  stanza. 

Due  potestà,  due  canizie,  due  esperienze  consumate  si  trovavano 
a  fronte.  Il  magnifico  signore  fece  sedere  il  padre  molto  reverendo, 
sedette  andie  lui,  e  comindò:  »  stante  l'amicizia  che  passa  tra  di  noi, 
ho  creduto  di  for  parola  a  vostra  paternità  d'un  affare  di  comune  in- 
teresse, da  concluder  tra  di  noi,  senz'  andar  per  altre  strade,  die  po- 
trebbero ....  E  perciò,  alla  buona,  col  cuore  in  mano,  le  dirò  di  che 
si  tratta;  e  in  due  parole  son  certo  ette  anderemo  d'accado.  Mi  dica: 
nel  toro  convento  di  Pescarenico  (^  è  un  padre  Cristoforo  da  *  "?  n 

Il  provinciale  fece  cenno  di  si. 

«  Mi  dica  un  poco  vostra  paternità,  scliiettamcnte ,  da  buon  ami- 
co... .  questo  soggetto ....  questo  padre ....  Di  persona  io  non  lo 
conosco  ;  e  sì  che  de"  padri  cappuccini  ne  conosco  parecchi  :  uomini 
d'oro,  zelanti,  prudenti,  umili:  sono  stato  amico  dell'ordine  fin  da 

ragazzo....  Ma  intuitele  famiglie  un  po' numerose c'è  sempre 

qualche  individuo,  qualche  testa....  E  questo  padre  Cristoforo,  so  da 
certi  ragguagli  che  è  un  uomo....  un  po' amico  de'  contrasti ....  die 
non  ha  tutta  quella  prudenza,  tutti  que'  riguardi ....  Scommetterei 
che  ha  dovuto  dar  più  d'  una  volta  da  pensare  a  vostra  paternità.  » 

—  Ho  inteso;  è  un  impegno,  —  pensava  intanto  il  provinciale:  — 
Colpa  mia  ;  lo  sapevo  che  quel  benedetto  Cristoforo  era  un  soggetto 
da  farlo  girare  di  pulpito  in  pulpito,  e  non  lasciarlo  fermare  sei  mesi 
in  im  luogo,  specialmente  in  conventi  di  campagna.  — 

"  Oh!  n  disse  poi  :  u  mi  dispiace.davvero  di  sentire  che  vostra  ma- 
gnificenza abbia  in  un  tal  concetto  il  padre  Cristof<m);  m«ilre,  per 
quanto  ne  so  io,  è  un  religioso. . . .  esemplare  in  convento,  e  tenuto 
in  molta  stima  anche  di  fuori.  » 

«  Intendo  benissimo;  vostra  paternità  deve Però,  però,  da 

amico  sincero,  voglio  avvertirla  d'una  cosa  che  le  sarà  utile  di  sapere; 
e  se  anche  ne  fosse  già  informala,  posso,  senza  mancare  ai  miei  do- 
veri, metterle  sott'occhio  certe  conseguenze possibili:  non  dico  di 

più.  Questo  padre  Cristcrforo ,  sappiamo  che  proteggeva  un  uomo  di 
quelle,  parti,  un  uomo....  vostra  paternità  n'avrà  sentito  parlare;  quello 


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CAPITOLO  XIX,  IBa 

che,  con  tanlo  scandulo,  scappò  dalle  mani  deHa  giustizia,  dopo  aver 
fotto,  in  quella  terribile  giornata  di  san  Martino,  cose....  cose.... Lo- 
renzo Tramaglino!  » 

—  Ahi!  —  pensò  il  provinciale;  e  disse:  »  questa  drcosUifza  mi 
riesce  nuova;  ma  vostra  magnificenza  sa  bene  «he  una  parte  del  -no- 
stro ulizio  è  appunto  d'andare  in  cerca  de' traviali,  per  ridurli....» 

u  Va  bene;  ma  la  protezione  de'  traviati  d'una  certa  specie  ....  ! 
Son  cose  spinose ,  affari  delicati ....  »  E  qui ,  in  vece  di  gonflar  le 
gote  e  di  soQlare ,  strinse  le  labbra,  e  tirò  denlro  taat'aria  quanta 
oc  soleva  mandar  fuori,  soffiando.  E  riprese:  «  ho  creduto  bene  di 
dtrle  un  cenno  su  questa  circostanza ,  perchè  se  mai  sua  eccellenza .... 

Potrdibe  esser  fatto  qualche  passo  a  Roma ....  non  so  niente e 

da  Roma  venirie « 

B  Son  ben  tenuto  a  vostra  magni6cenza  di  codesto  avviso;  però 
son  cerio  che,  se  si  prenderanno  informazioni  su  questo  proposilo,  si 
troverà  che  il  padre  Cristoforo  non  avrà  avuto  che  fere  con  I'  uomo 
che  lei  dice,  se  non  a  fine  dì  mettergli  il  cervello  a  partito.  Il  padre 
Cristoforo,  lo  conosco.  » 

H  Già  lei  sa  meglio  di  me  che  soggetto  fosse  al  secolo,  le  cosette  che 
ba  fatte  in  gioventù.  » 

"  E  la  gloria  dell'abito  questa,  signor  conte,  che  un  uomo,  il  quale 
al  secolo  ha  potuto  far  dir  di  sé,  con  questo  indosso,  diventi  un  altro. 
E  da  che  il  padre  Cristoforo  porla  quest'abito    ..." 

«  Vorrei  crederlo  :  lo  dico  di  cuore:  vorrei  crederlo;  ma  alle  volte, 
come  dice  il  proverbio ....  l'abito  non  fa  il  monaco.  <• 

Il  proverbio  non  veniva  in  ti^^lio  esattamente;  ma  il  conte  l'aveva 
sostituito  in  fretta  a  un  altro  che  gli  era  venuto  sulla  punta  della 
lingua:. il  lupo  cambia  il  pelo,  ma  non  il  vìzio. 

«  Ilo  de'  riscontri,  »  continuava,  «  ho  de'  contrassegni " 

u  Se  lei  sa  positivamente,  »  disse  il  provinciale,  «  che  questo  re- 
ligioso abbia  emnmesso  qualche  errore  (  tutti  si  può  mancare  ),  avrò 
per  un  vero  favore  l'esserne  informato.  Son  superiore:  indegnamenle ; 
ma  lo  sono  appunto  per  correggere,  per  rimediare.  » 

u  Le  dirò:  insieme  con  questa  circostanza  di^iacevole  della  pro- 
texiooe  aperta  di  questo  padre  per  chi  le  ho  detto,  e'  è  un'altra  cosa 

disgustosa,  e  che  potrebbe Ma,  tra  di  noi,  aceomodereoH)  tutto  in 

una  volta.  C'è,  dico,  che  lo  stesso  padre  Cristoforo  ha  preso  a  cozzare 
coi^  mio.  nipote ,  don  Rodrigo  *  *  '.  •> 


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=en  I  PROMESSI  SPOSI 

"  Oti!  questo  mi  dispiace,  mi  dispiace,  mi  dispiace  davvero,  n 

u  Mio  nipote  è  giovine,  vivo,  sì  sente  quello  che  è,  non  è  avvezzo 
a  esser  provocato . . , .  " 

"  Sarà  mio  dovere  di  prender  buone  informazioni  d'un  Tatto  simile. 
Come  lio  già  detto  a  vostra  magnificenza,  e  parlo  con  un  signore  cbc 
non  tia  meno  giustizia  die  pratica  di  mondo,  lutti  siamo  di  carne, 
soggetti  a  sbagliare ....  tanto  da  una  parte,  quanto  dall'altra:  e  se  il 
padre  Gribtoforo  avrà  mancato  . . . .  n 

«  Veda  vostra  paternità;  son  eose,  come  io  le  dicevo,  da  finirsi  Ira 
di  noi,  da  seppellirsi  qui,  eose  die  a  rimestarle  troppo....  si  fa  peggio. 
Lei  sa  cosa  segue:  quest'urli,  queste  picche,  principiano  talvolta  da  una 
l)agatlella,  e  vanno  avanti,  vanno  avanti...'.  A  voler  trovarne  il  fondo, 
o  non  se  ne  viene  a  capo,  o  vengon  fuori  cent'  altri  imbrogli.  So- 
pire, troncare,  padre  molto  reverendo  :  troncare,  sopire.  Mio  nipote  e 


giovine;  il  religioso,  da  quel  die  senio,  ha  ancora  lutto  lo  spirilo, 
le....  inclinazioni  d'un  giovine;  e  tocca  a  noi,  che  aliamo  i  nostri 

anni . , .  pur  troppo  eh ,  padre  molto  reverendo? » 

Ctii  fosse  stato  lì  a  vedere ,  in  quel  punto ,  fu  come  quando ,  nel 
mezzo  d* un' opera  seria,  s'alza,  per  isbaglio,  uno  scenario,  prÌBia 


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CAPITOLO  XIX.  SOT 

del  tempo,  e  si  vede  un  canlaote  die,  non  pensando,  in  quel  mo- 
inrnlo,  ebe  ci  sia  un  pubblico  al  mondo,  discorre  alta  buona  con 
un  suo  compagno.  Il  viso,  l'atlo,  la  voce  del  conte  zio,  nel  dir  quel 
fmr  troppo!,  luUo  fu  naturale:  li  non  c'era  politica:  era  proprio  vero 
die  gji  dava  noia  d'avere  i  suoi  anni.  Non  già  che  piangesse  i  passa- 
(enapi,  il  brìo,  l'avvenenza  della  gioventù:  frivolezze,  sciocchezze, 
miserie!  La  cagion  del  suo  dispiacere  era  ben  più  soda  e  importante: 
era  che  sperava  un  certo  posto  più  alto,  quando  fosse  vacato;  e  te- 
meva di  non  arrivare  a  tempo.  Ottenuto  che  l'avesse,  si  poteva  esser 
certi  che  non  si  sarebbe  più  curalo  degli  anni,  non  avrebbe  deside- 
rato altro,  e  sarebbe  morto  contento,  come  lutti  quelli  die  desìde- 
ran  molto  una  cosa,  assicurano  di  voler  fare,  quando  siano  an'ivati 
a  oUaierla. 

Ma  per  lasciarlo  parlar  luì,  »  tocca  a  noi,  »  continuò,  «  a  aver  giudizio 
per  !  giovani,  e  a  rassettar  le  loro  malefatte.  Per  buona  sorte,  siamo 
ancora  a  tempo  ;  la  cosa  non  ha  fatto  chiasso  ;  è  ancora  il  caso  d'  un 
buon  principiit  obala.  Allontanare  il  fuoco  dalla  pa^ia.  Alle  volte  un 
so^ello  che,  in  un  lufygo,  non  fa  bene,  o  die  può  esser  causa  di  qual- 
che inconveniente  riesce  a  maraviglia  in  un  altro.  Vostra  paternità 
saprà  ben  trovare  la  nìcchia  conveniente  a  queste  religiosa  C'è  giusto 
anche  fàRra  drcostànza ,  che  possa  esser  cadute  in  sospetto  di  chi ... . 
polrdibe  desiderare  che  fosse  rimosso:  e,  collocandolo  in  qualche  posto 
un  po'Ionlanette,  facciamo  un  viaggio  e  due  servizi;  tiitto  s'accomoda 
da  sé,  o  per  dir  meglio,  non  c'è  nuUa  di  guasto.  » 

Questa  condusione,  il  padre  provinciale  se  l'aspettava  fino  dal  prìn- 
dpio  del  discorso-  —  Eh  già!  —  pensava  tra  sé:  —^  vedo  dove  vuoi 
andar  a  parare:  delle  solite;  quando  un  povero  fi^tèèprésp  a  noia  da 
voi  altri,  o  da  ano  di  voi  altri,  a  vi- dà  ombra,  sulnlo,  sènza  cercar 
se  abbia  (orto  o  ragione ,  il  superiore  deve  iarlo  sgomberare.  ^- 

E  quando  il  smte  ebbe  finito,  e  messo  un  lungo  soffia,  die  equi- 
valeva a  un  punto  fermo,  «  intendo  t>enissimo,  n  disse  il  [HMivindale, 
H  quel  che  il  signor  conte  vuol  dire;  ma  prima  di  fare  un  passo...» 

«  E  un  passo  e  non  è  un  passo,  padre  molto  reverendo:  è  una  cosa 
naturale,  una  cosa  ordinaria;  e  se  non  si  prende  questo  ripiego,  e  subito, 
prevedo  un  mmte  di  disordini,  un'  iliade  di  guai.  Uno  sproposito.... 

mio  nipote  non  crederd ci  son  io,  per  questo....  Ma,  al  punto  a 

cui  la  cosa  è  arrivata,  se  non  la  (ronchiamo  noi,  senza  perder  tempo, 
con  un  colpo  netto,  non  è  possibile  che  si  fermi,  che  resti  segreta 


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I  PROMESSI  SPOSI. 


c  allora  non  e  più  solamente  mio  nipote ....  Si  stuzzica  un  vespaio , 
padre  mollo  reverendo.  Lei  vede;  «amo  una  casa,  ablnaino  attinenze ..." 


u  Cospicue.  » 

u  Lei  m'intende:  tutta  gente  che  ha  sangue  nelle  vene,  e  dte,  a 
questo  mondo. ...  è  qualche  cosa.  C'entra  il  puntiglio;  diviene  un 
affare  comune;  e  allora....  anche  chi  è  amico  della  pace....  SareUx 
un  vero  crepacuore  per  me,  di  dovere....  di  trovarmi....  io  che  ho 
sempre  avuta  tanta  propensione  per  i  padri  cappuccini ....  !  Loro  pa- 
dri, per  far  del  bene,  come  fanno  con  tanta  edificazione  del  pubblico, 
hanno  bisogno  di  pace,  dì  non  aver  contese,  di  stare  in  buona  armo- 
nia con  chi ... .  E  poi ,  hanno  de*  parenti  al  secolo ....  e  questi  affa- 
raoci  di  puntiglio,  per  poco  che  vadano  in  lungo,  s'estendono,  si 
ramiflcano,  tiran  dentro....  mezzo  mondo.  Io  mi  trovo  in  questa  be- 
nedeUa  carica ,  che  m'  obbliga  a  sostenere  un  certo  decoro ....  Sua 

eccellenza....  i  mìei  signori  colleghi....  tutto  diviene  aftir  di  corpo 

tanto  più  con  quell'altra  circostanza ....  Lei  sa  come  vanno  queste 
cose,  f 

u  Veramente,  »  disse  il  padre  provinciale,  u  ìl  padre  Cristoforo  è 
predicatore;  e  avevo  già  qualche  pensiero....  Mi  si  richiede  appunto.... 
Ma  in  questo  momento,  in  tali  circostanze,  potrebbe  parere  una  pu- 
nizione; e  una  punizione  prima  d'aver  ben  messo  in  chiaro « 

<t  No  punizione,  no:  un  provvedimento  prudenziale,  un  ripief|;o 
di  comune  convenienza,  per  impedire  i  sinistri  che  polrcbtiero ....  mi 
sono  siaegato.  » 


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CAPITOLO  XIX.  san 

tt  Tra  il  signor  conte  e  ine,  la  cosa  rimane  in  questi  termini;  intendo. 
Ma ,  stando  il  fetto  come  fu  riferito  a  vostra  magnìRcenza ,  è  impossi- 
bile, mi  pare,  che  nel  paese  non  «a  traspiralo  qualcosa.  Per  tulio  e'  è 
degli  aizzatori,  de' mettimale,  o  almeno  de' curiosi  maligni  che,  se  pos- 
son  vedere  alle  prese  signoH  e  religiosi ,  ci  hanno  un  gusto  matto;  e 
Untano,  inter[H«tano,  ciarlano ....  Ognuno  ha  il  suo  decoro  da  con- 
servare; e  io  poi,  come  superiore  (indegno),  ho  un  dovere  espresso.... 
L'onor  dell'abito....  non  è  cosa  mia....  é  un  deposito  dei  quale.... 
Il  suo  signor  nipote,  giacché  è  così  alteralo,  come  dice  vostra  magni- 
licenza,  po^bbe  prender  la  cosa  come  una  soddisfazione  data  a  lui, 
e . . . .  noD  dico  vantarsene ,  trionfarne,  ma ....  » 

u  Le  pare,  padre  molto  reverendo?  Mio  nipote  è  ufi  cavaliere  che 
nel  mondo  è  consideralo....  secondo  il  suo  grado  e  ildovere;  ma  da- 
vanti a  me  è  un  ragazzo  ;  e  non  farà  né  più  né  meno  di  quello  che 
gli  prescriverò  io.  Le  dirò  di  più:  mio  nipote  non  ne  saprà  nulla.  Che 
bisogno  abbiamo  noi  di  render  conto  ?  Son  cose  die  facciamo  tra  di 
noi,  da  buoni  amici;  e  tra  di  noi  hanno  da  rimanere.  Non  si  dia  pen- 
siero dì  ciò.  Devo  essere  avvezzo  a  non  parlare,  n  E  soffiò.  «  In  quanto 
ai  cicaloni ,  »  riprese,  »  che  vuol  che  dicano?  Un  religioso  che  vada 
a  predicare  in  un  ^tro  paese,  è  cosa  cosi  ordinaria!  E  poi,  noi  che 
vediamo ....  noi  che  prevediamo  ....  noi  che  ci  too;a ....  non 
d<Abiamo  poi  curarci  delle  ciarìe.  » 

«  Però,  aOine  di  prevenirle,  sarebbe  bene  che,  in  quest'occasione, 
il  suo  signor  nipote  facesse  qualche  dimostrazione,  desse  qualche  se- 
gno palese  d'amicìzia,  di  riguardo....  non  per  noi,  ma  per  l'abito...  » 

"  Sicuro,  sicuro;  quest'è  giusto ....  Però  non  c'è  bisogno:  so  che 
i  cappueeini  son  sempre  accolti  come  si  deve  da  mio  nipote.  Lo  fa  per 
ioclinaùone:  é  un  genio  in  fomìglia:  e  poi  sa  di  far  cosa  graia  a  me. 
Del  resto,  in  questo  caso ....  qualcosa  di  straordinario ....  è  troppo 
giusto.  Lasci  fare  a  me,  padre  molto  reverendo;  che  comanderò  a  mio 
nipote....  Cioè  bisognerà  insinuargli  con  prudenza,  affinchè  non  s'av- 
veda di  quel  che  è  passalo  tra  di  noi.'  Perchè  non  voirei  alle  volle 
che  mettessimo  un  impiastro  dove  non  e'è  ferita.  E  per  quel  che  ab- 
biaoto  ctmcluso,  quanto  più  presto  sarà,  meglio.  £  se  si  trovasse  qual- 
che nicchia  un  po'lonlana....  per  levar  proprio  ogni  occasione....» 

u  Mi  vien  chiesto  per  1'  appunto  lin  predicatore  da  Rtminì  ;  e  for- 
s' anche,  senz'altro  motivo,  avrei  potuto  metter  gii  ocdii ....  » 

«  Mollo  a  proposito,  molto  a  proposilo.  E  quando ?  i 


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u  tìiaccbé  la  cosa  si  deve  lare,  si  tara  presto.  » 
'  H  Presto,  presto,  padre  molto  revereDdo:  meglio  oggi  che  domani. 
£ ,  n  continuava  poi,  aliandosi  da  sedere,  «  se  posso  qualche  eosa, 
tanto  io,  come  la  mia  bmiglja,  per  i  noslri  buoni  padri  cappuccini •> 

u  Conosciamo  per  prova  la  bontà  della  casa,  »  disse  il  padre  pro- 
vinciale ,  alzatosi  anclie  lui,  e  avviandosi  v^-so  1'  uscio,  dietro  al  suo 
vincitore. 

f  Abbiamo  spento  una  favilla,  n  disse  questo,  sorTermanilosi ,  ouiki 
favilla,  padre  molto  reverendo,  cbe  poteva  destare  un  grand'incendio. 
Tra  buoni  amici,  con  due  parole  s'accomodano  di  gran  cose.  » 

Arrivalo  all'  uscio,  lo  spalancò,  e  volle  assolutamente  che  il  padre 
provinciale  andasse  avanti:  entrarono  nell' altra  stanza,  e  si  riunirono 
al  resto  della  compagnia. 


1 
!   ! 


Un  grande  studio,  una  grand'' arte,  di  gran  parole,  metteva  quel  si- 
gnore nel  maneggio  d'un  affare  ;  ma  produceva  poi  anche  effetti  cor- 
rispondenti. Infatti,  col  colloquio  che  abbiam  riferito,  riuscì  a  far  an- 
dar fra  Cristoforo  a  piedi  da  Pescarenico  a  Rìmini,  che  è  una  bella 


Una  sera ,  arriva  a  Pescarenico  nn  cappuccino  di  Milano ,  con  un 
plico  per  il  padre  guardiano.  Ce  dentro  l'obbedienza  per  fra  Crislo- 
fOTo,  di  portarsi  a  Rimini,  dovfe  predicherà  la  quaresima.  La  lettera  al 
guardiano  porla  l' istruzione  d' insinuare  al  detto  frate  che  deponga 
ogni  pensiero  d'alTarì  che  potesse  avere  avviali  nel  paese  da  cui  deve 
partire,  e  che  non  vi  mantenga  corrispondenze:  il  frate  latore  dev'cs- 


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CAPITOLO  XIX.  STI 

sne  il  compagno  di  viaggio.  Il  guardiano  non  dice  nulla  la  sera;  la 
mattina,  fa  chiamar  fra  Cristoforo,  gli  fa  vedere  l'obbedienza,  gli  dice 
che  vada  a  prender  la  sporta,  il  bastone,  il  sudario  e  la  cintura,  e  con 
quel- padre  compagno  che  gli  presenta,  si  metta  poi  subito  in  viaggio. 
Se  fu  un  colpo  per  il  nostro  frale,  lo  lascio  pensare  a  voi.  Renzo, 
Lucia,  Agnese,  gli  vennero  subilo  in  mente;  e  esclamò,  per  dir  cqsì, 
dentro  di  sé:  —  oh  Dio!  cosa  faranno  que'  meschini,  quando  io  non 
sarò  più  qui!  —  Ma  alzò  gli  occhi  al  cielo,  e  s'accusò  d'aver  mancato 
di  fiducia,  d'essersi  credulo  necessario  a  qualche  cosa.  IMise  le  mani 
in  croce  sul  pello,  in  segno  d'ubbidienza,  e  chinò  la  testa  davanti  al 


padre  guardiano;  il  quale  lo  lirò  poi  in  disparte,  e  gli  diede  quell'ul- 
Iro  avviso,  con  parole  dt  consiglio,  e  con  significazione  di  precetto.  Fra 
Cristoforo  andò  alla  sua  cella,  prese  la  sporta,  vi  ripose  il  breviario, 
il  suo  quaresimale,  e  il  pane  del  perdono,  s'allacciò  la  tonaca  con  la 
sua  cintura  di  pelle,  si  licenziò  da'  suoi  confratelli  che  si  trovavano  in 
convento,  andò  da  ultimo  a  prender  la  benedizione  del  guardiano,  e 
col  compagno,  prese  la  strada  che  gli  era  stala  prescritta. 

Abbiamo  detto  che  don  Rodrigo,  intestalo  più  che  mai  dì  venire  a 
fine  della  sua  bella  impresa,  s'era  risoluto  di  cercare  il  soccorso  d'un 
terribile  uomo.  Di  costui  non  possiam  dare  né  il  nome,  né  il  cogno- 
me, né  un. titolo,  e  nemmeno  uqa  congettura  sopra  nulla  di  tutto  ciò: 


Diiìitizf^riiiyGoOgle 


cosa  tanto  più  strana,  die  del  personaggio  troviamo  memoria  in  [hù 
d'un  libro  (libri  stampali,  dico)  di  quel  tempo.  Che  il  personaggio  sia 
quel  medesimo,  l'identità  de' fatti  non  lascia  luogo  a  dubitarne;  ma 
per  lutto  un  grande  studio  a  scansarne  il  nome,  quasi  avesse  dovuto 
bruciar  la  penna,  la  mano  dello  scritlore.  Francesco  Rivofa,  nella  vita 
del  cardinal  Federigo  Borromeo,  dovendo  parlar  di  quell'uomo,  lo 
chiama  «  un  signore  altrettanto  potente  per  ricchezze,  quanto  nobile 
per  nascita ,  "  e  fermi  li.  Giuseppe  Ripamonti,  che,  nel  quinto  libro 
della  quinta  decade  della  sua  Storia  Pt^ria^  ne  fa  più  distesa  menzio- 
ne, lo  nmnina  uno,  costui,  ct^uì,  quest'uomo,  quel  personaggio.  «Ri- 
ferirò, »  dice,  nel  suo  bel  latino,  da  cui  traduciamo  come  ci  riesce, 
e  il  caso  d'  un  tale  che  essendo  de'  primi  tra  i  grandi  ddla  cillÀ, 
aveva  stabilita  la  sua  dimora  in  una  campagna,  situala  sul  confine;  e 
li,  assicurandosi  a  forza  di  delitti ,  teneva  per  niente  i  giudici,  i  giu- 
dici, ogni  magistratura,  la  sovranità;  menava  una  vita  affatto  indipen- 
dente; ricettatore  di  forusdti,  foruscito  un  tempo  anche  lui;  poi  tor- 
nalo, come  se  niente  fosse....»  Da  questo  scrittore  prenderemo  qual- 
che altro  passo,  che  ci  venga  in  taglio  per  confermare  e  per  dilucidare 
il  racconto  del  nostro  anonimo;  col  quale  tiriamo  avanti. 

Fare  ciò  ch'era  vietato  dalle  leggi ,  o  impedito  da  una  forza  qua- 
lunque; esser  arbitro,  padrone  negli  affari  altrui,  senz'altro  interesse 
die  il  gusto  di  comandare  ;  esser  temuto  da  tutti,  aver  la  mano  da  co- 
loro eh'  eran  soliti  averla  dagli  altri  ;  tali  erano  state  in  ogni  tempo 
le  passioni  principali  di  costui.  Fino  dall'adolescenza,  allo  spettacolo  e 
al  rumore  di  tante  prepotenze,  di  tante  gare,  alia  vista  di  tanti  tiranni, 
provava  un  misto  sentimento  di  sdegno  e  d'invidia  impaziente.  Gio- 
.vine,  e  vivendo  in  città,  non  tralasciava  occasione,  anzi  n'andava  in 
cerca,  d'aver  che  dire  co' più  famosi  di  quella  professione,  d'attraver- 
sarli, per  provarsi  con  loro,  e  farli  stare  a  dovere,  o  tirarli  a  cercare 
la  sua  amicizia.  Sup^ìore  di  ricchezze  e  di  seguito  alla  più  parte ,  e 
forse  a  tutti  d'ardire  e  di  costanza,  ne  ridusse  molti  a  ritrarsi  da  ogni 
rivalità,  molti  ne  conciò  male,  molti  n'eld>e  amia;  non  ^à  amia  del 
l>ari,  ma,  come  soltanto  potevan  piacere  a  lui,  amid  stdiordinati ,  che 
sì  riconoscessero  suoi  inferiori ,  che  gli  stessero  alla  sinistra.  Nel  feitto 
però,  veniva  anche  lui  a  essere  il  faccendiere ,  lo  strumento  di  tulli 
coloro  :  essi  non  mancavano  di  richiedere  ne'  loro  impegni  l'opa^  d'un 
tanto  ausiliario;  per  lui,  tirarsene  indietro  sareblie  stato  decadere  dalla 
sua  riputazione,  mancare  al  suo  ass|into.  Di  maniera  che.  per  conto 


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CAPITOLO  XIX.  S»S 

3U0,  e  per  conto  d'altri,  tante  ne  fece  che,  non  bastando  né  il  nome, 
né  il  parentado ,  uè  gii  amici ,  né  la  sua  audacia  a  sostenerlo  contro 
i  bandi  pubblici,  e  contro  tante  animosità  potenti,  dovette  dar  luogo, 
e  uscir  dallo  stato.  Credo  che  a  questa  circostanza  si  riferisca  un  tratto 
notabile  raccontato  dal  Ripamonti.  "  Una  volta  ette  costui  ebbe  asgom^ 
berare  il  paese,  la  segretezza  che  usò,  il  rispetto,  la  timidezza,  turon 
tali  :  attraverso  la  città  a  cavallo ,  con  un  seguito  di  cani ,  a  suon  di 
tromba;  e  passando  davanti  al  palazzo  di  corte,  lasciò  alla  guardia 
un'imbasciata  d'impertinenze  per  il  governatore.  » 


Nell'assenza,  non  ruppe  le  pratiche,  né  tralasciò  le  corrispondenze 
con  que'  suoi  tali  amid  ,  i  quali  rimasero  uniti  con  lui ,  per  tradurre 
letteralmente  dal  Ripamonti,  «  in  lega  occulta  di  consigli  atroci,  e  di 


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KTl  I  PROMESSI  SPOSI 

cose  funeste.  »  Pare  anzi  che  allora  contraesse  eon  più  alte  persooe, 
certe  nuove  terribili  pratiche,  ddle  quali  lo  storico  summenlovato 
|)arla  con  una  brevità  misteriosa.  :<  Anche  alcuni  prìncipi  esteri,  »  dice:, 
«  »  valsero  più  volte  dell'opera  sua,  per  qualche  importante  omiddio, 
e  spesso  gli  ebbero  a  mandar  da  lontano  rinforù  di  gente  che  ser* 
visse  sotto  i  suoi  ordini.  » 

Finalmente  (non  si  sa  dopo  quanto  tempo),  o  fosse  levato  il  bando, 
per  qualche  potente  iotereessione,  o  l'audacia  di  quell'uomo  gli  tenesse 
luogo  d' immunità,  si  rìsolvetle  di  tornare  a  casa,  e  vi  tornò  difetti; 
non  però  in  Milano,  ma  in  un  castello  confinante  col  territorio  b»^- 
maseo,  che  allora  era,  come  (^un  sa,  stato  veneto.  «  Quella  casa,  » 
cito  ancora  il  Ripamonti,  «era  come  un'officina  di  mandali  sanguino»: 
servitori,  la  cui  lesta  era  messa  a  taglia,  e  che  avevan  per  mestiere  di 
troncar  leale:  né  cuoco,  né  sguattero  dispensali  dall'omicidio:  le  mani 
de' ragazzi  insanguinate.  »  Oltre  questa  tiella  famiglia  domestica,  n'a- 
veva, come  afferma  lo  stesso  storico,  un'altra  di  soggetti  simili,  dispersi 
e  posti  come  a  quartiere  in  vari  luoghi  de'  due  stati  sul  lembo  de' 
quali  viveva,  e  pronti  sempre  a'  suoi  ordini. 

Tutti  i  tiranni,  per  im  bel  tratto  di  paese  all'intorno,  avevan  do- 
vuto, chi  in  un'occasione  e  chi  in  un'altra,  scegliere  tra  l'amicizia  e 
l'inimicizia  di  quel  tiranno  straordinario.  Ma  ai  primi  che  avevano  vo- 
luto provar  dì  resistergli,  la  gli  era  andata  così  male,  che  nessuno  sì 
sentiva  più  di  mettersi  a  quella  prova.  E  neppur  col  badare  a'  fatti 
suoi,  con  Io  stare  a  sé,  uno  non  poteva  rimanere  indì|>endenfe  da  lui. 
Capitava  un  suo  messo  a  intimargli  che  abbandonasse  la  tale  impresa, 
che  cessasse  di  molestare  il  tal  debitore ,  o  cose  simili  :  bisognava  ri- 
spondere  sì  o  do.  Quando  una  parte,  con  un  ornarlo  vassallesco,  era 
andata  a  rimettere  in  lui  un  affare  qualunque,  l'altra  parte  si  trovava 
a  quella  dura  scelta,  o  di  stare  alla  sua  sentenza,  o  di  dichiararsi  suo 
nemico;  il  che  equivaleva  a  esser,  come  si  diceva  :d(re  volte,  tisico 
in  terzo  grado.  Molli,  avendo  il  torto,  ricorrevano  a  lui  per  aver 
ragione  io  effetto  ;  molti  anche ,  avendo  ragione ,  per  preoccupare 
un  cosi  gran  patrocinio,  e  chiuderne  l'adito  Gl'avversario:  gli  uni  e 
gli  altri  divenivano  più  specialmente  suoi  dipendenti.  Accadde  qualebe 
volta  che  un  debole  oppresso,  vessalo  da  un  prepotente,  si  rivolse  a 
lui;  è  luì,  prendendo  le  parti  del  debole, forzò  il  prepotente  a  fùurla,a 
riparare  il  mal  fatto,  a  chiedere  scusa;  o,  se  stava  duro,  gli  mosse  tal 
guerra ,  da  costringerlo  a  sfrattar  dai  luoghi  che  aveva  timoneggiaii , 


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CAPITOLO  XtX,  UH 

0  gli  fece  anche  pagare  un  più  pronto  e  più  terrìbile  fio.  E  io  quei 
casi,  quel  nome  tanto  temuto  e  abborrito  era  slato  benedetto  un  mo- 
mento :  perchè ,  non  dirò  quella  giuatizìa ,  ma  quel  rimedio ,  quel 
compenso  qualunque,  non  si  sarebbe  potuto,  in  que'  tempi,  aspetlarlo 
da  nessun' altra  forza  né  privata,  né  pubblica.  Più  spesso,  anzi  per 
l'ordinario,  la  sua  era  slata  ed  era  ministra  di  voleri  iniqui,  di  sod- 
disfazioni atroci,  di  capricci  superbi.  Ma  gli  usi  così  diversi  di  quella 
Twza  producevan  sempre  l'effetto  medesimo,  d'imprimere  negli  animi 
una  grand'  idea  di  quanto  egli  potesse  volere  e  eseguire  in  onta  del- 
l'equiU  e  dell'iniquità ,  quelle  due  cose  clie  metton  tanti  ostacoli  alla 
volontà  degli  nomini,  e  li  [anno  così  spesso  tornare  indietro.  La  fama 
de'  tiranni  ordinari  rimaneva  per  lo  più  rislretla  in  quel  piccolo  tratto 
di  paese  dov'erano  i  più  riechi  ei  più  forti:  ogni  distretto  aveva  i  suoi; 
e  si  rassomigliavan  tanto,  che  non  c'era  ragione  che  la  gente  s'occu- 
passe di  quelli  ebe  non  aveva  a  ridosso.  Ma  la  fama  di  questo  nostro 
era  già  da  gran  tempo  diffusa  in  ogni  parte  del  milanese  :  per  tutto, 
la  sua  vita  era  un  soggetto  di  racconti  popolari;  e  il  suo  nome  sifpii- 
ficava  qualcosa  d' irresistibile,  di  slrdno,  di  favoloso.  I)  sospetto  che 
per  lutto  s'aveva  de' suoi  collegati  e  de' suoi  sicari,  contribuiva  an- 
ch' esso  a  tener  viva  per  tutto  ia  memoria  di  lui.  Non  eran  più  che 
sospetti;  giacché  chi  avrdtbe  confessata  apertamente  una  l^e  dipen- 
denza? ma  ogni  tiranno  poteva  essere  un  suo  c4^legato,  ogni  malan- 
drino,  uno  de' suoi;  e  l'incertezza  stessa  rendeva  più  vasta  l'opinione, 
e  più  cupo  il  lernM'e  della  cosa.  E  ogni  volta  che  in  qualche  parte  sì 
vedessero  comparire  figure  dì  bravi  sconosciute  e  più  brutte  dell'ordt- 
nario ,  a  ogni  fatto  enorme  dì  cui  non  si  sapesse  alla  prima  indicare 
o  indovinar  l'autore,  sì  proferiva,  si  mormorava  il  nome  di  colui  che 
noi,  grazie  a  quella  benedetta,  per  non  dir  altro,  circospezione  de' 
nostri  autori,  saremo  costretti  a  chiamare  l' innominato. 

Dal  castellaedo  di  costui  al  palazzotto  di  don  Rodrigo,  non  c'era  più 
di  sette  miglia:  e  quest'ultimo,  appena  divenuto  padrone  e  tiranno, 
aveva  dovuto  vedere  che,  a  cosi  poca  distanza  da  uiì  tal  personaggio, 
non  era  possibile  far  quel  mestiere  senza  venire  alle  prese,  o  andar 
d'accordo  con  lui.  Gli  s'era  perciò  offerto  e  gli  era  diveouto  amico, 
al  modo  di  lutti  gli  altri ,  s'intende;  gli  aveva  reso  più  d'un  servizio 
(  il  manoscritto  non  dice  di  più  );  e  n'  aveva  riportate  ogni  volta  pro- 
messe di  contraccambio  e  d'  aiuto ,  in  qualunque  occasione.  Metteva 
perù  molla  cura  a  nascondere  una  tale  amicizia ,  o  almeno  a  non 


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STO  I  pRouessi  SPOSI 

lasciare  sooni;ere  quanto  stretta,  e  di  che  natura  fosse.  Don  Rodrigo 
voleva  bensì  fare  il  tìnumo,  ma  non  ii  tiranno  salvatieo:  la  professione 
era  per  lui  un  mezzo,  non  uno  scopo:  voleva  dimorar  liberaawnte  Ìd 
città,  godere. i  comodi ,  gli  spassi,  gli  onori  della  vita  civile;  e  perciò 
bisognava  che  usasse  oertì  riguardi,  tenesse  di  conto  parenti,: coltivasse 
l'amicizia  di  persone  alte,  avesse  una  mano  sulle  bilance  della  giusti- 
zia, per  farle  a  un  bisogno  traboccare  dalla  sua  parte,  a  per  farle  spa- 
rire, o  per  darle  anche,  in  qualche  occasione,  sulla  lesta  di  qualche- 
duno  che  in  quel  modo  si  potesse  servir  più  facilmente  cbe  con  l' armi 
della  violenza  privata.  Ora,  l'intrinKchezza,  didam  meglio,  una  1^ 
con  un  uomo  di  quella  sorte,  con  un  aperto  nemico  della  forza  pub- 
blica ,  non  gli  avrebbe  certamente  fatto  buon  gioco  a  ciò,  specialraentc 
presso  il  conte  ào.  Però  quel  tanto  d' una  tale  amicizia  cbe  non  era 
possibile  di  nascondere,  poteva  passare  per  una  relazione  indispensa- 
bile con  un  uomo  la  cui  inimicizia  era  troppo  pericolosa;  e  cosi  rice- 
vere scusa  dalla  necessità;  giacché  clii  ha  1'  assunto  di  provvedere,  e 
non  n'  ha  la  volontà,  o  non  ne  trova  il  verso ,  alla  lunga  acconsente 
che  altri  provveda  da  sé,  fino  a  un  eerto  segno,  a'  casi  suoi;  e  se 
non  acconsente  espressamente ,  chiude  un  occhio. 

Una  mattina,  don  Rodrigo  uscì  a  cavallo,  in  treno  da  caccia,  con  una 
pìccola  scorta  di  bravi  a  piedi;  il  Griso  alla  staffa,  e  quattro  altri  in 
coda;  e  s'avviò  al  castello  dell'  innominalo. 


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CAPITOLO  \X. 


l  castello  dell'  in- 
ncuninaloeraaca- 
valiereaunavalk 
angusta  e  uggiosa, 
sulla  cima  d'  un 
poggio  cbe  spoi^e 
io  fuori  da  un'a- 
spra  giogaia    di 
monti,  ed  è,  non 
si  saprebbe  dirbc- 
ne,  se  congiunto 
.  _  ad  essa  o  separa- 
tone (fa  an  mucchio  di  massi  e  di  dirupi,  e  da  un  andirivieni  di  lane 
e  di  preci[HZÌ,  che  si:  prolungano  anche  dalte  due  parti.  Quella  che 
guftfda  la  valle  è  la  sola  praticabile;  un  pendio  piuttosto  n-to,  ma 
uguale  e  continualo;  a  prati  in  alto  ;  nelle  folde  a  campì ,  sparsi  qua 


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STB  I   rROUBSSI  BPSSI 

e  là  di  casucce.  D  fondo  é  un  lello  di  cioltolonì,  dove  scorre  un  riga- 
gnolo o  toirentaccio,  secondo  la  stagione;  allora  serviva  di  confine  ai 
due  stati.  I  gioghi  opposti,  che  formano,  per  dir  così ,  l'altra  parete 
della  valle,  hanno  anch'essi  un  po'  di  falda  coltivata;  il  resto  è  schegge 
e  macigni,  erte  ripide,  senza  strada  e  nude,  meno  qualche  cespuglio 
ne' fessi  e  sui  ciglioni. 

Dall'  alto  del  caslcllaccio,  come  l'aquila  dal  suo  nido  insanguinato, 
il  selvaggio  signore  dominava  all'intorno  tutto  lo  spazio  dove  piede 
d'uomo  potesse  posarsi,  e  non  vedeva  mai  nessuno  al  di  sopra  di  sé, 
uè  piò  in  allo.  Dando  un'occhiata  in  giro,  scorreva  tutto  quel  recinto, 
i  pendii,  il  fondo,  le  strade  praticate  là  dentro.  Quella  che,  a  gomiti  e 
a  giravolte,  saliva  al  terribile  domicilio,  si  spiegava  davanti  a  chi  guar- 
dasse di  lassù,  come  un  nastro  serpeggiante:  dalle  finestre,  dalle  feri- 
toie, poteva  il  signore  contare  a  suo  bell'agio  i  passi  di  chi  veniva,  e 
spianatali  l'arme  contro, cento  volle. E  anche  d'una  grossa  compagnia, 
avrebbe  potuto,  con  quella  guarnigione  di  bravi  che  teneia  lassù,  sten- 
derne sul  sentiero,  o  farne  ruzzolare  al  fondo  parecchi,  prima  che  uno 
arrivasse  a  toccar  la  cima.  Del  resto,  non  che  lassù,  ma  neppure  nella 
valle,  e  neppur  dì  passaggio ,  non  ardiva  metter  piede  nessuno  cbe 
non  fosse  ben  visto  dal  padrcme  del  castello.  U  birro  poi  che  vi  si  fosse 
lascialo  vedere,  sarebbe  stato  trattato  come  una  spia  nemica  cbe  venga 
colla  in  un  accampamento.  Si  raccontavano  le  storie  tn^^iche  degli  ul- 
timi f^  avevano  voluto  tentar  l'impresa;  ma  eran  già  storie  antiche; 
e  nessuno  de'  giovani  si  rammentava  d'aver  veduto  nella  valle  uno  di 
quella  razza,  né  vivo,  nk  morto. 

Tale  è  la  descrizione  che  l'anonimo  fa  del  luogo:  del  nome,  nulla; 
anzi,  per  non  metterci  sulla  strada  di  scoprirlo,  non  dice  niente  del 
viaggio  di  don  Rodrigo,  e  lo  porta  addirittura  nel  mezzo  della  valle, 
appiè  del  poggio,  all'imboccatura  dell'erto  e  tortuoso  sentiero.  Li  c'era 
una  (avema ,  cbe  si  sarebbe  anche  potuta  chiamare  un  corpo  di  guardia. 
Sur  una  vecchia  insegna  che  pendeva  sopra  l'uscio,  era  dipinto  da  tutt'e 
due  le  parli  un  sole  raggiante;  ma  la  voce  pubblica,  che  t^dvolla  ri- 
pete ì  nomi  come  le  vengono  insegnati,  talvolta  li  rifa  a  modo  suo, 
non  chiamava  quella  taverna  che  col  nome  della  Malanolte. 

Al  rumore  cTuna  cavalcatura  cbe  s'avvicinava,  comparve  sulla  so- 
glia on  ragazzaccio,  armato  come  un  Saracino;  e  data  un' occliiala, 
entra  ad  informare  Ire  sgherri,  cbe  stavan  giocando,  con  certe  carte 
sudioe  e  piegate  in  forma  di  teg(di.  Colui  die  pareva  t|  capo  s*  alzò , 


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CAPITOLO  XX 


^affacciò  idf  uscio,  e,  riconosciuto  un  amico  del  suo  padroue,  lo  sa- 
lutò rìspettosamente.  Don  Rodrigo,  resogli  con  molto    garbo  il  satulo. 


«lomandò  se  if  signore  si  trovasse  al  castello;  e  rispostogli  da  quel  capo- 
ralaccio  che  credeva  di  si,  smontò  da  cavallo,  e  buttò  la  l)riglia  al  Ti- 
radritto,  uno  del  suo  seguito.  Si  levò  lo  schioppo,  e  lo  consegnò  al 
Montanarolo,  cwne  per  isgravìirsi  d'un  peso  inutile,  e  salir  più  lesto; 
ma,  in  realtà,  perchè  sapeva  bene,  che  su  quell'erta  non  era  permesso 
d'andar  con  lo  schioppo.  Sì  cavò  poi  di  lasca  alcune  berìinghe,  e  le  diede 
al  Tanaboso ,  dicendogli  :  «  voi  altri  state  ad  aspettarmi  ;  e  intanto  sta- 
rete un  po'  allegri  con  questa  brava  gente.  »  Cavò  finalmente  alcuni 
seudi  d'uro,  e  li  mise  in  mano  al  captMralaccio,  assegnandone  metà  a 
lui,  e  metà  da  dividersi  tra  ì  suoi  u«Hnini.  Finalmente,  col  Griso,  che 
aveva  anche  lui  posato  lo  sdiioppo,  cominciò  a  piedi  la  salila.  Intanto 


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XSO  I  PROURBSI  SPOSI 

i  Ire  bravi  sopraddeltJ,  e  lo  Squinlemottocli'era' il  quurlo (oh!  vedete 
che  bei  nomi,  da  serbarceli  con  tanta  cura),  rimasero  eoi  tre  dell'in- 
nonunato,  e  con  quel  ragazzo  allevato  alle  forche ,  a  giocare ,  a  trin- 
care, e  a  raccontarsi  a  vicenda  le  loro  prodezze. 

Vd  altro  tu^vaceìo  dell' tnnomÌDato,  che  saliva,  raggiunse  poco  dopo 
don  Rodrigo  ;  lo  guardò.  Io  riconobbe,  e  s'accompagnò  ctm  Iqi  ;  e  gli 
risparmiò  cosi  la  noia  di  dire  il  suo  nome,  e  di  rendere  altro  conto 
di  sé  a  quant'allrì  avrebbe  incontrati,  che  non  lo  ccuoscessero.  Arri- 
vato al  castello,  e  introdotto  (lasciando  però  il  Griso  alla  porta),  fu  fatto 
passare  per  un  andirivieni  di  corridoi  bui,  e  per  \arìe  sale  tappezzate 
di  moschetti,  (^  sciabole  e  di  partigiane,  e  in  ognuna  delle  quali  c'era 
di  guardia  qualche  bravo;  e,  dopo  avere  alquanto  aspettalo,  fu  am- 
messo in  quella  dove  si  trovava  l' innominato. 

Questo  gli  andò  incontro,  rendendogli  il  saluto,  e  insieme  guardan- 
dogli le  mani  e  il  \'tso,  come  faceva  per  abitudine,  e  ormai  qua»  in- 
volontariamente, a  chiunque  venisse  da  lui,  per  quanto  fosse  de' più 
^'ccchi  e  provati  amici.  Era  grande,  bruno,  calvo;  bianchì  i  pochi  ca- 
pelli che  gli  rimanevano;  rugosa  la  faccia:  a  prima  vista,  gli  si  sa- 
rebbe dato  più  de'  sessanl'  anni  che  aveva;  ma  il  conlegno,  le  mosse, 
la  durezza  risentila  de'  lineamenti ,  il  lampeggiar  sinistro ,  ma  vivo 
degli  occhi ,  indicavano  una  forza  dì  corpo  e  d' animo ,  che  sarete 
stata  straordinaria  in  un  giovine. 

Don  Roilrigo  disse  che  veniva  per  consiglio  e  per  aiuto  ;  die ,  tro- 
vando» in  un  impegno  difllcìle ,  dal  quale  il  suo  on(M%  non  gli  per- 
metteva di  ritirarsi,  s'era  ricordato  delie  promesse  di  quell'uomo  die 
non  prwnetleva  mai  troppo ,  né  invano  ;  e  si  fece  ad  esporre  il  suo 
scellerato  imbroglio.  L' innominato  che  ne  sapeva  giè  qualcosa ,  ma 
in  confuso,  sielle  a  sentire  con  attouione,  e  come  curioso  di  si- 
mili storie ,  e  per  essere  in  questa  mischiato  un  nome  a  lui  noto  e 
odiosissimo,  quello  di  fra  Cristoforo,  nemico  aperto  de' tiranni,  e  in 
parole  e,  dove  poteva,  in  opere.  Don  Rodrigo,  sapendo  con  etti  par- 
lava, si  mise  poi  a  esagerare  le  difficoltà  dell'impresa;  la  distanza  del 
luogo,  un  monastero ,  la  signora  ! . . . .  A  questo,  l' innominato,  come 
se  un  demonio  nascosto  nd  suo  cuore  gliel  avesse  comandato,  inter- 
ruppe subitamente,  dicendo  che  pr^ideva  l' impresa  sopra  di  sé.  Prese 
l'appunto  del  ntune  della  nostra  povera  Lucia,  e  licenziò  don  Rodrigo, 
dicendo:  «  tra  poco  avrete  da  me  l'avviso  di  quel  die  dovrete  fare.» 

Se  il  lettore  si  ricorda  di  qudlo   sdagurato  Egidio    cbe  abitava 


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CAPITOLO  XX.  qSl 

acEtoto  al  mimastero  dove  la  povera  Lucia  stava  riceverata,  sappia  ora 
che  costui  era  uno  de'  più  atrelli  ed  iottmi  coll^hi  dì  scelleratezze 
die  avesse  rinnoininato:  perciò  questo  aveva  lasciata  correre  così  proD- 
tamente  e  risolutamrate  la  sua  parola.  Ma  appeoa  rimase  solo,  si  trovò, 
iuta  dirò  peotito,  ma  iDdispettito  d'averla  data.  Già  da  qualche  tempo 
Gooiineiava  a  provare ,  se  non  un  rimorso,  una  cert'  uggia  delle  sue 
sceUerateue.  Quelle  tante  di'  erano  ammontate,  se  non  sulla  sua  co- 
sciaua,  idmeno  nella  sua  memoria,  si  risvegliavaoo  ogni  volta  che  ne 
Gommettesse  una  di  nuovo,  e  si  presentavano  all'animo  brutte  e  trop- 
pe: era  CMue  il  crescere  e  crescere  d'un  peso  già  incomodo.  Una  certa 
ripugnanza  provala  ne' primi  delitti,  e  vinta  poi,  e  scomparsa  quasi 
afhtto,  tornava  ora  a  farsi  sentire.  Ma  in  que' primi  tempi,  l'immagine 
d'un  avvenire  lungo,  indeterminato,  il  sentimento  d'una  vìt^ità  vi- 
gaeosti,  riempivano  l'animo  d'una  fiduda  spensierata:  ora  ali'oi^Ktsto, 
i  pensieri  dell'avvenire  eran  quelli  che  rendevano  più  noioso  il  pas- 
sato. —  Invecchiare  !  morire  i  e  poi  ?  —  E ,  cosa  notabile  !  l' imma- 
gine ddta  morte ,  die,  in  un  pericolo  vicino,  a  fronte  d'  un  nemico, 
soleva  raddoppiar  gli  spiriti  di  quell'uomo,  e  infondergli  un'ira  piena 
di.  C(miggio,  quella  slessa  immagine,  apparendogli  nel  silenzio  della 
notte,  nella  sicurezza  del  suo  castello,  gli  metteva  addosso  una  coster- 
nazione repratina.  Non  era  la  morte  minacdata  da  un  avversario  mor- 
tale andie  lui;  non  si  poteva  rispingerla  con  armi  migliori,  e  con  un 
braccio  più  pronto;  veniva  sola,  nasceva  di  dentro;  era  forse  ancOT 
lontana,  ma  faceva  un  passo  ogni  momento;  e,  intanto  che  la  mente 
combatteva  dolorosamente  per  allontanarne  il  pensiero,  quella  s'avvi- 
dnava.  Ne'  primi  tempi ,  gli  esempi  cosi  frequenti ,  lo  spettacolo,  per 
dir  così,  continuo  della  violenza,  della  vendetta,  dell'omicidio,  ispi- 
randogli un'emulazione  feroce,  gli  avevano  anche  servito  come  d'una 
specie  d*  autorità  contro  la  coscienza  :  ora ,  gli  rinasceva  ogni  tanto 
neir  animo  l' idea  confusa  ,  ma  terrìbile ,  d'  un  giudizio  individuale , 
d'  una  ragione  indipendente  dall'  esempio  ;  ora  ,  1'  essere  uscito  dalla 
torba  volgare  de' malvagi,  l'essere  innanzi  a  tutli,  gli  dava  talvolta  il 
sentimento  d'  una  soliludine  tremenda.  Quel  Dio  di  cui  aveva  sentito 
parlare ,  ma  che ,  da  gran  tempo ,  non  si  curava  di  negare  né  di  ri- 
conoscere, occupato  soltanto  a  vivere  come  se  non  ci  fosse,  ora,  in 
certi  momenti  d'abbattimento  senza  motivo,  di  terrore  senza  pericolo, 
gli  pareva  sentirlo  gridar  dentro  di  sé  :  Io  sono  però.  Nel  primo  bol- 
lor  ddle  passioni ,  la  legge  che  aveva,  se  non  altro,  sentita  annmiziare 


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381  I  PR01IE8S1  spoei 

in  nome  di  Lui,  non  gli  era  parsa  die  odiosa:  ora,  quando  gli  tornava 
d'improvviso  alla  mente,  la  mente,  suo  malgrado,  la  concepiva  come 
una  cosa  che  ha  il  suo  adempimento.  Ma,  non  che  aprirsi  ohi  nessuno 
su  questa  sua  nuova  inquietudine ,  la  copriva  anzi  profondamente ,  e 
la  mascherava  con  l' apparenze  d'una  più  cupa  ferocia;  e  con  questo 
mezzo,  cercava  anche  di  nasconderla  a  sé  stesso,  o  di  sofTogarìa.  Invi- 
diando (giacché  non  poteva  annientarli  né  dimenticarìi)  que'  tempi  in 
cui  era  solito  commettere  l'iniquità  senza  rimorso,  senz'altro  pensiero 
che  della  riuscita,  faceva  i^i  sforzo  per  farli  tornare,  per  ritenere  o 
per  riafferrare  quell'antica  volontà,  pronta,  supert>a,  impertuiiula,  per 
convincer  sé  slesso  ch'era  ancor  quello. 

Cosi  in  quest'occasione,  aveva  subilo  impegnala  la  sua  parola  a 
don  Rodrigo,  per  chiudersi  l' adito  a  ogni  esitazione.  Ma  appena  par- 
tito costui,  sentendo  scemare  quella  fermezza  che  s'era  comandata  per 
promettere,  sentendo  a  poco  a  poco  venirsi  innanzi  nella  meote  pen- 
sieri che  lo  tentavano  di  mancare  a  quella  parola,  e  l'avrdibero  con- 
dotto a  scomparire  in  faccia  a  un  amico,  a  un  complice  secondario-; 
per  troncare  a  un  tratto  quel  conlraslo  penoso,  chiamò  il  Nibbio,  uno 
de' più  destri  e  ardili  ministri  delle  sue  enormità,  e  quello  di  cui  era 
solito  servirsi  per  la  corrbpondenza  con  Egidio.  E,  con  aria  rìsolnla, 
gli  comandò  che  montasse  subito  a  cavallo ,  andasse  diritto  a  Monza , 
informasse  Egidio  dell'impegno  contralto,  e  richiedesse  il  suo  aiuto 
per  adempirlo. 


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CAPITOLO  X\  S8S 

■  n  messo  ribaldo  tornò  più  presto  che  il  suo  padrone  con  se  l'aspet- 
tasse, con  la  risposta  d'Egidio:  che  l'imiM'esa  era  beile  e  sicura;  gli 
ri  man&sae  sabito  una  carrozza,  con  due  o  tre  bravi  ben  travisati;  e 
Ini  prradeva  la  cura  di  tutto  il  resto ,  e  guiderebbe  la  cosa.  A  que- 
sl' anDonzio ,  rinnomioato,  comunque  stesse  di  dentro,  diede  ordine 
in  fretta  al  NibUo  stesso,  che  disponesse  lutto  secondo  aveva  detto 
Egidio,  e  andasse  con  due  altri  che  gli  nominò,  alla  spedizione. 

Se  per  rendere  l' orrìbile  servizio  die  gli  era  slato  chiesto ,  Egidio 
avesse  dovuto  far  conto  de'  soli  suoi  mezzi  ordinari,  non  avrebbe  cer- 
tamente data  COH  subilo  una  promessa  così  decisa.  Ma,  in  quell'asilo 
stesso  dove  pareva  che  tutto  dovesse  essere  ostacolo,  l'atroce  giovine 
ave\'a  un  mezzo  noto  a  lui  solo;  e  ciò  che  per  gli  altri  sarebbe  stata 
la  maggiw  difHcoItà,  era  strumento  per  lui.  Noi  abbiamo  riferito  come 
la  sdagurata  signora  desse  una  volta  retta  alle  sue  parole;  e  il  lettore 
può  avere  inteso  che  quella  volta  non  fu  l'ullima,  non  fn  che  un  primo 
passo  in  una  strada  d'abbominazione  e  di  sangue.  Quella  stessa  voce, 
die  aveva  acquistato  forza  e,  direi  quasi,  autorità  dal  delitto,  le  im- 
pose ora  il  sagrìfìae  dell'innocente  che  aveva  in  custodia. 

La  proposta  riusci  spaventosa  a  Gertrude.  Perder  Lucia  per  un  caso 
ìmpreveduto,  senza  colpa,  le  sarebbe  parsa  una  sventura,  una  puni- 
zione amara:  e  le  veniva  comandalo  di  privarsene  con  una  scellerata 
p«^dia,  di  cambiare  in  un  nuovo  rimorso  un  mezzo  d'espiazione. 
La  sventurata  tentò  tutte  le  strade  per  esimersi  dall' orrìbile  comando; 
tutte,  fuorché  la  sola  ch'era  sicura,  e  che  le  stava  pur  sempre  aperta 
davanti.  It  delitto  è  un  padrone  rigido  e  inflessibile ,  contro  cui  non 
divien  forte  se  non  chi  se  ne  rìbella  interamente.  A  questo  Gertrude 
non  voleva  risolversi;  e  ubbidì. 

Era  il  giorno  stabilito;  l'ora  convenuta  s'avvicinava;  Gertrude, 
ritirata  con  Lucia  nel  suo  parlatorio  privato ,  le  (aceva  più  carezze 
dell'ordioarìo,  e  Lucia  le  riceveva  e  le  contraccambiava  eoo  tenerezza 
crescente:  come  la  pecora,  tremolando  sènza  timore  sotto  la  mano  del 
pastore  die  la  palpa  e  la  strascina  mollemente,- si  v<dta  a  leccar  quella 
mano;  e  non  sa  che,  fuori  della  stalla,  l'aspetta  il  macellaio,  a  cui  il 
pastore  l' lia  venduta  un  momento  prìma. 

«  Ho  bisogno  d' un  gran  servizio  ;  e  vcm  soia  potete  farmelo.  Ho 
tanta  gente  a' miei  comandi;  ma  di  cui  mi  lìdi,  nessuno.  Per  un  aOare 
di  grand* importanza ,  che  vi  dirò  poi,  lio bistro  di  parlar  subito  su- 
bito  con  quel  padre  guardiano  de'  cappuccini  die  v'  ha  oondotla  qui 


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I  PROMESSI  SPOSI 


da  me,  la  mia  povera  Lucia;  ma  è  anche  necessario  che  nessuno  sap-  - 
pia  die  riio  mandalo  a  chiamare  io.  Non  ho  che  voi  per  lar  segreta- 
mente quesl'  imbasdala.  » 


Luda  fu  atterrila  d'una  tale  richiesta;  e  con  quella  sua  suggetionc, 
ma  senza  nascondere  una  gran  maraviglia,  addusse  subito,  per  disini' 
panarsene,  le  ragioni  che  la  signora  doveva  intendere,  che  avrebbe 
dovute  prevedere;  senza  la  madre,  senza  nessuno,  per  una  strada  so- 
litaria, in  un  paese  sconosciuto  —  Ma  Gertrude,  ammaestrala  a  una 
scota  infernale,  mostro-tanta  maraviglia  anche  Ivi,  e  tanto  dispiacere 
di  trovare  una  lai  ritrosia  nella  persona  di  cui  credeva  poter  far  più 
conto,  figurò  di  trovar  così  vane  quelle  scuse!  di  giorno  chiaro,  quat- 
tro passi,  una  strada  che  Lucia  aveva  fatta  pochi  giorni  prima ,  e  che, 
quand'anche  non  l'avesse  mai  veduta,  a  insegnargliela,  non  la  poteva 
slK^iare! ....  Tanto  ^sse,  die  la  poverina,  commossa  e  punta  a  un 
tempo,  si  lasciò  sfuggir  di  bocca;  «  e  bene;  cosa  devo  fare?  " 


Digitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  XX.  S8II 

«  Andate  al  conveiilo  de' cappuccini  :  »  e  le  descrisse  la  strada  di 
nuovo:  "  fate  chiamare  il  padre  guardiano,  ditegli,  da  solo  a  solo, 
die  venga  da  me  sidjtto  subito  ;  ma  che  non  dica  a  nessuno  die  sod  io 
die  lo  mando  a  chiamare.  » 

u  Ma  cosa  dirò  alla  fattoressa,  che  non  m'  ha  mai  vista  uscire,  e 
mi  domanderà  dove  vo?  « 

"  Cercale  di  passare  senz'  esser  vista;  e  se  non  vi  riesce,  ditele 
die  andate  alla  chiesa  late,  dove  avete  promesso  di  fare  orazione.  » 

Nuova  difficoltà  per  la  povera  giovine:  dire  una  bugia;  ma  la  si- 
gnora «■  mostrò  di  nuovo  cosi  afflilta  delle  ripulse,  le  fece  parer  cosi 
brulla  cosa  l'anteporre  un  vano  scrupolo  alla  riconoscenza,  che  Lucia, 
sbalordita  più  cbe  convinta,  e  soprattutto  commossa  più  che  mai,  ri- 
spose: «  e  bene;  anderó.  Dìo  m'aiuli!  »  E  si  mosse. 

Quando  Gertrude ,  che  dalla  grata  la  segui\'a  con  l'occhio  fisso  e 
lorbido,  la  vide  metter  piede  sulla  soglia,  come  sopraffatta  da  un  sen- 
limento  irresistibile,  apri  la  bocca,  e  disse:  u  sentite,  Lucia!  » 

Questa  si  voltò ,  e  tornò  verso  la  grata.  Ma  già  un  altro  pensiero , 
un  pensiero  avvezzo  a  predominare,  aveva  vìnto  di  nuovo  nella  meiile 
sdagurata  di  Gertrude.  Facendo  le  ^iste  di  non  esser  contenla  dell'istru- 
zioni già  date,  spiegò  di  nuovo  a  Lucia  la  strada  che  do^'e^'a  tenere, 
e  la  licenziò  dicendo:  ufate  ogni  cosa  come  v'ho  detto,  e  tornale  pre- 
sto. »  Lucia  parti. 

Passò  inosservata  la  porta  del  chiostro,  prese  la  strada ,  con  gli  occhi 
bassi,  rasente  al  muro;  trovò,  con  l'indicazioni  avute  e  con  le  pro- 
prie rimembranze,  la  porla  del  borgo,  n'uscì,  andò  tutta  raccoUa  e 
un  po'  tremante ,  per  la  strada  maestra,  arrivò  in  pochi  momenli  a 
quella  che  conduceva  al  convento;  e  la  riconobbe.  Quella  strada  era, 
ed  è  tutt'ora,  afl'ondata,  a  guisa  d'un  Ietto  di  fiume,  tra  due  alle 
rive  orlate  di  macchie,  che  vi  forman  sopra  una  specie  di  volta.  Lucia, 
entrandovi,  e  vedendola  affatto  solitaria,  sentì  crescere  la  paura,  e  al- 
lungava il  passo;  ma  poco  dopo  si  rincorò  alquanto,  nel  vedere  una 
carrozza  da  viag^'o  ferma,  e  accanto  a  quella,  davanti  allo  sportello 
aperto,  due  viaggiatori  die  guardavano  in  qua  e  in  là,  come  in- 
certi della  strada.  Andando  avanti,  sentì  uno  di  que'  due,  che'  dice- 
va: «  ecco  una  buona  giovine  die  e'  insegnerà  la  strada.  »  Infatti, 
quando  fu  arrivata  alla  carrozza,  quel  medesimo,  con  un  fare  più  gen- 
tile die  non  fosse  l'aspetto,  si  voltò,  e  disse:  «  quella  giovine,  d  sa- 
preste insegnar  la  strada  di  Monza  ?  » 


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I  ritoiESSi  SPOSI. 


u  Andando  di  li,  vanno  a  rovescio,  »  rispondeva  la  poverina: 
u  Monza  è  di  (|ua.  ...»  e  sì  voltava,  per  accennar  col  dito;  quando 
l'altro  compagno  (era  il  Nibbio),  alTen-anctola  d'improvviso  per  la  vita, 
l'alza  da  lena.  Lucia  girò  la  testa  iniliciro  atterrita,  e  cacciò  un  urto; 


il  malandrino  la  mise  per  forza  nella  carrozza:  uno  cbe  slava  a  sedere 
davanti,  la  prese  e  la  cacciò,  per  quanto  Id  si  divincolasse  e  strìdesse, 
a  sedere  dirimpetto  a  sé:  un  altro,  metlendolc  un  fazzoletto  alla  bocca, 
le  chiuse  il  grido  in  gola.  In  tanto  il  Nitdiio  entrò  presto  presto  anche 
lui  nella  carrozzai  lo  sportello  si  chiuse,  e  la  carrozza  parli  di  carrÌCTa. 


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CAPITOLO  XX  307 

L'aHro  die  le  aveva  fatta  quella  domanda  traditora,  rimasto  nella  strada, 
diede  un'occhiaia  in  qua  e  in  là ,  per  veder  se  fosse  accorso  qùalche- 
duno  agli  urli  di  Lucia:  non  c'era  nessuno;  saltò  sur  una  riva,  attac- 
candosi a  un  albero  della  macchia,  e  disparve.  Era  costui  uno  sgherro 
d'Egidio;  era  slato,  facendo  l'indiano,  sulla  porta  del  suo  padrone, 
per  veder  quando  Lucìa  usciva  dal  monastero;  l'aveva  osservala  bene, 
per  poterla  riconoscere;  ed  era  corso  per  una  scorciatoia,  ad  aspettarla 
al  posto  convenuto. 

Chi  potrà  ora  descrivere  il  terrore,  l'angoscia  di  costei,  esprimere 
dò  che  passava  nel  suo  animo?  Spalancava  gli  occhi  spaventati,  per 
ansietà  di  conoscere  la  sua  orrìbile  situazione,  e  li  richiudeva  subito, 
per  il  ribrezzo  e  per  il  terrore  di  que'  visacci  :  si  5torce^'a ,  ma  era 
tenuta  da  tutte  le  parli  :  raccoglieva  tutte  le  sue  forze ,  e  dava  delle 
stratte,  per  buttarsi  ^erso  lo  sportello;  ma  due  braccia  nerboruta  la 
tenevano  come  conficcala  nel  fóndo  della  carrozza;  quattro  altre  ma- 
nacce  ve  l'appuntellavano^  Ogiii  volta  che  aprisse  la  bocca  per  cacciare 
un  urlo,  il  fazzoletto  veniva  a  solTogargiielo  in  gola,  fntanto  tre  bocche 
d'inferuo,  con  la  voce  più  umana  che  sapessero  formare,  andavan  ri- 
petendo: "zitla,  zitta,  non  abbiate  paura ,  non  vogliamo  farvi  male,  n 
Dopo  qualche  momento  d'una  lolla  così  angosciosa,  parve  che  s'acquìe-  . 
tasse;  allentò  le  braccia,  lasciò  rader  la  testa  airindielroì  alzò  .a  stento 
le  palpebre,  tenendo  l'occhio  immobile;  e  quegli  orridi  visacci'  che  le 
slavàn  davanti  le  parvero  confoiidersi  e  òndéggìai'e  insioine  in  un  me- 
scuglio  mostruoso:  le  fuggì  il  colore  dal  viso';'  un  sudor  freddo  glielo 
coprì;  s'abbandonò,  e  svenne. 

»  Su,su,  coraggio,  »  diceva  il  Nibbio.^»  Ccraggio,  coraggio,  »  ripete- 
vau  gli  altri  due.  birboni ;.ma  lo  smarrimento  d'ogni  sènso  preservava 
in  quel  momento  Lucia  dal  sentire  i  conforti  di  quelle  orl'ibili' vóci.  . 

«  Diavolo!  par  morta,»  disse  uno  di  coloro:  «  se  fosse  moria  dav^'e^o?  » 

«  Oh  !  morta!  n  disse  l'altro  :  "  è  uno  di  quegli  svenimenti  die  ven- 
gono alle  donne.  Io  so  che,  quando  ho  voluto  mandare  all'altro  mondo 
qualcheduno,  uomo  o  donna  die  fosse ,  e'  è  voluto  altro,  n 

«  Via!  n  disse  il  Nibbio:  "  attenti  al  vostro  dovere,  e  non  andate 
a  cercar  altro.  Tirate  fuori  dalla  cassetla  i  tromboni,  e  lenetdi  pronti  ; 
che  in  questo Ixisco  dove  s'entra  ora,  c'è  sempre  de'birbonì  annidati. 
Non  cosi  in  mano,  diavolo!  riponeteli  dieiro  le  spalle,  lì  slesi:  non 
vedete  che  costei  è  un  puldn  bagnato  che  basisce  per  nulla?  Se  vede 
anni,  è  capace  di  morir  davvero.  E  quando  sarà  rinvenuta,  badate 


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san  I  PROMESSI  SPOSI. 

bene  di  non  Tarle  paura;  dod  la  toccate,  se  non  vi  fo  segno;  atenerìa 
basto  io.  E  zitti  :  lasciale  parlare  a  me.  n 

Intanto  la  carrozza,  andando  sempre  di  corsa,  s'era  inoltrata  nd  bosco. 

Dopo  qualche  tempo,  la  povera  Lucia  cominciò  a  risentirsi,  oome 
da  un  sonno  profondo  e  affannoso,  e  apri  gli  occhi.  Penò  alquanto  a 
distinguere  gli  spaventosi  oggetti  che  la  circondavano,  a  raccogliere  ! 
suoi  pensieri  :  alfine  comprese  di  nuovo  la  sua  terribile  sitaazwoe.  U 
primo  uso  che  fece  delle  poche  forze  ritornatele,  fu  dì  buttarsi  ancora 
verso  lo  sportello,  per  slanciarsi  fuori;  ma  fu  ritenuta,  e  non  potè  che 
vedere  un  momento  la  solitudine  selvaggia  del  luogo  per  cui  passava. 
Cacciò  di  nuovo  un  urlo;  ma  il  Nibbio,  alzando  la  manaccia  col  fazzo- 
letto, «  via,  »  le  disse,  più  dolcemente  che  potè;  «  stale  zitta,  dw 
sarà  meglio  per  voi:  non  vogliamo  farvi  male;  ma  se  nonistate  ziUa, 
vi  faremo  star  noi.  » 

«  Lasciatemi  andare!  Chi  siete  voi?  Dove  mi  conducete?  Perchè 
m'avete  presa?  Lasciatemi  andare,  lasciatemi  andare!  » 

u  Vi  dico  che  non  abbiate  paura  :  non  siete  una  bambina,  e  dovete 
capire  che  noi  non  vogliamo  farvi  male.  Non  vedete  che  avremmo  po- 
tuto ammazzarvi  cento  volte,  se  avessimo  cattive  intenzioni?  Dunque 
slate  quieta.  » 

t  No,  no,  lasciatemi  andare  per  la  mia  strada:  io  non  vi  conosco.  » 

«  Vi  conosciamo  noi.  » 

t  Oh  santissima  Vetrine!  come  mi  conoscele?  Lasciatemi  andare, 
per  carità.  Chi  siete  voi?  Perchè  m'avete  presa?  » 

«  Perchè  c'è  stato  comandato.  « 

u  Chi?  chi?  chi  ve  lo  può  aver  comandato?  » 

"  Zitta  !  »  disse  con  un  visaccio  severo  il  Nibbio  :  «  a  noi  mm  sì 
fa  di  -codeste  domande.  » 

Luda  tentò  un'altra  volta  di  buttarsi  d'improvviso  allo  sportello; 
ma  vedendo  ch'era  inutile,  ricorse  di  nuovo  alle  preghiere;  e  con  la  testa 
bassa,  con  le  gote  irrigate  di  lacrime,  con  la  voce  interrotta  dal  pianto, 
con  le  mani  giunte  dinanzi  die  labbra,  «  oh!  »  diceva:  «  per  l'amor 
di  Dio,  e  della  Vergine  santissima,  lasciatemi  andare!  Cosa  v'Ito  fatto 
di  male  io?  Sono  una  povera  creatura  die  non  v'ha  fallo  niente.  Quella 
die  m' avete  fatto  voi ,  ve  lo  perdono  di  cuore  ;  e  pregherò  Dio  per 
voi.  Se  avete  anche  voi  una  fìglia,  una  moglie,  una  madre,  pensate 
quello  che  patirebbero ,  se  fossero  in  questo  stato.  Ricordatevi  che  dd>< 
biamo  morir  tutti,  e  che  im  giorno  desidererete  die  Dio  vi  usi  mise- 


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CAPITOLO  XX.  3S« 

rieordia.  Lasdatom  andare,  lasciatemi  qui:  il  Signore  mi  farà  Iroyar 
la  mia  strada.  » 

«  Non  possiamo.  " 

«  Non  potete?  Oh  Signore!  perchè  non  potete?  Dove  votele  con- 
danni? Perdiè. . . .  ?» 

e  Non  possiamo:  è  inutile:  non  aU)iate  paura,  che  non  vogliamo 
farvi  male:  stale  quieta,  e  nessuno  vi  toccherà.  » 

Accorata,  affannata ,  atterrìla  sempre  più  nel  vedere  che  le  sue  pa- 
role non  facevano  nessun  colpo,  Lucia  si  rivolse  a  Colui  che  tiene  in 
mano  il  cuore  degli  uomini,  e  può,  quando  voglia,  intenerire  i  più  duri. 
Si  strìnse  il  più  che  potè,  nel  canto  della  carrozza,  mise  le  braccia  in 
croce  sid  petto,  e  pregò  qualche  tempo  con  la  mente;  poi,  tirala  fuorì 
la  corona,  cominciò  a  dire  il  rosario,  con  più  fede  e  con  più  affetto 
che  non  avesse  ancor  fatto  in  vita  sua.  Ogni  tanto,  sperando  d'avere 
impetrala  la  misericordia  die  implorava,  si  voltava  a  ripregar  coloro; 
ma  sempre  inutilmente.  Poi  ricadeva  ancora  senza  sentimenti,  poi  si 
riaveva  di  nuovo,  per  rivivere  a  nuove  angosce.  Ma  ormai  non  ci  regge 
il  cuore  a  descriverle  più  a  lungo:  una  pietà  troppo  dolorosa  ci  affretta 
al  termine  di  quel  via^o,  che  durò  più  di  quatlr'ore;  e  dopo  il  quale 
avremo  altre  ore  angosciose  da  passare.  Trasportiamoci  al  castello  dove 
fìofelice  era  aspettata. 

Era  aspettata  dall'innominato,  con  un'inquietudine,  con  una  ao- 
spension  d' animo  insolita.  Cosa  strana  !  quetl'  uomo  che ,  aveva  di- 
sposto a  sangue  freddo  di  tante  vite,  che  in  tanti  suoi  fatti  non  a^eva 
contalo  per  nulla  i  dolori  da  lui  cagionati ,  se  non  qualche  volta  per 
assaporare  in  essi  una  selvaggia  voluttà  di  vendetta,  ora,  nel  metter 
le  mani  addosso  a  quesla  sconosciuta,  a  quvsta  povera  contadina,  sen- 
tiva come  un  ribrezzo,  direi  quasi  un  terrore.  Da  un'alta  finestra  del 
suo  caslellaccio,  guardava  da  qualche  tempo  verso  uno  sbocco  della 
valle;  ed  ecco  puntar  la  carrozza,  e  venire  innanzi  lentamente:  per- 
chè quel  primo  andar  dì  carriera  aveva  consumata  la  foga ,  e  domate 
le  forze  de'  cavalli.  E  benché,  dal  punto  dove  stava  a  guardare,  la  non 
paresse  più  che  una  di  quelle  carrozzine  che  si  danno  per  balocco  ai 
fanciulli,  la  riconobbe  subito,  e  si  senti  il  cuore  batter  più  forte. 

—  Ci  sarà?  —  pensò  subilo;  e  continuava  tra  sé:  — che  noiamì 
dà  costei  !  Liberiamocene.  — 

E  videva  chiamare  uno  de'  suoi  sgherri ,  e  spedirlo  subito  incontro 
alla  carrozza,  a  ordinare  ti  Nibbio  che  voltasse,  e  conducesse  colei  al 


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I  PROMESSI  SPOSI 


palazzo  di  don  Rodrigo.  Ma  un  tto  imperioso  die  risonò  nella  sua  men- 
te, fece  svanire  quel  disegno.  Tormentato  però  dal  bisogno  di  dar  qual- 
che ordine,  riuscendogli  intollerabile  lo  slare  aspettando  oziosamente 
(piel)a  carrozza  che  veniva  avanti  passo  passo,  come  un  tradimento, 


che  so  io  ?  come  un  gastigo,  fece  chiamare  una  sua  vecchia  donna. 
Era  costei  nata  in  quello  stesso  caslcllo,  da  un  antico  custode  dì 
esso ,  e  aveva  passala  li  tutta  la  sua  vita.  Ciò  che  aveva  veduto  e 
sentito  (in  dalle  Tasce,  le  aveva  impresso  nella  mente  un  concetto  ma- 
gnifico e  terribile  del  potere  de' suoi  padroni;  e  la  massima  principale 
che  aveva  alUnla  dall'  istruzioni  e  dagli  esempi ,  era  che  bisognava 
ubbidirli  in  ogni  cosa,  perché  potevano  far  del  gran  male  e  del  gran 
bene.  L'idea  del  dovere,  deposta  come  un  germe  nel  cuore  di  tutti 
gli  uomini,  svolgendosi  nel  suo,  insieme  co'  sentimenti  d'un  rispello, 
d'un  terrore,  d'una  cupidigia  servile,  s'era  associata  e  adattala  a  quelli. 
Quando  l'innominato,  divenuto  padrone,  comiociòafar  queir usospa- 


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CAPITOLO  XX.  S9I 

tenlevole  della  sua  forza,  ooslei  ne  provò  da  principro  un  certo  ri- 
brezzo insieme,  e  un  senlimento  più  profondo  di  sommissioDe.  Col 
tempo,  s'era  avvezzala  a  ciò  che  aveva  tuUo  il  giorno  davanti  agli  oc- 
chi e  negli  orecchi:  la  volontà  potente  e  sfrenata  d'un  cosi  gran  si- 
gnore, era  per  lei  come  una  specie  di  giustizia  fatalo.  Ragazza  già  fatta, 
ave^a  sposato  un  servìlor  di  casa,  il  quale,  poco  dopo,  essendo  andato 
a  una  spedizione  rischiosa,  lasciò  l'ossa  sur  una  strada,  e  lei  vedova  nel 
castello.  La  vendetta  che  il  signore  ne  fece  subito,  le  diede  ima  conso- 
lazicne  feroce ,  e  le  accrebbe  1'  orgoglio  dì  trovarsi  sotto  una  tal  pro- 
tezione. D'allorainpoi,  non  mise  piede  fuor  del  castello,  che  molto  di 
rado;  e  a  poco  a  poco  non  le  rimase  del  vivere  umano  quasi  altre 
idee  salvo  quelle  che  ne  riceveva  in  quel  luogo.  Non  era  addetta  ad 
alcun  servizio  particolare,  ma,  in  quella  masnada  di  sgherri ,  ora  l'uno 
ora  l'altro,  le  davan  da  fare  ogni  poco;  ch'era  il  suo  rodimento.  Ora 
aveva  cenci  da  rattoppare,  ora  da  preparare  io  fretta  da  mangiare  a 
chi  tornasse  da  una  spedizione ,  ora  feriti  da  medicare.  I  comandi  poi 
di  coloro,  i  rimproveri,  i  ringraziamenti,  eran  eonditi  di  beffe  e  d'im- 
properi: vecchia,  era  il  suo  appellativo  usuale;  gli  aggiunti,  che  qual- 
cheduBo  sempre  ci  se  n'attaccava,  variavano  secondo  le  circostanze  e 
l'um(H%  dell'amico.  E  colei,  disturbata  nella  pigrizia,  e  provocata  nella 
stizza,  eh'eraoo  due  d^le  sue  passioni  predominanti,  contraccam- 
biava alle  volle  que*  complimenti  con  parole,  in  cui  Satana  avrebbe 
riconosciuto  più  del  suo  ingegno,  che  in  quelle  de'  provocatori. 

«  Tu  vedi  laggiù  quella  carrozza  !  n  le  disse  il  signore. 

1  La  vedo,  »  rispose  la  vecchia,  cacciando  avanti  il  mento  appim- 
)alo,  e  aguzzando  gli  occhi  infossati,  come  se  cercasse  di  spingerli  su 
gli  orli  dell'occhiaie. 

u  Fa  allestir  subilo  una  bussola,  entraci,  e  fatti  portare  alla  Mala- 
nolle.  Subilo  subito;  che  tu  ci  arrivi  prima  di  quella  carrozza:  già  la 
viene  avanti  col  passo  della  morie.  In  quella  carrozza  c'è...  d  dev'es- 
sere... una  giovine.  Se  c'è,  dì  al  Nibbio,  in  mio  nome,  che  la  metta 
nella  bussola,  e  lui  venga  su  subito  da  me.  Tu  starai  nella  bussola, 
con  quella...  giovine;  e  quando  sarete  quassù,  la  condurrai  nella  tua 
camera.  Se  li  domanda  dove  la  meni,  di  chi  è  il  castello,  guarda  di 
non » 

a  Oh!  "disse  la  vecchia. 

u  Ma,  "  continuò  l'innominato,  "  falle  coraggio,  n 

"  Cosa  le  devo  dire  ?  » 


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sn  I  HtoitEsei  SPOSI 

li  Cosa  le  devi  dire?  Falle  coraf^io,  ti  dico.  Tu  sei  venuta  a  co- 
désla  eia,  senza  sapere  comesi  fa  coraggio  a  una  creatura,  quando 
si  vuole!  Hai  tu  mai  sentilo  àRanno  di  cuore?  Hai  tu  raaiiavuto  pmva? 
Non  sai  le  parole  che  fanno  piacere  in  que'  momenli  ?  Dille  di  quelle 
parole  :  trovale,  alla  malora.  Va.  » 

E  parlila  che  fu,  sì  fermA  alquanto  alla  finestra,  con  gli  occhi  fissi 
a  quella  carrozza,  die  già  appariva  più  grande  di  molto;  poi  gli  alzò 
al  sole,  che  in  quel  momento  si  nascondeva  dietro  la  montagna;  poi 
guardò  le  nuvole  sparse  al  di  sopra,  che  di  brune  si  fecero ,  qua^  a 
un  tratto,  di  fuoco.  Si  ritirò,  chiuse  la  finestra,  e  si  mise  a  camini* 
nare  innanzi  e  indietro  per  la  stanza,  con  un  passo  di  viaggiatore 
frettoloso. 


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CAPrroLO  XXI. 


a  era  corsa  a 
e  a  comandare, 
itorìtà  di  quel 
;,  da  chiunque 
lunziatoinquel 
faceva  spicciar 
rcbè  a  neasu» 
'a  in  testa  che 
uno  tanto  ar- 
servìrsene  fal- 
Si  trovò  infatti 
alla  Malanolte  un  po'  prima  che  la  carrozza  ci  arrivasse;  e  vistala  ve- 
nire, uscì  di  bussola,  fece  segno  al  cocchiere  che  fermasse,  s'avvicinò 
allo  ^Mirtello*,  e  al  Nibbio,  che  mise  il  capo  fuori,    riferi  sottovoce  gli 
ordini  del  padrone. 


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S»l  1  PROMESSI  SPOSI 

Lucia,  al  fermarsi  della  carrozza,  si  scosse,  e  rinvenne  da  una  spe- 
cie di  letargo.  Si  senli  da  capo  rimescolare  il  sangue,  spalancò  la  bocca 
e  gli  occhi,  e  guardò.  Il  Nibbio  s'era  tiralo  intUetro;  e  la  vecchia,  ed 
mento  sullo  sportello,  guardando  Lucia,  diceva:  «venite,  la  mia  gio- 
vine; venite,  poverina;  venite  con  me,  cbe  ho  ordine  di  trattarvi  bene 
e  di  farvi  coraggio.  •> 

Al  suono  d'  una  voce  dì  donna,  la  poverina  provò  un  conforto,  un 
coraggio  momentaneo  ;  ma  ricadde  subito  in  uno  spavento  più  cupo. 
t  Chi  siete?  n  disse  con  voce  tremante,  fissando  lo  sguardo  attonito 
in  viso  alla  vecchia. 


"  Venite,  venite,  po\'erina,  «  andava  questa  ripetendo.  Il  NÌW*io  e 
gli  altri  due  ,  argomentando  dalle  parole  e  dalla  voce  co«  straordina- 
riamente raddolcita  di  colei,  quali  fossero  l'intenzioni  del  signore,  cer- 
cavano di  persuader  con  le  buone  l'oppressa  a  ubbidire.  Ma  lei  segui- 
tava a  guardar  fuori;  e  bcndiè  il  luogo  selvaggio  e  sconosciuto ,  e  la 
sicurezza    de'  suoi  guardiani  non  fé  lasciassero  concepire  speranza  di 


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CAPITOLO   XXI.  IM 

soccorso ,  apriva  non  ostante  la  bocca  per  gridare  ;  ma  vedendo  Ìl 
Nibbio  tu-  gli  occhiacci  del  fozzolelfo,  ritenne  il  grido,  Iremo,  si  stor- 
se, fu  presa  e  messa  nella  bussola.  Dopo,  c'entrò  la  vecchia;  il  Nibbio 
Asse  ai  due  altri  manigoldi  che  andassero  dietro,  e  prese  8|>edita- 
laente  la  salita ,  per  accorrere  ai  comandi  del  padrone. 

«  CU  siete?  1  domandava  con  ansietà  Lucia  al  ceffo  soonosdulo  e 
deforme:  ". perché  son  con  voi?  dove  sono?  dove  mì  eotiducele?  » 

•■  Da  chi  vuol  farvi  del  bene,  "  rispondeva  la  vecchia,  "  da  un 
gran  ....  Fortunati  quelli  a  cui  vuol  far  del  bene  1  Buon  per  voi,  buon 
per  voi.  Non  abbiate  paura,  slate  allegra,  ctiè  m' lia  comandato  di  forvi 
corallo.  Glielo  direte,  eh?  che  v'ho  Tatto  coraggio?  » 

B  Chi  e?  perehè?  che  vuol  da  me?  Io  non  son  sua.  Ditemi  dove 
sono;  lasciatemi  andare;  ^le  a  costoro  che  mi  lascino  andare,  che  mi 
portino  in  qualche  chiesa.  Oh!  voi  che  siete  una  donna,  in  nome  di 
Maria  Verone  ...!•• 

Quel  nome  santo  e  soave  ,  già  ripetuto  con  venerazione  ne'  priniT 
anni,  e  poi  non  più  invocato  per  tanto  tempo,  né  forse  sentilo  profe- 
rire, feceva  nella  mente  della  sciagurata  che  lo  sentiva  in  quel  mo- 
mento, un'impressione  confuta,  strana,  lenta,  come  la  rimembranza 
della  lu<% ,  in  un  vecchione  accecalo  da  bambino. 

Intanto  l'innominato,  ritto  sulla  ptfrtadtt  castello,  guardava  ingiù; 
e  vedeva  la  bussola  venir  passo  passo,  come  prima  la  carrozza,  e  avanti, 
a  una  distanza  che  cresceva  ogni  momento,  salir  di  corsa  il  Nibbio. 
Quando  questo  fu  in  cima,  il  signore  gli  accennò  che  lo  seguisse;  e 
andò  con  lui  in  una  stanza  del  castello. 

«  Ebbene?  »  disse,  fermandosi  lì. 

«  Tutto  a  un  puntino,  «  rispose,  inchinandosi,  il  Nibbio:  •>  l'avviso 
a  tempo,  la  donna  a  tempo,  nessuno  sul  luogo,  un  urlo  solo,  nessuno 
0(Hnpar80,  il  cocchiere  pronto,  i  cavalli  bravi,  nessun  incontro:  ma...  n 

u  Ma  che?  » 

«  Ma dico  il  vero,  che  a^Tcì  avuto  più  piacere  che  l'ordine 

fosse  slato  di  darle  una  schioppettata  nella  schiena ,  senza  sentirla  par- 
lare, senza  vederla  in  viso.  » 

«  Cosa?  cosa?  che  vuoi  tu  dire?  » 

"  Voglio  dire  che  tutto  quel  tempo,  lutto  quel  tempo ....  M'ha 
fatto  troppa  compassione,  n 

-  Compassione!  Che  sai  tu  di  compassione?  Cos'è  la  compassione?» 

«  Non  l'bo  mai  capilo  così  l>ene  come  questa  volla:  è  una  storia 


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IH  I  rROMESSl  SPOSI 

la  compassione  aa  poco  come  la  paura:  se  uno  la  lascia  prender  pos- 
sesso, non  è  più  uomo.  » 

u  Seotiamo  un  poco  come  ba  fatto  cosici  per  moverli  a  compas- 
sione. 1 

e  O  signore  illustrissimo  !  tanto  tempo  ....  !  piangere,  pregare,  e 
U/e  ceri' occhi,  e  diventar  bianca  bianca  come  morta,  e  poi  singhioz- 
zare ,  e  pregar  di  nuovo ,  e  certe  parole  . . . .  n 

—  Non  la  voglio  in  casa  costei ,  —  pensava  intanto  1*  innominalo.  — 
Sono  stato  una  bestia  a  impegnarmi;  ma  ho  prinnesso,  bo  promesso. 
Quando  sarà  lontana ....  —  E  alzando  la  lesla,  in  atto  di  comando, 
verso  il  Nibbio,  »  ora,  »  gli  disse,  <<  metti  da  parte  la  compassione: 
monta  a  cavallo,  prendi  un  compagno,  due  se  vuoi;  e  va  di  eorsa  a 
casa  di  quel  don  Rodrigo  ebe  tu  sai.  Digli  che  mandi ....  ma  subito 
subito,  perdiè  altrimenti " 

Ma  un  altro  no  interno  più  imperioso  del  primo  gli  proibì  di  6DÌre. 
u  No,  »  disse  con  voce  risoluta,  quasi  per  esprimere  a  sé  stesso  il 

comando  di  quella  voce  segreta,  «  no:  va  a  riposarli;  e  d<HDattÌna 

Tarai  quello  che  ti  dirò!  •• 

—  Un  qualche  demonio  ha  costei  dalla  sua,  —  pensava  poi,  ri- 
masto solo,  ritto,  con  le  braccia  incrociate  sul  petto,  e  con  losguardo 
ìmmolMle  sur  una  parte  del  pavimento,  dove  il  raggio  della  luna,  en- 
trando da  una  finestra  aita,  disegnava  un  quadrato  di  luce  pallida, 


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CAPITOLO  XXI.  Uf 

l^ata  a  scacchi  dalle  grosse  iofeirìale,  e  ialagliata  più  minulamente 

dai  piccoli  compartimenti  delle  vetriale.  Un  qualche  demonio,  o 

un  qualche  angelo  che  la  protegge Compassione  al  Nibbio! 

Domattina,  domattina  di  buon'ora,  fuor  di  qui  costei;  al  suo  destino, 
e  non  se  ne  parìi  più,  e,  —  proseguiva  tra  sé,  con  quell'animo  con 
eni  si  comanda  a  un  ragazzo  indocile,  sapendo  che  non  ubbidirà,  ■ — 
e  non  ci  si  pensi  più.  Quell'animale  di  don  Rodrigo  non  mi  venga  a 
romper  la  testa  con  ringraziamenti  ;  che ....  non  voglio  più  sentir 
parlv  di  costei.  L' ho  servilo  perchè ....  perchè  ho  promesso  :  e  ho 
promesso  perchè....  è  il  mio  destino.  Ma  voglio  die  me  lo  paghi  beae 
questo  servino,  colui.  Vediamo  un  poco  ....  — 

E  v<rieva  almanaccare  cosa  avrebbe  potuto  richiedergli  di  scabroso, 
per  compenso,  e  quasi  per  pena;  ma  gli  sì  allraversaron  dì  nuovo 
aDa  mente  quelle  parole  :  compassione  al  Nibbio!  —  Come  può  aver 
btlo  costei?  —  continuava,  strascinato  da  quei  pensiero.  —  Voglio 
vederla  ....  Eh!  no  ... .  Si ,  voglio  vederia. 

E  d'ima  stanza -in  un'altra,  trovò  una  scaletta,  e  su  a  tastone,  andò 
«Ila  camera  della  vecchia,  e  picchiò  all'uscio  con  un  calcio. 

-  Chi  è?  " 

"  Aprì.  » 

A  quella  voce,  la  vecchia  fece  Ire  salti;  e  subito  si  sentì  scoirere 
il  paletto  negli  anelli,  e  l'uscio  si  spalancò.  L' innominato,  dalla  soglia, 
diede  Un'occhiata  in  giro;  e,  al  lume  d'una  lucerna  àie  ardeva  sur  un 
tavolino ,  vide  Lucia  rannicchiala  io  terra ,  nel  canto  il  più  lontano 
dall'  uscio. 

«  Chi  t'ha  detto  che  tu  la  buttassi  là  come  un  sacco  di  cenci,  scia- 
gorata?  »  disse  alla  vecchia,  con  un  cipiglio  iracondo. 

«  S'  è  messa  dove  le  è  piaciuto ,  »  rispose  umilmente  colei  :  «  io 
ho  fatto  di  tutto  per  forle  coraggio  ;  lo  può  dire  anche  lei;  ma  non 
tfè  stato  verso.  » 

e  Alzatevi,  »  disse  l'innominato  a  Lucia,  andandole  vicino.  Ma  Lu- 
cia, a  cui  il  picchiare,  l'aprire,  il  comparir  di  quell'uomo,  le  sue  pa- 
role, avevan  messo  un  nuovo  spavento  nell'animo  spaventalo,  stava 
più  che  mai  raggomitolata  net  cantuccio,  col  viso  nascosto  tra  ternani, 
e  non  movendosi,  se  non  che  tremava  tutta. 

«  Aitatevi ,  che  non  voglio  farvi  del  male e  posso  farvi  del 

bene,  «  ripetè  il  signore....  u  Alzatevi!  »  tonò  poi  quella  voce, 
sdegnala  d'aver  due  volte  comandalo  invano. 


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SOB  I  rROUGSSI  SPOSI 

Come  riavigoriU  dallo  spavento,  l' infelicissima  si  rizzò  subilo  ingt- 
nocchioni;  e  giungendo  le  mani,  come  avrebbe  btto  davanti  a  un'im- 
magine, alzò  gli  occhi  in  viso  all'  innomìiiato,  e  riabbassandoli  subilo, 
disse:  «  son  qui  :  m'ammazzi.  » 

u  V  ho  detto  che  non  voglio  farvi  del  male,  »  rispose,  con  voce 
mitigala,  l'innominato,  rissando  quel  viso  turbato  dall'  accoramento  e 
da)  (errore. 

»  Cor^gio,  coraggio,  »  diceva  la  vecchia:  u  se  ve  lo  dice  lui,  che 
non  vuol  farvi  del  male ....  » 

K  E  perche,  »  riprese  Lucia  con  una  voce,  in  cui,  col  tremito  della 
paura ,  sì  sentiva  una  certa  scurezza  dell'  indegnazione  disperata , 
1  perché  mi  fa  patire  Io  pene  dell'inferno?  Cosa  le  ho  fatto  io?....« 


I 
'  V'hanno  (órse  mallrattata?  Parlale.  »  ; 

'  Oh  maltrallata!  M'hanno  presa  a  tradimento,  per  forza!  perché? 


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CAPITOLO  XXI.  3M 

perchè  m'hanno  presa?  perchè  son  qui?  dove  sono?  Sono  ima  povera 
creatura:  cosa  le  bo  fatto?  In  nome  di  Dio . . ..» 

-Dio, Dio,  »  interruppe  l'innominato:  «sempre  Dio:  eolorochenon 
possono  difendersi  da  se,  che  non  hanno  la  forza,  sempre  bao  questo 
Dio  da  mettere  in  campo,  come  se  gli  avessero  parlato.  Cosa  preten- 
dete con  codesta  vostra  parola?  Di  farmi ?»   e  lasciò  la  frase  a 


■  Oh  Signore!  pretendere!  Cosa  posso  pretendere  io  meschina,  se 
non  che  lei  mi  usi  misericordia?  Dio  perdona  lanle  còse,  perun'opera 
di  misericordia!  Mi  lasci  andare;  per  carità  mi  lasci  andare  I  Non  torna 
owto  a  uno  che  un  giorno  deve  morire  di  t&r  patir  tanto  una  povera 
crealara.  Oh  !  lei  che  può  comandare ,  dica  che  mi  lascino  andare  ! 
M' hanno  portata  qui  per  forza.  Mi  mandi  con  questa  donna  a  *  *  " , 
dov'  è  mia  madre.  Oh  Vergine  santissima  !  mia  madre  !  mìa  madre , 
per  carità ,  mia  madre  I  Forse  non  è  lontana  di  qui ....  bo  veduto  i 
miei  monti!  Perchè  lei  mi  fa  patire?  Mi  faccia  condurre  in  una  chiesa.. 
Pregherò  per  lei,*  tutta  la  mia  vita.  Cosa  te  cosla  dire  unai  parata?  Oli 
eoeo!  vedo -ohe  si  move  a  cempassione:  dica  una  pdrida,  la^dica.  Dio 
perdona  faste  cose,  per  im' opera  dì  mteerieordial  » 

T—  Oh  penéè  non  .è  figlia  d'uno  dì  que'oani  olie  m'hanno  bandi- 
to! —  pensava  l'innominato:  —  d"  uno  -di  ^ue'  vili  che  mi  vorreh- 
ber&.iB(u4o1  dte  «n  gedrei  dì  ffueslo-suo  strillare;  e  in  voce:  '.  .• — 

>  Non  iscacci  una  buona  ispiraeione  !  «  proeeguiva  fervidamente 
Lucia ,  rianimata  dal  vedere  una  cert'  aria  d' esitazione  nel  viso  e  nel 
conteso  del  suo  tiranno,  u  Se  let  non  mi  fa  questa  carità,  me  la  farà 
il  Signore:  mi  farà  morire,  e  per  me  sarà  finita;  ma  lei!....  Forseun 
giorno  anebe  lei ... .  Ma  no,  no;  pregherò  sempre  io  il'  Signore  che 
la  preservi  da  4^ni  male.  Cosa  le  cosla  dire  una  parola?  Se  provasse 
lei  a  patir  queste  pene ....!» 

u  Via,  fatevi-coraggio, »  interruppe  l'innominato,  con  una  dolcezza 
che  fece  strasecolar  la  vecchia,  x  V'ho  fatto  nessun  male?  V'ho  mi- 
nacciala ?  "' 

u  Oh  no!  Vedo  che  lei  ha  buon  cuore,  e  che  sente  pietà  dì  questa 
povera  creatura.  Se  lei  volesse,  potrebbe  farmi  paura  più  di  lutti  gli 
altri,  potrebbe  farmi  morire;  e  in  vece  mi  ha.  .  . .  un  po' allargato  il 
cuore.  Dio  gliene  renderà  merito.  Compisca  l'opera  dì  misericordia: 
mi  liberi,  mi  liberi,  n 

«  Domattina »- 


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4M  I  PROUESSI  SPOSI. 

H  Oh  mi  liberi  ora ,  subito  ....<• 

H  DomaltiDa  ci  rivedremo,  vi  tUeo.  Via,  intanto  fatevi  coraggio. 
Riposale.  Dovete  aver  bisogno  di  mangiare.  Ora  ve  ne  porteranno.  i 

1  No,  no;  io  moie  se  alcuno  entra  qui:  io  moie.  Mi  conduca  lei  in 
chiesa que'  passi  Dio  glieli  conteri.  » 

K  Verrà  una  donna  a  portarvi  da  mangiare,  n  disse  l' inoominato; 
e  dettolo,  rimase  stupito  anche  lui  che  gir  fosse  venuto  in  mente  un 
tal  ripiego,  e  che  gli  fosse  nato  il  bisogno  di  cercarne  uno,  per  rassi- 
curare una  donnicciola. 

-  E  tu,  »  riprese  poi  subito,  voltandosi  alla  vecchia,  «  falle  corag- 
gio che  mangi;  mettila  a  dormire  in  questo  lello:  e  se  ti  vuole  in 
compagnia,  bene;  altrimenti,  tu  puoi  ben  dormire  una  notte  in  terra. 
Falle  coraggio ,  li  dico  ;  tienla  allegra.  G  che  non  ablua  a  lameot»^ 
di  te!  » 

Così  detto,  sì  mosse  rapidamente  verso  l'uscio.  Lucia  s'alzò  e  oone 
per  trattenerlo,  e  rinnovare  la  sua  preghiera;  ma  era  sparilo. 

«  Oh  povera  me  !  Chiudete,  chiudete  subito.  »  E-  sentito  ch'eUie 
accostare  i  battenti  e  scorrere  il  paletto,  tornò  a  rannicchiarsi  nel  soo 
cantuccio.  ••  Oh  povera  me!  »  esclamò  dì  nuovo  singhiozzando:  -dii 
pregherò  ora?  Dove  sodo?  Ditemi  voi,  ditemi  per  carità,  chi  è  quei 
signore ....  quello  che  m'  ha  parlalo  ?  » 

•■  Chi  è,  eh?  chi   è?  Volete  eh'  io  ve  lo  dica.  Aspetta  eh'  io  le  lo  dica. 


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CAPITOLO  XXI.  mi 

Perchè  vi  protegge ,  avete  messo  su  superbia  ;  e  vedete  esser  sod- 
disfetta  voi ,  e  farne  andar  di  mezzo  me.  Domandatene  a  lui.  S'io  vi 
contentassi  anche  in  questo,  non  mi  toccherebbe  di  quelle  buone  p» 
rote  che  avete  sentile  voi.  »  —  Io  son  veocbb,  son  veccbia,  -=-  con- 
tinuò, mormorando  Ira  i  denti.  —  Maledette  le  giovani,  che  fonno  bel 
vedere  a  piangere  e  a  ridere ,  e  hanno  sempre  ragione.  — '  Ha  sen- 
tendo Luda  singhiozzare,  e  lomand(de  minaccioso  alla  mente  il- co- 
mando del  padrone  ,  si  chinò  verso  la  povera  rincantucciata  ,  e,  con 
voce  raddolcita,  riprese:  "  via,  non  v'  ho  detto  niente  di  male:  slate 
allegra.  Non  mi  domandate  di  quelle  cose  che  non  vi  posso  dire  ;  e 
del  resto ,  state  di  buon  animo.  Oh  se  sapeste  quanta  gente  sarebbe 
contenta  di  sentirlo  parlare  come  ha  parìalo  a  voi  !  State  allegra,  die 
or  ora  verrà  da  mangiare  ;  e  io  che  capisco ....  nella  maniera  die 
v"  ha  parlato,  d  sarà  della  roba  buona.  E  poi  onderete  a  Ietto,  e . . . . 
mi  tascerele  un  cantueduo  anche  a  me,  spero,  »  soggiunse,  con  una 
voce,  suo  malgrado,  stizzosa. 

u  Non  v<^ìo  mangiare,  non  voglio  dormire.  Lasdatemi  stare;  non 
v'accostale;  non  partite  di  qui!  » 

u  No,  no,  via,  n  disse  la  vecchia,  ritirandosi,  e  mettendosi  a  sedere 
sur  una  seggiolacda,  donde  dava  alla  poverina  certe  occhiate  di  ter- 
rare  e  d'astio  insieme;  e  poi  guardava  il  suo  covo,  rodendosi  d'esserne 
forse  esdusa  per  tutta  la  notte,  e  brontolando  contro  il  freddo.  Ma  si 
raUegrava  col  pensiero  della  cena,  e  con  la  speranza  che  ce  ne  sarebbe 
auche  per  lei.  Lucia  non  s'avvedeva  del  freddo,  non  sentiva  la  fame,  e 
come  sbalordita,  non  aveva  de' suoi  dolori,  de' suoi  terrori  stessi,  che  un 
sentimento  confuso,  simile  all'  immagini  scenate  da  un  febbrìdtante 

Si  riscosse  quando  senti  picdiiare;  e,  alzando  la  facda  atterrita,  gridò: 
«  ehi  è?  ehi  è?  Non  venga  nessuno!  " 

"  Nulla,  nulla;  buone  nuove,  n  disse  la  vecchia  :  «  è  Marta  che 
porla  da  mangiare.  » 

«  Chiudete ,  chiudete  !  »  gridava  Lucìa. 

«  Ih!  subito,  subilo, «  rispondeva  la'  vecchia;  e  presa  una  paniera 
dalle  mani  di  quella  Marta,  la  mandò  via,  rìdiìine^'e  venne  a  posarU 
panio^  sur-'Una  tavola  nel  me^o  della-  camera.  Invitò  poi  più  volle 
Lucia  che  venisse  a  goder  di  qtielià  buona  roba.  Acbpreva  le  paròle  più 
eflScad,  secondo  lei,  a  mettere  appetito  alla  poverina,  prorompeva  in 
esdamazioDi  sulla  squisitezza  de'  dbi  :  «  di  que'  bocconi  die,  quando 
le  persone  come  noi  possono  arrivare  a  assaggiarne,  se  ne  ricordan  per 


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tin  I  PROMESSI  SPOSI 

UH  pezEO  !  Del  vino  che  beve  il  padrone  co'  suoi  amid ....  quando 
capila  qualchedano  di  quelli ...  !  e  vogliono  ^re  allegri!  Ehm!  »  Ma 
vedendo  cbe  tulli  gì'  ìneantì  riuseivano  inutSi ,  »  siete  voi  die  non 
volete,  »  disse.  •>  Non  istale  poi  a  dìi^i  domani  cli'ìo  non  v'  ho  follo 
coraggio.  Mangerò  io;  e  ne  restcHi  più  cbe  abbastanza  per  voi,  per 
quando  metterete  giudìeio,  e  vorrete  ubbidire,  n  Cosi  detto,  si  mise  a 
mangiare  avidamente.  Saziata  che  fu,  s'alzò,  andò  verso  il  cantuccio, 
e,  chinandosi  sopra  Lucia,  l'invitò  di  nuovo  a  mangiare,  per  andar  poi 
a  Ietto. 

"  No,  no,  non  vo^ìo  nulla,  »  rispose  questa,  con  voce  fiacca  e 
cerne  sonnolenta.  Poi,  con  più  risolutezza,  riprese:  u  è  sfrato  l'usdo? 
é  serrato  bene?  »  E  dopo  aver  guardato  in  giro  per  la  camera,  s'alzò, 
e,  con  le  mani  avanti,  con  passo  sospettoso,  andava  verso  quella  parte. 

La  vecchia  ci  corse  prima  di  lei,  stese  la  mano  al  paletto,  lo  scosse, 
e  disse:  «  sentite?  vedete?  è  serrato  bene?  siete  contenta  ora?  » 


"  Oh  contenta  !  contenta  io  qui  i  n  disse  Lucia ,  rimettendosi  di 
nuovo  nel  suo  cantuccio,  u  Ma  il  Signore  lo  sa  che  ci  sono!  i 

«  Venite  a  letto:  cosa  volete  far  li,  accucciala  come  un  cane?  S'è 
mai  visto  rifiutare  i  comodi ,  quando  sì  possono  avere  ?  » 

«  No,  no;  lasdatemi  slare.  " 

«  Siete  voi  che  lo  volete.  Ecco,  io  vi  lascio  il  posto  buono:  mi  mello 
sulla  sponda;  starò  incomoda  per  voi.  Se  volete  venire  a  letto,  sapete 


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CAPITOLO  XXI.  *o:i 

come  avete  a  fare.  lUcordateii  che  v'ho  pregata  più  volte.  »  Cosi  di- 
cendo, sì  cacciò  sotto  vestita;  e  tutto  tacque. 

Lucia  slava  immobile  in  quel  cantuccio,  tutta  in  un  gomitolo,  con 
le  ginocchia  alzate,  con  le  mani  appoggiate  sulle  ginocchia,  e  col  viso 
nascosto  nelle  mani.  Non  era  il  suo,  né  sonno  né  veglia,  ma  una  rapida 
successione,  una  torbida  vicenda  di  pensieri,  d'immaginazioni,  di  spa- 
venti. Ora,  più  presente  a  sé  stessa,  e  rammentandosi  più  disUnta- 
menle  gli  orrori  veduti  e  sofferti  in  quella  giornata,  s'applicava  dolo- 
rosamente alle  circostanze  dell'  oscura  e  formidabile  realtà  in  cui  si 
trovava  avviluppata  ;  ora  la  mente ,  trasportata  in  una  regione  ancor 
più  oscura,  si  dibatteva  contro  i  fantasmi  nati  dall'  incertezza  e  dal 
terrore.  Stette  un  pezzo  in  quest'angoscia;  alRne,  più  che  mai  slanca 
e  abbattuta, stese  le  membra  intormentite,  si  sdraiò,  o  cadde  sdraiata, 
e  rimase  alquanto  in  uno  stalo  più  somigliante  a  un  sonno  vero.  Ma 
tult'  a  un  tratto  si  risenti,  come  a  una  chiamala  interna,  e  provò  il 
bisogno  di  risentirsi  interamente,  di  riaver  lutto  il  suo  pensiero,  di 
conoscere  do%'C  fosse,  come,  perchè.  Tese  l'orecchio  a  un  suono;  era 
il  russare  lento,  arranlolato  della  vecchia;  spalancò  gli  occhi,  e  vide 
un  chiarore  fioco  apparire  e  sparire  a  vicenda  :  era  il  lucignolo  della 
liioerna,  clie,  vicino  a  spegnersi,  scoccava  una  luce  tremola,  e  subilo 
la  ritirava,  per  dir  così,  indietro,  come  è  il  venire  e  l'andare  dell'onda 
sulla  riva:  e  quella  luce,  fuggendo  dagli  oggetti,  prima  che  prendes- 
sero da  essa  rilievo  e  colore  distinto,  non  rappresenlava  allo  sguardo 
che  una  successione  di  guazzabugli.  Ma  ben  presto  le  recenti  impres- 
sioni, ricomparendo  nella  mente,  l'aiutarono  a  distinguere  ciò  che 
appariva  confuso  al  senso.  L'infelice  risv^liata  riconobbe  la  sua  prigiO' 
ne:  tulle  le  memorie  dell'orribil  giornata  trascorsa,  tutti  i  terrori  del- 
l'avvenire, l'assalirono  in  una  volta:  quella  nuova  quiete  stessa  dopo 
tante  agitazioni,  quella  specie  di  riposo,  quell'abbandono  in  cui  era  la- 
sciata ,  le  facevano  un  nuovo  terrore  :  e  fu  vinta  da  un  tale  affanno , 
che  desiderò  di  morire.  Ma  in  quel  momento,  si  rammentò  che  poteva 
almen  pregare,  e  insieme  con  quel  pensiero,  le  spuntò  in  cuore  come 
un'  improvvisa  speranza.  Prese  di  nuovo  la  sua  corona,  e  ricominciò 
a  dire  il  rosario;  e,  di  mano  in  mano  che  la  preghiera  usciva  dal  suo 
labbro  tremante,  il  cuore  sentiva  crescere  una  fiducia  indeterminala. 
Tutt'a  un  tratto,  le  passò  per  la  mente  un  altro  pensiero:  che  la  sua 
orazione  sarebbe  stata  più  accetta  e  più  certamente  esaudita,  quando, 
nella  sua  desolazione,  bcesse  anche  qualche  otTerta.  Si  ricordò  di 


Digit,z(=d  'yGoOgle 


401  I  PR0MR88I  SPOSI 

«|ueIto  che  aveva  di  più  caro,  o  che  di  più  caro  aveva  avuto;  giacché, 
in  quel  momenlo,  l'animo  suo  non  poteva  sentire  altra  affezione  che  di 
spavento,  né  concepire  altro  desiderio  die  della  lìlieraEione;  se  ne  ri- 
cordò, e  risolvette  subito  di  farne  un  sacrifìsio.  S'alzò,  e  si  mise  in 
ginocchio ,  e  tenendo  giunte  al  petto  le  mani ,  dalle  quali  pendeva  la 
corona,  alzò  il  viso  e  le  pupille  al  cielo,  e  disse:  •■  o  Vergine  sanUs- 
sima!  Voi,  a  eui  mi  sono  raccomandala  fante  volle,  e  che  tante  volle 
in'  avete  consolata  !  Voi  die  avole  patito  tanti  dolori ,  e  siete  ora  tanto 
gloriosa,  e  avete  fatti  tanti  miracoli  per  i  poveri  tribolati;  aiulatemi! 
fatemi  uscire  da  questo  pericolo,  fatemi  tornar  salva  c«i  mia  madre, 
Madre  del  Signore;  e  fo  voto  a  voi  di  rimaner  vergine;  rinunziò  per 
sempre  a  quel  mìo  povH%tto,  per  non  esser  mai  d'altri  che  vostra,  n 


Proferite  queste  parole,  abbassò  la  testa,  esì  mbe  la  corona  intomo 
al  collo,  quasi  come  un  segno  di  consacrazione,  e  una  salvaguardia  a 
un  tempo,  come  un'armatura  della  nuova  milizia  a  cui  s'era  ascritta. 


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CAPITOLO  XXI.  40tt 

Rimessasi  a  sedere  ìd  terra,  senti  entrar  nell'animo  una  certa  tranquil- 
lila, una  più  larga  fiducia.  Le  venne  in  mente  quel  domattina  ripe- 
luto  dallo  sconosciuto  polente ,  e  le  parve  di  sentire  in  quella  parola 
una  promessa  di  salvaisione.  I  sensi  alTaticatJ  da  lauta  gueira  s'assopi- 
rono a  poco  a  poco  in  queir  acquietamenlo  di  pensieri:  e  Gnalmenle, 
già  viciuo  a  giorno,  col  nome  della  sua  protettrice  tronco  Ira  le  lab- 
bra, Lucia  s'addormentò  d'un  sonno  perfetto  e  continuo. 

Ma  c'era  qualcbedun  altro  in  quello  stesso  castello,  che  avrebbe 


voluto  tare  altrellanlo,  e  non  potè  mai.  Partito,  o  quasi  scappato  da 
Lucia,  dato  l'ordine  per  la  cena  di  lei,  fatta  una  consueta  visita  a  certi 
posti  del  castello,  sempre  con  quell'immagine  viva  nella  menle,  e  con 
quelle  parole  risonanti  all'orecchio,  il  signore  s'era  andato  a  cacciare 
in  camera,  s'era  chiuso  dentro  in  fretla  e  in  furia,  come  se  avesse 
avuto  a  trincerarsi  contro  una  squadra  di  nemici;  e  spogliatosi,  pure 
in  furia,  era  andato  a  letto.  Ma  quell'  iounagine,  più  che  mai  presente, 
|>arve  che  in  quel  momento  gli  dicesse:  tu  non  dormirai.  —  Gbe 
sciocca  curiosità  da  donnicciola,  —  pensava,  —  m'è  venula  di  ve- 
derla? Ha  ragione  quel  bestione  del  Nibbio;  uno  non  é  più  uomo; 


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to«  I  raouEssi  SPOSI. 

ù  vero,  non  è  più  uomo  ! . . .  Io  ?.. .  io  non  sor  più  uomo^  io?  Cott'  è 
shito?  che  diavolo  m'  è  venuto  addosso?  che  e'  è  di  nuovo?  Noa  lo 
sapevo  io  prima  d'ora,  che  le  donne  strillano?  Strillano  anche  f^  uo- 
mini alle  volle,  ({iiando  non  si  possono  rìvollare.  Che  diavolo!  non  ho 
mai  sentilo  belar  donne  ?  — 

E  qui,  senza  che  s'affaticasse  molto  a  rintracciare  nella  memoria,  la 
memoria  da  sé  gli  rappresentò  più  d'un  caso  in  cui  né  preghi  né  la- 
menti non  l'avevano  punto  smosso  dal  compire  le  sue  risoluKÌoni.Ma 
la  rimembranza  di  tali  imprese,  non  che  gli  ridonasse  la  fermezza,  die 
già  gli  mancava,  di  compir  questa;  non  che  spegnesse  nell'animo  quella 
molesta  pietà;  vi  deslava  in  vece  una  specie  di  terrore,  una  non  so 
qual  rabbia  di  pentimento.  Di  maniera  che  gli  parve  un  sollievo  il 
tornare  a  quella  prima  immagine  di  Lucia,  contro  la  quale  aveva  cer- 
cato di  rinfrancare  il  suo  coraggio.  —  È  viva  costei,  —  pensava,  — 
è  qui  ;  sono  a  tempo  ;  le  posso  dire  :  andate ,  rallegratevi  ;  posso  ve- 
der quel  viso  cambiarsi;  le  posso  anche  dire:  perdonatemi ....  Perdo- 
natemi ?  io  domandar  perdono  ?  a  una  donna  ?  io ...  !  Ah ,  eppure  l  se 
una  parola,  una  parola  tale  mi  potasse  far  bene,  levarmi  d'addosso  un 
\ìo'  di  questa  diavoleria,  la  direi;  eh!  sento  che  la  direi.  A  che  cosa 
son  ridotto!  Non  son  più  uomo,  non  son  più  uomo  ! ...  Via!  —  disse 
|>oi,  rivoltandosi  arrabbiatamente  nel  letto  divenuto  duro  duro,  sotto 
le  coperte  divenute  pesanti  pesanti:  —  via!  sono  sciocchezze  che  mi 
son  passate  per  la  lesta  altre  volte.  Passo-à  anctie  questa.  — 

E  per  farla  passare ,  andà  cercando  col  pensiero  qualche  cosa  im- 
portante ,  qualcbeduna  di  quelle  die  solevano  occuparlo  fortemente , 
onde  applicarvelo  tutto;  ma  non  ne  trovò  nessuna.  Tutto  gli  appariva 
cambiato:  ciò  che  altre  volle  stimolava  più  fortemente  i  sum  desidèri, 
ora  non  aveva  più  nulla  di  desiderabile:  la  passione,  come  un  cavallo 
<livenulotull'a  un  tratto  restio  per  un'ombra,  non  voleva  piùaudare 
avanti.  Pensando  all'  imprese  avviate  e  non  finite,  in  vece  d'animare  al 
compimento,  in  vece  d' irritarsi  degli  ostacoli  (die  l' ira  in  quel  momento 
gli  sarebbe  parsa  soave),  sentiva  una  tristezza,  quasi  uno  spavento 
de'  passi  già  fatti.  Il  jtempo  gli  s'aflaeciò  davanti  vóto  d'ogni  intento, 
d'ogni  occupazione,  d'ogni  volere,  pieno  soltanto  di  memorie  intolle- 
rabili; tutte  l'ore  somiglianti  a  qudla  che  gli  |>assava  cosi  lenta,  cosi 
pesante  sul  capo.  Sì  schierava  nella  fantasia  tutti  i  suoi  matandrmi, 
e  non  trovava  da  comandare  a  nessuno  di  loro  una  cosa  che  gj'  im- 
IMtrlasse;  anzi  l'idea  di  rivederli,  di  trovarsi  tra  loro,  era  un  nuovo 


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CAPITOLO  XXI.  401 

peso ,  un'  idea  di  schifo  e  d'  impiccio.  E  se  volle  trovare  un'  occupa- 
uone  per  l' indomani ,  un'  opera  fattibile ,  dovette  pensare  die  all'  in- 
domaai  poteva  lasciare  in  libertà  quella  poverina. 

—  La  libererò ,  si  ;  appena  spunta  il  giorno ,  correrò  da  lei ,  e  le 

dirò  :  andate ,  andate.  La  farò  accompagnare E  la  promessa?  e 

r  impégno  ?  e  don  Rodrigo  ? Chi  è  don  Rodrigo?  - — 

A  guisa  di  d)i  è  collo  da  una  interrogazione  inaspettata  e  imbaraz- 
zante d'un  superiore,  l'innominato  pensò  subito  a  rispondere  a  questa 
cfae  s'era  fotta  lui  stesso,  o  piuttosto  quel  nuovo  ^uij  che  cresciuto 
terribilmente  a  un  trailo,  sorgeva  come  a  giudicare  l'antico.  Andava 
dunque  cercando  le  ragioni  per  cui ,  prima  quasi  d'esser  pregato,  s'era 
potuto  risolvere  a  prender  l'impegno  di  Tar  tanto  patire,  senz'odio, 
senza  timore,  un'infelice  sconosciuta,  per  servire  colui;  ma,  non  che 
riuscisse  a  trovar  ragioni  che  in  quel  momento  gli  paressero  buone 
a  scusare  il  fatto,  non  sapeva  quasi  spiegare  a  sé  stesso  come  ci  si 
fosse  indotto.  Quel  volere,  piuttosto  che  una  deliberazione ,  era  slato 
un  movimento  istantaneo  dell'animo  ubbidiente  a  sentimenti  antichi , 
abituali,  una  conseguenza  di  mille  fatti  antecedenti;  e  il  tormentato 
esaminator  di  sé  stesso,  per  rendersi  ragione  d'un  sol  fatto,  si  trovò 
ingolfalo  nell'esame  di  tutta  la  sua  vita.  Indietro,  indietro,  d'anno  in 
anno,  d'impegno  in  impegno,  di  sangue  in  sangue,  di  scelleratezza 
in  scelleratezza:  ognuna  ricompariva  all'animo  consapevole  e  nuovo, 
separata  da' sentimenti  che  l'avevan  fatta  volere  e  commettere,  ricom- 
pariva con  una  mostruosità  che  que' sentimenti  non  avevano  allora  la- 
sciato scorgere  in  essa.  Eran  tutte  sue,  eran  lui:  l'orrore  di  questo 
pensiero,  rinascente  a  ognuna  di  quell'immagini,  attaccato  a  tutte, 
crebbe  fino  alla  disperazione.  S'alzò  in  furia  a  sedere,  gettò  in  furia 
le  mani  alla  parete  accanto  al  letto,  afferrò  una  pistola,  la  slaccò, e.... 
al  momento  di  finire  una  vita  divenula  insopportabile,  il  suo  pensiero 
sorpreso  da  un  terrore,  da  un'inquietudine,  per  dir  così,  superstite, 
si  slanciò  nel  tempo  che  pure  continuerebbe  a  scorrere  dopo  la  sua 
fine.  S'immaginava  con  raccapriccio  il  suo  cadavere  sformato,  immo- 
bile, io  balia  del  più  vile  sopravvissuto;  la  sorpresa,  la  oonfosione  nel 
caglio,  il  giorno  dopo:  ogni  cosa  soltosofH>a;  lui,  senza  forza,  senza 
voce ,  buttato  chi  sa  dove.  Immaginava  i  discorsi  che  se  ne  sarebber 
latti  lì,  d'intorno,  lontano,  la  gioia  de" suoi  nemici.  Anche  le  tenebre, 
andie  il  silenzio,  gli  focevan  veder  nella  morte  qualcosa  di  più  tristo, 
di  spaventevole;  gli  pareva  die  non  avrebbe  ertalo,  se  fosse  slato  df 


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I  PROMESSI  SPOSI. 


giorno,  all'aperto,  in  faccia  alla  gente:  buttarsi  in  un  fiame  e  sparire. 
E  assorto  in  queste  contemplazioni  tormentose,  andava  alzando  e  riab- 
bassando, con  una  forza  convulsiva  del  pollice,  il  cane  della  pisl^a; 


quando  gli  balenò  in  mente  od  altro  pensiero.  —  Se  quell'altra  vita 
di  cui  id'  hanno  parlato  quand'  n^  ragazzo,  di  cui  parlano  sempre, 
come  se  fosse  cosa  sicura,  se  quella  vita  doq  c'è,  se  è  un'invenzione 
de'  preti  ;  che  fo  io  ?  perchè  morire  ?  cos'  importa  qudlo  che  ho  fatto  ? 

cos'importa?  è  una  pazzia  la  mia E  se  c'è  quest'altra  %ita...-.!  — 

A  un  tal  dubbio,  a  un  tal  rischio ,  gli  venne  addosso  una  dispera- 
zione pia  nera,  più  grave,  dalla  quale  non  si  poteva  fuggire,  neppur 
con  la  morte.  Lasciò  cader  l' arme ,  e  stava  con  le  mani  ne'  capelli , 
battendo  i  denti,  tremando.  Tutf  a  un  tratto,  gli  toruarono  in  mente 
parole  che  aveva  sentite  e  risentite ,  poche  ore  prima  :  —  Dio  per- 
dona  tante  cose,  per  un'opera  di  misericordia!  —  Enon  gli  tomavan 
già  con  quell'accento  d'umile  preghiera,  con  cui  erano  stale  proferite; 
ma  con  un  suono  pieno  d'autorità,  e  che  insieme  induceva  una  lon- 
tana speranza.  Fu  quello  un  momento  di  sollievo  :  leva  le  mani  dalle 
tempie,  e,  in  un'attitudine  più  composta,  (Issò  gli  occhi  della  moitc 


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CAPITOLO  y\n  tM 

in  colei  da  cui  aveva  sentite  quelle  parole  ;  e  la  cedeva ,  non  come 
la  sua  prigioniera,  non  come  una  supplichevole,  ma  in  atto  di  chi  di- 
spensa grazie  e  consolazioni.  Aspettava  ansiosamente  il  giorno ,  per 
eorrere  a  liberarla,  a  seulire  dalla  bocca  di  lei  altre  parole  di  refrige- 
rio e  di  ^'ila;  s'immaginava  di  condurla  lui  stesso  alla  madre.  —  E 
poi?  che  farò  domani,  il  resto  della  giornata?  die  farò  doman  l'altro? 
che  farò  dopo  doman  l' altro  ?  E  la  notte  ?  la  notte ,  che  (ornerà  tra 
dodici  ore  !  Oh  la  notte!  no ,  no ,  la  notte  !  —  E  i-icadulo  nel  vóto 
penoso  dell'avvenire,  cercava  indarno  un  impiego  del  tempo,  una  ma- 
niera di  passare  t  giorni,  le  nolti.  Ora  si  proponeva  d'abbandonare  il 
castello,  e  d'andarsene  in  paesi  lontani,  dove  nessun  lo  conoscesse, 
iwppur  dì  nome;'  ma  sentiva  che  luì,  luì  sarebbe  sempre  con  sé: 
ora  gli  rinasceva  una  fosca  speranza  dì  ripigliar  l'animo  antico,  le  an- 
tidte  voglie  ;  e  che  quello  fosse  come  un  delirio  passeggiero  ;  ora  te- 
meva il  giorno,  che  do\-e^'a  farlo  vedere  a' suoi  cosi  miserabilmente 
mutato  ;  ora  lo  sospirava ,  come  se  dovesse  portar  la  luce  anche  ne" 
suoi  pensieri.  Ed  ecco,  appunto  suH' albeggiare ,  pochi  momenti  dopo 
che  Lucia  s'era  addormentata,  ecco  che,  stando  cosi  immoto  a  sedere, 
senti  arrivarsi  all'orecchio  come  un'onda  di  suono  non  bene  espresso, 
ma  che  pure  aveva  non  so  che  d'allegro.  Stette  attento,  e  ricon(rf)be 
uno  scampanare  a  festa  lontano;  e  dopo  qualche  momenlo,  senti  anche 
l'eco  del  monte,  che  ogni  tanto  ripeteva  languidamente  il  concento,  e 
si  confondeva  con  esso.  Di  lì  a  poco ,  sente  un  altro  scampanio  più 
vicino,  anche  quello  a  festa  ;  poi  un  altro.  —  Che  allegrìa  e*  è  ?  co- 
s'hanno di  belio  tutti  costoro?  —  Saltò  fuori  da  quel  covile  di  pruni; 
e  vestitosi  a  mezzo,  eorse  a  aprire  una  finestra,  e  guardò.  Le  monta- 
gne eran  mezze  velate  dì  nebbia;  il  cielo,  piuttosto  che  nuvoloso,  era 
ludo  una  nuvola  cenerognola;  ma,  al  chiarore  che  pure  andava  a 
poco  a  poco  crescendo,  si  distingueva,  nella  strada  in  fondo  alla  valle, 
gente  che  passava,  altra  che  usciva  dalle  case,  e  s'avviava,  lutti  dalla 
slessa  parte,  verso  lo  sbocco,  a  destra  del  castello,  tutti  col  vestilo 
delle  feste,  e  con  un'alacrità  straordinaria. 

—  Che  diavolo  hanno  costoro  ?  che  e'  è  d' allegro  in  questo  male- 
detto paese  ?  dove  va  tutta  quella  canaglia  ?  —  E  data  una  voce  a 
un  bravo  fidalo  che  dormiva  in  una  stanza  accanto,  gli  domandò  qual 
fosse  la  cagione  di  quel  movimento.  Quello,  che  ne  sapeva  quanto  lui, 
rispose  che  anderebbe  subito  a  informarsene.  Il  signore  rimase  appog- 
gialo alla  finestra,  tutto  intento  al  mobile  spettacolo.  Erano  uomini, 


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410  I  PROMESSI  SPOSI. 

donne,  fanciulli,  a  brigate,  a  coppie,  soli;  uno,  raggiungendo  chi  gli 
era  avanti,  s'acctmipagnava  con  lui;  un  altro, UMeode  di  casa,  s'udì» 
col  primo  che  rintoppasse;  e  andavano  insieme,  come  amici  a  nn  viag- 
gio convenuto.  Gli  alti  indicavano  manireslamenle  una  fretta  e  una 
gioia  comune;  e  quel  rimbombo  non  accordato  ma  consoitaneo  delle 
varie  campane,  quali  più,  quali  meno  vicine,  pareva,  per  dir  così, 
la  voce  di  que' gesti,  e  il  supplimento  ddle  parole  che  non  potevano 
arrivar  lassù.  Guardava,  guardava;  e  gli  cresceva  in  cuore  una  più  che 
curiosila  di  saper  cosa  mai  potesse  comunicare  un  trasporto  uguale 
a  tanta  gente  diversa. 


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CAPITOLO  xxn. 


.oco  dopo,  il  bravo  venne  a  riferire  che,  il 
giorno  avanti,  il  cardinal  Federigo  Bor- 
romeo, arcivescovo  di  Milano,  era  arri- 
valo a*'*,  e  ci  starebbe  tutto  quel  gior- 
no ;  e  che  la  nuova  sparsa  la  sera  di 
quest'arrivo  ne' paesi  d'intomoaveva  in- 
V'  vegliati  tutti  d'  andare  a  veder  queir  uo- 
'  mo;e  si  scampanava  più  per  allegria,  che 
per  avvertir  la  gente.  Il  signore,  rimasto 

t ~  solo,  contiouò  a  guardar  nella  valle,  ancor 

più  pensi«^)S0.  —  Per  un  uomo!  Tutti  premurosi,  tutti  allegri,  per 
vedere  un  uomo!  E  però  ognuno  di  cosloro  avrà  il  suo  diavolo  die  lo 
tormenti.  Ma  nessuno,  nessuno  n'avrà  uno  come  il  mio;  nessuno  avrà 
passata  una  notte  come  la  mia!  Cos'ha  quell'uomo,  per  render  tanta 
gente  allegra?  Qualche  soldo  che  distribuirà  cosi  alla  ventura....  Ma 
costoro  non  vanno  tulli  per  l'elemosina.  Ebbene,  qualche  segno  nel- 
l'aria, qualche  parola Oh  se  le  avesse  per  me  le  parole  cbe  pos- 
sono consolare  I  se ....  !  Perchè  non  vado  anch'  io  ?  Perchè  no  ? ... . 
Anderò,  anderà;  e  gli  voglio  parlare:  a  quattr'occhi  gli  voglio  par- 
lare. Cosa  gli  dirò?  Ebbene,  quello  che,  quello  che Sentirò  cosa 

sa  dir  lui,  quest'uomo!  — 


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4tS  I  PKOUESSI  SPOSI 

Fatta  eosi  in  confuso  questa  risoluzione,  Ani  -in  fretta  di  vestirsi, 
mettendosi  una  sua  casacca  d"  un  taglio  che  aveva  qualche  cosa  del 
militare;  prese  la  terzetta  rimasta  sul  letto,  e  l'attaccò  alla  cintura  da 
una  parte;  dall'altra,  un'altra  che  slaccò  da  un  chiodo  della  parete; 
mise  in  quella  stessa  cintura  il  suo  pugnale  ;  e  staccata  pur  dalla  pa- 
rete una  carabina  famosa  quasi  al  par  di  lui,  se  la  mise  ad  armacollo; 
prese  il  cappello,  usci  dì  camera;  e  andò  prima  di  tutto  a  quella  dove 
aveva  lasciata  Lucia.  Posò  fuori  la  carabina  in  un  cantuccio  vÌcìdo 
all'uscio,  e  picchiò,  facendo  insieme  sentir  la  sua  voce.  La  vecchia 
scese  il  letto  in  un  salto,  e  corse  ad  aprire.  Il  signore  entrò,  e  data 
un'occhiata  per  la  camera,  ^ide  Lucìa  rannicchiata  nel  suo  cantuc- 
cio e  quieta. 

«  Dorme?  »  domandò  sotto  voce  alla  vecchia:  «  là,  dorme?  ena 
questi  i  miei  ordini,  sciagurata?  " 

«  Io  ho  fatto  di  tutto,  »  rispose  quella:  «  ma  non  ha  mai  voluto 
mangiare,  non  è  mai  voluta  venire. ...» 

<•  Lasciala  dormire  in    pace  ;  guarda  di  non   la  disturbare  ;  e 

quando  si  sveglierà Marta  verrà  qui  nella  stanza  vicina;  e 

tu  manderai  a  prendere  qualunque  cosa  che  costei  possa  chiederti. 
Quando  si  sveglierà ....  dille  che  io ... .  che  il  padrone  è  {Kirtito  per 
poco  tempo,  che  tornerà,  e  che farà  tutto  quello  che  lei  vorrà.» 

La  vecchia  rimase  tutta  stupefatta  pensando  tra  sé:  —  che  sia  qual- 
che principessa  costei?  — 

Il  signore  usci,  riprese  la  sua  carabina ,  mandò  Marta  a  fare  anti- 
camera, mandò  il  primo  bravo  che  incontrò  a  far -la  guardia,  perché 
nessun  altro  che  quella  donna  mettesse  piede  nella  camera;  e  poi 
usci  dal  castello,  e  prese  la  scesa ,  di  corsa. 

Il  manoscritto  non  dice  quanto  ci  fosse  dal  castello  al  paese  dov'era 
il  cardinale;  ma  dai  fatti  che  slam  per  raccontare,  rìsulla che  non  do- 
veva esser  {òù  che  una  hmga  passeggiala.  Dal  solo  accorrere  de*  val- 
ligiani ,  e  ancbe  di  gente  più  lontana ,  a  quel  paese ,  questo  non  si 
potrebbe  argomentare;  giacché  nelle  memorie  di  quel  tempo  troviamo 
che  da  \'enti  e  più  miglia  veniva  gente  in  folla,  per  veder  Federigo. 

1  bravi  che  s'abbattevano  sulla  salita,  si  fermavano  rispettosamente 
al  passar  del  signore,  aspettando  se  mai  avesse  onlini  da  dar  Ioro,o 
se  volesse  prenda'li  seco,  per  qualche  spedizione  ;  e  non  sapevao  che 
si  pensare  della  sua  aria,  e  dell'occhiale  che  dava  in  risposta  a' loro 
inchini. 


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CAPITOLO  XXII.  41S 

Quando  fu  nella  strada  puU>lica,  quello  clie  diceva  maravigliare  i 
pasaeggieri ,  era  di  cederlo  senza  seguito.  Del  resto ,  ognuao  gli  fo- 
ceva  luogo,  prendendola  larga,  quanto  sarebbe  bastalo  anctie  per  il 
svilito,  e  levandosi  rispellosamente  il  cappello.  Arrivato  ai  paese, 
trovò  una  gran  folla;  ma  il  suo  nome  passò  subito  di  bocca  in  Ixtcca; 
e  la  folla  s'  apriva.  S'accostò  a  uno,  egli  domandò  dóve  fosse  il  car- 
dinale. X  In  casa  del  curato,  n  rispose  quello,  inchinandosi,  e  gl'in- 
dico dov'era.  Il  signore  andò  là,  entrò  in  un  cortiletto  dove  c'eran 
molli  preti,  che  tutti  lo  guardarono  con  un'attenzione  maravigliala  e 
sospettosa.  Vide  dirimpetto  un  uscio  spalancalo,  che  metteva  in  un  sa- 
lollino,  deve  molti  altri  preti  eran  eongr^ati.  Sì  levò  la  carabina,  e 
l'appoggiò  in  un  canto  del  cortile;  poi  entrò  nel  salottino:  e  anche 
li,  occhiate,  bisbigli,  un  nome  ripetuto,  e  silenEÌo.  Lui,  voltatosi  a 
uno  di  quelli,  gli  domandò  dove  fosse  il  cardinale;  e  ehe  voleva  pa- 
largli. 

«  Io  son  forestiero,  »  rispose  l'interrogalo,  e  data  un'occhiata  in- 
tomo, chiamò  il  eappellano  crocìfero,  che  in  un  canto  del  salottino, 
sla\'a  appunto  dicendo  sotto  voce  a  un  suo  compagno:  «  colui?  quel 


i  ! 


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4M  I  PROHESSI  SPOSI. 

fooioso?  cbe  ha  a  far  qui  colui?  atla  larga!  »  Però,  a  quella  diiamafa 
che  risonò  nel  silenzio  generate,  dovette  venire;  inchinò  l'iimomi- 
nalo,  stette  a  sentir  quel  cbe  voleva,  e  alzando  con  una  curiosità  in- 
quieta gli  occhi  su  quel  viso,  e  riabbassandoli  subito,  rimase  lì  un 
poco,  poi  disse  o  balbettò:  «  non  saprei  se  mon^gnore  illustrissi- 
mo   in  questo  momento ai  trovi sia ... .  possa 

Basta,  vado  a  vedere  »  E  andò  a  malincorpo  a  lar  l' imbasciata  nella 
stanza  vicina,  dove  si  trovava  il  cardinale. 

A  questo  punto  della  nostra  storia ,  noi  non  possiam  br  a  meno 
di  non  fermarci  qualche  poco,  come  il  viandante,  stracco  e  tristo  da 
un  lungo  camminare  per  un  terreno  arido  e  salvatioo ,  sì  trattiene 
e  perde  un  po' di  tempo  all'ombra  d'un  bell'albero,  8uireii>a,  vicino 
a  una  fonte  d'acqua  viva.  Ci  siamo  abbattuti  in  un  persona^io,  il 
nome  e  la  memoria  del  quale,  affacciandosi,  in  qualunque  tempo,  alla 
mente,  la  ricreano  con  una  placida  commozione  di  riverenza,  e  eoa 
uri  senso  giocondo  di  simpatia:  ora,  quanto  più  dopo  tante  immi^pni 
di  dolore,  dopo  la  contemplazione  d'  una  moltiplica  e  fastidiosa  per- 
vemtà  !  Intorno  a  questo  personaggio  bisogna  assolutamente  che  noi 
spendiamo  quattro  parole:  chi  non  si  curasse  di  sentirle,  e  avesse  p«ò 
voglia  d' andare  avanti  nella  storia ,  salti  addirittura  al  capìtolo  se- 
guente. 

Federigo  Borromeo,  nato  nel  1864,  fu  degli  uomini  rari  in  qua- 
lunque tempo ,  che  abbiano  impiegato  un  ingegno  egregio ,  tutti  i 
mezzi  d'una  grand' opulenza ,  tutti  i  vantaggi  d'una  condizione  pri- 
vilegiata, un  intento  continuo,  nella  ricerca  e  nell'esercizio  del  me- 
glio. La  sua  vita  è  come  un  ruscello  che,  scaturito  limpido  dalla  roc- 
cia, senza  ristagnare  né  intorbidarsi  mai,  in  un  lungo  corso  per  diver^ 
terreni,  va  limpido  a  gettarsi  nel  fiume.  Tra  gli  agi  e  le  pompe,  badò 
fin  dalla  puerizia  a  quelle  parole  d'annegazione  e  d'  umiltà ,  a  quelle 
massime  intorno  alla  vanità  de'  piaceri,  all'ingiustizia  dell'orgoglio, 
alla  -vera  dignità  e  a'  veri  beni ,  che,  sentite  o  ncm  sentite  ne' cuori, 
vengono  trasmesse  da  una  generazione  all'altra,  nel  più  elementare  in- 
segnamento della  religione.  Badò,  dico,  a  quelle  parole,  a  quelle  mas- 
sime, le  prese  sul  serio,  le  gustò,  le  trovò  vere;  vide  che  non  pote- 
van  dunque  esser  vere  altre  parole  e  altre  massime  opposte ,  cbe 
pure  si  trasmettono  di  generazione  in  generazione,  con  la  stessa  sica- 
rezza,  e  talora  dalle  stesse  labbra;  e  propose  di  prender  per  norma 
dell'  azioni  e  de'  pensieri  quelle  cbe  erano  il  vero.  Persuaso  che  la 


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CAPITOLO  XXn.  «IH 

vila  non  è  già  desiiiub  ad  esBere  un  peso  per  molti ,  e  una  festa 
per  alcuni ,  na  per  tutti  un  impiego ,  del  quale  ognuno  renderà 
conto ,  cominciò  da  fanciullo  a  pensare  coinè  potesse  render  la  sua 
utile  e  santa. 

Nel  11(80,  manifestò  la  risoluzimie  di  dedicarsi  al  ministero  eccle- 
siastico, e  ne  prese  l'abito  dalle  mani  dì  quel  suo  cugino  Carlo  i 
che  una  fama,  già  fin  d'allora  antica  e  universale,  predicava  santo. 
Entrò  poco  dopo  nel  collegio  fondalo  da  questo  in  Pavia,  e  che  porta 


ancora  il  nome  del  loro  casato  ;  e  Ir ,  applicandosi  assiduamente  alle 
occupazioni  che  trovò  prescrìtte,  due  altre  ne  assunse  dì  sua  volontà; 
e  furono  d*  insegnar  la  dottrina  cristiana  ai  più  rozzi  e  derelitti  dei 
popolo,  e  di  visitare,  ser\'ire,  consolare  e  soccorrere  gì' infermi.  Si 
valse  dell'autorità  che  tutto  gli  conciliava  in  quel  luogo,  per  attirare 
i  suoi  compagni  a  secondarlo  in  tali  opere;  e  in  ogni  cosa  onesta  e 
profittevole  esercitò  come  un  primato  d'  esempio ,  un  primato  che 
le  sue  doti  personali  sarebbero  forse  bastate  a  procacciargli ,  se  fosse 
anche  slato  l' inlìmo  per  condizione.  I  vantaggi  d'  un  altro  genere , 
che  la  sua  gli  avrebbe  potuto  procurare,  non  solo  non  li  ricercò,  ma 
mise  ogni  studio  a  schivarìi.  Volle  una  tavola  piuttosto  povera  che 
frugale,  usò  un  vestiario  piuttosto  povero  che  semplice;  a  conformità 
di  questo ,  tutto  il  tenore  della  vita  e  il  contegno.  Né  credette  mai 


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ll«  I  PROMESSI  SPOSI. 

dì  doverlo  mutare,  per  quanto  alcuni  congionli  gridassero  e  si  la- 
mentassero che  avvilisse  così  la  dignità  delia  casa.  Un'altra  guerra 
ebbe  a  sostenere  con  gì'  istitutori ,  i  quali ,  furtivamente  e  come  per 
sorpresa,  cercavano  di  mettergli  davanti,  addosso,  intorno,  qualche 
suppellettile  più  signorile,  qualcosa  che  lo  facesse  distinguer  dagli  al- 
tri, e  figurare  come  il  prìncipe  del  luogo  :  o  credessero  di  farsi  alla 
lunga  ben  volere  eoo  ciò;  o  fossero  mossi  da  quella  svisceratezza  ser- 
vile che  s'invanisce  e  si  ricrea  nello  splendore  altrui;  o  fossero  di 
que' prudenti  che  s'adombrano  delle  virtù  come  de'  vizi,  predicano 
sempre  che  la  perfezione  sta  nel  mezzo;  e  il  mezzo  lo  fìssan  giusto 
in  quel  punto  dov'essi  sono  arrivali,  e  ci  stanno  comodi.  Federigo, 
non  che  lasciarsi  vìncere  da  que' tentativi,  riprese  coloro  che  li  face- 
vano; e  ciò  Ii-a  la  pubertà  e  la  giovinezza. 

Che,  vivente  il  cardinal  Carlo,  maggior  di  lui  dì  venlisei  anni, 


C  '  <^^!'^,^;Ì2m^mm 


davanti  a  quella  presenza  grave,  solenne,  ch'esprimeva  cosi  al  vivo 
la  santità,  e  ne  rammentava  le  opere,  e  alla  quale,  se  ce  ne  fosse 
stato  bisogno ,  avrebbe  aggiunto  autorità  ogni  momento  1'  ossequio 


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CAPITOLO  XXII.  UT 

nianiresfo  o  spontaneo  de' circostanli,  quali  e  quanti  si  fossero,  Fede* 
rigo  fanciullo  e  giovinetto  cercasse  di  conrormarsi  al  contegno  e  al 
pensare  d'  un  tal  superiore,  non  è  certamente  da  farsene  maraviglia; 
ma  é  bensi  cosa  mollo  notabile  che,  dopo  la  morte  di  lui ,  nessuno  sì 
sia  potuto  accorgere  che  a  Federigo,  allor  di  vent'anni,  fosse  mancata 
una  guida  e  un  censore.  La  fama  crescente  del  suo  ingegno,  della  sua 
dottrina  e  della  sua  pietà,  la  parentela  e  gì'  impegni  di  pit\  d'un  car- 
dinale potente,  il  credilo  della  sua  famiglia,  il  nome  stesso,  a  cui 
Carlo  aveva  quasi  annessa  nelle  menti  un'  idea  di  santità  e  di  premi- 
nenza, tutto  ciò  che  deve  ,  e  tutto  ciò  clie  può  condurre  gli  uomini 
alle  dignità  ecclesiastiche,  concorre\'a  a  pronosticargliele.  Ma  egli,  per- 
suaso in  cuore  di  ciò  che  nessuno  il  quale  professi  cristianesimo  può 
negar  con  la  bocca,  non  ci  esser  giusta  superiorità  d'  uomo  sopra  gli 
uomini,  se  non  in  loro  servìzio,  temeva  le  dignità,  e  cercava  di  scan- 
sarle; non  certamente  perchè  sfuggisse  di  servire  altrui;  che  poche 
vite  furono  spese  in  questo  come  la  sua;  ma  perchè  non  si  stimava 
abbastanza  degno  né  capace  di  così  alto  e  pericoloso  servizio.  Perciò, 
vcDOidogli,  nel  ikok,  proposto  da  Clemente  VID  l'arcivescovado  di 
Milano,  apparve  fortemente  turbalo,  e  ricusò  senza  esitare.  .Cedette 
poi  al  comando  espresso  del  papa. 

Tali  dimostrazioni,  e  chi  non  lo  sa?  non  sono  né  diflìcili  né  rare; 
e  l'ipocrisia  non  ha  bisogno  d'un  più  grande  sforzo  d' ingegno  per  farle, 
che  la  buiToneria  per  derìderle  a  buon  conto,  in  ogni  caso.  Ma  cessan 
forse  per  questo  d'esser  l'espressione  naturale  d'un  sentimento  vir- 
tuoso e  sapiente?  La  vita  è  il  paragone  delle  parole:  e  le  parole  ch'e- 
sprimono quel  sentimento,  fossero  anche  passate  sulle  labbra  di  tutti 
gl'impostori  e  di  tutti  i  betTardi  del  mondo,  saranno  sempre  belle, 
quando  siano  precedute  e  seguite  da  una  vita  di  disinteresse  e  di 
sacrifiEÌo. 

In  Federigo  arcivescovo  apparve  uno  studio  angolare  e  continuo 
di  non  prender  per  sé ,  delle  ricchezze ,  del  tempo ,  delle  cure ,  dì 
tutto  sé  stesso  in  somma ,  se  non  quanto  fosse  strettamente  necessa- 
rio. Diceva,  come  tutti  dicono,  che  le  rendite  ecclesiastiche  sono  patri- 
monio de'  poveri  :  come  poi  intendesse  infatti  una  tal  massima,  si  veda 
da  questo.  Volle  che  si  stimasse  a  quanto  poteva  ascendere  il  suo  man- 
tenimento e  quello  della  sua  servitù  ;  e  dettogli  che  seicento  scudi 
(scudo  si  chiamava  allora  quella  moneta  d'oro  che,  rimanendo  sco- 
pre dello  stesso  peso  e  titolo,  fu  poi  detta  zecchino),  diede  ordine  che 


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4iit  I  pROJiESsi  srosr. 

lauti  se  iic  contasse  ogni  anno  dalla  stia  cassa  particolare  a  quella 
della  mensa;  non  credendo  che  a  lui  ricehissiino  fosse  lecito  vivere 
di  quel  patrimonio.  Del  suo  poi  era  cosi  scarso  e  sottile  misuratore  a 
sé  stesso,  che  badava  di  non  isnietlere  un  vestilo,  prima  che  fosse 
logoro  affatto  :  unendo  però  ,  come  fu  notato  da  scrittori  contempo- 
ranei,  al  genio  della  semplicità  quello  d' una  squisita  pulizia:  due  abi- 
tudini notabili  infatti ,  in  quell'  età  sudicia  e  sfarzosa.  Similmente,  af- 
finchè nulla  si  disperdesse  degli  avanzi  ddla  sua  mensa  frugale ,  gli 
assegnò  a  un  ospizio  di  poveri;  e  uno  di  questi,  per  suoordinc,  en- 
trava ogni  giorno  nella  sala  del  pranzo  a  raccoglier  ciò  che  fosse  ri- 
masto. Cure,  che  potrebbero  forse  indur  coucelto  d'una  virtù  grclla, 
misera ,  arigustiosa ,  d'  una  mente  impaniala  nelle  minuzie ,  e  in- 
capace di  disegni  elevati  ;  se  non  fosse  in  piedi  questa  biblioteca 


ambrosiana,  i^  Federigo  ideò  con  sì  animosa  lautezza,  ed  eresse,  con 
tanto  dispendio,  da' fondamenti;  per  fornir  la  quale  di  libri  e  di  ma- 
noscritti, oltre  il  dono  de'  già  raccolti  «m  grande  studio  e  spesa  da 
lui,  spedi  Otto  uomini,  de'  più  colti  ed  esperti  die  potè  avere,  a  fame 
incetta,  per  l'Italia,  per  la  Francia,  per  la  Spagna,  per  la  Germania, 
per  le  Fiandre,  nella  Grecia,  al  Libano,  a  Gerusalemme.  (]osi  riusd 
a  radunarvi  circa  trentamila  volumi  stampati ,  e  quattordicimila  ma- 
noscrìtti.  Alla  biblioteca  uni  un  collegio  di  dottori  (furon  nove,  e 


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CAPITOLO  XXn.  tlff 

peiwonatì  da  lui  fin  àte  vfese;  dopo,  non  bastando  a  quella  spesa 
l'entrale  ordinarle,  furon  rìstrellì  a  due);  e  il  loro  ufizio  era  di  col- 
lìvarevari  studi,  teologia,  storia,  lettere,  antichità  ecclesiastiche,  lin- 
gue orientali ,  con  l' obbligo  ad  ognuno  di  pubblicar  qualche  lavoro 
salta  materia  assegnatagli  ;  v*  unì  un  colletto  da  lui  dello  trilingue , 
per  lo  studio  delle  lingue  greca ,  latina  e  italiana  ;  un  collegio  d' a- 
lunni,  die  venissero  istruiti  in  quelle  facoltà  e  lìngue,  per  insegnarle 
un  giorno;  v'unì  una  stamperia  di  lingue  orientali ,  dell' ebraica  cioè, 
della  caldea,  dell'arabica,  della  persiana,  dell' armenai  una  galleria  di 
quadri,  una  di  statue,  e  una  scuola  delle  tre  principali  arti  del  dise- 
gno. Per  queste,  potè  trovar  professori  già  formati;  per  il  rimanente, 
abbiam  visto  che  da  fare  gli  avesse  dato  la  raccolta  de' libri  ede'ma- 
iioscritli;  f^rto  pili  difficili  a  trovarsi  dovevano  essere  i  tipi  di  quelle 
lingue,  allora  molto  men  coltivate  in  Europa  che  al  presente;  più 
ancora  de'  tipi,  f^ì  nomini.  Basterà  il  dire  che,  di  nove  dottori,  otto 
ne  prese  tra  i  giovani,  alunni  del  seminario;  e  da  questo  si  può  ai^o- 
mentare  che  giudizio  facesse  degli  studi  consumati  e  delle  riputazioni 
fatte  di  quel  tempo:  giudìzio  conforme  a  quello  che  par  che  n'ab- 
bia portato  la  posterità ,  col  mettere  gli  uni  e  le  altre  in  dimenticao- 
la.  Nelle  regole  che  stabilì  per  l'usoeper  il  governo  ddla  bìblioleca, 
si  vede  un  intento  d'utilità  perpetua,  non  solamente  bello  in  sé,  ma 
in  molte  partì  sapiente  e  gentile  molto  al  di  là  dell'idee  e  dell'abi- 
tudini comuni  di  quel  tempo.  Prescrisse  al  bibliotecario  che  mante- 
nesse commercio  con  gii  uomini  più  dotti  d' Europa,  per  aver  da  loro 
notizie  dello  stato  delle  scienze,  e  avviso  de'  libri  migliori  che  venis- 
sero fuori  in  ogni  genere,  e  farne  acquisto;  gli  prescrisse  d'indicare 
agli  studiosi  i  libri  che  non  conoscessero,  e  potesser  loro  esser  utili;  or- 
dinò die  a  tutti,  fossero  cittadini  ofore6tierÌ,s)  desse  comodità  e  tempo 
di  servirsene,  secondo  il  bisogno.  Una  tale  intenzione  deve  ora  parere 
ad  ognuno  troppo  naturale,  e  immedesimala  con  la  fondazione  d'una 
biblioteca:  allora  non  era  così.  E  in  una  storia  dell' ambrouana,  scriU» 
(ed  costruito  e  con  l'eleganze  comuni  del  secolo)  da  un  Pierpaolo 
Bosca,  che  vi  fu  bibliotecario  dopo  la  morte  di  Federigo,  vien  notalo 
espressamente,  come  cosa  singolare,  che  in  questa  libreria,  eretta  d<i 
un  privato,  qua^i  tutta  a  sue  spese,  ì  libri  fossero  esposti  alla  vista 
del  pubblico,  dati  a  chiunque  li  chiedesse,  e  datogli  anche  da  sedere,  e 
carta,  penne  eealamaio,  per  prendergli  appunti  che  gli  potessero  bi- 
s<^nare;  mentre  in  qualche  altra  insigne  biblioteca  pubblica  d'Italia. 


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4  IO  I  PR<»IB3SI  SPOSI 

i  libri  non  erano  nemmen  visibìli,  ma  chiusi  in  artDadi,  donde  aot 
sì  levavano  se  non  per  gentilezza  de' bibliotecari,  quando  si  senlivano 
di  farli  vedere  un  momento;  di  dare  ai  concorrenti  il  comodo  di  stu- 
diare, non  se  n'aveva  neppur  1'  idea.  Dimodoché  arricchir  tali  bi- 
blioteche era  un  sottrar  libri  all'  uso  comune  :  una  di  quelle  coltiva- 
zioni ,  come  ce  n'  era  e  ce  n'  è  tutta\'ia  molte ,  che  isteriliscono  il 
campo. 

Non  domandate  quali  siano  stati  gli  effetti  di  questa  fondatione  del 
Borromeo  sulla  coltura  pubblica:  sarebbe  tacile  dimostrare  in  due 
frasi,  al  modo  che  si  dimostra,  che  furon  miracolosi ,  o  che  non  furoa 
niente;  cercare  e  spiegare,  (ino  a  un  certo  se^o,  quali  siano  stati 
veramente,  sarebbe  cosa  di  molla  fatica,  di  poco  costrutto,  e  fuor  di 
tempo,  Ma  pensate  che  generoso,  che  giudizioso,  che  benevolo,  che 
perseverante  amatore  del  miglioramento  umano ,  dovess'  essere  colui 
die  volle  una  tal  cosa,  la  volle  in  quella  maniera,  e  l'esegui,  io  mezzo  a 
quell'ignorantaggine,  a  quell'inerzia,  a  quell'antipatia  generale  per 
ogni  applicazione  studiosa ,  e  per  conseguenza  in  mezzo  ai  coi"  im- 
porta ?  e  e"  era  altro  da  pensare  ?  e  che  beli'  invenzione  !  e  mancava 
anche  quetta^  e  simili;  che  saranno  certissimamente  stati  più  che  gli 
scudi  spesi  da  lui  in  qucll'  impresa  ;  i  quali  furon  centocinquemila , 
la  più  parte  de'  suoi. 

Per  chiamare  un  tal  uomo  sommamente  benefico  e  liberale,  può 
(larer  che  non  ci  sia  bisogno  di  sapere  se  n'  abbia  spesi  molt'  altri 
in  soccorso  immedialo  de'  bisognosi  ;  e  ci  son  forse  ancora  di  quelli  che 
pensano  che  le  spese  di  quel  genere,  e  sto  per  dire  tutte  le  spese,  siano 
la  migliore  e  la  più  utile  elemosina.  Ma  Federigo  teneva  1'  elemosina 
propriamente  detta  per  un  dovere  prìncipalissimo  ;  e  qui ,  come  nel 
resto,  i  suoi  falli  furon  consentanei  all'opinione.  La  sua  vila  fu  un 
continuo  profondere  ai  poveri;  e  a  proposito  di  questa  stessa  carestìa 
di  cui  ha  già  parlalo  la  nostra  storia,  avremo  tra  poco  occasione  di 
riferire  alcuni  tratti,  dai  quali  si  vedrà  che  sapienza  e  che  geolilezza 
abbia  saputo  mettere  anche  in  questa  liberalità.  De'  molli  esempi  sin- 
golari che  d'ima  tale  sua  virtù  hanno  notati  i  suoi  biografi,  ne  cite- 
ramo  qui  un  solo.  Avendo  risaputo  clie  un  nobile  usava  artifizi  e  an- 
gherie per  far  monaca  una  sua  figlia,  la  quale  desiderava  piuttosto  di 
maritarsi,  fece  venire  il  padre;  e  cavatogli  di  bocca  che  il  vero  motivo 
di  qudla  vessazione  era  il  non  avere  quattromila  scudi  che,  secondo 
lui,  sarebbero  siali  necessari  a  maritar  la  figlia  convenevolmente, 


Digitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  XXIt.  411 

Federigo  la  dolo  di  quattromila  scudi.  Forse  a  taluno  parrà  questa 
una  targliezza  eccessiva,  non  ben  ponderata,  troppo  condiscendente 
agli  stolti  capricci  d'un  superbo;  e  clie  qualtromila  scudi  potevano 
esser  meglio  impiegati  in  cent'  altre  maniere.  A  questo  non  abbiamo 
nulla  da  rispondere,  se  non  che  sarebbe  da  desiderarsi  ehe  si  vedes- 
sero spesso  eccessi  d'una  virtù  cosi  libera  dall'opinioni  dominanti 
(  ogni  tempo  ha  le  sue  ) ,  così  indipendente  dalla  tendenza  generale  , 
cmna,  in  questo  caso,  Tu  quella  che  mosse  un  uomo  a  dar  quattromila 
scudi,  perchè  una  giovine  non  Tosse  falla  monaca. 

La  carità  inesausta  di  quest'  uomo,  non  meno  che  nel  dare,  spic- 
cava in  tutto  il  suo  contegno.  Di  facile  abbordo  con  tutti ,  credeva  di 
dovere  specialmente  a  quelli  che  si  chiamano  di  l>assa  condizione,  un 
viso  gioviale  ,  una  cortesia  afleltuosa;  tanto  più,  quanto  ne  trovan 
meno  nel  mondo.  E  qui  pure  ebbe  a  combattere  co'  galantuomini  del 
ne  quid  nimit,  i  quali,  in  ogni  cosa ,  avrebbero  voluto  farlo  star  ne' 
limili,  cioè  ne' loro  limiti.  Uno  di  costoro,  una  volta  che,  nella  visita 
d'un  paese  alpestre  e  salvatico,  Federigo  istruiva  certi  poveri  fan- 
ciulli, e,  Ira  l' interrogare  e  l'insegnare,  gli  andava  amorevolmente 
accarcKzando ,  l'avvertì  che  usasse  più  riguardo  nel  far  tante  carezze 
a  que'  ragazzi ,  perchè  eran  troppo  sudici  e  stomacosi  :  come  se 


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MS  I  PROUF^I  SPOSI 

supponesse,  il  buon  uomo,  che  Federigo  non  avesse  senso  altbasUiDia 
per  fare  una  tale  scoperta,  o  non  abbastanza  perspicacia,  per  trovar 
da  sé  quel  ripiego  cosi  fino.  Tale  è,  in  certe  condizioni  di  tempi  e  dì 
cose,  la  sventura  degli  uomini  costiluili  in  corte  dignità:  die  meo- 
tre  così  di  rado  si  trova  clii  gli  avvisi  de'  loro  mancamenti ,  non 
manca  poi  gente  cora^^iosa  a  riprenderli  del  loro  far  bene.  Ma  il 
buon  vescovo,  non  senza  un  certo  risentimento,  rispose:  «  sono  mie 
anime,  e  forse  non  vedranno  mai  più  la  mia  faccia;  e  nonvoletecbe 
gli  abbracci  ?  « 

Ben  raro  peri  era  il  risentimento  in  lui,  ammirato  per  la  soavità 
de'  suoi  modi,  per  una  pacatezza  imperturbabile,  che  si  sarebbe  at- 
tribuita a  una  felicità  straordinai'ia  di  temperamento;  ed  era  l' effetto 
d'una  disciplina  costante  sopra  un'  indole  viva  e  risentita.  Se  qualche 
volta  si  mostrò  severo ,  anzi  brusco ,  fu  co'  pastori  suoi  subordinali 
che  scoprisse  rei  d'  avarizia  o  di  negligenza  o  d'altre  tacce  special- 
mente opposte  allo  spìrito  del  loro  nobile  ministero.  Per  tutto  ciò  die 
potesse  toccare  o  il  suo  interesse ,  o  la  sua  gloria  tem|M>rale ,  non 
dava  mai  segno  di  gioia,  né  di  rammarico,  né  d'ardore,  né  d'agita- 
zione: mirabile  se  questi  moti  non  si  destavano  ncll' animo  suo ,  più 
mirabile  se  vi  si  desiavano.  Non  solo  da'  molli  conclavi  ai  qaali  assi- 
stette, riportò  il  concetto  di  non  aver  mai  aspiralo  a  quel  posto  cosi 
deaderabile  all' ambizione,  e  così  terribile  alla  pietà;  ma  una  volta  clic 
un  collega ,  il  quale  conlava  molto ,  venne  a  otTrìrgli  il  suo  volo  e 
quelli  della  sua  fazione  (brutta  parola,  ma  era  quella  die  usavano), 
Federigo  rifiutò  una  tal  proposta  in  modo,  che  quello  depose  il  pen- 
siero, e  si  rivolse  altrove.  Questa  stessa  modestia,  quest' avvertono 
al  predominare  apparivano  ugualmente  ndl'occasioni  più  comuni  della 
vita.  Attento  e  infaticabile  a  disporre  e  a  governare ,  dove  riteneva 
che  fosse  suo  dovere  il  farlo,  sfuggi  sempre  d' impicciarsi  negli  affari 
altrui;  anzi  sì  scusava  a  tutto  potere  dall' ingerirvisi  ricercalo:  discre-  1  | 
zione  e  rilegno  non  comune,  come  ognuno  sa,  negli  uomini  zelatori  i  > 
del  bene,  qual  era  Federigo.  |    j 

Se  colessimo  lasciarci  andare  al  piacere  di  raccogliere  i  tratti  nota-         , 
bili  del  suo  carattere,  ne  risulterebbe  certamente  un  complesso  sin-  j 

golare  di  meriti  in  apparenza  opposti,  e  certo  difficili  a  trovarsi  in-  i  { 
sieme.  Però  non  omelleremo  di  notare  un'  altra  singolarità  di  qudla  1  | 
bella  vita:  che,  piena  come  fu  d'altìvità,  di  governo,  di  funzioni,  |  , 
d' insegnamento,  d'udienze,  dì  visite  diocesane,  dì  viaggi,  di  contrasti,     I    i 


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CAPITOLO  XXII.  4» 

iton  solo  lo  sludio  ti  eU>e  una  parte ,  ma  ce  n'  ebbe  Unta ,  che  per 
un  letterato  di  professiooe  sarebbe  bastato.  E  infalli ,  con  tant'  altri 
e  divera  titoli  di  lode ,  Federigo  eblie  anche ,  presso  i  suoi  contem- 
poranei, quello  d'  uom  dotto. 

Non  dottiamo  però  dissimulare  che  tenne  con  ferma  persuasione,  e 
sostenne  in  pratica,  con  lunga  costanza,  opinioni,  che  al  giorno  d'oggi 
(irebbero  a  ognuno  piuttosto  strane  che  mal  fondate;  dico  anche  a  co- 
loro che  avrebbero  una  gran  voglia  di  trovarle  giuste.  Chi  lo  volesse 
difendere  in  questo,  ci  sarebbe  quella  scusa  così  correnle  e  ricevuta, 
ch'erano  errori  del  suo  tempo,  piuttosto  che  suoi  :  scusa  che,  per  certe 
cose,  e  quando  risulti  dall'esame  particolare  de'  fatti,  può  aver  qnalcbc 
valore,  o  anche  molto;  ma  che  applicata  cosi  nuda  e  alla  cieca,  come 
sì  fa  d'ordinario,  non  significa  proprio  nulla.  E  perciò,  non  volendo 
risolvere  con  formole  semplici  questioni  complicate,  né  allungar  troppo 
un  episodio,  tralasceremo  anche  d'esporle;  bastandoci  d'avere  accen- 
nato cosi  alla  sfuggita  che,  d'un  uomo  cosi  ammirabile  in  complesso, 
noi  non  pretendiamo  che  ogni  cosa  lo  fosse  ugualmente  ;  perchè  non 
paia  che  abbìam  voluto  scrivere  un'  orazion  funebre. 

Non  è  certamente  fare  ingiuria  ai  nostri  lettori  il  supporre  che 
qualcheduno  di  loro  domandi  se  di  taolo  ingegno  e  di  tanto  studio 
quest'uomo  abbia  lascialo  qualche  monumento.  Se  n' ha  lasciali!  Circa 
cento  son  l'opere  die  rimangon  di  lui,  Ira  grandi  e  picrole,  tra  la- 
tine e  italiane,  tra  stampate  e  manoscritte,  che  si  serbano  nella  biblio- 
teca da  lui  fondata:  trattati  di  morale,  orazioni,  dissertazioni  di  storia, 
d'antichità  sacra  e  profana,  di  letleratura,  d'arti  e  d'altro. 

—  E  come  mai,  dirà  codesto  lettore,  tanle  opere  sono  dimenticate, 
0  dmaio  cosi  poco  conosciute,  così  poco  ricercale?  Ck>me  mai,  con 
tanto  ingegno,  con  tanto  studio,  con  tanta  pratica  degli  uomini  e 
delle  cose,  con  tanto  meditare,  con  tanta  passione  per  il  buono  e  per 
il  bello,  con  tanto  candor  d' animo,  con  tant'  altre  di  quelle  qualità 
die  fanno  il  grande  scrittore,  questo,  in  cento  opere,  non  ne  ba  la- 
sdata  neppur  una  di  quelle  che  son  riputate  insigni  anche  da  chi  non 
le  approva  in  tutto,  e  conosciute  di  titolo  anche  da  chi  non  le  legge? 
Come  mai,  tutte  insieme,  non  sono  bastate  a  procurare,  almeno  col 
numero,  al  suo  nome  una  fama  letteraria  presso  noi  posteri?  — ■ 

La  domanda  è  ragionevole  senza  dubbio,  e  la  questione,  molto  in- 
teressante; perchè  le  ragioni  di  questo  fenomeno  si  troverebbero  con 
l'osservar  molti  fatti  generali:  e  trovate,  condurrebbero  alla  spiegazione 


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494  I  PROUESSI  SPOSI. 

di  più  altri  fenomeni  simili.  Ma  sarebbero  molte  e  prolisse:  e  poi  se 
non  V  andassero  a  genio?  se  vi  facessero  arricciare  il  naso  ?  Sicché 
sarà  meglio  che  riprendiamo  il  filo  della  storia,  e  cbe,  in  vece  di  d- 
calar  più  a  lungo  intorno  a  quesl'  uomo,  andiamo  a  vederlo  in  azione, 
con  là  giuda  de)  nostro  autore. 


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CAPITOLO  XXiiI 


ordinai Fedeiij^o, iiilaiilo  clic  a&|)vlla^'a  l'ora 
d'  andar  in  chiesa  a  Celebrar  gli  ufizi  di- 
vini, stava  studiando,  com'era  solito  di  fare 
in  lutti  i  ritagli  di  tempo;  quando  entrò  il 
eappellano  crocifero,  con  un  viso  alterato. 
u  Una  strana  vìsita ,  strana  davvero , 
monsignore  illustrissimo!  " 

u  Chi  è?  »  domandò  il  cardinale. 
"  Niente  meno  clic  il  signor .  ,  .  «  ri- 
prese il  cappellano;  e  spiccando  le  sillabe 
con' una  gran  significazione,  proferi  quel  nome  che  noi  non  possiamo 
scrivere  ai  nostri  lellori.  Poi  soggiunse:  "  è  qui  fuori  in  persona;  e 
chiede  nient' altro  che  d'esser  introdotto  da  vossignoria  illuslrissima.  » 
u  Lui!  "  disse  il  cardinale,  con  un  viso  animato,  cliìudendo  il  li- 
bro, e  alzandosi  da  sedere:  «  venga!  venga  subilo!  " 


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(Sfì  I  TROUESSI  SPOSI 

»  Ma  .  .  ■  ."  replicò  il  cappellano,  senza  moversi:  "  vossignoria 
illiisli-issima  deve  sapere  chi  è  costui:  quel  bandito,  quel  famoso. . .  » 

"  E  non  è  una  fortuna  per  un  vescovo,  che  a  un  tal  uomo  sia 
naia  la  volontà  di  lenirlo  a  trovare?  « 

u  Ma  ...  1  insistette  il  eappellano:  "  noi  non  possiamo  mai  par- 
lare di  certe  cose,  perchè  monsignore  dice  che  le  son  ciance;  però, 
quando  \iene  il  caso,  mi  pare  che  sia  wi  dovere ....  Lo  zelo  ta  de' 
nemici,  munsrgnorej  e  noi  sappiamo  positivamente  che  più  d'un  ri- 
baldo ha  osato  vantarsi  che,  un  giorno  o  l'altro  ....  » 

u  E  che  hanno  fallo  ?  »  interruppe  il  cardinale. 

«•  Dico  che  costui  è  un  appaltatore  dì  delitti,  un  disperalo,  che 
tiene  corrispondenza  co*  disperali  più  furiosi ,  e  che  può  esser  man- 
dato ....  » 

u  Oh,  che  disciplina  è  codesta,  n  interruppe  ancora  sorridendo 
Federigo,  «  che  ì  soldati  esorlino  ÌI  generale  ad  aver  paura?  »  Poi, 
divenuto  serio  e  pensieroso ,  riprese  :  u  san  Carlo  non  si  sarebbe  Irò- 
vato  nel  caso  di  dibattere  se  dolesse  ricevere  un  lai  uomo  :  sarebbe 
andato  a  cercarlo.  Fatelo  entrar  subito  :  ha  già  aspellato  Iroppo.  » 


Il  cappellano  si  mosse ,  dicendo  Ira  sé  :  —  non  e'  è  rimedio  :  tutti 
questi  santi  sono  ostinati.  — 


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CAPITOLO  XXIII.  431 

Aperto  l'uscio,  e  affacciatosi  alla  stanza  dov'era  il  signore  e  la  bri- 
gata, vide  questa  ristretta  in  una  parte,  a  bisbigliare  e  a  guardar  di 
solt' occhio  quello,  lasciato  solo  in  un  canto.  S'avviò  verso  di  lui;  e 
intanto  squadrandolo,  come  poteva,  con  la  coda  dell'occhio,  andava 
pensando  che  diavolo  d'armeria  poteva  esser  nascosta  sotto  quella  ca- 
sacca; e  che,  veramente,  prima  d' introdurlo,  avrebbe  dovuto  proporgli 
almeno ....  ma  non  si  seppe  risolvere.  Gli  s'accostò,  e  disse:  u  mon- 
signore  aspetta  vossignoria.  Si  conlenti  di  venir  con  me.  "  E  prece- 
dendolo in  quella  piccola  folla,  che  subilo  fece  ala ,  dava  a  destra  e 
a  sinistra  occhiate,  le  quali  signiOcavano  :  cosa  volete?  non  lo  sapete 
anche  voi  altri,  che  fa  sempre  a  modo  suo? 


Appena  introdotto  l'innominato,  Federigo  gli  andò  incontro,  con  un 
volto  premuroso  e  sereno,  e  con  le  braccia  aperte,  come  a  una  per- 
sona desiderata,  e  fece  subilo  cenno  al  cappellano  che  uscisse:  il  quale 
ubbidì. 

I  due  rimasti  stettero  alquanto  senza  parlare,  e  diversamente  so- 
spesi. L'innominato,  ch'era  stato  come  portalo  lì  per  forza  da  una 
smania  inesplicabile ,  piuttosto  che  condotto  da  un  determinalo  dise- 
gno, ci  stava  anche  come  per  forza,  straziato  da  due  passioni  opposte, 


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413  I  PR0UE3S1  SPOSI 

quel  desiderio  e  quella  speranza  confusa  di  trovare  un  refrigerio  a 
tormento  interno,  e  dall'  altra  parte  una  stizza,  una  vergogna  di  ve- 
nir li  come  un  pentito,  come  un  sottomesso,  come  un  miserabile,  a 
confessarsi  in  colpa,  a  implorare  un  uomo:  e  non  trovava  parole,  né 
quasi  ne  cerca\'a.  PerA,  alzando  gli  occhi  in  viso  a  quell'uomo,  si  sea- 
tiva  sempre  più  p^etrare  da  un  sentimento  di  venerazione  imperioso 
insieme  o  soave,  che,  aumentando  la  fiducia,  mìtigava'il  dispetto,  e 
senza  prender  l'orgoglio  di  fronte ,  l'abbatteva  ,  e,  dirò  così ,  gì'  im- 
poneva  silenzio. 

La  presenza  di  Federigo  era  infatti  di  quelle  che  annunziano  una 
superiorità,  e  la  fanno  amare.  Il  portamento  era  naturalmente  (impo- 
sto, e  quasi  involontariamente  maestoso,  non  incurvato  né  impigrito 
punto  dagli  anni;  l'occhio  grave  e  vivace,  la  fronte  serena  e  pensie- 
rosa; con  la  canizie,  nel  pallore,  Ira  i  segni  dell' astinenza,  della  me- 
ditazione, della  fatica,  una  specie  di  floridezza  verginale:  tutte  le  forme 
del  volto  indicavano  che,  in  altre  età,  c'era  stata  quella  che  più  pro- 
priamente si  chiama  bellezza;  l'abitudine  de'  pensieri  solenni  e  bene- 
voli, la  pace  interna  d'una  lunga  vita,  l'amore  degli  uomini ,  la  gioia 
continua  d'  una  speranza  ineffabile ,  vi  avevano  sostituita  una ,  direi 
quasi,  bellezza  senile,  che  spiccava  ancor  più  in  quella  magnifica  sem- 
plicità della  porpora. 

Tenne  anche  lui,  qualche  momento,  fìsso  nell'aspetto  dell'  innomi- 
nato il  suo  sguardo  penetrante,  ed  esercitato  da  lungo  tempo  a  ri- 
trarre dai  sembianti  i  pensieri;  e,  sotto  a  quel  fosco  e  a  quel  turbato, 
parend<^li  di  scoprire  sempre  più  qualcosa  di  ctmforme  alla  speranza 
da  lui  concepita  al  primo  annunzio  d'una  tal  visita,  tutt' animalo, 
«  oh!  n  disse:  u  che  preziosa  visita  è  questa!  e  quanto  vi  devo  es- 
ser grato  d'una  sì  buona  risoluzione  ;  quantunque  per  me  abbia  un 
po' del  rimprovero!  » 

"  Rimprovero!  n  esclamò  il  signore  maraviglialo,  ma  raddolcito  da 
quelle  parole  e  da  quel  fare,  e  contento  che  il  cardinale  avesse  rotto 
il  ghiaccio,  e  avvialo  un  discorso  qualunque. 

«  Certo,  m'è  un  rimprovero,  »  riprese  questo,  "  eli'  io  mi  sia  la- 
sciato prevenir  da  voi  ;  quando ,  da  tanto  tempo ,  (ante  volle ,  avrei 
dovuto  venir  da  voi  io.  » 

"  J>a  me,  voi!  Sapete  chi  sono?  V'hanno  detto  bene  il  mìo  nome?» 

■"  E  questa  consolazione  eh'  io  sento,  e  che,  certo,  vi  si  ntanifesla 
nel  mio  aspetto,  vi  par  egli  ch'io  dolessi  provarla  all'annunzio,  alla 


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CAPITOLO  XXIII.  JS9 

vista  d'uno  sconosciuto?  Siete  voi  che  me  la  fate  provare;  voi,  dico, 
che  avrei  dovuto  cercare;  voi  che  almeno  ho  lanlo  amalo  e  pianto, 
per  cui  ho  tanto  pregato;  voi,  de'  miei  figli,  che  pure  amo  tutti  e  di 
cuore,  quello  che  avrei  più  desiderato  d'accogliere  e  d'abbracciare,  se 
avessi  creduto  di  poterlo  sperare.  Ma  Dio  sa  fare  Egli  solo  le  maravi- 
glie,  e  supplisce  alla  debolezza,  alla  lentezza  de' suoi  poveri  servi.  « 
L'innominato  stava  attonito  a  quel  dire  cosi  infiammato,  a  quelle 
parole,  che  rispondevano  tanto  risolutamente  a  ciò  che  non  aveva  an- 
cor detto,  né  era  ben  determinato  di  dire;  e  commosso  ma  sbalordito, 
slava  in  silenzio.  "E  che?»  riprese,  ancor  più  aFTeltuosamente ,  Fede- 
rigo: <•  voi  avete  una  buona  nuova  da  darmi,  e  me  la  fate  tanto  so- 
spirare? " 


«  Una  buona  nuova,  io?  Ho  l'inferno  nel  cuore;  e  vi  darò  una 
buona  nuova?  Ditemi  voi,  se  lo  sapete,  qual  è  questa  buona  nuova 
che  aspettate  da  un  par  mio.  » 

«  Che  Dio  v'  ha  toccato  il  cuore ,  e  vnol  farvi  suo ,  »  rispose  pa- 
catamente il  cardinale. 


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tIO  I  PttOUESSl  SPOSI 

K  Dio!  Dio!  Dio!  Se  lo  vedessi!  Se  Io  sentissi!  Dov'è  questo  Dio?» 

a  Voi  me  lo  domandate  ?  voi?  E  chi  più  di  voi  l'ha  vicino?  Non 
ve  lo  sentite  in  cuore,  che  v'opprime,  che  v'agita,  che  non  vi  lascia 
stare,  e  nello  stesso  tempo  v'attira,  vi  fa  presentire  una  speranza  di 
quiete,  di  consolazione,  d'una  consolazione  che  sarà  piena,  immensa, 
subilo  che  voi  lo  riconosciate ,  lo  conressiale ,  l' impiliate  ?  » 

«  Oh,  certo!  ho  qui  qualche  cosa  che  m'opprime,  che  mi  rode! 
IMa  Dio  !  Se  c'è  questo  Dio ,  se  è  quello  che  dicono ,  cosa  volete  che 
fàccia  di  me?  • 

Queste  parole  furon  dette  con  un  accento  disperato;  ma  Federigo, 
con  un  tono  solenne,  come  di  placida  ispirazione,  rispose:  «cosa  può  far 
Dio  di  voi?  cosa  ^'uol  farne?  Un  segno  della  sua  potenza  e  della  sua 
bontà:  vuol  cavar  da  voi  una  gloria  che  nessun  altro  gli  potrebbe  dare. 
Che  il  mondo  gridi  da  lanto  tempo  contro  di  voi,  che  mille  e  mille  voci 
detestino  le  vostre  opere ...»  (T  innominalo  si  scosse,  e  rimase  stu- 
pefatto un  momento  nel  sentir  quel  linguaggio  così  insolito,  più  stupefallo 
ancora  dì  non  provarne  sdegno,  anzi  quasi  un  sollievo);  »  che  gloria,  » 
proseguiva  Federigo,  «  ne  viene  a  Dio?Son  voci  dì  terrore,  sonvoeì 
d'interesse;  voci  forse  anche  di  giustizia,  ma  d'una  gìuslizia  così  facile, 
così  naturale!  alcune  forse,  pur  troppo,  d'invìdia  di  codesta  vostra  scia- 
gurata potenza,  di  codesta,  lino  ad  oggi,  deplorabile  sicurezza  d'animo. 
Ma  quando  voi  slesso  sorgerete  a  condannare  la  vostra  vita.adaccusu' 
voi  slesso,  allora!  allora  Dio  sarà  glorificato!  E  voi  domandate  cosa 
Dio  possa  far  di  voi?  Chi  son  io  pov^  uomo,  che  sappia  dirvi  fin 
d'ora  che  profitto  possa  ricavar  da  voi  un  tal  Signore?  cosa  possa 
fare  di  codesta  volontà  impetuosa,  di  codesta  imperturbata  costanza, 
quando  l'aUMa  animata,  infiammata  d'amore,  di  speranza,  di  penti- 
mento? Chi  siete  voi,  poveK  uomo,  che  vi  peasiate  d'aver  sapulo  da 
voi  immaginare  e  fare  cose  più  grandi  nel  male ,  che  Dio  non  possa 
farvene  volere  e  operare  nel  bene?  Cosa  può  Dio  far  di  voi?  E  per- 
donarvi  ?  e  larvi  salvo?  e  compire  ia  voi  l'opera  della  redeozioDe?  Non 
son  cose  magnifiche  e  degne  di  Luì?  Oh  pensale!  se  io  omiccialolo, 
io  miserabile,  e  pur  a)si  pieno  di  me  stesso,  io  qual  mi  sono,  mi 
struggo  ora  tanto  della  vostra  salute,  che  per  essa  darei  con  gaudio 
(Egli  m'é  testimonio)  questi  pochi  giorni  che  mì  rimangono;  oh  pen- 
sate !  quanta ,  quale  debba  essere  la  carità  di  Colui  che  m' infonde 
questa  cosi  imperfetta,  ma  cosi  viva;  come  vi  ami,  come  vi  voglia 
Quello  che  mi  comanda  e  m' ispira  un  amore  per  voi  che  mi  divora!  » 


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CAPITOLO  X\lll.  4SI 

A  misura  che  queste  parole  uscivan  dal  suo  labbro ,  il  volto ,  lo 
sguardo,  ogni  moto  ne  spirava  il  senso.  La  faccia  del  suo  ascoltatore, 
di  stravolta  e  convulsa,  si  fece  da  principio  attonita  e  intenta;  poi  si 
compose  a  una  commozione  più  profonda  e  meno  angosciosa  ;  i  suoi 
occhi,  che  dall'infanzia  più  non  conoscevan  le  lacrime,  si  gonfiarono; 
quando  le  parole  furon  cessate,  si  copri  il  viso  con  le  mani,  e  cUede 
in  un  dirotto  pianto,  che  fu  come  V  ultima  e  più  chiara  risposta. 


«  Dio  grande  e  buono  1  »  esclamò  Federigo,  alzando  gli  occhi  e  le 
mani  al  cielo  :  u  che  ho  mai  fatto  io ,  servo  inutile ,  pastore  sonno- 
lento, perchè  Voi  mi  chiamaste  a  questo  convito  di  grazia,  perchè  mi 


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ist  I  PROHCSSI  SPOSI 

faceste  degno  &  assistere  a  un  si  giocondo  prodìgio  !  »  Go6Ì  dìceodo, 
slese  la  mimo  a  preoder  quella  dell'  innominato. 

"  No!  "  gridò  questo,  «  no!  lontano,  lontano  da  me  voi:  nonlor 
date  quella  mano  innocente  e  benefica.  Non  sapete  tutto  ciò  cbe  ha 
latto  questa  che  volete  stringere.  » 

«  Lasciale,  «  disse  Federigo,  prendendola  con  amorevole  violenza, 
"  lasciate  cti'  io  stringa  codesta  mano  che  riparerà  tanti  torti ,  die 
spargerà  lanle  beneficenze,  che  solleverà  tanti  afflitti,  che  si  stendcrii 
disarmata,  pacifica,  umile  a  tanti  nemici.  » 

«  É  troppo!  »  disse,  ^nghìozzando,  l'innominato.  "  Lasciatemi, 
mon^gnore;  buon  Federigo,  lasdalemi.  Un  popolo  affollato  v'aspetta; 
lant'  anime  buone ,  lant'  innocenti ,  tanti  venuti  da  lontano ,  per  ve- 
dervi una  volta,  per  sentirvi:  e  voi  vi  trattenete  ....  cimi  chi  !  » 

•i  Lasdamo  le  novanlanove pecorelle,»  rispose  il  cardinale:  u  sodo 
in  sicuro  sul  monte  :  io  voglio  ora  stare  con  quella  eh'  era  smarrita. 
Queir  anime  son  forse  ora  ben  più  contente ,  che  di  vedere  questo 
povero  vescovo.  Forse  Dio,  che  lia  operato  in  voi  il  prodigio  della 
misericordia ,  diffonde  in  esse  una  gioia  di  cui  non  sentono  ancora 
la  cagione.  Quel  popolo  è  forse  unito  a  noi  senza  saperlo:  forse  lo 
Spirilo  metto  ne'  loro  cuori  un  ardore  indistinto  d<  carila,  una  pre- 
ghiera ch'esaudisce  per  voi,  un  rendimento  di  grazie  di  cui  voi  siete 
l'oggetto  non  ancor  conosciuto.  »  Cosi  dicendo,  stese  le  braccia  al 
collo  dell'innominato;  il  quale,  dopo  aver  tentato  di  sottrarsi,  e  resi- 
stilo un  momento,  cedette,  come  vinto  da  quell'impeto  di  carità,  ab- 
bracciò anche  lui  il  cardinale,  e  abbandonò  sull'omero  di  lui  il  suo 
volto  tremante  e  mutalo.  Le  sue  lacrime  ardenti  cadevano  sulla  por- 
pora incontaminata  di  Federigo:  e  le  mani  incolpevoli  di  questo  strin- 
gevano alTettuosamente  quelle  membra,  premevano  quella  casacca,  av- 
vezza a  portar  l'armi  della  violenza  e  del  Iradimento. 

L'innominato,  sciogliendosi  da  quell'abbraccio,  si  coprì  di  nuovo 
gli  occhi  con  una  mano,  e,  alzando  insieme  la  faccia,  esclamò:  «  Dio 
veramente  grande!  Dio  veramente  buono!  io  mi  conosco  ora,  com- 
prendo chi  sono;  le  mie  iniquità  mi  slaimo  davanU;  ho  ribrezzo  di 

me  stesso;  eppure !  eppure  provo  un  refrigerio,  una  gioia ,  si 

una  gioia,  quale  non  ho  provata  mai  in  tutta  questa  mia  orribile  vita!  •• 

<•  É  un  saggio,  «  disse  Federigo,  «  che  Dio  vi  dà  per  cattivarvi 
al  suo  servìzio,  per  animarvi  ad  entrar  risolulamento  nella  nuova  vita 
io  cui  avrete  tanto  da  disfare,  tanto  da  riparare,  tanto  da  piangere!  n 


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capìtolo  XXIII.  4SS 

u  Me  svenluralo!  »  esclamò  il  ^gnore,  u  quanlt:,  quante  ....  cose, 
le  quali  non  potrò  se  non  piangere  !  Ma  almeoo  ne  ho  d' intraprese, 
d'appena  avviate,  cbe  posso,  se  non  aJtro,  rompere  a  mezzo:  una  ne 
Iw ,  che  posBO  romper  subito  ,  disfare ,  riparare.  » 

Federigo  si  mise  in  attenzione;  e  l'inDomÌDato  raccontò  brevemente, 
ma  con  parole  d' esecrazione  anche  più  forti  di  quelle  che  abbiamo 
adoprato  noi,  -la  prepotenza  fatta  a  Lucia,  i  terrori ,  i  patimenti  della 
poverina,  e  come  aveva  imploralo,  e  la  smania  che  quell'  implorare 
aveva  messa  addosso  a  lui ,  e  come  essa  em  ancor  nel  castello 

X  Ah,  non  perdiam  tempo!  »  esclamò  Federigo,  ansante  di  pietà  e 
di  sollecitudine,  u  Beato  voi  !  Questo  è  pegno  del  perdono  di  Dio  !  far 
che  possiate  diventare  strumento  di  salvezza  a  chi  volevate  esser  di 
rovina.  Ditf  vi  benedica  !  Dio  v'  ha  benedetto  !  Sapete  di  dove  sia  que- 
sta povera  nostra  travagliata?  ■' 

Il  signore  nominò  il  paese  di  Lucia. 

"  Non  è  lontano  di  qui,.  "  disse  il  cardinale  :  u  lodato  sia  Dio  ;  e 
probabilmente . .  . .  >>  Così  dicendo ,  corse  a  un  tavolino ,  e  scosse  un 
campanello.  E  subito  entrò  con  ansietà  il  cappellano  crodfero ,  e  per 
la  prima  cosa,  guardò  l'innominato;  e  vista  quella  faccia  mutata,  e 
quegli  occhi  rossi  di  pianto,  guardò  il  cardinale;  e  sotto  queir  JnaKe- 
I-abile  compostezza ,  scorgendogli  in  volto  come  un  grave  contento , 
e  una  premura  quasi  impaziente,  era  per  rimanere  estatico  con  la 
txwca  aperta ,  se  il  cardinale  non  l'avesse  subito  svegliato  da  quella 
contemplazione,  domandandogli  se,  tra  i  parrochi  radunati  li ,  si  trovasse 
quello  di  *  *  *. 

«C'è,  monsignore  illustrissimo,  n  rispose  il  cappellano. 

"  Fatelo  venir  subilo ,  »  disse  Federigo ,  "  e  con  luì  ÌI  parroco 
qui  della  chiesa.  » 

11  cappellano  uscì,  e  andò  nella  stanza  dov'  eran  que'  preti  riuniti: 
tutti  gli  occhi  si  rivolsero  a  lui.  Luì,  con  la  bocca  tuttavia  aperta, 
col  viso  ancor  tutto  dipinto  di  quell'  estasi ,  alzando  le  mani ,  e  mo- 
vendole per  aria,  disse  :  «  signori  !  signori  !  kaec  mutatìo  dexterae 
Exèelsi.  »  E  stelle  uà  momento  senza  dir  altro.  Poi,  ripreso  il  tono  e 
la  voce  della  earìca,  soggiunse  :  «  sua  signoria  illustrissima  e  reveren- 
dissima  vuole  il  «gnor  curato  della  parrocchia,  e  il  signor  curato  di  '**,  » 

11  primo  chiamato  venne  subito  avanti,  e  nello  stesso  tempo ,  usci 
di  mezzo  alla  folla  im:  "  io?  «  strasdcato,  con  un'intonazione  di  ma- 


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ts*  I  PROUESSI  SPOSI. 

"  Non  è  lei  il  signor  curato  dì  '  *  '  ?  «  riprese  il  cappdlano. 

«  Per  l'appuDlo;  ma  ....  » 

u  Sua  signoria  illustrissima  e  reverendissiina  vuol  lei.  " 

u  Me?  n  disse  ancora  quella  voce,  significando  chiaramente  in  quel 
monosillabo:  come  ci  posso  entrar  io?  Ma  questa  volta,  insieme  con 
la  voce,  venne  fuori  l'uomo,  don  Abbondio  in  persona,  oon  un  passo 


forzato,  e  con  un  viso  tra  l'attonito  e  il  disgustalo.  Il  cappellano  gli  fece 
un  cenno  conia  mano, che  voleva  dire: a  noi; andiamo;  ci  vuoi  tanto? 
E  precedendo  i  due  curati ,  andò  all'  uscio,  l' apri,  e  gì'  introdusse. 

II  cardinale  lasciò  andar  la  mano  dell'innominato,  col  quale  intanto 
aveva  concertato  quello  che  dovevan  fare;  si  discosto  un  poco,  e  chiamò 
con  un  cenno  il  curato  della  chiesa.  Gli  disse  in  succinto  di  che  si 
trattava  ;  e  se  saprebbe  trovar  subito  una  buona  donna  che  volesse 
andare  in  una  lettiga  al  castello,  a  prender  Lucia:  una  donna  di  cuore 
e  di  testa,  da  sapersi  ben  governare  in  una  spedizione  cosi  nuo^a , 
e  usar  le  maniere  più  a  proposito ,  tro\'ar  le  parole  più  adattale ,  a 


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CAPITOLO  XVIir.  (3i( 

rìneorare,  a  tranquillizzare  quella  poverina,  a  cui,  dopo  (anle  angosce, 
e  in  tanto  turbamento,  la  liberazione  elessa  poteva  mettxir  nell'animo 
una  nuova  confusione.  Pensalo  un  momento,  il  curato  disse  che  aveva 
la  persona  a  proposilo,  e  usa.  Il  cardinale  chiamò  con  un  altro  cenno 
il  cappellano ,  al  quale  ordinò  che  facesse  preparare  subito  la  lettiga 
e  t  lettighieri,  e  sellare  due  mule.  Uscito  anche  il  cappellano,  si  voltò 
a  don  Abbondio. 

Questo,  che  già  gli  era  vicino,  per  tenersi  lontano  da  quell'altro 
signore,  e  che  intanto  dava  un'occhiatina  di  sotto  in  su  ora  all'uno  ora 
all'altro,  seguitando  a  almanaccar  tra  sé  che  cosa  mai  potesse  essere 
tutto  quel  rigirio ,  s'  accostò  di  più ,  fece  una  riverenza ,  e  disse  : 
«m'hanno  significato  che  vossignoria  illuslrìssima  mi  voleva  me;  ma 
io  credo  clie  abbiano  sbaglialo.  » 

a  Non  hanno  sbaglialo,  «  rispose  Federigo:  uho  una  buona  nuova 
da  darvi ,  e  un  consolante,  un  soavissimo  incarico.  Una  vostra  par- 
rocdiiana,  che  avrete  pianta  per  ismarrita.  Lucia  Mondella,  è  ritro- 
vata, è  qui  vicina,  in  casa  di  questo  mio  caro  amico;  e  voi  anderete 
ora  con  lui,  e  con  una  donna  che  il  signor  curalo  di  qui  è  andato  a 
cercare,  anderete,  dico,  a  prendere  quella  vostra  creatura,  e  l'accom' 
pagnwele  qui.  « 

Don  Abbondio  fece  di  tutto  per  nascondere  la  noia,  che  dico?  l'af- 
bnno  e  l'amaritudine  che  gli  dava  una  tale  proposta,  o  comando  che 
fosse;  e  non  essendo  più  a  tempo  a  sciogliere  è  a  scomporre  uii  vei-- 
saccio  già  formato  sulla  sua  faccia,  lo  nascose,  chinando  profondamente 
la  testa ,  in  segno  d'  ubbidienza.  E  non  l' alzò  che  per  fare  un  altro 
profondo  inctiino  all'innominato,  con  un'occhiata  pietosa  die  diceva: 
sono  nelle  vostre  mani:  abbiale  misericordia:  parcere  subjectis. 

Gli  domandò  poi  il  cardinale,  che  parenti  avesse  Lucia. 

«  Di  stretti,  e  con  cui  viva,  o  vivesse,  non  ha  che  la  madre ,  " 
rispose  don  Abbondio. 

«  E  questa  sì  trova  al  suo  paese?  » 

«  Monsignor ,  sì.  n 

"  Giac^è,  »  riprese  Federigo,  •*  quella  povera  giovine  non  potrà 
esser  cosi  presto  restituita  a  cosa  sua ,  le  sarà  una  gran  consolazione 
di  veder  subito  la  madre:  quindi,  se  il  signor  curalo  di  qui  non  torna 
prima  ch'io  vada  in  chiesa,  falerni  voi  il  piacere  di  dirgli  che  trovi 
UQ  baroccio  o  una  cavalcatura;  e  spedisca  un  uomo  di  giudizio  a  cer- 
car quella  donna,  per  condurla  qui.  « 


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1  PROMESSI  SPOSI. 


'  E  se  anda&si  io  ?  «  disse  don  Abbondio. 

'  No,  no,  voi:  v'ho  già  pregalo  d'altro,  «  rispose  il  cardinale. 


I  I 

li 


"  Dicevo ,  »  replicò  doo  Abbondio ,  »  per  disporre  queIJa  povera 

madre.  E  una  donna  molto  sensitiva;  e  ci  vuole  uno  che  la  conosca,  | 

e  la  sappia  prendere  per  il  suo  verso,  per  non  forte  male  in  vece  di  ì   ' 

bene.  >•  I   ^ 

«  E  per  questo,  vi  prego  d'avvertire  il  signor  curato  che  scelga  |   | 

un  uomo  dì  proposito:   voi  siete  mollo   più   necessario  altrove,  ^  |    : 

rispose  il  cardinale.  E  avrebbe  voluto  dire  :  quella  povera  giovine  lia  1    \ 

molto  più  bisogno  di  veder  subito  una  faccia  conosciuta,  una  persona  j    | 

sicura  ,  in  quel  castello ,  dopo  lanl'  ore  di  spasimo ,  e  in  una  lerribilc  I    '. 

oscurità  dell'  avvenire.  Ma  questa  non  era  ragione  da  dirsi  così  chia-  I 

ramenle  davanti  a  quel  terzo.  Parve  però  strano  al  cardinale  che  doo  , 

AU)ondio  non  l'avesse  intesa  per  aria,  anzi  pensala  da  sé;  ecosifoor  i 

di  luogo  gli  parve  la  proposta  e  l'insistenza,  che  pensò  doverci  esser  > 

sotto  qualche  cosa.  Lo  guardò  in  viso,  e  vi  scopri  facilmente  la  paura  ' 

di  viaggiare  con  quell'uomo  tremendo,  d'andare  in  quella  casa,  ao-  \ 

che  per  poclii  momenli.  Volendo  quindi  dissipare  aflatto  queir  ombre  , 


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CAPITOLO  XXIII.  «M 

codarde,  e  non  piacendogli  di  tirare  in  disparte  il  curato  e  di  bisbigliar 
con  Ini  in  s^pvto,  mentre  il  suo  nuovo  amico  era  li  in  terzo,  pensò 
die  il  mezzo  più  opportuno  era  di  far  ciò  che  avrebbe  fallo  anche 
senza  questo  motivo ,  parlare  air  innominalo  medesimo  ;  e  dalle  sue 
risposte  don  Abbondio  intenderebbe  finalmente  die  quello  non  era  più 
uomo  da  averne  paura.  S'avvicinò  dunque  all'innominato,  e  con  quel- 
l'aria di  spontanea  confidenza,  che  si  trova  in  una  nuova  e  potente  af- 
fezione, come  in  un'antica  intrtnsieliezza,  «non  crediate,  »  gli  disse, 
u  ch'io  mi  contenti  di  questa  visita  per  oggi.  Voi  tornerete,  n' é  vero  ? 
in  compagnia  di  questo  ecclesiastico  dabbene?  » 

«  S'io  tornerò?  n  rispose  l'innominato:  »  quando  voi  mi  rifiulaste, 
rimarrei  ostinato  alla  vostra  porla,  come  il  povero.  Ho  bisogno  di  par- 
larvi! ho  bisogno  di  sentirvi,  di  vedervi!  ho  bisogno  di  voi!  » 

Federigo  gli  prese  la  mano,  gliela  strinse,  e  disse:  «  favorirete 
dunque  di  restare  a  desinare  con  noi.  V'aspetto.  Intanto,  io  vo  a  pre- 
gare, e  a  render  grazie  col  popolo;  e  voi  a  celliere  i  primi  frutti  della 
misericordia.  » 

Don  Abbondio,  a  quelle  dimoslraziobi,  stava  come  un  ragazzo  pau- 
roso, che  veda  uno  accarezzar  &m  sicurezza  un  suo  cagnaccio  grosso, 
rabbuffato,  con  gli  occhi  rossi,  con  un  nomaccio  famoso  per  mor»  e 
per  ispaventì,  e  senta  dire  al  padrone  che  il  ^o  cane  e  un  buon  be- 
stione, quieto,  quieto:  guarda  il  padrone,  e  non  contraddice  né  ap- 
prova; guarda  il  cane,  e  non  ardisce  accostarglisi ,  per  timore  clic  il 
buon  bestione  non  gli  mostri  i  denti,  fosse  anche  per  fargli  te  feste; 
non  ardisce  allontanarsi ,  per  non  farsi  scorgere  ;  e  dice  in  cuor  suo  : 
oh  se  fossi  a  casa  mia  ! 

Ai  cardinale,  che  s'era  mosso  per  uscire,  tenendo  sempre  per  la 
mano  e  conducendo  seco  l'innominato,  diede  di  nuovo  nell'occhio  il 
pover  uomo,  che  rimaneva  indietro,  mortificato,  malcontento,  facendo 
il  muso  senza  volerlo.  E  pensando  che  forse  quel  dispiacere  gli  po- 
tesse anche  venire  dal  parergli  d'esser  trascurato,  e  come  lascialo  in 
un  canto,  tanto  più  in  paragone  d'un  facinoroso  cosi  ben  accolta,  cosi 
accarezzalo ,  se  gli  voltò  nel  passare ,  si  fermò  un  momento ,  e  con 
un  sorriso  amorevole,  gli  disse:  "  signor  curato,  voi  siete  sempre  con 

me  nella  casa  del  nostro  buon  Padre;  ma  questo questo  perierat, 

et  mventus  est.  » 

«  Oh  quanto  me  ne  rallegro  !  »  disse  don  Àtdxmdio,  facendo  una 
gran  riverenza  a  tult'  e  due  in  comune. 


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«ss  I  PROMESSI  SPOSI. 

L' arcivescovo  andò  avanti,  spinse  1'  uscio,  che  fu  subilo  spalancalo 
di  fuori  da  due  servilori ,  clic  stavano  uno  di  qua  e  uno  di  là  :  e  la 
mirabile  coppia  apparve  agli  sguardi  bramosi  del  clero  raecolfo  nella 
stanza.  Si  videro  que'  due  volti  sui  quali  era  dipinta  una  commoùone 
diversa,  ma  ugualmente  profonda;  una  tenerezza  riconoscente,  un'u- 
mile gioia  nell'aspetto  venerabile  di  Federigo;  in  quello  dell'innomi- 
nato, una  confusione  temperala  di  conforto,  un  nuovo  pudore,  una 
compunzione ,  dalla  quale  però  traspariva  tuttavia  il  vigore  di  quella 
selvaggia  e  risentila  natura.  E  si  seppe  poi,  che  a  più  d'uno  de' ri- 
guardanti era  allora  venuto  in  mente  quel  dello  d'Isaia:  il  lupo  e  l'a- 
gnèllo atìdranno  ad  un  patcolo;  il  leone  e  il  bue  mangeranno  inaiente 
lo  tirarne.  Dietro  veniva  don  Abbondio ,  a  cui  nessuno  badò. 


Quando  furono  nel  mezzo  delia  stanza,  entrò  dall'altra  parte  l'aiu- 
tante di  camera  del  cardinale,  e  gli  s'accostò,  per  dirgli  che  aveva 
esegniti  gli  ordini  comunicatigli  dal  cappellano;  che  la  lelliga  e  le  due 
mule  eran  preparate,  e  s' aspettava  soltanto  la  donna  che  il  curalo 


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CAPITOLO  XXIir.  438 

avrebbe  coDdotla.  Il  cardinale  gli  disse  che ,  appena  arrivato  questo , 
lo  Tacesse  parlar  subito  con  don  Abbondio:  e  tutto  poi  fosse  agli  or- 
dini di  questo  e  dell'  innominato;  al  quale  strìase  di  nuovo  la  mano, 
in  atto  dì  eonimiato,  dicendo:  «  v'aspetto.  »  Si  voltò  a  salutar  don 
Abbondio,  e  s'avviò  dalla  parte  che  conduceva  alla  chiesa.  Ileterogli 
andò  dietro,  tra  in  folla  e  in  processione:  i  due  compagni  di  viaf^o 
rimasero  soli  nella  stanza. 

Stava  l'innominato  tutto  raccolto  in  sé,  pensieroso,  impaziente  che 
venisse  il  momento  d'andare  a  levar  dì  pene  é  di  carcere  la  sua  Lu- 
cia: sua  ora  in  un  sraso  cosi  diverso  da  quello  che  lo  fosse  il  giorno 
avanti  :  e  il  suo  viso  esprimeva  un'  agitazione  concentrala,  che  all'oc- 
ctiio  ombroso  dì  don  Abbondio  poteva  facilmente  parere  qualcosa  di 
peggio.  Lo  sogguardava,  avrebbe  voluto  attaccare  un  discorso  amiche- 
vole; ma,  —  cosa  devo  dirgli  ?  —  pensava  :  —  devo  dirgli  ancora  : 
mi  rallegro?  Mi  rallegro  di  che?  che  essendo  stalo  (Inora  un  demonio, 
vi  siate  finalmente  risoluto  di  diventare  un  galantuomo  come  gli  idlri? 
Bel  complimento!  Eh  eh  eh!  in  qualunque  maniera  io  le  rigiri,  le  con- 
gratulazioni non  vorrebbero  dir  altro  che  questo.  E  se  sarà  poi  vero 
die  sia  diventato  galantuomo:  cosi  a  un  tratto!  Delle  dimostrazioni  se  ne 
bnno  taote  a  questo  mondo,  e  per  tante  cagioni!  Che  so  io,  alle  volte? 
E  ìnlanlo  mi  tocca  a  andar  con  luì!  in  quel  castello!  Oh  che  storia! 
che  storiai  che  storia!  Chi  me  l'avesse  detto  stamattina!  Ah,  se  posso 
uscirne  a  salvamento,  m'  ha  da  sentire  la  signora  Perpetua,  d'avermi 
cacciato  qui  jier  forza,  quando  non  c'era  necessità,  fuor  della  mia 
pieve  :  e  che  tutti  i  parrochi  d' intorno  accorrevano ,  andie  più  da 
lontano;  e  che  non  bisognava  stare  indietro;  e  che  questo,  e  che  que- 
st'altro; e  imbarcarmi  in  un  affare  di  questa  sorte  !  Oh  povero  me  ! 
Eppure  qualcosa  bisognerà  dirgli  a  costui.  — E  pensa  e  ripeosa,  aveva 
trovato  che  gli  avrebbe  potuto  dire:  non  mi  sarei  mai  aspettato  questa 
foKuna  d'incontrarmi  in  una  così  rispettabile  compagnta;e  stava  per 
aprir  bocca,  quando  entrò  l'aiutante  di  camera,  col  curato  del  paese, 
il  quale  annunziò  che  la  donna  era  pronta  nella  lettiga;  e  poi  si  voltò 
a  don  Abbondio,  per  ricevere  da  lui  1'  altra  commissione  del  cardi- 
nale. Don  Abbondio  se  ne  sbrigò  come  potè,  in  quella  confusione  di 
mente;  e  accostatici  poi  all'aiutante,  gli  disse  :  «  mi  dia  almeno  una 
bestia  quieta;  perchè,  dico  la  verità,  sono  un  povero  cavalcatore.  » 

«  Si  figuri,  »  rispose  I'  aiutante,  con  un  mezzo  sogghigno:  "  è  la 
mula  del  segretario,  che  é  un  letterato.  » 


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44»  IPROìIESSl  SPOSI 

^  Basta "  replicò  don  Abbondio ,  e  cooliiiaò  pensando  ;  —  il 

cielo  me  la  mandi  buona.  — 

II  signore  s'era  ìncamininato  di  corsa,  al  primo  avviso:  arrivalo 
all'uscio,  s'accorse  di  don  Abbondio,  ch'era  rimasto  indietro. Si  fermò 
ad  aspettarlo  ;  e  quando  questo  arrivò  frettoloso ,  in  aria  di  chieder 
perdono,  l'inchinò,  e  lo  fece  passare  avanti,  con  un  allo  cortese  e 
umile:  cosa  che  raccomodò  alquanto  Io  stomaco  al  povero  tribolato. 
Ma  appena  messo  piede  nel  cortiletto ,  vide  un'  altra  novità  che  gli 
guastò  quella  poca  consolazione  ;  vide  l' innominato  andar  verso  un 
canto,  prender  per  la  canna,  con  una  mano,  la  sua  carabina,  poi  per 
la  cigna  con  l'altra,  e,  con  un  movimento  spedito,  come  se  facesse 
l'esercizio,  mettersela  ad  armacollo. 

—  Ohi!  ohi!  ohi!  ^  pensò  don  Abbondio:  —  cosa  vuol  farne  di 
qudl'  ordigno,  costui  ?  Bel  cilizio,  bella  disciplina  da  convertito!  E  se 
gli  salta  qualche  grillo?  Oh  che  spedizione!  oh  che  spedizione!  — 


Se  quel  signore  avesse  potuto  appena  sospettare  che  rana  di  pen- 
sieri passavano  per  la  testa  al  suo  compagno,  non  si  può  dire  cosa 
avrebbe  folto  per  rassicurarlo;  ma  era  lontano  le  mille  miglia'  da  un 
(al  sospetto;  e  don  Abbondio  stava  attento  a  non  far  nessun  atto  che 
significasse  chiaramente:  non  mi  fido  di  vossignoria.  Arrivati  all'uscio 
di  strada,  trovarono  le  due  cavalcature  in  ordine:  l'innominato  sallù 
su  quella  che  gli  fu  presentata  da  un  ))alafrciiierc. 


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CAPITOLO  XXIIl. 


«  Vizi  non  ne  ha?  »  disse  all'aiutante  di  camera  don  Abbondio, 
rimettendo  in  terra  il  piede,  che  aveva  già  alzato  verso  la  slafTa. 

«  Vada  pur  su  di  buon  animo  :  è  un  agnello.  »  Don  Abbondio , 
arrampicandosi  alla  sella,  sorretto  dall'aiutante,  su,  su,  su,  è  a  ca^'allo. 


La  lettiga,  cb'era  innanzi  qualche  passo,  portala  da  due  mule,  sì 
mosse,  a  una  voce  del  lettighiero;  e  la  comitiva  parli. 

Si  doveva  passar  davanti  alla  chiesa  piena  zeppa  di  popt^o,  per  una 
piazzetta  piena  anch'essa  d'allro  popolo  del  paese  e  forestieri,  che  non 
avevan  potuto  entrare  in  quella.  Già  la  gran  nuova  era  corsa  ;  e  al- 
l'apparir della  comiliva,  all'apparir  di  quell'uomo,  oggeUo  ancor  po- 
etie  ore  prima  di  teirore  e  d'esecrazione,  ora  dì  lieta  maraviglia, 


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4^8  I  PROUESSl  SPOSI 

».'  alzò  nella  folla  un  mormorio  quasi  d'applauso  ;  e  facendo  largo ,  si 
faceva  insieme  alle  spinte,  per  vederlo  da  vicino.  La  lettiga  passò, 
r  iiinoniinalo  passò  ;  e  davanti  alla  porla  spalancala  della  chiesa ,  si 
levò  il  cappello,  e  chinò  quolla  fronte  tanto  temuta,  lin  sulla  criniera 
della  mula ,  tra  il  susurro  di  cento  voci  die  dicevano  :  Dio  la  bene- 
dica! Don  Abbondio  si  levò  anche  lui  il  cappello,  si  chinò,  sì  racco- 
mandò al  ciclo  ;  ma  sentendo  il  concerto  solenne  de'  suoi  confratelli 
elle  cantavano  a  distesa,  provò  un'invidia,  una  mesta  tenerezza,  un 
accoramento  tale,  die  durò  fatica  a  tener  le  lacrime. 


Fnori  poi  dell'abitalo,  nell'aperta  campagna,  negli  andirivieni  lai- 
\olla  alTutto  deserti  della  strada,  un  velo  più  nero  si  stese  sui  suoi 
pensieri.  Altro  oggetto  non  aveva  su  cui  ri[M)sar  con  fiducia  lo  sguar- 
do, elie  il  leltighicro ,  il  quale,  essendo  al  servizio  del  cardinale,  io- 
\e\a  essere  cerlamenle  un  uomo  dabbene,  e  insieme  non  aveva  aria 
d'imbelle.  Ogni  lauto,  comparivano  viandanti,  anche  a  comilive,  die 
accorrevano  per  vedere  il  cardinale  ;  ed  era  un  ristoro  per  don  Ab- 
Iwndio  ;  ma  passttggiero ,  ma  s'  andava  verso  quella  valle  tremenda', 
dove  non  s' incontrerelfbc  che  sudditi  dell'amico:  e  che  sudditi  !  Co» 
l'amico  a^'rebl^e  desiderato  ora  più  die  mai  d'entrare  in  discorso,  tanto 
per  tastarlo  sempre  più,  come  per  tenerlo  in  buona;  ma  ^edendulo 


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CAPITOLO  XXIII  111 

cosi  soprappensiero ,  gliene  passava  la  voglia.  Dovette  dunque  pSi'Iar 
con  sé  stesso;  ed  ecco  una  parte  di  ciò  clic  il  pover'  uomo  si  disse  in 
quel  tragitto:  cliè,  a  scriver  tutto,  ci  sai^bbe  da  Turnc  un  libro. 

—  É  un  gran  dire  clie  tanto  i  santi  come  i  birboni  gli  abbiano  a 
aver  l'argento  vivo  addosso ,  e  non  si  contentino  d'  esser  sempre  in 
moto  loro,  ma  voglian  tirare  in  ballo,  se  potessero,  tutto  il  genere 
umano  ;  e  che  ì  più  faccendoni  mi  devan  proprio  venire  a  corcar  me, 
cbe  non  cerco  nessuno,  e  tirarmi  per  i  capelli  ne'  loro  afTari  :  io  clie 
non  chiedo  altro  che  d' esser  lasdato  vivere  !  Quel  malto  birbone  di 
don  Rodrigo!  Cosa  gli  mancherebbe  per  esser  1'  uomo  il  più  felice  di 
questo  mondo,  se  avesse  appena  un  pochino  dì  giudizio?  Lui  ricco, 
lui  giovine,  lui  rispettato,  lui  corteggiato:  gli  dà  noia  il  bene  stare; 
e  bisogna  che  vada  accattando  guai  per  sé  e  per  gli  altri.  Potrebbe 
far  l'arte  di  Miclielaccio;  no,  signore:  vuol  fare  il  mestiere  di  mole- 
star le  lemmine:  il  più  pazzo,  il  più  ladro,  il  più  arrabbiato  mestiere 
di  questo  mondo  ;  potrebbe  andare  in  paradiso  in  carrozza ,  é  vuol 
andare  a  casa  del  diavolo  a  pie  zoppo.  E  costui  !  —  —  E  qui  lo 
guardava,  come  se  avesse  sospetto  che  quel  costui  sentisse  i  suoi  pen- 
sieri ,  —  4906lui ,  dopo  aver  mésso  sottosopra  il  móndo  con  le  scel- 
leratezze, ora  lo  mette  sottosopra  con  la  conversione .  .<.  ..se  sarà 
vero.'Intanto  tocta  a  me  a  farne  l'esperienza!...  É. finita:  quando  son 
nati  con  quella  smania  in  corpo,  bisogna  che  faccian  sempre  fracasso. 
Ci  vuol  tanto  a  ff^e  il  galantuomo  tutta  la  vita,  com'  ho  fatt'  io  ?  No, 
signore  ;  si  deve  squartare,  ammazzare,  fare  il  diavolo ....  oh  povero 
me  ! ...  e  poi  uno  scompiglio,  anche  per  far  penitenza.  La  penitenza, 
quando  s'ha  buona  volontà,  sì  può  farla  a  casa  sua,  quietamente, 
senza  lant' apparato ,  senza  dar  tant' incomodo  al  pros»mo.  E  sua  ^- 
gnorìa  illustrissima,  subito  subito,  a  braccia  aperte,  caro  amico,  amico 
caro;  stare  a  tutto  qael  clic  gli  dice  costui,  come  se  l'avesse  visto  far 
miracoli;  e  prendere  addirittura  una  risoluzione,  mettercisi  dentro  con 
le  mani  e  co' piedi,  presto  di  qua,  presto  di  là:  a  casa  mia  si  chiama 
precipitazione.  E  senza  avere  una  minima  caparra,  dargli  in  mano  un 
povero  curalo!  questo  si  chiama  giocare  un  uomo  a  pari  e  caffo.  Un 
vescovo  santo,  com'è  lui,  de' curati  dovrebbe  esserne  geloso,  come 
della  pupilla  degli  occhi  suoi.  Vn  podiino  di  flemma ,  un  pochino  di 
prudenza,  un  pochino  dì  carità,  mi  pare  che  possa  stare  anche  con 
la  santità ....  E  se  fosse  tutto  un'  apparenza  ?  Chi  può  conoscer  lutti 
■  fini  degli  uomini  ?  e  dico  d^ì  uomini  come  costui  ?  A  pensare  che 


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411  I  PROMESSI  SPOSI 

mi  tocca  a  andar  con  lui,  a  casa  sua  !  Ci  può  esser  sotto  qualclie  dia- 
volo: oh  povero  me!  è  meglio  non  ci  pensare.  Che  imbroglio  è  que- 
sto di  Lucia?  Che  ci  fosse  un'intesa  con  don  Rodrigo?che  gente!  ma 
almeno  la  cosa  sarebbe  chiara.  Ma  come  l'ha  avuta  nell'unghie  costui? 
Chi  lo  sa?E  tutto  un  segreto  con  monsignore:  e  a  me  che  mi  fanno 
trottare  in  questa  maniera,  non  si  diee  nulla,  lo  non  mi  curo  di  sa- 
pere i  fatti  degli  altri  ;  ma  quando  uno  ci  ha  a  metter  la  pelle ,  lia 
anche  ragione  di  sapere.  Se  fosse  proprio  per  andare  a  prendere  quHIa 
povera  creatura,  pazienza!  Benché,  poteva  ben  condurla  con  sé  ad- 
dirittura. E  poi,  se  è  così  convertito,  se  è  diventalo  un  santo  padre, 
che  bisogno  e"  era  di  me  ?  Oh  che  caos  !  Basta  ;  voglia  il  ciclo  che  la 
sia  cosi  :  sarà  sialo  un  incomodo  grosso,  ma  pazienza!  Sarò  contento 
anclie  per  quella  povera  Lucia:  anche  lei  deve  averla  scampata  grossa; 
sa  il  cielo  cos'ha  patito:  la  compatisco;  ma  è  nata  perla  mia  rovina.... 
Almeno  potessi  vedergli  proprio  in  cuore  a  costui,  eome  la  pensa.  Qii 
lo  può  conoscere?  Ecco  li,  ora  pare  sant'Antonio  nel  deserto;  ora  pare 
Oloferne  in  persona.  Oh  povero  me!  povero  me  !  Basta  :  il  cielo  è  in 
obbligo  d'aiutarmi,  perchè  non  mici  son  messo  io  di  mio  capriccio. — 

infatti,  sul  volto  dell'innominato  si  vedevano,  per  dir  eosi,  passare 
i  pensieri,  come,  in  un'ora  burrascosa,  le  nuvole  trascorrono  dinann 
alla  faccia  del  sole ,  alternando  ogni  momento  una  luce  arrabbiata  e 
un  freddo  buio.  L'  animo,  ancor  tutto  inebriato  dalle  soavi  parole  di 
Federigo,  e  come  rifatto  e  ringiovanito  nella  nuova  vita,  s"  elevava  a 
quell'idee  di  misericordia,  di  perdono  e  d'amore;  poi  ricadeva  sotto 
il  peso  del  terribile  passato.  Correva  con  ansietà  a  cercare  quali  fos- 
sero le  iniquità  riparabili ,  cosa  sì  potesse  (roncare  a  mezzo,  quali  ì 
rimedi  più  espedienti  e  più  sicuri,  come  scioglier  tanti  nodi,  che  fan 
di  tanti  complici  :  era  uno  sbalordimento  a  pensarci.  A  quella  stessa 
s{iedizionc,  ch'era  la  più  facile  e  così  vicina  al  termine,  andava  con 
un'impazienza  mista  d'angoscia,  pensando  che  intanto  quella  creatura 
pativa.  Dio  sa  quanto,  e  che  luì,  il  quale  pure  si  struggeva  dì  lìbe-  ! 
rarla,  era  lui  che  la  teneva  intanto  a  patire.  Dove  e'eran  due  strade,  | 
il  leltighiero  si  voltava,  per  saper  quale  dovesse  prendere:  l' innomi-  ;  | 
nato  glicl'indicava  con  la  mano,  e  insieme  accennava  di  far  presto.       '    ^ 

Entrano  nella  valle.  Come  stava  allora  il  povero  don  Abbondio  !  ,  i 
Quella  valle  famosa,  della  quale  aveva  senato  raccontar  tante  storie  or-  i  1 
rìbili,  esserci  dentro:  quc' famosi  uomini,  ÌI  flore  della  braveria  d'Italia,  |  | 
quegli  uomini  senza  pawn  e  senza  misericordia,  vederli  in  carne  e  in     il 


I 


DigilizsdnyGoOgle 


CAPITOLO  xxni. 


ossa,  tnciHitrarae  uao  o  due  o  tre  a  ogni  voltata  di  strada.  Si  ràìaa- 
vuio  sommessamente  al  signore;  ma  certi  visi  abbronzati!  certi  baffi 


irli  !  certi  occliiacci ,  che  a  don  Abbondio  pareva  che  volessero  dire  : 
largii  la  festa  a  quel  prete?  A  segno  che,  in  un  punto  di  somma  co* 
slernauonc,  gli  venne  detto  Ira  sé:  — gli  avessi  maritati  !  non  mi  po- 
teva accader  di  peggio.  —  Intanto  s'  andava  avanti  per  un  sentiero 
sassoso,  lungo  il  torrente:  al  di  là  quel  prospetto  di  balze  aspre,  scure, 
disabitate;  al  di  qua  quella  popoiaeione  da  far  parer  desiderabile  ogni 
deserto  :  Dante  non  istava  peggio  nel  mezzo  di  Malebolge. 

Passan  davanti  la  Malanotte;  bravacci  sull'uscio,  inchini  al  signore, 
occhiate  al  suo  compagno  e  alia  lettiga.  Coloro  non  sapevan  cosa  si 
pensareigià  la  partenza  dell'innominato  solo,  la  mattina,  aveva  dello 
straordinario  ;  il  ritorno  non  lo  era  meno.  Era  una  preda  che  condu- 
ceva? E  come  1'  aveva  fatta  da  se?  E  come  una  lettiga  forestiera?  E 
di  chi  poteva  esser  quella  livrea  ?  Guardavano ,  guardavano,  ma  nes- 
suno si  moveva,  perchè  questo  era  l'ordine  che  il  padrone  dava  loro 
con  dell'  occhiate. 


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■!•  I  PAOHESSI  SPOSI 

Panno  la  salila ,  sono  in  cìiaa.  1  b^avi  cfte  si  trovan  sulla  spianala 
e  sulla  porla ,  si  rìlirano  di  qua  e  di  là ,  per  lasciare  il  passo  libero  : 
r  innominato  fa  segno  che  non  si  movan  di  più  ;  sprona,  e  passa  da- 
vanti alla  lettiga;  accenna  al  lellighiero  e  a  don  Abbondio  che  lo  se- 
guano; entra  in  un  primo  cortile,  da  quello  in  un  secondo;  va  verso 
un  usciolino ,  fa  stare  indietro  con  un  gesto  un  bravo  clic  accorreva 
per  tenergli  la  slafla,  e  gli  dice  :  »  tu  sia  costi,  e  non  venga  nessu-. 
no.  »  Smonta,  lega  in  fretta  la  mula  a  un'  inferriata,  va  alla  lettiga, 
s' accosta  alla  donna,  che  aveva  tirala  la  tendina,  e  le  dice  sottovoce: 
«  consolatela  subilo;  fatele  subilo  capire  che  è  libera,  in  mano  d'a* 
mici.  Dio  ve  ne  renderà  merito,  n  Poi  fa  cenno  al  leltighiero,  che  apra; 
poi  s'avvicina  a  don  Abbondio,  e,  con  un  sembiante  oo^  sereno  ccune 
questo  non  gliel  aveva  ancor  visto,  né  credeva  che  lo  potesse  a^ere, 
con  dipintavi  la  gioia  dell'opera  buona  che  finalmente  stava  per  com- 
pire, gli  dice,  ancora  sotto  voce:  «  signor  curato,  non  le  chiedo  scusa 
dell'  incomodo  clic  ha  per  cagion  mia  :  lei  lo  fa  per  Uno  che  paga 
bene,  e  per  questa  sua  poverina.»  Ciò  detto,  prende  con  una  mano 
il  morso,  con  l'altra  la  staffa,  per  aiutar  don  Abbondio  a  scendere. 

Quel  volto,  quelle  parole ,  quell'  atto,  gli  avevan  dato  la  vila.  Mise 
un  sospiro,  che  da  un'  ora  gli  s'  aggirava  dentro,  senza  mai  trovar 
l'usdla;  si  chinò  verso  l'innominato,  risposeavoce  bassa  bassa:  "  le 

pare?  Ma,  ma,  ma,  ma, !  »  e  sdrucciolò  alla  meglio  dalla  sua 

cavalcatura.  L'innominato  legò  anche  quella,  e  detto  al  leltighiero  che 
stesse  li  a  aspettare,  si  levò  una  chiave  di  tasca,  apri  T uscio,  enirtj 
fece  entrare  il  curato  e  la  donna,  s'avviò  davanti  a  loro  alla  sctileUaì 
e  luti' e  tre  salirono  in  silentio. 


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CAPITOLO  XXIV. 


'era  riseiUifa  da  ])oco  tempo;  e  di  quel 
pò  una  parte  aveva  penato  a  svegliarsi 
Lio,  a  separar  le  torbide  visioni  del  sonno 
e  memorie  e  dall'  immagini  di  'quella 
(à  troppo  somiglianle  a  una  funesta  vi- 
ic  d'infermo.  La  veeeliia  le  si  era  subito 
icinala,  e,  eon  quella  voce  forzalamenlc 
le,  le  aveva  dello:  «  ali!  avele  dormilo? 
«ste  potuto  dormire  in  letto  :  ve  l' lio 
dello  tante  volle  ier  sera.  "  E  non  ri- 
;ndo  risposta,  aveva  continualo,  sem- 
pre con  un  tono  di  snpplicazione  stizzosa  : 
«  mangiate  una  volta:  abbiate  giudizio.  Uh  come  siete  bruita!  Avete 
bisogno  di  mangiare.  E  poi  se,  quando  torna,  la  piglia  con  me?" 

«No,  no;  TOglio  andar  vitt,  voglio  andar  da  mia  madre.  Il  padrone 
me  riia  promesso,  ha!  diJllo:  domattina.  Dov'è  il  padrone?  » 

«  È  uscito;  m' lia  dello  die  tornerà  presto,  e  che  farà  tulio  quel 
die  volete.  » 

"  Ha  detto  cosi?  ha  delLó  così?  Ebbene;  io  voglio  andar  da  mia 
niadre;-snbilo,  subito." 


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Mie  I PROMHSI  SPOSI. 

Ed  «eco  »  sente  nn  calpestio  nella  stanza  vicina;  poi  un  pìccliio al- 
l' uscio.  La  vecchia  accorre,  domanda:  «  chi  è  ?  » 

V  Aprì ,  «  risponde  soinmessanienlc  la  nota  voce.  La  veccliia  tira 
il  paletto;  l'innominato,  spingendo  leggermenle  i  battenti,  fa  un  po' 
di  spiraglio:  ordina  alla  vecchia  di  venir  fuori,  fa  entrar  subilo  don 
Abbondio  con  la  buona  donna.  Socchiude  poi  di  nuovo  l' uscio,  si  ferma 
dietro  a  quello ,  e  manda  la  vecchia  in  una  parte  lontana  del  castel- 
lacelo ;  come  aveva  già  mandata  via  andie  l' altra  donna  che  slava 
fuori,  di  guardia. 

Tutto  questo  movimento,  quel  punto  d'aspetto,  il  primo  apparire 
di  persone  nuove,  cagionarono  un  soprassalto  d'agitazione  a  Lucia,  alla 
quale,  se  lo  stalo  presenta  era  intollerabile,  ogni  cambiamoilo  però  era 
motivo  di  sospetto  e  di  nuovo  spavento.  Guardò,  vide  uu  prete,  una 
donna;  si  rincorò  alquanto:  guarda  più  attenta:  è  lui,  o  non  è  lui? 
Riconosce  don  Abbondio ,  e  rimane  con  gli  occhi  fissi ,  come  incan- 
tala. La  donna,  andatale  vicino,  si  chinò  sopra  di  lei,  e,  guardandola 
pietosamente,  prendendole  le  mani,  come  per  accarezzarla  e  alzarla  a 
un  tempo ,  le  disse  :  «  oh  poverina  !  venite ,  venite  con  noi.  » 

u  Chi  siete?  »  le  domandò  Lucia;  ma,  senza  aspettar  la  risposta, 
si  voltò  ancora  a  don  Abbondio,  che  s'era  trattenuto  discosto  due  passi, 
con  un  viso,  anche  lui,  tutto  compassionevole;  lo  fissò  di  nuovo,  e 
esclamò  :  »  lei  !  è  lei  7  il  signor  curato  ?  Dove  siamo  ? . . .  Oh  povera 
me!  son  fuori  di  sentimento!  « 

u  No,  nò ,  "  rispose  don  Abbondio  :  "  son  io  davvero  :  fatevi  co- 
raggio. Vedete?  slam  qui  per  condurvi  via.  Son  proprio  il  vostro  cu- 
rato ,  vénulo  qui  apposta,  a  cavallo , . . .  n 

Lucia ,  come  riacquistate  in  un  tratto  tutte  le  sue  forze ,  si  rizzò 
precipitosamente;  poi  fissò  ancora  lo  sguardo  su  que'  due  visi,  e  dis- 
se :  u  è  dunque  la  Madonna  che  vi  ha  mandati.  » 

«  Io  credo  di  sì ,  •>  disse  la  buona  donna. 

u  Ma  possiamo  andar  via,  |>ossiamo  andar  via  davvero?  »  riprese 
Lucia,  abbassando  la  voce,  e  con  uno  sguardo  timido  e  sospettoso.  »  E 
tutta  quella  gente  ...  ?  »  continuò,  con  le  labbra  contratte  e  tremanti 
di  spavento  e  d'orrore:  b  e  quel  signore...!  queir  uomo ...  I  Già, 
me  r  aveva  promesso ..." 

«  E  qui  anche  lui  in  persona,  venuto  apposta  con  noi ,  «  disse  don 
Abbondio:  «  è  qui  fuori  clic  aspetta.  Andiamo  presto;  non  lo  facciamo 
aspeltare,  un  par  suo.  » 


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CAPITOLO  XXIV.  4(0 

Allora,  quello  di  cui  si  parlava,  spinse  l'uscio,  e  si  fece  vedere;  Lu- 
cia, che  poco  prima  lo  desiderava  anzi,  non  avendo  speranza  in  altra 
cosa  del  mondo,  non  desiderava  che  lui,  ora,  dopo  aver  veduti  visi, 
e  sentite  voci  amiche,  non  potè  reprimere  un  subitaneo  ribrezzo;  si 
riscosse,  ritenne  il  respiro,  si  strinse  alla  buona  donna,  e  le  nascose 
il  viso  in  seno.  L' innominato ,  alla  vista  di  quell'  aspello  sul  quale 
già  la  sera  avanti  non  aveva  potuto  tener  fermo  lo  sguardo,  di  quel- 
l'aspello  reso  ora  {nù  squallido,  sbattuto,  affannalo  dal  palire  prolun^ 
gaio  e  dal  digiuno,  era  rimasto  li  fermo,  quasi  sul)'  uscio;  nel  veder 
poi  quell'atto  dì  terrore,  abbassò  gli  occhi,  stelle  ancora  un  momento 
immobile  e  muto  ;  indi  rispondendo  a  ciò  che  la  poverina  non  aveva 
detto,  u  è  vero,  »  esclamò;  «  perdonatemi!  »  ' 


«  Viene  a  liberarvi;  non  è  più  quello  ;  è  diventato  buono:  sentite 
che  vi  chiede  perdono?»  diceva  la  buona  donna  all'orecchio  di  Lucia. 


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4HO  t  PAOHESSI  SPOSI. 

"  Si  può  dir  (ti  più?  Via,  su  quella  testa;  non  fate  la  bambina;  che 
possiamo  andar  presto,  »  le  diceva  don  Abbondio.  Lucia  alzò  la  testa, 
guardò  l'innominato,  e,  vedendo  bassa  quella  fronte,  atterrato  e  con- 
fuso quello  sguardo,  presa  da  un  misto  sentimento  di  conforto,  di  ri- 
conoscenza e  di  pietà,  disse:  «oh,  il  mio  signore!  Dìo  le  renda  merito 
della  sua  misericordia  !  « 

X  E  a  voi ,  cento  volte,  il  bene  che  mi  fanno  codeste  vostre  parole.  » 

Cosi  dello,  si  voltò,  andò  verso  l'uscio,  e  usci  il  primo.  Lucia, 
tutta  rianimala,  con  la  donna  che  le  dava  braccio,  gli  andò  dietro;  don 
Abbondio  in  coda.  Scesero  la  scala,  arrivarono  all'uscio  che  metteva  nd 
cortile.  L'innominato  lo  spalancò,  andò  alla  lettiga,  apri  lo  sporlella,  c^ 
con  una  certa  gentilezza  quasi  timida  (due  cose  nuove  in  lui)  sonvg- 
gendo  il  braccio  di  Lucia,  l'aiutò  ad  entrarvi,  poi  la  buona  donna.  Slegò 
quindi  la  mula  di  don  Abbondio,  e  l' aiutò  anche  lui  a  montare. 

•■  Oh  che  degnazione  !  »  disse  questo;  e  montò  mollo  più  lesto  che 
non  avesse  fatto  la  prima  volta.  La  comitiva  si  mosse  quando  l' inno- 
minato fu  anche  lui  a. cavallo.  La  sua  frontes'era  rialzala;  lo  sguardo 
aveva  ripreso  la  solita  espressione  d'impero.  I  bravi  che  incontrava, 
vedevan  bene  sul  suo  viso  i  segni  d'un  forte  pensiero,  d'una  preoccu- 
pazione straordinaria;  ma  non  capivano,  né  poicvan  capire  più  in  ]k. 
Al  castello,  non  si  sapeva  ancor  nulla  della  gran  mutazione  di  quel- 
l'uomo; e  per  congettura,  certo,  nessun  di  coloro  vi  sarebbe  arrivato. 

La  buona  donna  aveva  subito  tirate  le  tendine  della  lettiga  :  prese 
poi  affettuosamente  le  mani  dì  Lucia,  s'era  messa  a  confortarla,  con 
parole  di  pietà ,  di  congratulazione  e  dì  tenerezza.  E  vedendo  come , 
oltre  la  fatica  dì  tanto  travaglio  sofferto,  la  confusione  e  l'oscurità  de- 
gli avvenimenti  impedivano  alla  poverina  di  sentir  pienamente  la  con- 
tentezza della  sua  liberazione  ,  le  disse  quanto  poteva  trovar  di  più 
atto  a  distrigare,  a  ravviare,  per  dir  cosi,  ì  suoi  poveri  pensieri.  Le 
nominò  il  paese  dove  andavano. 

u  Si?  »  disse  Lucia,  la  qual  sapeva  ch'era  poco  discosto  dal  suo. 
"Ah  Madonna  santissima,  vi  ringrazio!  Mia  madre!  mia  madre!  » 

1  La  manderemo  a  cercar  subito,»  disse  la  buona  donna,  la  quale 
non  sapeva  che  la  cosa  era  già  fatta. 

«  Sì,  sì;  che  Dìo  ve  ne  renda  merito ....  E  voi,  chi  siete?  Come 
siete  venula ....  « 

u  M'  ha  mandata  il  nostro  curato,  »  disse  la  buona  donna:  «  per- 
chè questo  signore.  Dio  gli  ha  toccato  il  cuore  (aa  benedetto  !),  ed  è 


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CAPITOLO  XXIV.  4l(l 

veanto  al  nostra  paese ,  per  parlare  al  signor  cardinale  arcivescovo 
(4^  l'abbiamo  là  in  visita,  quel  sant'  uomo),  e  s' è  pentito  de' suoi 
peccatacci,  e  vuol  mutar  vita;  e  ha  detto  al  cardinale  che  aveva  Tatla 
rubare  una  povera  innocente ,  che  siete  voi ,  d'  intesa  con  un  altro 
senza  timor  di  Dio,  che  il  curato  non  m'  ha  dello  chi  possa  essere,  n 

Lucia  alzò  gli  occhi  al  cielo. 

«  Lo  saprete  Torse  voi,  »  continuò  la  buona  donna  :  «  basta;  dun- 
que il  signor  cardinale  ha  pensalo  che  ,  trattandosi  d'una  giovine,  ci 
voleva  una  donna  per  venire  in  compagnia,  e  ha  detto  al  curato  che 
ne  cercasse  una;  e  il  curato,  per  sua  bontà,  é  venuto  da  me. ...  n 

«  Oh!  il  Signore  vi  ricompensi  della  vostra  carità!  « 

u  Che  ^te  mai,  la  nùa  povera  giovine?  E  m'ha  detto  il  signor  cu- 
rato, che  vi  facessi  coraggio,  e  cercassi  di  sollevarvi  subito,  e  farvi 
intendere  come  il  Signore  v*  ha  salvata  miracolosamente ....  » 

«  A.h  si!  proprio  miracolosamente;  per  intercession  della  lUadonna.  » 

t  Dunque,  che  stiate  di  buon  animo,  e  perdonare  a  chi  v'ha  fatto 
del  male,  e  esser  contenta  che  Dio  gli  abbia  usala  misericordia,  anzi 
pregare  per  lui;  che,  oltre  all'  acquistarne  merito,  vi  sentirete  anche 
allargare  il  cuore.  « 

Lucia  rispose  con  uno  sguardo  che  diceva  di  si,  tanto  chiaro  come 
avrebbero  potuto  far  le  parole,  e  con  una  dolcezza  che  le  parole  non 
avrebbero  saputa  esprimere. 

u  Brava  giovine!  »  riprese  la  donna:  u  e  trovandosi  al  noshro  paese 
anche  il  vostro  curato  (che  ce  n'è  tanli  tanti,  di  tutto  il  contorno, 
da  mettere  insieme  quattro  uQzi  generali),  ha  pensato  il  signor  cardi- 
nale di  mandarìo  anche  lui  in  compagnia;  uur  è  stato  di  poco  aiuto. 
Già  l'avevo  sentito  dire  ch'era  un  uomo  da  poco;  ma  in  quest'occa- 
sione ,  ho  dovuto  proprio  vedere  che  è  più  impicciato  che  un  pukin 
nella  stoppa.  » 

"  B  questo....»  domandò Luda,  cquestoche  è  diventato  buono.... 
chi  è?» 

u  Come!  non  lo  sapete?  «  disse  la  buona  donna,  e  lo  nominò. 

»  Oh  misericordia!  »  esclamò  Lucia.  Quel  nome,  quante  volle  l'a- 
veva sentito  ripetere  con  orrore  in  più  d'una  storia,  in  euì  figurava 
sempre  come  in  altre  storie  quello  dell'orco!  E  ora,  al  pensiero  d'es- 
sere stata  nel  suo  terribil  potere,  e  d'essere  sotto  la  sua  guardia  pie- 
tosa ;  al  pensiero  d' una  cosi  orrenda  sciagura,  e  d*  una  cosi  improv- 
visa redenzione;  a  considerare  di  chi  era  quel  viso  che  aveva  veduto 


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àB*  I  PROUESSI  SPOSI 

burbero,  poi  commosso,  poi  umiliato,  rimaaeva  come  estatica,  di- 
cendo solo ,  ogni  poco  :  «  oh  misericordia  !  n 

«  É  una  gran  misericordia  davvero  !  »  diceva  la  buona  donna  :  «  de- 
v'essere un  gran  sollievo  per  mezzo  mondo.  A  pensare  quanla  genie 

teneva  sottosopra;  e  ora,  come  m'ha  detto  il  nostro  corat» e 

poi,  sfAo  a  guardarlo  in  viso,  è  diventato  un  santo!  E  poi  si  vedon 
subilo  le  opere.  •> 

Dire  clie  questa  buona  donna  non  provasse  molla  curiositi  di  co- 
noscere un  po'  più  distintamente  la  grand'avventura  nella  quale  si  tro- 
vava a  fare  una  parte ,  non  sarebbe  la  verità.  Ma  bisogna  dire  a  sua 
gloria  ehe,  compresa  d'una  pietà  rispettosa  per  Lucia,  sentendo  in 
certo  modo  la  gravità  e  la  dignità  dell'incarico  die  le  era  slato  ad- 
dato, non  pensò  neppure  a  farle  una  domanda  indiscreta,  né  oziosa: 
tutte  le  sue  parole,  in  quel  tragitto,  furono  di  eonforlo  e  di  premura 
per  la  povera  giovine. 

«  Dio  sa  quant'  è  ehe  non  avete  mangiato  !  n 

<•  Non  me  ne  ricordo  più ....  Da  un  pezzo,  n 

H  Poverina!  Avrete  bisogno  di  ristorarvi.  » 

u  Si,  n  rispose  Lucia  con  voce  fioca. 

»  A  casa  mia,  grazie  a  Dio,  troveremo  subito  qualcosa.  Fatevi  co- 
raggio, che  ormai  e'  è  poco.  » 

Lucia  si  lasciava  poi  cader  languida  sul  fondo  della  lettiga ,  axK 
assopita  ;  e  allora  la  buona  donna  la  lasciava  in  riposo. 

Per  don  Abbondio  questo  ritorno  non  era  certo  cosi  angoscioso  come 
l'andata  di  poco  prima;  ma  non  fu  neppur  esso  un  viaggiò  di  piacere. 
Al  cessar  di  quella  pauraccia,  s'era  da  principio  sentito  tutto  scarico, 
ma  ben  presto  cominciarono  a  spuntargli  in  cuore  cent'altri  dispiaceri; 
come,  quand'è  stato  sbarbata  uu  grand'sdbero,  il  terreno  rimane  ^{om- 
bro per  qualche  tempo,  ma  poi  si  copre  tutto  d'erbacce.  Era  diventato 
più  sensibile  a  tutto  il  resto;e  tanto  nel  presente, quanto  ne' pensieri 
dell'avvenire,  non  gli  mancava  pur  troppo  materia  di  tormentarsi.  Sen- 
tiva ora,  mollo  più  che  nell'andare,  l'incomodo  dì  quel  modo  di  viag- 
giare, al  quale  non  era  molto  avvezzo;  e  specialmente  sul  principio,  nella 
scesa  dal  castello  al  fondo  della  valle,  fl  lettighieru,  stimolato  da'  cenni 
dell'innominato,  faceva  andar  di  buon  passo  le  sue  bestie;  le  due  ca- 
valcature andavan  dietro  dietro,  con  lo  stesso  passo;  onde  seguiva  die, 
a  certi  luoghi  più  ripidi,  il  povero  don  Aldtondio, oome  se  fosse  messo 
a  le^-a  per  di  dietro,  tracollava  sul  davanti,  e,  per  reggersi,  doveva 


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CAPITOLO  XXIV.  èsa 

appualellarsi  con  la  mano  all'arcione;  e  non  osava  però  pregare  che 
s' andasse  più  adagio ,  e  dall'altra  parte  avrebbe  voluto  esser  fuori  di 
quel  paese  più  presto  clie  fosse  possibile.  Olire  di  ciò,  dove  la  strada 
era  sar  un  rialto,  sur  un  ciglione,  la  mula,  secondo  l'oso  de'pari  suoi, 
pareva  che  facesse  per  dispetto  a  tener  sempre  dalla  parte  di  fuori, 
e  a  metter  proprio  le  zampe  sull'orlo;  e  don  Abbondio  vedeva  sotto 
di  sé,  quasi  a  perpendicolo,  un  salto,  o  come  pensava  lui,  un  preci- 
pizio. — ■  Anclie  tu,  - —  diceva  tra  sé  alla  bestia,  —  bai  quel  male- 
detto'gusto  d'andare  a  cercarci  pericoli, quando c'ètanto sentiero!  — 


E  tirava  la  briglia  dall'altra  parte;  ma  inutilmente.  Sicché,  al  solito, 
rodendosi  di  stizza  e  di  paura ,  si  lasciava  condurre  a  piacere  altrui.  ' 
J  bravi  non  gli   faeevan  più  tanto  spavento,  ora  che  sapeva  più  di 
certo  eome  la  pensava  il  padrone.  —  Ma,  —  rifletteva  però,  —  se  la 


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»(  I  PROMESSI  SPOSI 

notizia  di  questa  gran  conversione  si  sparge  qua  dentro,  intanto  cbe  ci 
siamo  ancora,  chi  sa  come  l' intenderanno  costoro!  Chi  sa  cosa  nasce! 
Che  s'andassero  a  immaginare  che  sia  venuto  io  a  fare  il  missionario! 
Povero  me!  mi  martirizzano!  —  U  cipiglio  dell'innominato  dod  fj& 
dava  fastidio.  —  Per  tenere  a  segno  quelle  fecce  li,  —  pensava,  — 
non  ci  vuol  meno  di  questa  qui;  lo  capisco  anch'  io;  ma  perchè  deve 
toccare  a  me  a  Irovaimi  tra  tutti  costoro!  — 

Basta;  s'  arrivò  in  fondo  alla  scesa,  e  s'uscì  finalmente  anche  didla 
valle.  La  fronte  dell'  innominato  s"  andò  spianando.  Anclie  don  Ab- 
bondio prese  una  faccia  più  naturale ,  sprigionò  alquanto  la  testa  di 
tra  le  spalle,  sgranchì  le  braccia  e  le  gambe,  si  mise  a  stare  un  po' 
più  sulla  vita ,  clic  faceva  un  tutt'  altro  vedere ,  mandò  più  larghi  re- 
spiri, e,  con  animo  più  riposato,  si  mise  a  considerare  altri  lontani 
pericoli.  —  Cosa  dirà  quel  bestione  di  don  Rodrigo  ?  Rimaner  con 
tanto  di  naso  a  questo  modo,  col  danno  e  con  le  beffe,  figuriamoci  se 
la  gli  deve  parere  amara.  Ora  è  quando  fa  il  diavolo  davvero.  Sta  a 
vedere  che  se  la  piglia  anche  con  me ,  perché  mi  son  travato  dentro 
in  questa  cerimonia.  Se  lia  avuto  cuore  fin  d'  allora  di  mandare  que' 
due  demòni  a  farmi  una  figura  di  quella  sorte  sulla  strada ,  ora  poi , 
chi  sa  cosa  farà!  Con  sua  signoria  illustrissima  non  la  può  prendere, 
cbe  è  un  pezzo  mollo  più  grosso  di  lui  ;  lì  bisognerà  rodere  il  freno. 
Intanto  il  veleno  l'avrà  in  corpo,  e  sopra  qualcheduno  lo  vorrà  sfo- 
gare. Come  finiscono  queste  faccende?  I  colpi  cascano  sempre  all'io- 
giù;  i  cenci  vanno  all'aria.  Lucia,  di  ragione,  sua  signoria  illustrìs- 
sima penserà  a  metterla  in  salvo  :  quell'altro  poveraccio  mal  capitato 
è  fuor  del  tiro,  e  ha  già  avuto  la  sua:  ecco  che  il  cencio  son  diven- 
tato io.  La  sarebbe  barbara,  dopo  tant' incomodi,  dopo  tante  agitazioni, 
e  senza  acquistarne  merito,  che  ne  dovessi  portar  la  pena  io.  Cosa  farà 
ora  sua  signorìa  illustrissima  per  difendermi ,  dopo  avermi  messo  in 
ballo  ?  Mi  può  star  mallevadore  lui  che  quel  dannato  non  mi  faccia 
im'azione  peggio  della  prima?  E  poi ,  ha  tanti  affari  per  la  testa  !  mette 
mano  a  tante  cose!  Come  si  può  badare  a  tutto?  Lascian  poi  alle  volte 
le  cose  più  imbrogliate  di  prima.  Quelli  ehe  fanno  il  bene ,  lo  fanno 
all'ingrosso:  quand'hanno  provata  quella  soddisfazione,  n'hanno  ab- 
bastanza, e  non  si  voglion  seccare  a  star  dietro  a  tutte  le  conseguenze; 
ma  coloro  cbe  lianno  quel  gusto  dì  fare  il  male ,  ci  mettono  più  dili- 
genza, ci  stanno  dietro  fino  alla  fine,  nonprendon  mai  requie,  perchè 
hanno  quel  canchero  che  li  rode.  Devo  andar  io  a  dire  cbe  son  venuto 


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CAPITOLO  XXIV.  JHK 

qai  per  comando  espresso  di  sua  signoria  illuslrissìma ,  e  non  di  mia 
volontà?  Parrebbe  che  volessi  tenere  dalla  parte  dell'  iniquità.  Oli  santo 
cielol  Dalla  parte  dell'iniquità  io!  Per  gli  spassi  che  la  mi  dà!  Basta; 
il  meglio  sarà  raccontare  a  Perpetua  la  cosa  com'è;  e  lascia  poi  (are  a 
Perpetua  a  mandarla  in  giro.  Purdiè  a  monsignore  non  venga  il  grillo 
di  far  qualche  pubblicità ,  qualche  scena  inutile ,  e  metlermìcJ  dentro 
anehe  me.  A  buon  conto,  appena  siamo  arrivali,  se  é  uscito  di  chiesa, 
vado  a  riverirlo  in  fretta  in  fretta;  se  no,  lascio  le  mie  scuse,  e  me  ne 
vo  diritto  diritto  a  casa  mìa.  Lucìa  è  bene  appoggiata  ;  di  me  non  ce  n'  è 
più  bisogno;  e  dopo  tant'  incomodi,  posso  pretendere  anch'  io  d'andarmi 
a  riposare.  E  poi ... .  che  non  venisse  anche  curiosità  a  monsignore 
di  saper  tutta  la'  storia,  e  mi  toccasse  a  render  conto  dell'  alTare  del 
matrimonio!  Non  ci  mancherebbe  altro.  E  se  viene  in  visita  anche 
alla  mìa  parrocchia!. . . .  Ohi  sarà  quel  che  sarà;  non  vo'  confondermi 
prima  del  tempo:  n'  ho  abbastanza  de'  guai.  Per  ora  vo  a  chiudermi  in 
casa.  Fin  che  monsignore  si  trova-  da  queste  parli ,  don  Rodrigo  non 

avrà  faccia  di  far  pazzie.  E  poi E  poi  ?  Ah  !  vedo  che  i  miei  ui- 

limi  anni  ho  da  passarli  male  !  — 

La  comitiva  arrivò  che  le  funzioni  di  chiesa  non  erano  ancor  ter- 
minate; passò  per  mezzo  alla  folla  medesima  non  meno  commossa  della 
prima  volta;  e  poi  si  divise.  I  due  a  cavallo  voltarono  sur  una  piaz- 
zetta di  fianco,  in  fondo  a  cui  era  la  casa  del  parroco;  la  lettiga  andò 
avanti  verso  quella  della  buona  donna. 

Don  Abbondio  fece  quello  che  aveva  pensato  :  appena  smontato,  fece 
i  più  sviscerati  complimenti  all' innominalo,  e  lo  pregò  di  volerlo  8cu> 
sar  con  monsignore  ;  che  lui  doveva  tornare  alla  parrocchia  addirit- 
tura, per  affari  urgenti.  Andò  a  cercare  quel  che  chiamava  il  suo  ca- 
vallo, cioè  il  bastone  die  aveva  lasciato  in  un  cantuccio  del  salotto, 


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»sa        .  .1  PROUESSt  SPOSI 

e  s*  incamminò.  L' innominato  stette  a  aspettare  che  il  cardinale  tor- 
nasse  di  chiesa. 

La  buona  donna,  falla  seder  Lucia  nel  miglior  luogo  della  sua  cu- 
cina, s'affaccendava  a  preparar  qualcosa  da  ristorarla,  ricusando,  con 
una  cerla  ruslichezza  cordiale,  i  ringraziamenti  e  le  scuse  che  questa 
rinnovava  ogni  tanto. 

Presto  presto ,  rimettendo  slipa  sollo  un  calderotto ,  dove  notava 


un  buon  cappone ,  fece  alzare  il  Irallorc  al  brodo ,  e  riempitane  uiia 
scodella  già  guarnita  di  fette  di  pane,  potè  finalmenle  presentarla  a 
Lucia.  E  nel  vedere  la  poverina  a  riaversi  a  ogni  cucchiaiata,  si  con- 
gratula\'a  ad  alla  voce  con  sé  slessa  che  la  cosa  fosse  accaduta  in  un 
giorno  in  cui ,  com'  essa  diceva ,  non  c'era  il  gallo  net  fuoco.  -»  Tulli 
s'ingegnano  oggi  a  far  qualcosina,  »  aggiungeva:  "ineno  que' poveri 
poveri  che  stcnlano  a  aver  pane  dì  vecce  e  polenta  di  saggina  ;  però 
oggi  da  un  signore  cosi  carilale\'ole  sperano  di  buscar  lutti  qualcosa. 
Noi,  grazie  al  cielo,  non  siamo  in  questo  caso:  Ira  il  mestiere  di  mio 
marito ,  e  qualcosa  che  abbiamo  al  sole ,  si  campa.  Sicché  mangiale 
senza  pensieri  intanto;  che  presto  il  cappone  sarà  a  tira,  e  potrete 
ristorarvi  un  po'  meglio.  »  Così  dello,  ritornò  ad  accudire  al  desinare, 
e  ad  apparecchiare. 

Lucia ,  tornatele  alquanto  le  forze ,  e  acquietandosele  sempre  più 
l'animo,  andava  intanto  assellandosi ,  per  un'abitudine,  per  un  istinto 


Digitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  XXIV.  «UT 

dr  pulizia  e  di  verecondia  :  rimetteva  e  fermava  le  (rccee  allcnlale 
e  airufTate,  raccomodava  il  TazzolcUo  sul  seno,  e  intorno  a)  eolio.  In 
far  questo,  le  sue  dita  s' inlralclarono  nella  corona  che  ei  aveva  )nessa, 
la  notte  avanti  ;  lo  sguardo  vi  corse  ;  si  fece  nella  niente  un  tumulto 
istantaneo  ;  la  memoria  del  voto ,  oppressa  (ino  allora  e  soffogata  da 
tante  sensazioni  presenti ,  vi  si  suscitò  d' improvviso,  e  vi  compar\e 
chiara  e  distinta.  Allora  tutte  le  potenze  del  suo  animo,  appena  ria- 
vute, furon  sopraffatte  di  nuovo,  a  un  tratto  :  e  se  qucll'  animo  non 
fosse  stalo  così  prejtarato  da  una  vita  d' innocenza ,  di  rassegnazione 
e  di  lìducia,  la  costernazione  che  provò  in  quel  momento,  sarebbe 
stata  disperazione.  Dopo  un  ribollimento  di  quc'  pensieri  die  non 
vengono  con  parole ,  le  prime  che  si  formarono  nella  sua  mente  fu- 
rono :  —  oh  povera  me ,  cos'  ho  fattoi  — 


Ma  non  appena  l' ebbe  pensate ,  ne  risenti  come  uno  spavento.  Le 
tornarono  in  mente  tulle  le  circostanze  del  voto ,  l'angoscia  intollera- 
bile, il  non  avere  una  speranza  di  soccorso,  il  fervore  della  preghiera. 


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IHB  I  PnOUKSSI  SPOSI 

la  pienezza  del  sentimento  con  cui  la  promessa  era  slata  fatta.  E  dopo 
avere  ottenuta  la  grazia,  pentirsi  delia  promessa,  le  parve  un' ingra- 
titudine sacnlega,  una  perfidia  verso  Dio  e  la  Madonna;  le  parve  che 
una  tale  infedeltà  le  attirerebbe  nuove  e  più  terribili  sventure ,  in 
mezzo  alle  quali  non  potrebbe  più  sperare  neppur  nella  preghiera; 
e  s' anreUó  di  rinnegare  quel  pentimento  momentaneo.  Si  levò  con 
divozione  la  corona  dal  collo ,  e  t«iendola  nella  n>ano  tremante , 
confermò ,  rinnovò  il  voto ,  chiedendo  nelle  slesso  tempo ,  con  una 
supplicazione  accorala,  che  le  fosse  concessa  la  forza  d'adempirlo,  die 
le  fossero  risparmiati  i  pensieri  e  1'  occasioni  le  quali  avrebbero  po- 
tuto ,  se  non  ìsmovcre  il  suo  animo ,  agitarlo  troppo.  La  lontananza 
di  Renzo,  senza  nessuna  probabilità  di  ritorno,  quella  lontananza  die 
(in  allora  le  era  stata  così  amara,  le  parve  ora  una  disposizione  della 
Provvidenza ,  che  avesse  fatti  andare  insieme  ì  due  avvenimenlì  per 
un  fine  solo;  e  si  studiavaidi  trovar  nell'uno  la  ragione  d'esser  con- 
tenta dell'allro.  E  dietro  a  quel  pensiero,  s'andava  figurando  ugual- 
molte  che  quella  Provvidenza  medesima,  per  compir  l'opera,  saprebbe 
trovar  la  maniera  di  far  che  Renzo  si  rassegnasse  anche  lui,  non  pen- 
sasse più....  Ma  una  tale  idea,  appena  trovala,  mise  sottosopra  la 
mente  eh'  era  andata  a  cercarla.  La  povera  Lucia ,  sentendo  die  il 
cuore  era  lì  li  per  pentirsi,  ritornò  alla  preghiera,  alle  conferme,  al  com- 
battimento, dal  quale  s'alzò,  se  ci  si  passa  quest' espressione,  come  il 
vincìlore  stanco  e  ferito,  dì  sopra  il  nemico  abbattuto:  non  dico  ucciso. 
Tult'a  un  tratto,  si  sente  uno  scalpìcdo,  e  un  diiasso  di  voci  al- 
legre. Era  la  famigliola  che  tornava  di  diiesa.  Due  bambinette  e  un 
fanciullo  entran  saltando;  si  fermano  un  momento  a  dare  un'occhiaia 
curiosa  a  Lucia,  poi  corrono  alla  mamma,  e  le  s'aggruppano  inlomo: 
ehi  domanda  il  ntmie  dell'  ospite  sconosctula ,  e  il  come  e  il  perchè  ; 
chi  vuol  raccontare  le  maraviglie  vedute:  la  buona  donna  risponde  a 
tutto  e  a  tutti  con  un  «  zitti ,  zitti,  x  Entra  poi ,  con  un  passo  più 
quieto  ,  ma  con  una  premura  cordiale  dipinta  in  viso,  il  padrone  <U 
casa.  Era,  se  non  l'abbiamo  ancor  detto,  il  sarto  del  villaggio,  e  de' 
contorni  ;  un  uomo  che  sapeva  leggere ,  che  aveva  letto  in  fotti  più 
d' una  volta  il  Leggendario  de'  Santi,  il  Guerrìn  meschino  e  i  Reali  di 
Francia,  e  passava,  in  quelle  parli,  per  un  uomo  di  talento  e  di  sden- 
za:  lode  però  che  rifiutava  modestamente,  dicendo  soltanto  che  aveva 
sbagliato  la  vocazione;  e  che  se  fosse  andato  agli  studi,  in  vece  di 
tant'  altri  —  !  Con  questo ,  la  miglior  pasta  del  mondo.  Essendosi 


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CAPITOLO  XXIV.  tao 

trovato  presente  quando  sua  moglie  era  siala  pregata  dal  curalo  d'ìii- 
trapreadere  quel  viaggio  caritatevole ,  non  solo  ci  aveva  data  la  sua 
approvazione,  ma  le  avrebbe  fatto  coraggio,  se  ce  ne  fosse  stalo  bi- 
sogno. E  ora  che  la  funzione,  la  pompa,  il  concorso,  e  soprattutto  la 
predica  del  cardinale  avevano,  come  si  dice,  esaltali  tutti  i  suoi  buoni 
sentimenti ,  tornava  a  casa  con  un'  aspettativa ,  con  un  desiderio  an- 
sioso di  sapere  come  la  cosa  fosse  riuscita,  e  di  ti'ovare  la  povera  in- 
nocente salvala. 

«  Guardale  un  poco,  »  gli  disse,  al  suo  entrare,  la  buona  donna, 
accennando  Lucìa;  la  quale  fece  il  viso  rosso,  s'alzò,  e  cominciava  a  bal- 
bettar qualche  scusa.  Ma  lui,  avvicinatosele,  l' interruppe  facendole  una 
gran  festa,  e  esciamando:  «  ben  venuta,  ben  venula!  Siete  la  bene- 
dizione del  cielo  in  questa  casa.  Come  son  contento  di  vedervi  qui  ! 


Già  ero  sicuro  che  sareste  arrivata  a  buon  porto;  perchè  non  ho  mai 
trovato  che  il  Signore  abbia  cominciato  un  miracolo  senza  finirlo 
bene  ;  ma  son  contento  di  vedervi  qui.  Povera  giovine  !  Ma  é  però 
una  gran  cosa  d'aver  ricevuto  un  miracolo  !  » 

Né  si  creda  che  fosse  lui  il  solo  a  qualificar  così  quell'avvenimento, 
perchè  aveva  letto  il  Leggendario  :  per  lutto  il  paese  e  per  tuli'  i 
coDtorni  non  se  ne  parlò  con  altri  termini,  fin  che  ce  ne  rimase  la 
memoria.  E,  a  dir  la  verità,  con  le  frange  che  vi  s'attaccarono,  non 
gli  poteva  convenire  altro  nome. 


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«so  1  PROMESSI  SPOSI. 

Accostatosi  poi  passo  passo  alla  moglie,  che  staccava  il  calderotlo 
dalla  catena ,  le  disse  sottovoce  :  u  è  andato  bene  ogni  cosa?  » 

»  Benone  :  li  racconterò  poi  lutto.  » 

u  Si,  sì;  con  comodo.  " 

Messo  poi  subito  in  tavola,  la  padrona  andò  a  prender  Lucia  ,  ^e 
l'accompagnò,  la  fece  sedere;  e  staccata  un'ala  di  quel  cappone, gliela 
mise  davanti;  si  mise  a  sedere  ancbe  lei  e  il  marito,  facendo  lutl'e 
due  coraggio  all'ospite  abbattuta  e  vergognosa,  perchè  mangiasse.  U 
sarto  cominciò,  ai  primi  bocconi,  a  discorrere  con  graud'enfasi ,  in 
mezzo  all' interruzioni  de'  ragazzi,  che  mangiavano  intorno  alla  lavob, 
e  che  in  verità  avevano  viste  troppe  cose  straordinarie,  per  fare  alla 
lunga  la  sola  parte  d'ascoltatori.  Descriveva  le  cerimonie  solenni,  pei 
saltava  a  parlare  della  conversione  miracolosa.  Ma  ciò  che  gli  aveva 
fatto  più  impressione,  e  su  cui  tornava  più  spesso,  era  la  predica  del 
cardinale. 

u  A.  vederlo  li  davanti  all'altare,  »  diceva,  «  un  sÌgn<M'e  di  quella 
sorte,  come  un  curato  ... ." 

u  E  quella  cosa  d'  oro  che  aveva  in  testa ....  »  diceva  una  bam- 
binetta. 

u  sta  utla.  A  pensare,  dico,  che  un  signore  di  quella  sorte,  e  un 
uomo  tanto  sapiente,  che,  a  quel  che  dicono,  ha  letto  lutti  i  libri  che 
ci  sono,  cosa  a  cui  non  è  mai  arrivato  nessun  altro,  né  anche  in  Mi- 
lano; a  pensare  che  sappia  adattarsi  a  dir  quelle  cose  in  maniera  che 
tutti  intendano ... ." 

u  Ho  inteso  anch'io ,  "  disse  1'  altra  chiacchierina. 

«  Sia  zitta!  cosa  vuoi  avere  inteso,  tu?  « 

u  Ho  inteso  che  spiegava  il  Vangelo  in  ^ece  del  signor  curalo.  " 

u  Sta  zitta.  Non  dico  chi  sa  qualche  cosa;  che  allora  uno  è  obbli- 
galo a  intendere;  ma  anche  i  più  duri  di  testa,  i  più  ignoranti,  an- 
davan  dietro  al  filo  del  discorso.  Andate  ora  a  domandar  loro  se  sa- 
prebbero ripeter  le  parole  e)ie  diceva:  si;  noa  ne  ripescherebbero  una; 
ma  il  sentimento  Io  hanno  qui.  E  senza  mai  nominare  quel  si^^ore, 
come  si  ca|>iva  che  voleva  parlar  di  lui  !  E  poi ,  per  capire ,  sarebbe 
bastalo  osser\'are  quando  aveva  le  lacrime  agli  occhi.  E  allora  tutla  la 
gente  a  piangere  ....  » 

"  É  proprio  vero ,  "  scap|>ó  fuori  il  fanciullo  :  «  ma  perchè  pian- 
gevan  tulli  a  quel  modo ,  come  bambini  ?  » 

"  Sta  zitto.  E  si  che  e'  è  de'  cuori  duri  in  questo  paese.  E  ha  fatto 


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CAPITOLO  XXIV.  4«1 

proprio  vedere  che,  benché  ci  sìa  la  carestia ,  bisogna  riagraziare  il 
Signore,  ed  esser  conlenti:  far  quel  che  si  può,  industriarsi,  aiutarsi, 
e  poi  esser  contenti.  Perchè  la  disgrazia  non  è  il  patire,  e  l'esser  po- 
veri; la  di^razìa  è  il  far  del  male.  E  non  son  belle  parole;  perchè  si 
sa  che  anche  luì  vìve  da  pover  uomo,  e  si  leva  il  pane  di  bocca  per 
darìo  agli  aflamali  ;  quando  potrebbe  far  vila  scella ,  meglio  di  chi  si 
sìa.  Ali  !  allora  un  uomo  dà  soddisfazione  a  sentirlo  discorrere  ;  non 
come  tanl' altri,  fate  quello  che  dico,  e  non  fate  quel  che  fo.  E  poi  ha 
fatto  proprio  vedere  che  .anche  coloro  che  non  son  signori,  se  hanno 
più  del  necessario ,  sono  obbligati  di  fame  parte  a  ehi  patisce,  n 

Qui  interruppe  ìi  discorso  da  sé ,  come  sorpreso  da  un  pensiero. 
Stelle  un  momento;  poi  mis*  insieme  un  piallo  delle  vivande  ch'eran 
sulla  tavola,  e  aggiuntovi  un  pane,  mise  il  piallo  in  un  tovagliolo,  e 
pnso  queslo  per  le  quattro  cocche ,  disse  alla  sua  bambinetta  mag- 
giore: u  piglia  qui.  "  Le  diede  nell'altra  mano  un  fiaschello  di  vino, 
e  soggiunse:  «  va  qui  da  Maria  vedova;  lasciale  questa  roba,  e  dille 
che  è  per  slare  un  po'  allegra  co'  suoi  bambini.  Ma  con  buona  maniera, 
ve'  ;  che  non  paia  che  tu  le  faccia  l' elemosina.  E  non  dir  niente ,  se 
incontri  qualchedimo;  e  guarda  di  non  rompere.  •» 


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4«l  I  PROMESSI  SPOSI. 

Lucia  fece  gli  ocdii  rossi ,  e  senti  in  cuwe  una  tenere&a  ricrea- 
trice; come  già  da' discorsi  di  prima  aveva  ricevuto  un  soUieyo  che 
UD  discorso  fatto  apposta  non  le  avrebbe  potuto  dare.  L'animo  attirale 
da  quelte  descrizioni,  da  quelle  fantasie  di  poonpa,  da  quelle  c(HtiiiKH 
zioni  di  pietà  e  di  maraviglia,  preso  dall'entusiasmo  medesimo  dd 
narratore,  sì  staccava  da'  pensieri  dolorosi  di  sé;  e  anche  ritomandeci 
sopra ,  si  trovava  più  forte  contro  di  essi.  Il  pensiero  slesso  del  gran 
sacrifizio ,  non  già  che  avesse  perdalo  il  suo  amaro ,  ma  iosiem  eoo 
esso  aveva  un  non  so  che  d' una  gioia  austera  e  solenne. 

Poco  dopo ,  entrò  il  curato  del  paese,  e  disse  d'esser  mandalo  dal 
cardinale  a  informarsi  di  Lucia,  ad  avvertirla  che  monsignore  voleva 
vederla  io  quel  giorno,  e  a  ringraziare  in  suo  nome  il  sarlo  e  la  mo- 
glie. E  questi  e  quella,  commossi  e  confusi,  non  trovavan  parole  per 
corrispondere  a  lali  dimostrazioni  d'un  taJ  personaggio. 

«  E  vostra  madre  non  è  anc4M'a  arrivata?  disse  il  curato  a  Luda. 

«  Mia  madre!»  esclamò  questa.  Dicendole  poi  il  curato,  die  l'aveva 
mandala  a  prendere,  d'ordine  dell'arcivescovo,  si  mise  il  grembiule  agli 
occhi,  e  diede  in  un  diroUo  pianto,  che  durò  un  pezzo  dopo  die  fu  an- 
dato via  il  curato.  Quando  poi  gli  aEfelU  tumultuo^  che  le  si  erano 
susdlati  a  quell'annunzio,  cominciarono  a  dar  luogo  a  pensieri  più 
posati ,  la  poverina  si  ricordò  che  qudla  consolazione  allora  così  vi- 
cina, di  riveder  la  madre,  una  consolazione  così  inaspettala  poche  ore 
prima,  era  stata  da  lei  espressamente  implorata  in  quell'ore  terribili, 
e  messa  quasi  come  una  condizione  al  voto.  Fatemi  tornar  taliM  con 
mia  madre,  aveva  detto;  e  queste  parole  le  ricomparvero  ora  distinte 
nella  memoria.  Si  confermò  più  che  mai  nel  proposito  di  mantener  la 
promessa ,  e  si  fece  di  nuovo ,  e  più  amaramente ,  scrupolo  di  qud 
povera  me!  che  le  era  scappato  detto  tra  sé,  nel  primo  momento. 

Agnese  infatli ,  quando  si  parlava  di  lei ,  era  già  poco  lontana.  È 
focile  pensare  come  la  povera  donna  fosse  rimasta,  a  qudl'invito  cosi 
inaspettato,  e  a  quella  notizia,  necessariamente  tronca  e  confusa,  d'un 
pericolo,  si  poteva  dir,  cessato,  ma  spaventoso;  d'un  caso  terribile,  che 
il  messo  non  sapeva  né  circostanziare  né  spiegare;  e  lei  non  aveva  a 
che  attaccarsi  per  ispiegarlo  da  sé.  Dopo  essersi  cacdate  le  mani  ne' 
capelli,  dopo  aver  gridalo  più  volte;  «  ah  Signore!  ah  Madonna!  », 
dopo  aver  fatte  al  messo  varie  domande,  alle  quali  questo  non  sapeva 
die  risponda^ ,  era  entrata  in  fretta  e  in  (uria  nel  baroccio ,  conti- 
nuando per  la  strada  a  esdamare  e  interrogare,  senza  profitto.  Ma,  a 


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CAPITOtO  XXIV.  *M 

UD  cerio  puDto ,  aveva  iocoDlrato  don  Abbondio  che  veniva  adagio 
adagio,  mettendo  avanti,  a  ogni  passo,  il  suo  bastone.  Dopo  un  u  oh!  » 
dì  tuU'  e  due  le  parti ,  lui  s'  era  fermato ,  lei  aveva  fatto  fermare,  ed 
era  smontata;  e  s'eran  tirati  in  disparfe  in  un  castagneto  che  costeg- 
giava la  strada.  Don  Abbondio  l'aveva  ragguagliata  dì  ciò  che  aveva 
potuto  sapere  e  dovuto  vedere.  La  cosa  non  »a  chiara  ;  ma  almeno 
Agnese  fu  assicurata  che  Lucia  era  alTatto  in  salvo;  e  respirò. 

Dopo,  don  Abbondio  era  voluto  entrare  in  un  altro  discorso,  e 
darle  una  lunga  istruzione  sulla  maniera  di  regolarsi  con  l'arcivesco- 
vo, se  questo,  com'  era  probabile,  avesse  desiderato  dì  parlar  con  lei  e 
COTI  la  figliuola;  e  soprattutto  che  non  conveniva  far  parola  del  matri- 
monio.... Ma  Agnese,  accorgendosi  die  il  brav'uomo  non  parlava  che 
per  il  suo  proprio  interesse,  l'aveva  piantato,  senza  promettergli,  anzi 
senza  risolver  nulla  ;  che  aveva  tutt'  altro  da  pensare.  E  s'  era  ri- 
messa in  istrada. 

Finalmente  il  baroccio  arriva,  e  si  ferma  alla  casa  del  sarto.  Luda 
s'alza  precipitosamente;  Agnese  scende,  e  dentro  di  corsa:  sono  nelle 
braccia  l'una  dell'altra.  La  moglie  del  sarto,  ch'era  la  sola  che  si  tro- 
vava li  presente,  fa  coraggio  a  tutt'  e  due,  le  acquieta,  si  rallegra  con 
loro,  e  poi,  sempre  discreta,  le  lascia  sole,  dicendo  che  andava  a  pre- 
parare un  letto  per  loro  ;  die  aveva  il  modo ,  senza  incomodarsi;  ma 
che ,  in  ^uni  caso ,  tanto  lei ,  come  suo  marito,  avrebbero  piuttosto 
voluto  dormire  in  terra ,  che  lasciarle  andare  a  cercare  un  ricovero 
aìtrove. 

Passato  quel  primo  sfogo  d'abbracdamenti  e  di  singhiozzi,  ^^esc 
volle  sapere  i  casi  di  Lucia ,  e  questa  si  mise  affannosamente  a  rac- 
conta^ieli.  Ma,  come  il  lettore  sa,  era  una  storia  che  nessuno  la  co- 
nosceva  tutta;  e  per  LacJa  stessa  e'  eran  delle  parti  oscure,  inespHca- 
bìli  affatto.  E  principalmente  quella  fatale  combinazione  d'  essersi  la 
terrìtHle  ctUTczsa  trovala  li  sulla  strada,  per  l' appunto  quando  Luda 
vi  passava  per  un  caso  straordinario  :  su  di  che  la  madre  e  la  fi(^ia 
focevan  cento  congetture,  senza  mai  dar  nel  segno,  anzi  senza  neppure 
andard  vicino. 

In  quanto  all'  autor  principale  della  trama ,  tanto  V  una  che  l' altra 
non  potevano  lare  a  meno  di  non  pensare  che  fosse  don  Rodrigo. 

"  Ah  anima  nera!  ah  tizzone  d'inferno!"  esclamava  Agnese:  u  ma 
verrà  la  sua  ora  anche  per  lui.  Domeneddiolo  pagherà  secondo  il  me- 
rito; e  allora  proverà  anche  luì ....  » 


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1  PROUESSI  SPOSI. 


u  No,  no,  mamma;  no!  n  interruppe  Lucia:   »  non  gli  augurate 
di  patire ,  non  1'  augurate  a  nessuno  !  Se  sapeste  cosa  sia  patire  [  Se 


.1  : 

I  I 


aveste  provalo!  No,  no!  preghiamo  piuttosto  Dio  e  la  Madonna  per 
lui  :  che  Dio  gli  tocchi  il  cuore ,  come  Ila  Tatto  a  quesl'  altro  povero 
signore,  ch'era  peggio  di  luì;  e  ora  è  un  santo,  r 

Il  ribrezzo  clic  Lucia  provava  nel  tornare  sopra  memorie  cosi  re- 
centi e  così  crudeli,  la  fece  più  d'una  volta  restare  a  mezzo;  più  d'una 
volta  disse  che  non  le  bastava  i'  animo  di  continuare ,  e  dopo  molle 
lacrime,  riprese  la  parola  a  stento.  Ma  un  senlimenlo  diverso  la  tenne 
sospesa,  a  un  certo  punto  del  racconto:  quando  fu  al  voto.  Il  timore 
che  la  madre  le  desse  dell' imprudente  e  della  precipitosa;  e  che,  come 
aveva  fatto  nell'affare  del  matrimonio,  mettesse  tu  campo  qualche  sua 
regota  larga  di  coscienza,  e  volesse  fai^liela  trovar  giusta  per  forza; 
o  che,  povera  donnar,  dicesse  la  cosa  a  qualdieduno  in  confidenza,  se 
non  altro  per  aver  lume  e  consiglio,  e  la  facesse  così  divenir  pubblica, 
cosa  che  Luda,  solamente  a  pensarci,  si  sentiva  venire  il  viso  rosso; 
anche  una  certa  vergogna  della  madre  stessa,  una  ripugnanza  inespli- 
cabile a  entrare  in  quella  materia;  tutte  queste  cose  insieme  fecero 
che  nascose  quella  circostanza  importante ,  proponendosi  di  farne 
prima  la  confidenza  al  padre  Cristoforo.  Ma  come  rimase  aDorehc , 


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CAPITOLO  XXIV.  «flU 

domabdando  di  lui,  si  sentì  rispondere  che  non  c'era  pia,  ch'era  stalo 
maodalo  in  un  paese  lontano  lontano,  in  un  paese  che  aveva  uo  certo 
nome! 

B  E  Renzo?  »  disse  A^ese. 

u  È  in  s^vo,  n'è  vero?  »  disse  ansiosamente  Lucia. 

u  Questo  è  sicuro,  perchè  tulli  Io  diconoj  si  tien  per  certo  che  si 
sìa  ricoverato  sul  bergamasco;  ma  ti  luogo  proprio  nessuna  lo  sa  dire: 
e  lui  finora  non  ha  mai  fatto  saper  nulla.  Che  non  abbia  ancora  tro- 
vala la  maniera,  n 

H  Ah,  se  è  in  salvo,  sia  ringrazialo  il  Signore!  n  disse  Lucia;  e 
cercava  di  cambiar  discorso;  quando  il  discorso  fu  inlcrroKo  da  una 
noviU  inaspettata  :  la  comparsa  del  cardinale  arcivescovo. 

Questo,  tornato  di  chiesa,  dove  l'abbiam  lasciato,  sentito  dall'inno- 
minato che  Lucia  era  arrivata,  sana  e  salva,  era  andato  a  tavola  con 
lui,  facendoselo  sedere  a  destra,  in  mezzo  a  una  corona  di  preti,  die 
non  potevano  saziarsi  di  dare  occhiate  a  quell'aspelfo  così  ammansalo 
senza  debolezza,  «)si  umiliato  senza  abbassamento,  e  di  paragonarlo 
con  r  idea  che  da  lungo  tempo  s'eran  falta  del  personaggio. 

Finito  di  desinare,  loro  due  s'eran  ritirati  di  nuovo  insieme.  Dopo 
un  colloquio  che  durò  molto  più  del  primo ,  l' innominalo  era  partito 
per  il  suo  castello,  su  quella  slessa  mula  della  mattina;  e  il  cardinale, 
fatto  chiamare  il  curato,  gli  aveva  detto  che  de^derava  d'esser  con- 
dotto alla  casa  dov'era  ricoverala  Lucia. 

«  Oh!  monsignore,  n  aveva  risposto  il  curato,  "  non  s'incomodi: 
manderò  io  subilo  ad  avverlire  che  venga  qui  ia  giovine,  la  madre, 
se  è  arrivata,  anche  gli  ospiti,  se  monsignore  li  vuote,  tulli  quelli  che 
desidera  vossignoria  illustrissima.  » 

u  Desidero  d'andar  io  a  trovarli,  n  aveva  replicato  Federigo. 

u  Vossignoria  illustrissima  non  deve  incomodarsi  :  manderò  io  su- 
bito a  chiamarli  :  è  cosa  d'  un  momento ,  »  aveva  insistito  il  curalo 
goastameslieri  (buon  uomo  del  resto),  non  intendendo  che  il  cardi- 
ns^e  voleva  con  quella  visita  rendere  onore  alla  sventura ,  all'  inno- 
cenza, all'ospitalità  e  al  suo  proprio  ministero  in  un  tempo.  Ma,  avendo 
il  superiore  espresso  di  nuovo  il  medesimo  desiderio,  l' inferiore  s'in- 
chinò e  si  mosse. 

Quando  i  due  personaggi  furon  veduti  spuntar  nella  strada,  tutta 
la  gente  che  c'era  andò  verso  dì  loro;  e  in  pochi  momenti  n'accorse 
da  ogni  parte,  camminando  Iwo  ai  fianchi  chi  poteva,  e  gli  altri 


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44;n  I  PROMESSI  SPOSI 

dietro,  alla  rinfusa.  Il  curalo  badat'a  a  dire:  «  via,  indietro,  rìlira- 
(evi;  ma!  ma!  »  Federigo  gli  diceva:  u  lasciateli  fare,  ■  e  andava 
avanti,  ora  alzando  la  mano  a  benedir  la  gente,  ora  abbassandola  aà 
accarezzare  i  ragazzi  che  gli  venivan  tra'  piedi.  Così  arrivarono  alla 
casa,  e  c'entrarono:  la  folla  rimase  ammontata  al  di  fuori.  Ma  nella 
folla  si  trovava  ancbe  il  sarto ,  il  qiule  era  andato  dietro  come  g^i 
altri ,  con  gji  occiù  fissi  e  con  la  bocca  aperta,  non  sapendo  dove  à 
rìuscàrebbe.  Quando  vide  quel  dove  inaspettato ,  si  fece  far  largo , 
pensale  con  che  strepilo,  gridando  e  rigridando:  «  lasciate  passare 
chi  ha  da  passare  ;  »  e  entrò. 


Agnese  e  Lucìa  sentirono  un  ronzio  crescente  nella  strada;  mentre 
pensavano  cosa  potesse  essere,  videro  l'uscio  spalancarsi,  e  comparire 
il  porporato  col  parroco. 

"  É  quella?  »  domandò  il  primo  al  secondo;  e,  a  un  cenno  afler- 
mativo,  andò  verso  Lucia,  ch'era  rimasla  lì  con  la  madre,  Lutt'e  due 
immobili  e  mute  dalla  sorpresa  e  dalla  vergogna.  Ma  il  tono  di  quella 
voce,  l'aspetto,  il  conlegno,  e  soprattutlo  le  parole  di  Federigo  l'eb- 
bero subilo  rianimate.  «  Povera  gio^'ine ,  n  cominciò  :  «  Dio  ha  per- 
messo die  foste  messa  a  una  gran  prova;  ma  v'Iia  anche  fatto  vedore 


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CAPITOLO  XXIV.  40T 

die  non  aveva  levato  ['  occhio  da  voi,  die  non  v'  aveva  diin«iticata. 
V  ha  rimessa  in  salvo;  e  s'è  serbilo  di  voi  per  una  grand'opera,  per 
fere  una  gran  misericordia  a  ano ,  o  per  sollevar  mt^ti  nello  stesso 
tempo.  » 

Qni  comparse  nella  stanza  la  padrona,  la  quale,  al  nunore,  s'er»  al- 
foodata  anch'essa  alla  finestra,  e  avendo  veduto  dii  le  entrava  in  casa, 
aveva  sceso  le  scale,  di  corsa,  dopo  essersi  raccomodata  alla  meglio; 
e  quasi  nello  stesso  tempo,  entrò  il  sarto  da  un  altr'  uscio.  Vedendo 
avviato  il  discorso,  andarono  a  riunirsi  in  un  canto,  dove  rimasero 
con  gran  rispetto.  Il  cardinale,  salutatili  cortesemente,  continuò  a  par- 
lar con  le  donne,  mescolando  ai  conforti  qualche  domanda,  per  veder 
se  nelle  risposte  potesse  trovar  qualche  congiuntura  di  far  del  haie  a 
chi  aveva  tanto  patito. 

u  Bisognerebbe  che  tutti  i  preti  fossero  come  vossignoria,  cbe  te- 
nessero un  po' dalla  parte  de'poveri,  e  non  aiu(assei-o  a  metterli  in 
imbroglio,  per  cavarsene  loro,  »  disse  Agnese,  animata  dal  contegno 
cosi  famigliare  e  amore^'Ole  di  Federigo,  e  slizzila  dal  pensare  che  il 
signor  don  Abbondio,  dopo  aver  sempre  sacrilkatl  gli  altri,  preten- 
desse poi  anche  d'impedir  loro  un  piccolo  sfogo,  un  lamento  con  chi 
era  al  di  sopra  di  luì,  quando,  per  un  caso  raro,  n'era  venuta  l'oe- 
casione. 

«  Dite  pure  tulio  quel  clic  pensale,  »  disse  il  cardinale:  «  parlate 
lil>cramenle.  " 

«  Voglio  dire  che,  se  il  nostro  signor  curato  avesse  fatto  il  suo  do- 
vere, la  cosa  non  sarebbe  andata  cosi.  » 

Ma  facendole  il  cardinale  nuove  istanze  perche  si  spiegasse  meglio, 
quella  comindò  a  trovarsi  impicciata  a  dover  raccontare  una  storia 
nella  quale  aveva  anch'essa  una  parte  che  non  si  curava  di  far  sapere, 
specialmente  a  un  tal  personaggio.  Trovò  però  il  verso  d'accomodarla 
con  un  piccolo  stratdo  :  raccontò  del  matrimonio  concertalo,  del  rifiuto 
di  don  Abbondio,  non  lasciò  fuori  il  pretesto  de'supmon  che  lui  aveva 
messo  in  campo  (  ali ,  Agnese  !  )  ;  e  saltò  all'attenlalp  di  don  Rodrigo,  e 
come ,  essendo  stati  avvertili ,  avevano  potuto  scappare,  u  Ma  si ,  " 
soggiunse  e  concluse  :  u  scappare  per  ìndampard  di  nuovo.  Se  in 
vece  il  signor  curato  ci  avesse  detto  sinceramente  la  cosa ,  e  avesse 
subito  maritati  i  miei  poveri  giovani,  noi  ce  n'andavamo  via  sutùlo, 
tutti  insieme,  di  naseoslo,  Itmlano,  in  luogo  che  né  anche  l'tuia  non 
l'avrebbe  sapulo.  Così  s'è  perduto  tempo;  ed  è  nato  quel  cbe  è  nato. 


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t6«  ■  PROMESSI  SPOSI. 

«  Il  signOT  curalo  mi  renderà  conto  di  questo  fatto,  »  disse  il  car- 
dinale. 

u  No,  signcve,  no,  signore,»  disse  subito  Agnese:  «  non  ho  parlato 
per  questo  :  non  lo  gridi ,  perchè  già  quel  che  è  slato  è  stato  ;  e  poi 
non  serve  a  nulla:  è  un  uomo  Eatto  cosi:  tornando  il  caso,  farebbe 
lo  stesso.  " 

Ma  Lucia ,  non  contenta  dì  quella  maniera  di  raccontar  la  stona , 
soggiunse  :  «  anche  ntà  abbiamo  fatto  del  male  :  si  vede  che  non  era 
la  volontà  del  Signwe  che  la  cosa  dovesse  riuscire.  » 

«  Che  male  avete  potuto  far  voi,  povera  giovine?»  disse  Federigo. 


Lucia,  malgrado  gli  oediiacci  die  la  madre  cercava  di  farle  alla  sfi^- 
gila,  raccontò  la  storia  del  tentativo  fatto  in  casa  di  don  Abbondio; 
e  concluse  dicendo  ;  u  abbiam  folto  male  ;  e  Dio  ci  ha  gastigati.  » 


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CAPITOLO  XXIV.  4«fi 

n  Prendete  dalla  sua  mano  i  palimenti  cbe  avete  sofferti ,  e  state 
di  buon  animo,  »  disse  Federigo:  «  perchè,  chi  avrà  ragione  di  ral- 
legrarsi e  di  sperare,  se  non  ehi  ba  patito,  e  pensa  ad  accusar  sé  me- 
desimo? » 

Domandò  allora  dove  fosse  il  promesso  sposo,  e  sentendo  da  Agnese 
(Lucia  stava  zitta,  con  la  testa  e  gli  occhi  bassi)  ch'era  scappato  dal 
sao  paese,  ne  provò  e  ne  mostrò  maraviglia  e  dispiacere  ;  e  volle  sa- 
pere il  perdiè. 

Agnese  raccontò  alla  meglio  tulio  (|uel  |>oco  die  sapeva  della  storia 
di  Renzo. 

e  Ho  sentito  parlare  di  questo  giovine,  n  disse  il  cardinale  :  «  ma 
come  mai  uno  die  si  trovò  involto  in  affari  di  quella  sorte ,  poteva 
essere  in  trattato  di  matrimonio  con  una  ragazza  cosi?  » 

«  Era  un  giovine  dabbene,  «  disse  Lucia,  faeendo  il  viso  rosso, 
ma  con  voce  sicura. 

«  Era  un  giovine  quieto,  fin  troppo,»  soggiunse  Agnese:  «e  que- 
sto lo  può  domandare  a  dii  sì  sia,  anche  al  signor  curato.  Chi  sa  che 
imbroglio  avranno  Tatto  laggiù,  die  cabale?  I  poveri,  ci  vuol  poco  a 
forti  comparir  birboni.  « 

«  È  vero  pur  troppa ,  »  disse  il  cardinale  :  "  m' inronnerò  di  lui 
senza  dubbio:»  e  fattosi  dire  nome  e  cognome  del  giovine,  ne  prese 
l'appunto  sur  uo  librìccin  di  memorie.  Aggiunse  poi  che  contava  -di 
portarsi  al  loro  paese  tra  pochi  giorni ,  che  allora  Lucia  potrebbe  ve- 
nir là  senza  timore,  e  che  intanto  penserebbe  luì  a  provvederla  d'un 
luogo  dove  potesse  esser  al  sicuro ,  tin  die  ogni  cosa  fosse  accomo- 
dala per  il  meglio. 

Si  voltò  quindi  ai  padroni  di  casa,  cbe  vennero  subito  avanti.  Rin- 
novò i  ringraziamenti  die  aveva  fatti  fare  dal  curato ,  e  domandò  se 
sarebbero  stati  contenti  di  ricoverare,  per  que' pochi  giorni,  le  ospiti 
die  Dio  aveva  loro  mandate. 

tt  Oh  !  si  signore ,  »  rispose  la  donna,  con  un  tono  di  voce  e  con 
UD  viso  ch'esprimeva  molto  più  di  quell'asdutta  risposta,  strozzala 
dalla  vergogna.  Ma  11  marito,  messo  in  orgasmo  dalla  presenza  d'un 
tale  interrogatore,  dal  desiderio  di  farsi  onore  in  un'  occasione  di  tanta 
importanza,  studiava  ansiosamente  qualche  bella  risposta.  Raggrinzò  la 
fronte,  torse  ^i  occhi  in  traverso,  strinse  le  labbra,  tese  a  tutta  forza 
r  aroo  dell'  inldletto ,  cercò  ,  frugò  ,  sentì  di  dentro  un  cozzo  d"  idee 
monche  e  di  mezze  parole  :  ma  il  momoito  stringeva  ;  il  cardinale 


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I  PROMESSI  SPOSI 


accennava  già  d'  avere  interpretalo  il  silenzio  :  il  pover'uomo  aprì  la 
bocca,  e  disse:  «  si  figuri!  »  Altro  non  gli  volle  venire.  Cosa,  di  coi 


non  solo  rimase  avvilito  sul  momento;  ma  sempre  poi  quella  rimeoi- 
branza  importuna  gli  guastava  la  compiacenza  del  grand'  onore  rice- 
vuto. E  quante  volte,  lomandoci  sopra,  e  rimetleodosi  col  pensiero 
in  quella  circostanza,  gli  venivano  in  menic,  quasi  per  dispello,  (larole 
che  tutte  sarebbero  slate  meglio  di  quell' iusulso  ai  figuri!  Ma,  come 
dice  un  antico  proverbio,  del  senno  di  poi  ne  son  piene  le  fosse 

U  cardinale  parli ,  dicendo  :  "  la  benedizione  del  Signore  sia  sopra 
questa  casa.  » 

Domandò  poi  la  sera  al  curalo  come  si  sarebbe  potuto  in  modo  con- 
^'enevole  ricompensare  quell'uomo,  che  non  doveva  esser  ricco,  del- 
l'ospitalità costosa,  specialmente  in  que'  tempi.  Il  curato  rispose  che, 
per  verìlk ,  né  i  guadagni  della  professione ,  né  le  rendite  di  cedi 
campicelli,  cbeilbuon  sarto  aveva  del  suo,  non  sarebbero  bastate,  in 
quell'annata,  a  metterlo  in  islato  d'esser  liberale  con  gli  altri  ;  ma  che, 
avendo  fatto  degli  avanzi  negli  anni  addietro,  si  trovava  de' più  agiati 
del  contorno,  e  poteva  far  qualche  spesa  di  più,  senza  dissesto,  come 
cerio  faceva  questa  volentieri  ;  e  che ,  del  rimanente ,  non  ci  sareUic 
stalo  verso  di  fargli  accettare  nessuna  ricompensa. 


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CAPITOLO  XXIV.  4H 

u  AvTÒ  probabilmente,  »  disse  il  cardinale,  u  credili  con  genie 
die  non  può  pagare.  » 

u  Pensi ,  monsignore  tlluslrissimo  :  questa  po\era  genie  paga  con 
quel  che  le  avanza  della  raccolta:  l'anno  scorso,  non  avanzò  nulla; 
ili  questo ,  tutti  rimangono  indietro  del  necessario.  •> 

u  Ebbene,  »  disse  Federigo:  »  prendo  io  sopra  di  me  tulli  que'  de- 
bili ;  e  %oi  mi  farete  il  piacere  d' aver  da  luì  la  nota  delle  partite ,  e 
di  saldarle,  n 

"  Sarà  una  somma  ragionevole,  n 

u  Tanto  meglio:  e  avrete  pur  troppo  di  quelli  ancor  più  bisognosi , 
i-lie  non  hanno  debili  perclie  non  (rovan  credenza.  » 

"  Eh,  pur  troppo!  Si  fa  quel  che  si  può;  ma  come  arrivare  a  tulio, 
in  tempi  di  questa  sorte?  >> 

"  Fate  che  lui  li  vesta  a  mio  conto,  e  pagatelo  bene.  Veramente , 
in  quest'anno,  mi  par  rubato  tutto  ciò  che  non  va  in  paoe;  ma  que- 
sto è  un  caso  particolare.  » 

Non  vogliam  però  chiudere  la  storia  di  quella  giornata,  senza  rac- 
contar brevemente  come  la  terminasse  l' innominato. 

Questa  volta,  la  nuova  della  sua  conversione  1'  aveva  preceduto 
nella  valle;  vi  s'era  subito  sparsa,  e  aveva  messo  per  tutto  uno  sba- 
lordinienlo,  un'ansietà,  un  cruccio,  un  susurro.  Ai  primi  bravi,  o  ser- 
vitori (era  lult'uno)  che  vide,  accennò  che  lo  seguissero;  e  cosi  dì 
mano  in  mano.  Tulli  veiiivan  dietro,  con  una  sospensione  nuova,  e  con 
la  suggezione  solila;  finché,  con  un  seguito  sempre  crescente,  arrivò 
al  castello.  Accennò  a  quelli  che  si  trovavan  sulla  porla ,  che  gli  ve- 
nissero dietro  con  gli  altri  ;  entrò  nel  primo  cortile ,  andò  \erso  il 
mezzo,  e  lì,  essendo  ancora  a  cavallo,  mise  un  suo  grido  tonante: 
era  il  segno  usato,  al  quale  accorrevano  lutti  que' suoi  die  l'avessero 
senlito.  In  un  momento,  quelli  ch'erano  sparsi  per  il  castello,  vennero 
dietro  idla  voce,  e  s'univano  ai  già  radunali,  guardando  lutti  il  pa- 
drone. 

«  Andate  ad  aspettarmi  nella  sala  grande,  »  disse  toro;  e  dall'alto 
ddla  sua  cavalcatura,  gli  stava  a  veder  partire.  Ne  scese  poi,  la  menò 
lui  stesso  alla  alalia,  e  andò  dov'  era  aspettalo.  Al  suo  apparire,  cessò 
subito  on  gran  bisbiglio  che  c'era;  tulli  si  ristrinsero  da  una  parie, 
lasciando  vólo  per  lui  un  grande  spazio  della  sala:  pole\ano  essere 
una  trentina. 

L'  innominalo  alzò  la  mano ,  come   per  mantener  quel  silenzio 


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4T«  I  PROMESSI  srosi 

improvviso  ;  alzò  la  (esla,  che  passava  tutte  quelle  della  brigata,  e  d 


u  ascoltate  tutti ,  e  nessuno  parli ,  se  non  è  interrogato.  Figliuoli  !  la 
strada  per  la  quale  siamo  andati  finora,  conduce  nel  fondo  deirinfaiio. 
Non  è  un  rimprovero  ch'io  voglia  farvi,  io  che  sono  avanti  a  tutti, 
il  peggiore  di  tutti;  ma  sentite  ciò  che  v'ho  da  dire.  Dio  mismeor- 
dioso  m'ha  ehiamato  a  mutar  vita;  e  io  la  muterò,  l'ho  già  mutala: 
cosi  faccia  con  tutti  voi.  Sappiale  dunque,  e  tenete  per  fermo  che  don 
risoluto  di  prima  morire  che  far  più  nulla  contro  la  sua  santa  ì^fge. 
Levo  a  ognun  di  voi  gli  ordini  scellerati  che  avete  da  me;  voi  m'in- 
tendete ;  anzi  vi  comando  di  non  far  nulla  di  ciò  che  v'  era  coman- 
dato. E  tenete  per  fermo  ugualmente,  che  nessuno,  da  qui  avanti,  potrà 
far  del  male  con  la  mia  protezione,  al  mio  servizio.  Gtii  vuol  restare 
a  questi  patti,  sarà  per  me  come  un  Rglitiolo  :  e  mi  troverei  con- 
tento alla  fine  di  quel  giorno ,  in  cui  non  avessi  mangiato  per  satol- 
lar l'ultimo  di  voi,  con  l'ultimo  pane  che  mi  rimanesse  in  casa.  Gù 
non  vuole ,  gli  sarà  dato  quello  che  gli  è  dovuto  di  satario,  e   un 


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CAPITOLO  XXIV.  ITI 

regalo  di  più:  potrà  andarsene;  ma  non  meda  più  piede  qui:  quando 
non  fosse  per  mular  vila  ;  che  per  questo  sarà  sempre  ricevuto  a 
braccia  aperte.  Pensateci  questa  notte  :  dumallina  vi  eliiamerà,  a  uno 
a  uno,  a  darmi  la  risposta;  e  allora  vi  darò  nuovi  ordini.  Per  ora,  ri- 
tiratevi, ognuno  al  suo  posto.  E  Dio  che  ha  usalo  con  me  tanta  mise- 
ricordia, ^'i  mandi  il  buon  pensiero.  » 

Qui  fìni,  e  lutto  rimase  in  silenzio.  Per  quanto  vari  e  tumultuosi 
fossero  i  pensieri  che  ribollivano  in  que' cervcllaeci,  non  ne  apparve 
dì  fuori  nessun  segno.  Erano  avvezzi  a  prender  la  voce  del  loro  si- 
gnore come  la  manifestazione  d'una  volontà  con  la  quale  non  c'era 
da  ripetere  :  e  qndla  voce ,  annunziando  che  la  volontà  era  mutata , 
non  dava  punto  indizio  die  fosse  indebolita.  A  nessuno  di  loro  passò 
neppur  per  fa  mente  die,  per  esser  lui  convertito,  si  potesse  pren- 
dergli il  sopravvento ,  rispondergli  come  a  un  altr'  uomo.  Vedevano 
in  Ini  un  santo,  ma  un  di  que'  santi  che  sì  dipingono  con  la  testa 
alta,  e  con  la  spada  in  pugno.  Oltre  il  timore,  avevano  anche  per  lui 
( prìocipalmenle  quelli  ch'eran  nati  sul  suo,  ed  erano  una  gran  parte) 
un'aflotinne  come  d'uomini  ligi;  avevan  poi  tutti  una  benevolenza 
d'ammirazione;  e  alla  sua  presenza  sentivano  una  specie  di  qiietla, 
dirò  pur  cosi,  verecondia,  ebe  anche  gii  animi  phì  zotici  e  più  petu- 
lanti provano  davanti  a  una  superiorità  che  hanno  già  riconosciuta. 
Le  cose  poi  che  allora  avevan  sentile  da  quella  bocca ,  erano  benà 
odiose  a'  loro  orecchi,  ma  non  false  né  affatto  estranee  ai  loro  inlel- 
lelti:  se  mille  volte  se  n'  eran  fatti  beffe,  non  era  già  percliè  non  le 
credessero,  ma  per  prevenir  con  le  beffe  la  paura  che  gliene  sarebbe 
venuta,  a  pensarci  sul  serio.  E  ora,  a  veder  l'effetto  di  quella  paura 
in  un  animo  come  quello  del  loro  padrone ,  chi  più,  chi  meno,  non 
ce  ne  fu  uno  che  non  gli  se  n'attaccasse,  almeno  per  qualche  tempo. 
S'E^^unga  a  lutto  ciò,  che  quelli  tra  toro  che,  trovandosi  la  mattina 
fuor  della  valle,  avevan  risaputa  per  i  primi  la  gran  nnova,  avevano 
insieme  veduto,  e  avevano  anche  riferito  la  gioia ,  la  baldanza  della 
popolazione,  l'amore  e  la  venerazione  per  l'innominato,  ch'erano  en- 
trati in  lut^o  dell'  antico  odio  e  dell'  antico  terrore.  Di  maniera  che , 
nell'uomo  che  avevan  sempre  riguardato,  per  dir  così,  di  basso  in 
alto,  anche  quando  loro  medesimi  erano  io  gran  parte  la  sua  forza, 
vedevano  ora  la  maraviglia,  l'idolo  d'una  moltitudine;  lo  vedevano  al 
di  sopra  degli  altri,  ben  diversamente  di  prima,  ma  non  meno;  sem- 
pre, fuori  ddla  schiera  comune,  sempre  capo. 


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m  I  PnOMESSI  SPOSI 

Slavano  adunque  sbalorditi,  incerti  l'uno  dell'altro,  e  o^ua  di  sé. 
Clii  si  rodeva,  clii  faceva  disegni  del  do^e  sarebbe  andato  a  cercar 
ricovero  e  impiego;  chi  s'esaminava  se  avrebbe  potuto  adattarsi  a  di- 
vciilar  galantuomo;  chi  anche,  tocco  da  quelle  parole,  se  ne  sentiva 
una  certa  inclinazione;  chi,  senza  risolver  nulla,  proponeva  di  pro- 
metter (ulto  a  buon  conto,  di  rimanere  intanto  a  mangiare  quel  pane 
ofTcrlo  cosi  di  buon  cuore  ,  e  allora  cosi  scai'so,  e  d'acquistar  lempo: 
nessuno  fialò.  E  quando  l'innominato,  alla  line  delle  sue  parole,  alzò 
di  nuovo  quella  iitano  impci'iosa  per  accennar  clic  se  n'andassero,  quaUi 
quatti,  come  un  branco  di  pecore,  lutti  insieme  se  la  ballcrono.  Usci 
anche  lui,  dietro  a  loro,  e,  piantatosi  prima  nel  mezzo  del  cortile,  stette 
a  vedere  al  barlume  come  sì  sbrancassero,  e  ognuno  s'avviasse  al  suo 
poslo.  Salito  poi  a  prendere  una  sua  lanterna,  girò  di  nuo^o  i  cortili, 
i  con'idoi ,  le  sale,  visitò  tulle  l'entrature,  e,  quando  vide  ch'era 
(ullo  quieto,  andò  finalmente  a  dormire.  Si,  a  dormire;  ))erchè  aveva 
sonno. 

AfTari  intralciati,  e  insieme  urgenti,  per  quanto  ne  fosse  sempre 
andato  in  corca  ,  non  se  n'  era  mai  trovali  addosso  tanti ,  in  nessuna 
congiuntura,  come  alloi-a;  eppure  aveva  sonno.  I  rimorsi  cheglielave- 
^an  lev  ato  la  notte  avanti ,  non  che  essere  acquietali ,  mandavano  anzi 
grida  più  alte,  più  severe,  più  assolute;  eppure  aveva  sonno.  L'or- 
dine, la  specie  di  govèrno  stid)ilìLo  là  dentro  da  lui  in  lant'aonì,  con 
(ante  cure,  con  un  Innlo  singolare  accoppiamenfò  d'audacia  e  di  per- 
severanza, ora  l'qvcva  lui  medesimo  messo  inforse,  con  podie  pa-     [ 
role;  la  dipendenza  illìmilàla  di  que'  suoi,  quel  loro  esser  disposti  a     !   | 
tutto ,  quella  fedeltà  da  masnadieri ,  sulla  quale  era  avvezzo  da  lanlo        I 
tempo  a  riposare,  l'aveva  ora  smossa  lui  medesimo;  i  suoi  mezzi,  gii 
aveva  fatti  diventare  un  monte  d'imbrogli,  s'era  messa  la  confusione     i 
e  r  incL'rlezza  in  casa;  eppure  aveva  sonno.  {    | 

Andò  dunque  in  camera,  s'accostò  a. quel  lei  Io  in  cui  la  notte  avanti  i  1 
aveva  trovate  tante  spine;  e  vi  s'inginoccliiùaccanto, con  l'intenzione  , 
di  pi-egare.  Trovò  in  fatti  in  un  cantuccio  riposto  e  profondo  della  | 
menic,  le  preghiere  ch'era  stato  ammaesli-ato  a  recitar  da  bambino;  | 
cominciò  a  recitarle;  e  quelle  parole,  rimaste  li  tanto  tempo  ravvoile  |  1 
insieme,  venivano  1'  una  dopo  1'  allra  come  sgomitolandosi.  Provava  i  j 
in  questo  un  misto  di  sentimenti  indefinibile  ;  mia  ceHa  dolcezza  in  !  , 
quel  ritomo  materiale  all'abitudini  dell'innocenza;  un  inaspriinenlo  ' 
di  dolore  al  pensiero  dell'abisso  che  aveva  messo  tra  quel  tempo  e         1 


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CAPITOLO  XXIV,  17» 

questo;  un  ardore  d'arrivare,  con  opere  di  espiazione,  a  una  cuscienza 
nuova,  a  uno  sialo  il  più  vicino  all'innocenza,  a  cui  non  poteva  (or- 
nare; una  riconoscenza,  una  fiducia  in  quella  misericordia  che  lo  |>o- 
teia  condurre  a  quello  stalo ,  e  che  gli  a\e\&  giù  dati  (anii  segni  di 
volerlo.  Rizzatosi  poi,  andò  a  letto,  e  s'addormentò  immedialauicnie. 
Cosi  terminò  quella  gioniala,  (anlo  celebre  ancora  quando  scriveva 
il  nostro  Mioninio;  e  ora,  se  non  era  Ini,  non  se  ne  saprebbe  nulla, 
almeno  de'  lutrlicolari;  giacché  il  Ripamonti  e  il  Rivola,  citati  di  sopra, 
non  dicono  se  non  che  quel  sì  segnalato  tiranno,  dopo  un  abbocca- 
mento con  Federigo,  mutò  mirabilmente  vila,  e  per  sempre.  E  quanti 
son  quelli  che  hanno  letto  i  libri  di  que'due?  Meno  ancora  di  quelli 
die  leggeranno  il  nostro.  E  chi  sa  se,  nella  valle  stessa,ehi  avesse  vo- 
glia di  cercarla,  e  1'  abilità  di  trovarla,  sarà  rimasta  qualche  stracca  e 
confusa  tradizione  del  fatto?  Son  nate  tante  cose  da  quel  tein|>o  in  jmi  1 


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CAPITOLO  XXV. 


Il  giurilo  scguenlc ,  nel  paesello  di  Luda  e  in 
tiitlo  il  lerritorio  di  Lecco,  non  si  I)a^la^a  cbe 
di  lei,  dell' innominalo,  dell' arcivescovo  e  d'un 
altro  tale,  che,  quantunque  gli  piacesse  mollo 
d'andar  per  le  bocche  degli  uomini,  n'avreb- 
be, in  quella  congiuntura,  fallo  volentieri  di 
meno:  vogliam  dire  il  signor  don  Rodrigo. 
Non  già  die  prima  d'allora  non  si  |>arlasse 
■'-ii"^       '^l^  '     (U'' fatti  suoi;  ma  eran  discorsi  rolli,  segreti; 
bisognava  clic  due  si  conoscessero  bene  bene  Ira  di  loro ,  i^r  aprirsi 
sur  un  tale  argomento.  E  anche .  non  ci  mellevano  tulio  il  senti- 
menlo  di  che  san;bbero  stati  capaci  :  peiehé  gli  uomini,  generalmente 
parlando,  quando  l' imiegnazioiie  non  si  possa  sfogare  senza  grave 
pericolo,  non  solo  dimoslran  meno,  o  tengono  affallo  in  sé  quella  che 
senlono,  ma  ne  senlon  meno  in  cffcUo.  Ma  ora,elii  si  sarebbe  tenuto 
d' informai-si ,  e  di  ragionare  d'  un  fallo  così  strepitoso,  in  cui  s'era 
vista  la  mano  del  cielo,  e  dove  faeevan  buona  figura  due  personaggi 
tali  ?  uno ,  in  cui    un  amore  della  giustizia  tanto  animoso  andava 


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CAPITOLO  XXV.  J77 

unito  a  lanla  autorità;  l'altro,  con  cui  pareva  che  la  prepotenza  in 
persona  si  fosse  umiliata,  ctie  la  braveria  fosse  venuta,  per  dir  cosi, 
a  render  1'  anni ,  e  a  cliiedere  il  riposo.  A  tali  paragoni ,  it  signor 
don  Rodrigo  diveniva  un  po'  piccino.  Allora  si  capiva  da  lutti  cosa 
fosse  tormentar  l' innocenza  per  poterla  disonorare,  perseguitarla  con 
un'insistenza  cosi  sfacciata,  con  si  atroce  violenza,  con  si  abbomine- 
voli  insidie.  Sì  faceva ,  in  queir  occasione ,  una  rivista  di  lanl'  altre 
prodezze  di  qiiet  signore  :  e  su  lutto  la  dìeevan  come  la  sentivano, 
incoraggiti  ognuno  dal  trovarsi  d'accordo  con  tulli.  Era  un  susurro, 
un  fremito  generale;  alla  larga  però,  per  ragione  di  tulli  que'  bravi 
che  colui  aveva  d' intorno. 

Una  buona  parte  di  quest'  odio  pubblico  cadeva  ancora  sui  suoi 
amici  e  cortigiani.  Si  rosolava  bene  il  signor  podestà,  sempre  sordo  e 
de»)  e  muto  sui  fatti  dì  quel  tiranno;  ma  alla  lontana,  anche  lui, 
perchè,  se  non  aveva  i  bravi,  aveva  i  birri.  Col  dottor  Azzecca-gar- 
bugli,  che  non  aveva  se  non  chiaccbiere  e  cattale,  e  con  altri  corti- 
gìanelli  suoi  pari,  non  s'usava  lanli  riguardi:  eran  mostrati  a  dito, 


e  guardati  con  occhi  torli;  di  maniera  che,  per  qualche  tempo,  sti- 
maron  bene  dì  non  farsi  veder  per  le  strade. 

Don  Rodrigo,  fulminato  da  quella  notizia  cosi  impensata,  così  di- 
versa dall'avviso  che  aspettava  di  giorno  in  giorno,  dì  momento  in 


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ila  I  PR0UE3S1  SPOSI. 

momento,  stette  rintaoato  nel  suo  palazzotto,  solo  co'  suoi  bravi-, 
a  rodersi,  per  due  giorni;  il  terzo,  parti  per  Milano.  Se  non  fosse 
stato  altro  che  quel  mormoracchiare  della  gente,  forse,  poiché  le  cose 
erano  andate  tant'  avanti,  sarebtie  rimasto  apposta  per  affrontarlo, 
anzi  per  cercar  l'occasione  di  dare  un  esempio  a  tulli  sopra  qualdie- 
duno  de' più  arditi;  ma  chi  lo  cacciò,  fu  l'essersi  saputo  per  certo, 
die  il  cardinale  veniva  anche  da  quelle  parti.  11  conte  zìo,  il  quale 
di  tutta  quella  storia  non  sapeva  se  non  quel  che  oli  aveva  detto 
Attilio,  avrebbe  certamente  preteso  che,  in  una  congiuntura  simile, 
don  Rodrigo  facesse  una  gran  figura,  e  avesse  in  pubblico  dal  cardi- 
nale le  più  distinte  accoglienze:  ora,  ognun  vede  come  ci  fosse  in- 
camminato. L' avrebbe  preteso ,  e  se  ne  sar^be  fatto  render  conio 
minutamente  ;  perchè  era  un'  occasione  importante  dì  far  vedere  in 
che  stima  fosse  tenuta  la  famiglia  da  una  primaria  autorità.  Per  le- 
varsi da  un  impiccio  così  noioso ,  don  Rodrigo ,  alzatosi  una  mattina 
prima  del  sole ,  si  mise  in  una  carrozza ,  col  Griso  e  con  altri  bravi , 
di  fuori,  davanti  e  di  dietro;  e,  lasdato  l'ordine  che  ìt  resto  della 
servitù  venisse  poi  in  seguito,  parti  come  un  fuggitivo,  come  (ci  sia 
un  po'  lecito  di  sollevare  i  nostri  personaggi  con  qualche  illustre  pa- 
ragone) ,  come  Catilina  da  Roma,  sbuffando,  e  giurando  di  tornar  ben 
presto,  in  altra  comparsa,  a  far  le  sue  vendette. 

Intanto,  il  cardinale  veniva  visitando,  af  una  per  giorno,  le  par- 
roechie  del  territorio  di  Lecco.  Il  giorno  in  cui  doveva  arrivare  a 
quella  di  Lucia,  già  una  gran  parte  degli  abitanti  erano  andati  sulla 
strada  a  incontrarlo.  All'entrata  del  paese,  proprio  accanto  alla  ca- 
setta delle  nostre  due  donne ,  e'  era  un  arco  trionfale ,  costrutto  di 
stili  per  il  ritto,  e  di  pali  per  il  traverso,  rivestito  dì  pa^ia  e  di  bor- 
raccina ,  e  ornalo  di  rami  verdi  di  pugnitopo  e  d'  agrifoglio ,  distinti 
di  bacche  scarlatte;  la  facciala  della  chiesa  era  parala  dì  tappezzerie; 
al  davanzale  d'c^i  finestra  pendevano  coperte  e  lenzoli  distesi,  fasce 
di  bambini  disposte  a  guisa  di  pendoni  ;  tutto  quei  poco  necessario 
che  fosse  atto  a  fare,  o  bene  o  male,  figura  di  superfluo.  Verso  le 
ventidue,  ch'era  l'ora  in  cui  s'aspettava  il  cardinale,  quelli  ch'eran 
rimasti  in  casa,  vecchi,  donne  e  fanciulli  la  più  parte,  s'avvìartmo 
anche  loro  a  incontrarlo,  parte  in  fila,  parte  in  truppa,  preceduti  da 
don  Abbondio,  uggioso  .in  mezzo  a  tanta  festa,  e  per  il  fracasso  che 
lo  sbalordiva,  e  per  il  brulicar  della  gente  innanzi  e  indietro,  che, 
come  andava  ripetendo ,  gli  faceva  girar  la  lesta ,  e  per  il  rodio 


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CAPITOLO  XXV.  ti» 

segreto  ebe  le  donne  avesser  potuto  cicalare,  e  dovesse  toccai^!  a 
render  conto  del  malrìmonio. 

Quand'ecco  si  vede  spuntare  il  cardinale,  o  per  dir  meglio,  la 
turba  in  mezzo  a  cui  si  trovava  nella  sua  lettiga,  col  suo  seguilo 
d'intorno;  perchè  di  tutto  questo  non  si  vedeva  altro  che  un  indizio 
in  aria ,  al  di  sopra  di  tutte  le  leste ,  un  pezzo  della  croce  portata 
dal  cappellano  che  cavalcava  una  mula.  La  gente  che  andava  con  don 
Abbondio,  s'alTrcttó  alla  rinfusa,  a  raggiunger  queir idtra:  e  lui,  dopo 
i\mr  dello,  Ire  %  quattro  volte  :  "  adagio-,  in  fila;  cosa  fate?  »  si  voltò 


indispettito;  e  seguitando  a  borbollare:  «è  una  babilonia,  è  una  babi- 
lonia, »  entrò  in  chiesa,  ialanlo  ch'era  vota;  e  stelle  li  ad  aspettare. 
Il  cardinale  veniva  avanti,  dando  benedizioni  con  la  mano,  erice- 


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«so  1  PROMESSI  SPOSI 

vondone  dalle  bocche  della  genie ,  che  quelli  del  segiiito  avevano  un 
bel  da  fare  a  tenere  un  po'  indietro.  Per  esser  del  paese  di  Luda , 
avrebbe  voluto  quella  gente  fare  all'  arcivescovo  diiiioslrazioni  straor- 
dinarie; mala  cosa  non  era  facile,  pcrcbè  era  uso  che,  per  lutto  dove 
arrivava,  tutti  facevano  più  che  potevano.  Giù  sol  princìpio  stesso  dei 
suo  pontificalo ,  nel  primo  solenne  ingresso  in  duomo ,  la  calca  e 
l'impeto  della  gente  addosso  a  lui  era  slato  tale ,  da  far  temere  della 
sna  vita;  e  alcuni  gentiluomini  die  gli  eran  più  vicini,  avevano 
sfoderale  le  spade,  per  atterrire  e  respinger  la  folla.  Tanto  e'  era  in 
quc' costumi  di  scomjKisto  e  di  violento,  che,  anche  nel  far  dimostra- 
zioni di  benevolenza  a  un  vescovo  in  chiesa,  e  noi  moderarle,  si  do- 
vesse andar  vidno  all'  ammazzare.  E  quella  difesa  non  sarebbe  forse 
bastala,  se  il  maestro  e  il  sottomaestro  delle  cerimonie,  un  Clerid  e 
un  Picozzi ,  giovani  preti  die  sl&\m  bene  di  corpo  e  d' animo ,  non 
l'avessero  alzato  sulle  braccia,  e  portalo  di  peso,  dalla  porla  Ano  al- 
l'aliar maggiore.  D'allora  ìn  poi,  in  (ante  visite  episco|>ali  ch'ebbe  a 
fare,  il  primo  entrar  nella  chiesa  si  può  senza  sdierzo  contarlo  tra  le 
sue  pastorali  fatiche,  e  qualche  volta,  Ira  i  pericoli  passati  da  lui. 

Entrò  anche  in  questa  come  potè;  andò  all'altare  e,  dopo  essere 
stato  alquanto  in  orazione,  fece,  secondo  il  suo  solilo,  un  picco!  di- 
scorso al  popolo,  sul  suo  amore  per  loro,  sul  suo  desiderio  della  loro 
salvezza,  e  come  do\'essero  disporsi  alle  funzioni  del  giorno  dopo.  Ri- 
tiratosi poi  nella  casa  del  parroco,  tra  gli  altri  discorsi,  gli  domandò 
informazione  di  Renzo,  Don  Abbondio  disse  eh'  era  un  giovine  un 
po'  vivo,  un  po'  testardo,  un  po'  collerico.  Ma,  a  più  particolari  e 
precise  domande,  dovette  rispondere  ch'era  un  galantuomo,  e  die 
anche  lui  non  sapeva  capire  come,  in  Milano,  avesse  potuto  fare  tutte 
quelle  diavolerie  che  avevan  detto. 

e  hi  quanto  alla  giovine,  »  riprese  il  cardinale,  h  pare  anche  a 
voi  che  possa  ora  venir  sicuramente  a  dimorare  in  casa  sua?  »  !    i 

u  Per  ora,  »  rispose  don  Abbondio,  "  può  venire  e  slare,  come  |  i 
vuole:  dico,  per  ora;  ma,  "  soggiunse  poi  con  un  sospiro,  «  bìso-  i  i 
gnerebbe  che  vossignoria  illustrissima  fosse  sempre  qui,  o  almeno  |  | 
vidno,  "  i    I 

«  Il  Signore  è  sempre  vicino,  "  disse  il  cardinale:  "  del  resto,     |    I 
penserò  io  a  metterla  al  sicuro.  «  E  diede  subito  ordine  che,  il  giorno     I    ' 
dopo,  di  buon'  ora,  si  spedisse  la  lettiga,  con  una  scorta,  a  prender 
le  due  donne.  )    i 


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CAPITOLO  XXV.  tat 

Don  Abbondio  usci  di  ti  lutto  coulviilo  clic  il  cardinale  gli  avesse 
pariate  de'  due  gioxani ,  senza  cliiedorgli  conio  del  suo  rifiuto  di  ma- 
rilarii.  —  Dunque  non  sa  niente,  —  diceva  tra  sé:  —  Agnese  è  slata 
zitta:  miracolo!  É  vero  che  s' hanno  a  lornare  a  vedere;  ma  le  da- 
remo un'  altra  istruzione,  le  daremo.  —  E  non  sapeva ,  il  pover'  uo- 
mo, che  Federigo  non  era  entralo  in  ciuell'argomento,  appunto  perche 
intendeva  di  parlai^iene  a  lungo,  in  tempo  più  libero;  e,  prima  di 
dargli  ciò  cltc  gli  era  dovuto,  voleva  sentire  anche  le  sue  ragioni. 


Ma  i  pensieri  del  buon  prelato  pei'  nielter  Lucia  al  bieuro  ei'an 
divenuti  inutili:  dopo  che  l'aveva  lasciata  ,  ei-au  naie  delle  cose,  che 
dobbiamo  raccontare. 

Le  due  donne,  in  que'  |>oehÌ  giorni  eh'  ebbero  a  passare  nella  ca- 
suceia  ospitale  del  sarto,  avevan  ripreso,  per  quanto  avevan  potuto, 
ognuna  il  suo  antico  tenor  dì  vita.  Lucia  aveva  subito  chieslo.da  la- 
vorare; e,  come  aveva  fatto  nel  monastero,  cuciva,  cuciva,  ritirata  in 
una  stanzina,  lontano  dagli  occhi  della  gente.  Agnese  andava  un  po' 
biori,  un  po'  lavorava  in  compagnia  della  figlia.  I  loro  discorsi  eran  tanto 
più  tristi,  quanto  più  affettuosi  :  tuli'  e  due  eran  preparale  a  una  sepa- 
razione; giacché  la  pecora  non  poteva  tornare  a  star  cosi  vicino  alla 
lana  del  lupo  :  e  quando,  quale,  sarebbe-  il  termine  di  questa  separa- 
zione? L'avvenire  era  oscuro,  imbroglialo:  per  una  di  loro  princi- 
palmente. Agnese  tanto  ci  andava  facendo  dentro  le  sue  congetture 
allegre  :  che  Renzo  finalmente,  se  non  gli  era  accaduto  nulla  di  si- 
nistro, dovrebbe  presto  dar  le  sue  nuove;  e  se  a\'cva  trovalo  da 


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481  I  PROUCSSI  SPOSI 

lavorare  e  da  slaliilirsi,  se  (e  come  dultilarne?)  slava  rermo  nelle  siie 
promesse,  perchè  non  si  potrebbe  andare  a  star  con  lui  ?  E  di  tali 
speranze,  ne  parlava  e  ne  riparlava  alla  figlia,  per  la  quale  non  sa- 
prei dire  se  fosse  maggior  dolore  il  sentire,  o  |>ena  il  rìspcH>dere.  Il  suo 
gran  segreto  l'aveva  sempre  tenuto  in  sé;  e,  inquietata  bensì  dal  dis- 
piacere di  fare  a  una  madre  co^  buona  un  sotterfugio,  che  non  era  il 
primo;  ma  (rattenuta,  come  invincilHlmente,  dalla  vei^gna  e  da'  vari 
timori  che  abbiam  detto  di  sopra,  andava  d'o^  in  domani,  senza 
dir  nulla.  I  suoi  disegni  eran  ben  diversi  da  quelli  della  madre,  o,  per 
dir  meglio,  non  n'aveva;  s'era  abbandonala  alla  Provvidenza.  Cercava 
dunque  di  lasciar  cadere,  o  di  stornare  quel  disccMSO;  o  diceva,  in 
termini  generali,  di  non  aver  più  speranza,  né  desiderio  di  cosa  di 
questo  mondo,  fuorché  di  poter  presto  riunirsi  con  sua  madre;  le  più 
volte,  il  pianto  veniva  opportunamente  a  troncar  le  parole. 

u  Sai  perché  ti  par  cosi  ?  <>  diceva  Agnese  :  «  perchè  bai  lanlo 
palilo,  e  non  ti  par  vero  che  la  possa  voltarsi  in  bene.  Ma  lascia  fare 
al  Signore;  e  se .  ■  ■ .  Lascia  che  sì  veda  un  barlume,  appena  un  bar- 
lume di  speranza;  e  allora  mi  saprai  dire  se  non  pensi  più  a  nulla.  « 
Lucia  bacia\'a  la  madre,  e  piange\'a. 

Del  resto,  tra  loro  e  i  loro  ospiti  era  naia  subito  una  grand'amici- 
zia  :  e  dove  nascerebbe ,  se  non  tra  benelìcali  e  benefallori,  quando  gli 
uni  e  gli  altri  son  buona  genie?  Agnese  specialmente  faceva  dt  gran 
chiacchiere  con  la  padrona.  Il  sarto  poi  dava  loro  un  po'  di  svago  con 
delle  storie,  e  con  de' discorsi  morali:  e,  a  desinare  soprattutto,  aveva 
sempre  qualche  bella  cosa  da  raccontare,  di  Bovo.  d'Antona  ode' Padri 
del  deserto. 

Poco  distante  da  quel  paesetto  ,  ville^^ava  uoa  coppia  d' alto  af* 
fare;  don  Ferrante  e  donna  Prossede:  il  casato,  al  solito,  nella  penna 
dell'  anonimo.  Era  donna  Prassede  una  vecchia  gentildonna  mollo  in* 
clinala  a  far  del  bene  :  mestiere  certamente  il  più  degno  che  l' uomo 
possa  esercilare;  ma  che  pur  troppo  può  anche  guastare,  come  tulli 
gli  altri.  Per  fare  il  bene,  bisogna  conoscerlo;  e,  al  pari  d't^i  altra 
cosa,  non  possiamo  conoscerlo  che  in  mezzo  alle  nostre  passioni,  per 
mezzo  de'  nostri  giudizi,  con  le  nostre  idee;  le  quali  bene  spesso 
stanno  come  possono.  Con  l' idee  donna  Prassede  si  regolava  come 
dicono  che  si  deve  far  con  gli  amici:  n'aveva  poche;  maaquelle  poche 
era  molto  aITczionala.  Tra  le  poche,  oe  n'  era  per  disgrazia  molte  delle 
storte;e  non  eran  quelle  che  le  fossero  men  care.  Le  accadeva  quindi, 


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CAPITOLO  XXV.  Atix 

0  di  proporsi  per  bene  ciò  die  non  lo  fosse,  o  di  prender  per  mczti, 
cose  che  potessero  piutlosto  far  riuscire  dalla  parie  opposta,  o  dì  cre- 
derne leciti  di  quelli  che  non  Io  fossero  punto,  per  una  certa  supposi- 
zione in  confuso,  che  chi  fa  più  del  suo  dovere  possa  far  più  di  quel 
che  avrebbe  diritto;  le  accadeva  di  non  vedere  nel  fatto  ciò  che  c'era 
di  reale,  o  di  vederci  ciò  che  non  c^era;  e  molte  altre  cose  simili,  che 
possono  accadere, e  che  accadono  a  tutti,  senza  eccettuarne  i  migliori; 
ma  a  donna  Prassede,  troppo  spesso  e,  non  dì  rado,  tutte  in  una  volta. 
Al  sentire  il  gran  caso  di  Lucia,  e  tutto  ciò  che,  in  quell'occasione, 
si  diceva  della  giovine,  le  venne  la  curiosità  di  vederla;  e  mandò  uria 
carrozza,  con  un  vecchio  bracciere,  a  prender  la  madre  e  la  figlia. 
Questa  si  ristringeva  nelle  spalle ,  e  pregava  il  sarto ,  il  quale  aveva 
fatta  loro  l' imbasciata,  che  trovasse  maniera  di  scusarla.  Finché  s'era 
trattato  di  gente  alla  buona  che  cercava  di  conoscer  la  giovine  del 
miracolo ,  il  sarto  le  aveva  reso  volentieri  un  tal  servizio  ;  ma  in 
questo  caso,  il  riGulo  gli  pareva  una  specie  di  ribellione.  Fece  tanti 
versi,  tant' esclamazioni,  disse  (ante  cose:  e  che  non  si  faceva  così, 
e  ch'era  una  casa  grande,  e  che  ai  signori  non  si  dice  di  no.  e  che 


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4RI  1  PROUESSl  SPOSI 

pote^'a  esser  la  loro  fortuna ,  e  che  la  signora  donna  Prassede,  oltre 
il  resto,  era  anche  una  santa;  tante  cose  insomma,  che  Lucia  si  do- 
vette arrendere  :  mollo  pia  clie  Agnese  cmifermava  tutte  quelle  ra< 
gionì  con  altrettanti  "  sicuro,  sicuro.  » 

Arrivale  davanti  alla  signora,  essa  fece  loro  grand'  accoglienza,  e 
molle  congratulazioni;  interrogò,  consigliò:  il  tutto  con  una  certa  su- 
periorità quasi  innaia,  ma  corretta  da  tante  espressioni  umili,  tempe- 
rata da  (anta  premura,  condita  di  tanta  spiritualità,  che,  Agnese 
quasi  subito,  Lucia  poco  dopo,  cominciarono  a  sentirsi  sollevate  dal 
rispetto  opprimente  clic  da  principio  aveva  loro  incusso  quella  signorile 
presenza;  anzi  ci  trovarono  una  certa  attrattiva.  E  per  v«iire  alle 
corte,  donna  Prassede,  sentendo  che  il  cardinale  s'  era  incaricato  di 
trovare  a  Lucia  un  ricovero,  punta  dal  desiderio  di  secondare  e  di 
prevenire  a  un  tratto  quella  buona  intenzione  ^  s'  esibì  di  prender 
la  giovine  in  casa,  dove,  senz'essere  addetta  ad  alcun  servizio  par- 
ticolare, potrebbe,  a  piacer  suo,  aiutar  l'altre  d(mne  ne'  loro  lavori. 
E  soggiunse  che  penserebbe  lei  a  dame  parte  a  monsignore. 

Oltre  il  bene  chiaro  e  immediato  che  c'era  in  un'opera  tale, donna 
Prassede  ce  ne  vedeva,  e  se  ne  proiHineva  un  altro,  forse  più  con- 
siderabile, secondo  lei;  di  raddirizzare  un  cervello,  di  metter  sulla 
buona  strada  chi  n'aveva  gran  bisogno.  Perchè,  Un  da  quando  aveva 
sentito  la  prima  volta  parlar  di  Lucia,  s' era  subito  persuasa  che  una 
giovine  la  quale  aveva  potuto  promettersi  a  un  poco  di  buono,  a  un 
sedizioso,  a  uno  scampaforca  in  somma,  qualche  m^gna,  qualche 
|)ecca  nascosta  la  doveva  avere.  Dimmi  chi  pratichi,  e  li  dirò  chi 
sei.  La  visita  di  Lucia  aveva  confermala  quella  persuasione.  Non  che, 
in  fondo,  come  si  dice,  non  le  paresse  una  buona  giovine;  ma  c'era 
molto  da  ridire.  Quella  testina  bassa,  col  mento  inchiodato  sulla  fon- 
tanella della  gola,  quel  non  rispondere,  o  risponder  secco  secco,  come 
per  forza,  potevano  indicar  verecondia;  ma  denotavano  sicuramente 
molta  caparbietà:  non  ci  voleva  molto  a  indovinare  che  quella  testina 
aveva  le  sue  idee.  E  queir  arrossire  ogni  momento,  e  quel  rattenere 
i  sospiri ....  Due  occhioni  poi ,  che  a  donna  Prassede  non  piaccìan 
punlo.  Teneva  essa  per  certo,  come  se  lo  sapesse  di  buon  luogo,  die 
lulte  le  sciagure  di  Lucia  erano  una  punizione  del  cielo  per  la  sua 
amicizia  con  quel  poco  di  buono,  e  un  avviso  per  far  clic  se  ne  staccasse 
adatto  ;  e  stante  questo ,  si  proponeva  di  coopenu^  a  un  così  buon 
line.  Giacché,  come  diceva  spesso  agli  altri  e  a  sé  stessa,  tulio  il  suo 


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CAPITOLO  XXV.  jsu 

studio  era  di  secondare  i  voleri  del  cielo  :  ma  faceva  spesso  uno  sba- 
glio grosso,  eh'  era  di  prender  per  cielo  il  suo  cervello.  Però,  della 
seconda  inlenzioDC  clic  abbiam  dello,  si  guardò  bene  di  darne  il  mi- 
nimo indizio.  Era  una  delle  sue  massime  qnesla,  i^,  per  riuscire  a 
Tar  del  bene  alla  genie,  la  prima  cosa,  nella  ma^ior  parie  de'  casi, 
è  di  non  metlerìi  a  parte  del  disegno. 

I<a  madre  e  la  figlia  si  guardarono  in  viso.  Nella  dolorosa  necessità 
di  dividersi, l'esibizione  parve  a  tutt'e  due  da  accettarsi,  se  non  altro 
per  esser  quella  villa  così  vicina  al  loro  paesello:  per  cui,  alla  peggio 
de'  peggi ,  sì  ravvicinerebbero  e  potrebbero  trovarsi  insieme ,  alla 
prossima  villeggiatura.  Visto,  l'una  negli  occhi  dell'altra,  il  cousejiao, 
si  voltaron  tutt'e  due  a  donna  Prasaede  con  quel  ringraziare  che  ac- 
eelta.  Essa  rinnovò  le  gentilezze  e  le  promesse,  e  disse  che  mandcr 
r^be  subilo  una  lellera  da  presentare  a  monsignore. 


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49*  I  PR0UE8SI  SPOSI 

Partile  le  donne,  la  lettera  se  la  fece  distendere  da  don  Ferrante, 
di  cui,  per  esser  letterato,  eome  diremo  più  in  particolare,  sì  serviva 
per  s^retario,  nel)' occa^onì  d'importanza.  Trattandosi  d'una  di  que- 
sta sorte,  don  Ferrante  ci  mise  (ulto  il  suo  sapere,  e,  consegnando  la 
minuta  da  copiare  alla  consorte,  le  raccomandò  caldamente  l'ortograQa; 
ch'era  una  delle  molte  cose  che  aveva  studiate,  e  delle  poche  sdle 
quali  avesse  lui  il  comando  in  casa.  Donna  Prassede  copiò  diligentis- 
simamente, e  spedi  la  lettera  alla  casa  del  sarto.  Questo  fu  due  o  tn 
giorni  prima  che  il  cardinale  mandasse  Ih  lettiga  )>er  ricondur  le 
donne  al  loro  paese. 

Arrivate,  smontarono  alla  casa  parrocchiale,  dove  si  trovava  il  car- 
dinaie.  Cera  ordine  d'introdurle  subilo:  il  cappellano,  che  fu  il  primo 
a  vederle,  t'eseguì,  trattenendole  solo  quant'  era  necessario  pn*  dar 
loro,  in  fretta  in  fretta ,  un  po'  d' istruzione  sul  cerimoniale  da  usarsi 
con  monsignore,  e  sui  titoli  da  dargli;  cosa  che  soleva  fare,  ogni  volta 
che  lo  potesse  di  nascosto  a  lui.  Era  per  il  pover'  uomo  un  tormento 
continuo  il  vedere  il  poco  ordine  die  regnava  intorno  al  cardinale,  su 
(luci  particolare:  «  tulio,  ■•  diceva  con  gli  altri  della  famiglia,  «  per 
la  troppa  bontà  di  quel  benedetl'  uomo  ;  per  quella  gran  famigliari- 
tà. »  E  raccontava  d'  aver  perfino  sentito  più  d'  una  volta  co'  suoi 
orecchi,  rispondergli  :  messer  sì,  e  messer  no. 

Stava  in  quel  momento  il  cardinale  discorrendo  con  don  Abbondio, 
sugli  all'ari  della  parrocdiìa  :  dimodoché  questo  non  ebbe  campo  di 
dare  anche  luì,  come  avrebbe  desiderato,  le  sue  istruzioni  alle  ilonae. 
Solo,  nel  passar  loro  accanto,  mentre  usciva,  e  quelle  venivano  avanti, 
potè  dar  loro  d'  occhio,  per  accennare  eh'  era  conlenlo  di  loro,  e  die 
continuassero,  da  brave,  a  non  dir  nulla. 

Dopo  le  prime  accoglienze  da  una  parie ,  e  i  primi  inchini  dall'al- 
tra, Agnese  si  cavò  di  seno  la  letlcra,  e  la  presentò  al  cardinale,  di- 
cendo :  «  e  della  signora  donna  Prassede ,  la  quale  dice  che  conosce 
mollo  vossignorìa  illustrissima,  monsignore;  come  naturalmente,  tra 
loro  signori  grandi,  si  devon  conoscer  tulli.  Quand'avrà  letto,  vedrà.  » 

e  Bene,  »  disse  Federigo,  letto  die  ebbe,  e  ricavato  il  sugo  del 
senso  da'  fiorì  dì  don  Ferrante.  Conosceva  quella  casa  quanto  bastasse 
per  esser  certo  che  Lucìa  c'era  in^'ìtata  con  buona  intenzione,  e  che 
li  sarebbe  sicura  dall'insidie  e  dalla  violenza  del  suo  persecutore.  Che 
concetto  avesse  della  testa  di  donna  Prassede ,  non  n'  abbiam  nolizia 
positiva.  Probabilmente,  non  era  quella  la  persona  die  avrebbe  scella 


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CAPITOLO  XXV.  twt 

a  un  lai  inlcolo;  ma,  come  abbiam  dello  o  fatto  intendere  altrove, 
non  era  suo  costume  di  disfar  le  cose  che  non  toccavano  a  lui,  per 
rifarle  meglio. 

«  Prendete  in  pace  anche  questa  separazione,  e  l'incertezza  in  cui 
vi  trovate,  »  soggiunse  poi:  "  confidale  che  sia  per  finir  presto,  e 
die  il  Signore  voglia  guidar  le  cose  a  quel  termine  a  cui  pare  che  le 
avesse  indirizzate;  ma  tenete  per  cerio  che  quello  che  vorrà  Lui,  sarà 
il  meglio  per  voi.  »  Diede  a  Lucia  in  particolare  qualche  altro  ricordo 
amorevole;  qualche  altro  conforto  a  tutl'e  due;  le  l>enedisse,  e  le  la* 
sdó  andare.  Appena  fuori ,  si  trovarono  addosso  uno  sciame  d' amici 
e  d'amiche,  tutto  ìl  comune,  si  può  dire,  che  le  aspettava,  e  le  eon- 
dasse a  casa,  come  lo  trionfo.  Era  tra  tutte  quelle  donne  una  gara 
di  congratularsi,  di  compiangere,  di  domandare;  e  tutte  esclamavano 
dal  dispiacere^  sentendo  che  Lucia  se  n'  anderebbe  il  giorno  dopo. 
Gli  uomini  gareggiavano  nell'offrir  servizi;  ognuno  voleva  star  quella 
notte  a  ^  la  guardia  alla  casetta.  Sul  qual  fatto ,  il  nostro  anonimo 
credè  bene  di  formare  un  proverbio:  volete  aver  molti  in  aiuto?  cer- 
cate di  non  averne  bisogno. 


Digitizf^riiiyGoOgle 


tM  I  PROUF^I  SPOSI. 

Taote  accoglieiuc  confondevano  e  sbalordivano  Lucia  :  Agnese  nan 
s'imbrogliava  cosi  per  poco.  Ma  in  sostanza  fecero  bene  anche  a  Lu- 
cia, distraendola  alquanto  da' pensieri  e  dalle  rimembranze  clic,  pur 
troppo,  anche  in  mezzo  al  Trastono,  le  si  risvegliavano,  su  quell'uscio, 
in  quelle  stanzucce,  alla  vista  d'ogni  oggetto. 

Al  tocco  della  campana  che  annunziava  vicino  il  cominciar  delle 
funzioni,  lutti  sì  mossero  verso  la  chiesa,  e  fu  per  le  nostre  donne 
un'  altra  pass^giata  trionfale. 

Terminate  le  funzioni,  don  Abbondio,  ch'era  corso  a  vedere  se 
Perpetua  aveva  ben  disposto  ogni  cosa  per  il  desinare,  fu  chiamalo 
dal  cardinale.  Andò  subito  dal  grand' ospite,  ìl  quale,  lasciatolo  venir 
vicino,  «  signor  curato,  »  cominciò;  e  quelle  parole  furon  dette  in 
maniera,  da  dover  capire,  ch'erano  il  principio  d'  un  discorso  lungo 
e  serio:  «  signor  curato;  perchè  non  avete  voi  unita  in  matrimonio 
quella  povera  Lucia  col  suo  promesso  sposo?  " 

—  Hanno  votalo  il  sacco  slamattina  coloro,  —  pensò  don  Abbon- 
dio; e  rispose  borbottando:  u  monsignore  illustrissimo  avrà  twn  sen- 
tilo parlare  degli  scompigli  die  son  nati  in  quell'allure:  è  slata  uoa 
confusione  tale,  d:>  non  poter,  neppure  al  gìonio  d'oggi,  vederci 
chiaro:  come  anche  vossignorìa  illustrissima  può  ai^omentare  da  que- 
sto, che  la  giovine  è  qui ,  dopo  lauti  accidenti,  come  per  miracolo  ; 
e  il  giovine,  dopo  altri  accidenti,  non  si  sa  dove  sia.  " 

"  Domando,  »  riprese  ìl  cardinale,  «  se  è  vero  che,  prima  di  lutti 
codesti  casi,  abbiate  rifiutato  di  celebrare  il  matrimonio,  quando  n'e- 
ravate richiesto,  nel  giorno  fissato;  e  ìl  perchè.  » 

u  Veramente  ....  se  vossignoria  illustrissima  sapesse  ....  che  inti- 
mazioni ....  che  comandi  terribili  ho  avuti  di  non  parlare . ...»  E 
restò  li  senza  concludere,  in  un  ceri'  allo,  da  far  rispetlosamcnte  in- 
tendere che  sarebbe  indiscrezione  il  voler  saperne  di  più. 

u  Ma  I  "  disse  il  cardinale ,  cuu  voce  e  con  aria  grave  fuor  del 
consueto  :  «  e  il  vostro  vescovo  che ,  per  suo  dovere  e  per  vostra 
giustificazione,  vuol  saper  da  voi  il  perchè  non  abbiale  fatto  ciò  die, 
nella  via  regolare,  era  obbligo  vostro  di  fare.  » 

"  Monsignore,  »  disse  don  Abbondio,  facendosi  piccino  piccino, 
u  non  ho  già  voluto  dire  ....  Ma  m' è  parso  che,  essendo  cose  intral- 
ciate, cose  vecchie  e  senza  rimedio,  fosse  inutile  di  rimestare...  . 
Però,  però,  dico ....  so  che  vossignoria  illustrissima  non  vuol  tradire 
un  suo  povero  parro«>.  Perchè  vede  bene,  monsignore;  vossignorìa 


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CAPITOLO  XXV.  48» 

illustrìssima  non  può  esser  per  tutto;  e  ìo  resto  qui  esposto. . .  .  P«rò, 
quando  Lei  me  lo  comanda,  dirò,  dirò  tutto.  » 

«  Dite:  io  non  vorrei  altro  che  trovarvi  senza  colpa.  » 

Allora  don  Abbondio  si  mise  a  raccontare  la  dolorosa  storia  ;  ma 
tacque  il  nome  principale ,  e  vi  sostituì  :  un  gran  signore  ;  dando  cosi 
alla  prudenza  tutto  quel  poco  che  si  poteva,  in  una  tale  stretta. 

x  E  non  avete  avuto  altro  motivo?  »  domandò  il  cardinale,  quando 
don  Abbondio  ebbe  finito, 

e  Ma  forse  non  mi  sono  spiegato  abbastanza ,  »  rispose  questo  : 
u  sotto  pena  delia  vita ,  m'  hanno  intimato  di  non  far  quel  matri- 
monio. " 

"  E  vi  par  codesta  una  ragion  baslaitto ,  per  lasciar  d'  adempire 
un  dovere  predso?  » 


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«se  I  PROMESSI  SPOSI. 

u  Io  ho  sempre  cercalo  di  Tarlo,  il  raro  dovere,  andie  coti  mio 
gra^'C  incomodo,  ma  quando  si  traila  della  vita ....  » 

"  E  quando  vi  side  presentato  alla  Chiesa,  n  disse,  con  accento    i   ' 
ancor  più  grave,  Federigo,  u  per  addossarvi  codesto  ministero,  v'  ha 
essa  fatto  sicurtà  della  vita  ì  \"  ha  detto  che  i  doveri  annessi  al  mi-       I 
iiislero  fossero  liberi  da  ogni  ostacolo,  immuni  da  o^i  pericolo?  0    '  1 
v'  ha  dello  forse  che  dove  cominciasse  il  pericolo ,  ivi  cessereUK  il     j   | 
dovere?  O  non  v'ha  espressamente  detto  il  contrario?  Non  v'ha  av-     ,  '■ 
vertito  che  vi  mandava  come  un  agnello  Ira  i  lupi?  Non  sapevate    '  | 
voi  che  e'  eran  de'  violenti ,  a  cui  potrebbe  dispiacere  ciò  che  a  voi     1   . 
sarebbe  comandato?  Quello  da  Cui  abbiam  la  dottrina  e  l'esempio,  ad    i 
imitazione  dì  Cui  ci  lasciam  nominare  e  ci  nomìnbmo  pastori ,  ve- 
nendo in  terra  a  esercitarne  1'  ufizio,  mise  forse  per  condizione  if  a>     ! 
^er  salva  la  vila  ?  E  per  salvarla ,  per   conservarla ,  dico ,  qualdie     j   1 
giorno  di^più  sulla  terra,  a  spese  della  carità  e  del  dovere,  c'era  hi-        , 
sogno  dell' unzione  sanla,  dell' imposizion  delle  mani,  della  grazia  del     j  I 
sacerdozio  ?  Basla  il  mondo  a  dar  questa  virtù ,  a  ins^nar  questa     .  i 
dottrina.  Che  dico?  oh  vergogna!  il  mondo  stesso  la  rifluta:  il  mondo     [  I 
fa  anch'  esso  le  sue  leggi,  che  prescrivono  il  male  come  il  bene  ;  ha        { 
il  suo  vangelo  anch'esso,  un  vangelo  di  superbia  e  d'  odio;  e  non     [  \ 
vuol  che  si  dica  che  l'amore  della  vita  sia  una  ragione  per  trasgre-     i 
dirne  i  comandamenti.  Non  lo  vuole;  ed  è  ubbidito.  E  noi!  noi  figli        | 
e  annunziatori  della  promessa!  Che  sarebbe  la  Chiesa,  se  codesto  vo-    |  I 
stro  linguaggio  fosse  quello  di  lutti  i  vostri  confratelli?  Dove  sarebbe, 
se  fosse  comparsa  nel  mondo  con  codeste  dottrine  ?»  '   i 

Don  Abbondio  stava  a  capo  basso  :  il  suo  spirilo  si  trovava  tra  ;  i 
quegli  argomenti,  come  un  pulcino  negli  artigli  del  falco,  che  lo  tcn-  i 
gono  sollevalo  in  una  regione  sconosciuta,  in  un'aria  die  non  ha  mai  i 
respirata.  A'edendo  che  qualcosa  bisognava  rispondere,  disse,  con  una  '  ' 
certa  sommissione  forzata:  «  monsignore  illuslrissimo ,  avrò  torlo.  [  I 
1  Quando  la  vila  non  si  deve  contare,  non  so  cosa  mi  dire.  Ma  qwmdo  :  i 
s'  ha  che  fare  con  certa  gente ,  con  gente  che  ha  la  forza,  e  che  non  | 
luol  sentir  ragioni ,  anche  a  voler  fare  il  bra\'o ,  non  saprei  cosa  ci  ,  | 
si  potesse  guadagnare.  É  un  signore  quello,  con  cui  ncm  si  può  né  i  i 
vincerla  ne  impallarìa.  "  l    i 

«  E  non  sapete  voi  che  il  soffrire  per  la  giustizia  è  il  nostro  vin-  i  | 
cere?  E  se  non  sapete  questo,  che  cosa  predicale?  di  che  siete  mac-  |  I 
Siro  ?  qual  è  la  buona  nìtoca  che  annunziate  a'  poveri  ?  Chi  pretende     i    '. 


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CAPITOLO  X\V.  491 

da  voi  cbe  vinciate  la  forza  con  la  forza?  Certo  non  vi  sarà  duiiiaii- 
dato,  un  giorno,  se  abbiate  saputo  fare  stare  a  dovere  i  polenti;  che 
a  questo  non  \i  fu  dato  né  mis^one,  né  modo.  Ma  vi  sarà  ben  doman- 
dalo se  avrete  adopralì  i  mezzi  eh'  erano  in  vostra  mano  per  far  ciù 
die  v'  era  prescrilto,  anctie  quando  avessero  la  temerìtù  di  proikìrvelo.  n 

—  Anclie  questi  santi  son  curiosi,  —  pensava  intanto  don  Abbon- 
dio: —  io  sostanza,  a  spremerne  il  sugo,  gli  stanno  più  a  cuore  gli 
amori  di  due  giovani,  che  la  vita  d'  un  povero  kicerdote.  —  E,  in 
quanl' a  lui,  si  sarebbe  volentieri  contentato  che  il  discorso  lìnisse  lì; 
ma  vedeva  il  cardinale,  a  ogni  pausa,  restare  in  allo  di  chi  aspetti 
una  risposta:  una  confes«one,  o  un' apologia ^  qualcosa  in  somma. 

«  Tomo  a  dire,  monsignore,  n  rispose  dunque,  "  clie  avrò  lorto 
io ... .  U  coraggio ,  uno  non  se  lo  può  dare.  » 

"  E  perchè  dunque,  jwtrei  dirvi,  vi  siete  voi  impegnalo  in  un  mi- 
nistero che  v'  impone  dr  stare  in  guerra  con  le  passioni  del  secolo  ì 
Macome,  vi  dirò  piuttosto,  come  non  pensale  che,  se  in  codesto  mi- 
nistero, comunque  vi  ci  siate  messo,  v'  è  necessario  il  coraggio,  per 
adempir  le  xostre  obbligazioni ,  e'  è  Chi  ve  lo  darà  infallibilmente, 
quando  glielo  chiediate?  Credete  voi  che  tutti  que'  milioni  dì  martiri 
avessero  naturalmente  coraggio?  elle  non  facessero  naturalmente  nes- 
sun cwilo  della  vita  ?  tanti  giovinetti  die  cominciavano  a  gustarla , 
tanti  vecchi  avvezzi  a  rammaricarsi  che  fosse  già  vicina  a  finire,  (ante 
donzelle,  tante  spose,  tante  madri?  Tutti  hanno  avuto  coraggio;  per- 
ché il  coraggio  era  necessario,  ed  essi  confìda\'ano.  Conoscendo  la  vo- 
stra debolezza  e  i  vostri  doveri ,  avete  voi  pensato  a  prepararvi  ai 
passi  difficili  a  cui  potevate  trovarvi,  a  cui  vi  siete  trovato  in  effetto? 
Ah!  se  per  lant'  anni  d'  uiizio  pastorale,  avete  (e  come  non  avi-este?) 
amalo  il  vostro  gregge,  se  avete  riposto  in  esso  il  mostro  cuore,  le 
vostre  cure,  le  vostre  delizie,  il  coraggio  non  doveva  mancarvi  al  hi- 
sogno  :  l'amore  è  intrepido.  Ebbene,  se  voi  gli  amavate,  quelli  che 
sono  affidali  alle  vostre  cure  spirituali,  quelli  che  voi  chiamate  figliuoli  ; 
quando  vedeste  due  di  loro  minacciati  insieme  con  voi,  ah  eerto! 
come  la  debolezza  della  carne  v'  ha  latto  tremar  per  voi,  così  la  carità 
v'avrà  fatto  tremar  per  loro.  Vi  sarete  umiliato  di  quel  primo  timore, 
percliè  era  un  effetto  della  \'0stra  miseria  ;  a\Tele  implorato  la  forza 
per  vincerlo,  per  discacciarlo,  perché  era  una  tentazione:  ma  il  timor 
santo  e  nobile  per  gli  altri,  per  i  vostri  figliuoli,  quello  l'avrete  ascol- 
lato, quello  non  v'  avrà  dato  pace,  quello  v'avrà  eccitato,  costretto. 


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I  pnoHESSi  SPOSI. 


a  pensare,  a  fare  ciò  die  si  potesse,  per  riparare  al  pericolo  che  lor 
sovrastava —  Cosa  v'  ha  ispiralo  il  timore,  l' amore?  Cosa  avete  fatto 
per  loro  ?  Cosa  avete  pensato  ?  » 
E  (acque  in  allo  di  chi  aspetta. 


Digitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  XXVI. 


una  stdaMa  domanda,  don  AbbMidio,  cbe  pur 
s'era  ing^nalo  di  risponder  qualcosa  a  delle 
menò  precise,  restò  lì  senza  articolar  parola.  E, 
per  dir  la  verità,  anche  noi,  con  questo  manO' 
scritto  davanti,  con  una  penna  in  mano,  non 
avendo  da  contrastare  cbe  con  te  frasi,  né 
altro  da  temere  che  le  critiche  de'  nostri  let- 
tori; anche  noi,  dico,  scaliamo  una  certa  ri- 
pugnanza a  proseguire  :  troviamo  un  non  so 
dte  di  strano  in  fjueslo  mettere  in  campo,  con  così  poca  fatica,  tanti 
bei  precetti  dì  fortezza  e  di  carità,  di  premura  operosa  per  gli  altri, 
di  sacrifizio  illimitato  di  sé.  Ma  pensando  cbe  quelle  cose  erano  dette 
da  uno  che  poi  le  faceva,  tiriamo  avanti  con  corano. 

(i  Voi  non  rbpondete?  »  riprese  il  cardinide.  •>  Ah,  se  aveste  fatto, 
dalla  parte  vostra,  ciò  die  la  carità ,  ciò  che  il  dovere  ridiiedeva  ;  in 
qualunque  maniera  poi  le  cose  fossero  andate,  non  vi  mancherebbe 
ora  una  risposta.  Vedete  dunque  voi  stesso  cosa  avete  fatto.  Avete 
ubbidito  all'  iniquità ,  non  curando  ciò  che  il  dovere  vi  prescriveva. 
L'avete  ubbidita  puntualmente:  s'era  fatta  vedere  a  voi,  per  inti- 
marvi il  suo  desiderio  ;  ma  voleva  rimanere  occulta  a  chi  avrebbe 
potuto  ripararsi  da  essa,  e  mettersi  in  guardia;  non  voleva  à»  si 


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494  I  PROMESSI  SPOSI. 

facesse  rumore,  videva  il  segreto,  per  maliu-are  a  suo  beli'  agio  ì  suw 
disegni  d'insidie  o  di  forza;  vi  comandò  la  trasgressione  e  il  silenzio: 
voi  avete  Irasgredito,  e  non  parlavate.  Domando  ora  a  voi  se  noa 
avete  fatto  dì  più;  voi  mi  direte  se  è  vero  che  abbiale  mendicati  de' 
pretesti  al  vostro  rifiuto,  per  non  rivelame  i)  motivo.  »  E  stette  lì  al- 
quanto, aspettando  di  nuovo  una  risposta. 

—  Anche  questa  gli  hanno  rapportala  le  chiacdiierone , —  pensava 
don  Abbondio;  ma  non  dava  segno  d'aver  nulla  da  dire;  onde  il  car- 
dinale riprese:  e  se  è  vero,  che  abbiate  detto  a  que'  poverini  ciò  che 
non  era,  per  tenerli  nell'ignoranza,  nell'oscurità,  in  cui  l'iniquità  li 
voleva.  . .  .Dunque  lo  devo  credere;  dunque  non  mi  resta  che  d'ar- 
rossirne con  ^■oi,  e  di  sperare  che  voi  ne  piangerete  con  me.  Vedde 
a  che  v'  ha  condotto  (  Dio  buono  !  e  pur  ora  voi  la  adduccvate  per 
iscusa)  quella  premura  per  la  vita-  che  deve  finire.  V  Ita  condotto  — 
ribattete  liberamente  queste  parole,  se  vi  paiono  ingiuste,  prendeiric 
in  umiliazione  salutare,  se  non  lo  sono ....  v'  ha  condotto  a  ingan- 
nare i  deboli,  a  mentire  ai  vostri  figliuoli.  » 

—  Ecco  come  vuuio  le  cose,  —  diceva  ancora  tra  sé  don  Abbon- 
dio: —  a  quel  satanasso,  —  e  pensava  all'innominato,  —  le  braccia 
al  collo;  e  con  me,  per  una  mezza  bugia,  detta  a  solo  line  di  sal^'ar 
la  pelle,  tanto  chiasso.  Ma  sono  superiori;  hanno  sempre  ragione.  E  il 
mio  pianeta,  che  tutti  m'  abbiano  a  dare  addosso;  ancl)e  i  santi.  — 
E  ad  alta  voce,  disse:  «  ho  mancato;  capisco  che  ho  mancalo;  ma 
cosa  dovevo  fare  in  un  frangente  di  quella  sorte?  » 

«  E  ancor  lo  domandate?  E  non  ve  l'ho  detto?  E  dovevo  dir- 
velo?  Amare,  figliuolo;  amare  e  pregare.  Allora  avreste  sentito  che 
l' iniquità  può  aver  bensì  delle  minacce  da  fare ,  de'  colpi  da  dare , 
ma  non  de'  comandi;  avreste  unito,  secondo  la  legge  di  Dio,  ciò  che 
1'  uomo  voleva  separare  ;  avreste  prestato  a  quegl'  innocenti  infelid  il 
ministero  che  avevan  ragione  di  richieder  da  voi;  delle  conseguenze 
sarebbe  restato  mallevadore  Iddio,  perchè  si  sarebbe  andati  per  la  sua 
strada  :  avendone  presa  un'  eJlra  ,  ne  restate  mallevadore  voi  ;  e  di 
quali  conseguenze!  Ma  forse  che  tutti  i  ripari  umani  vi  mancavano? 
forse  che  non  era  aperta  alcuna  via  di  scampo ,  quand'  aveste  voluto 
guardarvi  d'intorno,  pensarci,  cercare?  Ora  voi  potete  sapere  die 
que"  vostri  poverini,  quando  fossero  stati  maritati,  avrebbero  pulsato 
da  sé  al  loro  scampo,  eran  disposti  a  fuggire  dalla  focda  dà  potente, 
s'  eran  già  disegnalo  il  luogo  di  rifugio.  Ma  ancbe  sedka  questo,  non 


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CAPITOLO  XXVL  40K 

vi  venne  in  mente  che  alla  fìne  avevate  un  superiore?  Il  quale,  come 
mai  avreUke  quest'autorità  di  riprendervi  d'aver  mancalo  al  vostro 
ufìzio,  se  non  avesse  anche  l'obbligo  d'aiutarvi  ad  adempirlo?  Perchè 
non  avete  pensato  a  informare  il  vostro  vescovo  dell'impedimento  die 
un' infame  vi(denza  metteva  ah' esercizio  del  vostro  ministero?  » 

—  I  pareri  di  Perpetua!  —  pensava  stizzosamente  don  Abbondio, 
a  cui,  in  mezzo  a  que' discorsi,  dò  die  stava  più  vivamente  davanti, 
era  l'immagine  di  que' bravi,  e  il  penderò  che  don  Rodrigo  era  vivo 
e  sano,  e,  un  giorno  o  1'  altro,  tornerebbe  glorioso  e  trionfante,  e 
arr3Ì>biato.  E  benché  quella  dignità  presente,  quell'aspetto  e  quel  lin- 
guaggio, lo  facessero  star  confuso,  e  gì'  incutessero  un  certo  timore , 
era  però  un  timore  che  non  lo  soggiogava  affatto ,  né  impediva  al 
pensiero  di  riealdtrare  :  perchè  c'era  in  quel  pensiera,  che,  alla  Bn 
delle  Ani,  il  cardinale  non  adoprava  né  schioppo,  né  spada,  né  tiravi. 

"  Come  non  avete  pensato,  »  proseguiva  questo,  «  che,  se  a  que- 
gli innocenti  insidiati  non  fosse  stato  aperto  altro  rifugio,  c'ero  io, 
per  accoglierli,  per  metterli  in  salvo,  quando  \'ot  me  gli  aveste  indi- 
rizzati ,  indirizzali  dei  derelitti  a  un  vescovo ,  come  cosa  sua,  come 
parte  preziosa ,  non  dico  del  suo  carico ,  ma  delle  sue  ricchezze  ?  E 
in  quanto  a  voi,  io,  sarei  divenuto  inquieto  per  voi;  io,  avrei  do- 
vuto non  dormire ,  fin  che  non  fossi  sicuro  che  non  \i  sarebbe  torlo 
un  capello.  Ch'  io  non  avessi  come,  dove,  mettere  in'  sicuro  la  vo- 
stra vila?  Ma  quell'uomo  che  fu  tanto  ardilo,  credete  voi  che  non  gli 
si  sarebbe  scemato  punto  1'  ardire ,  quando  avesse  saputo  che  le  sue 
trame  eran  note  fuor  di  qui,  note  a  me,  di*  io  vegliavo,  ed  ero  riso- 
luto d'  usare  in  vostra  difesa  tutti  i  mezzi  che  fossero  in  mia  mano? 
Non  sapevate  che,  se  1'  uomo  promette  troppo  spesso  più  die  non 
sia  per  mantenere ,  minaccia  anche  non  di  rado,  più  che  non  s'  ut- 
lenti  poi  di  commettere?  Non  sapevate  die  l' iniquità  non  si  fonda 
soltanto  sulle  sue  forze,  ftia  anche  sulla  credulità  e  sullo  spavento 
altrui? 

—  Proprio  le  ragioni  di  Perpetua,  —  pensò  anche  qui  don  Ab- 
liondio,  senza  riflettere  che  que)  trovarsi  d'  accordo  la  sua  serva  e 
Federigo  Borromeo  su  ciò  che  si  sarebbe  potuto  e  dovuto  fare ,  vo- 
leva dir  molto  contro  di  lui. 

«  Ma  voi,  1  proseguì  e  conduse  il  cardinale,  »  non  avete  visto,  non 
avete  voluto  veder  altro  cbe  il  vostro  pericolo  temporale  ;  qual  ma- 
raviglta  die  vi  »a  parso  late,  da  trascurar  per  esso  ogni  altra  cosa?  » 


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4M  I  PROMBSSI  SPOSI. 

u  Gli  é  perché  le  ho  viste  io  quelle  fiicce,  i  scappò  delto  a  doo 
Abbondio;  u  le  ho  sentile  io  quelle  parole.  Vossignoria  iUustrìsama 
parla  bene  ;  ma  bisognerebbe  esser  ne'  paoni  d'  un  povero  prete ,  e 
essersi  trovalo  al  punto.  » 

Appena  ebbe  proferite  queste  parole,  si  morse  )a  lingua;  s'accorse 
d' essersi  lascialo  troppo  vincere  dalla  stizsa ,  e  disse  tra  sé  :  —  ora 
vien  la  grandine.  —  Ma  alzando  dubbiosamente  lo  sguardo,  fu  tutto 
maravigliato,  nel  veder  1'  aspetto  di  qucll'  uomo,  che  non  gli  riusciva 
mai  d'indovinare  né  di  capire,  nel  vederlo,  dico,  passare,  da  quella 
gravità  autorevole  e  correlU'ice,  a  una  gravità  compunta  e  pensierosa. 


"  Pur  trop])o!  ••  disse  Federigo,  "  tale  è  la  misera  e  tcrrilHle  no- 
stra condizione.  Dobbiamo  esigere  rigorosamente  dagli  altri  quello  che 
Dio  sa  se  noi  saremmo  pronti  a  dare:  dobbiamo  giudicare,  correg- 
gere, riprendere;  e  Dio  sa  quel  che  faremmo  noi  nel  caso  sIe,sso, 
quel  clie  abbiam  fiitlo  in  casi  somiglianti  !  Ma  guai  s'  io  dovessi 
prender  la  mia  debolezza  per  misura  del  doì'cre  altrui ,  per  norma 
del  mio  insegnamento!  Eppure  ó  certo  che,  insieme  con  le  dottrine. 


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unroLO  XXVI.  mi 

io  devo  flare  agli  altri  l' esempio,  non  reodOTini  simile  al  dottor  delia 
1^^,  che  càrica  gli  altri  di  pesi  che  non  posson  portare,  e  che  lui 
nm  loccher^be  con  un  dito.  Ebbene,  figliuolo  e  fratello;  poiché  gli 
errori  dì  quelli  che  presiedono,  sono  spesso  più  noti  agli  altri  che  a 
loro;  se  voi  sapete  eh'  io  abbia,  per  pusillanimità,  per  qualunque  ri- 
spetto, trascurato  qualche  mio  obbh'go,  ditemelo  francamente,  Tatemi 
ravvedere  ;  affinchè ,  dov'  è  mancato  1'  esempio ,  supplisca  almeno  la 
confessione.  Rimproveratemi  liberamente  le  mie  debolezze  j  e  allora  le 
parole  acquisteranno  più  valore  nella  mia  bocca,  perché  sentirete  più 
vivamente,  che  non  son  mie,  ma  di  Chi  può  dare  a  voi  e  a  me  la 
Iona  necessaria  per  far  ciò  cbe  prescrivono.  " 

—  Oh  che  sant*  uomo!  ma  che  tormento!  —  pensava  don  Abbon- 
dio :  —  anche  sopra  di  sé  :  purché  frughi ,  rimesti ,  critichi,  inquisi- 
sca ;  anche  sopra  di  sé.  —  Disse  poi  ad  alta  voce  :  «  oh  monsi- 
gnore! ehe  mi  fa  celia?  Chi  non  conosce  il  petto  forte,  lo  zelo  imper- 
territo di  vossigoorìa  illnatrìssinia  ?  »  E  tra  sé  soggiunse  :  —  anche 
b^po.  —  " 

V  Io  non  vi  chiedevo  una  lode,  die  mi  fa  tremare,  »  disse  Fedeii- 
go,  «  perché  Dio  conosce  i  miei  maneamenti,  e  quella  che  ne  conosco 
anch'io,  basta  a  coDfendérmi.  Ma  avrei  voluto,  vorrei  che  ci  confon- 
dessimo msieme  davanti  a  Luì,  per  confidare  insieme.  Vorrei,  per 
anor  -  vostro ,  cbe  intendeste  quwilo  la  vostra  condotta  »a  stata  op- 
posta, quanto  sia  opposto  il  vostro  linguaggio  alla  Jegge  che  pur  pre- 
dicale ,  e  secondo  la  quale  sarete  giudicato.  » 

u  Tutto  casca  addosso  a  me ,  »  disse  don  Abbondio:  «  ma  queste 
persene  che  son  venute  a  rapportare ,  non  le  lianno  poi  detto  d'  es- 
sersi introdotte  in  casa  mia ,  a  tradimento ,  per  sorprendemii ,  e  per 
bre  .un  matrimonio  c(mtro  le  regole.  » 

u  Me  r  hanno  detto,  figliuolo  :  ma  questo  m'  aec<H^ ,  questo  m'  al- 
tora,  che  voi  desideriate  ancora  di  scusarvi  ;  cbe  pensiite  di  seu> 
sarvi ,  accusando;  cbe  prendiate  materia  d'accusa  da  ciò  che  dovr^ 
b' esser  parte  della  vostra  confessione.  Chi  gli  ha  messi,  non  dico  nella 
neces»tà,  ma  nella  tentazione  dì  far  ciò  cbe  hanno  fatto?  Avrdd>ero 
essi  cercata  quella  via  irr^^iare ,  se  la  iegillinia  non  fosse  loro  slata 
cliiusa?  pensato  a  insidiare  il  pastore,  se  (ossero  siali  accolli  nelle 
sue  braeeia,  aiutali, consigliati  da  lui?  a  sorprenderlo,  se  non  si  fosse 
nascosto?  E  a  questi  voi  date  carico?  e  vi  sdegnate  perchè,  d(^ 
tante  sventure,  che  dico?  nel  mezzo  della  sventura,  abbian  detto  una 


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parola  di  sfogo  al  loro,  ai  vostro  pastore?  Che  il  rioorso  dell' «cipres- 
so, b  querela  dell'  afflitto  siano  odiosi  al  mondo,  il  mondo  è  tale;  ma 
noi  !  E  che  prò  sarebbe  stato  per  ^oi,  se  avessero  taciuto  ?  Vi  tan- 
nava conto  che  la  loro  cansa  andasse  intera  al  giudizio  di  Dìo  ?  Non 
è  per  voi  una  nuova  ragione  d' amar  queste  persone  {  e  gii  tante 
ragioni  n'avete),  che  v'abbian  dato  oceasiooe  di  sentir  la  voce  sincera 
del  vostro  vescovo,  che  v'  abbian  dato  un  mezzo  di  conoscer  meglia, 
e  di  socHitarc  in  parte  il  gran  debito  die  avete  con  loro?  ^!  se  v'a- 
vessero provocato,  offeso,  tormentato,  vi  direi  (e  dovrei  io  dirvelo?) 
d'amarli,  appunto  per  questo.  Amateli  perchè  hanno  patito,  perdiè  pa- 
tiscono, perchè  son  vostri ,  perchè  son  deboli ,  perchè  avete  bisogno 
d'nn  perdono,  a  ottenervi  il  quale,  pensate  di  qual  forza  possa  essere 
la  loro  preghiera.  •• 

Don  Abbondio  slava  zitto;  ma  non  era  più  quel  silaauo  fiH'zato  e 
impaziente:  stava  zitto  come  chi  ha  più  cose  da  peasane  che  da  dì- 
re.  Le  parole  die  sentiva,  eraii  conseguenze  inaspettale,  applicazioni 
nuove,  ma  d'una'  dottrina  antica  però  nella  sua  mente,  e  ooa  oautn- 
stata.  Il  male  degli  altri,  dalla  considerazion  del  quale  l' aveva  sempre 
distratto  ia  paura  del  proprio,  gli  faceva  ora  un'  impressone  nuova.  E 
se  non  sentiva  tutto  il  rimorso  che  la  predica  voleva  produrre  (die 
quella  stessa  paura  era  sempre  li  a  far  1'  ufizio  di  difensore),  ne  sen- 
tiva però;  senliva  un  certo  dispiacere  di  sé,  una  compassione  per  gli 
altri,  un  misto  di  tenerezza  e  di  confusione.  Era,  se  d  si  lasda  pas- 
sare questo  parsone,  come  lo  stoppino  umido  e  ammaccato  d'  una 
candela,  che  presentato  alla  fiamma  d'una  gran  torda,  da  prinapio 
fuma,  sdiizza,  scoppietta,  non  ne  vuol  saper  nulla;  ma  alla  Sue  s'ac- 
cende e ,  bene  o  male ,  bruda.  Si  sarebbe  apertamente  accusato , 
avrebl>e  pianto',  se  non  fbese  stalo  il  pensiero  dì  don  Rodrigo;  dm 
tuttavia  si  mostrava  aUsastanza  coounosso,  perchè  il  cardinale  do- 
vesse accorgersi  die  le  sue  parole  non  erano  state  senza  effetto. 

«  Ora ,  "  proseguì  questo ,  «  uno  fuggitivo  da  casa  sua ,  faltra 
in  prodnto  d*  aM>andiniarìa ,  tutt'  e  due  con  tnqipo  forti  motivi  £ 
stame  lontani ,  senza  probabilità  di  riunirsi  mai  qui ,  e  contenti  di 
sperare  che  Dio  li  riunisca  altrove;  ora,  pur  troppo,  non  hanno  bistH 
gno  di  voi;  pur  troppo,  voi  non  avete  occaaone  di  far  loro  dd  bene; 
né  il  corto  nostro  prevedere  può  seoprìme  alcuna  ndf  aw^re.  Rh 
ehi  sa  se  Dio  misericordioso  non  ve  ne  prepara?  Ah  non  le  lasdate 
sfuggire!  cercatde,  state  alle  vdetle,  pregalo  che  le  &cda  nase«re.  » 


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CAPITOLO  XXVI.  (OD 

■  Non  maDcherò,  mon»gnore,  non  mancherò,  davvero,  »  ri- 
fipflse  don  Atdwndio,  con  una  voce  che,  in  quel  momento,  veniva 
pr^rio  dal  cuore. 

■  Ah  eì,figlÌuolo,  sì!  »  esclamò  Federigo;e  con  una  digoìfà  piena 
d*  affetto ,  oondnse:  «  lo  sa  il  cielo  se  avrei  desiderato  di  tener  con 
voi  tutt'  albH  discorsi.  Tatt'  e  due  abbiamo  già  vissuto  molto:  lo  sa  il 
cielo  se  m' è  stalo  duro  di  dover  eontrtsiar  eon  rimproveri  codesta 
vostra  cannie,  e  quanto  sarei  stato  più  contento  di  consolarci  insieme 
delie  nostre  cure  comuni ,  de'  nostri  guai ,  parlando  della  beata  spe- 
rania,  alla  quale  «amo  arrivati  eoa  vicino.  Piaccia  a  Dio  che  le  pa- 
rche le  quali  bo  pur  dovuto  usar  con  voi,  servano  a  voi  e  a  me.  Hoa 
ùAe  che  m' abbia  a  chieder  conto ,  in  quel  giorno ,  d'  avervi  mante- 
nuto in  un  nfino,  al  quale  avete  così  infelicemente  mancato.  Ricom- 
priamo  il  tempo  :  la  mezianotte  è  vicina;  lo  Sposo  non  può  tardare  ; 
teniamo  accese  le  nostre  lampade.  Presentiamo  a  Dio  i  nostri  cuori 
miaerì,  vóti,  perchè  Gli  piaccia  riempirli  di  quella  carità,  che  ripara 
al  passato,  die  assicura  l'avvenire,  che  teme  e  conOda,  piange  e  sì 
rallegra ,  con  sapienza  ;  che  diventa  in  ogni  caso  la  virtù  di  cui  ali- 
biamo  biseco.  » 

Così  detto,  si  mosse  ;  e  don  Ald>ondÌo  gli  andò  dietro. 


Qui  l'anonimo  ci  avvisa  che  non  fu  questo  il  solo  abbocearo«ito 
dì  que*  due  personaggi,  né  Lucia  il  solo  argomento  de'  levo  abbocca- 
menti ;  ma  die  lui  s'  è  ristretto  a  questo ,  per  non  andar  lontano  dal 
soggetto  principale  dd  racconto.  E  die,  per  lo  stesso  motivo,  non  ùrk 


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MO  I  PROUESSI  SPOSI 

menzione  d' altre  cose  notabili ,  dette  da  Federigo  io  tutto  il  ceno 
della  visita,  né  delle  sue  liberalità,  né  delle  discordie  sedate,  de^  odi 
antichi  tra  persone ,  famiglie ,  terre  intere ,  spenti  o  { cosa  eh'  era 
pur  troppo  più  frequente)  sopiti ,  né  di  qualche  bravaccio  o  tirao- 
nello  ammansato,  o  per  tutta  la  vita,  o  per  qualche  tempo;  cose  tutte 
delle  quali  ce  n'  era  sempre  pia  o  meno,  in  ogni  lui^  della  diocesi 
dove  quell'uooio  eccellente  baeaae  qualdte  soggiorno. 

Dice  poi,  che,  la  mattina  seguente,  venne  donna  Prassede,  seoondo 
Il  fissato ,  a  prender  Lucia,  e  a  complimentare  il  cardinale ,  il  quale 
gliela  lodò,  e  raccomandò  caldamente.  Lucia  si  staccò  dalla  madre, 
potete  pensar  con  che  pianti  ;  e  usci  dalla  sua  casetta  ;  disse  per  la 
seconda  volta  addio  al  paese,  cui  qud  senso  di  doppia  amarena, 
che  si  prova  lasciando  un  luogo  che  fu  unicamente  caro,  e  otte  non 
può  esserlo  più.  Ma  i  congedi  con  la  madre  non  eran  gli  ullìmi  ;  per> 
che  donna  Prassede  aveva  detto  die  si  stareU>e  ancor  qualdie  giorno 
in  quella  sua  villa ,  la  quale  non  en  molto  lontana  ;  e  .^;nese  pre- 
mise alta  figlia  d'andar  ìk  a  trovarla,  a  dare  e  a  ricevere  un  pili 
doloroso  addio. 

Il  cardinal)!  era  anche  lui  sulle  mosse  per  continuar  la  sua  visita, 
quando  arrivò,  e  chiese  di  pariargli  il  curato  della  parrocchia,  in  cui 
era  il  castello  dell'  innominato.  Introdotto ,  gli  presentò  un  gruppo  e 
una  lettera  di  quel  signore ,  la  quale  lo  pregava  di  far  accettare  aDa 
madre  di  Lucia  cento  scudi  d'oro  eh'  eran  nel  gruppo ,  per  servir  di 
dote  alla  giovine ,  o  per  qnell'  uso  che  ad  esse  sarebbe  parso  mi- 
gliore ;  lo  pregava  insieme  dì  dir  loro ,  che ,  se  mai ,  in  qualunque 
tempo,  avessero  creduto  che  potesse  render  loro  qualche  servizio,  la 
povera  giovine  sapeva  pur  troppo  dove  stesse  ;  e  per  lui ,  quella  sa- 
rebbe  una  delle  fortune  più  desiderate.  Il  cardinale  fece  subito  diia- 
mare  Agnese,  le  riferi  la  commissione ,  àte  fu  sentita  con  altrettanta 
soddisfazione  che  maravi^^ia;  e  le  presentò  il  rotolo,  ch'essa  prese, 
senza  far  gran  ctHuplimenli.  «  Dio  gliene  renda  merito,  a  quel  signo-, 
re ,  »  disse  :  «  e  vossignoria  illustrissima  lo  ringrazi  tanto  tanto.  E 
non  dica  nulla  a  nessuno ,  perchè  questo  è  un  certo  paese  ...  Mi 
scusi,  veda;  so  bene  che  un  par  suo  non  va  a  dilacdiierare  di  que- 
ste cose  ;  ma  .  .  .  Id  m' intende.  » 

Andò  a  casa,  zitta,  zitta;  si  chiuse  in  camera,  svoltò  il  rotilo,  e 
quantunque  preparata,  vide  oon  ammirazione,  tutti  in  un  mncdàetlo 
e  suoi,  tanti  di  que'  ruf^i ,  de'  quali  non  aveva  forse  mai  vìrto  |hù 


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CAPITOLO  XXVI.  noi 

d' UDO  per  volta,  e  anche  di  rado;  li  contò,  penò  alquanto  a  métlerll 


di  nuovo  per  lagtìo ,  e  a  tenerli  li  tulli ,  che  ogni  momenlo  faoevan 
panda ,  e  sgusdavano  dalle  sue  dita  inesperte  ;  ricomposto  finalmrate 
un  rotolo  alla  meglio,  lo  mise  in  un  cencio,  ne  Tece  un  involto, 
un  baluffoletlo ,  e  legatolo  bene  in  giro  con  delta  cordellina ,  1'  andò 
a  Secare  in  un  cantucdo  del  suo  saccone  II  resto  di  quel  giorno , 
non  fece  altro  che  mulinare,  far  disegni  sull'avvenire,  e  sospirar  l' in- 
domani. Andata  a  letto,  stette  desta  lui  pezzo,  eoi  pensiero  in  com- 
pagnia di  que'  cento  che  aveva  sotto:  addomontata,  li  vide  in  sogno. 
All'alba,  s'alzò  e  s' incamminò  subito  verso  la  villa,  dov'era  Luda. 

Questa,  dal  canto  suo ,  quantunque  non  le  fosse  diminuita  quella 
gran  ripugnanza  a  parlar  dd  voto,  pure  era  risoluta  di  farsi  forza,  o 
d"  aprirsene  con  la  madre  in  queir  abboccamento ,  che  per  lungo 
tempo  doveva  chiamarsi  l'ultimo. 

Appena  poterono  esser  sole,  Agnese,  con  una  facda  tutta  animala, 
e  insieme  a  voce  bassa,  come  se  ci  fosse  stato  presente  qualdieduno 
a  cui  non  volesse  farsi  sentire ,  cominciò  :  «  ho  da  dirti  una  gran 
cosa;  »  e  le  raccontò  l'inaspettata  fortima. 

u  Iddio  lo  benedica  ,  quel  signore  ,  »  disse  Luda  :  "  così  avrete 
da  star  bene  voi,  e  potrete  anche  far  del  bene  a  qualctiedun  altro.  » 

«  Come  ?  »  rispose  Agnese  :  «  non  vedi  quante  cose  possiamo 
fare,  con  tanti  danari?  Sentì;  io  non  ho  altro  che  te,  che  voi  due, 
posso  dire;  perdio  Renzo,  da  che  cominciò  a  discorrerti,  1'  ho  sempre 
riguardalo  come  un  mio  figliuolo.  Tulio  sia  che  non  gli  sia  accaduta 


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MI  I  PROMESSI  SPOSI 

qualdK  disgrazia,  a  vedere  che  Don  ha  mai  folto  saper  nulla:  ma  ài\ 
deve  andar  tutto  male  ?  Speriamo  dì  do  ,  speriamo.  Per  me ,  avrei 
avuto  caro  di  lasciar  l' ossa  nel  mio  paese  ;  ma  ora  cbe  tu  non  d 
pu(H  stare,  in  grazia  di  quel  bìiiwne ,  e  anche  solamente  a  pensare 
d'averlo  vicino  colui,  m' è  venuto  in  odio  il  mio  paese:  e  con  voi 
idtri  io  sto  per  tutto.  Ero  disposta,  fin  d'allora,  a  venir  con  voi  altri, 
anche  in  capo  al  mondo  ;  e  son  sempre  stata  di  quel  parere  ;  ma 
senza  danari  come  si  la  ?  Intendi  ora?  Que'  quattro,  cbe  quel  pove- 
rino aveva  messi  da  parte,  con  tanto  stento  e  con  tanto  risparmio,  è 
venula  la  giustizia,  e  ha  spazzalo  ogni  cosa;  ma,  per  ricompensa,  il 
Signore  ha  mandato  la  fortuna  a  noi.  Dunque ,  quando  avrà  trovato 
il  bandolo  di  fer  sapere  se  è  vivo,  e  dov'è,  e  che  intenzioni  ha,  li 
vengo  a  prender  io  a  Milano;  io  U  vengo  a  prendere.  Altre  volte  mi 
sarebbe  parso  un  gran  che;  ma  le  disgrazie  fanno  diventar  disin\'oltÌ; 
fino  a  Monza  ci  sono  andata ,  e  so  cos'  è  viaggiare.  Prendo  con  me 
un  nomo  di  proposito,  un  parente,  come  sareU»  a  dire  Alessio  di 
Maggianico:  cbè,  a  voler  dir  )>ròprio  in  paese,  un  uomo  dì  proposito 
non  e'  è  :  vengo  con  lui  :  già  la  spesa  la  facciamo  noi,  e  . . .  intendi?  n 

Ma  vedendo  che,  in  vece  d'  animarsi.  Lucia  s'andava  accorando, 
e  ncm  dUnostrava  che  una  tenerezza  sen^  allegria,  lasciò  U  discorso  a 
mezzo,  e  disse:  <■  ma  cos'  hai?  non  ti  pare?  » 

«  Povera  mamma  1  »  esclamò  Liida ,  gettandole  un  braccio  al 
collo,  e  ùascond^ndo  il  viso  nel  seno  di  lei. 

u  Cosa  e'  è?  ».  domandò  di  nuovo  ansiosamente  la  madre. 

»  Avrei  dovuto  dirvclo  prima,  n  rispose  Lucia,  alzando  il  viso, 
e  asciugandosi  le  lacrime  ;  «  ma  non  ho  mai  avuto  cuore  :  compa- 
titemi. » 

(t  Ma  dì  su,  dunque.  » 

u  Io  non  posso  più  esser  moglie  di  quel  poverino  !  » 

«  Come  ?  come?  » 

Lucia,  col  capo  basso,  col  petto  ansante,  lacrimando  senza  piange- 
re, come  chi  racconta  una  cosa  che  ,  quand'  anche  dispiacesse,  non  si 
può  cambiare,  rivelò  il  voto;  e  insieme,  giungendo  le  mani,  diiese 
di  nuovo  perdono  alla  madre,  di  non  aver  parlalo  fin  allora;  la  pre^ 
di  non  ridir  la  cosa  ad  anima  vivente ,  e  d' aiutarla  ad  adempire  ciò 
che  aveva  promesso. 

Agnese  era  rimasta  slnpefatla  e  costernata.  Voleva  sdegnarsi  dd 
,  nlraizìo  tenuto  con  lei;  ma  1  gravi  pensieri  del  caso  soffogavano  quel 


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CAPITOLO  XXVI.  .  «OS 

dispiaeere  ano  pn^rìo  ;  voleva  dirìe  :  cos'  hai  fatto  7  ma  le  pareva 
che  sarebbe  un  prendersela  col  cielo  :  tanto  più  che  Lucia  tornava  a 
dipinger  co'  più  vivi  colorì  quella  notte ,  la  desolaxione  così  nera ,  e 
la  liberazione  così  imprevedula ,  tra  le  quali  ia  promessa  era  stata 
falla,  cosi  espressa,  cosi  solenne.  E  intanto ,  ad  Agnese  veniva  anche 
in  m^ite  questo  e  quelf  esempio ,  che  aveva  sentito  raccontar  pìA 
volte ,  che  lei  stessa  aveva  raccontato  alla  figlia ,  di  gastighi  strani  e 
terrìbili,  venuti  per  la  violaEÌone  di  qualche  volo.  Dopo  esser  rimasta 
un  poco  come  incantata,  disse  :  u  e  ora  cosa  farai?  » 


«  Ore,  «  rispose  Lucia ,  «  tocca  al  Signore  a  pensarci;  al  Signtve 
e  alla  Madonna.  Mi  son  messa  nelle  lor  mani  :  non  m' hanno  abbai>> 
donata  finora  ;  non  m' abbandoneranno  ora  che  ...  La  graua  che 
diiedo  per  me  al  Signore,  la  sola  grazia,  dopo  la  salvazlon  dell' aoi- 
ma ,  è  che  mi  faccia  tornar  con  voi  :  e  me  la  concederà ,  si  ^  me  la 
concederà.  Quel  giorno  ...  in  quella  carrozza  ...  ah  Vergine  san- 
tissima! . . .  quegli  uomini  ! ...  chi  m'avrebbe  detto  che  mi  menavano 
da  colui  che  mi  doveva  menare  a  trovarmi  con  voi,  il  giorno  dopo?  " 

«  Ma  non  parìarne  subito  a  tua  madre  !  «  disse  Agnese  con  una 
certa  stizzetta  temperala  d'amorevolezza  e  di  pietà. 


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B0<  I  PROMESSI  SPOSI 

■  CompaUtemì  ;  non  avevo  cuore ...  e  cbe  sardri)e  giovato  d' af- 
fliggervi qualche  tempo  prima?  » 

«  E  Remo?  »  disse  Agnese,  tentennando  il  capo. 

«  AhJ  "  esclamò  Lucia,  riscotendosi ,  «  io  non  ci  devo  pen- 
sar più  a  quel  poverino.  Già  si  vede  cbe  non  era  destinato  .  .  .  Ve- 
dete come  pare  cbe  il  Signore  ci  abbia  voluti  proprio  tener  separati. 
E  cbi  sa  .  .  .  ?  ma  no,  no:  l'avrà  preservato  Lui  da'  perìcoli,  e  lo 
fora  esser  fortunato  ancbe  di  più,  senza  di  me.  « 

«  Ma  intanto ,  »  riprese  la  madre ,  u  se  nou  fosse  die  tu  lì  sei 
legata  per  sempre,  a  tulio  il  resto,  quando  a  Renzo  non  ^ì  sia  acca- 
duta qualcbe  disgrazia,  con  que'  danari  io  ci  avevo  trovato  rimedio.  •> 

«  Ma  quc'  danari,  n  replicò  Lucia,  u  ci  sarebbero  venuti,  s' io  non 
avessi  passala  quella  notte?  È  il  Signore  clie  ha  voluto  cbe  tutto  an: 
dasse  cosi:  sia  falla  la  sua  volontà,  n  E  la  parola  mori  nel  pianto. 

A  quell'argomento  inaspettato,  Agnese  rimase  lì  pensierosa.  Dopo 
qualche  momento.  Lucia,  ratlenendu  i  singhiozzi,  riprese  :  «  ora  cbe 
la  cosa  e  fatta,  bisogna  adattarsi  di  buon  animo;  e  voi,  povera  mam- 
ma, voi  mi  potete  aiutare,  prima,  pregando  il  Signore  per  la  vostra 
povera  figlia,  e  poi  .  .  .  bisogna  bene  che  quel  poverino  lo  sap[Ha. 
Pensateci  voi,  fatemi  anche  questa  carità  ;  die  voi  ci  potete  pensare. 

Quando  saprete   dov*  è,  fategli   scrivere,  trovate   un  uomo 

appunto  vostro  cugino  Alessio ,  che  è  un  uomo  prudente  e  caritate- 
vole ,  e  ci  ha  sempre  voluto  bene,  e  non  ciarlerà  :  fategli  scriver  da 
lui  la  cosa  com'  è  andata,  dove  mi  son  trovala,  come  ho  patito,  e  cbe 
Dio  ha  voluto  cosi,  e  che  metta  il  cuore  in  pace,  e  eh'  io  non  posso 
mai  mai  esser  di  nessuno.  E  fatali  capir  la  cosa  con  buona  grazia, 
spiegai^)]  cbe  ho  promesso,  che  ho  proprio  fatto  voto.  Quando  saprà 
die  ho  promesso  alla  Madonna ...  ha  sempre  avuto  il  timor  di  Dio. 
E  voi ,  la  prima  volta  cbe  avrete  le  sue  nuove,  fatoni  scrivere,  fa- 
Ioni  sapa*  che  è  sano  ;  e  poi  .  .  .  non  mi  fate  più  saper  nolla.  « 

Agnese,  tutta  inlenerila,  assicurò  la  figlia  die  ogni  con  si  fard^ 
come  desiderava. 

«  Vorrei  dirvi  un'altra  cosa,  «  riprese  questa:  "  qud  poveri- 
no, se  non  avesse  avuto  la  disgrazia  di  pensare  a  me ,  non  gli  sa- 
rebbe accaduto  ciò  cbe  gli  è  accaduto.  É  per  il  mondo  ;  gli  hanno 
troncato  il  suo  avviamento ,  gli  hanno  portalo  via  la  sua  roba ,  que' 
ripianili  che  aveva  &tli,  poverino,  sapete  perchè  ...  E  noi  aUbiamo 
tanti  danari  !   Oh   mamma  !  giacdiè  il  Signore  d  ha  mandato  laolo 


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CAPITOLO  XXVI.  BOJl 

beoe,  e  quel  poverino,  è  proprio  vero  che  lo  riguardavate  eome  vo- 
Siro  ...  sì,  come  un  figliuolo,  oh!  fate  mezzo  per  uno;  che,  sicuro, 
Iddio  non  ci  mancherà.  Cercate  un'  occasione  fidata  ,  e  mandateglieli , 
che  sa  il  cielo  eome  n'  ha  bisogno  !  » 

«  Ebbene ,  cosa  credi  ?  »  rispose  Agnese  :  a  glieli  manderò  dav- 
vero. Povero  giovine  I  Perchè  pensi  tu  eh'  io  fossi  così  contenta  di 
que"  danari?  Ma  ...  !  io  era  proprio  venuta  qui  tutla  contenta.  Ba- 
sta, io  glieli  manderò ,  povero  Renzo  I  ma  anche  lui ....  so  quel  die 
dico  ;  certo  che  i  danari  fanno  piacere  a  chi  n'  ha  bisogno  ;  ma  que- 
sti non  saranno  quelli  che  lo  faranno  ingrassare,  n 

Lucia  ringraziò  la  madre  di  quella  pronta  e  liberale  condiscenden- 
la,  con  una  gratitudine ,  con  un  afletlo,  da  for  capire  a  dii  l' avesse 
osservata,  che  il  suo  cuore  faceva  ancora  a  mezzo  con  Renzo,  forse 
più  che  lei  medesima  non  lo  credesse. 

a  E  senza  di  le,  che  farò  io  povera  donna?  »  disse  Agnese,  pian- 
gendo anch'  essa. 

«  E  io  senza  di  voi,  povera  mamma?  e  in  casa  di  forestieri?  e 
laggiù  in  qud  Milano  ...  !  Ma  il  Signore  sarà  con  tutt'  e  due;  e 
poi  ci  farà  tornare  insieme.  Tra  otto  o  nove  mesi  ci  rivedremo; 
e  di  qui  allora,  e  andie  prima^  spero,  avrà  aiccomodate  le  cose  Lui, 
per  riunirci.  Lasciamo  fare  a  Lui.  La  chiederò  sempre  sempre  alla 
Madonna  questa  grazia.  Se  avessi  qualche  altra  cosa  da  offrirle,  lo 
farei;  ma  è  tanto  misericordiosa,  che  me  l'otterrà  per  niente.» 

Con  queste  ed  altre  simili,  e  più  volte  ripetute  parole  di  lamento 
e  di  conforto,  di  rammarico  e  di  rassegnazione,  con  molte  raceoman* 
dazioni  e  promesse  di  non  dir  nulla,  con  molte  lacrime,  dopo  lunghi 
e  rìnno^'ati  abbraeciamenli,  le  donne  si  separarono,  promettendosi  a  vi- 
cenda di  rivedersi  il  prossimo  autunno,  al  più  lardi;  come  se  il  man- 
tenere dipendesse  da  loro,  e  eome  però  si  fa  sempre  in  casi  simili. 

Intanto  cominciò  a  passar  molto  tempo  senza  che  Agnese  potesse 
saper  nulla  di  Renzo.  Né  lettere  né  imbasciate  da  parte  di  lui,  non 
ne  veniva:  di  lutti  quelli  del  paese,  o  del  contorno,  a  cui  potè  do- 
mandare ,  nessuno  ne  sapeva  più  di  lei. 

E  non  era  la  sola  che  facesse  invano  una  tal  ricerca:  il  cardinal 
Federigo,  che  non  aveva  detto  per  cerimonia  alle  povere  donne,  di 
voler  prendere  informazioni  del  povero  giovine,  aveva  infetti  scritto 
subito  per  averne.  Tornato  poi  dalla  visita  a  Milano,  aveva  ricevuto 
la  risposta  in  cui  gli  si  diceva  che  non  s'  era  potuto  trovar  recapito 


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UOB  I  PUOllESSl  SPOSI 

ddl'' indicate  soggello;  che  veramente  era  slato  qualche  Icmpo  io 
casa  d'ui)  suo  parente,  nel  tal  paese,  dove  non  aveva  fattd  dir  di  sé; 
ma,  una  mattina,  era  scomparso  all'improvviso,  e  quel  suo  parente 
stesso  non  sapeva  cosa  ne  fosse  stato ,  e  non  poteva  clic  ripetere 
certe  \oci  in  aria  e  coni  radili  tiorie  che  correvano ,  essersi  il  gio- 
vine arrotalo  per  Jl  Levante,  esser  {laSsalo  in  Germania,  |>erilo  iiel 
guadare  un  liume:  die  non  sì  mancherebbe  di  slare  alle  ideile,  se 
mai  sì  potesse  saper  qualcosa  dì  più  positivo,  per  farne  Subilo  paKe 
a  sua  signoria  illustrissima  e  reverendissima. 

Più  tardi ,  quelle  ed  altre  ^oci  ai  sparsero  anclie  nel  territorio  di 
Lecco,  e  vennero  per  conseguenza  agli  orecchi  d'Agnese.  La  povera 
donna  faceva  dì  tutto  per  venire  in  chiaro  qual  fosse  la  vera,  per 
arrivare  alla  fonie  di  questa  e  di  quella,  ma  non  riusciva  mai  a  tro- 
var dì  più  di  quel  (incolto,  che,  anche  al  giorno  d'oggi,  basta  da  se  ad 
attestar  lantc  cose.  Talora,  appena  glicn'era  stala  raccontala  una,  ve- 
niva uno  e  le  diceva  che  non  era  vero  nulla;  ma  per  dargliene  in  cam* 
bio  un'  altra,  ugualmente  strana  o  sinistra.  Tutte  ciarìe:  ecco  il  fallo. 

Il  governatore  di  Milano  e  capitano  generale  in  llalia,  don  Gon- 
zalo Fernandez  di  Cordova,  aveva  fatto  un  gran  fracasso  col  signor 
n-sitlcnk  di  Venezia   in  Milano,  i^rchè  un  malandrino,  un  ladrone 


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CAPITOLO  XXVI.  SOT 

puMilioo,  un  promotore  di  saccheggio  e  d'omicidio,  il  bmoso  Lo- 
renzo Tramaglino,  die,  nelle  mani  stesse  delta  giustizia,  aveva  ecci- 
talo sommossa  per  farsi  liberare,  fosse  accollo  e  rìcetlato  nel  terri- 
torio bergamasco.  Il  residente  avea  risposto  che  la  cosa  gli  riusciva 
nuova,  e  che  scrivereblic  a  Venezia,  per  poter  dare  a  sua  eccellenxa 
quella  spiegazioae  che  il  caso  avesse  portalo. 

A  Venezia  avevan  per  massima  di  secondare  e  di'collivare  1'  in- 
dinazionc  degli  operai  di  seta  milanesi  a  trasportarsi  nel  territorio 
bergamasco,  e  quindi  diTar  che  ci  trovassero  molti  vantaggi  e,  so- 
prallutlo  quello  senza  di  cui  ogni  altro  è  nulla,  la  sicurezza.  Sic- 
come però,  Ira  due  grossi  litiganti,  qualche  cosa,  per  poco  che  sìa, 
bisogna  sempre  die  il  terzo  goda;  cosi  Bortolo  fu  avvisato  in  oonG- 
denza,  non  si  sa  da  chi,  che  Renzo  non  istava  bene  in  quel  paese, 
e  die  ford>be  meglio  a  entrare  in  qualche  altra  fabbrica ,  cambiando 
andic  nome  per  qualche  tempo.  Bortolo  intese  per  aria,  non  domandò 
altro,  corse  a  dir  la  cosa  al  cugino,  lo  prese  con  sé  in  un  cales- 
sino, lo  condusse  a  un  altro  filatoio,  di:3co8lo  da  qudlo  forse  quindici 
miglia,  e  lo  presentò,  sotto  il  nome  d'  Antonio  Rivolta,  al  padrone, 
ch'era  nativo  anche  lui  dello  stalo  di  Milano,  e  suo  antico  cono- 
sceate.  Questo,  quantunque  1'  annata  fosse  scarsa,  non  si  fece  pre- 
gare a  ricevere  un  operaio  die  gli  era  raccomandato  come  onesto  e 
abile,  da  un  galantuomo  che  se  n'intendeva.  Alla  prova  poi,  non 
ebbe  che  a  lodarsi  dell'acquislo;  meno  che,  sul  principio,  gli  era 
parso  che  il  giovine  dovesse  essere  un  po'  stordito,  percliè,  quando 
si  chiamava:  Antonio!  le  più  volte  non  rispondeva. 

Poco  dopo,  venne  un  ordine  da  Venezia,  in  isUle  pacalo,  al  capitano 
di  Bergamo,  die  prendesse  e  desse  informazione,  se  nella  sua  giuris- 
dizione, e  segnatamente  nel  (al  paese,  si  trovasse  il  lai  soggetto.  Il 
ca|MtaDO,  falle  le  sue  diligenze,  come  aveva  capito  che  si  volevano, 
trasmise  la  risposta  negativa,  la  quale  fu  trasmessa  al  residente  in 
Milano,  che  la  trasmettesse  a  don  Gonzalo  Femandez  di  Cordova. 

Non  mancavan  poi  curiosi,  che  volessero  saper  da  Bortolo  il  perdiè 
quel  giovine  non  c'era  più,  e  dove  fosse  andato.  Alla  prima  do- 
manda Bortolo  rispondeva:  '<  ma!  e  scomparso,  n  Per  mandar  poi  in 
paee  i  più  insistenti,  senza  dar  loro  sospetto  di  quel  che  n'era  dav- 
vero, aveva  credulo  bene  di  r^alar  loro,  a  chi  1'  una,  a  chi  l' altra 
delle  notizie  da  noi  riferite  di  sopra:  però,  come  cose  incerte,  che 
aveva  sentile  dire  anche  luì ,  senza  averne  un  riscontro  positivo. 


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BOB  1  PROMESSI  SPOSI 

Ma  quando  la  domanda  gli  yenoe  falla  per  commissioa  del  cardi- 
nale, senza  nominarlo,  e  con  un  certo  apparato  d'importanza  e  di 
mistero,  lasciando  capire  ch'era  in  nome  d'un  gran  personaggio, 
tanto  più  Bortolo  s' insospettì,  e  credè  necessario  di  risponda*  8e> 
condo  il  solito;  anzi,  trattandosi  d'un  gran  personaggio,  diede  in 
una  volta  tutte  le  notizie  che  aveva  stampate  a  una  a  una,  in  quelle 
diverse  occorrenze. 

Non  si  creda  però  che  don  Gonzalo,  un  signore  di  quella  sorte, 
l' avesse  proprio  davvero  col  povero  filatore  di  montagna  ;  che  infor- 
malo forse  del  poco  rispetto  usalo,  e  delle  cattive  parole  delle  da  eo- 
lui  al  suo  re  moro  incatenalo  per  la  gola,  volesse  fargliela  pagare;  o  cbe 
lo  credesse  un  soggello  tanto  pericoloso,  da  perseguitarlo  aocbe  fuggiti- 
vo, da  non  lasciarlo  vivere  anche  lontano,  come  il  senato  romano  con 
Annibale.  Don  Gonzalo  aveva  troppe  e  troppo  gran  cose  in  testa, 
per  darsi  tanto  pensiero  de'  falli  di  Renzo;  e  se  parve  cbe  se  ne 
desse,  nacque  da  un  concorso  singolare  di  circostanze,  per  cui  il 
poveraccio,  senza  volerlo,  e  senza  saperlo  né  allora  né  mai,  si 
trovò,  eon  un  sottilissimo  e  invisibile  filò,  attaccato  a  quelle  Iroppe 
e  troppo  gran  cose. 


V>5NW^ 


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CAPITOLO  XXVII. 


VJià  più  (f  una  volta  e'  è  occorso  di   for 
menzione  della  guerra  che  allora  bolliva, 
per  la  successione  agli  stali  del  duca  Vi»> 
cenzo  Gonzaga,  secondo  di  quel  noine; 
ma  e'  è  occorso  sempre  in  momenti  di 
gran  frella:  siccliè  non  abbiam  mai  po- 
tuto darne  più  che  un  cenno  alla  sfug- 
gita. Ora  però,  all'intelligenza  del  nostro 
racconto  si   richiede   proprio  d' averne 
qualche  notìzia  più  particolare.  Son  cose  che  chi  conosce  la  storia  le 
deve  sapere;  ma  siccome,  per  un  giusto  sentimento  di  noi  oiedesimi, 
dobbiam  supporre  che  quest'  opera  non  possa  esser  letta  se  non  da 
ignoranti,  cosi  non  sarà  male  che  ne  diciamo  qui  quanto  basti  per 
infarinarne  chi  n'  avesse  bisogno. 

Abbiam  detto  che,  alla  morte  di  quel  duca,  il  primo  chiamato,  in 
linea  di  successione,  Carlo  Gonzaga,  capo  d'un  ramo  cadetto  tra- 
piantato in  Francia ,  dove  possedeva  ■  ducali  di  Nevers  e  di  Rhétel , 
era  entrato  al  possesso  di  Mantova;  e  ora  aggiungiamo,  del  Monfei^ 
rato  :  che  la  fretta  appunto  ce  1'  aveva  fatto  lasciar  nella  penna.  La 
corte  di  Madrid,  che  voleva  a  ogni  patto  (  abbiam  detto  anche  que- 
sto) escludere  da  que'  due  feudi  il  nuovo  principe,  e  per  escluderlo 
aveva  bisogno  d'  una  r^one  (  perchè  le  guerre  fatte  senza  una  ra- 
gione sarebbero  ingiuste),  s'  era  dichiarato  sostenitore  di  quella  che 


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mo  1  PHOllESSI  SPOSI 

prelcndevano  avere,  su  Mantova  uà  altro  Gonzaga,  Ferrante,  prin- 
cipe di  (ìuaslalia;  sul  Monferrato  Carlo  Emanuele  I,  duca  di  Savoia, 
e  Margherita  Gonzaga,  duchessa  vedova  di  Lorena.  Don  Gonzalo, 
ch'era  della  casa  del  gran  capitano,  e  ne  portava  il  nome,  e  die 
aveva  già  fatto  lu  guerra  in  Fiandra,  voglioso  oltremodo  di  condurne 
una  in  Italia ,  era  forse  quello  che  faceva  più  fuoco,  perchè  questa  a 
dichiarasse;  e  intanto,  Interpretando  l'intenzioni  e  precorrendogli 
ordini  della  corte  suddetta ,  aveva  concluso  col  duca  dì  Savoia  un 
trattato  d' invasione  e  di  divisione  del  Monferrato;  e  n'aveva  poi  ot- 
tenuta facilmente  la  ratificazione  dal  conte  duca,  faceodi^i  creder 
molto  agevole  l'acquisto  di  Gasale,  ch'era  il  punto  più  difeso  della 
parie  pattuita  al  re  di  Spagna.  Protestava  però,  in  nome  di  questo, 
di  non  vtJere  occupar  paese,  se  non  a  titolo  di  deposilo,  lino  alla 
sentenza  dell'imperatore;  il  quale,  in  parte  per  gli  ufizi  altrui,  in 
parte  per  suoi  propri  motivi,  aveva  intanto  negala  l'investitura  al 
nuovo  duca,  e  iittimal^li  che  rilaisciassc  aJui  in  sequestro  gli  stati 
controversi:  lui  poi,  sentite  le  parti,  li  rimetterebbe  a  chi  fosse  di 
dovere.  Cosa  alla  quale  il  Nevers  non  s'era  voluto  piegare. 

Aveva  anche  lui  amici  d'importanza:  il  cardinale  di  Richelieu,  i 
ngaorì  veneziani,  e  il  papa,  ch'era,  come  abbiam  dello,  Urbano  Vili. 


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CAMTOLO  XXVII. 


Ma  il  primo,  impegnalo  allora  nell'  assedio  della  Rctccella  e   in  una 
guerra  «m  l'Iiigliillerra,  atlraversalo  dal  parlilo  della  regina  madre, 


Maria  de*  Modici,  contraria,  per  certi  suoi  motivi,  alla  casa  dìNe- 
vers,  non  poteva  dare  che  delle  speranze.  I  veneziani  non  voteian 
moversi,  e  nemmeno  dichiarai'si,  sé  prima  mi  esercito  francese  non 
fosse  calalo  in  llalia  ;  e ,  aitilando  il  duca  sotto  mano ,  come  pote^ 
vano ,  con  la  corte  di  Madrid  è  col  governatore  dì  Milano  stavano 
sulle  protese,  sulle  proposte,  sul!'  (<$ortBKÌoni ,  placide  o  minacciose, 
secondo  i  momenti.  !l  papa  raccomandava  jl  Neiers  àgli  amici,  ìiilcr- 
cudeva  in  sno  favore  presso' gii  avversari,' faceva  progelli  d'acco- 
modamento; di  metter  gente  in  campo  non  he  voleva  saper  nnlla. 
Cosi  t  due  allehii  aHe  offese  poléroiio,  lanlo  più  sicnramcnle,  co- 
minciar r  impresa  concertata.  Il  duca  di  Savoia  era  entrato,  dalla  sua 
|tartc,  nel  Monferrato;  don  Gonzalo  aveva  messo,  con  gran  voglia, 
l'assedio  a  Casale;  ma  non  ci  trovava  tiitla  quella  soddisfazione  clic 
s'era  immaginalo:  die  non  crédeste  che  nella  guerra'  sia  lulto  rose. 
I.a  corte  non  l'aiutava  a  seconda  de'  suoi  desideri,  anzi  gli  lasciava 
mancare  i  mezzi  più  necessari;  l' dicalo  l' aiutava  troppo:  vf^lio  dire 


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I  PROMESSI  SPOSI 


cbc.,  dopo  aver  presa  la  sua  porzione ,  andava  spilluzziciuido  quella 
assegnala  al  re  di  Spagna.  Don  Gonzalo  se  ne  rodeva  quanto  mai  si 
possa  dire  ;  ma  temendo ,  se  faceva  appena  un  po'  di  rumore ,  cfae 
quel  Carlo  Emanuele  ,  cosi  attivo  ne'  maneggi  e  mobile  ne'  trattali , 


come  prode  nell'armi,  si  voltasse  alla  Francia,  doveva  cliiudere  un 
occhio,  mandarla  giù,  e  stare  zitto.  L'assedio  poi  andava  male,  in 
lungo,  ogni  tanto  all' indietro,  e  per  ìl  contegno  saldo,  vigilante,  ri- 
soluto degli  assediati,  e  per  aver  lui  poca  gente,  e,  al  dire  di  qual- 
che storico,  per  i  molti  spropositi  che  faceva.  Su  questo  noi  lasciamo 
la  verità  a  suo  luogo,  disposti  anche,  quando  la  cosa  fosse  realmente 
cosi,  a  trovarla  bellissima,  se  fu  cagione  che  in  quell'impresa  sia 
restato  morto,  smozzicato,  storpiato  qualche  uomo  di  meno,  e,  ette- 
ria  pifrìbus,  anche  soltanto  un  po'  meno  danneggiati  ì  tegoli  di  Casale. 
In  questi  frangenti  ricevette  la  nuova  della  sedizione  di  Milano ,  e  d 
accorse  in  persona. 

Qui,  nel  ragguaglio  che  gli  si  diede,  fu  fatta  anche  menzione  ddli 
fuga  ribelle  e  clamorosa  di  Renzo,  de'  fatti  veri  e  supposti  ch'erano 
stati  cagione  del  suo  arresto;  e  gli  si  seppe  anche  dire  che  questo  tale 
s'era  rifugiato  sul   territorio'  di  Bergamo.  Questa  circostanza  fermò 


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CAPITOLO  XXVH.  Hlx 

l'attenzione  dì  don  Gonzalo.  Era  informato  da  tuli' altra  parte,  clic 
a  Venezia  avevano  alzata  la  eresia,  per  la  sommossa  di  Milano;  che  da 
principio  avevan  credulo  che  sarebbe  costretto  a  levar  l'assedio  da  Ca- 
sale, e  pensavan  tuttavia  che  ne  fosse  ancora  sbalordito,  e  in  gran  |)cn- 
siero:  tanto  più  che,  subito  dopo  quell'avvenimento,  era  arrivata  la  no- 
tizia, sospirala  da  que' signori  e  temuta  da  lui,  della  resa  delia  Roccella. 
K  scottandt^li  motto,  e  come  uomo  e  come  politico,  che  que'  signori 
avessero  un  lai  concetto  de'  talli  suoi ,  spiava  ogni  occasione  di  per- 
suaderli,  per  via  d'  induzione,  che  non  ave^a  perso  nulla  dell'  an- 
tica sicurezza;  giacché  il  dire  espressamente:  non  ho  paura,  è  come 
non  dir  nulla.  Un  buon  mezzo  è  di  fare  il  disgustalo,  di  querelarsi, 
di  reclamare:  e  perciò,  essendo  venuto  il  readente  dì  Venezia  a  fw- 
^i  un  complimento,  e  ad  esplorare  insieme ,  nella  sua  faccia  e  nel 
suo  contegno,  come  slesse  dentro  dì  se  (notate  tutto;  che  questa  è 
politica  di  quella  vecchia  fine],  don  Gonzalo,  dopo  aver  parlato  del 
tumulto,  leggermente  e  da  uomo  che  ha  già  messo  riparo  a  tutto; 
fece  quel  fracasso  che  sapete  a  proposito  di  Renzo;  come  sapete  aa- 
die  quel  che  ne  venne  in  conseguenza.  Doiw,  non  s'occupò  più  d'un 
allure  co9ì  minuto  e,  in  quanto  a  lui,  terminato;  e  quando  poi,  che 
fu  un  pezzo  dopo,  gli  arrivò  la  risposta,  al  campo  sopra  Casale,  do- 
v'era tornalo,  e  dove  aveva  tuli' altri  pensieri,  alzò  e  dimenò  la 
testa,  come  un  baco  da  seta  che  cerchi  la  foglia;  slette  li  un  mo- 
mento, per  farsi  tornar  vivo  nella  memoria  quel  fatto,  dì  cui  non  ci 
rimaneva  più  i^e  un'ombra;  sì  rammentò  della  cosa,  ebbe  un'  idea 
fugace  e  confusa  del  personaggio;  passò  ad  altro,  e  non  ci  pensò  più. 
Ma  Renzo,  il  quale,  da  quel  [joco  che  gli  s'era  fallo  veder  per 
aria,  doveva  supporre  luti' altro  che  una  cosi  benigna  noncuranza, 
stette  un  pezzo  senz'altro  pensiero  o,  per  dir  meglio,  senz'altro  stu- 
dio, che  di  viver  nascosto.  Pensate  se  si  struggeva  dì  mandar  le  sue 
nuove  alle  donne,  e  d'aver  le  loro;  ma  c'eran  due  gran  dìRìcollà. 
Una,  che  avrebbe  dovuto  anche  lui  confidarsi  a  un  segretario,  perchè 
il  poverino  non  sapeva  scrivere,  e  neppur  leggere,  nel  senso  esleso 
della  parola;  e  se,  interrogato  dì  ciò,  come  forse  vi  ricorderete,  dal 
dodor  Azzecca-garbnglì ,  aveva  risposto  dì  sì,  non  fu  un  vanto,  una 
sparala ,  come  si  dice  ;  ma  era  la  aerila  che  Io  stampato  lo  sapeva 
leggere,  mettendoci  il  suo  tempo:  lo  scritto  è  un  altro  par  di  mani- 
che. Era  dunque  costretio  a  mettere  un  terzo  a  parte  de'  suoi  inte- 
ressi, d'un  segreto  così  geloso:  e  un  uomo  che  sapesse  tener  la 


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1114  I  PROMESSI  SPOSI 

penna  in  mano,  e  di  cui  uno  si  potesse  fidare,  a  que'  l«mpi  non  si 
trova\'a  così  facilmente  j  tanlo  più  in  un  paese  dove  non  s'  avesse 
nessuna  antica  conoscenza.  L'altra  diffìcollà  era  d'avere  anclic  un 
corriere;  un  uomo  che  andasse  appunto  da  quelle  parti,  che  volesse 
incaricarsi  della  lettera,  e  darsi  davvero  il  pensiero  di  recapitarla; 
(ulte  cose,  anche  queste ,  dillicilì  a  trovarsi  in  un  uomo  solo. 

Finalmente,  cerca  e  ricerca,  trovò  ehi  scrivesse  per  lui.  Ma,  no» 
sapendo  se  le  donne  fossero  ancora  a  Monza,  o  dove,  credè  bene  di 
fare  accluder  la  lettera  per  Agnese  in  un'  altra  diretta  al  padre  Cri- 
stoforo. Lo  scrivano  prese  anche  l' incarico  dì  far  recapitare  il  plico  ; 
lo  consegnò  a  utio  che  doveva  passare  non  lontano  da  Pescarenico; 
costui  lo  lasciò,  con  molle  raccomandazioni,  in  un'  osteria  sulla  stra- 
da, al  punto  più  vicino;  trattandosi  che  il  plico  era  indirizzato  a  un 
convento,  ci  arrivò^  ma  cosa  fi'avvenisse  dopo,  non  s'è  mai  saputo. 
Renzo,  non  vedendo  comparir  risposta,  fece  stendere  un'altra  lette- 
ra, a  un  di  presso  come  la  prima,  e  accluderla  in  un'  altra  a  un  suo 
amico  di  Lecco,  o  parente  che  fosse.  Si  cercò  un  altro  latore,  si 
trovò;  questa  volta  la  lettera  arrivò  a  chi  era  diretta.  Agnese  trottita 
Maggiatiieo,  se  la  fece  leggere  e  spiegare  da  quell'Alessio  suo  cugino: 


concertò  con  lui  una  risposta,  che  questo  mise  in  caria;  sì  trovò  il 
mezzo  di  mandarla  ad  Antonio  Rivolta  nel  luogo  del  suo  domicilio: 
lutto  questo  però  non  cosi  presto  come  noi  lo  raccontiamo.  Renzo 
ebbe  la  risposta,  e  fece  riscrivere.  In  somma,  s'avviò  tra  le  due  parti 
un  carteggio,  né  rapido  né  regolare,  ma  pure,  a  balzi  e  ad  intervalli, 
continualo. 


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CAPITOLO  XXTH.  Sin 

Ma  i)er  avere  un'  idea  di  quel  cai-leggio,  bisogna  sapere  un^poeo 
come  andassero  allora  lali  cose,  ansi  come  vadano;  perclié,  in  qucslo 
particolare,  credo  die  ci  sia  poco  o  nulla  di  cambiato. 

Il  cooladino  clic  non  sa  scrivere,  e  che  avrebbe  bisogno  di  scrive- 
re, si  rivolge  a  uno  che  conosca  queir -arte,  scegliendolo,  per  quanto 
può,  tra  (|uelli  delta  sua  condizione,  perchè  degli  altri  si  perita,  o 
si  fida  poco;  l'informa,  con  più  o  meno  ordine  e  chiarezza,  degli 
antecedcnli:  e  gli  espone,  nella  stessa  maniera,  la  cosa  da  mettere  in 
carta.  9  letterato,  parie  intende,  parte  frantende,  dà  qualche  consi- 
glio, propone  qualche  cambiamento,  dice:  lasciate  fare  a  me;  piglia 
la  penna,  mette  come  può  in  forma  letteraria  i  pensieri  dell'altro, 
li  corregge,  li  migliora,  carica  la  mano,  oppure  smorza,  lascia  anche 
ruori,  secondo  gli  pare  die  (orai  meglio  alla  cosa:  perché,  non  e'  è 
ritnedio,  chi  ne  sa  più  degli  altri  non  vuol  essere  strumento  mate- 
riale nelle  loro  mani;  e  quando  entra  negli  aflari  altrui,  vuol  anclie 
(irgli  andare  un  po'  a  modo  suo.  Con  tutto  dò,  al  letterato  sud- 
detto non  gli  riesce  sempre  di  dire  tutto  quel  che  vorr^be  ;  qualche 
volta  gli  accade  di  dirà  tult'  altro:  accade  anche  a  noi  altri,  che 
scriviamo  per  la  stampa.  Quando  la  lettera  cosi  composta  arriva  alle 
mani  del  corrispondente,  die  anche  lui  non  aU>ia  pratica  dell'abbiccì, 
la  porta  a  un  altro  dotto  di  quel  calibro,  il  quale  gliela  legge  e  gliela 
spiega.  Nascono  delle  questioni  sul  modo  d'intendere;  perchè  l'inte- 
ressalo, fondandosi  sulla  cognizione  de'  fatti  aniecedenli,  pretende 
die  certe  parole  ^oglian  dh-e  una  cosa;  il  lettore,  stando  alla  pratica 
che  ba  della  composizione ,  pretende  che  ne  vogliano  dire  un'  altra. 
Finalmente  bisogna  che  chi  non  sa  »  metta  nelle  mani  di  chi  sa,  e 
dia  a  lui  l' incarico  della  risposta;  la  quale,  fatta  sul  gusto  della  pro- 
posta, va  poi  soggetta  a  un'  i'nlcrpretazione  simile.  Che  se,  per  di 
più,  il  soggetto  ddla  corrispondenza  è  un  po'  geloso;  se  c'entrano 
afferi  segreti,  che  non  si  vorrebbero  lasciar  capire  a  un  terzo,  caso 
mai  die  la  lettera  andasse  persa;  se,  per  questo  riguardo,  c'è  stala 
anche  l' intenzione  positiva  dì  non  dir  le  cose  affatto  chiare;  allora, 
per  poco  che  la  corrispondenza  duri,  le  parli  finiscono  a  intendersi 
tra  di  loro  come  altre  volte  due  scolastici  die  tla  qualtr'  ore  dispulas- 
sero sull'entelechia:  per  non  prendere  una  similitudine  da  cose  vive; 
die  ci  avesse  poi  a  toccare  qualche  scappellotto. 

Ora,  il  caso  de'  nostri  due  corrispondenli  era  appunto  qudlo  che 
abbiam  detto.  La  prima  lettera  scrìtta  in  nome  di  R^zo  conlenevà 


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SI6  IPROUESai  SPOSI 

molle  materie.  Da  princìpio,  oltre  un  racconto  della  fuga,  mollo  più 
conciso,  ma  anche  più  arrufEato  di  (|iiello  che  avete  letto,  un  ragguiir 
gtio  delle  sue  circostanze  attuali;  dal  quale,  tanto  Agnese  quanto  il 
suo  turcimanno  furono  ben  lontani  di  ricavare  un  costrutto  chiaro  e 
intero:  avviso  segreto,  cambiamento  dì  nome,  esser  sicuro,  ma  do- 
vere star  nascosto;  cose  per  sé  non  troppo  tamigliari  a' loro  intelletti, 
e  nella  lettera  dette  anche  un  po'  in  cifra.  C  era  poi  delle  domande 
affannose,  appassionate,  su'  casi  di  Lucia,  con  de' cenni  oseurì  e  do- 
lenti ,  intorno  alle  ^'oci  cbe  n'  erano  arritate  fino  a  Renzo.  C  erano 
fìnalmenle  speranze  incerte,  e  lontane,  disegni  lanciati  nell'avvenire, 
e  intanto  promesse  e  pr^hierc  di  niantener  la  fede  data,  di  non 
perder  la  pazienza  né  il  coraggio,  d'  aspellar  migliori  circostanze. 

Dopo  un  po'  di  tempo,  Agnese  trovò  un  mezzo  fidato  di  far  per\'c- 
iiire  nelle  mani  dì  Renzo  una  risposta,  co'  cinquanta  scudi  assegna- 
tigli da  Lucia.  Al  veder  tant'oro,  Renzo  non  'safieva  cosa  si  pensare; 
e  con  r  animo  agitato  da  una  maraviglia  e  da  una  sospensione  che 
non  davan  lut^o  a  contentezza,  corse  in  cerca-dei  segretarìo,  per 
farsi  interpretar  la  lettera,  e  aver  la  chiave  d'un  così  strano  mistero. 

Nella  lettera,  il  segretario  d'Agnese,  dopo  qualdie  lamento  sulla  poca 
chiarezza  della  proposta,  passava  a  deso'ivere,  con  chiarezza  a  un  di 
presso  uguale,  la  tremenda  storia  di  quella  persona  (  coù  diceva);  e 
qui  rendeva  ragione  de'  cinquanta  scudi  ;  poi  veniva  a  parlar  del 
voto,  ma  per  via  di  perifrasi,  aggiungendo,  con  parole  più  dirette  e 
aperte,  il  consiglio  di  mettere  il  cuore  in  pace,  e  di  non  pensarci  più. 

Renzo,  |>oco  mancò  cbe  non  se  la  prendesse  col  lettore  interprete: 
tremava,  inorrìdÌ\'a,  s'infuriava,  di  quel  che  aveva  capilo,  e  di  qud 
che  non  aveva  potuto  capire.  Tre  o  quattro  volte  si  fece  rileggere  il 
terribile  scritto,  ora  parendogli  d' intender  meglio,  ora  divenendo^ 
buio  ciò  che  prima  gli  era  parso  chiaro.  E  in  quella  febbre  di  pas- 
sioni, volle  elle  il  segretario  mettesse  subilo  mano  alla  penna,  e  ri- 
spondesse. Dopo  r  espressioni  più  forti  che  si  possano  immaginare  di 
pietà  e  dì  terrore  per  ì  casi  di  Lucia,  "  scrivete,  n  pros^uiva  det- 
tando, «  che  io  il  cuore  in  pace  non  lo  voglio  mettere,  e  non  io 
metterò  mai;  e  cbe  non  son  pareri  da  darsi  a  un  Jigliuolo  par  mio; 
e  cbe  i  danari  non  lì  toccherò;  che  li  ripongo,  e  li  tengo  in  de- 
posito, per  la  dote  della  giovine;  che  già  la  giovine  dev'esser  mia; 
che  io  non  so  di  promessa  ;  e  die  ho  ben  sempre  sentito  dire  die 
la  Madonna  c'entra  per  aiutare  ■  tribolati,  e  per  ottener  delle  grazie. 


Digitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  XXVII. 


ma  per  fer  dispetto  e  per  mancar  di  parola,  non  l' Ito  sentito  mai;  e 
che  codesto  non  può  stare;  e  che,  cod  questi  danari,  abbiamo  a  met- 
ter su  casa  qui;  e  che,  se  ora  sono  un  po' imbroglialo,  l'è  una  bur- 
rasca che  passerà  presto;  »  e  cose  simili. 


Agnese  ric-c\c  |)oi  quella  lettera ,  e  fece  riscri\ere ;  e  il  carteggio 
continuò,  nella  maniera  che  abbiam  detto. 

Lucia,  quando  la  madre  ebbe  |>olulo,  non  so  \ìer  qual  mezzo, 
farle  sa|>ere  che  quel  tale  era  vivo  e  in  salvo  e  avvertilo,  sentì  un 
gran  sollievo,  e  non  desiderava  più  allro,  se  non  che  si  dimenticasse 
di  lei;  0,  per  dir  la  cosa  proprio  a  un  puntino,  che  pensasse  a  di- 
menticarla. Dal  canto  suo,  faceva  cento  volte  al  giorno  una  risolu- 
zione simile  riguardo  a  lui;  e  adoprava  anche  ogni  mezzo,  per  man- 
darla ad  cRello.  Stava  assidua  al  lavoro,  cercava  d'  occuparsi  tutta 
in  quello:  quando  l' immagine  di  Renzo  le  si  presentava,  e  lei  a  dire 
0  a  cantare  orazioni  a  niente.  Ma  queil'  immagine ,  proprio  come  se 
avesse  avuto  malizia,  non  veniva  per  lo  più,  così  alla  scoperta;  s' in- 
troduceva di  soppiatto  dietro  all' altre,  in  modo  che  la  mente  non  s'ac- 
corgesse d'averla  ricevuta,  se  non  dopo  qualche  tempo  che  la  c'era. 
Il  pensiero  di  Lucia  stava  spesso  con  la  madre:  come  non  ci  sareblic 
stato?  e  il  Renzo  ideale  veniva  pian  piano  a  mettersi  in  terzo,  come 
il  reale  aveva  fatto  tante  volte.  Cosi  con  tutte  le  persone,  in  tutti  ì 
luf^i,  in  tutte  le  memorie  del  passato,  colui  si  veniva  a  ficcare.  E 
se  la  poverina  si  lasciava  andar  qualche  volta  a  fantasticar  sul  suo 


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•  18  I  PROUESSI  SPOSI. 

avvenire,  anche  li  compariva  colui,  per  dire,  se  non  altro:  io  a  buon 
conio  non  ci  sarò.  Però ,  se  il  non  pensare  a  lui  era  impresa  dispe- 
rala,  a  pensarci  meno,  e  meno  intensamente  cbe  il  cuore  avrebbe 
voluto,  Lucia  ci  riusciva  fino  a  un  cerio  segno:  ci  sarebbe  anche  rtu- 
scila  meglio,  se  fosse  stata  sola  a  volerlo.  Ma  c'era  donna  Prassede, 
la  quale,  tutta  impegnata  dal  canto  suo  a  levarle  dall'animo  colui, 
non  aveva  trovalo  miglior  espediente  che  di  parlai^liene  spesso.  «Eb- 
bene? "  le  diceva:  «  non  ci  pensiani  più  a  colui?  » 


"  Io  non  penso  a  nessuno,  »  rispondeva  Lucia. 

Donna  Prassede  non  s'appagava  d'  una  risposta  simile;  replicava 
die  ci  volevan  fatti  e  non  parole;  si  dilTondeva  a  parlare  sul  costume 
delle  giovani,  le  qu^i,  diceva,  «quando  hanno  nel  cuore  uno  scape- 
strato (  ed  è  li  che  inclinano  sempre  ) ,  non  se  lo  slaccan  più.  Un 
partito  onesto,  ragionevole,  d'un  galantuomo,  d'un  uomo  assesbto, 
die,  per  qualche  accidente,  vada  a  monte,  son  subito  rassegnale;  ma 
un  rompicollo,  è  piaga  incurabile.  »  E  allora  principiava  il  panegirico 
del  povero  assente,  del  birbante  venuto  a  Milano,  per  rubare  e  scan- 
nare; e  voleva  far  confessare  a  Lucia  le  bricconate  che  colui  doveva 
aver  fatte,  anche  al  suo  paese. 


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CAPITOLO  XXVII.  >IB 

Lucia,  con  la  voce  Iremanle  di  vergOffia,  di  dobire,  e  di  quello 
sdegno  che  poteva  aver  luogo  nel  suo  animo  dolce  e  nella  sua  untile 
fortuna,  assicurava  e  atlcslava,  ohe,  al  suo  paese,  quel  poverello 
non  aveva  mai  fatto  parlar  di  sé,  altro  che  in  bene;  avretd)e  voluto, 
dice^'a,  che  fosse  presente  qualcheduno  di  là,  per  fargli  far  teslimo' 
nianza.  Anche  sul!'  avventure  di  Milano,  delle  quali  non  era  ben  in- 
formala,  Io  difendeva,  appunto  con  la  cognizione  che  aveva  di  lui  e 
de'  suoi  portamenti  fino  dalla  fanciullezza.  Lo  difendeva  o  si  propo- 
neva di  difenderlo,  per  puro  dovere  di  carità,  per  amore  del  vero, 
e,  a  dir  proprio  la  parola  con  la  quale  spiegava  a  sé  stessa  il  suo 
sentimento,  come  pròssimo.  Ma  da  queste.  apol(^ie  donna  Prasséde 
ricavava  nuovi  argomenti  per  convincer  Lucia,  che  il  suo  cuore  era 
ancora  perso  dietro  a  colui.  E  per  verità,  in  que'  momenti,  non  sa- 
prei ben  dire  come  la  cosa  stesse.  !>' indegno  ritratto  die  la  vecchia 
bceva  del  poverino,  risvegliava,  per  opposizione,  più  viva  e  più  di- 
stìnta che  mai,  nella  mente'  della  giovine  l' idea  clic  vi  s'  era  formata 
in  una  cosi  lunga  consuetudine;  le  rimembranze  compresse  a  forià,  si 
svolgevano  ih  folla; l'avversione  e  il  disprezzo  richiamavano  tanti  an- 
tichi motivi  di  stima;  l'odiò  cieco  e  violento  faceva  sorgèr'pìù  forte 
la  pietà:  e  con  questi  affetti,  chi  sa  quanto  ci  potesse  essere  o  non  es- 
sere di  quell'altro  che  dietro  ad  essi  s'introduce  cosi  facilmente  negli 
animi;  figuriamoci  cosa  farà  in  quelli,  donde  si  tratti  di  scacciarlo  per 
forza.  Sia-  cwne  si  sia,  il  discòrso,'  per  la  parie  di  Lucia,  non  sarebbe 
mai  andato  mollo-  in  lungo;  che.  le  parole  linivan  presto  in  pianto. 

Se 'donna  Prassede  fosse  stata  spinta  a  trattarla  in  quella  maniera 
da  qualche  odio  inveteralo  contro  di  tei,  forse  quelle  lacrime  l'a- 
vrebbero, tocca  e  fatta  smettere;  ma  parlando  a  fin  di  bene,  tiraAU 
avanti,  senza  lasciarsi  smovere;  come  i  gemiti,  i  gridi  supplichevoli, 
potranno  ben  trattenere  l'arme  d'un  nemico,  ma  non  il  ferro  d'  un 
chirurgo.  Fatto  però  bene  il  suo  dovere  per  quella  volta,  dalle  stoc- 
cale e  da'  rabbuITi  veniva  all'esortazioni,  ai  consigli,  conditi  anche 
di  qualdie  lode,  per  temperar  così  l'agro  col  dolce,  e  ottener  meglio 
l' effetto,  operando  sull'animo  in  tutti  i  versi.  Certo,  di  quelle  ba- 
ruffe (  che  avevan  sempre  a  un  di  presso  lo  slesso  principio,  mezzo 
e  fine),  non  rimaneva  alla  buona  Lucia  propriamente  astio  contro  l'a- 
cerba predicalrice,  la  quale  poi  nel  resto  la  traltava  con  gran  dol- 
cezza; e  anche  in  questo,  si  vedeva  una  buona  intenzione.  Le  rima- 
neva bensì  un  ribollimento,  una  sollevazione  di  pensieri  e  d'  affetti 


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HIO  I  PltOUESSI  SPOSI 

tale ,  che  d  voleva  molto  tempo  e  molla  fatica  per  tornare  a  qu^la 
qualunque  calma  di  prima. 

Buon  per  lei ,  che  non  era  la  sola  a  cui  donna  Prassede  avesse  a 
far  del  bene;  sicctic  le  baruffe  non  potevano  esser  così  frequenti. 
Oltre  il  resto  della  servitù,  tutti  cervelli  die  avcvan  biseco,  più  o 
meno,  d'esser  raddirizzati  e  gutdati;ol(re  tutte  l'altre  oceasiooi  di  pre- 
star lo  stesso  ullzio,  per  buon  cuore,  a  molti  con  cui  non  era  obbligata 
a  niente:  occasioni  clie  cercava,  se  non  s'offrivan  da  sé;  aveva  anche 
cinque  figlie;  nessuna  in  casa,  ma  che  le  davan  più  da  pensare,  cite  se 
ci  fossero  slate.  Tre  eran  monaclie,  due  maritate;  e  donna  Prassede 
si  trovava  naturalmente  aver  tre  monasteri  e  due  case  a  cui  soprin- 
tendere: impresa  vasta  e  complicata,  e  tanto  più  faticosa,  che  due 
mariti,  spallcf^iali  da  padri,  da  madri,  da  fratelli,  e  tre  badesse,  fian- 
cheggiate da  altre  dignità  e  da  motte  monache,  non  volevano  accet- 
tare la  sua  soprintendenza.  Era  una  guerra,  anzi  cinque  guerre,  co- 
perte, gentili,  fino  a  un  certo  segno,  ma  vive  e  senza  tregua:  era  in 
lutti  que'  luoghi  un'attenzione  continua  a  scansare  la  sua  premura, 
a  chiuder  1'  adito  a'  suoi  pareri,  a  dudere  le  sue  richieste,  a  far  die 
fosse  al  buio,  più  clic  si  poteva,  d'ogni  affare.  Non  parlo  de'  con- 
trasti, delle  difficoltà  che  incontrava  nel  maneggio  d'altri  aflari  anclic 
più  estranei:  si  sa  che  agli  uomini  il  bene  bisogna,  le  più  volte, 
farlo  per  forza.  Do)-e  il  suo  zelo  poteva  esercitarsi  liberamente ,  era 
in  casa:  li  ogni  persona  era  soggetta,  in  tulio  e  per  tutto,  alla  sua 
autorità,  fuorché  don  Ferrante,  col  quale  le  cose  andavano  in  un 
modo  affatto  particolare. 


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CAPITOLO  XXVII. 


Uomo  di  studio,  non  gii  piaceva  né  di  comandare  né  d'ubbidii'c. 
Cbe,  in  tutte  le  cose  di  casa,  In  signora  moglie  fosse  la  padrona, 
alla  baon'ora;  ma  lui  servo,  no.  E  se,  pregato,  le  prestava  a  un'oc- 
eorrenra  l'ufizio  della  penna,  era  percliè  ci  aveva  il  suo  geoio;  dei 
rìmanenle,  anche  in  questo  sapeva  dir  di  no,  quando  non  fosse  per- 
suaso di  ciò  che  lei  voleva  fargli  scrivere.  «  La  s' ingegni,  »  diceva 
in  que'  casi;  «  faccia  da  sé,  giacché  la  cosa  le  par  lanlo  chiara,  n 
Donna  Prassede,  dopo  aver  tentato  per  qualche  tempo,  e  inulilmen- 
te,  di  tirarlo  dal  lasciar  fare  al  fare ,  s' era  ristretta  a  brontolare 
spesso  contro  di  lui,  a  nominarlo  uno  schivafatiche,  un  uomo  fìsso 
nelle  sue  idee,  un  letterato;  titolo  nel  quale,  insieme  con  la  slizza, 
c'entrava  anche  un  po'  di  compiacenza. 

Don  Ferrante  passava  di  grand'  ore  nel  suo  studio,  dove  aveva 
una  raccolta  di  libri  considerabile,  poco  meno  di  trecento  volumi; 
tutta  roba  scelta,  tutte  opere  delle  più  riputate,  in  varie  materie; 
in  ognuna  delle  quali  era  più  o  meno  versato.  Nell'astrologia,  era 
tenuto,  e  con  ragione,  per  più  che  un  dilettante;  perché  non  ne 
possedeva  soKanlo  quelle  nozioni  generiche,  e  quel  voeatiolarìo  comu- 
ne, d'influssi,  d'aspetti,  di  congiunzioni;  ma  sapeva  parliU'e  a  pro- 
posito, e  come  dalla  cattedra,  delle  dodici  case  del  cielo,  de'  circoli 
massimi,  de'  gradi  lucidi  e  tenebrosi,  d'esaltazione  e  di  deiezione, 
di  transiti  e  di  rivoluzioni,  de'  princìpi  in  somma  più  certi  e  più 
recondili  della  scienza.  Ed  eran  forse  veni' anni  che,  in  dispule  fre- 
quenti e  lunghe,  sosteneva  la  domiiìcazione  del  Cardano  contro  un 
altro  dotto  allaccato  ferocemente  a  quella  dell' Aleabizio,  per  mera 
ostinazione,  diceva  don  Ferrante;  il  <]uale,  riconoscendo  volentieri 
la  superiorità  degli  antichi,  non  poteva  però  soffrire  quel  non  voler 
dar  ragione  a'  moderni,  anche  dove  I'  hanno  chiara  che  la  vedrebbe 
ognuno.  Conoeceva  andie ,  più  che  mediocremente ,  la  storia  della 
seieeza;  sapeva  a  un  bisogno  citare  le  più  celebri  predizioni  avverale, 
e  ragionar  sottilmente  ed  eruditamente  sopra  altre  celebri  predizioni 
andate  a  vóto,  per  dimostrar  che  la  colpa  non  era  della  scienza,  ma 
di  chi  non  l' aveva  sapula  adoprar  bene. 

Della  Mosolla  antica  aveva  imparato  quanto  poteva  bastare,  e  n'  an- 
dava di  continuo  imparando  di  più,. dalla  lettura  di  Diogene  Laer- 
zio. Siccome  però  que'  sistemi,  per  quanto  siao  iielli,  non  si  può 
adottarli  tutti;  e,  a  voler  esser  filosofo,  bisogna  scegliere  un  autore, 
oasi  don  Ferrante  aveva  scelto  Aristotile,  il  quale,  come  diceva  lui, 


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Hit  I  pnouessi  sposi. 

non  è  uè  antico  né  moderno;  é  il  filosofo.  Aveva  àhdie  varie  opere 
de'  più  savi  e  sottili  segnaci  di  lui,  Ira  i  moderoì:  qodle  de*  suoi 
impi^natori  non  ave^a  mai  voluto  leggcrìe,  per  ncHi  buttar  via' il 
Ivmpo,  diceva;  né  comprarle,  per  non  buttar  vìa  i  danari.  Per  ecce- 
zione però,  dava  luogo  nella  sua  libreria  a  que'eclebri  vcntidtie  libri 
Dit  xuhiililate,  e  a  qualche  altr'  opera  antiperipatelica  del  Cardano. 


in  grazia  del  suo  valore  in  astrologiaj  dicendo  elic  ehi  aveva  potuto 
scrivere  il  trattato  De  rextituliotie  lemporum  et  motuùm  aelestàim , 
e  il  libro  Duodeeim  ifeiuturantm ,  meritava  d' tessere  ascoltato,  anche 
quando  spropositava  ;  e  che  il  gran  difello  di  quel!'  uomo  era  sialo 
d'  aver  troppo  ingegno;  e  clie  nessuno  si  può  immaginare  dove  sa- 
rebbe arrixalo ,  anche  in  filosofìa ,  se  fosse  stato  sempre  nella  strada 
retta.  Del  rimanente,  quantunque,  nel  giudizio  de'  dotti,  don  Ferrante 
passasse  per  un  peripatetico  consumato,  non  ostante  a  lui  non  pareva 
di  saperne  abbastanza;  e  più  d'  una  volta  disse,  con  gran  modestia, 
che  r  essenza,  gli  universali,  l'anima  del  mondo,  e  la  natura  delle 
eo§e  non  eran  cose  tanto  chiare,  quanto  si  potrebbe  credere. 

Della  filosofia  naturale  s'era  fello  più  un  passatempo  che  nno  studio; 
l'opere  stesse  d'Aristotile  su  ipiesta  materia,  e  quelle  di  Plinio  le  aveva 


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CAPITOLO  XXVII.  «SS 

piuttosto  klte  die  studiale  :  non  di  meno,  eon  questa  lettura,  con  te 
notizie  faccolle  incìdenlemenle  da'  Irntlati  di  fìlosofia  generale ,  con 
qualclié  scorsa  dala  alla  Magìa  naturale  del  Porla,  alle  Ire  storie  ia- 
fìidum,  animalium,  plantarum,  dei  Cardano,  al  Trattalo  deli'  ertie, 
delle  piante,  degli  animali,  d'Alberto  Magno,  a  qualche  altr' opera  di 
minor  conto ,  sapeva  a  tempo  trattenere  una  eon\'ersazione  ragio- 
naodo  delle  virtù  più  mirabili  e  delle  curiosità  più  singolari  di  molli 
semplici  ;  descrìvendo  esattamente  le  forme  e  1'  abitudini  delie  sirene 
e  dell'unica  fenice; spiegando  come  la  salamandra  stia  nel  fuoco  senui 
bruciare:  come  la  remora,  quel  pesciolino,  abbia  la  forza  e  l'abilità 
di  fermare  di  punto  in  bianco,  in  alto  mare,  qualunque  gran  nave; 
come  le  gocciole  dulia  rugiada  diventin  perle  in  seno  delle  conchi- 
glie; come  il  cameleonte  si  cibi  d'aria;  come  dal  ghiaccio  lentamente 
induralo,  con  l'andar  de'  secoli,  si  formi  il  cristallo;  e  altri  de'  più 
maraviglio»  segreti  della  natura, 

In  quelli  della  magia  e  della  stregoneria  s'era  internato  di  più, 
trattandosi,  dice  il  nostro  anonimo,  di  scienza  mollo  più  in  voga  e  più 
necessaria,  e  nella  quale  i  falli  sono  di  molto  maggiore  importanza,  e 
più  a  ulano,  dà  poterli  verìlieare.  Non  c'è  bisogno  di  dire  che,  in  un 
tale  stùdio,  non  aveva. mai  avula'altrd  mira' che  d' istruirsi  e  di  co- 
noscere a  fondo  le  pesshne  arti  de'  maliardi,  j)cr  potersene  guardare, 
e  difendere.  E,  con  la  scorta  principàlmeiile  det'gràn  MartiiK)  Deirto 
(r  uomo  della  scienza),  era  in  grado  di  :  discorrere  ex  professo  del 
maleficio  amatorio,  del  maleficio  sonnifero,  del  maleficio  ostile,  e  del- 
rinfìnìte  specie  che,  pur  troppo,  dice  ancora  l' anonimo,  si  vedono 
in  pratica  alla  giornata,  di  questi  tre  generi  capitali  di  malie,  con 
elfetli  così  dolorosi.  Ugualiiienic  vaste  e  fondate  eraii  le  cognizioni  di 
don  Ferrante  in  fallo  di  storia,  specialmente  universale:  nella  quale 
i  suoi  autori  erano  il  Tarcagnota,  il  Dolce,  il  Bugalli,  il  Campana,  il 
Guazzo,  i  più  ripnlati  in  somma. 

Ma  cos'è  inai  la  storia,  diceva  spesso  don  Ferrante,  senza  la  po- 
litica? Una  guida  clic  cammina,  cammina,  con  nessuno  dielro  che 
impari  la  strada,  e  per  conseguenza  butta  via  i  suoi  passi;  come  la 
politica  sènza  la  storia  è  uno  che  cammina  senza  guida.  C'era  dùn- 
que ne'  suoi  scadali  un  palchetto  assegnato  agli  statisti;  dove,  tra 
mòlli  di  piccola  mole,  e  di  fama  secondaria,  spiccavano  il  Bodiiio  , 
il  Cavalcanti,  il  Sansovino,  il  Paruta,  il  Boccalini.  Due  però  erano 
i  libri   clic  don  Ferrante  anteponeva  a  lutti,  e  di  gran  lunga,  in 


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SC4  1  PROMESSI  SPOSI- 

quf^sla  materia;  due  die,  iìno  a  un  certo  Ifiinpo,  fu  soliU)  di  chiamare 
i  primi ,  senza  mai  potersi  risolvere  a  qua!  de'  due  convenisse  unt- 
eamente  quel  grado:  l'uno,  il  Principe  e  i  Discorai  dei  celebre  se- 
gretario fiorentino;  mariolo  si,  diceva  don  Ferrante,  ma  profondo: 
l'altro,  la  Ragion  di  Stato  del  non  men  celebre  GiovaiiDÌ  Boterò; 


galantuomo  sì,  diceva  pure,  ma  acuto.  Ma,  poco  prima  de)  tonpo 
net  quale  è  circoscritta  la  nostra  storia,  era  venuto  fuori  il  libro  che 
lerminò  la  (|uestioDe  del  primato,  passando  avanti  ancbe  all'  teiere  di 
que'  due  matadori,  diceva  don  Ferrante;  il  libro  in  cui  si  trovm 
racchiuse  e  come  stillate  tutte  le  malisie,  per  poterle  conoscere,  e 
tutte  le  virtù,  per  poterle  praticare;  quel  libro  piccino,  ma  tt^o 
d'  oro;  in  una  parola,  lo  Statista  Regnante  di  dota  Vulerìano  Casti- 
glione, di  quell'uomo  celeberrimo,  di  cui  si  può  dire,  cbe  i  più 
gran  letterali  lo  esaliavano  a  gara,  e  i  più  gran  personaggi  facevano 
a  rubarselo;  di  quell'  uomo,  che  il  papa  Urbano  Vili  onor6,  «une  è 
noto,  di  magnifiche  lodi  ;  che  il  cardinal  Bcn-ghcsc  e  il  viceré  di  Na- 
poli, don  Pieti'O  di  Toledo,  sollecitarono  a  descrivere,  il  primo  i  fatti 
di  papa  Paolo  V,  l'altro  le  guerre  del  re  cattolico  in  Italia,  1' u&o  e 
l'allro  invano;  dì  quell'uomo,  che  Luigi  Xlll,  re  di  Francia,  per  sug- 
gerimento del  cardinal  di  Richelieu,  nomiiWi  suo  istoriogralo  ;  a  cui 
il  duca  Carlo  Emanuele  di  Savoia  confei'ì  la  slessa  carica  ;  in  lode  dì 
citi,  per  tralasciare  altre  gloriose  testimonianze,  la  duchessa  CrislÌDa, 
figlia  del  cristianissimo  re  Elnrico  IV,  potè  in  un  diploma,  eoo  molti 
altri  titoli ,  annoverare  «  la  certezza  della  fiima  eh'  egli  ottiene  in 
Dalia,  di  primo  scrillorc  de'  nostri  (empi.  » 


J| 


„GoogIe 


.CAPITOLO  XXVIL  Mll 

Ma  se,  in  tnlte  le  ^enze  suddette,  don 'Ferrante  poteva  dirsi  ad- 
dottrina, una  ce  n'  era  in  cui  meritava  e  godeva  il  titolo  di  pro- 
fessore: la  seieoza  cavalleresca.  Non  solo  ne  ragionava  con  vero  pos- 
sesso ,  ma  pregato  frequentemente  d' intervenire  in  a^ri  d"  onore, 
dava  sempre  qualche  decisione.  Aveva  nella  sua  libreria,  e  si  può 
dire  in  testa,  le  opere  degli  scrittori  più  riputati  in  tal  materia:  Pa- 
ride d^  Pozzo,'  Fausto  da  Longiano,  1'  Urrea,  il  Muzio,  il  Romei,  l'Al- 
bergato, il  Forno  primo  e  il  Forno  secondo  di  Torquato  Tasso,  di 
cui  aveva  aocbe  in  pronto,  e  a  un  bis^^no  sapevi  cilare  a  memoria 
lutti  i  pas»  ddla  Gerusalemme  Liberata,  come  della  Conquistata, 
die  possono  far  testo  in  materia  di  cavalleria.  L'autore  però  :degli 
autori,  nel  suo  concetto,  era  il  nostro  cdebte  Francesco  Birago,  con 
cui  si  trovò  anche,  piùd'.una  volta,  a  dar  giudizio- sopra  casi  d'o- 
nore; e  il  quale,  dal  canto  suo,  parlava  di  do»  Ferrante  in  termini 
di  stima  particolare.  E  fin  da  quando  venner  fuori  i  Discorai  Caval- 
lereschi di  quell'insigne  scritlore,  don  Ferrante  pronosticò, senza  esi- 
tazione, che  quest'  opera  avrebbe  rovinata  l' autorità  ddl'  Olcvano,  e 
sarebbe  rlmasln,  insieme  con  l'altre  sue  nobili  sorelle,  come  codice 
di  primaria  autorità  presso  ai  posteri:  profezia,  dice  l'anonimo,  che 
ognun  può  vedere  come  s\  sia  avverata. 

Da  questo  passa  poi  alle  lettere  amene;  ma  noi  cominciamo  a  du- 
Intare  se  veramente  il  lettore  abbia  una  gran  voglia  d'  andar  avanti 
con  lui' in  questa  rassegna,  anzi  a  temere  di  non  aver  già  buscato  il 
titolo  di  copiatM*  servile  per  noi,  e  qneHo  di  seccatore  da  dividersi 
con  l'anonimo  sullodato,  per  averlo  bonariamente  seguito  fin  qui,  in 
cosa  estranea  al  racconto  principale,  e  nella  quale  probabilmente 
non  s'è  tanto  disleso,  che  per  isfoggiar  dottrina, e  far  vedere  che  non 
era  indietro  del  suo  secolo.  Però,  lasciando  scrìtto  quel  che  è  scritto, 
per  non  perder  la  nostra  fatica,  omelteremo  il  rimanenle,  per  rimet- 
terci in  istrada:  tanto  più  che  ne  abbiamo  un  bel  pezzo  da  i>ercor- 
rere,  senza  incontrare  alcun  de'  nostri  personaggi,  e  uno  ]iiii  lungo 
ancora,  prima  di  bwvar  quelli  ai  latti  de'  quali  cerlamentc  il  lettore 
s' interessa  di  più ,  se  a  qualche  cosa  s' interessa  in  tutto  questo. 

Fino  all'autunno  del  seguente  anno  16S9,  rimasero  tutti,  chi  per 
volontà,  chi  per  forza,  nello  stalo  a  un  di  presso  in  cui  gli  abbìam 
lasciati,  senza  che  ad  alcuno  accadesse,  né  che  alcun  altro  potesse  fiir  . 
cosa  degna  d'esser  riferita.  Venne  l'autunno,  in  cui  Agnese  e  Lucìa 
avevan  latto  conio  di  ritrovarsi  insieme:  ma  un  grande  avvenimento 


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Bla  I  PRouessi  SPOSI. 

pubblico  ntandò  quel  conto  all'  aria:  e  fa  questo  cerUmenle  uno  de' 
suoi  più  piccoli  effetti.  Segutron  pòi  altri  grandi  avvenimenti ,  che 
però  non  portarono  nessun  cambiamento  notabile  nella  sorte  dv'  no- 
stri personaggi.  Finalmente  nuovi  casi ,  più  generali ,  più  forti ,  più 
estremi,  airivarono  unehe  Uno  a  loro,  fino  agli  infimi  di  loro,  se- 
condo la  scala  del  mondo:  come- uii  turbine  vasto,  incalzante,  vaga- 
bondo, scoscendendo  e  sbarbando  alberi,  arruffando  tetti,  scoprendo 
campanili,  abbattendo  muraglie,  e  sbattendone  qua  e  là  i  rollami,  sol- 
leva anche  i  fuscelli  nascosti  tra  l'erba,  va  a  cercare  negli  angoli  le 
.  foglie  passe  e  leggieri,  che  un  minor  vento  vi  aveva  confinate,  e  le 
jiorla  in  giro  involle  nella  sua  rapina. 

Ora,  perché  i  futti  privati  che  ci  rimangon  da  raccontare,  riescan 
chiari ,  dobbiamo  assolutamente  premettere  un  racconto  alla  meglio 
di  quei  pubblici,  prendendola  ancbe  un  po'  da  lontano. 


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CAPITOLO  XXVfU. 


1^0  ipxd]à  sedinone  dd  giorno'  dì  mn  Mar- 
lino  e  óèr  seguènte  ..parve  che  l'abr 
bondanza  fosse  (ornata  in  Milano,  co^ 
me  per  miracolo-Pane  in  qbaritilà  da 
tutti  i  fornai  ;  il  prezzo,  eome  ndl'  an> 
nate  migliori;  le  farine  a  proporzione. 
'  Colóro  die,  in  que'  due  giorni ,  s'  é>- 
'    raoo  addati  a  urlare  o  a  far  anche 
1  '  qualcosa  di  più,  avevano  ora  (meno 
I    alcuni  pochi  stati  presi)  di  che  lodarsi  : 
\  e  non  crediate  che  se  ne  stessero,  ap- 
pena cessato  quel  primo  spavento  delle  catture.  Sulle  piazze,  sulle 
Cantonate,  nelle  bettole,  era  un  tripudio  palese,  un  congratularsi  e 
-un   vantarsi   tra'  denli   d'aver  trovata  la  maniera  di  far  rìnviliare  il 
pane.  In  mezzo  ■  però  alla  festa  e  alla  baldanza,  e'  era  (  e  come  non 
ci  sarebbe  stala?)  un'  inquietudine,  un  presentiraenlo  che  1»  .«osa 
non  ave^e  a  durare.  '  Assediavano  i  fornai  e  i  farinaioli,  come  già 
avevan  fallo  in  queir  altra  fattizia  e  passeggiera  abbondanza  prodotta 


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US  1  pRouessi  SPOSI. 

dalla  prima  larìfla  d'  Antonio  Ferrer  ;  tulli  oonsiimavuto  senza  ri- 
sparmio; chi  aveva  qualche  quattrino  da  parte,  l'invesliv»  in  pane  e 
in  farine;  faeevan  magazzino  ddie  casse,  delle  botticine,  delle  cal- 
daie. Cosi,  facendo  a  gara  a  goder  del  buon  mercato  presente,  ne 
rendevano,  non  dico  impossibile  la  lunga  durata,  che  già  lo  era  per 
sé,  ma  sempre  più  diflicile  anche  la  continuazione  momentanea.  Ed 
ecco  che,  il  ts  di  novembre,  Antonio  Ferrer,  De  orden  de  Su  Ex- 
cefencùi ,  puM>ticù  una  grida,  con  la  quale,  a  diìunque  avesse  gra- 
naglie 0  rìu*ine  in  casa,  veniva  proibito  di  comprarne  né  punto  né 
poco,  e  ad  ognuno  di  comprar  pane,  per  più  che  il  bisi^no  di  due 
giorni,  tottù  pene  pecuniarie  e  corporali,  attarbitrio  di  Sua  Eceet- 
ienza;  intimazione  a  chi  toccava  per  uRzio,  e  a  ogni  persona,  di  de* 
nmiziare  i  tra^;ressori;  ordine  a'  giudici,  di  far  ricerche  nelle  case 
elle  potessero  venir  lor^  indicate;  insieme  però,  nuovo  comando  a' 
fornai  dì  tener  le  botteghe  ben  fomite  di  ]>ane,  tatto  pena,  in  ca»o 
di  mancamento,  di  cinque  anni  di  galera  ,  et  maggiore ,  ali" arbitrio 
di  S.  E.  Chi  sa  immaginarsi  una  grida  lale  eseguita,  deve  avere  una 
bella  immaginazione;  e  certo,  se  tutte  quelle  che  si  pubblicavano  in 
quel  tempo  erano  eseguite,  il  ducalo  di  Milano  doveva  avere  almeno 
lanla  gente  in  mare,  quanla  ne  possa  avere  ora  la  gran  Bretagna. 

Sia  com' esser  si  vof^ìa,  ordinando  ai  fomui  di  far  tanto  pane,  bi- 
■sogna^iif  >  oaebe  fané  in  modo  che  la  materia  del  pane  non  mancasse 
loco.'  S' ei^  immaginalo  (  come  sempre  in  tempo  di  carestia  rinasce 
uno  studio  di  ridurre  in  pane  de'  prodotti  che  d'ordinario  si  consu* 
mano  soli' altra  forma),  s'era,  dico,  immaginalo  di  far  entrare  il  riso 
nel  comp<»lo  del  pane  detto  di  mistura.  Il  SS  di  novembre,  grida 
che  sequestra ,  agli  ordini  del  vicario  e  de'  dodici  di  provvisione,  la 
metà  del  riso  vcslilu  (risone  lo  dicevano  qui,  e  lo  dioon  tuttora)  die 
t^uno  possegga;  pena  a  cliiunque  ne  disponga  senza  il  permesso 
di  que'  signori,  la  perdila  della  derrata,  e  una  multa  di  tre  scudi 
per  mc^o.  E,  come  ognun  vede,  la  più  onesta. 

Ma  questo  riso  bisognava  pagarìo ,  e  un  prezzo  troppo  spropor- 
zionalo da  quello  del  pane.  H  carico  di  supplire  all'enorme  dilTerenza 
era  stalo  imposto  alla  città;  ma  il  Consiglio  de'  decurioni,  che  l'a* 
veva  assunto  per  essa,  deliberò,  lo  stesso  giorno  9S  di  novembre,  di 
rappresentare  al  governatore  l' impossibilità  di  sostenerlo  più  a  lungo. 
B  il  governatore ,  con  gridai  del  7  di  dicembre ,  fissò  il  prezzo  del 
riso  suddetto  a  lire  dodici  il  mo{^io:a  chi  ne  chiedesse  dì  più,  come 


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CAPITOLO  XXVHI.  HI» 

a  chi  ricusasse  di  vendere ,  intimò  la  perdita  della  dorala  e  una 
multa  d'altrettanto  valore,  et  maggior  pena  pecuniaria  ef  ancora  cor- 
porale $ÌHO  alla  galera,  all'arbitrio  di  S.  E.,  lecondo  la  qualità  de' 
coti  et  delle  perirne. 

Al  riso  brillato  era  già  stalo  fissato  il  prezzo  prima  della  sommos- 
sa; come  probabilmente  la  tariffa  o,  per  usare  quella  denominazione 
celeberrima  negli  annali  moderni, 'il  nummum  del  grano  e  dell'altre 
gnnaglie  più  ordinarie  sarà  stato  /issato  con  altre  gride,  che  non  c'c 
avvenuto  di  vedere. 

Mantenuto  cosi  il  pane  e  la  farina  a  buon  mercato  in  Milano , 
ne  veniva  di  conseguenza  che  dalla  campagna  accorresse  gente  a 
processone  a  comprarne.  Don  Gonzalo,  per  riparare  a  questo,  co- 
me dice  lui,  inconveniente,  proibì ,  con  un'  altra  grida  del  lit  di  di- 
cembre, di  portar  fuori  della  città  pane ,  per  più  del  valore  di  venti 
soldi;  pena  la  penlìta  del  pane  medesimo,  e  venticinque  scudi,  et  in 
tato  dà  inhabilità,  di  due  tratti  di  corda  in  publicOj  et  maggior  pena 
ancora,  secondo  il  solito,  all'arbitrio  di  S.  E.  Il  SS  dello  stesso 
mese  (  e  non  si  vede  perchè  cosi  lardi  ),  pubblicò  un  ordine  somi- 
gliante per  le  farine  e  per  i  grani. 

La  moltitudine  aveva  voluto  far  nascere  l'abbCHidanza  col  saccheggio 
e  con  r  incendio  ;  il  governo  voleva  mantenerla  con  la  galera  e  con 
la  corda. I  mezu  erano  convenienti  tra  toro;  ma  cosa  avessero  a  fare 
col  (ine,  ti  lettore  Io  vede:  come  valessero  in  fatto  ad  ottenerlo,  lo 
vedrà  a  momenti.  E  poi  facile  anche  vedere  ,  e  non  inutile  l' osser- 
vare eonie  tra  qucf^i  strani  provvedimenti  ci  sia  però  una  connes- 
sione necessaria:  ognuno  era  una  conseguenza  inevitabile  dell' ante- 
cedente, e  lutti  del  primo,  clic  fìssava  ai  pane  un  prezzo  così  lontano 
dal  prezzo  reale ,  da  quello  cioè  che  sarebbe  risultalo  naturalmente 
dalla  proporzione  tra  il  bisogno  e  la  quantità.  Alla  moltitudine  un 
tale  espediente  è  sempre  parso,  e  ha  sempre  dovuto  parere,  quanto 
conforme  all'equità,  altretlanto  semplice  e  agevole  a  mettersi  in  ese- 
euzione:  è  quindi  cosa  naturale  che,  nell'angustie  e  ne'  patimenti 
della  carestia,  essa  lo  desideri,  l'implori  e,  se  può,  l'imponga.  DI 
mano  in  mano  poi  che  le  conseguenze  si  fanno  sentire ,  conviene 
che  coloro  a  cui  tocca,  vadano  al  riparo  di  ciascheduna,  con  una 
le^e  la  quale  proibisca  agli  uomini  di  far  quello  a  che  eran  pw- 
tali  dall'  antecedente.  Ci  si  pennella  d'  osservar  qui  di  passaggio  - 
una  combinazione  singolare.   Li   un  paese  e   in    un'  epoca  vidna , 


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itili  I  pai)tiP3si  SPOSI 

lidi' epoca  la  più  clamorosa  e  la  più  notabile  della  storia  DHideriia ,  si 
ricorse,  in  circostanze  simili,  a  simili  espedienti  (  i  medesimi,  si  po- 
trebbe quasi  dire,  nella  sostanza,  con  la  sola  diR'erenza  di  propor- 
zione, e  a  mi  di  presso  nel  medesimo  ordine)  ad  onta  de'  tempi 
lauto  cambiali,  e  delle  cognizioni  cresciiile  in  Europa,  e  in  quel 
paese  forse  più  che  altrove  ;  e  ciò  principalmente  perchè  la  gran 
massa  popolare ,  alla  quale  quelle  cognizioni  non  erano  arrivate , 
|>otè  far  prevalere  a  lungo  il  suo  giudizio,  e  forzare,  come  colà  si 
dice,  la  mano  a  quelli  che  Tacevan  lu  legge. 

Cosi,  tornando  a  noi ,  due  erano  siati,  alla  Un  de'  conti,  i  frulli 
principali  della  sommossa:  guasto  e  |>erdi(a  effettiva  di  viveri,  nella 
sommossa  medesima;  consumo,  liii  che  durò  la  tariffa,  largo,  spen- 
sierato, senza  misura,  a  spese  di  quel  poco  grano,  die  pur  doveva 
bastare  lino  alla  nuova  raccolla.  A  questi  effetti  generali  s' aggiunga 
<|uatlro  disgraziati,  impiccali  come  capi  del  tumulto:  due  davanti  al 
forno  delle  grucce,  due  in  cima  della  strada  dov'era  la  casa  del  vi- 
cario (li  provvisione. 


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CAPITOLO  XXVIII.  USI 

Del  resto,  le  relazioni  slorìclie  di  que' temili  soii  falle  eosi  a  ca»i, 
che  non  rì  si  trova  neppur  la  notizia  del  eome  e  del  quando  cessasse 
quella  larìfla  violenta.  Se,  in  mancanza  di  notizie  positive,  é  lecito 
propor  eongctiure,  noi  ìndiniamo  a  credere  che  sia  stata  abolita  poco 
prima  o  poco  dopo  il  <4  di  dicembre,  che  fu  il  giorno  di  quell'ese- 
cuzione. E  in  quanto  alle  gride,  dopo  l'ultima  che  abbiam  citata  del 
9S  dello  slesso  mese,  non  ne  troviamo  altre  in  materia  di  grasce; 
«an  esse  perite,  o  siano  sfuggile  alle  nostre  ricerche,  o  sia  lìnahiientc 
che  il  governo,  disanimato,  se  non  ammaestrato  dall'ineflicacia  di  quc' 
suoi  rimedi,  e  soprafTutlo  dalle  cose,  le  abbia  alibandoiiate  al  loro 
corso.  Troviamo  bensì  nelle  relazioni  di  più  d'uno  storico  (inclinati . 
com'erano,  più  a  descriver  grand'avveniinenti,  cl;e  a  notarne  le  ca- 
gioni e  il  progresso)  il  ritrailo  del  paese,  e  della  città  prindpalmenle, 
nell'inverno  avanzalo  e  nella  primavera,  quando  la  cagìon  del  male, 
la  sproporzione  cioè  Ira  i  viveri  e  il  bisogno,  non  distrutta,  an»  accre- 
sciuta da'  rimedi  che  ne  sospesero  temporariamenle  gli  efletti ,  e  nep- 
pure da  un'introduzione  sufficiente  di  granaglie  estere,  alla  quale  osta- 
vano r  insuffiGienza  de' mezzi  pubblici  e  privati,  la  penuria  de' paesi 
circonvicini,  la  scarsezza,  la  lentezza  e  i  vincoli  del  commercio,  e  le 
leggi  slesse  tendenti  a  produrre  e  manlenere  il  prezzo  basso,  quando, 
dico,  la  cagion  vera  della  carestia,  o  per  dir  meglio,  la  carestia  stessa 
operava  senza  ritegno,  e  con  tuHa  la  sua  forza.  Ed  ecco  la  copia  di 
quel  ritratto  doloroso. 

A  ogni  passo,  bolleghe  chiuse;  le  Eabbrìcbe  in  gran  palle  deserte; 
le  strade,  un  indicibile  spettacolo,  un  corso  incessante  di  miserie,  un 
soggiorno  perpetuo  di  patimenti.  Gli  accattoni  di  mestiere,  diventali 
ora  il  minor  numero,  confusi  e  perduti  in  una  nuova  mtdtitudine, 
ridoni  a  litigar  l'elemosina  con  quelli  talvolta  da  cui  in  altri  giorni 
l'avevan  ricevuta.  Garzoni  e  giovani  licenziati  da  padroni  di  bottega, 
die,  scemalo  o  mancalo  affatto  il  guadagno  giornaliero,  vivevano  slen- 
lalamente  degli  avanzi  e  del  capitale  ;  de'  padroni  stessi ,  per  cui  il 
cessar  delle  faccende  era  stato  fallimento  e  rovina;  operai,  e  anche  ' 
maestri  d'ogni  manifaltura  e  d'ogn'arte,  delle  più  comuni  come  delle 
più  raffinale,  delle  più  necessarie  come  di  quelle  di  lusso,  vaganti  di 
porta  in  porta,  di  strada  in  istrada,  appoggiali  alle  caolonate,  ac- 
covacciati sulle  lastre,  lungo  le  case  e  le  chiese ,  chiedendo  pietosa-. 
mente  l'elemosina,  o  esitanti  tra  il  bisogno  e  una  vergeva  noii  ancor 
domata,  smunti,  spossati,  rabbrividiti  dal  freddo  e  dalla  fame  ne'  paoni 


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SSt  I  PROUESSI  SPOSI 

logori  e  scarsi,  ma  che  in  molti  serbavano  ancora  i  segni  d' un'antica 
agiatezza  ;  come  nelt'  inerzia  e  neU'avvilìniento,  compariva  non  so  qnale 
indizio  d'abitudini  operose  e  Trancbe.  Mescolati  Ira  la  deplorabile  tur- 
ba, e  non  piccola  parte  di  essa,  servitori  licenziati  da  padroni  caduti 
allora  dalla  mediocrità  nella  strettezza ,  o  cbe  quantunque  Tacolto- 
sissimi  sì  trovavano  inabili,  in  una  tale  annata,  a  mantenere  quella  so- 
lita pompa  di  seguilo.  E  a  ludi  questi  divelli  indigenti  s'a^^iunga  un 
numero  d'altri,  avvezzi  in  parte  a  vivere  del  guadagno  di  esa:  bam- 
bini, donne,  vecchi,  aggruppati  co'  loro  antichi  sostenitori,  o  dispersi 
in  altre  parti  all'accatto. 

C  eran  pure ,  e  si  distinguevano  ai  ciuflì  «rrufTati ,  ai  cenci  sfar- 
zosi, o  anche  a  un  certo  non  so  che  nel  portamento  e  nel  gesto,  a 
quel  marchio  cbe  le  consuetudini  stampano  su'  visi ,  tanto  più  rile- 
valo e  chiaro,  quanto  più  sono  strane,  molti  di  quella  genia  de'  bravi 


che,  i^rdulo,  per  la  condizion  comune,  quel  loro  pane  scellerato,  ne 
andavan  chiedendo  per  carità.  Domati  dalla  fame,  non  gareggiando  con 
gli  altri  che  di  preghiere,  spauriti,  incantati,  si  strascicavan  per  le 
strade  die  avevano  per  (anio  tempo  passe^iale  a  lesta  alfa ,  con 


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CAPITOLO   XXVm.  SII 

isguardo  sospettoso  e  feroce ,  vestiti  di  livree  ricche  e  bizzarre,  oon 
gran  penne,  guarniti  di  ricche  armi,  attillati,  profumati;  e  paravano 
umilmente  la  mano,  che  tante  volte  avevano  alzata  ioscrienle  a  mioac' 
ciare,  o  traditrice  a  ferire. 

Ma  forse  ir  più  brullo  e  insieme  il  più  compassionevole  spettacolo 
èrano  i  conladini,  scompagnali,  a  coppie,  a  famiglie  intere;  mariti, 


m(^i,  con  bambini  in  collo,  o  attaccati  dietro  le  spalle,  con  ragazzi 
per  la  mano ,  con  vecchi  dietro.  Alctmi  che,  invase  e  spogliate  le  loro 
case  dalla  soldatesca,  alloggiata  lì  o  di  passaggio,  n'eran  fuggiti  dispe- 
ratamente; e  tra  questi  ce  n'era  di  quelli  che,  per  for  più  compassione, 
e  come  per  distinzione  di  miseria,  facevan  vedere  i  lividi  e  le  margini 
de'  colpì  ricevuti  nel  difendere  quelle  loro  podie  ultime  provvisioni,  o 
scappando  da  una  sfrenatezza  cieca  e  brutale.  Altri,  andati  esenti  da 
quel  flagello  particolare,  ma  spinti  da  que'duc  da  cui  nessun  angolo 
era  stalo  immune,  la  sterilità  e  [e  gravezze,  più  esorbitanti  che  mai 
per  soddisfare  a  ciò  che  si  chiamava  i  bisogni  della  guerra,  eran  ve-, 
nuti,  venivano  alla  città,  come  a  sede  antica  e  ad  ultimo  asilo  di  rie- 
diexza  e  dì  pia  munilìeenza.  Si  potevan  distinguere  gli  arrivati  di  fre- 


Digitizf^riiiyGoOgle 


KX4  I  PR0UE38I  SPOSI 

SCO,  più  ancora  che  all'andare  ìnoerlo  e  all'aria  nuova,  a  un  fare  ma- 
ravigliato e  indispettilo  di  trovare  una  tal  piena ,  una  tale  rivalità  di 
miseria,  al  termine  dove  avevan  creduto  di  comparire  oggetti  singo- 
lari di  compassione,  e  d'attirare  a  sé  gli  sguardi  e  i  soccorsi.  Gli  altri 
che  da  più  o  men  tempo  giravano  e  abitavano  le  strade  della  città , 
tenendosi  ritti  co'  sussidi  ottenuti  o  toccati  come  in  sorte,  in  una 
tanta  sproporzione  tra  i  mezzi  e  il  bisogno,  avevan  dipinta  ne'  volli  e 
negli  atti  una  più  cupa  e  stanca  costernazione.  Vestiti  diversamenle, 
quelli  che  ancora  si  potevano  dir  vestiti;  e  diversi  anche  nell'aspcllo: 
facce  dilavate  del  basso  paese,  abbronzate  del  pian  di  mezzo  e  delle 
colline,  sanguigne  di  montanari  ;  ma  tutte  alBIate  e  stravolte,  tutte  con 
ocelli  incavali,  con  isguardi  (Issi, tra  il  torvo  e  l'insensato;  arruffati  i 
capelli,  lunghe  e  irsute  le  barbe:  corpi  cresciuti  e  indurati  alla  fatica, 
esausti  ora  dal  disagio;  raggrinzala  la  |>elle  sulle  braccia  aduste  e  su- 
gli stinchi  e  sui  petti  scarnili,  che  si  vedevan  di  mezzo  ai  cenci  scom- 
posti. B  diversamente,  ma  non  meno  doloroso  di  questo  aspetto  di  vi- 
gore abbattuto,  l'aspetto  d'  una  natura  più  presto  vinta,  d'un  lan- 
guore e  d'uno  sfinimento  più  abbandonato,  nel  sesso  e  nell'età  più 
deboli. 

Qua  e  là  per  le  strade,  rasente  ai  muri  delle  case,  qualdie  po' di 
paglia  pesta,  trita  e  mista  d' immondo  ciarpunie.  E  una  tal  porctierìa 
era  però  un  dono  e  uno  studio  della  carità  ;  eran  covili  apprestali 
a  qu^cheduno  di  que'  meschini ,  per  posarci  il  capo  la  notte.  Ogai 
tutto,  ci  si  vedeva,  anche  di  giorno,  giacere  o  sdraiarsi  taluno  a  cui 
la  stanchezza  o  il  digiuno  aveva  levate  le  forze  e  tronche  le  gambe  : 
qualche  volta  quel  tristo  tetto  portava  un  cadavere  :  qualche  volta  si 
vedeva  uno  cader  come  un  cencio  all'  improvviso ,  e  rimaner  cada- 
vere sul  selciato. 

Accanto  a  qualcbeduno  di  que' covili,  si  vedeva  pure  chinato  qual- 
che passeggiero  o  vicino ,  attirato  da  una  compassion  subitanea.  In 
qualche  luogo  appariva  un  soccorso  ordinato  con  più  lontana  previ- 
denza, mosso  da  una  mano  ricca  di  mezzi,  e  avvezza  a  beneficare  in 
grande;  ed  era  la  mano  del  buon  Federigo.  Aveva  scelto  sei  preline' 
quali  una  carila  viva  e  perseverante  fosse  accompagnata  e  servita  da 
una  complessione  robusta;  gli  aveva  divisi  in  coppie,  e  ad  ognuna 
assegnata  una  terza  parte  della  città  da  percorrere,  con  dielro  tac- 
chini carichi  di  vari  cibi,  d'altri  più  sottili  e  più  prouU  ristorativi,  e 
di  vesti.  Ogni  mattina,  le  tre  coppie  si  mettevano  in  istrada  da  diverse 


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CAPITOLO  XXVIll.  BSB 

parli ,  b'  avvicinavano  a  quelli  che  vedevano  abbandonali  per  terra  , 
e  davano  a  ciasclieduno  aiuto  secondo  il  bisogno.  Taluno  già  agoniz- 
zante e  non  più  in  caao  di  ricevere  alimento ,  riceveva  gli  ultimi 
soccorsi  e  le  consolazioni  della  religione.  Agli  aframali  dispensavano 
minestra,  ova,  pane,  vino;  ad  altri,  estenuati  da  più  antico  digiuno, 
porgevano  consumali,  stillali,  vino  più  generoso,  riavendoli  prima,  se 
faceva  di  bisogno,  con  coae  spiritose.  Insieme,  distribuivano  vesti  alle 
nudila  più  sconce  e  più  dolorose. 


Né  qui  (iniva  la  loro  assistenza:  il  buon  pastore  aveva  voluto  cbe, 
almeno  dov'essa  poteva  arrivare,  recasse  un  sollievo  clilìcace  e  non 
monientarieo.  Ai  po^'c^ini.  a  cui  quel  primo  ristoro  avesse  rese  forze 
bastanti  per  reggersi  e  per  camminare,  davano  un  po' di  danaro, 
allineile  il  bìsc^no  rinascente  e  la  mancanza  d' altro  soccorso  non  li 
rrmetlessc  ben  presto  nello  slato  di  prima;  agli  altri  cercavano  ri- 
covero e  mantenimento ,  in  qualcbc  casa  delle  più  vicine.  In  quelle 
de'  bcncslanli,  erano  per  lo  più  ricevuti  per  carità,  e  come  racco- 
mandali dal  cardinale;  in  altre,  dove  alla  buona  volontà  mancassero 
i  mezzi ,  ehiedevan  que'  preti  che  il  poverino  fosse  ricevuto  a  doz- 
zina, lìssa\'ano  il  prezzo,  e  ne  sborsavan  subito  una  |>arlc  a  conto. 


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ase  I  PROKESSl  SPOSI 

Davano  poi,  di  qaesti  ricoverati,  la  nota  ai  parrochi,  acciocché -Ji  vi* 
sitassero;  e  tornavano  essi  medesimi  a  visitarli. 

Non  c'è  bisogno  di  dire  che  Federigo  non  ristringeva  le  sue  cure  a 
questa  estremità  di  patimenti,  né  l'aveva  aspettala  per  commoversi. 
Quella  carità  ardente  e  versatile  doveva  tutto  sentire,  in  tutto  ado- 
prarsi,  accorrere  dove  non  aveva  potuto  prevenire,  prender,  per  dir 
così,  tante  forme,  in  quante  variava  il  bisogno.  Infatti,  radunando  tutti 
i  SUO)  mezzi,  rendendo  più  rigoroso  il  rÌsi>armÌo,  mettendo  mano  a 
risparmi  destinati  ad  altre  liberalità,  divenute  ora  d' un' importanza 
troppo  secondaria,  aveva  cercato  ogni  maniera  di  far  danari,  per  im- 
pigrii tutti  in  soccorso  degli  afTamati.  Aveva  fatte  gran  compre  di 
granaglie ,  e  speditane  una  buona  parte  ai  luoghi  della  diocesi ,  che 
n'cran  più  scarsi;  ed  essendo  il  soccorso  troppo  inferiore  al  bisogno, 
mandò  anclie  del  sale,  u  con  cui,  »  dice,  raccontando  la  cosa,  il  Ri- 
pamonti ' ,  "  l'erbe  del  prato  e  le  cortecce  degli  alberi  si  convertono 
in  cibo,  n  Granaglie  pure  e  danari  aveva  dislribuili  at  parroclti  della 
città  ;  lui  stesso  la  visitava ,  quartiere  per  quaHiere ,  dispensando 
elemosine;  soccorreva  in  segreto  molte  famìglie  povere;  nel  palazzo 
arcivescovile ,  come  attesta  uno  scrittore  contemporaneo ,  il  medico 
Alessandro  Tadino,  in  un  mo  Ragguaglio  che  avremo  spesso  occasion 
di  citare  andando  avanti,  si  distribuivano  ogni  mattina  due  mila  sco- 
delle di  minestra  di  riso  '. 

Ma  questi  ctTetti  di  carità,  che  possiamo  certamente  chiamar  gran- 
diosi ,  quando  si  consideri  che  venivano  da  un  sol  uomo  e  dai  soli 
suoi  mezzi  (giacché  Federigo  ricusava,  per  sistema,  di  farsi  dispen- 
satore  delle  liberalità  altrui),  questi,  insieme  con  le  liberalità  d'altre 
mani  private,  se  non  cosi  feconde,  pur  numerose;  insieme  con  le 
sovvennoni  che  il  Consiglio  de'  decurioni  aveva  dea*etale ,  dando  al 
tribunal  di  provvisione  l'incombenza  di  distribuirle;  erano  ancor  poca 
cosa  in  paragone  del  bist^no.  Mentre  ad  alcuni  montanari  vidnì  a 
morir  di  fame,  veniva,  per  la  carità  del  cardinale,  prolungata  la  vita, 
altri  arrivavano  a  quell'estremo;  i  primi,  linilo  quel  misurato  soecmso, 
ci  ricadevano;  in  altre  parti,  non  dimenticate,  ma  posposte,  come  meno 
angustiate,  da  una  carità  costretta  a  scegliere,  l'angustie  divenivan 


1  HIalorlae  Fatriie,  Decailia  V,  L[b.  VI-,  pag.  S8«. 

■  KagguBgllo  deirorigiae  et  giornali  successi  della  gran  pesle  conlngiosa,  veneOci 
et  malenca,  acgullo  nella  clltà  di  Hilano  etc.  Uilano  leie,  pag.  io. 


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'     CAPITOLO  XXVIIt.  S3T 

morlalì;  per  tulio  si  periva,  da  ogni  parte s' accorreva  alla  città.  Qui, 
due  migliaia,  mellianio,  d'aflamali  più  robusti  ed  esperti  a  superar  la 
concorrenza  e  a  farsi  lai^o,  avevano  acquistala  una  minestra,  tanto 
da  non  morire  in  quel  giorno;  ma  più  altre  migliaia  rimanevano  in- 
dietro, invidiando  quei,  diremo  noi,  più  fortunati,  quando,  Ira  i  ri- 
masti indietro,  c'erano  spesso  le  mogli,  i  figli,  i  padri  loro?  E  mentre 
.  in  alcune  parti  ^ella  città,  alcuni  di  quei  più  abbandonati  e  ridotti 
all'estremo  venivan  levati  di  terra,  rianimali  ricoverati  e  prov\'eduti 
per  qualche  tempo;  in  cent' altre  parti,  altri  cadevano,  languivano 
0  anche  spiravano,  senza  aiuto,  senza  refrigerio. 

Tutto  il  giorno,  si  sentiva  per  le  slrade  un  ronzio  confuso  di  voci 
supplichevoli;  la  notte,  un  susurro  di  gemiti,  rollo  di  quando  in 
quando  da  alti  lambiti  scoppiati  all'improvviso,  da  uri),  da  aeceoti 
profondi  d' invocazione,  che  terminavano  in  istrida  acute. 

É  cosa  notabile  che,  in  un  tanto  eccesso  di  slenti,  in  una  tanta 
varietà  dì  querele,  non  si  vedesse  nuù  un  tentativo,  non  iscappasse 
mai  un  grido  di  sommossa  :  almeno  non  se  ne  trova  il  minimo  cen- 
no. Eppure,  tra  cot(Hv>  che  vivevano  e  morivano  in  quella  maniera, 
e'  era  un  buon  numero  d'uomini  educati  a  tutt' altro  che  a  tollerare; 
e'  erano  a  centinaia ,  di  que'  medesimi  die,  il  giorno  di  san  Martino, 
s'erano  tanto  falli  sentire.  Né  si  può  pensare  che  l'esempio  de' quat- 
tro disgraziati  che  n'  avevan  portata  la  pena  per  (ulti,  fosse  quello 
che  ora  li  tenesse  lutti  a  freno.-  qual  forza  poteva  avere,  non  la  pre- 
senza ,  ma  la  memoria  de'  supplizi  sugli  animi  d'  una  moltitudine 
vagabonda  e  riunita,  che  si  vedeva  come  condannata  a  un  lento  sup- 
plizio, che  già  Io  pativa?  Ma  noi  uomini  siam  in  generale  falli  così: 
Gj  rivoltiamo  sdegnati  e  furiosi  contro  i  mali  mezzani,  e  ci  curviamo 
in  silenzio  sotto  gli  estremi;  sopportiamo,  non  rassegnali  ma  stupidì, 
il  colmo  di  ciò  che  da  principio  avevamo  chiamato  insopportabile. 

Il  vólo  che  la  morlalilà  faceva  ogni  giorno  in  quella  deplorabile 
moltitudine,  veniva  ogni  giorno  più  che  riempito:  era  un  concorso 
continuo,  prima  da'  paesi  circonvicini,  poi  da  tutto  il  contado,  poi 
dalle  città  dello  stato,  alla  (ine  anche  da  altre.  E  intanto,  anche  da 
questa  partivano  ogni  giorno  antìctiì  abitatori  ;  alcuni  per  sottrarsi 
alta  vista  di  tante  piaglie;  altri,  vedendosi,  per  dir  cosi,  preso  il 
posto  da'  nuovi  concorrenti  d'  accatto ,  uscivano  a  un'  ultima  dispe- 
rata prova  di  chieder  soccorso  altrove ,  do^'e  si  fosse ,  dove  almeno 
non  fosse  cosi  fitta  e  così  incalzante  la  folla  e  la  rivalità  del  chiedere. 


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asB  I  PIIOUESSI  SPOSI 

S' incontravano  nel)'  opposto  viaggio  questi  e  que'  pellegrini ,  speU 
lacolo  di  ribrezzo  gli  uni  agli  altri,  e  s^io  doloroso,  augurio  sinistro 
dei  termine  a  cui  gli  uni  e  gli  altri  erano  incaminìnali.  Ma  seguita- 
vano ognuno  la  sua  strada,  se  non  più  per  la  speranza  dì  mutar 
sorte,  almeno  per  non  tornare  sotto  un  cielo  divenuto  odioso,  per 
non  rivedere  i  luoghi  dove  avevan  disperalo.  Se  non  che  taluno, 
mancandt^li  aflallo  le  forze,  cadeva  per  la  strada,  e  rimaneva  li 
morto:  spettacolo  ancor  più  funesto  ai  suoi  compagni  di  miseria,  <^' 
getto  d'orrore,  forse  di  rimprovero  ì^i  ìdlri  passeggieri.  «  Vidi  io,  " 
scrive  il  Ripamonti ,  e  nella  strada  che  gira  le  mura ,  il  cadavere 
d'una  donna.  ...  Le  usciva  di  bocca  dell'erba  mezza  rosicchiata,  e 
le  labbra  facevano  ancora  quasi  un  atto  di  sforzo  rabbioso. . . .  Aveva 
un  fagottino  in  i^palla,  e  attaccalo  con  le  fasce  al  petlo  un  bambino, 
che  piangendo  chiedeva  la  poppa  ....  Ed  erano  sopraggiunte  persone 
compassionevoli,  le  quali,  raccolto  il  mescliinello  di  terra,  lo  porla- 
van  via,  adempiendo  cosi  intanto  il  primo  ufìzto  materno,  y 


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G&PItOLO  XXVIII.  »• 

Quel  eontrapposlo  di  gale  e  di  ceneì ,  di  superfluilà  e  di  miseria, 
^lUc(4o  ordinario  de"  tempi  ordinari,  era  allora  affollo  cessalo.  I 
eeoci  e  la  miseria  eran  quasi  per  tutto;  e  ciò  che  se  ne  distingueva, 
era  appena  un'apparenza  di  parca  mediocrità.  Si  vedevano  i  nobili 
camminare  in  abito  semplice  e  dimesso,  o  anche  logoro  e  gretto; 
alcuni,  pcrdiè  le  cagioni  comuni  della  miseria  avevan  mutala  a  quel 
segno  anche  la  loro  fortuna,  o  dato  il  tracollo  a  patrimoni  giù  scon- 
certati: gii  altri ,  o  che  temessero  di  provocare  col  fasto  la  pubblica 
disperazione,  o  che  si  vergognassero  d' insultare  alla  pubUica  cala- 
milii.  Qne'  prepotenti  odiali  e  riattati,  soliti  a  andare  in  giro  con 
uno  strascico  dì  bravi ,  andavano  ora  quasi  soli ,  a  capo  basso , 
COR  visi  che  parevano  offrire  e  chieder  pace.  Altri  che,  anche  nella 
prosperità,  erano  slati  di  pensieri  più  umani,  e  di  portamenti  più 
modesti ,  parevano  anch'  essi  confusi ,  costernali ,  e  come  sopraf- 
fatti dalla  vista  continua  d'  una  miseria  che  sorpassava ,  non  solo  la 
possibilità  del  soccorso ,  ma  direi  quasi ,  le  forze  della  compassione. 
Chi  aveva  il  modo  di  far  qualche  elemosina,  doveva  però  fare  una 
(rista  sedia  tra  fame  e  fome,  Ira  urgenze  e  urgenze.  E  appena  si 
vedeva  una  mano  pietosa  avvicinarsi  alla  mano  d'un  infelice,  na- 
sceva all'intorno  una  gara  d'altri  infelici;  coloro  a  cui  rimaneva  più 
'vigore,  si  facevano  avanti  a  chieder  con  più  blanza;  gli  estenuali ,  i 
vecchi,  i  fanciulli,  iJzavano  le  mani  scarne;  le  madri  alzavano  e  faee- 
van  veder  da  lontano  i  bambini  piangenti,  mal  rinvoltati  nelle  fasee 
cenciose,  e  ripiegati  per  languore  nelle  loro  mani. 

Cosi  passò  l' inverno  e  la  primavera:  e  già  da  qualche  tempo  il 
tribunale  della  sanità  andava  rappresentando  a  quello  della  prov- 
visione il  pericolo  del  contagio,  che  sovrastava  alla  città,  per  tanta 
miseria  ammonlata  in  ogni  parte  di  essa;  e  proponeva  che  gli  accat- 
toni venissero  raccolti  in  diversi  ospizi.  Mentre  si  discute  questa 
proposta,  mentre  s'  approva,  mentre  si  pensa  ai  mezzi,  ai  modi,  ai 
luoghi ,  per  mandarla  ad  effetto ,  i  cadaveri  crescono  nelle  strade 
ogni  giorno  più;  a  proporzion  di  questo,  cresce  tutto  l'altro  ammasso 
di  miserie.  Nel  tribunale  dì  provvisione  vien  proposto,  come  più^Iiacile 
e  più  spediUvo,  un  altro  ripiego,  di  radunar  tutti  gli  accattoni,  sani 
e  infermi,  in  un  sol  luogo,  nel  lazz»%llo,- dove  fosser  mantenuti  e 
curali  a  spese  del  pubblico;  e  cosi  vien  risoluto,  contro  il  parere 
della  Sanità,  la  quale  opponeva  dK,  in  una  cosi  gran  riunione,  sa- 
rebbe cresciuto  il  perìcolo  a  cui  sì  voleva  metter  riparo. 


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DIO  I  PR0UE83I  SPOSI 

Il  lazzerello  di  Milano  (se,  per  caso,  questa  storia  capitasse  nelle 
mani  di  qiialcheduno  che  non  lo  conoscesse ,  né  di  vista  né  per  de- 
scrizione) è  un  recinto  quadrilatero  e  quasi  quadrato,  fuori  della 
città,  a  sinistra  della  porta  detta  orientale,  distante  dalle  mura  lo 
spa»o  della  fossa  ,  d'  una  strada  dì  circonvallazione ,  e  d'  una  gora 
che  gira  il  recinto  medesimo.  I  due  lati  maggiori  son  lungiri  a  un  di 
presso  cinquecento  passi;  gli  altri  due,  forse  quindici  meno;  tutti, 
dalla  parte  estema,  son  divisi  in  piccole  stanze  d'  un  piano  solo;  di 
dentro  gira  intorno  a  tre  di  essi  un  portico  conlimio  a  vMa ,  so- 
stenuto da  piccole  e  magre  colonne. 


I^c  slanzine  eran   dugent'oltanlotlo,   o  giù  di  li:  a'  nostri  gioniì, 
una  grande  apertura  fatta  nel  mezzo,   e   una   piccola,  in  un  canto 


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CAPITOLO  xxvni.  mi 

della  facciala  del  lalo  die  costeggia  la  strada  maestra ,  ne  hanno  per- 
iate via  non  so  quante.  Al  tempo  della  nostra  storia,  non  e'  eran  che 
due  entrature;  una  nel  mezzo  del  lato  che  guarda  le  mura  della 
città,  l'altra  di  rimpetto,  nell'opposto.  Nel  centro  dello  spazio  inter- 
no, c'era,  e  c'è  tutt'ora,  una  piccola  chiesa  ottangolare. 

La  prima  destinazione  di  tutto  l'edifìzìo,  cominciato  nell'anno  1489, 
co'  danari  d'un  lascito  privato,  continuato  poi  con  quelli  del  pub- 
blico e  d' altri  testatori  e  donatori,  fu,  come  1'  accenna  il  nome  slesso, 
di  ricoverarvi,  all'occorrenza,  gli  ammalali  di  peste  j  la  quale,' già 
molto  prima  di  queir  epoca,  era  solita,  e  lo  fu  per  mollo  tempo 
dopo,  a  comparire  quelle  due,  quattro,  sei,  olio  volte  per  secolo, 
ora  in  questo,  ora  in  quel  paese  d'Europa,  prendendone  talvolta  una 
gran  parte,  o  anche  scorrendtda  tutta,  per  il  lungo  e  per  il  largo. 
Nel  momento  di  cui  parliamo,  il  lazzeretto  non  serviva  che  per  de- 
pòsito delle  mercanzie  soggette  a  contumacia. 

Ora ,  per  metterlo  in  libertà ,  non  si  slette  al  rigor  delle  leggi  sa- 
nìtarìe ,  e  fatte  in  fretta  in  fretta  le  purghe  e  gli  esperimenti  pre- 
scritti, si  rìlasciaron  tutte  le  mercanzie  a  un  tratto.  Si  fece  stender 
della  paglia  in  tutte  le  stanze,  si  fecero  provvisioni  di  viveri,  della 
qualità  e  nella  quantilà  che  si  potè;  e  s' invilarono ,  con  pubblico 
edillo ,  tutti  gli  accattoni  a  ricoverarsi  li. 

Molli  vi  concorsero  volontariamente;  tulli  quelli  die  giacevano  in- 
fermi per  le  strade  e  per  le  piazze,  ci  vennero  trasportali  ;  in  pochi 
giorni,  ce  ne  fu,  tra  gli  uni  e  gli  altri,  più  di  tre  mila.  Ma  molti  più 
furon  quelli  che  restaron  fuori.  O  che  ognun  di  loro  aspettasse  di 
veder  gli  altri  andarsene,  e  di  rimanere  in  pochi  a  goder  l'elemo- 
sine della  città,  o  fosse  quella  naturai  ripugnanza  alla  dausura,  o 
quella  diffidenza  de'  poveri  per  tutto  ciò  che  vien  loro  propósto  da 
chi  possiede  le  ricchezze  e  il  potere  (diffidenza  sempre  proporzionata 
air  ignoranza  comune  di  dii  la  sente  e  di  dii  l' ispira,  al  numero  de' 
poveri,  e  al  poco  giudìzio  delle  lef^i),  o  il  saper  di  fallo  quale  fosse 
in  reallà  il  benefizio  offerto,  o  fosse  tutto  questo  interne,  o  che  al- 
tro, il  fatto  sta  che  la  più  parte,  non  facendo  conto  dell'invito,  con- 
tinuavano a  strascicarsi  stentando  per  le  strade.  Visto  ciò ,  si  credè 
bene  di  passar  dall'  invito  alla  forza.  Si  mandarono  in  ronda  birri 
die  cacciassero  gli  accattoni  al  lazzeretto,  e  vi  menassero  legati  qudli 
che  resìstevano;  per  ognun  de'  quali  fu  assegnato  a  coloro  il  prenuo 
dì  die£i  soldi  :  ecco  se ,  anche  ndle  maggiori  strettezze,  i  danari  del 


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■4t  I  PR01CE3SI  SPOSI 

pubblico  si  tro\'an  sempre,  per  impiegarli  a  spropo^lo.  E  quantun- 
que, com'era  siala  congettura,  anzi  intento  espresso  della  Provvi- 
sione, un  certo  numero  d'accattoni  sfrattasse  dalla  ciltà,  per  andare 
a  vivere  o  a  morire  altrove,  in  libertà  almeno;  pure  la  caccia  fu  tale 
che,  ili  poco  tempo,  il  numero  de'  ricoverali,  Ira  ospiti  e  prigionieri , 
s'  accostò  a  dieci  mila. 


Le  donne  e  i  bambini  ,  sì  vuol  supporre  che  saranno  siali  messi 
in  quartieri  separali,  benché  le  memorie  dd  tempo  non  ne  dicaii 
nulla.  Regole  poi  e  prov\edÌmenlÌ  per  il  bnon  ordine ,  non  ne  sa* 
ranno  certamente  mancati  ;  ma  si  liguri  ogniuio  qual  ordine  potesse 
essere  stabilito  e  mantenuto,  in  que'  tempi  specialmente  e  iu  quelle 
circostanze ,  in  una  cosi  vasta  e  varia  riunione ,  dove  coi  volontari 
si  trovavano  i  forzati;  con  quelli  per  cui  1'  accatto  era  una  necessità, 
un  dolore,  una  vergogna,  coloro  di  cut  era  il  mestiere;  con  motti 
cresciuti  nell'onesta  attività  de' campi  e  dell' oflìcine,  molti  altri  edu- 
cati nelle  piazze,  nelle  taverne,  ne'  palazzi  de'  prepotenti,  all'ozio, 
alla  truffo,  allo  scherno,  alla  violenza. 

Come  stessero  poi  tutti  insieme  d'  alloggio  e  di  vitto ,  si  potrebbe 
tristamente  congetturarlo,  quando  non  n'avessimo  notizie  positive; 
ma  le  abbiamo.  Dormivano  ammontati  a  venti  a  trenta  per  ognuna 
di  quelle  cellette,  o  accovacciati  sotto  i  portici,  sur  un  po'  di  p^ia 
putrida  e  fetente,  o  sulla  nuda  terra:  perchè,  s'era  bensi  ordinato 
che  la  paglia  fosse  fresca  e  a  sufficienza ,  e  cambiata  spesso  ;  ma  in 
effetto  era  stala  cattiva,  scarsa,  e  non  si  cambiava.  S'  era  ugualmente 


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CAPITOLO   XXVIII.  tus 

ordinalo  die  il  paoe  fosse  di  Luooa  qoidiUi:  giacdiè,  quale  aiuminì- 
slratore  ha  mai  detto  cbe  si  faccia  e  si  dispensi  robA  cattiva?  ma  ciò 
die  non  si  sarebbe  ottenuto  nelle  circostante  solite ,  anche  per  un 
fuù  ridretto  servizio,  etmie  ottenerlo  in  qaei  caso,  e  per  quella  mol- 
tilu^ne?  Si  disse  allora,  come  troviamo  nelle  memorie,  che  il  pane 
del  lazzeretto  fosse  alterato  con  sostanze  pesanti  e  non  nutrienti:  ed 
e  pur  troppo  credibile  die  non  fosse  uno  di  qoe'  lamenti  in  aria. 
D'acqua  perfino  c'era  scarsità;  d" acqua, veglio  dire,  vi^'a  e  salubre: 
il  pozzo  comune,  doveva  esser  In  gora  che  gira  le  mara  dd  redato, 
bassa ,  lenta ,  dove  anche  motosa ,  e  divenula  poi  quale  poteva  ren- 
derla r  uso  e  la  vicinanza  d'  una  tanta  e  tal  moltitudine. 

A  tutte  queste  cagioni  di  mortalità,  tanto  più  attive,  che  «^era- 
vano  sopra  corpi  ammalali  o  ammalazzati,  s'aggiunga  una  gran  per- 
versità della  stagione:  pit^e  ostinate,  seguite  da  una  siccità  ancor 
più  ostinala ,  e  con  essa  un  caldo  anticipalo  e  violento.  Ai  mali 
s' aggiunga  il  sentimento  de'  mali ,  la  nda  e  la  smania  della  prigio- 
nia,  la  rimembranza  dell'antiche  abitudini,  il  dolore  di  cari  perduti, 
la  memoria  inquieta  di  cari  assenti,  il  tormento  e  il  ribrezzo  vicen-  . 
devote,  tant'altre  passioni  d'abbattimento  o  di  rabbia,  portale  o  nate 
là  dentro  ;  I' apprensione  poi  e  lo  spettacolo  continuo  della  morte 
resa  frequente  da  tante  cagioni,  e  divenula  essa  medesima  una  nuova 
e  polente  cagione.  E  non  farà  stupore  che  la  mortalilà  crescesse  e 
regnasse  in  quel  recinto  a  segno  di  prendere  aspetto  e,  presso  molti, 
nome  di  pestilenza:  sia  che  la  riunione  e  l'aumento  di  (ulte  quelle 
cause  non  focesse  che  aumentare  l'attività  d' un' influenza  puramente 
epidemica;  sia  (come  par  che  avvenga  nelle  carestie  anche  meo  gravi 
e  men  prolungale  di  quella)  che  vi  avesse  luogo  un  certo  contagio, 
il  quale  ne'  corpi  alTetti  e  preparati  dai  disagio  e  dalla  calti^'a  qua- 
lità degli  alimenti,  dall' intemperie,  dal  sudiciume ,  dal  travaglio  e 
dall'avvilimento  trovi  fa  tempera,  per  dir  cosi,  e  la  stagione  sua  pro- 
pria ,  le  condizioni  necessarie  in  somma  per  nascere,  nutrirsi  e  mol- 
tiplicam  (se  a  un  ignorante  è  lecito  buttar  là  queste  parole,  dietro 
l'ipotesi  proposta  da  alcuni  lìsid  e  riproposta  da  ultimo,  con  molte  ra^ 
gioni  e  con  molta  riserva,  da  uno,  diligente  quanto  ingegnoso*):  sia 
poi  che  il  contagio  scoppiasse  da  principio  nel  lazzeretto  medesimo , 


*  Det  morbo  pel  ecolli  ale...  e  degli  altri  conlsgi  i 
.Kctrbì,  Cap.  ni,  ^  I  v  >. 


generale,  opera  del  <loll.  f.  Enrico 


„GoogIe 


HK  I  PROMESSI  SPOSI 

come,  da  un'oscura  e  inesatta  relazione,  par  die  pensassero  i  medid 
della  Sanità;  sia  che  vivesse  e  andasse  covando  prima  d'allora  (dò 
die  par  forse  più  verisimile,  chi  pensi  come  il  disagio  era  già  antico 
e  generale, e  la  mortalità  già  frequente), e  che  portalo  in  quella  folla 
permanente,  vi  si  propagasse  con  nuo^a  e  terribile  rapidità.  Qualuo- 
que  di  queste  congetture  sia  la  vera,  il  numero  gioraaliero  de'  morti 
nel  lazzeretto  oltrepassò  in  poco  tempo  il  centinaio. 

Mentre  in  quel  luogo  lutto  il  resto  era  languore,  angoscia,  spa- 
vento, rammarichìo,  fremito,  nella  Provvisione  era  vergogna,  slor- 
(liniento,  incertezza.  Si  discusse,  si  senti  il  pu«re  della  Sanità;  non 
si  trovò  altro  che  di  disfare  dò  che  s'  era  fatto  con  tanto  apparato, 
con  (anta  spesa, con  tante  vessazioni.  S'aprì  il  lazzeretto,  si  liceozia- 
ron  tulli  i  poveri  non  ammalati  die  ci  rimanevano,  e  che  scapparon 


fuori  con  una  gioia  furibonda.  La  città  tornò  a  risonare  dell'  antico 
lamento,  ma  più  debole  e  interrotto;  rivide  quella  turba  più  rada  e 
più  compassionevole,  dice  il  Ripamonti,  per  il  pensiero  del  come 
fosse  di  tanto  scemala.  GÌ'  infermi  furon  trasportati  a  Santa  Maria 
della  Stella ,  allora  ospizio  di  poveri  ;  dove  la  più  parie  perirouo. 

Intanto  però  comincia  vario  que'  beiiedelti  campi  a  imbiondire.  Gli 
accattoni  venuti  dal  contado  se  n'  andarono,  ognuno  dalla  sua  parte, 
a  quella  tanto  sospirala  segatura.  Il  buon  Federigo  gli  accomiatò  con 
un  ultimo  sforzo,  e  con  un  nuovo  ritrovalo  di  carità  :  a  ogni  conta- 
dino che  si  presentasse  all'arcivescovado,  fece  dare  un  giulio,  e  una 
falce  da  niii'tere. 


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CAPITOLO  XXVIit.  K(H 

Con  la  messe  Analmente  cessò  la  carestìa:  la  morlalilà,  epidemica 
o  conlagiosa,  scemando  dì  giorno  jn  giorno,  si  prolungò  però  fin  nel- 
i'aatunno.  Era  sul  finire,  quand'eeco  un  nuovo  flagello. 

Molle  cose  importanti,  di  quelle  a  cui  più  specialmenle  si  dà  lifolo 
di  storiche,  erano  accadute  in  questo  frattempo.  Il  cardiniil  di  Riche- 
lieu,  presa,  come  s'è  detto,  la  Roccella,  abborracciata  alla  meglio  una 
pace  col  re  d'Inghilterra,  aveva  proposto  e  persuaso  con  la  sua  potente 
parola,  nel  Consiglio  di  quello  di  Francia,  che  si  soccorresse  efficace- 
mente il  duca  dì  Nevers;  e  aveva  insieme  determinalo  il  re  medesimo 
a  condurre  in  persona  la  spedizione.  Mentre  si  facevan  gli  apparecchi, 
il  conte  di  Nassau,  commissario  imperiale,  intimava  in  Mantova  al 
nuovo  duca,  che  desse  gli  stati  in  mano  a  Ferdinando,  o  questo  man- 
derebbe un  esercito  ad  occuparli.  Il  duca  clic,  in  più  disperate  circo- 
stanze, s'era  schermito  d'accettare  una  condizione  cosi  dura  e  così  so- 
spetta, inco'raggilò  ora  dal  vicino  soccorso  dì  Francia,  tanto  più  se  ne 
schenniva  ;  però  con  termini  in  cui  il  no  fosse  rigiralo  e  allungato , 
quanto  si  poteva,  e  con  proposte  dì  sommissione,  anche  più  apparente, 
ma  meno  costosa.  Il  commissario  se  n'era  andato,  proteslandogli  che 
^  verrebbe  alla  forza,  lo  marzo ,  il  cardinal  di  Richelieu  era  poi  ca- 
lalo iniatti  col  re;  alla  testa  d'un  e&ercito;  aveva  chiesto  il  passo  al 
duca  di  Savoia^  s'era  trattato;  non  s'era  concluso;  dopo  uno  soontro, 
col  vantaggio  de'  Francesi ,  s'era  trattato  dì  nuovo,  e  concluso  un  ac- 
cordo, nel  quale  il  duca,  tra  l'altre  eose,  aveva  stipulato  die  il  Cor- 
dova leverebbe  l'assedio  da  Gasale;  obbligandosi,  se  questo  ricusasse, 
a  unirsi  co' Francesi,  per  invadere  il  ducalo  di  Milano.  Don  Gonzalo, 
parendc^  andie  d'uscirne  con  poco,  aveva  levalo  l'assedio  da  Casale, 
dov'era  subito  entrato  un  corpo  di  Francesi,  a  rinforzar  la  guarnigione. 

Fu  in  questa  occasione  che  l'Achìllinl  scrisse  al  re  Luigi  quel  suo 
i  sonetto: 


Sodate,  a  fochi,  a  preparar  metalli: 

e  un  altro,  con  cui  l'esortava  a  portarsi  subito  alla  liberazione  di  Terra 
santa.  Ma  è  un  destino  che  i  pareri  de' poeti  non  siano  ascoltati  :  e  se 
nella  storia  trovate  de*  fatti  conformi  a  qualche  loro  suggerimento,  dite 
pur  francamente  ch'eran  cose  risolute  prima.  Il  cardinal  di  Richelieu 
aveva  in  vece  stabilito  di  ritornare  in  Francia,  per  affari  che  a  lui 
parevano  più  urgenti.  Girolamo  Soranzo,  inviato  de'  Veneziani,  potè 
bene  addurre  ragioni  per  combattere  quella  risoluzione;  che  il  re  e  il 


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BIS  I  PROMESSI  SPOSI 

cardinale,  dando  retta  alla  sua  prosa  come  ai  versi  dell' Achiliini ,  se 

ne  ritornarono  col  grosso  dell'  esercito ,  lasciando  soltanto  sei  imb 

uomini  in  Susa,  per  mantenere  il  passo,  e  per  caparra  del  trattato. 

Mentre  quell'esercito  se  n'andava  da  una  parie,  quello  di  Ferdinando 


s'avvicinava  dall'altra;  aveva  invaso  il  paese  de'Grigioni  e  la  V^t^i- 
na;  si  disponeva  a  calar  nel  milanese.  Oltre  tutti  i  danni  che  si  pò- 
tevan  temere  da  un  tal  passaggio,  eran  venuti  espressi  avvisi  al  tri- 
bunale della  sanità,  efae  in  quell'esercilo  covasse  la  peste,  della  quale 
allora  nelle  truppe  alemanne  c'era  sempre  qualche  spraEzo,come  dice 
il  Varchi,  parlando  di  quella  che,  un  secolo  avanti,  avevan  portata 
in  Firenze.  Alessandro  Tadino ,  uno  de'  conser\'alori  ddla  saniti , 
(eran  sei,  oltre  il  presidente:  quattro  magistrali  e  due  medici)  fii  in- 
caricato dal  tribunale,  come  racconta  lui  stesso,  in  quel  suo  raggua- 
glio già  citato  ',  di  rappresentare  al  governatore  Io  spaventoso  pericolo 
che  sovrastava  al  paese,  se  quella  gente  ci  passava,  per  andare  all'as- 
sedio di  Mantova ,  come  s'  era  sparsa  la  voce.  Da  tulli  i  portamenti 
di  àoa  Gonzalo ,  pare  che  avesse  una  gran  smania  d' acquistarsi  un 
posto  nella  storia,  la  quale  infatti  non  potè  non  occuparsi  di  Ini;  ma 
(  come  spesso  le  accade  )  non  conobbe ,  o  non  si  curò  di  pepsina» 
r  atto  di  lui  più  degno  dì  memoria ,  la  risposta  che  diede  al  Tadino 
in  quella  circostanza.  Rispose  che  non  sapeva  cosa  farci;  che  i  moUvi 
d' interesse  e  di  riputazione ,  per  i  quali  s'  era  mosso  queir  esercito, 

•  Par  le. 


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CAPITOLO  XXTIII.  1143 

pesavan  più  die  il  perìcolo  rappresentato  ;  dbe  con  tutto  ciò  si  cer- 
casse  di  riparare  alla  meglio ,  e  si  sperasse  nella  Provvidenza. 

Per  riparar  dunque  alla  meglio,  i  due  medici  della  Sanità  (il  Ta- 
dino suddetto  e  Senatore  Sellala,  tiglio  del  celebre  Lodovico)  propo- 
sero in  quel  tribunale  che  si  proibisse  sotto  severissime  pene  di  com- 
prar roba  di  nessuna  sorte  da'  soldati  di'  eran  per  passare  ;  ma  non 
Tu  possibile  far  intendere  la  necessità  d'un  lai  ordine  al  presidente, 
1  uomo,  »  dice  il  Tadino,  «  di  molla  bontà,  che  non  poteva  credere 
dovesse  succedere  incontri  di  morte  di  tante  migliaia  di  persone,  pei* 
il  comercio  di  questa  genie,  ci  loro  robbe.  »  Citiamo  questo  trailo  per 
uno  de' singolari  di  quel  tempo:  che  di  certo,  da  clic  ci  son  tribunali 
di  sanità,  non  accadde  mai  a  un  altro  presidente  d'  un  lai  corpo,  di 
fore  un  ragionamento  simile  ;  se  ragionamento  si  può  chiamare. 

In  quanto  a  don  Gonzalo,  poco  dopo  quella  risposta,  se  n'  andò  da 
Milano;  e  la  partenza  tu  trista  per  luì,  come  lo  era  la  cagione.  Ve- 
niva rimosso  per  i  caltivi  successi  della  guerra,  della  quale  era  stalo 
il  promotore  e  il  capitano;  e  il  popolo  lo  incolpava  della  fame  sofTerla 
sotto  il  suo  governo.  (Quello  che  aveva  fallo  per  la  peste ,  o  non  sì 
sapeva,  o  certo  nessuno  se  n'inquietava,  come  vedremo  più  avanti, 
'  fu(H*chè  il  tribunale  della  sanità,  e  i  due  medici  specialmente.)  All'  uscir 
dunque,  in  carrozza  da  viaggio,  dal  piazzo  di  corte,  in  mezzo  a  una 
guardia  d*  alid)ardieri ,  con  due  Irombetli  a  cavallo  davanti,  e  con 
altre  carrozze  di  nobili  che  gli  facevan  seguito,  fu  accollo  con  gran 
Osdiiale  da  ragazzi  di'  eran  radunali  sulla  piazza  del  duomo ,  e  che 
{^i  andaron  dietro  alla  rinfusa.  Entrala  la  comitiva  nella  strada  cIm: 
conduce  a  porla  licinese ,  di  dove  si  doveva  uscire ,  cominciò  a  Irò- 
varsi  in  mezzo  a  una  folla  di  gente  die,  parte  era  lì  ad  aspettare, 
parie  accorreva  ;  tanto  più  die  i  trombetti ,  uomini  di  formalità ,  non 
cessaron  di  sonare,  dal  palazzo  di  corte,  fino  alla  porta.  E  nel  pro- 
cesso che  si  fece  poi  su  quel  tumulto,  uno  di  costoro,  ripreso  che, 
con  quel  suo  trombettare,  fosse  stalo  cagione  di  farlo  crescere,  ri- 
sponde :  u  caro  signore ,  questa  è  la  nostra  professione  ;  et  se  S.  E. 
non  hauesse  liauuio  a  caro  che  noi  hauessimo  sonalo ,  doveva  co- 
mandarne cbe  tacessimo.  »  Ma  don  Gonzalo,  o  per  ripugnanza  a  far 
cosa  che  mostrasse  timore ,  o  per  Umore  di  render  con  questo  più 
ardita  la  moltitudine,  o  perchè  fosse  in  effelto  un  po'  sbalordito,  non 
dava  nessun  ordine.  La  mollitudine,  che  le  guardie  avevan  tentalo 
in  vano  di  respingere  ,  precedeva ,  circondava ,  seguiva  le  carrozze  , 


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S4R  I  PROMESSI  SPOSI. 

gridando:  <•  la  va  vja  la  careslra,  va  via  il  sangue  de'  poveri,  «  e 
peggio.  Quando  furon  vicini  alla  porla ,  cominciarono  anche  a  tirar 
sassi,  mattoni,  torsoli,  bucce  d'ogni  sorte,  la  munizione  solila  in  somma 
di  quelle  spedizioni;  una  parie  corse  sulle  mura,  e  di  là  fecero  un'ul- 
tima scarica  sulle  carrozze  die  uscivano.  Subilo  dopo  si  sbandarono. 


In  luogo  di  don  Gonzalo,  fu  mandalo  il  marcbe;»  Ambro^  Spi- 
nola, il  cui  nome  ave\'a  già  acquistala,  nelle  guerre  di  Fiandra,  qndla 
celd^rità  militare  che  ancor  gli  rimane. 

Inlanlo  l'esercito  alemanno,  sotto  il  comando  supremo  del  conte 
Rambaldo  di  Collallo  ,  allro  condoUiere  ilaliuno  ,  di  minore  ,  ma  non 
d'ultimu  fama,  aveva  ricevuLo  l'ordine  definitivo  di  portarsi  all'impresa 
di  Mantova;  e  nel  mese  di  sellembi-e,  entrò  nel  ducato  di  Milano. 

La  miliua,  a  que'  tempi,  era  ancor  composta  in  gran  parte  di  soldati 
di  ventura  arrolati  da  condottieri  di  mestiere,  per  commissione  di  que- 
sto 0  di  quel  principe,  qualche  volta  anche  per  loro  proprio  conio,  e  per 
vendersi  poi  insieme  con  essi.  Più  che  dalle  paghe,  erano  gli  uomini 
attirali  a  quel  mestiere  dalle  speranze  del  saccheggio  e  da  lutti  gli  al- 
lenamenti della  licenza.  Disciplina  stabile  e  generale  non  ce  n'era;  ne 
avrebbe  potuto  accordarsi  vosi  facilmente  con  l'aulorità  in  parte  indi- 
pendente de'  vari  condottieri.  Questi  poi  in  particolare,  né  erano  molto 
raHlnatori  in  fatto  di  disdplina ,  né ,  anche  volendo ,  si  vede  come 
avrebbero  potuto  riuscire  a  stabilirla  e  a  nianlencrla;  che  soldati  dì 
quella  razza ,  o  si  sarebbero  rivollati  contro  un  condoUiere  novatore 


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capìtolo  XWIIL  at9 

che  si  fosse  messo  in  lesta  d'abolire  il  saccheggio;  o  per  lo  meno, 
l'avrebbero  lasciato  solo  a  guardar  le  bandiere.  Oltre  di  ciò,  siccome 
i  principi,  nel  prendere,  per  dir  cosi,  ad  affìtto  quelle  bande,  guarda- 
van  più  ad  aver  genie  in  quantità,  per  assicurar  l'imprese,  die  a  pro- 
porzionare il  numero  alla  loro  facollà  di  pagare,  per  il  solilo  mollo 
scarsa;  cosi  te  paglie  venivano  per  lo  più  tarde,  a  conto,  a  spizzico; 
e  le  spoglie  de'  paesi  a  cui  la  toccava,  ne  divenivano  come  un  sup- 
plimenlo  (acilamente  eonvenulo.  É  celebre ,  poco  meno  del  nome  di 
WallenstA.'ìii,  quella  sua  seiilenza  :  esser  più  facile  mantenere  un  eser- 
cito di  cento  mila  uoinrni,  die  uno  di  dodici  mila.  £  questo  di  cui 
partiamo  era  in  gran  parte  composto  della  gente  che,  sotto  il  suo 
comando,  aveva  desolata  la  Germania,  in  quella  guerra  celebre  Ira  le 
guerre,  e  per  se  e  per  i  suoi  elTelti,  che  ricevette  poi  il  nome  da' 
Ircnt'aniii  della  sua  durala:  e  allora  ne  correva  l'undecimo.  C'era 
anzi,  condotto  da  un  suo  luogotenente,  il  suo  proprio  reggimealo; 
degli  altri  condottieri,  la  più  parie  avevan  comandato  sotto  di  lui,  e 
ci  si  trovava  più  d'uno  di  quelli  che,  quattr'anni  dopo,  dovevano 
aiutare  a  fargli  far  quella  cattiva  fine  che  ognun  sa. 

Eran  vent'otlo  mila  fanti,  e  sette  mila  cavalli;  e,  scendendo  dalla 
Valtellina  per  portarsi  nel  mantovano,  dovcvan  seguire  tulio  il  corso 
che  fa  l'Adda  per  due  rami  di  lago,  e  poi  di  nuovo  come  fiume  fino 
al  suo  sbocco  in  Po,  e  dopo  avevano  ud  buon  tratto  di  questo  da 
cost^giare:  in  tutto  otto  giornale  nel  ducalo  di  Milano. 

Una  gran  parie  degli  abitanti  si  riftigiavano  su  per  i  monti ,  por- 
tandovi quel  che  avevan  di  meglio,  e  cacciandosi  innanzi  le  bestie; 
altri  rimanevano,  o  per  non  abbandonar  qualche  ammalato,  o  per  pre- 
servar la  casa  dall'incendio,  o  per  tener  d'occhio  cose  preziose  nasco- 
ste, sotterrale;  altri  perchè  non  avevan  nulla  da  iierderc,  o  anclie  (a> 
cevan  conio  d'acquistare.  Quando  la  prima  squadra  arrivava  al  paese 
della  fermata,  si  spandeva  subilo  per  quello  e  per  i  circonvicini,  e  li 
metteva  a  sacco  addiriltura:ciò  che  c'era  da  godere  o  da  portar  via, 
spariva;  il  rimanente,  lo  distruggevano  o  lo  rovinavano;  i  mobili  dì- 
venlavan  legna,  le  case,  stalle:  senza  parlar  delie  busse,  delle  ferite, 
degli  stupri.  Tutti  i  ritrovati,  (ulte  l'astuzie  per  salvar  la  rol>a,  riu- 
sdvano  per  lo  più  inutili,  qualche  volta  portavano  danni  maggiori.  I 
stridali,  gente  ben  più  pralica  degli  sd'alagemniì  anche  di  questa  guerra, 
frugavano  per  tulli  i  buchi  delle  case,  smuravano, diroccavano;  cono- 
seevan  Eacilmenle  negli  orli  la  terra  smossa  di  fresco;  andarono  fino  su 


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SM  I  PR(»IESSI  SPOSI 

per  i  moatj  a  rubare  il  bestiame  ;  andarooo  nelle  grotte ,  guidati  da 
qualdie  birbnnle  del  paese,  io  cerca  di  qualche  riceo  ehe  vi  «  fosse 
rimpiattato;  lo  strascinavano  alla  sua  casa,  e  con  tortura  di  miuacoe 
e  di  percosse,  lo  costringevano  a  indicare  il  tesoro  nascosto. 

Finalmente  se  n'andavano;  erano  andati;  sì  seoliva  da  lontano  mo- 
XÌF€  il  suono  de'  tamburi  o  delle  trombe;  succedevano  alcune  ore 
d'  una  quiete  spaventata;  e  poi  un  nuovo  maledetto  batter  di  cassa, 
un  nuovo  maledetto  suon  di  trombe ,  annunziava  un'  altra  squadra. 
Questi,  non  trovando  più  da  liir  preda,  con  tanto  più  furore  facevano 
sperpero  del  resto,  bruciavan  le  botti  votate  da  quelli,  gli  usci  delle 
stanze  dove  non  c'era  più  nulla,  davan  fuoco  anche  alle  case;  e  con 
tanta  più  rabbia,  s'intende,  maltratlavaa  le  persone;  e  cosi  di  p^gio 
in  peggio,  per  venti  giorni:  che  in  tante  squadre  era  diviso  l'esercito. 

Colico  fu  la  prima  terra  del  ducato,  che  invasero  que'  demòni;  ^ 
gellarono  poi  sopra  Sellano;  di  là  entrarono  e  si  sparsero  nella  Val- 
sassina,  da  dove  sboccarono  nel  territorio  di  Lecco. 


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CAPITOLO  XXIX. 


,  fra  i  poveri  spaventati  traviamo 
persone  di  nostra  conoscenza. 

Chi  non  ha  visto  dòn  AUwndio, 
il  giorno  che  si  sparsero  tutte  in 
una  volta  le  notizie  della  calata 
dell'esercito,  del  suo  awieinarsi, 
e  de'  suoi  portamenti ,  non  sa  bene 
cosa  sìa  impiccio  e  spavento.  Ven- 
gono ;  son  trenta ,  son  quaranta , 
son  cinquanta  mila;  son  dìavtdi , 
SODO  ariani,  sono  anticristi;  hanno 
saccheggiato  Corlcnuova;  bùi  dato 
fuoco  a  Prìmaluna:  devastano  In- 
Irobbio,  Pasturo,  Barsio;  sono  ar- 
rivati a  Balabbio;  domani  son  qui:  tali  eran  le  voci  che  passavan  di 
bocca  in  bocca;  e  insieme  un  correre,  un  fermarsi  a  vicenda,  un 


Digitizf^riiiyGoOgle 


HHS  I PR0UBS3I  SPOSI 

consultare  tumultuoso ,  un'  esitaùooe  tra  il  Tu^^ire  e  il  reslare ,  un 
radunarsi  di  donne,  un  metter  le  mani  ne'  capelli.  Don  Abbondio, 
risoluto  dì  fuggire,  risoluto  prima  di  tulli  e  più  di  tutU,  vedeva 
però,  in  ogni  strada  da  prendere,  in  ogni  luogo  da  ricoverarsi,  osta- 
coli insuperabili  e  pericoli  spaventosi.  «  Come  fare?»  esclamava: 
<•  dove  andare?  »  I  monti,  lasciando  da  parte  la  dififlcdlà  del  cam- 
mino, non  eran  sicuri:  ^à  s'ora  saputo  che  i  lanzicbeoeechì  vi  s'ar- 
rampicavano come  gatti,  dove  appena  avessero  indizio  o  speranta 
di  far  preda,  n  lago  era  grosso;  tirava  un  gran  vento  :  oltre  di  questo, 
la  più  parte  d^  barcaioli ,  temendo  d' esser  forzati  a  tragittar  sol- 
dati 0  bagagli,  s' eran  rifugiati,  con  le  loro  barche,  all'altra  riva: 
Dlcune  poche  rimaste ,  eran  poi  partite  stracariche  di  genie  ;  e,  Ira- 
vagliate  dal  peso  e  della  burrasca,  si  diceva  elie  pericolassero  ogni 
momento.  Per  portarsi  lontano  e  fuori  della  strada  che  l' esercita 
aveva  a  percorrere,  non  era  possibile  trovar  né  un  calesse,  né  un 
cavallo,  né  alcun  altro  mezzo:  a  piedi,  don  Ablmndlo  non  avrebbe 
p(^uto  far  troppo  cammino,  e  temeva  d'  esser  raggiunto  per  istrada, 
n  territorio  bergamasco  non  era  tanto  distante,  che  le  sue  gambe  non 
ce  lo  potessero  portare  in  una  tirala  ;  ma  si  sapeva  eh'  era  stalo 
spedito  in  fretta  da  Bergamo  uno  squadrone  di  cappellttti,  il  qual 
doveva  costeggiare  il  confine ,  per  tenere  in  suggezione  i  lanzicbe- 
neccbi;  e  quelli  eran  diavoli  in  carne,  né  più  né  meno  dì  questi,  e 
faeevan  dalla  parte  loro  il  peggio  che  potevano.  U  pover"  uomo  cor- 
reva, stralunato  e  mezzo  fuor  di  sé,  per  la  casa;  andava  dietro  a 
Perpetua,  per  concertare  una  risoluzione  con  lei;  ma  Perpetua,  af- 
fbcoendata  a  raccogliere  il  meglio  di  casa,  e  a  nasconderlo  in  soffitta, 
o  per  i  bugigattoli,  passava  di  corsa,  affannata,  preoccupata,  con  le 
mani  0  con  le  braccia  piene,  e  rispondeva:  "  or  ora  finisco  di  met- 
ter questa  roba  al  sicuro,  e  poi  faremo  anche  noi  come  fanpo  gli 
altrì.  »  Don  Abbondio  voleva  trattenerla,  e  discuter  con  lei  i  vari 
.parliti;  ma  lei,  tra  il  da  fare,  e  la  fretla,  e  lo  spavento  che  aveva 
.anch'essa  in  corpo,  e  la  raU»ia  che  le  faceva  quello  del  padrone, 
en,  in  tal  congiuntura,  meno  trattabile  di  quel  die  fosse  stata  mai. 
"  S'ing^piano  gli  altri;  c'ingegneremo  anclie  noi.  Mi  scusi,  ma  non 
é  capace  che  d' impedire.  Crede  lei  che  anche  gli  altri  non  abbiano 
luia  pdfe  da  salvare?  Che  vengono  per  far  la  gueira  a  lei  i  soldati? 
Potrdjbe  andie  dare  una  mano,  in  questi  m(Mnenti,  in  vece  di  venir 
tra'  piedi  a  piangere  e  a  impieeiare.  ••  Con  queste   e  simili  risposte 


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CAPITOLO  XXIX.  BUS 

si  sbrigava  da  lui,  avendo  già  stabililo,  finila  che  fosse  alla  meglio 
quella  tumultuaria  operazione,  di  prenderlo  per  uo  braccio,  come 
Dn  ragazzo,  e  di  strascinarlo  su  per  una  montagna.  Lasciato  così 
solo,  s' alTaccrava  alla  lìneslra,  guardava,  tendeva  gli  orecclti;  e  ve- 
drndo  passar  qualclicduno .  gridava  con  una  voce  mezza  di  pianto  e 
mezza  di  rimprovero:  «  fole  questa  carità  al  vostro  povero  curalo  di 
cercargli  qualche  cavallo,  qualche  mulo,  qualche  asino.  Possibile  che 
nessuno  mi  voglia  aiutare!  Oh  che  genie!  Aspelfalerai  almeno  ,  che 
pos.«i  venire  anch'io  con  voi  ;  aspellate  d'  esser  quindici  o  ^'cnli ,  da 
condurmi  via  insieme ,  di'  io  non  sìa  aUiandonalo.  Volete  lasciarmi 
in  man  de'  cani  ?  Non  sapete  che  sono  luterani  (a  più  parte ,  che 
amnia27jire  un  sacerdote  l'hanno  per  opera  meritoria?  Volete  la- 
sciarmi qui  a  ricc\'crc  il  martirio?  Oh  che  gente  !  Oh  che  gente  !  » 
Ma  a   chi  diceva  queste   cose?   Ad  uomini    che   passavano  curvi 


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SUI  I  PROUESSI  SPOSI 

sotto  il  peso  della  loro  povera  roba ,  pensando  a  quella  che  lasci»- 
vano  tn  casa,  spingendo  le  loro  vaccherelle,  cooducendosi  dietro  i 
figli ,  caricbì  anch'  essi  quanto  potevano ,  e  le  donne  con  in  collo 
quelli  elle  non  potevan  camminare.  Alcuni  tiravan  di  lungo,  senta 
rispondere  uè  guardare  in  su;  qualclieduno  diceva  :  «  eh  messere! 
faccia  anche  lei  come  pud;  fortunato  lei  che  non  ha  da  pensare  alla 
famiglia;  s'aiuti,  s'ingegni.  •> 

"  Oh  povero  ine!  »  esclamava  don  Abbondio:  «  oh  che  genie! 
die  cuori!  Non  e*  è  carità  :  ognun  pensa  a  sé;  e  a  me  nessuno  vuol 
pensare.  «  E  lorna^'a  in  cerca  di  Perpetua. 

u  Oh  appunto!  »  gli  disse  questa:  «  e  i  danari?  » 

u  Come  faremo?» 

«  Li  dia  a  me,  clie  anderò  a  sollerrarli  qui  nell'orlo  di  casa,  in- 
sieme con  le  posate,  n 

«  IWa  . . .  .  » 

f  Ma,  ma;  dia  qui;  tenga  qualche  soldo,  per  quel  che  pu.6  occor- 
rere ;  e  poi  lasci  fare  a  me.  n 

Don  Abbondio  ubbidì,  andò  alio  scrigno,  cavò  il  suo  lesoretlo,  e 
lo  consegnò  a  Perpetua;  la  quale  disse:  «  vo  a  sotterrarli  netrorlo, 
appiè  del  fico;  »  e  andò.  Ricomparve  poco  dopo,  eoo  un  paiiiere 
(love  e'  era  della  muniuone  da  bocca ,  e  con  una  piccola  gerla  vola; 
e  si  mise  in  fretta  a  collocarvi  nel  fondo  un  po'  di  biancheria  sua  e 
del  padrone,  dicendo  inlanlo:  «il  breviario  almeno  lo  porterà  lei.» 

«  Ma  dove  andiamo  ?  » 

uDove  vanno  tulli  gli  altri?  Prima  di  tutto,  anderemo  in  istrada; 
e  là  sentiremo,  e  vedremo  cosa  convenga  di  fare.  » 

In  quel  momento  entrò  Agnese  con  una  gerletla  sulle  spalle,  e  in 
aria  di  chi  viene  a  fare  una  proposta  importante. 

Agnese,  risoluta  anche  lei  di  non  aspettare  ospiti  dì  quella  sorte, 
sola  in  casa,  com'era,  e  con  ancora  un  po'  di  quell'oro  dell' inno- 
minalo, era  slata  qualche  tempo  in  forse  del  luogo  dove  ritirarsi.  Il 
residuo  appunto  dì  quegli  scudi ,  che  ne'  mesi  della  fame  le  avevan 
fallo  tanto  prò ,  era  la  cagion  principale  della  sua  angustia  e  della 
irresoluzione,  per  aver  essa  sentilo  clie,  ne'  paesi  già  invasi,  quelli 
che  avevan  danari,  s'eran  trovati  a  più  lerribil  condizione,  esposti 
insieme  alla  violenza  degli  stranieri,  e  all'insidie  de'  paesani.  Era  vero 
clic,  del  bene  piovutole,  come  si  dice,  dal  delo,  non  aveva  fatta  la 
confidenza  a  nessuno,  fuorché  a  don  Abbondio;  dal  quale  andava. 


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CAPITOLO  XXIX.  att 

volta  per  volta ,  a  (arsi  spicciolare  uno  scudo ,  lasciandogli  sempre 
qualcòsa  da  dare  a  qualcheduno  più  povero  di  lei.  Ma  i  daiiaii  na- 
scosti, specialmente  chi  non  è  avvezzo  a  maneggiarne  molti,  tengono  il 
possessore  in  un  sospetto  cfHilinuo  del  sospetto  altrui.  Ora ,  mentre 
andava  anch'  essa  rimpiatlando  qua  e  là  alla  meglio  ciò  che  non  po- 
teva portar  con  sé ,  e  pensava  agli  scudi ,  che  teneva  cucili  nel  bu- 
sto, si  rammentò  die,  insieme  con  essi,  l'innominato,  le  aveva  man* 
date  te  più  largite  ofTerle  di  servizi;  si  rammentò  le  cose  die  aveva 
sentito  raccontare  di  quel  suo  castello  posto  in  luogo  cosi  sicuro,  e 
dove,  a  dispetto  del  padrone,  non  potevano  arrivar  se  non  gli  uc- 
celli; e  si  risolvelte  d'andare  a  chiedere  un  asilo  lassù.  Pensò  come 
potrdibe  Earsi  conoscere  da  quel  signore,  e  le  venne  subito  in  mente 
don  Abbondio;  il  quale,  dopo  quel  colloquio  cosi  fatto  con  l'arcive- 
scovo, le  aveva  sempre  fatto  festa,  e  tanto  più  di  cuore,  die  lo  po- 
teva senza  compromettersi  con  nessuno ,  e  che ,  essendo  lontani  t 
due  giovani,  era  anche  lontano  il  caso  die  a  lui  venisse  fatta  una 
richiesta,  la  quale  avrebbe  messa  quella  benevolenza  a  un  gran  ci- 
mento. Suppose  che,  in  un  tal  parapiglia,  il  pover'uomo  doveva  es- 
ser ancor  più  iiupicdato  e  più  sbigollilo  di  lei ,  e  die  il  partilo  pò- 
lr^d>e  parer  molto  buono  anche  a  lui;  e  glielo  veniva  a  proporre. 
Trovatolo  con  Perpetua,  fece  la  proposta  a  tuli' e  due. 

u  Che  ne  dite,  Perpetna?  »  domandò  don  Abbondio. 

a  Dico  che  è  un'  ispirazione  del  cielo ,  e  che  non  bisf^na  perder 
tempo,  e  mettersi  la  strada  Ira  le  gambe.  » 

u  E  poi ....  " 

«  E  poi,  e  p(M,  quando  saremo  là,  ci  troveremo  ben  contenti. 
Quel  signore,  ora  si  sa  che  non  vorrebbe  altro  che  lar  servizi  al  pros- 
simo; e  sarà  ben  contento  andie  lui  (U  ricoverarci.  Là,  sul  conline,  e 
così  per  aria,  s(dda(i  non  ne  verrà  certamente.  E  poi  e  poi,  ci  trove- 
remo anche  da  mangiare;  che,  su  per  i  monti,  finita  questa  poca  gra- 
zia di  Dio,»  e  così  dicendo,  l'acconnidava  nella  gerla,  sopra  la  bian- 
cherìa, «  ci  saremmo  trovali  a  mal  parlilo,  i 

e  Convertito,  è  convertilo  davvero,  eh?» 

»  Che  e'  e  da  dubitarne  ancora ,  dopo  tutto  qudlo  che  si  sa , 
dopo  quello  che  anche  lei  ha  veduto?  » 

«  E  se  andassimo  a  metterci  in  gabbia  ?  » 

»  Che  gabbia  ?  Con  tulli  codesti  suoi  casi ,  mi  scusi ,  non  ^  ver- 
rebbe mai  a  una  conclusione.  Brava  Agnese  !  v'  è  proprio  venuto  un 


Digitizf^riiiyGoOgle 


sue  I  PROHCSSl  SPOSI 

buon  pensiero.  »  E  messa  la  gerla  sur  un  tavolino,  posso  le  bracai 
nelle  cigne ,  e  la  prese  sulle  spalle. 

«  Non  si  potrebbe,  "  disse  don  Abbondio  trovar  qualdie  uomo 
die  vaiìsse  con  noi,  per  far  la  scoria  al  suo  curalo?  Se  ìncontrassii- 
DIO  qualche  birbone,  cl>e  por  troppo  ee  n'c  in  giro  parccdii,  che 
aiuto  ni'  avete  a  dar  voi  altre?  » 

«  Un'altra,  per  perder  tempo!  »  esclamò  Perpetua.  «  AndtuHo  a 
cercar  ora  l'uomo,  che  ognuno  ha  da  pensare  a'  folli  su<m.  Animo! 
vada  a  prendere  il  breviario  e  il  cappello;  e  andiamo.  » 

Don  Abbondio  andò,  tornò,  di  lì  a  tin  momento,  col  breviario  sotlo 
il  braccio,  col  cappello  in  capo,  e  col  suo  bordone  in  mano;  e  usa- 
rono lult' e  tre  per  un  usciolino  che  melteva  sulla  piazzetta.  Perpetua 
ridtiuse ,  più  per  non  trascurare  una  formalità ,  che  per  fede  dw 
avesse  in  quella  toppa  e  in  que'  baUenti ,  e  mise  la  chiave  in  taso. 
Don  Abbondio  diede,  nel  passare,  un'  occhiata  alla  chiesa,  e  disse  tra 
i  denti  :  u  al  popolo  tocca  a  custodirla ,  die  serve  a  lui.  Se  liaono 
un  po'  dì  cuore  per  la  loro  chiesa,  ci  penseranno;  se  poi  non  hanno 
cuore ,  tal  sia  di  loro.  » 

Presero  per  i  campi,  zitti  zitti,  pensando  4^uno  a'  casi  suoi,  e 
guardando^  intorno,  specialmente  don  Abbondio,  se  apparisse  qualche 
figura  sospetta,  qualcosa  di  straordinario.  Non  s'incontrala  nessuno: 
la  gente  era,  o  ndle  case  a  guardarle ,  a  far  fagotto ,  a  nascondere , 
o  per  le  strade  che  conducevan  direttamente  all'  alture. 

Dopo  aver  sospirato  e  risospiralo ,  e  poi  lasciato  scapitar  qualche 
interiezione,  don  Abbondio  cominciò  a  brontolare  più  di  seguilo.  Se 
la  prendeva  col  duca  di  Nevers,  che  udrebbe  potuto  stare  in  Francia 
a  godersela,  a  Tare  il  principe,  e  voleva  esser  duca  di  Mantova  a  di- 
si>c(lo  del  mondo;  con  l' imperatore  ,  che  avrebbe  do\:uto  a\er  giu- 
dizio per  gli  altri,  lasciar  correr  l' acqua  all'  ingiù ,  non  islar  su  tutti 
i  puntigli:  che  lìnalmente,  lui  sardtbe  sempre  slato  l'imperatore, 
fosse  duca  di  Mantova  Tizio  o  Sempronio.  L'aveva  principalmente  col 
governatore,  a  cui  sarebt>e  toccato  a  lar  di  tutto,  per  lenur  lontani 
i  flagelli  dal  paese,  ed  era  lui  che  ce  gii  attirava:  tutto  per  il  gusto 
di  far  la  guerra.  ^  Bisognerebbe,  »  diceva,  «  che  fossero  qui  que' 
signori  a  vedere,  a  provare ,  che  gusto  è.  Hanno  da  rendere  un  M 
conto!  Ma  inlaitlo,  ne  va  di  mezzo  chi  non  ci  ha  cólpa.  « 

«  Lasci  un  po'  star  codesta  gente  ;  che  già  non  son  qudli  cbe  ci 
verranno  a  aiutare,  "  diceva  Perpetua.  «  0>dcste .  mi  scusi ,  sono  di 


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CAPITOLO  XXIX.  BBT 

quelle  sue  solile  chiacdiiere  che  dod  concludoo  nulla.  Piuttosto,  quel 
che  mi  dà  uoia  ...» 

u  Cosa  c'è?  » 

Perpetua,  la  quale,  in  quel  pezzo  di  strada,  aveva  pensalo  eoo 
comodo  at  naseondimenlo  fallo  in  furia,  cominciò  a  lamentarsi  d'aver 
dimenticata  la  lai  cosa,  d'aver  mal  riposta  la  tal  altra;  qui,  d'aver 
lasciala  una  traccia  che  poteva  guidare  t  ladroni,  là  .  .  . 

u  Brava!  »  disse  don  Abbondio,  ormai  sicuro  della  vita,  quanto 
bastava  per  poter  angustiarsi  della  roba  :  »  brava  !  cosi  avete  folto .? 
Do%e  avevate  la  lesta  ?  » 

V  Come  !  »  esclamò  Perpetua ,  fermandosi  un  momento  su  due 
piedi,  e  melleudo  i  pugni  su'  (lancili,  in  quella  maniera  che  la  gerla 
glielo  permctieva  :  <•  come  !  verrà  ora  a  farmi  codesti  rimproveri , 
quand'era  lei  che  me  la  faceva  andar  via,  la  lesta,  in  vece  d'aiutarmi 
e  farmi  coraggio  !  Ho  pensato  forse  più  alla  roba  di  casa  die  alla 
mia;  non  bo  avuto  chi  mi  desse  una  mano; ho  dovuto  far  da  Marta 
e  Maddalena  ;  se  qualcosa  anderà  a  male ,  non  so  cosa  mi  dire  :  lio 
fatto  anche  più  del  mìo  dovere.  » 


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Mt  1  PROUESSI  SPOSI 

Agnese  interrompeva  questi  contrasti ,  entrando  andie  lei  a  par- 
lare de'  suoi  guai  :  e  non  si  rammaricava  tanto  dell'  incomodo  e  dei 
danno,  quanto  di  vedere  svanita  la  speranza  di  riabbracciar  presto  la 
sua  Lucia  ;  che ,  se  vi  rammentate ,  era  appunto  qudl'  autunno  sul 
quale  ave\'an  fatto  assegnamento  :  né  era  da  supporre  che  donna 
Prassede  volesse  venire  a  vill^giare  da  quelle  parli ,  in  tali  circo- 
hianze  :  piuttosto  ne  sarebbe  partita,  se  ci  si  fosse  trovala,  come  &- 
cevan  lutti  gli  altri  villeggianti. 

La  vista  de'  luoghi  rendeva  ancor  più  vivi  qua'  pensieri  d'Agnese, 
e  più  pungente  II  suo  dispiacere.  Usciti  da'  sentieri,  avevan  presa  la 
strada  pubblica ,  quella  medesima  per  cui  la  povera  donna  era  ve- 
nuta riconducendo,  per  così  poco  tempo ,  a  casa  la  figlia,  dopo  aver 
soggiornato  con  lei,  in  casa  del  sarto.  E  già  si  vedeva  il  paese. 

"  Anderemo  bene  a  salutar  quella  brava  gente,  »  disse  Agnese. 

"  E  anche  a  riposare  un  pochino  :  che  di  questa  gerla  lo  comin- 
cio ad  averne  abbastanza  ;  e  poi  per  mangiare  un  boccone ,  »  disae 
Perpetua. 

«  Con  patto  di  non  perder  tempo  ;  che  non  siamo  in  viaf^o  per 
divertimento,  n  concluse  don  Abbondio. 

Furono  ricevuti  a  braccia  aperte,   e   veduti   con   gran   piacere: 


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CAPITOLO  XXIX.  «19 

ranineDlavano  una  buona  azione.  Fate  -del  bene  a  quanti  più  potete, 
dice  qui  il  nostro  autore  ;  e  vi  seguirà  tanto  più  spesso  d' incontrar 
de'  visi  che  vi  mettano  allegria. 

Agnese,  nell' abbracciar  la  buona  donna,  diede  in  un  dirotto  pian- 
to, che  le  Tu  d'  un  gran  sollievo  ;  e  rispondeva  con  singliiozci  alle  do- 
mande che  quella  e  il  marito  le  facevan  di  Lucìa. 

uSfa  meglio  di  noi,»  disse  don  Abbondio:  «è  a  Milano,  fuor  de' 
perìcoli,  lontana  da  queste  diavolerie,  x 

«  Scappano,  eli?  il  signor  curato  e  la  compagnia,  «  disse  il  sarto. 

u  Sicuro,  »  risposero  a  una  voce  il  padrone  e  la  serva. 

»  Li  compatisco.  » 

H  Siamo  incamminali,  »  disse  don  Abbondio;  «  ai  castello  di  "  *.  » 

«  L' hanno  pensala  bene  :  sicuri  come  in  chiesa.  » 

<•  E  qui,  non  ttanno  paura  ?  »  disse  don  Ablrandio. 

«  Dirò,  signor  curato  :  propriamente  in  Oipitazione ,  come  lei  sa 
che  sì  dice,  a  parlar  bene ,  qui  non  dovrebbero  venire  coloro  :  siam 
troppo  fuori  della  loro  strada,  grazie  al  cielo.  AI  più  al  più,  qualche 
scappala,  che  Dio  non  voglia:  ma  in  ogni  caso  c'è  tèmpo;  s'hanno  a 
sentir  prima  altre  notizie  da'  poveri  paesi  dove  anderanno  a  fermarsi.  » 

Si  concluse  di  star  li  un  poco  a  prender  fiato  ;  e ,  'siccome  'en 
l'ora  dd  dennare,  «  signori,  n  disse  il  sarto:»  devono  onorare. la 
mia  povera  tavola  :  alla  buona  :  ci  sarà  un  piallo  di  buon  viso.  » 

Perpetua  disse  d' aver  con  sé  qualcosa  da  rompere  il  digiuno.  Dopo 
un  po'  di  cerimonie  da  una  parte  e  dall'altra,  si  venne  a  patti  d'ac- 
cozzar, come  si  dice,  il  pentolino,  e  di  desinare  in  compagnia. 

I  ragazzi  s'eran  messi  con  gran  festa  intomo  ad  Agnese  loro  amica 
vecchia.  Presto,  presto  ;  il  sarto  ordinò  a  una  bambina  (  quella  clic 
aveva  portalo  quel  boccone  a  Maria  vedova  :  chi  sa  se  \t  ne  ram- 
mentate più!),  ehe  andasse  a  diricciar  quattro  castagne  primalicce, 
di'eran  riposte  in  un  canluccio:  e  le  mettesse  a  arrostire. 

«  E  tu,  »  disse  a  un  ragazzo,  «  va  nell'  orto ,  a  dare  una  scossa 
al  pesco,  da  fome  cader  quattro ,  e  portale  qui  :  tutte,  ve'.  E  tu,  "' 
disse  a  un  altro,  u  va  sul  fico,  a  coglierne  quattro  de'  più  maturi.  Già 
lo  conoscete  anche  troppo  quel  mestiere.  «  Lui  andò  a  spillare  una 
sua  bollicina  ;  la  donna  a  prendei^  un  po'  di  biancheria  da  taiola. 
Perpetua  cavò  fuori  le  provvÌ8Ìoni;s' apparecchiò:  un  tovagliato  e  un 
piatto  di  maiolica  al  posto  d'onore,  per  don  Abbondio,  con  una  po- 
sala che  Perpetua  aveva  nella  gerla.  Si  misero  a  tavola,  e  desinarono, 


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BW  1  PfUMBSSI  SPOSI 

se  non  con  grand' allegria,  almeno  con  molta  più  che  nessuno  de' 
GOtninensali  si  fosse  aspettalo  d'  averne  in  quella  gioniata. 

«  Cosa  ne  dice,  signor  curato,  d'  uno  scombussolamento  di  questa 
sorte  ?  »  disse  il  sarto  :  »  mi  par  di  leggere  la  storia  de'  otóri  in 
Francia.  » 

u  Cosa  devo  dire?  Mi  doveva  cascare  addosso  ancbc  questa!  » 


«  Però,  hanno  scelto  un  bu0n''rieovero ,  «  riprese  quello:  »  ci» 
diavolo  ha  a  andar  lassù  per  forza?  E  troveranno  compagnia:  cliè  già 
s'è  sentito  che  ei  sia  rifugiata  molla  genie,  e  che  ce  n'  arrivi  tutlora.  « 

"  Vt^lio  sperare,  «  disse  don  Abbondio,  Bcbe:saremo  ben  aec<Jli- 
Lo  conosco  quel  bravo  signore;  €■  quando  tio 'a%'uto  tiii' allra  voli» 
l'onore  di  trovarmi  coji  lui,  fu  così  compito!  « 

»  G  a  me,"  disse  Agnese,  utn'  ha  fatto  dire  dal  signor  monsignor 
illustrìssimo,  ette,  quando  aves^  bisogno  di  qualcosa,  bastava  die  an- 
das^  da  lui.  »  ^ 

"  Gi^an  bt'lla  conversione  !"  riprese  don  Abbondio:  «  e  si  man* 
tiene,  n'c  vero?  si  mantiene.  » 


Diiìitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  XXIX.  Kflt 

Il  sarto  si  mise  a  parlare  alla  distesa  della  saiila  vita  dell'  innomi- 
iialo ,  e  come  ,  dall'  essere  il  flagello  de'  contorni ,  n'  era  divenuto 
r  esempio  e  il  l)enefat(ore. 

u  E  quella  gente  die  teneva  con  sé  ?.. .  tutta  quella  servitù  ?..  » 
riprese  don  Abbondio,  il  quale  n'aveva  più  d'una  volta  sentito  dir 
qualcosa,  ma  non  era  mai  quieto  abbastanza. 

"  Sfrattali  la  più  parte ,  »  rispose  il  sarto  :  "  e  quelli  cbe  son  ri- 
masti, Itan  mutato  sistema,  ma  come  !  In  somma  è  diventato  quel  ea- 
slello  una  Tebaldo  ;  la  le  sa  queste  cose.  » 

Entrò  poi  a  parlar  con  Agnese  della  vtsila  del  cardinale.  «  Gran- 
d'uomo!  n  diceva;  «  grand' uomo!  Peccalo  che  sia  passalo  di  qui 
così  in  furia,  che  non  ho  né  anche  potuto  fai^li  un  po'  d'onore. 
Quanto  sarei  conlento  di  potergli  parlare  un'altra  volta,  lui  po'  più 
con  comodo  » 

Alzati  poi  da  tavola,  le  fece  osservare  una  stampa  rappresentante  il 
cardinale,  che  teneva  attaccata  a  un  l>attenlc  d'uscio,  in  venerazione 
del  personaggio ,  e  anche  per  poter  dire  a  cliiunque  capitasse ,  che 
non  era  somigliante;  giacché  lui  aveva  potuto  esaminar  da  vicino  e 
con  comodo  il  cardinale  in  persona ,  in  quella  medesima  slan^. 


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nei  I  f>RO]iessi  SPOSI 

u  L'Iianiio  volutu  (av  luì,  con  questa  cosa  qui?  »  disse  Agnese. 
u  Nel  vestilo  gli  somiglia;  ma  ...  n 

»  N'  è  vero  clic  non  somiglia?  "  disse  il  sarlo  :  «  lo  dico  sempre 
aiicir  io  :  noi,  non  e'  ingannano  ,  eli  ?  ma  ,  se  non  allro ,  e'  è  sotto  il 
suo  nome  :  è  una  memoria.  » 

Don  Abbondio  faceva  fretta  ;  il  sarto  s' impegnò  dì  trovare  nii  ba- 
roccio  che  li  conducesse  appiè  della  salila  m'andò  subilo  in  cerca,  e 
poco  dopo,  lornò  a  dire  che  arrivava.  Si  voltò  poi  a  don  AUnuidìo, 
e  gli  disse  :  «  signor  curato,  se  mai  desiderasse,  di  poriiir  lassa  qual- 
che libro,  per  passare  il  tempo,  da  pover'  uomo  posso  servirla  :  die 
anch'  io  mi  diverto  un  po'  a  leggere.  Cose  non  da  par  suo ,  libri  in 
volgare  ;  ma  però  ..." 

u  Grazie,  grazie,  "  ris|>ose  don  Abbondio  :  <•-  son  circostanze ,  dte 
si  ha  appena  lesta  d'occuparsi  di  quel  che  é  di  precetto.  » 

Mentre  si  fanno  e  si  ricusano  ringraziamenti,  e  gì  barattano  sduli 
e  buoni  augùri,  inviti  e  promesse  d' un' altra  fermala  al  ritomo,  il 
baroccio  è  arrivato  davanti  -all'uscio  di  strada.  Ci  metton  le  gerle, 
Saigon  su,  e  principiano,  con  un  po'  più  d'agio  e  di  Iranquillità  d'a- 
nimo, la  seconda  metà  dèi  viaggio.  ^ 

Il  sarto  aveva  detto  la  verità  a  don  Abbondio,  intorno  all'innomi- 
nato. Questo,  dal  giorno  che  1' abbiam  lasciato,  aveva  sempre  conti- 
nuato a  far  ciò  che  allora  s'  era  proposto ,  compensar  danni,  chieder 
pace,  soccorrer  poveri,  sempre  del  bene  in  somma,  secondo  1'  occa- 
sione. Quel  coraggio  che  altre  volte  aveva  mostrato  nell'  offendere  e 
nel  difendersi,  ora  lo  mostrava  nel  non  fare  né  l'una  cosa  né  l'altra. 
Andava  sempre  solo  e  senz'  armi,  disposto  a  tutto  quello  che  gli  potesse 
accadere  dopo  tante  violenze  commesse,  e  persuaso  che  sarebbe  com- 
metterne una  nuova  l' usar  la  forza  in  difesa  di  chi  era  debitore  dì 
tanto  e  a  tant);  persuaso  che  ogni  male  che  gli  venisse  fatto,  sar^^ 
un'  ingiuria  riguardo  a  Dio ,  ma  riguardo  a  luì  una  giusta  retribu- 
zione:e  che  dell'ingiuria,  lui  meno  d'ogni  altro, aveva  diritto  di  tani 
pntiitore.  Con  tulio  ciò ,  era  rimasto  non  meno  inviolato  di  quando 
teneva  armate,  per  la  sua  sicurezza.,  tante  braccia  e  il  suo.  La  ri- 
membranza dell'antica  ferocia,  e  la  vista  della  mansuetudine  presbite, 
lina ,  che  doveva  aver  lasciati  tlinlì  desidèri  di  vendetta,  ('  altra,  che 
la  rendeva  tanto  agevole ,  cospiravano  in  vece  a  procacciargli  e  a 
mantenergli  un'  ammirazione ,  che  gli  serviva  principalmente  di  sal- 
vaguardia. Era  queir  uomo  che  nessuno  aveva  potuto  umiliare,  e  cbe 


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CAPITOLO  XXIX.  1163 

s' era  uuliliatu  da  so.  I  roucori,  irritali  ttltre  volle  dal  suo  disprezzo  £ 
d^a  paura  degli  altri ,  si  dileguavano  ora  davanti  a  quella  nuova 
umiltà  :  gli  ofTesi  avevano  ollenula,  contro  ogni  aspettativa ,  e  senza 
pericolo ,  una  soddisfazione  che  non  avreUwro  potuta  promettersi 
dalla  più  Tortnoata  vendetta,  la  soddis^ione  di  vedere  un  tal  uomo 
pentito  de'  suoi  torli,  e  parteci)>e ,  per  dir  cosi,  della  loro  indegna- 
ziooe.  Molli ,  il  cui  dispiacere  più  amaro  e  più  intenso  era  slato  per 
molt'  anni ,  di  non  veder  probabilità  di  trovarsi  in  nessun  caso  più 
forti  di  colui,  per  ricattarsi  di  qualdie  gran  lorto;  incontrandolo  poi 
solo ,  disarmato,  e  in  atto  di  cbl  non  farebbe  resistenza ,  non  s' eran 
sentili  altro  impulso  che  di. fargli  dimostrazioni  d'onore.  In  quell'ab- 
bassamento volontario,  la  sua  presenza  e  il.  suo  contegno  avevano,  qo- 
qutslalo,  senza  ciie  lui  lo  sapesse,  un  non  so  che  di  pi»  alto  e  di  più 
nobile;  perchè  ci  si  vedeva,  ancor  meglio  di  prima,  la  noncuranza  d'o- 
gni pericolo.  CUi  odi,  anche  i  più  rozzi  e  rabbiosi,  si  sentivano  come 
legati  e  tenuti  in  rispetto  dalla  venerazione  pubblica  per  l'uomo  pe- 
nitente e  benefico.  Questa  era  tale,  che  spesso  quell'  uomo  si  trovava 
impicciato  a  schermirsi  dalle  dimostra^oni  che  gliene  venivau  fatte, 
e  doveva  star  attento  a  non  lasciar  troppo  trasparire  nel  volto  e  ne- 
gli atti  il  sentimento  iolerno  di  compunzione,  a  non  abbassarsi  trop- 
po, per  non  esser  troppo  «saltalo.  S' era  scelto  nella  diiesa  1'  ultimo 
luogo  ;  e  non  e'  era  pericolo  che  nessuno  glielo  prendesse  :  sarebbe 
stato  come  usurpare,  un  posto  d'  onore.  Offender  poi  queir  uomo ,  o 
anche  trattarlo  con  poco  riguardo,  poteva  parere  non  lanto  un'  inso- 
lenza e  una  viltà,  quanto  un.  sao-ilegio:  e  quelli  stessi  a  cui  questo 
sentimento  degli  altri  poteva  servir  di  ril^no ,  ne  partecipavano 
andie  loro ,  più  o  meno. 

Queste  medesime  ed  altre  cagioni ,  allontanavano  pure  da  lui  ie 
vendette  della  forza  pubblica,  e  gli  procuravano,  anche  da  questa 
parte ,  la  sicurezza  della  quale  non  si  dava  pensiero.  Il  grado  .e  le 
parentele ,  die  in  .ogni  tempo  gli  erano  state  di  qualche  difesa ,  lanlo 
più  valevano  per  lui,  ora  che  a  quel  nome  già  illustre  e  infame,  an- 
dava aggiunta  la  lode  d'  una  condotta  esemplare,  la  gloria  della  con- 
versione. 1  magistrati  e  i  grandi  s'erun  rallegrati  di  questa,  pubblica- 
mente come  il  popolo;  e  sarebbe  parso  strano  l' infierire  contro  clii 
e^a  stato  soggetto  di  tante  congratulazioni.  Olli'c  di  ciò ,  un  (totere 
occupalo  in  una' guerra  per))etua,  e  spesso  infelice,  contro  ribellioni 
vive  e  rinascenti,  poteva  trovarsi  abbastanza  conlento  d'user  liberato 


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sei  I  PROMESSI  SPOSI 

dalla  più  indomabile  e  molesta,  per  iion  andare  a  cercar  altro:  tanto 
più,  elie  quella  conversione  pi-odnceva  riparazioni  che  non  era  av- 
vezzo ad  ottenere,  e  nemmeno  a  richiedere.  Tonnenlare  un  santo, 
non  pareva  un  buon  mezzo  di  cancellar  la  vergogna  di  non  aver  sa- 
puto fare  stare  a  doyere  un  facinoroso:  e  l'esempio  che  sì  fosse  dato 
.  eoi  punirlo,  non  avrebbe  potuto  aver  altro  effetto,  die  di  stornare  i 
suoi  simili  dal  divenire  inoffensivi.  Proliabilmente  anche  la  parte  i^ 
il  cardinal  Federigo  aveva  avuta  nella  conversione,  e  il  suo  nome  as- 
sociato a  quello  del  convertito,  servivano  a  questo  come  d'uno  scudo 
sacro.  E  in  quello  stato  dì  cose  e  d'idee,  in  quelle  singolari  relazioni 
dell'autorità  spirituale  e  del  poter  civile,  cli'eran  così  spesso  alle  prese 
tra  loro,  senza  mirar  mai  a  distruggersi ,  anzi  mischiando  sempre  alle 
ostilità  atti  di  riconoscimento  e  proteste  di  deferenza,  e  che,  spesso 
pure,  andavan  di  conserva  a  un  fine  comune,  senza  far  mai  pace, 
potè  parere,  in  eerla  maniera,  che  la  rieonciliazìoDe  della  prima  por- 
lasse  con  sé  l' oblivione,  se  non  1'  assoluzione  del  secondo ,  quaoda 
quella  s'era  sola  adoprata  a  produrre  un  effetto  voluto  da  tuU'e  due. 

Cosi  quell'  uomo  sul  quale,  se  fosse  caduto,  sarebbero  corsi  a  gara 
grandi  e  piccoli  a  calpestarlo  ;  messosi  volontariamente  a  terra  j  ve- 
niva risparmiato  da  tutti,  e  inchinato  da  molti. 

È  vero  ch'eran  anche  molti  a  cui  quella  strepitosa  mutazione  do- 
vette far  luti' altro  che  piacere:  tanti  esecutori  stipendiati  di  drilli, 
tanti  compagni  nel  delitto ,  che  perdevano  una  cosi  gran  forza  sulla 
quale  erano  avvezzi  a  fare  assegnamento,  che  anche  si  trovavano  a 
un  tratto  rotti  i  fili  di  trame  ordite  da  un  pezzo,  nel  momento  fonc 
die  aspettavano  la  nuova  dell'  esecuzione.  Ma  già  abbiam  veduto 
quali  diversi  sentimenti  quella  conversione  facesse  nascere  ne^ì  sgbarì 
die  si  trovavano  allora  con  lui ,  e  che  la  sentirono  annunziare  dalla 
sua  bocca:  stupore,  dolore,  abbattimento,  stizza;  un  po'  di  tutlo, 
fuQrdiè  disprezzo  né  odio.  Lo  stesso  accadde  agli  allri  die  teneva 
sparsi  in  diversi  posti,  lo  slesso  a'  complici  di  più  alto  affare,  quando 
riseppero  la  terrìbile  nuova,  e  a  tutti  per  le  cagioni  medesime.  Mot- 
t'odio,  come  trovo  nel  luogo,  altrove  citalo,  del  Ripamonti,  ne  venne 
piuttosto  al  cardinal  Federigo.  Riguardavan  questo  come  uno  che 
^era  misdiiato  ne'  loro  affari ,  per  guastarli  ;  l'innominato  aveva  vo- 
luto salvar  l'anima  sua:  nessuno  aveva  ragion  dì  lagnarsene. 

Di  mano  in  mano  poi,  la  più  parte  degli  sgherri  dì  casa ,  non  po- 
tendo accomodarsi  albi  nuova  dìsdplina ,  né  vedendo  probabilità  che 


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CAPITOLO  XXIX.  aw: 

3'  avesse,  a  mutare,  se  n'  erano  andati.  Chi  avrà  cercato  allro  padro- 
ne ,  e  rors* anche  tra  gli  antichi  amici  di  quello  che  lasciava;  chi  si 
sarà  arrotato  in  qualche  terzo,  come  allora  dicevano,  di  Spagna  o  di 
Mantova ,  o  di  qualche  altra  parte  belligerante  ;  chi  si  sarà  mesào 
alla  strada ,  per  far  la  guerra  a  minuto,  e  per  conto  suo;  chi  si  sarà. 
andte  contentato  d'  andar  birboneggiando  in  libertà.  E  il  simile 
avranno  fotto  quegli  altri  che  stavano  prima  a'  suoi  ordini ,  in  di- 
versi paesi.  Di  quelli  poi  che  s'  eran  potuti  avvezzare  al  nuovo  lenor 
di  vilaj  0  che  lo  avevano  abbracciato  volentieri ,  i  più,  nativi  della 
valle ,  eran  tornali  ai  campi ,  o  ai  mestieri  imparali  nella  prima  età , 
e  poi  abbandonati  ;  i  forestieri  eran  rimasti  nel  castello ,  come  servi- 
tori :  gli  udì  e  gli  altri ,  quasi  ribenedetti  nello  slesso  tempo  che  il 
loro  padrone ,  se  la  passavano ,  al  par  di  lui ,  senza  fare  né  ricever 
torti ,  inermi  e  rispellali. 

[Ma  quando ,  al  calar  delle  bande  alemanne ,  alcuni  fuggìaschi  di 
IKiesì  invasi  o  minacciati  capitarono  su  al  castello  a  chieder  ricovero, 
l'innominato,  lutto  contento  che  quelle  sue  mura  fossero  cercate  come 
asilo  da'  deboli ,  che  per  tanto  tempo  le  avevan  guardate  da  lontano 
come  un  enorme  spauracchio ,  aecoliìe  quegli  sbandati ,  con  espres- 
sioni pjutloslo  di  riconoscenza  che  di  cortesia  ;  fece  sparger  la  voce ,  - 
che  la  sua  casa  sarebbe  aperta  a  chiunque  ci  si  volesse  rifugiare ,  e 
pensò  subito  a  mettere,  non  solo  questa,  ma  anche  la  valle,  in  istalo 
di  difesa ,  se  mai  lanzichenecchi  0  cappelletti  volessero  provarsi  di 
venirci  a  far  delle  loro.  Radunò  i  servitori  che  gli  eran  rimasti ,  po- 
chi e  valenti,  come  i  versi  di  Torti;  fece  loro  una  parlala  sulla  buona 
occasione  che  Dio  dava  a  loro  e  a  lui,  d'impiegarsi  una  volta  in  aiuto 
del  im)s«mo ,  che  avevan  lanlo  oppresso  e  spaventato  ;  e ,  con  quel 
tono  naturale  di  comando,  ch'esprimeva  la  certezza  dell'ubbidienza, 
amianziò  loro  in  generale  ciò  che  intendeva  che  facessero,  e  soprat- 
tutto prescrisse  come  dovessero  contenersi,  perchè  la  gente  che  veniva 
a  ricoverarsi  lassù,  non  vedesse  in  loro  che  amici  e  difensori.  Fece  poi 
portar  giù  da  una  stanza  a  l^to  l'armi  da  fuoco,  da  taglio,  in  asta,  che 
da  un  pezzo  stavan  li  ammucchiate ,  e  gliele  distribuì  ;  fece  dire  a' 
suoi  contadini  e  afQttuari  della  valle,  che  chiunque  si  sentiva,  venisse 
eoa  armi  ^  castello  ;  a  chi  non  n'  aveva,  ne  diede  ;  scelse  alcuni,  che 
fossero  come  utìziali,  e  avessero  altri  sotto  il  loro  comando  ;  assegnò 
ì  poeti  all'entrature  e  ia  altri  luf^i  della  valle,  sulla  salita,  alle  porte 
del  castello;  slabili  l'ore  e  i  modi  di  dar  la  mula,  come  in  .un  caqqto. 


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a«S  1  PHOHESSl  SPOSI 

0  come  già  o'  era  costumalo  ia  quel  castello  medesioM,  ne'  tonpi  ddb 
sua  vila  disperata. 

In  un  canto  di  quella  stanza  a  tetto,  e' enino  in  disparte  l'armi  che 
lui  solo  aveva  portate;  quella  sua  famosa  carabiDa,  mosclielli,  spade, 
spadoni,  pistole,  coltellacci,  pugnali,  per  (eri-a,  o  appi^giali  al  muro. 


Nessuno  d^  servitori  le  toccò  ;  ma  concertarono  dì  domandare  al 
padrone  quali  voleva  che  gli  fossero  portale.  «  Nessuna,  »  rispose: 
e ,  fosse  voto  ,  fosse  proposito ,  restò  sempre  disarmato ,  alla  testa  dì 
quella  specie  di  guarnigione. 

Nello  stesso  tempo,  aveva  messo  in  moto  altr*  uomini  e  donne  di 
^rvizio,  o  suoi  dipendenti,  a  pi'eparar  net  castello  alleggio  a  quante 
più  persone  fosse  possibile,  a  rizzar  letti ,  a  disporre  sacconi  e  slni- 
punli  nelle  stanze,  nelle  sale,  che  divenlavan  dormitòri.  E  aveva  dato 
ordine  di  far  venire  provvisioni  abbondanti ,  per  is|)esare  gli  ospiti 
ette  Dio  gli  manderebbe,  e  i  quali  infatti  andavan  crescendo  di  giorno  in 
giorno.  Lui  intanto  non  ìslava  mai  fermo;  dentro  e  fuori  del  caslello, 


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CAPITOLO  XXIX.  MV 

SU  e  giù  per  la  salila,  in  giro  per  la  valle,  a  slabilire,  a  rinforzare,  a  vi- 
silar  posti,  a  vedere,  a  farsi  vedere,  a  mettere  e  a  tenere  in  regola,  con 
le  parole,  con  gli  occhi,  con  la  presenza.  In  casa,  per  la  strada,  faceva  ac- 
coglienza a  quelli  che  arrivavano;  e  tutti,  o  lo  avessero  già  visto,  o  lo 
vedessero  per  la  prima  volta,  lo  guardavano  estatici,  dimenticando  un 
inomenlo  i  guai  e  i  timori  che  gli  avevano  spinti  lassù;  e  si  voltavano 
ancora  a  guardarlo,  quando,  staccatosi  da  loro,  seguitava  la  sua  strada. 


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CAPITOLO   XXX. 


lantunque  il  concorso  maggiore  non  Tosse 
dalla  parte  per  cui  i  nostri  tre  ruotivi 
s' avvicinavano  alia  valle,  ma  ali'  imbocc»- 
lura  opposta,  con  lutto  ciò,  coraindarono 
a  trovar  compagni  di  viaggio  e  di  sventu- 
ra, che  da  traverse  e  viottole  erano  sboc- 
cati  0  sboccavano  nella  strada.  In  circo- 
stanze simili,  tutti  quelli  che  s' incontrano, 
è  come  se  si  conoscessero.  Ogni  volta  die 
il  baroccio  aveva  raggiunto   qualdic  pe- 
done, si  barattavan  domande  e  risposte.  Chi  era  scappalo,  come  i 
nostri,  senza  aspellar  l'arrivo  de' soldati;  dii  aveva  sentili  i  lamburì 
o  le  trombe;  chi  gli  aveva  visti  coloro  ,e  li  dipingeva  come  gli  spa- 
ventati sogiion  dipingere. 

1  Siamo  ancora  rortimali,  «  dicevan  le  due  donne:  »  ringraziamo^ 
il  cielo.  Vada  la  roba  ;  ma  almeno  siamo  in  salvo.  » 

Ma  don  Abbondio  non   trovava  che  ci  fosse  tanto  da  rallegrane  '• 
anzi   quel  concorso,  e  più  ancora  il  ma^^ore  che  sentiva  esserci 


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CAPITOLO   XXX.  iios 

dall'altra  parte ,  cominciava  a  dargli  ombra.  «  Oh  die  storia!  »  bor- 
bottava alle  donne,  in  un  momenlo  che  non  c'era  nessuno  d'intorno: 
u  oh  che  storia!  Non  capite,  che  radunarsi  (anta  gente  in  un  luogo 
è  lo  stesso  che  volerci  tirare  i  soldati  per  forza?  Tutti  nascondono , 
tutti  portan  via;  nelle  case  non  resta  nulla;  crederanno  che  lassù  ci 
siano  tesori.  Ci  vengono  «curo.  Oh  povero  me  !  dove  mi  sono  im- 
barcalo! » 

«  Oh!  voglion  far  altro  che  venir  lassù,"  diceva  Perpetua;  «aii- 
die  loro  devono  andar  per  la  loro  strada.  E  poi ,  io  ho  sempre  sen- 
ato dire  che ,  ne'  pericoli ,  è  meglio  essere  in  molti.  « 

«  In  m<dti?  in  molti?  »  replicava  don  Abbondio:  «  povera  donna! 
Non  sapete  che  t^i  lanzichenecco  ne  mangia  cento  di  costoro  ?  E 
poi ,  se  volessero  far  delle  pazzie ,  sarebbe  un  bel  gusto,  eh?  di  tro- 
varsi in  una  battaglia.  Oh  povero  me!  Era  meno  male  andar  su  per 
i  monti.  Che  abbian  tutti  a  voler  cacciarsi  in  un  luogo  ! . . .  Seccatori  !  » 
borbottava  poi ,  a  voce  più  bassa  :  «  tutti  qui  :  e  via ,  e  via  ,  e  via  ; 
l'uno  dietro  l'altro,  come  pecore  senza  ragione.  " 

«  A  questo  modo ,  »  disse  Agnese ,  u  anche  loro  potrebbero  dir 
lo  stesso  di  noi.  n 

u  Chetatevi  un  po',»  disse  don  Abbondio:  «  che  già  le  chiacchiere 
non  servono  a  nulla.  Quel  cb'  è  fatto  è  fatto:  ci  siamo,  bisogna  starci. 
Sarà  quel  che  vorrii  la  Provvidenza: il  cielo  ce  la  mandi  buona.» 

Ma  fu  ben  peggio  quando,  all' entrala  della  valle,  vide  un  buon  po- 
sto d'armati, parte  sull'usdo  d'una  casa,eparle  nelle  stanze  terrene: 
pareva  una  caserma.  Li  guardò  con  la  coda  dell'  ocdiio  :  non  eran 
quelle  (acce  che  gli  era  toccato  a  vedere  nell'altra  dolorosa  sua  glia,  o 
se  ce  n'  era  di  quelle,  erano  ben  cambiate  ;  ma  con  lutto  ciò,  non  si  può 
dire  che  noia  gli  desse  quella  vista.  —  Ob  povero  me!  —  pensava: 
—  ecco  se  le  fanno  le  pazzie.  Già  non  poteva  essere  altrimenti  :  me 
lo  sarei  dovuto  aspettare  da  un  uomo  di  quella  qualità.  Ma  cosa  vuol 
fore?  vuol  far  la  guerra?  vuol  fare  il  re,  lui?  Oh  povero  me!  In  dr- 
oostanze  clie  si  vorrebbe  potersi  nasconder  sotto  terra,  e  costui  cerca 
Cffii  maniera  di  farsi  scorgere,  dì  dar  nell'  occhio  ;  par  che  li  voglia 
invitare!  — 

u  Vede  ora,  signor  padrone,  i  gli  disse  Perpetua ,  «  se  e'  è  della 
brava  gente  qui ,  che  ci  saprà  difendere.  Vengano  ora  ì  soldati  : 
qui  non  sono  come  que'  nostri  spauriti ,  che  non  son  buoni  che  a 
menar  le  gambe.  » 


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a  I  PROIIESSI  SPOSI 

1  Zitta!  "  rispose,  con  voce  tiassa   nta   iraconda,  don  Altliondio: 


«  zìMa  !  che  non  sapete  quel  clic  \ì  dite.  Progale  il  ciclo  die  abbian 
rrella  j  soldati,  o  che  non  \'cngano  a  sapere  le  cose  che  sì  Tanno  qui, 
e  che  si  mette  all'ordine  questo  luogo  come  una  Tortezza.  Non  sapete 
che  i  soldati  é  il  loro  mestiere  di  prender  le  fortezze?  Non  eercan 
allro;  per  loro,  dare  un  assalto  è  come  andare  a  nozze;  perché  tulio 
quel  ohe  trovano  e  per  loro,  e  passano  la  gente  a  fll  di  spada.  (Mi 
posero  me!  Basta,  Vedrò  se  e!  sarà  maniera  di  mettersi  in  salvo  su 
per  queste  balze.  In  una  battaglia  non  mi  ci  colgono:  oh!  in  una 
battaglia  non  mi  ci  colgono,  n 

X  Se  ha  poi  paura  anche  d'esser  difeso  e  aiutalo...  »  ricominciava 
Perpetua;  ma  don  Abbondio  l'interruppe  aspramente,  sempre  però 
a  voce  bassa:  «zitta!  E  badale  bene  di  non  riportare  questi  discorsi. 
Ricordatevi  che  qui  bisogna  far  sempre  viso  ridente,  e  approvare 
(litio  quello  che  si  vede.  » 


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CAPITOLO  XXX.  fH 

Alla  Malanotle,  trovarono  un  altro  picch<:Uo  d'armati,  ai  quali 
don  Abbondio  /eoo  una  scappellala,  dicendo  intanto  tra  sé:  —  obi- 
Riè,  ohimè:  son  proprio  vernilo  in  un  accampamento!  —  Qui  il  ba- 
roccio  si  fcmiò;  ne  scesero;  don  Abbondio  pagò  in  fretta,  e  licenziò 
il  condottiere;  e  s'incamminò  con  le  due  cORi|>agne  )>er  la  salila, 
senza  Tar  parola.  La  visla  di  qua'  liioglii  gli  andava  risvegliando  nella 
fantasia,  e  mescolando  all'angosce  presenti,  la  rimembranza  dì  quelle 
che  vi  Bvtiva  sofTerte  l'altra  volta.  E  Agnese,  la  quale  non  gli  aveva 
mai  visti  que'  luoghi,  e  se  n'  era  fatta  in  mente  una  pittura  fanta- 
stica che  le  si  rappresentava  <^ni  volta  che  pensava' al  viai^io  spa- 
ventoso di  Lucia ,  vedendoli  ora  quali  eran  davvero ,  provava  come 
un  nuovo  e  più  ^ivo  scotimento  di  quelle  crudeli  memorie.  «  Oh  si- 
gnor curato!  »  esclamò:  «  a  pensare  che  la  mia  povera  Lucia  è  pas- 
sata per  questa  strada!  » 

«  Volete  slare  zitta?  donna  senza  giudizio!  ••  ic  gridò  in  un  orec- 
chio don  Abbondio:  «  son  discorsi  codesti  da  farsi  qui?  Non  sapete 
che  siamo  in  casa  sua?  Fortuna  che  ora  nessun  vi  sente;  ma  se  par- 
lale in  questa  maniera. ..." 

«  Oh!  »  disse  Agnese:  »  ora  che  è  santo...!  » 

u  Slate  zitta,  n  le  replicò  don  AUwndio:  »  credete  voi  che  ai 
santi  si  possa  dire,  senza  riguardo,  lutto  ciò  che  passa  per  la  men- 
te? Pensate  piuttosto  a  ringraziarlo  del  bene  che  v'ha  fatto,  n 

u  Oh! per  questo,  ci  avevo  già  pensato:  che  crede  che  non  le  sa)>- 
pia  un  pochino  le  creanze?  » 

u  La  creanza  é  di  non  dir  le  cose  che  posson  dispiacere,  special- 
mente a  chi  non  è  avveezo  a  sentirne.  E  intendetela  bene  tutt'e  due, 
che  qui  non  è  luogo  da  far  pettegolezzi,  e  da  dir  tutto  quello  che  vi  può 
venire  in  testa.  È  casa  d'un  gran  signore,  già  lo  sapete:  vedete  che 
compagnia  c'è  d'intorno:  ci  vien  gente  di  tutte  le  sorte  ;  sicché  , 
giudìzio,  se  potete:  pesar  le  parole,  e  soprattutto  dirne  podie,  e  solo 
quando  e'  è  necessità  :  che  a  slare  zitti  non  si  sbaglia  mai.  " 

u  Fa  peggio  lei   con   tutte  codeste  sue...  »  riprendeva  Perpetua. 

Ma:  «zitta!  «  gridò  sottovoce  don  Abbondio,  e  insieme  si  levò  il 
cappello  in  fretta,  e  fece  un  profondo  iiichino:  che,  guardando  in 
su ,  aveva  visto  l' innominalo  scender  verso  di  loro.  Anche  questo 
aveva  visto  e  riconosciuto  don  Abbondio;  e  alTretlava  il  passo  per 
andargli  incontro. 

«  Signor  curato,  »  disse,  quando ^gli  fu  vicino,  <<  avrei  voluto 


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STS  I  PROMESSI  SPOSI 

ofTrirte  ta  mia  casa  in  miglior  occasionei  ma,  a  ogni  modo,  sod  ben 
conlento  di  poterle  esser  utile  in  qualche  cosa.  " 

u  Confidalo  nella  gran  bontà  di  vossignoria  illustrissima,  »  rispose 
don  Abbondio,  u  mi  son  preso  l'ardire  di  venire,  in  queste  triste 
cii'coslanzc,  a  incomodarla:  e,  come  vede  vossignoria  illustrìssima,  mi 
6on  preso  anche  la  liberlit  di  menar  compagnia.  Questa  è  la  mia  go- 
vernante ..." 

u  Benvenuta,  "  disse  l'innominato. 

u  E  questa,  »  continuò  don  Abbondio,  u  è  una  donna  a  cui  vos- 
signoria ha  già  fatto  del  bene:  la  madre  di  quella ...  dì  quella ...» 

■  Di  Lucia,  n  disse  Agnese. 

u  Di  Lucia!  "  esclamò  l'innominato,  voltandosi,  con  la  lesta  bassa, 
ad  Agnese.  «  Del  bene,  io!  Dio  immortale!  Voi,  mi  fate  dd  bene,  a 
venir  qui  ,  .  .  da  me  .  .  .  in  questa  casa.  Siate  la  benvenuta.  Voi  ci 
portale  la  benedizione.  » 


«  Oh  giusto!»  disse  Agnese:  «  vengo  a  incomodarla.  Anzi,"  con- 
tinuò, avvicinandosegli  all'orecchio,  "  ho  anche  a  ringraziarla, . .  " 


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CAPITOLO    XXX.  ITS 

L'innominato  troncò  qoelle  parole,  domandando  premurosamente 
le  nuove  dì  Lucia;  e  sapule  che  1'  ebbe,  si  voltò  per  accompagnare  al 
castello  i  nuovi  ospiti,  come  fece,  malgrado  la  loro  resistenza  cerimo- 
niosa. Agnese  diede  al  curato  un'  occhiata  che  voleva  dire  :  veda  un 
poco  se  e'  è  bisogno  che  lei  entri  di  mezzo  tra'  noi  due  a  dar  pareri. 

"  Sono  arrivati  alia  sua  parrocchia?  »  gli  domandò  l'ianomìnalo. 

«  No,  signore,  che  non  gli  ho  voluti  aspettare  que'  diavoli,  »  ri- 
spose don  Abbondio.  «  Sa  il  cielo  se  avrei  potuto  uscir  vivo  dalle  loro 
mani,  e  venire  a  incomodare  vossignorìa  illustrìssima.  » 

«  Bene,  si  faccia  coraggio,  »  riprese  l' innominato:  «che  ora  è  in 
sicuro.  Quassù  non  verranno;  e  se  si  volessero  provare,  slam  pronti 
a  riceverli.  » 

u  Speriamo  che  non  vengano,"  disse  don  Abbondio,  u  E  sento,  t 
soggiunse,  accennando  col  dito  i  monti  che  chiudevano  la  valle  di 
rìmpetto,  u  sento  che,  anche  da  quella  parte,  giri  un'altra  masnada 
di  gente,  ma.. .  ma  . . .  » 

»  É  vero ,  »  rispose  l' innominalo  :  "  ma  non  dubifi ,  che  siam 
pronti  anche  per  loro.  » 

—  Tra  due  fuochi,  —  diceva  tra  sé  don  Abbondio:  —  proprio 
Ira  due  fiioclii.  Dove  mi  son  lasciato  tirare!  e  da  due  petlegtJe!  E 
costui  par  proprio  che  ci  sguazzi  dentro!  Oh  che  gente  c'è  a  questo 
mondo!  — 

Entrati  nel  castello,  il  signore  fece  condurre  Agnese  e  Perpetua  in 
una  stanza  del  quartiere  assegnato  alle  donne ,  che  occupava  tre  lati 
del  secondo  cortile,  nella  parte  posteriore  dell' edifizio  situata  sur  un 
masso  sporgente  e  isolalo,  a  cavaliere  a  un  precipìzio.  Gli  uomini  al- 
leviavano ne'  lati  dell'altro  cortile  a  destra  e  a  sinistra,  e  in  quello 
che  rispondeva  sulla  spianala.  Il  corpo  dì  mezzo,  die  separava  i  due 
cortili ,  e  dava  passaggio  dall'  uno  all'  altro ,  per  un  vasto  andito  di 
rìmpetto  alla  parta  prìncipale ,  era  in  parie  occupalo  dalle  provvi- 
sioni, e  in  parie  doveva  servir  di  dept)sito  per  la  roba  che  i  rifugiati 
volessero  mettere  in  salvo  lassù.  Nel  quartiere  degli  uomini,  c'erano 
alcune  camere  destinate  agli  ecciesiaslii-i ,  che  potessero  capitare.  L'in- 
nominato v'accompagnò  in  persona  don  Abbondio,  che  fu  il  primo  a 
prenderne  il  possesso. 

Ventitré  o  ventiquattro  giorni  stettero  i  nostri  fuggitivi  nel  castello, 
in  mezzo  a  un  movimento  continuo,  in  una  gran  compagnia,  e  che 
ne'  primi  tempi,  andò  s«npre  crescendo;  ma  senza  che  accadesse  nulla 


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Bit  I  PBOSIESSI  SPOSI 

di  straordinario.  Non  passò  forse  giorno,  die  non  si  desse  gjl'arnii. 
Vengon  lanzichuiecclii  di  qua;  si  son  veduti  cappelleKi  di  là.  A.opni 
avviso,  l' innominato  mandava  uomini  a  esplorare;  e,  se  faceva  ti>iso- 
gno,  ]>rendeva  con  sé  della  genie  die  tene\'a  sempre  pronta  a  dò,  e 
andava  con  essa  fuor  ddla  valle,  dalla  parie  dov'  era  indicato  il  peri- 
colo. Ed  era  cosa  singolare,  vedere  una  schiera  d'  uomini  armati  da 
capo  a  piedi,  e  schierali  come  una  truppa,  condotti  da  un  uomo  seii< 
e' armi.  Le  più  volte  non  erano  che  foraggieri  e  sacdicggialori  sban- 
dati, che  se  n'andavano  prima  d'esser  sorpresi.  Ma  una  volta,  cac- 
dando  alcuni  di  costoro,  per  insegnar  loro  a  non  venir  più  da  quelle 
parli,  l'innominato  ricevette  avviso  che  un  paesello  vicino  era  invaso 
e  messo  a  sacco.  Erano  lanzichenecchi  di  vari  corpi  ctie,  rimasti  in* 
dietro  per  rubare,  s'eran  riuniti,  e  andavano  a  gettarsi  all'improv- 
viso sulle  terre  vicine  a  quelle  dove  alloggiava  l'eserdlo;  spogliavano 
gli  abitanti,  e  gliene  facevan  di  tulle  le  sorte.  L' innominato  fece  un 
breve  discorso  a' suoi  uomini,  e  li  condusse  al  paesello. 

Arrivarono  inaspettati.  I  ribaldi  die  avevan  credulo  di  non  andar 
che  alla  pi'eda,  vedendosi  venire  addosso  gente  schierata  e  pronta  a 
combattere ,  lasciarono  il  saccheggio  a  mezzo ,  e  se  ii'  andarono  in 
fretta,  senz'aspettarsi  l'uno  con  l'altro,  dalla  parte  dond'eran  venuti. 
L' innominalo  gì' insegui  per  un  pezzo  di  sliada;  poi,  fatto  far  t^lo, 
stelle  qualche  tempo  aspettando ,  se  vedesse  qualche  novità  ;  e  lìnal- 
inenle  se  ne  ritornò.  E  ripassando  nel  paesello  salvato ,  non  si  po- 
trebbe dire  con  (|uali  applausi  e  benedizioni  fosse  accompagnato  il 
drappello  liberatore  e  Ìl  condottiero. 


Digitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  XXX.  BT> 

^'el  castello,  Ira  quella  mollitudine,  formala  a  caso,  di  persone, 
varie  di  coodizione,  dì  costumi,  di  sesso  e  d'età,  non  nacque  mai 
alcun  disordine  d'importanza.  L'innominato  aveva  messe  guardie  ia 
diversi  luoglii,  le  quali  tutte  invigilavano  che  non  seguisse  nessun  in- 
conveniente, con  quella  premura  che  ognuno  metteva  nelle  cose  di 
cui  s'avesse  a  rendergli  conto. 

Aveva  poi  pregali  gli  ecclesiastici,  e  gli  uomini  più  autorevoli  die 
si  trovavan  trai  ricoverati,  d'andare  in  giro  e  d'invigilare  anche  loro. 
E  più  spesso  che  poteva,  girava  anche  lui,  e  si  faceva  veder  per  lutto; 
ma,  anche  in  sua  assenza,  il  ricordarsi  di  chi  s'era  in  casa,  serviva 
di  (reno  a  chi  ne  potesse  aver  bisogno.  E,  del  resto,  era  tutta  gente 
scappala,  e  quindi  inclinata  in  generale  alla  quiete:  i  pensieri  della 
casa  e  della  roba,  per  alcuni  anche  di  congiunti  o  d'amici  rimasti  nel 
pericolo,  le  nuove  cite  venivan  di  fuori,  abbattendo  gli  animi,  man- 
tenevano  e  accrescevano  sempre  più  quella  disposizione. 

C  era  però  anche  de'  capi  scarichi,  degli  uomini  d'una  tempra  più 
salda  e  d'un  coraggio  più  verde,  che  cercavano  di  passar  que' giorni 
in  allegria.  Avevano  abbandonate  le  loro  case,  per  non  esser  forti  ab- 
bastanza da  difenderle;  ma  non  trovavan  gusto  a  piangere  e  a  sospi- 
rare sur  una  cosa  che  non  c'era  rimedio,  né  a  figurarsi  e  a  contem- 
plar con  la  fantasia  il  guasto  che  vedrebbero  pur  troppo  co'  loro  occhi. 
Fami^ie  amiche  erano  andate  di  conserva,  o  s'eran  ritrovate  lassù, 
s'eran  falle  amicizie  nuove;  e  la  folla  s'era  divisa  in  crocchi,  secondo 
gli  lunori  e  l'abìludinì.  Chi  aveva  danari  e  discrezione,  andava  a  de- 
sinare giù  nella  valle,  dove  in  quella  cà'costanza,  s'eran  rizzate  in 
fretta  osterie:  in  alcune,  i  bocconi  erano  alternati  co'  sospiri,  e  non 
era  lecito  parlar  d'altro  chedi  sciagure:  in  altre,  non  si  rammentavan 
le  sciagure,  se  non  per  dire  che  non  bisognava  pensarci.  A  chi  non 
poteva  0  non  voleva  farsi  le  spese,  si  distribuiva  nri  castello  pane, 
minestra  e  vino:  oltre  alcune  favole  ch'eran  servite  ogni  giorno,  per 
quelli  che  il  padrone  vi  aveva  espressamente  invitali;  e  i  nostri  eran 
di  questo,  numero. 

Agnese  e  Perpetua,  per  non  maagiare.il  pane  a  ufo,  aveyan  vo- 
luto essere  impiegate  ne'  servizi  che  richiedeva  una  così  grande  ospi- 
talità; e  in  questo  spendevano  una  buona  parte  della  giornata;  tt 
resto  nel  diiaccliierare  con  certe  amiche  che  s'eran  fatte,  o  col  po- 
vero don  Abbondio.  Questo  non  aveva  nulla  da  fare,  ma  non  s'an- 
noiava pci-ò;  la  paura  gli  teneVa  compagnia.  La  paura  proprio  d'uo 


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STB  I  PROMESSI  SPOSI 

assalto,  credo  die  la  gii  fosse  passata,  o  se  pur  gliene  rimaneva,  era 
quella  che  gli  dava  meno  fastidio;  perché,  pensandoci  appena  appena, 
doveva  capire  quanto  poco  fosse  fondata.  Ma  l'immagine  del  paese 
circonvicino  inondato,  da  una  parte  e  dall'altra,  da  soldataeci,  le  armi 
e  gli  armati  che  vedeva  sem|>rc  in  giro,  un  castello,  quel  castello,  il 
pensiero  di  tante  cose  che  potevan  nascere  ogni  momento  in  tali  circo- 
stanse,  tutto  gli  teneva  addosso  uno  spavento  indistinto,  generale,  con- 
tinuo; lasciando  stare  il  rodio  che  gli  dava  il  pensare  alla  sua  povera 
casa.  In  tulio  il  tempo  che  stette  in  quell'agio,  non  se  ne  discosto  ntu 
quanto  un  tiro  di  schioppo,  né  mai  mise  piede  sulla  discesa:  l'unica 
sua  iKisseggiala  era  d'uscire  sulla  spianata,  e  d'andare,  quando  da  una 
parte  e  quando  dall'altra  del  castello,  a  guardar  giù  per  le  balze  e  |>er 
i  burroni,  per  isludiare  se  ci  fosse  qualche  passo  un  po'  praticabile. 


qualche  po'  di  sentiero,  per  dove  andar  cercando  un  nascondiglio  in 
caso  d' un  serra  serra.  A  lutti  i  suoi  compagni  di  rifugio  faceva  gran 
riverenze  o  gran  saluti,  ma  bazzicava  con  pochissimi:  la  sua  convep 
sazione  più  frequente  era  con  le  due  donne,  come  abbiam  detto; 
con  loro  andava  a  fare  i  suoi  sfoghi,  a  rischio  che  talvolta  gli  fosse 
dato  sulla  voce  da  Perpetua,  e  che  Io  svergognasse  anche  Agnese.  A 
tavola  poi,  dove  slava  poco  e  parlava  pochissiipo,  sviliva  le  nuove 
del  terribile  passaggio,  le  quali  arrivavano  ogni  giorno,  o  di  paese 
in  paese  e  di  bocca  in  bocca,  o  portate  lassù  da  qualcheduno,  che 
da  principio  aveva  voluto  restarsene  a  casa,  e  scappava  in  ullimo, 
senza  aver  potuto  salvar  nulla,  e  a  un  biseco  anche  malconcio:  e 
ogni  giorno  c'era  qualche  nuova  storia  di  sciagura.  Alcuni,  novellisli 


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CAPIT<H.O  WX.  STI 

dì  professione,  raeco^ievan  diligentemente  tutte  le  voci,  abburaUa- 
van  latte  le  relazioni,  e  ne  davan  poi  il  Hore  agii  altri.  Si  dispulava 
quali  Tossero  i  ref^menti  più  indiavolali,  se  fosse  peggio  la  fanleria  o 
la  cavalleria;  sì  ripetevano,  il  meglio  die  si  poteva,  certi  nomi  di  cod- 
dottieri;  d'alenai  si  racconlavan  l'imprese  passale,  si  speciQcavano 
le  stazioni  e  le  marce:  quel  giorno,  il  tale  reggimento  si  spandeva 
ne'  bdi  paesi,  domani  anderebl>e  adiiMS»  ai  tali  ^tri,  dove  intanto 
il  tal  altro  faceva  il  diavolo  e  p^ggi«.  Sopra  tutto  si  cercava  d'aver 
informazione,  e  si  teneva  II  conto  de'  reggimenti  elie  pitssavan  di 
mano  in  mano  il  ponte  di  Lecco,  perdiè  quelli  si  potevano  conside- 
rar come  andati,  e  fuori  veramente  do)  paese.  Passano  i  cavalli  di 
Wallenstein ,  passano  i  fanti  di  Merode,  lassano  i  cavalli  di  Anhalt, 
passano  i  fanti  di  Brandebui^o ,  e  poi  ì  cavalli  di  Monteeuccoli ,  e 
poi  quelli  di  Ferrari;  passa  Altringer,  passa  Furslcnberg,  passa  Col- 
loredo;  passano  ì  Croati,  passa  Torquato  Conti,  passano  altri  e  altri; 
quando  piacque  al  cielo,  passò  anche  Galasso,  clie  fu  1'  ultimo.  Lo 
squadron  volanle  de' veneziani  finì  d'  allonlanarsi,  e  lutto  il  paese, 
a  destra  e  a  sinistra,  si  trovò  libero  anch'  esso.  Già  quelli  delle  terre 
invase  e  sgombrale  le  piume,  eran  parliti  dui  castello;  e  ogni  giorno 
ne  i>artiva:  come,  dopo  un  temporale  d'autunno,  si  vede  dai  paleliì 
fronzuti  d'un  grand' albero  uacìre  da  ogni  parie  gli  uccelli  che  ci 
8*  erano  riparati.  Credo  che  i  nostri  tre  fossero  gli  ultimi  ad  andar- 
sene; e  ciò  per  volere  di  don  Abbondio,  il  quale  temeva,  se  si  tor- 
nasse subito  a  casa,  di  trovare  ancora  in  giro  lanzichenecchi  rimasti 
indietro  sbrancati ,  in  coda  all'  esercilo.  Perpelua  ebbe  un  t>el  dire 
die,  quanto  più  s'  indugiava,  tanto  più  si  dava  agio  ai  birboni 
del  paese  d'entrare  in  casa  a  porlW  via  il  resto;  quando  si  Irallava 
d*  assicurar  la  pelle ,  era  sempre  don  Abbondio  che  la  vinceva  ; 
meno  che  1'  imminenza  del  perìcolo  non  gli  avesse  fallo  perdere 
afbtto  la  testa. 

Il  giorno  (issato  per  la  partenza,  l'innominato  fece  trovar  pronla 
alla  Malanotle  una  carrozza ,  nella  quale  aveva  già  fallo  mettere  un 
corredo  di  biancheria  per  Agnese.  E  tiratala  in  disparte,  le  fece  an- 
che accettare  un  gruppetto  di  scudi,  per  riparare  al  guasto  die  tro- 
verebbe in  casa;  quantunque,  battendo  Ja  mano  sul  iwlto,  essa  an- 
dasse ripetendo  che  ne  aveva  li  ancora  de'  vecdii. 

«  Quando  vedrete  quella  vostra  buona ,  povera  Luda  ...»  le 
diwe  in  ultimo:  «  già  son  cerio  die  prega  per  me,  poiché  le  ho  fatlo 


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Kit  I  PHOIIESSI  SPOSI. 

Iwilo  nialc  :  ditele  adunqae  di'  io  la  ringraiio,  e  ooslìdo  in  Dìo,  dw 
hi  stia  preghiera  tornerà  anche  in  lauta  benedizione  per  lei.  >> 

Volte  poi  accoaipagnar  tutti  e  tre  gli  ospiti,  fino  (dia  earrozsa.  1 
ringraziamenti  umili  e  sviscerati  di  don  Abbondio  e  i  coiUfSiinenti  di 
Perpetua ,  se  gì'  iuimagìni  il  lettore.  Partirono  ;  fecero,  s^cmdo  il  fis- 
salo ,  una  Temiatina,  ma  senza  neppnr  mettersi  a  sedere ,  nella  ea» 
del  sarto ,  dove  sentirono  raccontar  cento  cose  del  passaggio  :  la  so- 
lila storia  di  ruberie,  di  percosse,  di  sperpero ,  di  spordiizie  :  ma  li , 
per  buona  sorte,  non  s'eran  visti  laiizicbenecehi. 

u  Ah  signor  curalo  !  »  disse  il  sarto,  dandogli  dì  braccio  a  riiuon- 
(are  in  carrozza  :  «  b'  ha  du  Tar  de'  libri  in  istampa,  sopra  un  fracasso 
di  «pH-sla  sorlr.  » 


Do|>o  un'  altra  po'  di  strada,  cominciarono  i  nostri  viaf^ialori  a 
veder  co'  loro  occhi  qualclie  cosa  di  quello  che  avcvan  tanto  sentilo 
descrìva-e:  vigne  spogliate,  non  come  dalla  vendemmia,  ma  come- 
dalia  grandine  e  dalla  bufera  che  fossero  venute  in  compagnia  :  tralci 
a  terra,  sfrondali  e  scompigliali;  strappati  i  pali,  calpestato  il  terreno,  e 
sparso  di  scliegge,  di  foglie,  di  sterpi;  scliianlali,  scapeuati  gli  alberi; 
sforacchiate  le  siepi;  i  oancolli  portoti  via.  Ne'  paesi  poi,  usci  sfondali. 


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CAPITOLO  XXX.  sin 

ìmpannale  Iscere,  rodami  d'ogni  sorte,  cenci  a  mucclti ,  o  seminali 
per  le  strade;  un'aria  pesante,  zaffate  di  puzzo  più  forte  clic  uscivan 
dalle  casella  gente,  chi  a  buttar  fuori  porclierie,  dii  a  raceomodar  le 
irhpoBle  alla  inolio,  chi  in  croceliio  a  lamentarsi  insieme  ;  e,  al  pas- 
sar delta  carrozza,  mani  di  qua  e  di  là  lese  agli  sportelli,  per  chieder 
r  demoBÌna. 

'  Con  queste  immagini,  ora  davanti  agli  ocelli,  ora  nella  mente,  e 
eoli  l'aspettativa  <£  trovare  altKlIanto  a  casa  loro,  ci  arrivarono;  e 
trovarono  infatti  quello  che  s'  aspettavano. 

A^ese  lece  posare  i  fagotti  ìn  un  canto  del  cortiletto ,  eli'  era  ri- 
maslo  il  luogo  più  palilo  della  casa;si  mise  poi  a  spazzarla,  a  l'acco- 
gliere e  a  rigovernare  quella  poca  roba  che  le  avevan  lasciala;  fece 
venire  un  legnaiolo  e  un  fabbro,  per  riparare  i  guasti  più  grossi,  e 
guardando  poi,  capo  per  ca|K>,  la  biancheria  regalata,  e  contando  quo' 
nuovi  ruspi ,  diceva  Ira  sé  :  —  soii  eadula  in  piedi  ;  sia  ringrazialo 
Iddio  e  la  Madonna  e  quel  buon  signore:  posso  pioprio  dii-c  d'isser 
eadula  in  piedi.  " — 

Don  Abbondio  e  Perpetua  entrano  in  casa,  senza  aiuto  di  chia\'i  ; 
ogni  passo  che  fanno  nell'andito,  senlon  crescere  un  tanfo,  un  veleno, 
una  peste,  che  li  respìnge  indietro  ;  con  la  mano  al  naso ,  \'anno  al- 
l'uscio di  cucina;  entrano  in  punta  di  piedi,  studiando  dove  metterli, 
per  iscansar  |>iù  che  possono  la  porcheria  die  eopre  il  pavimento  ;  e 
danno  un'occhiata  in  giro.  Non  c'era  nulla  d'intero;  ma  avanzi  e 
frammenti  di  quel  ciie  e'  era  slato,  li  e  altrove,  se  ne  vedeva  in  <^iii 
canto  :  piume  e  penne  delle  galline  di  Perpetua,  pezzi  dì  biancbcrìa, 
fogli  de'  calendari  di  don  Abbondio ,  cocci  di  pentole  e  di  piatti  ; 
tulio  insieme  o  sparpaglialo.  Solo  nel  focolare  si  potevan  vedere  ì 
segni  d'un  vasto  saccheggio  accozzali  insieme,  come  molte  idee  sot- 
tintese, in  un  periodo  sleso  da  un  uomo  di  garbo.  C'era,  dico,  un 
rimasuglio  di  lizzi  e  tizzoni  spenti,  i  quali  mostravano  d'  essere  slati, 
un  bracciolo  di  seggiola,  nn  piede  di  tavola,  imo  sportello  d'armadio, 
una  panca  di  letto,  una  doga  ddla  botlìdna,  dove  ci  stava  il  vino  che 
rimeUeva  io  stomaco  a  don  Abbondio.  Il  resto  era  cenere  e  carboni  ; 
e  con  que'  carboni  stessi,  i  guastatori,  per  ristoro,  avevano  scaraboe- 
diiali  i  mini  di  figuracce ,  ingegnandosi ,  con  certe  l>errelline  o  eon 
certe  olierìebe,  e  con  certe  larghe  facciole,  di  fome  de'  preli,  e  mct- 
teoda  studio  a  farli  orribili  e  ridicoli:  intento  che,  per  verità,  noa 
poteva  andar  fillilo  a.  tali  artisti. 


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»0  1  PROUCSSI  SPOSI. 

«  Ah  porci  [  »  esclamò  Perpetua.  «  Ali  baroni  !  »  esdainò  doa  Ab- 
liondio;  e,  come  scappando,  andaron  fuori,  per  un  allr* uscio  cfae 
metteva  nell'orto.  Respirarono;  andaron  diviato  al  fico;  ma  già  prima 
d'arrivarci,  videro  la  terra  smossa,  e  misero  un  grido  tutt'edue  io* 
siéme;  arrivali,  trovarono  elTellivamenlc,  in  vece  del  morto,  la  bnea 
aperta.  Qui  nacquero  de'  guai  :  don  Abbondio  cominciò  a  prendersela 
con  Perpetua ,  che  non  avesse  nascosto  bene  -.  pensate  se  questa  ri- 
mase zitta:  dopo  eh'  ebbero  ben  gridalo  ,  luti'  e  due  col  braccio,  teso^ 


I  e  con  l'indice  appuntalo  verso  la  buca  ,  se  ne  tornarono  iotòone, 
brontolando.  E  fate  conto  che  per  tutto  Irovarono  a  un  di  pressa  la 
medesima  cosa.  Penarono  non  so  quanto ,  a  Tar  ripulire  e  smorliare 
la  casa,  tanto  più  che,  in  que' giorni ,  era  difficile  trovar  aiolo;  e 


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CAPITOLO  XXX.  IBI 

iHMi  éo  quanto  dovettero  slare  come  accampali ,  acoomodandosi  alla 
mef^io,  0  alta  peggio,  e  rifacendo  a  poco  a  poco  usci,  mobili,  uten- 
nlì,  con  danari  prestati  da  Agnese. 

Per  giunta  poi ,  quel  disastro  fu  una  semenza  d"  altre  questioni 
molto  noiose;  perché  Perpetua,  a  forza  dì  chiedere  e  domandare,  di 
spiare  e  llutare  ,  venne  a  saper  di  certo  che  alcune  masserine  del  suo 
padrone,  credute  preda  o  strazio  de'  soldaU ,  erano  in  vece  sane  e 
salve  in  easa  di  genie  del  paese;  e  tempestava  il  padrone  che  si  fa'- 
cesse  sentire,  e  richiedesse  il  suo.  Tasto  più  odioso  non  si  poteva 
biccare  per  don  Ablwndio;  giacdiè  la  sua  roba  era  in  mano  di  bìr* 
bonìrCioé  di  quella  spede  di  persone  con  eul^i  premeva. più  di  stare 
in  pace. 

u  Ma  se-  non  ne  voglio  saper  nulla  di  queste  cose,  »  dieeval  «  Quante 
volle  ve  \o  devo  ripetere,  che  quel  che  è  andàtoèandato?  Ho  da  es- 
ser messo  anche  in  croce,  perchè  m' è  slata  spc^liata  la  ca^?  ». 


"  Se  lo  dico,  n  rispondeva  Perpetua,  u  che  lei  sì  lascerebbe  cavar 
gli  occhi  di  lesla.  Rubare  ^li  altri  è  peccalo,  ma  a  lei,  e  peccalo 
non  rubare.  » 

u  Ma  vedete  se  codesti  sono  spropositi  da  dirsi  !  "  replicava  don 
Abbondio  :  «  ma  volete  slare  zitta  ?  » 

Perpetua  si  chetava,  ma  non  subito  subito;  e  prendeva  pretesto 
da  tutto  per  riprincipiare.  Tanto  che  il  pover"  uomo  s'  era  ridotto  a 


.yGoògle 


>RS  I  PROUESSI  SPOSI. 

non  lamentarsi  più,  quando  trovava  mancante  qualche  cosa,  ntA  my- 
mmitì  che  ne  avrebbe  avuto  bisogno;  perchè,  più  d'una  volta,  gli 
era  toccato  a  sentirsi  dive:  «  vada  a  chiederlo  al  tale  clie  l'ha,^  noe 
l'avrebbe  tenuto  fiito  a  quest'ora,  se  doo  avesse  che  fare  con  un  b«on 
uomo.  » 

Un'altra  e  più  viva  inquietudine  gli  dava  il  sentire  che  {(iornai- 
niente  continuavano  a  passsu*  soldati  alla  spicciolata,  come  aveva  troppo 
bene  congetturalo;  onde  slava  sempre  in  sospetto  di  vedersene  capitar 
qualcheduno  o  anche  una  compagnia  sull'  uscio,  che  aveva  fallo  rac- 
comodare in  fretta  per  la  prima  cosa,  e  che  teneva  chiuso  con  gran 
cura;  ma,  per  grazia  del  cielo,  ciò  non  avvenne  mai.  Né  però  questi 
terrori  erano  ancora  cessati ,  che  un  nuovo  ne  sopraggiunse. 

Ma  qui  lasceremo  da  parte  il  pover"  uomo  :  si  tratta  ben  d' altro 
che  di  sue  apprensioni  privale,  che  de' guai  d'alcuni  paesi ,  che  d' un 
disastro  pass^igiero. 


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CAPITOLO  XXXI. 


I  peste  die  il  tribunale  della  sanità  aveva 
lemulo  che  potesse  entrar  con  le  bande  ale^ 
nanne  nel  milaneee,  e'  era  entrata  davvero, 
!Ome  è  noto;  ed  è  noto  parimente  che  nOH 
li  fermò  qui,  ma  invase  e  spopolò  una  buona 
larle  d'Ilalia.  Condotti  dal  filo  della  nostra 
ttoria,  noi  passiamo  a  raeconlar  t^i  avveni- 
nenti  principali  di  quella  calamità;  nel  mi- 
anese ,   n'  intende ,   anzi   Ìq   Milano   quasi 
Musivamente  :  che  della  città  quasi  esclu- 
sivamente trattano  le  memorie  del  tempo,  come  a  un  di  presso  accade 
sempre  e  per  tulio,  per  buone  e  per  cattive  ragioni.  E  in  questo  rac- 
conto, il  nostro  line  non  è,  per  dir  la  verità,  sollanto  di  rappresentar  lo 
sialo  delle  cose  nel  quale  verraimo  a  trovarsi  i  nostri  personaggi;  ma 
di  far  conoscere  insieme,  per  quanto  si  può  in  ristretto,  e  per  quanto 
si  può  da  noi,  un  tratto  di  storia  palria  più  famoso  che  conosciuto. 
Delle  molte  relazioni  contemporanee ,  non  ce  n'é  alcuna  die  basti 
da  sé  a  dame  un'  idea  un  po'  distinta  e  ordinala  ;  come  non  ce  ii'  è 


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KB(  I  PROMESSI  SPOSI. 

alcuna  che  non  possa  aiutare  a  formarla.  In  ognuna  di  queste  rda* 
zioni,  senza  eceeltuarne  quella  del  Ripamonti  *,  la  quale  le  supera 
tutte,  per  la  quantità  e  per  la  scella  de'  fatti,  e  ancor  più  per  il  modo 
d'osservarli,  in  ognuna  sono  omessi  fatti  essenziali,  che  son  registrali 
in  altre;  in  ognuna  ci  sono  errori  materiali,  che  si  posson  riconoscere 
e  retliiìcare  con  l'aiuto  di  qualclie  altra,  o  di  que'  pochi  atti  della  pub- 
blica autorità,  edili  e  inedili  ,  che  rimangono;  spesso  in  una  si  ven- 
gonoatrovar  le  cagioni  di  cui  nell'altra  s'eran  visti,  come  in  aria,  gli  ef- 
fetti. In  tutte  po^  regna  una  strana  confusione  di  tempi  e  di  cose;  è  un 
continuo  andare  e  venire,  come  alla  ventura,  senza  disegno  generale, 
senza  disegno  ne' particolari  :  carattere,  del  resto,  de' più  comuni  e  de' più 
apparenti  ne'  libri  di  quel  tempo,  principalmente  in  quelli  scritti  in 
lingua  volgare,  almeno  in  Italia;  se  anche  nel  resto  d'Europa,  i  dotti 
lo  sapranno,  noi  lo  sospettiamo.  Nessuno  scrittore  d'epoca  posteriore 
s'è  proposto  d'esaminare  e  di  confrontare  quelle  memorie,  per  ri- 
trarne  una  serie  concatenata  degli  avvenimenti,  una  storia  di  quella 
peste;  sicché  l'idea  che  se  ne  Ita  generalmente,  dev'essere,  di  ne- 
cessitìi ,  molto  incerta  ,  e  un  po'  confusd  :  un'  idea  indeterminata  di 
gran  mali  e  di  grand' errori  (e  per  verità  ci  fu  dell'uno  e  ddl' altro, 
al  di  là  di  quel  che  si  possa  immaginare),  un'idea  composta  più  di 
giudizi  che  di  fatti,  alcuni  falli  dispersi,  non  di  rado  scompagnati  dalle 
eircosianze  più  caratteristiclie ,  senza  dislìnzion  di  tempo,  cioè  senta 
intelligenza  di  causa  e  d'effetto,  di  corso,  di  progressione.  Noi,  esa- 
minando e  confrontando,  con  molta  diligenza  se  non  altro,  tutte  le 
relazioni  stampale,  più  d'  una  inedita,  molli  (in  ragionedel  poco  clic 
ne  rimane)  documenti,  come  dicono,  ufizialt,  abbiam  cercato  di  fame 
non  già  quel  che  si  vorrebbe,  ma  qualche  cosa  che  non  è  stalo  ancor 
fatto.  Non  infendiamo  di  riferire  tutti  gli  atti  pubblici ,  e  nemmeno 
lutti  gli  avvenimenti  degni,  in  qualche  modo,  di  memoria.  Molto 
meno  pretendiamo  di  rendere  inutile  a  chi  voglia  farsi  un'idea  più 
Compita  della  cosa,  la  lettura  delle  relazioni  originali:  sentiamo  troppo 
die  forza  viva,  propria  e,  per  dir  cosi,  incomunicabile,  ci  sia  sempre 
netr  opere  di  quel  genere,  comunque  concepite  e  condotte.  Solamente 
abbiam  tentato  di  distinguere  e  di  verificare  i  falli  più  generali  e  più 
importanti ,  di  disporli  nell'  ordine  reale  della  loro  successione ,  per 

*  JoMphi  Ripamotilli ,  canonici  scnlensis  ,  cbronlsltc  urbis  UcilloUnl ,  De  pcsle 
4|un  Tuil  anno  le»,  Libri  V.  HedioUni,  ISIO,  apud  Hiloleslu. 


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CAPITOLO  XXXI.  MV 

quanto  lo  comporli  la  ragione  e  la  natura  d'essi,  d'osservare  lu  loro 
efficienza  reciproca,  e  di  dar  cosi ,  per  ora  e  finché  qualcliedun  altro 
non  faccia  meglio,  una  notizia  succinta,  ma  sincera  «continuala,  di 
quel  disastro. 

Per  tutta  adunque  la  striscia  di  territorio  pei'corsa  dall'  esercito , 
s'era  trovato  qualche  cadavere  nelle  case,  qualcheduno  sulla  strada. 
Poco  dopo,  in  questo  e  in  quel  paese,  cominciarono  ad  ammalami, 
a  morire,  persone,  famiglie,  di  mali  violenti,  strani,  con  segni  sco- 
nosciuti alla  pia  parte  de'  viventi.  C'era  soltanto  alcuni  a  cui  non 
riuscissero  nuovi  :  que'  pochi  clie  potessero  ricordarsi  della  peste  che, 
cinquanlatrè  anni  avanti,  aveva  desolata  pure  una  buona  jKirte  d'I- 
talia, e  in  ispede  il  milanese,  dove  fu  cliiamala,ed  èlultora,  la  pe- 
ste di  san  Carlo.  Tanto  è  forte  la  carità  !  Tra  le  memorie  cosi  \'arie  e 
cosi  solenni  d' un  infortunio  generale,  può  essa  far  primeggiare  quella 
d'un  uomo,  perchè  a  quest'uomo  ha  ispiralo  sentimenti  e  azioni  più 
memorabili  ancora  de'  mali  ;  stamparlo  nelle  menti ,  come  un  sunto 
di  tutti  que' guai,  perché  in  tutti  l'ha  spìnto  e  ìnlromesso,  guida, 
soccorso,  esempio,  vittima  volontaria;  d'una  calamità  per  lulti,  far 
per  quest'uomo  come  un'impresa;  nominarla  da  lui,  come  una  con- 
quista, 0  una  scopCrla. 

Il  prol<^sico  Lodovico  Sellala,  die,  non  solo  aveva  veduta  quella 
peste,  ma  n'era  stato  uno  de'  più  aitivi  e  intrepidi,  e,  quantunque 
allor  giovinissìmo,  de'  più  riputati  curatori;  e  che  ora,  in  gran  so- 
spetto dì  questa,  slava  all'erta  e  sull'informazioni,  riferì,  il  90d'ot< 
tobre,  nel  tribunale  della  sanità,  come,  nella  terra  di  Cliiuso  (l'ulti- 
ma del  territorio  di  Lecco,  e  confinante  col  bergamasco),  era  scoppialo 
indubitabilmente  il  contagio.  Non  fu  per  questo  presa  veruna  risolu* 
zione,  come  si  ha  d^  Raggua^^io  del  Tadino  <. 

Ed  ecco  sopraggiungere  avvisi  somiglianti  da  Lecco  e  da  Bellano. 
Il  tribunale  allora  si  risolvette  e  si  conlenló  dì  spedire  un  commissa- 
rio che ,  strada  facendo ,  prendesse  un  medico  a  Como,  e  si  portasse 
con  lui  a  vistare  i  luoghi  indicati.  Tiitt' e  due,  »  o  per  ignoranza  o 
«  per  altro,  si  lasciorno  persuadere  da  un  \'eccliìo  et  ignorante  bar- 
u  biero  dì  Odiano,  che  quella  sorte  de  mali  non  era  Peste;  '  »  ma, 
in  alcuni  luoghi,  effetto  consueto  dell'  emanazioni  autunnali  delle  pa- 
ludi, e  negli   altri,  effetto  de'  disagi  e  degli  strapazzi  sofferti ,  nel 

I  Puf.  ti.       .  I  Tadino  ,  ivi. 


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ut  I  PROMESSI  SPOSI. 

passaggio  degli  alemanni.  Una  tale  assicurazione  fu  riportala  al  tribu- 
nale, il  quale  |)are  che  iie  mettesse  il  cuore  in  pace. 
'  Ma  arrivando  senza  posa  altre  e  aiirc  notizie  di  morie  da  diverse 
parti,  furono  spedili  due  delegali  a  vederee  a  provvedere:  il  Tadino 
suddetto,  e  un  auditore  del  tribunale.  Quando  questi  giunsero,  il 
male  s'era  già  lauto  dilatato,  che  le  prove  si  offrivano,  senza  che 
bisognasse  andarne  in  cerca.  Scorsero  il  lerrìlom  di  Lecco ,  la  Val- 
sassina,  le  coste  del  lago  di  Como,  i  distretti  denominati  il  Monte  di 
Briunza,  e  la  Gera  d'Adda;  e  per  tutto  trovarono  paesi  chiusi  da  can- 
celli  all'eiitraUire,  allri  quasi  deserti,  e  gli  abitanti  scappali  e  atlendati 


alla  campagna,  o  dispersi;  u  et  ci  parevano,  »  dice  il  Tadino,  "  laute 
X  creature  seluaticlie,  portando  in  mano  clii  1' herba  menta,  chi  la 
"  rula,  chi  il  rosmarino  et  chi  una  ampolla  d'  accio.  »  S' iaformarono 
del  numero  de"  morii  :  era  spav  enievole  ;  visilarono  infermi  e  cadaveri, 
e  |)cr  tulio  trovarono  le  brutte  e  terribili  marche  della  pestilenza. 
Diedero  subito ,  per  Itltere ,  quelle  sinistre  nuove  al  tribunale  della 
Winilà,  il  quale,  al  riceverle,  che  fu  il  so  d'ottobre,  <>  sì  disi)0se," 
dice  il  medesimo  Tadino ,  a  prescriver  le  bullette ,  per  chiuder  fuori 
dalla  Città  le  persone  provenienti  da'  paesi  dove  il  contagio  s'  era 
manifestalo;  "  et  mentre  si  eompilaua  la  grida,»  ne  diede  antieipata- 
meule  qualche  ordine  sommario  a'  gabellieri. 

Intanlo  i  delegati  presero  in  frcllauin  furia  quelle  misure  che  par- 
\er  loro  migliori  ;  e  se  ne  tornarono ,  con  la  trista  persuasione  che 


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CAPITOLO  XXX.I.  »ST 

n<Mi  sarebbero  bastale  a  rimediare  e  a  fermare  an  male  già  tanto 
avanzato  e  difTuso. 

Arrivali  il  14  di  novembre,  dalo  ragguaglio,  a  voce  e  di  nuovo 
in  iscritto,  al  tribunale,  ebbero  da  questo  commissione  di  presentarsi 
al  governatore,  e  d' esporgli  Io  stalo  delle  cose.  V'andarono,  e  ripor- 
tarono: aver  lui  di  tali  nuove- provato  molto  dispiacere,  mostratone 
un,  gran  senlintenlo  ;  ina  i  pensieri  della  guerra  esser  più  pressanti  : 
led  belli  graviorei  esse  curai.  Così  il  Ripamonti ,  il  quale  aveva  spo- 
^iali  i  registri  della  Sanità,  e  conferito  col  Tadino,  incaricalo  spe- 
cialmente della  missione  :  era  la  seconda  ,  se  il  lettore  se  ne  ricorda  , 
per  quella  causa,  e  con  quell'esito.  Due  o  tre  giorni  dopo,  il  18  dì 
novembre,  emanò  il  governatore  una  grida  ,  in  cui  ordinava  pubMi- 
che  feste,  per  la  nascila  de)  principe  Carlo,  primogenito  del  re  Fi- 
lippo IV ,  senza  sospcHare  o  senza  curare  il  pericolo  d' un  gran  con- 
corso, in  tali  circoslanze:  lutto  come  in  tempi  ordinari,  come  se  non 
gli  fosse  stato  parlato  di  nulla. 

Era  quest'uomo,  come  già  s'è  dello,  il  celebre  Ambrogio  Spinola, 


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KB8  t  PROyESSI  SPOSI. 

mandalo  per  raddirizzar  quella  guerra  e  riparare  agli  errori  dì  don 
Gonzalo,  e  incidentemente,  a  governare;  e  noi  pure  possiamo  qui 
incidenlemenle  rammentar  cbe  mori  dopo  pochi  mesi,  in  quella  stessa 
guerra  che  gli.  stava  lanto  a  cuore;  e  morì,  non  già  di  ferite  sul 
t-ampo ,  ma  in  letto,  d'affanno  e  di  struggimento,  per  rimproveri, 
torli,  di^iisti  d'ogni  specie  ricevuti  da  quelli  a  cui  serviva.  La 
storia  Ita  deplorala  la  sua  sorte,  e  biasimala  l'altrui  scMMScenza;  Ita 
descritte  con  molla  diligenza  le  sue  imprese  militari  e  poiìticbe,  lo- 
dal»  la  sua  previdenza,  1'  attività,  la  costanza:  poteva  andie  cercare 
cos'  abbi»  fatto  di  tulle  queste  qualità,  quando  la  peste  minacciava, 
invadeva  una  popolazione  datagli  in  cura,  o  piuttosto  in  balìa. 

'Ma  ciò  die ,  lasciando  intero  il  biasimo ,  scema  la  maraviglia  di 
quella  sua  condotta,  ciò  che  fa  nascere  un'altra  e  più  forte  maravi- 
glia ,  è  la  condotta  della  popolazione  medesima,  di  quella,  voglio  dirf, 
die,  non  tocca  ancora  dal  contagio,  aveva  tanta  ragion  di  Innerio. 
AII'arrì\o  di  quelle  nuove  de'  paesi  die  n'erano  cosi  malamente  im- 
branati, di  paesi  che  formano  intorno  alla  città  quasi  un  semidrcolo, 
in  alcuni  punii  distante  da  essa  non  più  di  diciotto  o  venti  miglia; 
chi  non  crederebbe  che  \ì  sì  suscitasse  un  movimento  generale,  un 
desiderio  di  precauzioni  bene  o  male  intese,  almeno  una  sterile  in- 
quietudine? Eppure,  se  in  qualche  cosa  le  memorie  di  quel  tempo 
vanno  d'accordo,  è  nel!' attestare  che  non  ne  fu  nulla.  La  penuria 
dell'anno  antecedente,  le  angherie  della  soldatesca,  le  afflizioni  d'a- 
nimo, parvero  più  die  bastanti  a  render  ragione  della  mortalità:  sulle 
piazze',  nelle  botteghe,  nelle  case,  chi  buttasse  là  una  parola  del  pe- 
ricolo, chi  motivasse  peste,  veniva  accolto  con  beffe  incredule,  con 
disprezzo  iracondo.  La  medesima  misci-edenza ,  la  medesima ,  per  dir 
meglio ,  cecità  e  fissazione  prevaleva  nei  senato,  nel  Consiglio  de'  de- 
curioni, in  ogni  magistrato. 

Trovo  die  il  cardinal  Federigo ,  appena  si  riseppero  i  primi  casi 
di  mal  contagioso,  prescrisse,  con  lettera  pastorale  a'parrodii,  tra  le 
altre  cose,  che  ammonissero  più  e  più  volte  i  popoli  dell'importanza 
e  dell'obbligo  stretto  di  rivelare  ogni  simile  accidente,  e  di  consonar 
le  robe  infette  o  sospette  *  :  e  anche  questa  può  essere  contala  Ira  le 
sue  lodevoli  singolarità. 

*  Vita  ili  FcdcriEo  Borromeo  ,  comiillalg  d»   Francesco  Ait-oli.  Milano  ,  laae  , 

|Mg.  USI. 


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CAPITOLO  XXXl.  ata 

Il  Iribunale  della  sanità  chiedeva,  implorava  cooperazione,  ma  ol- 
leneva  poco  o  niente.  E  nel  tribunale  slesso,  la  premura  era  ben  lon- 
tana da  uguagliare  l'urgenza:  erano, come  ancrma  più  volte  il  Tadino, 
e  come  appare  ancor  meglio  da  tutto  il  contesto  della  sua  relazione , 
i  due  fisici  che,  persuasi  della  gravità  e  dell'imminenza  del  pericolo, 
slimolavan  quel  corpo ,  il  quale  aveva  poi  a  stimolare  gli  altri. 

Abbiam  già  veduto  come,  al  primo  annunzio  della  peste,  andasse 
freddo  nell'  operare ,  anzi  nell'  informarsi  :  ecco  ora  un  altro  fatto  di 
lentezza  non  men  portentosa,  se  però  non  era  forzata,  per  ostacoli 
frapposti  da  magistrati  superiori.  Quella  grida  per  le  bullette,  risoluta 
il  SO  d'ottobre,  non  fu  stesa  che  il  di  ss  del  mese  seguente,  non 
fu  pubblicata  che  il  90.  La  peste  era  già  entrata  in  Milano. 

Il  Tadino  e  il  Ripamonti  vollero  notare  il  nome  di  chi  ce  la  portò 
il  primo,  e  altre  circostanze  della  persona  e  del  caso:  e  infatti,  nel- 
l'osservare  i  prìncipi  d'una  vasta  mortalità,  in  cui  le  vittime,  non  die 
esser  distinte  per  nome,  appena  si  potranno  indicare  all' incirca,  per 
il  numero  delle  migliaia,  nasce  una  non  so  quale  curiosità  di  cono- 
scere que'  primi  e  pochi  nomi  che  poterono  essere  notati  e  conser- 
vati: questa  specie  di  distinzione,  la  precedenza  neh' esterminio,  par 
che  foccian  trovare  in  essi,  e  nelle  particolarità,  per  altro  più  indif-  * 
ferenti,  qualche  cosa  di  fotale  e  dì  memorabile. 

L'  uno  e  1'  altro  storico  dicono  che  fu  un  'soldato  italiano  al  servi- 
zio di  Spagna;  nel  resto  non  sono  ben  d'accordo,  neppur  sul  nome. 
Fu,  secondo  il  Tadino,  un  Pietro  Antonio  Lovato,  di  quartiere  nel 
territorio  di  Lecco;  secondo  il  Ripamonti,  un  Pier  Paolo  Locati ,  di 
quartiere  a  Chiavenna.  Differiscono  anche  nel  giorno  della  sua  en- 
trala in  Milano:  il  primo' la  mette  al  3S  d'ottobre,  il  secondo  ad  al- 
trettanti del  mese  seguente:  e  non  si  può  stare  né  all'uno  né  all'al- 
tro. Tutt'  e  due  V  epoche  sono  in  contraddizione  con  altre  ben  più 
verificate.  Eppure  il  Ripamonti,  scrivendo  per  ordine  del  Consìglio 
generale  de'  decurioni,  doveva  avere  al  suo  comando  molti  mezzi  di 
prender  l' informazioni  necessarie;  e  il  Tadino,  per  ragione  del  suo 
impilo,  poteva,  meglio  d'ogn' altro,  essere  informalo  d'un  fatto  di 
questo  genere.  Del  resto,  dal  riscontro  d'altre  date  che  ci  paiono, 
come  abbiam  detto,  più  esatte,  risulla  che  fu,  prima  della  pubblica- 
zione della  grida  sulle  bullette;  e,  se  ne  mettesse  conto,  si  potrelrfie 
anche  provare  o  quasi  provare,  che  dovette  essere  ai  primi  di  quel 
mese;  ma  certo,  il  lettore  ce  ne  dispensa. 


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I  PIIOMESSI   SI>OSI. 


Sia  come  si  sia,  cutró  questo  fante  sventurato  e  porlator  di  svcn- 
ttii'a,   con  un   gran   fagolto  di    vesti   comprate  o   rubate  a  soldati 


alemanni;  andò  a  Termarsi  in  una  casa  di  suoi  parenti,  nel  borgo  di 
porta  orientale,  vicino  ai  cappuccini;  appena  arrivato,  s'ammalò;  fu 
portalo  allo  spedale  ;  dove  un  bubbone  che  gli  si  scopri  sotto  un'  a- 
scella,  mise  chi  lo  curava  in  sospetto  di  ciò  eh'  era  infatti;  il  quarta 
giorno  mori. 

Il  IrìlMinale  della  sanità  fece  segregare  e  sequestrare  in  casa  la  di 
lui  famiglia;  i  suoi  vestiti  e  il  letto  in  eui  era  slato  allo  ^[ledale,  fu- 
ron  bruciati.  Due  serventi  clie  l'avevano  avuto  in  cura,  e  un  buon 
frale  che  l'aveva  assislilo,  caddero  anch'essi  ammalati  in  pochi  giorni, 
tuli'  e  tre  di  peste.  Il  dubbio  che  in  quel  luogo  s*  era  avuto ,  fin  da 
principio,  della  natura  del  male,  e  le  cautele  usale  in  conseguenta. 
fecero  si  che  il  contagio  non  vi  si  propagasse  di  più. 

Ma  il  soldato  ne  aveva  lasciato  di  fuori  un  seminio  che  non  lardò 
a  germogliare.  Il  primo  a  cui  s' attaccò,  fu  il  padrone  della  casa  dove 
quello  aveva  alloggiato,  un  Carlo  Colonna  sonator  di  liuto.  AJlora  tulli 
i  pigionali  di  quella  casa  furono ,  d' ordine  della  Sanità ,  condotti  al 
lazzeretto,  dove  la  più  parte  s'ammalarono;  alcuni  morirono,  dopo 
poco  tempo ,  di  manifesto  contagio. 

Nella  città,  quello  che  già  c'era  slato  disseminato  da  costoro,  da' loro 
panni,  da'  loro  mobili  trafugati  da  parenti,  da  pigionali,   da  persone 


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CAPITOLO  XXXI.  «ei 

<fi  servìzio,  alle  rìcerclie  e  al  fuoco  pr^crillo  dal  tribunale,  e  di  [lìi'i 
quello  che  e'  entrava  dì  nuovo,  per  l' ìmperfczion  degli  editli,  per  la 
Irascuranza-  nell'  eseguirli ,  e  per  la  destrezza  nell'  eluderli ,  andò  co- 
vando e  serpendo  lentamente,  tutto  il  restante  dell'anno,  e  ne' primi 
mesi  del  suss^ueote  16S0.  Di  quando  in  quando,  ora  in  questo, 
ora  in  quel  quarli«% ,  a  qualeheduno  s' attaccava ,  qualebeduno  ne 
nH>riva:  e  la  radezza  slessa  de' casi  allontanava  il  sospetto  della  ve- 
rità, confermava  sempre  più  il  pubblico  in  quella  stupida  e  micidiale 
fiducia  che  non  ci  fosse  peste ,  né  ci  fosse  stala  neppure  un  mo- 
mento. Molti  medici  ancora,  facendo  eco  alla  voce  del  popolo  (era, 
anche  in  questo  caso,  voce  di  Dio?),  deridevan  gtì  augùri  sinistri, 
gli  avverlimenli  minacciosi  de'  pochi;  e  avevaii  pronti  nomi  di  ma- 
laltie  comuni,  per  qualificare  ogni  caso  di  peste  che  fossero  chia- 
mali a  eiu-are;  cmi  quahmque  sintomo,  mn  qualunque  segno  fosse 
comparso.  « 

Gli  avvisi  di  questi  accidenti,  quando  pur  pervenivano  alla  Sanità, 
ci  per\'enÌvano- tardi  per  lo  più  e  incerti.  Il  (errore  della  contumacia 
e  del  Uzzeretlo  aguzzava  tutti  gl'ingegni:  non  si  denunziavan  gli  am- 
malati, si  corrompevano  i  becchini  e  i  loro  soprintendenti;  da  su- 
balterni del  tribunale  stesso,  deputali  da  esso  a  visitare  i  cadaveri, 
s'ebbero,  con  danari,  falsi  attestati. 

Siccome  però,  a  ogni  scoperta  che  gli  riuscisse  fare,  il  tribunale 
ordinava  di  bruciar  robe,  metteva  in  sequestro  case,  mandava  fami- 
glie al  lazzeretto,  cosi  é  facile  argomentare  quanta  dovesse  essere 
contro  di  esso  l'ira  e  la  mormorazione  del  pubblico,  "della  Nobiltà.. 
ddli  Mercanti  et  della  plebe,»  dice  il  Tadino;  persuasi,  eom'eran  tulli, 
che  fossero  vessazioni  senza  motivo,  e  senza  costrutto.  L'odio  prin- 
cipale cadeva  sui  due  medici;  il  suddetto  Tadino,  e  Senatore  Sellala, 
tiglio  del  prololisieo:  alai  segno, che  ormai  non  potevano  attraversar 
le  piazze  senza  essere  assalili  da  parolacce,  quando  non  eran  sassi. 
G  certo  fu  singolare,  e  merita  che  ne  sia  fatta  memoria,  la  eondizÌ(H)e 
in  cui,  per  qualche  mese,  si  trovaron  quegli  uomini,  di  veder  venire 
avanti  un  orribile  flagello,  d' aR'aticarsi  in  ogni  maniera  a  stornarlo, 
d' incontrare  ostacoli  dove  cercavano  aiuti ,  \'olontà ,  e  d'  essere  in- 
sieme bersaglio  delle  grida ,  avere  il  nome  di  nemici  della  patria  : 
pi-o  patriiB  hoalibus,  dice  il  Ripamonti. 

Di  queir  odio  ne  toccava  una  parte  anche  agli  altri  medici  die, 
convinti  come  loro,  della  realtà  del  contagio,  suggerivano  precauzioni, 


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»D1  I  PR0UES3I  SPOSI. 

cercavano  di  comunicare  a  tulli  la  loro  dolorosa  certezza.  1  più  di- 
screli  li  tacciavano  dì  credulilà  e  d"  oslinaxtone  :  per  lutti  gji  altri , 
era  manifesto  impostura  ,  cabala  ordita  per  far  bottega  sul  pubblico 
spavento. 

Il  prolofisico  Lodovico  Sellala ,  allora  poco  men  che  ottuagenario , 


stoto  professore  dì  medicina  all'  università  di  Pavia,  poi  di  filosofia 
morale  a  Milano,  autore  di  molte  opere  rìpulatissime  allora,  chiaro  per 
inviti  a  cattedre  d'  altre  università,  Ingolstodt,  Pisa,  Bologna,  Padova, 
e  per  il  rifiuto  dì  lutti  questi  invili,  era  certamente  uno  degli  uomini 
più  autorevoli  del  suo  tempo.  Alla  riputazione  della  scienza  s'aggiun- 
geva quella  della  vita,  e  all'  ammirazione  la  benevolenza ,  per  )a 
sua  gran  carila  nel  curare  e  nel  beneficare  i  poveri.  E,  una  cosa  die 
in  noi  turba  e  contrista  il  sentimento  di  stima  ispirato  da  questi  me- 
riti, ma  che  allora  doveva  renderlo  più  generale  e  più  forte,  il  po- 
ver'  uomo  partecipava  de'  pregiudizi  più  comuni  e  più  funesti  de' 
suoi  contemporanei:  era  più  avanti  dì  loro,  ma  senza  allontanarsi 
dalla  schiera,  che  è  quello  che  attira  i  guai,  e  fa  molte  volle  perdere 
l' autorità  acquistoU  in  altre  maniere.  Eppure  quella  grandissima  che 
godeva,  non  solo  non  bastò  a  vincere,   in  questo   caso,  l'opinion  di 


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CAPITOLO  XXXI.  tot 

quello  die  i  poeti  cliiamavai)  volgo  profano ,  e  i  capocODiici ,  rispel- 
tabile  pubblico;  ma  non  potè  salvarlo  dall' aniiiiobilà  e  dagl'  iiisulli  dì 
quella  parie  di  esso,  che  corre  più  facilmente  da'  giudizi  alle  dinio- 
slrasioiii  e  ai  fatli. 

Un  giorno  che  andava  in  bussola  a  viaitare  i  suoi  ammalali,  prin- 
cipiò a  radiuiarglisi  intorno  gente,  gridando  esiger  lui  il  capo  di  coloro 
che  volevano  per  forza  che  ci  fosse  la  peste;  lui  die  nielle^'a  in  isjui- 
vento  la  città,  con  quel  suo  cipiglio,  con  quella  sua  barbacela:  lutto 
[KT   dar  da  fare  ai  medici.  La  folla  e  il  furore  andavan  crescendo  i 


i  portantini,  vedendo  la  mala  parala,  ricoverarono  il  padrone  in  una 
casa  d'amici,  che  per  sorte  era  vicina.  Questo  gli  tocco  per  aver 
veduto  chiaro,  detto  ciò  che  era,  e  voluto  salvar  dalla  peste  molle  mi- 
gliaia di  persone:  quando,  con  un  s.uo  deplorabile  consulto,  cooperò 
a  far  torturare,  tanagliare  e  bruciai-e,  come  strega,  una  povera  inft;- 
lice  sventurata,  perché  il  suo  padrone  pativa  dolori  strani  di  stomaco, 
e  un  altro  padrone  di  prima  era  stalo  fortemente  innamoralo  di  lei  *, 


*  SIwia  di  Milano  del  Conle  Pleiro  Vei 


;  Milano  IS9S,  Tom.   4.  pag.  mi. 


„GoogIe 


itD4  I  PROMESSI  SPOSI 

allora  ne  avrà  avuta  pnsao  il  pubblico  nuova  lode  di  sapiente  e,  ciò 
die  è  intollerabile  a  pensve,  nuovo  titdo  di  benenento. 

Ma  sul  Unire  del  mese  di  marzo,  cominciarono,  prima  nel  bwgo. 
di  porla  orientale,  poi  in  ogni  quartina  ddia  città,  a  farsi  frequenti 
le  malattie,  le  morti,  con  aecidenti  strani  di  spasimi,  di  pdpitauoni, 
di  letargo,  di  delirio,  con  quelle  insegne  funeste  di  lividi  e  di  bub- 
boni; morti  per  lo  più  celeri,  violente,  non  di  rado  repentine,  senza 
alcuB  indizio  antecedente  di  malattia.  I  medici  opposti  alla  opinion 
del  contagio,  non  colendo  ora  confessare  ciò  che  avevan  deriso,  e 
dovendo  pur  dare  un  nome  generico  alla  nuo^'a  malattia,  divenuta 
troppo  comune  e  troppo  palese  per  andarne  senza,  trovarono  quello 
di  febbri  maligne,  di  febbri  peslileali:  miserabile  transazione,  anzi 
Iriiffcria  di  parole,  e  che  pur  faceva  gran  danno;  perchè,  figurando 
di  rieonoseere  la  vcrìlà,  riusciva  ancora  a  non  lasciar  credere  ciò  che 
più  imporlava  di  credere,  di  vedere,  che  il  male  s'attaccava  per  mezzo 
del  conlatto.  1  magistrati,  come  chi  si  risente  da  un  profondo  sonno, 
principiarono  a  dare  un  po'  più  orecchio  agli  avvisi,  alle  proposte  della 
Sanità,  a  far  eseguire  i  suoi  editti,  i  sequestri  ordinali,  le  quarantene 
prescritte  da  quel  tribunale.  Chiedeva  esso  di  continuo  anche  danari 
per  supplire  alle  spese  giornaliere,  crescenli,  del  lazzeretto,  di  tanti 
altri  servizi';  e  li  chiedeva  ai  decurioni,  intanto  cbe  fosse  deciso  (cbc 
non  fu,  creda,  mai,  se  non  col  fatto)  se  tali  spese  toccassero  alla 
città,  o  all'erario  regio.  Ai  decurioni  faceva  pure  istanza  il  gran  can- 
celliere, per  ordine  aiiclie  ■jpi  gnvpi-nairtpg  ^  "h' pra  andato  di  nuovo 
a  metter  l'assedio  a  quel  povero  Gasale;  faceva  istanza  il  senato,  per 
che  pensassero  alla  maniera  di  vettovagliar  la  città,  prima  che  dila- 
limdot'isi  per  isvenlura  il  contagio,  le  venisse  negato  pratica  dagli 
.illri  paesi  ;  perchè  trovassero  il  mezzo  di  mantenere  una  gran  parie 
della  popolazione,  a  cui  eran  mancati  i  lavori.  I  decurioni  cercavano 
di  far  danari  per  via  d' imprestiti,  d' imposte;  e  di  qud  die  ne  rac- 
coglievano, ne  davano  un  po'  alla  Sanità,  un  po'  a'  poveri;  un  po' 
di  grano  compravano;  supplivano  a  una  parie  dei  bisogno.  E  le  grandi 
angosce  non  erano  ancor  venute. 

Nel  lazzeretto,  dove  la  popolazione,  quantunque  decimata  ogni 
giorno,  andava  ogni  giorno  crescendo,  era  un'altra  ardua  impresa 
quella  d'assicurare  il  servizio  e  la  subordinazione,  di  conservar  le 
se))arazioni  prescritte,' di  mantenervi  in  somma  o,  per  dir  meglio, 
di   stabilir\i   il  governo  ordinato  dal  tribunale  della  sanità:  die,  fin 


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CAPITOLO  XXXi.  n» 

*iJa'  primi  momenli,  c'era  siala  ogni  cosa  in  confusione,  per  la  sfre- 
natezza di  molti  rìncliinsi,  per  ia  trascuratezza  e  per  la  connivenza 

-  de'  serventi.  Il  tribunale  e  i  decurioni,  non  sapendo  dove  battere  il 
capo,  pensaron  di  rivolgersi  ai  cappuccini,  e  supplicarono  il  padre 
commissario  della  provincia,  il  quale  faceva  le  veci  del  provinciale, 
morto  poco  prima,  acciò  volesse  dar  loro  de'  soggetti  abili  a  gover- 
nare quel  regno  desolato.  Il  commissario  propose  loro,  per  princi- 
pale, un  padre  Felice  Casati,  uomo  d'  età  matura,  il  quale  godeva 
una  gran  fuma  di  carità,  d'  attività,  di  mansuetudine  insieme  e  di 
fortezza  d'  animo,  a  quel  che  il  seguito  fece  vedere,  ben  meritata; 
e  per  compagno  e  come  ministro  dì  lui,  un  padre  Michele  Pozzo- 
bonelli,  ancor  giovine,  ma  grave  e  severo,  di  pensieri  come  d'a- 
spetto. Furono  accctlali  con  gran  piacere;  e  il  so  di  marzo,  entra- 
rono nel  lazzcrcllo.  Il  presidente  della  Sanità  li  condusse  in   giro. 


come  per  prenderne  il  possesso;  e,  convocati  i  serventi  e  gì'  impie- 
gati d'ogni  grado,  dichiarò,  davanti  a  loro,  presidente  di  quel  Iih^u 
il  padre  Felice,  con  primaria  e  piena  autorità.  Di  mano  in  mano  |Kii 
die  la  miserabile  radunanza  andò  crescendo,  v'accorsero  altri  cap- 
puccini;e  furono  in  quel  luogo  soprintendenti,  confessori,  amministra- 
(ori,  itifermieri ,  cucinieri,  guardarobi,  lavandai,  lutto  ciò  clic  occor- 
resse. Il  padre  Felice,  sempre  affaticato  e  sempre  sollecito,  girava  di 


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KM  I  PROMESSI  SPOSI 

giorno,  girava  di  iiolte,  per  i  porltci,  per  le  stanze,  per  quel  vaslo 
spasio  ioleroo,  lalvolla.pMrUfldo.  un'  anta,  talvolta  non  armato  che 
di  ciljzio;  MiidiavA  e  regolava  ógni  coeA;  sedava  i  tumulli,  faceva  ra- 
gione alle  querele,  laiiiacciaya,  puniva,  nprtikdtiva;  cooforlava,  asciu- 
gava e  spargeva  laorimt.  Presti,  «ul  prihàpto,  la  peste;!  ne  guwi,  e  si 
rimise,. con  jiuova  Iona,  alle  btoA  di  prima^  1  sueì  contcmielli  ci  la- 
sciaropoila-  più  -parte  la  \-ita,  e  tutti  con  allegrezza: 

Certo,  una  Ihl?  :  dittatura  et^  uno  strano  ripiego;  strano  t»ine  la 
calauiilà,  come  i  tempi;  e  quando  non  ne  sapessimo  altro, basterebbe 
per  ar^oinefilo,  aiUi  per  saggio  d'  una  società  molto  rozza  e  OMlre- 
gtriala,  il  veder  che  quelli  a  cui  toccava  od  così  importante  governo, 
non  sapesser  più  farne  allro  che  cederlo ,  né  trovassero  a  chi  ce- 
derlo j  che  uomini,  per  istituto,  il  più  alieni  da  ciò.  Ma  è  ìusìeine  un 
si^gio  non  ignobile  della  fora  e  dell'  abilità  che  la  carità  può  dare 
in  ogni  tem|>o,  e  in  qualunque  ordin  di  cose,  il  veder  quesl'  uomini 
sostenere  un  tal  carico  cosi  bravamente.  E  fu  bello  lo  stesso  averlo 
accettalo,  seuz' altra  ragione  che  il  non  esserci  ehi  lo  volesse,  sen- 
z'altro fine  clic  di  servire,  senz' altra  speranza  in  questo  mondo,  die 
d'  una  morie  molto  più  invidiabile  die  invidiata;  fu  bello  lo  stesso 
esser  loro  offerto ,  solo  perchè  era  difficile  e  pericoloso ,  e  si  suppo- 
neva clic  il  vigore  e  il  sangue  freddo ,  cosi  necessario  e  raro  in  que' 
momenti  ,  essi  lo  dovevano  avere.  E  perciò  1'  opera  e  il  cuore  di 
que'  frati  meritano  che  se  ne  faccia  memoria,  con  ammirazione,  con 
tenerezza,  con  quella  specie  di  gratitudine  che  è  dovuta,  come  in 
solido ,  per  i  gran  servizi  resi  da  uomini  a  uomini ,  e  più  dovuta  a 
quelli  dte  non  se  la  propongono  per  ricompensa.  ><  Che  se  questi 
«  Padri  lui  non  si  ritrouauano,  »  dice  il  Tadino,  "  al  sicuro  tutta 
u  la  Città  annichilata  si  trouaiia  ;  puoichè  fu  cosa  niiracolosa  l' liauer 
1  questi  Padri  fatto  in  così  puoco  spali»  di  tempo  tante  cose  per 
'"  benctitio  publico,  che  non  hauendo  liauuio  agiutto,  o  almeno  puoco 
"  dalla  Città  ,  con  la  sua  industria  et  prudenza  haueuaiio  mante- 
»  nuto  nel  Lazeretto  tante  migliaia  de  poueri.  »  Le  persone  rico- 
verale in  que)  luogo,  dorante  i  sette  mesi  che  il  padre  Felice  n'dibe 
il  governo,  furono  circa  cinquantamila,  secondo  il  Ripamonti;  il  qoale 
dice  con  ragione ,  che  d'  un  uomo  tale  avrebbe  dovuto  ugu^menle 
parlare ,  se  in  vece  di  descri\'er  le  miserie  d'  una  dita ,-  avesse  do- 
vuto raccontar  le  cose  die  posson  farle  onore. 

Andic  nel  pubblico,  quella  caparbietà  di  negar  la  peste  andava 


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CAPITOLO  XXXI.  KtT 

naturaloienle  cedendo  e  perdendosi ,  di  mano  iii  mano  che  il  morbo 
sì  difTondeva,  e  »  diffondeva  per  via  del  «onlalto  e  della  pratica  ;  e 
tanto  più  quando  j  dopo  esser  qualche  lempo  rimasto  solamente  Ira' 
poveri,  cominciò  a  toccar  persole  più  conosciute.  E  Ira  queste,  come 
allora  fu  il  più  notiito,  cosi  merita  anche  adesso  un'espressa  menzione 
il  protoQsico  Settata.  Avranno  almen  confessato  che  il  povere  vecchio 
aveva  ragione?  Chi  lo  sa?  Caddero  infermi  di  peste,  luì,  la  moglie, 
due  figliuoli,  sette  persone  di  servizio.  Lui  e  uno  de'  figliuoli  n'  usciron 
salvi;  il  resto  mori.  «  Questi  casi,  »  dice  il  Tadino,  u  occorsi  nella 
u  Città  in  case  Nobili,  disposero  la  Nobiltà,  et  la  plebe  a  pensare, 
u  et  gli  increduli  Medici,  et  la  plebe  ignorante  et  temeraria  coaiineiò 
«  stringere  le  labra,  chiudere  li  denti,  et  inarcare  te  ciglia.  " 

Ma  r  uscite,  i  ripieghi,  le  vendette,  per  dir  cosi,  della  caparbietà 
convinta,  sonoalle  volte  tuli  da  far  desiderare  che  fosse  rimasta  fer- 
ma e  invilla,  fino  all'ultimo,  contro  la  ragione  e  l'evidenza:  e  questa 
fu  bene  una  di  quelle  volte.  Coloro  i  quali  avevano  impugnato  cosi 
risolutamente,  e  cosi  a  lungo,  elie  ci  fosse  vicino  a  loro,  tra  loro,  un 
germe  di  male,  clie  poteva,  per  mezzi  naturali,  propagarsi  e  fare 
una  strage;  non  potendo  ormai  negare  il  propagamento  di  esso,  e 
non  volendo  attribuirlo  a  que'  mezzi  (  che  sarebbe  stalo  confessare  a 
un  tempo  un  grand' inganno  e  una  gran  colpa),  erano  tanto  più  di- 
^tosli  a  trovarci  qualche  altra  eausa,  a  menar  buona  qualunque  ne 
venisse  messa  in  campo.  Per  disgrazia,  ce  n'era  una  in  pronto  nelle 
idee  e  nelle  tradizioni  comuni  allora,  non  qui  soltanto,  ma  in  ogiiì 
parte  d'Europa:  arti  venefiche,  operazioni  diaboliche,  gente  congiu- 
rata a  sparger  la  peste,  per  mezzo  di  veleni  contagiosi,  di  malìe.  Già 
cose  tali,  o  somiglianti,  erano  state  supposte  e  credule  in  molle  altre 
pestilenze,  e  qui  segnatamente,  in  quella  di  mezzo  secolo  innanzi. 
S'aggiunga  che,  fin  dall'anno  antecedente,  era  venuto  un  dispaccio, 
soltoscrìllo  dal  re  Filippo  IV,  al  governatore,  per  avvertirlo  ch'e- 
rano scappali  da  Madrid  quattro  francesi ,  ricercati  «ome  sospetti 
di  spargere  ungnenti. velenosi,  pestiferi:  stesse  all'erta,  se  mai  coloro 
fossero  capitati  a  Milano.  Il  governatore  aveva  comunicalo  il  dispaccio 
al  senato  e  al  tribunale  della  sanità;  né,  per  allora,  pare  che  ci  si  lia- 
daase  più  die  tanto.  Però,  scoppiala  e  riconosciuta  la  peste,  il  tornar 
Delle  mentì  quali'  avviso  potè  servii  di  òonferma  al  sospetto  indeter- 
ntinato  d'  una  frode  scell«^la;  potè  anche  essere  la  prima  occasione 
di  farlo  nascere. 


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DOS  1  PROUESSI  SPOSI 

Ma  due  fulti,  I'  uno  di  cieca  e  indisciplinala  paura,  1'  altro  di  imhi 
M)  quale  cattività,  furou  quelli  che  convertirono  quel  sos|)ello  inde- 
terminato d'  un  attentato  possibile,  in  sospetto,  e  per  molli  in  cer- 
tezza, d'un  attentato  positivo,  e  d'una  trama  reale.  Alcuni,  ai  quali 
era  parso  di  vedere,  la  sera  del  IT  di  maggio,  persone  in  duomo 
andare   ungendo  un  assito  che  scr\'iva  a  dividere  {:li  spazi  assegnati 


a'  due  sessi,  lecero,  nella  notte,  portar  fuori  della  chiesa  l'assito  e 
una  quanlilà  di  panche  rinchiuse  in  quello;quantunque  il  presidente 
della  Sanità,  accorso  a  far  la  visita,  eon  quattro  persone  dell' ufizio, 
avendo  visitalo  Tassilo,  le  panche,  le  pile  dell'acqua  benedetta,  senza 
trovar  nulla  che  potesse  confermare  Y  ignorante  sospetto  d'  un  alten- 
lalo  venefico,  avesse,  per  compiacere  all'immaginazioni  altrui,  e  più 
lotta  per  abbondare  in  cautela,  che  per  bisogno,  avesse,  dico,  decìso 
che  bastava  dar  una  lavata  all'  assito.  Quel  volume  di  roba  accata- 
stata produsse  una  grand'  impressione  di  spavento  nella  moltitudine. 


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CAPITOLO  XXXt.  BO» 

per  cui  un  oggetto  diventa  cosi  facilmente  un  argomenlo.  Si  disse  e  si 
credellc  generalmente  die  Tossero  siale  unte  in  duomo  tulle  le  pan- 
clie,  le  pareti,  e  fin  le  corde  delle  campane.  Né  si  disse  soltanto  allora: 
tulle  le  memorie  de'  contemporanei  che  parlano  di  quel  Tatlo  (alcune 
scritte  moli' anni  dopo),  ne  parlano  con  ugual  sicurezza:  e  la  storia  sin- 
cera di  esso,  bisognerebbe  indovìnarìa,  se  non  si  trovasse  in  una  lel- 
tera  del  tribunale  delia  sanità  al  governatore,  che  si  conserva  nel- 
l'archivio dello  di  san  Fedele;  dalla  quale  l'abbiamo  cavata,  e  della 
(piale  sono  le  parole  clic  abbiam  messe  in  corsivo. 

La  mattina  seguente,  un  nuovo  e  più  strano,  più  significante  spet- 
tacolo colpi  gli  occhi  e  le  menti  de'  eitladini.  In  ogni  parte  della 
ctllà,  si  videro  le  porte  delle  case  e  le  muraglie,  per  liingliissimi 
tratti,  intrise  dì  non  so  che  sudiceria,  giallognola,  biancastra,  spar- 
savi come  con  delle  spugne.  O  sia  stalo  un  gusto  sciocco  di  far  na- 
scere uno  spavento  più  rumoroso  e  più  generale,  o  sia  stato  un  più 
reo  disegno  d'accrescer  la  pubblica  confusione,  o  non  saprei  die  al- 
tro; la  cosa  è  attestata  di -maniera,  che  ci  parrebbe  men  ragionevole 
l'attribuirla  a  un  sogno  di  molti,  che  al  fatto  d'alcuni:  fallo,  del  re- 
sto, cbe  non  sarebbe  sialo,  né  il  primo  né  1' ultimo  di  lai  genere, 
n  Ripamonti,  che  spesso,  su  questo  particolare  dell'unzioni,  derìde, 
e' più  spesso  deplora  la  credulità  popolare,  qui  afferma  d'aver  veduto 
queir  impìastramento,  e  lo  descrive*.  Nella  lettera  sopraccitala,  i  si- 
gnori della  Sanità  raccontan  la  cosa  ne'  medesimi  termini;  parlan 
di  vj^le ,  d'  esperimenti  falli  con  quella  materia  sopra  de'  cani ,  e 
senza  cattivo  effetto;  af^siungono,  esser  loro  opinione,  che  cotale  le- 
taerilà  tia  più  tosto  procedtita  da  ituolenza  j  che  da  fine  tcelerato  : 
pensiero  che  ìndica  in  loro,  fino  a  qnel  tempo,  pacatezza  d'animo 
bastante  per  non  vedere  ciò  ebe  non  ci  fosse  stato.  L' allre  memorie 
contemporanee,  raccontando  la  cosa,  accennano  anche,  essere  stata, 
sulle  prime,  opinion  di  molli,  che  fosse  fatta  per  burla,  per  bizzar- 
ria; nessuna  parla  dì  nessuno  che  la  negasse;  e  n'  avrebbero  parlalo 
certamente,  se  ce  ne  fosse  stati;  se  non  altro,  per  chiamarli  stra- 
vaganti. Ho  creduto  che  non  fosse  fuor  di  proposilo  il  riferire  e  il 
mettere  insieme  questi  particolari,  in  parte  poco  noti,  in  parte  affatto 


*  ....  fi  nos  quoque  ivirau»  vlsere.  MaculK  crani  spanim  Iniequatilerque  ma- 
nanU:s,  velult  si  quii  hauglam  spongia  sanletn  adspersisset,  Impressiuetve  parielt  : 
et  iamue  iwMlm,  CMUaque  tedlam  eadem  adspergine  contamrnala  ccrnebanlur.  pag.  IB. 


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«tra  I  PROIIESSI  SPOSI 

ignorali',  d'un  celebre  delirio;  percliè,  negli  errori  e  massuBé  negli 
errori  di  molti,  ciò  che  è  più  inleressaiite  e  più  utile  a  ossCTvarsi, 
mi  pare  che  sia  appunto  la  strada  che  hanno  fetta,  1'  appamtze,  i 
modi  con  cui  hanno  potuto  entrar  nelle  menti,  e  dominarle. 

La  città  già  agitala  ne  fu  sottosopra:  ì  padroni  delle  case,  con  pa- 
glia accesa,  abbrudaeehiavano  gli  spazi  miti;  i  passeggieri  si  ferma- 
\-ano,  guardavano,  inorridivano,  Tremevano.  I  foresti^!,  sospetti  per 


questo  solo,  e  che  allora  si  conoscevan  facilmente  al  vestiario,  ^c^i- 
vano  arrestati  nelle  strade  dal  popolo,  e  condotti  alla  giustizia.  Si  fe- 
cero interrogatòri,  esami  d'arrestati,  d'arrestatori,  dì  testimoni;  non 
si  trovò  reo  nessuno:  le  menti  «"ano  ancor  capaci  di  dubitare,  d'e- 
saminare, d'intendere.  Il  tribunale  della  saiiilà  pubblicò  una  grida, 
con  la  quale  prometteva  premio  e  impunità  a  chi  mettesse  in  cliiaro 
l'autore  o  gli  autori  del  fallo,  ^d  ogni  modo  non  parendoci  eonu^ 
niente,  dieono  que'  signori  nella  citala  lettera,  che  porla.ta;  ddta  del 
«1  di  maggio,  ma  che  fu  evidentemente  scritta  il  lo,.gioma  segiìato 
Della  grida  stampata ,  che  questa  déUtlo  in  qualnitóglia  moda  retti 
impunitOj  maitime  in  tempo  tanto  pencolom»  e  tospettoto,  per  canaotà- 
twne  a  quiete  di  questo  Popolo^  e  per  canore  indicio  del  fatto ^  hab- 
biatno  oggi  pubticata  gridu^  etc.  Ndla  grida  stessa  però,  nessun  een- 
no,  almen  chiaro ,  di  quella  ragionevole  e  acquietante  codgcttura . 
che  partecipavano  al  governatore  :  silenzio  che  accusa  a  un  tempo 
una  preoccupazione  furiosa  nel  popolo,  e  in  loro  una  condiscendenza, 
tanto  più  biasimevole,  quanto  più  poteva  esser  perniciosa. 

Mentre  il  tribunale  cercava,  molti  nel  pubblico,  eone  accade,  avevan 


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CAPITOLO  XXXI.  Mt 

già  Iroxalo.  Coloro  die  credevano  esser  quella  un'  unzione  velenosa , 
cfii  vole\'4  che  la  fosse  una  vendetta  di  don  Gonzalo  Fei-nandcs 
de  Cordova,  per  gl'insulti  ricevuti  nella  sua  partenza,  chi  un  rilnh 
vaio  del  cardinal  di  Riclielicu,  per  spopolar  Milano,  e  impadronirsene 
$enza  fatica;  altri,  e  non  si  sa  per  qnali  ragioni,  ne  volevano  autore 
il  conte  di  Collidto,  Walleii$tein,  questo,  quell'altro  gentiluomo  mila- 
nese. Non  mancavan,  come  aUtiam  detto,  di  quelli  clic  non  cedevano 
in  quel  fittip  altro  che.  uno  sciocco  scherzo,  e  l' altribuivMW  a  scolari, 
a  sigiM>ri,  a  utìuali  die  s' aonoiassei'o  all'assedio  di  Casale.  Il  non  ve- 
der poi,  come  si  sarà  lemulo ,  che  ne  seguisse  addirittura  un  infel- 
tamenlo,  un  eccidio  universale,  fu  pr(d>abìln)enl«  cagione  cbe.  quel 
)>rimo  spavento  s'  andasse  per  adorai  acquietando,  e  la  cosa  foj^  0 
paresse  miessa  in  oblio.  . 

C'era,  del  resto,  un  cerio  numero  di  persone  non  ancora  persuase 
che  questa  peste  ci  fosse.  E  perchè,  tanto  nel  lazzerello,  come  per  la 
città,  alcimi  pur  ne  guarivano^  »  sì  diceua,  »  (gli  ullimi  argomenti 
d'una  opinione  battuta  dall'evidenza  son  sempre  curiosi  a  sapersi) 
«  si  (ticeua  dalla  plebe,  et  ancora  da  molli  medici  partiali,  non  essere 
u  vera  peste ,  perché  lutti  sarebbero  atorti  *.  »  Per  levare  ogni  dub' 
bio ,  trovò  il  Irìbunale  della  sanità  un  espediente  proporzionato  al 
bisogno,  un  modo  di  parlare  agli  occhi,  quale  i  tempi  potevano  richie- 
derlo o  suggerirlo.  In  una  delle  feste  della  Pentecoste,  usavano  i  cit- 
tadini di  concorrere  al  cimitero  di  san  Gregorio,  fuori  di  Porta  Orien- 
tale, a  pregar  per  i  morti  dell'altro  contagio,  ch'eran  sepolti  là;  e, 
prendendo  dalla  divozione  opportunità  di  divertimento  e  di  spetta- 
colo, ci  andavano,  ognuno  più  in  gala  che  potesse.  Era  in  quel  giorno 
morta  di  peste,  tra  gli  altri,  un'intera  famiglia.  Nell'ora  del  maggior 
«HKorso,  in  mezzo  alle  carrozze,  alla  gente  a  cavallo,  e  a  piedi,  i 
cadaveri  di  quella  famiglia  furono,  d'ordine  della  Sanità,  condotti  al 
cimitero  suddetto,  sur  un  carro,  ignudi,  affinché  la  folla  potesse  ve- 
dere in  essi  il  marchio  manifesto  della  pestilenza.  Un  grido  di  ribrez- 
zo, di  terrore,  s'alzava  per  tutto  dove  passava  il  carro;  un  lungo 
mormorio  regnava  dove  era  passato;  un  altro  mormorio  lo  precorre- 
va. La  peste  fu  più  creduta:  ma  del  resto  andava  acquistandosi  fede 
da  sé,  ogni  giorno  più;  e  quella  riunione  medesima  non  dove  servir 
|)oeo  a  propagarla. 

*  Tuilino  ,  p.ig.  Oli. 


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MI  I  PROUESSI  SPOSI 

In  principio  dunque,  non  peste,  assolulamenle  ito,  per  nessun 
conto:  proibito  anctie  di  proferire  il  focabolo.  Poi,  febbri  peslilen- 
ziali:  l'idea  s'ammette  per  i^ieco  in  un  aggettivo.  Poi ,  non  vera  pe- 
ste ;  vale  a  dire  peste  sì,  ma  in  un  certo  senso  ;  non  peste  proprio, 
ma  unt)  cosa  alla  quale  non  si  sa  trovare  un  altro  nome.  Finalmente, 
peste  spnza  dubbio,  e  senza  contrasto:  ma  già  ci  s' è  attaccala  un'altra 
idea,  l'idea  del  veneiìzìo  e  del  malefìzio,  la  quale  altera  e  confonde 
r  idea  espressa  dalla  parola  che  non  si  può  più  mandare  indietro. 

Non  è,  credo,  necessario  d'esser  molto  versalo  nella  storia  dell'idee 
e  delle  parole ,  per  vedere  che  molte  lianno  fatto  un  simil  eorso.  Pei' 
grazia  del' eielo,  die  non  sono  molte  quelle  d'una  tal  sorte,  e  d'un» 
tale  importanza,  e  che  conquistino  la  loro  evidenza  a  un  tal  prezzo, 
e  alle  quali  si  possano  attaccare  accessòri  d' un  tal  genere.  Si  potrebbe 
peró,  tanto  nelle  cose  piccole,  come  nelle  grandi,  evitare,  in  gran 
parte,  quel  corso  così  lungo  e  cosi  storto,  prendendo  il  metodo  pro- 
t»osto  da  tanto  tempo,  d'  os.scrvare,  ascollarc,  parag<mare,  pet^are, 
prima  di  parlare. 

Ma  parlare,  questa  cosa  cosi  sola,  è  talmente  più  facile  dì  tutte 
quell'altre  insieme,  clic  anelie  noi,  dico  noi  uomini  in  generale,  siamo 
un  po'  di)  coiiipalirn. 


Digitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  XWII. 


nt'iiviido  sempre  pjù  dilficife  il  supplire, 
all'esigenze  dolorose   della  eircoslanza, 
era  sialo ,  il  4  dì  maggio ,  deciso  nel 
consiglio  de' decm'ioni,  di  ricorrer  per 
aiuto  al  governatore.  E,  ìl  ss,  furono 
spediti  al  cani))0  due  di  quel  corpo,  die 
gli  rappresentassero  i  guai  e  le  strettezze 
__  della   città  :    le   spese   enormi ,  le  easse 
vAle,  le  rendile  degli  anni  avvenire  impegnale,  le  imposte  correnti 
non  pagate,  per  la  miseria  generale,  prodotta  da  tante  cause,  e  dal 
guasto  militare   in  ispecie;  gli  meltessero  in  considerazione  che,  per 
leggi  e  consuetudini  non  interrotte,  e  per  decreto  speciale  di  Carlo  V, 
le  spese  della  peste  dovevan  essere  a  carico  del  fìsco:  in  quella  del 
ltt76,avere  il  governatore,  mardiese  d' Ayamonte,  non  solo  sospese 
tutte  le  imposizioni, camerali,  ma  data  alla  città  una  sovvenzione  di 
quaranta  mila  scudi  della  stessa  Camera  ;  chiedessero  finalmente  quat- 
tro cose:  che  1'  imposizioni  fossero  sospese,  come  allora  s'era  fatto; 
la  Camera  desse  danari;  il  governatore  itifoi'masse  il  re,  delle  miserie 
della  città  e  della  provincia;  dispensasse  da  nuovi  alloggiamenti  mili- 
tari il  paese  già  rovinato  dai  passati.  Il  governatore  scrisse  in  risposta 
condoglianze,  e  nuove  esortazioni:  dispiacergli  di  non  poter  trovarsi 
nella  città,  per  impiegare  ogni  sua  cura  in  sollievo  di  quella;  me 


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I  PROUESSl  SPOSI 


sperare  die  a  tulio  avrddK  supplito  lo  zelo  di  que'  sigoori  :  questo 
«ssere  il  tempo  di  spendere  senza  risparmio,  d' ingegnarsi  in  ogni 
maniera.  In  quanto  alle  richieste  espresse,  proueeré  en  el  mejor  modo 
qm  el  lieinjio  y  necesidadet  preKntet  permitteren.  E  sotto,  un  girigogolo, 


che  \'oleva  dire  Ambrogio  Spinola,  chiaro  come  le  sue  promesse.  Il  gran 
cancelliere  Perrer  gli  scrisse  che  quella  risposta  era  stata  Iella  dai 
decurioni,  con  gran  descotuuelo;  ci  furono  altre  andate  e  venule, 
domande  e  risposte;  ma  non  trovo  che  se  ne  venisse  a  più  strette 
condusioni.  Qualche  tempo  dopo,  nel  colmo  della  peste,  il  governatore 
trasferi,  con  lettere  patenti,  la  sua  autorità  a  Ferrer  medeamo,  avendo 
lui,  come  scrisse,  da  pensare  alla  guerra.  La  quale,  sia  detto  qui  in- 
cidentemente, dopo  aver  portato  via,  senza  parlar  de'  soldati,  un  mi- 
lion  di  persone,  a  dir  poco,  per  mezzo  del  contagio,  tra  la  Lwnbar- 
dia,  il  Veneziano,  il  Piemonte,  la  Toscana,  e  una  parte  della  Romagna: 
dopo  aver  desoIaU,  come  s'  è  visto  di  sopra,  i  luoghi  per  cui  passò, 
e  figuratevi  quelli  dove  fu  fatta;  dopo  la  presa  e  il  sacco  atroce  di 
Mantova;  fini  con  riconoscerne  tutti  il  nuovo  duca,  per  escludere  il 
quale  la  guerra  era  slata  intrapresa.  Bisogna  però  dire  che  fu  tA>- 
bligato  a  eedere  al  duca  di  Savoia  un  pezzo  del  Monferrato,  ddb 
rendila  di  quindici  mila  scudi,  e  a  Ferrante  duca  di  Guastalla  allrc 
lerre,  della  rendila  di  sei  mila;  e  che  ci  fu  un  altro  trattato  ò  parie 
e  segretissimo,  col  quale  il  duea  di  Savoia  suddetto  cede  Pineroio  alb 
Francia  :  trattato  eseguito  qualche  tempo  dopo,  sóli'  altri  pretesti,  e  a 
furia  di  furberie. 

liistcme  con  quella  risoluzione,  i  decurioni  ne  avcvan  presa  un' 
altra:  di  chiedere  al  cardinale  arcivescovo,  che  si  facesse  una  pro- 
cessione solenne,  portando  per  la  cìllà  il  corpo  di  san  Carlo. 

Il  buon  prelato  riliutò,  per  molte  ragioni.  Gli  dispiaceva  queUa  !!• 
diicia  in  un  mezzo  arbitrario,  e  temeva  die,  se  l'effetto  non  avesse 
corrisposto,  come  pure  temeva,  la  fiducia  si  cambiasse  ìn  tstanàoio'. 

*  Ménoriii  (Ielle  cose  nolablU  «uecesse  In  Sljluno  inlorno  al  mtil  coDlaegiow 
l'unno  16S0,  ec.  raccolte  da  D.  Pio  In  Croce,  Milano,  liso.  È  Irulln  evidenlenciite 
da  scrino  incoilo  d'autore  vissuto  al  tempo  della  pestllema:  se  pure  non  e  nna 
Rcmptice  edidone,  pfulloslo  che  una  nnova  coropllattone. 


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CAPITOLO.  XXXtl.:  tot 

Temeva  di  |iiù,  clic,  se  pur  c'era  di' qiuMfi  untori,  la  .processione 
fosse  un'  oc«asÌon  tro|)po  comoda  al  delillo:  te  tton  ce  n'era^  il  ra-r 
dunai*^  lanla  gente  non  polena  che  spander  sempre  più  il  Oonlagio: 
pericolo  ben  più  reale*.  Che  il  sospetto  sopito  dell' Unzioni  s'era  in 
lanlo  rkleslalo,  più  generale  e  più  furioso  di  prima. 

S'era  visto  di  nuovo,  o  questa  voUa  era  parso  di  vederci  un'c 
muraglie,  porte  d'edilizi  pubbjici,  usci  di  case,  martelli.  Le  nuove 
di  tati  scoi>ei'te  volavaii  di  bocca  in  bocca;  e,  come  accade  più  die 
mai,  quando  gli  animi  son  |ii-eoccupati,  ii  sentire  faceva  l'efl'etto  del  ver 
dere.  Gli  animi, sempre  più  amareggiati  dalla  ))resenza  de'  mali,  irritati 
dall'insistenza  del  pericolo,  abbracciavano  più  volentieri  quella  cre- 
denza: che  la  collera  aspira  a  punire:  e,  come  osservò  acutamente,  a 
questo  stesso  proposito,  un  uomo  d'ingegno  ',  le  piace  più  d'attribuire 
i  mali  a  una  perversità  umana,  contro  cui  possa  far  le  sue  vendette, 
clic  di  riconoscerli  da  una  causa,  con  la  quale  non  ci  sìa  altro  da  fare 
che  rassegnarsi.  Un  veleno  squisito,  istantaneo,  penetrantissimo,  eraii 
parole  più  che  bastanti  a  spiegar  la  violenza,  e  tulli  gli  accidenti  più 
oscuri  e  disordinati  del  morbo.  Si  diceva  composto,  quel  veleno,  di 
rospi,  di  serpenti,  di  Lava  e  di  materia  d'appestati,  di  peggio,  di 
lutto  ciò  che  selvagge  e  slravolte  fantasìe  sapessero  trovar  di  sozzo 
e  d'atroce.  Vi  s'aggiunsero  poi  le  malie,  per  le  quali  ogni  effetto  di< 
\eni\a  possibile,  ogni  obiezione  |>erde^'a  la  forza,  si  scioglieva  ogni 
difficoltà.  Se  gli  effetti  non  s'  erari  veduti  subito  dopo  quella  prima 
unzione,  se  ne  capiva  il  perchè;  era  stalo  un  tentativo  sbaglialo  di 
venefìci  ancor  novìzi:  ora  l'arte  era  pei'fczionala,  e  le  volontà  più 
accanite  nell'  infernale  proposilo.  Ormai  chi  avesse  sostenuto  ancora 
di' era  stata  una  burla,  chi  avesse  negata  l'esistenza  d'una  trama, 
passava  per  cieco,  per  ostinalo;  se  pur  non  cadeva  in  sospetto  d'uo- 
mo interessato  a  stornar  dal  vero  1' allenzion  del  pubblico,  di  com- 
plice, d' tintore.-  il  vocabolo  fu  ben  presto  comune,  solenne,  tre- 
mendo. Con  una  tal  persuasione  che  ci  fossero  untori,  se  ne  doveva 
scoprire,  quasi  in&Hibilmenle:  tutti  gli  occhi  stavano  all'erta;  ogni 
alto  poteva  dar  gelosia.  E  la  gelosia  diveniva  facilmente  certezza,  la 
certezza  furore. 


■  Si  ungupMiu  scckralu  ci 
()iic  altea  innlum.  lliiiumoiili,  |iiig.  IBìl. 

<    P.   Verri,   Ossci-ysiriuiiE  sulla   lorti 
(Mrlc  moderila,  <oni.  IT,  |)»g.  aos: 


ili  urbe  edsciil.. 


I  espelli    ..  Ccrlliis- 


;  Sci'llliiri  lliiliaiii  d'  ecoiioniiu  |k>U(ìì'u; 


„GoogIe 


eoe  1  PH0SES9I  SPOSI 

Due  ratti  ne  adduce  in  prova  il  Ripamonli,  avvertendo  d'averli 
scelti ,  non  come  i  più  atroci  tra  quelli  che  seguivano  giornalmente , 
ma  perchè  dell'uno  e  dell' altro  era  stalo  pur  troppo  teslimonio. 

Nella  chiesa  di  sant'Antonio,  un  giorno  di  non  so  quale  solennità, 
un  vecchio  più  che  ottuagenario,  dopo  aver  pregato  alquanto  ìnginoc- 
chioni,  volle  mellcrsi  a  sedere;  e  prima,  con  la  cappa,  spolverò  la 
panca,  u  Quel  ^'ecchio  unge  le  panche  !  »  gridarono  a  una  voce  alcune 
donne  che  vidcr  l'alio.  La  gente  che  si  trovava  in  chiesa  (in  chiesa!), 
fu  addosso  al  vecchio;  Io  prendon  per  i  capelli,  blandii  com'erano 
lo  cancan  di  pugni  e  di  calci;  parte  lo  tirano,  parte  lo  spingon  fuori 


se  non  lo  finirono,  fu  per  istrascinario ,  cosi  semivivo,  alla  prigione, 
ai  giudici, alle  tmiurc.  «  Io  lo  vidi  mentre  lo  straseinavan  cosi,»  dice 
il  Ripamonli:  «  e  non  ne  seppi  più  altro  :  credo  bene  che  non  aUrà 
-  potuto  sopravvivere  più  di  qualche  momcnlo.  » 

L'altro  caso  (e  segui  il  giorno  dopo)  fu  ugualmente  strano,  ma 
non  ugualmente  funesto.  Tre  giovani  compagni  francesi,  un  letterato, 
un   pittore,  un   meccanico,  venuti  per  veder  l' Italia,  per  istudiarvi 


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CAPITOLO  XXXII.  COI 

le  aitticliità,  e  per  cercarvi  occosion  di  guadagno,  s'erano  accostati  a 
uon  so.qual  parie  esterna  del  duomo,  e  stavan  li  guardando  attenta- 
mente. Uno  che  passava,  li  vede  e  si  ferma;  gli  accenna  a  un  altro, 
ad  altri  che  arrivano:  si  rormò  un  crocchio,  a  guardare,  a  tener  d'oc- 
chio coloro,  ohe  il  vestiario ,  (a  capigliatura,  le  bisacce,  accusavano  di 
stranieri  e,  quel  eh'  era  peggio,  di  francesi.  Come  per  accertarsi 
eh'  era  marmo,  stesero  essi  la  mano  a  toccare.  Bastò.  Furono  circondali, 


afTerrati,  malmenati,  spimi,  a  furia  di  percosse,  alle  carceri.  Per  buona 
sorte,  il  palazzo  di  giustizia  é  poco  lonlano  dal  duomo;  e,  per  una 
sorte  ancor  più  felice,  furon  Irovali  innocenti,  e  rilasciati. 

Né  tali  cose  accadevan  soltanto  in  città  :  la  frenesia  s' era  propa- 
gala come  il  contagio.  Il  viandante  che  fosse  incontralo  da  de'  con- 
tadini ,  fuor  della  strada  maestra ,  o  che  in  quella  si  dondolasse  a 
guardar  in  qua  e  in  là,  o  si  buttasse  giù  per  riposarsi  ;  lo  sconosciuto 
u  cui  si  trovasse  qualcosa  dì  strano^  di  sospetto  nel  volto,  nel 
vestilo,  erano  untori:  al  primo  avviso  di  chi  si  fosse,  al  grido  d'  uii 
ragazzo,  si  sonava  a  martello,  s'  accorreva;  gl'infelici  eran  tempe- 
stali di  pietre,  o,  presi,  venivan  menali,  a  furia  di  popolo,  in  pri- 
gione. Così  il  Ripamonti  mcdesijiio.  E  la  prigione ,  (ino  a  un  cerio 
tempo,  era  un  porto  di  salvamento. 


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003  I  PROUeS^I  SPOSI 

.  Ma  i  decurioni,  noiì  disanimati  cfiil  rinulo  del  savio  prelalo,  anda- 
va'n  replicando  le  lóro  istanze,  che  il  voto  pubblico  secondava  ru- 
morosamente. Federigo  resislelté  ancor  qualche  tempo,  cercò  di  con- 
vìncerli ;  questo  è  quello  che  potè  il  senno  d' un  uomo ,  contro  la 
l'Orza  de'  tempi ,  e  l' insistenza  di  molti.  In  quello  stalo  d' opinioni , 
con  l'idea  del  pericolo,  confu^  com'era  allora,  contrastata,  ben 
lontana  dall'  evidenza  che  ci  si  trova  ora ,  non  è  difficile  a  capire 
come  le  sue  buone  ragioni  potessero ,  anche  nella  sua  niente ,  es- 
ser soggiogale  dalle  catlivc  degli  altri.  Se  |hȓ,  net  ceder  die  Tece, 
avesse  o  non  avesse  parte  un  po'  di  debolezza  della  volontà,  sono 
misteri  del  cuore  umano.  Certo,  se  in  alcun  caso  par  che  si  possa 
dare  in  tutto  l'errore  all'intelletto,  e  scusarne  la  coscienza,  è  quando 
si  Iratli  di  que'  pochi  (e  questo  fu  ben  del  numero),  nella  vita  in- 
tera de'  quali  apparisca  un  ubbidir  risoluto  alla  coscienza,  senza  ri- 
guardo a  interessi  temporali  di  nessun  genero.  A.I  replicar  dell'  istan- 
ze, cedette  egli  dunque,  acconsenti  che  si  facesse  la  processione, 
aeeonsenli  di  più  al  desiderio,  alla  premura  generale,  che  la  cassa 
dov'eran  rinchiuse  le  reliquie  di  san  Carlo,  rimanesse  do|M>  esposta, 
per  otto  giorni,  sull' aitar  maggiore  del  duomo. 

Non  trovo  che  il  tribunale  della  sanità  ,  né  altri,  facessero  rimo- 
stranza né  opposizione  di  sorte  alcuna.  Soltanto,  il  tribunale  suddetto 
ordinò  alcune  precauzioni  clic,  senza  riparare  al  pericolo,  ne  indica- 
vano il  timore.  Pi-eserisse  più  strette  regole  per  l' entrata  delle  per- 
sone in  città;  e,  per  assicurarne  1' esecuzione,  fece  star  chiuse  le 
porle;  come  pure,  affine  d' escludere,  per  quanto  fosse  possibile,  daHa 
t^dunanza  gli  infetti  e  i  sospetti,  lece  inchiodar  gli  usci  delle  case 
séqué$trìilé:,fc  quali,  per  quanto  può  valei'e,  in  un  fatto  di  questa 
sorte,  la  semplice  afférmazione  d'  uno  scritlore,  e  d"  uno  scrittore  di 
quel  tempo,  eran  circa  cinquecento  *. 

'  Tre  giorni  furono  spesi  in' preparativi:  l'undici  di  giugnOi  ch'era 
il  giorno  stabilito,  (a. processione  usci,  sull'  alba  ,  dal  duomo:  Andava 
Ylinaiizi   una  lunga  schiera  di  popolo,  donne  la  più  parte,  coperte  il 

volto  d' ampi  zendali ,  molte  scalze,  e  \'estìte  di  sacco.  Venivan  pm 
l'arti,  precedute  da'  loro  gonfaloni,  le  confraternite,  in  abiti  vari  <S 
forme  e  dì  colori;  poi  le  fraterie,  poi  il  clero  secolare,  o^uno  con 

*  AUegKlamcnlo  ikllo  Slnto  di  Milano  eie.  di  C.  C.  Cavxtifl  dell»  Snniagliii.  MV- 
lana,  leiis,  p»g,  4tia. 


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CAPITOLO  xxxir.  eoi» 

r  JDScgnc  dui  grado,  e  con  una  candela  o  un  (orcello  in  mano.  Nel 
mezzo,  Ira  il  chiarore  di  più  lìUi  lumi,  tra  un  rumor  più  allo  di  canti, 
sotto  un  ricco  baldacchino ,  s' avanzava  la  cassa ,  portata  da  quattro 
canonici,  parati  in  gran  pompa,  clic  si  cambiavano  ogni  tanto.  Dai  cri- 
stalli Iraspari^a  il  veneralo  cada\erc  vestito  di  splendidi  abili  jionli- 
ficali,  e  mitralo  il  teschio  j  e  nelle  forme  mutilate  e  scomposte,  si  poteva 
ancora  distinguere  qualche  vestigio  dell'antico  sembiante,  quale  lo  rap- 
presi^'utaiio  l'immagini,  quale  alcuni  si  ricordavan  d'averlo  visto  e 
onoralo  in  \ita.  Dietro  la  spoglia  dei  morlo  pastore  (  dice  il  Ripn- 
monli ,  da  cui  principalmente  prendiamo  questa  descrizione),  e  vi- 
cino a  lui,  come  di  meriti  e  di  sangue  e  di  dignità,  così  ora  anche 
di    persona,   veniva  l' arcivescovo    Federigo.    Seguiva    l'altra    parie 


del  clero;  poi  ì  magistrali,  con  gli  iibiti  di   maggior  cerimonia;  poi  i 
nobili,  quali   vesliti   sfarzosamente,  come  a  dimostrazione  solenne  di 


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t  PROMESSI  SPOSI 


culto,  quali,  in  srgiio  di  penitenza,  abbrunali,  o  scalzi  e  incappali, 
con  la  bufTa  sul  viso;  luUi  con  lorcelti.  Finalmente  una  coda  d'al- 
tro popolo  misto. 


Tutta  la  strada  era  parata  a  festa;  i  ricclii  avevan  cavate  fuori 
le  suppellettili  più  preziose;  le  facciate  delle  case  povere  erano  siale 
ornale  da  de'  vicini  beneslanli,  o  a  pubbliche  spese;  dove  in  luogo 
di  parati,  dove  sopra  i  parati,  c'eran  de' rami  fronzuti;  da  ogni  parte 
pendevano  quadri,  iscrizioni,  imprese;  su'  davanzali  delle  fìneslrc 
stavano  in  mostra  vasi,  anticaglie,  rarità  diverse;  per  tutto  lumi.  A 
molte  di  quelle  lìnestre,  infermi  sequestrati  guardavan  la  processione, 
e  r  accompagnavano  con  le  loro  preci.  V  altre  strade,  mute,  deserlc; 
se  non  che  alcuni,  pur  dalle  finestre,  tendevan  l'orecchio  al  riHizio 
\'a2abondo;  altri,  e  tra  questi  si  videro  fin  delle  monache,  eran  saliti 
sui  letti ,  se  di  li  |>otessero  veder  da  lontano  quella  cassa ,  il  cor- 
teggio ,  qualche  cosa. 

La  proces.siono  passò  |K>r  lutti  i  quartieri  della  città:  a  ognuno  di 
que*  crocieelii ,  o  piazzette  ,  dove  le  strade  principali  -sboccan  ne' 
Iwrghi,  e  the  allora  serbavano  l'antico  nome  di  canobi,  ora  rimasto 
a  uno  solo,  si  faceva  una  fermala,  posando  la  cassa  accanto  alla  croce 
che  in  ognuno  era  stata  creila  da  san  Carlo,  nella  peste  antecedente, 
e  delle  quali  alcune  sono  tuttavia  in  piedi  :  di  maniera  rhc  si  tornò 
in  duomo  un  pezzo  do|>o  il  mezzogiorno. 

Ed  ecco  che,  il  giorno  seguente,  mentre  appunto  regnava  quella 
presontuosa  fiducia,  anzi  in  molti  nna  fanatica  sicurezza  clic  la  pro- 
cessione dovesse  aver  troncata  la  peste,  le  morii  crebbero,  in  ogni 
classe,  in  ogni  parte  della  città,  a  un  tal  eccesso,  con  un  salto  cosi 
subitaneo,  ctie  non  ci  fu  chi  non  ne  vedesse  la  causa,  o  1'  occasione, 
nella  processione  medesima.   Ma,  oh  forze  mirabili  e. dolorose  d'un 


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CAPITOLO  XXXU.  eli 

pregiudizia  generale!  non  già  al  trovarsi  insieme  tante  persone,  e 
per  lanlo  tempo,  non  all'  infinita  moltiplicazime  de'  contatti  fortuiti , 
attribuivano  i  più  quell'effetto;  l'attribuivano  alla  facilità  die  |ji 
untori  ci  avessero  trovata  d'eseguire  ia  grande  il  loro  empio  dise- 
gno. Si  disse  che,  mescolati  nella  folla,  avessero  infettati  col  loro  un- 
gnento  quanti  più  avevan  potuto.  Ma  siccome  questo  non  pareva  un 
mezzo  bastante,  uè  appropriato  a  una  mortalità  cosi  vasta,  e  cosi  dif- 
fusa in  ogni  classe  di  persone;  sicoome,  aquel  che  pare,  non  era  stato 
possibile  air  occhio  co«  attento,  e  pur  così  travedente,  del  sospetto,  di 
scorgere  untumi ,  macefaie  di  nessuna  sorte,  su'  muri,  né  altrove; 
cosi  si  ricorse,  per  laspìegazion  del  fatto,  a  quell'altro  ritrovato,  ^ 
vecchio,  e  ricevuto  allora  nella  sdsiza  comune  d'Europa,  delle  pol- 
veri veneAche  e  malefiche;  si  disse  che  polveri  tali,  sparse  lungo  la 
strada,  e  specialmente  ai  luoghi  delle  fennate,  si  fossero  attaccate  agli 
strascìdii  de*  vestiti,  e  tanto  più  ai  piedi,  che  in  gran  numero  erano 
quel  gjomo  andati  in  giro  scalzi.  «  Vide  pertanto ,  «  dice  uno  scrittore 
ctmtemporaoeo  * ,  «  l' istesso  giorno  della  processione,  la  pietà  coixar 
»  con  l'empietà,  la  perfidia  con  la  sincerità,  la  perdita  con  l' acqui- 
li sto.  »  Ed  era  in  vece  il  povero  senno  umano  die  cozzava  co'  fan- 
tasmi creati  da  sé. 

Da  qnel  giorno,  la  furia  dd  contagio  andò  sempre  crescendo:  in 
poco  tempo,  non  ci  fu  quasi  più  casa  che  non  fosse  toccala:  in  poco 
tempo  la  popolazione  dd  lazzeretto,  al  dir  del  Somaglia  dtato  di 
sopra ,  montò  da  duemila  a  dodid  mila  :  più  lardi ,  al  dir  di  quasi 
tutti ,  arrivò  fino  a  sedìd  mila.  11  4  di  luglio ,  come  trovo  in  un'altra 
lettera  de'  conservatori  della  sanità  al  governatore ,  la  mortalità  gior- 
naliera oltrepassava  i  dnquecento.  Più  innanzi,  e  od  colmo,  arrivò, 
secondo  il  calcolo  più  comune,  a  mille  dugento,  mille  cinquecento; 
e  a  più  di  tremila  cinquecento,  se  vogliam  credere  al  Tadino.  D  quale 
anche  aflerma  che,  •<  per  le  diligenze  fatte,  n  dopo  la  peste,  si  trovò 
la  popolazion  di  Milano  ridotta  a  poco  più  di  sessantaquattro  mila 
anime ,  e  che  prima  passava  le  dugento  cinquanta  mila.  Secondo  il 
Ripamonti,  era  di  sole  dogento  mila;  de' morti,  dice  che  ne  risulta 
cento  quaranta  mila  da' registri  dvici,  oltre  quelli  di  cui  non  si  potè 
tener  conto.  Altri  dicon  più  o  meno,  ma  ancor  più  a  caso. 


*  AgMiinn  Lnmpugnano;  L>  peslilcnn  seguila  in  UIIsdo,  l'vaao  ISSO.  Ullano, 
iet4,  p$$.  u. 


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■  Il  I  PAOMESSl  SPOSI  ' 

Si  pensi  ora  in  che  angustie  dovessero  trovarsi  i  decurioni ,  ad-     j 
dosso  ai  quali  era  rimasto  il  peso  di  provvedere  alle  pubbliche  oe-     1 
cessila ,  di  riparare  a  ciò  che  e'  era  di  riparabile  in  ud  tal  disaMro.     ' 
Bisognava  ogni  giorno  sostituire ,  ogni  giorno  aumentare  serventi  pub-     | 
Mici  dì  varie  specie:  monatti,  apparitori,  commissari.  I  primi  eraoo    i 
addetti  ai  servizi  più  penosi  e  pericolosi  della  pestilenza  :  levar  dalle 
case,  dalle  strade,  dal  lazzeretto,  i  cadaveri;  condurli  sqi  carri  alle    j 
fosse,  e  sotterrarli; portare  o  guidare  al  lazzeretto  gl'iofenni,  e  go- 
veroarli;  bruciare,  purgare  la  roba  infetta  e  sospetta.  Il  nome,  vuole     i 
il  Ripamonti  che  venga  dal  greco  monos;  Gaspare  Bugalli  (in  una  de- 
scrìzion  ddla  peste  antecedente),  dal  latino  monere;  ma  insieme  do-     I 
liita,  con  più  n^one,  che  sia  parola  tedesca,  per  esser  quegli  uomini     ■ 
arrolati  la  più  parte  nella  Svizzera  e  ne'  Grìgioni.  Né  sarebbe  io- 
fatti  assurdo  il  crederlo  una  troncatura  del   vocabolo  numathtidi    | 
(oiensuale);  giacché,  nell'incertezza  di  quanto  potesse  durare  il  bi-     i 
sogno,  è  probabile  che  gli  accordi  noe  fossero  die  di  mese  in  mese. 
L' impiego  speciale  degli  apparitori  era  di  precedere  i  carri ,  avve^ 
tendo,  col  suono  d'un  campanello,  i  pass^gierì ,  che  si  ritirassero. 
I  commissari  regolavano  gli  uni  e  gli  altri ,  sotto  gli  ordini  immediati 
del  tribunale  della  sanità.   Bisognava  tener  fornito  il  lazzeretto  dì 
medici ,  di  chirurghi ,  di  medicine,  di  villo ,  di  tutti  gli  attrezzi  d' in- 
fermeria ;  bisognava  trovare  e  preparar  nuovo  alloggio  per  gli  amma- 
lati che  sopra^^ungevano  ogni  giorno.  Si  fecero  a  quest'  en'ello  eo- 
struire in  fretta  capanne  di  legno  e  dì  paglia  nello  spazio  interno  del 
lazzeretto  ;  se  ne  piantò  un  nuovo ,  tutto  di  capanne ,  cinto   da  ud 
semplice  assito ,  e  capace  di  contener  quattromila  persone.  E  non  ba- 
stando, ne  furon  decretali  due  altri;  d  si  mise  anche  mano;  ma,  per 
mancanza  di  mezzi  d' ogni  genere ,  rimasero  in  tronco.  I  mezzi ,  le  per- 
sone ,  il  coraggio,  diminuivano  di  mano  in  mano  che  il  bisogno  cresceva. 

E  non  solo  l' esecuzione  rimaneva  sempre  addietro  de'  progetti  e 
degli  ordini;  non  solo,  a  molte  necessità,  pur   troppo  riconosciute, 
si  provvedeva  scarsamente,  anche  in  parole;  s'arrivò  a  quest'eccesso     i 
d'impotenza  e  di  disperazione,  ébe  a  molte,  e  delle  più  pietose,  come     i 
delle  più  urgenti,  non  si  provvedeva  in  nessuna  maniera.   Moriva, 
per  esempio ,  d'  abbandono  una  gran  quantità  di  baiiibini ,  ai  quali      ' 
eran  morte  le  madri  dì  peste:  la  Sanità  propose  che  s'  institui<»e  un 


ricovero  per  questi  e  per  le  parlorieriti  bisognose ,  che  qualcosa  si 
facesse  per  loro  ;  e  non  potè  ollcncr  nulla.  »  Si  doueua  non  di  meno,  '^ 


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CAPITOLO  XXXII.  «13 

dice  il  Tadiao,  «  compatire  ancora  alli  Decurioni  della  Città,  li  quali 
si  trouauano  afflitti,  mesti  et  lacerati  dalla  Soldadesca  senza  regola, 
et  rispetto  alcuno  ;  come  molto  meno  nel)'  infelice  Ducato ,  atteso 
che  aggiutto  alcuno ,  né  prouisione  si  polena  haufire  dal  Gouerna- 
tore ,  se  non  che  sì  trouaua  tempo  di  guerra ,  et  bisognava  trattar 
bene  li  Soldati  *.  -  Tanto  importava  il  prender  Casale!  Tanto  par 
bella  II  lode  del  vìocere ,  iadipendentemente  dalla  cagione ,  dallo 
scopo  per  coi  si  combatta  ! 

Cosi  pure ,  trovandosi  colma  di  cadaveri  un'  ampia ,  ma  unica 
fossa,  ch'era  siala  scavata  vicino  al  lazzeretto;  e  rimanendo,  non  stAo 
in  quello,  ma  in  ogni  parie  della  città,  insepolti  i  nuovi  cadaveri,  che 
ogni  giorno  eran  di  più ,  i  magistrati ,  dopo  avere  invano  cercato 
braccia  per  il  tristo  lavoro ,  s'  eran  ridotti  a  dire  di  non  saper  più 
che  partito  prendere.  Né  si  vede  come  sarebbe  andata  a  finire , 
se  non  veniva  un  soccorso  straordinario.  Il  presidente  della  Sanità 
ricorse  ,  per  disperalo ,  con  le  lacrime  agli  occhi ,  a  que'  due  bravi 
frali  che  soprintendevano  al  liazertMo  ;  e  il  padre  Michele  s' impe- 
gnò a  dargli ,  in  capo  a  quattro  giorni ,  sgombra  la  dita  di  cada- 
veri; in  capo  a  otto,  aperte  fosse  snfficienli,  non  solo  al  bisogno  pre- 
^enle ,  ma  a  quello  che  si  potesse  preveder  di  peggio  nel!'  avvenire. 
Con  un  frate  compagno ,  e  con  persone  del  tribunale ,  dategli  dal 
presidente,  andò  fuor  della  città,  in  cero  di  contadini  ;  e ,  parte  con 
l'aulorità  del  tribunale,  parte  con  quella  dell'abito  e  delle  sue  parole, 


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ne  neeoiae  cìrea  dugento,  ai  qo^i  fece  scavar  Ire  grandusime  fosse  ; 
spedi  poi  dal  lazserttlo  monatti  a  raccogliere  i  morti  ;  tanto  che ,  il 
giorno  prefisso,  la  sua  promessa  si  trovò  ademiNta. 

Una  volta,  il  laueretto  rimase  senza  medici;  e,  con  offerte  di  grosse 
paghe  e  d'onori ,  a  fatica  e  non  subilo ,  se  ne  potè  avere;  ma  mollo 
men  del  bisogno.  Fu  spesso  li  li  per  mancare affalto di  viveri,  ascino 
di  temere  che  ci  s'avesse  a  morire  anche  di  fome;  e  più  d'una  volta, 
mentre  non  «  sapeva  più  dove  batter  la  testa  per  trovare  il  bist^ne- 
vole,  vennero  a  tempo  abbondanti  sussidi ,  per  inaspettato  dono  di 
misericordia  privata:  che,  in  mezzo  allo  stordimento  generale,  all'in- 
differenza per  gli  altri ,  nata  dal  continao  temer  per  sé ,  ci  furono 
degli  animi  sempre  desti  alia  carili,  ce  ne  furon  degli  altri  in  cui  la 
cariti  nacque  al  cessare  d'ogni  allegrezza  terrena;  come,  nella  strage 
e  nella  fuga  di  molti  a  cu!  toccava  di  soprìolcndere  e  di  prowe* 
dere,  ce  ne  furono  alcuni ,  sani  sempre  di  corpo ,  e  saldi  di  coraggio 
al  loro  posto:  ci  furon  pure  altri  che ,  spinti  dalla  pietà,  assunsero  e 
sostennero  virtuosamente  le  cure  a  cui  non  eran  chiamati  per  im- 
piego. 

Dove  spiocò  una  più  generale  e  più  pronta  e  costante  fedeltà  ai 
doveri  difficili  della  circostuiza ,  fu  negli  ecclesiastici.  Ai  lazzeretti , 
nella  città,  non  mancò  mai  la  loro  assistenza:  dove  si  pativa,  ce  n'e- 
ra ;  sempre  si  videro  mescolati ,  confusi  co'  languenti ,  co'  morìbon- 
di ,  languenti  e  moribondi  qualche  volta  loro  medesimi  ;  ai  socom^ 
spirituali  aggiungevano  ,  per  quanto  potessero ,  i  temporali  ;  presta* 
vano  ogni  servìzio  che  richiedessero  le  circostanze.  Più  di  sessanta 
parrochi ,  della  città  solamente ,  moriron  dì  contagio  :  gli  otto  noni , 
all'incirca. 

Fedo-igo  dava  a  tutti ,  com'  era  da  aspettarsi  da  lui ,  incitamento 
ed  esempio.  Mortagli  intorno  quasi  tutta  la  Simiglia  arcivescovile ,  e 
facendogli  istanza  parenti,  alti  magistrali,  principi  circonvicini,  ebe 
s'allontanasse  dal  pericolo,  ritirandosi  in  qualche  villa,  rigettò  un  tal 
consiglio,  e  resistette  all'  istanze,  con  queir  animo,  con.  cui  scrìveva  ai 
parrochi:  -  siate  disposti  ad  al^andonar  questa  vita  mortale,  piuttosto 
che  questa  famiglia,  questa  ligliolauza  nostra:  andate  con  amore  incon- 
tro  alla  peste,  come  a  un  premio,  come  a  una  vita,  quando  ci  sia  da 
guadagnare  un'anima  a  Cristo  *.  »  Non  trascurò  quelle  cautele  che 

*  Rlpiinoiili,  piig   181. 


„GoogIe 


CAPITOLO  XXXII.  «is 

iH>n  gì'  impedissero  di  fare  il  suo  dovere  { sulla  qiial  cosa  diede  an- 
che istruzioni  e  regole  al  clero  )  ;  e  insieme  non  curò  il  perieolo,  né 
parve  che  se  n'  avvedesse,  quando,  per  far  del  bene,  bisognava  pas- 
sar  per  qnello.  Senza  parlare  degli  ecclesiastici,  coi  quali  era  sempre 
per  lodare  e  regolare  il  loro  zelo,  per  eccitare  chiunque  di  loro  an- 
dasse freddo  nel  lavoro,  per  mandarli  ai  posti  dove  altri  eran  morti, 
volle  che  fosse  aperto  l'adito  a  chiunque  avesse  bisogno  di  lui.  Vì- 
5>ilava  i  lazzeretti,  per  dar  consolazione  agi' infermi,  e  per  animare  i 


serventi;  scorreva  la  città,  portando  soccorsi  ai  poveri  sequestrali 
nelle  case,  fermandosi  agli  usci,  sotto  le  fineslre,  ad  ascoltare  i  loro 
lamenti,  a  dare  in  cambio  parole  di  consolazione  e  di  coraggio.  Si 
cacciò  in  somma  e  visse  nel  mezzo  della  pestilenza,  maravigliato  an- 
che lui  alla  fine,  d'esserne  uscito  illeso. 

Cosi,  ne'  pubblici  infortuni,  e  nelle  lunghe  perturbazioni  di  quel 
qual  s\  sia  ordine  consueto,  si  vede  sempre  un  aumento,  una  subli- 
mazione di  virtù;  ma,  pur  troppo,  non  manca  mai  insieme  un  au- 
mento, e  d'ordinario  ben  più  generale,  di  perversità.  E  questo  pure 
fu  segnalalo.  I  birboni  che  la  peste  risparmiava  e  non  atterriva,  tro- 
varono nella  confusion  comune,  nel  rilasciamento  d'ogni  forza  pub- 
blica, una  nuova  occasione  d'attività,  e  una  nuova  sicurezza  d'  im- 
punità a  un  tempn.  Che  anzi,  l'uso  della  forza  pubblica  slessa  venne 
a  trovarsi  in  gran  parte  nelle  mani  de'  peggiori  Ira  loro.  All'impiego 
di  monatti  e  d'apparitori  non  s'adattavano  generalmente  che  uomini 
sui  quali  r  attrattiva  delle  rapine  e  della  licenza  potesse  più  che  il 


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el«  I  PROMESSI  SPOSI 

lerror  del  conlagio,  che  ogni  naturale  ribrezzo.  Erano  a  rosloro  pre< 
scritte  strettissime  regole,  inlimate  severissime  pene,  assegnali  posli, 
dati  per  superiori  de'  commissari;  sopra  questi  e  quelli  cran  dele- 
gali ,  come  abbiam  detto ,  in  ogni  quartiere ,  magislrati  e  nobili , 
con  r  auloritA  di  provveder  sommariamente  a'  ogni  oocoirenza  di 
buon  governo.  Un  tal  ordin  di  cose  camminò,  e  fece  efletlo,  fino  a 
un  certo  tempo;  ma,  crescendo,  ogni  giorno,  il  numero  di  quelli  die 
morivano,  di  quelli  clie  andavan  via,  di  quelli  che  pcrdevan  la  lesia, 
venner  coloro  a  non  aver  quasi  più  nessuno  che  li  tenesse  a  Treno  ; 
si  fecero,  i  monatti  principalmente,  arbitri  d'  ogni  cosa.  Entravano  da 
padroni,  da  nemici  nelle  case,  e,  senza  parlar  de'  rubamcnli,  e  come 
trattavano  gl'infelici  rìdoKi  dalla  peste  a  passar  \ter  tali  mani,  le  met- 
tevano, quelle  mani  infette  e  scellerate,  sui  sani,  figliuoli,  parenti, 


mogli,  mariti,  minacciando  di  strascinarli  al  lazzcrcKo ,  se  non  sii 
riscaUavano,  o  lion  venivano  riscattati  con  danari.  Allre  \olle,  mette- 
vano a  prezzo  i  loro  servizi,  ricusando  di  portar  via  i  cadaveri  già 
putrefatti,  a  meno  di  tanti  scudi.  Si  disse  (e  tra  la  leggerezza  degli 
uni  e  la  malvagità  degli  allri.  è  ugualmente  malsicuro  ìl  credere  e 
il  non  credere),  si  disse,  e  l'afferma  anche  il  Tadino',  che  monatti 
e  apparilori  lasciassero  cadere  apiiosla  dai  carri  i-obe  infette ,  (ht 
propagare  e  mantenere   la  pestilenza,  divenula  per  essi  un' mirala, 

*  Pag  109. 


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CAPITOLO  XXXtl.  SIT 

un  r^fno,  una  festa.  A.)tri  sciagurati,  fingendosi  monatti,  porl^iido 
un  campanello  attaccalo  a  un  piede ,  com'  era  prescritto  a  quelli,  per 
distintivo  e  per  avviso  del  loro  avvicinarsi ,  s'  introducevano  nelle 
case  a  farne  di  tntte  le  sorte.  In  alcune,  aperte  e  vote  d'  abitanti^  « 
abitate  soltanto  da  qualche  languente,  da  qualche  moribondo,  entra* 
vao  ladri,  a  man  salva,  a  saccli^giare  :  altre  veiiivan  sorprese,  invase 
da  birri  che  facevan  lo  stesso ,  e  anche  cose  peggiori.  Del  pari  con 
la  perversità,  crebbe  la  pazzia:  tutti  gli  errori  già  dominanti  più 
o  meno,  presero  dallo  sbalordimento,  e  dall' agitazione  delle  menti, 
una  forza  straordinaria,  produssero  elTctli  piti  rapidi  e  più  vasti.  E 
tutti  servirono  a  rinforzare  e  a  ingrandire  quella  paura  speciale 
deli'  unzioni,  la  quale,  ne' suoi  efl'elli,  ne'  suoi  sfoghi,  eca  spesso, 
come  abbiam  veduto,  un'altra  perversità.  L' imm^ine  di  quel  sup- 
posto pericolo  assediava  e  martirizzava  gli  animi,  molfo  più  che  il 
pericolo  reale  e  presente,  u  E  mentre,»  dice  il  Ripamonti,  «  i  cada-- 
veri  sparsi ,  o  i  mucchi  di  cadaveri ,  sempre  davanti  agli  occhi ,  sem- 
pre tra'  piedi,  facevano  della  città  Inlla  come  un  solo  mortorio, 
e'  era  qualcosa  di  più  brulla  ,  di  più  funesto ,  in  quell'  accanimento 
vicendevole,  in  quella  sfrenatezza  e  mostruosità  di  sospetti  .  .  .  Non 
del  vicino  soltanto  si  prendeva  ombra,  dell'amico,  dell'ospite;  ma 
qae'  nomi ,  quc'  vincoli  dell'  umana  carità ,  marilo  e  moglie,  padre 
e  Rf^ìo,  fratello  e  fratello,  eran  di  terrore:  e,  cosa  orribile  e  inde- 
gna a  dirsi!  la  mensa  domestica,  il  letto  nuziale,  si  temevano,  co- 
me agguati,  come  nascondigli  di  venefizio.  » 

La  vastità  immaginata,  la  stranezza  della  trama  lurbavan  tutti  i 
(pudizi,  alteravan  tutte  le  ragioni  della  fiducia  reciproca.  Da  principio, 
si  credeva  soltanto  che  quei  supposti  untori  fosser  mossi  dall'  ambi- 
zione e  dalla  cupidigia;  andando  avanti,  si  sognò,  si  credette  che 
ci  fosse  una  non  so  quale  voluttà  diabolica  in  quell'  ungere ,  un'  at- 
trattiva-che dominasse  le  volontà.  I  vaneggiamenti  degl'infermi  elic 
accusava!!  sé  smessi  di  ciò  che  a^evan  temuto  dagli  altri,  parevano 
rivelazioni,  e  rendevano  ogni  cosa,  per  dir  cosi,  credibile  d'ognuno. 
E  più  delle  parole,  dovcvan  far  coI|k>  le  dimostrazioni,  se  accadeva  die 
appestati  in  delirio  andasscr  facendo  di  quegli  alti  che  s' erano  figu- 
rati die  dovessero  fare  gli  imlori:cosa  insieme  molto  probabile,  e  atta 
a  dar  miglior  ragione  della  persuasion  generale  e  dell'affermazioni 
di  molti  scritlorì.  Così,  nel  lungo  e  ti'islo  periodo  de'  processi  per 
stregonerìa,  le  confessioni,  non  sempre  estorte,  degl'imputati,  non 


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«■■  IPROUESSI  sposr 

serviron  poco  a  proniovere  e  a  mantener  l' opinione  che  regnava 
intorno  ad  essa;  che,  quando  un'opinioDe  regna  per  lungo  laDpo^  e 
in  una  buona  parte  del  mondo,  finisce  a  esprimersi  in  tutte  le  ma- 
niere, a  tentar  tutte  )'  uscite,  a  scorrer  per  lutti  ì  gradi  della  persua- 
sione; ed  é  dHificile  che  tutti  o  inoltissimi  credano-  a  lungo  che  una 
cosa  strana  si  faccia,  senza  die  venga  alcuno  il  quale  creda  di  faria. 
Tra  le  storie  che  quel  delirio  dell'  unzioni  fece  immaginare  ,  luna 
inerita  che  sk  ne  Taiccia  menzione,  per  il  credito  che  scquistò,  e  per  il 
giro  che  fece.  Si  raccontava,  non  da  tulli  nctriste&sa  maniera  ^ehe:  sa- 
rebbe un  troppo  singoiar  privilegio  delle  favole),  ma  a  un  di  presso, 
die  un  tale,  it  (al  giorno, aveva  visto  {trrivar  sulta  piazza  dd  duomo 
un  tiro  a  sei,  e  dentro,  con  altri,  un  gran  personaggio,  con  una  fàccia 
Aisca  e  infocala,  con  gli  ocdti  accesi,  coi  capelli  ritti,  e  il  labbro  at- 
icggiato  di  minaccia.  Mentre  quel  tale  sla^a  inlento  a  guardare,  la 
4'niTOzza  !>'era  fermala:  e  il  cocchiere  l'aveva  invitalo  a  salirvi:  e  )ui 


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CAPITOLO  XXXII. 


non  aveva  saputo  dir  di  no.  Dopo  diversi  pigiri,  erano  smontali  alla 
porla  d'un  tal  palazzo,  dove  eiilralo  anche  lui,  con  la  compagnia, 
ave^a  tPOTalo  amenilà  e  orrori,  deserti  e  jjiardini,  caverne  e  sale;  e 


in  esse,  fantasime  sedute  a  consiglio.  Finalnienl4i,  gli  erano  state  fatti- 
vedere  gran  casse  di  danaro,  e  detto  ciie  ne  prendesse  quanto  gli 
Tosse  piaciuto,  con  questo  però,  che  accettasse  un  vasetto  d' unguento, 
.e  andasse  con  esso  ungendo  per  la  città-  Ma  non  avendo  voluto  accon- 
sentire, s'era  trovato,  in  un  ballar  d'occhio,  nel  medesimo  lut^o  dovi 
era  stalo  preso.  Questa  storia,  creduta  qui  generalmente  dal  popolo 
:e,  al  dir  del  Ripamonti,  non  abliaslanza  derisa  da  qualche  gomo  di 
peso  *,  ^rò  per  tutta  Italia  e  Tuori.  In  Germania  se  ne  fece  una 
etdinpà:  l'elettore  arcivescovo  di  Magonza  scrisse  al  cardinal  Fede- 
rigo, per  domandatali  cosa  si  dovesse  credere  de'  fat4i  rnvaiigliosi 
cbc'jsi  i^tctionfavan  di  Milano;  e  n'ebbe  in  risposta  eh' cran  sogni. 

D'ugual  valoh;,  se  non  in  lutto  d'ugual  natura,'  erano  i  sogni  de' 
-dotti;  c(Hne  disastrosi  del  pari  n' eran  gli  effetti.  Vedevanq ,  la  più 
parte  di  loro ,  '  1'  annunzio  e  la  ragione  insieme  de'  guaì  in  pna  co- 
meta, apparsa  l'anno  1688,  e  ìn  una  congiunzione  di  Saturno  con 
GioVe^  u  inclinando,  »  scrive  il  Tadino,  »  la  congiontiope  sodella  sopra 
-questo:  anno  isso,  tanto  chiara  «  clic  ciascnn  la  |)qte)ia  inlondere- 


*  Apud  prudenliiin  [rierosqiie,  non  licuti  debueral  irriM.  De  peste  eie.  pag.  T7- 


„GoogIe 


GIO  t  PROMESSI  SPOSI 

Morlales  parai  morbot,  miranda  videntur.  »  Questa  predieione,  ca- 
vata, dìciivano,  da  un  libro  intitolato  Speccìtio  degli  almanacchi  per- 
fetti,  slampafo  in  Torino,  nel  lOfiS,  correva  per  le  bocche  di  tutti. 
Un'altra  cometa,  apparsa  nel  giugno  dell'anno  slesso  della  peste, 
si  prese  per  UD  nuovo  avviso;  anzi  per  una  prova  manifesta  dell'un- 
zioni. Pescavan  ne'  libri,  e  pur  troppo  ne  trovavano  in  quantità, 
esempi  di  peste,  come  dicevano,  manufatta:  citavano  Livio,  Tacito, 
Dione,  che  dico?  Omero  e  Ovidio,  i  molti  .altri  antichi  che  hanno 
raccontati  o  accennati  fatti  somiglianti  :  di  moderni  ne  avevano  ancor 
più  in  abbondanza.  Citavano  cent' altri  autori  che  hanno  trattato  dol- 
Irinalmente,  o  parlato  incidentemente  di  veleni,  di  malìe,  d'unti. 
di  polveri:  il  Cosalpìno,  il  Cardano,  il  Grevino,  il  Salio,  il  Pareo, 
lo  Schenchio,  lo  Zachia  e,  per  finirla,  quel  funesto  Deirio,  il  quale, 
se  la  rinomanza  degli  autori  fosse  in  ragione  del  bene  e  del  malo 
prodotto  dalle  loro  opere,  dovr^b' essere  uno  de'  più  famosi;  quel 
Deirìo ,  le  cui  veglie  coslaron  la  «ila  a  piA  uomini  che  l' imprese  di 
qualche  conquistatore  :  quel  Deirio ,  le  cui  Di»qui»izÌoni  Magiche , 
(il  ristretto  di  tutto  ciò  che  gli  uomini  avevano,  fino  a'  suoi  tempi, 
sognato  in  quella  mateiia)  divenute  il  testo  più  autorevole,  più  irre- 
fragabile, furono,  per  più  d'un  secolo,  norma  e  impulso  polente  di 
legali,  orribili,  non  interrotte  carniflcine. 

Da'  trovati  del  volgo,  la  gente  istruita  prendeva  ciò  che  si  poteva 
accomodar  con  le  sue  idee;  da'  trovati  della  genie  istruita,  il  vcdgo 
prendeva  ciò  che  ne  poteva  intendere,  e  come  lo  poteva;  e  di  lutto 
si  formava  una  massa  enorme  e  confusa  di  pubblica  follia. 

Ma  ciò  che  reca  maggior  maraviglia,  è  ti  cedere  i  medici,  dico  i 
medici  che  fìn  da  princi|)io  avevan  credula  la  peste,  dico  in  ispecie 
il  Tadino,  il  quale  l'aveva  pronosticata,  vista  entrare,  tenuta  d'ocdiio, 
per  dir  cosi,  nel  suo  progresso,  il  quale  aveia  detto  e  predicato  che 
l'era  peste,  e  s'attaccava  col  eonlatto,  che  non  mettendovi  riparo,  ne 
sarebbe  infettato  tutto  il  paese,  vederlo  ))0i,  da  questi  effetti  medesimi 
cavare  argomento  certo  dell' unzioni  venefiche  e  malefiche;  lui  che 
in  quel  Carlo  Colonna,  il  secondo  che  morì  di  peste  in  Milano,  aveva 
notato  il  delirio  come  un  accidente  della  malattia  ,  vederlo  poi  ad- 
durre in  prova  dell'unzioni  e  della  congiura  diabolica,  un  fatto  dì 
questa  sorte:  clie  due  testimoni  deponevano  d'aver  sentito  raccon- 
tare da  un  loro  amico  ìnTermo,  come,  una  notte,  gli  eran. venule 
persone  in  camera ,  a  esibirgli  la  guarigione  e  danari ,  se  avesse 


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CAPITOt.0  XXXtl. 


voluto  unger  le  case  del  contorno;  e  come,  al  suo  rifiuto ,  quelli 
se  n'erano  andati,  e  in  loro  vece,  era  rimasto  un  lupo  sotto  il' letto, 
e  Ire  gattoni  sopra,  «  che  sino  al  far  del  giorno  vi  dimoromo.  '  » 


Se  fosse  stalo  uno  solo  che  connettesse  così ,  si  dovrebbe  dire  che 
aveva  una  testa  curiosa  ;  o  piuttosto  non  ci  sarebbe  ragion  dì  parlarne  ; 
ma  siccome  eran  molti,  anzi  quasi  tutti,  cosi  è  storia  dello  spirito  uma- 
no, e  dk  occasion  d'  osservare  quanto  una  serie  ordinata  e  ragionevole 
d'idee  possa  essere  scompigliata  da  un'altra  serie  d'idee,  che  ci  si 
getti  a  traverso.  Del  resto,  quel  Tadino  era  qui  uno  degli  uomini 
più  riputati  del  suo  tempo. 

Due  illustri  e  benemeriti  scrittori  hanno  aflermato  che  il  cardinal 
Federigo  dubitasse  del  fatto  dell'  unzioni  '.  Noi  vorremmo  poter  dare 
a  quell'inclita  e  amabile  memoria  una  lode  ancor  più  intera,  e  rap- 
presentare il  buon  prelato,  in  questo,  come  in  tant' altre  cose,  supe- 
riore alla  più  parte  de'  suoi  contemponuiei,  ma  siamo  in  vece  co- 
stretti di  notar  di  nuovo  in  lui  un  esempio  della  forza  d'un' opinione 
comune  anche  sulle  menti  più  nobili.  S'è  visto,  almeno  da  quel  che 
ne  dice  il  Ripamonti,  come  da  prindpto,  veramente  stesse  in  dub- 
bio: ritenne  poi  sempre  che  in  quell'opinione  avesse  gran  pxtie  la 

I  Pag.  US,  HA. 

■  Huralorl;  Del  governo  della  peslc;  Modena,  1TI4,  pi 
scolo  dialo,  ptf.  sei. 


-  P.  Verri;  opn- 


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U%  I  PROIIESSI  SPOSI 

c(«dulilà;  r.igmiranza,  la  paura,  il  desiderio  di  scusarsi  d'aver  cosi 
lardi,  riconoscìulo  il  conli^io,  e  pensato  a  mettervi  riparo;  cbc  i»oU« 
ci  fosse  d'esageralo,  ma  insieme,  ette  qualche  cosa  ci  fosse  di  ver^. 
Nella  biblioteca  ambrosiana  si  conserva  un'  operetta  30*11(3  di  sun 
mano  intorno  a  quella  peste  ;  e  questo  seniimento  e'  è  aeeennat» 
spesso ,  anzi  una  volta  enunciato  espressamente.  »  Era  opiaion  co- 
mune, n  dice  a  un  di  presso,  »  die  di  questi  unguenti  se  ne  com- 
ponesse in  vari  luoghi,eche  molle  fossero  l'arti  dj  metterlo  in  opera: 
delle  quali  alcune  ci  paibn  \'cre,  altre  in\'cnlalc.  n  Ecco  le  sue  parolc: 


■  Ci  furoR  però  di  quelli  cbe  pensarono  fino  alla  fine,  e  fin  citc  vis- 
-scro,  die  '  lutto  fosfiti  .immaginazione:  e  io  sappiamo,  non  da  loro, 
Èlle  nessuno  tu  abbaslanisa  ardito  per  esporre  al  pubblico  un  scnli- 
'menlo  cosi  opposto  a  quello  del  pubblico;  lo  sappiamo  dagli  scriUori 
-che  Io  deridono  o  lo  riprendono  o  lo  ribattono,  come  un  pregiudiuo 
■d'alcuni,  uà  errore- die  non  s' allentava  di  ven.ire  a  dispula  palese,  ma 
elle  pur  viveva;  lo  sappiamo  anche  da  chi  ne  aveva  notizia  per  tradi- 
jtionc.  olio  trovato  genie  savia  in  Milano, »dice  il  buon  Muratori,  nel 
luogo  sopraccitato,  «die  aveva  buone  relazioni  dai  loro  maggiori,  e 


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CAPITOLO  XXX».  St» 

"  iioii  era  lucdto  persuasa  clic  fosse  vero  il  futlo  di  ^U(%li  unU  'wìc* 
"  nosi.  n  Si  vede  ch'era  uno  sfogo  segreto  della  verilà,  liua  coAfi^ 
(lenza  domestica:  il  buon  senso  c'era;  ma  se  ne  stava  iiascoslo,  per 
|iaiira  del  senso  comune. 


I  magislrati,  scemali  ogni  giorno,  e  sempi'e  più  smarriti  e  coiirusi, 
[ulta,  per  dir  cosi,  ({uella  poca  risoluzione  di  cui  eran  capaci,  l' im- 
piegarono n  cercar  di  questi  untori.  Tra  le  earte  del  tempo  <iella  peste, 
che  si  conservano  nell'  archivio  nominalo  di  sopra ,  e'  e  una  letKTà 
(senza  alcim  altro  documento  relativo)  in  cui  il  gran  cnneelliere  infor- 
ma, sul  serio  e  con  gran  premura,  il  governatore  d'aver  ricevuto  un 
avviso  che,  m  una  casa  di  campagna  de' fralelli  Girolamo  e  Giulio 
Monti,  gentiluomini  milanesi,  si  componeva  veleno  in  tanta  <)iuimiti<, 
che  quaranta  uomini  erano  occupali  en  ette  exercicio,  con  l'assistenza 
dì  quattro  cavalieri  bresciani,  i  quali  facevano  venir  materiali  dal  \0- 
nezìano,  para  la  fdbrka  del  veneno.  Soggiunge  che  lui  aveva  preso, 
in  gran  segreto ,  i  concerti  necessari  per  mandar  là  il  podeslà  <fi 
Milano  e  l'auditore  delia  Sanità,  con  trenta  soldati  di  cavallerìa;  clic 
pur  troppo  uno  de'  fralelli  era  stato  avvertito  a  tempo  per  poter  Irar 
fugare  gl'indizi  del  delitto,  e  probabilmente  dall'auditor  medesiiito , 
suo  amico;  e  die  questo  trovava  delle  scuse  per  non  partire;  ma  clife 
non  ostante,  il  podestà  co'  soldati  era  andato  a  reconocer  la  /xua,  jr  a 


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I  PROMESSI  SPOSI 


vr  ti  haUard  algunos  vestigios ,  e  prendere  infonnazioni ,  e.  arrestar 
.  latti  qudlì  die  fosaav  ineolpati. 


rm  Umm^^ 


La  cosa  dovè  finire  in  nulla,  giacché  gli  sentii  del  tempo  che  par- 
lano de'  sospetti  che  e'  eran  su  que'  gentiluomini ,  non  citano  alcun 
Tallo.  Ma  pur  troppo,  in  un'altra  occasione,  si  credè  d'aver  trovato. 

I  processi  che  ne  vennero  in  consegiiensra ,  non  cran  cerlamenle  i 
primi  d'un  lat  genere: e  non  si  può  neppur  considerarli  come  una  r»- 
rità  nella  storia  della  giurisprudenza.  Che,  per  lacere  dell'  aniidiilà,  e 
accennar  solo  qualcosa  de'  tempi  più  vicini  n  quello  ^li  cui  trattiamo, 
in  Palermo,  del  mas;  in  Ginevra,  del  1B50,  poi  del  1K4B,  poi  an- 
cora del  ltt74;  in  Casal  Monferrato,  del  iSZO;  in  Padova,  del  IffBS; 
in  Torino,  del  IK99,  e  di  nuovo,  in  quel  nicdosim' anno  leso,  furon 
processati  e  condannati  a  supplizi,  per  Io  più  atrocissimi,  dove  qaal- 
cheduno,  dove  moltj  infelici,  come  rei  d'  aver  propagala  la  peste,  con 
polveri,  o  con  unguenti,  0  eoa  malie,  o  con  tutto  ciò  insieme.  Ma  l'ai- 
tare delle  così  dette  unzioni  di  Milano,  come  fu  il  più  celebre,  così  è 
fors' anche  il  più  ossen'abile;  o,  almeno,  c'è  più  campo  di  farci  sopra 
osservazione,  per  esserne  rimasti  documenti  più  circostanziati  e  più 
autentici.  E  quantaiK|ue  uno  scrittore  lodalo  poco  soi>ra  se  ne  sia  occu- 
palo, pure,  essendosi  lui  proposto,  non  tanto  di  farne  propriamente  ia 
storia,  quanfo  di  cavarne  sussidio  di  ragioni,  per  un  assunto  di  maggiore, 
o  certo  di  più  immediala  importanza,  e'  é  parso  cite  la  storia  potesse  esser 
materia  d'un  nuovo  lavoro.  Ma  non  é  cosa  da  uscirne  con  poclie  paro- 
le;  e  non  è  qui  il  luogo  di  trattarla  con  l'estensione  clic  merita.  E  oltre 
di  ciò,  dopo  essersi  fermato  su  que' casi,  il  lettore  non  si  curereU>e 
più  certamente  di  conoscere  ciò  che  rimane  del  nostro  racconto.  Ser- 
bando però  a  un  altro  scritto  la  storia  e  l'esamp  di  quelli  *,  tomerano 
finalmente  a'  nostri  personaggi,  per  non  lasciarli  più,  fino  alla  fuìfi. 

'  V.  I'  opuscolo  Id  Une  del  voliimc. 


„Googlc. 


CAPITOLO  xxxni. 


nollc,  \erso  la  fmc  O'iigosto,  pro- 
prio nel  colmo  dvMa  peste ,  (or- 
nava don  Rodrigo  a  casa  sua ,  in 
Milano ,  accompagnato   dal  fede! 
Griso,  l'uno  de' tre  o  quattro  che, 
di  tutta  la  famiglia,  gli  eran  ri- 
masti vivi.  Tornava  da  un  ridotto 
d'amici  soliti  a  straviziare  insieme, 
per  passar  la  malinconia  di  quel 
tempo:  e  ogni  volta  ce  n'  eran  de' 
niio\Ì,  o  ne  mancava  de'  vecchi.  Quel  giorno,  don  Rodrigo  era  stato 
uno  de'  più  allegri  ;  e  Ira  1'  altre  cose ,  a^eva  fallo  rìder  tanto  la 
compagnia,  con  una  specie  d'elogio  funebre  del  eonte  Attilio,  por- 
talo via  dalla  peste ,  due  giorni  prima. 

Camminando  però,  sentiva  un  mal  essere,  mi  abballimento,  una 
fiacchezza  di  gambe,  una  gi-avezza  di  respiro,  un'arsione  interna, 
die  avrebbe  volalo  attribuir  solamente  al  vino,  alla  veglia,  alla  sta- 
gione. Non  apri  bocca,  per  tutta  la  strada;  e  la  prima  parola,  arri- 
vati a  casa ,  fu  d'  ordinare  al  Griso  che  gli  facesse  lume  per  andare 
in  camera.  Quando  ci  furono,  il  Griso  osservò  il  viso  del  padrone, 


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eia  I  PROHESSI  SPOSI 

stravolto,  acceso,  con  gli  occhi  Ìii  fuori,  e  lustri  lustri;  e  gli  slava 
alla  lontana:  perchè,  in  quelle  circostanze,  ogni  mascalzone  ave^a 
dovuto  acquistar,  come  si  dice,  l'occhio  medico. 

"  Slo  Itene,  ve',"  disse  don  Rodrigo,  che  lesse  nel  fare  del  tìriso 
il  pensiero  che  gli  passava  |>cr  la  nicnle.  uSio  benone;  nia  ho  be- 
vuto, ho  bevuto  forse  un  po'  troppo.  C'era  una  vernaccia!...  Ma, 
con  una  buona  dormila,  tutto  se  ne  va.  Ho  un  gran  sonno...  Leva- 
mi un  po'  quel  lume  dinanzi,  che  m' accicca . . .  mi  dà  una  noia...!» 

«Scherzi  della  vernaccTa,"  disse  il  Griso,  lenendosi  sempre  alla 
larga,   u  Ma  vada  a  letto  subilo,  che  il  dormire  le  farà  bene.  » 

"  (Ini  ragione:  se  posso  dormire...  Del  reslo,  sto  bene.  Metti  qui 
vicino,  a  buon  conto,  quel  campanello,  se  per  caso,  stanotte  avessi 
bisogno  di  qualche  cosa:  e  sta  attento,  ve',  se  mai  senti  sonare.  Ma 
non  'avrò  bisogno  di  nulla . . .  Porla  via  presto  quel  maledetto  lu- 
me, n  riprese  poi,  intanto  che  i)  Griso  eseguiva  l'ordine,  avvicinan- 
dosi meno  che  poteva.  <>  Diavolo!  clic  m'abbia  a  dar  tanto  fastidio!" 

Il  Griso  iirese  il  lume,  e,  augurala  la  buona  nolte  ai  padrone,  se 
n'andò  in  fretta,  mentre  quello  si  cacciava  sotto. 


Ma  le  coperte  gli  parvero  una  montagna.  Le  bullo  via,  e  si  ran- 
nicchiò, yter  dormire;  che  infatti  moriva  dal  sonno.  Ma,  ap|>ena  ve- 
lalo l'occhio,  sì  su-gliava  eon  un  riscossone,  come  se  uno,  per 
dispello,  fosse  veuuio  a  dargli  una  lenlcnnata;  e  sentiva  cresciuto  il 


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CAPITOLO  XXXIII.  eiT 

caldo,  cresciula  la  smania.  Ricoirc^'a  col  pensiero  all'  agosto,  alla 
\'(H*naccia,  al  disordìncj  avrebbe  voluto  |>oter  dar  loro  tutta  la  col- 
pa; ma  a  queste  idee  si  sostituiva  sempre  da  sé  quella  che  allora 
ra  associata  cor  tutte,  ch'entrava,  per  dir  così,  da  tutti  i  sensi, 
dtc  s'  era  ficcata  in  lutti  i  discorsi  dello  stravizio,  giaccliò  era  ancor 
più  facile  prenderla  in  ischerzo,  che  passarla  sotto  silenzio:  la  peste. 
Dopo  un  lungo  rivoltarsi,  linalmenle  s'addormentò,  e  cominciò  u 
Tare  i  ^rù  brulli  e  arrulTati  s<^i  del  mondo.  E  d'  uno  in  un  altro, 
gli  parve  di  trovarsi  in  una  gran  chiesa,  in  su,  in  su,  in  mezzo  u 
una  folla;  di  Irovarcisì,  che  non  sapeva  come  ci  fosse  andato,  come 
gliene  fosse  venuto  II  |>cnsiero,  in  quel  tempo  specialmente;  e  n'era 
arrabbiato.  Guardava  i  circostanti;  eran  tutti  visi  gialli,  distrutti, 
con  cert' occhi  incantali,  abbacinali,  con  le  labbra  spenzolale;  tulla 
gente  con  certi  vestiti  che  cascavano  a  pezzi;  e  da'  rotti  si  cedevano 
macchie  e  bubboni.  "Largo  canaglia!"  gli  pareva  di  gridare,  guar- 
dando alla  porta,  eh'  era  lontana  lontana ,  e  accompagnando  il  grido 
con  un  viso  minaccioso,  senza  però  moversi,  anzi  rislringcndosi , 
per  non  toccar  que'  sozzi  corpi,  che  già  lo  toccavano  anche  li'oppo 
<la  ogni  parte.  Ma  nessuno  di  qucgl'  insensati  dava  segno  di  volersi 
scostare,  e  nemmeno  d'avere  inleso;  anzi  gli  stavan  più  addosso:  e 
sopra  lutto  gli  pareva  che  qualcheduno  di  loro,  con  le  gomita  o  con 
altro,  lo  pigiasse  a  sinistra,  tra  il  cuore  e  l'ascella,  dove  sentiva 
una  punlura  dolorosa,  e  come  pesante.  E  se  si  sloree\'a,  \tCT  veder 
di  liberarsene,  subito  un  nuovo  non  so  che  veniva  a  puniargtisi  al 
luogo  medesimo.  Infuriato,  volle  metter  mano  alla  spada;,  e  appunto 
gli  parve  che,  per  la  calca,  gli  fosse  andata  in  su,  e  fosse  il  pomo 
dì  (|aella  che  lo  premesse  in  quel  luogo;  ma,  mellei>docÌ  la  mano, 
non  ci  trovò  la  spada,  e  sentì  in  vece  una  Irafilta  più  forte.  Strepita- 
va, era  lult'  affannato,  e  voleva  gridar  più  forte;  quando  gli  |>arvc 
che  tutti  que'  visi  si  rivolgessero  a  una  parte.  Guardò  anclic  lui; 
vide  un  pulpito,  e  dal  parapetto  di  quello  spuntar  su  un  non  so 
che  di  convesso,  liscio  e  luccicante;  poi  alzarsi  e  comparir  distinta  una 
tcsla  pelata,  poi  due  occhi,  un  viso,  una  barba  lunga  e  bianca,  un 
frate  ritto,  fuor  del  parapetto  (Ino  alla  cintola,  fra  Cristoforo.  Il  qua- 
le, fulminato  uno  sguardo  in  giro  su  tutto  I'  uditorio,  parve  a  don 
Rodrigo  che  io  fermasse  in  viso  a  lui,  alzando  insieme  la  mano, 
neir  attitudine  appunto  che  aveva  presa  in  quella  sala  a  terreno  del 
3H0  palazzoito.'  Allm^  alzò  anche  luì  la  mano  in  furia,  fece  uno  sforzo, 


Dpizf^ri.yGoOgle 


tit8  I  PKOUESSt  SPO» 

cuiiie  per  ialuiiciai'si  ad  uci-tiiu|>pai'  quel  braccio  teso   per  aria;  una 


voce  che  gli  andava  Lrontolaiido  tiordaineiile  nella  gola,  scoptHÒ  in 
un  grand'  urlo;  e  si  desiò.  Lasciò  cadere  il  braccio  die  aveva  alzalo 
davvero;  nileiilò  alquanto  a  ritrovariìi,  ad  appir  ben  gli  occhi;  die  la 
luce  del  giorno  già  inoltralo  gli  dava  noia,  quanto  quella  della  can- 
dela, la  sera  avanti;  riconobbe  il  suo  letto,  la  sua  camera;  si  rac- 
capezzò che  lutto  era  blato  un  sogno:  la  chiesa,  il  popolo,  il  Tralc, 
tutto  era  sparilo;  tutto  fuorché  una  così),  quel  dolore  dalla  parie  si- 
nistra. Insieme  si  sentiva  al  cuore  una  palpitazion  violenta,  alTaimo- 
.'<a,  negli  urecclii  un  ronzio,  un  lìschio  conlinuo,  un  fuoco' di  dentro, 
una  gravezza  in  tulle  le  membra,  peggio  di  quando  era  andato  a 
letto.  Esiió  (|ualehe  momento,  ))rima  di  guardar  la  parte  dove  aveva 
il  dolore;  (inuhiicnte  la  scoprì,  ci  diede  un'occhiata  paurosa;  e  vide 
un  .sozzo  bubbone  d'  un  livido  paonazeo. 

L'uomo  si  vide  jicrdulo:  il  lerror  dellii  morie  l'  invase,  e,  eoa 


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CAPITOLO  XXXIII.  8t9 

un  senso  per  av\'eiitiii'a  più  forte ,  il  terrore  di  (ti\'entar  preda  de' 
monallì,  d'esser  portalo,  butlalo  al  lazzeretto.  E  cercando  la  manie- 
ra d'evitare  qiiest'  orribile  sorte,  sentiva  i  suoi  pensieri  confondersi 
e  oscurarsi,  sentiva  avvicinarsi  il  momento  che  non  avrebbe  più  le- 
sta, se  non  quanto  bastasse  per  darsi  alla  disperazione.  Afferrò  il 
campanello,  e  lo  scosse  con  violenza.  Comparve  subito  il  Griso,  il 
quale  slava  all'  erta.  Si  fermò  a  una  eerla  distanza  dal  lelto;  guardò 
atlcnlamente  il  padrone,  e  s'accertò  di  quello  ctie,  la  sera,  i(veva 
congelluralo. 

«Griso!»  disse  don  Rodrigo,  rizzandosi  stentatamente  a  sedere: 
«  tu  sei  sempre  slato  il  mìo  fido.  « 

"Si,  signore." 

u  T*  bo  sempre  fallo  del  bene.  " 

u  Per  sua  bontà.  " 

"  Di  te  mi  posso  fidare . . .  !  i 

u  Diavolo!  n 

"Sto  male,  Griso." 

"  Me  n'  ero  accorto.  " 

"Se  guarisco,  li  farò  ilei  bene  ancor  più  di  <]tiello  che  te  n'ho 
fallo  per  il  passalo." 

n  Griso  non  rispose  nulla,  e  alette  aspellaiido  dove  andassero  a 
parare  questi  preamboli. 

"Non  voglio  fidarmi  d'altri  che  di  te,»  riprese  doti  Rodrigo: 
M  fammi  un  piacere ,  Griso.  " 

«Comandi,"  disse  questo,  rispondendo  con  la  furmola  solila  a 
queir  insolita. 

«Sai  dove  sia  di  casa  il  Chiodo  chirurgo?» 

X  Lo  so  benissimo.  » 

«É  un  galantuomo,  che,  chi  Io  paga  bene,  lien  segreti  gli  amma- 
lali. Va  a  chiamarlo:  digli  che  gli  darò  qualtrò,  sei  scudi  per  visita, 
di  più,  se  di  più  ne  chiede;  ma  che  venga  qui  subilo;  e  fa  la  cOsa 
bene,  che  nessun  se  n'avveda.  " 

u  Ben  pensalo,  n  disse  il  Griso:  «  vo  e  torno  subito.  >' 

«Senti,  Griso:  dammi  prima  un  po'  d'acqua.  Mi  sento  un'. arcio- 
ne, che  non  ne  posso  più.  " 

"No,  signore,»  rispose  il  Griso:  «niente  senza  il  parere,  del  me- 
dico. Son  mali  bisbetici:  non  c'è  tempo  da  perdere. ' Stia  quieto:  in 
tre  salti  son  qui  col  Chiodo.  » 


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«so  t  PROCESSI  SPOSI 

Cosi  detto,  usi-i,  raccostando  l'uscio. 

Doti  Rodrigo,  tornato  sotto,  l'accompagnava  con  )' imtiiaginaKÌonG 
alla  casa  avi  Chiodo,  conlava  i  passi,  calcolava  il  tempo.  Ogni  laiitu 
rilornava  a  guardare  il  suo  bubbone;  ma  voltava  subito  la  lesta  dal- 
l'altra parte,  con  ribrezzo.  Dopo  qualche  tempo,  cominciò  a  slare  in 
orecchi,  per  sentire  se  Ìl  chirurgo  arrivava:  e  quello  sforzo  d'atten- 
zione sospendeva  il  sentimento  del  male ,  e  lenc\'a  in  sesto  i  suoi 
pensieri.  Tutl'a  un  trailo,  sente  uno  squillo  lontano,  ma  che  gli  par 
clic  venga  dalle  slanzc,  non  dalla  strada.  Sta  attento;  lo  sente  più 
forte,  più  ripcltilo,  e  insieme  nno  stropiccio  di  piedi:  un  orrendo 
sos)>etlo  gli  passa  per  la  mente.  Si  rizza  a  sedere,  e  si  mette  ancor 


più  attento;  sente  un  rumor  cupo  nella  stanza  vicina,  come  d'  un 
peso  che  venga  messo  giù  con  riguardo;  batta  le  gambe  fuor  del 
letto,  come  per  alzarsi,  guarda  all'uscio,  lo  vede  aprirsi,  vede  pre- 
sentarsi e  venire  avanti  due  logori  e  sudici  vestiti  rossi,  due  facce 
scomunicate,  due  monalli ,  in  una  parola;  vede  mezza  la  faccia  del 
Griso  che,  nascosto  dietro  un  battente  socchiuso,  riman  li  a  spiare. 

"Ah  traditore  infame!...  Via,  canaglia!  Biondino!  Carlotlo!  aiuto  1 
son  assassinato!  »  grida  don  Rodrigo;  caccia  una  mano  sotto  il  ca- 
pezzale, per  cercare  una  pistola;  l'afferra,  la  tira  fuori;  ma  al  primo 
suo  grido,  i  monatti  avevan  preso  la  rincorsa  verso  ìl  letto;  il  più 
pronto  gli  è  addosso,  prima  che  lui  possa  far  nulla;  gli  strappa  la 
pistola  di  mano,  la  getta  lontano,  lo  butta  a  giacere,  e  lo  tien  li, 
gridando,  con  un  versacelo  di   rabbia   insieme  e  di  scherno:  «ah 


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CAPITOLO  XXXIII.  USI 

bii-buni;!  contro  i  nionalli!  conlro  i  minìslrì  del  tribunuie!  contro 
f|Uclli  che  fanno  l'opere  di  misericordia! n 

uTicnlo  bene,  fin  che  lo  porliam  via,»  disse  il  compagno,  an- 
dando verso  uno  scrigno.  E  in  quella  il  Griso  entrò,  e  si  mise  con 
colui  a  scassinar  la  serratura. 

"  Sccllei-alo!  »  urlò  don  Rodrigo,  guardandolo  por  di  sotto  all'ai- 
li'o  clic  lo  lene\'a,  e  divincolandosi  tra  quelle  braccia  roreule.  <•  La- 
scialeini  ammazzar  quell'infame,  »  diceva  quindi  ai  monatti,  uc  poi 
fate  di  me  <|ucl  clic  volete.  ><  Poi  ritornava  a  chiamar  con  quanta 
voce  aveva,  gli  altri  suoi  servitori;  ma  era  inutile,  perchè  l'abbo- 
miiicvole  Griso  gli  aveva  mantlati  lontano,  con  finii  ordini  del  pa- 
drone stesso,  prima  d'andare  a  fare  ai  monatti  la  proposta  di  venire 
a  quella  spedizione,  e  divider  le  spoglie. 

"Sta  buono,  sia  buono,"  diceva  allo  sventurato  Rodrigo  l'aguz- 
/.inu  che  lo  tenc^a  appuntellalo  sul  lelfo.  E  voltando  poi  il  viso  ai 
thic  clic  rai;evan  bottino,  gridava:  ufatc  le  cose  da  galantuomini!  « 


-Tu!  Iu!« 
afTaccendarsi  . 


mugghiava  don  Rodrigo  verso  il  Griso,  che  vedeva 
spezzare,  a  cavar  fuori  danaro,  roba,  a/ar  le  partì. 


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CSI  I  PROMESSI  SPOSI 

«  Tu!  dopo...!  Ah  diavolo  dell' infurilo!  Posso  ancora  guarii'c!  )>osso 
guarire!"  Il  Griso  non  fiatava,  e  neppure,  [ler  quanto  [wlcva,  si 
\ollava  dalla  parte  di  ào\e  venivan  quelle  |>arole. 

uTienlo  forte,"  diceva  l'altro  monatto:  uè  fuor  di  sé.» 
Ed  era  ormai  vero.  Dopo  un  grand'  urlo ,  doi»  un  ultimo  e  i>iu 
violento  sforzo  per  mellersi  in  libertà,  cadde   luti' a  un   tratto   ri- 
finito e  stupido:  guardava  però  ancora,  come  incantalo,  e  ogni  tanlo 
si  riscoteva,  o  si  lamentava. 

I  monatti  lo  presero,  uno  per  i  piedi,  e  l'altro  per  le  spalle,  e 
andarono  a  posarlo  sur  una  barella  che  avevan  lasciata  nella  stanza 
accanto;  poi  uno  tornò  a  prender  la  preda;  quindi,  alzato  il  niìsc- 
rabil  |)eso,  lo  porlaron  vìa. 

II  Griso  rimase  a  scegliere  in  fretta  quel  di  più  die  potesse  lar 
per  lui;  fece  di  tutto  un  fagotto,  e  se  n'andò.  Aveva  bensì  avulu 
cura  di  non  toccar  mai  ì  monatti,  di  non  lasciarsi  torcar  da  loro; 
ma,  in  quell'ultima  furia  del  frugare,  aveva  poi  presi,  vicino  al 
letto,  i  panni  del  padrone,  e  gli  aveva  scossi,  senza  pensare  ad  al- 
tro, per  veder  se  ci  fosse  danaro.  C'ebbe  però  a  pensare  il  giorno 
dopo,  che,  mentre  slava  gozzovigliando  in  una  bettola,  gli  vennero 
a  un  tratto  de'  brividi,  gli  s' abbagliaron  gli  occhi,  gli  mancaron  le 
forze,  e  cascò.  Abbandonalo  da'  compagni,  andò  in  mano  de'  mo- 
natti, che,  spagliatolo  di  quanto  aveva  indosso  di  buono,  lo  butta- 
i-ono  sur  un  carro;  sul  quale  spirò,  prima  d'arrivare  al  lazzeretto, 
dov'  era  stalo  portalo  il  suo  padrone. 

Lasciando  ora  questo  nel  soggiorno  de'  guai,  dobbiamo  andare 
in  cerca  d'un  altro,  la  cui  storia  non  sarebbe  mai  slata  intralciala 
con  la  sua,  se  lui  non  1'  avesse  volulo  per  forza;  anzi  si  può  dir  di 
certo  che  non  avrebbero  avuto  storia  né  l'uno  né  l'altro:  Renzo, 
voglio  dire,  che  abhiam  lasciato  al  nuovo  filatoio,  sotto  il  nome 
d'  Antonio  RivoMa. 

Cera  stato  cinque  o  sei  mesi,  salvo  il  vero;  dopo  i  quali,  dichia-  { 
rata  l'inimicizia  tra  la  repubblica  e  il  re  di  Spagna,  e  cessato  quindi  j 
ogni  timore  di  ricerche  e  d'impegni  dalla  parte  di  qui,  Bortolo  < 
s'era  dato  premura  d'andarlo  a  prendere,  e  di  tenerlo  ancora  con  | 
sé,  e  perché  gli  voleva  bene,  e  perchè  Renzo,  come  giovine  di  la-  , 
lento,  e  abile  nel  mestiere,  era,  in  uno  fabbrica,  di  grande  aiuto  al  ' 
factotum,  senza  poter  mai  aspirare  a  divenirlo  lui,  per  quella  bene-  I 
della  disgrazia  di  non  saper  tener  la  penna  in  mano.  Siceoinc  anche     i   | 


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CAPITOLO  XXXIIl.  OU 

quesla  ragione  e'  era  entrala  per  quaidie  cosa,  cosi  abbiam  dovuto 
àidcennarìa.  Forse  voi  vorreste  un  Bortolo  più  ideale:  oon  so  che 
dire:  Tabbricatevelo.  Quello  era  così. 

Renzo  era  poi  sempre  rimasto  a  lavorare  presso  di  lui.  Più  d'una 
volta,  e  specialmenle  dopo  aver  ricevuta  qualcheduna  di  quelle  be- 
nedette lettere  da  parte  d'Agnese,  gli  era  saltalo  il  grillo  di  farsi 
soldato,  e  lìniria:  e  l'occasioni  non  mancavano;  cliè,  appunto  in 
quell'intervallo  di  tempo,  la  repubblica  aveva  avuto  bisogno  di  far 
gente.  La  tentazione  era  qualche  volta  slata  per  Renzo  tanto  più 
forte,  che  s'era  andie  parlato  d' invadere  il  milanese;  e  naturalmente 
a  lui  pareva  die  sarete  stata  una  bella  cosa,  loroare  in  figura  di 
vioeilore  a  casa  sua,  riveder  Lucia,  e  spiegarsi  uaa  volta  con  lei. 
Ma  Bortolo,  con  buona  maniera,  aveva  sempre  sapulo  smontarlo  da 
quella  risoluzione. 


li 


"Se  ci  hanno  da  andare,»  gli  diceva,  u  ci  anderanou  andie  senza 
di  te,  e  tu  potrai  andarci  dopo,  con  tuo  comodo;  se  tornano  col 
capo  rollo,  non  sarà  meglio  essere  stato  a  casa  tua?  Disperati  che 
vadano  a  far  la  strada,  non  ne  manclierà.  E,  prima  che  ci  possan 
mettere  i  piedi...!  Per  me,  sono  eretico:  costoro  al^iano;  ma  si; 
lo  slato  di  Milano  non  è  un  boccone  da  ingoiarsi  cosi  facilmente.  Si 
traila  della  Spagna,  figliuolo  mio;  sai  che  affare  è  la  Spagna?  San 
Marco  e  forte  a  casa  sua;  ma  ci  vuol  altro.  Abbi  pacienza:  non  islai 
bene  qui?....  Vedo  cosa  vuoi  dire;  ma,  se  è  destinato  lassù  die  la 
cosa  riesca,  sta  sicuro  che,  a  non  far  pazzie,  riusdrà  anche  meglio. 
Qualche  santo  t'aiuterà.  Credi  pure  che  non  è  mestiere  per  le.  Ti 


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est  I  PROMESSI  SPOSI 

par  che  convenga  lasciare  d'incannar  seta,  per  andare  a  ammanare? 
Cosa  vuoi  lare  con  quella  razta  di  gente  ?  €i  vuol  degli  uoiniol  faUi 
apposta.  » 

Altre  volle  Reozo  si  risolveva  d' andar  di  nascosto,  travestito,  e 
con  un  nome  finto.  Ma  anche  da  questo,  Bortolo  seppe  svolgerlo 
ogni  volla,  con  ragioni  troppo  facili  a  indovinarsi. 

Scoppiala  poi  la  peste  nel  milanese,  e  appunto,  come  abbi» 
detto,  sul  confine  del  bergamasco,  non  lardò  mollo  a  passarle; 
e  .  .  . .  non  vi  sgomentate,  eh'  io  non  vi  voglio  raccontar  la  storia 
anche  di  questa;  chi  la  volesse,  la  c'è,  scritta  per  ordine  palMiee 
da  un  cerio  Lorenzo  tìhirardelli  :  libro  raro  però  e  soonosciulo, 
quantunque  contenga  forse  più  eaba  che  tutte  insieme  le  descritioDi 
più  celebri  di  pestilenze:  da  tante  cose  dipende  la  celebrità  de'  libri! 
Quel  di'  io  volevo  dire  è  die  Renzo  prese  anche  lui  la  peste,  « 
curò  da  sé,  doé  non  fece  nulla;  ne  fu  in  fin  di  morte,  ma  la  «u 
buona  complessione  vinse  la  forza  del  male:  in  pochi  giorni,  si  trovò 
fuor  di  pericolo.  Col  tornar  della  vita ,  risorsero  più  che  mai  rigo- 
gliose nell'animo  suo  le  memorie,  i  desidèri,  le  speranze,  i  disegni 
della  vita;  vai  a  dire  che  pensò  più  cbc  mai  a  Lucia.  Cosa  ne  sa- 
rebbe di  lei,  in  qud  tempo,  che  il  vivere  era  come  un'eccezione? 
E,  a  così  poca  distanza,  non  poterne  saper  nulla?  E  rimaner,  Dio 
sa  quanto,  in  una  tale  incertezza!  E  quand'anche  questa  si  fosse  poi 
dissipata,  quando,  cessato  ogni  pencolo,  venisse  a  risaper  che  Lucia 
fosse  in  vita;  c'era  sempre  quell'altro  mistero,  queir  imbroglio  del 
volo.  —  Anderò  io,  aoderò  a  sincerarmi  di  tutto  in  una  volla,  — 
disse  tra  sé,  e  lo  disse  prima  d'essere  ancora  in  caso  di  reggersi. 
—  Purché  sia  viva!  —  Trovarla,  la  troverò  io;  sentirò  una  vdh 
da  lei  proprio,  cosa  sia  questa  promessa,  le  farò  conoscere  die  non 
può  slare,  e  la  conduco  via  con  me,  lei  e  quella  povera  Agnese, 
se  è  viva!  che  m'ha  sempre  voluto  bene,  e  son  sicuro  die  me  ne 
vuole  ancora.  La  cattura?  eh!  adesso  hanno  altro  da  pensare,  quelli 
die  son  vivi.  Gìran  sicuri ,  anche  qui ,  certa  gente ,  che  n'  liann'  ad- 
dosso ....  Ci  ha  a  esser  salvocondotto  solamenle  per  i  birboni?  E  a 
Milano,  dicono  lutti  che  l' è  una  confusione  peggio.  Se  lascio  scalare 
una  occasion  cosi  bella,  —  (  La  peste!  Vedete  un  poco  come  d  fa 
qualche  volta  adoprar  le  parole  qod  bmedelto  istinto  di  riferire  e 
di  subordinar  lutto  a  noi  medesimi  !  )  —  non  ne  ritorna  più  una 
simile!  — 


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CAPITOLO  XXXIII.  «31 

Giova  sperare,  caro  il  rato  Benzo. 

Appena  potè  slraseicarsi,  andò  in  cerca  di  Bortot»,  il  quate,  fliH» 
allora,  aveva  potuto  scansar  la  peste,  e  slava  riginnJato.  Non  gli 
entrò  in  casa,  ma,  datogli  una  voce  dalla  strada,  lo  fece  allacciare 
alla  finestra. 

«Ah  ah!»  disse  Bortolo:  «l'hai  scampala,  tu.  Buon  per  le!" 

«Sto  ancora  un  po'  male  in  gambe,  come  vedi,  ma,  in  quanto  al 
pericolo,  ne  son  fuori.» 

«Eh!  vorrei  esser  io  ne'  tuoi  piedi.  A  dire:  sto  bene,  le  altre 
l'Oltc,  pareva  di  dir  lutto;  ma  ora  conta  poco.  Chi  può  arrivare  a 
dire:  sto  m^io;  quella  sì  è  una  bella  parola!  » 

Renzo,  fatto  al  cugino  qualche  buon  augurio,  gli  CMOunicò  la  sua 
risoluuone. 

"Va,  questa  volta,  che  il  cielo  ti  benedica,»  rispose  quello: 
«cerca  di  schivar  la  giustizia,  c(Hn' io  cercherò  di  sdiivare  il  con- 
tagio; e,  se  Dio  vuole  che  la  ci  vada  bene  a  tutl'e  due,  ci  rive- 
dremo, n 

«Oh!  torno  sicuro:  e  se  potessi  owi  tornar  solo!  Basta;  spero.» 

uToma  pare  accompaijnato;  che,  se  Dio  vuole,  ci  sarà  da  lavo- 
rar per  lutti,  e  ci  faremo  tnioiia  compagnia.  Purché  tu  mi  ritrovi,  e 
che  sia  finito  questo  diavolo  d'influsso!» 

«Ci  rivedremo,  ci  rivedremo;  ci  dobbiam  rivedere!» 

uToiDO  a  dire:  Dio  voglia!  » 

Per  alquanti  giorni,  Renso  si  tenne  in  esercizio,  (ler  csperiiiienlar 
le  sue  forze,  e  accrescerle;  e  appena  gli  parve  di  poter  lar  la  stra- 
da, si  dispose  a  partire.  Si  mise  sotto  panni  una  cintura,  con  dentro 
que'  cinquanta  scudi,  che  non  aveva  aai  inlaccati,  e  de'  quali  non 
aveva  mai  (atto  parola,  neppur  con  Bortolo;  prese  alcuni  altri  pochi 
quattrini,  che  ave\'a  messi  da  parie  giorno  per  giorno,  risparmiando 
su  tutto;  prese  sotto  il  braccio  un  fagottino  dr  panni;  si  mise  in  la- 
sca un  benservito,  che  s'era  fatto  fare  a  buon  conto,  dal  secondo 
padrone,  eolio  il  nome  d' Antonio  Riverita;  in  un  taschino  de'  calzoni 
si  mise  un  coltellaccio,  ch'era  il  meno  die  un  galantuomo  potesse 
portare  a  que'  tempi;  e  s'avviò,  agli  ultimi  d' agosto,  tre  giorni  . 
dopo  cbe  don  Rodrigo  era  sialo  portalo  al  lazzeretto.  Prese  verso 
Lecco,  volendo,  per  non  andar  cosi  alla  cieca  a  Milano,  passar  dal 
suo  paese,  dove  sperava  di  trovare  Agnese  viva,  e  di  cominciare  a 
saper  da  lei  qualcheduna  delle  tante  cose  che  si  struggeva  dì  sapere. 


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nr.n  I  PROUESSI  SPOSI 

I  poclii  guariti  dalla  peste  erano,  in  mezio  al  resto  della  popola- 
zione, veramente  come  una  classe  privilegiala.  Una  gran  parte  del- 
l'alita  genie  languiva  o  moriva;  e  quHIi  ch'erano  siati  fin  aHm 
Illesi  dal  morbo,  ne  vivevano  in  continuo  Umore;  indavan  rìsenali, 
guardinghi,  con  passi  misurati,  con  visi  sospettosi,  con  fretta  ed 
esìlaiione  iosieme:  cliè  tutto  poteva  esser  contro  dì  loro  arme  di 
ferita  mortale.  Quegli  altri  all'opposto,  sicuri  a  un  dì  presso  dd  Mio 
loro  (  giacché  aver  due  volle  la  peste  era  caso  piuttosto  pro<figioso 
che  raro),  giravano  per  mezzo  al  contagio  franchi  e  risoluti;  come 
i  cavalieri  d'un' epoca  del  medio  evo,  ferrati  fin  dove  ferro  d  po- 
teva slare,  e  sopra  palafreni  accomodati  anch'essi,  per  quanto  era 
fattibile ,  in  quella  maniera ,  andavano  a  zonzo  (  donde  quella  loro 
gloriosa  denominazione  d'erranti),  a  zonzo  e  alla  ventura,  in  mézzo 
a  una  povera  marmaglia  pedestre  di  cittadini  e  di  ^'iIlani,  ctie,  per 
ribatlere  e  ammortire  i  colpi,  non  avevano  indosso  allro  che  eenci. 
Bello,  savio  ed  utile  mestiere!  mestiere,  proprio,  da  far  ta  prìoia 
figura  in  un  trattato  d' economia  politica. 

Con  una  tale  sicurezza,  temperata  però  dall'inquietudini  che  il 
lettore  sa,  e  contristala  dallo  spettacolo  frequente,  dal  penderò  in- 
cessante della  calamità  comune,  andava  Renzo  verso  casa  sua,  sotto  un 
bel  cielo  e  per  un  bel  paese,  ma  non  incontrando,  dopo  lunghi  tratti 
di  tristissima  solitudine,  se  non  qitalclie  ombra  vagante  piuttosto  die 
(lersona  viva,  o  cadaveri  portati  alla  fossa,  senza  onor  d'esequie,  senta 
canto ,  senza  accompagnamento.  A  mezzo  circa  ddla  giornata ,  si 
fermò  in  un  Imschetlo,  a  mangiare  un  po'  di  pane  e  di  companatico 


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CAPATOLO  XXXIIl  «1 

pire  aveva  portalo  con  sé.  Fruite,  n'aveva  a  sua  disposizione;  lungo 
la  strada,  anche  più  del  bisogno:  Gchì,  pesche,  susine,  mele,  quante 
n'avesse  volute;  bastava  eh'  entrasse  ne'  campi  a  ci^limie,  o  a 
raccattarle  sotto  gii  alberi,  dove  ce  n'era  come  se  Ibsse  grandinato; 
giacché  r  anno  era  straordinartamente  abbondante ,  dì  fruite  special- 
mente ;  e  non  c'era  quasi  chi  se  ne  prendesse  pensiero:  anche  l'uve 
nascondevano ,  per  dir  cosi,  i  pampani ,  ed  eran  lasciate  in  balta  del 
primo  occupante. 

Verso  sera,  scopri  il  suo  paese.  A  quella  vista,  quantunque  ci 
dovesse  esser  preparato,  si  sentì  dare  come  una  stretta  al  cuore:  fu 
assalilo  in  un  punto  da  una  folla  di  rimembranze  dolorose,  e  di  dolo- 
rosi presentimenti  :  gli  pareva  d"  aver  negli  orecchi  que'  sinistri  tocchi 
a  martello  che  l' avcvan  come  accompagnato ,  inseguilo ,  quand'  era 
fuggito  da  que'  luoghi;  e  insieme  sentiva,  per  dir  così,  un  silenzio  di 
morte  che  ci  regnava  attualmente.  Un  turbamento  ancor  più  forte 
pro^'ò  alto  sboccare  sulla  piazzetta  davanti  alla  chiesa;  e  ancora  peg- 
gio s'aspettava  al  termine  del  cammino:  che  dove  aveva  disegnato 
d'andare  a  fermarsi ,  era  a  quella  casa  di' era  stato  solito  altre  volte 
di  chiamar  la  casa  di  Lucia.  Ora  non  poteva  essere,  tutt'al  più, 
ebe  quella  d'Agnese;  e  la  sola  grazia,  che  sperava  dal  cielo  era  di 
trovarcela  in  vita  e  in  salute.  E  in  quella  casa  si  proponeva  di 
chiedere  alloggio,  congetturando  bene  che  la  sua  non  do\esse  esser 
più  abitazione  che  da  topi  e  da  faine. 

Non  volendo  farsi  vedere,  prese  per  una  viottola  di  fuori ,  quella 
slessa  per  cui  era  venuto  in  buona  compagnia ,  quella  notte  cosi 
fotta,  per  sorprendere  il  curato.  A  mezzo  circa,  c'era  da  una  parte 
la  vigna,  e  dall'altra  la  casetta  di  Renzo;  sicché,  passando,  potrebbe 
entrare  un  momento  nell'una  e  nell'altra,  a  vedere  un  poco  come 
stesse  il  feUo  suo. 

Anditndo,  guardava  innanzi,  ansioso  insieoie  e  timoroso  di  veder 
qualdieduno ;  e,  dopo  pochi  passi,  vide  infatti  un  uomo  in  camicia, 
seduto  in  terra,  «on  le  spalle  appoggiate  a  una  siepe  di  gelsomini, 
in  mi' attitudine  d'insensato:  e,  a  questa,  e  poi  anche  alla  fisono- 
mia,  gli  parve  di  raffigurar  quel  povero  mezzo  scemo  dì  Gervaso 
ch'era  venuto  per  secondo  testimonio  alla  seìagiurata  spedizione.  Ma 
essendosCgJi  avvicinalo,  dovette  accertarsi .  eh' era  in  vece  quel  To< 
nio  così  sveglio,  elie  ce  l'aveva  condollo.  .Lq  peste,;  togliendogli  il 
^'igore  del  corpo  insieme  e  delta. mente,  gli  aveva  svolto  in  (socia  e 


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<IB  I  PROMESSI  SPOSI 

in  ogni  suo  alto  un  piccolo  e  velato  germe  di  somiglianza  die  aveva 
con  l' incantalo  fratello. 

«Ob  Tonio!»  gli  disse  Renzo,  raroandosegli  davanti:  «sei  luN 

Tonio  alzò  gli  occhi,  senza  mover  la  testa. 

«Tonio!  non  mi  riconosci?» 

"A  chi  la  tocca,  la  tocca,»  rispose  Tonio,  rimanendo  poi  con  la 
bocca  aperta. 


«L'hai  addosso  eh?  povero  Tonio;  ma  non  mi  riconosci  più?» 
«A  chi  la  tocca,  la  locca,  »  replicò  quello,  con  un  certo  sorriso 
sciocco.  Renzo,  vedendo  che  non  ne  caver^be  altro,  seguitò  la  sua 
strada,  più  contristato.  Ed  ecco  spuntar  da  una  cantonata,  e  venire 
avanti  una  cosa  nera,  che  riconobbe  subito  per  don  Abbondio.  Cam- 
minava adagio  adagio,  portando  il  bastone  come  chi  n'è  portato  a 
vicenda;  e  di  mano  in  mano  che  s'  avvicinava,  sempre  più  si  poteva 
conoscere  nel  suo  volto  pallido  e  smunto,  e  in  ogni  atto,  che  anche 
lui  doveva  aver  passala  la  sua  burrasca.  Guardava  anche  lui;  gli  pa- 
reva e  non  gli  pareva:  vedeva  qualcosa  di  forestiero  nel  vestiario: 
ma  era  appunto  forestiero  di  quel  di  Bergamo. 


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CAPITOLO  XXXIII.  a» 

—  É  lui  senz'  altro!  —  disse  tra  sé,  e  alzò  le  mani  al  cielo,  con 
un  movimento  di  maraviglia  scontenta,  restandogli  sospeso  in  aria  il 
bastone  che  teneva  nella  destra;  e  si  vedevano  quelle  povere  braccia 
ballar  nelle  manicbe,  dove  altre  volte  stavano  appaia  per  l'appunto. 
Renzo  gli  andò  incontro,  allungando  il  passo,  e  gli  fece  uoa  rive- 
renza; cbè,  sebbene  sì  fossero  lasciati  come  sapete,  era  però  scopre 
il  suo  curato. 

"Siete  qui,  voi?»  esclamò  don  Abbondio. 

uSon  qui,  come  lei  vede.  Si  sa  niente  di  Lucìa?» 

«Che  volete  cbe  se  ne  sappia?  Non  se  ne  sa  niente.  É  a  Milano, 
se  pure  e  ancora  in  questo  mondo.  Ma  voi ....  -i 

"E  Agnese,  è  viva?  « 

»  Può  essere;  ma  chi  volete  che  lo  sappia?  non  è  qui.  Ma...  " 

«Dov'è?  " 

«  È  andata  a  starsene  nella  Valsassina,  da  que'  suoi  parenti,  a  Pa- 
sturo, sapete  bene;  che  là  dicono  die  la  peste  non  faccia  il  diavolo 
come  qui.  Ma  voi,  dico....» 

«Questa  la  mi  dispiace.  E  il  padre  Cristoforo....?» 

"É  andato  via  che  è  un  pezzo.  Ma...» 

uLo  sapevo;  me  l' lianno  fatto  scrivere:  domandavo  se  per  caso 
fosse  tornalo  da  queste  partì.  » 

«Oh  giusto!  non  se  n' è  più  sentito  parlare.  Ma -voi..." 

«  La  mi  dispiace  anche  questa.  " 

«lUa  voi,  dico,  cosa  venite  a  far  da  queste  parli,  per  l'amor  del 
cielo!  Non  sapete  che  bagattella  di  cattura...?» 

«  Cosa  m' importa  ?  Hanno  altro  da  pensare.  Ho  voluto  venire 
anch'io  una  volla  a  vedere  ì  fatti  miei.  E  non  st  sa  proprio...?" 

"Cosa  volete  vedere?  che  or  ora  non  c'è  più  nessuno,  non  c'è 
più  niente.  E  dico,  con  quella  bagatlHIa  dì  cattura,  venir  qui,  pro- 
prio in  paese,  in  bocca  al  lupo,  c'è  giudiuo?  Fate  a  modo  d'un 
vecchio  die  è  obbligato  ad  averne  più  di  voi,  e  che  vi  parla  per 
l'amore  che  vi  porta;  legatevi  le  scarpe  bene,  e,  prima  che  nessuno 
vi  veda,  tornate  di  dove  siete  venato;  e  se  siete  stato  visto,  lanto 
più  lornatevene  di  eorsa.  Vi  pare  che  sia  aria  jier  voi,  questa?  Non 
sapete  che  sono  venuti  a  cercarvi,  cbe  hanno  frugalo,  frugalo,  but- 
tato sottosopra...  » 

"  Lo  so  pur  troppo,  birboni!» 

«  Ma  dunque...!  » 


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«<0  I  PROUESSI  SPOSI 

uMa  se  le  dico  die  non  ci  penso.  E  colui,  è  vivo  ancora?  e 
qui?" 

«  Vi  dico  che  non  e'  è  nessuno;  vi  dico  die  non  pensiate  alte  co«e 
di  qui;  vi  dico  che....  •> 

"  Domando  se  è  qui,  colui.  » 

u  Oh  santo  cielo  !  Parlate  meglio.  Possibile  che  abbiate  ancora  ad- 
dosso tutto  quel  fuoco,  dopo  tante  cose!  » 

"  C  è,  o  non  e'  è  ?  " 


«Non  c'è,  via.  Ma,  e  la  peste,  figliuolo,  la  peste!  Chi  é«te  vada 
in  giro,  in  questi  tempi?» 

"Se  non  ci  fosse  altro  che  la  peste  in  questo  mondo —  dico  per 
me:  r  ho  avuta,  e  son  franco.  « 

u  Ma  dunque!  ma  dunque!  ncm  sono  avvisi  questi?  Quando  se 
n'  è  scampata  una  di  questa  sorte,  mi  pare  che  si  dovrebbe  ringra- 
ziare il  delo,  e....  » 

«  Lo  ringrazio  bene,  ^ 

"E  non  andarne  a  cercar  dell' altre,  dico.  Pale  a  modo  mio...." 

"L'ha  avuta  anche  lei,  signor  curalo,  se  non  m'inganno.» 


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CAPITOLO  xxxnr.  «o 

«Se  l'ho  avuta!  Perfida  e  infame  è  sUla:  $on  qui  per  DiJracolo: 
basla  dire  chu  m'  ha  conciato  in  questa  maniera  die  vedete.  Ora 
avevo  proprio  bisogno  d'  un  po'  di  quiete,  per  riinetlermi  in  tono: 
via ,  cominciavo  a  slare  un  im>'  luegjio  ....  In  nome  del  ciclo ,  cosa 
venite  a  far  qui?  Tornale..,.  " 

u  Sempre  l'ha  con  questo  tornare,  lei.  Per  tornare,  tanto  n'avevo 
a  non  movermi.  Dice:  cosa  venite?  cosa  venite?Oh  bella!  vengo, an- 
ch' io,  a  casa  mia.  " 

«Casa  vostra.,..  " 

"  Mi  dica;  ne  son  morti  molli  qui?...  >< 

"Eh  cli!«  esclamò  don  Abbondio;  e,  cominciando  da  Perpetua, 
nominò  una  filastrocca  di  persone  e  di  famiglie  intere.  Ren/A>  s'aspet- 
tava pur  troppo  qualcosa  di  simile;  ma  al  sentir  tanti  nomi  di  persone 
che  conosceva,  d'amici,  di  parenti,  stava  addolorato,  col  capo  basso, 
clamando  ogni  momento:  «poverino!  poverina!  [wvmni!» 

«  Vedete!  n  continuò  don  Abbondio:  «e  non^  è  lìiirla.  Se  quelli 
che  restano  non  metton  giudizio  que!>la  volta,  e  scacciar  tulli  i  grilli 
dalla  testa,  non  e'  è  più  allro  che  la  (ine  del  mondo.  " 

u  Non  dubiti;  che  già  non  fo  conto  di  fermarmi  qui.  " 

"  Ah!  si9  ringraziato  il  cielo,  che  la  v'  é  entrata!  E,  già  s'inlende, 
fate  ben  conto  di  ritornar  sul  bergamasco.  » 

»  Di  questo  non  si  prenda  pensiero,  h 

"Che!  non  von-esle  già  farmi  qualche  sproposito  peggio  di  que- 
sto?" 

<•  Lei  non  ci  pensi,  dico;  tocca  a  me:  non  son  più  un  bambino: 
lio  l'uso  della  rdgione.  Spero  che,  a  buon  conio,  non  dirà  a  nessuno 
d'avermi  visto.  É  saeenjole;  sono  una  sua  pecora:  non  mi  vorrà 
tradire.  " 

u  Ho  inteso,»  disse  don  Abbondio,  sospirando  stizzosanienle:  u  lio 
inteso.  Volete  rovinarvi  voi,  e  rovinarmi  me.  Non  vi  basta  di  quelle 
che  avete  passate  voi;  non  vi  basta  di  quelle  die  lio  passate  io.  Ho 
inteso,  Ilo  inteso.»  E,  continuando  a  borbottar  tra  i  denti  quest' ul- 
lime  parole,  riprese  |>cr  la  sua  strada. 

Renzo  rimase  li  tristo  e  scontento,  a  pensar  dove  andei-ebbe  a 
fermarsi.  In  quella  enumerazion  di  morti  fattagli  da  don  Abbondio, 
c'era  una  famiglia  di  conladini  portata  via  tutta  dal  contagio,  salvo  un 
giovinotto,  dell'età  di  Renzo  a  un  di  presso,  e  suo  compagno  fin  da 
piccino;  la  casa  era  pochi  passi  fuori  del  paese.  Pensò  d'andar  li. 


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C4S  I  PROMESSI  SPMI 

E  andando,  passò  davanli  alla  sua  vigna;  e  gij  dal  di  fuori  potè 
subilo  urgomenlare  in  cl>e  slato  In  fosse.  Una  vetlicciola,  una  frwidà 
d'albero  di  quelli  che  ci  aveva  lasciali,  non  si  vedeva  passare  il  muro; 
se  qualcosa  b\  vedeva,  era  (ulta  roba  venula  in  sua  assenza.  S'af- 
facciò all' apertura  (del  cancello  non  c'eran  più  neppure  i  guigheri); 


diede  un'occhiaia  in  giro:  povera  vigna!  Per  due  inverni  di  se- 
guilo, la  gente  del  paese  era  andala  a  Tar  legna  «  nel  luogo  di  qnd 
poverino,»  come  dicevano.  Vili,  gelsi,  frulli  d'ogni  sorte,  lutto  era 
sialo  slrap|iato  alla  peggio,  o  tagliato  al  piede.  Si  vedevano  però  an- 
cora i  vestigi  dell'antica  coltura:  giovani  tralci,  in  righe  spezzale, 
ma  che  pure  segnavano  la  traccia  de'  filari  desolati  ;  qua  e  là ,  ri- 
messiliccì  0  getti  di  gelsi,  di  fichi,  di  peschi,  di  ciliegi,  di  iusAai; 
ma  aiiclic  queslo  sì  vedeva  sparso,  solTogalo,  in  mezzo  a  una  nuo- 
va ,  "^aria  e  fitta  generazione ,  nata  e  cresciuta  senza  1'  aiuto  della 
man  dell'uomo.  Era  una  marmaglia  d'ortiche,  di  felci,  di  logli,  di 


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CAPITOLO  XXXin.  «41 

gramigne,  di  farinelli,  d'avene  salvaliche,  d'aioaranli  verdi,  di  radic- 
chielle,  d'acetoselle,  di  panicastreile  e  d'altrettali  piante;  di  quelle, 
voglio  dire,  di  cui  il  cooladino  d'ogni  paese  ha  fatto  una  gran 
classe  a  modo  suo,  denominandole  erbacce,  o  qualcosa  di  simile. 
Era  un  guazzabuglio  di  steli,  che  facevano  a  soxerehiarsi  1'  uno  con 
l'altro  nell'aria,  o  a  passarsi  avanti,  strisciando  sul  terreno,  a  ru- 
barsi ÌD  somma  il  posto  per. ogni  verso;  una  confusione  di  foglie,  di 
fiori,  di  frutti,  di  cento  colori,  di  cento  forme,  di  cento  grandezie: 
spinette,  panoocchietle,  ciocche,  mazzetti,  capolini  bianchi,  rossi, 
gialli,  azzuri'i.  Tra  questa  marmaglia  di  piante  ce  n'era  alcune  di  più 
rilevate  e  vistose,  non  però  migliori,  almeno  Ja  più  parte:  l'uva 
turca,  più  aita  di  tutte,  co'  suoi  rami  allargati,  rosseggiaiilì ,  co'  suoi 
pomposi  foglioni  verdecupi,  alcuni  già  orlali  di  porpora,  co'  suoi 
grappoli  ripiegati,  guarniti  dì  bacche  |taonazze  al  basso,  più  su  di 
porporine,  poi  di  verdi,  e  iit  cima  di  fìorelliui  biancastri;  il  tasso 
barìnsso,  con  le  sue  gran  foglie  lanose  a  terra,  e  lo  stelo  diritto 
all'aria,  e  le  lunghe  spighe  sparse  e  come  stellale  di  vivi  fiorì  gialli: 
cardi,  ìspidi  ne'  rami,  nelle  foglie,  ne'  calici,  donde  uscivano  càuf- 
feltì  di  fiori  bianchi  o  porporini,  ovvero  si  staccavano,  portati  via 
dal  vento  ,  pennacchioli  argentei  e  leggieri.  Qui  una  quantità  di 
vilucchioni  arrampicati  e  avvoltati  a'  nuovi  rampolli  d'  un  gelso,  gli 
avevan  lutti  ricoperti  delle  )or  f<^lic  ciondoloni,  e  spenzolavano 
dalla  cima  di  quelli  le  lor  campanelle  candide  e  molli:  là  una  zucca 
salvatjca,  co'  suoi  chicchi  vermigli,  s'era  avviticchiala  ai  nuovi  Iralei 
d'una  vile;  la  quale,  cercalo  invano  un  più  saldo  sostegno,  aveva 
attaccati  a  vicenda  i  suoi  viticci  a  quella;  e,  mescolando  ì  loro  de- 
boli stdi  e  le  loro  foj^lie  poco  diverse,  si  tiravan  giù,  pure  a  vicen- 
da, come  accade  spesso  ai  deboli  che  si  prendon  l'uno  con  l'altro 
per  appoggio.  Il  rovo  era  per  tutto;  andava  da  una  pianta  all' altra, 
saliva,  scendeva,  ripiegava  i  rami  o  gli  stendeva,  secondo  gli  riuscis- 
se; e,  attraversalo  davanti  al  limitare  stesso,  pareva  clic  fosse  li  per 
contrastare  il  passo,  anche  al  padrone. 

Ma  questo  non  si  curava  d'entrare  in  una  lai  vigna;  e  forse  non 
isleltc  tanto  a  guardarla,  quanto  noi  a  farne  questo  po'di  schiszo.  Tirò 
di  lungo:  poco  lontano  c'era  la  sua  casa;  attraversò  l'orto,  cammi- 
nando fino  a  mezza  gamba  tra  l'erbacce  di  cui  era  popolalo,  coperto, 
come  la  vigna.  Mise  piede  sulla  soglia  d'una  delle  due  stanze  clic 
e'en  a  terreno:  al   rumore  de'  suoi   passi,  al  suo  aUbcciarsi  ,  uno 


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e(4  I  PnOUESSI  SPOSI 

scompiglio,  uno  scappare  incrocicchiato  di  topacci,  un  cacciarsi  dentro 
il  sudiciume  che  copriva  tutto  il  pavimento:  era  ancora  il  lello  de' 
lanzichenecchi.  Diede  un'occhiaia  alle  pareli:  scrostale,  imbratlale, 
alTumicate.  Alzò  gli  occhi  al  palco  :  un  paralo  di  ragnateli.  Non  e'  eru 
altro.  Se  n'  andò  anche  di  là ,  mettendosi  le  mani  ne*  capelli  ;  tornò 
indietro,  rifacendo  il  sentiero  che  aveva  aperto  lui,  un.  momento 
prima;  dopo  pochi  passi,  prese  un'altra  straducola  a  maDcina ,  che 
metteva  ne' campi;  e  senza  veder  né  sentire  anima  vivente,  arrivò 
vicino  alla  casella  dove  aveva  pensato  di  fermarsi.  Già  principiava 
a  fersi  buio.  L'amico  era  sull'uscio,  a  sedere  sur  un  panchetto  di  le- 
gno,con  le  braccia  incrociate,  con  gli  occhi  fissi  al  cielo,  come  un 
uomo  sbalordito  dalle  disgrazie,  e  insalvatichito  dalla  solitudine.  Sen- 
tendo un  calpestio,  si  voltò  a  guardar  chi  fosse,  e,  a  quel  che  gli  parve 
dì  vedere  cosi  al  barlume,  Ira  i  rami  e  le  fronde,  disse,  ad  alta  vo- 
ce, rizzandosi  e  alzando  le  mani:  ••  non  ci  son  che  io?  non  ne  ho 
fatto  abbastanza  ieri?  Lasciatemi  un-  po' stare,  che  sarà  anche  questa 
un'  opera  di  misericordia.  » 

Renzo,  non  sapendo  cosa  volesse  dir  questo ,  gli  rispose  chiaman- 
dolo per  nome. 

«  Renzo  ! "  disse  quello,  esclamando  insieme  e  interrogando. 


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CAPITOLO  XXXIII.  fl4B 

«  Proprio,  »  disse  Renzo;  e  si  corsero  incoiitro. 

«  Sei  proprio  tu!  "  disse  l'amico,  quando  furon  vicini  :  «  oh  che 
guslo  ho  di  vederti!  Clù  l'avrebbe  pensato?  T  avevo  preso  per  Pao- 
lìn  de' morti,  che  vien  sempre  a  lormenlarmi ,  perchè  vada  a  sotter- 
rare. Sai  che  son  rimasto  solo?  solo  1  solo,  come  uii  romito!  » 

u  Lo  so  pur  troppo ,  '^  disse  Renzo.  E  cosi ,  barattando  e  mesco- 
laodo  in  fretta  saluti,  domande  e  risposte,  entrarono  insieme  nella 
casuGcia.  E  lì,  senza  sospendere  i  discorsi,  t'amico  si  mise  in  (accende 
per  fare  un  po' d'onore  a  Renzo,  come  si  poteva  così  all'improvviso 
e  in  quel  tempo.  Mise  l'acqua  al  fuoco ,  e  cominciò  a  far  la  polenta  ; 
ma  cede  poi  il  mallerello  n  Renzo,  perchè  la  dimenasse;  e  se  n'andò 
dicendo:  u  son  rimasto  solo;  ma!  son  rimasto  solo!  n 

Tornò  con  un  piccol   secchio  di  latte,  con  un  po' di  carne  secca, 


con  un  paio  di  raveggioti,  con  Gdii  e  pesche;  e  posato  il  lutto,  sco- 
dellata la  polenta  sulla  tafferia,  si  misero  insieme  a  lavoia,  ringrazian- 
dosi scambievolmente,  l'uno  della  visita,  l'altro  del  ricevimento.  E, 
dopo  un'assenza  di  forse  due  anni,  si  Irovarorto  a  un  tratto  mollo 
più  amici  di  quello  che  avesser  mai  sapulo  d'essere   nel   tempo  cbc 


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•40  1  PROUESSI  8PUS1 

si  vedevano  quasi  ogni  giorno;  perchè  gl'uno  e  all'altro,  dice  qtn  il 
manoscritto,  eran  toccale  di  quelle  cose  che  fanno  conoscere  che  bal- 
samo sia  all'animo  la  benevolenza;  tanto  quella  che  si  sente,  quanto 
quella  che  si  Irova  negli  altri. 

Certo ,  nessuno  poteva  tenere  presso  di  Renzo  il  luogo  d'Agnese , 
né  consolarlo  della  di  lei  assenza,  non  solo  per  quell'antica  e  speciale 
affezione,  ma  anche  perchè,  tra  le  cose  che  a  lui  premeva  dì  dcci- 
firare  ,  ce  n'  era  una  di  cui  essa  soia  ave^a  la  chiave.  Stette  un  mo- 
mento tra  due,  se  dovesse  continuare  il  suo  viaggio,  o  andar  prima  in 
cerca  d'Agnese,  giacdic  n'era  così  poco  lontano;  ma,  considerato  dw 
ddla  salute  di  Lucia,  Agnese  non  ne  saprebbe  nulla,  restò  nd  primo 
proposito  d'andare  addirittura  a  levarsi  questo  dubbio,  a  aver  la  sua 
sentenza,  e  di  portar  poi  lui  le  nuove  alla  madre.  Però,  andte  dall'a- 
mico sepiie  molle  cose  che  ignorava,  e  di  molle  venne  in  chiaro  die 
non  sapeva  bene ,  sui  casi  di  Lucia,  e  solle  persecuzioni  che  gli  avevan 
fatte  a  lui,  e  come  don  Rodrigo  se  n'  era  andato  con  la  coda  tra  le 
gambe,  e  non  s'era  più  veduto  da  quelle  parti;  insomma  su  tulio 
qudl' intreccio  di  cose.  Seppe  anche  (e  non  era  per  Renzo  coguìzionc 
di  poca  importanza  )  come  fosse  proprio  il  casato  dì  don  Ferrante  : 
elle  Agnese  gliel  aveva  bensì  fallo  scrivere  dal  siio  segretai'io;  ma  sa 
il  cielo  com'era  slato  scritto;  e  l'interprete  bergamasco,  nel  leggaci 
la  lettera,  n'^aveva  fatta  una  parola  tale,  che,  se  Renzo  fosse  andato 
con  essa  a  cercar  ricapilo  di  quella  casa  in  Milano ,  probabìlmenti: 
non  avrebbe  trovato  persona  che  Ìndo\'inasse  di  chi  voleva  parlare. 
Eppure  quello  era  l'unico  filo  che  avesse,  per  andar  in  cerca  di  Lu- 
da.  In  quanto  alla  giustizia,  potè  confei'niarsi  sempre  più  ch'era  un 
perictdo  abbastanza  lontano,  per  non  darsene  gran  pensiero:  il  signor 
podestà  era  morto  di  peste:  chi  sa  quando  se  ne  manderebbe  un  al- 
tro; anche  la  sbirraglia  se  n'era  andata  la  più  parte;  quelli  che  rima- 
nevano, avevan  tuli'  altro  da  pensare  che  alle  cose  vecchie. 

Raccontò  anclic  lui  all'amico  le  sue  vicende,  e  n'ebbe  in  coiitrar- 
cambìo  cento  storie,  dd  passaggio  dell'  esercito,  della  peste,  d'untori, 
di  prodigi.  «  Son  cose  brutte,  »  disse  1'  amico,  accompagnando  Rem»» 
in  una  camera  che  il  contagio  avei'a  resa  disabitata;  «  cose  die  non 
si  sardibe  ma!  creduto  di  vedere;  cose  da  levarvi  l'allegria  per  tutta 
la  vita;  ina  però,  a  parlarne  tra  aniid,  è  un  sollievo,  n 

Alto  spuntar  del  giorno ,  eran  luti'  e  due  in  .cucina;  Renzo  in  ar- 
nese da  viaggio ,  con   la  sua  dntura   nascala  sotto  il  farsetto ,  e  il 


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CAPITOLO  xxxni.  e(T 

collellaccio  nel  tasdiioo  de' calzoni:  il  fagolUao,  per  andar  più  testo, 

Io  lasciò  in  deposilo  pressò  all'espile.  «Se  la  mi  va  bene,»  gli  disse, 
u  se  la  trovo  in  vila ,  se basta ripasso  di  qui;  corro  a  Pa- 
sturo, a  dar  la  buona  nuova  a  quella  povera  Aguese,  e  poi,  e  poi.... 

Ma  se,  per  disgrazia  ,  per  disgrazia  che  Dio  non  voglia allora , 

non  so  quel  che  farò,  non  so  dov'anderò:  cerio,  da  queste  parti 
non  mi  vedete  più.  »  E  così  parlando ,  ritto  sulla  soglia  dell'  uscio , 
con  la  lesta  per  aria,  guardava  con  im  misto  di  tenerezza  e  d'acco- 
ramento, l'aurora  del  suo  paese  che  non  aveva  più  veduta  da  tanto 
tempo.  L'amico  gli  disse,  come  s'usa,  di  sperar  bene;  volle  che  pren- 
desse con  sé  qualcosa  da  mangiare;  l'accompagnò  per  un  pezzetto  di 
strada ,  e  lo  lasciò  con  nuovi  augùri. 

Renzo,  s' incamminò  con  la  sua  pace,  bastandogli  d'arrivar  vicino  a 
MilaDO  in  quel  giorno,  per  entrarci  il  seguente,  di  buon'ora,  e  cominciar 
subito  la  sua  ricerea.  Il  viaggio  fu  senza  accidenti  e  senza  nulla  che 
potesse  distrar  Renzo  da'  suoi  pensieri ,  fuorché  le  solite  miserie  e 
malinconie.  Come  aveva  fatto  il  giorno  avanti ,  si  fermò  a  suo  tempo, 
in  un  boschetto  a  mangiare  un  boccone ,  e  a  riposai'si.  Passando  per 
Monza,  davanti  a  una  bottega  aperta,  dove  c'era  de' pani  in  mostra, 
ne  chiese  due,  per  non  rimanere  sprovvisto,  in  ogni  caso.  Il  for- 
naio, gl'intimo  di  non  entrare,  e  gli  porse  sur  una  piccola  pala  una 
scodellelta,  con  dentro  acqua  e  aceto,  dicendogli  che  buttasse  li  i  da- 
nari; e  latto  questo,  con  certe  molle,  git  porse,  l'uno  dopo  l'altro, 
i  due  pani,  che  Renzo  si  mise  uno  per  tasca. 

Verso  sera,  arriva  a  Greco ,  senza  però  saperne  il  nome;  ma ,  tra 
un  po' di  memoria  de' luoghi,  che  gli  era  rimasta  dell'altro  viaggio,  e 
il  calcolo  del  cammino  fallo  da  Monza  in  poi,  congetturando  che  do- 
veva esser  poco  lontano  dalla  città ,  usci  dalla  strada  maestra ,  per 
andar  ne' campi  in  cerca  di  qualche  cascifiotto,  e  li  passar  la  notte; 
che  con  osterie  non  si  voleva  impicciare.  Trovò  meglio,  di  quel  die 
cercava:  vide  un'apertura  in  una  siepe  che  cingeva  il  cortile  d'una 
cascina;  entrò  a  buon  conto.  Non  c'era  nessuno:  vide  da  un  canto 
un  gran  portico ,  con  sotto  del  fieno  ammantalo ,  e  a  quello  appog- 
giata una  scala  a  mano  ;  diede  un'  occhiala  in  giro ,  e  poi  sali  alla 
ventura;  s'accomodò  per  dormire,  e  infatti  s'addormentò  subito,  per 
non  destarsi  che  all'  alba.  Allora ,  andò  cai'pon  carponi  verso  l' orlo 
di  quel  gran  letto;  mise  la  lesta  fuori,  e  non  vedendo  nessuno,  scese 
di  dov*  era  salilo ,  us<^  di  dov'  era  entrato,  s"  incamminò  per  viottole. 


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I  PROUESSI  WOSI 


prendendo  per  sua  stella  polare  il  duomo;  e  dopo  ud  brevissimo  cam- 
mino ,  venne  a  sbucar  sotlo  le  mura  di  Milano ,  Ira  ppHa  Orientale 
e  porta  Nuova,  e  molto  vicino  a  questa. 


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cAi»mn.(>  xxxiv. 


.I,D  tjuanio  lilla  maniera  di 
penetrare  iti  dtlà,  Renzo 
a^eva  senlito,  così  all'  in- 
grosso, che  c'eran  ordini 
severissimi  di    non    ia- 

I sciar   colrar   nessuno  , 
senza  bullella  di  sanila; 
„ma  clie  in  vece  ci  s'en- 
iHlrava  benissimo,  clii  ap- 
[■  pena    sapesse    un    po' 
^~  aiutarsi  e  cogliere  il  mo- 
mento. Era  infatti  cosi  ;  e 
1  lasciando  anche  da  parie 
le  cause  generali ,  per  cui   in  que'  tempi   ogni  ordine  era  poco  ese- 
guilo; lasciando  da  parie  le  speciali,  che  rendevano  cosi  malagevole  la 


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e»o  1  pitoyEssi  SPOSI 

rigoroso  esecuzione  di  questo;  Milano  si  trovava  ormai  in  late  slato, 
da  non  veder  cosa  giovasse  guardarlo,  e  da  cosa;  e  chiunque  ci 
venisse,  poteva  parer  piulloslo  noncurante  ddla  propria  salute,  clic 
pericoloso  a  quella  de'  cilladini. 

Su  queste  nolÌEÌe,  il  disegno  di  Renzo  eradi  tentare  d'entrar  dalla 
prima  porla  a  cui  si  fosse  abbattuto;  se  ci  fosse  qualche  intoppo,  rì- 
pr^ider  le  mura  di  fuori ,  rincbè  ne  trovasse  un'  altra  di  più  facile  ac- 
cesso. E  sa  il  cielo  quante  porle  s*  immagina\'a  cbe  Milano  dovesse  avere. 
Arrivalo  dunque  sollo  le  mura,  si  fermò  a  guardar  d' intorno,  come 
fa  chi,  non  sapendo  da  che  parte  gli  convenga  di  prendere,  par  che 
n'aspetti,  e  ne  cliieda  qualche  indizio  da  ogni  cosa.  Ma,  a  destra  e 
a  sinÌ!itra ,  non  vedeva  che  due  pezzi  d'  una  strada  storta  ;  dirim- 
petto, un  tratto  di  mura;  da  nessuna  parie,  nessun  segno  d'uomini 
viventi:  se  non  che,  da  un  certo  punto  del  terrapieno,  s'alzava  una 
colonna  d'  un  fumo  oscuro  e  denso,  che  salendo  s'allargava  e  s'av- 
volgeva in  ampi  globi,  perdendosi  poi  nell'aria  immobile  e  bìgia. 
Eran  ^'esiliti ,  letti  e  altre  masserizie  infette  cbe  si  bruciavano  :  e  di 
tali  triste  llammatc  se  ne  faceva  di  contìnuo,  non  li  soltanto,  ma  in 
varie  parli  delle  mura. 

Il  (cmpo  era  chiuso,  l'aria  pesante,  il  cielo  velato  per  tutto  da  una 
nuvola  o  da  un  nebbione  uguale,  inerte,  che  pareva  negare  il  sole, 
senza  prometter  la  pioggia;  la  campagna  d'intorno,  parie  incolla,  e 
tulla  arida  ;  ogni  verzura  scolorila ,  e  neppure  una  gooHola  di  ru- 
giada suUeft^lie  passe  e  cascanti.  Per  di  più,  quella  s(diludine,  quel 
silenzio ,  cosi  vicino  a  una  gran  città ,  aggiungevano  una  nuova  co- 
sternazione all'inquietudine  di  Renzo,  e  rendevan  più  tetri  tulli  i 
suoi  pensieri. 

Sialo  li  alquanto,  prese  la  dirilla,  alla  ventura,  andando,  senza  sa- 
perio ,  verso  porta  Nuova ,  della  quale ,  quantunque  vicina ,  non 
poteva  accorgersi ,  a  cagione  d'  un  baluardo ,  dietro  cui  era  allora 
nascosta.  Dopo  |H>eiii  passi,  principiò  a  sentire  un  tintinnio  di  caiib 
panelli ,  che  cessava  e  ricominciava  ogni  tanto ,  e  poi  qualche  voce 
d'uomo.  Andò  avanti  e ,  passalo  il  canto  del  baluardo ,  ^ide  per  la 
prima  cosa,  un  casotto  di  legno,  e  sull'  uscio,  una  guardia  appoggiata 
al  moschetto,  con  una  ceri' aria  stracca  e  trascurala:  dietro  c'era  uno 
stecconato,  e  dietro  quello,  la  porla,  cioè  due  alacce  di  muro,  con  una 
tettoia  sopi'a,  per  riparare  i  Itatlenli;  i  quali  erano  spalancati,  come 
pure  il  cancello  dello  stecconato.  Però,  davanti  appunto  all'apertura. 


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CAPITOLO  XXXIV.  «Il 

c'era  il)  terra  un  tristo  inipeiJimento  :  utia  barella ,  sulla  quale  due 
monatli  accomodavano  un  |wverino,  per  portarlo  \ia.  Era  il  capo  de' 
gabdiierl,  a  cui,  poco  prìma,  s'era  scoperta  la  peste.  Benzo  si  rermò, 
aspettando  la  Une:  parlilo  il  convoglio,  e  non  venendo  nessuno  a  ri- 
chiudere il  cancello,  gli  parve  tempo,  e  ci  s'avviò  in  fretta;  ma  la 
guM^a,  con  una  manieraccia,  gli  gridò:  u  ola!  »  Renzo  si  fermò  di 
nuovo  su  due  piedi,  e,  datogli  d'  occhia,  tirò  fuori  un  mezzo  duca- 
Ione,  e  glielo  fece  vedere.  Colui,  o  che  avesse  già  avuta  la  peste,  o 
che  la  temesse  meno  di  qud  che  amava  i  mezzi  ducaloni,  accennò  a 
Renzo  che  glielo  buttasse;  e  vistoselo  volar  subilo  a' piedi,  susurrò: 
«  va  innanzi  presto.  »  Renzo  non  se  lo  fece  dir  due  volte;  passò  lo 
stccconalo,  passò  la  porla,  andò  avanti,  senza  che  nessuno  s'accorgesse 
di  lui,  0  gli  badasse;  se  non  che,  quando  ebbe  rulli  forse  quaranlu 
passi,  senti  un  altro  »  olii  »  che  un  gabelliere  gli  gridava  dieiro. 
Questa  volta,  fece  le  viste  di  non  sentire,  e,  senza  ^'oliarsi  nemmeno, 
allungò  il  passo.  "  Olà!  »  gridò  dì  nuovo  il  gabelliere,  con  una  voce 
però  die  indicava  pia  impazienza  die  risoluzione  di  farsi  ubbidire; 
e  non  essendo  ubbidito,  alzò  le  spalle,  e  tornò  nella  sua  casaccia, 
come  persona  a  cui  premesse  più  di  non  accostarsi  troppo  ai  pas- 
se^^icri ,  che  d' informarsi  de'  falli  loro. 

La  strada  die  Renzo -aveva  presa,  andava  allora,  come  adesso,  di- 
ritta  fino  al  canale  dello  il  Naviglio:  i  lati  erano  siepi  o  muri  d'or- 
li ,  chiese  e  conventi ,  e  poche  case.  lu  cima  a  questa  strada ,  e  nel 
mezzo  di  quella  che  costella  il  canale,  c'era  una  colonna,  con  una 
croce  della  la  croce  di  sant'Eusebio.  E  per  quanto  Renzo  guardasse 
innanzi,  non  vedeva  altro  che  quella  croce.  Arrivato  al  crocicchio 
che  divide  la  strada  circa  alla  metà,  e  guardando  dalle  due  parti, 
vide  a  diritta,  in  quella  strada  'che'  si  chiama  lo  stradone  di  santa  Te- 
resa, un  citladino  che  veniva  appunto  verso  di  lui.  ■~-  Un  cristiano, 
finalmente!  —  disse  tra  sé;  e  sì  voltò  subito  da  quella  parie ,  pen- 
sando di  farsi  insegnar  la  strada  da  lui.  Questo  pure  aveva  visto  il 
forestiero  che  s'avanzava;  e  andava  squadrandolo  da  lontano,  con  uno 
sguardo  sospettoso  ;  e  tanto  più,  quando  s'accorse  che,  in  vece  d'an- 
darsene per  i  falli  suoi,  gli  veniva  incontro.  Renzo,  quando  fu  poco 
distante,  si  levò  il  cappello,  da  quel  montanaro  rispettoso  die  era;  e 
tenendolo  con  la  sinistra ,  mise  l' altra  mano  nel  cocuzzolo ,  e  andò 
più  direttamente  verso  lo  sconosciuto.  Ma  questo ,  stralunando  gli 
cedri  affollo ,  fece  un  passo  addietro ,  alzò  un   noderoso  bastone  e 


- 


„GoogIe 


OHS  I  PftOHESSI  SPOSI 

\oHata  la  punta  ,  di'  era  di  ferro ,  alla  vìla  di  Renzo ,  gridò  : 

\ia  !  via  !  " 


u  Oli  oli!  »  gridò  il  giovino  aiidie  lui;  riuiiso  il  capitilo  in  Icsla, 
e,  avendo  tuU'altra  voglia,  come  diceva  poi,  quando  raecoiilava  la 
cosa,  die  di  nietler  su  lilc  in  quel  monienlo,  voltò  le  spalle  a  quello 
stravagante,  e  continuò  la  sua  strada,  o,  per  meglio  dire,  quella  iii 
cui  si  trovava  avviato. 

L'altro  tirò  avanti  andie  luì  per  la  sua,  tutto  fremente,  e  vol- 
tandosi, ogni  momento,  indietro.  E  arrivalo  a  casa,  raccontò  che  gli 
s'era  accostato  un  untore,  con  un'  aria  umile,  mansueta,  con  un  viso 
d' inrame  impostore,  con  lo  scatolino  dell'unto,  o  l'involtino  ddla 
polvere  (non  era  ben  cerio  qual  de' due)  in  mano,  nel  cocuzzolo 
del  cappello,  per  brgli  il  tiro,  se  luì  non  l'avesse  saputo  tener  lontano. 
«  Se  mi  s-  accostava  un  passo  di  più,  »  soggiunse,  «  l' infilavo  addi- 
rittura ,  prima  che  avesse  tempo  d'  accomodarmi  me ,  il  birbone.  La 
disgrazia  fu  eli'  eravamo  in  un  luogo  cosi  solitario ,  che  se  era  in 
mezzo  Milano,  chiamavo  gente,  e  mi  face\'0  aiutare  a  acchiapparlo. 
Sicuro  che  gli  si  trovava  quella  scellerata  porcberìa  nd  cappello.  Ma 
li  da  solo  a  solo,  mi  son  dovuto  contentare  di  fargli  paura,  senza 


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CAPITOLO  XXXIV.  «MS 

risicare  <|j  cercarmi  un  malanDO  ;  perchè  un  pu'  di  polvere  è  subilo 
buUala;  e  coloro  haooo  uoa  destrezza  particolare;  e  poi  lianno  il  diavolo 
dalla  loro.  Ora  sarà  in  giro  per  Milano:  dii  sa  che  strage  fa!»  E  fìn 
che  visse,  che  fu  per  molt'anni,  ogni  volta  cite  si  parlasse  d'untori , 
ripeteva  ht  sua  storia,  e  soggiungeva:  «  quelli  che  sostengono  ancora 
ette  non  era  vero,  non  lo  vengano  a  dire  a  me;  perchè  le  cose  bi- 
sogna averle  vìsle.  n 

Renzo  ,  lontano  dall'  immaginarsi  come  I'  avesse  scampata  bella ,  e 
agitato  più  dalla  rabbia  cfie  dalla  paura ,  pensava ,  camminando ,  a 
queir  accoglienza,  e  indovinava  bene  a  un  di  presso  ciò  che  lo  scono- 
sciuto aveva  pensato  di  lui  ;  ma  la  cosa  gli  pareva  cosi  irragionevole, 
che  concluse  tra  sé  che  colui  doveva  essere  un  qualc^  mezzo  matto. 
—  La  principia  male ,  —  pensava  però  :  —  par  che  ci  sia  un  pia- 
neta per  me  ,  in  questo  Milano.  Per  entrare,  lutto  mi  va  a  seconda; 
e  poi,  quando  ci  son  dentro,  trovo  i  dispiaceri  li  apparecchiati.  Ba- 
sta   coli' aiuto  di  Dio.. . .  se  trovo  —  se  ci  riesco  a  trovare.... 

eh!  tutto  sarà  stalo  niente.  — 

Arrivato  al  ponte,  voltò,  senza  esitare,  a  sinistra,  nella  strada  di 
san  Marco,  parendogli,  a  ragione,  che  dovesse  condurre  verso  l'ìn- 
ierno  della  città.  E  andando  avanti,  guardava  in  qua  e  in  là,  per  ve- 
der se  poteva  scoprire  qualche  creatura  umana;  ma  non  ne  vide  altra 
che  uno 'sformato  cadavere  nel  piccol  fosso  che  corre  tra  quelle  po- 
che case  (che  allora  erano  anche  meno),  e  un  pezzo  della  strada. 
Passato  quel  pezzo,  senli  gridare:  «  o  queir  uomo!  »  e  guardando  da 
quella  parte,  vide  poco  lontano,  a  un  terrazzino  d'una  casuccia  iso- 
lata, una  povera  donna,  con  una  nidiata  di  bambini  intorno;  la  quale, 
seguitandolo  a  chiamare ,  gli  fece  cenno  anche  con  la  mano.  Ci  andò 
di  corsa;  e  quando  fu  vicino,  «o  quel  giovine,  »  disse  quella  donna: 
u  per  i  vostri  poveri  morti ,  fate  la  carità  d' andare  a  avvertire  il 
commissario  che  siamo  qui  dimenticati.  Ci  hanno  chiusi  in  casa  come 
sospetti,  perdio  il  mio  povero  marito  è  morto;  ci  hanno  inchiodato 
l'uscio,  come  vedete;  e  da  ìer  mattina,  nessuno  è  venuto  a  portarci 
da  mangiare.  In  tante  ore  che  siam  qui,  non  m'  è  mai  capitato  un 
cristiano  che  me  la  lacesse  questa  carità:  e  questi  poveri  innocenti 
iDoion  di  fame.  » 

«  Di  famel  »  esclamò  Renzo;  e,  cacciate  le  mani  nelle  tasche,  «  ecco, 
oceo,  "  disse,  tirando  fuori  i  due  pani:  u  calatemi  giù  qualcosa  da 
metterli  dentro.  » 


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««(  I  PROCESSI  SPOSI 

»  Dio  ve  ne  renda,  merito;  aspellatc  un  momenlo,  n  disse  quella 
donna;  e  andò  a  cercare  un  paniere,  e  una  fune  da  calarlo,  come 
fece.  A  Renzo  intanto  gli  vennero  in  mente  que'  pani  che  aieva  tro- 
vati vicino  alla  croce,  nell'altra  sua  entrata  in  Milano,  e  pensava:  — 
ecco:  è  una  restituzione,  e  Torse  meglio  che  se  gji  a\'essi  restituiti 
al  proprio  padrone  ;  perchè  qui  è  veramente  un'  opera  di  miseri' 
cordia.  — 

u  In  quanto  al  commissario  che  dite,  la  mia  donna,  >  disse  poi, 
mettendo  i  pani  net  paniere,  «io  non  vi  posso  servire  in  nulla;  per- 
chè, per  dirvi  la  verità,  son  forestiero,  e  non  son  niente  pratico  di 
questo  paese.  Però,  se  incontro  qualche  uomo  un  po'  domestico  e 
umano,  da  potergli  |)arlare,  lo  dirò  a  lui.  n 


La  donna  lo  pregò  die  facesse  eosì,  e  gli  disse  il  nome  della  strada, 
onde  lui  sapesse  indicarla. 

«  Anche  voi,  n  riprese  Renzo,  «  credo  che  potrete  fermi  un  piacere, 


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CAPITOLO  XXXIV.  MS 

una  vera  carità ,  senza  voslro  iocomodo.  Una  casa  di  ca^'alìe^i,  di  {p^n 
signoroni,  qui  di  Milano,  casa  "*,  sapreste  insegnarmi  dove  sia?  » 

n  So  che  la  c'è  questa  casa,  »  rispose  la  donna:  «  ma  dove  sia, 
no»  lo  30  davvero.  Andando  avanti  di  qua,  qualclieduno  die  ve  la 
insegni,  lo  troverete.  E  ricordatevi  di  dirgli  anche  di  noi.  " 

»  Non  dubitate,  n  disse  Renzo,  e  andò  avanti. 

A  ogni  passo,  sentiva  crescere  e  avvicinarsi  un  rumore  che  già 
aveva  comincialo  a  sentire  mentre  era  li  fermo  a  discorrere:  un  ru- 
mor di  ruole  e  di  cavalli ,  con  un  tintinnio  di  campanelli ,  e  ogni 
tanto  un  chioccar  di  fruste,  con  un  accompagnamento  d'urti.  Guar- 
dava  innanzi,  ma  non  vedeva  nulla.  Arrivalo  allo  sbocco  di  quella 
sli-ada,  scoprendosegli  davanti  la  piazza  di  san  Marco,  la  prima  cosa  che 
gli  diede  nell'occhio,  furon  due  travi  ritte,  con  una  corda,  e  con  certe 
carrucole;  e  non  lardò  a  riconoscere  (  eh'  ei-a  cosa  ^migliare  in  quel 
tempo)  r ahbominevole  macchina  della  tortura.  Era  rizzala  in  quel 
luogo,  e  non  in  qudlo  soltanto,  ma  in  tutte  le  piazze  e  nelle  strade 
|HÙ  spaziose,  afllnehè  i  deputali  d'(^ni  quartiere,  muniti  a  questo 
d'ogni  facoltà  più  arbitraria,  potessero  farci  applicare  immediatamente 
chiunque  paresse  loro  meritevole  di  pena  :  o  sequestrali  che  uscissero 
di  casa,  o  subalterni  che  non  facessero  il  loro  dovere,  o  chiunque 
altro.  Era  uno  di  que'  rimedi  eccessivi  e  inefficaci  de'  quali,  a  quel 
tempo,  e  in  que'  momenti  specialmente,  si  faceva  tanto  sc<alaci|ino. 

Ora,  mentre  Renzo  guarda  quello  strumento,  pensando  perchè  ]>ossa 
essere  alzato  in  quel  luogo,  sente  avvicinarsi  sempre  più  il  rumore,  e 
vede  spuntar  dalla  cantonata  della  chiesa  un  uomo  che  scoteva  un 
campanello:  era  un  apparìlore;  e  dietro  a  lui  due  cavalli  che,  allun- 
gando il  collo,  e  puntando  le  zampe,  venivano  avanti  a  fatica;  e 
strascinato  da  quelli,  un  carro  di  morti,  e  dopo  quello  un  altro,  e  poi 
un  altro  e  un  altro;  e  di  qua  e  di  là,  monatti  alle  costole  de' cavalli, 
spingendoli,  a  frustate,  a  punzoni,  a  bestemmie.  Eran  que' cadaveri , 
la  più  parte  ignudi,  alcuni  mal  involtati  in  qualche  cencio,  ammon- 
ticchiati, intrecciati  insieme,  come  un  gruppo  di  serpi  che  lenta- 
mente si  svolgano  al  tepore  della  primavera;  che,  a  ogni  intoppo,  a 
«^i  scossa,  si  vedevan  que'  mucchi  funesti  tremolare  e  scompagi- 
narsi brutlameiile,  e  ciondolar  teste,  e  cliiooie  verginali  arrovesciarsi, 
e  braccia  svincolarsi,  e  batter  sulle  rote,  mostrando  all'occhio  già  iiior* 
ridito  come  un  tale  spettacolo  poteva  divenire  più  doloroso  e  più 
sconcio. 


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t  PROMESSI  SPOSI 


Il  giovine  s'era  fermato  sulla  cantonata  della  piazza,  vicino  alla 
sbarra  del  canale,  e  pregava  intanto  per  que'  morti  sconosciuti.  Un 
atroce  pensiero  gli  balenò  in  mente:  —  forse  là,  là  insieme,  làscito... 
Oli ,  Signore!  fate  che  non  sia  vero!  fate  ch'io  non  ci  pcnsil  — 


I 
I 
1 1 


ì! 


Passato  il  convoglio  funebre,  Renzo  si  mosse,  attraversò  la  piazza, 
prendendo  lungo  il  canale  a  mancina,  senz'aura  ragione  della  scella, 
se  non  die  il  convoglio  era  andato  dall'altra  parte.'  Fatti  que'  quattro 
passi  Ira  il  fianco  della  chiesa  e  il  canale,  vide  a  destra  il  ponte  Mar- 
cellino; prese  di  li,  e  riuscì  in  Borgo  Nuovo.  E  guardando  innanzi, 
sempre  con  quella  mira  di  trovar  qualcheduno  da  farsi  insegnar  la 
strada,  vide  in  fondo  a  quella  un  prele  in  farsetto,  con  un  ba- 
stoncino in  mano,  ritto  vicino  a  un  uscio  socchiuso,  eoi  capo  cliinalo, 
e  l'orecchio  allo  spiraglio;  e  poco  dopo  lo  vide  alzar  la  mano  e  be- 
nedire. Congetturò  quello  eh'  era  di  fatto ,  cioè  che  finisse  di  confessar 
qualcheduno; e  disse  Ira  sé:  — questo  e  l'uomo  che  fa  per  me.  Se  im 


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prete,  in  futizioii  dì  prete,  noii  Ita  un  po'  di  carità,  un  po'  d'aiiiorc  e 
di  buona  grazia,  bisogna  dire  che  non  ce  ne  sia  più  in  questo  mondo.  — 
Intanto  il  prete,  staccatosi  dall'uscio,  veniva  dalla  parte  di  Renzo, 
lenendosi,  con  gran  riguardo,  nel  mezzo  della  strada.  Renzo,  quando 
gli  fu  vicino,  si  Jevò  il  cappello,  e  gli  accennò  che  desiderava  parlar- 
gli, fermandosi  nello  stesso  tempo,  in  luaniera  da  fargli  iiilendere  che 
non  si  sarebbe  accostato  di  più.  Quello  pure  si  fermò,  in  allo  di 
stare  a  sentire,  puntando  però  in  terra  il  suo  bastoncino  davanti  u 


sé,  come  per  fai-scne  un  baluardo.  Renzo  espose  la  sua  domanda,  alla 
quale  il  prete  soddisifece,  non  solo  con  dirgli  il  nome  della  strada 
dove  la  casa  era  situala,  ma  dandogli  anche,  come  vide  che  il  pove- 
rino n'  aveva  bisogno,  un  po' d'itinerario;  indicandogli,  cioè,  a  forza 
di  diritte  e  di  mancine,  di  chiese  e  di  croci ,  quel!'  altre  sci  o  otto 
slrade  che  avesa  da  passare  per  arri\'arci. 

u  Dio  la  mantenga  sano,  in  questi  tempi,  e  sempre,"  disse  Renzo: 
e  mentre  quello  si  moveva  per  andarsene,  "  un'altra  carità,  »  sog- 
giunse; e  gli  disse  delia  povera  donna  dimenticala.  11  buon  prete  rin- 
graziò lui  d'avergli  dato  occasione  di  fare  una  carità  così  necessaria; 
e,  dicendo  che  andava  ad  avvertire  chi  bisognava,  tirò  avanti.  Renzo 
si  mosse  anche  lui,  e,  camminando,  cercava  di  fare  a  se  stesso  una 
ripetizione  dell' itinerario,  per  non  esser  da  capo  a  dover  domandare 
a  ogni  oanlonala.  Ma  non  poli'csie  immaginarvi  come  quell'operazione 


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)  PKiniflS^I  SlH»! 


gli  riuscisse  |>enosa,  e  non  Unto  per  la  ilifilcolUi  dulia  cosa  in  sé, 
quanto  per  un  niio\'o  lurbamenlo  che  gli  era  nato  nell'animo.  Quel 
nome  della  strada ,  quella  traccia  del  cammino  i'  avcvan  messo  cosi 
sottosopra.  Era  l' iiidìxio  die  a^cva  desiderato  e  domandato,  e  del 
quaie  non  poteva  far  di  meno;  né  gli  era  sfatò  detto  nienl' altro,  da 
die  potesse  ricavare  nessun  augurio  sinistro;  ma  che  volete?  qud- 
i'idea  un  po'  più  distinta  d'un  termine  vicino,  dove  uscirebbe  «f  una 
grand'incertesta,  dove  potrebt>e  sentirsi  dire:  è  viva,  o  sentirsi  dire: 
e  morta;  qudl'  idea  l'aveva  cosi  colpito,  che,  in  quel  momento,  gii 
sarebbe  piaduto  più  di  trovarsi  ancora  al  buio  di  tulio,  d'essere  al 
principio  del  viaggio,  di  cui  ormai  toccava  la  fine.  Raccolse  i)em  le 
sue  forze,  e  disse  a  sé  stesso:  —  ehi!  se  principiamo  ora  a  fare  Ìl 
ragazzo,  com'anderà?  —  Cosi  rinfhinealo  alla  meglio,  seguitò  la  sua 
strada,  inoltmndosi  nella  città. 

Quale  città!  e  cos'era  mai,  al  paragone,  quello  eh'  era  slata  l' anno 
avanti,  |>er  cagion  della  fame! 

Renzo  s'abbatteva  appunto  a  passare  per  una  delle  partì  più  squal- 
lide e  più  desolate  :  quella  crociala  di  strade  die  si  chiamava  il  car- 
roòio  di  porla  Nuova  (C'era  allora  una  croce  nel  mezzo,  e,  dirìm- 
petto  ad  essa,  accanto  a  dove  ora  è  san  Pranccsoo  dì  Paola,  una 
vecchia  chiesa  eoi  titolo  di  sant'Anastasia.).  Tania  era  stala  in  quel 
vicinato  la  furia  del  contagio,  e  il  fetor  de'  cadaveri  lasciali  lì,  die  i 
pochi  rimasU  vivi  erano  slati  costretti  a  sgomberare:  sicché,  alla  me- 
stizia che  dava  al  passeggiero  quell'aspetto  di  solitudine  e  d'abbando- 
no, s'aggiungeva  l'orrore  e  lo  schifo  dulie  tracce  e  degli  avanzi  della 
recente  abitazione.  Renzo  alTreltò  il  passo,  facendosi  coraggio  co!  pen- 
sare die  la  mela  non  doveva  essere  cosi  vìdna,  e  sperando  che,  |>pìma 
d'arrivarci,  troverebbe  mutala,  almeno  in  parte,  la  scena;  e  infalli, 
di  li  a  non  mollo,  riuscì  in  un  luogo  che  poteva  pur  dirsi  citta  di 
viventi;  ma  quale  città  ancora,  e  quali  vìventi!  Serrati,  per  sospetto 
e  per  terrore,  tutti  gli  uscì  dì  strada,  salvo  quelli  che  fossero  spalan- 
cati per  esser  le  case  disabitate,  o  invase;  altri  inchiodali  e  sigillali, 
per  esser  nelle  case  morta  o  ammalata  gente  di  peste;  altri  segnali 
d'una  croce  fatta  col  carbone,  per  indizio  ai  monatti,  che  c'eran  de' 
morti  da  portar  via:  il  tutto  più  alla  ventura  che  altro,  secondo  die 
ai  fosse  trovalo  piuttosto  qua  che  là  un  qnalclie  commissario  della 
Sanila  o  altro  impiegalo,  che  avesse  voluto  eseguir  gli  ordini,  o  fare 
un'angheria.  Per  lutto  «enei  e,  più  rìbullauti  de*  cenci,  fasce  marciose, 


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CAPITOLO  .\X\IV.  4IÌII» 

strame  aromorìtiaU),  o  leazoli  bultali  dalle  fineslre;  lalvoUa  corpi,  o 
ài  persone  moHe  all'improvviso,  nella  strada,  e  lasciati  lì  fin  che  pas- 
sasse un  carro  da  portarli  via,  o  cascali  ilu'  carri  medesimi,  o  buttali 
aneli' essi  dalie  finestre:  tanto  l' insistere  e  l' imperversar  del  disastro 
aveva  insalvatichiti  gli  animi,  e  fatto  dimenticare  ogni  cura  di  pietà,  ogni 
riguardo  sociale  [Cessalo  per  tulto  ogni  rumor  di  boUeghe,ogni  strepilo 
di  carrozze,  ogni  grido  di  venditori,  ogni  chiacchierio  di  passe^ieri, 
era  ben  raro  che  quel  silenzio  dì  morte  fosse  rotto  ila  altro  che  da 
rumor  di  carri  funebri,  da  lamenti  di  poveri,  da  rammarichio  d'in- 
fermi, da  urìi  dì  fi-enetici,  da  grida  di  monatti.  All'alba,  a  mezzo- 
giorno,  a  sera ,  una  campana  del  duomo  da\'a  il  segno  dì  recitar  certe' 
|Weci  assegnate  dall'arcivescovo:  a  quel  tocco  ri^pondevaii  le  campane 
dell'altre  chiese;  e  allora  avreste  veduto  persone  alTaeciarsi  alle  fìnv- 
slre,  a  pregare  in  comune;  avreste  sentito  un  bisbiglio  di  voci  e  di 
gemiti ,  die  spirava  una  tristezza  mista  pure  di  qualche  conforto. 

Morti  a  quell'ora  forse  i  due  terzi  de'  citladinij  andati  via  o  amma- 
lali una  buona  parte  del  resto ,  ridotto  quasi  a  nulla  il  concorso  della 
genie  di  fuori,  de'  pochi  che  andava»  per  le  strade,  non  se  ne  sa- 
rebbe  per  avventura,  in  un  lungo  (pra,  incontrato  uno  solo  in  cui 
iton  si  vedesse  qualcosa  di  strano,  e  che  dava  indìzio  d'una  funesta 
mutazione  di  cose.  Sì  vede^ano  gli  uomini  più  qualificali,  senza  cappa 
né  mantello,  parte  allora  esstinzialissima  del  vestiario  civile;  senza 
sotlaiia  i  preti,  e  anche  de'  religiosi  in  farsetto;  dismessa  in  somma 
ogni  sorte  di  vestito  die  potesse  con  gli  svolazzi  toccar  qualche  cosa, 
o  dare  (ciò  che  si  temeva  più  di  tulio  il  resto)  agio  agli  untori.  E 
fuor  di  questa  cura  d'andar  siicciiUi  e  ristretti  il  più  che  fosse  pos- 
sibilc,  negletta  e  trasandata  ogni  persona;  lunghe  le  barbe  dì  quelli 
che  usavan  |>ortarlc,  creseìule  a  quelli  die  prima  eostumavan  di  ra* 
derle;  lungtte  pure  e  arruffale  le  capigliature,  non  solo  per  quella 
traseiiranza  che  nasce  da  un  invecchiato  abbaUimento,  ma  per  esser 
divenuti  sospetti  i  barbieri ,  da  die  era  sialo  preso  e  condannalo, 
eome  untor  famoso,  uno  di  loro,  Giangìaeonio  Mora:  nome  die,  per 
un  pezzo,  conservò  una  celebrità  nninìeìpale  d'infamia,  e  ne  merite- 
rebbe una  ben  più  diffusa  e  perenne  di  pietà.  Ipiù  tenevano  da  una 
mano  un  bastone,  alcuni  andie  una  pistola,  per  avvertimento  minac- 
doso  a  chi  avesse  voluto  avvicinarsi  troppo;  dall'altra  pasticche  odo- 
rose, o  palle  di  metallo  o  di  legno  traforate,  con  dentro  api^pu; 
inzuppate  d'aceti  medicali;  e  se  le  andavano  ogni  lanlo  mettendo  il 


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«co  I  PROMI^IS^tl  SPOSI 

naso,  o  ce  (e  tenevano  dì  conlinuo.  Portavano  alcuni  altaocaU  al  eolio 
una  boccetta  con  dentro  un  po'  d'argento  vivo,  persuasi  che  avesse 
la  virtù  d'assorbire  e  di  ritenere  ogni  esalazione  pestilenziale;  e  ave- 
vah  poi  cura  di  rinnovarlo  ogni  tanti  giorni.  I  gentilnomini,  non  solo 
uscivano  senza  il  solilo  seguito,  ma  sì  vedevano,  con  una  sporta  in 
braccio,  andare  a  comprar  le  cose  necessarie  al  vitto.  Gli  ami- 
ci, quando  pur  due  s'  inconlrassoro  per  la  si  rada .  si  saliitavan  da 


lontano ,  con  cenni  tacili  e  frettolosi.  Ognuno ,  camminando ,  aveva 
molto  da  fare,  per  ìscansarc  gli  schifosi  e  morliferì  inciampi  di  cui  il 
terreno  era  sparso  e,  in  qualche  luogo,  anche  aflafto  ingombro:  ognuno 
cercava  di  slare  in  mezzo  alla  strada,  per  timore  d'altro  sudiciume, 
o  d'altro  più  funesto  peso  che  potesse  venir  giù  dalle  Gneslrc;  per 
Umore  delle  polveri  \enelìclie  che  si  diceva  essere  spesso  buttate  da 
<|uelle  su'  passeggieri;  per  timore  delle  muraglie,  che  potevaa  esser 
unte.  Cosi  l'ignoranza,  coraggiosa  e  guardinga  alla  rovescia,  aggiun- 
geva ora  angustie  all'angustie,  e  dava  falsi  terrori,  in  compenso  de' 
ragionevoli  e  salutari  che  a\cva  le^■ati  da  prindpto. 

Tal  era  ciò  che  di  meno  deforrne  e  di  men  compassionevole  »  li- 
ceva vedere  intorno,  1  sani,  gli  agiati:  che,  dopo  tante  immagini  di 
miseria,  e  pensando  a  quella  ancor  più  grave,  per  mezzo  alla  quale 
dovrem  condurre  il  lellorc,  non  ci  fermeremo  oi-a  a  dir  qual  fosse 


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CAPITOLO  XXXIV.  001 

lo  spellacolo  àè%\ì  appcstati  che  sr  strascicavano  o  giacevano  per  le 
strade,  de*  povei-Ì,  de'  fanciulli,  delle  donne.  Era  (ale,  che  il  riguar- 
dante poteva  trovar  quasi  un  disperalo  conforto  in  ciò  che  ai  lontani 
e  ai  posteri  fa  la  più  forte  e  dolorosa  impressione;  nel  jicnsare,  dico, 
nel  vedere  quanto  que'  viventi  fossero  ridotti  a  poclii. 

In  mezzo  a  questa  desolazione  aveva  Renzo  fedo  già  una  buona 
parte  del  suo  cammino,  quando,  distante  ancor  molli  passi  da  una 
strada  in  cui  doveva  voltare,  senti  venir  da  quella  un  vario  frastono, 
nel  quale  si  faceva  distinguere  quel  solilo  orribile  tintinnio. 

Arrivato  alla  cantonata  della  strada,  ch'era  una  delle  più  largite, 
vide  quattro  carri  fermi  nel  mezzo;  e  come,  io  un  mercato  di  gra- 
naglie, si  vede  un  andare  e  venire  dì  gente,  un  caricare  e  un  rove- 
sciar di  sacchi,  tale  era  il  movimento  in  quel  luogo:  monatti  ch'eli- 
travan  nelle  case,  monatti  die  n'uscivano  con  un  peso  su  le  s] 
e  lo  mettevano  su  l'uno  o  l'altro  carro:  alcuni  con  la  divisa  r 
altri  senza  quel  distintivo,  molti  con  uno  ancor  più  o<lioso,  pennac- 
chi e  fiocchi  di  vari  colori ,  che  quegli  sciagurati  |>orta^'ano  come 
per  segno  d'allegria,  in  tanto  pubblico  lutto.  Ora  da  una,  ora  da 
un'altra  finestra,  veniva  una  voce  lugubre:  «  qua,  monalli!  n  E  con 
suono  ancor  più  sinistro,  da  quel  tristo  brulichio  usciva  qualche  vo- 
ciacela che  rbpondeva:  "ora,  ora.  «  Ovvero  eran  pigionali  die  bron- 
tolavaiKi,  e  dicevano  di  far  presto:  ai  quali  !  monalli  rispondevano 
con  bestemmie. 

Entralo  nella  strada,  Renzo  allungò  il  |iasso,  cei-cando  di  non  guar- 
dar qucgl'  ingombri ,  se  non  quanto  era  necessario  per  iscansarli  ; 
quando  il  suo  sguardo  s'incontrò  in  un  oggelto  singolare  di  pietà, 
d'  una  pielà  che  invogliava  l' animo  a  contemplarlo  ;  di  maniera  che 
si  fermò,  quasi  senza  volerlo. 

Scendeva  dalla  soglia  d'uno  di  quegli  usci,  e  veniva  verso  il  con- 
voglio, una  donna,  il  cui  aspetto  annunziava  una  giovinezza  avanzata, 
ma  non  trascorsa;  e  vi  traspariva  una  bellezza  velata  e  offuscata, 
ma  non  guasta,  da  una  gran  passione,  e  da  un  languor  mortale: 
quella  Lelle7.za  molle  a  un  tempo  e  maestosa ,  che  brilla  nel  sangue 
lombardo.  La  sua  andatura  era  affaticala,  ma  non  cascante;  gli  ocdii 
non  davan  lacrime,  ma  poHavan  segno  d'averne  sparse  fante;  c'era 
in  (|uel  itAore  un  non  so  che  di  pacato  e  di  profondo,  die  attestava 
un'anima  tulla  consapevole  e  presente  a  sentirlo.  Ma  non  wa  il  solo 
suo  aspello  che,  tra  tante  miserie,  la  indicasse  cosi  particolarmente 


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e6l  I  PROMESSI  SP09I 

alla  pietà,  e  ravvivasse  per  lei  quel  sentimento  ormai  stracco  e  ani< 
mortilo  ne' cuori.  Portava  essa  in  collo  una  bambina  di  Torse  nov'anni, 
moria;  ma  tutta  ben  accomodata,  co' capelli  divisi  sulla  fronte,  con  un 
vestito  bianchissimo,  come  se  quelle  mani  l'avessero  adornala  per  una 
festa  promessa  da  tanto  tempo ,  e  data  per  premio.  Né  la  teneva  a 
giacere,  ma  sorretta,  a  sedere  sur  un  braccio,  col  petto  appoggialo 
a)  petto,  come  se  fosse  stala  viva;  se  non  die  una  manina  bianca  a 
guisa  di  cera  spen;(olava  da  una  parte,  eon  una  certa  inanimala  gra- 
vezza ,  e  il  capo  posava  sull'  omero  della  madre ,  con  un  abbandono 
più  forte  del  sonno:  della  madre,  che,  se  anche  la  somiglianza  de' volli 
non  n'  avesse  fatto  fede,  1'  avrebbe  detto  chiaramente  quello  de'  due 
cb' esprimeva  ancora  un  scnlimenlo. 

Un   turpe  monatto   andò  per  levarle   la  bambina  dalle  braccia, 


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CAllTOtO  XXXIV.  03S 

con  una  specie  però  d' insolito  rispetto,  con  un'esitazione  involonta- 
ria. Ma  quella,  tirandosi  indietro,  senza  però  mostrare  sdegno  né  di- 
sprezzo, «  no!  n  disse:  ••  non  ine  la  toccate  per  ora;  devo  metterla 
io  su  quel  caiTO  :  proitdele.  "  Cosi  dicendo ,  apri  una  mano ,  fece 
vedere  una  borsa,  e  la  lasciò  cadei'e  in  quella  clic  il  monatto  le  tese. 
Poi  continuò:  u  promettetemi  di  non  levarle  un  filo  d'intorno,  ne  di 
lasciar  che  altri  ardisca  di  farlo,  e  di  metterla  sotto  terra  cosi.  " 

Il  monatto  si  mise  una  mano  al  petto;  e  poi,  lutto  premuroso,  e 
quasi  ossequioso,  più  per  il  nuovo  sentimento  da  cui  era  come  soggio- 
gato, die  per  rinaspettala  ricompensa,  s'alTaccendò  a  far  un  po'di  po- 
sto sul  carro  per  la  morticina.  La  madre,  dato  a  quesla  un  bacio  in 
fronte,  la  mise  li  come  sur  un  letto ,  ce  I'  accomodò ,  le  stese  sopra 
un  panno  bianco,  e  disse  1' ultime  parole:  u  addio,  Cecilia!  riposa  in 
pace  !  Stasera  verremo  anche  noi ,  per  restar  sempre  insieme.  Prega 
intanto  per  noi;  ch'io  pregherò  per  te  e  per  gli  altri,  n  Poi  voltatasi 
di  nuovo  al  monatto,  "  voi,  "  disse,  «  passando  di  qui  verso  sera, 
salirete  a  prendere  anche  me,  e  non  me  sola.  « 

Cosi  4eUi>,  ricBlrò  in  casa,  e,  un  momento  dopo,  s'affacciò  alla  Hne- 
slra  ,  tenendo  in  c<rilo  un'  altra  bambina  più  piccola  ,  viva  ,  ina  coi 
segni  della  morte  in  volto.  Stette  a  contoiiplare  quelle  cosi  indegne 
esequie  della  prima,  tinche  il  carro  non  si  mosse,  finché  lo  potè 
vedere;  poi  disparve.  E  che  altro  potè  fare,  se  non  posar  sul  letto 
l'unica  che  le  rimaiie\-a ,  e  mettersele  accanto  per  morire  insieme  ? 
come  il  fiore  già  rigoglioso  sullo  stelo  cade  insieme  col  fiorellino  an- 
cora in  boccia ,  al  passar  della  falce  che  pareggia  tulle  1'  erte  del 
prato. 

«  O  Signore!  »  esclamò  Renzo:  "  esauditela!  tiratela  a  voi ,  lei  e 
la  sua  creaturina:  hanno  patito  abbastanza!  hanno  |)alilo  abbastanza!» 

Riavuto  da  qudla  eoiiimozione  straordinaria ,  e  inenli'e  cerca  di 
tirarsi  in  inenic  I*  itinerario  per  trovare  se  alla  prima  strada  deve 
voltare,  e  se  a  dìrìlla  o  a  itianciiia,  seh le  anche  da  qiiesla  venire  un 
altro  e  divei-so  strepilo,  un  suono  confuso  di  grida  imperiose,  di  fio- 
chi lamenti,  un  (liaitger  di  donne,  un  mugolio  dì  fanciulli. 

.\ndò  avanti,  con  in  cuore  quella  solila  Irisla  e  oscm'a  aspellaliva. 
Arrivalo  at  crocicchio ,  vide  da  una  parte  una  moltitudine  confusa 
elu;  s'avanzava,  e  si  fermò  li,  per  lasciarla  passaiù  Erano  ammalati 
c'ie  venivan  condoni  al  lazzercllo;  alcuni,  spinti  a  forza,  resistevano 
in  vano,  in  \'ano  gridavano  clic  volevan  morire  sul  loi-o  letto,  e 


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eet  I  PROllESSI  SPOSI 

rìs[)oiidcvariu  con  inulili  im|>rccaiioiii  itile  be»lemnii«  e  ai  «umaiidide' 
monadi  che  li  guidavano;  altri  camminavano  in  silenzio,  senza  niosfnr 


dolore,  né  alcun  altro  scnlìniciilo,  come  insensati;  donne  co' bambini 
in  collo;  fanciulli  spaventali  dalle  grida,  da  quegli  ordini,  da  quella 
conipt^nia,  più  che  dal  pensiero  confuso  della  morte,  i  quali  ad  alle 
strida  imploravano  ia  madre  e  le  sue  braccia  fidale ,  e  la  casa  loro. 
Ahi!  e  forse  la  madre,  che  credevano  d'aver  lasciata  addormentala 
sul  suo  letto,  ci  s'era  buttata,  sorpresa  tutt'  a  un  tratto  dalla  peste;  e 
slava  li  senza  sentimento,  per  esser  portata  sur  un  carro  al  lazzeretto, 
o  alla  fossa,  se  il  carro  veniva  più  tardi.  Forse,  o  sciagura  degna  di 
lacrime  ancor  più  amare!  la  madi'e,  tutta  occupala  de' suoi  patimenti, 
aveva  dimenticalo  ogni  cosa,  anche  ì  figli,  e  non  aveva  più  che  un 
pensiero:  di  morire  in  pace.  Pure,  in  tanla  confusione,  sì  vedeva 
ancora  qualche  esempio  di  fermezza  e  di  pietà:  padri,  madri,  fratelli, 
figli,  consorti,  che  sostenevano  i  cari  loro,  e  gli  accompagnavano  con 
parole  di  conforto:  ne  adulti  soltanto,  ma  ragazzetti,  ma  fanciulline 
che  guidavano  i  fratellini  più  teneri,  e,  con  giudizio  e  con  compas- 
sione da  grandi,  raccomandavano  loro  d'essere  ubbidienti,  gli  assicu- 
ravano che  s' andava  in  un  luogo  doìe  e' era  chi  avrebbe  cura  di 
loro  per  farli  guarire. 

In  mezzo  alla  malinconia  e  alla  tenerezza  di  tali  viste ,  una  cosa 
toccava  più  sul  vivo,  e  teneva  in  agitazione  il  nostro  viaggiatore.  La 
casa  doveva  esser  li  vicina,  e  chi  sa  se  tra  quella  gente....  Ma  pas- 
sala tutta  la  comitiva,  e  cessalo  quel  diil>bio,  si  voltò  a  un  monalto 


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CAPITOLO  XXXIV,  ow 

che  veniva  dietro,  e  gli  domandò  dolla  strada  e  della  casa  di  dòn  Fer- 
rante. «  In  malora ,  tanghero ,  «  fu  la  risposta  che  ii'  ebbe.  Ne  si 
curò  di  dare  a  colui  quella  die  si  meritava;  ma,  vislo,  a  due  passi, 
un  commissario  die  veniva  in  coda  al  convoglio ,  e  aveva  un  viso 
un  po'  più  di  cristiano,  fece  a  lui  la  stessa  domanda.  Questo,  accen* 
nando  con  un  bastone  la  parte  donde  veniva,  disse:  «  la  prima 
strada  a  dirilla,  I'  ultima  casa  grande  a  sinistro.  •> 

Con  una  nuova  e  più  forte  ansietà  in  cuore,  it  giovine  prende  da 
quella  parte.  É  nella  strada;  distingue  subito  (a  casa  Ira  l'altre,  più 
Lasse  e  meschine;  s' accosta  al  porlòiie  che  é  chiuso,  nicKe  la  mano 
sul  martello,  e  ce  la  fien  sospesa,  come  in  un'urna,  prima  di  tirar 
su  la  polizza  dove  fosse  scritta  la  sua  vita,  o  la  sua  moHe.  Final- 
mente alza  il  martello,'  e  dk  un  picdiio  risòluto. 

Dopo  qualche  momento,  s'apre  un  poco  una  finestra;  una  donna 
la  capolino,  guardando  chi  era,  con  un  >-Ìso  ombroso  che  par  che 
dica:  monatti?  vagabondi?  commissari?  untori?  diavoli? 

'< Quella  signora,»  disse  Renzo  guardando  in  su,  e  con  voce  non 
trop|io  sicura:  tei  sia  qui  a  servire  una  giovine  di  campagna j  die 
Ila  nome  Lucia  ?  n 

uLa  non  c'è  più;  andate,»  rispose  quella  donna,  facendo  atto  di 
diiudcre. 

"Un  momento,  per  carità!  La  non  c'è  più?  Dov'è?" 

"  Al  lazzerelto;»  e  di  nuovo  voleva  chiudere. 

-Ma  un  momento,  per  l'amor  del  cielo!  Con  la  peste?» 

uGià.  Cosa  nuova,  eh?  Andate." 

uOh  povero  me!  Aspetti;  era  ammalala  molto?  Quanto  lenijwè....?» 

Ma  intanto  la  fìnestra  fu  chiusa  davvero. 

"  Quella' signora!  quella  signora!  una  parola,  per  carità!  per  i 
suoi  poveri  morti!  Non  le  chiedo  niente  del  suo:  ohe!"  Ma  era  co- 
me dire  al  muro. 

Afllrtlo  della  nuova,  e  ari'abbiato  della  manici'a ,  Renzo  afferrò 
ancora  il  martello,  e,  cosi  appoggiato  alla  porta,  andava  stringendolo 
e  storcendolo ,  1'  alzava  per  picchiar  di  nuovo  alla  disperata  ,  poi  lo 
teneva  sospeiio.  In  quest'  agitazione,  si  voltò  per  vedere  se  mai  ci 
fosse  d'intorno  qualche  vicino,  da  cui  potesse  forse  aver  qualdie 
informazione  più  precisa,  qualche  indìzio,  qualche  lume.  Ma  la  prima, 
l'unica  persona  che  vide,  fu  un'  altra  donna,  distante  forse  un  venti 
passi;  la  quale,  con  un  viso  ch'esprimeva  terrore,  odio,  impazienza 


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«««  .  I  ntouESsi  SPOSI 

«  malizia,  COI)  cert' occhi  stravoUi  clic  volevamo  inaiente  guardar  lui, 
e  guardar  lonlnno ,  spalancando  la  bocca  Come  Ìq  allo  di  gridare  a 
più  non  posso,  ma  ralicnendo  ancbe  il  respìne,  hlzaiido  due  braccia 
scainic,  allungando  e  ritirando  due  mani  grinzose  e  jMfBle  a  guisa 
d'arligli,  come  se  cercasse  d'acchiappar  qualcosa,  si  vedeva  che  vo- 
leva chiamar  gente,  in  modo  che  qualclicduno  non  se  n'accorgesse. 
Quando  s' incontrarono  a  guardarsi,  colei,  fallasi  ancor  più  brulla,  si 
l'incosse  come  persona  sorpresa. 

«Clic  diamine....?"  cominciava  Renzo,  alzando  auche  lui  le  mani 
\'erso  la  donna;  ma  questa,  perduta  la  speranza  dì  polerki  far  ro- 
glicrc  all' im|)rovviso,  lasciò  scappare  il  grido  che  aveva  ratlenulo 
(in  allora:  ul' untore!  dagli!  dagli!  dagli  all'untore!  » 

u  Olii?  io!  ah  strega  bugiarda!  sta  zitta,  «  gridò  Renzo;  e  fece 


un  salto  verso  lei,  per  impaurirla  e  farla  chetare.  IVIa  s'  avvide  su- 
bito, che  ave^  a  bisogno  piutloslo  di  pensare  ai  casi  suoi.  Alio  strillar 
della  \ecchia,  accorreva  gente  di  qua  e  di  là;  non  la  folla  ebe,  in 
un  caso  simile,  sarebbe  stala,  tre  mesi  prima;  ma  più  che  abbastan- 
za per  poter  (are  d'un  uomo  solo  quel  che  \olcssero.  Nello  stesso 
lemjH),  s'aprì  di  nuovo  la  finestra,  e  <[uella  medesima  sgarbata  di  pri- 
ma ci  s'affacciò  questa  volta,  e  gridava  anche  lei  :  u  pigliatelo,  pìglia- 
lelo;  clic  dev'essere  uno  di  quc' birboni  che  vanno  in  giro  a  unger 
le  |>orte  de'  galantuomini.  » 

Renzo  non  isletle  li  a  pensare:  gli  parve  subilo  miglior  partilo  sbri- 
garsi da  coloro,  che  rimanere  a  dir  le  sue  ragioni:  diede  un'occhiaia 


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CAPITOLO  XXXIV.  «BT 

a  destra  e  a  sinistra,  da  che  parte  ci  fosse  racn  gente,  e  svijjnò  di  li'i. 
Rispinsc  con  un  urtone  uno  che  gh'  parava  la  strada;  con  un  gran 
punzone  nel  petto,  fece  dare  indietro  otto  o  dieci  passi  un  altro  che 
gli  correva  incontro;  e  via  di  galoppo,  col  ptigno  in  aria,  stretto, 
nocchiuto,  pronto  per  qualunque  altro  gli  fosse  venuto  tra'  pieili. 
.La  strada  davanli  era  sempre  lil>era;  ma  dietro  le  spalle  sentiva  il 
cal|>eslio  e,  più  forti  del  calpestio,  quelle  grida  amare:  «dagli!  dagli! 
all' untore!  n  Non  sapeva  quando  fossero  per  fermarsi;  non  vedeva 
do^-é  si  potrebbe  mettere  in  salvo.  L'ira  divenne  rabbia,  l'angoscia 
si  cangiò  in  disperazione;  e,  perso  il  lume  degli  occhi,  mise  mano  al 
suo  eollellaccìo ,  lo  sfoderò,  si  fermò  su  due  piedi,  voltò  indietro  il 
viso  pili  lorvo  e  più  cagnesco  che  avesse  fatto  a'  suoi  giorni;  e,  col 
braccio  teso,  brandendo  in  aria  la  lama  luccicante,  gridò:  «  citi  lia 
onore,  venga  avanti,  canaglia!  che  l'migerò  io  davvero  con  questo.  » 


Ma,  con  maraviglia,  e  con  lui  sentimento  confuso  di  consolazione, 
vide  che  i  suoi  persecutori  s'eran  già  fermati,  e  slavaa  li  come 
titubanti,  e  che,  seguitando  a  urlare,  facevan,  con  le  mani  jK'r 
aria,  certi  cenni  da  spiritati,  come  a  gente  che  venisse  di  lontano 
dietro  a  lui.  Si  voltò  ili  nuovo,  e  vide  (che  il  gran  turbamento 
non  gliel  aveva  lasciato  vedere  un  momento  prima)  un  carro  che 
s'avanzava,  anzi  una  fila  di  que'  solili  carri  funebri,  col  solilo  ac- 
compagnamento; e  dietro,  a  qualche  dislauiui,  un  altro  mucchietto 
di  gente  che  avrebbero  coluto  anche  loro  dare  addosso  all'  unloiT, 


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MB  I  PROUBSSI  SPOSI 

c  prenderlo  in  mezzo;  ma  eran  tralleniili  dall'  impedimenlo  mede- 
simo. Vistosi  così  tra  due  fuociii,  gli  venne  in  mente  die  ciò  die 
era  di  terrore  a  coloro,  polena  essere  a  lui  di  salvezza;  [imsò  elio 
non  era  tempo  di  far  lo  schizzinoso;  rimise  il  collellaccio  nel  fodero, 
si  (irò  da  umi  parte,  prese  la  rincorra  verso  i  e&rri,  pasbù  il  primi), 
e  adocdiiò  nel  secondo  un  buono  spazio  vóto.  Prende  la  inira^  spicca 
un  salto;  è  su,  piantato  sul  piede  destro,  eoi  sinistro  in  aria,  e  con 
ie  liraccia  alzate. 

"Bravo!  bravo!"  esclamarono,  a  una  voce,  i  monatti,  alcuni  du' 
quali  seguivano  il  convc^lìo  a  piedi,  altri  eraii  seduli  sui  carri,  altri, 
per  dire  l' orribi^^cosa  com'era,  sui  cadaveri,  Ihneando  da  un  gran 
fiasco  che  andava  in  giro.  «  Bravo  !  bel  colpo  !  » 

«Sei  venuto  a  metterti  sotto  la  protezione  de'  monatti;  fa  coittu 
d'  essere  in  chiesa,  »  gli  disse  uno  de'  due  die  slavano  sul  carro  do- 
v'  era  ntonlalo. 

I  nemici,  all'avvicinarsi  del  treno,  avevano,  i  più,  voliate  le 
spalle,  e  se  n'andavano,  no»  lasciando  di  gridare:  «  dagli!  dagli! 
all'untore!  »  Qualclieduno  si  ritirava  più  adagio,  fermandosi  <^i 
tanto,  e  voltandosi,  con  versaeei  e  con  gesti  di  minaccia,  a  Renzo; 
il  quale,  dal  carro,  rispondeva  loro  dibattendo  i  pugni  in  aria. 

«Lascia  Tare  a  me,n  gli  disse  un  monaUo;  e  strappato  d'addosso 
a  un  cadavere  un  laido  cencio,  l'annodò  in  fretta,  e,  presolo  per 
una  delle  cocche,  l'alzò  come  una  fionda  verso  quegli  ostinati,  e 
fece  le  viste  di  buttarglielo,  gridando:  «aspetta,  canaglia!»  A  quel- 
l'atto, fuggiron  tutti,  inorriditi;  e  Renzo  non  vide  più  che  schiene 
di  nemici,  e  calcagni  che  ballavano  rapidamente  per  aria,  a  guisa  di 
gualchiere. 

Tra  i  monatti  s'  alzò  un  urlo  di  trionfo ,  uno  scroscio  procelloso 
di  risa,  un  "Uh!»  prolungato,  come  per  accompagnar  quella  fuga. 

«Ah  ah!  vedi  se  noi  sappiamo  prule^erc  i  galantuomini N  disse 
a  Renzo  quel  monatto:  «  va)  più  uno  di  noi  che  cento  di  que'  pol- 
troni, j» 

«Orlo,  posso  dire  che  vi  devo  la  vita,»  rispose  Renzo:  «e  vi 
ringrazio  con  tutto  il  cuore,  n 

"Di  che  cosa?»  disse  il  monatto:  «tu  lo  meriti:  si  vede  che  sei 
un  bravo  giovine.  Fai  bene  a  ungere  quesla  canaglia:  ungili,  estir- 
pali costoro,  che  non  vaglion  qualcosa,  se  non  quando  son  morti; 
che,  per  ricompensa  ddla  vita  die  facciamo,  ci  maledicono,  e  vanno 


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CAPITOLO  XXXIV.  SS» 

dieendo  cbc,  Aitila  la  moria,  ci  voglioii  fare  impiccar  tulli.  Hanno  a 
(ÌDÌr  prima  loro  che  la  moria;  e  i  inonatli  hanno  a  restar  soli,  a 
canlar  vittoria,  e  a  sguazzar  per  Milano,  y 

«Viva  la  moria,  e  moia  la  marmaglia!»  esdamò  l'altro;  e,  con 
questo  bel  brindisi,  si  mise  il  fiasco  alla  bocca,  e,  tenendolo  con 
lull'e  due  le  mani.  Ira  le  scosse  del  cari*o,  diede  una  buona  bevuta, 
|ioi  lo  porse  a  Renzo,  dicendo:  «bevi  alla  nostra  salute.» 


.j,  ii 


«Ve  l'auguro  a  tutti,  con  lutto  il  cuore,»  disse  Renzo:  «ma  non 
ho  sete;  non  ho  proprio  voglia  di  bei'e  in  questo  momento,  n 

e  Tu  hai  avulo  una  bella  |>aura,  a  quel  che  mi  pare,»  disse  il 
moiiallo:  "m'hai  aria  d'un  pover' uomo;  ci  vuol  altri  visi  a  hv 
r.imlore.  » 

o  Ognuno  s' ingegna  come  può ,  «  disse  I'  altro. 

»  Dammelo  qui  a  me,  o  disse  uno  di  quelli  che  venivano  a  piedi 
accaulo  al  carro,  u  che  ne  voglio  bere  anch'io  un  altro  soi'so,  alla 
salute  del  suo  padrone,  che  si  trova  qui  in  questa  bella  compa* 
gnia....  li,  li,  appunto,  mi  pare,  in  quella  bella  carrozzala.» 


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BIS  )  PUOIIESSI  sro8i 

1^,  con  UH  suo  atroce  e  maledello  ghigno,  accennava  il  oarra 
(iavanli  a-qiiello  su  cui  slava  il  povero  Renzo.  Poi,  composto  Ìl  viso 
a  un  atto  di  serielù  ancor  più  bieco  e  fellonesco,  fece  una  rìverenn 
(la  quella  \a\-\c,  e  riprese:  «si  contenta'  padron  mio,  che  un  po- 
vero monattuccio  assaggi  di  quello  della  sua  cautina?  Vede  bene:  si 
la  certe  vile:  slam  quelli  che  1' abbiam  messo  in  carrozza,  per  con- 
durìo  in  villeggiatura.  E  poi,  già  a  loro  signori  il  vino  fn  subilo 
male:  ì  poveri  monatti  lian  lo  stomaco  buono.  " 

E  tra  le  risate  de' compagni,  prese  il  fiasco,  e  l'alzò;  ma,  |)riiua  di 
Itere,  si  voltò  a  Renzo,  gli  fìsso  gli  occhi  in  viso,  e  gli  disse,  con 
una  ceri'  aria  di  compassione  sprezzante  :  «  bisogna  ette  Ìl  diavolo 
col  quale  hai  fatto  il  patto,  sia  ben  giovine;  che,  se  non  eravamo  li 
noi  a  salvarli,  lui  ti  dava  un  beli' aiuto.  »  E  tra  un  nuovo  scroscio 
di  risa,  s'attaccò  il  Rasco  alle  labbra. 

«E  noi?  eli!  e  noi?"  gridaron  più  voci  dal  carro  ch'era  avanti. 
Il  birbone,  tracannato  quanto  ne  volle,  porse,  con  tuU'e  due  le 
mani ,  ìl  gran  fiasco  a  quegli  altri  suoi  simili ,  i  quali  se  lo  passaron 
dall'uno  all'altro,  fino  a  nno  die,  volatolo,  lo  prese  per  il  collo,  gli 
fece  fai-e  il  mulinello,  e  lo  scagliò  a  fracassarsi  sulle  lastre,  gridando: 
«viva  la  moria!"  Dietro  a  queste  parole,  intonò  una  loro  canw- 
naccia;  e  subilo  alla  sua  voce  s' accompagnaron  tulle  r  altre  di  quel 
turpe  coro.  La  cantilena  infernale,  mista  al  tintinnio  de'  campanelli, 
al  cigolio  de'  carri,  ai  calpestio  de'  cavalli,  risonava  nel  vóto  silen- 
zioso delle  strade,  e,  rimbombando  nelle  case,  stringeva  amaramente 
il  cuore  de'  pochi  che  ancor  le  abitavano. 

Ma  cosa  non  può  alle  volle  \'enire  in  acconcio?  cosa  non  può  far 
piacere  in  qualche  caso?  Il  pericolo  d'un  momento  prima  aveva 
resa  più  che  toUei-abile  a  Renzo  la  compagnia  di  que'  morti  è  di 
que'  vivi;  e  ora  fu  a'  suoi  orecchi  una  musica,  sto  per  dire,  gradita, 
quella  che  lo  leva^'a  dall'  impiccio  d'  una  tale  conversazione.  Ancor 
mezzo  alninnalo,  e  tulio  sottosopra,  ringraziava  intanto  alla  meglio 
in  cuor  suo  la  Provvidenza,  d'essere  uscito  d'nn  tal  frangente,  sen- 
za ricever  male  né  farne;  la  pregava  che  l'aiutasse  ora  a  liberarsi 
anche  da'  suoi  liberatori;  e  dal  canto  suo,  slava  all'erta,  guardava 
quelli,  guardava  la  strada,  per  cogliere  il  tempo  di  s4fa*ucciolar  gin 
quatto  quatto,  senza  dar  loro  occasione  di  lar  qualche  rumore,  qual- 
clie  scenata,  che  mettesse  in  malizia  i  passeggieri. 

Tutt'a  un  Iratlo,  a  una  cantonata,  gli   parve  di   riconoscere  il 


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CAPITOtO  XXXIV.  «11 

luogo:  guardò  più  aUenlameiilc,  e  ne  fa  sicuro.  S&pele  dov'era? 
Sul  corso  di  porta  orieirlale ,  ìii  quella  strada  per  cui  era  tenuto 
adagio,  e  tornato  via  in  frella,  ^rca  \'cnli  mesi  prima.  Gli  venne  ^- 
hito  in  mente  che  di  lì  s'andava  diritto  al  lazzeretto;  e  questo  tro- 
varsi sulta  strada  giusta,  senza  studiare,  senza  domandare,  t'clibe 
per  un  IraUo  speciale  della  Provvidenza,  e  per  buon  augurio  del 
rimanente.  In  quel  punto,  veniva  incontro  ai  carri  un  commissariOf 
gridando  à'  monatti  dì  fermare,  e  non  so  cite  altro:  il  fudo  è  die  il 
eonvoglio  si  l'ermo,  e  la  musica  si  cambiò  in  un  diverbio  rumoroso.  , 
Udo  de'  ntonaltì  cli'cran  sul  carro  dì  Renzo,  saltò  giù:  Renzo  disse 
all'altro:*  vi  ringrazio  della  vostra  carità:  Dio  ve  ne  renda  merito;» 
e  giù  anche  lui ,  dall' ^Ura  parte.  . 

a  Va,  va,  povero  untorello,  »  rispose  colui:  »  non  earai  (u  quello 
Hie  .spianti  Milano,  n 

Per  fortuna  ,  non  e'  era  chi  potesse  sentire.  Jl  convoglio  era  fer- 
mato sulla  sinistra  del  corso:  Renzo  prende  in  fretta  dall'altra  parte, 
e,  rasentando  il  muro,  trotta  innanzi  verM>  il  ponte;. lo  passa,  conti' 
nua  per  la  strada  del  borgo,  riconosce  il  convento  de'  cappuccini,  è 
vicino  alla  porta,  vede  spuntar  l'angolo  del  lazzeretto,  passa  il  can- 
cello, e  gli  si  spiega  davanti  la  scena  esteriore  di  quel  recinto:  un 
indizio  appena  e  un  saggio,  e  già  una  vasta,  diversa,  indescrivibile 
scena. 

Lungo  i  due  lati  che  si  presentano  a  chi  guardi  da  quel  punto, 
era  tutto  un  brulichio;  erano  ammalati  che  andavano,  in  compagnie, 
ni  lazzeretto;  altri  che  sedevano  o  giacevano  sulle  sponde  del  fossato 
che  lo  costeggia;  sia  che  le  forze  non  fosser  loro  bastate  per  con- 
dursi (in  dentro  al  ricovero,  sia  che,  usciti  di  là  per  disperazione, 
le  forze  fosser  loro  ugualmente  mancale  per  andar  più  avanti.  Altri 
meschini  erravano  sbandati,  come  stupidi^  e  non  pochi  fuor  di  sé 
affatto;  uno  stava  tutto  infervorato  a  raccontar  le  sue  immagina- 
zioni a  un  disgraziato  die  giaceva  oppresso  dal  inule;  un  altro  dava 
nelle  smanie;  nn  altro  guardava  in  qua  e  in  là  con  un  visìno  riden- 
te, come  se  assistesse  a  un  lieto  siieilacolo.  Ma  la  s|)ecie  più  strana 
e  più  rumorosa  d'  una  lui  li-ista  allegrezza ,  era  un  cantare  allo  e 
continuo,  il  quale  pareva  die  non  venisse  fuori  da  quella  miserabile 
folla,  e  pure  sì  faceva  sentire  più  che  tutte  l'altri  voci:  una  canzone 
contadinesca  d'amore  gaio  e  scherzevole,  di  quelle  che  cliiamavan 
vìllanetic;  e  andando  con  lo  sguardo  dietro  al  suono,   per  iscoiH-ire 


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BTS  I  PROCESSI  SPOSI 

chi  mai  potesse  esser  cAiileiilo,  in  quel  tempo,  in  quel  luogo,  si 
vedeva  un  meschino  che,  seduto  tranquillamente  in  fondo  al  fossato, 
cantava  a  più  non  posso,  con  la  lesta  per  aria. 

Renzo  aveva  appena  falli  alcuni  passi  lungo  il  lato  nterìdionale 
del)'  edilizio,  che  si  senti  in  quella  nioKitudine  un  rumore  straordi- 
nario, e  di  lontano  voci  clic  gridavano:  guarda!  piglia!  S'alza  in 
punta  di  piedi,  e  vede  un  cavallaccio  clic  andava  di  carriera,  spinto 
da  un  più  strano  cavaliere:  era  un  frenetico  che,  vista  quella  bestb 
.  sciolta  e  non  guardata,  accanto  a  un  carro,  c'era  montato  in  fretta  a 
bisdosso,  e,  martellandole  il  collo  co'  pugni,  e  facendo  sproni  de' cal- 
cagni, la  cacciava  in  furia;  e  monatti  dietro,  urlando;  e  lutto  si 
ravvolse  in  un  nuvolo  di  polvere,  che  volava  lontano. 

Cosi,  già  sbalordito  e  stanco  di  veder  miserie,  il  giovine  arrivò 
alla  |H>rta  di  quel  luogo  do^'e  ce  ii'  erano  adunate  forse  più  che  non 
ce  ne  fosse  di  sparse  in  tutto  lo  spazio  che  gli  era  già  toccato  di 
percorrere.  S'affaccia  a  quella  porla,  entra  sotto  la  volta,  e  rimane 
un  momento  immobile  a  mezzo  del  portico. 


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(;\I>IT(H.()  wxv 


ini  il  lclloi-c  il  re- 
dW    laxzeretlo  , 
alo  di  sedici  mila 
tali;  quello  spazio 
iigombro,  dove  di 
ne  e  ili  baracclu>, 
di  ranri,  dove  di 
;  quelle  due  inler- 
miiiate  fuglie  di  portici,  a  destra  e  a  sinistra,  piene,  gremtlc  di  lan- 
guenti 0  di  cadaveri  confusi,  sopra  sacconi,  o  sulla  paglia;  e  su  tutto 
quel  quasi  immenso  covile,  un  Lnilictiio,  come  un  ondeggiamento;  e 
qua  e  là,  un  andare  e  ventre,  un  fermarsi,  un  correre,  un  chinarsi. 
Un  alzarsi,  di  convalescenti,  di  frenetici,  di  serventi.  Tale  fu  lo  spet- 
tacolo die  riempi  a  un  tratto  la  vista  di  Renzo,  e  lo  tenne  li,  sopraf- 
fatto e  compreso.  Questo  spettacolo,  noi  non  ci  proponiaiii  certo  di 
descriverlo  a  parte  a  parie,  né  il  lettore  lo  desidera;  s*rio,  seguendo 


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«T4  I  PR011ES8I  SPOSI 

il  nostro  giovine  nel  suo  penoso  giro,  ci  rermeremo  alle  sue  fermale, 
e  di  ciò  che  gli  loccò  di  vedere  diremo  {|uan(o  siu  necessario  a  rac- 
conlar  ciò  clie  fece,  e  ciò  die  gli  segui. 

Dulia  porta  dove  s' era  fermato,  lino  alla  cappella  del  mezzo,  e  di  là 
all'altra  porta  in  faccia,  c'era  come  »n  viale  sgombro  di  capanne  e 
d'ogiti  altro  ini|iedimei)(o  stabile;  e  alla  seconda  oceliiata,  llenzo  vide 
in  quello  un  tramenio  di  carri,  un  portar  vìa  ruba,  per  far  luogo; 
^'ide  cappuccini  e  secolari  clie  dirìgevano  quell'operazione,  e  insieme 
mandavan  via  chi  non  ci  avesse  che  fare.  E  (emendo  d'essere  anclic 
lui  messo  fuori  in  quella  maniera,  si  cacciò  addirittura  tra  le  capanne, 
dalla  jiartc  a  cui  si  trovava  casualmente  voltalo,  alla  diritta. 

Andava  avanti,  secondo  che  vedeva  posto  da  poter  mettere  il  piede, 


<lu  capanna  a  capanna,  facendo  capolino  in  ognuna,  e  osservando  ì 
letti  ch'eran  fuori  allo  scoperto,  esaminando  volli  abbattuti  dal  pati- 
mento, o  contralti  dallo  spasimo,  o  immobili  nella  morie,  se  mai  gli 
venisse  fatto  di  trovar  quello  clic  pur  temeva  di  trovare.  Ma  aveva 


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Capitolo  xxxv,  «ti 

già  fatto  un  bel  pezzetto  dì  cammino,  e  ripetuto  più  e  più  volte  quvl 
doloroso  esame,  senza  veder  mai  nessuna  donna:  onde  s'immaginò 
che  dovessero  essere  in  un  luogo  separato.  E  indovinava;  ma  dove 
fosse,  non  n'aveva  indizio,  né  poteva  argonien tarlo.  Incontrava  ogni 
tanto  ministri,  tanto  diversi  d'aspello  e  di  maniere  e  d'abito,  quaiilu 
diverso  e  opposto  era  il  prinetpio  elie  dava  agli  uni  e  agli  altri  una 
forza  uguale  di  vivere  in  lati  servizi:  negli  uni  l'estinzione  d'ogni 
senso  di  pietà,  n^li  altri  una  pietà  sovrumana.  Ma  né  agli  uni  né 
agli  altri  si  sentiva  di  lar  domande,  pernon  procacciarsi  alle  volte  un 
inciampo;  e  deliberò  d'andare,  andare,  (in  cbe  arrivasse  a  trovar  don- 
ne. E  andando  non  laseìava  di  spiare  intorno;  ma  di  tempo  in  tempo 
era  costretto  a  ritirare  lo  sguardo  contristato,  e  come  abl)agliulu  da 
tante  piaghe.  Ma  dove  rivolgerlo,  dove  riposarlo,  che  sopra  altre  piaghe  ? 
L'aria  stessa  e  il  etelo  accrescevano,  se  qualche  cosa  poteva  acere- 
soeHo,  l'orrore  di  quelle  viste.  La  nebbia  s' era  a  poco  a  poco  addensala 
e  accavallata  in  nuvoloni  die,  rabbuiandosi  sempre  più,  davano  idea 
d'un  annottar  tempestoso;  se  non  che,  verso  il  mezzo  di  quel  cielo 
cu|H>  e  abbassato,  traspariva,  come  da  un  fitto  velo,  la  S|M-ra  del  sole, 
pallida,  elle  spargeva  intorno  a  sé  un  barlume  fioco  e  sfumato,  e  pio> 
veva  un  calore  morto  e  pesante.  Ogni  tanto,  tra  mezzo  al  ronzio  con- 
tinuo di  quella  confusa  moltitudine,  si  sentiva  un  borbottar  di  tuoni, 
profondo,  come  tronco,  irresoluto;  né,  tendendo  l'oreeeliio,  avreste 
saputo  distinguere  da  che  parte  venisse;  o  avreste  potuto  crederlo  un 
correr  lontano  di  carri,  che  si  fermassero  improvvisamente.  Non  si 
vinleva,  nelle  campagne  d'intorno,  moversi  uh  ramo  d'albero,  ne  un 
uccello  aiidarvisi  a  posare, o  slaccarsene:  solo  la  rondine,  comparendo 
subitamente  di  sopra  il  tetto  del  recìnto,  sdrucciolava  in  giù  con  l'ali 
tese,  come  per  rasentare  il  terreno  del  campo;  ma  ^igottifa  da  quel 
brulìcliio,  risaliva  rapidamente,  e  fuggiva.  Era  uno  di  que'Iempi,  in 
coi.  Ira  una  compagnia  dì  viandanti  non  e'  é  nessuno  eUe  rompa  il 
silenzio;  e  il  cacciatore  cammina  pensieroso,  con  lo  sguardo  a  (erra; 
e  la  villana,  zappando  nel  campo,  smette  di  cantare,  senza  avveder- 
sene; di  que'Iempi  forieri  della  burrasca,  in  cui  la  natura,  come  im- 
PMla  al  di  fuori,  e  agitala  da  un  travaglio  interno,  par  cito  opprima 
ogni  vivente,  e  a^uiiga  non  so  quale  gravezza  a  ogni  operazione, 
all'ozio,  all'esistenza  slessa.  Ma  in  quel  luogo  destinato  per  sé  al  pa- 
tire e  al  morire,  si  vedeva  l' uomo  già  alle  prese  col  male  soccombere 
alla  nuova  oppressione;  ai  vedevan  centinaia  e  centinaia  peggiorar 


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«;«  1  PHOUBSSI  SPOSI 

precipilosameiile;  e  insieino,  rulliiua  lotta  era  più  affannosa,  e  iid- 
rauiiiciUo  de' dolori,  i  gemiti  più  soffogali:  uè  forse  su  quel  luogo  dì 
miserie  era  ancor  passala  un'ora  crudele  al  par  dj  questa. 

Già  aveva  il  giovine  girato  un  bel  pezzo,  e  senza  frutto,  per  quel- 
l'andirivieni di  capanne,  quando,  nella  varietà  de' lamenti  e  nella  con- 
fusione  del  mormorio,  cominciò  a  diiìtingucre  un  misto  singolare  di 
vagiti  e  di  belali;  (in  clieam'vòa  un  assito  scbeggialo  e  sconnesso,  di 
dentro  il  quale  veniva  quel  suono  straordinario.  Mise  un  oceliio  a  un 
largo  spiraglio,  tra  due  asse,  e  vide  un  recinto  con  dentro  capanne 
sparse,  e,  eoa  in  quelle,  come  nel  pìccol  campo,  non  la  solita  infer* 
meria,  ma  bambinelli  a  giacere  sopra  malerassine,  o  guanciali,  o  len- 
zoli  distesi,  o  toppotii;  e  balìe  e  altre  donne  in  faccende;  e,  ciò  cbc 
più  di  tutto  attraeva  e  fermava  lo  sguardo,  capre  mescolate  con  quelle, 
e  falle  loro  aìulantì:  uno  spedale  d'innocenti,  quale  il  luogoeil  tempo 
poteva»  darlo.  Era,  dico,  una  cosa  singolare  a  vedere  alcune  di  quelle 
bestie,  ritte  e  quiete  sopra  questo  e  quel  bambino,  dargli  la  popjKi;  e 
qualulie  altra  accorrere  a  un  vagito,  come  con  senso  materno,  u  fer- 
marsi pi-esso  il  |)iecolo  allievo,  e  procurar  d'aecomodarcisi  sopra,  e 
belare,  e  dimenarsi,  quasi  cbiamando  dii  venisse  in  aiuto  a  lull'e  due. 

Qua  e  là  eran  sedute  balie  con  Lambini  al  petto;  alcune  in  lai  atto 
d'amore,  da  far  nascer  dubbio  nel  riguardante,  se  fossero  stale  attirate 
in  quel  luogo  dalla  paga,  o  da  quella  carila  spontanea  clic  va  in  cerca 
de'bisogni  e  de' dolori.  Una  di  csm;,  tutla'aeeorala,  slaccava  dal  suo 
l>etto  esausto  un  mesehinellu  piangenle,  e  andana  Irislaiuenle  cei-caudo 
la  beì>tia ,  che  potesse  fur  le  sue  veci.  Vti'  altra  guardava  ooii  occliìo 
di  eonipiaeenza  quello  che  le  si  era  addormentato  alla  poppa,  e  Cacia- 
iolo mollemente,  andava  in  una  capanna  a  posarlo  sur  una  niateras- 
sina.  Ma  una  terza,  abbandonando  il  suo  petto  al  lattante  straniero, 
con  una  ceri'  aria  però  non  di  truscuranza,  ma  di  preoccupazione,  guar- 
dava (isso  il  cielo:  a  elie  pensava  essa,  in  quell'alto,  con  quello  ^uar 
do,  se  non  a  un  nato  dalle  sue  viscere,. die,  forse  poco  prima,  aveva 
succhiato  quel  petto,  che  forse  c'era  spii-ato  sopra?  Altre  donne  più 
attempale  altendet'ano  ad  altri  servizi.  Una  accorreva  alle  grida  d'uii 
lianibino  affamato,  lo  prendeva ,  e  lo  portava  vidno  a  una  capra  che 
]Kiscolava  a  un  mucchio  d'erba  fresca,  e  glielo  presentava  alle  poppe, 
gridando  l' Inesperto  animale  e  accarezzandolo  insieme,  aflinehè  si  pre- 
giasse dolcemente  all'uHzio.  Questa  correva  a  prendere  un  poverino, 
che  una  eapra  luti'  inlenla  a  allallame  un  altro,  pestava  con  una 


_I 


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CAPITOLO  XXXV.  <"» 

zara|)a:  quella  pollava  in  qua  e  in  là  il  suo,  ninnandolo,  cercando,  ora 
d' addormccifarlo  col  canto ,  ora  d*  acquielarlo  con  dolci  parole,  chia- 
maiidulo  con  un  nome  ch'essa  raedesima  gli  aveva  messo.  Arrivò  in 
(luci  punto  IMI  cappuccino  con  la  barba  bianchissima,  portando  due 
bamhini  slnllanli ,  uno  per  hi-accio ,  raccolli  allora  vicino  alle  madri 


spit-alv  ;  e  una  donna  corse  a  riceverli,  e  andava  guardando  Ira  la 
brigala  e  nel  gregge,  per  trovar  subilo  chi  tenesse  lor  luogo  di  madre. 

Più  d'iuiu  volla  il  giovine,  sj)inlo  da  quello  ch'era  il  primo,  e  il 
più  forte  de' suoi  pensieri,  s'era  slaccalo  dallo  spiraglio  per  andarsene; 
V  poi  ci  ave^'a  rimesso  l'occhio,  per  guardare  ancora  un  momento. 

Levatosi  di  li  lliiahncnte,  atidò  costeggiando  l' assito.  Un  che  un  muc- 
ehietto  di  capanne  appoggiate  a  quello,  lo  costrinse  a  voltare.  Andò 
allora  lungo  le  capanne,  con  la  mira  di  riguadagnar  Tassilo,  d'andar 
(ino  alla  (ine  di  quellO;  e  scoprir  paese  nuovo.  Ora,  mentre  guardava 


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«TB  I  paouESSi  SPOSI 

innanzi,  per  studiar  la  strada,  un'apparizione  repentina,  paaseggiera, 
istantanea,  gli  feri  lo  sguardo,  e  gli  mise  l'animo  soltosopra.  Vide,  a 
im  ccnlo  passi  di  distanza,  passare  e  perdersi  subito  tra  le  baraccbe 
un  cappuccino,  un  cappuccino  che,  anclie  eoa  da  lontano  e  cosi  di 
fuga,  a%'eva  tutto  l' andare,  lutto  il  fare,  tutta  la  forma  del  padre  Cri- 
sloforo.  Con  la  smania  che  potete  pensare,  corse  verso  quella  parte; 
e  li,  a  girare,  a  cercare,  innanzi,  indietro,  dentro  e  fuori,  per  quegli 
andirivieni,  tanto  die  rivide,  con  altrettanta  gioia,  quella  forma,  quel 
frale  medesimo;  Io  vide  poco  lontano,  che,  scostandosi  da  una  caldaia, 
andava,  con  una  scodella  in  mano,  verso  una  capanna;  poi  Io  vide 
sedersi  sull'uscio  di  quella,  fare  un  segno  di  croce  sulla  scodella  cIk 
teneva  dinanzi;  e,  guardando  intorno,  come  uno  che  stia  sempre  al- 
l'erta, mettersi  a  mangiare.  Era  proprio  il  padre  Cristoforo. 

La  storia  del  quale,  dal  punto  che  l'abbiam  perduto  di  vista,  fino 
a  quest'incontro,  sarà  raccontala  in  due  parole.  Non  s'era  mai  mosso 
da  Rimini,  -né  aveva  pensato  a  moversene,  se  non  quando  la  peste 
scoppiata  in  Milano  gli  offri  occasione  di  ciò  che  aveva  sempre  (anlo 
desideralo,  di  dar  la  sua  vita  per  il  prossimo.  Pregò,  eon  grand' istan- 
za, d'esserci  richiamato,  per  assistere  e  servire  gli  appestati.  Il  conte 
zio  era  morto;  e  del  resto  c'era  più  bisogno  d' infermieri  die  di  poli- 
tici: sicché  fu  esaudito  senza  difficollà.  Venne  subito  a  Milano;  entrò 
net  lazzeretto  ;  e  e'  era  da  circa  tre  mesi. 

Ma  la  consolazione  di  Renzo  nel  ritrovare  il  suo  buon  frate,  non 
fu  intera  neppure  un  momento:  nell'alto  stesso  d'accertarsi  ch'era  luì, 
dovette  vedere  quanl'  era  mutato.  Il  portamento  ear\o  e  stentato;  il 
viso  scarno  e  smorto  ;  e  in  tulio  si  vedeva  una  natura  esausta ,  una 
carne  rolla  e  cadente,  che  s'untava  e  si  sorreggeva,  ogni  momento, 
con  uno  sforzo  dell'animo. 

Andava  anche  lui  (Issando  lo  sguardo  nel  giovine  che  veniva  verso 
di  lui,  e  che,  col  gesto,  non  osando  con  la  voce,  cercava  di  tarsi  di- 
stinguere e  riconoscere.  «  Oh  padre  Cristoforo!  »  disse  poi,  quando 
gli  fu  vicino  da  poter  esser  sentito  senza  alzar  la  voce. 

"  Tu  qui!  »  disse  il  frate,  posando  in  terra  la  scodella,  e  idzaadosi 
da  sedere. 

"  Come  sia,  padre?  come  sta?   « 

"  Meglio  di  tanti  poverini  che  tu  vedi  qui,  »  rispose  il  frate:  e  la 
sua  voce  era  fioca,  cupa,  mutata  come  lutto  il  resto.  L'occhio  soltanto 
era  quello  di  prima,  e  un  non  so  che  più  vivo  e  più  splendido;  quasi 


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CAPITOLO  XXXV.  «TB 

la  carila,  sublimala  nell'estremo  dell'opera,  ed  esultatile  di  sentirsi  vi- 
cina al  suo  principio,  ci  rimettesse  un  fuoco  più  ardente  e  più  puro 
di  quello  che  l'infermità  ci  andava  a  poco  a.  poco  spegnendo. 

-  Ma  tu,  »  proseguiva,  "  come  sei  qui?  perchè  vieni  cosi  ad  af- 
frontar la  peste?.  1 

»  L'ho  avuta,  grazie  al  cielo.  Vengo...  a  cercar  di...  Lucia.  » 

«  Lucia!  è  qui  Lucia?  " 

••  E  qui  :  almeno  spero  in  Dio  che  ci  sia  ancora.  •> 

"  È  (uà  moglie?  »  ■    ■ 

»  Oh  caro  padre!  no  che  non  è  mia  moglie.  Non  sa  nulla  di  tulio 
quello  che  è  accadulo?  « 


u  No,  figliuolo:  da  che  Dio  m'ha  allontanato  da  voi  altri,  io  non 
II' )io  saputo  più  nulla;  ma  ora  ch'Egli  mi  lì  manda,  dico  la  verità 
che  desidero  molto  di  saperne.  Ma...  e  il  bando?  " 

«  Le  sa  dunque,  le  cose  clic  m'hanno  fallo?  " 

"  Ma  tu,  che  avevi  fatto?  » 

«  Senta;  se  vivessi  dire  d'aver  avuto  giudizio,  quel  giorno  in  Mi- 
lano, direi  una  bugia;  ma  cattive  azioni  non  n'  ho  fatte  punto.  " 

"  Te  lo  credo,  e  lo  credevo  anclke  prima.  « 

i'  Ora  dunque  le  potrò  dir  lutto.  » 


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eso  I  PROCESSI  SPOSI 

u  AspeUa,  "  disse  il  frate;  e  andato  alcuni  passi  fuor  della  capan- 
na, chiamò:  "  padre  Vittore!  •>  Dopo  qualche  momento,  comparve  un 
giovine  cappuccino,  al  quale  disse:  «  fatemi  la  carità,  padre  V'iitore, 
dì  guardare  aiiche  per  me,  a  questi  nostri  poverini,  intanto  ch'io  me 
ne  sto  ritirato;  e  se  alcuno  però  mi  volesse,  chiamatemi.  Quel  tale 
principalmente  !  se  mai  desse  il  più  piccolo  segno  di  tornare  in  se, 
avvisatemi  subito,  per  carità.  <> 

•>  Non  dubitate,  »  rispose  il  giovine;  e  il  vecchio,  tornalo  verso 
Renzo,  «  entriamo  qui,  »  gli  disse.  «  Ma...  »  so^iunse  subito,  fcr* 
mandosi,  »  tu  mi  pari  ben  rifinito:  devi  aver  bisogno  di  mangiare.  ^ 

u  É  vero,»  disse  Renzo:  «ora  die  lei  mi  ci  fa  pensare,  mi  ricordo 
che  sono  ancora  digiuno.  « 

•'  Aspetta,»  disse  il  frate;  e,  presa  un'altra  scodella,  l'andò  a  em- 
pire alla  caldaia:  tornato,  la  diede,  con  un  cucchiaio,  a  Renzo;  lo  fece 
sedere  sur  un  saccone  che  gli  serviva  di  letto;  poi  andò  a  una  botte 
ch'era  in  tin  canto,  e  ne  spillò  un  bicchier  di  vino,  che  mise  sur  un 
tavolino,  davanti  al  suo  convitato;  riprese  quindi  la  sur  scodella,  e  si 
mise  a  sedere  accanto  a  lui. 

»  Oh  padre  Cristoforo  !  »  disse  Renzo  :  «  tocca  a  lei  a  far  codeste  co^jc? 
Ma  già  lei  è  sempre  quel  medesimo.  La  ringrazio  proprio  di  cuore.  <• 

"Non  ringraziar  me,  »  disse  il  frate:  «  è  roba  de' poveri;  i 
che  tu  sei  un  povero,  in  questo  momento.  Ora  dimmi  quello  che  non 
so, dimmi  di  quella  nostra  poverina;  ecercadispieciarli;chè  c'èpoco     j    | 
tempo,  e  molto  da  fare,  come  tu  vedi.  •>  i    ! 

Renzo  principiò,  tra  una  cucchiaiata  e  l'altra,  la  storia  di  Luoa:  i 
com'era  stata  ricoverata  nel  monastero  di  Monza,  come  rapila...  Al-  I  ' 
l'immagine  di  tali  patimenti  e  di  tali  pericoli,  al  pensiero  d'essere  stato  | 
lui  quello  che  aveva  indirizzata  in  quel  luogo  la  povera  innocente,  il  i  i 
buon  frate  rimase  senza  fiato;  ma  lo  riprese  subilo, sentendo  com'era  I  ! 
stala  mirabilmente  liberala,  resa  alla  madre,  e  allogata  da  questa  presso  1  | 
a  donna  Prassede. 

«  Ora  le  racconterò  di  me,  «  prosegui  Renzo;  e  raccontò  in  sue- 
cinto  la  giornata  di  Milano,  la  fuga;  e  come  era  sempre  sialo  l<Milano 
da  casa,  e  ora,  essendo  ogni  cosa  sottosopra,  s'era  arrischiato  d'an- 
darci; come  non  ci  aveva  trovato  Agnese;  come  in  Milano  aveva  sa- 
puto che  Lucia  era  al  lazzeretto,  u  E  son  qui,  »  concluse,  ■  son  qui 
a  cercarla,  a  veder  se  è  viva,  e  se.  .  mi  vuole  ancora...  percl»c... 
alle  volle...  n 


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CAPITOLO  XXXV.  «81 

«  Ma ,  »  dooiandò  il  frale ,  «  bai  qualche  indizio  dove  sia  stala 
measa,  quando  ci  sia  venula?» 

u  Niente,  earo  padre;  niente  se  non  che  è  qui,  se  pur  la  c'è,  che 
Dio  voglia  !  » 

«  Ob  poverino!  ma  che  ricerche  hai  tu  finora  fatte  qui?  » 

«  Ho  giralo  e  rigirato;  ma,  tra  l'altre  cose,  non  ho  mai  visto  quasi 
altro  che  uomini.  Ho  ben  pensalo  che  le  donne  devono  essere  in  un 
luogo  a  parte,  ma  non  ci  sono  mai  potuto  arrivare:  se  è  così,  ora  lei 
me  l'insegnerà.  » 

«  Non  sai,  figliuolo,  che  è  proibito  d' entrarci  agli  uomini  che  non 
ci  abbiano  qualche  incombenza?  » 

u  Ebbene,  cosa  mi  può  accadere?  » 

"  La  regtJa  è  giusta  e  santa,  figliuolo  caro;  e  se  la  quantità  e  la 
gravezza  de'  guai  non  lascia  che  si  possa  farla  osservar  con  tulio  il 
rigore,  è  una  ragione  questa  perchè  un  galantuomo  la  trasgredisca?  » 

«  Ma,  padre  dristoforo!  n  disse  Renzo:  «  Lucia  doveva  esser  mia 
moglie;  lei  sa  come  siamo  stali  separati;  sOn  venti  mesi  che  palìsco, 
e  Ito  pazienza;  son  venuto  fin  qui,  a  rischio  di  tante  cose,  l'una  peg- 
gjo  dell'altra,  e  ora ..." 

H  Non  so  cosa  dire,  n  riprese  il  frale,  rispondendo  piuttosto  a' suoi 
pensieri  che  alle  parole  del  giovine:  «  tu  vai  con  buona  intenzione; 
e  piacesse  a  Dio  che  tutti  quelli  che  hanno  libero  1'  accesso  in  quel 
luogo,  ci  si  comportassero  come  posso  fidarmi  che  farai  lu.  Dio,  il  quale 
certamente  benedice  questa  tua  perseveranza  d'affello,  questa  tua  fe- 
deltà in  volere  e  in  censire  colei  ch'Egli  t'aveva  data;  Dio,  che  è  più 
rigoroso  d^i  uomini,  ma  pia  indulgente,  non  vorrà  guardare  a  quel 
che  d  possa  essere  d'irregolare  in  codesto  tuo  modo  di  cercarla.  Ri- 
cordali solo,  che,  della  tua  condolla  in  quel  ]u(^o,  avremo  a  render 
conto  tult'e  due;  agli  uomini  facilmente  no,  ma  a  Dio  senza  dubbio. 
Vien  qui.  »  In  cosi  dire,  s'alzò,  e  nel  medesimo  tempo  anche  Renzo; 
il  quale,  non  lasciando  di  dar  retta  alle  sue  parole,  s'era  intanto  con- 
sigliato tra  sé  di  non  parlare,  come  s' era  proposto  prima,  di  quella  tal 
promessa  di  Lucia.  —  Se  senio  anche  questo,  —  aveva  pensato,  — 
mi  fa  dell'altre  difTicottà  sicuro.  0  la  trovo;  e  saremo  sempre  a  tempo 
a  disoorrerne;  o...  e  allora!  che  serve?  — 

Tiratolo  sull'uscio  della  capanna,  ch'era  a  seltenlrione,  il  frale  ri- 
prese: «  Senti;  il  nostro  padre  Felice,  che  è  il  presidente  qui  deltaz- 
zeKlIo,  conduce  oggi  a  far  la  quarantina  altrove  i  pochi  guariti  che 


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MI  I  PROMESSI  SPOSI 

ci  sono^  Tu  vedi  quella  chiesa  lì  nel  mezzo..  ^.  >>  e,  alzando  la  mano 
scarna  e  Iremolanle,  indicava  a  sinistra  nell'aria  torbida  la  cupola  deUa 
eappella,  ehe  torreggiava  sopra  le  miserabili  tende  ;  e  prosegui:  «  là 
intorno  sì  vanno  ora  radunando,  per  uscire  in  processione  d*lla  porta 
per  la  quale  tu  devi  essere  entrato.  » 


«  Ah!  era  per  questo  dunque,  che'lavoravanoasbratlare  la  strada.  » 

"  Per  l'appunto:  e  tu  devi  anche  aver  sentilo  qualche  tocco  di 
quella  campana.  » 

"N'ho  senlilo  uno.  « 

u  Era  il  secondo:  al  terzo  saran  tutti  radunali:  il  padre  Peììce  farà 
loro  un  piccolo  discorso;  e  poi  s'avvierà  con  loro.  Tu,  a  quel  tocco, 
portati. là;  cerca  di  metterti  dietro  quella ^ente,  da  una  parte  della 
strada,  dove,  senza  disturbare,  né  dar  nell'occhio,  tu  possa  vederli 
passare;  e  vedi...  vedi...  se  la  ci  Tosse.  Se  Dio  non  ha  volato  che  la 
ci  sia;  quella  parte,  »  e  alzò  di  nuovo  la  mano,  accennando  il  lato  del- 
l'edilìzio che  avcvan  dirimpetto:  «  quella  parte  della  fabbrica,  e  una 
parte  del  terreno  die  è  li  davanti,  è  assegnala  alle  donne.  Vedrai  imo 


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CAMPITOLO  XXXV.  8Bt 

steaìoiiato  che  divide  questo  da  quel  qu«rliere, inain  certi  luoghi  in- 
terrolto,  ia  allri  aperto,  sicclié  non  troverai  Uifìcoltù  per  entrare. 
Dentro  poi,  non  facendo  tu  nulla  cbe  dia  ombra  a  nessuno,  nessuno 
prcriiabihDente  iion  dirà  nulla  a  te.  Se  però  lì  si  facesse  qualche  osta- 
colo, di  che  il  padre  Cristoforo  da  "'  li  conosce,  e  renderà  conto  di 
ifi.  Cercala  li;. «elicala  eoo  fiducia  e...  con  rassegnazione.  Perchè,  ri- 
cordati  che  non  è  poco  ciò  die  tu  sei  venuto  a  cercar  qui:  tu  chiedi 
una  persona  viva  al  lazzeretto!  Sai  tu  quante  volte  io  ho  veduto  rin- 
QOVfnsi  itgLKsto  mio  povero  popolo!  quanti  ne  ho  veduti  portar  via! 
quanti  pochi  uscire!...  Va  preparato  a  fare  un  sacrillzio... 

«  Già;  intendo  anch'  io,  »  interruppe  Renzo  stravolgendo  gli  occhi, 
e  cambiandosi  lutto  in  viso;  «  intendo!  Vo:  guardai,  cercherò,  jn  un 
luogo,  neir  altro,  e  poi  ancora,  per  lutto  il  lazzeretto,  in  lungo  e  in 
largo...  e  se  non  la  trovo!...  » 

<•  Se  non  la  trovi?»  disse  il  (rate,  con  un' aria  di  serietà  e  d'aspet- 
tativa, e  con  uno  sguardo  che  ammoniva. 

-Ma  Renzo,  a  cui  la  rabbia  riaccesa  dall'idea  di  quel  dubbio  aveva 
fatto  perdere  il  lume  degli  occhi,  ripetè  e  seguilo:  «se  non  la  trovo, 
vedrò  di  trovare  qualchedun  altro.  O  in  Milano,  o  nel  suo  scelteralo 
palazzo,  o  in' capo  al  mondo,  o  a  casa  del  diavolo,  lo  troverò  quel 
furante  che  à  ha  separati;  quel  birbone  che,  se  non  fosse  slato  lui, 
Lucia  sarebbe  mia  -,  da  venti  mesi;  e  se  eravamo  destinali  a  morire, 
almeno  saremmo  morti  insieme.  Se  c'è  ancora  colui,  lo  troverò...» 

e  Renzo!  «  disse  il  frate,  afferrandolo  per  un  braccio,  e  guardan- 
dolo ancor  più  severamente. 

•i  E  se  lo  trovo,  »  continuò  Renzo,  cieco  alTallo  dalla  collera,  «  su 

la  peste  non  ha  già  fatto  giustìzia Non  è  più  il  tempo  che  uu 

poltrone,  co' suoi  bravi  d'intorno,. possa  metter  la  gente  alla  dispe- 
razione, e  ridersene  :  è  venuto  un  tempo  che  gli  uomini  s'incontrino 
a  viso  a  viso:  e la  farò  io  la  giustizia!  » 

K  Sciagurato!  »  gridò  il  padre  Cristoforo,  con  una  voce  che  aveva 
ripresa  tutta  l'antica  pienezza  e  sonorità  :  »  sciagurato  !  »  e  la  sua 
testa  cadente  sul  petto  s'era  sollevata;  le  gole  si  col^i^'ano  dell'an- 
tica vifa;  e  il  fuoco  degli  occhi  aveva  un  non  so  che  di  terribile, 
e  Guarda,  sciagurato!  »  E  mentre  con  una  mano  stringeva  e  scoteva 
forte  il  braccio  di  Renzo ,  girava  l' altra  davanti  a  sé ,  accennando 
.quanto  più  poteva  della  dolorosa  scena  all' intorno,  utìuarda  citi  è 
'C<^m  c^  tfastiga!  Colui  che  giudica,  e  non  è  giudicalo!  Colui  cite 


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est  I  PROMESSI  SPOSI 

flagella  e  che  perdona  !  Ma  lu ,  l'erme  della  (erra ,  tu  vuoi  br  giusti- 
zia! Tu  lo  sai,  tu,  quale  sia  la  giustizia!  Va,  sdagurato,  vattene!  k, 
speravo. >..  si,  lio  sperato  che,  prima  della  mia  morte.  Dio  m'avrebbe 
data  questa  consolazione  di  sentir  che  la  mia  povera  Lucia  fosse  viva; 
forse  di  vcderìa,e  di  sentirmi  prometter  da  lei  che  rivolgerebbe  ni» 
preghiera  là  verso  quella  fossa  dov'io  sarò.  Va,  tu  m'hai  levala  la 
mia  speranza.  Dio  non  l'ha  lasciala  in  terra  per  (e;  e  tu,  eerto,  nt» 
hai  l'ardire  di  crederli  degno  che  Dio  pensi  a  cons(darli.  Avrà  pen- 
sato a  lei,  perchè  lei  è  una  di  quell'anime  a  cui  son  riservale  le  con- 
solazioni eterne.  Va  !  non  ho  più  tempo  di  darli  retta.  » 

E  così  dicendo,  rigellò  da  sé  il  braccio  di  Renzo,  e  si  mosse  verso 
una  capanna  d"  infermi. 

«  Ab  padre  !  »  disse  Renzo ,  andandogli  dietro  in  atto  suppliche- 
vole :  «  mi  vuol  mandar  via  in  questa  maniera  ?  >> 


'^-^s: 


«  Come!»  riprese, con  voce  non  meno  severa, il cappucdno.  «Ar 
diresti  tu  di  [««tendere  ch'io  rubassi  il  tempo  a  questi  afflitti,  i  quili 
aspettano  eh'  io  parli  loro  del  perdono  di  Dio ,  per  ascoltar  le  Uie  voci 
di  rabbia,  i  tuoi  proponimenti  di  vendetta  ?  Tfao  ascoltato  quando 
tu  chiedevi  consolazione  e  aiuto;  ho  lasciata  la  carila  per  la  carltii; 
ma  ora  tu  hai  ia  tua  vendetta  in  cuore  :  che  vuoi  da  me  7  vatteoe. 
Né  ho  visti  morire  qui  degli  ofTest  che  perdonavano  ;  degli  t^enswi 


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CAPITOLO  XXXV.  Ul 

che  gemevano  di  Don  potersi  umiliare  davanti  ali'  offeso  :  ho  pianto 
con  gli  uni  e  con  gli  altri;  ma  con  le  die  ho  da  fare  ?  » 

••  Ah  gli  perdono!  gli  perdono  davvero,  gli  perdono  per  sempre!» 
«sdamò  il  giovine. 

«  Renzo!  »  disse,  con  una  serietà  più  tranquilla ,  il  frate:  «  pen- 
saci ;  e  dimmi  un  poco  quante  ^'olte  gli  hai  perdonalo.  » 

E,  stato  alquanto  senza  ricever  risposta,  tuli'  a  un  trailo  ahtussò 
il  capo,  e,  con  voce  cupa  e  lenta,  riprese:  u  tu  sai  perchè  io  porto 
quest'abito.  »  - 

Renzo  esitava. 

u  Tu  lo  sai  !  "  riprese  il  vecchio. 

«  Lo  so ,  »  rispose  Renzo. 

«  Ho  odiato  anch'  io:  io,  che  l'bo  ripreso  per  un  pensiero,  per 
una  parola,  l'uomp  ch'io  odiavo -cordialmente ,  che  odiavo  da  gran 
tempo ,  io  l' ho  ueieiso.  » 

u  S) ,  ma  un  prepotente,  uno  di  quelli " 

«  Zitto  !  1  intaruppe  il  tirate  :  «  credi  tu  die,  se  ci  fosse  una  buona 
ragione ,  io  non  l' avrei  Irovata  in  treaV  anni  ?  Ab  !  s' io  potessi  ora 
mellertì  in  cuore  il  sentimento  che  dopo  ho  avuto  sempre ,  e  die  ho 
ancora ,  per  1'  uomo  eh'  io  odiavo  !  S' io  potessi  !  io  ?  ma  Dio  lo  può  : 
Egli  lo  feccia  ! . . .  Senti ,  Renzo  :~Egli  ti  vuol  più  bene  di  quel  che 
te  ne  vuoi  tu:  tu  hai  potuto  macchinar  la  vendetta;  ma  Egli  ba  ab- 
bastanza fòrza  e  abtìastanza  misericordia  per  impedirtela;  ti  fa  una 
graùa  di  cui  qualcbedun  altro  era  troppo  indegno.  Tu  sai,  tu  l' liai 
dello  tante  volte,  ch'Egli  può  fermar  la  mano  d'un  prepolenle;  ma 
sappi  che  può  anche  fermar  quella  d'  up  vendicativo.  E  perchè  sei 
povero,  perchè  sei  offeso,  credi  tu  ch'Egli  non  possa  difendere  con- 
tro di  le  un  uomo  che  ha  creato  a  sua  imm^ine  ?  Credi  tu  eh'  Egli 
li  Isscerdibe  fare  lulto  quello  che  vuoi  ?  No  !  ma  sai  tu  cosa  puoi 
fere?  Puoi  odiare,  e  perderti;  puoi,  con-  un  tuo  sentimento,  allon- 
tanar da  te  ogni  benedizione.  Perchè ,  in  qualunque  maniera  l'  an- 
dassero le  cose, qualunque  fortuna  tu  avessi,  tien  percertoche  tutto 
sari  gasligo,  flndié  tu  non  abbia  perdonato  in  maniera  da  non  poter 
mai  più  direi  io  gli  perdono.  » 

K  Sì,  d,  »  disse  Renzo,  lutto  commosso,  e  tutto  confuso:  ■<  eapi- 
MO  die  non  gli  avevo  mai  perdonalo  davvero;  capisco  che  ho  par- 
lato da  bestia,  e  non  da  cristiano:  e  ora,  con  la  grazia  dd  Signore, 
sì,  gli  perdono  proprio  di  cuore.  » 


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«ss  I  PROiEBSi  srosi 

o  E  se  tu  lo  vedessi  ì  r- 

"  Pregherei  il  Signore  di  dar  pazieosa  a  me ,  e  di  toccare  il  cuoiu 
a  Idi.  » 

<■  Ti  ricorderesti  che  il  Signore  non  ci  lia  detto  di  perdonare  a' 
nostri  nemici,  ci  ba  detto  d'amarti?  Ti  ricorderesti  ch'Egli  lo  ha 
amato  a  segno  di  morir  per  lui  ?  » 

"  Si,  col  suo  aiuto.  » 

«  EM)ene,  vieni  con  me.  Hai  detto:  lo  troverò;  lo  troverai.  Vieni, 
e  vedrai  con  chi  tu  potevi  tener  odio,  a  chi  polev»  desiderar  del 
male,  volergliene  fare,  sopra  che  vita  tu  volevi  far  da  padrone,  w 

E,  presa  la  mano  di  Renzo,  e  strettala  come'avrebbe  potuto  lare 
un  giovine  sano,  sL  mosse.  Quello,  senza  osar  di  domandar  diro,  gli 
andò  dietro. 

Dopo  pochi  passi,  il  (rate  si  fermò  .vicino  all'apertwa  d'una  ca- 
panna, fissò  gli  ocelli  in  viso  a  Renzo,  con  un  misto  di  gravità  e  di 
tenerezza;  e  lo  condusse  dentro. 


^\ 


■U 


L;i  prima  eosa  die  sì  vedeva,  nell' entrare,  era  un  infcroM  seduto 
sulla  paglia  nel  fondo;  un  infermo  però  non  aggravato,  e  die  ansi 
poteva  parer  vicino  alla  conviJescenza  ;  il  quale,  visto  il  padre,  len- 
lExiaò  la  testa,  ctnne  accennando  di  no:  il  padre  abbassò  la  sua,  can 
un  atto  di  tristezza  e  di  rassegnazione.  Renzo  intanto,  girando,  con 
una  curiosità  inquieta ,  lo  sguardo  sugli  altri  o{^tti,vide  Ire  o  quattro 


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CAPITOLO  XXXV.  MT 

infcnni,  ne  distinse  uno  da  una  parte  sur  una  materassa,  involtalo 
in  un  lenzolo,  con  una  cappa  signorile  indosso,  a  guisa  di  coperta: 
lo  (issò,  riconobbe  don  Rodrigo,  e  fece  un  passo  indietro;  ma  il  frate, 
facendogli  di  nuovo  sentir  fortemente  la  mano  con  cui  lo  teneva,  lo 
tirò  appiè  del  covile,  e,  stesavi  sopra  l'altra  mano,  accennava  col  dito 
l'uomo  clic  vi  giaceva. 


Slava  l'infelice.  Immolo;  spalancati  gli  occhi,  ma  senza  sguardo; 
pallido  il  viso  e  sparso  di  macchie  nere;  nere  ed  enfiale  le  labbra: 
l'avreste  dello  il  viso  d'un  cadavere,  se  una  contrazione  violenta  non 
avesse  reso  testimonio  d'  una  vita  tenace.  Il  petto  si  sollevava  di 
quando  in  quando,  con  un  respiro  affannoso;  la  destra,  fuor  della 
cappa,  lo  premeva  vicino  al  cuore,  con  uno  stringere  adunco  delle 
dita,  livide  tutte,  e  sulla  punta  nere. 

u  Tu  vedi  \  «  disse  il  frale ,  con  \  oce  bassa  e  grave.  ^  Può  essei' 


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gastigo,  può  esser  misericordia.  Il  sentimento  che  lo  proveni  ora  per 
quest'uomo  che  t'ha  offeso,  si;  lo  stesso  sentimento,  il  Dio,  che  lupare 
hai  ofTeso,  avrà  per  te  in  quel  giorno.  Benedidlo,  e  sei  beoed^o. 
Da  quattro  giorni  è  qui  come  la  lo  vedi ,  senza  dar  segno  dì  senti- 
ihento.  Forse  i)  Signore  è  prónto  a  concedergli  un'ora  di  ravvedi- 
mento; ma  voleva  esserne  pregato  da  (e:  forse  vuole  ctie  tu  ne  lo 
preghi  con  quella  innocente;  forse  serba  la  grazia  alla  tua  sola  pre- 
ghiera, alla  preghiera  d'un  cuore  afllillo  e  rassegnato.  Forse  la  sd- 
vezza  di  quest'  uomo  e  la  tua  dipende  ora  da  te ,  da  un  tuo  senti- 
mento di  perdono,  di  compassione...  d'amore!  » 

Tacque;  e,  giunte  le  mani,  chinò  il  viso  sopra  di  esse,  e  pregò: 
Renzo  fece  lo  slesso. 

Erano  da  pochi  momenti  in  quella  positura,  quando  scoccò  la  cam- 
pana. Si  mossero  tuU'edue,  come  di  eoocerlo;  e  uscirono.  Né  l'uno 
fece  domande,  né  l'altro  prolesle:  i  loro  visi  parlavano. 

«  Va  ora ,  »  riprese  il  frale ,  t  va  preparato ,  sìa  a  ricevere  una 
grazia ,  sia  a  fare  un  sacrifìsio  ;  a  lodar  Dio ,  qualunque  sia  1'  esilo 
delle  tue  ricerche.  E  qualunque  ^a ,  vieni  a  darmene  notizia  ;  noi  lo 
loderemo  insieme.  « 

Qui,  senza  dir  altro,  si  separarono;  uno  tornò  dond'era  venuto; 
l'altro  Ravviò  alla  cappella,  che  non  era  lontana  più  d' un  cento  passi. 


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CAPITOLO  XXXVI. 


\  ihi  avrebbe  iiiai  detto  a  Renzo,  qualche 
ora  prima,  che,  nel  Torte  d'una  lai  ri* 
cerca,  al  cominciar  de'  momenti  più 
dubbiosi  e  più  decisivi,  il  suo  cuore 
sarebbe  stato  diviso  tra  Lucia  e  don 
Rodrigo?  Eppure  era  cosi:  quella  figura 
1  enivB  a  miscliiarsi  con  tulle  l'immagini 
care  0  terribili  die  la  speranza  o  il  ti- 
more gli  mellevan  davanti  a  vicenda,  in 
quel  tragitto;  le  |)arole  sentite  appiè  di 
quel  covile,  si  cacciavano  tra  Ì  sì  e  i 
no ,  ond'cra  combattuta  la  sua  mente  ;  e 
non  poteva  terminare  una  pregUiera  per  I'  esito  felice  del  gran  ci- 
mento, senza  allaccarci  quella  clie  aveva  principiala  là,  e  che  lo  scocco 
della  campana  aveva  troncala. 


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GRÒ  I  PAOUESSl  SPOSI 

La  cappella  ^llangolare  che  sorge,  elevala  d'alcuni  scalini,  nel 
mezzo  del  lazzeretlo,  era,  nella  sua  costruzione  primiliva,  aperta  da 
lutti  i  Iati,  senz'  altro  sostegno  che  di  pilastri  e  di  colonne,  -una  fab- 
brica, per  dir  co^,  trarorata:  in  ogni  facciata  un  arco  Ira  due  ìnler< 
colunni;  xlenlro  girava  un  portico  intorno  a  quella  che  si  direbbe 
più  propriamente  chiesa,  non  composta  «he  d'otto  archi,  rispondoiti 
a  quelli  delle  facciate,  con  sopra  una  cupola;  di  maniera  che  l'altare 
eretto  nel  centro,  poteva  esser  veduto  da  ogni  finestra  delle  stanze 
del  recinto,  e  quasi  da  ogni  punto  del  campo.  Ora,  convertito  l'cdì- 
fìzio  a  tutt'allr'usu,  i  vanì  delle  facciate  son  murati;  ma  l'antica  os* 
satura,  rimasta  inlalla,  indica  chiaramente  l'aulico  stalo,  e  l'antica 
destinazione  di  quello. 

Renzo  s'era  appena  avviato,  .che  vide  il  padre  Felice  comparire 
nel  portico  della  cappella,  e  artacdarsì  sull'arco  di  mezzo  del  lato  clic 
gnarda  verso  la  città;  davanti  al  quale  era  radunata  la  comitiva,  al 


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CAPITOLO  XXXVI.  MI 

piano,  nella  strada  di  meszo;  e  subito  dal  suo  cojilegno  s'accorse  che 
aveva  cominciata  la  predica. 

Girò  per  quelle  viottole,  per  arrivare  alla  coda  dell'  udìlurio,  come 
gli  era  .sialo  suggerito.  Arrivatoci,  si  fermò  cheto  cheto,  lo  scorse 
tutto  con  lo  sguardo;  ma  non  vedeva  di  là  altro  che  un  follo,  direi 
quasi  un  selciato  di  leste.  Nel  mezto,  ce  n'era  un  certo  numero  co- 
perle  di  fuzzoleltr,  o  di  veli:  in  quella  parie  ficcò  più  attentamente 
^  òcchi;  ma,  non  arrivando  a  ecoprirci  dentro  nulla  di  pia,  gli  alzò 
anche  lui  dove  tutti  leoevan  fissi  ■  loro.  Rimase  tocco  e  compunto 
dalla  venerabii  figura  del  predicatore;  e,  con  quel  che  gli  poteva  re- 
sfar d'attenzione  in  un  lai  momento  d'aspettativa,  senti  questa  parie 
del  solenne  ragionamento. 

v  Diamo  un  pensiero  ai  mille  e  mille  cite  sono  usciti  di  là;  »  e, 
col  dito  alzato  sopra  la  spalla,  accennava  dietro  sé  la  porta  che  melle 
al  cimilero  detto  di  san  Gregorio,  il  quale  allora  era  tutto,  si  può 
dire,  una  gran  fossa:  u  diamo  intorno  un'occhiata  ai  mille  e  mille 
che  rjmangon  qui,  troppo  incerti  di  dove  sian  per  uscire;  diamo  un'oc- 
chiata a  noi,  cosi  pochi,  che  n'usciamo  a  salvamento.  Benedetto  il 
Signore!  Benedetto  nella  giustizia,  benedetto  nella  misericordia!  be- 
nedetto nella  morie,  benedetto  nella  salute!  benedetto  in  questa  scelta 
che  ha  voluto  far  di  noi  !  Oh!  perché  l'ha  voluto,  figliuoli,  se  non  per 
seriKirsi  un  piccol  popolo  corretto  dall' afllìzione,  e  infervorato  dalla 
gratitudine?  se  non  a  fine  che,  sentendo  ora  più  vivamenle,  che  la 
vita  è  un  suo  dono,  ne  facciamo  quella  stima  che  merita  una  cosa 
data  da  Lui,  1'  impieghiamo  nell'opere  che  si  possono  offrire  a  Lui? 
se  n<m  a  fine  che  la  memoria  de'  nostri  patimenti  ci  renda  compas- 
sionevoli e  soccorrevoli  ai  nostri  prossimi?  Questi  intanto,  in  compa- 
gnia de'  quali  abbiamo  penato,  sperato,  temuto;  tra  i  quali  lasciamo 
degli  amici,  de'  congiunti;  e  che  tutti  son  poi  finalmente  nostri  fra- 
lelli;  quelli  tra  questi,  che  ci  vedranno  passare  in  mezzoaloro,  men- 
tre forse  riceveranno  qualche  sollievo  nel  pensare  che  qualcheduno 
esce  pur  salvo  di  qui,  ricevano  edificazione  dal  nostro  contegno.  Dio 
non  voglia  che  possano  vedere  in  nm  una  gioia  rumorosa,  una  gioia 
inon<tona  d'avere  scansala  quella  moKe,  con  la  quale  essi  stanno  an- 
cor dibattendosi.  Vedano  che  partiamo  ringraziando  per  noi,  e  pre- 
gando per  loro;  e  possa»  dire:  anche  fuor  di  qui,  questi  si  ricorde- 
ranno di  noi,  continueranno  a  pregare  per  noi  meschini.  Goininciamo 
da  questo  viaggio,  da'  primi  passi  che  slam  per  fare,  una  vita  tulla 


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e»a  1  PftOHESSI  SPOSI 

di  carità.  Quelli  che  sono  tornati  nell'antico  vigore,  dianomi  braccio 
fi'atemo  ai  fiacchi;  giovani,  sostenete  i  vecchi;  voi  che  siete  riniasli 
senza  figliuoli,  vedete,  intorno  a  voi,  quanti  flgliuoli  rimasti  senza 
padre!  siatelo  per  loro!  E  questa  carità,  ricoprendo  i  vostri  peccati, 
raddolcirà  anche  i  vostri  dolori.  » 

Qui  un  sordo  mormorio  di  gemiti,  un  singhioziio  che  andava  cre- 
scendo nell'adunanza,  fu  sospeso  a  un  tratto,  nel  vedere  il  predica- 
tore mettersi  una  corda  al  collo,  e  buttarsi  in  ginocchio:  e  si  slava 
in  gran  silenzio,  aspettando  quel  che  fosse  per  dire. 

u  Per  me,  »  disse,  «  e  per  lutti  i  mìei  compagni^  che,  senza  al- 
«un  nostro  merito,  siamo  slati  scelli  all'alto  privilegio  di  servir  Crislo 
in  voi;  io  vi  chiedo  umilmente  perdono  se  non  abbiamo  degnamente 
adempito  un  si  gran  ministero.  8e  la  pigrizia,  se  l' indocilità  della 
carne  ci  ha  resi  meno  attenti  alle  vostre  necessità,  men  pronti  alle 
vostre  ebiamale;  se  un'ingiusta  impazienza,  se  uneolpevol  tedio  ci  ha 
(atti  qualche  volta  eom|>arirvì  davanti  con  un  vol|o  annoiato  e  severo; 
se  qualche  volta  il  miserabile  pensiero  che  voi  aveste  bisogno  dì  noi, 
ci  ha  portati  a  non  tratlarvi  con  tutta  quell'umiltà  che  si  conveniva, 
se  la  nostra  rragìlilà  ci  ha  fatti  trascorrere  a  qualche  azione  ette  vi 
sia  siala  di  scandolo;  perdonateci  !  Così  Dio  rimetta  a  voi  ogni  vo- 
stro debito,  e  vi  benedica.  »  E,  fatto  sull'udienza  un  gran  segno  di 
croce,  s'alzò. 

Noi  abbiani  potuto  riferire,  se  non  le  precise  parole,  il  senso  al- 
meno, il  tema  di  quelle  che  proferì  davvero;  ma  la  maniera  con  eut 
furon  dette  non  è  cosa  da  potersi  descrivere.  Era  la  maniera  d' un 
uomo  che  chiamava  privilegio  quello  di  servir  gjì  appestali,  perchè 
lo  teneva  per  tale;  clic  confessava  di  non  averci  degnamente  corri- 
sposto, perchè  sentiva  di  non  averci  corrisposto  degnamenle;  che 
chiedeva  perdono,  percliè  era  persuaso  d'averne  bisogno.  Ma  la  genie 
che  s'era  veduti  d'intorno  que'  cappuccini  non  occupati  d'altro  àie 
di  servirla,  e  tanti  n'aveva  veduti  morire,  e  quello  che  parlava  per 
tulli,  sempre  il  primo  alla  fatica,  come  nell'autorità,  se  non  quando 
s'era  trovato  andie  lui  in  fin  di  morte;  pensale  con  che  singhiozzi, 
con  che  lacrime  rispose  a  tali  parole.  Il  mirabil  frate  prese  poi  una 
gran  croce  ch'era  appoggiata  a  un  pilastro ,  se  la  inalberò  davanti. 
lasciò  sull'orlo  del  portico  esteriore  i  sandali,  scese  gli  scalini,  e,  tra 
la  folla  che  gli  fece  rispettosamente  largo,  s'avviò  per  metl^^i  alla 
festa  di  essa. 


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CAPITOLO  KKXVI.  ni 

Renzo,  tutto  lacrimoso,  né  più  né  meno  che  se  fosse  sialo  uno  di 
c|uelli  a  cui  era  clilesfo  (|uel  singolare  perdono,  si  ritirò  anche  lui,  e 
andò  a  mettersi  di  fianco  a  una  capanna  ;  e  stette  li  aspettando, 
mezzo  nascosto,  con  la  persona  indietro  e  la  testa  avanti,  con  gli 
occhi  spalancali,  con  una  gran  palpitazion  di  cuore,  ma  insieme  con 
una  certa  nuova  e  particolare  lìducia,  naia,  cred'io,  dalla  lenerezzit 
che  gli  aveva  ispirata  la  predica ,  e  lo  spettacolo  della  tenerezza  ge- 
nerale. 

Ed  ceco  arrivare  il  padre  Felice,  scalzo,  con  (|ue1la  corda  al  collo, 
con  quella  lunga  e  pesante  croce  alzata;  pallido  e  scarno  il  viso,  un 
viso  che  spirava  compunzione  insieme  e  coraggio;  a  passo  lento,  ma 
rÌM)Iuto,  come  di  chi  pensa  soltanto  a  risparmiare  rallrui  debolezza; 


e  in  tutto  come  un  uomo  u  cui  un  di  più  di  fatiche  e  di  disagi 
desse  la  furza  di  sostenere  i  tanti  necessari  e  inseparabili  da  quel  suo 
incarico.  Subilo  dopo  lui,  venivano  i  fanciulli  più  grandini,  scalzi  una 
gran  parte,  ben  pochi  interamente  vestiti,  chi  nffallo  in  camicia.  Vc- 
i>ivan  |>oi  le  donne,  lenendo  quasi  tulle  \ht  la  mano  una  hunbina. 


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■»4  I  PROMESSI  SPOSI 

e  cantando  alternali  vamenle  il  Misererei  e  il  suono  fiacco  di  qudic 
voci,  il  pallore  e  la  languid«2ia  di  que'  \'m  eran  cose  da  occupar  lulto 
di  compassione  l'animo  di  cliiun(|ue  si  fosse  trovalo  lì  come  semplice 
spctlalorc.  Ma  Renzo  guardava,  esaminava,  di  fila  in  Illa,  di  viso  in 
viso,  senza  passarne  uno;  che  la  processione  andava  tanto  adagio,  da 
dargliene  tutto  il  comodo.  Passa  e  passa;  guarda  e  guarda;  sempre 
inutilmente:  dava  qualche  occliiala  di  corsa  alle  Ole  che  rimanevano 
ancora  indietro:  sono  ormai  poche;  siamo  all'ultima;  son  passate  tulle; 
furon  tulli  visi  sconosciuti.  Con  le  braccia  ciondoloni,  e  eoa  la  lesta 
piegata  sur  una  spalla,  accompagnò  con  l'occhio  quella  schiera,  men< 
tre  gli  passava  davanti  quella  degli  uomini.  Una  nuova  atleiizionc, 
una  nuova  speranza  gli  nacque  nel  veder,  dopo  questi,  comparire  al- 
cuni cari'i ,  su  cui  erano  i  convalescenti  che  non  erano  ancora  in 
islalo  di  camminare.  Li  le  donne  venivan  l'ultime:  e  il  treno  andava 
cosi  adagio  che  Renzo  potè  ugualmente  esaminarle  tutte,  senza  che 
gUene  sfuggisse  una.  Ma  che?  esamina  il  primo  carro,  il  secondo,  il 
terzo,  e  via  discorrendo,  sempre  con  la  slessa  riuscita,  fino  a  uno, 
dietro  al  quale  non  veniva  più  che  un  allro  cappuccino,  con  un  aspello 
serio,  e  con  tin  bastone  in  mano,  come  regolatore  della  comitiva.  Era 
quel  padre  Michele  che  abbiam  dello  essere  sluto  dato  per  compagno 
nel  governo  al  padre  Felice. 

Cosi  svanì  affatto  quella  cara  speranza;  e,  andandosene,  non  solo 
portò  via  ileonforto  che  aveva  recalo,  ma,  come  accade  le  più  volle, 
lasciò  l'uomo  in  peggiore  stalo  di  prima.  Ormai  quel  che  ci  poteva 
esser  di  meglio, era  di  trovar  Lucia  ammalala.  Pure,  all'ardore  d'una 
speranza  presente  sottentrando  quello  del  timore  cresciuto,  il  pove- 
rino s'allaccó  con  lulle  le  forze  dell'animo  a  quel  trtslo  e  debole 
filo;  entrò  nella  corsia,  e  s'incamminò  da  quella  parte  dì  dove  era  ve- 
nuta la  processione.  Quando  fu  appio  della  eappella,  andò  a  inginoc- 
chiarsi sull'ultimo  scalino;  e  li  fece  a  Dio  una  preghiera,  o,  per  dir 
meglio,  una  confitsione di  parole  arruffale,  di  frasi  interrotte,  d'escla- 
mazioni, d'istanze,  dì  lamenti,  di  promesse:  uno  di  que*  discorsiclie 
non  si  fanno  agli  uomini,  perchè  non  hanno  abbastanza  penetrazione 
per  intenderli,  né  pazienza  per  ascoltarli;  non  son  grandi  abbastanza 
per  sentirne  compassione  senza  disprezzo. 

S'alzò  alquanto  più  rincoralo;  girò  intorno  alla  eappella;  si  trovò 
nell'altra  corsìa  che  non  aveva  ancora  veduta,  e  dte  riusciva  all' altra 
porla;  dopo  podii  passi,  vide  lo  slecconalo  di  cui  gli  ave^'a  partalo 


Digitizf^riiiyGoOgle 


i  i 


CAPITOLO  XXXVI.  8»B 

il  fi'ate,  ma  ioterrolto  (jua  e  la,  appunto  come  (jueslo  a^eva  dello  ; 
entrò  per  una  di  quelle  aperture,  e  sì  trovò  nel  quartiere  delle  donne. 
Quasi  al  primo  passo  che  fece,  vide  in  terra  un  campanello,  di  quelli 
die  i  monatti  portavano  a  un  pi^de;  gli  venne  in  menle  che  un  tale 
slnimento  avrebbe  potuto  servirgli  come  di  passaporto  là  dentro;  lo 
prese,  guardò  se  nessuno  lo  guardava,  e  se  lo  legò  come  usavan  quelli. 
E  si  mi^  subito  atla  ricerca,  a  quella  ricerca,  clie,  per  la  quanlilà 
sola  degli  oggetti  sarebbe  slata  tieraioente  gravosa,  quand'anche  gli 
oggetti  fossero  stali  tult' altri;  cominciò  a  scorrer  con  l'occhio,  anzi  a 
contemplar  nuove  miserie,  cosi  simili  in  parie  alle  già  vedute,  in 
parie  cosi  diverse:  che,  sotto  la  slessa  calamìlà,  era  qui  un  altro  pa- 
tire, per  dir  così,  un  altro  languire,  un  altro  lamentarsi,  un  altro 
sopportare,  un  altro  compatirsi  e  soccorrersi  a  vitanda;  era,  in  chi 
guardasse,  un'altra  pietà  e  un  altro  ribrezzo. 

Avev-a  già  fatto  non  so  quanta  strada,  senza  frutto  e  senza  accì- 
deiili;  quando  si  senti  dietro  le  spalle  un  uoliN  una  chiamala,  che 
pareva  diretta  a  lui.  Sì  voltò  e  vide,  a  una  certa  disianza,  un  com- 
missario, che  alzò  una  mano,  accennando  proprio  a  lui,  e  gridando: 
u  là  nelle  stanze,  che  c'è  bisogno  d'aiuto:  qui  s'è  finito  ora  di 
sbrattare.  « 

Renzo  s'a\'vide  subito  per  chi  veniva  preso,  e  che  il  campanello 
ei*a  la  cagione  dell'equivoco;  si  diede  della  bestia  d'aver  pensalo  so- 
lamente agi' impicci  che  quell'insegna  gli  poteva  scansare,  e  non  a 
quelli  che  gli  poteva  tirare  addosso;  ma  pensò  nello  stesso  tempo  alla 
maniera  di  sbrigarsi  subito  da  colui.  Gli. fece  replicai  amen  le  e  in  fretta 
un  cenno  col  capo,  come  per  dire  che  aveva  inteso,  e  che  ubbidiva; 
e  si  levò  dalla  sua  vista,  cacciandosi  da  una  parie  tra  le  capatine. 

Quando  gli  parve  d'essere  abbastanza  loiilnno,  pensò  anche  a  libe- 
rarsi dalla  causa  dello  scandolo;  e,  per  far  quell'operazione  senz'  es- 
sere osservato,  andò  a  mellersi  in  un  piccolo  spazio  Ira  due  capanne 
die  si  voltavan ,  per  dir  cosi,  la  scliìeiia.  Si  china  per  levarsi  il  cam- 
panello, e  stando  cosi  col  capo  appoggialo  alla  parete  di  ]iaglia  d'una 
delle  capanne, gli  viun  da  quella  all'orecchio  una  voce...  Oh  ciclo!  è 
possibile?  Tulta  la  sua  anima  è  in  quell'orecchio:  la  respìi'azione  è 
sospesa...  Sì!  sì!  è  quella  voce!...  «Paura  di  die?»  diceva  quella 
voce  soave:  «  abbiam  passato  ben  altro  ebe  un  toinporalr.  Chi  ci  ha 
castodite  Hnora,  ci  cnslodirà  anche  adesso." 

Se  Renzo  non  cacciò  un  urlo,  non  fu  per  timore  di  farai  scorgere, 


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as<  I  PHOUESSl  SPOSI 

fu  {>erclié  iioii  n'ebbe  ii  fiato.  Gli  munearon  1«  ginocchia,  gU  s'ap- 
pannò la  viala;  ma  fu  trn  primo  momenlo;  al  secondo,  era  rillo,  più 
dtsio,  più  vigoroso  dì  prima;  in  Ire  salti  girò  la  capanna,  fu  sull'uscio, 
vide  colei  che  ave^a  parlato,  la  vide  levala,  chinata  sopra  un  Iclluc- 
rto.  Si  volla  essa  al  rumore;  guarda,  crede  di  travedere,  di  sognare; 
guarda  più  allenta,  e  grida:  "Oh  Signor  benedetto!»' 

"Lucia!  v'ho  Irovala!  vi  trovol  siete  proprio  voi!  eiclc  viva!»esda- 
inò  Renzo,  avuniandosi,  tutto  Iremantf. 


«Oli  Signor  benedettoln  replicò,  ancor  più  trcinaitle.  Lucia:  «voi? 
die  cosa  è  questa!  in  die  maniera?  perché?  La  peste!" 

"  L'ho  avnta.  E  voi ...  ?" 

<•  Ab  ! anch'  io.  E  di  mia  madri- ...  ?  » 

«Non  l'ho  vista,  perchè  è  a  Pasturo;  credo  pero  che  stia  bene: 

Ma  voi come  side  ancora  pallida!  come  parete  debole!  Guarita 

|>erò,  siete  guarita?  n 

"  Il  Signore  m'ha  voluto  lasciare  ancora  quaggiù.  Ah  Renzo!  per- 
chè siete  voi  qui?» 


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CAPITOLO  XXX  VL  mi 

«Perchè?»  disse  Renzo  avvicinandosele  sempre  più;  «mi  doman- 
date perchè  ?  Perché  ci  dovevo  venire  ?  Avete  bis(^no  die  ve  Io  dica  ? 
Chi  ho  io  a  cui  pensi?  Non  mi  chiamo  più  Renio,  io?  Non  siete  più 
Luda,  voi?» 

«Ah  cosa  dite!  cosa  dilet  Ma  non  v'ha  fìllio  scrivere  mia  madre...?». 

u  Si:  pur  troppo  m'ha  folto  scrivere.  BeUe  cose  da  fare  scrivere  a 
un  povero  di^raziato,  tribolato,  ramingo,  a  un  giovine  die,  dispetti 
almeno,  non  ve  n'aveva  mai  fatti!» 

uMa  Renzo!  Renzo!  giacché  sapevate...  perchè  venire?  perdiè?  » 

«Perchè  venire?  Oh  Luda!  perchè  v«ure,  mi  dite?  Dopo  tante 
promesse!  Non  siam  più  noi?  Non  vi  ricordate  più?  Che  cosa  ci 
mancava?» 

«Oh  Signore!»  esdamò  dolorosamente  Lucia,  giungendo  le  mani, 
e  alzando  gli  occhi  al  cido:  u  perchè  non  m'avete  fatta  la  grazia  di 
lirarmi  a  Voi...!  Oh  Renzo!  cos'avete  mai  Tatto?  Ecco;  comindavo  a 
sperare  che..!  col  tempo...  mi  sarei  dimenticata...» 
'    «Beltà  speranza!  bdle  cose  da  dirmele  proprio  sul  viso!» 

«  Ali.  cos'avete  folto!  E  io  questo  luogo!  tra  queste  miserie!  Ira 
questi  spettacoli  1  qui  dove  non  si  fa  altro  che  morire,  avete  potuto ...  !  » 

«  Quelli  che  moiono,  bisogna  pregare  Iddio  per  loro,  e  sperare  che 
anderanno  in  un  buon  luogo;  ma  non  è  giusto,  né  àndie  per  questo, 
che  quelli  che  vìvono  abbiano  a  viver  disperali....» 

«Ma,  Renzo!  Renzo!  voi  non  pensale  a  quel  che  dite.  Una  pro- 
messa alla  Madonna!...  Un  volo!» 

"  E  io  vi  dico  che  son  promesse  che  non  eontan  nulla.  "   . 

«Oh  Signore!  Cosa  dite?  Dove  siete  stalo  in  questo  tempo?  Con 
chi  avete  trattalo?  Come  parlale? 

«Parlo  da  biioit  cristiano;  e  della  Madonna  penso  me^io  io  die 
voi;  perdiè  credo  clic  non  vuol  promesse  in  danno  del  prossimo.  Se 
la  Madonna  avesse  parlalo,  oh,  allora!  Ma  cos'è  slato?  una  vostra 
idea.  Sapete  cosa  dovete  promettere  alla  Madonna?  Promctlelde  die 
la  prima  figlia  che  avremo^  le  meneremo  nome  Maria:  che  questo 
S4H1  qui  anch'  io  a  prometterlo:  queste  son  cose  die  fanno  ben  più 
onore  alla  Madonna:  queste  son  divozioni  die  hanno  più  costrutlo,c 
non  porlan  danno  a  nessuno.  » 

«No  do;  non  dite  cosi:  non  sapete  quello  die  vi  dite:  non  lo  sa- 
pete voi  cosa  sìa  fare  un  voto:  non  ci  siete  stato  voi  in  i|ud  caso: 
non  avete  provalo.  Andate,  andate,  per  amor  del  cielo!» 


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ma.  i.PAOaESS)  sposi. 

E  sf  scostò  jRipetuonmeiite  da  lui,'  lornandci  versò  il  lettuceio. 

«Lucia!»  disse  Renzo,  senza  moversi:  «ditemi  almeno,  dilemi: 
se  non  fosse  qiiesta  ragione... l  sareste  la  stessa  per  mefn 

«  Uonif}  senza  cuore!»  rispose  Lucia,  voltandosi,  e  ratlenendo  a 
stealo  le  bcrime:  ù  quando  m'aveste  falle  dir  delle  parole  inutili, 
delle  pàrtric  ette  mi  farri>bero  male,  delle  parole  die  sarebbero  forse 
peccali,  sareste  contento?  Andate,  «h  andate!  dimenticatevi  di  me: 
si  vede  che  non  eravamo  destinali!  Ci  rivedreme  lassa:  già  non  ci 
sì  deve  star  molto  in  questo  mondo.  Andate;  cercate  di  far  sapere  a 
mia  madre  che  son  guarita,  che  anclie  qui  Dio  m' lia  sempre  assistita, 
die  Ik»  trovalo  un'  anima  tniòna,  questa  brava  donna,  die  mi  fa  da 
madre;  ditele  clic  spero  che  lei  sarà  preservala  da  questo  male,  e 
die  d  rive<tremo  quando  Dio  vorrà,  e  Coinè  vorrà . .-. .  Andate,  per 
amor  del  cielo,  e  non  pensate  a  me....  se  non  quando  pregtierde  il 
Signore,  n 

E,  come  chi  non  ha  più  altro  da  dire,  ne  vuol  sentir  altro,  come 
chi  vuol  soltrarsi  a  un  periodo,  si  ritirò  ancor  ]iiù  vidiio  al  lelluc- 
eio,  dov'era  la  donna  di  cui  aveva  parlato. 

u  Sentite,  Lucia,  sentite!»  disse  Renzo,  senza  però  accostarsele 
di  più. 

«No,  no;  andate  per  carità!  <> 

"  Sentile:  il  padre  Cristoforo  ....  » 

u  Oli"?  » 

-  È  qui.  « 

«Qui?  dove?  Olile  lo  sapHe?  » 

"Gli  ho  parlalo  poco  fa;  sono  stalo  un  (iczzo  eon  lui:  e  un  reli- 
gioso della  sua  qualità,  mi  pare » 

uÉ  qui!  per  assistere  i  poveri  appestali,  sicuro.  Ma  Iiii?riia avuta 
la  peste?» 

u  Ah  Lucia!  ho  paura,  lio  paura  pur  troppo...»  e  ntentre  R«iio 
calava  cosi  a  proferir  la  parola  dolorosa  per  lui,  e  die  doveva  es- 
serlo tanto  a  Lucia,  questa  s'era  staccala  di  nuo\'0  dui  lelluccio,  e  si 
ravvicinava  a  lui:  «  lio  paura  die  l'abbia  adesso!» 

uOh  povero  sant'uomo!  Ma  cosa  dico,  pover'uomo?  Poveri  noil 
Com'è?  è  a  letto?  è  assistilo?» 

uÉ  levato,  gira,  assiste  gli  altri;  ma  se  lo  vedeste,  che  colore  che 
ha,  come  si  regge!  80  n'é  vi»ti  lauti  e  tanti,  che  par  troppo...  imhi 
si  sbaglia!  » 


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CAPITOLO  XXXVl.  OM 

«  Oh  poveri  noi  !  E  è  proprio  qui  !  » 
'   hQuì,  e  poco  lonlaao:  poco  più  die  da  casa  vostra  n  casa  mìa.... 
se  vi  ricontale^ N 

"Oli  Vergine  santissima!  " 

«Bene,  poco  pw.  E  pensale  se  abbiam  parlalo  dì  voi!  M'Ita  dello 
delle  cose...  E  se  sapcsle  cosa  m'ha  fatto  vedere!  Senlirele;  ma  ora 
voglio  cominciare  a  dirvi  quel  die  m'ha  dello  prima,  lui,  con  la  sua 
prt^ria  bocea.  lU'ba  dello  che  faceto  bene  a  vmìrvi  a  cercare,  e  die 
al  Si);nore  ^M  piace  che  un  giovine  (ratti  cosi,-  e  m'avrebbe  aiutato 
a  far  che  vi  lro\'assi;  come  è  praprio  stato  la  verità:  ma  giJi  e  un 
sanlo.  Sicché,  vedete  1"     "■ 

"Ma.  se  ha  parlalo  cosi,  è  perché  lui  non  sa....i 

e  Che  volete  che  sappia  lui  delle  cose  die  avete  title  voi  di  vostra 
testa,  senza  regola  e  senza  il  parere  di  nessuno?  Un  bra/uono^  un 
uomo  di  giudieio,  come  è  lui,  non  va  a  pensar  cose  di  questa  sorte. 
Ma  quel  clic  ni'lia  fatto  vedere!"  E!  qui  raccontò  la  visita  lalta  a 
qudla  capanna:  Lucia,  quantunque  ì  suoi  sensi  e  il  suo  animo,  ave»- 
sero,  in  qud  soggiorno,  dovalo  avveuai-si  alle  più  forti  impressioni, 
slava  tutta  compresa  d'orrore  e  di  compassione. 

"E  anclic  li,»  proseguì  Reneo,  «ha  parlalo  da  santo:  -lia  dette 
die  il  Sigiiore  forse  ba  destinato  di  br  la  grazia  a  quel  meschino.... 
(ora  non  potrei  proprio  dai^li  un  altro  nome)...  clic  nsjwtla  di  proi* 
derlo  in  un  buon  punto;  ma  vuole  clic  noi  pregliìamo  insieme  per 
lai ... .  Insieme!  avete  inteso?  " 

«Si,  si;  lo  preglieremo,  ognuno  dove  ti  Signore  ci  terrà:  le  ora- 
cloni  le  sa  mettere  inàeme  Lui.  « 

H  Ma  se  vi  dico  le  sue  parole ....!" 

«  Ma  Renzo,  lui  non  sa  ...  " 

«Ma  non  capile  che,  quando  è  un  sanlo  die  parla;  è  il  Signore 
che  lo  fa  parlare?  e  che  non  avrebbe  parlalo  cosi,  se  non  dovesse 
e^r  proprio  cosi...  E  )'«ninn  di  qud  poverino?  lo  Iki  bensi  pregalo, 
«  pregherò  per  luì:  dì  cuore  ho  pregato,  proprio  come  se  fosse  stalo 
per  un  mio  fratello.  Ma  come  volete  che  stia  nel  mondo  di  là,  il  po- 
verino, se  di  qua  non  s'accomoda  questa  cosa,  se  non  e  disfatto  H 
male  cfae  ha  fatto  lui?  Che  se  voi  inleadete  la  ragione,  allora  tulio  é 
come  primai  quel  che  è  stato  è  stato:  Ini  lia  fatto  la  sua  penitenza 
di  qua  ....•>  . 

«No,  Renzo,  no.  Il  Signore  non   vuole  die   faciìiomo  del  male, 


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700  I  rnoMESsi  SPOSI 

per  far  Lui  misericordia.  Lasciate  fare  a  Lui,  per  questo:  noi,  il  nostro 
dovere  è  di  pregarlo.  S'io  foiosi  moria  quella  noUe,  non  gli  avr^ 
lie  dunque  potuto  perdonare?  E  se  non  son  morta ,  se  sono  stala 
liberala ...  « 

«E  vostra  madre,  quella  povera  Agnese,  clie  m'ha  sempre  voluto 
tanto  bene,  e  clie  si  struggeva  tanto  di  l'ederci  marito  e  moglie,  non 
ve  riia  detto 'anche  lei  die  l'è  un'  idea  storta?  Lei,  die  v'  ha  fatto 
intender  la  ragione  anclie  ddl' altre  volte,  perchè,  in  certe  cose,  pensa 
più  giusto  di  voi ...  » 

«  Mia  madre!  volete  che  mia  madre  mi  desse  il  parere  di  mancare 
a  un  voto!  Ma,  Renzo!  non  siete  in  voi.  «' 

nOli!  volete  die  ve  la  dica?  Voi  altre  donne,  queste  cose  non  le 
potete  sapere.  H  padre  Cristoforo  m'ha  dutto  che  tornassi  da  lui  a 
raccontai^li  se  v'avevo  trovata.  Vo:  lo  sentiremo:  quel  che  dirà  lui...» 

«Si,  si;  andate  da  quel  sant'uomo;  ditegli  die  prego  per  lui,  e  ehe 
preghi  per  me,  che  n'ho  insogno  tanto  tanto!  Ma,  per  amor  del 
cielo,  per  l'anima  vostra,  per  l'anima  mia,  non  venite  più  qui,  a 
farmi  dd  male,  a tentarmi.  Il  padre  Cristoforo,  lui  saprà  spie- 
gai vi  le  C0.U,  e  farvi  tornare  in  voi;  lui  vi  farà  mettere  il  cuore 
in  (tace.  » 

«Il  cuore  in  pace!  Oli!  questo,  levatevelo  dalla  testa.  Già  me  fa- 
vele  fatta  scrivere  questa  parolaccia;  e  so  io  quel  che  m'ha  fatto  pa- 
tire; e  ora  avete  anche  il  cuore  di  dirmela.  E  io  in  vece  vi  dico 
chiaro  e  tondo  che  il  cuore  in  pace  non  lo  metterò  mai.  Voi  volete 
dimenticarvi  di  me;  e  io  non  voglio  dimenticarmi  di  voi.  B  vi  pro- 
metto, vedete,  clic,  se  mi  fate  perdere  il  gìudìao,  a<m  lo  racquiato 
più.  Al  diavolo  il  mestiere,  al  diavolo  la  buona  condotta!  Volete  con- 
dannarmi a  essere  arrabbiato  per  tutta  la  vita;  e  da  arrabbiato  vive- 

rò E  quel  disgraziato!  Lo  sa  il  Signore  se  gli  lio  perdonato  di 

coorc;  ma  voi...  Volete  dunque  farmi  pensare  per  tutta  |a  vita  dw 
se  non  era  lui ...  ?  Luda!  ayetc  detto  eh'  io  vi  dimenlidii:  cli'io  vi 
dimentichi!  Come  devo  fare?  A. chi  credete  ch'io  pensassi  in  lutto 
questo  tempo?...  E  dopo  tante  cose!  dopo  tante  promesse!  Cosa  v'In 
fatto  io,  dopo  che  ei  siamo  Jasdati?  Perchè  ho  patito,  mi  trattale  cosi? 
pcrdié  Iw  avuto  ddle  di^azie?  perchè  la  gente  del  mondo  m'  ha 
perseguitato?  perchè  ho  passato  tanto  tempo  fuori  di  casa,  tristo, 
lontano  da  voi?  perchè,  al  primo  momento  die  ho  potuto, son  venuto 
a' cercarci?» 


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CAPITOLO  XXXVI.  701 

Lucia ,  quando  il  pianto  le  perntise  di  formar  parole ,  esclamò , 
f;!ungendo  di  nuovo  le  mani,  e  alzando,  al  cielo  gli  occhi  pregni  di 
lacrime:  uo  Verdine  santìssima,  aiutatemi  voi!  Voi  sapete  che,  dopo 
quella  notte,  un  momento  come  questo  non  I'Ih»  mai  passato.  M'avete 
soccorsa  allora;  soccorretemi  anche  adesso!  « 

"Si,  Lucia;  fate  bene  d'invocar  la  Madonna;  ma  perchè  vedete 
credere  che  Lei  che  è  tanto  huona,  la  madre  delle  misericordie,  possa 
aver  piacere  di  farcì  patire. ...  me  almeno ....  per  una  parola  scap- 
pala in  un  momento  che  non  sapevate  quello  che  vi  dicevate?  Vo' 
lete  credere  che  v'abbia  aiutata  allora,  per  lasciarci  imbrogliali  dopo?... 
Se  poi  questa  fosse  una  scusa;  se  è  ch'io  vi  sia  Acnuto  in  odio .... 
ditemelo ....  pai'Iate  chiaro.  » 

H  Per  carità,  Renzo,  per  carità,  per  i  vostri  poveri  morii,  finilela, 
finitela;  non  mi  fate  morire..  Non  sarebbe  un  buon  momento.  Andate 
dal  padre  Cristoforo,  raccomandatemi  a  lui,  non  tornale  più  qui,  non 
(ornale  più  qui.  » 


«  Vo;  ma  pensale  se  non  voglio  tornare!  Tornerei  se  fosse  in  capo 
al  mondo,  tornerei,  n  E  disparve. 


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I  PaOMBSSI  SPOSI 


Lucia  andò  a  sedere,  o  piuUoslo  si  lasciò  cadere  in  terra,  accanto 
«I   tediiccio;  e,   appoggiata   a  quello   la  tcsla,  continuò  a  piangere 


dirollamenlc.  La  donna,  che  fin  allora  era  stala  a  occhi  e  orecchi 
aperti,  senza  fiatare,  domandò  cosa  fosse  quell'apparizione,  qudla 
contesa^  questo  pianto.  Ma  forse  il  lettore  domanda  dal  canto  suo  chi 
fosse  costei  ;  e ,  per  soddisfarlo ,  non  ci  corranno ,  né  anche  qui , 
troppe  parole. 

Era  un'agiata  mercantessa,  di  forse  treni' anni.  Nello  spazio  di  pò- 
chi  giorni,  s'era  visto  morire  in  casa  il  marito  e  tutti  i  figliuoli:  di 
lì  a  poco,  venutale  la  peste  anche  a  lei,  era  stata  trasportata  al  laz- 
zeretto, e  messa  in  quella  capannuccia,  nel  tem|>o  die  Lucia,  dopo 
aver  superata,  senza  avvedersene,  la  furia  del  male,  e  cambiale, 
ugualmente  senza  avvedersene,  più  compagne,  cominciava  a  riaversi, 
e  a  tornare  in  sé;  che,  fin  dal  principio  dclb  malattia,  trovandosi 
ancora  in  casa  di  don  Ferrante,  era  rimasta  come  insensata.  Ia  capan- 
na non  poteva  contenere  che  due  pei'sonc:  e  tra  queste  due,  afflitte, 
derelitte,  sbigotlile,  sole  in  tanta  moltitudine,  era  presto  nata  un'in- 
trinsichezza, un'affezione,  che  appena  sarebbe  potuta  venire  da  un 
lungo  vivere  insieme.  In  poco  tempo,  Lucia  era  stata  in  grado  di 
potere  aiutar  l'aHra,  che  s'era  trovala  aggravatiasima.  Ora  che  que- 
sta pure  era  fuori  di  pericolo,  si  facevano  compi^ùi  e  con^^  e 


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CAPITOLO   \XXVI  TU3 

guardia  a  vicenda;  s'eraii  promesse  di  non  uscii-  dal  lazzercdo,  se 
non  insieme;  e  avevan  presi  altri  concerti  per  non  separarsi  neppiir 
dopo.  La  mercantessa  die,  avendo  lasciala  in  custodia  d'un  suo  fra- 
tello commissario  della  sanità,  la  casa  e  i!  fondaco  e  la  cassa,  tulio 
ben  fornito,  era  per  trovarsi  sola  e  trista  padrona  di  mollo  più  di 
quel  clic  le  bisognastìe  per  viver  comodamente,  voleva  tener  Lucia 
con  sé,  come  una  ligliuola  o  una  sorella.  Lucìa  aveva  aderito,  pensate 
con  die  gratilodine  per  lei,  e  per  la  Provideiiza;  ma  sollaiilo  fin  che 
potesse  aver  nuove  di  sua  madre,  e  sapere,  come  speraxa.  la  volontà 
di  essa.  Del  reslo,  riservala  com'era,  né  della  promessa  dello  sposa- 
lialo,  né  dell'altre  sue  avventure  straordinarie,  non  aveva  mai  detta 
una  parola.  Ma  ora,  in  un  così  gran  ribollimento  d'affetti,  aveva  al- 
ntcn  tanto  bisogno  di  sfogarsi,  quanto  l'altra  desiderio  di  sentire.  E, 
stretta  con  lutt'e  due  te  mani  la  destra  di  lei,  si  mise  subilo  a  sod- 
disfare alla  domanda,  senz'altro  rit^no,  che  quello  die  le  tacevano  i 
singhiozzi. 

Renzo  intanto  trottava  verso  il  quartiere  del  buon  frate.  Con  un  [to' 
di  studio,  e  non  senza  dover  rifare  qualche  pezzello  di  strada,  gli 
riusci  finalmente  d'arrivarci.  Trovò  la  capanna;  lui  non  ce  lo  trovò; 
ma,  ronzando  e  cercando  nel  contorno,  lo  ^ide  in  una  baracca,  die, 
piegalo  a  terra,  e  quasi  bocconi,  sla\'a  confortando  un  moribondo.  Si 
fermò  li,  aspellando  in  silenzio.  Poco  dopo,  lo  vide  chiuder  gli  ocdii 


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104  I  PR011E99I  BPOiSl 

a  quel  poverino,  poi  meltersi  in  ginocdiio,  far  oruiooe  un  inomenlo, 
e  alzarsi.  Allori  si  mosse,  e  gli  andò  incontro. 

«Oh!»  disse  il  frate,  vistolo  venire;  «ebbene?» 

"  La  c'è:  l' ho  trovala!  " 

«In  clic  slato?» 

«  Guarita,  o  almeno  levata.  « 

«Sia  ringrazialo  il  Signore!» 

uMa.  .  .  .»  disse  Renzo,  quando  gli  fu  vicino  da  poter  ]tarlar 
sottovoce:  «c'è  un  altro  imbroglio.  » 

u  Cosa  c'è?  1 

»  Voglio  dire  che...  Già  lei  Io  sa  come  è  Intona  quella  povera  gio- 
vine; ma  alle  volte  è  un  po'fts^  nelle  sue  idee.  Dopo  tanfe  promes- 
se, dopo  tulio  quello  clic  sa  anclie  lei,  ora  dice  che  non  mi  può 
sposare,  |ìerchè  dice,  cite  so  io?  che,  quella  notle  della  paura,  s'è 
scaldala  la  testa,  e  s'è,  come  a  dire,  volala  alla  Madonna.  Cose  senza 
costrutto,  n'è  vero?  Cose  buone,  chi  ha  la  scienza  e  il  fondamento 
(la  ferie,  ma  per  noi  gente  ordinaria,  die  non  sappiamo  bene  eooie 
si  devo»  fare n'è  vero  die  son  cose  die  non  valgono?  » 

u Dimmi:  è  mollo  lontana  di  qui?» 

«Oh  no:  pochi  passi  dì  là  dalla  chiesa.» 

"Aspettami  qui  un  momento,»  disse  il  frale:  «e  |>oi  d  onderemo 


u  Vuol  dire  che  lei  le  farà  intendere  ....  » 
"Non  so  nulla,  figliuolo;  bisogna  di'io  senta  Id.  » 
(•Capisco,"  disse  Renzo,  e  stette  con  gli  occhi  lissi  a  lerm,  e  con 
le  braeda  incrociate  sul  petto,  a  masticarsi  la  sua  incertezza,  rimasta 
ìnlera.  Il  frate  andò  di  nuovo  in  cerca  dt  quel  padre  Vittore,  lo  pregò 
di  supplire  ancora  per  lui,  entrò  nella  sua  capanna,  n'uscì  con  la 
sporta  in  braccio,  toiiiò  dii  Renzo,  gli  disse:  «andiamo;»  e  andò  in- 
nanzi, avviandosi  a  cpiella  lai  capanna,  dove,  qualdie  tempo  [irìma, 
erano  cnti'ati  insieme.  Questa  volta,  entrò  salo,  e  dopo  un  momento 
ricomparve,  e  disse:  «■  niente!  Preghiamo;  preghiamo.»  Poi  riprese: 
«  ora,  eonducimi  tu.  « 
E  senza  dir  altro,  s'avviarono. 

II  tompo  s'era  andato  sempre  più  rabbuiando,  e  aiinunziuta  or- 
mai certa  e  poco  lontana  la  burrasca.  De' lampi  filli  rompevano  l'o- 
scurilii  cresdula,  e  lumeggiavano  d'un  chiarore  istantaneo  i  lunghis- 
sìini   letti  e  gli  ardii  de'  portici ,  la  cii]>ola  della  cappella ,   i  bassi 


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CAPITOLO-  XXXVI.  iiM 

eoingnoU  delle  capanne;  e  i  tuoni  scoppiati  con  isd'epito  repentino , 
scorrevano  rumoi-cf^ìando  dall'una  atl'allra  regione  del  ciulo.  Andava 
innanzi  il  giovine,  attento  alla  strada,  con  nna  grand' impazienza 
d'arrivare,  e  rallentando  però  il  passo,  per  misurarlo  alle  forze  del 
compagno;  il  quale,  stanco  dalle  fatiche,  aggravato  dal  male,  oppresso 
dall'afa,  camminava  stentatamente,  alzando  ogni  tanto  a)  cielo  la  fae^ 
eia  smunta,  come  per  cercare  un  respiro  più  libero. 

'  Renzo,  quando  vide  la  capanna,  si  fermò,  si  voltò  indietro,  disse 
cMi  vóce  Iremante:  «è  qui.» 

Entrano...  "Eccoli!"  grida  la  donna  del  ielluccio.  Lucia  si  volta, 
s'alza  precipitosainenlc,  va  incontro  al  vecchio,  gridando:  u  oh  clii 
l'cdo  !  0  padre  Cristoforo  !  » 

«Ebbene,  Lucia!  da  quante  angustie  v'ha  liberala  il  SigncH'c!  Do- 
vete esser  ben  eontentd  d'aver  sempre  speralo  in  Lui.  n 

«Oh  si!  Ma  lei,  padre?  Povera  me,  come  e  cambiatol  Come  sia? 
dica:  come  sta?-) 

«Come  Dio  vuole,  e  come,  per  sua  grazia,  voglio  aneli' io," 
rispose,  con  rollo  sereno,  il  frale.  E,  tiratala  in  nn  canto,  soggiunse: 
«sentile:  io  non  posso  rimaner  qui  clie  pochi  momenti.  Siete  voi 
disposta  a  confidarvi  in  me,  come  altre  voltc?n 

«  Oh!  non  e  lei  sempre  il  mio  padre?» 

«Figliuola,  dunque;  cos'è  codesto  voto  clic  m'ha  dello  Renzo? n 

«E  un  voto  che  bo  fatto  alla  Madonna....  oh!  in  una  gran  tribo- 
lazione!... di  non  marilarmi.» 

«  Poverina  !  Ma  a\'e(e  pensalo  allora ,  eh'  eravate  legala  da  una 
promessa  7» 

«Trattandosi  del  Signore  e  della  IMadonna!...  non  ci  Ito  jKinsato." 

«Il  Signore,  Agliuohi,  gradisce  i  saigriffzi,  l'oflerle,  quando  le 
faoeianio  del  nostro.  È  il  cuore  die  vuole,  é  la  volonlùuma  voi  non 
potevate  offrirgli  la  vdonlà  d*  un  altroy  al  qn^  v'  pra\  ale  già  olUilr- 
gala.  » 

«Ho  fatto  male?» 

f' No,  poverina,  non  pensale  a  questo:  io  eredo  anzi  che  la  Ver- 
gine santa  avrà  gradila  l' intenzione  del  vostro  cuore  affililo,  e  l'avrò 
offerta  a  Dio  per  voi.  Ma  drienii;  non  vi  side  mai  consigliala  con 
nessuno  su  questa  cosa?» 

«  lo  nwi  pensavo  che  fosse  male,  da  dovermene  confessare:  e  quel 
poco  bene  die  si  può  fare,  si  sa  che  non  bisogna  racconlarlo.  » 


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TOfl  I  PROIIKSSI  SPOSI 

u  Non  avete  nessun  altro  motiio  che  vi  trattenga  dal  maolcncr 
Ja  proni(>ssa  die  avete  falla  a  Benso?  » 

«In  quanto  a  questo  ■...  per  me....  che  moUvo...?  Non  potrei  pro- 
prio dire...  ••  rispose  Lucia,  con  un'esitazione  clic  indicava  tuli' altro 
die  un'  inocrtezza  del  pensiero;  e  il  suo  viso  ancora  scolorilo  dalla 
malattia,  liori  luti' a  un  trailo  dd  più  vivo  rossore. 

uCrcik-Ie  voi.n  riprese  il  vecchio,  aUiassando  gli  ocdiì,  «die 
Dio  lia  dala-  alla  sua  Chiesa  l' autorità  di  rimettere  e  di  ritenere, 
seconilo  che  torni  in  maggior  bene,  i  debili  e  gli  iditHi^ii  che  gli 
nomini  possono  aver  contralti  con  Lui?» 

uSi,  cliv  lo  credo." 

••Ora  sappiate  die  noi,  deputali  alla  cura  dell' aniiuc  in  qu£slo 
luogo,  abbiamo,  |H!r  lutti  quelli  che  ricorrono  a  noi,' le  più  ampie 
facoltà  della  Chiesa;  e  die  per  conseguenza,  itf  pOsso,  quando  voi  lo 
diiediatc,  sciògliervi  dall' obbligo,  qualiuiquc  sia,  die  poniate  aver 
contratto  a  eagion  di  codesto  voto.  « 

<•  Ma  non  e  peccato  tornare  indietro,  pentirsi  d'una  promessa  (alta 
alla  Madonna?  Io  allora  l'ho  falla  pròprio  di  cuore...»  disse  LiM;ia; 
violenteiiit-nlc  agitala  fiali* assalto  d'una  t^e  inaspeUata,  bisogna  pur 
dire  speranza,  e  dall' insorgere  opposto  d'un  terrore  fortifìràla  da 
lutti  i  pensieri  die,  da  lanlo  tempo,  eran  la  prindpale  occupazione 
dell'  animo  suo. 

"Peccato,  Ogliuola?»  disse  il  padre:  «peccato  il  ricorrere  alla 
Chiesa,  e  diicderc  al  suo  ministro  che  facda  uso  dell'autorità  che  ha 
ricevuto  da  essa,  e  die  essa  ha  ricevuta  da  Dio?  Io  ho  veduto  ìii 
che  maniera  voi  due  side  stati  condotti  ad  unirvi;  e,  certo,  se  mai 
m' è  parso  die  due  fossero  unili  da  Dio,  voi  altri  eravate  qoelti:  ora 
non  vedo  perdié  Dio  v'  abbia  a  voler  separali.  E  lo  benedico  ebe 
m'abbia  dato,  indegno  come  sono,  il  potere  di  parlare  iu  suo  nome. 
e  di  rendervi  la  vostra  partda.  E  se  voi  mi  chiedete  eh'  io  vi  dichiari 
sciolta  da  codesto  volo,  io  non  esilerò  a  farlo;  e  dei>idero  anzi  dw 
me  lo  chiediate.  •> 

«Allora.,.!  allora...!  lo  diiedo;»  disse  Lueia,  con  UH  volto  non 
turbalo  più  die  di  pudore. 

Il  frate  chiamò  con  un  cenno  il  giovine,  il  quale  se  ne  stava  nd 
cantuccio  il  più  lontano,  guardando  (giaeebè  non  poteva  far  Mn) 
fisso  (isso  al  dialogo  in  cui  era  lanlo  interessalo;  e,  quando  quello 
fu  li,  disse,  a  voce  più  alta,  a  Lucia:  «  con  l'auttmlà  die  ho  dalik 


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CAPITOLO  XXXVL 


Gliiesa,  yi  (licbiara  leiuilla  dal  voto  di  vprt;inilii,  annullando  ciò  die 
d  potè  essere  d' ineonsiderato,  e  liberandovi  da  ogni  obbligandone 
chf  poteste  averiie  coiilratla.  " 


Pensi  il  Ivllere  chu  suono  faces».'i^>  ull'  oicccliio  dì  Renzo  liili 
parole.  Ringraziò  vivamente  con  gli  ocdii  colui  .che  le  aveta  profe- 
rite; e  cercò  subilo,  ma  invano,  quelli  di  Lucia. 

«Tornale,  con  sicuresea  e  con  (tace,  ai  pensieri  d'una  volta,  x 
segui  a. dirle  il  cappuccino:  «chiedete  di  nuovo  al  Signore  le  grazie 
cbe  Gli  chicilevalc,  per  essere  una  moglie  santa;  e  oonfìdaLe  die  ve 
le  coucederà  più  abbondanti,  dopo  tanti  guaì.  E  tu,"  disse,  voltao- 
dosi  a  Renzo,  «ricordali,  figliuolo,  die  se  la.  Chiesa  ti -rende  questa 
com))agna,  non  lo  fa  per  procurarli  una  consolazione  temporale  e 
mondana,  la  quale,  se  anche  potesse  essere  intera,  e  senza  mistura 
d'alcun  dispiacere,  dovrebbe  finire  in  un  gran  dolore,  al  momento 
dì  lasciarvi;  ma  lo  fa  per  avviarvi  luti' e  due  sulla  strada  della  eoU' 
solazione  che  non  a\rà  fìiie  Amatevi  come  compagni  di  viaggio,  oon 
questo  pensiero  d'avere  a  lasciarvi,  e  con  la  speranza  di  ritrovarvi 
per  sempre.  Ringraziale  il  cÌdo  clic  v'  ha  condotti  a  questo  filalo,  non 
per  mezzo  dell'  allegrezze  turbolente  e  passeggicre ,  ma  co'  tramagli 


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TOa  ■  PltOUESSI  SPOSI 

e  tra  le  miserie,  per  disporvi  a  una  aUegrexxa  raccolU  e  tiwaqnilla. 
Se  Dio  vi  concede  figliuoli,  abbiale  in  mira  4'aUevtrli  per'  Lui, 
d'istillar  toro  l'amore  di  Lui  e  di  (ulti  gli  uomini;  e  allora  li  gui- 
derete bene  in  tulio  il  resto.  Lucia!  v'ha  dello,»  e  accennava  Ren- 
zo, adii  lia  visto  qui?" 

«  Oli  padre,  me  l' lia  detto!  » 

«  Voi  pregherete  per  lui  !  Non  ve  ne  stancale.  E  anclie  per  me 
preghercle!...  Figliuoli!  voglio  che  abbiale  un  ricordo  del  povero 
frate.  »  E  qui  levò  dalla  sporta  una  scatola  d'  un  l^no  ordinario, 
ma  tornila  e  lustrala  con  una  certa  finitezza  cappuccinesca;  e  pro- 
seguì: «qui  dentro,  c'è  il  reslo  di  quel  pane...  il  primo  che  bo 
chiesto  per  carila;  quel  pane,  di  cui  avete  sentito  parlare!  Lo  la.«ci« 


a  voi  altri:  sei'butdo;  fatelo  \cdere  ai  vostri  ligliuoli.  Verranno  in 
un  tristo  HMnido,  e  in  tristi  tempi,  in  mezzo  a' su)>erbi  e  a' provoca* 
lori:  dite  loro  die  perdonino  sèmpre,  seniprel  lutto,  tutto!  e  che 
preghino,  anclie  loro,  per  il  povero  frate!" 

E  porse  la  scatola  a  Lucia,  che  la  prese  con  rispetto,  come  si 
furd>be  d'una  reliquia.  Poi,  con  voce  più  tranquilla,  riprese:  «ora 
ditemi;  dtc  appoggi  avete  qui  in  Milano?  Dove  pensate  d'andare  a 
alloggiare,  appena  uscita  di  qui?  E  chi  vi  eondurrà  da  vostra  madi'c, 
che  Dio  voglia  aver  conservala  in  salute?» 

«Questa  buona  signora  mi  la  lei  intanto  da  madre:  noi  dae  usci- 
remo  di  qui  insieme,  e  poi  essa  penserà  a  lutlo.  » 

«Dio  la  benedica,'!  disse  il  fi-ale,  accostandosi  al  lettiiecio. 


Digitizf^riiiyGoOgle 


CAPITOLO  XXXVI.  TO» 

«La  Hilgraaio  aiMAi'io,»  disse  la  vétlova,  «ddfa  consolazione 
die  h»  data  a  queste  povere  crealure;  sebbene  io  avessi  fatto  coqIo 
di  tenerla  sempre  con  me,  questa  cara  Lticìa.  Ma  la  terrò  intanto; 
l'aceompagnerò  io  al  suo  paese,  la  consegnerò  a  sua  madre;  e,»  sog- 
giunse, poi  sottovoce,  «  voglio- furie  io  il  corredo.  N'ho  troppa  delia- 
ròba;  e  dì  quelli  die  dovevan  goderla  con  me,  non  ho  più  nes* 
suno! "         "  ■     " 

uCusi.n  rispose  il  frale,  ulei  può  fare  un  gran  sacrifizio  al  Si- 
gnore, e  del  bene  al  prossimo.  Non-  le  raccomando  questa  giovine: 
già  vedo  che  è  cottic  sua:  non  e'  è  che  da  lodare  il  Signore,  jI  quale 
sa  moslrursi  pdre  anche  ne'  flagelli,  e  che,  col  farle  trovare  insie- 
me ,  ha  dato  un  cosi  ctmro  segno  d"  amore  all'  uno  e  all'  altra.  Or* 
sn,n  riprese  poi,  voltandosi  a  Rento,  e  prendendolo  pw  una  mano: 
"nor'due  non  abbinm  pia  nulla  da  he  qui-,  e  ci  siamo  slati  anote 
troppo.  Andiamo.  " 

«Oh  padre!»  disse  Lucia:  «la  vedrò  ancora?  lo  sono  guarita,  io 
die- non  fo  nulla  di  bene  a  questo  móndo;  e  lei...!» 

vÉ  già  mollo  tempo,»  rispose  con  tono  serio  e  dolce  il  vecchio, 
"die  chiedo  al  Signore  Una  grazia,  e  ben  grande:  di  Unire  i  mìei 
giorni  MI  servizio  elei  prossimo.  Se  me  la  volesse  ora  concedere,' 
ho  bisogno  che  tutti  quelli  die  hanno  carità  per  me,  m'aiutino  a 
ringraziarlo.  Via;  date  a  Renzo  le  vostre  commissioni  per  vostrs 
madre.  " 

»  Raccontatele  quel  clie  iivete  veduto,"  disse  Lucia  al  promesso 
sposo:  «  che  bo  trovata  qui  un'altra  madre,  che  verrò  con  questa  più 
presto  clic  potrò,  e  che  spero,  spero  di  trovarla  sana.  « 

ttSe  avete  bisogno  di  danari,»  disse  Renzo,  «ho  qui  lutti  quelli 
die  m'avete  manduli,  e...» 

"No,  no,»  interruppe  la  vedova;  une  ho  io  anche  troppi.» 

»  Andiamo,  »  replicò  il  frale. 

1  A  rìvederd,  Lucìa...!  e  anche  lei,  dunque,  quella  buona  si- 
gnora, n  disse  Renzo,  non  trovando  parole  die  significassero  quello 
che  sentiva. 

"  Chi  sa  che  II  Signore  ci  faccia  la  grazia  di  rivederd  ancora 
lutti!»  esdamò  Lucia. 

"Sia  Egli  sempre  con  voi,  e  vi  benedica,»  disse  alle  due  com- 
pagne fra  Gristofor«;  e  uscì  con  Renzo  datla  cap'ànna. 

Mancava  poco  alla  sera,  e  il  tempo  pareva  sempre  più  vicino  a 


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Ila  I  PR0UeS8l  SPOSI 

risolversi.  Il  capputxino  esilù  di  nuovo  al  giovine  di  ricoverarìo  per 
quella  notte  nella  sua  baracca.  «Compagnia,  non  le  ne  potrò  fare,- 
togKiiinse  :  <■  ma  avrai  da  slare  al  eopcrlo.  » 

Renzo  però  sì  sentiva  una  smania  d'andare;  e  non  si  curava  di- 
rimaner  più  a  lungo  in  un  luogo  simile,  quando  non  poteva  prolìt- 
larne  per  veder  Lucia,  e  noa  avrel^  neppur  potuto  starsene  un 
po'  eol'biion  frale.  In  quanto  all'ora  e  al  tempo,  si  può  dire  che. 
natie  e  giorno,  sole  e  pioggia,  zelìiro  e  tramontano^  eraii  lutt' uno 
per  lui  in  quel  moinenlo.  Ringraziò  dunque  il  frale,  dicendo  che 
voleva  andar  più  presto  clic  fosse  possibile  in  cerca  d'  Agnese, 

Quando  furono  nella  strada  dì  mezzo,  il  frate  gli  strinse  la  mano, 
e  disse:  »  se  la  trovi,  che  Dìo  voglia!  quella  buona  Agnese,  salutala 
anello  in  mio  nome;  e  a  lei,  e  a  tutti  quelli  die  rimangono,  e  si 
ricordano  di  fra  Cristororo,  di'  che  preghin  per  lui.  Dio  l' accom- 
|)agni,  e  li  benedica  per  sempre,  n 

"Oh  caro  padre...!  ci  rivedremo?  ci  rivedremo?" 

«Lassù,  spero.»  E  con  queste  parole,  sì  slaccò  da  Renzo;  il 
quale,  stalo  lì  a  guardarlo  fm  che  non  l'ebbe  perso  di  visltt,  prese 
in  fretta  verso  la  porla,  dando  a  destra  e  a  sinistra  l'ultime  oc- 
chiate di  compas»one  a  quel  luogo  di  dolori.  C'era  un  movimento 
straordinario,  un  eorrer  di  monatti,  un  trasportar  di. roba,  un  acco- 
modar le  tende  delle  baracche,  uno  strascicarsi  di  cenvì^lescenti  a 
queste  e  ai  portici,  per  ripararsi  dulia  burrasca  imminente.    . 


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CAPITOr,0  XXXVII. 


pena  infalli  ebbe   Raizo   possala 
la  soglia  avi  ìazzvrvUo,  e  pri-so  a 
dìriUa,  per  ritrovar  la  viotlula  di 
dov'era  sboccalo  la  niallina  sollo 
ÌK    niiii'a ,    principiò    come   una 
grandine  di  goeeioloni  radi  e  ini- 
pi'tuosi,  elle,  ballendo  e  riso'- 
(andò  sulla  strada  bianca  e  arida, 
sollevavano  un  mimilo  polverìo; 
in  ui)  momeiiio,  divenlaron  filli; 
e  prima  che  arrivasse  alla  viollo- 
)a,  la  veniva  giù  a  seeehie.  Renzo, 
in  vece  d' inquietarsene,  ei  sguaz- 
zava dentro,  se  la  godeva  in  quella   rinfrescala,  in  quel  susurrio,  in 
quei  brulicliio  dell'erbe  e  delle   Ti^lte,  tremolanti,  gocciolanti,  rin- 
verdite,  lustre;  metteva  certi   l'espironi  talchi  e  pieni;  e   in   quel 
risolvìmenlo  della  natura  sentiva  come  più  liberamente  e  più  viva- 
mente quello  che  s'era  Tatto  nel  suo  destino. 


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I  PHOMRSFI  !IPOSI 


Ma  quanto  più  sctiielto  e  iiilero  sarebbe  sialo  questo  sentiuiaito, 
se  Renzo  avesse  potuto  indovinare  quel  die  si  ^idc  poclii  giorni 
dopo:  die  quell'acqua  portava  via  il  rontagio;  che,  dopo  quella,  il 
lazzeretto,  se  non  era  per  restituire  ai  viventi  tulli  i  viventi  die 
conteneva,  almeno  non  n'avrebbe  più 'ingoiali  nitri;  che,  Ira  un:i 
sellimana,  sì  vedrebbero  riaperti  usci  e  bollcglie,  non  si  parlerebbe 
quasi  più  die  di  quaranlriia;  e  ddla  peste  non  rimarrebbe  se  non 
qualdie  resticciolo  qua  e  là;  quello  strascico  che  un  tal  flagdlo 
lasciava  sempre  dietro  a  sé  per  qualche  tempo. 

Andava  dunque  il  nostro  viaggiatore  allegramente,  senza  aver 
disegnato  né  dove,  né  conje,  né  quando,  né  se  avesse  da  fermarsi 
la  notte,  premuroso  soltanto  di  portarsi  avanti,  d'arrivar  presto  al 
suo  paese,  dì  trovar  con  diì  parlare,  a  chi  raccontare,  soprattutto  di 
poter  presto  rimettersi  in  cammino  per  Pasturo,  in  cerca  d'  Agnese. 
Andava,  con  la  mente  tutta  sottosopra  dalle  cose  di  quel  giorno;  ma 
di  sotto  le  miserie,  gli  orrori,  ì  perìcoli,  veniva  sempre  a  galla  un 
pensierino:  l'ho  trovata;  è  guarita;  è  mia!  E  allora  faceva  uno  gam- 
betto, e  con  ciò  dava  un'  annafllata  all'  intorno,  come  un  can  barbone 


i  ' 

I  ! 


uscito  dall'acqua;  qualche  volta  si  eoiitcnfava  d' una  fregatina  ih' 
mani;  e  a^'anli,  con  più  ardore  di  prima.  Guardando  per  la  sli-ada, 
raccattava,  per  dir  cosi,  i  pensieri,  die  cì  aveva  lasciati  la  iQatlina  e 


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CAPITOLO  XXXVII.  Tis 

il  giorno  avanti,  nel  veniret  «  con  più  piacere  quelli  appunto  die 
allora  aveva  pia  cercato  di  scacciare,  i  dubbi,  le  difficolti,  trovarla, 
trovarla  vìva,  tra  tanti  morii  e  moribondi!  —  E  l'ho  trovata  vi- 
va! — ■  concludeva.  Si  rimetteva  col  pensiero  nelle  circostanze  più 
terribili  dì'  quella  giuTiala;  si  figurava  con  quel  martello  in  mano: 
<à  sarà  o  non  ci  sarà?  e  una  risposta  cosi  poco  allegra;  e  mm 
aver  nemmeno  il  tempo  di  masticarla,  che  addosso  quella  furia  di 
Tnttlti  birboni;  e  quel  lazzeretto,  quel  mare!  lì  ti  volevo  a  Iro^ 
varia!  E  averla  trovala!  Ritornava  sa  quel  momenlo  quando  fu 
finita  di  passare  la  processione  de'  convalescenli :  che  momento!  clie 
crepacore  non  trovarcela!  e  ora  non  gliene  importava  più  nulla.  E 
qud  quartiere  delle  donne!  E  là  dietro  a  quella  capanna,  quando 
meno  s«  l'aspettava,  quella  voce,  quella  voce  proprio!  E  vederla, 
vederla  levala!  Ma  ehe?  c'era  ancora  quel  nodo  del  voto,  e  più 
stretto  che  mai.  Sciollo  anche  questo.  E  quell'odio  contro  don  Ro- 
drigo, quel  rodio  continuo  che  esacerbava  tutti  ì  guai,  e  avvele* 
nava  tutte  le  consolazioni,  scomparso  anche  quello.  Talmentediè  non 
saprei  immaginare  una  contentezza  più  viva,  se  non  fosse  stola  l' in- 
certezza intorno  ad  Agnese,  il  tristo  presentimento  intorno  al  padre 
Cristoforo,  e  quel  trovarsi  ancora  in  mezzo  a  una  peste. 

Arrivò  a  Sesto,  sulla  sera;  né  pareva  che  l'acqua  volesse  cessare. 
Ma,  sentendosi  più  in  gambe  che  mai,  e  con  tante  difficoltà  di  trovar 
dove  alloggiare,  e  «^osì  inzuppato',  non  ci  pensò  neppure.  La  sola 
cosa  che  l'incomodasse,  era  un  grand' appetito;  che  una  consolazione 
come  quella  gli  avreU>e  fatto  smaltire  altro  che  la  poca  minestra 
del  cappuedno.  Guardò  se  trovasse  anche  qui  una  bottega  di  for- 
naio; né  vide  una;  ebbe  due  pani  con  le  molle,  e  con  quell'altre 
cerimonie.  Uno  in  lasea  e  l' altro  alla  bocca,  e  avanti. 

Quando  passò  pei-  IMoiiza,  era  notte  fatta:  nonostante,  gli  riuscì 
(fi  trovar  la  porta  che  metteva  sulla  strada  giusta.  Ma  meno  questo, 
die,  per  dir  la  verità,  era  un  gran  mento,  potete  immaginarvi  come 
fosse  quella  strada,  e  come  andasse  facendosi  di  momento  in  momen- 
lo. Affondata  (com'eran  tulle;  e  dobbiamo  averlo  detto  altrove)  tra 
due  rive,  quasi  un  letto  di  fiume,  si  sarebbe  aquell'ora  potuta  dire, 
se  non  un  fiume,  una  gora  davvero;  e  ogni  tanto  pozze,  da  volerà 
dd  buono  e  del  bello  a  levarne  i  predi,  non  die  le  scarpe.'  Ma 
fiéhzo  n'usciva  come  poteva,  senz'alti  d'impazienza,  senza  parolacce, 
'senza  pentimenti;  pensando  che  ogni  passo,  per  quanto  costasse,  lo 


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Il»  I  KOMBSSI  SPOSI 

conduceva  avanlt,  e  die  I'  acqua  cesserebbe  quando  a  Dio  piacesse, 
e  clie,  a  suo  tempo,  spunterebbe  il  giorno,  e  die  la  strada  che  bceva 
intanto ,  allora  sarebbe  folla. 

E  dirò  anche  che  non  ci  pensava  se  non  proprio  quando  non  po- 
teva far  di  meno.  Eran  distratiÓDl  queste;  il  gran  lavoro  della  sua 
mente  ev»  di  riandare  la  storia  di  que"  tristi  anni  passali:  tant' im- 
brogli, tante  traversie,  tanti  momeoli  in  cui  era  slato  per  perdere 
anche  la  speranza,  e  fare  andata  ogni  cosa;  e  di  conU^pporci  riiD* 
maginasioni  d'un  avvenire  cosi  diverso:  e  l'arrivar  di  Lucia,  e  le 
nozze,  e  il  metter  su  casa,  e  il  raccootargi  le  vicende  passale,  e 
tutta  la  vita. 

Come  la  facesse  quando  trovava  due  strade;  se  quella  poca  pra- 
tica, con  quel  poco  barlume,  fossero^udli  che  l' aiutassero  a  trovar 
sempre  la  buon»,  o  se  l'indovinasse  sempre  alla  ventura,  non  ve  lo 
saprei  dire;  cbè  lui  medesimo,  il  quale  soleva  raccontar  la  sua 
storia  molto  per  minuto ,  lunghettamente  anzi  che  no  (  e  lutto  con- 
duce a  credere  che  il  nostra  anonimo  l'  avesse  sentila  da  lui  più 
d'una  volta),  lui  medesimo,  a  questo  punto,  diceva  che,  di  quella 
notte j  non  se  ne  rammentava  che  come  se  l' aiesse  passala  ia  letto 
a  sognare.  Il  fatto  sfa  che,  sul  Unir  .di  essa,  si  trovò  alla  riva 
ddl'Àdda. 

-  Non  era  mai  spiovuto;  ma,  a  un  certo  tempo,  da  diluvio  era 
diventata  pioggia,  e  poi  un'acquerugiola  (ine  Une,  cheta  cheta,  ugual 
uguale:  i  nuvoli  alti  e  radi  stendevano  un  velo  non  interrotto,  ma 
leggiero  e  diafano;  e  il  lume  del  crepuscolo  fece  vedere  a  Renzo  il 
paese  d'intorno.  C'era  dentro  il  suo;  e  quel  die  sentì,  a  quella 
viste,  non  si  saprebbe  spiegare.  Altro  non  vi  so , dire,  se  oon  die 
que'  monti,  qud  Retegone  vidno,  il  territorio  dì  Leeco,  era  diven^- 
lato  lutto  come  roba  sua.  Diede  un'occhiata  anche  a  sé,  e  si  trovò 
un  po' strano,  quale,  per  dir  la  verità,  da  qud  die  si  sentiva,  s'ira- 
inaginava  già  di  dover  parere:  sciupala  e  attaccala  addosso  ognieosa: 
dalla  lesta  alla  vita,  tutto  un  fradiciume,  una  grondaia;  dalla  vita  alla 
punta  de'  piedi,  mellelta  e  mola  :  le  parli  dove  non  ce  ne  fosse  si  sa- 
rebbero potute  cbiamare  esse  zacchere  e  scbizzi.  E  se  si  fosse  visto 
tutl'inlero  in  uno  specchio,  con  la  tesa  del  cappello  Qosda  e  cascante, 
e  i  capelli  slesi  e  incollati  sul  viso,  si  sareU>e  fallo  ancor  più  spede; 
In  quanto  a  stanco,  lo  poteva  essere,  ma  non  ne  sapeva  nulla:  e  il 
frescolino  deH'alba  aggiunto  a  quello  ddla  iiollee  di  quel    poco 


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CAPITOLO  XXXVII.  TU 

bagno,  non  gli  dava  sHea  die  una  fierezza,  una  toglia  di  camminar 
più  presto. 

^  È  a  Pescate;  costeggia  qaeil'  ultima  tratto  dell'  Adda,  dando  però 
ao'ocdiiata  maliocoaica  a  Pescarenico;  passa  il  ponte;  per  istrade  e 
campi,  arriva  in  un  momento  alla  casa  deil'  ospite  amico.  Questo , 
che  s'era  levato  allwa,  e  stava  suH'  uscio,  a  guardare  il  tempo, 
aiiò  gli  ecebi  a  qudla  figura  così  inzuppata,,  cosi  infangata,  diciam 
pure  così  lercia-,  e  insieme  cosi  viva  e  di^nvolta:  a'  sboi  gionii  non 
aveva  visto  un  uomo  peggio  concialo  e  più  contento. 

■  Ohe!»  disse:  «già  qui?  e  con  questo  tempo?  Com'è  andata?» 

uLaò'è,»  disse  Renzo:  u la  c'è:  la  c'è.  " 


uSaoa?» 

"  Guarita,  che  è  meglio.  Devo  ringraware  il  Signore  e  la  Madonna 
fin  cbe  campo.  Ma  cose  grandi,  cose  dì  fuoco:  U  racconterò  poi 
lotto.» 

M  Ma  come  sei  conciato  1  « 

-SonbeUoeh?» 

«A  dir  la  verità,  potresti  adoprare  il  da  tanto  in  su,  per  lavare 
il  da  Unto  in  giù.  Ma,  aspetta,  aspetta;  che  ti  taccia  un  buon 
fuoco.  » 

••  Non  dico  di  do.  Sai  dove  la  m'ha  preso?  proprio  alla  por(a  d«l 
tazKretto.  Ma  niente!  il  tempo  il  suo  mestiere,  e  io  il  mio.  » 


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Ila.  I  PROMESSI  SMSI 

L'amico  andà  e  toniò  eoo  due  bracciate  di  stipa:  ne  mise  uoa  in 
terra,  1'  altra  sul  focolare,  e,  con  uo  po'  di  brace  rimasta  della  sera 
avaali ,  fece  presto  tuia  bella  fiammata.  Renio  iolaolo  s' era  levalo  il 
cappello,  e,  di^o  averlo  scosso  due  o  Ire  volle,  l'aveva  buttalo  in 
terra:  e,  non  cosi  facilmente,  s'era  tiralo  via  anche  il  brsello.  Levò 
pfM  dal  tasduno  de'  calzoni  il  coltello,  col  fodero  tutto  fradicio,  die 
pareva  stato  in  molle;  lo  mise  su  un  panchetto,  e  disse:  «  andte  co- 
stui è  accomodato  a  dovere;  ma  l'è  acqua!  l'è  acqualsla  rìngraxitio 
■1  Signore....  Sono  stato  lì  lì....! Ti  dirò  poi.»  E  si  fregava  le  mani. 
«  Ora  &mmi  un  altro  piacere,  «  soggiunse:  «  quel  bgotlino  die  ho 
lasdato  su  in  camera,  va  a  preodermdo,  che  prinia  die  s'asciughi 
questa  roba  che  ho  addosso  ....!» 

Tornato  col  fagotto,  l'amico  disse:  «  penso  che  avrai  anche  ap- 
petito: capisco  die  da  bere,  per  la  strada,  non  te  ne  sarà  mancalo; 
ma  da  mangiare » 

1  Ho  trovato  da  comprar  due  pani,  ieri  sul  tan^;  ma,  per  dir  la 
vciìtà,  non  m'  hanno  toccalo  un  dente.  » 

•<  Lascia  fare,  >•  disse  l'amico;  mise  l'acqua  in  un  paiolo,  che 
atlaccó  poi  alla  catena;  e  soggiunse:  «  vado  a  mungere:  quando  tor- 
nerò col  latte,  l'acqua  sarà  all'ordine;  e  si  fa  una  buona  polenta. 
Tu  intanto  fa  il  tuo  comodo.  » 

Renzo,  rimasto  solo,  si  levò,  non  senza  fatica,  il  resto  de'  panni, 
die  gli  s'eraii  come  appiccicati  addosso;  s'  asciugò,  si  rivesti  da  capo 
a  piedi.' L' amico  tornò,  e  andò  al  suo  paiolo:  Renzo  intanto  si  mise 
a  sedere,  aspettando 

«  Ora  sento  che  sono  stanco.»  disse:  »  ma  è  una  bdla  tirala! 
Però  questo  è  nulla.  Ne  ho  da  raccontartene  per  tutta  la  giornata. 
Com'è  conciato  Milano!  Le  cose  clic  bisogna  vedere  !  "Le  cose  die 
Insogna  toccare!  Cose  da  forsi  poi  schifo  a  sé  medesimo.  Sto  per  dire 
cbe  non  ci  voleva  meno  di  quel  bucatino  die  Ik>  avuto*  E  qud  cfae 
m'hanno  voluto  fare  quc' signori  di  laggiù!  Sentirai.  Ma  se  tu  ve- 
dessi il  lazzeretto!  C'è  da  perdersi  nelle  miserie. BasU ;  ti  raeeonleró 
tutto ....  E  la  e'  è,  e  la  verrà  qui,  e  sarà  mia  moglie;  e  tu  devi  hr 
da  testimonio,  e,  péste  o  non  peste,  almeno  qualche  ore,  voglio  dw 
stiamo  allegri.  « 

Del  resto  mantenne  ciò,  che  aveva  detto  all'amico,  di  voler  rae- 
conlai^liene  per  tutta  la  gìornala;  tanto  più,  die,  avendo  sempre  con- 
tinuato a  piovigginare,  questo  la  pasèò  tutta  in  casa,  parte  sedato 


I  I 


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CAPITOLO  XXXVir.  TU 

accaiilo  all'amico,  |>ar(«  in  faccende  inlorno  a  un  suo  |>iccolo  tino, 
«  a  una  bollicina,  e  ud  ailrì  Javorì,  in  preparasione  della  vendem- 
mia; ne'  quali  Renzo  non  lasciò  di  dargli  una  mano;  che,  come 
soleva  dire,  era  di  quelli  clie  si  slancaoo  più  a  star  senza  far  nulla, 
cbe  a  lavorare.  Non  potè  però  tenersi  di  non  fare  una  scappatina 
alla  casa  d'  Agnese,  per  rivedere  una  certa  finestra,  e  per  dare  an- 
clie  li  una  fregatina  di  mani.  Tornò  senza  essere  slato  vÌ!>lo  da  nes- 
suno;  e  andò  subilo  a  letto.  S'alzò  prima  die  facesse  giorno;  e,  ve- 
dendo  cessala  l'acqua,  se  non  ritornalo  il  sereno,  si  mise  in  cammino 
(ter  Pasturo. 

Era  ancor  presto  quando  ci  arrivò:  cliè  non  aveva  mena  fretta  e 
v<^lia  di  finire,  di  quel  die  possa  averne  il  lettore.  Cercò  d'Agnese; 
««iti  che  slava  bene ,  e  gli  fu  insegnata  una  casuccia  isolala  dove 
abitala.  Ci  andò;  la  chiamò  dalla  strada:  a  una  tal  voce,  essa  s'afTac- 
dò  di  eorsa  alla  finestra;  e,  mentre  slava  a  bocea  aperta  per  mandar 


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Tlt  I  PBOIIBS8I  SPOSI 

fuori  non  so  die  parola,  non  so  «be  suono,  Remo  la  prÉveniM  di* 
eendo:  <•  Lucia  è  guarita:  1'  bo  veduta  ierìaltro;  vi  saluta;  verrà  pre- 
sto. E  poi  ne  bo,  ne  ho  delle  cose  da  dirvi.  ■ 

Tra  la  sorpresa  dell'  apparizione,  e  la  conlentezza  della  notizia,  e  la 
smania  di  saperne  dì  più,  Agnese  cominciava  ora  un' esclamaiàone, 
ora  una  domanda,  senza  fluir  nnlla:  poi,  dimenticando  le  preeaoironi 
ch'era  solita  a  prendere  da  molto  tempo,  disse:  «  vengo  adaprirvL» 

«  Aspettate:  e  la  peste?  »  disse  Renzo:  •■  voi  non  l'avete  avula, 
eredo.  • 

••  Io  no:  e  voi?  •• 

«  Io  si;  ma  voi  dunque  dovete  aver  giudizio.  Vengo  da  Milano; 
e,  sentirete,  sono  proprio  stalo  nel  contagio  fino  agli  occhi.  E  vero 
che  mi  son  mutalo  tutto  da  eapo  a  piedi;  ma  l' è  una  porcherìa  che 
i  attacca  alle  vidte  come  tin  nudefizìo.  E  giacché  il  Signore  V  ha 
preservata  finora,  voglio  che  stiate  riguardala  fin  che  non  è  loìto 
quest'influsso;  perchè  siete  la  nostra  mamma:  e  voglio  dte campiamo 
insieme  un  bel  pezzo  allegramente,  a  conto  del  gran  patire  che  ab- 
biam  fotto,  almeno  io,  » 

«  Ma ....  n  cominciava  Agnese. 

«  Eb!  »  interruppe  Renzo:  «  non  e'  è  ma  che  tenga.  So  quel  che 
volete  dire;  ma  sentirete,  sentirete,  che  de'  ma  non  ce  n'  è  più.  Au- 
diamo in  qualche  luogo  all'aperto,  dove  sì  possa  parlar  con  comodo, 
senza  pericolo;  e  sentirete.  » 

Agnese  gl'indico  un  orlo  ch'era  dietro  alla  casa;  e  soggiùnse: 
«  entrate  li,  e  vedrete  che  c'è  due  panche,  l'una  in  foccia  all'  altra, 
che  paion  messe  apposta,  lo  vengo  subito.  " 

Renzo  andò  a  mettersi  a  sedere  sur  una:  un  momento  dopo, 
Agnese  sì  trovò  li  sull'  altra:  e  Bon  certo  che,  se  il  lettore,  informato 
come  è  delle  cose  antecedenti ,  avesse  potuto  trovarn  li  io  terzo,  a 
veder  con  gli  occhi  quella  conversazione  così  animata,  a  sentir  con  gli 
orecchi  que'  racoonti,  qudle  domande,  quelle  spiegazioni,  quelfesda- 
mare,  qud  condolersi,  quel  rallegrarsi,  e  don  Rodrigo,  e  il  padre 
Cristoforo,  e  tutto  ÌI  resto,  e  quelle  descrizioni  dell' avvenire  ^  dùare 
e  positive  come  quelle  del  passato,  son  certA,  dico,  che  ci  avrdbe 
preso  gusto,  e  sarebbe  stato  1'  ultimo  a  venir  via.  Ma  d'  averta  sulla 
carta  tutta  quella  conversazione,  con  parole  mute,  fatte  d'incbioalro, 
e  senza  trovare»  un  solo  fatto  nuovo,  son  di  parere  cbe  non  se  ne 
curi  molto,  e  che  gli  piaccia  più  d'indovinaria  da  sé.  La  oondusioDe 


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CAPITOLO  XXXVII.  ii§ 

fu  cbe  s' anderebbe  a  metter  su  casa  tutti  insinne  Ja  quel  paese  del 
bei^masco  dove  Renzo  aveva  già  un  buon  avviamento  :  in  quanto 
al  tempo,  Don  si  poteva  decider  nulla,  perehè  dipendeva  dalla  peste, 
e  da  aftre  drcostanee:  appena  cessalo  il  perìcolo,  Agnese  tornerebbe 
a  casa,  ad  aspettarvi  Lucia,  o  Lum  ve  l'aspetterebbe:  intanto  Renzo 
fareUte  spesso  qualebe  allra  corsa  a  Pasturo,  a  veder  la  sua  maib- 
ma^  e  a  tenerla  informata  di  quel  cbe  potesse  accadere. 

Prima  di  partire,  offrì  anche  a  lei  danari,  dicendo:  «gli  bo  qui 
tutti,  vedete,  que'  lalì:  avevo  fatto  voto  anch'io  di  non  toccarli,  fin 
che  la  cosa  non  fosse  venuta  in  chiaro.  Ora,  se  n'  avete  bisognò, 
portate  qui  una  scodella  d'acqua  e  aceto;  vi  butto  dentro  !  cinquanta 
scodi  belli  e  lampanti.  » 

«  No,  no,  »  disse  Agnese:  u  ne  lio  ancora  più  del  bisogno  per  me: 
i  vostrì,  serbateli,  che  saran  buòni  per  metter  su  casa.  « 

Renzo  tornò  al  paese  con  questa  consolazione  di  più  d'  aver  tro- 
vata sana  e  salva  una  persona  tanto  cara.  Stette  il  rimanente  di 
quella  giornata,  e  la  notte,  in  casa  dell'amico;  il  giorno  dopo,  ili 
viaggio  di  nuovo,  ma  da  un'altra  parte,  cioè  verso  il  paese  adottivo. 

Trovò  Bortolo,  in  buona  salute  anche  lui,  e  in  minor  timore  dì 


perderla;  che,  in  que"  pochi  giorni,  le  cose,  anche  lì,  avevaa  preso 
rapidamente  una  bonissima  piega.  Pochi  eran  quelli  che  s'amma- 
lavano;  e  il  male  non  era  più  quello;  non  [mù  que'  lividi  mortali. 


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T90  I  PRoitEssi  sro^i 

né  quella  violenza  di  sLilomi;  ma  febbrìciallole ,  intenniUeoti  la 
maggior  parie,  con  al  più  qualclie  picco!  bubbone  seolorilo,  die  si 
curava  come  un  fìgnolo  ordinario.  Giù  1'  aspello  del  paese  compariva 
mutato;  i  rimasti  vivi  cominciavano  a  uscir  Tuori,  a  contarsi  tra 
loro,  a  farsi  a  \'icenda  condoglianze  e  congratulazioni.  Si  parlava  già 
di  ravviare  i  lavori  :  ì  padroni  pensavano  già  a  cercare  e  a  eapar- 
rare  operai,  e  in  quell'arti  principalmente  dove  il  numero  n'era 
slato  scarso  anche  prima  del  contagio,  com'era  quella  ddla  seta. 
Renzo,  senza  fare  il  lezioso,  promise  (salve  però  le  debite  approva- 
zioni )  al  cugino  di  rimettersi  al  lavoro,  quando  verrebbe  accompa- 
gnalo, a  stabilirsi  in  paese.  S'occupò  intanto  de'  preparativi  piti 
necessari:  trovò  una  casa  più  grande;  cosa  divenula  pur  troppo 
facile  e  poco  costosa;  e  la  forni  di  mobìli  e  d'attrezzi,  intaccando 
questa  volta  il  tesoro,  ma  senza  farci  un  gran  buco,  che  tutto  era  a 
buon  mercato,  essendoci  molta  più  roba  che  gente  che  la  eomprassero. 

Dopo  non  so  quanti  giorni,  ritornò  al  paese  nativo,  che  trovò 
ancor  più  notabilmente  cambiato  in  bene.  Trottò  subito  a  Pasturo; 
trovò  Agnese  rincoraggila  affatto,  e  disposta  a. ritornare  a  casa  quando 
si  fosse;  di  maniera  ehe  ce  la  condusse  lui  :  dì  diremo  quali  fossero 
i  loro  sentimenti,  quali  le  parole,  al  rivedere  insieme  que'  luoghi. 

Agnese  trovò  ogni  cosa  come  l'aveva  lasciata.  Sicché  non  potè  far 
a  meno  di  non  dire  che,  questa  volta,  trattandosi  d'una  povera 
vedova  e  d'  una  povera  fanciulla,  avcvan  fatto  la  guardia  gli  angioli. 
«E  l'altra  volta,»  soggiungeva,  «clic  si  sarebbe  creduto  che  il 
Signore  guardasse  altrove,  e  non  pensasse  a  noi,  -giacché  lasciava 
portar  via  il  povero  fatto  nostro;  ecco  che  ha  fatto  vedere  il  con- 
trario, perchè  m'ha  mandato  da  un'altra  parte  di  bei  danari,  con 
cui  ho  potuto  rimellere  ogni  cosa.  Dico  ogni  cosa,  e  non  dico  bene; 
perché  il  corredo  di  Lucia  che  coloro  avevan  portalo  via  beli' e 
nuovo,  insieme  col  resto,  quello  mancava  ancora;  ma  ecco  che  ora  ci 
viene  da  un'altra  parie.  Chi  m'avesse  detto,  quando  Ìo  m'arrapi- 
navo tanto  a  allestir  quell'altro:  lu  credi  di  lavorar  per  Lucia:  eh 
povera  donna!  lavori  per  chi  non  sai:  sa  il  cielo,  questa  tela,  que- 
sti panni,  a  che  sorte  di  creature  anderanno  indosso:  quelH  per 
Lucia,  il  corredo  davvero  che  ha  da  servire  per  lei,  ci  penserà 
un'anima  buona,  la  quale  tu  non'aai  né  anche  che  la  uà  in  questo 
mondo." 

n  primo  pensiero  d'Agnese  fu  quello  di  preparare  nella. sua  povera      | 

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CAPITOLO  XXXVII.  711 

easuocia  l' Sloggio  il  più  decenle  die  potesse ,  a  qoeir  anima  buona  ; 
poi  aodù  io  cerca  di  seta  da  annaspare;  e  lavorando  ingannava  il 
tempo. 

Rcneo,  dui  canto  suo,  non  passò  in  osio  quo'  giorni  già  tanto 
lunghi  per  sé:  sapeva  far  due  meslierì  per  buona  sorte;  si  rimise  a 
quello  del  conladino.  Parie  aiutava  il  suo  ospite,  per  il  quale  era 
una  gran  fortuna  l'avere  in  tal  tempo  spesso  al  suo  comando  un'  o- 
pcra,  e  un' opera  di  queir  abilitò;  parte  coltivava  ,  anzi  dissodava 
r orticello  d'Agnese,  trasandato  afTatlo  nell'assenza  di  lei.  In  quanto 
al  suo  proprio  podere,  non  se  n'  occupava  punto,  dicendo  di'  era  una 
parrucca  troppo  arruflala ,  e  che  ci  voleva  altro  che  due  braccia  a 
ravviarla.  E  non  cì  metteva  neppure  ■  piedi  ;  come  né  anche  in 
casa:  che  gli  avrebbe  fatto  male  a  vedere  quella  desolazione;  e  aveva 
già  preso  il  partito  di  disfarsi  d'  ogni  cosa ,  a  qualunque  prezzo ,  e 
d' impiegar  nella  nuova  patria  quel  tanto  che  ne  potrebbe  ricavare. 

Se  i  rimasti  vivi  erano,  l'uno  per  l'altro,  come  morti  resuscitati, 
Renzo,  per  quelli  del  suo  paese,  lo  era,  come  a  dire,  due  volle: 
ognuno  gli  faceva  accoglienze  e  congratulazioni ,  ognuno  voleva 
sentir  da  luì  la  sua  storia.  Direte  forse:  come  andava  col  bando? 
L' andava  benone:  lui  non  ci  pensava  quasi  più ,  supponendo  che 
quelli  i  quali  avrebbero  potuto  eseguirlo,  non  ci  pensassero  più  ne 
andie  loro:  e  non  s'ingannava.  E  questo  non  nasceva  solo  dalla 
peste  die  aveva  fatto  monte  di  tante  cose;  ma  era,  come  s'è  potuto 
vedere  anche  in  vari  luoghi  di  questa  storia ,  cosa  comune  a  que' 
tempi,  che  i  decreti,  tanto  generali  quanto  spedali,  contro  le  perso- 
ne, se  non  c'era  qualche  animosità  privata  e  polente  die  li  tenesse 
vivi,  e  lì  facesse  valere ^  rimanevano  spesso  senza  effetto,  quando 
non  l'avessero  avuto  sul  primo  momento;  come  palle  di  schioppo, 
che,  se  non  fanno  colpo,  restano  io  terra,  dove  non  danno  fastidio 
a  nessuno.  Conseguenza  necessaria  della  gran  fadlità  con  cui  U  semi- 
navano que'  decreti.  L'attività  dell'uomo  è  limitata;  e  tutto  il  di 
più  che  c'era  nel  comandare,  doveva  tornare  in  tanto  meno  odi' ese- 
guire. Quel  che  va  nelle  maniche ,  non  può  andar  ne'  gheroni. 

Chi  volesse  anche  sapere  come  Renzo  se  la  passasse  con  don  Ab- 
bondio, in  quel  tempo  d'aspetto,  dirò  che  stavano  alla  lai^  l'uno 
dalP  altro:  don  Abbondio,  per  timore  di  sentire  intonar  qualcosa  di 
matrimonio:  e,  al  solo  pensarci,  si  vedeva  davanti  agli  occhi  don 
Rodrigo  da  una  parte,  co'  suoi  bravi,  il  cardinale  dall'altra,  oo'  suoi 


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I  PROMESSI  SPOSI 


argonicnli:  Renzo,  perchè  aveva  fissato  di  non  parlargliene  che  al 
momenlo  di  concludere,  non  volendo  risicare  di  fario  inalberar  pri- 
ma del  tempo,  di  suscitar,  chi  sa  mai?  qualche  difficoltà,  e  d'im- 
brogliar le  cose  con  chiacchiere  inulili.  Le  sue  chiacchiere,  le  faceva 
con   Agnese.  «  Ci-edele  voi   che  verrà  presi© ?  -.  domandala  1"  uno. 


ulo  spero  di  si,»  rispondeva  l'altro:  e  spesso  quello  elie  aveva 
dala  la  risposta,  faceva  poco  dopo  la  domanda  medesima.  E  con 
queste  e  con  simili  furberie,  s'ingegnavano  a  far  passare  il  tempo, 
che  pareva  loro  più  lungo ,  di  mano  in  mano  che  n'  era  più  passalo. 
Al  lettore  noi  lo  faremo  passare  in  un  momenlo  lutto  quel  lempo, 
dicendo  in  compendio  che,  qualche  giorno  dopo  la  visita  di  Renzo 
al  lazzeretto,  Lucia  n'  usci  con  la  buona  vedova;  che,  essendo  stala 
ordinala  una  quarantina  generale,  la  fecero  insieme,  rinchiuse  nella 
casa  di  quest'  ultima  ;  che  una  parte  del  lempo  fu  spesa  in  allestire 
il  corredo  di  Lucia,  al  quale,  dopo  aver  fallo  un  po'  di  cerimonie, 
doveltc  lavorare  anche  lei  ;  e  che,  terminata  che  fu  la  quarantina,  la 
vedova  lasciò  in  consegna  il  fondaco  eia  casa  a  quel  suo  fratello  com- 
missario; e  si  fecero  ì  preparativi  per  il  viaggio.  Potremmo  andie 


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CAPITOLO  XXWII.  TtS 

soggiunger  subito:  parlrrono,  arrivarono,  e  quel  che  segue;  ma,  co» 
tutu  la  volontà  che  abbiamo  di  secondar  la  frella  del  lettore,  ci  sou 
tre  cose  appartenenti  a  queir  intervallo  di  tempo,  che  non  vorremmo 
passar  sotto  silenzio;  e,  per  due  almeno,  crediamo  che  il  lettore  slesso 
dirà  che  avremmo  fallo  mate. 

La  prima,  che,  quando  Lucia  tornò  a  parlare  alla  vedova  delle  sue 
avventure,  più  in  particolare,  e  più  ordinatamente  di  quel  che  avesse 
polutD  in  quell'agitazione  della  prima  confidenza,  e  fece  menzione 
più  espressa .  della  signora  che  l' aveva  ricoverala  nel  monastero  di 
Monza,  venne  a  sapere  di  costei  cose  che,  dandole  la  chiave  di  molti 
misteri,  le  riempiron  l'animo  d'una  dolorosa  e  paurosa  maraviglia. 
Seppe  dalla  vedova  che  la  sciagurata,  caduta  in  sospetto  d'atrocissimi 
fotti,  era  stata,  per  ordine  del  cardinale,  trasportala  in  un  uionastero 
di  Milano;  che  li,  dopo  molto  infuriare  e  dibàttersi,  s'era  ravveduta, 
s'era  ai»usala;  e  che  la  sua  vita  attuale  era  supplizio  volontario  tale, 


che  nessuno,  a  meno  di  non  togliergliela ,  ne  avrebbe  potuto  trovare 
un  più  severo.  Chi  volesse  conoscere  un  po'  più  in  particolare  questa 


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trista  storia,  la  Iroverà  nel  libro  e  ai  luogo  che  abbiam  citato  Dllrove, 
a  proposito  della  stessa  persona  *, 

L'altra  cosa  è  che  Lucìa,  domandando  del  padre  Cristoforo  a  tutti 
i  cappuccini  die  potè  vedere  nel  laueretto,  senti,  con  più  dolore  che 
maraviglia ,  di'  era  morto  di  peste. 

Finidmente ,  prima  di  partire ,  avrebbe  anche  desideralo  di  saper 
qualcosa  de' suoi  antichi  padroni,  e  di  fare,  come  diceva,  un  atto  dH 
suo  dovere ,  se  alcuno  ne  rimaneva.  La  vedova  1'  accompagnò  alla 
casa ,  dove  seppero  che  l' uno  e  1'  altra  erano  andati  tra  quc'  più.  Di 
donna  Prasscde,  quando  si  dice  ch'era  moria,  è  detto  tutto;  ma  in- 
torno  a  don  Ferrante,  trattandosi  di'  era  stalo  dotto,  l' anonimo  ha 
credulo  d"  estendersi  un  po'  più  ;  e  noi ,  a  nostro  rìsdiio ,  trascrive- 
remo  a  un  di  presso  quello  clic  ne  lasciò  scritto. 

Dice  adunque  die,  al  primo  parlar  che  si  fece  di  peste,  don  Fer- 
rante fu  uno  d«'  più  risoluti  a  negarla,  e  che  sostenne  eoslanlemente 
fino  all'  ultimo,  quell'  opinione;  non  già  con  iscbiamazzì,  come  il  po- 
polo; ma  con  ragionamenti,  ai  quali  nessuno  potrà  dire  almeno  che 
mancasse  la  concatenazione. 

"In  rerum  natura,  n  diceva,  u  non  ci  son  die  due  generi  di 
cose:  sostanze  e  acddenti;  e  se  io  provo  die  il  contagio  non  può 
esser  né  l'uno  né  l'altro,  avrò  provato  che  non  esiste,  clic  è  una 
chimera.  E  son  qui.  Le  sostanze  sono,  o  spirituali,  o  materiali.  Clie  il 
contagio  sia  sostanza  spirilualc ,  è  uno  sproposito  che  nessuno  vor- 
rebbe sostenere;  sicché  è  inutile  parlarne.  Le  sostanze  materiali  sono, 
o  semplici,  o  composte.  Ora,  sostanza  semplice  il  contagio  non  è; 
e  si  dimostra  in  quattro  parole.  Non  è  sostanza  aerea;  perchè,  se 
fosse  tale,  in  vece  dì  passar  da  un  corpo  all'  alli^,  volerebbe  subito 
alla  sua  sfera.  Non  è  acquea;  perchè  bagnerebbe,  e  \'crrcbbG  asdii- 
gata  da'  venti.  Non  è  ignea;  perchè  brucerebbe.  Non  e  terrea;  perche 
sarebbe  visibile.  Sostanza  composta,  neppure;  perche  a  ogni  modo 
dovrete  esser  sensibile  all'  occhio  o  al  tatto;  e  questo  contagio,  eliì 
r  ha  veduto?  chi  1'  ha  toccato?  Riman  da  vedere  se  possa  essere  ac- 
ddente.  Peggio  che  peggio.  Ci  dicono  questi  signori  dottori  che  si 
comunica  da  un  corpo  all'altro;  che  questo  è  il  loro  achille,  questo 
il  prelesto  per  far  tante  prescrizioni  senza  eostrullo.  Ora,  suppo- 
nendolo aecideiite,  verrebbe  a  essere  un  accidente  trasportalo;  due 

*  Ri|»m.  Hl»l.  Pai.,  Dee.  V.  Lib.  VI,  Cip.  Iti. 


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CAnroLO  xxxTii.  Ttv 

parole  die  fenno  ai  calci,  non  essendoci,  in  tutta  la  fllosofla,  cosa 
più  chiara,  più  liquida  di  questa  :  che  un  accidente  non  può  passar 
da  un  soggetto  all'altro.  Che  se,  per  evitar  quesla  Scilla,  si  riducono 
a  dire  che  sia  accidente  prodotto,  danno  in  Cariddi:  perchè,  se  è 
prodotto,  dunque  non  si  comunica,  non  si  propaga,  come  vanno  bla- 
terando. Posti  questi  princìpi,  cosa  serve  v«)irci  tanto  a  parlare  di 
vibici,  d'esantemi,  d'antraci  ...?>■ 

«Tutte  corbellerie,"  scappò  fuori  una  volta  un  tale. 

«No,  no,n  riprese  don  Ferrante:  «non  dico  questo:  la  scienza 
è  scienza;  solo  bisogna  saperla  adoprare.  Vibici ,  esantemi ,  antraci , 
parotidi,  bubboni  violacei,  Turoncoli  nigrìcantì,  son  tutte  parole 
rispettabili,  che  hanno  il  loro  significato  beli' e  buono;  ma  dico  che 
non  han  che  fare  con  la  questione.  Chi  nega  che  ci  possa  essere  di 
queste  cose ,  anzi  che  ce  ne  sia  ?  Tulio  sia  a  veder  di  dove  ten- 
gano. » 

Qui  cominciavano  i  guai  anche  per  don  Ferrante.  Fin  clic  non 
faceva  che  dare  addosso  all'opinion  del  contagio,  trovava  per  lutto 
orecchi  attenti  e  ben  disposti  :  perchè  non  si  può  spiegare  quanto  sia 
grande  l'autorità  d'un  dotto  di  professione,  allorché  vuol  dimostrare 
agli  altri  le  cose  di  cui  sono  già  persuasi.  Ma  quando  veniva  a  distin- 
guere, e  a  voler  dimostrare  che  l'errore  di  que'  medici  non  coiisi- 
sleva  già  neh' affermare  che  ci  fosse  un  male  (erribile  e  generale; 
ma  neir assegnarne  la  cagione;  allora  (parlo  de'  primi  tempi,  in  cui 
non  si  voleva  sentir  discorrere  di  peste),  allora,  in  vece  d'orecchi, 
trovava  lingue  ribelli,  ìntrallabili;  allora,  di  predicare  a  distesa  era 
finita;  e  la  sua  dottrina  non  poteva  più  metterla  fuori ,  ette  a  pezzi 
e  bocconi. 

«  La  e'  è  pur  troppa  la  vera  cagione,  n  diceva;  «  e  son  costretti 
a  riconoscerla  anche  quelli  che  sostengono  poi  qucll'  altra  cosi  in 
aria...  La  neghino  un  poco,  se  possono,  quella  fatale  congiunzione 
di  Saturno  con  Giove.  E  quando  mai  s'è  sentilo  dire  che  l'influenze 
si  propaghino...?  E  lor  signori  mi  vorranno  negar  l'influenze?  Mi 
negheranno  che  ci  sian  degli  astri?  O  mi  vorranno  dire  che  slian 
lassù  a  far  nulla,  come  tante  capocchie  di  spilli  flccati  in  un  guan- 
cialino?... Ma  quel  che  non  mi  può  entrare,  è  di  questi  signori 
medici;  confessare  che  ci  troviamo  sotto  una  congiunzione  cosi  mali- 
gna, e  poi  venirci  a  dire,  con  beerà  tosta:  non  toccate  qui,  non  loc- 
cate  là,  e  sarete  sicuri!  Come  se  questo  schivare  il  conlatto  maleriatc 


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Tta  I  PROMESSI  SPOSI 

de'  corpi  lenreoi,  potesse  impedir  l'effetto  virtuale  de'  corpi  celesti! 
E  tanto  affannarsi  a  bruciar  de' cenci!  Povera  gente!  brucerete  Giove? 
brucerete  Saturno?» 

Hit  fretta ,  vale  a  dire  su  questi  bei  fondamenti ,  non  prese  nes- 
suna precauzione  contro  la  peste;  gli  s'  attaccò;  andò  a  letto,  a  mo- 
rire, come  un  eroe  di  Metaslasio,  prendendosda  con  le  stelle. 

E  quella  sua  famosa  libreria?  É  forse  ancora  dispersa  su  per  i 
muricdoli. 


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CAPITOLO  XXXVIU. 


□a  sera,  Agnese  sente  fermarsi  un  le- 
gno all'  uscio.  —  È  lei,  di  cerio  !  —  Era 
proprio  lei ,  con  la  buona  vedova.  L' ac- 
coglienze vicendevoli  se  le  immagini  il 
lettore. 

La  mattina  seguente,  di  buon'ora,  ca- 
pila Renzo  che  non  sa  nulla,  e  vien  so- 
lamente per  isfogarsi  un  po' con  Agnese 
su  quel  gran  lardare  di  Lucia.  Gli  atli 
che  fece,  «  le  cose  che  disse,  al  trovar- 
sela davanti ,  si  rimettono  andie  quelli 
all'  immaginazion  del   lettore.  Le  dimo- 
strazioni di  Lucia  in  vece  furon  (ali,  che 
non  ci  vuol  molto  a  descriverle.  «  Vi  saluto:  come  stale?  ^  disae, 
a  ocelli  bassi ,  e  senza  scomporsi.  E  non  crediate  che  Renzo  trovasse 
quel  Èire  troppo  asciutto,  e  se  1'  avesse  per  male.  Prese  benisBÌmo 
la  cosa  per  il  suo  verso;  e,  come,  tra  gente  educata,  si  sa  far  la 
tara  ai  complimenti,  cosi  lui  intendeva  bene  che  quelle  parole  non 


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Ila  I  paouEssi  SPOSI 

csprinievan  tulio  ciò  che  passava  nel  cuore  di  Lucia.  Del  reslo,  era 
facile  accorgersi  che  aveva  due  maniere  di  pronunziarle  :  una  per 
Renzo ,  e  un'  al(ra  per  tutta  la  genie  che  potesse  conoscere. 

«Sto  bene  quando  vi  vedo,»  rispose  il  Rovine,  con  una    frasie 
vecchia,  ma  che  avrebbe  inventata  lui,  in  quel   momento. 


"  Il  nostro  povero  padre  Cristoforo  ...  !  »  disse  Lucia  :  «  pregate 
per  r  anima  sua  :  benché  si  può  esser  quasi  sicuri  che  a  quesl'  ora 
prega  lui  per  noi  lassù.  » 

uMe  l'aspettavo,  pur  troppo,»  disse  Renzo.  E  non  fu  questa  la 
sola  trista  corda  che  si  toccasse  in  quel  colloquio.  Ma  che?  di  qua- 
lunque cosa  si  parlasse,  il  colloquio  gli  riusciva  sempre  delizioso. 
Come  que'  cavalli  bisbetici  che  s*  impuntano,  e  si  piantan  li,  e  alzano 
una  zampa  e  poi  un'altra,  e  le  ripiantano  al  medesimo  posto,  e 
tanno  mille  cerimonie  prima  di  fare  un  passo,  e  poi  tutto  a  un 
trailo  prendoa  l'andare,  e  via,  come  se  il  vento  li  portasse,  oosi  en 
divenuto  il  tempo  per  lui:  prima  i  minuti  (^i  parevan  ere;  poi  l'ore 
gli  parevan  minati. 


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CAPITOLO  XXXVIII,  TIB 

La  vedova,  non  solo  non  guastava  la  compagnia,  ma  ci  l'ace\'a 
dentro  molto  bene;  e  certamente,  Benso,  quando  la  vide  in  quel 
lettuceio,  non  se  la  sarebbe  potuta  immaginare  d' un  umore  cosi 
sodevole  e  gioviale.  Ma  il  lazzeretto  e  la  campagna ,  la  morie  e  le 
nozze,  non  son  tutl' uno.  Con  Agnese  essa  aveva  già  latto  amicizia; 
eoD  Lucia  pof  era  un  piacere  a  vederìa,  tenera  insieme  e  scherze- 
vole, e  come  la  stuzzicava  garì>atamenle ,  e  -senza  spinger  troppo, 
appena  quanto  ci  voleva  per  obbligarla  a  dimostrar  tutta  1'  allegria 
die  aveva  in  cuore. 

Renzo  disse  finalmente  che  andava  da  don  Abbondio,  a  prendere 
i  concerti  per  lo  sposalizio.  Ci  andò,  e,  con  un  certo  fare  tra  burle- 
vole e  rispettoso,  >< signor  curato,»  gli  disse:  «  le  è  poi  passalo 
quel  dolor  di  capo,  per  cui  mi  diceva  di  non  poterci  maritare?  Ora 
siamo  a  tempo;  la  sposa  c'è:  e  son  qui'per  sentire  quando  le  sia  di 
comodo:  ma  questa  volta,  sarei  a  pregarla  di  far  presto.  »  Don  My 
bondio  non  disse  di  no;  ma  cominciò  a  tentennare,  a  trovar  cerL'al- 
tre  scuse,  a  far  cert' altre  insinuazioni:  e  perchè  mettersi  in  piazza, 
e  far  gridare  il  suo  nome,  con  quella  cattura  addosso?  e  cbe  la  cosa 
potr^be  (arsi  ugualmente  altrove;  e  questo  e  quest'altro. 

«Ho  inteso,»  disse  Renzo:  u|ei  ha  ancora  un  po'  di  quel  mal 
dì  capo.  Ma  senta,  senta.  «  E  cominciò  a  descrivere  in  che  stato 
aveva  visto  quel  povero  don  Rodrigo;  e  che  già  a  quell'ora  doveva 
sicuramente  essere  andato.  «  Speriamo,  »  concluse,  «  che  il  Signore 
gli  avrà  usato  misericordia.  » 

u  Questo  non  ci  ha  che  fare,  »  disse  don  Abbondio:  «  v'  lio  forse 
dello  di  no?  Io  non  dico  di  uo;  parlo...  parlo  per  delle  buone 
ragioni.  Del  resto,  vedete,  fin  che  c'è  (iato...  Guardatemi  me:  sono 
una  eolica  fessa;  sono  stato  andi' io,  più  di  là  che  di  qua:  e  son 
qui;  e...  se  non  mi  vengono  addosso  de'  guai...  basta...  posso  spe- 
rare di  starci  ancora  un  pochino.  Figuratevi  poi  certi  temperamenti. 
Ma,  come  dico,  questo  non  ci  ha  die  far  nulla.  " 

Dopo  qualche  allia  botta  e  risposta,  né  più  né  meno  concludenti, 
Renzo  strisciò  una  bdla  riverenza,  se  ne  tornò  alla  sua  compagnia, 
fece  la  sua  relazione,  e  fini  con  dire:  »  son  venuto  via,  cbe  n'ero 
pieno,  e  per  non  risicar  di  perdere  la  paiteiiza,  e  di  levargli  il  ri- 
apello.  In  certi  momenti,  pareva  proprio  quello  dell'altra  volta; 
proprio  quella  mutria,  quelle  ragioni:  son  sicuro  die,  se  la  durava 
ancora  un  poco,  mi  tornava  in  campo  eon  qualdie  parola  io  latino. 


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TSO  t  PROMESSI  SPASI 

Vedo  che  vuol  essere  un'altra  lungagnata:  è  meglio  fare  addirittura 
come  dice  luì,  andare  a  maritarsi  dove  andiamo  a  stare.  » 

«Sapete  cosa  faremo?  «  disse  la  vedova:  «  voglio  die  andiamo 
noi  altre  donne  a  fare  un'alira  prova,  e  vedere  se  ci  riesce  meglio. 
Così  avrò  anch'  io  il  gusto  di  conoscerlo  quesl'  uomo ,  se  è  proprio 
come  dite.  Dopo  desinare  voglio  che  andiamo  ;  per  non  tornare  a 
dargli  addosso  subito.  Ora,  signore  sposo,  menateci  un  po'  a  spasso 
noi  altre  due,  intanto  che  Agnese  è  in  faccende:  cbè  a  Lucia  farò  io 
da  mamma:  e  ho  proprio  coglia  di  cedere  un  po'  meglio  queste 
montagne,  questo  lago,  di  cui  ho  sentilo  tanto  parlare ;je  il  poco  che 
n'bo  già  visto,  mi  pare  una  gran  bella  cosa.  •> 

Renzo  ie  condusse  prima  di  tutto  alla  casa  del  suo  ospite ,  dove 
fu  un'  altra  festa:  e  gli  fecero  promettere  che,  non  solo  quel  giorno, 
ma  tutti  i  giorni,  se  potesse',  verrebbe  a  desinare  con  loro. 

Passeggiato,  desinato,  Renzo  se  n'  andò,  senza  dir  dove.  Le  donne 
rimasero  un  pezzetto  a  discorrere ,  a  concertar»  sulla  maniera  di 
prender  don  Abbondio;  e  finalmente  andarono  all'assalto. 

—  Son  qui  loro ,  disse  questo  tra  sé  ;  ma  fece  faccia  (osta  :  gran 
congratulazioni  a  Lucia,  saluti  ad  Agnese,  complimenti  alla  forestiera. 


Le  fece  mettere  a  sedere,  e  poi  eiilró  subito  a  parlar  della  peste:  \o\k 
sentir  da  Lucia  come  l'aveva  passata  in  que'  guai:  il  lazzeretto  dìf-dt.' 
opportunitit  di  far  parìare  anche  quella  clte  t'  era  slata  compagna  ; 


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CiPITOLO  XXXVIII.  7:11 

poi,  com'  era  giusto,  don  Abbondio  parlò  anche  ddla  sua  burra* 
sca;  p(H  de'  gran  mirallegri  anctie  a  Agnese,  che  l'aveva  passala 
liscia.  La  cosa  andava  in  lungo:  già  fin  dal  primo  momento,  le  due 
anziane  stavano  alle  velelte,  se  mai  venisse  l'occasione  d' entrar  nel 
discorso  essenziale:  finalmente  non  so  quale  delie  due  ruppe  il  gliiac- 
eto.  Ma  cosa  volete?  Don  Abbondio  era  sordo  da  quel)' ore(%hio.  Non 
die  dicesse  di  no  ;  ma  eccolo  di  nuovo  a  quel  suo  serp^ngiare ,  vol- 
t^giare  e  saliar  di  palo  in  frasca.  "  Disognerebbe,  «  diceva,  «  poter 
far  levare  quella  calturaccia.  Lei,  signora,  che  è  di  Milano,  conoscerà 
più  o  meno  il  filo  delle  cose,  avrà  delle  buone  protezioni,  qualche 
cavaliere  di  peso:  che  con  questi  mezzi  si  sana  ogni  piaga.  Se  poi  si 
volesse  andar  per  la  più  corta,  senza  imbarcarsi  in  tante  storie;  giac- 
ché codesti  giovani,  e  qui  la  nostra  Agnese,  lianno  già  intenzione  di 
spatriarsi  (e  io  non  saprei  cosa  dire:  la  patria  è  dove  si  sta  bene), 
mi  pare  che  si  potrebbe  t»r  tutto  là ,  dove  non  e'  è  cattura  che  ten- 
ga. Non  vedo  proprio  l'ora  di  saperlo  concluso  questo  parentado,  ma 
lo  vorrei  concluso  bene,  tranquillamente.  Dico  la  verità:  qui,  con 
quella  cattura  viva,  spiattellar  dall'altare  quel  nome  di  Lorenzo  Tra- 
maglino, non  Io  farei  col  cuor  quieto:  gli  voglio  troppo  bene;  avrei 
paura  di  fargli  un  cattivo  servizio.  Veda  tei  ;  vedete  voi  altre.  » 

Qui,  parte  Agnese,  parte  la  vedova,  a  ribatter  quelle  ragìoni;don 
Abbondio  a  rimetterle  in  campo,  soli' altra  forma:  s'era  sempre  da 
capo;  quando  entra  Renzo,  con  un  passo  risoluto,  e  con  una  notizia 
in  viso;  e  dice:  "  è  arrivato  il  signor  marchese*".» 

«Cosa  vuol  dir  questo?  arrivato  dove?»  domanda  don  Abbondio, 
alzandosi. 

«  É  arrivato  nel  suo  palazzo,  di'  era  quella  di  don  Rodrigo;  per- 
ché questo  signor  mwbeae  è  1'  erede  per  fìdecommisso,  come  dico- 
no; sicché  non  e'  è  più  dubbio.  Per  me,  ne  sarei  contento,  se  potessi 
sapere  che  quel  pover*  uomo  fosse  morto  bene.  A  buon  conto,  finora 
ho  detto  per  lui  de'  paternostri,  adesso  gli  dirò  de'  De  profuìuti*.  E 
questo  signor  marchese  è  un  bravissim'uomo.  " 

«Sicuro,  1  disse  don  Abbondio:  «l'ho  sentito  nominar  più  d'una 
volta  per  un  bravo  signore  davvero ,  per  un  uomo  della  stampa  an- 
tica. Ma  che  sia  proprio  vero ?» 

«  Al  sagrestano  gli  crede?  " 

«  Perché  ?  n 

-  Perchè  lui  l' ha  veduto  co'  suoi  occhi,  lo  sono  stalo  solamente  lì 


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I3t  I  PROMESSI  8P06I 

ne'  conlomi,  e,  per  dir  la  \eriUi,  ci  sono  andato  appunto  perdiè  bo 
pensato  :  qualcosa  là  si  dovrebbe  sapere.  E  più  d' uno  m' Ita  dello  lo 
stesso.  Ho  poi  incontralo  Ambrogio  che  veniva  proprio  di  lassù,  e  che 
r  Ita  veduto,  come  dico,  far  da  padrone.  Lo  vuol  sentire,  Ambrogio? 
L' ÌM  fatto  aspettar  qui  fuori  apposta.  » 

«  Sentiamo,  "  disse  don  AUmndio.  Renzo  andò  a  diiauure  il  sa- 
grcslano.  Questo  confermò  la  cosa  in  tutto  e  per  tutto ,  ci  aggiunse 
altre  circoslanze,  sciolse  tutti  i  dubbi;  e  poi  se  n'  andò. 

u  Ahièmorto  dunque!  e  proprio  andato!»  esclamò  don  Abbondio. 


i 


»  Vedete ,  figliuoli ,  se  la  Provvidenza  arriva  alla  flne  certa  gente. 
Sapete  che  I'  è  una  gran  cosa!  un  gran  respiro  per  questo  {«vero 
paese!  cbè  non  ci  si  poteva  vivere  con  colui.  È  slata  un  gran  fla< 
gallo  questa  peste;  ma  è  anche  stata  una  tcopo;  ha  spazzato  via  certi 
sof^tti,  die,  Agiiuoli  mìei,  non  ce  ne  liberavamo  più:  verdi,  frc-  1  | 
sebi,  prosperosi:  bisognava  dire  che  chi  era  destinalo  a  far  loro  l'e-  '  ' 
sequie,  era  ancora  in  seminario,  a  fare-i  latinucci.  E  in  un  batter  I 
d' occhio,  sono  spariti,  a  cento  per  volta.  Non  lo  vedremo  più  andare  |  i 
in  giro  con  quegli  sgherri  dietro,  con  quell'albagìa,  con  quell'aria,  !  ' 
con  quel  palo  in  corpo,  con  quel  guanlar  la  gente,  che  pareva  che  si  | 
stesse  tutti  al  mondo  per  sua  degnazione.  Intanto,  lui  non  c'è  più,  e  , 
noi  ci  siamo.  Non  manderà  più  di  queir  imbaseiale  ai  gabntuomini.  I  ' 
Ci  ha  dato  un  gran  fastìdio  a  tulli,  vedete:  cbè  adesso  lo  possiamo  '  ' 
dire.-  »  ' 


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CAPITOLO  XXXVIII.  Ili 

«  Io  gli  ho  perdonalo  di  cuore,  -  disse  Renzo. 

u  E  fai  il  tuo  dovere,»  rispose  don  Abbondio:  «  ma  si  può  anche 
ringraziare  il  cielo,  die  ce  n'abbia  liberati.  Ora,  tornando  a  noi,  vi 
ripelo:  late  voi  altri  quel  ehe  erodete.  Se  volete  che  vi  mariti  io, 
soD  qui;  se  vi  toma  più  comodo  in  altra  maniera,  fate  voi  allrì.  fa 
quanto  alla  cattura,  vedo  andi'io  che,  non  essendoci  ora  più  nessuno 
che  vi  tenga  di  mira,  e  voglia  far^i  del  male,  non  è  cosa  da  pren- 
dersene gran  pensiero  :  Unto  più ,  ebe  e'  é  slato  di  mezzo  quel  de- 
creto grazioso,  per  la  nascita  del  serenissimo  infante.  E  poi  la  peste! 
la  peste!  ha  dulo  di  bianco  a  di  gran  cose  la  peste!  Sicché,  se  vole- 
le. . .  .oggi  è  giovedì....  domenica  vi  dico  in  chiesa;  perchè  quel  che 
s'è  fatto  l'altra  volta,  non  conta  più  niente,  dopo  tanto  tempo;  e 
poi  ho  la  consolazione  di  maritarvi  io.  » 

«  Lei  sa  bene  ch'eravamo  venuti  appunto  per  questo,  «  disse 
Renzo. 

"  Benissimo;  e  io  vi  servirò:  e  voglio  darne  parte  subito  a  sua 
«ninenza.  » 

»  Chi  è  sua  eminenza?  »  domandò  Agnese. 

"  Sua  eminenza,  »  rispose  don  Abbondio,  u  è  il  nostro  cardinale 
arcivescovo ,  che  Dio  conservi.  « 

«  Oh!  in  quanto  a  questo  mi  scusi,»  replicò  Agnese:  «die,  seb- 
bene io  sia  una  povera  ignorante,  le  posso  accertare  die  non  gli  si 
dice  cosi;  perchè,  quando  siamo  state  la  seconda  volta  per  parlargli, 
come  park)  a  lei,  uno  di  que'  signori  preti  mi  tirò  da  parte,  e  m'in- 
segnò come  si  doveva  trattare  con  quel  signore,  e  che  gli  si  doveva 
dire  vossignoria  illustrissima,  e  monsignore.  >> 

"  E  ora,  se  vi  dovesse  tornare  a  insegnare,  vi  direbbe  che  gli  va 
dato  dell'eminenza:  avete  inteso?  Perdiè  il  papa,  clie  Dio  lo  conservi 
anche  lui,  ha  prescritto,  (in  dal  mese  di  giugno,  che  ai  cardinali  si 
dia  questo  titolo.  E  sapete  perchè  sarà  vcnulo  a  questa  risoluzione  ? 
Perchè  l' illustr^imo,  di' era  riservato  a  loro  e  a  eerti  principi,  ora,. 
vedete  andie  voi  altri,  cos'è  diventalo,  a  quanti  si  dà:  e  come  se  lo 
succiano  volentieri!  E  cosa  doveva  fare,  il  papa?  Levarlo  a  tulli?  La- 
'  menti,  ricorsi,  dispiaceri,  guai;  e  per  di  più,  continuar  come  prima. 
Dunque  ha  trovato  un  bonis^mo  ripiego.  A  poco  a  poco  poi,  si  comin- 
cerà a  dar  dfell' eminenza  ai  vescovi;  poi  Io  vorranno  gli  abati,  poi  i 
proposti:  perchè  gli  uomini  son  fatti  cosi;sempre  voglion  salire, sem- 
pre salire;  pm  i  canonid « 


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TS4  I  PROMESSI  SPOSI 

«  Poi  i  curali,  "  disse  la  vedova. 

u  No  no,  »  riprese  don  Abbondio:  •>  i  curati  a  tirar  la  carretta: 
non  abbiale  paura  che  gli  avveztin  male ,  i  curali  :  del  reverendo , 
fino  iJla  fin  del  mondo.  PìuUoslo,  non  mi  maraviglierei  punto  che  i 
cavalieri,  i  quali  sono  avvezzi  a  sentirai  dar  deirillustrissimo,  a  taaer 
tratlali  come  i  cardinali,  un  giorno  vigessero  dell'eminenza  andie 
loro.  E  se  la  vogliono,  vedete,  lro%'eranno  «lil  gliene  darii.  E  allora , 
il  papa  che  ci  sarà  allora,  troverà  quiJclie  altra  cosa  per  i  cardinali. 
Orsù,  ritorniamo  alle  nostre  cose:  domenica  vi  dirò  in  chiesa;  e  in- 
lanlo,  sapete  cos'ho  pensalo  per  servirvi  me{^io?  Intanto  chiederemo 
la  dispensa  per  1'  altre  due  denunzie.  Hanno  a  avere  un  bel  da  fare 
laggiù   in   curia,   a  dar  dispense,  se  la  \a  per  lutto  come  qui.  Per 

domenica  ne  lio  già ...  .  uno ....  due tre;  senza  conlar^'i  voi 

altri:  e  ne  può  capitare  ancora.  E  poi  vedrete,  andando  avanti,  che 
affare  vuol  essere:  non  ne  deve  rimanere  uno  scompagnato.  Ha  pro- 
prio (alto  uno  sproposito  Perpetua  a  morire  ora;  che  questo  era  il 
momento  che  lrova\'a  1'  avventore  anche  lei.  E  a  Milano,  signora,  mi 
figuro  che  sarà  lo  stesso.  " 

«  Eccome!  si  figuri  che,  solamente  nella  mia  cura,  domenica  pas- 
sata, cinquanta  denunzie.  " 

«  Se  lo  dico;  ìl  mondo  non  vuol  finire.  E  tei,  signora,  non  lianno 
principiato  a  ronzarle  intorno  de'  mosconi?» 

H  No,  no;  io  non  ci  penso,  né  ci  voglio  pensare.  » 

u  Sì ,  sì ,  die  vorrà  esser  lei  sola.  Anche  Agnese ,  veda  ;  an^c 
Agnese ..." 

»  Uh!  ha  voglia  di  scherzare,  tei,  n  disse  questa. 

»  Sicuro  che  Im  voglia  di  scherzare:  e  mi  pare  che  sia  ora  final- 
mente. Ne  abbiam  passate  delle  brutte,  n'  è  vero,  i  miei  giovani? 
delle  brutte  n'  abbiam  passate  :  questi  quattro  giorni  che  dobbianw 
stare  in  questo  mondo,  »  può  sperare  che  vogliano  essere  un  po' 
m^io.  Ma!  fortunali  voi  altri,  che,  non  succedendo  di^razie,  avete 
ancora  un  pezzo  da  parlare  de' guai  passati:  io  in  vece, sono  alle  ven- 
titré e  Ire  quarti ,  e  . . . .  i  birboni  posson  morìi'e;  della  peste  si  può 
guarire;  ma  agli  anni  non  c'è  rimedio:  e,  come  dice,  tenectui  ipia 

u  Ora,  »  disse  Renzo,  «  parli  pur  latino  quanto  vuole;  che  non 
me  n'  importa  nulla,  n 

«   Tu  l'hai   ancora  col   latino,  tu:  bene  bene,  t'accomoderò  io: 


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CAPITOLO  XXXVUI.  T» 

quando  mi  verrai  davanti,  eoa  questa  creatura,  per  sentirvi  dire 
appunto  certe  paroline  in  latino,  ti  dirò:  latino  tu  non  ne  vuoi:  vat- 
tene in  pace.  Ti  piacerà?  n 

«  Eh!  so  io  quel  che  dico, n  riprese  Renzo:  «  non  è  quel  latino 
lì  die  mi  t&  paura:  quello  è  un  latino  sincero,  sacrosanto, come  quel 
della  messa  :  anche  loro,  li ,  bisogna  che  leggano  quel  che  e'  è  sul  libro. 
Parlo  di  quel  latino  birbone,  fuor  di  chiesa,  che  viene  addosso  a  tra- 
dimento, nel  buono  d'  un  discorso.  Per  esempio,  ora  clie  siam  qui, 
che  tutto  è  finito;  quel  Ialino  che  andava  cavando  fuori,  li  proprio, 
in  quel  canto,  per  darmi  ad  intendere  che  non  poteva,  e  che  d  vo- 
leva dell'altre  cose,  e  che  so  io?  me  lo  volti  un  po'  in  volgare  ora.  » 

«  Sta  zitto,  buffone,  sta  zitto:  non  rimestar  queste  cose;  che,  se 
dovessimo  ora  fare  i  conti ,  non  so  chi  avanzerebbe.  Io  ho  perdonato 
tutto:  non  ne  parliam  più:  ma  me  n'  avete  fatti  de'  tiri.  Di  te  non 
mi  ta  specie,  che  sei  un  malandrìnaccio;  ma  dico  quest'acqua  chela, 
questa  santerella,  questa  madonnina  infilzata,  che  si  sarebbe  creduto 
far  peccalo  o  guardarsene.  Ma  già,  lo  so  io  chi  l'aveva  ammaestrata, 
io  so  io,  lo  so  io.  »  Cosi  dicendo,  accennava  Agnese  col   dito,  che 


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THB  I  PROMESSI  SPOSI 

prima  aveva  lenuto  rivolto  a  Lucia  :  e  non  si-  potrebbe  sfregare  eoa 
che  bonarietà,  con  che  piacevolezza  Tacesse  que*  rimproveri.  Qtidla 
notizia  gli  aveva  dato  una  disinvoltura,  una  parlantina,  insolita  da 
gran  tempo;  e  saremmo  ancor  ben  lontani  dalla  fine,  se  volessimo  ri- 
ferir tutto  il  rimanente  di  que*  discorsi,  che  lui  tirò  in  lungo,  rilenendo 
più  d'  una  volta  )a  compagnia  che  voleva  andarsene,  e  ImnancMa  poi 
ancora  un  pocltino  suil'  uscio  dì  strada,  sempre  a  parlar  di  bubbole. 

n  giorno  seguente ,  gli  capita  una  visita ,  quanto  meno  aspettata 
lanto  più  gradita:  il  signor  marchese  del  quale  s'era  parlalo:  un  nomo 
tra  la  virilità  e  la  vecchiezza,  il  cui  aspetto  era  come  un  attestalo  di 
ciò  che  la  foma  diceva  di  lui:  aperto,  cortese,  placido,  umile,  digni- 
toso, e  qualcosa  che  indicava  una  mestizia  rassegnata. 

«Vengo,  n  disse,  u  a  portarle  i  saiulì  del  cardinale  areivesco^'o. •> 

u  Oh  che  degnazione  di  lutV  e  due!  » 

1  Quando  fui  a  prender  congedo  da  quest'  uomo  incomparabile, 
che  ni'  onora  della  sua  amicizia,  mi  parlò  di  due  giovani  di  codesta 
cura,  ch'eran  promessi  sposi,  e  che  hanno  avuto  de' guai,  per  causa 
di  quel  povero  don  Rodrigo.  Monsignore  desidera  d'  averne  notizia. 
Son  vivi?  E  le  loro  cose  sono  accomodate?'! 

«  Accomodalo  ogni  cosa.  Anzi-,  io  m'era  proposto  di  scriverne  a 
sua  eminenza;  ma  ora  die  ho  l'onore » 

«  Si  ti-oyan  qui  ?  " 

"  Qui  ;  e,  più  presto  che  si  potrà ,  saranno  marito  e  moglie.  » 

«  E  io  la  prego  di  \  olernii  dire  se  si  possa  far  loro  del  bene ,  e 
anclie  d' insegnarmi  la  maniera  più  conveniente.  In  quesla  calamità, 
Im  perduto  i  due  soli  figli  che  a\'e^'o ,  e  la  madre  loro ,  e  ho  avuti- 
Ire  eredità  considerabili.  Del  superfluo,  n'avevo  aoclic  prima:  sieclic 
lei  vede  ebe  il  darmi  una  occasione  d'  impiegarne,  e  tanto  più  una 
come  questa,  è  farmi  veramente  un  servizio.  >> 

u  II  cielo  la  benedica  !  Perchè  non  sono  tutti  come  lei  i  : . .  ?  Ba- 
sta; la  ringrazio  anch'io  di  cuore  per  questi  miei  figliuoli.  E  giac- 
ché vossignoria  illustiissimu  mi  dà  tanto  coraggio,  sì  signore,  die  lio 
.un  espediente  da  suggerii-le ,  il  quale  forse  non  le  dispiacerà.  Sappia 
dunque  che  quesla  buona  gente  son  i-isoltili  d' andare  a  meller  su 
casa  altrove,  e  di  vender  quel  poco  clic  lianiio  al  sole  qui:  una  vi- 
gnetta il  giovine,  di  nove  o  dieci  pertiche,  salvo  il  vero,  ma  trasan- 
data affatto  :  bisogna  làr  conto  del  terreno ,  nicnt'  altro  ;  di  più  una 
casuceia  lui ,  e  un'  altra  la  sposa  :  due  topaie,  veda.  Un  signore  come 


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CAPITOLi)   XWV.I 


vossignorìa  non  può  sapere  come  la  \atla  ^r  i  poveri,  quando  vo- 
^lion  dJsfanti  del  loro.  Finisce  sempre  a  andare  in  bocca  di  qitaleliC 
furbo ,  che  forse  sarà  già  un  pezzo  die  fa  all'  amore  a  <|uelle  quattro 
braccia  di  lerra  ,  e  quando  sa  die  l'altro  ha  bisogno  di  vendere,  sì 
ritira,  fa  lo  svoglialo;  bisogna  corrergli  dietro,  e  dargliele  per  un 
pezzo  ^i  pane:  speeialmenle  ]M}Ì  in  circostanze  come  queste.  |l  signor 
marchese  ha  già  veduto  dove  vada  a  parai-e  il  mio  discorso.  La  ea- 
rìlà  più  fiorila  che  vossignoria  illustrissima  possa  fare  a  i|uesta  gente, 
è  di  ca\'arli  da  quesl'  impiccio  ,  comprando  quel  poco  fatto  loro,  lo  , 
l»er  dir  la  verità,  do  un  parere  interessato,  perchè  verrei  ad  acqui- 
etare nella  mia  cura  un  compadrone  come  il  signor  marchese  ;  ma 
vossignoria  deciderà  secondo  che  le  parrà  meglio  :  io  ho  parlato  per 
ubbidienza.  « 

Il  marchese  lodò  mollo  il  suggerimento;  ringraziò  don  Abbondio, 
e  lo  pregò  di  voler  esser  arbitro  del  prezzo ,  e  .di  fissarlo  allo  bene  ; 
e  lo  fece  poi  restar  di  sasso ,  col  proporgli  che  s'  andasse  subilo  iu- 
sieme  a  casa  della  sposa ,  dove  sarebbe  probabilmente  anche  lo  sposo. 

Per  la  strada,  don  Abbondio,  tutto  gongolante,  come  vi  potete 
immaginare ,  ne  pensò  e  ne  disse  un'  altra.  »  Giacdiè  vossignoria  il- 
lustrissima è  tanto  inclinalo  a  far  del  bene  a  questa  gente,  ci  sarebbe 
un  altro  servizio  da  render  loro.  U  giovine  ha  addosso  una  cattura, 
ima  specie  di  bando,  per  qualche  scappatuccia  die  ha  fatta  in  Mi- 
lano ,  due  anni  sono ,  quel  giorno  del  gran  fracasso ,  dove  s' e  tro- 
vato impicciulo,  senza  malizia,  da  ignorante,  come  un  lopo  nella 
trappola:  nulla  di  serio,  veda:  ragazzate,  scapataggini:  di  far  del 
male  veramente,  non  è  capace:  e  io  posso  dirlo,  che  l'ho  battezzato, 
e  l'Ilo  vedulo  venir  su:  e  poi,  se  vossignoria  vuol  prendersi  il  di- 
verlìmento  di  sentir  questa  povera  genie  ragionar  su  alla  carlona, 
potrà  fargli  raccontar  la  storia  a  lui ,  e  sentirà.  Ora,  tratlandosi  di 
cose  vecchie ,  nessuno  gli  dà  fastìdio  ;  e,  come  le  ho  detto,  lui  pensa 
d'andarsene  fuor  di  stato;  ma,  eoi'tempo,  o  tornando  qui,  o  altro, 
non  si  sa  mai ,  lei  m' insegna  che  è  sempre  meglio  non  esser  su.qne' 
libri.  Il  signor  marchese,  in  Milano,  conta,  come  è  giusto,  e  per  quel 
gran  cavaliere ,  e  per  quel  grand'  uomo  che  è  ....  No ,  no,  mi  lasci 
dire;  elle  la  verità  vuole  avere  il  suo  luogo.  Una  raccomandazione; 
una  |)arolina  d'  un  |iar  suo,  è  più  dd  bisogno  per  ottenere  una  buona 
assolutoria,  n 

»  Non  c'è  impegni  forli  contro  codesto  giovine?  •> 


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;Sti  1  l'IlOMESSI  SPOSI 

u  No,  do;  non  ci-eJerei.  Gli  luuiiio  fallo  fuoco  addosso  nel  primo 
inoinenlo;  niu  ora  credo  che  non  ci  sia  piti  altro  die  la  semplice  Ibr- 
iiialilà.  " 

<>  Essendo  cosi ,  lu  cosa  sarà  facilo  ;  e  iu  prendo  ^olenlieri  sopra 
di  me.  n 

u  E  poi  non  vorrà  che  si  dica  clitt  è  un  grand'  uomo.  Lo  dico ,  e 
lo, voglio  dire;  a  suo  dispetto,  lo  voglio  dire.  E  anctie  se  io  sles» 
zitto,  già  non  servirebbe  a  nulla,  peicbè  |>arlan  lutti;  e  vox  popttli, 
rnr  Pei.  n 


Ti'uvuroiio  appuiilo  te  tre  donile  e  Kenzo.  Come  (|uesli  rimaues- 
fiero,  lo  lascio  considerare  a  voi  :  io  credo  die  anche  quelle  nude  e 
ruvide  pareti,  e  l'impannate,  e  i  patichelti,  e  le  stovi);IÌe  si  niaravi* 
gliassero  di  ricever  tra  loro  una  visita  cosi  straordinaria.  A\^viò  lui  la 
coaversaiione  ,  parlando  del  cardinale  e  dell'  altre  cose ,  con  aperla 
cordialità,  e  insieme  con  delicati  riguardi.  Passò  poi  a  far  la  propo- 
sta per  cui  era  venuto.  Don  Abbondio,  pregato  da  lui  di  fissare  il 
prezzo,  si  fece  avanli;  e,  dopo  un  po' di  cerimonie  e  di  scuse,  e  die 
non  era  sua  farina,  e  che  non  potrebbe  altro  die  andare  a  (astoni , 
e  die  parlava  per  ubbidienza ,  e  die  si  rimetteva ,  proferì  ,  a  parw 
suo,  uno  sproposito.  II  compratore  disse  che,  per  la  parte  sua,  era 
contentissimo,?,  come  se  avesse  franteso,  ripetè  il  doppio;  non  volle 
sentir  relttricazìoni ,  e  troncò  e  conduse  ogni  discorso  iiivilando  la 


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CAPITOLO   XXWIII.  T»fl 

cenipagiiia  a  desinare  |>er  il  giorno  dopo  le  nozze ,  al  suo  palazzo , 
dove  si  fureblic  l' islnimenlo  in  regola. 

—  Ali!  —  diceva  |>oi  tra  sé  don  Abbondio,  lornalo  a  casa:  — se 
la  peste  facesse  sempre  e  per  lutlo  le  cose  in  questa  maniera ,  sa- 
rebbe proprio  peccato  il  dirne  male:  quasi  quasi  ce  ne  vorrebbe  una. 
ogni  generazione;  e  si  potrebbe  slare  a  palli  d'averla;  ma  guarire 
ve'.  — 

Venne  la  dispensa,  lenne  l' assolutoria,  ^'enne  quel  bcncdcllo  giorno 
i  due  promessi  andarono ,  con  sicurezza  trionfale ,  proprio  a  quella 
chiesa,  dove,    proprio   per   bocca  di  don  Abbondio,  furono   sposi. 


Un  atìro  Irionfo ,  e  Licii  più  singolare,  fu  l'andare  a  quel  palaz- 
zolloievi  lascio  iKUsareche  cose  dovessero  fassar  loro  per  la  menle, 
in  far  quella  salila,  all'entrare  in  quella  porla;  e  ebe  discorsi  doves- 
sero fare,  ognuno  secondo  ìl  suo  naturale.  Accennerò  soltanto  clie, 
(u  mezzo  all'allegria,  ora  l'uno,  ora  l'altro  motivò  più  d'una  volla, 
cbe,  per  compir  la  festa,  ci  mancava  il  povero  padre  Cristoforo.  •>  Ma 
per  lui ,  n  dicevan  poi ,  «  sia  meglio  di  noi  sicuramenlc.  " 


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I  pnOMBSRI  SPOill 


Il  marchese  foce  loro  una  gran  festa,  ii  condussi!  in  mi  bel  lineilo, 
mise  a  tavola  gli  sposi,  con  Agnese  e  con  la  mercantessa  ;  v.  prima  di 
rilirarsi  a  pranzare  altrove  con  don  Abbonriio,  volle  star  li  un  iweo 


( 


a  far  com]>agiiÌa  agi'  invitali ,  e  aiulò  anzi  a  servirli.  A  nessuno  ver- 
rà ,  spero,  in  lesta  di  dire  clie  sarebbe  stala  cosa  più  semplice  bre 
addirillura  una  tavola  sola.  \e  l'ho  dato  per  un  brav'uomo,  ma  non 
per  an  originale,  come  sì  dircblw  ora;  v'ho  detto  ch'era  umile,  non 
già  che  fosse  un  portento  d'umiltà.  N'aveva  quanta  ne  bisognava  per 
mettersi  al  di  sotlo  di  quella  buona  gente ,  ma  non  per  istar  loro 
in  pari. 

Dopo  i  due  pranzi ,  fu  steso  il  contratto  per  mano  ti'  un  dottore , 
il  quale  non  fu  l'Azzecca-garbugli.  Questo,  ^'oglìo  dire  la  sua  spoglia, 
era  ed  e  tuttavia  a  Canterelli.  E  |icr  chi  non  è  di  quelle  parti»  capi- 
sco anch'  io  che  qui  ci  vuole  una  spiegazione. 

Sopra  Lecco  forse  un  mezzo  miglio ,  e  quasi  sul  fianco  dell'  altro 
[ìaese  dwamato  Castello,  c'è  un  luogo  detto  Canterelli,  dove  s'incro- 
cian  due  strade;  e  da  una  parte  del  crocicchio,  si  vede  un  rialto, 
come  un  poggetto  artilieiale,  con  una  croce  in  cima;  il  quale  non  è 
altro  che  un  gran  mucchio  di  morti  in  quel  contagio.  La  tradizione, 
|)er  dir  ta  verità,  dice  seinpljccniente  i  morti  del  contagio;  ma  de- 
v'  esser  quello  senz'  altro  ,  elie  fu  1'  ultimo ,  e  il  ]tiii  micidiale  di  cnj 


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CAPITOLO  XXXVin.  741 

rimanga  memoria.  E  sapete  che  le  tradizioni,  chi  non  le  aiufa,  da  sé 
dicon  sempre  troppo  gwco. 

Nel  ritorno  non  ci  fu  altro  i  neon  veniente ,  se  non  die  Renzo  era 
un  po'  incomodalo  dal  peso  de'  quattrini  che  portava  via.  Ma  l'uomo, 
come  sapete ,  a\e\a  fatto  ben  altre  \'ìte.  Non  prlo  del  lavoro  della 
mente,  che  non  èra  piccolo,  a  pensare  alla  miglior  maniera  di  farli 
fruttare.  A  vedere  i  progetti  che  passavan  per  quella  niente  ,  le  ri- 
flessioni ,  l' immaginazioni  ;  a  sentire  i  prò  e  i  contro  ,  per  1'  agricol- 
tura e  per  r  industria,  era  come  se  ci  si  fossero  incontrate  due  ac- 
cademie  dui  secolo  passato.  E  per  lui  l' impiccio  era  ben  più  reale  ; 
perchè ,  essendo  un  uomo  solo ,  non  gli  si  pote^  a  dire  :  cbc  bisogno 
c'è  di  scegliere?  l'uno  e  l'altro,  alla  buon'ora;  che  !  mezzi,  in  so- 
stanza ,  sono  i  medesimi  ;  e  son  due  cose  come  le  gambe ,  che  due 
vanno  meglio  d'  una  sola. 

Non  si  pensò  più  clic  a  fare  i  fagotti,  e  a  mettersi  in  viaggio:  casa 
Tramaglino  per  la  nuova  patria,  e  la  vedova  per  Milano.  Le  lacrime, 


i  ringraziamenti ,  le  promesse  d' andarsi  a  trovare  furoii  molle.  Non 
meno  tenera,  eccettuale  le  lacrime,  fu  la  separazione  di  Renzo  e  della 
bmiglia  dall'  ospite  amico  :  e  non  crediate  die  con  don  Abbondio  le 
cose  passassero  freddamente.  Quelle  buone  creai  ure  avcvan  sempre 
coneersato  un  certo  allaccamcnto  rispettoso  per  il  loro  curalo;  e 


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749  I  PROUESSl  SPOSI 

qurslD,  ili  fondo,  aveva  sempre  voltilo  Iwnc  a.  loro.  Son  quc' bciie- 
delti  affari,  clic  imbrogliai)  gli  affelli. 

Chi  domandasse  se  non  ci  fu  anche  del  dolore  in  dislacéarsi  tlal 
(taesc  nativo,  da  quelle  montagne;  ce  ne  fu  «curo:  cliè  del  dolore, 
ce  n'è,  slo  per  dire,  un  po'  i>cr  tutto.  Bisogna  |)erò  die  non  fosso 
molto  forte,  giacdiè  avrebbero  potuto  risparmiarselo,  stando  a  casa 
(oro ,  ora  che  Ì  due  grand'  inciampi ,  don  Rodrigo  e  il  hando ,  ersn 
levali.  Ma,  già  da  qualclic  tempo,  erano  avveui  luU'e  tre  a  rìgiiarr 
dar  come  loro  il  paese  duvc  andavano.  Heiiso  f  aveva  fatto  entrare 
in  grazia  alle  donne  ,  raccontando  l'agevolezze  die  d  trovavano  gli 
operai,  e  conio  cose  della  bella  vita  che  si  faceva  là.  Dd  resto,  avvvan 
tulli  passato  de' momenti  ben  amari  in  quello  a  eiii  voltavan  le  spal- 
le; e  le  niemorie  triste,  alla  lunga  giiastan  sempre  ndla  nienlc  i- luo- 
ghi clie  le  rìcliianiano.  E  se  que'  luoghi  son  qudlidovc  siam-  iiali , 
e*  è  forse  in  tali  memorie  qualcosa  di  più  as|>ro  e  pungente.  Anche 
il  bambino ,  dice  il  manoscritto ,  riposa  volentieri  sul  seno  della  balia, 
cerca  eon  avidità  e  eon  fiducia  la  poppa  che  l'ha  dolcenienle  alin^n- 
tato  (ino  allora  ;  ma  se  la  balia ,  per  divezzarlo ,  la  bagna  d' assenzio, 
il  bambino  ritira  la  bocca,  poi  torna  a  provare,  ma  finalmente  se  ne 
slaeea;  piangendo  si,  ma  se  ne  slacca. 

Cosa  direte  ora,  sentendo  che,  ajtpena  an'tvatì  e  accomodali  nel 
nuovo  paese.  Reni»)  eì  trovò  de'  disgusti  beli' e  preparali?  Miserie; 
ma  ci  vmil  cosi  poco  a  diblurbare  uno  sialo  felice'!  Ecco,  in  |)oclie 
[rarole ,  la  cosa. 

Il  parlare  che,  in  quel  pae^e,  s'  era  fatto  di  Luda,  molto  tempo 
prima  che  la  ci  arrivasse  ;  il  saper  die  Renzo  aveva  avuto  a  patir 
tanto  per  lei ,  e  sempre  fermo ,  sempre  fedele;  forse  qualche  parola 
di  qualche  amico  parziale  per  lui  e  per  tulle  le  cose  sue,  avevaii 
fallo  nascere  una  cerla  curiosità  di  veder  la  giovine,  e  una  cerla 
aspctlaliva  della  sua  bellezza.  Ora  sapete  come  e  l'aspettativa:  im- 
maginosa, credula  ,  sicura  ;  alla  prova  poi ,  diflieile,  schizzinosa  :  non 
trova  mai  tanto  che  le  basii,  perchè,  in  sostanza,  non  sapeva  quello 
che  si  volesse  ;  e  fa  scontare  senza  pietà  il  dolce  che  aveva  dato  senza 
ragione.  Quando  comparve  .questa  Luda,  molti  j  quali  crcdevan  lì)rsc 
die  dovesse  avere  i  capelli  jiroprio  d'oro,  e  le.  gole  proprio  di  rosa, 
e  due  ocdii  1'  uno  più  bdlo  dell'  altro ,  e  die  so  io  f  comineiaroiio  a 
alzar  le  sjialle ,  ad  orrieeiare  il  naso ,  e  a  dire  :  »  eb  !  l' è  questa  ? 
Dopo  tanto  lenipo,  dopo  lauti  discorsi,  s'aspettava  qualcosa  di  ipcglioL 


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CAPITOLO  XXXVIII.  113 

Cos'  u  poi?  Una'  coiiladtiia  come  (ani'  (d(re.  Eh  !  di'  quesie  e  delle 
meglio,  ce  II' è  per  lulio.  "  Venendo  poi  a  esaminarla  in  particolare, 
nota\'an  chi  un  difetto,  chi  un  altro  :  e  ci  furon  Un  di  quelli  che  la 
Irovavoii  brulla  affalto. 

Siccome  però  nessuno  lo  andava  a  dir  sai  viso  a  Renzo ,  queste 
eose  ;  cosi  non  c'era  gran  male  tìa  lì.  Chi  lo  fece  il  male,  furon  certi 
tali  clic  gliele  rapportarono:  e  Renzo,  che  volete?  ne  fu  tocco  sul 
vivo.  Cominciò  a  rnminarci  sopra ,  a  farne  di  gran  lamenti ,  e  con 
clii  gliene  pal'la^'a ,  e  più  a  lungo  tra  sé.  —  E  cosa  v'importa  a  voi 
altri?  E  chi  v'ha  dettoti' aspettare?  Son  mai  venuto  io  a  pariarvme? 
a  dirvi  che  la  fosse  bella  ?  E  quando  me  lo  dicevate  voi  altri ,  v'  ho 
mai  risposto  altro ,  se  non  che  era  una  buona  giovine  ?  É  una  con- 
tadhia!  V  ho  detto  mai  che  v'avrei  menalo  qui  una  principessa?  Non 
vi  piace?  Non  la  guartlutc.  N'  avete  delle  belle  donne:  guardale 
qiictlc.  — 

E  vcdL-te  un  poco  come  alle  volte  min  corbelleria  basta  a  decìdere 
dello  slato  d'  un  uomo  per  tiitla  la  vita.  Se  Renzo  avesse  dovuto  pas- 
sar la  sua  in  quel  i>aese,  secondo  il  suo  primo  disegno,  sarebbe  slata 
una  vita  poco  allegra.  K  forza  d'esser  disgustalo,  era  ormai  diventalo 
disgustoso.  Era  sgarbalo  con  tutti,  perchè  ognuno  poteva  essere  uno 
de' critici  di  Lucia.  Non  già  che  trattasse  proprio  contro  ti  galateo; 
ma  sapete  (|nanle  belle  cose  sì  possoii  fare  senza  offender  le  regole 
della  buona  creanza  :  fino  sbudellarsi.  Aveva  un  non  so  che  di  sar- 
donico  in  ogni  sua  parola  ;  in  tutto  t^ova^'a  anche  lui  da  ci'iticare , 
a  sogno  che,  se  faceva  callivo  tempo  due  giorni  di  seguito,  subito 
diceva  :  «  eh  già ,  in  questo  paese  !  »  Vi  dico  che  noti  eran  pochi 
quelli  che  1'  ave\an  già  preso  a  noia ,  e  anche  persone  che  prima  gli 
volevan  bene;  e  col  tempo,  d'una  cosa  nell'allra,  si  sarebbe  trovato, 
per  dir  cosi ,  in  guerra  con  quasi  tutta  la  popolatone ,  senza  poter 
forse  nò  anelie  lui  conoscer  la  prima  cagione  d' un  cosi  gran  male. 

Kla  si  direbbe  che  la  peste  avesse  preso  l' impano  di  raccomodar 
tutte  le  malefatte  di  costui.  Ave^'a  essa  portato  via  il  padrone  d'un 
altro  filatoi»,  squalo  quasi  sulle  porle  di  Beliamo;  e  l'erede,  giovine 
scapestrato,  che  in  tulio  queir edìRzio  non  trovava  ulie  ci  fosse  nulla 
di  divertente ,  era  delibci-ato ,  anzi  smanioso  di  vendere ,  anche  a 
mezzo  prezzo;  ma  voleva  i  danari  T  uno  sopra  l'altro,  per  poterli 
impiegar  subito  in  consumazioni  improduttive.  Venuta  la  cosa  a^i 
orecchi  di  Bortolo,  eorse  a  vedere;  trattò:  palli  più  grassi  non  si 


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ut  I  PROMESSI  SPOSI 

sard)l)ero  poluli  sperare;  ma  quella  condizione  de*  pronti  conlanli 
guastava  tutto ,  perchè  quelli  che  aveva  mesiii  da  parte ,  a  poco  a 
poco,  a  forza  di  risparmi,  erano  ancor  lontani  da  arrivare  alla  aom- 
ma.  Tenne  1'  amico  in  mezsa  parola ,  tornò  indietro  in  fretta ,  contu* 
nicò  l'atTare  al  cugino,  e  gli  propose  di  farlo  a  mezzo.  Una  cosi  bdla 
pro))osta  troncò  i  dubbi  economia  di  Renzo,  clic  si  risolvette  siUnto 
per  r  industria ,  e  disse  dì  si.  Andarono  insieme ,  e  si  strinse  il  cmi- 
tratto.  Quando  poi  i  nuovi  padroni  vennero  a  stare  sul  loro ,  Luda, 
che  li  non  era  iispcltala  per  nulla,  non  solo  non  andò  soggetta  a  cri- 
licite ,  ma  si  può  dire  che  non  dispiacque  ;  e  Renzo  venne  a  risapere 
ulte  s' era  detto  da  più  d'  uno  :  "  avete  veduto  quella  bella  bag^ana 
che  c'è  venuta?  n  L' epiteto  faceva  passare  il  sostantivo. 

E  anche  del  dispiacLTe  che  aveva  provato  nell'altro  paese,.glj  restò 
un  utile  ainmaesli-umento,  Prima  d' allora  era  stalo  un  po'  lesto  nel 
sentenziare,  e  si  lasciava  andar  volentieri  a  criticar  la  donna  d'altri, 
e  i^ni  cosa.  Allora  s'accorse  che  le  parole  fanno  un  efliello  in  bocca, 
e  un  altro  negli  orecchi;  u  prese  un  po' più  d'abitudine  d'ascoltar  di 
denti'O  le  sue,  prima  di  proferirle. 

Non  crediate  però  che  no;t  ci  fosse  qualche  faslidiuccio  anelie  li. 
L*  uomo  (dice  il  nostro  anoiiitno  :  e  già  sapete  per  prova  che  aveva 
un  gusto  un  po'  strano  in  fatto  di  similitudini  ;  ma  passategli  anche 
questa,  che  avrebbe  a  esser  l'ultima),  l'uomo,  (in  che  sta  in  qnesto 
inondo,  è  un  infermo  che  si  trova  sur  un  letto  scomodo  più  o  meno , 
e  vede  intorno  a  se  altri  Ietti,  ben  rifalli  al  di  fuori,  piani,  a  livello: 
e  si  tìgura  che  ci  si  deve  star  benone.  Ma  se  gli  riesce  di  camlHare, 
appena  s'è  accomodato  nel  nuovo,  comincia,  pigiando,  a  sentire, 
qui  una  lisca  che  lo  punge,  li  un  bernocculo  die  lo  preme:  siamo  in 
somma,  a  un  tli  prc-ssu,  alla  storia  di  prima,  E  per  questo,  soggiunge 
l'anonimo,  si  dovrebbe  pensare  più  a  far  bene,  die  a  star  bene:  e  cosi 
si  finirebbe  anche  a  star  meglio.  È  tirata  un  po'  con  gli  argani ,  e 
proprio  da  secentista;  ma  in  fondo  ha  ragione.  Per  altro,  prosegue, 
dolori  e  imbrogli  della  qualità  e  della  Corza  di  qudli  che  abbiam  rac- 
contati, non  ce  ne  furon  più  per  la  nostra  buona  gente:  fu,  da  qud 
punto  in  poi,  una  vita  delle  più  tranquille,  delle  più  fdid,  ddle  più 
invidiabili  ;  di  maniera  die,  se  ve  l'avessi  a  raeconlare,  vi  secdie* 
rebbe  a  morie. 

Gli  alTari  andavan  d' incanto:  sul  principio  ci  fu  un  i>u' d'incaglio 
per  la  scarsezza  de'  lavoranti  e  per  lo  sviamento  e  le  prolensioni  de 


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CAPITOLO  XXXVIII.  ut 

pochi  eh'  eran  rimasli.  Puron  pubblicati  editti  che  limitavano  le  paglie 
degli  operai  ;  malgrado  qiiest'  aiuto,  le  (»se  si  rineamininarono,  perché 
alla  fine  bisogna  àie  si  rincamminino.  Arrivò  da  Venezia  un  altro  editto, 
un  po'  più  ragionevole:  esenzione,  per  dieci  anni,  da  ogni  carico  reale 
e  personale  ai  forestieri  che  venissero  a  abitare  in  quello  stato.  Per  i 
nostri  fu  una  nuova  cuccagna. 

Prima  che  finisse  l'anno  del  matrimonio,  venne  alla  luce  una  beila 
creatura;  e,  come  se  fosse  fatto  apposta  per  dar  subito  opportunità  A 
Renzo  d^adempire  quella  sua  magnanima  premessa,  fu  una  bambina; 
e  potete  credere  che  le  fu  messo  nome  Maria.  Ne  vennero  poi  col 
tempo  non  ao  quant' altri,  dell'uno  e  dell' altn»  sesso:  e  Agnese  affac- 
cendala a  portarli  in  qua  e  in  là  ,  1'  uno  dopo  1'  altro  ,  chiamandoli 
caltivaccì ,  e  stampando  loro  in  viso  de'  bacioni,  die  ci  lasciavano  il 
bianco  per  qualche  tempo.  E  furon  tutti  ben  inclinati;  e  Renzo  volle 
die  imparassero  tutti  a  leggere  e  scrivere,  dicendo  die,  giacché  la 
c'era  questa  birberia,  dovevano  almeno  projìtiariie  anche  loro. 

Il  bello  era  a  sentirlo  raccontare  le  sue  avventure:  e  finiva  sempre 
col  dire  le  gran  cose  che  ci  aveva  imparale ,  per  governarsi  meglio 
in  avvenire.  «  Ho  imparato,  n  diceva,  «  a  non  mellermi  ne'  tumulti: 
Ito  imparato  a  non  predicare  in  piazza  :  ho  imparato  a  non  alzar 
troppo  il  gomito:  ho  imparalo  a  non  tenere  in  mano  il  martello  delle 
porte,  quando  c'è  li  d'intorno  gente  che  ha  la  testa  calda  :  ho  impa- 
rato a  non  allaccarmi  un  campanello  al  piede,  prima  d'aver  pensalo 
quel  che  ne  possa  nascere.  »  E  cent'  altre  cose. 

Lucia  però,  non  elie  trovasse  la  dottrina  falsa  in  sé,  ma  non  n'era 
soddisfalla;  le  pareva,  così  in  confuso',  che  ci  mancasse  qualcosa.  A 
forza  di  sentir  ripetere  la  slessa  canzone,  e  di  pensard  sopra  (^ni 
volta,  «  e  io ,  "  disse  un  giorno  al  suo  moralista ,  »  cosa  volete  che 
abbia  imparalo  ?  Io  non  sono  andata  a  cercare  i  guai  :  son  loro  che 
sono  \'enuti  a  cercar  me.  Quando  non  voleste  dire,  »  aggiunse,  soa- 
vemente sorridendo,  u  che  il  mio  spropo»lo  sia  stalo  quello  di  vo- 
lervi bene,  e  di  promettermi  a  voi.  » 

Renzo,  alla  prima,  rimase  impiccialo.  Dopo  un  lungo  dibattere  e 
cercare  insieme,  conclusero  che  i  guai  vengono  bensì  spesso,  perché 
d  si  è  dato  cagione  ;  ma  che  la  condotta  più  cauta  e  più  innocente 
non  basta  a  tenerli  lontani  ;  e  che  quando  ^'engoao ,  o  per  colpa  o 
senza  colpa ,  la  fiducia  in  Dio  li  raddolcisce,  e  li  rende  utili  per  una 
vita  migliore.  Questa  coticlusiDue,  benché  trovala  «la  povera  genie, 


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T4«  I  PltOÌIESSI  SPOSI 

o'è  parsa  cosi  giusta,  che  al:d>iaia  pensato  di  melleria  qui,  coinè  il 
sugo  di  tutta  la  storia. 

La  quale ,  se  non  v'  è  dispiaciuta  aflatto,  vogliatene  bene  a  chi  l' lia 
scritta,  e  anche  un  pochino  a  chi  l'ha  raccomodala.  Ma  se  in  vece 
fossimo  riusciti  ad  annoiarvi ,  credete  elie  non  s' è  latto  ^posla. 


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INTRODUZIONK. 


i  giudici  che,  in  Milano,  n«l  4630,  con- 
dannarono a  supplizi-atrocissimi  alcuni 
accusati  d'  aver  propagata  la  peste  eoo 
certi  ritrovati  sciocchi  non  men  che  or- 
ribili, parve  d'aver  Tatto  una  cosa  tal- 
mente  degna  di  memoria,  che,  nella  sen- 
tenza medesima,  dopo  aver  decretala,  in 
aggiunta  de'  supplizi,  la  demolizion  della 
casa  d'uno  di  quegli  sventurati, decreta- 
ron  di  più,  che  in  quello  spazio  s' innaU 
zasse  una  colonna,  la  quale  dovesse  chiamarsi  infame,  con  un'  iscri- 
zione che  tramandasse  ai  posteri  la  notizia  dell'attentato  e  della  pena. 
E  in  ciò  non  s' ingannarono  :  quel  giudizio  fu  veramente  memorabile. 
In  una  parte  dello  scrìtto  antecedente,  l'autore  aveva  manifestata 
r  intenzione  di  pubblicarne  la  storia  ;  ed  è  questa  che  presenta  al 
pubblico ,  non  senza  vergogna ,  sapendo  che  da  altri  è  stata  sup- 
posta opera  di  vasta  materia,  se  non  altro,  e  di  mole  corrispon- 
dente. Ma  se  il  ridicolo  del  disinganno  deve  cadere  addosso  a  lui, 


DÌ!ì"itiz(=riiiyG00gle 


THO  INTRODITZIONE. 

gli  sia  permesso  almeno  di  protestare  che  nell'  errore  non  Ita  colpa, 
e  che,  se  viene  alla  luce  un  topo ,  lui  non  aveva  detto  che  dovessero 
partorire  i  menti.  Aveva  detto  soltanto  che,  come  episodio,  una  tale 
storia  sarebbe  riuscita  troppo  lunga ,  e  che ,  (juantuoque  il  soggetto 
fosse  già  stato  trattato  da  uno  scrittore  giustamente  celebre  (  Oi- 
»ervaiioni  tuUa  tortura,  di  Pietro  Verri )j  gli  pareva  che  potesse 
esser  trattato  di  nuovo,  con  diverso  intento.  E  basterà  un  breve 
cenno  su  questa  diversità,  per  far  conoscere  la  ragione  del  nuovo  la- 
voro. Cosi  si  potesse  anche  dire  l'utilità;  ma  questa,  pur  troppo, 
dipende  molto  ptiì  dall'esecuzione  che  dall'  intento. 

Pietro  Verri  si  propose,  come  indica  il  titolo  medesimo  del  suo 
opuscolo,  di  ricavar  da  quel  fatto  un  argomento  contro  la  tortura , 
facendo  vedere  come  questa  aveva  potuto  estorcere  la  confessione 
d' un  delitto  ,  fisicamente  e  moralmente  impossibile.  E  l' ai^omento 
era  stringente,  come  nobile  e  umano  1'  assunto. 

Ma  dalla  storia,  per  quanto  possa  esser  succinti,  d'un  avvenimento 
complicato,  d'un  gran  mate  fatto  senza  ragione  da  uomini  a  uomini, 
devono  necessariamente -potersi  ricavare  osservazioni  più  generali, 
e  d'un' utilità,  se  non  così  immediata^  non  meno  reale.  Anzi,  a  con- 
tentarsi di  quelle  sole  che  potevan  principalmente  servire  a  quell'in- 
tento speciale,  c'è  pericolo  di  formarsi  una  nozione  del  fatto,  non 
solo  dimezzata,  ma  falsa,  prendendo  per  cagioni  di  esso  l' ignoranza 
de'  tempi  e  la  barbarle  della  giurisprudenza,  e  riguardandolo  quasi 
come  un  avvenimento  fatale  e  necessario  ;  che  sarebbe  cavare  un 
errore  dannoso  da  dove  si  può  avere  un  utile  insegnamento.  L' igno- 
ranza in  fisica  può  produn-e.  degl'  inconvenienti ,  ma  non  delle  ini- 
quità; e  uua  cattiva  istituzione  non  s'applica  da  sé.  Certo,  non  era 
nn  effetto  necessario  del  credere  all' efficacia  dell'  unzioni  pestifere, 
il  credere  che  Guglielmo  Piazza  e  tìiangiacomo  Mora  le  avessero 
messe  in  opera;  come  dell'  esser  la  tortura  in  vigore  non  era  effetto 
necessario  che  fosse  fatta  soffrire  a  tutti  gli  accusali,  né  che  tutti 
<|uelli  'a  cui  si  faceva  soffrire,  fossero  sentenziati  colpevoli.  Verità 
ehe  può  parere  seiocca  per  troppa  evidenza  -,  ma  non  di  rado  le  ve- 
rità troppo  evidenti,  e  che  dovrebbero  esser  sottintese,  sono  in 
vece  dimenticate;  e  dal  non  dimenticar  questa  dipende  il  giadicar 
rettamente  quell'atroce  giudizio.  Noi  abbiam  cercato  di  metterla  in 
luce,  di  far  vedere  ehe  que'  giudici  condannaron  degl'  innocenti,  che 
essi,  con  la  più' ferma  persuasione  dell'efficacia  dell' unzioni,  e  con 
una  legislazione  che  ammetteva  la   tortura,   potevano   riconoscere 


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INTRODUZIONK.  THl 

ÌDOOceatì;  e  che  «nzi,  per  trovarli  colpevoli,  per  respingere  il  vero 
che  ricomparivft  ogni  momeoto,  in  mille  forme,  e  da  mille  parti, 
con  earaUeri  chiari  allora  com'  ora ,  come  sempre ,  dovettero  fare 
coDtìDui  sforzi  d'iogcgno,  e  ricorrere  a  espedienti,  de' quali  non 
potevano  ignorar  l'iagiastizia.  Non  vogliamo  certamente  (e-sarebbc 
un  tristo  assunto)  togliere  all' ignoranza  e  alla  tortura  la  parte  loro 
io  <'|iieir  orribile  fotto  :  ne  furono,  la  prima  un'  occasion  deplorabile, 
l'altra  un  mezzo  crudele  e  attivo,  quantunque  non  l'unico  certa- 
.  mente ,  né  il  principale.  Uà  crediamo  che  importi  il  distìnguerne 
le  vere  ed  efficienti  cagioni j  che  furono  atti  iniqui,  prodotti  da 
che,  se  non  da  passieai  perverse? 

Dìo  solo  ha  potuto  distìnguere  qual  più ,  qnal  meno  tra  queste 
abbia  dominato  nel  cuor  di  que'  giudici ,  e  Sf^giogate  k  loro  vo- 
lontà: se  la  rabbia  contro  perìcoli  t^cari,  cbc,  impaziente  dì  tro- 
vare un  oggetto,  alTerrava  quello  che  le  veniva  messo  davanti;  che 
aveva  ricevuto  una  notizia  desiderata,  e  non  voleva  trovarla  falsa; 
aveva  detto.  fintUnunte/  e  non  voleva  dire:  tiam  da  eafio;  la  raUlìa 
resa  spietata  da  una  lunga  paura  ,  e  diventata  odio  e  puntiglio 
contro  gli  sventurati  che  ccrcavan  di  sfuggirle  di  mano;  o  il  timor  di 
mancare  a.  un' aspettativa  generale,  altrettanto  sicura  quanto  awen-> 
tata,  di  parer  meno  abili  se  scoprivano  dcgV  ionocenti,  dì  voltar  contro 
dì  sé  le  grida  della  moltitudine ,  col  non  ascoltarle  ;  il  timore  fora'  ao- 
cbe  dì  gravi  pubblici  mali  ehe  ne  potessero  avvenire:  timore  di  meu 
tui'pe  apparenza,  ma  ugualmente  perverso,  e  noa  meo  miserabile, 
quando  sottentra  al  timore,  veramente  nobile  e  veramente  sapieule, 
di  comiuctter  l' ingiustizia.  Dio  solo  ha  potuto  vedere  se  que'  ma- 
gistrati, trovando  ì  colpevoli  d'  un  delitto  che  non  e'  era,  ma  che  si 
voleva  *,  furon  più  complici  o  ministri  d'  una  moltitudine  che,  acce- 
cata, non  dall'ignoranza,  ma  dalla  maligniti  e  dal  furore,  violava 
con  quelle  grida  i  precetti  più  positivi  della  legge  divina ,  dì  cui 
si  vantava  seguace.  Ha  la  menzogna ,  1'  abuso  del  potere ,  la  vìor- 
lazion  delle  K'^ì  e  delle  regote  più  note  e  ricevute,  l'adoprar  doppi» 
peso  e  doppia  misura ,  son  cose  cbc  si  possoo  riconoscere  anche 
diagli  uomini  negli  atti  umani;  e  riconosciute,  nou  si  posson  rife- 
rire ad  altro  che  a  passioni  pervertitrici  della  volontà;  né,  per  ispiegar 
gli  atti  ni;itcmlmente  iniqui  di  quel  giudizio,  se  ne  potrebbe  trovar 
di  più  naturali  e  di  meo  trute,  che  quella  rabbia  e  quel  timore. 

Ora,  tali  cagioni  non  furoo  pur  troppo  particoinri  a  un'epoca; 

*  Ul  mot  vulgo,  qinimvi*  fultit,  ittiiit  4i<lnlcic.  1'ucil.  Aiki.  I,  sa. 


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VHt  INTttODUZIONE. 

De  fu  soltanto  per  occasioDe  d'errori  in  fisica,  e  col. mezzo  delta 
tortura,  che  quelle  passioni,  come  tutte  l'altre,  abbian  fatto  com- 
mettere ad  uomini  eh' eran  tutt' altro  che  scellerati  di  professione, 
azioni  malvage,  sia  in  rumorosi  avvenimenti  pubblici,  sia  nelle  più 
oscure  relazioni  private.  >  Se  una  sola  tortura  di  meno ,  >  scrive 
r  autor  sullodato,  >  si  darà  in  grazia  dell'  orrore  che  pongo  sotto 
gli  occhi,  sarà  ben  impiegato  il  doloroso  sentimento  che  provo,  e 
la  speranza  di  ottenerlo  mi  ricompensa  *.  *  Noi,  proponendo  a  let- 
tori pazienti  di  fissar  di  nuovo  lo  sguardo  sopra  orrori  già  cono- 
sciuti, crediamo  che  non  sarà  senza  un  nuovo  e  non  ignobile  fratto, 
se  lo  sdegno  e  il  ribrezzo  che  non  si  può  non  provarne  ogni  volta, 
si  rivolgeranno  anche,  e  principalmente,  contro  passioni  che  non 
si  possoD  bandire,  come  falsi  sistemi,  né  abolire,  come  cattive  isti- 
tuzioni, ma  render  meno  potenti  e  meno  funeste,  col  riconoscerle 
ne'  loro  eff'etti ,  e  detestarle. 

E  non  temiamo  d'  aggiungere  che  potrà  anche  esser  cosa,  in 
mezzo  ai  più  dolorosi  sentimenti,  consolante.  Se ,  io  un  complesso 
di  fatti  atroci  dell'uomo  contro  l'uomo,  crediam  di  vedere  un  eF> 
fetto  de'  tempi  e  delle  circostanze ,  proviamo ,  insieme  con  l' orrore 
e  con  la  compassion  medesima,  uno  scoraggìmento ,  una  specie  di 
disperazione.  Ci  par  di  vedere  la  natura  umana  spinta  invincìbilmente 
al  male  da  cagioni  indipendenti  dal  suo  arbitrio ,  e  come  legata  in 
un  sogno  perverso  e  affannoso,  da  cui  non  ha  mezzo  di  riscotersi, 
di  cui  non  può  nemmeno  accoi-gcrsi.  Ci  pare  irragionevole  l' inde- 
gnazione  che  nasce  in  noi  spontanea  conb'o  gli  autori  di  (]ue'  fatti, 
e  che  pur  nello  stesso  tempo  ci  par  nobile  e  santa.-  rimane  1'  orrore, 
e  scompare  la  colpa;  e, cercando  un  colpevole  contro  cui  sdegnarsi 
a  ragione ,  il  pensiero  si  trova  con  raccapriccio  condotto  a  esitare 
tra  due  bestemmie,  che  son  due  deliri  :  negar  la  Frowideoza,  o  ac- 
cusarla. Ma  quando ,  nel  guardar  più  attentamente  a  que'  fatti,  ci  si 
scopre  un'  ingiustìzia  che  poteva  esser  veduta  da  quelli  stessi  che 
la  commettevano,  uu  trasgredir  le  regole  ammesse  anche  da  loro, 
dell'  azioni  opposte  ai  lumi  che  non  solo  e'  erano  al  loro  tempo,  mn 
che  essi  medesimi,  in  circostanze  simili,  uiostraron  d'avere,  è  u» 
sollievo  il  pensare  che,  se  non  seppero  quello  che  facevano,  fu  per 
non  volerlo  sapere,  fu  per  queir  ignoranza  che  l'uomo  assume  e 
perde  a  auo  piacere,  e  non  è  una  scusa,  ma  una  colpa;  e  che  di 
tali  (atti  si  può  bensì  esser  forzatamente  vittime,  ma  non  autori. 

*  Verri,  OsservKÌoni  *ulla  tortura,  $  VI. 


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1^TR0DI;ZI(WE.  TB3 

Non  ho  però  voluto  dire  che,  tra  gli  orrori  di  r|uel  giudizio,  t' illu- 
stre scrittore  suddetto  non  veda  mni,  in  ncssuo  caso,  l' ingiustizia 
personale  e  volontaria  de'  giudici.  Ho  vointo  dir  soltanto  che  non  s' era 
proposto  d'osservar  quale  e  quanta  parte  c'ebbe,  e  molto  meno  dì 
dimostrare  che  ne  fu  la  principale,  anzi ,  a  parlar  prccìsamenle,  la 
sola  cagione.  E  aggiungo  ora,  che  non  1'  avrebbe  potuto  fare  senza 
nocere  al  suo  particolare  intento.  1  partigiani  della  tortura  (che  l' isti- 
tuzioni più  assurde  ne  hanno  finché  non  son  morie  del  tutto ,  e 
spesso  anche  dopo,  per  la  ragione  stessa  che  son  potute  vìvere)  ci 
avrebbero  trovata  una  giustificazione  di  quella.  —  Vedete?  —  avreb- 
bero detto ,  —  la  colpa  è  dell'  abuso ,  e  non  della  cosa.  —  Veramente 
sarebbe  una  singoiar  giustificazione  d'una  cosa,  il  fur  vedere  che, 
oltre  all'  essere  assurda  in  ogni  caso,  ha  potuto  in  qualche  caso 
speciale  servir  di  strumento  alle  passioni,  per  commettere  fatti  as- 
surdissimi e  atrocissimi.  Ma  l' opinioni  fisse  l' ìotendon  cosi.  E  dal- 
l'altra  parie,  quelli  che,  come  il  Verri,  volevano  l'abolizion  della 
tortura,  sarebbero  stati  malcontenti  che  s'  imbrogliasse  la  causa 
con  distinzioni,  e  che,  con  dar  la  colpa  ad  altro,  si  diminuisse  1'  or- 
rore per  quella.  Cosi  almeno  avvien  d'  ordinario:  che  chi  vuol  met- 
tere in  luce  una  verità  contrastala ,  trovi  ne'  fautori ,  come  negli 
avversari,  un  ostacolo  a  esporla  nella  sua  forma  sincera.  È  vero  che 
gli  resta  quella  gran  massa  d'uomini  senza  partito,  senza  preoccu- 
pazione ,  senza  passione ,  ebo  non  hanno  voglia  di  conoscerla  in 
nessuna  forma. 

In  quanto  ai  materiali  di  cui  ci  slam  serviti  per  compilar  questa 
breve  storia,  dobbiam  dire  prima  di  tutto,  che  le  ricerche  fatte  da 
noi  per  iscoprire  il  processo  originale,  benché  agevolate,  anzi  aiu- 
tate dalla  più  gentile  e  attiva  compiacenza ,  non  han  giovato  che  a 
persuaderei  sempre  più  che  sìa  assolutamente  perduto.  D'una  buona 
parte  però  è  rimasta  la  copia;  ed  ecco  come.  Tra  que'  miseri  accusati 
sì  trovò,  e  pur  troppo  per  colpa  d' alcun  di  loro,  una  persona  d' im- 
portanza, don  Giovanni  Gaetano  de  Padilla,  figlio  del  comandante  del 
castello  dì  Milano ,  cavalìer  di  sani'  lago ,  e  capitano  di  cavalleria;  il 
quale  potè  fare  stampare  te  sue  difese,  e  corredarle  d'un  estratto 
dd  processo,  che,  come  a  reo  costituito,  gli  fu  comunicato.  E  certo, 
qne'  giudici  non  s' accorsero  allora ,  che  lasciavan  fare  da  uno  stam- 
patore un  monumento  più  autorevole  e  più  durevole  di  quello  che 
avevan  commesso  a  un  architetto. 

Di  quesl'  estratto,  c'è  dì  più  un'  altra  copia  manoscritta/  ìu  alcuni 


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IBI  INTRODUZIONE. 

luoghi  più  scarsa,  ìd  altri  pivi  abbondante,  la  quale  appjirtenne  al 
conte  l'ietro  Verri,  e  fu  dal  degnissimo  suo  figlio,  il  signor  conte 
Gabriele,  con  liberale  e  paziente  cortesia,  messa  e  lasciala  a  nostra 
disposizione.  E  quellu  che  servi  all'  ilbistre  scrittore  per  lavorar  l' o- 
puscoln  citato,  ed  è  sparsa  di  postille,  che  sono  riflessioni  rapide, 
o  sfuglii  repentini  dì  coinpassion  dolorosa,  e  d' indegnazione  santa. 
Porla  per  lilolo:  Sumfnarìum  offentivi  cantra  Don  Jokannem  Caje- 
iaiivm  (fé  Padilfaj  ci  si  trovan  per  esteso  molte  cose  delle  quali 
nell'estratto  stampato  non  c'è  che  un  sunto;  ci  son  notati  in  margme 
i  numeri  delle  pagine  del  processo  originale,  dalle  quali  son  levati  ì 
diversi  brani;  ed  è  pure  sparsa  di  brevissime  annotazioni  latine,  latte 
però  del  carattere  stesso  del  testo:  Detentio  Mora;  Detcriptio  Do- 
mini Johannitj  Àdvertatur  Commìttarioj  JnverUhmlej  SubgettiOj 
e  simili,  che  sono  evidentemente  appunti  presi  dall'  avvocato  del 
Fadilla,  per  le  difese.  Da  tutto  ciò  pare  evidente  che  sia  una  copia 
lettei'alc  dell'  estratto  autentico  che  fu  comunicato  al  difensore  ;  e 
che  questo,  nel  farlo  stampare,  abbia  omesse  varie  cose,  come  meno 
iniporlanlì,  e  altre  si  sia  contentato  d'accennarle.  Ma  come  mai  se 
ne  trovano  nello  stampato  alcune  che  mancano  nel  manoscritto  ? 
Probabilmente  il  difensore  potè  spogliar  di  nuovo  il  processa  ori- 
ginate, e  farci  una  seconda  scella  di  ciò  che  gli  paresse  utile  alla 
eausa  del  suo  cliente. 

Da  questi  due  estratti  abbiamo  naturalmente  ricavato  il  più  ;  ed 
essendo  il  primo,  altre  volte  rarissimo,  stato  ristampato  da  poco 
tempo,  il  lettore  potrà,  se  gli  piace,  riconoscere,  coi  confronto  di 
quello,  i  luoghi  che  abbiam  presi  dalla  copia  manoscritta. 

Anche  le  difese  suddette  ci  hanno  somministrato  diversi  fatti, 
0  materia  di  qualche  osservazione.  E  siccome  non  fnrou  mai  ristam- 
pate, e  gli  esemplari  ne  sono  scarsissimi,  non  mancherem  di  citarle, 
ogni  volta  che  avremo  occasion  di  servircene. 

Qualche  piccola  cosa  finalmente  abbiam  potuto  pescare  do  qual- 
chedimo  de'  pochi  e  scompagnati  documenti  autentici  che  son  rima- 
sti di  quell'epoca  di  confusione  e  di  dbperdimento,  e  che  si  conser- 
vano nell'archivio  citato  più  d'una  volta  nello  scritto  autecedàite. 

Dopo  la  breve  storia  del  processo  abbiam  poi  creduto  che  n(Hi 
sarebbe  fuor  di  luogo  una  più  breve  storia  dell'opinione  che  regnò 
inlnino  ad  esso,  fino  »)  Verri,  cioè  per  un  secolo  e  mezzo  circa. 
Uico  l'opinione  espressa  ne' libri,  che  è,  per  lo  più,  e  in  gran 
parte,  la  soia  che  i  posteri  possan  conoscere;  e  ha  in  ogni  caso 


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INTRODUZIONE.  Jse 

una  sua  importanza  speciale.  Nel  iioslro,  e'  è  parso  che  potesse  essere 
una  cosa  curiosa  it  vedere  un  seguito  di  scrittori  andar  l'uno  dietro 
all'altro  come  le  pecorelle  di  Dante,  senza  pensare  a  iufonnarsi 
d'un  fallo  del  '|ualc  credevano  dì  dover  parlare.  Mon  dico:  cosa 
divertente  ;  cliè ,  dopo  aver  visto  quel  crudele  combattimento  ,  e 
queir  orrenda  vittoria  dell'  errore  contro  la  verità,  e  del  fuiore  po- 
tente contro  r  innocenza  disarmata,  non  posson  far  altro  che  dispia- 
cere,  dicevo  quasi  rabbia,  di  chiunque  siano^  quelle  parole  in  con- 
Ternia  e  in  esaltazion  dell'errore,  queir  affennar  così  sicuro,  sul 
fondamento  d'un  credere  cosi  spensierato,  (juellc  maledizioni  alle 
vittime,  queir  Ìndegna?.ioDe  alla  rovescia.  Ma  un  tal  dispiacere  porla 
con  se  it  suo  vantaggio,  accrescendo  l'avversione  e  la  dirfidenxa  per 
quell'usanza  antica,  e  non  mai  abbastanza  screditata,  di  ripetere 
senza  esaminare,  e,  se  ci  si  lascia  passar  (guest*  espressione,  dì  me- 
scere al  pubblico  il-suo  vino  medesimo,  e  alle  volte  quello  che  gli 
ha  già  dato  alla  testa. 

A  questo  line,  avevam  pensato  alla  prima  di  presentare  al  lettore 
la  raccolta  di  tutti  i  giudizi  su  quel  fatto,  che  c'era  riuscito  di  tro- 
vare in  qualunque  libro.  Ma  temendo  poi  di  metter  troppo  a  ci- 
mento la  sua  pazienza,  ci  siam  ristretti  a  pochi  scrittori,  nessuno 
affatto  oscuro ,  la  più  parte  rinomati:  cioè  quelli,  de' quali  son  più 
istruttivi  anche  gli  errori,  quando  non  posson  pili  esser  contagiosi. 


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„GoogIe 


>»». 


.^  matliiia  del  fil  di  giugno  i630,  verso  le 

!' ,'  ([uallro  e  mezzo,  una  donnicciola  chiamala 

Calei'ina  Rosa,  Irovandosi,  per  disgrazia, 
1  a  una  llnestra  d'  un  cavalcavia  che  allora 

e'  era    sul  principio  dì   via  della    Vetra 
de'  Cilladini,  dalla  parie  che  mette  al  corso 
di  porla  Ticinese  (quasi  dirimpetto  alle 
^  colonne  di  san  Lorenzo),  vide  venire  un 

„  uomo  con  una  cappa  nera ,  e  il  cappello 

sugli  occhi ,  e  una  carta  in  mano ,  «opra 
la  qnaie ,  dice  costei  nella  sga  deposizione,  melteua  tu  le  manij 
che  fiareua  che  scrivesse.  Le  diede  nell'  occliio  che ,  entrando  nella 
strada,  li  fece  appresso  alla  vmraglia  delle  cote ,  che  è  nibUo.dopo 
voltalo  il  cantone  j  e  che  a  luogo  a  luogo  tiraua  con  le  mani  die- 
tro al  muro.  j4ll' hora,  soggiunge,  mi  viene  in  penderò  se  a  caso 
fosse  un  poco  uno  de  quelli  che,  a'  giorni  pastatij  andammo  ongendo 
le  muraglie.  Presa  da  un  lai  sospetto,  passò  in  un'  altra  stanza,  che 


Digitizf^riiiyGoOgle 


guardava  lungo  la  strada,  per  tener  d' occhio  lo  sconosciuto,  die  a'  a- 
vanzava  in  quella:  et  viddij  dice,  che  leneua  toccato  la  detta  mura- 
fflia  con  le  mani. 

C'era  alla  finestra  d' una  casa  della  strada  medesima  un'  altra  spetta- 
trice, chiamata  Ottavia  Bono;  la  quale,  non  sì  saprebbe  dire  se  con- 
cepisse lo  stesso  pazzo  sospetto  alla  prima  e  da  sé,  o  solamente  quando 
l'altra  ebbe  messo  il  campo  a  rumore.  Interrogala  anch'essa,  depone 
d'  averfo  veduto  fìn  dal  momento  eh'  entrò  nella  strada;  ma  non  fa 
menzione  di  muri  toccati  nel  camminare.  Fiddi,  dice ,  che  ti  fermò 
(fui  111  (ine  delta  muraglia  del  giardino  della  casa  delli  Crivelli .... 


et  viddi  che  costui  kaueua  una  carta  in  tnano ,  sopra  la  quale  miise 
la  taano  dritta  ^  che  mi  pareua  che  volesse  scriuere  :  et  poi  viddt 
che ,  Iellata  la  mano  dalla  carta ,  la  fregò  sopra  la  muraglia  del 
detto  giardino ,  doue  era  uri  poco  di  bianco.  Fu  probabilmente  per 
pulirsi  le  dita  macchiate  d'inchiostro,  giacché  pare  che  scrivesse  dav- 
vero. Infatti ,  neir  esame  che  gli  fu  fatto  il  giorno  dopo ,  interrogalo , 
se  f  anioni  che  fece  quella  mattina^  ricercorno  scrittura,  rbponde: 
signor  il  E  in  quaolo  all'  andar  rasente  al  muro ,  se  a  una  cosa  si- 
mile ci  fosse  bisogno  d' un  perchè,  era  perchè  pioveva,  come  accennò 


,yG  cotale 


DELLA  COLONNA  IKFAUi:.  TU» 

quella  Caterina  medesima ,  ma  per  cavarne  una  iiiduiione  di  questa 
sorle:  è  ben  una  gran  cosa:  hieri,  mentre  costui  faceua  questi  atti  dì 
ongere,  pioueua,  et  bisogna  mo  che  hauesse  pigliato  quel  tempo  pio- 
uoiOj  perchè  piti  persone  potessero  imbrattarsi  li  panni  neW  andar  in 
volta j  per  andar  al  coperto. 

Dopo  quella  fermata,  costui  tornò  indietro,  rifece  la  medesima  strada, 
arrivò  alla  cantonata,  ed  era  per  isparìre;  quando,  per  un'altra  dis- 
grazia, fu  rintoppato  da  uno  eli'  enlra^'a  nella  slrada,  e  die  lo  salutò. 
Quella  Caterina,  che,  iter  tener  dietro  all'  untore,  fìn  che  poteva, era 
tomaia  alla  finestra  dì  prima ,  domandò  all'  altro  chi  fosse  quello  che 
kaueua  salutato.  L'altro,  clie,  come  depose  poi,  lo  conosceva  di  vista,  e 
non  ne  sape>'a  il  nome ,  disse  quel  che  sapeva ,  cti'  era  un  commis- 
sario della  Sanità.  Et  io  dissi  a  questo  tale,  segue  a  deporre  la  Cateri- 
na, è  che  ho  visto  colui  a  fare  certi  attij  che  non  mi  piaccino  niente. 
Subito  puoi  si  diuuigò  questo  negùtiù,  cioè  fu  essa,  almeno  principal- 
mente, che  lo  divolgò;  el  uscirne  dalle  porte j  et  si  vidde  imbrattate 
le  muraglie  d'  un  certo  ontume  che  pare  grasso  et  che  lira  al  giallo  j 
et  in  particolare  quelli  del  Tradate  dissero  che  haucuano  (roualo  tutto 
imbrattato  li  muri  dell'andito  della  loro  porla.  L'altra  donna  depone 
il  medesimo.  Interrogata,  se  sa  a  che  effetto  questo  tale  fregasse  di 
quella  mano  sopra  il  muro^  risponde:  dopo  fu  trouato  onte  le  mura- 
glie, particolarmente  nella  porta  del  Tradate. 

E,  cose  che  in  un  romanzo  sarebbero  tacciate  d'inverisimili,  ma  die 
pur  troppo  r  accecamento  della  passione  basta  a  spiegare,  non  venne 
in  mente  né  all'  una  né  all'  altra,  che,  descrivendo  passo  per  passo, 
spedalmente  la  prima,  il  giro  che  questo  tale  aveva  fotte  nella  strada, 
non  avevan  però  potuto  dire  che  fosse  entrato  in  quell'  andito  :  non 
parve  loro  una  gran  cosa  davvero,  die  costui,  giacché,  per  fare  un 
lavoro  simile,  aveva  voluto  aspettare  che  fosse  levalo  il  sole,  non  ci 
andasse  almeno  guardingo  ,  non  desse  almeno  un'  oecliiata  alle  flne- 
stre;né  die  tornasse  tranquillamente  indietro  per  la  medesima  strada, 
come  se  fosse  usanza  de'  malfattori  di  trattenersi  più  del  bisogno  nel 
luogo  del  delitto  ;  né  che  maneggiasse  impunemente  una  materia  die 
doveva  uccider  quelli  che  se  ne  imbrattassero  i  ptintii ,-  né  troppe 
altre  ugualmente  strane  inverisimiglianze.  Ma  il  più  strano  e  il  pili 
atroce  si  è  die  non  paressero  tali  neppure  all'  interrogante,  e  che  non 
ne  diiedesse  spiegazione  nessuna.  O  se  ne  chiese,  sarebbe  peggio  an- 
cora il  non  averne  fatto  menzione  nel  processa 


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1  vicini,  a  cui  lo  spavento  fece  scoprire  chi  sa  quante  sudicerie  che 
avevan  probabilmente  davanti  agli  occhi,  chi  sa  da  quanto  tempo, 
senza  badarci ,  si  misero  in  fretta  e  in  furia  a  abbruciacchiarle  con 
della  paglia  accesa.  A  Giangiacomo  Mora  ,  barbiere  ,  che  slava  sulla 
cantonata,  parve,  come  agli  altri,  che  fossero  stali  unti  i  muri  della 
.  sua  casa.  E  non  sapeva,  l'infelice,  qual  altro  pericolo  gli  sovraslavu, 
e  da  quel  commissario  medesimo ,  ben  infelice  anclie  lui. 


Il  racconto  delle  donne  fu  subilo  arricchito  di  nuove  circostanze  ; 
o  fors' anche  quello  che  fecero  subito  ai  vicini  non  fu  in  tutto  uguale 
a  quello  che  fecero  poi  al  capitano  di  giustizia.  Il  figlio  di  quel  po- 
vero Mora,  essendo  interrogalo  più  tardi  se  »a  o  ha  inteso  dire  in  che 
modo  il  detto  commissario  ongesse  le  dette  muraglie  et  case^  risponde  : 
tentei  che  una  donna  di  quelle  che  stanno  sopra  il  portico  che  Ira- 
uerta  la  detta  F^edra,  quale  non  so  come  habbi  nomci  disse  che  detto 
comitàssario  ongeua  con  una  penna,  hauendo  un  vasetto  in  mano.  Po- 
trebb'esser  benissimo  che  quella  Caterina  avesse  parlato  d'iuta  penna 
da  lei  vista  davvero  in  mano  dello  sconosciuto  ;  e  ognuno  indovina 
troppo  facilmente  qual  altra  cosa  potè  esser  da  lei  battezzala  per  va- 
setto; che,  in  una  mente  la  qual  non  vedeva  che  unzioni,  una  penna 
doveva  avere  una  relazione  più  immediata  e  più  stretta  con  un  va- 
setto, che  con  un  calamaio. 


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DELLA  COLONIA  I^FAUE.  761 

Ma  par  troppo ,  in  quel  tumidto  di  diiacchiere ,  non  andò  persa 

una  circostanza  vera,  clie  1'  uomo  era  un  commissario  della  Sanità;  e, 
con  quest'indizio,  si  trovò  anche  subito  ch'era  un  Guglielmo  Piazza, 
genero  della  cornar  PaolOt  la  quale  doveva  essere  una  levatrice  molto 
nota  in  que'  contorni.  La  notizia  si  sparse  via  via  negli  altri  quar- 
tieri,  e  ci  Tu  anche  portata  da  qualcheduho  die  s'era  abbattuto  a 
passar  di  lì  nel  momento  del  sottosopra.  Uno  di  questi  discorsi  fu 
rìrerilo  al  senato,  che  ordinò  al  capitano  di  giustizia,  d'andar  subilo 
a  prendere  informazioni,  e  di  procedere  secondo  il  caso. 

£  stato  Mgiiifkato  al  Senato  che  Meri  mattina  fumo  onte  con  on- 
tWAi  mortifere  le  mura  et  porte  delle  case  della  Fedra  de'  Cittadini, 
disse  il  editano  di  giustizia  al  notaio  criminale  die  prese  con  sé  in 
quella  spedizione.  G  con  queste  parole ,  già  piene  d'  una  deplorabile 
certezza,  e  passate  senza  correzione  dalla  bocca  del  popolo  in  quella 
de'  magistrati,  s'apre  il  processo. 

I  ■       I 


Ai  veder  questa  ferma  persuasione  ,  questa  pazza  i>aura  d'  un  at- 
tentato chimerico,  non  si  può  far  a  meno  di  non  rammentarsi  ciò  che 
accadde  di  simile  in  varie  parti  d'Europa,  pochi  anni  sono,  nel  tempo 
del  ctdera.  Se  non  che,  questa  volta,  le  persone  punto  pimto  istruite, 
meno  qualche  eccezione,  non  parteciparono  della  sciagurata  credenza, 
anzi  la  più  parte  fecero  quel  die  potevano  per  combatterla  ;  e  non 
si  sarebbe  trovato  nessun  tribunale  che  stendesse  la  mano  sopra  im- 
putati di  quella  sorte,  quando  non  fosse  stato  per  sottrarli  al  furore 
della  moltitudine.  É,  certo,  un  gran  rai^ioramento;  ma  se  fosse  anche 


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più  grande ,  se  sì  potesse  esser  certi  che ,  in  un'  oceasion  dello  stesso 
genere ,  non  ci  sarebbe  pia  nessuno  die  sognasse  attentati  dello 
stesso  genere,  non  si  dovrebbe  perciò  creder  cessato  il  pericolo  d' er- 
rori somiglianti  nel  modo,  se  non  nell*  oggetto.  Pur  troppo,  1'  uomo 
può  ingannarsi,  e  ingannarsi  terribilmente,  con  mirilo  minore  strava- 
ganza. Quel  sospetto  e  quella  esasperaziwi  medesima  nascono  ugualmetile 
all' oceasion  di  mali  che  possono  esser  benissimo,  e  sono  in  eBetto,  qual- 
cbe  volta,  cagionati  da  malizia  umana;  e  il  sospetto  e  l'esasperazione, 
qu^ido  non  sian  frenali  dalla  ragione  e  dalla  cariUi ,  hanno  la  trista 
virtù  di  Tar  prender  per  colpevoli  degli  sventurati,  sui  più  vani  indizi 
e  sulle  più  avventate  afTermazioni.  Per  dtanie  un  esempio  andi'  esso 
non  lontano,  anteriore  di  poco  al  colera;  quando  gì'  incendi  eran  «fi- 
venuti  cosi  frequenti  nella  Normandia,  cosa  ci  voleva  perchè  un  uomo 
ne  fosse  subilo  subito  creduto  autore  da  una  moltitudine?  ti'essere  it 
primo  che  trovavan  li,  o  nelle  vicinanze;  I'  essere  sconosciuto,  e  non 
dar  di  sé  un  conto  soddisfacente  :  cosa  doppiamente  difficile  quando 
chi  risponde  è  spaventato ,  e  furiosi  quelli  che  interrogano  ;  1'  essere 
indicalo  da  una  donna  che  poteva  essere  una  Caterina  Rosa,  da  on 
ragazzo  che,  preso  in  sospetto  esso  medesimo  per  uno  strumento  ddla 
malvagità  altrui ,  e  messo  alle  strette  di  dire  chi  1'  avesse  mandalo  a 
dar  fuoco,  diceva  un  nome  a  caso.  Felici  que'  giurati  davanti  a  cui 
tali  imputati  comparvero  (  che  più  d'  una  volta  la  moUitudioe  esegui 
da  sé  la  sua  propria  sentenza);  felici  que'  giurati ,  se  entrarono  nella 
loro  sala  ben  persuasi  che  non  sapevano  ancor  nulla ,  se  non  rimase 
loro  nella  mente  alcun  rimbombo  di  quel  rumore  di  fuori ,  se  pen- 
sarono, non  che  essi  erano  il  paese,  come  si  dice  spesso  con  ud  trav- 
iato di  quelli  che  fanno  perder  di  vista  il  carattere  proprio  e  essen- 
ziale della  cosa ,  con  un  traslato  sinistro  e  crudele  nei  casi  in  cui  il 
paese  sì  sia  già  formalo  un  giudizio  senza  averne  i  mezzi;  ma  eh* eran 
uomini  esclusivamente  investiti  della  saera,  necessaria,  terribile  auto- 
rità di  decidere  se  altri  uomini  siano  eolpev(rii  o  innocenti. 

La  persona  eh'  era  stata  indicala  al  capitano  di  giustizia,  per  averne 
informazioni,  non  poteva  dir  altro  ebe  d'aver  visto,  il  giorno  prima, 
passando  per  via  della  Vetra ,  aU>rucìaccbiar  le  muraglie ,  e  sentilo 
dire  eh'  erano  state  unte  qudla  mattina  da  un  gtnen  della  comar 
Paota.lt  capitano  di  giustiaa  e  il  notaio  si  portarono  a  quella  strada; 
e  videro  infatti  muri  affumicati ,  e  uno ,  quello  del  barbiere  Mora , 
imbiancato  di  fresco,  E  anche  a  loro  fa  detto  da  dipeni  che  ti  $om 


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DF.I.I,A  COLONNA  IKFASIE.  78S 

trouali  itti,  che  etò  era  stato  fatto  per  averli  veduti  unti;  come  anco 
dal  detto  Signor  Capitatio ,  et  da  m»  notaro ,  scrive  costui ,  <i  sono 
vitti  ne'  luoghi  abbrvgiati  alcuni  legni  di  materim  antumm  tirante  al 
giallo,  spartani  come  con  le  deta.  Quale  rìconoscimenlo  d'  un  «nrp* 
di  delitto! 

Fu  esaminata  uoa  doona  di  quella  casa  de'  Tradati,  la  quale  disae 
die  avevan  trovali  i  muri  dell'  andito  inUtrattati  di  una  certa  eo$a 
gialla,  et  in  grande  guatUiti.  Furono  esaminate  le  due  donne,  delle 
quali  abbiam  riferita  la  deposizione;  qualche  altra  persona ,  die  non 
a^iunse  nulla,  per  ciò  che  riguardava  il  fatlo;e,lra  gji altri, l'uomo 
che  aveva  salutato  il  commissario.  Interrogalo  di  più,  se  pattando  lui 
per  la  F'edra  de'  Cittadini,  vidde  le  muraglie  imbrattate,  risponde: 
non  li  feci  fantatia,  perchè  fin' alt  liora  non  ti  era  detto  cota  alcuno. 

Era  già  stato  dato  1'  ordine  d'  arrestare  il  Piazta ,  e  ci  volle  poco. 
Lo  stesso  giorno  9S,  referitee  ....  fante  delta  compagnia  del  Bari- 
cello  di  Campagna  al  prefato  Signor  Capitano,  il  quale  ancoro  era 
in  earrozxaj  che  andaua  verto  cata  tua,  lìcome  pattando  dalla  caia 
del  S^nor  Senatore  Monti  Preiidente  della  Sanità,  ha  ritrouato  auanti 
a  qtiella  porta,  il  luddetto  Guglielmo  Commissario,  et  hauerlo  j  in 
esecuzione  dell'ordine  datogli,  condotto  in  prigione. 


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Per  ispiegarc  come  la  sicurezza  dello  sventarato  non  diminaisse 
punto  la  {H-eoccupazione  de'  giudici ,  non  basla  certo  l' ignoranza  de' 
tempi.  Avevano  per  un  indizio  di  reità  ia  fuga  dell' impulalo;  cbe  di 
li  non  fossero  condotti  a  intendere  che  il  non  fuggire ,  e  un  tal  non 
fuggire,  doveva  essere  indizio  del  contrario  !  Ma  sarebbe  rìdicelo  il 
dimostrar  che  uomini  potevano  veder  cose  che  I'  uomo  non  può  non 
vedere  :  può  benà  non  volerci  badare. 

Fu  subito  visitala  la  casa  del  I^uia ,  frugato  per  tatto ,  in  omm- 
6m»  arcis,  capii»,  «nni'is,  cancelli» ,  mblectiSi  per  ^eder  se  c'eran 
vasi  d'unzioni,  o  danari,  e  non  si  trovò  nulla:  nihit  penitus comper- 
tum  fuit.  Né  anche  questo  non  gli  giovò  ponto,  come  pur  troppo  si 
vede  dal  primo  esame  che  gli  fu  fatto,  il  giorno  medesimo,  dal  capi- 
tano di  giustizia,  con  l'assistenza  d'im  auditore,  prt^ubilmeale  quello 
del  tribunale  della  Sanità. 

É  interrogalo  sulla  sua  professione,  sulle  sue  operazioni  diiluali, 
sul  giro  che  fece  il  giorno  prima,  sul  vestito  che  aveva;  Analmente  gli 
si  domanda:  »e»a  che  siano  ttati  trouati  alcuni  imbrattamenti  nelle  mu- 
raglie delle  case  di  questa  dtlà,  particolarmente  in  Porta  Ticinese.  Ri- 
sponde: mi  non  lo  sOj  perchè  non  mi  fermo  niente  m  Porla  Ticintse. 


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DELLA  COLONNA  INFAUE.  ««S 

di  sì  replica  dte  questo  non  è  perùmile;  a  vuoi  dimostrargli  cbe  lo 
doveva  aapere.  A  quattro  ripetute  domande,  risponde  quattro  volte  il 
medesimo,  in  altri  tennioi.  Si  passa  ad  altro,  ma  non  con  altro  fioe: 
cbè  vedrem  poi  per  qual  crudele  malizia  s' insistesse  su  questa  pre- 
tesa inverìsimigliania,  e  s'andasse  a  caccia  di  qualche  altra. 

Tra  ì  fotti  della  giornata  antecedente,  de' quali  aveva  parlato  il 
Piazza ,  e'  era  d'essersi  trovato  coi  depalati  d'  una  parrocdiia.  (Eran 
gentiluomini  eletti  io  ciascheduna  di  queste  dal  tribunale  della  Sanità, 
per  invigilare,  girando  per  la  città,  suU'  esecuzion  de'  suoi  ordini.)  Gli 
fa  domandato  chi  eran  quelli  con  cui  s'  era  trovato  ;  rispose  :  cbe  li 
conosceva  aolametUe  di  pula  «  non  di  nome,  lil  anche  qui  gli  fu  detto: 
non  i  veriiùniU.  Terribile  parola  :  per  intender  1'  importanza  della 
quale ,  son  necessarie  alcune  osservazioni  generali ,  die  pur  troppo 
non  potranno  esser  brevisnoie ,  sulla  pratica  di  qu(^  tempi ,  ne*  gia- 
dizi  crimioali. 


]f. 


i  nesla ,  cmne  ognun  sa ,  si  regcriava  principalmente , 
.  qui,  come  a  un  di  presso  in  tutta  Europa,  suU'auto- 
?  rità  degli  scrittori  ;  per  la  ragion  sempKdssima  cbe , 
/.in  una  gran  parte  de' casi,  non  ce  n'era  alb^  su  cui 
k*  regolarsi.  Erano  due  conseguenze  naturali  del  non 
>  esserci  complesa  di  leggi  composte  con  un  intento  ge- 
iKTtia ,  cbe  gì'  interpreti  si  facessero  legislatori ,  e  fossero  a  un  di 
presao  ricevuti  enne  tali;  giacché,  quando  le  cose  necessarie  non  son 
bile  da  chi  toccherebbe,  o  non  son  fotte  in  maniera  di  poter  servire, 
nasce  ugualmente,  Ìd  alcuni  il  pensiero  di  farle,  negli  altri  la  di^io- 
sizione  ad  accettarle,  da  chiunque  sian  falle.  L' operar  senza  regole  è 
il  pia  faticoso  e  dtfQcite  mestiere  di  questo  mondo. 

Gli  statuti  di  IMitano,  per  esempio,  non  prescrivevano  altre  norme, 
né  condizioni  alla  fecoltì  di  mettere  un  uomo  alla  tortura  (foeoltà  ant- 
messa  implicitamente ,  e  riguardata  ormai  come  connaturale  al  (dritte 
di  giudicare),  se  non  che  1'  accusa  («sse  confermala  dalla  foma,  e  il 
delitto  portasse  pena  dt  mngiH ,  e  ci  fossero  indizi  *  ;  ma  senza  dir 


'  SUtuts  criminallai  Rubrica  generali!  de  forma  cllallonis  In  cHmInalibus;  De 
lomienlis,  seu  quiesUonibn». 


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quali.  La  legge  romana,  che  aveva  vigore  ne'  casi  a  cui  ntHi  provve- 
(iessero  gli  Blatuti ,  non  lo  dice  di  più ,  benché  ci  adopri  più  parole. 
«  I  giudici  non  devono  cominciar  da'  tormenti ,  ma  servirsi  prima 
d'  argomenti  verisimili  e  probabili  ;  e  se,  condotti  da  questi ,  quasi 
da  indizi  sicari,  credono  di  dover  vcnn%  ai  tormenti,  per  iscoprir  la 
verità,  lo  focciano,  quando  la  condizion  della  persona  lo  permette  *.  » 
Anzi,  in  questa  legge  è  espressamente  istituito  1'  arbitrio  del  giudice 
sulla  qualità  e  sul  valore  degl'  indist;  arbitrio  che  negli  statuii  di  Mi- 
lano fu  p(M  sottinteso. 

Nelle  cosi  delle  Nuove  Costituiioni  promulgate  per  ordine  di  Carlo  V, 
la  tortura  non  è  neppur  nominata;  e  da  quelle  lino  all' epoca  del  no- 
stro processo,  e  per  merito  tempo  dopo,  si  trovano  beasi ,  e  in  gran 
quantità,  atti  legislativi  ne'  quali  è  intimata  come  pena;  nessuno,  ch'io 
sappia,  in  cai  sia  regolala  la  facoltà  d'adoprarìa  come  mezzodì  prova. 

E  anche  di  questo  si  vede  facilmente  la  ragione  :  1'  eflietto  era  di- 
ventato causa;  il  legislatore,  qui  come  altrove,  aveva  trovato,  [H'ìdcì- 
palmente  per  quella  parte  che  chiamiam  procedura,  un  sup|riente,  die 
faceva ,  non  solo  sentir  meno ,  ma  quasi  dimenticare  la  neces»là  del 
suo,  dirò  co»,  intervento.  Gli  scrittori,  priacipabnenle  dal  tempo  Ìd 
cui  cominciarono  a  diminuire  ì  semplici  commentari  sulle  leggi  ro- 
mane, e  a  crescer  l' opere  composte  «m  un  ordine  più  indipendente, 
sia  su  tutta  la  pratica  criminale,  sia  su  questo  o  quel  punto  ^tecìale, 
gli  s<TÌltwi  Irallavao  la  materia  con  metodi  complessivi ,  e  insieme 
con  un  lavoro  minuto  delle  parti;  moltiplicavan  le  leggi  con  l'inter- 
pretarle ,  stendendone,  per  analt^ìa,  1'  applicazione  ad  altri  casi ,  ca- 
vando regole  generali  da  le^^i  speciali  ;  e,  quando  questo  non  bastava, 
snpplivan  del  loro,  con  quelle  regole  che  gli  paressero  più  fondate 
sulla  ragione,  sull' equità,  sul  diritto  naturale,  dove  concordemente, 
anzi  copiandosi  e  citandosi  gli  unì  con  gli  altri,  dove  con  disparità  di 
pareri:  e  i  giudici,  dotti,  e  alcuni  anclie  autori,  in  quella  scienza, 
avevano,  quasi  in  qualunque  caso,  e  in  qualunque  circostanza  d*  un 
caso,  decisioni  da  seguire  o  da  scegliere.  La  legge,  dico,  era  divenuta 
una  scienza;  anzi  alla  scienza,  cioè  al  diritto  romano  interpretato 
da  essa,  a  quelle  anliclie  leggi  de'  diversi  paesi  che  lo  studio  e  l'an- 
lorilà  crescente  del  diritto  romano  non  aveva  bile  dimenticare,  e 
eh'  erano    ugualmente  interpretate  dalla  scienza ,  alle   consuetudini 

'  Cod.  Llb.  tXi  TU.  XLI,  De  quKSllDnibu)  I.  8. 


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DELLA  COLONNA  INFAME.  T<T 

approvale  da  essa,  a' suoi  precelti  passati  in  consueludiiù,  era  quasi 
unicamente  appropriato  il  nome  di  legge  :  gli  atti  dell'  autorità  so- 
vrana, qualunque  fosse,  si  chiamavano  ordini,  decreti,  gride,  o  con 
altrettali  nomi  ;  e  avevano  annessa  non  so  quale  idea  d' occasionale 
e  di  temporario.  Per  citarne  un  esempio,  le  gride  de'  govemalori  di 
Milano ,  l' autorità  de*  quali  era  anclie  legislativa,  non  valevìuio  che 
per  quanto  durava  il  governo  de^  loro  autori;  e  il  primo  atto  del  suc- 
cessore era  di  conrermarìe  prov visoriamente.  Ogni  gridario^  come  Io 
chiamavano,  era  una  specie  d'  Editto  del  Pretore  ,  composto  un  poco 
alla  volta,  e  in  diverse  occasioni  ;  la  scienza  invece ,  lavorando  sem- 
pre, e  lavorando  sul  tutto;  modillcandosi,  ma  insensibilmente;  avendo 
sempre  per  maestri  quelli  che  avevan  comincialo  dall'  esser  suoi  di- 
scepoli, era,  direi  quasi,  una  revisione  continua,  e  in  parte  una  com- 
pilazione continua  delle  Dodici  Tavole  ,  affidala  o  abbandonala  a  un 
decemvirato  perpetuo. 

Questa  così  generale  e  cosi  durevole  autorità  di  privati  sulle  leggi, 
fu  poi,  quando  si  vide  insieme  la  convenienza  e  la  possibilità  d'abo- 
lirla, col  for  nuove,  e  più  intere,  e  più  precìse,  e  pid  ordinate  leggi, 
Tu,  dico,  e,  se  non  va'  inganno,  è  ancora  riguardata  come  un  latto 
strano  e  come  un  fatto  funesto  all'umanità,  principalmente  nella  parie 
n-iminale ,  e  più  principalmente  nel  punto  della  procedura.  Quanto 
fosse  naturale  s*  è  accennato  ;  e  del  resto ,  non  era  un  fatto  nuovo , 
ma  un'estensione,  dirò  cosi,  straordinaria  d'un  fatto  antichissimo,  e 
forse ,  in  altre  proporzioni ,  perenne  ;  giacché ,  per  quanto  le  leggi 
possano  essere  particoiarizzate,  non  cesseranno  forse  mai  d'aver  bi- 
sogno d'interpreti,  né  cesserà  forse  mai  che  i  giudici  deferiscano, 
dove  più,  dove  meno,  ai  più  riputati  tra  quelli,  come  ad  uomini  che, 
di  proposito,  e  «od  un  intento  generate,  hanno  studiato  la  cosa  prima 
di  loro.  E  non  so  se  un  più  tranquillo  e  accurato  esame  non  focesse 
trovare  che  fu  anche ,  comparativamente  e  relativamente ,  un  bene  ; 
perché  succedeva  a  uno  stalo  di  cose  molto  peggiore. 

È  difficile  infatti  che  uomini  i  quali  considerano  una  generalità  di 
casi  pos»bili ,  cercandone  le  regole  nell'  interprelazìon  di  leggi  posi- 
tive, o  in  più  universali  ed  alti  prindpi ,  consiglin  cose,  più  inique, 
più  insensate,  più  violente,  più  capricciose  di  quelle  che  può  con- 
sigliar l'arbitrio,  ne'  casi  diversi,  in  una  pratica  cosi  facilmente  ap- 
passionala. La  quantità  stessa  de*  volumi  e  degli  autori ,  la  moltipli- 
dtà  e,  dirò  cosi,  lo  sminuzzamento  progressivo  delle  regole  da  essi 


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prescrìUe,  sarebbero  im  indioo  dell' iDlenuooe  di  restringer  rarbitrio^ 
e  di  guidarlo  (  per  quanto  era  possibile)  secwdo  la  ragiooe  e  va«o  la 
giusUzia;giacchènoncivu(d  tanto  per  islruir  gli  uomini  ad  abusar  ddla 
forza,  a  seconda  de'  casi.  Non  si  lavora  a  lare  e  a  ritagUu*  nnimeati 
al  cavallo  che  si  vuol  lasciar  correre  a  suo  capriccio  ;  ^i  m  leva  la 
briglia ,  se  l' ha. 

Ma  cosi  avviea  per  il  solito  ndl«  rilomie  umane  che  si  fanno  per 
gradi  (  parlo  ddle  vere  e  giuste  riforme  ;  non  di  tutte  le  cose  die 
ne  hanno  {u-eso  il  nome):  ai  primi  che  le  intraprendono,  par  mollo 
di  modificare  la  cosa,  di  correggerla  in  varie  parti,  di  levare,  d'ag- 
giungere :  quelli  che  veogOD  dopo,  e  alle  volte  molto  tempo  di^,  tro- 
vandola ,  .e  con  ragjone ,  ancora  cattiva ,  si  fermano  facilmente  alla 
cagion  più  proesima ,  maledicono  cmne  autori  della  cosa  quelli  di 
cui  porta  il  nome ,  pendiè  le  hanno  data  la  forma  eoo  la  quale  con- 
tinua a  vivere  e  a  dominare. 

In  questo  errore ,  diremmo  quasi  invidiabile ,  quando  è  compagno 
di  grandi  e  benefidie  imprese,  ci  par  che  sia  caduto,  con  altri  uomini 
insigni  dd  suo  tempo,  l'autore  dell' OMeraunmi  mtta  tortura.  Quanto 
e  forte  e  fondalo  nel  dimostrar  1'  assurdità,  l' ingiustizia  e  la  crudeltà 
di  quell'  aUMHninevole  pratica ,  altrettanto  ci  pare  die  vada ,  osiam 
i^re,  in  fretla  nell' attribuire  all'autorità  degli  scrittori  ciò  ch'essa 
aveva  di  più  odioso.  E  non  è  certamente  la  dimenticanza  della  nostra 
inferitila  che  ci  dia  il  coraggio  di  contradir  liberammle,  cmne  «amo 
per  fare ,  l' opinion  d' un  uomo  cosi  illustre ,  e  sostenuta  in  un  Ubro 
cosi  generoso;  ma  la  confidenza  nel  vantaggio  d'esser  venuto  d<^)0,e  . 
dì  poter  facilmente  (  prendendo  per  punto  principale  ciò  cbc  per  lui 
en  aflalto  accessorio  )  guardar  con  occhio  più  tranquillo ,  nd  com- 
plesso de' suoi  effelli,  e  nella  diffo^nza  de'  tempi,  eome  eosa  morta, 
e  passata  nella  storia,  un  fatto  ch'egli  aveva  a  ctnobaltere,  cmne  an- 
cor dominante,  come  un  ostacolo  attuale  a  nuove  e  desiderabilissine 
riforme.  E  a  ogni  modo ,  qud  bllo  é  talmente  legato  col  suo  e  no- 
stro argomento  ,  dte  I'  uno  e  l' altro  eravam  naturalmente  condotti  a 
dirne  qualcosa  in  generale:  il  Verri  perchè,  didl' essere  qodraulorllà 
riconosciuta^  tempo  dell'iniquo  giudizio,  induceva  die  ne  fosse  com- 
[diee ,  e  in  gran  parte  cagione  ;  noi  perdiè ,  osservando  ciò  eh'  easa 
preso-iveva  o  insegnava  ne'  vari  particolari ,  ce  ne  dovrem  servire 
come  d'  un  criterio ,  sussidiario  ma  importantissimo ,  per  dimostrar 
l>iù  vivamente  l'iniquità,  dirò  cosi,  individu^e  dd  giudiùo  medesimo. 


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DELLA  COLONNA  INFAUE.  T» 

u  È  certo,'»  dice  l'ingegnoso  ma  preoccupalo  scriUore,  «  che 
nienle  sia  scrilto  nelle  leggi  nostre,  né  sulle  persone  die  possono 
metlenu  alla  tortura,  né  sulle  occasioni  nelle  quuli  possano  applicar- 
vÌ8Ì,  né  sul  modo  di  tormentare,  se  col  foco  o  disiogamenlo  e  slnizio 
delle  membra,  né  sul  lem|io  per  cui  dura  Io  spasimo,  né  sul  numero 
delle  volte  da  ripeterlo  ;  lutto  queslo  strasio  si  (a  sopra  gli  uomini 
coli' autorità  del  giudice,  unicamente  appoggialo  alle  dollrine  dei  cri- 
niinafistì  citati.  *  » 

Ma  in  quelle  leggi  nostre  stava  scrilla  la  tortura  ;  ma  in  quelle  d' una 
gran  parte  d'  Europa  *,  ma  nelle  romane,  di'  ebbero  per  lauto  lemjxt 
nome  e  autorità  di  diritto  comune,  stava  scrilte  la  tortura.  La  que* 
stione  deV  esser  dunque,  se  i  eriminaliijti  interpreti  {cosi  lì  cliianierc- 
mo ,  per  distinguerli  da  quelli  ch'ebbero  il  inerito  e  la  fortuna  di 
sbandirli  per  sempre  )  siaii  venuti  a  render  la  tortura  più  o  meno 
atroce  di  quel  die  fosse  in  ntano  dell' arbitrio,acui  la l^gel'abbando- 
nava  quasi  affollo  j  e  il  Verri  medesimo  aveva,  in  quel  libro  medesimo, 
addotta,  o  almeno  accennata,  la  piDva  più  forte  in  loro  fa\'orc.  "  Fari- 
naccio istesso  ,  "  dice  l' illustre  scrittore,  "  parlando  de'  suoi  tempi, 
asserisce  che  i  giudici,  per.  il  diletto  che  provavano  nel  lomieiilaru  i 
rei,  inventavano  nuove  specie  di  tormenti  ;  eecoiie  le  parole  :  Judicei 
quipropter  deleclationem,  qamn  haóenl  tortiuendi  reo»,  incemuìit  ho- 
vai  tormeiitorum  tpeciei  ^.  » 

Ho  dello:  in  loro  favore^  perché  l' intimazione  ai  giudici  d'astenersi 
dall' inventar  iiuo^c  maniere  di  tormentare,  e  in  generale  ie  ripren- 
sioni e  ì  lameiili  che  attestano  insieme  la  sfrenata  e  inventiva  crudeilà 
dell'arbitrio,  e  i'intenzion,  se  non  altro,  di  repiimerla  e  di  svergo- 
gnarla, non  sono  lauto  del  Farinacci,  quanto  de'  crìniinaiìsti,  direi  qua^, 
in  genere.  Le  parole  slesse  trascritte  qui  sopra,  quel  dottore  le  prende 


1  Verri,  Osservi! zioiii  sulla  lorlura,  %  \lll. 

1  La  prallca  cWuiinale  dell' IngliUlerra,  non  cercando  la  prova  del  delltlo  o  del- 
l'liiiiocenu  ncir  iiilerrogatorlo  del  reo,  escluse  indi  re  Ila  meni  e,  ma  necessaria  meni  e. 
quel  meizo  TalUce  e  crudele  d'ai«r  la  sua  eonfeuione.  Francesco  Casoni  (De  (or- 
■neiilis,  ca|i.  I,  3.)  i;  Anioolo  Cornei  (Variarum  resolutionuoi,  eie.  loui.  S,  cap.  13, 
de  tortura  reoruiii  n.  (.)  utteslano  che,  almeno  al  loro  leiiipo,  la  tortura  non  era  ili 
us«i  nel  regno  d'Aragona.  Giovanni  Loccenio  (Synopsis  juris  Su  eco-gol  li  lei  ),  dialo 
da  Ulluiic  Taliar  (Traclat.  de  lorlura,  et  liidicits  d eliclo ruai ,  cap.  1.  is),  alleala 
il  medesimo  della  Svezia  ;  né  so  se  alcun  altro  paeae  d'Europa  sia  «odalo  immune 
da  quel  vergognoso  flagello,  o  se  ne  sia  liiMralo  prima  dei  secolo  scorso. 

S  Verri,  Om.  S  Vili.  —  Farin.  Praxis  el  Tbeor.  ctlinliwlia,  QwMl.  XXXViri,  S«. 


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da  uno  più  antico,  PraDcesco  dal  Bruno,  il  cpnle  le  dta  come  d'ano 
pili  antico  ancOTa ,  Angelo  d'Arezto,  con  altre  graviefiH*ti,  che  cbamo 
qui  tradotte:  "giudici,  arrabbiati  e  perversi,  che  saranno  da  Dio  ewi- 
Tusi;  giudici  ignoranti,  perchè  J'uoni  sapiente  abborrìsoe  tali  cose,  e 
dà  Torma  alla  scienza  col  lume  delle  virtù.  <  " 

Prima  di  tutti  questi,  nel  secolo  XIII,  Guido  da  Suzara,  trallando 
della  tortura ,  e  applicando  a  quest'  argomento  le  parole  d'  uo  re- 
scritto  di  Costanzo,  sulla  custodia  del  reo,  dice  esser  suo  intento 
«  d' imporre  qualche  moderaiione  ai  giudici  die  incrudeliscono  senza 
misura  *.  » 

Nel  secolo  seguente ,  Baldo  applica  il  celebre  rescritto  di  Costan- 
tino Goatro  il  padrone  che  uccide  il  servo,  <<  ai  giudid  che  squarcian 
le  carni  del  reo,  perchè  confessi;»  e  vuole  che,  se  questo  muore  ne' 
tormenti ,  il  giudice  sìa  decapitalo,  come  omicida  ^. 


Più  lardi.  Paride  dal  Pozzo  inveisce  contro  que'  giudici  che,  <•  a»- 
setali  di  sangue ,  anelano  a  scannare,  non  per  fìne  di  riparazione  né 
d'esempio,  m:i  come  per  un  Iwo  vanto  [propter  glorìam  eoruiw);  e 
sono  per  dò  da  riguardarsi  come  omicidi  *.  » 


I  Fnnc.  a  Bruno,  Oe  Indlclis  et  lorlura;  peri,  n,  qirnt.  il,  i. 

t  Guid.  de  Sata,  De  lormenlls,  i.  — Cod.  lib.  IX,  tit.  t.  De  custodia  n 

3  Baldi,  ad  lib.  IX  Cod.  lil.  XIV,  ne  emendalione  aervorumj  s. 

4  Par.  de  Fulco ,  De  lyndicalu  ;  Id  verbo  :  Cnidelllu  orOcialig,  ». 


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DELLA  COLONNA  INFAME.  TTI 

«  Badi  il  giudice  di  non  adoprar  tonnentì  ricercati  e  inusilali; 
percliè  chi  fa  tali  cose  è  degno  d'  esser  cliiamato  carnefice  piuttosto 
che  giudice,  »  scrive  Giulio  Claro  *. 

«  Bisogna  alzar  la  voce  (clamandum  est)  conlrd  que'  giudici  severi 
e  crudeli  che ,  per  acquislare  una  gloria  vana^  e  per  salire,  con  que- 
sto mezzo,  a  più  alti  posti,  impongono  ai  miseri  rei  nuove  specie  di 
tonnenti,  »  scrive  Antonio  Gomez  *. 

Diletto  e  gloria!  quali  passioni,  in-qual  soggetto!  Voruttà  nel  tor- 
mentare uomini ,  oi^giio  nel  soggiogare  uomini  imprigionati  !  Ma 
almeno  qadli  che  le  svelavano ,  non  sì  può  credere  che  intendessero 
di  favorirle. 

A  queste  testimonianze  (e  altre  simili  se  ne  dovrà  allegare  or  ora) 
aggiungeremo  qui,  che,  ne'  libri  su  questa  materia,  die  abhiam  potuti 
vedere ,  non  ci  è  mai  accaduto  di  trovar  lamenti  contro  de'  giudici 
che  adoprassero  tormenti  troppo  le^ieri,  E  se,  in  quelli  che  non  abbiam 
visti,  (-i  si  mostrasse  una  lai  cosa,  ci  parrebbe  una  curiosità  davvero. 

Alcuni  de'  nomi  clie  abbiam  eitati,  e  di  quelli  che  avremo  a  citare, 
son  messi  dal  Verri  in  una  lista  di  «  serillorì ,  i  quali  se  avessero 
esposto  le  crudeli  loro  dottrine,  e  la  metodica  descrizione  de'raflìnati 
toro  spasimi  in  lingua  volgare ,  e  con  uno  stile  di  cui  la  rozzezza  e 
la  barbane  non  allontanasse  le  persone  sensate  e  colte  dall' esaminarli, 
non  potevano  essere  riguardali  se  non  coli'  occhio  medesimo  col  quale 
si  rimira  >l  came6ce,  cioè  con  orrore  e  ignominia  >.  »  Certo,  l'orrore 
per  quello  che  rivelano ,  non  può  esser  troppo  ;  è  giustissimo  questo 
sentimento  anche  per  quello  che  ammettevano;  ma  se,  per  quello 
che  ci  misero,  o  ci  vollero  metter  del  loro,  l'orrore  sia  un  giusto 
sentimenlo,  e  l' ignominia  una  giusla  relribuzione,  il  poco  che  abbiam 
visto ,  deve  bastare  almeno  a  farne  dubitare. 

È  vero  che  ne' loro  libri,  o,  per  dir  meglio,  in  qualclieduno,  sono, 
più  che  nelle  leggi,  descritte  le  varie  specie  di  tormenti;  ma  come 
consuetudini  invalse  e  radicate  nella  pratica,  non  come  rìtrovati  degli 
scrittori.  E  Ippolito  IMarsigli ,  scrittore  e  giudice  del  secolo  decimo- 
quinto ,  die  ne   fu  un'  atroce ,   strana  e  ributtante  lista ,  allegando 


I  J.  Clarl,  Seatenllaruni  receitlufuiM ,  Lib.  V,  $   Ou.  QubsI.  LKIV,  s«. 
1  GomcE,  Variar,  resol.  I.  s,  e.  is,  De  lorlura  reonin,  K. 
3  oss.  $  xm. 


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anche  la  sua  esperienza,  eliiama  però  bextiali  que'  giudici  clic  ne  in- 
venlan  dì  nuovi  '. 

Furono  quegli  scrittori,  è  vero,  che  misero  in  campo  la  questione 
del  numero  delle  ^Dlte  die  lo  spasimo  potesse  esser  ripetuto;  ma  (e 
a^'rcmo  occasion  di  vederlo  )  per  inipor  limili  e  condizioni  all'  arbi- 
trio, prolìltando  dell'  indelerminale  e  ambigue  indicazioni  die  ne  soni- 
ministrava  il  dlritlo  romano. 

Furon  essi ,  è  vero ,  che  traltaron  del  tempo  che  potesse  durar  lo 
spasimo; ma  non  per  altro  che  pei-  imporre,  anche  in  questo,  qualdie 
misura  all'instam^abilccrudelUi,  che  non  ne  aveva  dalla  Icf^e,  «a  ceri i 
{giudici,  non  meno  ignoranti  die  iniqui,  i  quali  lormenlano  un  uoimi 
per  tre  o  quattr'  ore,  «  dice  il  Farinacci  *  ;  «a  certi  giudid  iniquìs- 
simì  e  scelleratissimi,  levali  dalla  feccia,  privi  di  scienza,  di  virtù,  di 
mgioiie,  i  quali,  quand'  hanno  in  loro  potere  un  accusalo,  forse  a  torto 
(farle  indebite),  non  gli  parlano  che  tenendolo  al  tormento;  e  se  non 
confessa  quel  eh'  essi  vorrebbero,  lo  lascian  li  pendente  alla  fune,  per 
un  giorno,  per  una  notte  intera,  n  aveva  detto  il  tarsigli  ~', circa  un 
j^ccolo  prima 


I 

;  ! 


1  llipp.  do  Marsiliis,  ad  Til.  Dig.  de  «juiMllanibaft  ;  teg.  In  crìminibn*,  i 

«  Pmxis  eie.  Uutesl.  XXXVUl,  «4. 

3  Procllca  ruiisaruoi  crimCnaliuui  j  in  verbc;  Expcdita;  80. 


„GoogIe 


DELLA.  COLONNA  INFAME. 


In  questi  piassi,  e  in  qualche  altro  de*  citati  sopra,  sì  puù  anche  ho- 
lare  come  alla  crudeltà  cerchino  d'  associar  I*  idea  dell'  ignoranza.  E 
per  la  ragion  contraria,  raccomandano,  in  ndme  della  scienza,  non 
meno  che  della  cosciensa,  la  moderazione,  la  benignità,  la  maosùelu- 
dine.  Parole  ehe'fanno  rahhia,  applicate  a  una  tal  cosa;  ma  che  in- 
sreme  fanno  vedere  se  l'intento  di  quegli  scrittori  era  d'aizzare  il  mo- 
stro ,  0  d' ammansarlo, 

Riguardo  poi  alle  persone  che  potessero  esser  messe  alla  tortura , 
non  vedo  cos'  importi  clie  niente  ci  fosse  nelle  leggi  propriamente 
DÒslre ,  quando  e'  era  mollo ,  relativamente  al  resto  di  questa  Insta 
malma,  nelle  leggi  romane,  le  quali  erano  in  /atto  leggi  nostre 
aneli'  esse. 

u  Uomini,  "  prosegue  il  Verri,  «  ignoranti  e  feroci,  i  quali  senza 
esaminare  donde  emani  il  diritto  di  punire  i  delilti ,  qual  sia  il  fine 
per  Qui  si  puDÌseooo ,  qual  sia  la  norma  onde  graduare  la  gravezza 
dei  dditli,  qual  debba  esser  la  proporzione  tra  i  delilti  e  le  pene,  se 
cin  uomo  possa  mai- costringersi  a  rinunziare  alla  difesa  propria,  e 
simili  principii,  dai  quali  intimamente  conosciuti  possono  unicamente 
dedursi  le  naturali  conseguenze  più  conformi  alla  ragione  ed  al  bene 
ddla  società  ;  uomini ,  dico  ,  oscuri  e  privati ,  con  tristissimo  raffina- 
menlo  ridussero  a  sistema  e  gravemente  pubblicarono  la  scienza  di 
tormentare  altH  uomini ,  con  quella  Iranquìllità  medesima  eolla  quale 
si  descrive  l' arte  di  rimediare  ai  muli  del  corpo  moano  :  e  furono 
essi  obbediti  come  legislatori ,  e  si  fece  un  serio  e  placido  oggetto  di 
studio ,  e  si  accolsero  alle  librerie  l^li  i  crudeli  scrittori  die  inse- 
gnarono a  sconnettere  con  industrioso  spasimo  le  membra  degli 
uomini  vi^'i ,  e  a  raffinarlo  oolla  lentezza  e  coir  aggiunta  di  più  tor- 
m«)ti,  onde  rendere  più  desiHaate  e  acuta  l'angoscia  e  l'estennioio.  » 

Ma  come  mai  ad  uomini  oscuri  e  ignoranti  potè  esser  conceasa 
(anta  autorità?  dico  oscuri  al  loro  tempo,  e  ignoranti  riguardo  ad  esso; 
che  la  questione  è  necessariamente  rdativa;e  si  tratta  di  vedere,  non 
già  se  quegli  scrittori  avessero  i  lumi  che  sì  posson  desiderare  in  un 
legislatore ,  ma  se  n'  avessero  più  o  meno  di  coloro  die  |KÌma  applir 
càvan  le  leggi  da  sé ,  e  in  gran  parte  se  le  facevan  da  sé.  E  come 
mai  era  più  feroce  1'  uomo  che  lavorava  teorie,  e  le  discuteva  dinanzi 
al  pubblico ,  ddr  uomo  eh'  esercitava  l' arlHlrio  in  privato ,  sopra  chi 
gli  resisteva? 

lo  quanto  poi  alle  questioni  accennale  dal  Verri,  guai  se  la  soluzione 


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della  prima,  «  donde  emani  il  diritto  dì  punire  i  delitti,  »  fosse  ne- 
cessaria per  compilar  oon  discrezione  delle  leggi  penali  ;  poiché  si 
potè  bene ,  al  tempo  del  Verri ,  crederìa  sdolta  ;  ma  ora  (e  per  for- 
tuna ,  fiacche  é  men  male  1'  agitarsi  nel  dubbio ,  clie  il  riposar  rtti- 
r  errore)  é  più  controversa  che  mai.  E  l'altre,  dico  in  generale  tutte 
le  questioni  d'  un'  importanza,  più  immediata ,  e  più  pratica ,  erano 
forse  sciolle  e  sciolte  a  dovere ,  erano  almeno  discusse ,  esaminate 
quando  gli  scrittori  comparvero?  VennCTO  essi  forse  a  confondere  im 
ordine  stabilito  di  più  giusti  e  umani  princìpi,  a  baliar  di  posto  dottrine 
più  sapienti,  a  lurìHir,  dirò  cosi,  il  possesso  a  una  giurisprudenza  più 
ragionala  e  più  ragionevole?  A  qnesto  possiamo  risponder  francamente 
di  no,  anche  nm;  e  ciò  basta  all'  assunto.  Ma  vorremmo  che  qualdie- 
dmio  di  quelli  die  ne  sanno,  esaminasse  se  |Mntlosto  non  furon  essi 
che,  costretti,  appunto  perché  privati  e  non  legislatori,  a  render  ra- 
gione delle  loro  decisioni ,  richiaoiaron  la  materia  a  principi  gene- 
rali ,  raccogliendo  e  ordinando  quelli  che  sono  sparsi  nelle  le;^  ro- 
mane, e  cercandone  altri  nell'idea  universale  del -diritto;  se  non  funm 
essi  che,  lavorando  a  oostmir,  con  rottami  e  con  nuovi  materiali,  una 
pratica  criminale  intera  ed  una,  prepararono  il  concetto,  indicarono 
la  possibilità  ,  e  in  parie  l'ordine,  d'  una  legislazion  criminale  intera 
ed  una  ;  essi  che ,  ideando  una  ferma  generale ,  aprirono  ad  altri 
scrittori ,  dai  quali  furono  troppo  sommariamente  giudicati ,  la  strada 
a  ideare  una  generale  riforma. 

In  quanto  Qnalmenle  all'accusa,  cosi  generale  e  cosi  nuda,  d'aver  raf- 
finato i  tormenti,  alziamo  in  vece  veduto  che  fu  cosa  dalla  magfpor 
parte  di  loro  espressamente  detestala  e ,  per  quanto  slava  in  loro , 
prwbila.  Molti  de'  luoghi  clie  abbiam  riferiti  possono  anche  servire  a 
lavarli  in  parte  dalla  taccia  d' avente  trattato  con  queir  impassibile 
tranquillità.  Ci  sì  permetta  di  citarne  un  altro  che  parrebbe  quasi 
un'  anticipala  protesta.  «  Non  posso  che  dar  nelle  furie,  »  scri%'e  il  Fa- 
rinacci ,  u  (non  potsum  msi  vekemtnter  exeandeteere )  contro  quc' 
giudici  che  tengono  per  lungo  tempo  legato  il  reo,  prima  di  sottoporio 
alla  tortura;  e  con  quella  preparazione  la  reodon  più  crudele*.  » 

Da  queste  testimonìanEe,  e  da  quello  che  sappiamo  essere  stata  la 
tortura  negli  ultimi  suoi  tempi ,  si  può  francamente  -dedurre  che  ì 
crìminalisti  interpreti  la  lasciarono  molto,  ma  molto,  men  barliàra  di 

*'Qum1.  xxxvm,  3s. 


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DELLA  COLONNA  INFAME.  ITI 

qudlo  che  l' avevan  trovata.  E  cerio  sarebbe  assurdo  l' atlribuire  a 
una  sola  causa  una  lai  dimiiiuEÌone  di  male;  ma,  tra  le  molte,  mi  par 
die  sarebbe  andie  cosa  poco  ragionevole  il  non  «intare  il  biasimo  e  le 
ammonidoni  ripetute  e  rinnovate  pubUicamente,  di  secolo  in  secolo, 
da  quelli  ai  quali  pure  s'attribuisce  un' .autorità  di  fatto  sulla  pratica 
de'  tribunali. 

Cita  poi  il  Veiri  alcune  loro  proposizioni  ;  le  quali  non  bastereb- 
bero per  fondarci  sopra  un  generale  giudizio  stori*» ,  quand'  anche 
fossero  tulle  esatlamenle  citate.  Eccone,  per  esempio,  una  importan- 
tissima, die  non  Io  è  :  «  Il  Claro  asserisce  che  basta  vi  siano  alcuni 
indizii  contro  un  uomo,  e  si  può  metterlo  alla  tortura  '.  " 

Se  quel  dottore  avesse  parlato  cosi,  sarebbe  piuttosto  una  singo- 
larità che  un  argomento  ;  tanto  una  tal  dottrina  è  opposta  a  quella 
d*  una  moltitudine  d"  altri  dottori.  Non  dico  di  tutti ,  per  non  adér- 
mar  troppo  più  di  quello  che  so  ;  benché ,  dicendolo ,  non  temerci 
d'affermar  più  di  quello  che  è.  Ma  in  realtà  il  Claro  disse,  anche  luì,  il 
contrario  ;  e  il  Verri  fu  probabilmente  indotto  in  errore  dall'  incuria 
d'  un  tipografo,  il  quale  stampò:  Nam  inffìcit  adeue  aliqua  indkia 
contro  reum  ad  hoc  ut  torqueri  potai  '^  in  vece  di  Non  tufjìcit,  come 
trovo  in  due  edizioni  anteriwi'.  E  per  accertarsi  dell'errore,  non  è 
neppnr  necessario  questo  confranto ,  giacché  il  testo  continua  cosi  : 
«  se  tali  indizi  non  sono  anche  Icgitlimamenle  provati;  »  frase  che 
fard)be  ai  cozzi  con  I'  antecedente,  se  questa  avesse  un  senso  affer- 
mativo. E  soggiunge  subito:  u  ho  detto  che  non  basta  (dixi  quoque 
non  tuffictn)  che  ci  siano  indizi,  e  che  siano  l^itlimamenle  provati, 
se  non  sono  andie  sufffcienti  alla  torlura.  Ed  è  una  cosa  die  i  giudid 
timorati  di  Dio  devono  aver  sempre  davanti  agli  ocdii,  per  non  soUo- 
pMre  ingiustamente  alcuno  alla  tortura:  cosa  del  resto  che  li  sottopone 
essi  medesimi  a  un  giudizio  di  revisione.  E  racconta  l'AflIiKo  d'aver 
risposto  al  re  Federigo,  che  nemmen  lui,  con  l'autorità  regia,  poteva 
comandare  a  un  giudice  di  mettere  alla  tortura  un  uomo ,  contro  il 
quale  non  ci  fossero  indizi  sufllcieiiti.  » 

Così  il  Claro  ;  e  basterebbe  questo  jier  esser  come  certi,  che  dovette 
intender  tutt'  altro  che  di  rendere  assoluto  l'arbìtrio  con  quell'altra 


I  Om.  %    VUL 

■  Seni.  ree.  Ub.  V,  quKsl.  LXIV,  ii.  Vcnct.  1640;  «  typ.  Btralliaa,  pag.  mi. 
3  Yen.  apuli  Bler.  Polum,  isso,  r.  iia.  —  Ibld.  ftpud  P.  Ugi>Iliiuiii,i)»«,l.  ISO. 


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proposizione  die  il  Vei'H  traduce  cosi:  "  ìa  isaleria  di  (orlura  e  d'in- 
dìzi, non  polendosi  prescrivere  una  nurota  certa,  tulio  si  rìmeUe  ai- 
i' arbitrio  del  giudice.'  »  La  contradizione  sarebbe  troppo  strana  ;  e  lu 
sarebbe  di  più,  se  è  possibile,  con  qudlu  che  l'autor  uicdosilno  dice 
altrove:  "  benché  il  giudice  ^bbia  l'arbitrio,  deve  poi'ù  ilare  al  dtrìtiu 
comune....  e  badino  bene  gli  nfiziali  della  giustizia,  di  non  andar 
avanti  tanto  allegramente  {ne  tiimù  aniiHOie  jtrocedaal),  con  questo 
pretesi»  dell'  arbitrio  '.  •< 

Cosa  intese  dunque,  con  r|uelle  parole:  remiUttar  arbitrio  judieù, 
che  il  Verri  traduce:  «  lutlo  si  rimette  all'arbilj'io  del  ^udìoe?  » 

Intese  ....  Ma  che  dico?  e  perchè  cercare  in  questo  un'  opinioit 
particolare  del  Claro  ?  Quella  propositionu ,  egli  non  faceva  altro  die 
ripeterla,  giacché  era,  per  dir  cosi,  proverbiale  tra  gì'  interpreti;  e 
già  due  secoli  prima,  Bartolo  la  ripeteva  Miche,  lui,  come  senteiixa 


coiììoìk:  Doclores  coìiimuiuler  dìcuiU  tjuod  Ìii  /('yc(quiili  ^iunogl'indi/i 
suOìcienli  alla  lorluni)  no»  polctt  daii  cvrla  iloctrinas  wd  relinquititr 


i  Verri  ,  loc.  eli.  —  dar.  Ine.  elt.  i 
s  Ibid.,  QiuMl.  xxxij  ». 


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DELLl  COLONNA  INFAHB.  in 

arbitrio  jtidici*  *.  E  con  questo  iHm  iotendevan  già  di  proporre  tui 
principio,  di  slabìlire  una  teoria,  ma  d'  enunciar  seoiplicenicnfe 
un  fotlo  ;  cioè  che  la  legge ,  non  avendo  determinalo  gì'  indizi ,  gli 
aveva  per  ciò  stesso  lasciati  all'arbitrio  del  giudice.  Guido  da  Suzara, 
anteriore  a  Bartolo  d'un  secolo  circa,  dopo  aver  detto  o  ripctulo 
anche  lui,  che  gl'indizi  son  rimessi  all'arbitrio  del  giudice,  sog- 
giunge :  "  come ,  in  generale ,  tulio  ciò  che  non  è  determinato  dalla 
legge  '.«E  per  citarne  qualeheduno  de'  meno  antichi,  Paride  dal  Pozzo, 
ripetendo  quella  comune  sentenza,  la  commenta  cosi  :  «  a  ciò  che  non 
i  determinato  dalla  legge ,  né  dalla  consuetudine ,  deve  supplire  la 
religion  del  giudice  ;  e  perciò  la  legge  sugi"  indìzi  mette  un  gran  ca- 
rico sulla  sua  coscienza  ^  »  E  il  Bossi,  criaiinalisla  del  secolo  XVI, 
e  senator  di  Milano  :  «  Arbitrio  non  vuol  dir  altro  (  in  hoc  eoTuiatit  ) 
se  non  che  il  giudice  non  ha  una  regola  certa  dalla  l^^e ,  la  quale 
dice  soltanto  non  doversi  cominciar  dai  tormenti ,  ma  da  argomcnli 
verisimili  e  probabili.  Tocca  dunque  al  giudice  a  esaminare  se  un 
indizio  sia  verisimile  e  probabile  *,  » 

Gò  ch'essi  chiamavano  arbitrio,  era  io  somma  la  cosa  stassa  che,  per 
iscansar  quel  vocabolo  equivoco  e  di  tristo  suono,  fu  poi  chiamala 
poter  discrezionale:  cosa  pericolosa,  ma  inevitabile  nell' applicazion  delle 
leggi,  e  buone  e  cattive;  e  che  i  savi  legislatori  cercano,  non  di  togliere, 
che  sarebbe  una  chimera,  ma  di  limitare  ad  alcune  determinate  e  meno 
essoiziali  circostanze,  e  di  restringere  anclie  in  quelle  più  dte  possono. 

E  tale,  oso  dire,  fu  anche  1'  inlento  primitivo,  e  il  progressivo 
lavoro  degl'interpreti,  segnatamente  riguardo  si\»  tortura,  sulla  quale 
il  potere  lasciato  dalla  ief^e  al  giudice  era  spaventosamente  largo. 
Già  Bartolo  ,  dqio  le  parole  che  abbiam  citate  sopra,  soggiunge:  u  ma 
io  darò  le  regole  che  potrò.  »  Altri  ne  avevan  date  prima  di  lui;  e  i 
suoi  successori  ne  diedero  di  mano  in  mano  mdte  più,  chi  propo* 
nendone  qualdieduna  del  suo,  chi  ripetendo  e  approvando  le  pro- 
poste da  altri  ;  senza  lasciar  però  di  ripeter  la  formola  eh'  esprime^'a 
il  fallo  della  le^e,  della  quale  non  erano,  alla  fine,  che  interpreti. 

I  Barlol.  ad  nig.  1ib.  XLVtlI,  lit.  KVIII,  I.  It. 

s  Ei  feiMrailicr  omiie  quod  non  dclerminaiur  a  Iure,  rclìoquUur  arbitrio  ludi- 
caalls.  De  lonaentis,  io. 

3  Et  Ideo  iex  super  indidh  gravai  conscieollas  iudicum.  De  Syndlcalu  ,  in 
vertM:  Uandavit ,  is. 

«  iCgid.  Bossll,  Tractalns  vanì;  111.  de  indieilj  «ole  lortaram,  ss. 


DioizPd.yGoOgle 


[\lu  con  l'andar  del  tèmpo,  e  con  1'  avanzar  del  lavoro,  vollero  mo- 
dìlicarc  anche  il  linguaggio;  e  n' abbìain  1' allcslato   dal  Fariiiacei, 


jmslcriorc  ai  citali  qui,  anteriore  però  all'  epoca  del  nostro  processo , 
e  allora  aulorevolissimo.  Dopo  aver  ripetuto  ,  e  coofennaLo  con  un 
subisso  d'autorità,  il  principio,  che  «  l'arbitrio  non  si  deve  intenda 
libero  e  assoluto,  ma  legato  dal  diritto  e  dall'equità;  «  dopo  averne 
cavate,  e  confermate  con  altre  autorità,  le  conseguenze,  che  «  il  ^udice 
deve  inclinare  alla  parie  più  mite ,  e  regolar  1'  arbitrio  con  la  dispo- 
sizion  generale  delle  leggi , .  e  con  la  dottrina  de'  dottori  approvati,  e 
che  non  può  Tormarc  indizi  a  suo  capriccio  ;  "  dopo  aver  trattato,  più 
estesamente ,  credo ,  e  più  ordinatamente  che  nessuno  avesse  ancor 
fatto,  di  tali  indizi,  conclude:  «puoi  dunque  vedere  che  la  massima 
comune  de'  dottori,  —  gì'  indizi  alla  tortura  sono  arbitrari  al  giuc^ce, 
—  è  talmente,  e  anche  concordemente  ristrella  da'  dottori  medesimi, 
che  non  a  torlo  molti  giurisperili  dicono  doversi  anzi  stabilir  la  regola 
contraria,  «oè  che  gl'indizi  non  sono  arbitrari  al  giudice*.»  E  ella 
questa  sentenza  di  Francesco  Casoni:  «  è  error  comune  de' giudici  il 
credere  che  la  tortura  sia  arbitraria;  come  se  la  natura  avesse  creati  i 
corpi  de'  rei  perchè  essi  potessero  straziarli  a  loro  caprìccio  ■.  » 

I  Ibld.  QuEst.  XXXVll,   I9S  ad  too. 

3  t'rancisci  Casoni    Traclalus  de  lorncnlis  ;  cap.  I,  io. 


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DELLA  COLOKNA  INrAUE.  -Ila 

Si  vede  qaì  uo  DWmento  notabile  della  scienza,  die,  misurando  il 
suo  lavoro,  n'esìge  il  frutto; e  dichiarandosi,  non  aperta  riformutrìce 
{ cbè  non  lo  pretendeva ,  né  le  sarebbe  elato  ammesso  ),  ma  elificace 
ausiliaria  della  legge,  consacrando  la  propria  autorità  con  quella  d'una 
le^  superiore  ed  eterna,  intima  ai  giudict  di  seguir  le  regole  <èe 
Ila  trovale,  per  risparmiar  degli  strazi  a  chi  poteva  essere  innocente, 
e  a  loro  delle  turpi  iniquità.  Triste  correzioni  d'  una  cosa  die ,  per 
essenza ,  non  poteva  ricevere  una  buona  forma  ;  ma  tutt'  allro  che 
argomenti  atti  a  provar  la  tesi  del  Verri:  «né  gli  orrori  della  tortura 
si  contengon  soltanto  nello  spasimo  che  si  fa  patire  ....  ma  orrori 
ancora  vi  spargono  i  dottori  sulle  circostanze  di  amministrarla  '.  n 

G  si  permetta  in  ultimo  qualche  osservazione  sopra  un  altro  luogo 
da  lui  dtato;  cbè  l'esaminarli  tutti  sarebbe  troppo  in  questo  luogo,  e 
non  abiiastanza  certamente  per  la  questione.  «  Basti  un  solo  orrore 
per  tutti  ;  e  questo  viene  riferito  dal  celebre  Claro  milanese ,  che  è 
il  sommo  maestro  di  questa  pratica:  —  Un  giudice  può,  avendo  in 
carcere  una  donna  sospetta  di  delitto,  farsela  venire  nella  sua  stanza 
secretamenle,  ivi  accarezzarla,  fingere  di  amarla,  prometterle  la  libertà 
affine  d' indorU  ad  accusarsi  del  delitto,  e  che  con  un  tal  mezio  un 
certo  reggente  indusse  una  giovine  ad  aggravarsi  d' un  omicidio,  e  la 
condusse  a  perdere  la  testa.  — Acdocché  non  si  sospetti  che  quest'or- 
rore contro  la  religione,  la  virtù  e  tutti  i  più  sacri  prineipii  dell'uomo 
sia  esagerato ,  ecco  cosa  dice  il  Claro  :  Paris  dicit  quod  judex  po- 
teit,  eie.  '  n 

Orrore  davvero; ma  per  veder  cbe  importanza  possa  avere  in  una 
qùeslion  di  questa  sorte,  s'  osservi  che,  enunciando  queir  opinione , 
Paride  dal  Pozzo  ^  non  proponeva  già  un  suo  ritrovato;  raccontava, 
e  pur  troppo  con  approvazione,  un  fatto  d'  un  giudice,  doè  uno  de' 
mille  fatti  che  produeeva  farbìlrio  senza  suggerimento  di  dottori;  s'os- 
servi che  il  Baiardi,  il  quale  riferisce  queU'opinione,  nelle  sue  aggiunte 
al  Claro  (non  il  Claro  medesimo),  lo  fa  per  detestarla  anche  lui,  e 
per  qualificare  il  folto  di  finzione  diabolica  *  ;  s'  osservi  che  non  cita 
alcun  altro  il  quale  sostenesse  un'  opinion  tale,  dal  tempo  di  Paride 


1  om.  S  vui. 
1  ibld. 

S  Parldis  de  Puleo,  De  sy"<l><^<*l" >  '■>  verbo:  Et  advertendum  tal  ;  Judex  debet 
se  SublJlis  in  InvesUgXiida  maleacil  verilate. 
«  Ad  Uif.  SenlcuL  fee«pt.  QuBit.  L\IV,  it,  add,  so,  Bi. 


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dal  Pozzo  ul  suo,  cioè  per  lo  apazio  d'  un  secolo.  E  andando  avaoti , 
sai-ebbe  più  strano  die  ce  ne  fosse  slato  alcono.  E  quel  Paride  ^ 
Pozzo  medesimo.  Dio  ci  lìberi  di  «hiamarlo  ,  col  Giannone,  eccet- 
letite  ffiurecoruulto*;  ma  l'altre  sue  parole  che  abbiam  riferite  sopra, 
basterebbero  a  far  vedere  che  queste  brullissime  non  bastaoo  a  dare 
una  giusta  idea  nemmen  delle  dottrine  di  questo  solo. 

Non  abbiam  certamente  la  strana  pretensione  d' aver  dimoalraio 
die  quelle  degl'interpreti,  prese  nel  loro  complesso,  non  servirono, 
uè  furon  rivolle  a  peggiorare.  Questione  interessantissima,  giacché  si 
tratta  di  giudicar  1'  elTetto  e  l' intento  de)  lavoro  intellettuale  di  più 
secoli,  in  una  materia  cosi  importante  ,  anzi  cosi  necessaria  all'  uma- 
niln  ;  questione  del  nostro  tempo ,  giacché,  come  abbiamo  accennato, 
e  del  resto  ognun  sa ,  il  momento  in  cui  si  lavora  a  rovesciare  un 
sistema ,  non  è  il  più  adattalo  a  fame  imparzialmente  la  storia;  ma 
questione  da  risolversi,  o  piuttosto  storia  da  farsi,  con  altro  che  con 
pochi  e  sconnessi  cenni.  Questi  baslan  però ,  se  non  m' inganno ,  a 
dimostrar  precipitala  la  soluzione  coairaria;  come  erano,  in  «erto 
modo,  una  preparazìon  necessaria  al  nostro  racconto.  Che  in  esso  noi 
avremo  spesso  a  rammaricarci  che  1'  autorità  di  quegli  uomini  non 
sia  slata  enicace  davvero  ;  e  siam  cerU  che  il  lettore  dovrà  dir  con 
noi  :  fossero  stali  ubbiditi  ! 

III. 

enir  finalmente  all'  applicazicme ,  era  insegna- 
»  comune,  e  quasi  universale  de'  dotlwi,  che 
a;ìa  dell'  accusato  nel  rispondere  al  giudice,  fosse 
legl'  indizi  legittimi,  come  dicevano,  dia  tor- 
Bcco  perchè  l'esaminatore  dell'infelice  Piazza  gli 
e,  non  esser  verisimile  che  lui  non  avesse  sen- 
tilo (tarlare  di  muri  imbrattati  in  porta  Ticinese ,  e  che  non  sapesse 
il  nome  de'  deputati  coi  quali  aveva  avuto  che  fare. 

Ma  insegnavan  forse  che  bastasse  una  bugia  qualunque  ? 
«  La  bugia,  per  fare  indizio  alla  tortura,  deve  riguardar  le  qualità 
e  le  circostanze  sostanziali  del  delitto,  cioè  che  appartengano  ad  esso, 
e  dalle  quali  esso  si  possa  inferire;  altrimenti  no  :  aliai  lectts.  » 

*  Istoria  dvil«,  eie.,  lib.  la,  cap.  ull. 


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DELIA  COIONKA  ITIFAIIE.  T8I 

«  La  bugia  non  fo  indizio  alia  tortura,  se  riguarda  cose  che  non 
j^lgravereMiero  11  reo,  quando  le  avesse  confessate.  » 

E  bastava,  secondo  loro,  che  il  dello  dell'accusato  paresse  al  giu- 
dice bugia ,  perchè  questo  potesse  venire  ai  tormenti  ? 

n  La  bugìa  per  fare  indizio  alla  tortura  dev'esser  provata  condu- 
dentemente,  o  dalla  propria  confession  del  reo,  o  da  due  testimoni . . . 
essendo  dottrina  comune  che  due  sian  necessari  a  provare  un  indizio 
remolo,  quale  è  la  bugia  '.  »  Gito,  e  citerò  spesso  il  Farinacci,  come 
uno  de'  più  autorevoli  allora,  e  come  gran  raccoglitore  dell'opinioni 
più  ricevute.  Alcuni  però  si  contentavano  d'un  testimonio  solo,  purché 
fosse  maggiore  d'ogni  eccezione.  Ma  che  la  bugia  dovesse  risultar  da 
prove  legali,  e  non  da  semplice  congettura  del  giudice,  era  dottrina 
comune  e  non  contradetla. 

Tali  condizioni  eran  dedotte  da  quel  canone  della  legge  romana , 
il  quale  proibiva  (che  cose  s' è  ridotti  a  proibire,  quando  se  ne  sono 
ammesse  ceri'  altre  !  )  di  cominciar  dalla  tortura.  »  E  se  concedes- 
simo ai  giudici,  »  dice  l'autor  medesimo,"  la  facoltà  di  mettere  alla 
tortura  i  rei  senza  indizi  lattimi  e  sufficienti,  sarebbe  come  in  lor 
potere  il  cominciar  da  essa. ...  E  per  poter  chiamarsi  tali,  devon  gì'  in- 
dizi esser-  verisiìmili,  probabili,  non  leggieri,  né  di  semplice  formalità, 
ma  gravi ,  urgenti ,  certi ,  chiari,  anzi  più  chiari  del  sole  di  mezzo- 
giorno ,  come  si  suol  dire.  ...  Si  traila  di  dare  a  un  uomo  un  tor- 
mento, e  un  tormento  die  può  decider  della  sua  lila  ;  aqiiur  de  Ao- 
fflinù  salute/  e  perciò  non  ti  maravigliare,  o  (pudice  rigoroso,  se  la 
scienza  deh  diritto  e  i  dottori  richiedono  indizi  cosi  squisiti,  e  dicon 
la  cosa  con  tanta  forza,  e  la  vanno  tanto  ripetendo  ■.  » 

Non  diremo  certamente  che  tutto  questo  sia  ragionevole  ;  giacché 
non  può  esserlo  ciò  che  implica  eontradiuone.  Erano  sforzi  vanì,  per 
conciliar  la  certezza  col  dubbio,  per  evitare  il  pericolo  di  tormentare 
innocenti,  e  d'estorcere  false  confessioni,  volendo  però  la  tortura  co- 
me  un  mezzo  appunto  di  scoprire  se  uno  "fosse  innocente  o  reo,  e  di 
fargli  confessare  una  data  cosa.  La  conseguenza  logica  sarebbe  stala  di 
dichiarare  assurda  e  ingiusta  la  tortura;  ma  a  questo  ostava  l'ossequio 
cieco  all'  antichità  e  al  diritto  romano.  Quel  lìbriccino  Dei  delitti  e 
delle  pene,  che  promosse,  non  solo  i'abolizion  della  tortura,  ma  la 

I  Pro\1s  et  TheoHne  crimlnatìs,  QuibsI.  LH  ,  il,  IS,  14. 
■  Ibld.  QuMt.  XXXVn,i,s,  ». 


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riforma  di  tulla  la  legislazion  criminale ,  cominciò  con  le  parole . 
u  Alcuni  avanzi  di  leggi  d' tin  antico  popolo  conquistatore.  »  E  parve, 
com'era,  ardire  d'un  grand' ing^no:  un  secolo  prima  sarebbe  parsa 


stravaganza.  Né  c'è  da  maravigliarsene:  non  s'è  egli  visto  un  ossequio 
dello  stesso  genere  mantenersi  più  a  lungo ,  anzi  diventar  più  forte 
nella  politica ,  più  tardi  nella  letteratura,  più  lardi  ancora  in  qualche 
ramo  delle  Belle  Arti?  Viene,  nelle  cose  grandi,  come  nelle  piccole, 
un  momento  in  cui  ciò  che,  essendo  acddenlale  e  fattizio,  vuol  perpe- 
tuarsi come  naturale  e  necessario,  è  costretto  a  cedere  all'  esperienza, 
al  ragionamento,  alla  sazietà,  alla  moda,  a  qualcosa  di  meno,  se  è 
possibile,  secondo  la  qualità  e  l'importanza  delle  cose  medesime;  ma 
questo  momento  dev'esser  preparato.  Ed  è  già  un  merito  non  piccolo 
degl'interpreti,  se,  come  ci  pare,  furon  essi  che  lo  prepararono,  ben- 
ché lentamente,  benché  senz' avvedersene ,  per  la  giurisprudenza. 

Ma  le  regole  che  pure  avevano  stabilite,  bastano  in  questo  caso  a 
convincere  i  giudici,  anche  di  positiva  prevaricazione.  Vollero  ap- 
punto costoro  cominciar  dalla  tortura.  Senza  entrare  in  nulla  che 
toccasse  circostanze,  né  sostanziali  né  accidentali,  del  presunto  delit- 
to, moltiplicarono  interrogazioni  inconcludenti ,  per  farne  uscir  de' 
pretesti  di  dire  alla  vittima  destinata:  non  é  verisimile;  e,  dando  in- 
sieme a  inverisimiglianze  asserite  la  forza  di  bugie  legalmente  provate, 


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DELLA  COLONNA  IISFAUE.  TIS 

tnlimar  la  luiiura.  E  die  Don  cercavano  una  veriUi,  ma  volevano  una 
confessione:  non  sapendo  qDanlo  vantaggio  avrebbero  avuto  nell'esa- 
me del  Tatto  supiKtsto  ,  volevano  venir  presto  al  dolore,  che  dava  loro 
un  vantaggio  pronto  e  sicuro:  avevan  furia.  Tutto  Milano  sapeva  (è 
il  vocabolo  usato  in  casi  simili)  die  Guglielmo  Piazza  aveva  unti  i 
miu-i ,  gli  uscì ,  gli  anditi  dì  via  della  Vetra;  e  loro  che  l'avcvaD  nelle 
inani,  non  l'avrebbero  folto  confessar  subilo  a  lui  ! 

Si  dirà  forse  che,  iu  faccia  alla  giurisprudenza,  se  non  alla  coscien- 
za,  tutto  era  giustillcato  dalla  mas^ma  detestabile,  ma  allora  ricc-' 
vuta ,  che  ne'  delitti  più  atroci  fosse  lecito  oltrepassare  il  diritto?  La- 
sciamo da  parte  che  l'opiniou  più  comune,  anzi  quasi  universale, de' 
giurecODSulLi ,  era  (e  se  al  del  piace,  doveva  essere)  che  una  tal  mas- 
sima non  potesse  applicarsi  alla  procedura ,  ma  soltanto  alla  pena  ; 
«  giacché,  »  per  citarne  uno,  u  benché  si  tratti  d'un  delitto  enor- 
me ,  non  consta  però  che  1'  uomo  l' abbia  commesso  ;  e  fin  che  non 
consti,  é  dovere  che  si  serbino  le  solennità  del  diritto'.»  E  solo  per 
fumé  memoria,  e  come  un  dique'  tratti  notabili  con  cui  l'eterna  ra- 
gione si  manifesta  in  tulli  i  tempi ,  citeremo  andie  la  sentenza  d' un 
uomo  che  scrisse  sul  prindpio  del  secolo  decjmoquinto,  e  fu,  per  lungo 
tempo  dopo,  chiamalo  il  Bartolo  del  diritto  ecclesiastico ,  Nicolò  Te- 
deschi,  arcivescovo  di  Palermo,  più  celebre,  (In  che  fu  celebre,  sotto 
il  nome  d'Abate  Palermilano:  u  Quanto  il  delitto  é  più  grave,"  dice 
quest'uomo,  u  tanto  più  le  presunzioni  devono  esser  forti;  perchè, 
dove  il  pericolo  é  iniiggiore,  bisogna  anche  andar  più  cauli.  '  »  Ma 
questo,  dico,  non  fa  ul  nostro  coso  (sempre  riguardo  alla  sola  giuris- 
prudenza), poiché  il  Glaro  attesta  che  nel  foro  di  Milano  prevaleva 
la  consuetudine  contraria;  cioc  era,  in  quo' casi,  permesso  al  giudice 
d'oltrepassare  il  diritto,  anche  nell'inquisizione'.  »  Regola,  »  dice 
il  Rimiitaldi,  altro  già  celebre  giureconsulto,  «da  non  riceversi  negli 
altri  paesi;"  e  il  Farinacci  soggiunge:  «ha  ragione'.  »  Ma  vediamo 
come  il  Claro  medesimo  interpreti  una  tal  r^ola  :  "  si  viene  alla  tor- 
tura, quantunque  gl'indizi  non  siano  in  tulio  sufficienti  (m  totum 

I  P.  Follerii,  Pract.  Crini.  Cap.  QuoiI  lufrocavil,  n. 

9  Quanlo  crimen  est  gravlus,  Unto  pne^umpiiones  debent  esse  veli emenUo rei  ; 
quia  ubi  inajiis  periculum,  ibi  caulius  est  agindum.  —  Abbalis  Panormllani,  Com- 
menlaria  in  liÉros  decrelalluin.  PriEsuDiplionibus,  Cap.  XIV,  3. 

s  Clar.  Seni.  Ree.  lìb.  V,  §  1,  d. 

4  nipp.  Riminaldl,  Consilia  ;  LXXXvni,  ss.  —  Farin.  QniEnt.  XXXVIL  itt. 


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TB4  STORIA 

sufjteientia)t  uè  provali  da  testiiiMMiì  nag^orì  d'ogni  eccezìooe,  e 
spesse  volle  anche  senza  aver  data  al  reo  copia  del  processo  iofor- 
mativo.  "  E  dove  tratta  in  particolare  degV  indizi  legittimi  alla  im- 
tura,  li  dichiara  espressamente  necessari  «  non  sdo  ne'  delilti  minori, 
ma  anche  ne'  maggiori  e  negli  atrocissimi,  anzi  nel  delitto  stesso  di  lesa 
maestà.  *  »  Sì  contentava  dunque  d' indizi  meno  rigorosamente  pro- 
vali, ma  li  voleva  provati  in  qualche  maniera; dì  testimoni  meno  au- 
torevoli, ma  voleva  testimoni;  d'indìzi  più  ìeggfirì,  ma  voleva  indizi 
reali,  relativi  al  fatto;  voleva  insomma  render  più  facile  al  giudice 
la  scoperta  del  delitto,  non  dai^i  la  facoltà  di  tormentare,  sotto  qua- 
lunque pretesto ,  chiunque  gli  venisse  nelle  mani.  Son  cose  che  una 
teoria  astratta  non  riceve,  non  inventa,  non  sogna  neppure;  bensì 
la  passione  le  fa. 

Intimò  dunque  t' iniquo  esaminatore  ai  Piazza  :  cht  dica  la  verità 
per  qual  cataa  nega  di  lapere  che  siano  itale  onte  le  muraglie  j  et  di 
sapere  come  ti  chiamino  li  deputati,  che  altrtmente,  come  cote  inue- 
ritimilij  ti  metterà  alla  corda  j  per  hauer  la  verità  di  queste  intieri- 
nmilHudini.  —  Se  me  la  vogliono  anche  far  attaccar  al  collo  lo  fac- 
cino,- che  di  quette  cose  che  mi  hanno  interrogato  non  ne  to  niente, 
rispose  l'infelice,  con  quella  specie  di  coraggio  disperato,  con  cui  la 
ragione  sfida  alle  volte  la  forza,  come  per  farle  sentire  che,  a  qua- 
lunque segno  arrivi,  non  arriverà  niai  a  divenlar  ra^ne. 


*  Clar.  Ib.  Ub.  V,  ^  nn.  QuMt.  LXIV,  ». 


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DELLA  COLONNA  IKFAMt.  78> 

E  si  veda  a  che  miserabile  astuzia  dovettero  ricorrer  que'  signori, 
per  dare  un  po'  più  di  colore  al  pretesto.  Andarono,  come  abbiam 
detto,  a  caccia  d'una  seconda  bugia,  per  poter  parlarne  con  la  formola 
del  plura^;  cercarono  un  altro  zero,  per  ingrossare  un  conio  in  cui 
non  avevan  potuto  fare  entrar  nessun  numero. 

E  messo  alla  tortura  ;  gli  s' intima  che  n  risolva  di  dire  la  verildj 
risponde,  tra  gli  urli  e  Ì  gemili  e  l'invocazioni  e  le  supidicazioni  : 
l'Ilo  detta,  signore.  Insìstono,  ^h  per  amor  di  Dio!  grida  l'infelice: 
f'.  S.  mi  facci  lasciar  giù ,  che  dirò  quello  che  so  s  mi  facci  dare 
un  po'  d'aqua.  È  lascialo  giù,  messo  a  sedere,  interrogalo  di  nuo- 
vo; risponde  :  io  non  so  niente;  V.  S.  mi  facci  dare  un  poco  d'aqiu. 


Quanto  è  cieco  il  furore!  Non  veniva  loro  in  mente  che  quello  cbe 
volevan  cavatali  di  bocca  per  forza,  avrebbe  potuto  addurlo  lui 
come  un  argomento  fortissimo  della  sua  innocenza  ,  se  fosse  stalo 
la  verità,  come,  con  atroce  sicurezza,  ripetevano.  —  Si,  signore, — 
avrebbe  potuto  rispondere:  —  avevo  sentito  dire  clic  s'eran  trovati 
unti  i  muri  di  via  della  Velra;  e  stavo  a  baloccarmi  sulla  porla  dì  casa 
vostra,  signor  presidente  della  Sanità!  —  E  l'argomento  sarebbe  stalo 
tanto  più  forte,  in  quanto,  essendosi  sparsa  insieme  la  voce  del  fatto, 
e  la  voce  che  il  Piazza  ne  fosse  l'autore,  questo  avrete,  insieme  con 
la  notizia,  dovuto  risapere  il  suo  pericolo.  Ma  questa  osservazlon  cosi 
ovvia,  e  che  il  furore  non  lasciava  venire  in  mente  a  coloro,  non  poteva 


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nemmeno  venire  in  mente  all'infelice,  perchè  non  ^i  era  slato  dello  ' 
di  cosa  fosse  imputato.  Volevan  prima  domarlo  co'  tormenti;  questi  erau 
per  loro  gli  argomenti  %-erosìmìtt  e  probabili ,  richiesti  dalla  le^e  ; 
volevan  fargli  sentire  quale  terribile,  immediata  cooseguen^  veniva 
dal  risponder  loro  di  no;  vedevano  che  si  eonfessasse  bugiardo  una 
volta,  per  acquistare  il  diritto  di  non  credei^li^ quando  avrebbe  detto: 
sono  innocente.  Ma  non  ottennero  l' iniquo  inlento.  11  Piacza,  rimesso 
alla  tortura,  alzalo  da  terra,  intimatici  che  verrebbe  alzalo  di  più, 
eseguita  la  minaccia,  e  sempre  incalzato  a  dir  la  verità,  rispose  sem- 
pre :  l'ko  della;  prima  urlando,  poi  ai  voce  bassa;  finché  i  giudici, 
vedendo  che  ormai  non  avrebbe  più  potuto  rispondere  in  nessuna  ma* 
niera,  lo  fecero  lasciar  giù,  e  ricondurre  in  carcere. 

Riferito  l'esame  in  senato,  il  giorno  SS,  dal  presidente  della  Sanità, 


che  n'era  membro,  e  dal  capitano  di  giustiaia,  cbe  ci  sedeva  quando 
fosse  chiamato,  quel  tribunale  supremo  decretò  che:  «il  Piazn,  dopo 
essere  slato  raso ,  rivestito  con  gli  abili  della  curia,  e  purgalo,  fosse 
sottoposto  alla  tortura  grave,  con  la  legatura  del  canapo,»  atrocissima 


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DELLA  COLONNA  INFAUE.  IBI 

aggiunta,  per  la  quale,  oltre  le  braccia,  si  slogavano  aDcbe  le  maDÌ; 
u  a  riprese,  e  ad  arbitrio  de'  due  magislralì  sufldetli  ;  e  ciò  sopra 
ulcunft  delle  menzogne  e  inverisìmiglianze  risullanli  dal  processo.  <• 

Il  solo  senato  aveva,  non  dÌeo  l'autorità,  ma  il  potere  d'andare 
impunemente  tanto  avanti  per  una  tale  strada.  La  legge  romana  sulla 
ripetizion  de'  tormenti  < ,  era  interpretala  in  due  maniere;  e  la  men 
[irobabile  era  la  più  umana.  Molti  dottori  (seguendo  forse  Odofredo  *, . 
che  è  il  solo  citato  da  Gino  di  Pistoia  '  ,  e  il  più  antico  de'  citati  dagli  - 
altri }  intesero  che  la  tortura  non  si  potesse  rinnovare,  se  non  quando 
fossero  sopravvenuti  nuovi  indizi,  più  evidenti  de'  primi,  e,  con- 
diuone  che  fu  aggiunta  poi,  di  diverso  genere.  Molt'  altri ,  seguendo 
Bartolo'  ',  intesero  che  si  potesse,  quando  i  primi  indìzi  fossero  mani' 
resti,  evidentissimi,  urgentissimi;  e  quando,  condizione  a^^uula  poi 
anche  questa ,  la  tortura  fosse  stata  leggiera  '.  Ora ,  né  1'  una ,  né 
l'altra  interpretazione  faceva  punto  al  caso.  Nessun  nuovo  indizio  «^ 
emerso  ;  e  i  primi  erano  che  due  donne  avevan  visto  il  Piazza  toccar 
qualche  muro;  e,  ciò  ch'era  indizio  insieme  e  corpo  del  delitto,  i 
magistrali  avevan  visto  alcuni  segni  di  materia  ontuosa  su  que'  muri 

abbruciacchiali  e  affumicati,  e  segnatamente  in  un  andito dove  il 

Piazza  non  era  entrato,  Di  più,  quest'indizi,  quanto  manifesti,  evidenti 
e  urgenti,  ognun  lo  vede,  non  erano  slati  messi  alla  prova,  discussi 
col  reo.  Ma  che  dico  ?  il  decreto  del  senato  non  fa  neppur  menzione 
d' indizi  relativi  ài  ddilto ,  non  applica  neppur  la  legge  a  torto  ;  fa 
come  se  non  d  fosse.  Contro  ogni  legge,  contro  ogni  autorità,  come 
contro  ogni  ragione,  ordina  che  il  Piazza  sia  torturato  di  nuovo,  so- 
pra alcune  bugie  e  inverisìmiglianze j  ordina  cioè  a'  suoi  del^;ali  di 
rifere,  e  più  spietatamente,  ciò  che  avrebbe  dovuto  punirli  d'aver 
tatto.  Percìocdiè  era  (e  poteva  non  essere?)  dottrina  universale,  ca- 
none della  giurisprudenza ,  che  il  giudice  inferiore,  il  quale  avesse 
messo  un  accusato  alla  tortura  senza  indizi  legittimi ,  fòsse  punito  dal 
superiore. 

I  Heus  evldcollorlbus  «rgumenlis  oppressus,  repcll  In  queitioiieni  poleM.  Dig. 
lU».  XLVIII,  lU.  18,  t.  18. 

I  Numquid  polest  i-epetl  queesllo?  Videlur  quod  sic  ;  ut  Dig.  eo.  t.  Repell.  Sed 
VOI  dkalii  quod  non  pate«(  repeli  sine  aovls  imUcii».  Odofredi ,  od  Cod.  Ilb.  IX , 


Ut.  41. 


.  la. 


3  Cynì  pislorlensls,  super  Cod.  Ilb.  IX,  tjt.  li,  I.  de  lormenlis 

»  Bari,  ad  Dlg.  lòc.  cil. 

a  V.  Firinac.  QinsL  XXXVm,  ti,  ci  seq.  . 


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Ma  il  senalo  di  Milano  «ra  tribunal  supremo  ;  in  queslo  mondo , 
8*  inlende.  E  il  senato  di  Milano,  da  cui  il  puUriico  aspettava  la  sua 
vendetta ,  se  non  la  salute ,  non  doveva  essere  men  destro ,  mai 
perseverante ,  men  fortunato  scopritore ,  dì  Caterina  Rosa.  Che  tutto 
sì  faceva  con  l'autorità  di  costei;  quel  suo;  alf  hora  mi  viene  in 
pensiero  te  a  caso  fotte  un  poco  uno  de  quelli  ,  com'  era  sialo    il 


primo  movente  del  processo ,  così  n'  era  ancora  il  regolatore  e  il 
modello;  se  non  che  colei  aveva  eomìneìato  col  dubbio,  i  giudìd 
con  la  certezza.  E  non  paia  strano  dì  vedere  un  tribunale  farsi  se- 
guace ed  emulo  d'una  o  di  due  donniccitrie  ;  giacché,  quando  s*  è  per  la 
strada  della  passione ,  è  naturale  che  i  più  ciechi  guidino.  Non  paia 
strano  il  veder  uomini  i  quali  non  dovevan  essere ,  anzi  non  eran 
cerlamcnle  di  quelli  che  vogliono  il  male  per  il  male,  vederli,  dico, 
violare  cosi  apertamente  e  crudelmente  ogni  diritto;  giacché  il  credere 
ingiustamente,  è  strada  a  ingiustamente  operare,  fin  dove  l'ingiu- 
sta persuasione  possa  condurre;  e  se  la  coscienza  esita,  s'inquieta, 
avverte,  le  grida  d'un  pubUico  hanno  la  funesta  forza  (in  chi  di- 
mentica d'avere  un  altro  giudice)  di  soffogare  i  rimorsi;  anche  d'im- 
pedirli. 

Il  motivo  di  quelle  odiose,  se  non  crudeli  prescrizioni,  di  tosare, 
rivestire,  purgare,  lo  diremo  con  le  parole  del  Verri.  «  In  quei  tempi 
credevasì  che  o  ne*  capelli  e  peli,  ovvero  nel  vestito,  o  persino  n^ì 


zPd.yGoOgle 


DELLA  COLONNA  INFAUE.  7S0 

intestini  trangugiandolo,  potesse  avere  uà  amuleto  o  patio  col  demo- 
nio, onde  rasandolo,  spogliandolo  e  purgandolo  ne  venisse  disarmalo*.  » 
E  questo  era  veramente  de'  tempi  ;  la  violenza  era  un  fallo  (  con 
diverse  lonae)  di  tutti  i  lempi,  ma  una  dottrina  di  nessun  tempo. 

Quel  secondo  esame  non  fu  che  una  ugualmente  assurda,  e  più 
atroce  ripetizione  de)  primo,  e  con  lo  slesso  effello.  L'infelice  Piazza, 
interrogato  prima,  e  contradetto  oon  cavilli, che  si  direbbero  puerili, 
.se  a  nulla  d'un  tal  fatto  potesse  convenire  un  tal  vocabolo, e  sempre 
su  circostanze  indifferenti  al  supposto  delitto,  e  senza  mai  accennarìo 
nemmeno,  fu  messo  a  quella  più  crudele  tortura,  che  il  senato  aveva 
prescritta.  N'  ebbero  parole  di  dolor  disperalo,  parole  di  dolor  suppli- 
chevole, nessuna  di  quelle  che  desideravano,  e  per  ottener  le  quali 
avevano  il  coraggio  dì  sentire,  dì  far  dire  quell'altre,  ^h  Dio  mio! 
ah  che  asiastinamenlo  è  questo!  ah  Signor  fitcale! , . .  Fatemi  almeno 
appiccar  pretto  .  .  ,  Fatemi  tagliar  via  la  mano . . .  ^mmazzatetnij 
Itttcialemi  almeno  riposar  un  poco.  Jh!  tignor  Presidente!  .  .  .  Per 
amor  di  Dio,  fatemi  dar  da  berej  ma  insieme  :  non  io.  niente,  la  fe- 
rità l'ho  detta.  Dopo  molle  e  molte  risposte  tali,  a  quella  freddamente 
e  freneticamente  ripetuta  istanza  di  dir  la  verità,  gli  mancò  la  voce, 
anuDuloli;per  quattro  volte  non  rispose;  finalmente  potè  dire  ancora 
una  volta,  con  voce  fioca  :  non  so  niente,-  la  verità  l'  ho  già  della.  Si 
dovette  finire,  e  ricondurlo  di  nuovo,  non  confesso,  in  carcere. 


•  OJS.   8  IIL 


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E  non  e'  eran  più  nemmen  pretesti ,  né  motivo  di  rìcomÌDeiare  : 
quella  die  avevan  presa  per  una  scorcialoia,  gli  aveva  condotti  fuor 
di  strada.  Se  la  tortura  avesse  prodotto  il  suo  effetto,  estorta  la  con- 
fession  della  bugia,  tenevan  1'  uomo  ;  e ,  cosa  orribile  !  quanto  più  il 
soggetta  della  bugia  era  per  sé  indifferente,  e  di  nessuna  importanza, 
tanto  più  essa  sarebbe  siala,  nelle  loro  mani ,  un  argomento  polente 
della  reità  del  Piazza ,  mostrando  che  questo  aveva  bisogno  di  stare 
alla  larga  dal  fatto,  dì  farsene  ignaro  in  tutto,  in  somma  dì  mentire. 
Ma  dopo  una  tortura  illegale,  dopo  un'  altra  più  illegale  e  più  atroce, 
0  grave,  eome  dicevano,  rimettere  alta  tortura  un  uomo,  perchè  ne- 
gava d' aver  sentito  parlare  d' un  fatto,  e  di  sapere  il  nome  de'  depu- 
tati d'uoa  parrocchia,  sarebbe  slato  eccedere  i  limiti  dello  straordinario. 
Eran  dunque  da  capo,  come  se  non  avessero  fatto  ancor  nulla  ;  biso- 
gnava vraiire,  senza  nessun  vantaggio,  all' investigazion  del  supposto 
delitto ,  manifestare  il  reato  al  Piazza ,  interrogarlo.  E  se  l' uomo  ne- 
gava? se,  come  aveva  dato  prova  di  saper  fare,  persisteva  a  negare 
anche  ne'  tormenti?! quali  avrebbero  dovuto  essere  assotulamente  gli 
ultimi ,  se  i  giudici  non  volevano  appropriarsi  una  lerribil  sentenza 
d'  un  loro  collega ,  morto  quasi  da  un  secolo ,  ma  la  cui  autorità 
era  viva  più  cbe  mai ,  il  Bossi  citato  sopra.  >•  Più  di  tre  volle,  » 
dee,  «  non  ho  mài  visto  ordinai  la  tortura,  se  non  da  de*  giudici 
boia:  nisi  a  cami/kibus^.  »  E  parla  della  tortura  ordinala  legalmente! 


Ma  la  passione  è  pur  trop|)o  abile  e  coraggiosa  a  trovar   iiuo\e* 
strade,  per  iseansar  quella  del  dìrilló,  quand'è  lunga  e  incerta.  Ave- 

•  Tracia),  var.j  lil.  De  lorlura,  ii. 


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DELLA  COLONNA  ISFAUS. 

van  Gomincìsfo  con  la  tortura  dello  spasimo, 
tortura  d'  un  altro  genera  D'  ordine  del  senato  (come  si  ricava  da 
una  lettera  autentica  del  capitano  di  giustizia  al  governatore  Spinola, 
che  allora  si  trovava  all'  assedio  di  Casale),  l' auditor  fiscale  della  Sa- 
nità, in  presenza  d'  un  notaio,  promise  al  Piazsa  l'impuniti,  con  la 
coadizione  (e  questo  si  vede  poi  nel  processo)  che  dicesse  intenuneate 
la  verità.  Cosi  eran  riusciti  a  parlargli  dell'  ìmputaziwie,  senza  do- 
verla discutere;  a  parlargliene,  non  per  cavar  dalle  sue  risposte  i 
lumi  necessari  all'  investigazion  della  verità ,  non  per  sentir  quello 
che  ne  dicesse  lui;  ma  per  dargli  uno  stimolo  potente  «  dir  quello 
die  volevan  lora 

Eja  lettera  che  abbiamo  accennata ,  tu  scrìtta  il  *<8  di  giugno,  cioè 
quando  il  [HM)cesso  aveva,  con  quell'espediente,  Datto  uo  gran  passo. 
■  Ho  giudicalo  conuenire,  •>  cMoincta,  e  die  V.  E.  sapesse  quello  che 
si  è  scoperto  nel  particolare  d'alcuni  scellerati  cbe ,  a'  giwrni  passati, 
andauano  ungendo  i  muri  et  le  porle  dì  questa  dita.  »  E  non  sarà 
forse  senza  curiosità,  né  senza  istruzione,  il  veder  come  cose  tali  sian 
raccontate  da  quelli  che  le  fecero.  «  Hétibi ,  »  dice  dunque ,  «  com- 
missione dal  Senato  di  fornaar  processo,  nel  quale,  per  il  detto  d'al- 
cune donne ,  e  d'  un  huomo  degno  dì  fede ,  restò  qggraualo  un  Gu' 
gBelmo  Piazza ,  buomo  plebeio,  ma  ora  Commissario  della  Saniti , 
lA'esso,  il  venerdì  alti  si  su  l'aurora,  hauesse  unto  i  muri  di  una 
contrada  poMa  in  Porta  Ticinese ,  diiamata  la  Vetra  de'Ciltatfini.  » 

E  r  uomo  degno  di  fede,  messo  lì  subito  per  corroborar  l'autorità 
delle  donne,  aveva  detto  d'aver  rintoppato  il  Piazza,  il  quafe  io  sa- 
lutai j  et  lui  mi  rete  il  saluto.  Questo  Ara  stato  aggravarlo  !  come  se 
il  delitto  imputatogli  fosse  stato  d*-  essere  entrato  in  vìa  ddla  Vetra. 
Non  parla  poi  il  capitano  dì  giustizia  della  visita  fatta  da  lui  per  rico- 
noscere il  corpo  del  delilto;  come  non  se  ne  parla  pia  nel  processo. 

»  Ji'u  dunque,  »  prosegue,  «  incontinente  preso  costui.  »  E  non 
parla  della  visita  fattagli  in  casa,  dove  non  sì  trovò  nulla  di  sospetto. 

«  Et  essendosi  maggiormente  nel  suo  esame  aggrauato,  »  (s'è  visto!  ) 
«fu  messo  ad  una  grane  tortura,  ma  non  confessò  il  delitto.  » 

Se  qualcheduno  avesse  detto  allo  Spinola ,  che  il  Piazza  non  era 
stato  internato  punto  intorno  al  delilto,  lo  Spinola  a^'rebbe  risposto: 
—  Sono  poùlivamente  informato  del  contrario  :  il  capitano  di  giù- 
stìzia  mi  scrive,  non  questa  cosa  appunto, ch'era  inut)le;ma  un'altra 
che  la  SDltinlende ,  die  la  suppone  necessariamente  ;  mi  scrii'e  die, 


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messo  ad  una  grave  lorlura ,  non  lo  ctmfessò.  —  Se  )'  altro  avesse 
iosistito,  —  come  !  —  avrebbe  potuto  dire  l' uomo  celebre  e  potente, 
—  volete  voi  die  il  capitano  di  giustizia  gi  faccia  beffe  di  me,  a 
se^o  di  raccoDlarmi,  come  una  notizia  importante,  che  non  è  acca- 
duto quello  che  non  poteva  accadere  ?  —  Eppure  era  proprio  cosi  : 
cioè,  non  era  che  il  capitano  di  giustizia  volesse  farsi  beffe  del  gover- 
natore ;  era  che  avevan  fatta  una  cosa  da  non  potersi  racconlare 
ndla  maniera  appunto  che  l' avevan  fatta;  era,  ed  é,  che  la  falsa  co- 
scienza  trova  più  bcìlmente  pretesti  per  operare ,  che  forniole  per 
render  conio  di  quello  che  ha  btto. 

Ma  sul  punto  dell'  impunità,  e'  è  in  quella  lettera  un  altro  inganno 
che  io  Spinola  avrebbe  potuto ,  anzi  dovuto,  conoscer  da  sé,  abneno 
per  una  ^rte,  se  avesse  pensato  ad  altro  che  a  prender  Casale,  che 
non  prese.  Prosegue  essa  così  :  «  finché  d'  ordine  del  Senato  (  anco 
per  esecutione  della  grida  tdtimamente  fatta  in  questo  particolare 
pubblicare  da  V.  E.),  promessa  dal  Presidente  della  Sanità  a  costui 
l'impunità,  confessò  Analmente,  eie.  » 

Nel  capit<rio  XXXI  dello  scritto  antecedente,  s' è  fatto  menzione  d'una 
grida,  con  la  quale  il  tribunale  della  Sanità  prometteva  premio  e  im- 
punità a  chi  rivelasse  gli  autori  d^V  imbrattamenti  trovali  sidle  porìe 
e  sui  muri  delie  case,  la  mattina  del  18  di  maggio;  e  s'è  anche  ac- 
cennata una  lettera  del  tribunale  suddetto  al  governatore ,  su  quel 
fallo.  In  essa ,  dopo  aver  protestato  che  quella  grida  era  stata  pub- 
blicata, con  parikipatione  del  Sfg.  Gran  Caneelliere,  il  quale  foceva 
le  veci  del  governatore,  pregavan  questo  di'  corrofrorar/a  con  altra 
ma,  con  prametsa  di  maggior  premio.  B  il  governatore  ne  fece 
infolli  promulgare  una,  in  data  del  is  di  giugno,  con  la  quale  pi-o- 
ntetts  a  eiatcuna  pertona  che,  nel  termine  di  giorni  trenta,,  met- 
terà in  chiaro  la  pertona  o  le  persone  che  Aanno  commetiOj  fauorito, 
aiutato  colai  delitto,  il  premio ,  etc.  et  se  quel  tate  sari  dei  complici, 
gli  proTHette  anco  t' impunità  della  pena.  Ed  è  per  l' esecuzione  di 
questa  grida  ,  cosi  espressamente  circoscritta  a  un  fatto  dd  18  di 
maggio ,  che  il  capitano  di  giustizia  dice  essersi  promessa  l' impunità 
all'  uomo  accusato  d'un  fallo  del  ai  dì  giugno,  e  Ip  dice  a  quel  me- 
desimo che  r  avev^  se  non  altro,  sottoscritta!  Tanto  pare  che  si  fi- 
dassero suir  assediò  di  Casale  !  giacché  sarebbe  troppo  strano  il  sup- 
porre che  travedessero  essi  medesimi  a  quel  segno. 

Ma  che  bisogno  avevano  d'  usare  un  tal  raggiro  con  lo  Spinola? 


Digitizf^riiiyGoOgle 


DELLA  COLONNA  IKFAUE.  TSS 

n  bisogno  d'alfaccarsi  alla  sua  autorità,  di  travisare  un  atlo  ir- 
regolare e  abusivo,  e  secondo  la  giurisprudenza  comune,  e  secondo  la 
legislazioD  del  paese.  Era ,  dico ,  dottrina  comune  cbe  il  giudice  non 
potesse,  di  sua  autorità  propria,  concedere  impunità  a  un  accusato'. 
E  nelle  coslituzionì  di  Carlo  V,  dove  sono  attribuiti  al  senato  poteri 
ampissimi,  s'eccettua  però  quello  dì  «  concedere  remissioni  di  delitti, 
grazie  o  salvocondotli  ;  essendo  cosa  riservata  al  principe  ■.  «  E  il 
Boss!  già  citato,  il  quale,  come  senator  di  Milano  in  quel  tempo,  fu 
uno  de'  compilatori  di  quelle  costituzioni,  dice  espressamente:  «  que- 
sta promessa  d'impuuifà  appartiene  al  principe  solo  ^.  o 

Ma  perchè  mettersi  nei  caso  d'  usare  un  (al  raggiro,  quando  pote- 
van  ricorrere  a  tempo  al  governatore,  il  quale  aveva  sicuramente  dal 
principe  qq  tal  potere,  e  la  facoltà  di  trasmetterlo?  E  non  è  una 
possibilità  immaginala  da  noi:  è  quello  che  fecero  essi  medesimi, 
all'occasione  d' un  altro  infelice,  involto  più  tardi  in  quel  crudele 
processo.  L'atto  è  registrato  nel  processo  medesimo,  in  questi  termini: 
Ambroiio  Spinohj  etc.  In  conformità  del  parere  datoci  dal  Senato 
con  lettera  dei  cinque  del  corrente ,  concederete  impunità,  in  virtù 
della  presente,  a  Stefano  Baruello,  condannato  come  dispensalore  et 
fabricatore  delli  onti  peitiferi,  sparsi  per  questa  Città,  ad  esliutione 
del  Popoh,  se  dentro  del  termine  che  li  sarà  statuito  dal  detto  Senato, 
manifestarà  li  auttori  et  complici  di  tale  misfatto. 

Al  Piazza  l'impunità  non  fu  promessa  con  un  atto  formale  e  aulen- 
tioo;  furon  parole  dettegli  dall'auditore  della  Sanità,  fuor  del  pro- 
cesso. E  questo  s'intende:  un  tal  allo  sarebbe  stato  una  falsità  troppo 
evidente,  se  s'attaccava  alla  grida,  un' usurpazion  di  potere,  se  non 
s'attaccava  a  nulla.  Ma  perchè,  aggiungo,  levarsi  in  certo  modo  la 
possibilità  di  mettere  in  forma  solenne  un  atlo  di  tanta  importanza? 

Questi  perciiè  non  possiam  certo  saperli  positivamente;  ma  vedrem 
più  lardi  cosa  servisse  ai  giudici  l'aver  fatto  così. 

A  ogni  modo,  l'irregolarità  d'un  tal  procedere  era  tanto  manifesta, 
die  il  difensor  del  Padìlla  la  notò  liberamente.  Bencbè,  come  {H-otesta 
con  gran  ragione,  non  avesse  bisogno  d'  uscir  da  ciò  che  riguardava 
direttamente  il  suo  cliente,  per  iscolparlo  dalla  pazza  accusa;  benché, 


1  V.  Farinacci ,  Quiesl,  LX\X1,  tii. 

1  Conati  la  UoDM  dooilnil  medlolanenaisj  De  Seoaloribii» 

3  Op.  eli.  III.  De  cODle^sis  per  lortur-jo,  il. 


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senza  ragione ,  e  cuii  |>ucu  coerenza,  aniiiicda  un  delitlu  reale,  e  de' 
veri  colpevoli,  in  quel  mescuglio  d'immaginazioni  e  d'invenzioni; ciò 
non  ostante,  ad  abbondanza,  come  si  dice,  e  per  indebolire  tutto  ciò  dte 
potesse  aver  relazione  con  queir  accusa,  fa  %'arie  eccezioni  alla  parte 
del  processo  che  riguarda  gli  altri.  E  a  proposito  dell'impunilà,  senza 
impugnar  l'aulorità  del  senato  in  tal  materia  (che  alle  volle  gli  uomini 
si  tengon  più  offesi  a  metlH*  in  dubbio  il  loro  potere,  cbe  la  loro  reU 
liludine),  oppone  die  il  Piazza  «fu  introdotto  nanti  detto  signor  Audi- 
(ore  solamente,  quale  non  faaueua  alcuna  giurìsdilione  . . .  procedendo 
perciò  nullamenle ,  e  contro  li  (ermiiii  di  ragione.  »  E  parlando  ddb 
menzione  cbe  fu  (alta  più  tardi,  e  occasionalnienle,  di  qudl' impunità 
dice  :  «  e  pure,  sino  a  quel  ponto ,  non  appare,  né  si  legge  io  pro- 
cesso impunità,  quale  pure,  nauti  delta  redargutione,  doueua  coo- 
slare  in  processo,  secondo  li  termini  di  ragione.  » 

In  quel  luogo  delle  difese  e*  è  una  parola  buttala  là ,  come  ind- 
denfemente,  ma  significantissima.  Ripassando  gli  atti  die  precedei^ 
tero  l' impunità  ,  V  av\'Ocato  non  fa  alcuna  eccezione  espi-essa  e  diretta 
alla  tortura  data  al  Piazza,  ma  ne  paria  cosi:  «  sotto  pretesto  tf inue- 
risimili,  torturato,  n  Ed  è,  mi  pare,  una  circostanza  degna  (Fosser- 
vazione  die  la'  cosa  sia  slata  ehiamala  eoi  suo  nome  anche  allora,  an- 
che davanti  a  quelli  clte  n'eran  gli  autori,  e  da  uno  che  non  pensava 
punto  a  difender  la  causa  di  chi  n'  era  sialo  la  vittima- 
Bisogna  dire  che  quella  promessa  d'impunità  fosse  poco  coaosduta 
dal  pubblico,  giacché  il  Ripamonti,  raccontando  i  fatti  prindpalì  dd 
processo ,  nella  sua  storia  della  peste ,  non  ne  fa  menzione ,  aoii 
l'esdude  indirettamente.  Questo  scrìUore,  incapace  d'alterare  apposta 
la  verità,  ma  inescusabile  di  non  aver  letto,  nò  le  difese  del  Padilia,  ne 
l'eslralto  dd  processo  che  le  accompagna,  e  d'aver  creduto  piuttosto 
alle  darle  del  pubblico ,  o  alle  menzogne  di  quaidie  interessato , 
racconta  in  vece  che  il  Piazza,  subilo  dopo  la  tortura,  e  mentre  lo 
slegavano  per  ricondurlo  in  carcere ,  usci  fuori  con  una  rivelauone 
spontanea ,  che  nessuno  s' aspettava  '.  La  bugiarda  rivdazione  fa 
latta  bensi ,  ma  il  giorno  seguente,  dopo  1'  abboccamento  con  l'audi- 
tore, e  a  gente  che  se  l'aspettava  l>enis8Ìmo.  Sicché,  se  doo  fossero 
rimasti  que'  podii  documenti,  se  il  senato  avesse  avuto  che  fare  sd- 
tanto  col  pubblico  e  con  la  storia,  avrebbe  ottenuto  l'intento  d'ab- 


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DELLA  COLONNA  ^FAUE.  TOit 

buiar  quel  fallo  così  essenziale  al  processo ,  e  che  di«(le  le  mosse  a 
tulli  gli  altri  che  venner  dopo. 

Quello  che  passò  in  queir  abboccamenlo ,  nessuno  lo  sa  ,  ognuno 
se  r  immagina  a  un  dì  presso.  «  É  assai  verosìmile,  •>  dice  il  Verri , 
«  che  nel  carcere  istesso  si  sia  persuaso  a  quest'infelice,  che  persistendo 
egli  nel  negare ,  ogni  giorno  sarebbe  ricomincialo  lo  spasimo ,  che  il 
delitlo  sì  credeva  certo,  e  altro  spediente  non  esservi  per  lui  fuorché 
l'accusarsi  e  nominare  i  complici,  cosi  avrebbe  salvato  la  vita,  e  si 
sarebbe  soltraito  alle  torture  pronte  a  rinnovarsi  ogni  giorno.  Il  Piazza 
dunque  chiese,  ed  ebbe  l'impunità,  a  condizione  però  che  esponesse 
sinceramente  il  fallo  *.  "  -, 


Non  pare  però  punto  probabile  die  il  Piazza  abbia  chiesto  luì  liui- 
punita.  L'infelice,  come  \edrpmo  nel  seguilo  de!  processo,  non  an- 
dava avanti  se  non  in  quanto  cm  strascinato;  ed  ében  più  credibile, 
che ,  per  fargli  fare  quel  primo ,  cosi  slrano  e  oi-ribile  passo ,  per 
tirarlo  a  calunniar  sé  e  allri,  l' auditore  gliel' abbia  offerla.  E  dì  più, 
ì  giudici ,  quando  gliene  parlaron  poi ,  non  a\rcbI>cro  omessa  una 
circoslanza  cosi  imporlanle,  e  che  dava  lanlo  maggior  peso  alla  con- 
fessione; uè  l'avrebbe  onies.<ia  il  capitano  di  giuslizia  nella  lellera  allo 
Spinola. 

■  o...  *;  IV. 


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Ma  ehi  può  iniiiiugiKai'bi  ì  conibulliiiienti  ili  quell'animo,  a  cui  la 
nicuioi'ii)  cosi  rocenk'  df'  lormeiili  avrà  fallo  sentire  a  vicenda  jl  leiror 
di  sodrirli  di  nuovu,  e  l'orrore  di  farli  soffrire I  a  cui  la  speranza 
di  fuggire  una  nioilc  si)aventosa,  non  sì  ])rcsentava  che  accompagnala 
con  Io  spavento  di  cagionarla  a  un  altro  innocente!  giaccbè  non 
poteva  credere  clic  fossero  per  abbandonare  una  preda,  senza  averne 
acquistala  un'altra  almeno,  che  volessero  linirc  senza  una  condanna. 
Cedctlc,  abbracciò  quella  speranza,  per  quanto  fosse  orribile  e  in- 
certa ;  assunse  l' inqiresa ,  per  quanto  fosse  mostruosa  e  difficile  ;  de- 
liberò di  mettere  una  vidima  in  suo  luogo.  Ma  come  trovarla?  a  che 
filo  attaccarsi?  come  scegliere  tra  nciìsniio  ?  Lui,  era  stato  un  fatto 
reale,  che  aveva  servito  d'occasione  e  di  prclcslo  [ter  accusarlo.  Era 
entrato  in  via  della  Vctra,  era  andato  rasente  al  muro,  l'aveva  toc- 
cato; ui>a  sctagurula  aveva  traveduto,  ma  qualche  cosa.  Un  fallo 
allreltanlo  innocente,  e  alli'ellanlo  indìITLTenle  fu,  si  vede,  quello  clte 
gli  SUggeri  la  persona  e  la  favola. 

R  barbiere  Giangiaeomo  Moi'a  componeva  e  spacciava  un  unguento 
contro  la  peste;  uno  de'  mille  specifici  che  avevano  e  dovevano  aver 
eredito,  mentre  faceva  tanta  strage  un  male  di  cui  non  si  conosce  il 
rimedio,  e  in  un  secolo  in  cui  la  medicina  aveva  ancor  cosi  poco  im- 
parato a  non  arTemiare,  e  insegnato  a  non  credere.  Pochi  giorni  prima 
d'essere  arrestato,  il  Piazza  ai  èva  chiesto  di  quell'unguento  al  iKirbierc; 


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DELLA  COLONNA  INFAME.  TftT 

questo  aveva  promesso  di  preparargliene  ;  e  aveadoio  poi  incon- 
tralo sul  Carrobio,  la  manina  slessa  del  giorno  che  seguì  l'arresto, 
gli  a\'cva  detto  ctie  il  \'asetlo  era  pronto,  e  venisse  a  prenderlo.  Vo- 
levan  dal  Piazza  una  storia  d'unguento,  di  concerti,  di  via  della 
Vetra  ;  quelle  circostanze  cosi  recenti  gli  servirò»  di  materia  per 
compornc  una:  se  sì  può  chiamar  comporre  l'allaccare  a  molle  cir- 
costanze reali  un'invenzione  incompalibile  con  esse. 

.11  giorno  seguente,  96  di  giugno,  il  Piazza  è  condotto  davanti 
agli  esaminatori ,  e  l' auditore  gì'  intima  :  che  dica  conforme  a  quello 
che  estraivdkialmente  confessò  a  me,  alla  presema  anco  del  Notavo 
Baìbiano,  se  sa  chi  è  H  faòricalore  degli  uìiguenti  j  con  quali  tante 
volte  si  tono  Iroìiate  ontale  le  porte  et  mura  delle  case  et  cadenazzi 
di  questa  città. 

Ma  il  disgraziato,  che,  mentendo  a  suo  dispetto,  cercava  di  sco- 
starsi il  meno  possibile  dalla  verità,  rispose  soltanto:  a  tue  l'ha  dato 
lui  l'uiìguento,  il  Barbiero.  Son  le  parole  tradotte  letteralmente,  ma 
messe  cosi  fuor  dì  luogo  dal  Ripamonti:  dedit  unguenta  mihi  lontor. 


Gli  si  dice  che  nomini  il  detto  Barbiero  j  e  il  suo  complice,  il  suo 
ministro  in  un  tale  attentalo,  risponde:  credo  Aa66inotue  frib.JocomOj 
la  cui  parentela  (il  cognome)  non  so.  Non  sapeva  di  certo,  che  do^e 
stesse  di  casa,  anzi  di  bottega;  e,  a  un'altra  interrogazione,  lo  disse. 


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Gli  domandano  se  da  detto  Bnrbtero  lui  Conititulo  ne  ha  haunto 
0  poco  o  assai  di  detto  unguento.  RispOTide  :  me  ne  ha  dato  tanta 
qwantìtd  come  potrebbe  capire  questo  calamaro  che  è  qua  sopra  la 
tauola.  Se  avesse  ricevuto  dal  Mora  il  vasello  del  preservativo  die 
gli  a\'eva  chiesto ,  avrebbe  descrillo  quello  ;  ma  non  potendo  cavar 
nulla  dalla  sua  memoria,  s'allacca  a  un  oggetto  presente,  per  allac- 
carsi  a  qualcosa  di  reale.  Gli  domandano  se'  detto  Sartiero  è  amico  di 
lui  Conslitulo.  E  qui,  non  accorgendosi  come  la  veritii  che  gli  si  pre- 
senta alla  memoria,  faccia  ai  cozzi  con  l' invenzione,  risponde:  è  amico, 
signor  sì,  buon  di,  buon  anno,  è  amico,  signor  «/  vai  a  (Ure  che 
lo  conosceva  appena  di  salulo. 

Ma  gli  esaminatori,  senza  far  nessuna  osservazione,  passarono  a 
domandargli,  con  qual  occasione  detto  Barbiero  gli  ha  dato  dello  onta. 
Ed  ecco  cosa  rispose  :  ;)auai  di'  16,  et  lui  chiamandomi  mi  disse:  ci  Ao 
puoi  da  dare  un  non  so  che;  io  gli  dissi  che  cosa  era?  et  egli  disse  :  è 
non  so  che  onto;  et  io  dissi:  sij  si  j  verrò  puoi  a  tuorlo  ,■  et  cori  da 
li  a  due  o  tre  giorni,  me  lo  diede  puoi.  Altera  le  cireoslanze  materiali 
del  fatto ,  quanto  è  necessario  per  accomodarlo  alla  favola  ;  ma  gli 
lascia  il  suo  colore;  e  alcune  delle  parole  che  riferisce,  eran  proba- 
bilmente quelle  eh'  eran  corse  davvero  tra  loro.  Parole  dette  in  con- 
seguenza d'un  concerto  già  preso,  a  proposito  d'un  preservativo, 
le  dà  per  delle  ali'  inlento  di  proporre  di  punto  in  bianco  un  avve- 
lenamento, almen  tanto  pazzo  quanto  atroce. 

Con  tulio  ciò,  gli  esaminatori  vanno  avanti  con  le  domande,  sul 
luogo,  sui  giorno,  sull'ora  della  proposta  e  della  coitsegna;  e,  come 
contenli  di  quelle  risposte,  ne  chiedon  dell' altre.  Che  cosa  gli  disse 
quando  gli  consegnò  il  detto  vaifelto  d'onta? 

Jtfi  disse;  pigliale  questo  vasetto,  et  angele  le  muraglie  qui  «dietro, 
et  poi  venete  da  me,  che  hauerele  una  mano  de  danari. 

postilla  qui,  slavo  por  dire  esclama,  il  Verri.  E  una  tale  inverisimi- 
glianza  avvenla ,  per  dir  cosi ,  ancor  piò  in  una  risposta  successiva. 


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DEr.LA  COLONNA  INFAUE.  t»b 

Interrogalo  se  il  detto  Barbierù  assignò  a  fui  ConstHuto  il  luogo 
predio  da  ongere  ,  lisponde  :  »iì  ditte  che  ongetti  lì  nella  Fedra  de' 
Ciltadinij  et  che  cominciasti  dal  suo  aschio,  dove  iii  effetto  cominciai. 

u  Nemmeno  l'uscio  suo  proprio  aveva  unto  il  l>arbiere  !  »  poslilla 
qui  di  nuovo  il  Verri.  E  non  ci  voleva,  cerio,  la  sua  perspicacia  per 
fare  un' osservazion  simile;  ci  volle  l'accecamento  della  passione  per 
non  farla ,  o  la  malizia  della  passione  per  non  farne  conio ,  se ,  co- 
me è  più  naturale,  si  presentò  onclie  alla  mente  degli  esaminatori. 

L'infelice  indentava  così  a  stento,  e  come  per  (orsa,  e  solo  quando 
era  eccitato,  e  come  punto  dalle  domande,  che  non  si  saprebbe  indo- 
vinare se  quella  promessa  di  danari  sia  stata  immaginata  da  lui,  per 
dar  qualche  ragione  dell'  avere  accettata  una  commission  di  quella 
sorte,  0  se  gli  fosse  stata  suggerita  d»  un' ìnlerrogazion  dell'auditore, 
in  quel  tenebroso  abboccamento.  Lo  stesso  bisogna  dire  d'  tia'  altra 
invenzione,  con  la  quale,  nell'esame,  andò  incontro  indirellamente 
a  un'  altra  dilTicoltà ,  cioè  come  mai  avesse  potuto  maneggiar  quel*' 
l'unto  cosi  mortale ,  senza  riceverne  danno.  Gli  domandano  se  detto 
Barbiere  disse  a  lui  Coiiititulo  per  qual  cauta  faceste  ontare  le  dette 
porte  et  muraglie.  Risponde:  lui  non  mi  disse  niente  j  mUmagino  bene 
che  detto  onto  fosse  velenato ,  et  potesse  nocere  alti  corpi  humant, 
poiché  la  mattina  seguente  mi  diede  un' aqiia  da  beuere,  dicendomi 
che  mi  sarei  preseruato  dal  veleno  di  tal  onto. 

A  tutte  queste  risposte,  e  ad  altre  d'  ugual  valore ,  die  sarebbe 
lungo  e  inutile  il  riferire ,  gli  esamìnalori  non  trovaron  nulla  da  op- 
|>orrc,  o  per  parlar  più  precisamente,  non  opposero  nulla.  D' una  sola 
cosa  credettero  di  dover  chiedere  spiegazione  :  per  qual  causa  non 
l' ha  potuto  dire  le  altre  volte. 

Rispose:  io  non  lo  so,  né  so  a  che  attribuire  la  causa,  se  non  a  quella 
aqua  che  mi  diede  da  berej  perché  V,  S.  vede  bette  che,  per  quanti 
tormenti  ho  hauuto,  non  ho  potuto  dir  niente. 

Questa  \'olta  perù,  quegli  uomini  cosi  facili  a  contentarsi,  non  son 
contenti,  e  tornano  a  domandare:  per  qual  cauta  non  ha  detto  questa 
verità  prima  di  adesso,  massime  tendo  stato  tormentato  nella  maniera 
che  fa  tormentato,  et  sabbato  et  hieri. 

Questa  veritìk! 

Risponde:  io  non  C  ho  detta,  perché  non  ho  potuto,  et  te  io  fossi 
stato  cent'anni  sopra  la  corda,  io  non  haueria  mai  jwtuto  dire  cosa 
alcuna,  perché  non  poteuo  parlare,  poiché  quatìdo  tu'  era  dimandata 


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OOO  STOHfA 

qualche  cosa  di  questo  parlicolarei  mi  (agiva  dal  cuore,  el  non  polena 
rispondere.  Sentilo  questo ,  chiuser  I'  esame ,  e  rimandaron  lo  sven- 
turato in  carcere. 

Ma  basta  il  chiamarlo  sventurato  ? 

A  una  tale  interrogazione,  la  coscienza  si  confonde ,  rifugge,  vor- 
rebbe dichiararsi  incompetente  ;  par  quasi  un'  arroganza  spietata , 
un' ostenlazion  farisaica,  il  giudicar  chi  operava  in  tali  angosce,  e  fra 
tali  insidie.  Ma  costretta  a  rispondere,  la  coscienza  deve  dire  ;  fu  anche 
colpevole;  i  patimenti  e  i  terrori  dell' innocente  sono  una  gran  cosa, 
hanno  di  gran  virtù  ;  ma  non  quella  di  mutar  la  legge  eterna,  di 
far  che  la  calunnia  cessi  d'  esser  colpa.  E  la  compassione  stessa,  ette 
vorrebbe  puiv  scusare  il  tormentato,  si  rivolta  subilo  anch'essa  contro 
il  calunniatore;  ha  sentilo  nominare  un  altro  innocente;  prevede  altri 
patimenti,  altri  terrori,  forse  altre  simili  colpe. 

E  gli  uomini  che  crearon  quell'angosce,  che  tesero  quell' insidre, 
ci  parrà  d'averli  scusali  con  dire  :  si  credeva  all'  unzioni,  e  c'era  la 
tortura?  Grediam  pure  anche  noi  alla  possibilità  d'uccider  gli  uomini 
col  vdeno;  e  cosa  si  dii-ebbc  d'un  giudice  che  adducesse  questo  per 
alimento  d*  aver  giuslametite  condannalo  un  uomo  come  avvele- 
natore? C  è  pure  ancora  la  pena  di  morte  ;  e  cosa  sì  risponderelAe 
a  uno  che  pretendesse  con  questo  di  giustificar  tutte  le  sentenze  di 
m(M-te?  No;  non  c'era  la  tortura  per  il  caso  di  Guglielmo  Piazza: 
furono  i  giudici  che  la  vollero,  che,  per  dir  cosi,  l'inventarono  in 
quel  caso.  Se  gli  avesse  ingannati,  sarebbe  stala  loro  colpa,  perchè 
era  opera  loro  ;  ma  alihiam  visto  che  non  gt'  ingannò.  Metttam  pure 
che  siano  stati  ingannali  dulie  parole  del  Piazza  nell'ultimo  esame,  ct>e 
abbian  potuto  credere  un  fatto,  esposto,  spiegalo,  circostanziato  in 
quella  maniera.  Da  che  eran  mosse  quelle  parole?  come  l'avevano 
avute?  Con  un  mezzo,  sull' illegittimità  del  quale  non  dovevano  in- 
gannarsi, e  non  s' ingannarono  infatti ,  poiché  cercarono  di  nascon- 
derlo e  di  travisarlo. 

Su,  per  impossibile,  tutto  quello  che  venne  dopo  fosse  slato  un 
concorso  accidentale  di  cose  le  più  alte  a  confermar  V  inganno ,  la 
colpa  rimarrebbe  ancora  a  coloro  che  gli  avevano  aperta  la  strada. 
Ma  vedremo  in  vece  che  tutto  fu  condotto  da  quella  medesima  loro 
volontà,  la  quale,  per  mantener  l'inganno  lino  alla  (ine,  dovette 
ancora  eluder  le  leggi,  come  resistere  all'evidenza,  farsi  gioco  della 
probità,  conte  indurirsi  alla  eompassione, 


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UBLLA  COLON."«.V  1»»' Alili. 


IV 


militoi'c  corso,  con  la  i^birrùgliu,  alla  casìa  del  Mora, 
i  lo  Irovaroiio  in  bolt<!ga.  Ecco  un  alli-o  reo  cIk^  non 
[lensava  a  ruggire ,  né  a  nascondersi ,  benché  ÌI  suo 
complice  fosse  in  prigione  do  ciuatlro  giorni.  C  era 
:on  lui  un  suo  (igliuolo;  e  l'audrlore  ordinò  che  Tos- 
terò arrestali  tult'  e  due. 


Il  Vèrri,  spogliando  i  libri  parrocdiiali  di  San  Loicnicu,  lio\ò  che 
l'infelice  barbiere  polcva  avere  anche  Ire  Jiglie;  una  di  quallonlici 
anni,  una  di  dodici,  una  die  aveva  appena  finili  i  sei.  Ed  è  bello  il 
vedere  nn  uomo  ricco,  nobile,  celebre,  in  carica,  prendersi  qiicsla  cura 
di  scavar  le  memorie  d' una  famiglia  povera,  oscura,  dinienlieala  :  che 
dico?  infame;  e  in  mezzo  a  una  posterìlà,  erede  cieca  e  Icnace  della 


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sluKa  esecrazione  degli  avi ,  cercar  nuovi  (^gelti  a  una  compassion 
generosa  e  sapiente.  Certo ,  non  è  cosa  ragionevole  i'  opporre  la 
compassione  alia  giuiìtizia  ,  la  quale  deve  punire  andte  quando  è 
costretta  a  compiangere,  e  non  sarebbe  giustizia,  se  volesse  condonar 
le  pene  de'  colpev<^i  al  dolore  degl' innocenti.  Ma  contro  la  violenza 
e  la  frode,  la  compassione  è  una  ragione  anch'essa.  E  se  non  fossero 
stute  che  quelle  prime  angosce  d'  una  moglie  e  d'una  madre,  quella 
rivelazione  d' un  casi  nuovo  spavento,  e  d'  un  così  nuovo  cordoglio 
a  bambine  che  vedevano  metter  le  mani  addosso  al  loro  padre ,  al 
fratello,  legarli,  trattarli  come  scellerati;  sarebbe  un  carico  terrìbile 
contro  coloro,  i  quali  non  avevano  dalla  giustizia  il  dovere,  e  nem- 
meno dalla  legge  il  permesso  di  venire  a  ciò. 

Che,  anche  per  procedere  alla  cattura,  ci  volevano  naluralmenlc 
degl'indizi.  E  qui  non  c'era  né  fama,  né  fuga,  né  querela  d'un  offeso, 
né  accusa  di  persona  degna  di  fede ,  né  deposìzion  di  testimoni  ; 
non  e'  era  alcun  corpo  di  delitto  ;  non  e'  era  altro  ehe  il  detto  d' un 
supposto  complice.  E  perchè  un  detto  (ale,  ehe  non  aveva  per  sé  valor 
dì  sorte  alcuna,  potesse  dare  a)  giudice  la  facoltà  di  procedere,  eran 
necessarie  molte  condizioni.  Più  d'una  essenziale,  avremo  occasion  di 
vedere  che  non  fu  osservala;  e  si  potrebbe  faciluijente  dimostrarlo  di 
molt'  altre.  Ma  non  ce  n'  è  bisogno  ;  perchè ,  quand'  anche  fossero 
state  adempite  tutte  a  un  puntino ,  e'  era  in  questo  caso  una  circo- 
stanza che  rendeva  l' accusa  radicalmente  e  insanabilmente  nulla  : 
r  essere  slata'  fatta  in  conseguenza  d'  una  prom^sa  d' impunità.  «  A 
chi  rivela  per  la  speranza  dell'impunità,  o  concessa  dalla  legge,  o 
promessa  dal  giudice,  non  sì  crede  nulla  contro  i  nominati,  n  dice  il 
Farìnaacì  '.  E  il  Bossi  :  u  si  può  opporre  al  testimonio  che  quel 
che  ha  detto,  l'abbia  dello  per  essergli  stala  promessa  l' impunità . . . 
mentre  un  tcsLìmonio  deve  parlar  sinceramente ,  e  non  per  la  sj»e- 
ranza  d'  un  vantaggio  ...  E  questo  vale  anche  ne"  casi  in  cui ,  per 
altre  ragioni ,  si  può  fare  eccezione  alla  regola  che  esclude  il  com- 
plice dall' allcstare  .  .  .  perché  colui  die  allesfa  per  una  promessa 
d'impunità,  si  chiama  corrotto,  e  non  gli  si  crede.  '  »  Ed  era  dot- 
trina non  conli'adetla. 

Mentre  si  preparavano  a  visitare  ogni  cosa,  il  Mora  disse  all'au- 


I  QuE«l.  XLUI,  101.  V.  SuniRiarium. 

>  TracUl.  var.,  til.  De  opposi  11  od  i  bus  coiiira  teslus; 


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DELLA  C01.0>nA  IKFAUE. 


(lilore:  Oh  F.  S.  veda!  so  che  è  venuta  per  quell'unguento;   f.  S. 
lo  veda  là;  et  aponto  quelvaaelttM  l'haueuo  apparecchialo  per  dniio 


\ 


al  Commissario^  ma  non  è  venuto  a  pigliarlo  ;  io,  gratia  a  Dio,  no» 
ho  fallato.  V.  S.  veda  per  tutto;  io  non  ho  (tillato:  può  sparagnare 
di  farmi  tener  iegato.  Credeva  l' infelice  che  il  suo  realo  fosso  d'aver 
composto  e  spaccialo  quello  specifico  senza  licenza. 

Frugan  per  tulio;  ripassati  vasi,  vaselli,  ampolle,  alberelli,  barulloli. 


(I  barbieri,  a  quel  tempo,  esercitavan  la  bassa  chirurgia;  e  di  li  a  fare 
anche  un  po'  il  medico,  e  un  po'  lo  speziale,  non  c'era  clie  un  passo.  ) 


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Due  tose  parvero  sospcUc;  e,  chiedendo  scusa  ai  lettore,  siam  co- 
slrelli  a  parlarne,  perchè  il  sospetto  manireslalo  da  coloro,  nell'allo 
della  visita ,  Tu  quello  che  diede  poi  al  povero  sventurato  un'  indica- 
zioiic,  un  mezzo  per  potersi  accusare  ne'  lormenli.  E  del  resto  c'è 
hi  lulla  questa  storia  qualcosa  di  più  forle  che  lo  schifo. 

In  toinpo  (li  pciìlc,  era  naturale  che  un  uomo,  il  quale  doveva  trat- 
tar con  molle  persone,  e  principalmente  con  ammalali,  stesse,  per 
quaiilo  era  )>ossihile,  segregato  dalla  famigliale  il  difcusor  del  Padilla 
fa  ques-la  osservazione  do\c,  come  \edremo  or  ora,  0|)pone  al  processo 
la  mancanza  d'un  corpo  di  delitto.  La  )iestc  medesima  poi  aveva  di- 
minuilo  in  quella  desolala  popolazione  ilhisogno  della  pulizia,  ch'era 
già  poco.  Si  truvaron  [ktcìù  in  una  stnnzina  dietro  la  bottega ,  dun 
rasa  slercore  liumano  piena,  dice  il  processo.  Uti  hirro  se  ne  mara- 
viglia, e  (a  tuUi  era  lecito  di  parlar  contro  gli  uniori)  fa  osservare 
che  disopra  vi  è  il  condotto.  II  Mora  rispose  no  donno  ^«i  da  basio, 
et  non  rado  di  «o/ira. 

La  seconda  cosa  fu  che  in  im  cortiletto  si  vide  un  foitie/h  con 


dentro  murata  una  caldura  di  rame,  nella  quale  si  è  troitalo  den- 
tro de/l'acqua  torbida,  in  fondo  della  quale  si  è  trouato  una  materia 
viscosa  gialla  et  bianca,  la  quale,  gettata  al  muro,  fattone  la  proua, 
si  atfaccaua.  Il  Mora  disse  :  l'è  smoglio  (ranno)  :  e  il   processo  noia 


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DELLA  COLOKìNA  IKFAME.  SOS 

clic  lo  disse  con  molla  msislenxa  :  cosa  che  la  vedere  quanto  essi 
maslrnssero  di  Ifo^arci  niiitlero.  Ma  come  niui  s' arriscliiaroiio  di  far 
tanto  a  confidenza  con  qiu'l  veleno  cosi  potente  e  cosi  inislenoso? 
Bisogn»  dire  elie  il  furore  soffogasse  la  paura,  che  pure  era  una  delle 
sue  ragioni. 

Tra  le  carte  poi  si  trovò  una  ricetta,  che  l'auditore  diede  in  mano 
al  Srora,  perche  spiegasse  cos'era.  Questo  la  slraceió,  perchè,  in  quella 


confusione ,  I'  a^■c^■a  presa  per  la  ricetta  dello  specìfico,  i  pezzi  furon 
raccolti  subilo;  ma  \cdrenio  come  questo  miserabile  accidente  fu  poi 
fatto  valere  contro  qucll'  infelice. 

Nell'estratto  del  processo  non  si  trova  quanle  persone  fossero  ar- 
restate insieme  con  lui.  Il  Ri|>amonti  dice  che  menaron  via  Intta  la 
genie  di  casa  e  di  bottega;  giovani,  garzoni,  moglie,  figli;  e  anrlie 
parenti,  se  ce  n'era  li  '. 

Neil'  uscir  da  quella  casa ,  nella  quale  non  doveva  più  rimelter 
piede,  da  quella  casa  elie  doveva  esser  demolita  da'  fondanieniì,  e  dar 
)u<^o  a  un  monumenlo  d'infamia,  il  Mora  disse:  io  non  ho  fallala, 
et  gè  ho  fallato,  che  sij  cnitìgalo,-  ma  da  quello  Elettnario  m  fitoì, 

*  Rt  »l  ijiiì  cO[i<angiiin<.'i  eracit,  pag.  ut. 


„GoogIe 


IO  non  Iti}  fatto  ultro;  peiòj  se  hauessi  fallato  i 
maiido  vèisericordia. 


qualche  e 


Fri  esaminato  il  giorno  medissimo ,  e  interrogalo  principalinenlc 
sul  ranno  die  gli  avevan  trovato  Ìii  casa ,  e  sulle  sue  relazioni  col 
commissario.  Intorno  al  primo.  rispoM-:  xignorej  io  fio»  to  niente, 
et  l'hanno  fatto  far  le  donne,-  che  ne  dimandano  conto  da  loro,  che 
lo  diranno;  et  sapetto  tanto  io  che  quel  gmoglio  vi  fosse,  quanto  che 
mi  credessi  d'esser  oggi  condotto  prigione. 

Intorno  al  conimissurio,  raccontò  del  vasetto  d'unguento  die  doveva 
dargli,  e  ne  specificò  gì'  ingredienti  ;  altre  relazioni  con  lui,  disse  «li 
non  averne  avute,  se  non  che,  circa  un  anno  prima,  quello  era  ve- 
nuto a  casa  sua,  a  chiedergli  un  servizio  del  suo  mestiere. 

Subito  dopo  fu  esaminato  il  figliuolo;  e  fu  allora  cbe  quel  povero 
ragazzo  ripetè  la  sciocca  ciarla  del  vasetto  e  della  penna,  clie  abbiam 
rirerita  da  principio.  Del  resto,  l'esame  fu  inconcludente;  e  il  Verri 
osserva ,  in  una  postilla ,  cbe  »  si  doveva  interrogare  il  figlio  del 
barbiere  su  quel  ranno,  e  vedere  da  quanto  tempo  si  trovava  nella 
caldaia ,  come  fatto ,  a  die  uso  ;  e  allora  si  sarebbe  chiarito  meglio 


Digitizf^riiiyGoOgle 


DELLA  COLONNA  INFAUE.  HOT 

l'affore.  Ma,  »  soggiunge,  «  temevano  di  non  trovarlo  reo.  »  E  quesla 
veramente  è  la  cbia^'e  di  tutto. 

Interrogarono  però  su  quel  particolare  la  povera  moglie  del  Mora, 
la  quale  alle  varie  domande  rispose  che  aveva  fatto  il  bucalo  dieci  o 
dodici  giorni  avanti;  che  ogni  volta  riponeva  del  ranno  per  certi 
usi  dì  chirurgia;  che  per  questo  gliene  avevan  trovato  in  casa;  ma 
che  quella  non  era  sialo  adoprato,  non  èssendocene  stato  bisogno. 

Si  fece  esaminare  quel  raimo  da  due  lavandaie,  e  da  tre  medici. 


Quelle  dissero  ch'era  ranno,  ina  alterato;  questi,  che  non  era  ranno; 
le  une  e  gli  altri,  perchè  il  fondo  appiccicava  e  faceva  le  fila.  "  In 
una  bottega  d'un  barbiere,  "  dice  il  Verri,  «  dove  si  saranno  lavati 
de'  lini  sporchi  e  dalle  piaghe  e  da'  cerotti ,  qual  cosa  pili  naturale 
die  il  trovarsi  un  sedimento  viscido,  grasso,  giallo,  dopo  farti  giorni 
il' estate?  "  « 

Ma  in  ultimo,  da  quelle  visite  non  risultava  una  scoperta  ;  risul- 
tava soltanto  una  contradizione.  E  il  difensore  del  Padilla  ne  de- 
duce, con  troppo  evidente  ragione ,  eiie  «  dalla  lettura  dell'  istesso 
processo  offensìuo ,  non  si  vede  constare  dd  corpo  del  delitto  ;  re- 
quisito e  preambolo  necessario ,  acciò  si  venga  a  Reato*,  atto  tanto 
pregi udiciale,  e  danno  irreparabile.  »  E  osserva  che,  tanto  più  era  ne- 
cessario, in  quanto  I'  cITetlo  che  st  voleva  attribuire  a  un  delitto ,  il 

■  oss.  Siv. 


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morir  tante  persone,  aveva  la  sua  causa  naiurale.  «  Per  i  quali  giù- 
dilli  incerti,  »  dice,  «  quatilo  fosse  necessario  venire  all' ei^ierlenza, 
Io  rieereatiano  le  maligne  costellalioni ,  e  li  proooslici  de'  lUaUheffia- 
tici,  quali  nell'anno  1630  altro  non  concludeuano  cbc  peste,  e  linai- 
mente  il  \'cder  tante  città  insigni  della  Lomltardia,  et  Italia  rimanere 
desolate,  e  dalla  petite  distrutte,  in  quali  non  si  seolirno  p«isteri,  oè 
timori  di  oiito.  »  Anche  1'  errore  vien  qui  in  aiuto  della  verìtii  :  kt 
quale  però  non  n'aveva  bisogno.  E  fa  male  il  vedere  oome  quest'uo- 
mo, dopo  aver  fatto  e  qucsla  e  altre  osservazioni,  ugualmente  atte  a 
dimostrar  chimerico  il  delitto  medesimo,  dopo  avere  attribuito  alla 
forza  de'  tormenti  le  deposizioni  che  accusavano  il  suo  clienle,  dica  in 
un  luogo  queste  strane  parole:  «conuien  confessare,  che  per  malignità 
de'  detti  nominati,  et  altri  complici,  con  animo  ancor  di  sualiglare  le 
case,  e  far  guadagni,  come  il  detto  barbiere,  al  fol.  104,  disse,  si  mo- 
uessero  a  tanto  delitto  contro  la  propria  Patria,  n 

Nella  leltera  d'informazione  al  governatore,  il  capitano  di  giustizia 
parla  di  questa  circostanza  cosi  :  «  Il  barbiero  è  preso,  in  casa  di  cui  si 
sono  trouate  alcune  misture,  per  giudicio  de  periti,  molto  sospette.  »  So- 
s|H.-llc!É  una  parola  con  cui  il  giudice  comincia,  ma  con  cui  non  fini- 
sce, se  non  suo  malgrado,  e  dopo  aver  tentati  tulli  i  mezzi  per  arri- 
^a^e  alla  eertezza.  E  se  ognuno  non  sapesse,  o  non  indovinasse  quelli 
eh'  erano  in  uso  anche  allora ,  e  che  si  sarebbero  potuti  adoprarc , 
quando  si  fosse  veramente  |)ensato  a  chiarii'si  sulla  qualità  xelenosa  di 
quella  |>orcheria,  l'uomo  che  presiedeva  al  processo  ce  l'avrebbe  follo 
sa|>ere.  In  quell'altra  lettera  rammentala  poco  sQpra,  con  la  quale  il 
tribunale  della  Sanità  aveva  informalo  il  governatore  di  (|uel  grande 
imbi-attamenlo  del  18  di  maggio,  si  parlava  pure  d'  un  esperimento 
fatto  sopra  de'  cani ,  «  per  accertarsi  se  tali  onluosità  erano  pesti- 
Icnliali  o  no.  »  Ma  allora  non  avevan  nelle  mani  nessun  uomo  sul 
quale  potessero  fare  l' esperimento  della  tortura ,  e  contro  il  quale  le 
turile  gridassero  :  tolte  I 

Prima  pei-ò  di  mettere  alle  strette  (I  Mora,  tollero  aver  dal  com- 
missario più  chiare  e  precise  notizie;  e  il  lettore  dira  che  ce  n'era  bi- 
st^no.  Lo  fecero  dunque  venire,  e  gli  domandarono  se  ciò  che  aveva 
deposto  era  vero,  e  se  non  si  rammentava  d'alli'O.  Onferiiiò  il  primo 
detto,  ma  non  trovò  nulla  da  aggiungerci. 

Allora  gli  dissero  che  ha  mollo  dell'  inuermiuile  che  ti-a  lai  et 
detto  barbiero  non  sia  passata  altra  tìegotiatione  di  quella  che  ha 


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DELLA  COLONNA  INFAIIE.  MB 

tlepoitOj  trottando»  di  negotio  tanto  grausj  il  quale  non  ti  commette 
a  pertotu  per  eieguirlo,  te  non  con  grande  et  confidente  negotiatioHe, 
et  non  olio  f^ita,  come  lai  depone. 

L' osaerTasioDe  era  giusta ,  ma  veniva  tardi.  Perdù  noD  fati»  idla 
prima,  qaando  i[  Piazza  depose  la  coaa  in  que'  ternuni?  Perchè  una 
cosa  tale  chiamarla  verità?  Che  avessero  il  senso  del  verisimile  cosi 
ottuso,  cosi  lento,  da  volerci  im  giorno  intero  per  accoi^ersi  che  lì  non 
c'era?  Essi?  TutL' altro.  L'avevan  delicatissimo,  anzi  troppo  ddicato. 
Non  eran  que'  medesimi  che  avevan  trovalo,  e  immediatamente,  cose 
inverisimili  che  il  Piazza  non  avesse  sentito  parlare  dell'  imbrattamento 
di  via  della  Vetra,  e  non  sapesse  il  nome  de'  deputati  d'una  parroc- 
chia? E  perchè  in  nn  caso  cosi  sofistici,  in  un  altro  cosi  correnti? 

U  perchè  lo  sapevan  loro ,  e  Chi  sa  tutto  ;  quello  che  possiamo 
vedere  anche  noi  è  che  trovaron  l' ioverisimìglianza,  qaando  poteva 
essere  un  pretesto  alla  tortura  del  Piazza  ;  non  la  trovarono  quando 
sarebbe  stata  un  ostacolo  troppo  maniresto  alla  caltnra  del  Mora. 

Abbiam  visto,  è  vero,  che  la  deposizion  del  primo,  come  radicai- 
niente  nulla,  non  poteva  dar  loro  alcun  diritto  di  venire  a  ciò.  Ma 
poiché  volevano  a  ogni  modo  servirsoie ,  bisognava  almeno  conser- 
varla intatta.  Se  gli  avessero  dette  la  prima  volta  quelle  parole: 
ha  molto  dell' inueritimile j  se  lui  non  avesse  sciolta  la  difficoltà,  met- 
tendo il  faLto  in  forma  meno  strana,  e  senza  conlradire  al  già  detto 
(cosa  da  sperarsi  poco);  si  sarebbero  trovati  al  bivio,  o  di  dover  la- 
sciare stare  il  Mora,  o  di  carcerarlo  dopo  avere  essi  medesimi  prote- 
stato, per  dir  così,  anticipatamente  contro  un  tal  atto. 

L'  osservatone  fu  accompagnata  da  un  avvertimento  terribile. 
Et  perciò  te  non  ti  ritoluerà  di  dire  interamente  la  verità,  come  ha 
promeitOy  te  gli  protetta  che  non  te  gli  temard  l'impunità  prometta, 
ogni  volta  che  ti  trovi  diminula  la  tuddetto  tua  eonfeithne,  et  non 
intiera  di  tutta  quello  è  postato  tra  di  lui  et  il  tuddetto  Barbiero,  et 
per  il  contrario,  dicendo  la  verità  te  gli  teruarà  l'impunità  promesta. 

E  qui  si  vede,  come  avevamo  accennato  sopra,  cosa  potè  servire 
ai  giudici  il  DOD  ricorrere  al  governatore  per  quell'impunità.  Concessa 
da  questo,  con  autorità  r^ia  e  riservata ,  cm  un  atto  solenne,  e  da 
inserirsi  nel  processo,  non  si  poteva  ritirarla  con  quella  disinvoltura. 
Le  parole  dette  da  nn  auditore  si  potevano  annullare  con  altre  parole. 

Si  noti  che  l' impunità  per  il  Baruello  fu  chiesta  al  governatore 
il  8  di  settembre,  cioè  dopo  il  supplizio  del  Piazza,  del  Mora,  e  di 


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qualche  altro  infelice.  Sì  poteva  allora  mettersi  ai  rischio  di  lasciarne 
scappar  qualcheduno:  la  fiera  aveva  mangialo,  e  i  suoi  ruggiti  non 
dovevan  più  esser  così  impazienti  e  imperiosi. 

A  qudl' avvertimento ,  il  coounissario  dovette,  poiché  slava  fermo 
nel  suo  sciagurato  proposito,  agiuzar  l' ingegno  quanto  poteva,  ma 
non  seppe  faf  altro  che  ripeter  la  storia  di  prima.  Dirò  a  V.  S.  :  dvx 
&\  apatiti  che  mi  daue  l'onto,  era  il  detto  Barbiero  tul  corto  di  Parta 
TicinsK,  con  tre  d'altri  in  compagnia;  et  vedendomi  panare^  mi 
diate:  Commiuario,  ho  un  onfo  da  daruij  io  gli  ditti:  volete  dorme/o 
ade«w?  fui  Ali  dine  di  nOj  et  all'hora  non  mt  ditte  l'effetto  che  do- 
tieua  fare  il  detto  ontoj  ma  quando  me  lo  diede  poij  mi  ditte  ch'era 
onta  da  ongere  le  muraglie,  per  far  morire  la  getUej  né  io  gli  di- 
mandai $e  lo  haueva  prouato.  Se  non  che  la  prima  volta  aveva  dello: 
lui  non  mi  ditte  niente;  m'itnagino  bene  che  detto  onto  fatte  velenato; 
la  seconda  :  mi  dt'iM  eh'  era  per  far  morire  la  gente.  Ma  senza  farsi 
caso  d'  una  tal  oontradizione ,  gli  domandano  chi  erano  quelli  che 
eraru)  con  detto  BarbierOj  et  come  erano  veitili. 

Citi  fossero,  non  lo  sa  ;  sospetta  die  dovessero  essere  vicioi  del 
Mora  ;  come  fossero  vestiti,  non  se  ne  ranunenta  ;  solo  mantiene  ehe 
é  vero  lutto  ciò  che  ha  deposto  contro  di  lui.  Interrogato  se  è 
pronto  a  sostenerglielo  in  faccia,  risponde  di  si.  È  messo  alla  tor- 
tura, per  purgar  l' infamia  ,  e  perchè  possa  fare  indìzio  contro  quel- 
f  infelice. 

I  tempi  ddla  tortura  sono,  grazie  al  cielo,  abbastanza  lontani,  perdiè 
queste  formole  richiedano  spiegazione.  Una  legge  romana  prescriveva 
che  u  la  leslimouianza  d'  un  Radiatore  o  di  persona  simile,  niHi  va- 
lesse senza  i  tormenti  *.  n  La  giurisprudenza  aveva  poi  determinate,  sotto 
il  titolo  d'infami ,  le  persone  alle  quali  questa  regola  dovesse  appli- 
carsi; e  il  reo,  confesso  o  convinto,  entrava  in  quella  categorìa.  Ecco 
dunque  in  che  maniera  ìntondevuio  che  la  tortura  pui^jasse  l' infa- 
mia. Come  inlame,  dicevano,  il  complice  non  merita  fede;  ma  quando 
afTcrmi  una  cosa  contro  un  suo  interesse  forte,  vivo,  presente,  si  può 
credere  che  la  verità  sia  quella  che  lo  sforzi  ad  aflèrmare.  Se  dunque, 
dopo  che  un  reo  s'è  fatto  accusatore  d'altri,  gli  s"  intima,  o  di  ritrattar 
l'accusa,  o  di  sottoporsi  ai  tormenti,  e  lui  persiste  nell'accusa;  se, 
ridotta  la  minaccia  ad  effetto,  persiste  anclie  ne'  tormraiti,  il  suo  detto 

'  Uig.  Lib,  XXII,  tir.  V,  De  lestibu«;  I.  91,  t. 


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DELLA  COLONICA  I^FAUE.  SII 

diventa  credilnle  :  la  tortura  ba  purgato  l' intamia,  restituendo  a  quel 
detto  l'aulorìlà  cbe  non  poteva  avere  dal  carattere  della  persona. 

E  perchè  dunque  non  avevan  fatta  confermare  al  Piazza  ne'  tor- 
menti la  prìnia  deposizione?  Fu  anche  questo  per  non  mettere  a  ci- 
mento quella  deposizione,  così  insofficienle,  ma  così  necessaria  alla 
cattura  del  Mora?  Certo  una  tale  omissione  rendeva  questa  ancor  più 
illegale:  giacché  era  bensi  ammesso  che  l'accusa  dell' infome,  non 
confermata  ne'  tormenti,  potesse  dar  luogo,  come  qualunque  altro  più 
difettoso  indizio,  a  prendere  informazioni,  ma  non  a  procedere  contro 
la  persona  '.  E  riguardo  alla  consuetudine  del  foro  milanese,  ecco 
quel  cbe  attesta  il  Glaro  in  forma  generalissima  :  «  Affinchè  il  detto 
del  complice  faccia  fede,  è  necessario  cbe  sia  confermato  ne'  lonbenti, 
per^,  essendo  lui  in&me  a  cagion  del  suo  proprio  delitto,  non  può 
essere  ammesso  come  testimonio,  senza  tortura;  e  cosi  si  pratica  da 
noi:  et  ila  apud  nos  servatur  *. 

Era  dunque  legale  almeno  la  tortura  data  al  commissario  in  que- 
st' ultimo  costituto?  No,  certamente:  era  iniqua,  andie  secondo  le 
leggi ,  poidiè  gliela  davano  per  convalidare  un'  accusa  die  non  po- 
teva diventar  valida  con  nessun  mezzo ,  a  cagion  deH'  impunità  da 
cui  era  slata  promossa.  E  si  veda  come  gli  avesse  avvertiti  a  pro- 
posito il  Iwo  Bossi.  K  Essendo  la  tortura  un  male  irreparabile,  si 
badi  bene  di  non  farla  soffrire  in  vano  a  un  reo  in  casi  simili,  cioè 
quando  non  ci  siano  altre  presunnooi  o  indizi  del  delitto  '.  » 

Ma  che?  facevan  dunque  contro  la  legge,  a  dai^lìela,  e  a  non  dar- 
gliela? Sicuro;  e  qual  maraviglia  cbe  chi  s'è  messo  in  una  strada 
Msa,  arrivi  a  due  che  non  son  buone,  né  1'  una  né  l' altra? 

Del  resto,  è  facile  indovinare  che  la  tortura  datagli  per  fai^li  ri- 
trattare un'accusa,  non  dovette  esser  cosi  efficace  come  quella  datagli 
per  isforzarlo  ad  accusarsi.  Infatti ,  non  eMiero  questa  volta  a  scri- 
vere esdamazioni ,  a  registrare  urli  né  gemiti  :  sostenne  tranquil- 
lamente la  sua  depoeiiione. 

Gli  domandaron  due  volte  perchè  non  l' avesse  fatta  ne'  primi  costituti. 
Si  vede  cbe  non  potevan  levarsi  dalla  testa  il  dubbio,  e  dal  cuore 
il  rimorso  che  quella  sdocca  storia  fosse  un'  ispn^zion  dell'  impunità. 


I  V.  Farioaccl,  Quiul.  XL1U,  III,  I». 

a  Op.  cH.  Qiuut.  XXI,  is. 

S  Op.  di.  UL  De  indlclla  et  conildertllonibda  ante  (orturim;  lui. 


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Rispose:  fu  per  l'impedimento  deff  o^tta  che  ho  detto  che  haueiu  be- 
uata.  Avrebbero  certamente  desiderato  qualcosa  dì  più  omdadente  3 
ma  bisf^nava  contentarsi.  Avevan  trascurati,  che  dico?  schivati,  esdusi 
tutti!  mezzi,  cbe  potevan  condurre  alta  scopata  ddb  verità;  ddle  due 
contrarie  conclusioni  che  potevan  risaltare  dalla  rìco^,  n' avevan  vo- 
luta una,  e  adoprato,  prima  un  mezEO,  poi  un  allro,  .per  ottenerìa  a 
qualunque  costo:  potevan  pretendere  di  trovarci  quella  soddis&ziooe 
che  può  dar  la  verità  sinceramente  cercata  ?  Spegnai  il  liHoe  è  un 
mezzo  opportunissimo  pò*  non  veder  la  cosa  die  non  piace,  ma  bob 
per  veder  quella  cbe  si  desidera. 

Calalo  didla  fune,  e  mentre  lo  slegavano,  il  commissario  disse  :  Si- 
gnore, pi  voglio  un  puoco  pentar  «ino  a  dimani,  et  dirò  poi  quello 
tt  auantaggio,  che  mi  ricorderò,  tanto  contro  di  lui,  quanto  if  altri. 

Mentre  poi  io  rieonducevano  in  carcere,  si  fennò,  dicendo:  ho  non 
«o  che  da  dire  ;  e  nominò  come  gente  amica  del  Mora ,  e  pochi  di 
buono,  quel  Barudlo,  e  due  /brMon*,  Girolamo  e  Gaspare  M^ia- 
vacca,  padre  e  figlio. 

Cosà  lo  sciagurato  cercava  di  supplir  ciA  numero  ddle  vìttime  alla 
mancanza  delle  prove.  Ma  coloro  die  l'avevano  interrogato,  potevano 
non  accorgaci  cbe  qnell'  a^pungen  era  una  prova  di  più  die  ntm 
aveva  che  rispondere?  Eran  loro  ohe  gli  avevan  diieslo  delle  eireo- 
stanze  che  rendessero  verisimile  il  fatto;  e  dii  propone  la  dlfieirttà, 
non  lì  può  dir  che  non  la  veda.  Qudle  nuove  denunzie  in  aria,  0 
que'  tentativi  dì  denunzie  volevan  dire  apertamente:  voi  altri  preten- 
dete ch'io  vi  renda  chiaro  un  fatto;  come  é  possibile, se  il  fitto  non 
è  7  Ma,  in  ultimo,  quel  che  vi  preme  è  d'aver  delle  persone  da  con- 
dannare :  persone  ve  ne  do  ;  a  voi  tocca  a  cavarne  qud  cbe  vi 
bisogna.  Con  qualcbeduno  vi  riusdrà:  v*  è  pur  riuscito  con  me; 

Di  que*  tre  nominati  dal  Piazza,  e  d'atri  die,  andando  avanti,  fhron 
nominati  con  ugual  fondamento,  e  condannati  con  ugnai  deoreiza, 
non  faremo  menzione,  se  non  in  quanto  potrà  esser  necessario  alla 
storia  di  lui  e  del  Mora  (i  quali,  per  essere  i  primi  caduti  in  quelle 
mani,  furcHio  riguardati  sempre  come  i  prinupalì  autori  dd  dditto); 
0  in  quanto  ne  esca  qualcosa  d^na  di  particolare  osservazione.  Omet- 
tiamo pure  in  questo  luogo ,  come  foremo  ritrove,  de'  fatti  secondari 


*  Arrollnl  di  forbici  per  tigllar  r  oro  SUIo.  L' «Merci  nna  profettloBe  a  pwle 
per  quel)'  industria  «Mondarla,  (■  vedere  come  Oorlua  ancora  la  principale. 


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DELLA  C0L0M1A  WFAUE.  ais 

e  incidenli,  per  venir  subilo  al  eeooodo  esame  del  Mora  ;  die  fu  Ìq 
quel  giorno  medesimo. 

In  mezzo  a  varie  domande,  sul  suo  specifico,  sul  rumo,  su  certe 
lucertole  che  aveva  fatto  prender  da  de*  ragazzi ,  per  comporoe  un 
medicamento  di  qae'  tempi  (  domande  alle  quali  soddisTece  come  un 
□omo  cbe  non  ha  nulla  da  nasctmdere  né  da  inventare  ),  |ji  metton  lì 
ì  pezzi  dì  quella  carta  che  aveva  stracciata  nell'  allo  della  visita.  La 
ricoTMico  j  disse ,  per  quella  Krittura  che  io  itraxxiai  inauertenta- 
mente  j  et  ti  potranno  li  pegsetti  congregar  iniieme,  per  veder  la  con- 
ttrunzdj  et  mi  verrd  ancora  a  memoria  da  chi  mi  Jt;  itata  data. 

PassiU'oa  poi  a  fargli  un' iatern^puiooe  di  questa  sorte:  in  che 
modOj  non  hauendo  più  che  tanta  amicitia  con  il  detto  Commiatario 
chiamato  Gulielmo  Piazza,  come  ha  detto  nel  precedente  tuo  etame, 
etto  Conaiiuario  con  tanta  libertà  gli  ricercò  il  auddetU)  va»  di  pre- 
tervatiuo;  et  lui  ConttitutOt  con  tanta  libertà  et  preatexxa,  ti  offerte 
di'  darglielo,  et  Fititerpellò  di  andarlo  a  pigliare,  come  nelfaltro  tuo 
etame  ha  depotto. 

Ecco  clic  (orna  in  campo  la  misura  sbatta  della  verisimiglianza. 
Quando  il  Piazza  asserì  per  la  prima  volta,  che  il  barbiere,  tuo  amico 
di  bon  di  e  bon  anno,  con  quella  medesima  libertà  e  prestesza,  gli  aveva 
offerto  un  vasetto  per  far  morire  la  gente,  non  gli  fecero  diIBcoItà; 
[a  fanno  a  chi  asserisce  che  si  trattava  d'  un  rimedio.  Eppure ,  si  de- 
vono naturalmente  usar  meno  riguardi  nel  cercare  un  complice  ne- 
cessario a  una  contravvenzion  leggiera ,  e  per  una  cosa  in  sé  ooe- 
slissima,  che  a  cercarlo,  senza  necessità,  |>er  un  atlenlalo  pericoloso 
quanto  esecrabile  :  e  non  è  questa  una  scoperta  die  si  sia  fatta  in 
questi  due  ultimi  secoli.  Non  era  1'  uomo  del  secento  che  ragionava 
cosi  alla  rovescia  :  «^  l' uomo  della  passione.  H  Mora  rispose  :  tb  Jo 
(ed  per  Vincereste. 

Gli  domandano  poi  se  conosce  quelli  che  il  Piazza  aveva  nominati; 
risponde  che  li  conosce,  ma  non  è  loro  amico,  perchè  son  certa  gente 
da  lasciarli  fare  il  fatto  tuo.  Gli  domandano  se  sa  chi  avesse  fatto 
queir  imbrattamento  di  tutta  la  città  ;  risponde  di  no.  Se  sa  da 
chi  il  commissario  abbia  avuto  l' unguento  per  unger  le  muraglie  : 
risponde  ancora  di  no. 

Gli  domandau  Analmente:  te  ta  che  periona  alcuna,  con  offerta 
de  danari,  habbi  ricercato  il  detto  Commissario  ad  ontar  le  muragli 
della  Fedra  de'  Cittadini,  et  che  per  così  fare,  li  Aai6t  poi  dato  yn 


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nasetto  di  vetro  con  dentro  tal  onto.  Rispose,  chinando  la  testa,  e  ab- 
bassando la  voce  (flectens  caput,  et  aubmiua  voce):  non  so  niente. 

Forse  soltanto  allora  cominciava  a  vedere  a  die  strano  e  orribil 
One  potesse  riuscire  quel  rigirio  di  domande.  E  chi  sa  in  che  ma- 
niera sarà  slata  fatta  questa  da  coloro,  che,  incerti,  volere  o  non 
volere,  della  loro  scoperta,  tanto  più  dovevano  accennar  di  saper- 
ne, e  mostrarsi  anticipatamente  forti  contro  le  n^ative  che  preve- 
devano. 1  visi  e  gli  atti  che  facevan  loro,  non  li  notavano.  Andaron 
dunque  avanti  a  domandargli  direttamente:  te  lui  Constituto  ha  ri- 
cercato il  tuddetto  Gulielmo  Piazza  Commissario  della  Sanità  ad 
ongere  le  muraglie  li  a  tomo  alla  f^edra  de'  Cittadini,  et  per  cosi 
fare  te  gli  ha  dato  un  vasetto  di  vetro  con  dentro  t-  onto  che  doueua 
adoperare;  con  prometta  di  dargli  ancora  una  quantità  de  danari. 

Esdamò,  più  che  non  rispose: .S'i^nor  no!  maidè  '  noi  no  in  eter- 
no! far  io  quette  cote?  Son  parole  che  può  dire  un  colpevole,  quanto 
un  innocente;  ma  non  nella  stessa  maniera. 


*  Antica  InlcrietloD  M^laneie,  eorrltpondente  «1  toMuio  madti,  «partlcclU 
unU  dagli  anllchl,  alla  proveniale,  »  dice  l>  CniKa.  Sig:nlflcava  in  orìgine  mio 
Dio;  ed  era  una  delle  laDle  forinole  di  glurameolv,  entrale  per  abaso  nel  discorso 
ordinarlo.  Ma  In  questo  caso  quel  Nome  non  sarebtM  sialo  nomJDala  in  vane. 


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DBLLA  COLONNA  WFAME.  SIS 

Gli  fu  replicato,  che  eota  dirà  pot  quando  dal  tuddetto  Gultelmo 
Piazza  Commiuario  della  Sanità,  gli  »arà  queita  verità  toitenuta  in 
faccia. 

Dì  nuovo  questa  veritàt  Non  eonoscevan  la  cosa  che  per  la  depo- 
ùuone  d'un  supposto  complice;  a  questo  avevan  detto  essi  medesimi, 
il  giorno  medesimo,  che,  come  la  raccontava  lui,  kaueua  molto  delFin' 
uerisimUej  lui  non  ci  aveva  saputo  aggiungere  neppure  un'  ombra  di 
verjsimiglìanza ,  se  la  contradizione  non  ne  dà  ;  e  al  Mora  dicevano 
francamente:  quetta  verilà!  Era,  ripeto,  rozzezza  de'  tempi?  era  bar- 
barie delle  leggi?  era  ignoranza?  era  superstizione?  O  era  una  di 
quelle  vtdle  cbe  l' iniquità  si  smentisce  da  sé? 

11  Mora  rispose:  quando  mi  dirà  questo  in  faccia,  dirò  che  è  un 
infame,  et  che  non  pvò  dire  questo,  perchè  non  ha  mai  parlato  con 
me  di  tal  casa,  et  guardimi  Dio! 

Si  fa  venire  il  Piazza,  e,  alla  presenza  del  Mora,  gli  si  domanda, 
tutto  di  seguito,  se  è  vero  questo  e  questo  e  questo;  tuUo  ciò  die 
ha  deposto.  Risponde:  Signor  si,  che  è  vero.  Il  povero  Mora  grida:  oA 
Dio  misericordia!  non  n  trouarà  mai  questo. 


Il  commissario:  io  sono  a  questi  termini,  per  sostentami  voi. 

Il  Mora:  non  si  trouarà  maij  non  prouarete  mai  d'  esser  stato  a 
casa  mia. 

n  commissario  :  non  fossi  mai  stato  in  casa  vostra,  come  vi  son 
statoj  che  sono  a  quetìi  termini  per  voi. 


,y  Google 


Il  Mora:  non  ti  trowrà  mai  che  nate  «tato  a  casa  mia. 

Dopo  di  ciò,  furoD  rimandati,  ogDuno  nel  suo  carcere. 

Il  capitano  di  giustizia,  nella  lettera  al  governatore,  più  v<dte 
citata,  rende  conto  di  quel  confronto  in  qneBli  termini:  ull  Piaxza 
animosamente  gii  Ila  sostenuto  in  faccia,  esser  vero  ch'egli  riceuè 
da  lui  tale  unguento,  con  le  drcostanze  del  lu(^  e  del  tempo.  »  Lo 
Spinola  dovette  credere  die  il  Piazza  avesse  speciBeate  queste  cireo- 
stanze,  contradittorìamente  col  Mora;  e  tutto  quel  sostenere  animo- 
samenle  si  riduceva  in  realtà  a  on  Signor  n,  che  è  vero. 

La  lettera  Onisce  con  queste  parole:  «  Si  vanno  fecendo  altre  dili- 
genze per  scoprire  altri  complici,  o  muidanti.  Fratanto  bo  v(4uto 
che  quello  che  passa  fosse  inteso  da  V.  E.,  alla  quale  humilmente 
bado  le  mani,  et  auguro  prospero  flne  delle  soe  imprese."  Pndn- 
bilmente  ne  furono  scritte  altre,  che  sono  perdute.  In  quanto  alfim* 
prese,  l'augurio  andò  a  vólo.  Lo  Spinola,  non  ricevendo  rinforzi,  e 
(^sperando  ormai  di  prender  Casale,  s'ammalò,  anche  di  paauoae, 
verso  ti  principio  di  settembre,  e  morì  il  ss,  mancando  sull'  ultimo 
all'  illustre  soprannome  di  prenditor  di  città,  acquistato  orile  Fian- 
dre, e  dicendo  (in  ispagnolo):  m'han  levato  l'onore.  Gli  avevao  fatto 
peggio,  ctA  dargli  un  posto  a  cui  erano  annesse  tante  obblÌga»oni,  delle 
quali  pare  che  a  lui  ne  premesse  solamente  una:  e  probabilmeole 
non  gliel  avevan  dato  che  per  questa. 

D  giorno  dopo  il  confronto,  il  commissario  chiese  d'esser  sentilo; 
e,  introdotto,  disse:  «i/  Barbiero  ha  detto  ch'io  non  sono  mai  ttato 
a  caso  fua;  perciò  F".  S.  esamini  Batdauar  LittOj  che  xta  nella  casa 
delFj^ntianOt  nella  Contrada  di  S.  Bernardino^  et  Stefano  Bnzzio, 
che  fa  il  tintore,  et  sta  nel  portone  per  contro  S.  Sgottino,  presto 
S.  Ambrogio,  li  quali  n>m)  informati  eh'  io  sono  stato  nella  casa  et 
bottega  di  detto  Barbiero. 

Era  venuto  a  fare  una  lai  dichiarazione,  di  suo  proprio  impulso? 
O  era  un  suggerimento  fattogli  dare  da'  giudici?  D  primo  sarebbe 
strano,  e  1"  esito  lo  farà  vedere;  del  secondo  e'  era  un  motivo  fortis- 
simo. Volevano  un  pretesto  per  mettere  il  Mora  alla  tortura;  e  tra  le 
cose  cbe,  Socoado  l'opinione  di  molti  dottori,  potevan  àBre  all'ae- 
cosa  del  complice  quei  valore  che  non  aveva  da  sé,  e  reoderia  indizio 
sufficiente  alla  tortura  del  nominato ,  una  era  che  tra  loro  ci  fosse 
amiciita.  Non  però  un'  amicizia,  una  conoscenza  qualunque;  perdiè, 
«  a  intenderìa  così  »  dice  il  Farinacci,  <•  ogni  accusa  d' un  colI^>lice 


Diiìitizf^riiiyGoOgle 


DELLA  COLONNA  INFAIIE.  8IT 

farebbe  indizio,  essendo  troppo  facile  che  il  nominante  conosca  il 
nominalo  in  qualche  maniera;  ma  bensì  un  pralicarsi  stretto  e  fre- 
quente, e  tale  da  render  verisimile  che  Ira  loro  si  sta  potuto  concertare 
il  delitto  *.  n  Per  questo  avevan  domandato  da  principio  al  commis- 
sario, »e  detto  Barbiero  è  amko  dì  lui  Cotutttuto.  Ma  il  lettore  si 
rammenlu  della  risposta  che  n'ebbero:  amko  sì,  buon  dì  buon  anno. 
V  intimazione  minacciosa  fattagli  poi ,  non  aveva  prodotto  niente  di 
più;  e  quello  die  avevan  cercato  come  un  mezzo,  era  diventato  un 
ostacolo.  É  vero  che  non  era,  né  poteva  diventar  mai  im  metto 
legittimo  né  legale,  e  ctie  l'amicizia  più  intima  e  più  provata  non 
avrebbe  potuto  dar  valore  a  un'accusa  resa  insanabilmente  nulla 
dalla  promessa  d' impunità.  Ma  a  questa  difficoltà ,  come  a  tante 
altre  che  non  risultavano  materialmente  dal  processo,  ci  passavan 
sopra:  quella,  l'avevan  messa  in  evidenza  essi  medesimi  con  le  loro 
domande  ;  e  bisognava  veder  di  levarla.  Nel  processo  son  riferiti  di- 
scorsi di  carcerieri,  di  birri  e  di  carcerati  per  altri  delitti,  messi  in 
compagnia  di  quegl'  infelici ,  per  cavar  loro  qualcosa  di  bocca.  E 
quindi  più  che  probabile  che  abbiano,  con  uno  di  questi  mezzi,  fallo 
dire  al  commissario,  che  la  sua  salvezza  poteva  dipendere  dalle  prove 
die  desse  della  sua  amicizia  col  Mora;  e  che  lo  sciagurato,  per  non 


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dir  che  non  n'  aveva,  sìa  ricorso  a  quel  partito,  al  quale  non  avrebbe 
mai  pensato  da  sé.  Perchè,  quale  ass^piamento  potesse  fare  sulla  te- 
slìmoDÌanza  de^  due  che  aveva  diali,  si  vede  dalle  loro  deposiaoai. 
Baldassare  Lilla ,  interrogato  «e  ha  mm  visto  il  Piassa  m  cani  o  tn 
bottéga  del  Moroj  risponde:  mgtwr,  no.  Stefano  Buxzi,  iolerrogaCo  «e 
ta  che  tra  il  detto  Piazza  et  Barbierù  vi  jhu»  alcuna  amiàtia,  ri- 
sponde: pnò  estere  che  «tono  amid,  et  che  si  tatutatteroj  ma  questo 
non  lo  saprei  mai  dire  a  V.  S.  Interrogalo  di  nuovo  se  sa  che  il 
detto  Piazza  sia  mai  stato  in  casa  o  bottega  del  detto  Barbiero  ,  ri- 
sponde :  non  lo  saprei  mai  dire  a  V.  S. 

Vollero  p(M  senlìre  un  altro  testimonio,  per  veridcare  tina  eìreo- 
stanza  asserita  dal  Piazza  nella  sua  deposizione  ;  cioè  che  un  certo 
Matteo  Volpi  s'era  trovato  presente,  quando  il  barbiere  gli  aveva 
dello:  ho  poi  da  dami  un  non  so  che.  Questo  Volpi,  internato  su 
di  ciò,  non  solo  risponde  di  non  ne  saper  nulla,  ma,  redarguilo^ 
aggiunge  risolulamenle:  to  giurarò  che  non  ho  mai  insto  che  si  siano 
parlati  insieme. 

U  giorno  seguente,  so  di  giugno,  fu  sottomesso  il  Mora  a  un 
nuovo  esame;  e  non  s' indovinerebbe  mai  come  lo  prindpiassero. 

Che  dica  per  guai  causa  lui  ComtitutOj  nelF  altro  suo  esame, 
mentre  fu  confrontato  con  Gulielnw  Piazza  Commissario  della  Sa- 
nitdj  ha  negalo  a  pena  hauer  cognitione  di  luij  dicendo  che  mai  fu 
in  casa  sua,  cosa  però  che  in  contrario  gli  fu  sosUnuta  in  faccia^  et 
pure,  nel  primo  suo  esame  mostra  iT  hauere  pwna  sua  cognitione, 
cosa  che  ancor  depongono  altri  nel  processo  formato,'  il  che  ancora  si 
conosce  per  vero  dalla  prontezza  sua  in  offerirli,  et  apparecchiarli  il 
vaso  di  preseniatiuo,  deposto  nel  suo  precedente  esame. 

Risponde  :  è  ben  vero  che  detto  Commissario  passa  da  li  spesso 
dalla  mia  bottega,-  ma  non  ha  prattica  di  casa  mia,  né  di  me. 

Replicano:  che  non  solo  è  contrario  al  suo  primo  esame,  ma  an- 
cora alla  depotitione  d' altri  teslimonìj.  .  .  . 

Qni  è  superflua  qualunque  osservazione. 

Non  osaron  però  di  metlerìo  alla  tortura  sulla  deposizion  del 
Piazza,  ma  che  fecero?  ricorsero  all'espediente  degl' inverisimili;  e, 
cosa  da  non  credersi ,  uno  fu  il  negar  che  faceva  d' avere  amicizia 
col  Piazza ,  e  che  questo  praUcasse  in  casa  sua  ;  mentre  asseriva 
d'avergli  promesso  il  |u«servalivo!  L'altro  che  non  rendesse  un 
conto  soddisfacente  del  perdic  aveva  fotta  in  pezzi  qudla  scrittura. 


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DELL!  COLONNA  IHPAMB.  SI* 

Che  il  Mora  seguitava  a  dire  d"  averio  folto  senza  badarci ,  e  non 
credendo  die  una  tal  cosa  potesse  importare  alla  giustisia;  o  che 
temesse,  povero  infelice!  d'aggravarsi  confessando  che  l'aveva  fatto 
per  trafugar  la  prova  d'una  contravvenzione,  o  che  infatti  non 
sapesse  ben  render  conto  a  sé  stesso  di  ciò  che  aveva  fatto  in 
que*  primi  momenti  di  confusione  e  di  spavento.  Ma  sìa  come  si  sia, 
que'  pezzi  gli  avevano:  e  se  credevano  che  in  qodla  scrittura  ci 
potesse  esser  qualche  indizio  del  delitto,  potevan  rimetterla  insieme, 
e  leggerla  come  prima:  ii  Mora  stesso  ^el  aveva  suggerito.  Anzi, 
chi  mai  crederà  che  non  l'avessero  già  fatto? 

Inlimaron  dunque  al  Mora,  con  minaccia  della  tortura,  che  dicesse 
la  verità  su  que'  due  punti.  Rispose:  gid  ho  detto  quello  che  patta 
intomo  alla  tcritturaj  et  puole  il  Committario  tUr  quello  che  voUj 
perchè  dke  un'  infamità,  perchè  io  rum  gli  ho  dato  niente. 

Credeva  (e  non  doveva  crederlo?)  che  questa  fosse  in  ultimo  la 
verità  che  volevan  da  lui;  ma  no  signore;  gli  dicono  che  non  le  gli 
ricerca  quella  particolarità,  perchè  sopra  di  essa  non  l' interroga,  né 
ti  vole  per  adetto  altra  verità  da  lui,  che  di  lapere  il  fine  perchè  ha 
tcarpalo  (stracciato)  la  detta  icriltura,  et  perchè  ha  negato  et  neghi 
che  il  detto  Committario  ita  ttato  alta  bottega  lua,  moitrando  quasi 
di  non  hauer  cognitione  di  lui. 

Non  si  troverebbe,  m'immagino,  cosà  focilmenle  un  altro  esempio 
d'un  cosi  sfrontatamente  bugiardo  rispetto  alle  formalità  legali.  Es- 
sendo troppo  manifestamente  mancante  il  diritto  d'  ordinar  la  tortura 
per  l' Of^^etto  principale ,  anzi  unico ,  dell'  accusa ,  volevano  far  con- 
stare  ch'era  ptr  altro.  Ma  il  mantello  dell'iniquità  è  corto;  e  non  si 
può  tirarlo  per  ricoprire  una  parte,  senza  scoprirne  un'altra.  Compa- 
riva cosi  di  più,  che  non  avevano,  per  venire  a  quella  violenza,  altro 
che  due  iniquissìmi  pretesti:  uno  dichiarato  tale  in  fatto  da  loro  me- 
desimi, col  non  voler  chiarirsi  di  ciò  che  contenesse  )a  scrittura; 
l'altro,  dimostrato  tale,  e  peggio,  dalle  testioionianze  con  cui  avevan 
tentato  di  farlo  diventare  indizio  legale. 

Ma  si  vuol  di  più  ?  Quand'  anche  i  testimoni  avessero  pienamente 
confermato  il  secondo  detto  del  Piazza  su  quella  dreostanza  partico- 
lare e  accessoria  ;  quaod'  anche  non  ci  fosse  stata  di  mezzo  1*  impu- 
nità ;  la  deposizion  di  costui  non  poteva  più  somministrare  nessun 
indizio  legale.  «  H  complice  che  varia  e  si  conlradiee  nelle  sue  de- 
posizioni ,  essendo  perciò  anche  spergiuro ,  non  può  fere ,  contro  i 


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nominali ,  ndizio  alia  tortura ....  anzi  nemmeno  all'  inquUiuone  .... 
e  quesla  si  |>uó  dire  dottrina  comunemente  rkevula  dai  dottori  *.  » 
li  Mora  fu  messo  alia  tortura! 


L' infelice  non  aveva  la  robustezza  del  suo  oiiluiiu latore.  Per  qual- 
che tc'iiipu  però,  il  dolore  non  gli  tirò  fuori  altro  che  grida  couipas* 
sionevuli,  e  proteste  d'aver  della  la  verità.  Oh  Dio  mio!  non  Ao  co- 
guitione  dì  colui,  nv  Ito  mai  kauuto  pratica  con  lai  ^  et  per  quello 
non  posio  dire . ...  et  per  questo  dice  la  bugia  che  sia  praticato  in 
casa  mia ,  ne  che  sia  mai  slato  nella  mia  bottega.  San  morto  !  mise- 
ìicordiat  mio  Signore!  misericordia!  Ho  stracciata  la  scritturai  "*■ 
dendo  fosse  la  ricetta  del  mio  elettuario ....  perchè  voleuo  il  guada- 
gno io  solamente. 

Questa  non  è  causa  aufficientei  gli  dissero.  Supplicò  d'esser  lascialo 
giù  ,  che  direbbe  la  verit»  !  Fu  lascialo  giù,  e  disse:  La  verità  è  che 
il  Commissario  non  ha  pratica  alcuna  meco.  Fu  ricomincialo  e  accrc- 
sciulu  il  tormento  :  alle  spieiate  istanze  degli  esaminatori ,  l' infelice 
l'isjiondeva:  F.  S.  veda  quello  che  vole  che  dica,  lo  dirò:  la  risposta 
di  Pilota  a  chi  lo  faceva   tormentare,  per  ordine  d'Alessandro  il 

'  Farinacci,  Quesl.  XLllli  l»lt,  ise. 


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DELLA  COLONNA  INFAME,  tll 

grande,  u  it  quale  stava  ascollando  por  anch'esso  dietro  ad  un 
arazto  *:»  die  quid  me  velti  dieere';  e  la  nsposta  di  cbi  sa  qtiant'ailrì 
infelici. 

Finalmente,  potendo  più  lo  spasimo  che  il  ribrezzo  di  cdunniar 
sé  slesso,  che  il  pensiero  del  suppUuo,  disse:  ho  dato  un  va$etto 
pieno  di  bruttOj  cioè  sterco J  acciò  inAnttasse  le  muraglie j  al  Com- 
mitsario.  V.  S.  mi  ìatzi  giìi ,  che  dirò  la  veritd. 

Cosi  eran  riusciti  a  far  confennare  al  Mora  le  congetture  del  birro, 
come  al  Piazza  l' immaginazioni  della  donnicciola;  ma  in  questo  se- 
condo caso  con  una  tortura  illegale,'  come  nel  primo  con  un'  illegale 
impunità.  L'armi  eran  presC'  dall'arsenale  della  giurisprudenza;  ma  i 
colpi  eran  dati  ad  arbitrio,  e  a  tradimento. 

Vedendo  che  il  dolore  produGeva  1'  elTetto  che  avevan  tanto  sospi- 
rato, niHi  esau4firon  la  supplica  dell'infelice,  di  Atrio  almeno  cessar 
subito.  Gr  intimarono  che  cominci  a  dire. 

Disse:  era  ttereo  kumanOt  imojazso  (ranno;  ed  ecco  l'effetto  di 
quella  visita  ddla  caldaia ,  cominciala  con  tanto  apparato ,  e  troncata 
con  tanta  perfidia);  perchè  me  h  domandò  /ut.,  cioè  il  Commttsario  j 
per  imbrattare  le  caiej  et  di  quella  materia  che  eice  dalla  bocca  dei 
morti^  che  aon  tui  carri.  E  nemmen  questo  era  un  suo  ritrovato.  In 
un  esame  posteriore,  interrogato  doue  ha  imparato  tal  tua  compou- 
tione,  rispose:  diceuano  cosi  in  barbaria,  che  ti  adoperava  di  quella 

materia  che  esce  dalla  bocca  de'  morti et  io  m'  ingegnai  ad  ag- 

giongerui  la  lisciuta  et  il  sterco.  Avrebbe  potuto  rispondere:  da' miei 
assassini,  ho  impai-alo;  da  voi  altri  e  dal  pubblico. 

Ala  e"  è  qui  qualche  altra  cosa  di  molto  strano.  Come  mai  usci 
fuori  con  una  confessione  che  non  gli  avevan  richiesta,  che  avevano 
anzi  esclusa  da  quell'esame,  dicendogli  che  non  te  gli  ricerca  questa 
particolarità,  perchè  sopra  di  essa  non  s' interroga?  Poicliè  il  dolore 
lo  strascinava  a  mentire ,  par  naturale  che  la  bugia  dovesse  stare  al- 
meno ne' limiti  delle  domande.  Poteva  dire  d'essere  amico  intrinseco 
del  commissario;  poteva  inventar  qualche  motivo  colpevole,  a^rs' 
vonle ,  ddl'  avere  stracciata  la  scrittura;  ma  pcrcbé  andar  più  in  là 
di  quello  che  lo  spingevano?  Forse,  mentre  era  sopraffotto  dallo  spa- 
simo, gli  andavan  suj^rendo  altri  mezzi  per  farlo  finire?  gli  foeevano 

I  Plutarco,  Vita  d' AlosMadro;  (radoilone  del  Pompet. 
g  Q.  Curili,  VI,  11. 


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altre  iaterrogazioni ,  cbe  noo  furooo  scrìtte  nel  processo  7  Se  fosse 
cosi ,  potremmo  essera  inganoati  noi  a  dir  che  avevano  ingannato 
il  governatore  col  lasciargli  credere  che  il  Piazta  fosse  stato  inter- 
rogato sul  ddilto.  Ma  se  allora  non  abbiam  messo  in  campo  il  so- 
spetto che  la  bngia  fosse  nel  processo,  piuttosto  che  nella  lettera,  fu 
perchè  i  felli  non  ce  ne  davano  un  motivo  bastante.  Ora  è  la  di£B- 
coltà  d'  ammettere  un  fatto  stranissimo ,  die  ci  sforza  quasi  a  fare 
una  supposizione  atroce,  in  aggiunta  di  tante  atrocità  evidenti.  G 
troviam ,  dico,  tra  il  credere  che  il  Mora  s'  accusasse,  senxa  esserne 
interrogi^,  d'un  delitto  orrìbile,  die  non  aveva  commesso,  che  do- 
veva procacciai^!  i  una  morte  spaventosa ,  e  il  congetturar  che  co- 
loro, mentre  riconoscevan  col  fotlo  di  non  avere  un  titolo  suQìdente 
di  tormentalo  per  fergli  confessar  quel  delitto,  profittassero  della  tor- 
tura dat^i  con  un  altro  pretesto,  per  cavargli  di  bocca  una  tal 
confessione.  Veda  il  lettore  qud  che  gli  pare  di  dovere  sce^iere. 

L* intwn^torio  che  succedette  alla  tortura  fu,  dalla  parte  d^  giu- 
did ,  com'  era  stato  quello  del  commissario  dopo  la  promessa  d' im- 
punità, un  misto  0,  per  dir  me^io,  un  contrasto  d'insensatezza  e 
d'  astuzia  ,  un  moltiplicar  domande  senza  fondamento,  e  un  ometter 
r  indagini  più  evidentemente  indicate  dalla  causa,  più  imperiosamente 
prescrìtte  dalla  giurisprudenza. 

Posto  il  prìndpio  che  "  nessuno  commette  un  delitto  senza  ca- 
gione; n  riconosciuto  il  Cstlo  che  «  molti  deboli  d'animo  avevan  con- 
fessalo delitti  che  poi,  dopo  la  condanna,  e  al  momento  del  suppli- 
zio ,  avevan  protestato  di  non  aver  commessi,  e  s'  era  trovato  infalli, 
quando  non  era  più  tempo,  che  non  gli  avevan  commessi ,  »  la  giu- 
risprudenza aveva  stabilito  che  u  la  confessione  non  avesse  valore , 
se  non  c'era  espressa  la  cagione  del  dditto,  e  se  questa  cagione  non 
era  verisimile  e  grave,  in  proporzion  del  delitto  medeamo  *.  "  Ora, 
r  infelicissimo  Mora,  ridotto  a  improvvisar  nuove  favole,  per  confer- 
mar qudla  che  doveva  condurlo  a  un  atroce  supplizio,  disse,  in  quel- 
l' interrogatorio ,  che  la  bava  de' morti  di  peste  l'aveva  avuta  dal 
commissario,  che  questo  gli  aveva  proposto  il  delitto,  e  che  il  motivo 
del  fare  e  ddl' accettare  una  proposta  simile  era  cbe ,  ammalandosi, 
eon  quel  mezzo ,  molle  persone ,  avrebbero  guadagnalo  molto  tutt'  e 
due  :  uno ,  nel  suo  posto  di  commissario  ;  l' altro ,  con  lo  spaccio  dd 

*  Farinacci,  Quent.  L,  si;  LXXXI,  40;  LH,  iSO,  ISI. 


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DELLA  COLONNA  INFAHE.  Sis 

preservaUvo.  Non  domanderemo  al  lettore  se ,  tra  l' enormità  e  i  pe- 
ricoli d'un  tal  delitto,  e  l'imporlanza  di  tali  guadagni  (ai  quali,  del 
resto,  gli  aiuti  della  natura  non  raancavau  dì  certo),  ci  fosse  propor- 
ùooe.  Ma  se  credesse  che  que'  giudici,  per  esser  del  secento,  ce  la 
trovassero,  e  che  una  tal  cagione  paresse  loro  verisìniile,  li  sentirà 
eaà  medesimi  dir  di  no,  in  un  altro  esame. 

Ma  e'  «^  di  più  :  e*  era  contro  la  cagione  addotta  dal  Mora  una 
difficoltà  più  positiva ,  più  materiale,  se  non  più  forte.  U  lettore  può 
rammentarsi  che  il  commissario,  accusando  sé  slesso,  aveva  addotta 
anche  lui  la  «^one  da  cui  era  stato  mosso  al  delitto;  cioè  che  il  bar- 
biere gli  aveva  detto  :  ungete ....  et  poi  venete  da  nUj  che  hauerete 
una  mano,  o  come  disse  nel  costituto  seguente,  una  fruona  mano  de 
danari.  Ecco  dunque  due  cagioni  d' un  solo  delitto:  due  cagioni, 
non  solo  diverse ,  ma  opposte  e  incompatibili.  È  I'  uomo  stesso 
cbe ,  secondo  ima  confessione ,  offre  largamente  danari  per  avere  un 
complice;  secondo  l'altra,  acconsente  al  delitto  per  la  speranza  d'un 
miserabile  guadagno.  Dimentichiamo  quel  che  s' è  visto  fm  qui:  come 
sian  venute  fuori  quelle  due  cagioni ,  eoo  che  mezzi  si  siano  avute 
quelle  due  confessioni;  prendiam  le  cose  al  punto  dove  sono  arrivale. 
Cosa  facevano,  trovandosi  a  un  tal  punto,  de' giudici  ai  quali  la  pas- 
sione non  avesse  pervertita,  offuscata,  istupidita  la  coscienza?  Sì  spa- 
ventavano d'essere  andati  (foss'anche  senza  colpa)  tanto  avanti;  si  con- 
solavano di  non  essere  almeno  andati  fino  all'ultimo,  all'irreparabile 
affatto  ;  si  fermavano  all'  inciampo  fortunato  che  gli  aveva  trattenuti 
dal  precipizio  ;  s'  attaccavano  a  quella  difGcoltà ,  volevano  scioglier 
quel  nodo  ;  qui  adopravan  tutta  1'  arte ,  tutta  l' insistenza ,  tutti  i  ri- 
giri dell'  interrogazioni  ;  qui  ricorrevano  ai  confronti  ;  non  facevano 
un  passo  prima  d' aver  trovalo  (ed  era  forse  cosa  difficile?)  quat  de' 
due  mentisse ,  o  se  forse  mentissero  tutt'  e  due.  I  nostri  esaminatori, 
avuta  quella  risposta  del  Mora  :  perchè  lui  hauerebbe  guadagnato  a«- 
Mij  poiché  li  aarian  ammalate  delle  persone  aasat,  et  io  haueret  gua- 
dagnato ataai  con  il  mio  elettuario ,  passarono  ad  altro. 

Dopo  ciò,  basterà,  se  non  è  anche  troppo,  il  toccar  di  fuga,  e  in 
parte,  il  rimanente  di  qud  costituto. 

Interrogalo ,  se  vi  tono  altri  complici  di  questo  negotio ,  risponde  : 
«t  saranno  U  suoi  compagni  del  Piazza^  i  quali  non  so  chi  siano.  Gli 
si  protesta  che  non  è  vtritimile  che  non  lo  sappi.  Al  suono  di  quella 
parola,  terribile  foriera  della  tortura,  l' infelice  afferma  subito,  nella 


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fonna  più  positiva:  sono  li  Foretari  et  il  BanuUo:qìieì\ì  die  gli  erano 
siali  nominati  e  cosi  indicali,  nel  costituto  antecedente. 

Dice  che  il  veleno  Io  teneva  nel  fornello,  cioè  dove  loro  s'  erano 
immaginati  che  potesse  essere;  dice  come  lo  componeva,  e  conclude: 
bultauo  via  il  rtito  nella  Fedra.  Non  possiam  tenerci  qui  di  non  Ira- 
scrivere  una  postilla  del  Verri.  «  E  non  avrebbe  gettato  nella  Vetra 
il  resto,  dopo  la  prigionia  dd  Piazza!  » 

Risponde  a  caso  ad  altre  domande  che  gli  fanno  su  circostanze  (]i 
luogo,  di  tempo  e  di  cose  simili,  come  se  si  trattasse  d'un  folto 
dilaro  e  provato  in  sostanza ,  u  non  ci  mancassero  che  delle  parlieo- 
larìtà;  e  Analmente,  è  messo  di  nuovo  alla  tortura,  affinchè  la  sua  de- 
posizione potessevaler  contro  i  nominati,  e  segnatamente  contro  il 
commissario.  AJ  quale  avevan  data  la  tortura  per  convalidare  una  d(^- 
posizione  opposta  a  questa  in .  punti  essenziali  !  Qui  non  potremmo 
allegar  testi  di  leggi,  né  0|rànioni  di  dottori;  perchè  in  verità  la  giu- 
risprudenza non  aveva  preveduto  un  caso  «mile. 

La  confessione  fatta  nella  tortura  non  valeva,  se  non  era  ratificata 
senza  tortura,  e  in  un  altro  luogo ,  di  dove  non  si  potesse  vedere 
l'orrìbile  strumento, 'e  non  nello  stesso  giorno.  Eran  ritrovati  della 
scienza,  per  rendere,  se  fosse  sialo  possibile,  spontanea  una  confes- 
sione forzata,  e  soddisfare  interne  al  buon  senso,  il  quale  diceva 
troppo  chiaro  che  la  parola  estorta  dal  dolore  non  può  meritar  fede, 
e  alia  lefj^  romana  che  consacrava  la  tortura.  An»  la  ragione  dì 
quelle  precauzioni,  la  ricavavano  gì'  interpreti  dalla  legge  medesima, 
cioè  da  quelle  strane  parole  :  «  La  tortura  è  cosa  fragile  e  pericfdosa 
e  soggetta  a  ingannare;  giacchi  molti,  per  forza  d'animo  0  di  corpo, 
curan  cosi  poco  i  tormenti,  che  non  st  può,  con  un  tal  mezzo,  aver 
da  loro  la  verità;  altri  sono  cosi  intelleranti  del  dolore,  che  dieon 
qualunque  fatsitA,  [Muttoslo  che  sopportare  i  tormenti  *.  i  Dico:  strane 
parole,  in  una  legge  che  manteneva  la  tortura;  e  per  intendere  come 
non  ne  cavasse  altra  conseguenza ,  se  non  che  «  ai  tormenti  non  si 
deve  creder  sempre,  »  bisogna  rammentarsi  che  quella  legge  era  fatta 
in  origine  per  gli  schiavi,  i  quali,  nell'abiezione  e  nella  perversità 


*  Rei  t»X  (quiBSUo)  frsgllia  et  periculoM,  et  qua  verltatem  fallai.  Nam  pieriqiie , 
palientla  slve  durllia  tormetilonini,  ita  lormenla  conlemnunl,  ut  eiprimi  eia  verità» 
nullo  modo  posgii,  alll  tanta  sunt  impallentia,  ut  quovis  menlirl  quain  patrtormenla 
velini.  Mg.,  Llb,  XLTiH,  Ut.  xvni,  t.  i,  ». 


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DELLA  COLONKA  l%FA]IE.  SS» 

del  gentilesimo,  poterono  esser  con»deralÌ  come  cose  e  non  persone, 
e  sui  quali  si  c^ede^a  quindi  lecito  qualunque  esperimento,  a  segno 
che  si  tormentavano  per  iscoprire  j  delitti  de^i  altri.  De'  nuovi  inte- 
ressi  di  nuovi  legislatori  la  fecero  poi  applicare  anche  alle  persone 
libere;  e  la  forza  dell'  autorità  la  fece  durar  tanti  secoli  più  del  gen- 
tilesimo: esempio  non  raro,  ma  notabile,  di  quanto  una  legge,  avviala 
che  sia,  possa  estendersi  al  di  là  de)  suo  principio,  e  sopravvivergli. 

Per  adempir  dunque  una  (ale  formalità,  chiamarono  il  Mora  a  un 
nuovo  esame,  il  giorno  seguente.  Ma  siccome  in  tutto  dovevan  metter 
qualcosa  d'insidioso,  d' avvantaggtoso,  di  suggestivo,  cosi,  in  vece  di 
domandargli  se  intendeva  di  ratificar  la  sua  confessione,  gli  doman- 
«brono  se  ha  c&sa  alcuna  d'  aggiongere  alt  esame  et  confezione  tìia, 
che  fece  hìerì ,  doppo  che  fu  ammesso  di  lonnentare.  Escludevano  il 
dubbio:  la  giurisprudenza  voleva  che  la  confessione  della  tortura  fosse 
rimessa  in  questione;  essi  la  davan  per  ferma,  e  cliiede^an  soltanh) 
che  fosse  accresciuta. 

Ma  in  queir  ore  (  direm  noi  di  riposo  ?  )  il  sentimento  dell'  inno- 
cenza, l'orror  del  supplìzio,  il  pensiero  della  moglie,  de'  figli,  avevan 
forse  data  al  povero  Mora  la  speranza  d'  esser  più  forte  contro  nuovi 


tormenti;  e  rispose  :  Signor  no,  che  non  ho  cosa  ^aggiongerui,  el  ho 
più  pretto  cosa  da  sminvire.  Dovettero  pure  domandargli,  che  cosa  ha 
da  sminuire.  RÌ8|>ose  più  apertanlente ,  e  come  prendendo  coraggio  : 
quetl' tmguento  che  ho  detto,  non  ne  ho  fatto  minga  (mica),  et  quello 
che  ho  detto,   l'ho  detto  per  i  tormenti.   Gli  miiincciaron  subito  la 


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rinnovazion  della  tortura;  e  ciò  (lasciando  da  parte  tulle  l'altre  vio- 
lente irregolarità)  senza  aver  messe  in  chiaro  le  contradizioni  Ira  lui 
e  il  commissario,  cioè  senza  poter  dire  essi  medesimi  se  quella  nuo^'a 
lortura  gliel  avrebbero  data  sulla  sua  confessione,  o  sulla  dcposizioii 
dell'altro;  se  come  a  complice,  o  come  a  reo  principale  ;  se  per  \m 
delitto  commesso  ad  ialigazionc  altrui,  o  del  quale  era  sialo  l' isliip- 
lore;  se  per  un  delitto  cHe  lui  aveva  voluto  pagar  geoerosaroenlc , 
0  dal  quale  aveva  speralo  un  miserabile  guadagno. 
■  A  quella  minaccia,  rispose  ancora:  replico  che  quello  cht  dissi  hitri 
non  è  vero  niente,  et  lo  dissi  per  li  tormenti.  Poi  riprese:  r.  S.  mi  . 
lasci  un  puoco  dire  un'  Jue  Maria ,  et  poi  farò  quello  che  il  Sigiwre 
me  iiispirarài  e  si  mise  in  ginocchio  davanti  a  un'immagine  del  Cro- 
cifisso, cioè  di  Quello  che  doveva  un  giorno  giudicare  i  suoi  giudici. 


Alzatoci  d0|>o  qualche  momento,  e  stiiuuluto  a  coulcrmar  la  sua  con- 
fessione, disse  :  t'n  conscienxa  mia,  non  è  vero  niente.  Condotto  subilo 
nella  stanza  della  lortura,  e  legalo,  con  quella  crudele  aggiunta  del 
canapo ,  l' infelicissimo  disse  :  T.  S.  non  mi  stij  a  dar  più  tormenti, 
che  la  verità  che  ho  deiìoslo,  la  voglio  mantenere.  Slegato  e  ricondollo 


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DELLA  COLONNA  I^FA.UE. 


neJla  stanza  dell'  esame,  disse  di  nuovo:  non  è  vero  niente.  Di  auovo 
alla  tortura ,  dove  dì  nuovo  .disse  quello  che  volevano  ;  e  avendogli 
il  dolore  consumalo  Ano  all'  ultimo  quel  poco  resto  dì  coraggio,  man- 
li-niie  il  suo  dello,  si  dichiarò  pronto  a  ratificar  la  sua  confessione; 


non  voleva  nt^iumetio  die  gliela  leggessero.  A  <|uei>l(>  non  acconaeu- 
tirono  :  scrupolosi  nel!' osservai-e  una  formalitìi  ormai  inconcludente, 
mentre  viotavan  le  prescrizioni  più  importanti  e  più  positive.  Lelloglì 
l'esame,  disse:  è  la  verità  tutto. 

Dopo  di  ciò,  |)ers6veranli  net  metodo  di  non  proseguir  le  ricerdie, 
di  non  affrontar  le  difficollà,  se  non  dopo  i  tormenti  (ciò  che  la  legge 
niede^nia  aveva  creduto  di  dover  vietare  espressamente,  ciò  olie  Dio* 
cleziano e  Massimiano  avevan  voluto  impedii-e!*)  pensaron  finalmente 
a  domandargli  se  non  aveva  a^'Uto  altro  fine  che  di  guadagnar  con 
la  vendita  del  suo  elcttuario.  Rispose:  che  sappia  mi,  quanto  a  me, 
non  ho  altro  fine. 

Che  mppia  mi!  Chi,  se  non  lui,  poteva  sapere  cosa  fosse  passato 
nel  suo  interno? Eppure  quelle  cosi  strane  parole  erano  adattale  alla, 
circostanza  :  lo  sventuralo  non  avi-elibe  potuto  trovarne  altre  che 
significassero  meglio  a  che  segno  a^'eva ,  in  quel  momento,  abdicato , 

"  Nel  rescrillo  cil»lo  sopra,  alta  pkg.  76«. 


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per  dir  cosi,  sé  inedesìmo,  e  acconsenliva  a  aCTermare,  a  negare,  a 
sapere  quello  soltanlo ,  e  tutlo  quello  eb»  fosse  piaciuto  a  edoro  die 
diiiponevan  della  tortura. 

Vanno  avanti,  e  gli  dicono:  ebe  ha  molto  dell' inueriaimiie  che, 
(o/oniente  per  hauer  occnsione  it  CommitMario  di  lauorare  attai,  et 
lui  Constilulo  di  vendere  it  luo  eletluario  habbiiw  procurato,  con  firn- 
brattaviento  delle  porte,  la  detìrutHoiie  et  morte  della  gente  ^  perciò 
dica  a  che  fine,  et  per  che  rispetto  si  tono  mossi  loro  davi  a  così  fare, 
per  i(R  interesse  cosi  legiero.   ' 

Ora  \ii:fi  Tuori  quest'iRvei-isioiìgliauza?  Gli  avevan  dunque  mina*- 
(liata  e  data  a  più  ripreso  la  tortura  per  fargli  ratificare  una  confe»- 
sione  ili  verisimile!  L'osservazione  era  giusta,  ma  veniva  tardi,  direnxt 
aiiclic  qui  ;  giacché  il  rinnovarsi  dellc'circoslanze  medesime,  ci  sforza 
quasi  a  usar  le  medesime  parole.  Come  non  s'oraiiu  accorti  che  ci  fosse 
inverisimigliaiiza  nella  deposizione  del  Piazza,  se  non  quando  eUtero, 
su  quella  deposizione,  carcerato  il  Mora  j  cosi  ora  non  s'accorgono 
die  ci  sia  in\'crÌ!>iinigliaiiza  nella  coiircssion  di  questo ,  se  non  dopo 
avergli  estorta  una  ralilicazioiie  clic,  in  mano  loro,  diventa  un  mezzo 
suOkientc  per  cundantiarlo.  Vogliam  supporre  che  realmente  non  se 
n'accorgessero  die  in  questo  momento?  Come  spiegheremo  allora, 
come  qualìficherumu  il  ritener  valida  una  tal  confessione ,  dopo  una 
tale  osservazione?  Forse  ÌI  IVlora  diede  una  risposta  più  soddisfacente 
die  non  fosse  stata  quella  del  Piazza?  La  risposta  del  Mora  fu  que- 
sta: M  i7  Ctìmmisiarù}  non  lo  sa  luij  io  non  lo  soj  et  bisogna  che  liù 
lo  sappia  ,  et  da  lui  V.  S.  lo  saprai  per  essere  stato  lui  l'iauealore. 
E  si  vede  die  questo  rovesciarsi  1'  uno  sull'  altro  la  colpa  prìndpale, 
non  era  tanto  per  diminuire  ognuno  la  sua ,  quanto  per  sottrarsi  al- 
l' impegno  di  spiegar  còse  die  non  erano  spiegabili. 

E  do|>o  una  risposta  simile,  gì' intimarono  che  per  hauer  lui  Coh- 
stituto  fatto  la  suddetta  compoiitione  et  unguento  j  di  concerto  del 
detto  Commissaria ,  et  a  lui  doppo  dato  per  ontare  le  muraglie  delle 
case,  nel  modo  et  firma  da  lui  Constitutoet  dal  detto  Commissario, 
deposto,  a  fìtte  di  far  moiire  la  gente,  sicome  il  detto  Commissario  ha 
confessato  d"  hauere  per  tal  fìne  eseguito ,  esso  Constituto  si  fa  rea 
W  hauer  procurato  in  tal  modo  la  morte  della  gente,  et  c/w  per  hauer 
coti  fatto,  sij  incorso  nelle  pene  imposte  dalle  leggi  a  chi  procura  et 
tenta  di  così  fare. 

Ricapitoliamo.  I  giudici  dicono  al  Mora  :  come  è  possìbile  che  vi 


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DELLA  COLOANA  IKFAUE.  «1^ 

siale  determinali  a  commeltere  un  tal  delillo,  per  uq  lai  interesse? 
n  Mora  risponde:  il  commissario  lo  deve  sapere,  per  sé,  e  per  me: 
domandatene  a  lui.  Li  rimette  a  un  altro,  per  la  spiegazione  d'  un 
fatto  dell'animo  suo,  perchè  possan  cbiarirsi  eome  un  motivo  sia 
stato  succiente  a  produrre  in  lui  una  deliberazioDe.  E  a  qual  altro  ? 
A  UDO  che  non  ammetteva  un  tal  motivo,  poiché  attribuiva  il  delido 
a  luti' altra  cagione.  E  i  giudici  trovano  die  la  difiìcoltà  è  sciolta, 
che  il  delitto  confessato  dal  Mora  è  diventato  verisimile;  tanto  che 
ne  lo  costituiscono  reo. 


Non  poteva  esser  V  ignoranza  quella  clie  faceva  loro  vedere  ìnve- 
risimigliaDza  in  un  tal  motivo;  non  era'  la  giurisprudenza  quella  che 
li  portava  a  fare  un  (al  conto  delle  condizioni  trovate  e  imposte  dalla 
giurisprudenza. 


impunità  e  la  tortura  avevaii  prodotto  due  storie  ; 
e  benché  questo  bastasse  a  tali  giudici  per  proferir 
j  due  condanne,  vedremo  ora  come  lavorassero  e  riu- 
à  scissero,  per  quanto  era  pos»bile,  a  rifonder  le  due 
storie   in  una  sola.  Vedremo  poi ,  in  ultimo,   come 
mostrassero,  col  fatto,  d'esser  persuasi   essi   mede- 
simi, anche  dì  questa. 
11  senato  confermò  e  estese  la  decisione  de'  suoi  delegati.  «  Sentilo 


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ciò  che  risultava  dalla  conressìone  di  Giangiacomo  Mora,  riscontrale 
le  cose  anhicedciiU ,  considerato  ogni  cosa,  n  meno  l'esserci,  per  un 
solo  delitto,  due  autori  prìncijìali  diversi,  due  diverse  cagioni,  due 
diversi  ordini  di  fatti,  «ordinò  clic  il  Mura  suddetto....  Tosse  di 
nuovo  Interrogalo  diligeiilissimanicnte,  però  senza  tortura,  per  fargli 
spiegar  meglio  le  cose  confessate,  e  ricavar  da  lui  gli  altri  autori, 
mandanti ,  complici  del  delitto;  e  clic  dopo  l' esame  fosse  costituito 
reo,  con  la  narrativa  del  fatto,  d'aver  comjwsto  l'unguento  mortì- 
fero, e  datolo  a  Guglielmo  Piazza;  e  gli  fosse  assegnalo  il  lerraiiic 
dì  Ire  giorni  |ter  far  le  sue  difese.  E  in  quanto  al  Piazza,  fosse  inter- 
rogalo se  aveva  altro  da  aggiungere  alla  sua  confessione,  la  quale  si 
trovava  muncaiite;  e,  non  n'avendo,  fosse  costituito  reo  d'avere 
sparso  r  unguento  suddetto,  e  assegnatogli  il  medesimo  termine  per 
le  difese."  Cioè:  vedete  di  cavar  dall'uno  e  dall'altro  quello  elie  si 
|)otrà:  a  ogni  modo,  siun  coslitiitti  rei,  ognuno  sulla  sua  confes* 
sione,  bencliè  siano  due  confessioni  contrarie. 

Comìneìarun  dal  Piazza, e  iti  quel  giorno  medesimo.Du  aggiungere, 
lui  non  aveva  nulla,  e  non  sapeva  die  ii'avevan  loro;  e  forse,  ac- 
cusando un  innocente,  non  aveva  preveduto  clic  ^i  creava  un  acca- 
!^atoi-e.  Gli  domandano  |)ercliè  non  lia  deposto  d'aver  dato  al  barbiere 
della  bava  d'appestali,  per  comporre  l'unguento,  Noa  gli  ho  dato 
niente,  ris|)onde;  come  se  quelli  clic  gli  aveVan  ci-cdula  la  bugia,  do* 
vesserò  credergli  anclic  la  vei-ità.  Dopo  un  andirivieni  d'altre  inter- 
rogazioni, gli  protestano  chej  per  non  hauer  detta  la  verità  intera, 
come  hauea  promessOj  tion  può  né  deue  godere  della  impunità  che 
te  gli  era  proìneisa.  Allora  dice  subito  :  Signore,  è  vero  che  il  sud- 
detto  Barbieiv  mi  ricercò  a  portargli  quella  materia,  et  io  glie  h 
portaij  per  fare  il  deflo  onta.  Sperava,  con  l'ammetter  tutto,  di  ri- 
pescar la  sua  ini|)uiiità.  Poi,  o  per  farsi  sempre  più  inerito ,  o  per 
guadagnar  lem|>o,  soggiunse  die  i  danari  promessigli  dal  barbiere 
dovc\an  venire  da  una  persona  gratide,  e  ctie  1'  aveva  saputo  dal 
barbiere  medesimo,  ma  senza  potergli  mai  cavar  di  bocca  citi  fosse. 
Non  aveva  avuto  tempo  d' inventarla. 

Ne  domandarono  al  Mora,  il  giorno  dopo;  e  probabiliueute  il 
poverino  l'avrebbe  Inventala  luì,  come  avrebbe  potuto,  se  fosse 
stato  messo  alta  tortura.  Ma,  come  abbìam  visto,  il  senato  l'aveva 
esclusa  per  quella  volta,  affine,  si  vede,  di  render  meno  sfrontata- 
mente  estorta  la  nuova  ratificazione  che  volevano  della  soa  eonfe»- 


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DELLA  COLONNA  INFAIIE.  B3I 

sione  aniecedenle.  Perciò,  interrogalo  te  lui  Contliliito  fu  il  primo 
a  ricercare  il  detto  Commissario —  et  gli  promise  quantità  de  da- 
tiarij  rispose:  Signor  no,-  e  dotte  vole  y.  S.  che  pigli  mi  (io)  questa 
quantità  de  daiiari?  Polevano  inratli  rammeii tarsi  che,  nella  minutis- 
sima visita  fallagli  in  casa  quando  l'arrestarono,  il  leforo  che  gli 
a\evan    (rovaio ,  era  un  baslotto  (  una  ciotola  ) ,   con   dentro   cinque 


parpagliote  (dodici  soldi  e  mezzo).  Domandalo  della  persona  gran- 
de,  rispose;  /^.  .S",  non  vole  già  se  non  la  verità,  e  la  verità  io  l'  ho 
detta  quando  sono  stato  (oi-mealato,  et  ho  detto  anche  d'  auaataggio. 

Ne'  due  estratti  non  è  fallo  menzione  clie  abbia  raltfìcaUi  la  con- 
fessione aniecedenle;  se,  come  è  da  (M-edere,  glielo  fecero  fare,  quelle 
parole  erano  una  protesta,  della  quale  lui  forse  non  conosceva  la 
forza;  ma  essi  la  dovevan  conoscere.  E  del  rimanente,  da  Bartolo, 
anzi  dalla  Glossa,  fino  al  Farinacci,  era  siala,  ed  era  sempre  dottrina 
comune,  e  come  assioma  della  giurisprudenza,  che  «  la  confessione 
(Ma  ne'  lornienti  die  fossero  dati  senza  indizi  legillimi ,  rimaneva 
nulla  e  invalida  ,  quand"  aiiclie  fosse  poi  ratificata  mille  volle  senza 
lormcnli  :  edam  quod  millies  sponte  sii  ratificata  '.  n 

Dopo  di  ciò,  fu  a  luì  e  al  Piazza  pubblicato,  come  allora  si  diceva, 
il  processo  (cioè  comunicali  gli  alti),  e  dato  il  Ichnine  di  due  giorni 
a  far  le  loro  difese  :  e  non  si  \ede  pi-rclié  uno  di  meno  di  quello 
che  aveva  decretato  il  senato.  Fu  all'uno  e  all'altro  assegnalo  un 
difensore  d'  ulìzio  :  quello  assegnalo  al   Mora  se  ne  scusò.  Il  Veni 

*  Farinacci,  Quiesl.  XXXVII,  I  IO. 


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attribuisce,  per  congettura,  quel  rifiato  a  una  cagione  che  pur  troppo 
non  è  strana  in  quel  complesso  di  cose,  u  II  Turore,  »  dice,  «  era 
giunto  al  segno,  che  si  credeva  un'azione  cattiva  e  disonorante  ti 
difender  questa  disgraziata  vittima  '.  n  Ma  nell'estratto  stampato, 
che  il  Verri  non  doveva  aver  visto,  è  registrala  la  cagion  ^'era,  forse 
non  meno  strana,  e,  da  una  parte,  anche  più  trista.  «  Lo  stesso  giorno, 
due  di  luglio,  il  notaio  Mauri,  chiamato  a  difendere  il  detto  Mora, 
disse:  io  no»  posso  accettare  questo  carico,  perchè,  prima  sono  No- 
tavo criminale,  a  chi  non  conuiene  accettar  patrocinij,  et  poi  anche 
perché  non  sono  né  Procuratore^  né  jiuocato;  anatrò  bene  a  par- 
larli, per  darli  gusto  (per  fargli  piacere),  ma  non  accetterò  i7  patro- 
cinio. A  un  uomo  condotto  ormai  appiè  del  supplizio  (e  dì  qual 
supplizio!  e  in  qual  maniera!),  a  un  uomo  privo  d'aderenze,  come 
di  lumi,  e  che  non  poteva  aver  soccorso  se  non  da  loro,  o  per  mezzo 
loro,  davano  per  difensore  uno  che  mancava  delle  qualità  necessarie 
a  un  tal  incarico,  e  n'  aveva  delle  incompatibili  !  Con  lanla  legge- 
rezza procedevano!  mettiam  pure  che  non  c'entrasse  malizia.  E  toc- 
cava a  un  subalterno  a  richiamarli  all'osservanza  delle  regole  più 
note,  e  più  sacrosante! 

Tomaio,  disse:  sono  stato  dal  Mora,  il  quale  mi  lutiietto  liberamente 
che  non  tut  fallato,  et  che  quello  che  ha  detto,  l' ha  detto  per  i  tormenti; 


!  I 


„GoogIe 


DELLA  COLONNA  INFAME.  83s 

el  perchè  gii  ho  dttta  liberamente  che  non  voleuo  né  poleuo  soetener 
queibt  carico  di  difenderlo,  mi  ha  dello  che  almeno  ti  Sig.  Preti- 
dente  lij  iervita  (si  degni)  di'  prouederli  d'un  diffemore,  et  che  non 
voglia  permettere  che  habbi  da  morire  indiffeso.  Di  tali  favori,  e  con 
tali  parole,  l' innocenza  supplicava  l'ingiustizia!  Gliene  nominarono 
inatti  un  altro. 

Quello  assegnalo  al  Piazza,  «  comparve  e  chiese  a  voce  che  gli 
fiisse  fatto  vedere  il  processo  del  suo  cliente;  e  avutolo.  Io  lesse.  « 
Era  questo  il  comodo  die  davano  alle  difese?  Non  sempre,  poidié 
l'avvocato  del  Padilla,  che  divenne,  come  or  ora  vedremo,  il  concreto 
della  persona  grande  buttala  là  in  astratto  e  in  aria,  ebbe  a  sua 
disposizione  il  processo  medesimo,  tanto  da  farne  copiar  quella  buona 
parie  cbe  è  venula  per  quel  mezzo  a  nostra  notizia. 

Sullo  spirar  del  termine,  i  due  sventurati  chiesero  una  proroga: 
«il  senato  concesse  loro  tulio  il  giorno  seguente,  e  non  più:  et  non 
ttltra.  «  Le  difese  del  Padilla  furon  presentate  in  tre  volte:  una  parie 
il  34  di  luglio  I6S1;  la  quale  «fu  ammessa  senza  pregiudìzio  della 
facoltà  di  presentar  più  tardi  il  rimanente;»  l'altra  il  (8  d'aprile  163S; 
*e  l'ultima  il  10  di  maggio  dell'anno  medesimo:  era  all.ora  arrestato  da 
circa  due  anni.  Lentezza  dolorosa  davvero,  per  un  innocente;  ma, 
paragonata  alla  precipitazione  usala  col  Piazza  e  ed  Mora,  per  i 
quali  non  fa  lungo  die  il  supplizio,  una  tal  lentezza  è  una  parzia- 
lità mostruosa. 

Quella  nuova  invenzione  del  Piazza  sospese  però  il  supplizio  per 
alcuni  giorni,  pieni  di  bugiarde  speranze,  ma  insieme. di  nuove  cru- 
deli torture,  e  di  nuove  funeste  calunnie.  L'auditore  della  Sanità  fu 
incaricato  di  ricevere,  in  gran  segreto,  e  senza  presenza  di  notaio, 
una  nuova  deposizione  di  costui;  e  questa  volta  fu  lui  che  promosse 
l'abboccamento,  per  mèzzo  del  suo. difensore,  facendo  intendere  che 
aveva  qualcosa  dì  più  da  rivelare  intorno  alla  periona  grande.  Pensò 
proliabilmente  che,  se  gli  riusciva  di  tirare  in  quella  relè,  cosi  cliiusa 
alla  fuga,  così  larga  all'entrala,  un  pesce  grosso;  questo  per  uscirne, 
ci  farebbe  un  tal  rotto,  che  ne  potrebbero  scappar  fuori  anche  i 
piccoli.  E  siccome,  tra  le  molte  e  varie  congellure  cfa'  eran  girate  per 
le  bocche  della  gente.,  intorno  agli  autori  dì  quel  funesto  imbratta- 
mento del  18  di  maggio  (che  la  violenza  del  giudizio  fu  dovuta 
in  gran  parte  all'  irrilazrone ,  allo  spavento ,  alla  persuasione  pro- 
dotta da  quello:  e  quanto  i  veri  autori  di  esso  furon  più  colpevoli 


,y  Google 


di  quello  che  conoscessero  loro  medesimi!),  s'irà  anche  detto  die 
fossero  ufìziali  spagnoli ,  cosi  Io  sciagurato  inventore  trovò  anche  qui 
qualcosa  da  atlaccarsi.  L' esser  poi  il  Padilla  figliuolo  dd  comandante 
do)  castello,  e  l'aver  quindi  un  protetlor  naturale,  che,  per  aiutarlo, 
avrebbe  potuto  disturbare  il  processo,  To  probabilmente  ciò  che 
mosse  il  Piazza  a  nominar  lui  piuttosto  che  un  altro:  se  pure  non 
era  il  solo  ulìtiale  spagnolo  che  conoscesse,  anche  di  nome.  Dopo 
l'abboccamento,  fu  chiamalo  a  confermar  giudizialmente  fa  sua  nuova 
deposizione.  Neil'  altra  aveva  detto  che  il  barbiere  non  gli  aveva 
voluto  nominar  la  persona  grande.  Ora  veniva  a  sostenere  il  con- 
trario; e  per  diminuire,  in  qualche  maniera,  la  contradizione,  disse 
che  non  gliel'  aveva  nominala  stjbilo.  Finalmente  mi  disse  doppò  il 
spalio  di  quattro  o  cinque  giorni,  che  questo  capo  grosso  era  un 
tale  di  Ptidiglia,  il  cui  nome  non  mi  raccordo,  benckè  me  lo  dissen- 
so bene,  et  mi  raccordo  precisamente  che  disse  esser  figliolo  del  Sig. 
Castellano  nel  Castello  di  Milano.  Danari,  però,  non  solo  non  disse 
d'averne  ricevuti  dal  barbiere,  ma  protestò  di  non  saper  nemmeno 
se  questo  n' avesse  a^uti  dal  Padilla. 

Fu  fatta  sottoscrìvere  al   Piazxa  questa   deposizione,  e  spedito* 
subilo  I'  auditore  della  Sanità  a  comunicarla  al  governatore ,  come 


Digit,zsdr,yG00«^IC 


DBtXA  COLOHNA  MFAHE.  SSB 

riferisce  il  processo;  e  sicurameDle  a  domandargli  se  consentirebbe, 
occorrendo,  a  consegnare  alt'  autorilà  civile  it  Padiila,  eh'  era  capi- 
Uno  di  cavalleria,  e  si  trovava  allora  all'esercito,  nel  Monferrato. 
Tornato  1'  auditore ,  e  fatta  subito  confermar  dì  nuovo  la  deposi- 
zione al  Piazza,  s'andò  di  nuovo  addosso  all'infelice  Mora.  Il  quale, 
all'  istanze  per  farjjli  dire  che  lui  aveva  promesso  danari  al  commÌs< 
sario,  e  confidatogli  che  aveva  una  persona  grande,  e  dettogli  final- 
mente eiii  fosse,  rispose:  rum  si  trouarà  mai  in  etemo:  te  io  lo  aa- 
peui,  lo  direi,  in  coMcienza  mia.  Si  viene  a  un  nuo\'0  confronto,  e  si 
d(Mnanda  al  Piazza ,  se  è  vero  che  il  Mora  gli  ha  promesso  danari , 
dichiarando  che  tutto  ciò  focena  d'ordiiie  et  coinmissiene  del  Padiglia, 
pgtiolo  del  signor  Castellano  di  Milano.  D  difensor  del  Padiila  osserva, 
CQD  gran  ragione,  che,  «  sotto  pretesto  di  (U)nfronto,n  tecero  cosico- 
Doseere  al  Mora  •<  quello  che  si  desideraua  dicesse.  »  Infatti,  senza 
questo,  o  altro  simil  mezzo,  non  sarebbero  cerlamenle  riusciti  a  fargli 
buttar  fuori  quel  pcrsonaf^io.  La  tortura  poteva  bensì  renderlo  bu- 
giardo,  ma  non  indovino, 

Il  Piazza  sostenne  quel  cbe  aveva  deposto.  E  voi  volete  dir  questo? 
esclamò  il  Mora.  Sì  che  lo  voglio  dire,  che  è  la  verità,  replicò  lo 
sventurato  impudente:  et  h»io  a  quello  mal  termine  per  voi,  et 
sapete  bene  che  mi^dicette  questo  sopra  t'  uschto  della  vostra  bottega. 
Il  Mora,  cbe  aveva  forse  sperato  di  poter,  con  l'aiuto  del  difensore, 
mettere  in  ehiaro  la  sua  innocenza,  e  ora  prevedeva  che  nuove  tor- 
ture gli  avrebbero  estorta  una  nuova  confessione,  non  ebbe  nemmeno 
la  forza  d'  opporre  un'  altra  volta  la  verità  alla  bugia.  Disse  soltanto: 
patientiat  per  amor  di  voi,  morirò. 

Infatti,  rimandato  subilo  il  Piazza,  intimano  a  lui,  che  dica  hormai 
la  veritàj  e  appena  ha  risposto:  Signore,  la  verità  l'ho  detta;  gli 
minacciano  la  tortura  :  il  che  si  farà  sempre  senza  pregiìiditio  di 
quello  che  è  conuilto,  et  confesso,  et  non  altrimenti.  Era  una  formola 
solila;  ma  1'  averla  adoprata  in  questo  caso  fa  vedere  fino  a  che  se- 
gno la  smania  di  condannare  gli  avesse  privati  della  facoltà  di  riflet- 
tere. Come  mai  la  confessione  d'avere  indotto  il  Piazza  al  delitto  con 
la  promessa  de'  danari  che  si  avrebbero  dal  Padiila,  poteva  nou  (ar 
pregiudizio  alla  confessione  d' essersi  lasciato  indurre  al.  delitto  dal 
Piazza,  per  la  speranza  di  guadagnar  col  preservativo? 

Messo  alla  tortura,  confermò  subito  lutto  quello  che  aveva  detto 
il  commissario;  ma  non  bastando  questo  ai  giudici,  disse  che  inlatti  il 


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Padilla  gli  aveva  proposto  di  fare  un  ontione  da  ongere  le  Porte  et 
Cadenazzi ,  promessigli  danari  quanti  ne  volesse ,  daliglienc  quaDtl 
n'  aveva  voluti. 

Noi  altri,  die  non  abbiamo,  ne  timor  d'unzioni,  né  furore  contro 
untori,  uè  altri  furiosi  da  soddisfare,  vediamo  chiaramente ,  e  senza 
fatica,  come  sia  venuta,  e  da  che  sia  stala  mossa  una  tal  confessione. 
Ma,  se  ce  ne  fosse  bisogno  n'abbiamo  anelie  la  dichiarazione  dì  chi  l'a- 
veva fatta.  Tra  le  molte  lestimonianze  che  il  difensor  del  Padilla  potè 
raccogliere,  c'è  quella  d'un  capitano  Sebastiano  Gorini,  che  si  trovava, 
in  quel  tempo  (non  si  sa  per  qua!  cagione)  nelle  stesse  carceri,  e 
che  parlava  spesso  con  un  servitore  dell'auditor  della  Sanità,  slato 
messo  per  guardia  a  quell'infelice.  Depone  cosi:  «  mi  disse  detto 
scruilore,  sendo  se  non  f;appena)  all'  bora  stato  detto  Barbiere  rìme- 
liato  dall'  esame:  V.  S.  non  sa  che  il  Barbiere  m'  ha  detto  adesso 
adesso,  che  nell'esame  che  ha  fatto,  ha  dato  fuori  {buttato  fuori)  il 
Sig.  Don  Gioannì  figliolo  del  Sig.  Castellano?  Et  io,  ciò  sentendo, 
restai  stupito,  et  li  dissi  :  è  vero  questo?  Et  esso  seruilore  mi  re- 
plicò che  era  vero;  ma  che  era  anche  vero  che  lui  prolestaua  di  non 
raccordarsi  di  non  hauer  forsi  mai  parlato  con  alcuno  spagnuolo ,  et 
che  se  li  hauessero  mostrato  detto  Sig.  Don  Gioanni,  non  l'haurebbe 
né  anche  conosciuto.  Et  soggiongendo,  essio  seruitore, disse:  io  li  dissi 
perchè  dunque  lo  baueua  dato  fuori  ?  et  lui  disse  che  l' haueua  dato 
fuori  per  ìiauerlo  sentito  nominare  là ,  et  che  perciò  rispondeua  a 


tutlo  quello  che  senliua,  o  die  li  veniua  così  in  bocca.  »  Questo  valse 
(e  ne  sia  ringraziato  il  cielo)  a  favor  del  Padilla;  ma  l'ogliam  noi  credere 


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DELLA  COLONNA  INFAUE.  «17 

che  ì  giudid,  i  quali  avevao  messo,  0  lascialo  meltere  per  guardia 
al  Mora  un  servitore  di  quell'  auditor  cosi  atUvo,  così  investigatore, 
non  ri$a])essero ,  se  non  tanto  tempo  dopo ,  e  acddentalmente  da  un 
testimonio,  quelle  parche  cosi  verisimili,  dette  senza  speranza,  un  mo- 
mento dopo  quelle  così  strane  che  gli  aveva  estorte  il  dolore? 

E  perchè,  tra  tante  cose'  dell'  altro  mondo,  parve  strana  andie  ai 
giudici  quella  relazione  tra  il  barbier  milanese  e  il  cavaliere  spagno- 
loj  e  don\andarono  chi  e'  era  stato  <U  mezzo ,  alla  prima  disse  cb'  era 
stato  un»  de'  luoi ,  fatto  e  vestito  txaà  e  cosi  Ma  incalzato  a  nomi- 
narlo, disse:  Don  fHetro  di  Saragoza.  Questo  atmeno  era  un  perso- 
naggio immaginario. 

Ne  furon  poi  fatte  (dopo  il  supplizio  del  Mora,  s' intende)  le  più 
minute  e  ostinate  ricerche.  S'interrogarono  soldati  e  ufiuali,  com- 
preso il  comandante  stesso  del  castello,  don  Francesco  de  Vai^as, 
succeduto  allora  al  padre  del  Padilla:  nessuno  l'aveva  mai  sentito  no- 
minare. Se  non  che  si  trovò  finalmente,  nelle  carceri  del  podestà,  un 
Pietro  Verdeno,  naiivo  di  Saragozza,  accusalo  di  furio.  Costui,  esa- 
minato, disse  che  in  quel  tempo  era  a  Napoli;  messo  alla  tortura, 
sostenne  il  suo  detto;  e  non  si  parlò  pili  di  Don  Pietro  di  Saragozza. 

Sempre  incalzato  da  nuove  domande ,  il  Mora  aggiunse  che  lui 
aveva  poi  fililo  la  proposta  al  commissario,  il  quale  aveva  anche  lui 
avuto  danari  per  questo,  da  non  so  chi.  E  certo  non  lo  sapeva;  ma 
vollero  saperlo  i  giudici.  Lo  sventurato,  rimesso  alla  tortura,  nominò 
pur  troppo  una  persona  reale,  un  Giulio  Sanguinetli,  banchiere:  «il 
primo  venuto  in  mente  all'uomo  che  inventava  per  lo  spasimo  *.  » 

il  Piazza  che  aveva  sempre  detto  di  non  aver  ricevuto  danari, 
interrogato  di  nuovo,  disse  subito  di  si.  (li  lettore  si  ramAicnterà, 
forse  meglio  de'  giudici ,  ette  ,  quando,  visitaron  la  casa  di  costui , 
danari  gliene  trovaron  meno  che  al-  Mora,  cioè  punto.)  Disse  dunque 
d'averne  avuti  da  un  banchiere;  e  non  avendoci  i  giudici  nominalo 
il  Sanguinelti ,  ne  nominò  lui  un  altro  :  GirolaDW  Turoone.  E  questo 
e  quello  e  vari  loro  ageiHi  furono  arrestati,  esaminati,  messi  alla 
tortura;  ma,  stando  fermi  a  negare,  furon  fioidmentc  rilasciati. 

Il  11  di  luglio,  furono  al  Piazza  e  al  Mora. comunicati  gli  alti 
posteriori  alla  ripresa  del  processo ,  e  dato  un  nuovo  termiae  di 
due  giorni  a  far  le  loro  difese.  L'  uno  e  l' altro  scelsero  questa  volta 


*  quorum  capila....  flnfteDli  inler  dolores  gemituaque  occurrere.  Liv.  XXIV,  u. 


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un  difensore,  col  consìglio  probabilmente  di  quelli  ch'erano  siali  loro 
assegnati  d'  ufisio.  Il  ss  dello  stesso  mese,  fu  arrestalo    il   PadiUa; 


cioè,  come  è  atleslato  nelle  sue  difese,  gli  fu  detto  dal'  commusario 
generale  della  cavalleria,  che,  per  ordine  dello  Spinola,  dovesse  an- 
dare a  costituirsi  prigioniero  nel  castello  di  Pomate;  come  fece.  H 
padre,  e  sì  rileva  dalle  ditese  medesime,  fece  istanza,  per  mexzo  del 
suo  iuogoleneole ,  e  del  suo  segretario,  perchè  sì  sospendesse  l'ese- 
cuzione  della  sentenza  contro  il  Piazia  e  il  Mora,  fin  die  fossero  stati 
confrontati  con  don  Giovanni.  Gli  fu  fatto  rispondere  u  die  non  si 
poteua  sospendere,  perché  il  popolo  esdamaua...»  eccola  nominato 
una  volta  quel  civium  ardor  prava  jubentium;  la  sola  volta  che  si 
poteva  senza  confessare  una  vergognosa  e  atroce  defer«ua,  gtacdtè 
si  trattava  dell' raecuzìon  d'un  gìudìao,  non  dei  giudìzio  medesimo. 
Ma  comindava  allora  soltanto  a  esclamare,  il  pentolo?  o  ^lora  sol- 
tanto cominciavano  i  giudid  a  far  conto  ddle  sue  grida?...  «ma  che 
in  ogni  caso  il  signor  Don  Francesco  non  si  pigliasse  fastidio,  perefaè 
gente  in&me,  com'erano  questi  duoi,  non  poteuano  col  suo  detto 
pregiudicare  alla  reputatione  del  signor  Don  Giovanni.  »  E  il  detto 
d'ognuno  di  que'  due  infami  valse  contro  l'altro!  E  i  giudid  l'a- 
vevan  tante  volle  chiamalo  ventai  E  nella  sentenza  medesima  decre- 
tarono die,  dopo  l'intimazion  di  essa,  fossero  l'uno  e  l'altro  tormentati 
di  nuovo  su  dò  che  riguardava  i  complid!  E  le  loro  deposzi<Hii 
promossero  torture,  e  quindi  confessioni,  e  quindi  supplizi;  e  se  non 
basta,  anche  supplizi  sensa  confessioni! 

«  Et  cosi ,  «  condude   la  deposizione  del   s^sretarìo   suddetto , 


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DELLA  COLONNA  INFAME. 


u  lornassimo  dal  signor  Castellano,  et  li   facessimo  Ja   rclalione  di 
(juanl'era  passato;  el  lui  non  disse  altro,  ma  restò  mortifìcalo;  la 
qiial  morlilìcalione  fu  tale,  elie  fra  .pochi  giorni  se  ne  morse,  n 
Quell'infernale  sentenza  portava  che,  messi  sur  un  carro,  fossero 


condotti  al  luogo  del  supplizio;  tanagliati  con  ferro  rovente,  per  la 
strada;  tagliala  loro  la  mano  destra,  davanti  alla  bottega  del  Mora; 
spezzale  l'ossa  con  la  rota,  e  in  quella  intrecciati  vìvi,  e  alzati  da 
terra;  dopo  sei  ore,  scannati;  bruciali  i  cadaveri,  e  le  ceneri  buttate 
nel  (lume;  demolila  la  casa  del  Mora;  sullo  spazio  di  quella,  eretta 
una  colonna  che  si  chiamasse  infame;  proibito  in  perpetuo  di  rifab- 
bricare in  quel  luogo.  E  se  qualcosa  potesse  accrescer  l'orrore,  lo 
sdegno ,  la  compassione ,  sarebbe  il  veder  que'  disgraziati ,  dopo 
r  intimazione  d' nna  tal  sentenza,  confermare,  anzi  allargare  le  loro 
confessioni,  e  per  la  forza  delle  cagioni  medesime  che  gliele  avevano 
estorte.  La  speranza  non  ancora  estinta  di  sfuggir  la  morie,  e  una 
tal  morìe,  la  violenza  di   tormenti,  che  quella   mostruosa   sentenza 


d.y  Google 


làrebbe  quasi  cliianiar  leggieri,  ma  presenti  e  evitabili,  li  Tecero,  e 
ripeter  le  menzogne  di  prima,  e  nominar  nuove  persone.  Cosi,  con 
la  loro  impunità,  e  con  la  loro  tortura,  riusdvan  qae'  giudici,  non 
solo  a  fare  atrocemente  morir  degl'innocenti,  ma,  per  quanto  dipen- 
deva da  loro,  a  farli  morir  colpevoli. 

Nelle  difese  del  Padilla,  si  trovano,  ed  è  un  sollievo,  le  proteste 
che  fecero  della  loro  e  dell'  altrui  innocenza,  appena  furono  affatto 
certi  di  dover  morire,  e  di  non  dover  più  rìsjwndere.  Quel  capitano 
citato  poco  fa,  depose  che,  trovandosi  vicino  alla  cappella  dov'o'a 
slato  messo  il  Piazza,  lo  sentì  che  «  slrepilaua,  et  diceua  che  moriua 
al  torto,  et  che  era  slato  assassinalo  sotto  promessa,  »  e  riflulaVa  il  mi- 
nistero di  due  cappuccini  venuti  per  disporlo  a  morir  cristianamente. 
u  Et  in  quanto  a  me,  n  soggiunge,  «  m'  accorgei  che  lui  liaueua 
speranza  che  si  douesse  retrattare  la  sua  causa....  et  andai  dal  detto 
Commissario,  pensando  di  far  allo  di  carità  col  persuaderlo  a  disporsi 
a  ben  morire  in  gratia  di  Dio;  come  in  eHètto  posso  dire  die  mi 
riusd;  poiché  li  Padri  non  toccorono  il  punto  che  toccai  io,  qual  fu 
che  l'accerlai  di  non  bauer  mai  visto,  né  sentito  dire  che  il  Senato 
relratlasse  cause  simili,  dopo  seguila  la  condanna...  Finalmente  tanto 
dis«,  che  s'acquietò...  et  doppo  che  fu  acquietato,  diede  alcuni 
sospiri,    et  poi  disse  come  haueua  dato  fuori    indebitamente  molli 


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DELLA  COLO.NM  INFAJIE. 


innocenti.»  Tanto  lui,  quanto  il  Mora,  fecero  poi  stendere  dai  reli- 
giosi che  0\  assistevano  una  ritrattasion  formale  di  tutte  l' accuse 


che  la  speranza  o  il  dolore  gli  avevano  estorte.  L'uno  e  l'altro  soppor- 
tarono quei  lungo  supplizio ,  quella  serie  e  varietà  di  supplizi ,  con 
una  forza  che,  in  uomini  vinti  tante  volle  dal  timor  della  morte  e 
dal  dolore;  in  uomini  i  quali  morivan  vittime,  non  di  qualche  gran 
causa,  ma  d'un  miserabile  accidente,  d'un  errore  sciocco,  di  facili 
e  basse  frodi;  Jn  uomini  che,  diventando  infami,  rimanevano  oscuri, 
e  all'  esecrazion  pubblica  non  avevan  da  opporre  altro  che  il  senti- 
mento d'  un'  innocenza  volgare,  non  creduta,  rinnegata  tante  volle  da 
loro  DiedesJmi;  in  uomini  (fa  male  il  pensarci,  ma  si  può  egli  jion 
pensarci?)  che  avevano  una  famiglia,  moglie,  figliuoli,  non  si  sa- 
prebbe intendere,  se  non  si  sapesse  che  fu  rassegnazione:  quel  dono 
che,  nell'ingiustizia  degli  uomini,  fo  veder  la  giustizia  di  Dio,  e  nelle 
pene,  qualunque  »ano,  la  caparra,  non  solo  del  perdono,  ma  del 
premio.  L'  uno  e  l' altro  non  cessaron  di  dire,  fino  all'ultimo,  fin  sulla 
rota,  che  accettava»  la  morte  in  pena  de'  peccati  che  avevan  commessi 
davvero.  Accettar  quello  che  non  si  potrebbe  rifiutare!  parole  che 
possono  parer  prive  di  senso  a  chi  nelle  cose  guardi  soltanto  l' cOetto 
materiale;  ma  parole  d'  un  senso  chiaro  e  profondo  per  chi  considera, 
0  senza  considerare  intende,  che  ciò  che  in  una  deliberazione  può 
esser  più  diffìcile,  ed  è  più  importante,  la  persuasion  della  menfe, 
e  il  piegarsi  della  volontà,  è  ugualmente  dllGcile,  ugualmente  impor- 
tante, sìa  che  l'effetto  dipenda  da  esso,  o  no;  nel  consenso,  come 
nella  scelta 

Quelle  proteste  potevano  atterrire  la  coscienza  de'  giudici  ;  potevano 


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irritaria.  Essi  rìuseiron  pur  troppo  a  farle  smentire  in  parie,  nel  modo 
che  sarebbe  sialo  il  più  decisivo,  se  non  fosse  sUto  il  più  iliosorio; 
cioè  col  far  che  accusassero  sé  medesimi,  molti  che  da  quelle  pro- 
teste erano  stati  cosi  autorevolmente  scolpati.  Di  quasi'  altri  processi 
tocctiereiDo  soltanto,  come  abbiam  dello,  qualcosa,  e  soltanto  d'al- 
cuni, per  venire  a  quello  del  Padilla;  doè  a  quello  che,  come  per 
l'importanza  del  reato  è  il  principale,  cosi,  per  la  forma  e  per  l'o- 
silo, è  la  pielra  del  paragone  per  tulli  gli  allri. 

VI. 

due  arrotini,  sciaguratamente  nominali  dal  Piazza , 
e  poi   dal  Mora,  erano  stati  imprigionali  Gno  dal 
S7  di  giugno;  ma  non  furon  mai  confrontati,  ne 
con  r  uno  né  con  l'altro,  e  neppure  esaminati,  prima 
dell' csecuEÌone  della  sentenza,  che  fu  il  primo  d'a- 
gosto. L'undici  fu  esaminato  il  padre;  il  giorno  dopo, 
messo  alla  tortura,  col  solito  pretesto  di  contradìzioni  e  d'inverìsimi- 
glianze,  confessò,  cioè  inventò  una  storia,  alterando,  come  ÌI  Piazza, 
un  fallo  vero.  Fecero  l'uno  e  l'altro  come  que'  ragni,  che  attaccano  i 
capi  del  loro  (ilo  a  qualcosa  di  solido,  e  poi  lavoran  per  aria.  Gli  avevan 
troi'ala  un'  ampolla  d' un  sonnifero  datogli ,  anzi  composto  in  casa 
sua,  dal  Raruello  suo  amico;  disse  ch'era  un  onto  per  fare  c/u  mo- 
reuero  la  gente;  un  estrall'o  di  rospi  e  di  serpi,  con  certe  poluerc 
che  io  non  eo  che  potuere  siano.  Oltre  il  Baruello,  nominò  «une  com- 
plice qualche  altra  persona  dì  comune  conosceoza,  e  per  cape  il  Pa- 
dilla. Avrebbero  ì  giudici  volulo  attaccar  questa  storia  a  quella  de'  due 
che  avevano  assassinati,  e  far  per  ciò  dire  a  costui,  che  aveva  rice- 
vuto da  loro  onto  et  danari.  Se  avesse  negato  semplicemente,  ave- 
van la  tortura;  ma  la  prevenne  con  questa  sii^olare  risposta:  Signor 
no,  che  non  è  vero;  ma  $e  mi  date  li  tormenti  perchè  io  neghi  que- 
sta particolarità ,    sarò   forzato  a  dire  che  è  pero,   benché  non  sij. 
Non  potevan  più,  senza  farsi  troppo  apcrlamenle  beffe  della  giustizia 
e  dell'umanità,  adoprar  come  esperimento  un  mezzo  del  quale  eran 
così  solennemente  av\'eptili  che  l' effetto  sarebbe  cerio. 

Fu  condannato  a  quel  medesimo  supplizio;  dopo  l'intimazion  della 
sentenza,  torturato,  accusò  un  nuovo  banchiere,  e  altri;  in  cappella, 
e  sul  patibolo,  ritrattò  ogni  cosa. 


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DELLA  COLONNA  INFAUE.  S43 

Se  di  questo  disgraziato,  jl  Piazza  e  il  Mora  avessero  detto  sola* 
meote  di' era  un  poco  di  buono,  si  vede  da  vari  fatti  die  saltan 
fuori  nel  proeesso,  che  non  l'avrebbero  calunniato.  Caiunniaroa  però 
andie  in  questo,  il  suo  figliuolo  Gaspare;  del  quale  è  bensì  riferito 
un  fallo,  ma  è  riferito  da  lui,  e  in  tali  momenli,  e  con  tal  sentimen- 
to, che  ne  risulta  eome  una  prova  dell'innocenza  e  della  rettitudine 
di  tutta  la  sua  vita.  Ne' tormenti,  in  faccia  alla  morte,  le  sue  parole 
furon  tutte  meglio  che  da  uom  forte;  furon  da  martire.  Non  avendo 
potuto  renderlo  calunniator  di  sé  stesso,  né  d'altri,  lo  coodannarono 
(non  si  vede  eoo  quali  pretesti)  come  eonvialo;  e  dopo  l'inlimasion 
della  sentenza,  l' interrogarono,  come  al  solito,  se  aveva  altri  delitti, 
e  chi  erano  i  suoi  compagni  in  quello  per  ctu  era  stato  condannalo. 
Alla  prima  domanda  rispose:  io  non  ho  fatto  né  quetto^ni  altri  de- 
littij  et  moro  perchè  una  volta  diedi  d'un  pugno  topra  d'un  occhio 
ad  unOj  mosso  dalla  collera.  Alla  seconda:  io  non  ho  alcuni  compa- 
gnij perchè  attendeub  a  far  li  fatti  miei;  et  te  non  l'ho  fatto,  non  ho 
neanche  haauto  compagni.  Minacciatagli  la  tortura,  disse:  F.S.  facci 
quello  che  vole ,  che  non  dirò  mai  quello  che  non  ho  fatto,  né  mai 
condannare  l'anima  mia;  et  è  molto  meglio  che  patisca  tre  o  quattro 
hore  de  tormenti,  che  andar  nell'inferno  a  patii'e  eternamente.  Messo 
alla  tortura,  esclamò  nel  primo  momento:  ah, Signore!  non  ho  fatto 
niente:  sono  assassinalo.  Poi  soggiunse  :  guelfi  tormenti  forniranno  pre- 
ttoj  et  al  mondo  di  là  bisogna  starai  sempre.  Furono  accresciute  le  tor- 
ture, di  grado  in  grado,  fino  all' ultimo,  e  con  le  torture,  l'istanze 
di  dir  la  verità.  Sempre  rispose:  l'ho  già  detta;  voglio  tatuar  Fani' 
ma.  Dico  che  non  voglio  grauar  la  conicienza  mia:  non  ho  fatto  niente. 

Non  si  può  qui  far  a  meno  di  non  pensare  clic  se  gli  stessi  sen- 
timenti avessero  data  al  Piazza  la  stessa  costanza  j  il  povero  Mora 
sarebbe  rimasto  tranquillo  nella  sua  bottega,  tra  la  sua  famiglia;  e, 
al  pari  di  lui,  questo  giovine  ancor  più  degno  d'ammirazione,  che  di 
eCMiipassione ,  e  lant'  altri  innocenti  non  avrebbero  nemmen  potuto 
immaginarsi  che  spaventosa  sorte  sfuggivano.  Lui  medesimo,  chi  sa? 
Certo  per  condannarlo,  non  confesso,  e  su  que'  soli  indizi, e  quando, 
non  essendoci  altre  confessioni,  il  delitto  stesso  non  era  die  una  con- 
gettura ,  bisognava  violare  più  s\-elalamentc ,  più  arditamente ,  ogni 
principio  di  giustizia,  ogni  prescrizion  di  legge.  A  ogni  modo,  non 
potevano  condannarlo  a  un  più  mostruoso  supplizio  ;  non  potevano 
almeno  farglielo  solTrire  in  compagnia  d'uno,  guardando  il  quale 


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do%'esse  dire  ogni  momento  a  sé  stesso:  V  bo  condotto  qui  jo.  Di  Unii 
orrori  fu  cagione  la  debolezza...  che  dico?  rMcanimento,  la  per6dia 
di  coloro  che,  riguardando  come  una  caiamilà,  come  una  sconfitta,  il 
non  trovar  colpevoli,  tentarono  quella  debolezza  con  una  promessa 
illegale  e  frodolenfa. 

Abbiamo  citato  sopra  l'alto  solenne  con  cui  una  promessa  simile 
fu  fatta  al  Baruello,  e  abbiamo  anche  accennato  dì  voler  far  vedere  il 
conto  diverso  che  i  giudici  ne  facevano.  Per  ciò  principalmente  rac- 
coaterem  qui  io  succinto  la  storia  anche  di  questo  meschino.  Accusato 
in  aria,  come  s'è  visto,  prima  dal  Piazza  d'essere  un  compagno  del 
Mora,  p(M  dal  Mora  d' essere  un  compagno  del  Piazza;  p(^  dall'  uno 
e  dall'altro  d'aver  ricevuto  danari  per  isparger  l'unguento  composto 
dal  Mora  con  certe  porcherie  e  peggio  (e  prima  avevan  protestato  di 
non  saper  questo);  poi  dal  Migliavacca,  d'averne  composto  uno  lìii, 
con  altre  peggio  che  porcherie;  costituito  reo  di  tutte  queste  cose, 
come  se  ne  ^cessero  una,  negò  e  sostenne  bravamente  i  twmcnli. 
Mentre  pendeva  la  sua  causa,-  un  prete  (che  fu  uo  altro  de' testi- 
moni fallì  citar  dal  Padilla),  pregato  da  uh  parente  di  questo  Ba- 
ruello, lo  raccomandò  a  un  Bacale  del  senato;  il  quale  venne  pd  a 
dirgli  che  il  suo  raccomandato  era  sentenziato  a  morte,  con  tutta 
quell'aggiunta  di  carniflcine;  ma  insieme,  che  u  il  sraiato  s'acconten- 
taua  di  proocurarli  da  S.  E.  l' impunità  ».  E  incaricò  il  prete  che 
andasse  a  trovarlo,  e  vedesse  di  persuaderlo  a  dir  la  verità  :  «  poidiè 
il  Senato  voi  sapere  i)  fondamento  di  questo  negocio,  e  pensa  dì  sa- 
perlo da  luì.  »  Dopo  averlo  condannato!  e  dopo  quelle  esecuzioni! 

Il  Baruello,  sentita  la  crudele  notizia, e  la  proposizione, disse:  «la- 
ranno  poi  di  me  come  hanno  fatto  del  Omimissarìo?  »  Avendogli  il 
prete  detto  che  la  promessa  gli  pareva  sincera,  cominciò  una  storia: 
che  un  tale  (il  quale  era  morto)',raveva  condotto  dal  barbiere;  e  questo, 
alzalo  un  telo  del  parato  della  stanza,  die  nascondeva  un  uscio,  l'a- 
veva introdotto  in  una  gran  sala,  dov'eran  molte  persone  a  sedere, 
tra  le  qudi  il  Padilla.  Al  prete,  che  non  aveva  l' impegno  di  trovar  de' 
rei,  parvero  cose  strane;  sicché  l'interruppe,  avvertendolo  che  ba- 
dasse di  non  perdere  il  corpo  e  l'anima  insieme;  e  se  n'andò.  Il  Ba- 
ruello accettò  l'impunità,  corresse  la  storia;  e  comparso  l'undici  di 
settembre  davanti  ai  giudici,  raccontò  loro  che  un  maestro  dì  sdierma 
(vivo  pur  troppo)  gli  aveva  dello  esserci  una  buona  occasione  di 
diventar  ricchi,  facendo  un  servizio  al  Padilla;  e  l'aveva  poi  condotto 


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DELLA  COLONNA  IKFAllE.  «iv 

sulla  piazza  del  castello,  dov"  era  arrivato  il  Padilla  medesimo  eoa 
altri ,  e  l' aveva  subilo  invitalo  ad  essere  uno  di  quelli  che  ungevano 
sotto  i  suoi  ordini,  per  vendicar  gì'  insulti  falli  a  don  Gonzalo  de 
Cordova,  nella  sua  partenza  da  Milano;  e  gli  aveva  dato  danari,  e  un 
vasetto  di  quel!'  unto  micidiale.  Dire  che  in  questa  storia ,  della  quale 
qui  accennìam  soltanto  il  principio,  ci  fossero  delle  cose  inverisimili, 
non  sarebbe  parlar  propriamente:  era  tutto  un  monte  di  stravaganze, 
come  il  lettore  ha  potuto  vedere  da  questo  solo  saggio.  Dell'  inveri* 
sìmiglianze  però  ce  ne  trovarono  anche  i  giudici  e,  per  di  più,  delle 
conlradizioni  :  per  ciò,  dopo  varie  interrogazioni,  seguite  da  risposte 
che  imbrogliavan  la  cosa  sempre  più,  gli  dissero,  che  si  eipiicki  me- 
glio, perchè  n  possa  cauar  cosa  accertala  da  quello  che  dice.  Allora , 
o  fosse  un  suo  ritrovato  per  uscir  d' impiccio  in  qualunque  maniera , 
o  fosse  un  vero  accesso  di  frenesia,  che  ce  n'era  abbastanza  cagioni, 
si  mise  a  tremare,  a  storcersi,  a  gridare:  aiuto!  a  voltolarsi  per  terra. 


a  volersi  nascondere  sotto  una  tavola.  Fu  esorcizzato,  acquietalo, 
stimolato  a  dire;  e  cominciò  un'altra  storta,  nella  quale  fece  entrare 
iDcantatort  e  circoli  e  parole  magiche  e  il  diavolo,  eh'  egli  aveva  rico- 
nosciuto per  padriHie.  Per  noi  basta  1'  osservare  cb'eran  cose  nuove; 


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e  cbe,  tra  l'altre,  rilrallò  quello  cfae  aveva  detto  del  vendicar  l' fa- 
giurìa  fotta  a  don  Gonzalo,  e  asserì  in  vece  dte  il  fine  del  Padilla 
era  di  farsi  padrone  di  Mìl»io;  e  a  lui  prometteva  di  tarlo  uno  de' 
primi.  Dopo  varie  interrogasìoni ,  fu  chiuso  I'  esame,  se  pure  merita 
un  tal  nome  ;  e  dopo  quello,  n'  ebbe  tre  allrì  ;  ne*  quali,  essendogli 
detto  clie  il  tal  suo  asserto  non  era  verisimile,  che  il  tal  altro  non 
era  credibile,  o  rispose  che  infatti,  la  prima  volta,  non  aveva  detta  la 
verità,  o  diede  una  spiegazione  qualunque  ;  e  venendogli  almen  cio- 
que  volte  buttata  in  faccia  la  deposizione  del  Migliavacca,  in  cui  era 
accasato  d' aver  dato  unguento  da  spargere  ad  altrettante  persone 
delle  quìtii,  nella  sua,  non  aveva  parlato,  rispose  sempre  che  non 
era  vero;  e  sempre  i  giudici  passarono  ad  altro.  Il  lettore  che  si 
rammenta  come,  alla  prima  inverisimiglianza  che  credettero  bene  di 
trovar  nella  deposizione  del  Piazza,  lo  minacciarono  di  levargli  l' im- 
punità; come  alla  prima  agfpunta  che  fece  a  quella  deposizione,  al 
primo  fatto  allegato  dal  Mora  contro  di  lui,  e  da  luì  negato,  gliela 
levarono  in  elTctto,  per  non  hauer  detta  la  verità  intera,  come  kaueua 
prometso,-  vedrà  ancor  più,  se  ce  n' è  bistro,  quanto  servisse  a 
coloro  l'aver  voluto  piuttosto,  fare  una  giunteria  al  governatoro, 
che  chiedergli  una  facoltà,  1'  aver  fatta  ima  promessa  in  parole  e  di 
parole  a  quel  Piazza,  che  doveva  esser  le  primìzie  del  sacriflzio 
offerto  al  furor  popolare,  e  al  loro. 

Vogliam  dir  forse  che  sarebbe  slata  cosa  giusta  il  mantener 
quell'impunità?  Dio  liberi!  sarebbe  come  dire  che  colui  aveva  de- 
posto un  fatto  vero.  Vogliam  dir  soltanto  cbe  fu  violentemente  ritira- 
ta,- com'era  stala  illegalmente  promessa;  e  che  questo  fu  il  mezzo  di 
quello.  Del  resto,  non  possiamo  se  non  ripetere  cbe  non  potevan  for 
nulla  <U  giusto  nella  strada  che  avevan  presa,  fuorché  tornare  indie- 
tro, fin  ch'erano  a  tempo.  Quell'impunità  (lasciando  da  parte  la  man- 
canza de'  poteri)  non  avevano  avuto  il  diritto  dì  venderla  al  Piazza, 
come  il  ladro  non  ha  il  diritto  di  dar  la  vita  al  viandante:  ha  il  dovere 
di  lasciargliela.  Era  un  ingiusto  supplimento  a  un'  ingiusta  tortura: 
I' una  e  l'altra  volute,  pensate,  studiate  dai  giudici,  piuttosto  che 
far  quello  ch'era  prescritto,  non  dico  dalla  ragione,  dalla  giustizia, 
dalla  carità,  ma  lialla  legge:  verificare  il  fallo,  faeenddo  spiegare 
alle  due  accusatrìci,  se  pur  la  loro  era  accusa  e  non  piuttosto  con- 
gettura; lasciandolo  spiegare  all'  imputato,  se  pur  sì  poteva  dire  im- 
putato; mettendo  questo  a  confironto  con  quelle. 


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DELLA  COLONNA  INFAME.  B4T 

L'esito  dell' iiupunilà  promessa  al  Barudio  non  si  pot^  vedere, 
perchè  costui  morì  di  peste  il  18  di  ^Itembre,  cioè  il  giorno  dopo 
un  confronto  sostenuto  impudentemente  contro  quel  maestro  dì  sclier- 
ma,  Carlo  Vedano.  Ma  quando  sentì  avvicinarsi  la  sua  fine,  disse  a 
un  carceralo  che  l'assisteva,  e  che  fu  un  altro  de'  testimoni  fatti 
citar  dal  Padilla:  «  fatemi  a  piacere  di  dire  al  Sig.  Podestà,  che  tutti 
qudlì  che  1)0  incolpati  gli  ho  incolpati  al  torto;  et  non  è  vero  ch'io 
habbi  chiapato  danari  dal  figliuolo  del  Sig.  Castellano....  io  ho  da 
morire  di  questa  infermità:  prego  quelli  che  ho  incolpali  al  torlo  mi 
perdonino;  et  di  gratia  ditelo  a!  Sig.  Podestà,  se  io  ho  d'andar  saluo. 


Et  io  subito,  •>  soggiunge  il  testimonio,  «  andai  a  referìreal  Sig.  Po- 
destà quello  die  il  Baruello  m'  baueua  detto.  • 

Questa  rìtratlauone  potè  valere  per  il  Padilla;  ma  il  Vedano,  il 
quale  non  era  (In  allora  stato  nominato  che  dal  solo  Baruello,  fu  atro- 
cemente tormentato,  quel  giorno  medesimo.  Seppe  resistere;  e  fu  la- 
sciato slare  (  in  prigione ,  s'  intende  )  fino  alla  metà  di  gennaio 
dell'  anno  seguente.  Era,  tra  que'  meschini,  il  solo  che  conoscesse 
davvero  il  Padilla,  per  aver  tirato  due  volte  di  spada  con  luì,  in 
castello;  e  si  vede  che  questa  circostanza  fu  quella  che  suggerì  al  Ba* 
ruello  dì  dargli  una  parte  nella  sua  favola.  Non  1'  aveva  però  accu- 
sato d'aver  composto,  né  sparso,  né  distribuito  unguenti  mortiferi; 
ma  solamente  d'  essere  stalo  di  mezzo  tra  lui  e  il  Padilla.  Non  pote- 
van  quindi  i  giudici  condannar  come  convinto  un  tale  imputato,  senza 
pregiudicar  la  causa  di  que)  signore;  e  questo  fu  probabilmente  quello 


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cbe  lo  salvi.  Non  fu  interrogato  di  nuovo,  se  non  dopo  il  primo  esame 
del  Padilla  ;  e  l' assoluzioo  di  qtiesto  tirò  dietro  la  sua. 

Il  Padilla,  dal  castello  di  PizugbettoDe,  dov'era  slato  trasTerito,  fu 
condotto  a  Milano  il  io  <U  gennaio  del  lesi,  e  messo  nelle  carceri 
del  capitano  di  gìusltzia.  Fu  esaminato  quel  giorno  medesimo;  e  se  ci 
rosse  bisogno  d'  una  prova  di  fatto  per  esser  certi  clie  ancbe  que' 
giudici  potevano  interrogar  senza  frodi,  senza  menzogne,  senza  vio- 
lenze, non  trovare  inverisimiglianee  dove  non  ce  n'era,  contentarsi 
di  risposte  ragionevoli,  ammettere,  anche  in  una  causa  d'  unzioni  ve- 
nefiche, che  un  accusato  potesse  dir  la  verità,  anche  dicendo  di  no,  si 
vedrebbe  da  questo  esame,  e  dagli  altri  due  che  furon  fatti  al  Padilla. 

I  soli  elle  avessero  deposto  d'  essersi  abboccati  eoa  lui ,  il  Mora 
e  il  Baruello,  avevano  anche  indicali  i  tempi;  il  primo  all' incirca , 
il  secondo  più  precisamente.  Domandiu'on  dunque  i  giudici  al  Pa- 
dilla, quando  fosse  andato  al  campo:  indicò  il  giorno;  di  dove 
fosse  partito  per  andarci  :  da  Milano;  se  a  Milano  fosse  mai  tomaio 
in  quell'intervallo:  una<volta  sola,  e  c'era  rimasto  un  giorno  solo, 
che  specificò  ugualmente.  Non  concordava  con  nessuna  dell'epoche  in- 
ventate dai  due  disgraziati.  Allora  gli  dicono,  senza  minacce,  con  buona 
maniera,  che  ti  metta  a  memoria  se  non  si  trovò  ig  Milano  ndl  tal 
tempo,  nel  tal  altro;  risponde  ogni  volta  di  no,  rapportandosi  sem- 
pre alla  sua  prima  risposta.  Vengono  alle  persone,  e  ai  lu<^hi.  Se 
aveva  conosciuto  un  Fontana  bombardiere:  era  il  suocero  del  Vedano, 
e  il  Baruello  I'  aveva  nominato  come  uno  di  quelli  che  s' eran  trovali 
al  primo  abboccamento.  Risponde  di  sì.  Se  conosceva  il  Vedano:  di 
sì  ugualmente.  Se  sa  dove  sia  la  Vetra  de'  Cittadini  e  1'  osteria  de' 
sei  ladri:  era  li  che  il  Mora  aveva  detto  esser  venuto  il  Padilla,  con- 
dotto da  don  Pietro  di  Saragozza,  a  fargli  la  proposta  d'  avvelenar 
Milano.  Rispose  che  non  conosceva  né  la  strada,  né  l' osteria,  neppur 
di  nome.  Gli  domandano  di  don  Pietro  di  Saragozza:  questo  non  solo 
non  lo  conosceva,  ma  era  impossibile  che  io  conoscesse.  Gli  doman- 
dano di  certi  due,  vestili  alla  francese;  d'  un  ccrt'  altro,  vestito  da 
l>rele:  gente  che  il  Eìaruello  aveva  detto  esser  venuti  col  Padilla  al- 
l' abboccamento  sulla  piazza  del  castello.  Non  sa  di  chi  gli  si  parli. 

Nel  secondo  esame,  che  fu  l'ultimo  di  gennaio,  gli  domandan  del 
Mora,  dd  Migliavacca,  del  Baruello,  d'abboccamenti  avuti  con  loro, 
di  danari  dati,  di  promesse  fatte;  ma  senza  parlargli  ancora  della 
trama  a  cui  tutlo  questo  si  riferiva.  Risponde  che  non  ha  mai  avuto 


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DELLA  COLWNA  1KFAUE,  b40 

die  far  con  costoro,  che  non  gli  ha  niai  Demmen  sentili  muninare;  re- 
plica  che  non  era  a  Milano  in  que'  diversi  Icmpt. 

Dopo  più  di  Ire  mesi,  consumati  in  ricerche  dalle  quali,  come 
doveva  essere,  non  si  cavò  il  minimo  costrutto,  ìl  senato  decretò 
che  il  Padìlla  fosse  costituito  reo  con  la  narrativa  del  latlo,  pubbli-: 
catogli  il  processo,  e  datogli  un  termine  alle  difese.  In  esecuzione  di 
quest'ordine,  fu  chiamato  ad  un  nuovo  ed  ultimo  esame,  il  sa  di 
maggio.  Dopo  varie  domande  espresse,  su  tutti  i  capi  d'accusa,  alle 
quali  rispose  sempre  un  no,  e  per  lo  più  asciutto,  vennero  alla  nar- 
rativa del  fatto,  cioè  gli  spiattellarono  quella  pazza  novella,  anzi 
quelle  due.  La  prima,  che  liu  costituto  aveva  detto  al  barbiere  Mora, 
eicjno  alt  hottaria  detta  delti  sei  ladri j  che  facesse  un  ontione....  et 
che  douetse  prender  la  detta  ontione^  et  atidar  a  bordegare  (impia- 
strare); e  che,  in  ricompensa,  gli  aveva  dato  molle  doppie;  e  don 
Pietro  di  Saragozza,  per  suo  ordine,  aveva  poi  mandato  il  detto  bar- 
biere a  riscotere  altri  danari  dai  tali  e  tali-  banchieri.  Ma  questa  è 
ragionevole  in  paragon  dell'  altra  :  che  eua  Sig.''  Constiluto  aveva  fatto 
chiamar  sulla  piazza  del  castello  Stefono  Baruello,  gli  aveva  dello: 
buon  giorno,  4%.''  Baruelloj  è  molto  tempo  eke  desiderano  parlar 
con  voij  e,  dopo  qualche  altro  complimento,  gli  aveva  dato  ^enli- 
cinque  ducatonì  veneziani,  e  un  vaso  d'unguento,  dicendogli  ch'era 
di  quello  che  si  faceva  in  Milano,  ma  che  non  era  perfetto,  e  bisognava 
prendere  delti  ghezzi  et  zatli  (de'  ramarri  e  de'  rospi)  et  del  vino  btan- 
r.o,  e  metter  lutto  in  una  pentola,  et  farla  bollire  a  cuocio  a  concio 
(  adagino  adagino  ) ,  accio  questi  animati  postino  morire  arrabbiati. 
Che  un  prete,  guai  viene  nominato  per  Francese  dal  detto  Baruello^ 
e  era  venuto  in  compagnia  del  costituto,  aveva  fatto  comparire  utio 
in  forma  d'huomo,  in  habilo  di  Pantalone,  e  fattolo  al  Baruello  rreo- 
noscere  per  suo  signore;  e,  scomparso  che  fu,  il  Baruello  aveva  do- 
mandalo al  costitute  ehi  era  colui,  e  quello  gli  aveva  risposto  ch'era 
il  diavolo;  e  che,  un'altra  volta,  lui  costituto  aveva  dati  al  Baruello 
degli  altri  danari,  e  promessogli  di  farlo  lenente  della  sua  compagnia, 
se  r  avesse  servilo  bene. 

A  questo  punto,  il  Verri  (tanto  un  intento  sistematico  può  far  tra- 
vedere anche  i  più  nobili  ingegni,  e  an<Ae  dopo  che  hanno  veduto) 
conclude  cosi  :  «  Tale  è  la  serie  del  fatto  deposto  contro  il  Tiglio  del 
castellano,  la  quale,  sebbene  smentita  da  tutte  le  altre  persone  esa- 
minate (  trattine  i  tre  disgraziati  Mora ,  Piazza  e  Baruello ,  che  alla 


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violenza  dolla  lorliira  sacrificarono  ogni  verilù),  servì  di  base  a  un 
vergognosissimo  ri-alo  '.  "  Ora,  il  lei  loie  sa,  e  il  Verri  medesimo 
racconta  clic,  di  questi  tre,  due  furo»  mossi  a  mentire  dalle  lusjitglie 
dell'impunità,  non  dalla  violenza  àeWSi  tortura. 

Sentila  quel)'  indcgnjssima  lilastrocca,  il  Padilla  disse:  di  tulli  quesli 
huotnini  che  F.  S.  mi  ha  Hotninalo,  io  non  conoteo  altro  che  il  Fontana 
et  il  Tegnotte  (era  un  soprannome  del  Vedano)  ;  et  tutto  quello  che  F.  S. 
Zia  detto  che  si  legge  in  Processo  per  bocca  di  costoro,  è  la  maggior 
falsità  et  mentita  che  si  trouasse  mai  ai  mondo;  né  è  da  credere  dui 
un  Cauagliero  par  mio  haueisej  uè  trattato,  né  pensato  attione  tanto 
infame  come  è  questa;  el  prego  Dio  et  $ua  Santa  Madre,  te  queste  cose 
sono  vere,  che  mi  confondano  adesso;  et  sfìero  in  Dio  che  farò  cono- 
scere la  falsità  di  i/xeiti  huoniiui,  et  die  sarà  palese  al  mondo  tutto. 


<jli  replicarono,  per  forniulità  e  senza  ìnsbtenzu,  elte  si  l'isolvesse 
di  dir  la  veritìi;  e  gì' intimarono  il  decreto  del  senato  clie  lo  cosli- 
(ui\a  reo  d'  aver  coiiqtosto  e  distribuito  unguento  \'enefìeo,  e  assol- 
dalo de'  complici.  Io  mi  merauiglio  mollo,  riprese,  che  il  Senato  sii 
venuto  a  resolultione  cosi  grande,  vedendosi  et  trowindosi  che  questa  è 

•  Ois.  §.  V,  in  lliiv. 


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DELLA  COLO^^A  IKtAUE.  «ai 

«no  mera'  impotlura  et  falsità,  fatta  non  solo  a  me,  ma  alla  Giiutitta 
ùteiM.  G}me  uà  hu4ymo  di  mia  qualità,  che  ho  npeio  la  vita  in  xeruilio 
di  Sita  Maettàt  ia  diffem  di  ffuesto  Hata,  nato  da  huomini  che  hanno 
fatto  tiitegio,  haueuo  io  da  fare,  né  da  pensar  cosa  che  a  loro,  né  a 
me  portaste  tanta  nota  et  infamia?  et  tomo  a  dire  che  questo  è  falso, 
et  è  la  ptìt  grande  impostara  che  ad  huamo  sij  mai'Stala  falla. 

Fa  piacere  il  seotir  i'ianoceiiEa  sdegnata  parlare  un  tal  linguaggio; 
ma  fa  orrore  il  raiumeutarai  l' innocenza,  davanti  a  quegli  uomini 
slessi,  spavenlala,  confusa,  di:>perala,  bugiarda,  calunniatricc;  l'in- 
nocenza imperterrita,  costante,  veridica,  e  condannala  ugualmente. 

Il  Padilla  fu  assolto ,  non  si  sa  quando  per  1'  appunto ,  ma  sicura- 
mente più  d'un  anno  dopo,  poiché  l'ultime  sue  difese  furono  pre- 
senlalc  nel  maggio  dot  lesa.  E,  certo,  1' assolverlo  non  fu  grazia; 
ma  i  giudici,  s' avvidero  che,  con  questo,  dichiaravano  essi  medesimi 
tOgiiule  tutte  le  loro  condanne?  giacché  non  crederei  che  ee  ne 
fliuM»  stale  altre,  dopo  quell'assoluzione.  Riconoscendo  che  il  Padilla 
non  aveva  punto  dato  danari  per  [Kigar  le  sognate  unzioni,  si  rammcn- 
laron  degli  nomini  che  avcvan  condannati  per  aver  ricevuto  danari 
da  lui,  per  questo  motivo?  Si  rammentarono  d'aver  detto  al  Mora  die 
una  tal  elione  ha  più  del  i?ensiMÌle che  non  è  per  hauer  occa- 
sione di  vendere,  lui  CoiMiluto  il  tuo  elettuario^  et  il  Commissario 
d'hautr  iw)do  di  più  lauorare?  Si  rammentarono  che,  nell'esame 
seguente,  persìstendo  lui  a  negarla,  gli  avevan  dello  c/te  si  troua 
pure  essere  la  verità?  Che  avendola  negala  ancora,  nel  eoufronlo  col 
Piazza,  gli  avevan  dala  hi  tortura,  i»crchè  la.  confessasse,  e  un'altra 
tortura,  perchè  la  confessione  estorla  dalla  priuia  di\'enlasse  \alida? 
Che,  d'allora  in  poi,  tutto  il  processo  era  camminalo  su  quella  sup- 
posizione? Ch'  era  slata  espressa,  solliiilcsa  in  lulle  le  loro  interro- 
gazioni, confermala  in  tutte  le  risposte,  come  la  cagione  finalmente 
scoperta  e  riconosciuta,  come  la  vera,  I'  unica  cagiun  del  delitto  deF 
Piazza,  dei  Mora,  e  poi  degli  altri  condannati?  Che  la  grida  pubbli- 
cala, pochi  giorni  d0|M)  U  supplizio  di  que'  due  |irinii,  dal  gran 
cancelliere,  col  parer  del  senato,  li  diceva  "arriuati  a  stalo  tale 
d'empietà,  dì  tradir  per  danari  la  propria  Palria?  n  E  vedendo 
Gnalawnte  avanir  quella  cagione  (  giacche  nel  processo  non  »'  era 
niai  fatto  menzione  d'  altri  danari  che  di  quelli  del  Padilla  ),  pen* 
saroQO  che  del  delitto  non  rimanevano  altri  argomenti  clic  con- 
fessioni, oltcnule  Della  maniera  che  loro  sapevano^  e  ritrattate  Ira  i 


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sacrameDli  e  la  morte?  confeasicHir,  prima  io  eonlradisìon  Ira  loro,  e 
ormai  scoperte  in  eoDtradizion  col  tallo?  Assolvendo  insomma,  come 
innocente,  il  capo,  conobbero  che  avevaa  condannati,  come  complid, 
degl'  innocenti? 

Tutt' altro,  almeno  per  quel  che  comparve  io  pubUieo:  il  monn- 
menlo  e  la  sentenza  rimasero  ;  i  padri  di  famiglia  die  la  sentena 
aveva  condannali,  rimasero  infami;  i  figli  che  aveva  resi  co»  atro- 
cemente orfani,  rimasero  legalmente  spogliali.  E  in  quanto  a  qoeUo 
che  sia  passato  nel  cuor  de'  giudici ,  chi  può  saliere  a  qaaU  nuovi 
argomenti  ^a  capace  di  resistere  un  inganno,  volontario,  e  già  aggunr* 
rito  contro  l'evidenza?  E  dico  un  inganno  divenuto  più  caro  e  prezioso 
che  mai;  giacché,  se  prima  il  riconoscerli  innocenti  era  per  que'  giu- 
dici un  perder  l'occasione  di  condannare,  ormai  sarebbe  stalo  m 
trovarsi  terribilmente  colpevoli  ;  e  le  frodi,  le  violazioni  della  legge, 
che  sapevano  à'  aver  commesse ,  ma  che  voleva»  creder  giusUfiotc 
dalla  scoperta  di  così  empi  e  funeri  malfattori,  non  solo  sarebbero 
ricomparse  nel  loro  nudo  e  laido  aspetto  di  frodi  e  di  violazioni  della 
legge,  ma  sarcbbei'o  comparse  come  produttrici  d'  un  orrendo  aastS" 
sìnìo.  Un  inganno  fìnalmcnlc,  mantenuto  e  fwliGcalo  da  uu'  autorità 
sempre  potente,  benché  spesso  fallace,  e  in  quel  caso  stranamente  il- 
Insorìa,  poiché  in  gran  parie  non  era  fondala  die  su  quella  de'  giudìd 
medesimi':  voglio  dire  1'  autorità  del  pubblico  che  lì  prodamava  sa- 
pienti,  zelanti,  (orli,  vendicatori  e  difensori  della  patria. 

La  colonna  infame  fu  atterrata  nd  177S;  nd  1803,  fu  sullo  spazio 
rifabbricala  una  casa  ;  e  in  queir  occasione,  fu  anche  demolilo  il  ca- 
valcavia ,  di  dove  Caterina  Rosa, 

l/inrernil  óva  che  alla  velellfl  slam  ", 

intonò  il  grido  della  carnilldiia  :  sicché  non  e'  è  {hù  nulla  che  ram- 
menti, né  lo  spaventoso  effetto,  né  la  miserabile  causa.  Allo  sboooo 
di  via  della  Vetra  sul  corso  di  porta  Tidnese ,  la  casa  die  fa  can- 
tonata, a  sinistra  di  chi  guarda  dal  eorso  medesimo,  occupa  lo  spaiìo 
dov'era  quella  del  povero  Mora 

Vediamo  ora,  se  il  lettore' ha  la  bontà  di  seguirci  in  quest'ultima 
ricerae,  come  un  giudìzio  temerario  di  colei,  dopo  aver  tanto  potuto 
cui  tribunali,  abbia,  per  loro  mezzo,  regnato  anche  ne' libri. 

*  Curo,  (rad.  dell'  F.nclile,  tib.  VU. 


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DELLi  COLONNA  INrAHB. 


ra  i  moUi  scrillori  conleiii|)oranet  all' avvenimento, 
^  scegliamo  il  solo  che  non  sia  oscuro,  e  che  non  n'ab- 
'  bia  parlalo  a  seconda  affatto  della  credenza  comune , 
,  Giuseppe  Ripamonti,  già  tante  volte  cllato.  E  ci  par 
'  che  possa  essere  un  esempio  curioso  della  lirannia  die 
un'  opinion  dominante  esercita  spesso  sulla  parola  di 
quelli  di  cui  non  ha  potuto  assoggettar  la  mente.  Non  solo  non  nega 
espressamente  la  reità  di  quegi'  infelici  (né ,  fino  al  Verri,  d  fu  chi  lo 
facesse  in  uno  scritto  destinato  al  pubblico);  ma  pare  più  d'  una  volta 
che  la  voglia  espressamente  affermare;  giacché,  parlando  del  primo 
iiiierrogalorio  dd  Piazza ,  chiama  "  malizia  «  la  sua ,  e  «  avvedu- 
tezza «  quella  de' giudici;  dice  che,  "cou  le  molte  conlradizioni,  pale- 
sava il  delitto,  nell'atto  die  %'oleva  negarlo;»  del  Mora  dice  parimenti, 
che,  «  fin  che  potè  reggere  alla  tortura ,  negava,  al  solito  di  tutti  i 
rei,  e  che  finalmente  raccontò  la  cosa  com'  era  :  expoiuit  omnia  cum 
fide.  r>  E  nello  stesso  tempo ,  cerca  di  fare  intendere  il  contrario , 
accennando,  timidamente  e  di  fuga,  qualche  dubbio  sulle  circostanze 
più  importanti;  dirìgendo,  con  una  parola,  la  riflession  de)  lettore  al 
punto  giusto;  mettendo  in  lioeca  a  qualche  iaiputalo  parole  pili  alle 
a  dimostrar  la  sua  innocenza,  di  quelle  che  aveva  sapute  trovar  lui 
medesimo;  mostrando  finalmente  quella  compassione  che  non  sì  prova 
se  non  per  gl'innocenti.  Parlando  della  caldaia  trovata  in  casa  del 
Mora,  dice:  »  fece  principalmente  grand'  impressione  una  cosa  forse 
innocente  e  acddentale,  del  resto  schifosa,  e  die  poteva  parer  qual- 
cosa di  quello  che  si  cercava.  »  Parlando  del  primo  confronto  ,  dice 
elK  il  Mora  «  invocava  la  giustizia  di  Dìo  contro  una  frode,  conti-o 
una  maligna  invenzione ,  contro  un'  insidia  nella  quale  si  poteva  far 
cadere  qualunque  innocente,  n  Lo  chiama  «  sventurato  padre  di  fami- 
glia, che,  senza  saperlo,  portava  eu  queir  infausto  capo  l' infamia  e  ta 
rovipa  sua  e  de*  suoi.  »  Tulle  le  riflessioni  che  abbiamo  esposte  jmkhi 
fa,  e  quelle  dì  più  chesiposson  fare,  sulla  contradizion  manifesta  tra 
l' assoluzìon  del  Padilla ,  e  la  condanna  degli  altri ,  il  Ripamonti  le 


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accenna  con  un  vocabolo:  «  gli  untori  furon  punìlj  àò  non  ostante:  un- 
ctores  puniti  tamea.  i  Quanto  non  dice  quell'avverbio,  o  congiunzione 
che  sia!  E  agigiungc:  ••  la  città  sarebbe  riniuslu  inorridita  di  quella 
mostruosità  di  suppliti ,  se  tutto  non  fosse  parso  meno  del  delillo.  n 


Ma  il  lu<^o  dove  fo  intender  più  cliiaramente  il  suo  seDliniento,  è 
dove  prol^ta  di  non  volerlo  dire.  Dopo  aver  raccontalo  vari  casi  di 
IHtrsune  cadute  in  sospetto  d'untori,  senza  cbe  ne  seguissero  processi, 
"  mi  trovo,  »  dice,  "  a  un  passo  diffìcile  e  pericoloso,  a  dover  di- 
chiarare se,  oltre  quelli  cosi  a  torto  predi  per  untori,  io  creda  die 
d  siano  stali  untori  davvero ...  Né  la  difìicoltà  nasce  dall'  incortezu 
della  eoaa,  ma  dal  non  essermi  lasciata  la  libertà  di  far  quello  cbe 
pur  si  pretende  da  ogni  scrittore,  cioè  eli'  esprima  i  suoi  veri  senti- 
menti.  Cile  scio  dicessi  die  non  ci  furono  untori,  che  senza  ragione 
bi  va  a  iininagiaar  malizia  degli  uomini  in  ciò  che  fu  punizion  di,Dio, 
si  griderebbe  subito  che  la  storia  ù  empia,  die  l'autore  non  rispetta 
lui  giudizio  solenne.  Tanto  l'opinioo  contraria  è  radicata  uelle  menti. 


Diiìitizf^riiiy  Google 


DELLA  COLONNA  I^FAME.  «bb 

e  la  plebe  credula  ai  solilo,  e  la  nobillà  superba  son  pronti  a  difen- 
derla) come  quello  che  possano  aver  di  più  caro  e  di  più  sacro.  Met- 
tersi in  guerra  con  tanti,  sarebbe  un'impresa  dura  e  inutile;  e  i>er  ciò, 
senza  negare,  né  afTcrmare,  né  pender  più  da  una  parte  che  dall'altra, 
mi  ristringerò  a  riferir  l'opinioni  altrui*.  «  Chi  domandasse  se  non  sa- 
rebbe slata  cosa  più  ragionevole,  come  più  facile,  il  non  parlarne  af- 
fatlo,  sappia  che  il  Ripamonti  era  isloriografo  della  città  ;  cioè  uno  di 
quegli  uomini,  ai  quali,  in  qualche  caso,  può  esser  comagdatp  e  proi- 
bito di  scriver  la  storia. 

Un  altro  isloriografo ,  ma  in  un  campo  più  vasto.  Balista  Nani , 


veneziano,  che  in  questo  caso  non  poteva  esser  condotto  dà  nessun 
riguardo  a  dire  il  falso,  fu  condotto  a  crederlo  dall'autorità  d'un'iscrl- 
zionc  e  d'un  monumento.  «  Se  ben  veramente,  »  dice ,  u  l' imma^- 
nazione  de'  popoli,  alterata  dullo  spavento,  molte  cose  si  flgurava,  ad 
ogni  modo  il  delitto  fu  scoperto  e  punito ,  stando  ancora  in  Milano 
r  iscrizioni  e  le  memorie  degli  edifici  abbattuti ,  dove  que'  mostri  si 


'  Pag.   : 


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congregavano  *.  "  Chi,  non  conoscendo  allro  di  «quello  scridore,  pren- 
desse questo  ragionamento  per  misura  del  suo  giudizio,  s'ingannerebbe 
di  molto.  In  varie  ambascerie  imporlanli ,  e  in  varie  caridic  dome- 
sliche,  aveva  avuto  campo  di  conoscer  gli  uomini  e  le  cose;  e  dà 
prova  nella  sua  storia  d'esserci  non  volgarmente  riuseilo.  Ma  j  giu- 
dizi criminali,  e  la  povera  gente,  quand'è  poca,  non  sì  riguardano 
come  materia  propriamente  della  storia;  sicché,  non  c'è  da  maravi- 
gliarsi ctie,  occorrendo  al  Nani  di  parlare  incidentemente  di  quel  bllo, 
non  ci  guardasse  tanto  per  la  minuta.  Se  alcuno  gli  avesse  citata  un' 
altra  colonna,  e  un'altra  iscrizione  di  Milano,  come  prova  d'une  scon- 
fitta ricevuta  da'  veneziani  (  sconfìtta  tanto  vera,  quanto  il  delitto  di 
que'  mostri) ,  certo  il  Nani  si  sarebbe  messo  a  ridere. 

Fa.  più  maraviglia  e  più  dispiacere  il  trovar  lo  slesso  argomento  e 
gli  stessi  improperi ,  io  uno  scritto  d'  un  nomo  mollo  più  celebre ,  e 
con  gran  ragione.  Il  Muratori,  nel  u  Trattato  del  governo  della  peste,  « 


dopo  avere  accennato  diverse  storie  di  quel  genere,  «ma  nessun  ca- 
so, n  dice,  u  è  più  rinomato  di  quel  di  Milano,  ove  nel  contagio  del 
1630,  furono  prese  parecchie  persone,  che  confessarono  un  si  enorme 
delitto,  e  furono   aspramente  giustiziate.  Ne  esiste  tuttavia  (e  l'ho 

'  ^ani,  HlsIorFa  vcnelu;  parie  1,  llli.  vni.  Venezia,  LovUa,  ITIO,  pag.  (:s. 


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DELLA  COL0^NA  IKFAUC.  BUI 

veduta  anch'io)  la  Tunesta  memoria  nella  Colonna  infitine  posta  ov'  era 
la  casa  (li  quegli  inumani  carnefici.  Il  perchè  grande  alteozion  ci  vuole 
affinchè  non  si  rinnovassero  più  simili  esecrande  scene.  »  E  quello 
che ,  non  to^e  il  dispiacere ,  ma  lo  muta,  è  il  *veder  die  la  persua- 
sione del  Muratori  non  era  cosi  risoluta  come  queste  sue  parole.  Che, 
venendo  poi  a  discorrere  (e  si  vede  che  è  ciò  che  gli  preme  dav- 
véro) de^  mali  orrìbili  che  posson  nascere  dai  figurarsi  e  dal  credere 
(ali  cose  sensa  fondamento ,  dice:  «  si  giunge  ad  iippri(^onar  delle 
pelane,  e  per  forza  di  tormenti  a  cavar  loro  di  bocca  la  confession 
di  delitti  ch'eglino  tane  non  avranno  mai  commesso,  con  far  poi  dì 
loro  un  miserabile  scempio  sopra  i  pubblici  patìboli.  »  Non  par  egli 
che  voglia  alludere  ai  nostri  disgrasiatì?  E  quello  che  lo  fa  creder  di 
pia,  è  che  attacca  subito  con  quelle  parole  che  abbiam  gi&  citate  nello 
scritto  antecedente,  e  che,  per  esser  poche,  trascrìviam  qui  di  nuovo  : 
«  Ho  trovato  gente  savia  in  Milano,  che  aveva  buone  relazioni  dai 
loro  maggiori ,  e  non  era  mollo  persuasa  che  fosse  vero  il  fotto  di 
qu^H  unti  velenosi,  i  quali  si.  dissero  sparsi  per  quella  citti ,  e  fe- 
cero tanto  strepito  nella  peste  del  leso  *.  «  Non  si  può,  dico,  fare  a 
meno  di  non  sospettare  che  il  Muratori  credesse  piuttosto  scioodie 
fovole  quelle  che  chiama  «  esearande  scene,  »  e  (ciò  che  è  più  grave) 
innocenti  assassinali  quelli  che  chiama  «  inumani  carnefici.  «  Sarebbe 
uno  di  que'casi  tristi  e  non  rari,  in  cui  uomini  tult' altro  che  indi- 
nati  a  mentire,  volendo  levar  la  forza  a  qualdie  errore  pernicioso, 
e  temendo  di  far  peggio  col  combatterlo  di  fronte,  hanno  creduto 
bene  di  dir  prima  la  bugia ,  per  poter  poi  insinuare  la  verilji. 

Dopo  il  Muratori,  troviamo  uno  scrittore  più  rinomato  di  lui  come 
storico  ,  e  (ciò  che  in  un  fatto  di  questa  sorte  parrebbe  dover  ren- 
dere il  suo  giudizio  più  degno  d'  osservazione  di  qualunque  altro  ) 
storico  giureconsulto,  e,  come  dice  di  sé  medesimo,  «  più  giurecon- 
sulto che  politico  ",  ••  Pietro  Giannone.  Noi  però  non  riferiremo 
qoesto  giudizio,  perchè  è  troppo  poco  che  l'  abbiam  riferito  ;  è  quello 
del  Nani  che  il  lettore  ha  veduto  poco  ta,  e  che  il  Giannone  ha  co- 
piato, parola  per  parola,  citando  questa  volta  il  suo  autore  appiè  di 
pagina  ". 


I  tib.  I,  up.  X. 

■  Istoria  Civile,  e(e.  Introduiione. 

8  Ittorla  Civile,  IJb.  XxXV'i  ^P-  * 


Dighzodo.GoO^'^Ie 


Dico:  questa  volta;  perchè  il  copiarlo  die  ba  fatto  senza  eitario, 
è  cosa  degna  d'esser  notata,  se,  come  eredo,  non  \o  fu  ancora  *.  Il 
racconto,  per  esempio,  della  sollevazione  delta  Catalogna,  e  della  rìv(du- 
zione  del  Portogallo,  nd  1640,  è,  nella  storia  del  Giannone,  frascriUo  da 
quella  del  Nani,  per  più  di  sette  pagine  in  4.**,  con  poehissiine  omissioDi, 
0  aggiunte,  o  varìasioni,  la  più  considembile  delle  quali  è  d'avo*  diviso 
in  capitoli  e  in  capoversi  un  testo  elte  nello  scrìtto  originale  andava 
tulio  di  seguilo  f .  Ma  chi  mai  s'iftimagiQerebbe  che  l'avvocato  napole- 
lano,  dovendo  raccontare  altre  sollevazioni,  non  di  Barcellona,  né  di 
Lisbona,  ma  quella  di  Palermo,  del  1647,  e  qudla  di  Napoli,  contempo- 
ranea e  più  celebre,  per  la  singolarità  e  per  rimporlansa  degli  avveni- 
menti, e  per  Masaniello,  non  trovasse  da  far  meglio,  né  da  tar  più  die 
di  prendere,  non  i  materiali,  ma  la  cosa  beli' e  fatta,  dall'opera  del  cava- 
liere e  procurator  di  san  Marco  7  Chi  l' anderebbe  a  pensare  soprat- 
tutto dopo  aver  lette  le  parole  con  le  quali  il  Giannone  entra  in  quel 
racconto  ?  e  son  queste:  u  Gli  avveninmiti  infelici  di  queste  rivolu- 
zioni sono  stali  descritti  da  più  autori:  alcuni  gli  vollero  br  credere 
portentosi ,  e  fuor  del  corso  della  natura  :  altri  con  troppo  sottili 
minuzie  distraendo  i  leggitori,  non  ne  fecero  rettamente  concepire  le 
vere  cagioni,  i  disegni,  il  proseguimento,  ed  il  fine:  noi  pò-  ciò,  se- 
guendo gli  scrittori  fiù  seri  e  prudenti ,  gli  ridurremo  alla  )or  giu- 
sta e  naturai  positura.  »  Eppure  ognuno  può  vedere,  tacendo  ilcon- 
fronto,  eome,  subito  itopo  queste  sue  parole,  il  Gtannone  melta  mano 
a  quelle  del  Nani  *,  frammisctHandoci  ogni  tanto,  e  specialmeata  sul 
principio,  qualcheduna  delle  sue,  facendo  qua  e  U  qualdie  camlùa- 
mento,  alte  vdte  per  necessità,  e  nella  stessa  mauìera  che  uno,  il  qual 
compri  biancberia  usala,  leva  il  segno  dell'antico  padrone,  e  ci  mette  il 
suo.  Così,  dove  il  veneziano  dice:  «ip  quel  regno,»  il  napoletano  so- 
stituisce:  H  in  questo  regna;  •  dove  il  contemporaneo  dice  che  vi 


1  II  rabronl(VIlK  Italonim,  etc.,  Petras  lannonlua)  efta  rome  MrìltOrl  dal  quii 
Il  dannane  «  ha  preao  1  paul  Interi,  Invece  di  ricorrere  al  documeatl  origtnaU,  e 
■enia  conreiMrìo  ichiettameDle ,  Il  Cosiamo,  Il  Summonte,  Il  Parrìno,  e  priDCipal- 
menle  11  Bufllerh).  n  Uà  par  diMclle  che  da  quesL'  ulllnw  (che  nOD  abblan  potuto 
Iromr  chi  ala)  prendi  più  che  dal  CoslaDio,  del  quale  ,  «  Se  al  principio  risponde 
li  One  e  II  meiiD,  »  deve  avere  intarsiala  meni,  a  dir  poco,  la  storia  nella  waj  e 
piò  che  dal  Parrtao,  del  quale  dovremo  dir  qualcosa  or  ora. 

a  Giannone,  Ist.  Clv.  lib.  XXXVI,  cap.  V.  e  II  primo  capoverso  det  VI.  —  Dui, 
Hist  Ven.  parie  I,  lib.  XI,  pag.  om-sti  dell' edlilone  diala. 

s  Giannone,  lib.  XXXVli,  op.  n,  ni  e  iV.  —  Nani,  parie  li,  lib.  IV,  ptg.  I4«>iit. 


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DELLA  COLOKNA  INFAME.  ti» 

B  restano  I«  fazioot  quasi  che  intiere ,  «  il  postero ,  che  vi  «  resta- 
vano ancora  le  reliquie  dell'antiche  razioni.»  É  vero  che,  oltre  que- 
ste piccole  aggiuole  o  variazioni,  si  trovano  anche  in  qael  lungliis- 
sìmo  squarcio,  come  pezzi  messi  a  riinendo,  alcuni  brani  più  estesi, 
che  non  son  del  Nani.  Ma,  cosa  veramente  da  non  credersi,  son  presi 
da  un  altro  quasi  tutti,  e  quasi  parola  per  parola:  è  roba  di  Domenico 
Parrìno  *,  scrittore  (alla  rovescia  di  malt' altri)  oscuro,  ma  letto  mollo, 
e  fora'  anehe  più  di  quello  che  sperava  lui  medesimo,  se,  in  Italia 
e  Taori ,  è  ietta  quanto  lodata  la  «  Storta  civile  del  regno  di  Napoli,  » 
cbe  porta  il  nome  di  Pietro  Giannone.  Che ,  senza  allontanarci  da 
que'  due  periodi  di  storia  de'  quali  s'  è  fatto  qot  menzione,  se,  dopo 
le  sollevazioni  catalana  e  portt^hese,  il  Giannone,  trascrìve  dal  Nani 
la  cadala  del  favorito  Olivares,  trascrive  poi  dal  Parrìno  il  richiamo 
del  duca  di  Medina  viceré  di  Napoli ,  che  ne  fu  la  conseguenza ,  e  1 
ritrovali  di  questo  per  cedere  il  più  tardi  che  fosse  possibile  il  posto 
al  successore  Enriquez  de  Cabrerà.  Dal  Parrino  ugualmente,  in  gran 
parte,  il  governo  di  questo^  e  poi  dull'  uno  e  dall'altro,  a  intarsiatura, 
il  governo  del  duca  d"  Arcos,  per  lutto  quel  tempo  che  precedette  le 
sollevauoni  di  Palermo  e  di  Napoli ,  e  come  abbiam  detto ,  il  pro- 
gresso e  la  fine  di  queste,  sotto  il  go^'crno  di  D.  Giovanni  d'Austria, 
e  del  conte  d'Oùatle.  Poi  dal  Parrino  solo,  sempre  a  lunghi  pezu,  o 
a  pezzettini  frequenti,  la  spedinone  di  quel  viceré  contro  Piombino  e 
Portolongone;  poi  il  tentativo  del  duca  di  Guisa  contro  Napoli;  poi  la 

*  Teatro  eroico  e  politico  de'  governi  de'  viceré  del  regno  di  HapoU ,  eie.  Na- 
poli ,  18».  tom.  S,';  Duca  d'  Arcos.  Il  leilo  del  Naai  corre  ,  con  pochissimi  e 
minull  cimblaoienli,  come  abbiam  detto,  per  selle  capoversi  del  Giannone,  1'  ul- 
timo de'  quali  lemlna  con  le  parole:  x  Si  richiedevano,  e  per  lopplire  allrove  ,  e 
per  dJIeadér  II  regno,  grandissime  provvisioni.  »  E  lì  entra  il  Parrino  con  le  parole: 
«  Il  viceré  duca  d'Arcos,  trovandosi  angustiato  dalia  necetilli  dot  danaro,  »  e  via  < 
via,  paucU  ntutalii,  al  solilo,  per  due  capoversi ,  e  per  mezM  circa  li  seguente. 
Dopo ,  rllorna  11  Nani ,  e  va  avanll ,  prima  solo,  per  un  bel  petio  ,  poi  alternalo  , 
e,  per  dir  cosi,  a  scacchi,  col  Parrino.  E  e't  Ano  de'  periodi,  messi  Insieme  bene  o 
male,  ma  con  pezzi  dell'uno  e  dell' altro.  Eccone  un  esempio:  <•  Così  In  un  mo- 
uienlo  s'  esUnse  queir  Incendio  che  minacciava  l'eccidio  al  regno  ;  e  ciò  che  ap- 
portò maggior  maraviglia.  Tu  la  subila  molaiione  deglf  animi,  che  dalle  uccisioni, 
da'  rancori  e  dagli  odj  passarono  immantinente  a  planll  di  lenerejta  ,  ed  a  teneri 
abbraedamenli,  senza  dlslinilone  d'anilci,  o  d'inimici:  (Parrino,  lom.  II,  pag.  4») 
hiorcbè  alcuni  pochi.  I  quali  guidali  dalla  mala  cosclenia,  si  •ottnuero  colla  fuga, 
(util  gli  altri  resUlulli  a'  loro  mestieri,  maledicendo  le  confusioni  passate  ,  abbrac- 
ciarono con  giubilo  la  quiete  presente.  •<  (Nani,  parte  II,  tlb.  IV,  pag.  iht  dell'eàli. 
clL)  Giannone,  llb.  xxxvil,  cap.  IV,  secondo  capoverso. 


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peste  dui  ietto.  Poi  dal  Nani  la  pace  de' Pirenei,  e  dal  Parrino  una 
piccola  appendice  dove  sono  accennali,  gli  effetti  di  essa  nel  regno 
di  Napoli  *. 

Voltaire,  parlando,  nel  «  Secolo  di  Luigi  XIV,  »  de'  tribunali  istituiti 
da  quei  re,  in  Metz  e  in  Brìsac,  dopo  la  pace  di  Niinega,  per  deci- 
dere delle  sue  proprie  pretensioni  sopra  territori  di  stati  vicini,  no- 
mina, io  una  nota,  il  Giannone  con  gran  lode,  com'era  da  aspettarsi, 
ma  per  brgli  una  <»'itica.  Ecco  la  traduzione  di  quella  nota:  <■  Gianooae, 
cosi  celebre  per  la  sua  utile  storia  di  Napoli,  dice  che  questi  Iribu- 
oali  erano  stabiliti  a  Tournai.  Sbaglia  irequeotemente  negli  af&rì  cbe 
non  son  del  suo  paese.  Dice,  per  esempio,  che,  a  Nimega,  Luigi  XIV  fece 
la  pace  con  la  Svezia;  e  in  vece  questa  era  sua  alleata  '.  n  Ma,  lasciando 
da  parte  la  lode,  Ja  critica,  in  questo  caso,  non  è  dovuta  ai  Giannone, 


I  V.  GiMDDue,  lib.  XXXVI,  «ap.  VI,  e  ulllnio}  tutto  11  HI*.  XXXVII,  ebe  bt  seUe 
catriloUì  e  il  preambolo  del  tib.  seg.  —  Nani,  parte  I,  lib.  XII,  pag.  tsb  ;  parìe  II , 
lib.  ni;  IV;  Vili.  ~  Parrino  (.  il,  pag.  ise  e  seg.,  t.  Ili,  pag.  i  e  sef. 

fl  Siede  de  UuÌ9  XIV;  thap.  XVII,  PbIx  de  Hyswlck,  noi.  e. 


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DELLA  COLONNA  INFAME.  8SI 

il  quale,  come  in  tanl' altri  casi,  DOn  fece  nemmeD  la  fatica  di  sba- 
gliare. È  vero  che  nel  libro  dell'  uomo  «  così  celebre ,  »  si  leggono 
queste  parole:  «-Segui  poscia  la  pace  fra  la  Francia,  la  Svezia,  l'impe- 
rio e  l'imperadore;  *  (nelle  quali,  del  rimanente,  non  saprei  se  non  ci 
sia  ambiguità  [unttoslo  die  errore);  e  quest'altre:  »  Aprirono  poscia,  » 
i  francesi,  «due  tribunali,  l'uno  in  Touroay, e  l' altro  in  Metz;  ed  ar- 
rogandosi  una  ^urisdizione  non  mai  udita  nel  mondo  sopra  i  prìncipi 
lor  vicini,  fecero  non  solamente  aggiudicare  alla  Francia,  con  titolo 
di  dipendenze ,  tutto  il  paese  che  saltò  loro  in  capriccio  ne'  confini 
della  Fiandra  e  dell'Imperio,  ma  se  ne  posero  in  via  di  fatto  ìn  pos- 
sessione, costringendo  gli  abitanti  a  riconoscere  il  re  Cristianissimo 
per  sovrano,  prescrivendo  termini,  ed  esercitando  tutti  quegli  atti  dì 
signoria  che  sono  solili  i  principi  di  praticare  co'  sudditi,  n  Ma  son 
parole  dì  «luel  povero  ignorato  Parrìno  ',  e  non  già  stralciate  da  quel 
suo  pezzo  di  storia,  ma  portale  via  insieme  con  esso  :  che  spesso  il 
Giannone,  in  vece  di  slar  li  a  cogliere  un  frutto  qua  e  uno  là,  leva 
l'albero  addirittura,  e  lo  trapianta  nel  suo  giardino.  Tutta,  si  può 
dire,  la  reiazion  della  pace  di  Nimega  è  presa  dal  ParrJno;  come  in 
gran  parte,  e  con  molte  omissioni ,  ma  con  poche  aggiunte,  il  vice- 
regno  in  Napoli  del  marchese  de  los  Veles,  nel  tempo  del  quale  quella 
pace  fu  conclusa ,  e  eoi  quale  il  Parrìno  chiude  la  sua  opera ,  e  il 
Giannone  il  penultimo  tibru  della  sua.  E  probabilmente  (stavo  per  dir 
di  certo),  clii  sì  divertisse  a  farne  il  confronto  intero,  per  tutto  il 
periodo  antecedente  della  dominazione  spagnola  in  Niipoli,  con  la 
quale  comincia  il  lavoro  del  Parrino,  troverebbe  per  tultu,  quello  clic 
noi  abbiam  trovato  in  varie  parti,  e,  se  non  m'inganno,  senza  veder 
mai  cilalo  il  nome  di  quel  tanto  saccheggialo  scrittore  *.  Cosi  dal 
Sarpi ,  senza  citarlo  pmito,  prende  il  .Giannone  molli  brani ,  e  tutta 
l'orditura  d'una  sua  digressione  =>;  come  mi- fu  fatto  osservare  da 
una  dotta  e  gentile  persona.  E  chi  sa  quali  àllri  furti  non  osservati 
di  costui  potrebbe  scoprire  chi  ne  facesse  ricerea;  ma  quel  tanto  die 


I  dannane,  Ub.  XXXIX,  cap.  ultimo,  pag.  461  e  las  del  I.  IV,  Napoli ,  Niccolo 
Naso,  1193.  —  Parrtoo,  U  HI,  pag.  imi  e  bst. 

1  Fu  poi  c[li1o  spesso  ippiè  di  pagina  la  qualclie  ediiione  lalla  dopo  la  morie 
dei  GiaoDoaei  ma  il  lettore  che  dod  ne  «a  altro,  deve  liumaglnBrsi  che  ala  eilalo 
come  teiUmonlo  de' Tatti,  non  come  autore  del  leilo. 

3  Sarpi,  Discorso  deli'  orlfine  ,  atc.  deli'  OIOiId  dell'  Irniulslsione  ;  Opere  varie, 
Uelmslat  (Venezia)  t.  I ,  pag.  340.  —  tilaimoDe,  IsL  Civ.  ilb.  XV,  cap.  ultimo.' 


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abbiain  veduto  d'ao  tal  prendere  da  altri  scrillori,  non  dico  la  soelta 
e  l'ordine  de' fatti,  Don  dice  i  giudizi,  l'osservazioni,  Io  spirilo,  ma 
le  pagine,  i  capitoli,  i  libri,  è  sìoaramenle,  in  uà  autor  famoso  e  lo- 
dato, quel  che  si  dice  un  fenomeno.  Sia  stata ,  o  sterilità ,  o  pigriua 
di  mente,  fu  certamente  rara,  come  fu  raro  il  coraggio;  nu  unica  la 
felicità  di  restare ,  am^e  con  tutto  ciò  { Un  che  resta  ) ,  un  gran- 
d'  uomo.  E  questa  circostanza ,  insieme  con  1'  occasione  cbe  ce  oe 
dava  l'argomento,  ci  faccia  perdonare  dal  benigno  lettore  una  digres- 
sione, lunga,  per  dir  la  verità,  in  una  parte  accessoria  d'un  pic- 
colo scritta 

Chi  non  conosce  il  frammento  del  Parinì  sulla  coIoana  infame?  Ma  chi 
non  si  maravigUereUie  di  non  vederne  fatta  menzione  in  questo  luogo  ? 


Ecco  dunque  i  pochi  ver^i  dì  qu(;l  fiaminciito,  ne'  quali  il  cclcbit; 
poeta  fa  pur  troppo  eco  alla  moltitudine  e  all'  iscrizione  : 


Diiìitizf^diiyGoOgle 


DELLA  COLONNA  1NFAHB.  MS 

'  Quando,  Ira  fili  caie  e  io  tneiao  a  poche 
l\oTÌiie,  i' vidi  igDobil  fnaua  aprirsi. 
Quivi  romita  aoa  colonna  sorge 
In  fra  l'erbe  iafeconde  e  i  mmì  e  il  leiEo, 
Or''  aotn  mai  non  penetra ,  però  cb'  indi 
Geoio  propiiio  all'  insubre  cìtlade 
Ognao  rimore,  allo  gridando;  langi, 
O  buoni  cittadJD,  limgi ,  che  ti  suolo 
Miserabile  infame  non  *' Infelli  *. 

Era  questa  veramenle  l' opinion  del  Parini  1  Non  si  sa  ;  e  l' averla 
espressa,  cosi  affet^atìvatnente  bensì,  ma  in  versi,  non  ne  sarebbe 
un  argomento;  perchè  allora  era  maasimB  ricevuta  cbe  i  poeti  aves- 
sero il  privilegio  di  profltlar  di  tutte  le  credenze,  o  vere,  o  foise,  le 
quali  fossero  alle  a  produrre  un'  impressione,  o  forte,  o  piacevole.  II 
privilegio!  Mantenere  e  riscaldar  gli  nomini  nell'errore,  un  privile- 
gio !  Ma  a  questo  si  rispondeva  che  un  tal  inconveniente  non  poteva 
nascere,  percìié  i  poeti,  nessun  credeva  che  dicessero  davvero.  Non 
c'è  da  replicare:  solo  può  parere  strano  che  i  poeti  fossero  coDlenli 
del  permesso  e  del  motivo. 

Venne  finalmente  Pietro  Verri,  il  primo,  dopo  cento  quaranta- 
seti'  anni ,  che  vide  e  disse  chi  erano  stali  i  veri  carnefici ,  il  primo 
che  richiese  per  degi'  innocenti  cosi  barbaramente  trucidati ,  e  cosi 
stolidamente  abborrìti,  una  compassione,  tanto  più  dovuta,  quanto 
più  larda.  Ma  che?  le  eui  «  Oss^vazioni,  »  .scrìtte  nel  1777,  non 
furon  pubblicate  die  nel  1804,  con  altre  sue  opere,  edile  e  inedile, 
nella  raccolta  degli  «Scrittori  chtssieì  italiani,  d'economia  politica.» 
E  1"  editore  rende  ragione  di  questo  ritardo,  nelle  i  Notizie  »  pre- 
messe all'opere  suddette,  a  Si  credette,»  dice,  «dw  T estimazione 
del  senato  potesse  reslar  macchiata  dall'antica  infamia.  "  Effetto  comu- 
nissimo, a  qae'  tempi',  dello  spirito  di  corpo,  per  H  quale,  ognuno, 
piutlosto  che  concedere  che  i  suoi  predecessori  avessero  Dallato,  di- 
ceva suoi  anche  gli  spropositi  che  non  aveva  fatti.  Ora  un  tale  q»rlto 
non  troverebbe  1'  occasione  d'estendere  tanto  od  passato,  giacdiè,  in 
quasi  tulio  il  conUnente  d' Europa  ,  i  corpi  son  di  data  recente,  meno 
pochi ,  meno  uno   soprattutto ,  il  quale,  non  essendo  stato  istituito 


.yGóogle 


•g(  STORIA   DKLLA  COLONNA  IHFAUE. 

dagli  uoiuìdì,  non  può  essere  né  abolito,  né  surrogalo.  Oltre  di  ciò, 
questo  spirito  è  combatluto  e  indebolito  più  cbe  mai  dallo  sfurilo  d'in- 
dividualità :  r  io  si  crede  froppo  ricco  per  accattar  dal  noi.  E  in  questa 
parte,  è  un  rimedio;  Dio  d  liberi  di  dire  :  in  tutto. 

A  ogni  Diodo ,  Pietro  Verri  non  era  uomo  da  sacrificare  a  un 
rignardo  di  quella  sorte  la  manifestazione  d'  una  verità  resa  idipor- 
tanto  dal  eredito  io  cui  era  l'errore,. e  più  ancora  dal  fine  a  cui  in- 
tendeva di  farla  servire;  ma  e'  era  una  circoslanza  per  cui  il  riguardo 
diveniva  giusto.  Il  padre  dell'  illustre  scrittore  era  presidente  del 
senato.  Cosi  è  avvenuto  più  volte,  che  anche  le  buone  ragioni  abbìan 
dato  aiuto  alle  cattive,  e  che,  per  la  forza  dell'  une  e  dell'altre,  ana 
verità,  dopo  aver  tardato  un  bel  pezzo  a  nascere,  abbia  dovuto  ri- 
manere per  uo  altro  pezzo  nascosta. 


Digitizf^riiiyGODgle 


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