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Art/C.-p^. 3t. la^o
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' I
I
: I
I PROMESSI SPOSI
STORIA MIUNESE DEL SECOLO XVIl
SCOPERTA I! RIHArrA
ALESSANDRO MANZONI.
KDIZIONE RIVEUt'TA IIALL'AVTORK
s r 0 u 1 A
DELLA
COLOINNA INFAME
MILANO
DALLA TIPUCHAFIA GUGLISLMIM E KEDAELLI.
1840
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a prevenir «lizlonc :
tcglianli liggi !• «Il
vi'dut». e r.-ifiiicniliri' indilla *iiiio pnslr snilo In lufclu delle
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IiN^ROl)(IZIO^F,.
'hMuria tiiìuà
rcfameHh dcf-
liiiirrtnotiurr-
I raillutfrrroH-
Irò il Tempo,
j.n-ché toglie»'
I iluIhUmanogl'
anni iiioì pri'
ijioHìeri, ami
già falli tadautti, li rìehiama in vlla,
ti pasta in ttuiegHa, t ti tchiera <li iiuoio
in òattaglia. Ma gt'iltutlri Campioni che
III mi Aninfio fiumo meue lU l'alme e
il' Alluri . raiti$cono tota che Ir mie ipo-
f/lic più tfarzote e bi-illanli, imbalui'
manila m' loro iuchioilri le Int/ireie ile
Prcncipì e l'olenliili , e qualìfleali Pcr-
tomujgj , e traponlando eoli' <ujo finiui-
mo dell' intfegno i fili d'oro e di Kla, ehr
formano un perpetuo ricaaio di bilioni
gloriate, l'ero alla mia debolezza non è
leeito tolleuarti a lai' argomenti , e imbli'
mila perieoloie, con aggirarli Ira Labi-
rinti de' Politici maneggi, et il rimbombo
de' bellici Oriealehì: toh che hanrndo ha-
uulo notula di falli memorabili, te ben
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mnioDUZiuNE.
capilorno a g«nle nuxciiniche , e Ai pie-
col affare, mi accingo di liuclarne »iemo-
ria a Poilert, con far di lutto tchìella e
nfuuiiiaiiieHle il Baceonto, ouuero $ia Ite-
ialiom. Sella quale ti tedrà in angmlo
lialro lullttOK Traggedic d'horrori, e
Scene dimalvaggilà grandioia, con ialer-
«iczì d'Itnprete vlrltiott e buonlà aniieUclie,
oppoile alle t^ralìoHi dii^jolielie. E cerit-
tiieHle,eoiaideramlo che queÉlinntl ri climi
tijno totlo P uniparo del He Callolico iio-
nlro Signore, che è qiietSole che mai Ira-
monta, e che topra di essi, con riflciio
Litme,qualLii»iigiaittaicalaule,riiiylenda
I' ller«: ,'\i nobii Protofiia che pm tempore
ne licml^^^4»e parli, e gP .1u^tlit»iini Sc-
milori qiittliSMIc /Ute, e ql'nllri S/>elhi-
liili Mt^i^rali qnaP erranti Piiuielitpan-
ilina la luce /ler ugni doue, veneiulo coti
a formare iin nobìlluimo Cielo, altra caa-
tritf .ùHor HOH» può del cederlo trama-
i-ilo in inferno d'alti teiiebroti, iiialcag-
gilà e tecilie che diigl' huomini leinerarij
lì tantto ttuUiplieatulo , k non te arte e
faUnradinMieo, alleiptlK Chumana ma-
li'im per $è tola ÒMhir non doureltlx a
rwtitlert a ItuUi Utrai, che con ocehij
iVArgo e braeejdi Briareo, ti vanno Iraf-
/kando per li ptMliei emoluinenli. Per
loccliè deterittendo quello Racconto auue-
nulo tic' tempi di mia verde ilaggione ,
aòbenehé la pia pwte delle pertone che vi
rappresentano le loro partì, tIjno iparile
dalla Scena del Mondo, con i-enderii tri-
tnitofij delle Parche, pure per degni ri-
ipttli, li lacera li loro rumi, cioè la ;u-
/■enlela, et il luedeino ti farà di^ laoehl,
nolo indicando li TerrHorijsenct»\\\ct. Ni
alcuno dirà quetla lij imperfeltione del
Racconto, e de/formilà dì qtieito mio rojzo
Parto, a tucno quello tale Critico non lij
ptriona inailo diffgiuna delia FUoiofla:
che quanto agi' huomini in eiKi vertali,
ìienvederànno nulla mancare alla soilanza
di della PFarralione. linpeixiocchè , enendo
cota evidente, e da rerun negala itoii ei- \
lere i nomi te non puri purissimi arci-
denti....-
— !Ua. quando lo avrò ilurola l'iTCìica
fuHca (li IrasiTÌvtr qui'sla storia ila qut-
sla ililavalci e grnrilalo aiilognifn. e l'avrii
ilalu. <'omr si siinl clirr-. alla lui'c, si Iro-
VLTJ ]>fìi chi duri la Talira ili leggerla'! —
Quv»(a riHeNsionc duliMativa. naia nel
Iminglio del decifrare uno xraraliotvhin
elle leniva do|>n accidenti, mi fece Mi<i|>en-
der la copia, e pensar più MTiamenle n
quello die convenisse di fare. — Ben è
vero, dicevo Irame, srarlabellaiido il iiin-
nnHerillo. ben è vero cliu quella grandine
di i-oneellliil e di figure non eonllnuacosi
Mila dUlcM per lulla ro|>cra. Il liunn se-
ecnlisla ha volulo sul principio mcllere
In morirà la sna virtù; ma poi. nel rorso
della narraiinnc, e talvolta i>cr lunglii
tratit, lo stile cammina ben più naturale
e più plano. Si; ma com'è dozzinale! eom'ò
sgualalol com'è scorretto! iiliotlsiiii lom-
bardi a iosa. Frasi della lingua adojierBtc
a riproposi to, grammatica artillraria, pe-
riodi sgangiicralì. E |H>Ì, qualche clegania
spagiiota scmlualu qua e là; e |Kil, rh'è
peggio, ne' luoghi più lerribill o più pie-
losi della sloria. n ogni occasione d'ecri-
lar maraviglia, o iti far pensare, a lultl
quu' luissl Insomma rhc rieliiedoun Itcìisi
un po' di rultortea. ma rcKoriea discreta.
Une, di buongusto, costui non mancaaiai
„GoogIe
i!
l^Tnonl]ZIo^e.
(Il meltercldi quella sua cosi (alta del proc-
niio. E allora, arroizando, con un'abKilù
mirabile, le qualità più opposlc, trova la
maniera <li riuscir rouo insieme e alTel-
lato, nella slcssn pagina, nello stesso pv-
riodo, nello sti^sso vocabolo. Eeto qui:
ilcclamaiionl ampollu^e, composte a fona
(Il solecismi pedestri, e da per lutto quella
(ColTaggine nmlilziosa, eh 'è 11 proprio carat-
tere degli »:ril(i di qu<'1 secolo, in questo
Itaose. In vero, non è cosa da presentare
a lettori d'oKgigiDnio:.son troppo animn-
Uzlati, troppo disKUsI ali di questo genere
di stra\'aganze. Menu male, che il buon pen-
siero ro'ù venule sul principio di i|UC3lo
sringurato Invaro: e me ne tavole mani. —
Nell'atto però di cliludure lo scurlarae-
cio. pt-T riporto, mi sapeva male clic una
storia cosi bella dovesse rimanersi tutta-
via sconosciuta; [wrché, In quanto storia,
può essere che al Icllore ne |miIu altrimenti,
ma a me era parsa tK-lln. come dico; mollo
bella. — Perrtiè nou si jMtrebbc, pensai,
premier la serie de' falli da (|ueslo inano-
seritlu, e rifame tu ilieituraf — ^on ci-
scnclosi presentato alcuna nbieiion rugio-
nevolc. Il partilo fu subito abbracciato.
Ed occo t'origiue del presente libro, espo-
sta con un'ingenuiln pari alt'iuiporlanxa
dot libro medesimo.
Taluni pert'i di i|Ue' talli, certi costumi
descritti ital nostro autore, e'erati sem-
brati cosi nuovi, co^ strani, per non dir
pcf^io, che, prima di prestargli fede, ab-
biala voluto Interrogare altri tcslimoni; e
ci siuoi messi a frugar nelle memorie di
quel tempo, per chiarirci se veramente il
mondo camminasse alloraaquel modo, lina
tale indagine dlssii» tulli 1 nostri dubbi:
a ogni passo ci abbattevamo in cose con-
simili, e In cose più forti: e, quello die
ci parve più decisivo, abbiaro pertliio ri-
Irovali alcuni personaggi, de' quali non
:ivehdo mni avulo notizia fuor che daino-'
Siro manoscritto, eravamo in dubbio se
fossero realfflente esistiti. E, atl'oceorrenia,
citeremo alcuna di quelle tcstimonlante ,
per procacciar lede alte cose, alto quali,
per la toro stranezza, il lettore sarebbe
più tentalo Ul ncgaiia.
Ma, rillutandu come intollerabile la di-
citura del nostro autore, elle dicitura vi
abbiam noi susllluila? Qui sia II puiilo.
Chiunque, senza esser pregato intro-
melte a rifar l'opera altrui, |M>ne n
rendere uno stretto conio detta sia, e ne
contrae in certo modo t*obbli[»> one: è
questa una regola di fallo o di dIritto,alla
quale non prclcndium punlo di sottrarc'
Anzi, per conformarci ad essa di buoi!'
do, avevam proposto di dar qui minula-
menlc ragione del modo di scrivere da noi
tenuto) e, a questo llm',9lamo andati, i»er
tutto il tempo del lavoro, cercando d'In-
dovinare le critiche possibili e contingenti,
con intenzione di riliotterlc tulle anllcl|)a-
lantenle. >è In questo sarcblic siala la
difllcolln; giacché (dobblam dirlo a oiior
del vero) non ci si presentò alla mente
una critica, che non le venisse Insieme
una risposta trionfante, di quelle risposte
che, non dico risolvon le questioni, male
mutano. Spesso anche, mettendo «lue cri-
tiche alle mani tra loro, le fuccvani bat-
lere l'uiM dall'allra; o, esaminandole ben
a fondo, ri scon Iran dote at lentamente, riu-
scivamo a sco|irire e a mostrare die, così
npiMstr in apparenza, eran |)erò d' uno
,y Google
sleHO genere, onsrevnn lult' e Une dal
non badare ul falli e ai |irinci|ii «■ cui il
giudizio doveva c^^cr rondaloji', messele,
con loro (tran sorpresa, insieme, le man-
davamo insiuinc a spasso. >on el sareblw
mai slaloaiiloru clie provasse cosi nd evi-
denza d'aver tallo bene. Ma ehei qiuuuln
siamo sluti al pnnlo di rareap«t»r tulle
le delle obiciiuni e rlstioste . per ilixporle
lRTnO»UZIo>E.
COI) quakliu ordine, miserieonlla ! veni-
vano a (are un libro. Veduta la quid cosa,
al>))!ain messo da parte it pensiero, per
due ragioni clic 11 lellorc troverà certa-
mente buone: la prima, cbe un libro in-
piegato a Ri usi locarne un allro.ami tostile
d'un allro, poirelitie parer cosa ridieola:
la seconda, ehcdilifiri tia«lnun«pervnlla,
quando non è d'avanzo.
„GoogIe
J PROMESSI SPOSI.
CAPITOLO l'RIMO
ci nuiio del Inf^odi Cfliim,fho vt^t^eu iiieK-
Dftiorno, Ira due ralene non inlerroKo dì
tonti, luKo a .soni t? n golfi, a seconda dello
ior(;ere e del rientrare di quelli, vien, quasi
nn Iratlo, a rislringersi, e a prender eorso
figura di flnme. Ira un promontorio a
esira, e un'ampia costiera dall'altra |>arlc:
il ponte, che ivi oongiunge le due rive.
ir ehc renda aneor più sen»bifc all'oerliio
questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e rA,dda
rincomincia, per ripigliar poi nome dì lago dove le rive, allontanan*
dosi dì nuovo, lascìan l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golii
e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposilo di tre grossi lor*
.renti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san
,y Google
IO I PROMESSI SP06I
Martino, l'allro, ooii voce lombarda, il AeMVforWjdai molli suoi cocuz-
zoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: falche non è
chi, al i>rinio \'ederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su
le mura di Milano che guardano a scltcntrìonc, non lo disccrna (osto,
a un tal eonlrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri
monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo,
la cosla sale con un pendio lento e continuo; poi si rompe in po^i
e in valloncclli, in erte e in ispianale, sec<H)do l'ossatura de' due
monti, e il lavoro dell' acque. It lembo estremo, tagliato dalle foci de'
torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciotloloni; il resto, campi e vigne,
s|>arse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si pro-
lungano su |>cr la montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e
che dà nome al territorio, giace |>oco discosto dal ponte, alla riva del
lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo
ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina a di-
ventar città. Ai tempi in cut accaddero i fatti che prendiamo a rac-
contare, quel borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva
perciò l'onore d'alloggiare un comandante, e il vantaggio di posse-
dere una slabile guiu'nigione di soldati spagnoli, che insegnavan la
modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo
in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e,std finir del-
l'estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l'uve,
e alleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia. Dall' una all' al-
tra di quelle terre, dall' alture alla ri^a, da un pf^io all' altro, cor-
l'c^'ano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o mcn ripide, o
piane; ogni tanto affondale, sepolte Ira due muri, donde, alzando lo
sguardo, non ìscoprilc che un pezzo di cielo e qualche vetta di mcKite-.
f^i tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista sjiazia pei-
prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuo^i.
secondo che i diversi punti piglian più o meno della \asta scena cir-
costante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia,
s|)unta o sparisce a vicenda. Dove un pezzo, dove un altro, dove una
lunga distesa di quel vasto e variato s])Ccchio dell' acqua; di qua lago,
chiuso all'estremità o piuttosto smarrito in un gruppo, in un andiri-
vieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti
che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l'acqua riflette ca-
iwvolti, co' paeselti posti sulle rive; di là braccio di fiume, |ioi lago,
))oi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra' ■
,y Google
CAPITOLO PRIMO. 1 1
monli cbe I' accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi
anch'essi nell'orizzonte. Il luogo slesso da dove conlemplate qiie' vari
spettacoli, vi (a spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate
le falde, vi svolge, al di sopra, d'intorno, le sue cime e le balze, di-
stinte, rilevale, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornan-
dosi in gioghi ciò che v'era sembrato prima un sol giogo, e compa-
rendo in velta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e
l'ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il sel-
vaf^o, e orna vie più il magnifìeo dell' altre vedute. .
Per ima di queste slradicciole, tornava bel bello dalla passeggiala verso
casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1618, don Ablion-
dio, curalo d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa,
né il casato del personaggio, non si Irovan nel manoscritto, né a
questo luogo né sJtrove. Diceva tranquillanienle il suo ufìzio, e lalvtJla,
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la I PROMESSI SPOSI
Ira un salmo e l' altro, chiudeva il breviario, lenendovi dentro, per
segno, I' indice della niano destra, e, messa poi questa nell' altra
dietro la schiena, pros^iiiva il suo cammino, guardando a terra,
e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano
inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati otiosamentc gli occhi
all' intorno, li fissava alla parte d' un monte, dove la luce del sole già
scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e
là sui Diassi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di |K>rpora. Aperto
,p(H di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una
voltala della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal li-
bro, e di guardarsi dinimzi: e cosi fece anclie quel giorno. Dopo la veri-
lata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e [mi si divideva
in due viottole, a fc^ia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso il
monte, e menava alla cura: l'altra scendeva nella valle fino a un tor-
rente; e da questa |»arte il muro non arrivava che all'anche del pas-
st^iero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo,
Icmiinavano in lui tabernacolo, sul (piale erun dipìnte certe figure lun-
ghe, ser|)cggianli, che finivano in punta, e che, nell' intenzion dell'ar-
Ibta, e agji occhi degli abitanti del vicinalo, volevan dir fiamme; e, al-
ternate con Iv fiamme, ceri' altre figure da non potersi descrivere, che
volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a ctrior di mal-
Ione, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il
curato, voltala la stradetta, c'dirìzzando, com'era solito, lo sguardo al
tabernacolo, vide una cosa che non s'aspettava, e che non avrebbe
voluto vedere. Due uomini stavano, l'miu dÌrim|>et(o all'altro, al con-
fluente, per dir cosi, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul
muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede
|>o5ato sul terreno della slrada; il compagno, in piedi, appoggiato al
muro, con le braccia incrociate .sul petto. L'abito, il portamento, e
quello che, dal luogo ov' era giunto il curato, sì poteva distinguer (Ìel-
l'as)>elto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano
entrambi intorno al capo una reticella verde, die cade\'a sull'omero
siniìitro, teniiinata in una gran nappa, e dalla quale u$ci\a sulla frante
j un enorme ciuflb: due lunglii mustawbi arricciati in punta: una
i I einliira lucida di cuoio, e a quelhi attaccate due pistole: un piecol conio
I I ripieno di iwhere, cascante sul |>etto, come una collana: un manico
! I di coltellaccio che spinilava fuori d' un lastthino degli ampi e gonfi
I calzoni, uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone,
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO PRIMO. 13
fong^nalc come in cifra, forbite e lucenti : a prima vista si davano a
conoscere per individiii della specie de' bravi.
Questa specie, ora del tutto |>ci'duta, era allora floridissima in Lom-
bardia, e già molto antica. Chi non ne avesse idea, ecco alcuni squarci
aulenlici, che potranno darne una bastante de' suoi caratteri principali,
degli sforzi fatti per ispegncrla, e della sua dura e rigogliosa vitalità.
Fino dall'otto aprile dell'anno ltE83, l'Illuslj-issimo ed Eceellcntie-
simo signor don Carlo d'Aragon, Princi|)e di Castclvctrano , Duca di
Terranuova, Mai-elicsc d'Avola, Conte di Burgelo, grande Ammiraglio,
e gran Contestabile di Sicilia, Go\'eriiatore di Milano e Capitan Gene-
rale dì Sua Maestà Cattolica in Italia, pienamente informato della in-
tollerabile miseria ia che è vintta e vive questa Città di Milano^ jìer
cagione dei bravi e vagabondi , pubblica un bando contro di essi.
Jtichiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in r/uesto bando, e do-
versi ritenere bravi e vagaboiuH... i quali ^ essendo forestieri o del fìoese,
non hanno esercizio alcuno, od avendolo, non lo fanno ma, senza
salario, o pur con esso, s' ap/io'jyiauo a (/ualche cavaliere o gentiluomo,
officiale o mercante ... per fanjli s/ialte e favore, o reniwieitte, conte si
,y Google
I PHOMESai SPOSI
può pretumere, per tetulere insidie ad altri.... A tiiltì costoro ordin»
che, nel Icrmuic di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese, inlima
la galera a' renitenti, e dà a tutti gli ufiziali della giustizia le più slhi-
namente ampie e indefinile facoltà, per l'esecuzione dell'ordine. Ma,
nell'anno seguente, il 12 aprile, scorgendo il detto signore, c/ie ^iipite
Ciltà è tuttavia piena di' detti bravi.. . . tornati a vigere come prima
vivevano, twn punto mutato il costume loro, «è scemato il numem, dà
fuori un'altra grida, ancor più vigorosa e notabile, ndla quale, Ira
r altre ordinazioni , prescrive:
Che qualsivoglia persona, cosi di questa Città, come forestiera, che
per due testimoni consterà esser tenuto, e comuttemente riputato per
bravo, et aver tal nome, aiicorckè no» ti verifichi aver fatto delitto
alcuno... per questa sola riputazione di bravo,ienza altri indizj, possa
dai detti giudici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tor-
mento, per processo in formativo.... et ancorché non rj)Hfeisi delitto al-
cuno, tuttavia sia mandato alla galea, per detto triennio, per la sola
opinione e nome di bravo, come di sopra. Tutto ciò, e il di più che si
tralascia, |>erchè Sua Eccellenza è risoluta di mler essere obbedita da
ognuno.
All'udir parole d'un tanto signore, così gagliarde e sicure, e ac-
c>>ni|>agnate da tali ordini, viene una gran voglia di ciTderc che, al
solo rimbombo di esse, lutti i bi'avi siano scoui))arsi per seni|H-e. Ma
la testimonianza d' un signore non meno aulore%'olc, ne meno dotato
di nomi, ci obbliga a credere lutto il contrario. Équcsli l'Illustrissinio
»h1 Eccellenlissinio Signor Juan Fernandez de A'clasco, Cuniestabile di
Castiglia, Canieriero maggiore di Sua Maestà, Duca della CilUt di Frìas,
Conte di Haro e Castelnovo, Signore della Casa di Velasoo, e di quella
(Mi selle Infanti di Lara, Governatore dello Stalo di Milano, eie. Il
a giugno dell'anno lìios, pienamente informato anche lui di quanto
danno e rovine sieno.... i bravi e vagabondi^ e del pessimo effetto che
tal sorta di gente fa cantra il ben pubblico, et in delusione della giu-
stizia, intima loro di nuovo che, nel termine di giorni sci, aUtiano a-
slH^tlarc il paese, ripetendo a un dipresso le prescrizioni e le minacce
medesime del suo predecessore. Il SS- maggio poi dell'anno iifos, >n-
formato, con nonpoco dispiacere dell'animo suo, die... ogni di più in
questa Città e Stato va crescendo il numero di questi tali ( bravi e
vagabondi), »iè di loro, giorno e notte, altro si sente che ferite api»'
statamente date, omicida e ruberie et ogni altra qualità di delitti, ai
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CAPITOLO PRIHU. tu
qtiali ti mtdono più facili, confidati essi bravi d'estere aiutati dai capi
e ^tutori toro,.... prescrive dì nuovo gli slcssi rimedi, accreseendo la
dose, eohie s' usa nelle iiialallic ostinale. Ognuno dunque, concbiAdfì
poi, onniuamenle si guardi di contravvenire in parte alcuna alla grida
presente j, perchè, in luogo di provare la clemenza di Sua Eccellenza,
proverà il rigore, e l'ira sua essendo risoluta e determinata clttf
tfuesta sia f ultima e perentoria moniziotie.
Non Tu |ieró di qiieslo parere l' llluslrissrmo ed Ececllenlis^mo Si-
gnore, il Signor Don Pietro Enriquez de Eee\'edo, Conle dì Fuentes,
Capitano, e Go^cmulore dello Slato di Milano; non fu di questo pa-
rere, V |»er buone ragioni. Pìenamenlf informato della nmeria in che
vive questa Città e Sialo ;>er cagione del gran nuntero di bravi che in
esso abbonda e risoluto di totalmente estirpare seme tanto pemi-
zioso, dà fuori, ii a dccembre 1000, una nuova grida piena aneli' essa
di scverisame CMnoiinazioni, con fermo proponimento che, con ogni ri-
gore, e senza speranza di remissione, siano mminameitle eseguite.
Convien credere \wrò che non ci si mettesse con tutta quella
buona vo^ia che sapeva impiegare ndl' ordir cabale, e. ne) suscitar
ntmtci al suo gran nemico Enrico IV'; giueeliè, per questa parte, la
storia attesta come riuscisse ad armare contro quel re il duca di
Savoia, a cui fece iierder più d' una città; cunic riuscisse a far con-
giurare il duca di Biron, a cui fece pei-der la lesta; ma, per ciò clic
riguarda (piel seme tanto pcmizioso de' bravi, certo è che esso eonti-
niiava a germogliare, Ìl 9S settembi*o dell'anno iota. In quel giorno
l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, Don (ìiovanni de Mendozza,
Marcliese de la llynojosa, Gentiluomo eie. Governatore etc, pensò se-
riamente ad estirparlo. A. qucst' effetto, spedi a Pandolfo e Marco Tul-
lio Malatestì, stampatori regii camerali, la solito grida, corretta (hI .ac-
cresciuta; iwrehe la stampassero ad esterminio de' bravi. Ma questi
vissero ancora \wr ricevere, il 9i deecndire dell'anno I6I8, gli stessi
e più furti colpi dall' Illuslrissiino ed Eceellenlissìmo Signore, ii Signor
Don Gomez Suarez de Figueroa, Duca di Feria, etc. Go\crnatorc, eie.
Peni, non essendo essi morti neppur di quelli, l'Illustrissimo cdE^ccel-
Icnlissimo Signore, il Signor Gonzalo Fernandez di Cordova, sotto il
cui governo accadde la jiasscggiafa di don Abbondio, s'era trovato co-
slretlo a ricorreggere e ripubblicare la solita grida contro ì bravi , il
giorno K ottobre del ICS 7, cioè un anno, un mese e due giorni prima
di quel memorabile avvenimento.
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«e 1 PROMESSI SPOSI
Né fu quella I' ultima piil)blicazJoiie ; ma noi tlHIc posteriori non
crediamo dover far menzione, come di cosa che esee dal periodo (Iella
noi^ra storia. Ne accenneremo soltanto una del 13 Tcbbraìo dell'anno
I65S, nella quale l' llliislrissimo ed Eccellentissimo Signore, «/ ZJur/ric
de Feria j |>cr la seconda volta governatore, ci av\Ìsa die le laagejion
Ketcrfu/gini procedono da quelli che chiamano braei. Questo basta ad
assicurarci che, nel leni]» di cui noi tralliamo, c'era de'bravi tuttavia.
Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno,
era cosa troppo evidente; ma quel che più dìspiawiue a don Abbon-
dio fu il dover accoi^'i-si, per certi atti, che 1" aspettalo era Ini. Pelu-
che, al suo ap|K>rÌre, coloro s'eran guardali in viso, alzando la testa,
con im movimento dal quale si scorgeva che luti' e due a un tratto
avevan detto: e lui; quello che .slava a cavalcioni s' era alzato, tirando
la sua gamba sulla strada; l'altro s'era staccato dal muro; e lutt' e
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CAPITOLO PRIMO. IT
due gli s'avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto
dinanzi, come se lef^esse , spingeva lo sguardo, in su, per bpiar ìlc
mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a
un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a sé stesso, se,
tra ) bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a si-
nistra; e gli sovvenne subito di no. Pece un rapido esame, se avesse
peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo; ma, anche
in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassi-
curava alquanto: i bravi però s'avvicinavano, guardandolo fisso. Mise
l' indice e il medio della mano sinistra nel collare , come per racco-
modarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la
faccia all' indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda
dell'occhio, fin dove poteva, so qualcheduno arrivasse; ma non vide
nessuno. Diede un'occhiaia, a) dì sopra del muricciolo, ne' campi: nes-
suno; un' altra più modesta sulla strada dinanzi: nessuno, fuorché ì
bravi. Che fare? loniare indietro, non era a tempo: darla a gambe ,
era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non polendo schivare il
pericolo, vi corse incontro, perché (momenti di quell'incertezza erano
allora cosi penosi per lui, che non desiderava altro che d'abbreviarli.
Affrettò il posso, recitò un versetto a voce più alla, compose la faccia
a tntla quella quiete e ilarità che potè, fece ogni sforzo per preparare
un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse men-
talmente; ci siamo; e si fermò su due piedi. « Signor curato, n disse
un di que' due, pianlandogli gli occhi in faccia.
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■ S I PROMESSI SPOSI
u Cosa comanda? » rispose subito don Abbondio, alzando i suoi
dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggio.
« Lei ha intenzione," proseguì l'altro, con l'alto minaccioso e ira-
condo di ehi coglie un suo inrerìore suH' intraprendere una ribalde-
ria, «lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia
Mondella! »
« Cioè . . . . n rispose, con voce tremolante, don Abbondio: « cioè.
Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno
queste faccende. Il povero curalo non e' entra: fanno i loro pasticci tra
loro, e poi e poi, vengon da noi, come s'anderebbe a un banco a
1 riscolere; e noi ... . noi siamo i servitori del comune. "
1 Or bene, « gli disse il bravo, all'orecchio, ma in tono solemie di
coniando, « questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai. »
u Ma, signori mici,» replicò don Abbondio^ con la voce mansueta
e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, » ma, signori miei,
Digitizf^riiiyGoOgle
■ CAPITOLO PRTMO. 19
si (legnino di mettersi ne' miei panni. Se la cosa dipendesse da me,...
vedon bene che a me non me ne vìen nirila in lasca...."
u Orsù, f interruppe il bravo, u se la cosa avesse a decidersi a ciarle,
lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, né vogliam saperne
di pitì. Uomo avvertito.... lei c'intende. "
u Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli.... <•
u Ma,» interruppe questa volta l'altro compagnone, che non aveva
parlato fin allora, " ma il matrimonio non si farà, o .... n e qui una
buona bestemmia, u o chi lo farà non se ne pentirà, perchè non ne
avrà tempo, e,.,." un'altra bestemmia.
" Zitto, lìtio, " riprese il primo oratore, u il signor curato è un uomo
che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam
largh del male, purché abbia giudizio. Signor curalo, (' illuslrissimo si-
gnor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramenle. »
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fl« I PROMESSI 9POSI
Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d'un
temporale notturno, un lampo cbe illumina mamentaneamcnte e in
confuso gli oggetti , e accresce il terrore. Fece, cwne per istinto, un
grand' inchino, e disse: e se mi sapessero suggerire ..."
u Oh! suggerire a lei che sa di Ialino! i interruppe ancora il bravo,
con un riso tra lo sguaiato e il feroce. « A lei tocca. E sopra tutto, non
^ lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene;
altrìmenli.... ehm.... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio.
Via, che vuol che si dica in suo nome all' illustrissimo signor don Ro-
drigo ? »
1 11 mio rispetto ....'•
u Si spieghi meglio! "
u . . . . Disposto disposto sempre all'ubbidienza, n E, proferendo
queste parole , non sapeva nemnien lui se faceva una promessa , o
un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel si-
(^ificato più serio.
« Benissimo, e buona notte, messere," disse l'un d'essi, in allo di
partir col compagno. Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe
dato un ocdiio per iscansarli, allora avrebbe voluto proliuigar la con-
versazione e le trattative. " Signori ..." cominciò, chiudendo il libro
con le due manij ma quelli, senza più dargli udienza, presero la strada
dond' era lui venuto, e s'allontanarono, cantando una canzonacela
che non voglio trascrivere. Il povero don Abbondio rimase un momento
a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle due stradetle
cite conduceva a casa sua, mettendo innanzi a stento una gamt>a dopo
l'altra, che parevano aggranchiate. Come stesse di dentro, s'intenderà
meglio, quando avrem detto qualche cosa del suo naturale, e de' tempi
in cui gli era toccalo di vivere.
Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato con un
cuor di leone. Ma, fin da' primi suoi anni, aveva dovuto comprendere
che la pcggior condizione, a que' tempi, era quella d'un animale senza
artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d" esser
divoralo. La forza legale ncm prole^eva in alcun conto l'uomo tran-
quillo , inoflensivo , e che non avesse altri mezzi di far paura altrui.
Non già che mancassero leggi e pene contro le violenze privale. Le
leggi anzi diluviavano ; ì delitti erano enumerali , e particolareggiati,
con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti e, se non basta,
aumentabili , quasi per ogni caso , ad arbitrio del legislatore slesso e
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CAPITOLO PRIMO. K
di cenlo esecutori; le procedure, studiate soltanto, a liberare il giudice
da c^i cosa che potesse essergli d'impedimento a proferire una con-
danna: gli squarci clic abbiam riportali delle gride c(mtro i bravi, ne
sono un piccolo, ma fedd saggio. Con tutto ciò, anzi in gran parte a
cagion di ciò, quelle gride, ripidjblicate e rinforzale di governo In go-
verno, non servivano ad altro che ad allestare ampollosamenle V im-
polwza de' loro aulori ; o, se producevan qualche effetto immediato,
era principalmente d' a^unger molle vessazioni a quelle che i paci-
Iki e i deboti già soffrivano da' perturt)atori, e d'accrescer le violenze
e I' astuzia di questi. L' impunità era organizzata, e ave\'a radici che
le gride non toccavano, o non potevano smovere. Tali eran gli asili,
tali i privilegi d' alcune classi , in parte riconosciuti dalla forza le-
gale, in parte tollerati con astioso silenzio, o impugnati con vane pro-
teste , ma sostenuti in fallo e difesi da qudle classi, con atlivilà
d' interesse, e con gelosia di puntiglio. Ora, quest'impunità minacciata
e insultata, ma non distrutta dalle gride, do^'eva naturalmente, a
ogni minaccia, e a ogni insulto, adoperar nuovi sforzi e nuove in-
venzioni, per conservarsi. Cosi accadeva in effetto; e, all'apparire
delle gride dirette a comprimere i violenti , questi cercavano nella
loro forza reale i nuovi mezzi più opportuni, per continuare a far
ciò che le gride venivano a proibire. Poteian ben C8.se inceppare a
<^i passo, e molestare l'uomo bonario, che fosse senza forza propria»
e senza protezione; perchè, col fine d'aver sotto la mano ogni uomo,
per prevenire o per punire ogni delitto , assoggettavano ogni mossa
del privato ah volere arbitrario d' esecutori d' ogni genere. Ma chi,
prima di commeltere il delitto, aveva prese le sue misure fter ricove-
rarsi a tempo in un convento, in un palazzo, dove i birri non avreb-
ber mai osalo metter piede; chi, senz'aure precauzióni, portava una
livrea che impegnasse a difenderlo la vanità e l'interesse d'una fami-
glia potente, di tutto un celo, era libero nelle sue operazioni, e poteva
ridersi dì tutto quel fracasso delle gride. Di quegli stessi eli' eran de-
putati a farle eseguire , alcuni appartene\'ano per nascita alla parte
privilegiala, alcuni ne dipendevano per clientela ; gli uni e gli altri ,
per educazione, per interesse, per consuetudine, per imitazione , ne
avevano abbracciale le massime, e si sarebbero ben guardali dall' of-
fenderle, per amor d' un pezzo di caria attaccato sulle cantonate. Gli
uomini poi incaricati dell' esecuzione immediata, quando fossero stati
ÌDlrapr«idcnti come croi, ubbidienti come monaci, e pronti a .sacri-
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fls I PROMESSI SPOSI
ficarsì cóme martìri, non avrebber però potuto veairne alla line, inr^
riori com' eran di numero a quelli che si trattava di sottomettere, e
con una gran probabilità d'essere abbandonati da chi, in astratto e,
per cosi dire, in teoria, imponeva loro di operare. Ma , olire di ciò ,
costOTO eran generalmente de' più abbietti e ribaldi so^^tli del loro
tempo; l'incarico loro era tenuto a vile anche da qudli che potevano
avenie terrore, e il loro titolo un improperio. Era quindi ben naturale
che costoro, in vece d'arrischiare, anzi di gettar la vita in un' impresa
dbperala, vendessero la loro inazione, o anche la loro connivenza ai
polenti , e si riservassero a esercitare la loro esecrata autorità e la
forza che pure avevano, in quelle occasioni dove non e' era pericolo;
neir opprimer cioè, e nel vessare gli uomini pacifici e senza difesa.
L' uooio che vuole offendere, o che teme, ogni momento, d' essere
offeso, cerca naturalmente alleali e compagni. Quindi era, in que' tempi,
portata al massimo punto la tendenza degl'individui a tenersi collegati
in classi, a formarne delle nuove, e a procurare ognuno la maggior po-
tenza di quella a cui apparteneva. Il clero vegliava a sostenere e ad
estendere le sue immunità, la nobiltà i suoi privilegi , il militare le
sue esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano arrotati in maestranze e
in confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici slessi una
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CAPITOLO PRINO. »
corporaxione. Ognuna di queste picc(^ oligardiie aveva una sua Torza
speciale e propria ; in ognuna l' individuo trovava il voltaggio d" im-
piegar per sé, a proporsìone della sua autorità e della sua destrezza,
k forze riunite di molti. I più onesti si vfJevan di questo vantarlo '
a difesa soltanto ; ^i astuti e i facinorosi ne approfittavano, per con-
durre a termine ribalderie , alle quali i loro mezzi personali non sa-
rritber bastali, e per assicurarsene l' impunità. Le forze però di que-
ste varie leghe eran molto disuguali ; e, nelle campagne principalmente,
il QolMle dovizioso e vicdento, con intorno uno stuolo di bravi, e una
popolazione di contadini avvezzi, per traditone famigliare, e interessati
0 forzati a riguardarsi quasi come sudditi e soldati del padrone, eser-
eJlava un potere, a cui difficilmente nessun' altra frazione di l^a
avrebbe ivi potuto resistere.
11 nostro Abbondio, non nobile, non rieco, coraggioso ancor meno,
s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione,
d' essere , in quella società , come un vaso di terra cotta, costretto a
viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di
buon grado, ubbidito ai parenti, che lo \'ollero prete. Per dir la verità,
non ave^-a gran btto pensato agli obblighi e ai nobili lini del mi-
nistero al quale sì dedicava : procacciarsi di che vivere con qualche
agio, e mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrale due
ragioni più che sutlkicnti per una tale scella. Ma una classe qualun- ,
que non protegge un individuo, non lo assicura, che tino a un certo
segno : nessuna lo dispensa dal farsi un suo sistema partictdare. Don
Abbondio, assorbito continuamente ne' pensieri della propria quiete,
iMtn » curava di (|ue' vantaggi, per ottenere i quaiì facesse bisogno
d'adoperarsi molto, o d' arrischiarsi un poco. Il suo sistema consistc^'a
|H-incì|>almente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli
ehe non poteva scansare. Neutralità disarmata in tutte le guerre die
scoppiavano intorno a lui, dalle contese, allora frequentissime, tra il
clero e le podestà laiche, tra il militare e il civile, tra nobili e nobili,
fino alle questioni tra due contadini, nate da una parola, e decise coi
pugni, 0 con le coltellate. Se si trovava assolutamente costretto a pren-
der |)arte tra due contendenti, stava col più forte, sempre però alla
retroguardia, e procurando di far vedere all' altro eh' egli non gli era
volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma perché non avete-
saputo esser voi il più forte? eh' io mi sarei messo dalla vostra par-
te. Stando alla lai^ da' prepotenti, dissimulando le loro soveniiierie
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14 I PROMESSI SPOSI
passeggiere e capricciose, corrispondendo con sommissioni a quelle che
venissero da un'intenzione più seria e più meditata, costringendo, a
forza d' inchini e di rispetto gioviale, anche Ì più burberi e sdegnosi,
a fargli un sorriso, quando gt* incontrava per la strada, il pover'uomo
era riuscito a passare i sessant' anni, senza gran burrasche.
Non è però che non avesse andie lui il suo po' di fiele in corpo ;
e quel contìnuo esercitar la pazienza, quel dar così spesso ragione
agli altri, qiie' t^ili bocconi amari inghiottiti in silenzio, gjielo avevano
esacerbato a segno che, se non avesse, dì tanto in tanto, potuto dargli un
|Kt' di sfogo, la sua salute n'avrebbe certamente sofferto. Ma siccome
v'eran poi tìnalnieiite al mondo, e vicino a lui, persone ch'olì cono-
sceva ben bene per incapaci di far male, cosi poteva con quelle sfo-
gare qualche volta il mal umore lungamente represso, e cavarsi anche
lui la voglia d' essere un po' fantastico, e di gridiu'c a torto. Era poi
un rigido censore degli nomini clie non si regolavan come lui, quando
però la censura potesse esercitarsi senza alcuno, anche lontano, peri-
colo. Il battuto era almeno almeno un imprudente; l'ammazzato era
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CAPITOLO paiuo. t»
sempre s(ato un uomo torbido. A chi , messosi a sostener te sue ra-
gioni contro un polente, rimaneva col capo rotto, don Abtmndio sapeva
trovar sempre qualclic torto; <»>sa non diflìcilc, perchè la ragione e il
torto non si dividon mai con un taglio così netto, ette ogni parie abbia
soltanto dell' una o dell'altro. Sopra tutto poi, declamava contro que"
suoi confralelli ehc, a loro rischio* prendevan le parti d'un debole op-
presso, contro un soverchiatore potente. Questo chiamava un comprarsi
gl'impìcci a contanti, un voler raddirizzar le gambe ai cani; diceva
anche severamente, eli' era un mischiarsi nelle cose profane, a danno
della dignità del sacro ministero. E contro questi predicava , sempre
però a quattr'occhi, o in un piccolissimo crocchio, i»n tanto più di vee-
menza, quanto più essi eran conosciuti per alieni dal risentir», in cosa
dte li toccasse personalmente. Aveva poi una sua sentenza prediletta,
con la quale sigillava sempre i discorsi su queste materie : che a un
galantuomo, il qual badi a sé, e stia ne' suoi panni, non aeeadon mai
brutti incontri.
Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare
suU' animo del poveretto, quello che s' è raccontalo. Lo spavento di
que'visaccì e di quelle parolacce, la minaccia d'un signore noto per
non minacciare invano, un sistema di quieto vivere, ch'era costato
lant'anni di studio e di pazienza, sconcertato in un punto, e un passo
dal qnde non si poteva veder come uscirne: tutti questi pensieri ron-
zavano (umulluariamente nel capo basso di don Abbondio. — Se Renzo
si potesse mandare in pace con un bel no, via; ma vorrà delle ragioni;
e cosa ho da rispondergli, per amor del cielo? E, e, e, anche costui
é una lesta: un agnèllo se nessun lo tocca, ma se miO vuol contrad-
direi ih! E poi, e poi, perduto dietra a quella Lucia, innamorato
cerne.... Ragazzacci, die, per non saper che fare, s* innamorano, vo-
glion maritarsi, e non pensano ad altro; noù si fiumo carico de' tro-
vai in che mettono un povero galantuoino. Oh povero mei vedete se
quelle due flguracce dovcvan proprio piantarsi sulla mia strada, e
prenderla con me! Qie c'entro io? Son io che voglio maritarmi? Per-
diè non son andati piuttosto a parlare Oh vedete un poco: gran
destino è il mio, che le cose a proposito mi vcngan sanpre tn mente
un momento dopo l'occasione. Se avessi pensato di suggerir loro che
andassero a portar la loro imbasciata... — Ma, a questo punto, s'ac-
corse che il pentir» di non essere stato consigliere e cooperatore del-
l' iniqaità era cosa troppo inìqua ; e rivolse tutta hi stizza de' suoi
i
„GoogIe
I PROMESSI SPOSI
pensieri oiotro quell'altro die veniva così a togliergli la sua pace. Non
conosceva don Rodrigo che di vista e di fama, né a^eva mai avuto
che far con Im, altro che di toccare il petto col mento, e la terra con
la punta del suo cappello, quelle poche volte che 1' aveva incontralo
per la strada. Gli era occorso di difendere, in più d' un' occasione, la
riputazione di quel signore, contro coloro che, a bassa voce, sospirando,
& alzando gli occhi al cielo, maledicevano qualche suo (atto: aveva detto
cento vfAìe ch'era un rispettabile cavaliere. Ma, in quel momento, gli
diede in cuor suo tutti que' titoli che non aveva mai udito applicar-
gli da altri, senza inlerrompere in fretta con un oibò. Giunto, tra il
tumulto di questi pensieri, alla porta di casa sua, ch'era in fondo del
paesello, mise in fretta nella loppa la chiave, che già teneva in mano;
apri, «ntró, richiuse diligentemente; e, ansioso, dì trovarsi in una eom-
pagnia fldata, chiamò subito: «Perpetua! Perpetua!» , avviandosi pure
verso il salotto, dove questa doleva esser certamente ad apparecchiar
la tavola per la cena. Era Perpetua , come ognun se n' avvede , la
serva di don Abbondio: serva aRedonata e fedele, che sapeva ubbidire
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CAPITOLO PRIVO. IT
e comandare, secondo 1' occasione, tollerare a tempo il brontolio e le-
fanlasticagf^ni del padrone, e fargli a tempo tollerar le proprie, che
diveniva» di giorno in giorno più frequenti, da che aveva passata l'eli
sinodale dei quaranta, rimanendo celibe, per aver rifiutali tutti i par-
titi che le si erano offrii, come diceva lei, o per non aver mai trovato
un cane che la volesse, come ilicevan le sue amiche.
« Vengo, » rispose, mettendo sul tavolino, al luogo solito, il lìaschetto
del vino prediletto dì don Ablxtndio, e si mosse lentamente; ma non
aveva ancor toccala la soglia del salotto, ch'egli v'entrò, con un passo
così legato, con uno sguardo così adombrato, con un viso così stra-
volto, che non ci sarebbero nemmen bistrati gli occhi esperti di Per-
petua, per iscoprìre a prima vista che gli era accaduto qualdie cosa dì
straordinario davvero.
a Misericordia! cos' ha, signor padrone? »
« Niente, niente, » rispose don Abbondio, lasciandosi andar tutto
ansante sul suo seggiolone.
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BB 1 PROMESSI SPOSI
a Come, niente? La vuol cbre ad intendere a me? eoa brutto co-
ni' è? Qualche gran caso è avvenuto. »
« Oh, per amor del delo! Quando dico niente, o è nìoite, o è eosa
die non posso dire. »
« Che non può dir neppure a me? Chi si prenderii cura della sua sa-
lute? Chi le darà un parere?....»
« Ohimè! tacete , e non apparecchiate altro : datemi un tncchiere
del mio vino. "
u E lei mi vorrà sostenere che non ha niente! " disse Perpetua ,
empiendo il bicchiere, e tenendolo poi in mano, come se non volesse
darìo che in premio della confidenza che sì faceva tanto aspettare.
« Date qui, fiate qui, » disse don Abbondio, prendendole il bic-
chiere, con la mano nwi ben ferma, e votandolo poi in fretta, come
se fosse una medicina.
« Vu(4 dunque ch'io sia costretta di domandar qua e là cosa sia ac-
caduto al mio padrone? n disse Perpetua, ritta dinanzi a luì, cMi le
mani arrovesciate sui fianchi, e le gomita appuntale davanti, guardan-
dolo fisso, quasi vedesse succhiargli dagli occhi il segreto.
u Per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate schiamazsi :
ne va.... ne va la vita! "
« La vita! »
t La vita. »
" Lei sa bene, che ogni volta che m' ha detto qualche cosa since-
ramente, in confidenza, io non lio mai...."
u Brava! come quando.... n
Perpetua s' avvide d' aver toccato un tasto falso; Onde, cambiando
sid>ìto il tono, « signor padrone, » disse, con voce commossa e da
commovere, u io le sono sempre slata affeziouala; e, se ora voglio sa-
pere, è per pranura, perchè voirei poterla soccorrere, darle mi buon
parere, sollevarle l'animo....»
n fatto sta che don Abbondio avevB torse tanta voglia di scaricarsi
del suo doloroso segreto, quanta ne avesse Perpetua di conoscerlo:
onde, dopo aver respinti sempre più debolmente i nuovi e più in-
calzanti assalti di tei, dopo averle fello più d'una volta giurare che
non fiaterebbe, fìnahnenle, con molle sospensioni, con molli ohimè,
le raccontò il miserabile caso. Quando si venne al nome terrìbile del
inandante, bisognò che Perpetua proferisse un nuovo e più solenne giu-
ramento; e don Abbondio, pronunzialo quel nome, si ro\esfiò sulla
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CAPITOLO PRUIO. ■•
Spalliera della s^iola, eCm an gran sospiro, alzando le inani, in atto
insieme di comando e di supplica, e dicendo: » per amor del cielo!»
«Delle sue!» esdamò Perpetua. «Oh che bìrìione! oh che sover-
diiatore! oh che uomo senza timor di Dio! »
« Vtdele tacere? o volete rovinarmi del tutto? n
"Oh! Siam qui soli che nessun ci sente. Ma come farà, povero si-
gitor padrone? »
« Oh vedete, » disse don Abbondio, con voce stizzosa: » vedete
che bei pareri mi sa dar costei ! Viene a domandarmi come (arò, come
forò; quasi fosse lei nell' impiccio, e toccasse a me di levamela. »
« Ma! io l'avrei bene il mio povero parere da darle; ma|)oi.... «
« Ma poi, sentiamo. » v
u II mio parere sarebbe che, siccome lutti dicono che il nostro ar-
civescovo è un sant' uomo, e un uomo di polso, e che non Ita paura
di nessuno, e, quando può Tare star a dovere un di questi prepotenti,
per sostenere im curato, ci gongola; io direi, e dico che lei gli scri-
vesse una bella lettera, per informarlo come qualmente.... "
"Volete lacere? volete tacere? Son pareri codesti da dare a un po-
vcr uomo? Quando mi fosse loccala una schio|)peltala nella schiena ,
Dio liberi! l'arcivescovo me la levereblw?"
u Eh! le schioppettale non si danno via come oonfelli: e guai se
questi cani dovessero mordere tutte le volte che abbaiano! E io Ito
sempre veduto che a dii sa mostrare i denti, e farsi stimare, gli si
porta rispetto; e, appunto perchè lei non vuol mai dir la sua ragione,
siam ridotti a segno che lutti vengono, con licenza, a....n
u Volete tacere? «
« Io taccio subito; ma è però certo che, quando il mondo s'accorge
die uno, sempre, in ogni incontro, è pronto' a calar le.... "
u Volete tacere? È tempo ora di dir codeste ba^^ianate?"
1 Basta: ci penserà questa notte; ma intanto non cominci a farsi
male da se, a rovinarsi la salute; mangi un boccone. »
u Ci penserò io, » rispose, brontolando, don Abbondio; « sicuro; Ìo
ci |>enserò, io ci ho da pensare, n E s' alzò, continuando: « non vo-
glio prender niente; niente: ho altra voglia: lo so anch'io che tocca a
[(Cnsarci a me. Ma! la doveva accader per l'appunto a me. »
«Mandi aimcn giù quest'altro gocciolo,» disse Perpetua, mescendo.
" Lei sa che questo le rimette sonpre lo stomaco. »
•I Eh! d vuol altro, ci vuol altro, ci vuol allro. »
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so I PROMESSI SPOSI
Così dicendo, prese il lume, e, brmitolando sempre: « una piccola
bagattella! a un galantuomo par mio! e domani coni' andrà?» e altre
simili lamentazioni, s'avviò per salire in camera. Giunto su la soglia,
si voltò indietro verso Perpetua, mise il dito sulla iKx-ca, disse, con
lono lento e solenne: « per amor del cielo! n e disparve.
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%onta che il prìncipe di Gondé dormi
fondamente la notte avanti la giornata
Rocroi: ma, in primo luogo, era molto
(icalo; secondarìamente aveva già date
le. le disposizioni necessarie, e stabilito
che dovesse lare, la mallina, Don Abbon-
in vece non sapeva altro ancora se non
l'indomani sarebbe giorno di battaglia;
ndi una gran parte della notte fu spesa
consulle angosciose. Non far caso del-
. ..itimazione ribalda , né delle minacce, e
fare il matrimonio, era un partilo, che non volle neppur mettere
in deliberazione. Confidare a Renzo 1' occorrente , e cercar con lui
qualche mezzo Dìo liberi! " Non si lasci scappar parola.... altri-
menti... . ehm'. " aveva detto un di que' bravi; e, al sentirsi rim-
bombar quelKeAm! nella mente, don Abbondio, non che pensare a
trasgredire una (al legge, si pentiva anclie dell'aver ciarlato oin Perpe-
tua. Fugf^re? Dove? E poi! Quanf impicci, e quanti conti da rendere!
A c^ni partito che rifiutava , il pover* uomo si rivoltava nel letto.
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su 1 PKUHKSSl Sl'ltSI
Quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men niale, fu di
guadagnar tcm|H>, menando Renzo per le lunghe. Si rammentò a |>ro-
po^to, che mancava]) pochi giorni al tempo proibito per le nozze;
— -e, se posso tenere a Irada, per questi pochi giorni, quel ragazzone,
ho poi due mesi dì respiro; e, in due mesi, può nascer di gran cose. —
Rimiinò pretesti da metter in campo; e, henchè gli paressero un po'
leggieri, pur s'andava rassicurando col pensiero che la sua autorità
gji avrebbe fatti parer di giusto peso, e che la sua antica esperienza
(^i darebbe gran vantaggio sur un giovanetto ignorante. -^ Vedremo,
— diceva tra sé: — egli pensa alla morosa; ma io penso alla pelle:
il più interessato son io, lasciando stare die sono il più accorto. Fi-
glino! caro, se tu ti senti il bruciore addosso, non so che dire; ma io
non voglio andarne di mezzo. — Feimalo così un poco l'animo a una
deliberazione, potè nnalmente chiuder occhio: ma che sonno! che so-
gni! Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottole, rupi, fughe, inseguimenti,
grida, schioppettate.
n primo svegliarsi, dopo una sciagura, e in un impiccio, è un mo-
mento mfdto amaro. La mente, appena risentita, ricorre all' idee abi-
tuali della vita tranquilla antecedente; ma il jicnsiero del nuovo stato
di cose le si alTaccia subito garbatamente; e il dispiacere ne è più vivo
in quel paragone istantaneo. Assaporato dolorosamente questo momento,
don Abbondio ricapitolò subito i suoi disegni della notte, si confermò
in essi, gli ordinò meglio, s'alzò, e stette aspettando Renzo con ti-
more e, ad un tempo, con impazienza.
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CAPITOLO II. S
Lorenzo o, come dioevan tiiUi, Renxo non si fix-c molto a<i|)('ll;ii
ApiiL-na gii parve ora di iwler, aenza imiìs<^reKÌoiic, presentarsi al cu-
rato, v'andò, eon ta lieta furia d'un uomo di veni' anni, che deve in
quel giorno sposare quella che ama. Era, fin dall'adolescenza, rima-
si» privo de' parenti, ed esercitava la professione di filatore di seta,
ereditaria, per dir così, nella sua famiglia; professione, negli anni in-
dietro, assai lucrosa; allora già in decadenza, ma non però a s^no
i-he un aliile operaio non ))Otesse cavarne di che vivere onestamente.
Il lavoro andava di giorno in giorno scemaniio; ma l'emigrazione con-
tinua de' lavoranti, attirali negli slati vicini (!a promesse, da privilegi
e da grosse paghe, faceva si che non ne mancasse ancora a quelli che
rimanevano in paese. Oltre di questo, possedeva Renzo un poderelto
che laceva lavorare e lavorava egli slesso, quando il lilatoio stava fer-
mo; (li modo che, per la sua condizione, poteva dii-si agiato. E qiiaii-
lunque quell'annata fosse ancor più scarsa delle antecedenti, e già
si cominciasse a provare una vera carestia, pure il nostro giovine,
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14 I PROMFJSI SPOSI
che, da q^iando aveva messi gli oechi addosso a Lucia, era divennlo
massaio, si («pvava provvisto bastanlemenlc, e non aveva a contra-
star con la lanin^ Compar\'e davanti % dtm Abbondio, in gran gala,
con penne di vano ODJorr al cappello, cot sno pugnale del manico bello,
nel taschino de* calzoni, wn una cerl'arìa di festa e nello stesso tempo
ili braverìa, comune allora andie adi uomini più quieti. L'accoglimento
ineerio e misterioso di don Abbondio fece un contrapposto singolare
ai modi gioviali e risoluti del giovinotto.
— ■ Che abbia qualche pensiero per la lesta, — argomentò Raizo tra
se, poi disse: « son venuto, signor curato, per sapere a che ora le
comoda che ci troviamo in chiesa. »
u Di che giorno volete parlare? »
u Come, di che giorno? non si ricorda che s'è fissato per oggi? "
u Oggi? n replicò don Abbondio, come se ne sentisse pM-tare per
la prima volta. "Oggi, oggi.... abbiate pazienza, ina oggi non posso.n
■■' Oggi non può! Cos'è nato? »
li Prìma di tulio, non mi sento bene, vedete. "
u Mi dispiace; ma quello che ha da f»vc e cosa di cosi poco tempo,
e di cosi poca fatica ..."
u E poi, e poi, e poi.... ->
u E poi die cosa? "
i' E poi e' è dt^li imbrogli. i"
- Degl'imbrogli? Che imbn^li ci può essere? "
u Bisognerebbe trovarsi nei nostrì piedi, per conoscer quanti ini-
|iicci nascano in queste matel-ie, quanti conti s' ha da rendere. Io son
troppo dolce di cuore, non penso die a levar di mazzo gli ostacoli, a
facilitar lutto, a far le cose secondo il piaG»« altrui, e trascuro il mio
dovere; e poi mi toccan de' rimproveri, e pej^io. "
u Ma, col nome del cielo, non mi loiga così sulla corda, e mi dica
chiaro e netto cosa e' è. "
<t Sapete voi quante e quante fonnaliti ci vogliono per fare un ma-
Irinionìo in regola? »
u Bisogna ben ch'io ne sappia qualche cosa, » disse Renzo, comin-
ciando ad alterarsi, u poiché mene ha già rotta bastantemente la lesta,
questì giorni addietro. Ma ora non s' è sbrigalo ogni còsa ? non s' è
fetlo lutto ciò che s* aveva a lare? »
« Tutto, tutto, pare a voi: perchè, abbiate pazienza, la bestia son
io, che trascuro il mìo dovere, per noa far penare la gente. Ma ora....
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basta, 80 quei che dico. Noi poveri curati sàamo Ira l'ancu^ne e il
martello: voi impaziente; vi compatisco, povero giovane; e i superio-
ri.... basta, non si può dir tutto. E noi siam quelli che ne andiam di
meuo. »
X Ma mi spieghi una volta cos' è quest'altra formalità che s'tia a
fare, emne dice; e sarà subito fatta. "
u Sapete voi quanti siano gl'impedimenti dirimcnli? »
" Che vuol eh' io sappia d' impedimenti? "
Il Errar, conditio, votum, cogiiatio, crimen,
Cultus dùparitaSf vis^ ordOj ligamen, honestat.
Si là affmùj.... «
cominciava don Abbondio, ctnifando sulla punta delle dita.
u Si piglia gioco di me?» interruppe il giovine. « Clic vuol ch'io
faccia de) suo latinorum!
1 Dunque, se non sapete le cose, abbiale pazienza, e rimellelevi
a ehi le sa. n
- Orsù!.... "
"Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare....
tutto queHo che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi
voglio bene io. Eh!.... quando penso che slavale così bene; cosa vi
mancava? V è sidlalo il grillo dì maritarvi.... "
u Che discorsi son questi, signor mìo?" proruppe Renzo, con un
volto tra r attonito e l' adirato.
- Dico per dire , abbiate pazienza , dico per dire. Vorrei vedervi
contento. »
» In somma.... »
u In somma, fi^j^iuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l'ho
fatta io. E, prima di conchiudere un matrimcmio, noi siam proprio ob-
bligati a far molte e molte ricerche, per assicurarci che non ci siano
impedimenti. »
a Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?"
« Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare cosi su due
piedi. Non ci sarà niente, cosi spero; ma, non ostante, queste ricerche
noi le dobbiam fare. Il lesto è chiaro e lampante: antequam matrimO'
ni'um denunciet .... «
« Le ho detto che non voglio latino. "
" Ma bisogna pur che vi pieghi..., <-
« Ma niMi le ha già fatte queste ricerdie? n
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■le I PiiuMESsi srosi
j Non le ho fatte tulle, come avrei dovuto, vi dico, r
. u Perchè non le Ita fatte a tempo? perchè dirmi che tullu era fi-
ntlo? percliè aspellarc . , . . -
" Ecco! mi rimproverate la mia troppa bontà. No facilitalo ogni
cosa per scnirvi pili presto: ma ... ma ora mi soii venule.... iwisla,
so io. -
i. E clw vom'hlH" eh' io facessi ? «
- Che aveste itazienza per qualche giorno. Figliuol ci«ro, <]uak-hc
giorno non è |>oi l'eternila: abbiate pazìenzii. >-
- Per quanto? «
- Siamo a buon porlo, — jwnsò tra sé don AW^ndio; e. con un
fare più manieroso che mai, - via. '• disse: * in quindici giorni wi^
chcrò procuren't . . . . "
" Quindici giorni! oh questa si eh' è nuova! S'è fatto lutto ciò che
ha voluto lei; s'è (issato il giorno; il giorno arriva; e ora lei mi viene
a dire che aspetti quindici giorni! Quindi<'i...- ripreso i»oÌ, con voce
più alta e stizzosa, stendendo il braccio, e biillendo il pugno nell'a-
ria; e clii sa qual diavoleria avrebbe attaccata a quel numero, se do»
Abbondio non l'avesse interroHo, prendendogli l'altra mano, con mi'
amorevolezza timida e premurosa: « via, via, non v'allerale, per amor
del cielo, Vcdm. cerclierA se, in una settimana.... "
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cApmn.0 II.
il
1 E a Lucia die devo dii'e? <■
■< Ch' è sialo un mio sbaftlio. «
u E i discorsi del mondo' '-
^ Dite pure a lutti , che ho sbagliato io, pel* troppa furia, per
troppo buon cuore: gettate tutta la colpa addosso a me. Posso parlar
meglio? via, per una settimana, n
•> E poi, non ci sarà più altri impedimenli? «
" Quando vi dico.... «^
^ Ebbene: avrò pazienza per una settimana; ma ritenga bene che,
lussala questa, nim m'ap|>i^her(> più di chiacchiere. Inlanlo la rive-
risco. n E cosi dello, se ii' andò, facendo a ilon Ablrandio un Inchino
mra proTcHido de) solito, e dandogli un' occhiata più espressiva die
rivwenle.
Uscito poi, <! camminando di mala vt^ia, per la prima volta, >'erso
la casa della sua promessa, in mezzo alia stizza, tornava con la mente
su quel colloquio; e sempre più lo ti'ovavii strano. L'acci^lienza fredda
e inipicciata di don Abbondio, iiuel suo parìare stentato insieme e
impaziente, que' due occhi grigi che, meiiire parlava, cran sempre
andati scappando qua e là, come se avesser avuto paura d' incontrarsi
con le parole che gli uscivaii di bocca, quel farsi quasi nuovo del inalrì-
nionio cosi esprewuimente concertalo, e sopra tutto (pieir accennar sem-
pre quaklie gi-aii cosa, non dicendo inai nulla dì chiaro; tutte (picsle
circostanze messe insieme fiioe^an pensare a Rienzo che ci (osse sotto
un mistero diverso da quello che don Ablwiidio a\eva volulo far crc-
(lere. Stelle il giovine in forse un momento di tornare indietro, |m.t
metterlo alle dirette, e farhi parlar più chiaro ; ma, alziuido gli occhi, vide
Perpetua che camminava dinanzi a lui, ed entrava in un (H-li<-ello )>o-
chi passi distante dalla casa. Le diede una voce, mentre essa apriva l'u-
scio; studiò il passo, la ra^iunse, la ritenne sulla soglia, e, col disegno
di scovar qualche eusa di più posi(i\'o. si fermò ad allaecar disi-orso
con essa.
" Buon giorno. Perpetua: io speravo che oggi si .san'blR- stati al-
legri insieme. >■
" Mal quel die Dio \uole, il mio po\ero Renzo. -
u Falerni un piacere: quel benedett' uomo del signor curato m' ha
impastocchiale certe ragioni che non ho potuto ben eai)ipe; spiegatemi
voi meglio perchè non può o non vuole niarilarei oggi. "
« Oh! vi par ^li eh' io sappia i segreti del mio padrone? r
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» I PROMESSI SPOM
— L' ho detto io, che c'era nlFstero sotto. — pensò Renzo; e, |>er
tirario in luce, contìniiò: u via, Perpetua; siamo amici; ditemi quel
che sapete, aiutate un povero tìgliuolo. '■
« Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo. "
H É vero , » riprese questo , sempre più confermandosi ne' sum
sospetti; e, cercando d'accostarsi più alla quesliooe, u è vero, » sog-
giunse, " ma tocca ai preti a trattar male co' poveri? r.
u Sentite, Renzo; io non posso dir niente, perdiè... non so niente;
ina qudlo che vi posso assicurare è che il mio padrone non vuol Tar
Iorio, né a voi né a nessuno; e lui non ci ha colpa. "
« Chi è (fanque die ci ha colpa? n dwnandò Renso, con un cer-
t' atto trascuralo, ma col cuor sospeso, e con l' orecchio all' erta.
u Quando vi dico che non so niente .... In difesa dei mio padnme,
posso parlare; perchè mi fa male sentire che gli si dia carico di voler
far dispiacere a qualcheduno. Pover' uomo ! se pecca, è per trojipa bontà.
C'è bene a questo mondo de* birboni, de' prepotenti, degli uomini
senza timor di Dio.... •<
— ' Prepotenti! biiitonì! — pensò Renzo: — questi non sono i su-
periori. « Via, 1 disse poi, nascondendo a stento l'a^iiitazione cresoentc,
« via, ditoni chi è. »
"4hIvoi vorreste farmi parlare;c io non posso parlare, perchè,.
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CAPITOLO ti. n
non so nieole: quando non so niente, è oome se avessi giurato di la-
cere. Potreste danni la eorda, che non mi cavereste nulla di bocca.
Addio; è tempo perduto per tutt' e due. » Cosi dicendo, entrò in
fretta nell'orto, e cbiuse l'uscio. Renzo, rispostile con un saluto,
tornò indiebv pian piano, per non larìa accorgere del cammino cbe
prendeva; ma, quando fu fuor del tiro dell' orecdiio della buona donna,
allungò il passo; in un momento fu all'uscio di don AUKMidio; entrò,
andò diviato al salotto dove l'aveva lasciato, ve lo trovò, e corse verso
lui, con un fare ardito, e con gli occhi stralunati.
u Eh! eh! die novità è questa?" disse don Abbondio.
" Chi è quel prepotente, " disse Renzo, con la voce d'un uomo
eh' è risoluto d" ottenere una risposta precisa , « clii è quel prepo-
tente cbe non vuol eh' io sposi Lucia ? "
«Che? che? che?» balbeltò il povero sorpreso, con un volto fallo
in uii istante bianco e floscio, come un cencio che esca dd bucato. E,
pur iHvntdando, spiccò un salto dal suo seggiolone, per lanciarsi al-
l'uscio. Ma Renzo, che doveva aspettarsi quella mossa, e slava all'erta,
vi balzò prima di lui, girò la chiave, e se la mise in tasca.
1 Ab! ab! parlerà ora, signor curato? Tutti sanno i fatti miei, fuori
di me. Voglio saperìi, per bacco, anch' io. Cmbìs si chiama c(dui?n
u Renzo! Renzo! per carità, badate a quel che late; pensate all'a-
nima vostra, n ,
u Penso che lo voglio saper subito, sul momento. " E, così dicendo,
mise, forse senza avvedersene, la mano sul manico del coltello die gli
usciva dal taschino.
e Misericordia! " esclamò con voce fioca don Abb<Hidio.
u Lo vof^io sapere. "
u Chi v'ha detto...»
« No, no; non più fandonie. Parli chiaro e subilo. »
« Mi volete morto? »
« Voglio sapere ciò cbe ho ragion di sapere. »
" Ma se parlo, son morto. Non m' ba da pranere la mia vita? »
« Dunque parli, n
Quel u dunque n fu proferito con una tale energia, f aspetto dì
Rem» divenne co» minaccioso, cbe don Abbondio non potè più neni-
men supporre la possibilità di disubbidire.
<t Mi promettete, mi giurate, » disse « di non parlarne con nes-
suno, di non dir mai....?»
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«« I PKOMEtlSI SFO.SI
u Le pronictlo clw fo uno sproposito, se lei non mi dice snhilo su-
bito il nome di colui. »
A quel nuovo scongiuro, don Abbondio, col volto, e con lo sguardo
di chi ha in bocca le tenaglie del cavadenti, proferi: •' don....r
«Don?» ripete Renio, come per aiutare il paiiente a buttar fuori
il resto; e stava curvo, con l'orecchio chino sulla lM>oea di lui. con
le braccia lese, e i pugni stretti all' indietro.
u Don Rodrigo!" pronunziò in fretta il forzato, precipitando quelle
poche sillabe, e strisciando le consonanti, parte per il turbamento, jiarte
perchè, rivolgendo pure (piella poca nttenzionc che gli rimaneva lit>era,
a fare una transazione Ira le due paure, |>areva die volesse soltrarre
e fare scomparir la parola, nel punto stesso ch'era costrello a mellerla
fuori.
uAhcancI" urlò Renzo, u Ecomc ha fatto? Cosa le ha detto pei'.... ?'<
■•Come eh? come?" rispose, con voce quasi sdegnosa, tlon \I)bon-
dio, il quale, dopo un così gran sagiifizio, si sentiva in certo modo
divenuto creditore. « Come eh? Vorrei che la fosse toccata a voi, come
è toccata a me , che non e' entro per nulla ; che certamente non vi
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CAPITOLO II. *.l
Bsrfiiibep rinviati lanli grilli in capo. » E qui si fece a dipinger «on
coleri terribili il bruito incontro; e, nel discorrere, accorgendosi sem-
pre pili d' una gran collera che aveva in corpo , e ebe An allora era
stala nascosta e involta nella paura, e vedendo nello stesso tempo che
Renzo, tra la rabbia e la confusione, stava immobile, col capo basso,
continuò allegramente: « avete falla una bella azione! M'avete reso
un bd servizio! Un tiro di questa sorte a un galantuomo, al vostro
curalo! in casa sua! in luogo sacro! Avete falla una bella prodezza!
Per cavannì di bocca il mio malanno, il vostro malanno! ciò ch'io
vi nascondevo per prudenza, per vostro bene! E ora che lo sapete?
Vorrei vedere die mi faceste....! Per amor del cielo! Non si scherza.
Non si tratta dì torto o di ragione; si tratta di forza. E quando, questa
mallina, vi davo un buon parere.... eh! libito nelle furie. Io avevo
giudizio per me e per voi; ma come si fa? Aprile almeno; datemi la
mia chiave. »
u Posso aver fallato, n rispose Renzo, con voce raddolcita verso don
Abbondio, ma nella quale si sentiva il furare contro il nemico sco-
perto: u posso aver fallato; ma si metta la mano al petto, e pensi se
nd mio caso.... n
Cosi dicendo, s'era levata la dilava di tasca, e andava ad aprire.
Don Abbródio gli andò dietro, e, mentre quegli girava la chiave nella
loppa, se gli accostò, e, con volto serio e ansioso, alzandogli davanti
a^ occhi le tre prime dita della destra, come per aiutarlo anctie luì
dal canto suo, « giurale almeno....» gli disse.
«Posso aver fallalo; e mi scusi,» rispose Renzo, aprendo, e dispo-
nendosi ad usare.
«Giurate....» replicò don Abbondio, afferrandogli il bracdo con fa
mano U-emante.
« Posso aver fallato, » ripetè Renzo, sprigionandosi da lui; e paKi
in furia, troncando cosi la questione, che, al pari d' una questione di
letteratura o di fliosofla o d' aHro, avrebtie potuto durar dei secoli ,
giacdié ognuna delle parti non faceva che replicare il suo proprio ar-
gomento.
« Perpetua! Perpetuai n gridò don AUMndio, dopo avere invano
ridiiamalo il fuggitivo. Perpetua non risponde: don Abbondio non sa-
peva più in che mondo si fosse.
E accaduto più d* tuia volta a personaggi di ben più allo affare
ohe don Abbondio , di trovarsi in frangenti così fastidiosi , in (anta
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ti I PROMESSI SPOSI
iucertexza di parliti, cbe parve loro un oltirao ripiego melt^^ a lelio
con la febbre. Questo ripiego, egli non lo dovette andare a cercare ,
perchè gli si offerse da sé. La paura del giorno avanti, la veglia an-
gosciosa della notte, la paura avuta in quel momento, l'ansietà flel^
l' avvenire, fecero l' effetto. Affannato e balordo, si ripose sul suo seg-
giolone, cominciò a sentirsi qualche brivido ndi' ossa, si guardava le
unj^ sospirando, e chiamava di tempo in tempo, c(m voce tremo-
lante e stizzosa: «Perpetua! n La venne finalmente, con un gran ca-
volo sotto il braccio, e con la faccia tosta, come se nulla tosse stalo.
I Risparmio al lettore ì lamenti, le condoglianze, le accuse, le difese, i
« voi sola potete aver partalo, » e i u non ho parlato, » tutti i pa-
sticci in somma di iiuel colloquio. Basti dire che àaa Abbondio ordinò
a Perpetua di metter la stanga all' uscio , di non aprir più per ne»-
sona cagi<me, e, se alcun bussasse, risponder dalla finestra die il cu-
rato era andato a letto con la lebbre. Sali poi lenlamente le scale, di-
cendo, ogni Ire scalini, - son swvilo; » e si mise davvero a letto, dove
lo lasceremo.
Renio intanto camminava a passi infuriali verso casa, sensa aver
determinato quel die dovesse fare, ma con una smania addosso di far
qualcosa di strano e di terribile. I provocatori, i sov«x!hiatori, tutti
coloro che, in qualunque modo, tanno torto altrui, sono rei, non solo
del male cbe commettono, ma del per%'ertimento ancora a ciù pm'taiio
gli animi degli offici. Renzo era un giovine padfico e alieno dal san-
gue, un giovine sdiietto e nemico d'ogni insidia; ma, in que'momeo-
lì, il suo cuore non batteva cbe jier l'omicidio, la sua mente uoo era
occupata die a fantasticare un tradimento. A^Tebbe v(dulo correre alta
casa di dwi Rodrigo, aSerrarlo per il collo, e.... ma gli veniva in mente
di' era come una fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e guardata
«I di ftiorì; che i soli amid e servitori ben conosduti v' entra%'an li-
beramente, senza essere squadrati da capo a piedi; die un artigiandlo
sctmosduto DOD vi potrd)b' «itrare senza un esame, e di' ^i aopn
lutto.... q^i vi sareUie forse trvqipo cooosduta Sì ^ura\-a aUora di
prendere il suo sdiic^po, d'appiattarsi dietro una si^ie, aspettando
se mai, se mai colui venisse a passar solo; e, internandosi, eoo fovee
compiaeenn, in quel!' immaginaxtooc, si figurava di sentire una pedata,
qudla pedala, d' alzar chetamente la testa; rìcmiosceva k» scellerato ,
spianava lo sdiioppo, prendeva la mira, spara\-a, lo vedeva cadere e
àan i tratti, ^ landa^'a una mdedizione, e correva sulla strada dd
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CAPITOLO II. 43
eoofine a mettersi in salvo. — E Lucia? — Appena questa parola s
fu gettata a traverso di quelle bieche fantasie, i migliori pensieri -a cui
era avveua la mente di Renzo, v'entrarono in folla. Si rammentò degli
ullimi ricordi de' suoi parenti, si rammentò di Dio, della Madonna e
de' santi, pensò alla consolazione die aveva tante volte provata dì
trovarsi senza delitti, all' orrore cbe aveva tante volte proxato al rac-
conto d'un omicidio; e si risvef^ió da quel sogno di sangue, con ispa-
vmto, con rimorso, e insieme con una specie di gioia di non aver tallo al-
tro che immaginare. Ma il pensiero di Lucia, quanti pensieri tirava seco!
Tante speranze, tante promesse, un avvenire cosi vagheggiato, e così
tenuto sicuro, e qud giorno cosi sospirato! E come, con die parole
annunziarle una lai nuova? E poi, che partito prendere? Onne farla
uva, a dispetto ddla forza di quel!' iniquo potente? E insieme a tutto
d.y Google
ti I PROMESSI SPOSI
questo, non un sospetto formalo, ma un' ambra lormenlosa gti passava
per la niente. Quella soverchieria di don Rodrigo non poteva esser
mossa che da una brutale passione per Lucia. E Lucia? Clie avesse
data a colui la più piccola occasione, la più leggiera lusinga, non era
un pensiero che potesse fennai^i un momento nella testa di Renzo.
Ma n'era informata? Poteva colui aver concepita quell' infame passione,
senza che lei se n'avvedesse? Avrebbe spinte le cose tanto in là, prima
d'averla tentata in qualche modo? E Lucia non ne aveva mai delta
una parola a lui ! al suo prcHuesso !
Dominalo da questi pensieri, passò davanti a casa sua, ch'era nel
mezzo del villaggio, e, attraversatolo, s'avviò a quella di Lucia di' era
in fondo, anzi un po' fuori. Aveva quella casetta un piccolo cortile ^^^
nanu, che la separava dalla strada, ed era cinto da un muretlino.
Renzo cnlrò nel cortile, e sentì un misto e continuo ronzio che ve-
niva da una stanza di sopra. S'inunaginò che sarebbero amiche e co-
mari, venule a far cotIc^ìo a Lucia; e non si volle mostrare a quel
mercato, con quella nuova in corpo e sul volto. Una fanciulletta che w
trovava nel cortile, gli corse incontro gridando: «lo sposo! lo sposo! "
u Zitta, Bettina, zitla! n disse Renzo. » Vien qua; va su da Lucia,
tirala in disparte, e dille .-all'orecchio ma che nessun senta, né
sortii di nulla, ve' dille che ho da parlarle, che l'aspetto nella
stanza ten-cna, e che venga subito, n La fanciullella sali in fretta le
scale, lieta e superba d' avere ima comniission segreta da eseguire.
Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della ma-
dre. Le amiche sì rubavano la sposa , e le facevan forza perchè si
lasciasse vedere; e tei s'andava schermendo, con quella modestia un
po' guerriera delle contadine, Tacendosi scudo alla faccia col gomito,
diìnandola sul busto, e aggrottando i lunglii e neri sopracci^i, mentre
però la bocca s'apriva al sorriso. 1 neri e giovanili capellt, spartili so-
pra la fronte, con una bianca e-Mltile dirizzatura, si ravvolgevan, dietro
il capo, in cerchi mtritiplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d'ar-'
genio, che si dividevano all'intorno, quasi a guisa de' raggi d'un' au-
reola, come ancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al ixiìo
aveva un vezzo di granali alternati con bottoni d'oro a filigrana: por-
tava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allac-
ciale da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pieglie lìlte
e minute, due calze vermiglie, due pianelle, di seta anch'esse, a ri-
cami. Oltre a questo, di' era l'ornamento particolare dd giorno ddle
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CAPITOLO 11. (d
nozze. Lucia aveva quello quotidiano d'una modesta bellezza, rilevata
allora e accresdula dalle varie aHezioni che le si dipingevan sul viso:
una gioia temperata da un turbamento leggiero, quel placido acco-
ramento che si mostra dì quand" in quando sul volto delle spose , e,
senza scooipor la bellezza, le dà un carattere particolare. La piccola
Bettina si cacciò nel crocchio, s'accosl^^ a Lucìa, le fece intendere ac-
cortamente che aveva qualcosa da comunicarle, e le <lisse la sua pa-
rolina all'orecchio.
^ Vo un momento, e torno, " disse Lucia alle donne; o scese in
fretta. M veder la faccia mutata, e ÌI portamento inquieto di Renzo,
" cosa c'è? " disse, non senza un presentimento di terrore.
u Lucia! " rispose Renzo, « per oggi, tulio è a monte; e Dio sa
quando potremo esser marito e moglie. »
^Che?n disse Lucia tutta smarrita. Renzo le raccontò brevemente
la storia dì quella mattina : ella ascoltava con angoscia .* e quando udì
il nome di don Rodrigo, " ah! » esclamò, arrossendo e tremando, u fino
a questo segno! n
« Dunque voi sapevate....?" disse Renzo.
" Pur troppo! " rispose Lucia; ^ma a questo segno!"
u Che cosa sapevate ? n
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4« I PHOllESSI SPOSI
u Non mi fate ora parlare, non mi fate piangere. Corro a diìamar
mia madre, e a licenziar le donne: bisf^a che siam soli. »
Mentre ella partiva, Renzo susurrò: " non m'avete mai detto niente. «
u Ah, Renzo!" rispose Lucia, rivolgendosi un momento, senza fer-
marsi. Renzo inlese benìssimo che il suo nwne pronunziato in quel
momento, con quel tono, da Lucia, voleva dire: potete voi dutùlare
ch'io abbia taciuto se non per motivi giusti e puri?
Intanto la tiuona Agnese (cosi si chiamava la madre di Lucia), messa
in sospetto e in curiosità dalla parolina all' orecchio, e dallo sparir
della liglia, era discesa a veder cosa c'era di nuovo. La figlia la lasciò
con Renzo, (ornò alle donne radunate, e, accomodando l'aspetto e la
voce, come potè meglio, disse; » il signor curato è ammalato; e f^gi
non si fa nulla, n Ciò detto, le salutò tutte in fretta, e scese di nuovo.
Le donne sfilarono, e si sparsero a raccontar l'accaduto. Due o Ire
andaron fin all'uscio del curalo, per verificar se era ammalato davvero.
« Un febbrone, " rispose Perpetua dalla finestra; e la trista parola, ri-
|>ortata all' altre, troncò le congetture che già cominciavano a brulicar
ne' loro cervelli, e ad annunziarsi tronche e misteriose ne' loro discorsi.
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C\PITOLO in.
ucia entrò nella staDia terrena, men-
tre Renzo slava angosciosamente in-
formando Agnese, la quale angoscio-
samente lo asctdtava. Tutl' e due si
volsero a chi ne sapeva più dì loro,
e da cui aspettavano uno scbiari-
menlo, il quale non poteva essere ehc
_ doloroso: lutt'e due, lasciando tra-
So ^.— -c.=--^^"-^"'''~' vedere, in mezzo al dolore, e con
r amore diverso che ognmi d'essi p<Hiava a Lucia, un cruccio pur di-
verso perchè avesse taciuto loro qualche cosa, e una lai cosa. Agnese,
bendw ansiosa di sentir parlare la figlia, non potè tenersi di non farle
on rimprovero. " A tua madre non dir niente d'una cosa simile!»
« Ora vi dirò lutto, » rispose Lucia, asciugandosi ^i occhi col
grembiule.
<• Parla, parla ! — Parlale, parlate! " gridarono a un tratto la madre
e lo sposo.
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tu 1 l'HOMESSl SPOSI
u Santissima Verginei » esclamò Lucia: u chi avrebbe credulo che
le cose potessero arrivare a questo s^no! " E, con voce rolla dat pian*
lo, raccontò come, poclii giorni prima, mentre tornava dalla filiuida,
ed era rimasta indietro dalle sue compagne, le era passato innanzi don
Rodrigo, in compagnia d'un altro signore; che il primo aveva cercato
di trattenerla con eliiàcchiere, com'ella diceva, non punto belle; ma
essa, senza dargli retta, aveva affrettato il passo, e rag^unle le compa-
pie; e intanto aveva sentito quell'altro signore rider forte, e don Ro-
drigo dire: scommettiamo. [| giorno dopo, coloro s' eran trovati ancora
sulla strada ; ma Lucia era nel mezzo ddle compagne, ceni gli occhi
bassi; e l'altro signore sghignazzava, e don Rodrigo diceva: vedremo,
vedremo. «Per grazia del cielo,» continuò Lucia, uqnel giorno era
r ultimo della filanda. Io racconlai subito.... »
" A chi hai racconlaloN domandò Agnese, andando incontro, non
senza un po' di sdegno, al nome del confidente preferito.
« Al padre Cristoforo, in confessione, mamma,» rispose Lucia, con
un accento soave di scusa. « Gli raccontai lutto , 1' ultima volta die
siamo andate insieme alla chiesa del convento: e, se vi ricordate, quella
mattina, io andava mettendo mano ora a una cosa, ora a un'altra, per
indugiare, lauto che passasse altra gente del paese avviata a quella
volta, e làr la strada in compagnia con loro; perchè, dopo queir in-
contro, le strade mi fecevan tanta paura. ...^
Al nome riverito del padre Cristoforo, lo sdegno d' Agnese si rad-
dolcì, uHai fatto bene," disse, u ma perchè non raccontar tutto an-
che a tua madre? n
Lucia aveva avute due buone ragioni: l'una, di non contristare ne
spaventare la buona donna, per cosa alla quale essa non avrcUtc po-
tuto trovar rimedio; l'altra, di non metter a rischio di viaggiar per
molte bocche una storia che voleva essere gelosamente sepolta: tanto
più che Lucia sperava che le sue nozze avrebber troncata, sul prin-
cipiare, queir abbominata persecuzione. Di queste due ragioni però, non
allegò che la prima.
" E a voi, » disse poi, rivolgendosi a Renzo, con quella voce die
vuol far riconoscere a un amico che ha avuto torlo : u e a voi doveva io
parlar di questo? Pur troppo lo sapete CMra! »
" E die l' ha detto il padre? n domandò Agnese.
" M' ha detto che cercassi d'affrettar le nozze il più che potessi, e
intanto stessi rinchiusa; che pregassi bene il Signore; e die sperava
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CAPITOLO HI. 10
(^ ct^ui, non vetlendoDiì, non si curerebbe più di me. E fu allora
elle mi sforzai, » prosegui, rivolgendosi di nuovo a Renzo, senza al-
saT^i però gli occhi in viso , e arrossendo tutta , « fu allora che
feci la sfacciala, e che vi pregai io che proeiirasle di far presto, e di
coneludere prima del tempo che s'era stabilito. Chi sa cosa avrete pen-
sato di me! Ma io facevo per bene, ed ero stata consigliata, e tenero
per certo.. ..e questa mattina, ero tanto lontana da pensare.... rr Qui le
parole furon troncale da un violento scoppio di pianto.
u Ah birlwnc! ah dannato! ah assassino! » gridava Renzo, cor-
rendo innanzi e indietro per la stanza, e stringendo dì tanto in tanto
il manico del suo coltello.
"Oh che imbroglio, per amor di Dio! n esciamava Agnese. D gio-
vine si fermò d'improvviso davanti a Lucia che piangeva; la gnaulò
con im allo di tenerezza mesta e rabbiosa, e disse: « questa e 1' ul-
tima che fa quelf assassino. »
u Ah! no, Renzo, per amor del deh)! " gridò Lucia. " No, no, per
amor del cielo! Il Signore e' e anche per i i»overÌ; e rome volete che
ci aiuti, se faceiam del male? ^
" No, no, per amor del cielo!» ripeteva Agnese.
u Renzo, » disse Lucia, ron un'aria di pranza e di risolnziune
più tranquilla: « voi avete un mestiere, e io so lavorare: andiamo
tanto lontano, che ctduì non senta più parlar di noi. «
u Ah Lucia! e poi ? Non siamo ancora marito e nit^lìe! Il curalo
vorrà farci la fede di slato libero? Un uomo come quello? Se fossimo
maritati, oh allora .... ! n
Lucia si rimise a piangere; e tult'e tre rimasero iu silenzio, e in
im abbattimento che feceva un tristo contrapposto alla pompa festina
de' loro abiti.
"Sentite, ligliuoli; date retta a me," dissc,dopo quatelte momento,
Agnese. » lo son venula ai mondo prima di voi; e il mondo lo co-
nosco mi poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è
brutto quanto sì dipinge. A noi poverelli le matasse paion più imlH^
gliate , perchè non sappiam trovarne il bandolo; ma alle volte un pa-
rere, una parolina d' un uomo che abbia studiato.... so ben io quel
che vog^o dire. Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercale del
dottor Azzeeca-garbugli, raccontategli.... IVla non lo chiamate cosi, |>er
amor del delo : è un soprannome. Bisogna dire il signor dottor .... Come
, ora? Oh lo'! non io so il nome vero: lo chiaman tutti a
.yGoògle
I PROMESSI SPOSI
qiiel modo. Basta, cercale di quel dottore allo, asciutto, pelalo, col
naso rosso, e una coglia di lampone sulla guancia. "
u Lo conosco di vista, n disM' Renzo.
« Bene,» continuò Agnese: ^quello e una cima d'uomo! Ho visto
io più d'uno ch'era i)iu impiccialo che un pulcin nella sloppa, e non
sapeva dove batter la testa, e, dopo essere sialo un'ora a quallr' oc-
chi co) dottor Azzecca-garbugli, (badale bene di non chiamarlo così!)
l'ho visto, dico, ridersene. Pigliate quei quattro capponi, poveretti!
a cui dovevo tirare il collo, per ìl banchetto di domenica, e portate-
glieli; perché non bisogna mai andar con le mani vote da que' si-
gnori. Raccontategli tutto l'accaduto; e vedrete che vi dirà, su due
piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in tesla, a pensarci un
anno. >>
Renzo abbracciò tiloito volentieri qlicsto parere; Lucia l'approvò;
e Agnese, superba d'averlo dato, levò, a una ai una, le povere bestie
dalld stia, riuni le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di
llori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano
a Renzo; il quide, date e ricevute parole di speranza, usci dalla parie
dell'orto, per non esser veduto da' ragazzi, che gli correrebber dietro,
gridando: lo sposo! lo sposo! Cosi, attraversando i campi o, come dì-
con colà, i luoghi, se n* andò per viottole, fremendo, ripensando alla
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO III. HI
sua disgrazia, e ruminando il discorso da Tare al dottor Azzecca-gar-
bi^i. Lascio por pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio
quelle povere bestie, cosi legale e tenute per le zampe, a capo all' in
giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accom-
pagnava col gesto i poisieri che ^ì passavan a tumulto per la mente.
Ora stendeva il 'braccio per collera, ora l'alzava per disperazione,
ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava
loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate;
le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, conie accade
troppo sovente tra compagni di sventura.
Giunto al borgo , domandò, dell' abitazione del dottore ; gli fu in-
dicata, e v'andò. All'entrare, si sentì preso da quella suggezione [che
i poverelli illelterali provano ìn vicinanza d'un signore e d'un dotto,
e dimmticò lutti i discorsi £bc aveva preparati; ma diede un'occhiata
ai capponi, e si rincorò. Entrato in cucina, domandò alla serva, se si
poteva parììu^ a! signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come av-
vezza a somiglianti doni , mise loro le mani addosso , quantunque
Renzo andasse tirando indietro, perchè voleva che il dottwe vedesse
e sapesse di' egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la
donna diceva: « dale qui, e andate innanzi.» Renzo fece un grande
inchino: il dottore l' accolse umanamente, con un " venite, lì^uolq. »
e lo feee entrar con sé nello studio. Era questo uno stanzone, su
tre pareli del quale eran distribuiti i ritratti de* dodici Cesari; la.
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KS I PROMESSI SPOSI
-quarla, raparla da un grande scaflale ili libri vpoclii e polverosi: nel
mezzo, una tavtria gi'emila d'allegazioni, di suppUclic, di libelli, tli
gride, eon Ire o quattro seggiole all'intorno, e da uiìa fiarle un se^
(tiolone a braecìoli, con una spalliera alla e quadrala, terminata agli
angoli tla due ornamenti di legno, che s'alzavano a foggia di eorna, oo-
perla di vaechctta, eon grosse borcliie, alcune delle quali, radute da
gran tempo, lasciavano in libertÀ gli angoli della copertura, die s' ae-
eartoccia^a i^ua e là. Il dottore era in veste da camera, cioè eojipi'lo
d'una toga ormai consunta, che gli aveva servilo, moll'anni adilielro,
per jH^rorare, ne' giorni -d'apparato, quando andava a Milano, [ter qual-
che eausa d* iin|>ortan£a. Chiuse l'uscio, e fece animo al giovine, eon
queste parole: « ligliuolo, ditemi il vostro caso. ^
" Vorrei dirle una (larola in confidenza. "
" Son qui,» rispose il dottore: u partale.» E s'accomodò sul seg-
giolone. Renzo, rillo davanti alla tavola, con una mano nel cocciizzoio
del cappello, clie faceva girar con l'altra, ricominciò; j v«n-eì sapei-»-
da lei che ha sliidialo.... "
1 Ditemi il fallo come sia. » inteiruppe il dottore.
uLei m'ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo parlar bene.
Vorrei dunque sapere....»
" Benedetta genie! siete tutti cosi: in vece di raccontar il (atto,
volete interrogare, jiercltè avete già i mostri disegni in lesla. »
^ Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato,
perchè non faccia un matrimonio, e' è penale. »
— Ho capito, — disse tra sé il dottore, che in verità non aveva ca-
pilo. — Ho capito. — E subito si fece serio, ma d'una serietà mista di
compassione e di premura;'strinse fortemente le labbra, facendone uscire
un suono inarticolato che accennav» un sentimento, espresso poi più
chiaramente nelle sue prime parole. « Gaso serio, figliuolo; caso con-
templalo. Avete fatto bene a venir da me. È un caso chiaro, contem-
plato in cento gride, e.... appunto, in una dell' anno scorso, dell'attuale
signor governatore. Ora vi fo ledere, e toccar con -mano. «
Cosi dicendo, s'alzò dal suo scggiol^Mie, e cacciò le mani in quel
'caos di carie, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano
in uno staio.
u Dov'è ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver (ante cose alle
mani! Ma la dev'esser «pii sicuro, perchè è una grida d'importanza.
Ah! ecco, ecco.» La prese, la spiegò, guardò alla data, e, fatto ud viso
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CAPITOLO Ut. H3
ancor più seri», chiamò: " il in d'ottobre les?! Sicuro; è dell'anno
|)assato: grida fresca; son quelle che fonno più paura. Sapete leggere,
fi^iuoto? "
'< Un pochino, signor dottore, y
" Bene, vcnilenii dietro con l'occliio, e vedrete. "
E, lenendo la grida sciorinala in aria, cominciò a leggere, l>orbot-
lando a precipizio ìn alcuni passi, e fermandosi dislinlamente, ooii
grand' espressione, sopra alctmi altri, secondo il bisogno:
" Se bene, per la grida pubblicala d' online del signor Duca di Feria
ai 14 di dicembre 1690, et confirmata <lalf ftlustriss. pI Eccellentifu.
Signore il Signor domalo Fernattdez de Cordof^a, erectera, fu con ri-
medii Btraordinarii e rt'goroéi provt^igto alle oppressionij concussioni et
atti liranniciche alcuni ardiscono di commettere centra questi f 'assalii
tanto divoti di S. M., ad ogni modo la frequenza degli eccessi, e la
maMia, cccelera. è cresciuta a segno, che ha jmsto in necessità l'tkcell.
Sua, eccelera. Onde, col parere del Senato et di una Giunta, eccrlcra,
Ao risoluto che si pubblichi la presente.
" £ cominciando dagli alti tirannici, mostrando l'esperienza che
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HI I PROMESSI SPOSI
molti, così nelle Città , come nelle ^ille.... seatìteì di queito Stato ^
con tirannide e$ercÌtaHO concussioni et opprimono i più deboli invanì
modi, come in operare che si facciano contratti violenti di compre, d'af-
fiUi.... ccceler»; dove sei? ahi ecco; seotiteicAe seguano o non seguano
matrimonii. Eh? »
e É il mio caso , " disse Renzo.
u Sentile, sentite, c'è lien altro; e poi vedremo la pena. Si tettifi-
chi, 0 non si testifichi,- che uno ti parta dal luogo dove abita, ecce'
lera; che quello paghi ttn debito,- quell'altro non lo molesti, quello
vada al suo tno/ino.- lutto questo non liache far ron noi. Ah ci siamo:
quel prete non faccia quello che è obbligato per l'uficio suOj o faccia
cose che non gli toccano. Eh? r
" Pare che abbian falla la grida apposta per me. "
u Eh? non è vero? sentite, sentite: et altre siiniii violense, quali
seguono da feudatarii, nobili, mediocri, vili, e plebei. Non se ne scappa:
ci son tulli: è eome la valle di Giosafat. Sentite ora ta' pena. Tutte
queste el altre simili male attioni, benché siano proibite, nondimeno,
convenendo mettermano a maggior rigore, S. E., per la presente, non
derogando, eccetera, ordina e comanda che contra li contravventori in
qualsivoglia dei suddetti capi, o altro simile, si proceda. da tutti li giu-
dici ordinarii di questo Stalo a pena pecuniaria escorporale , ancora
di relegationeo di galera, e ftno alla morte.... una piccola bagattella!
all'arbitrio dell' Eccellenza Sua, o del Senato, secoìido la qualità dei
casi, persone e circostanze. £ questo ir-re-mis-si-bil-mente e con ogni
rigore, eccetera. Ce n'è della roba, eh? E vedete qui le sottoscrizioni:
Gonzalo Fernandez de Cordova; e più in giù: Platonus; e qui ancora:
P'idit Ferrer: non ci manca niente. "
Mentre il dotlore leggeva, Renzo gli andava dietro lenlamenle con
l'oechio, cercando di cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio quelle
sacrosante parole, che gli parevano dover essere il suo {ùulo. D dottore,
vedendo il nuovo cliente più allento che allerrito,$i maravigliava. —
Che sia matricolalo costui, — pensava Ira sé. " Ah! ah! » gli disse poi:
« vi siete però fatto tagliare il ciutfo. Avcle avuto prudenza: però, vo-
lendo metterai nelle mie mani, non faceva bisogno. Il caso è serio; ma
voi non sapete quel che mi basti l'animo di fare, in un'occasione. »
Per intender quesl' uscita del dottore, bisogna sapere, o raramen'
lar^ che, a quel tempo, ì bravi di mestiere, e i facinorosi d'ogni genere,
ì portare un lungo ciuffo, che si tiravan poi sul volto, come una
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visiera, alfatto cfaffixthtar qualcheduno, ne' casi in cui slimasser ne<
cessarlo di travisarsi , e l'impresa fòsse di quelle, che richiedevano nello
stesso tempo forza e prudenza. Le gride non erano siale in silenzio su
quesla moda. Comanda Sua Eccellenza {il marchese de la Hynojosa)
che chi porterà i capelli di tal lunghezza che coprano il fronte pno
alli cigli eKlusioaniente, ovvero porterà la trezza, o avanti o dopo le
orecchie, incorra la pena di trecento scudij et in caio d" inhabilità, di tre
anni di galera, per la prima volta, e per la KecondUj oltre la suddetta,
maggiore ancora, pecuniaria et corporale, all'arbitrio di Sita Eccellenza.
Permette però die, per occatione di trovarsi alcuno calvo, o per altra
ragionevole cauta di segnale o ferita, possano quelli tali, per maggior
decoro e sanità toro, portare i capelli tanto lunghi, quanto sia bisogno
per coprire simili mancamenti e niente di piàj avvertendo bene a non
eccedere il dovere e pura necessità, per (non) incorrere nella pena agli
altri eontraffacienti imposta.
E parimente comanda a' barbieri, sotto pena di cento scìtdi o di tre
tratti di corda da esser dati loro in pubblico, et maggiore anco corpo-
rale, all'arbitrio come sopra, che lion lascino a quelli che toseranno,
sorte alcuna didette trezze, zuffì, rizzi, ne capelli più lunghi dell'or-
dinario, così nella fronte come dalle bamle, e dopo le orecchie, ma
che siano tutti uguali, come sopra, salvo nel caso dei calvi, o altri
difettosi, come si è detto. Il ciuffo era dunque quasi una parte dell'ar-
matura, e un distintivo de' bravacci e degli scapestrati; i quali poi da
dò vennero comunem^ite chiamati ciufll. Questo termine è rimasto e
vive tuttavia, con significazione più mitigata, nel dialetto: e non ci
sarà forse nessuno de' nostri lettori milanesi, che non si rammenti d'aver
sentito, nella sua fanciullezza , o ■ parenti , o il maestro, o qualche amico
di casa, o qualche persona dj servizio, dir di lui : è un ciuffo, è un ciufletto.
" In verità, da povero llgliuolo," rispose RenzA, "io non ho mai
portato ciuffo in vita mia. »
u Non facciam niente, n rispose il dottore, scolendu il capo, con
un sorrìso, Ira malizioso e impaziente, u Se non avete fede in me, non
Eacciam nioile. Chi dice le bugie si dottore, vedete figliuolo, è uno
sdocco che dirà la verità al giudice. All'avvocato bisogna raccontar le
cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Se volete ch'io v'aiuti, biso-
gna dirmi lutto, dall'a fino alla zeta, col cuore in mano, come al con-
fessore. Dovete nominarmi la persona da cui avete avuto il mandato:
sarà naturalmente persona dì riguardo; e, in questo caso, io anderò da
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aa I PROMESSI SPOSI
lui, a fare uii allu di dovere. Non gli dirò, vedete, eh' io sappia da voi,
l'he v'ha mandato lui: fidatevi. Gli dirò che vengo ad inii^orar la sua
proteziwie, per un povero giovine calunnialo, E con lui prenderò i eon-
ccrli opportuni, )>er finir radare lodevoloiente. Capile bene che, sal-
vando sé, saiveri anche voi. Se poi la scappata fosse lulla vostra, via,
non mi ritiro: ho cavato altri da peggio imbrt^i.... Purché non ah-
liiate olTeso persona dì riguardo, hitendiamoci , m' ini)x>giio a logitervi
d'impiccio: con un po' di s|)e$a, iolendiaiuoci. Dovete dirmi elii sia
l'ofTeso, conie si dice: e, secondo la condizione, la qualità e l'umore
dell" amico, si \edrà se eon%e»ga più di leiierlo a segno con le pro-
lezioni, o trovar qualche modo d' atlaccarlo noi in criminale, e met-
lorglì una pulce nell'orecdiio; |)erchè, vedete, a saper ben manc^^re
le gride, nessuno è reo, e nessuno e innocente. In quanto al curato,
se è persona di giudizio, se ne slarà xitloj se fosse una testolina, c'è
rimedio andie per quelle. D'ogni inlrigo si può usare; ma ci vuole
un uomo: e il vostro caso è serio; serio, vi dico, serio: la grida canta
chiaro; e se la cosa si deve decider tra la giusUxìa e voi , coù a quat-
tr'occhi, state fresco. Io vi parlo da amico: le scappale bisogna pagarle:
se volete passarvela liscia, danari e sincerità, fidarvi di dii vi vu<4
bene, ubbidire, (ar tutto qudlo che vi sarà suggerito. »
Mentre il dottore mandava fuori tutte queste parole, Renzo lo slava
guardando con un'attenzione estatica, come un malerialone sta sulla
piazza guardando al gìocalor di bussolotti, che, d(^ essersi cacciala
in bocca sloppa e sloppa e stoppa, ne cava nastro e nastro e nastro,
che non flnbcc mai. Quand'ebbe però capilo bene cosa il dottore vo-
lesse dire, e quale equivoco avesse preso, gli troncò Ìl nastro in bocca,
dicendo: « oh! signor dottore, come l'ha intesa? l'è proprio tutta
al rovescio. Io non bo minacciato nessuno; io non fo di queste cose, io:
e domandi pure a tutto il mio comune, che sentirà che non ho mai
avuto die lare ccm la giustizia. La bricconeria l'hanno fatta a me; e
vengo da lei per sapere come ho da fare per ottener giustizia; e son
ben contento d'aver visto quella grida, n
u Diavolo! n esclamò il dottore, spalancando gli occhi. « Che pa-
sticci mi fate? Tant'é; siete tulU cosi: possibile che non sappiate dirle
chiare le cose? »
« Ma mi scusi; lei non m' ha dato tempo: ora le racconterò la co-
sa, com' è. Sappia dunque eh' io dovevo sposare oggi , « e qui la voce
di Renzo si commosse, « dovevo sposare oggi una giovine, alla qnale
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CAPITOLO III. MI
ilìscorrevo. lin da quesl'eslatej e oggi, come le dico, era il giorno sla-
bilìlo col signor curato, e s'era disposto ogni cosa. Ecco che il signor
curato comincia a cavar Tuori certe scuse.... basta, per non tediarla,
io l'ho fatto parlar chiaro, com'era giusto; e lui m' ha confessato die
gli era stato proibito, pena la vita, di far questo matrimonio. Qufì
prepotente di don Rodrigo.... »
« Eh via! » interruppe subilo il dottore, aggrottando le ciglia, ag-
grinzando il naso rosso, e storcendo la bocca, " eh via! Che mi ve-
nite a rompere il capo con queste fandonie? Pale di questi discorsi
Ira voi altri, che non sapete misurar le parole; e non venite a farli
eon un galantuomo che sa quanto valgono. Ajidale , andate ; non
sapete quel che vi dite : io non m' impiccio con ragazzi ; non voglio
sentir discorsi di questa sortA, discorsi in aria. «
" Le giuro.... "
' Andate, vi dico: die volete eh' io faccia de' vostri giununenti ? lo
non c'entro: me ne lavo le mani. » E se le andava stropicciando, come
se le lavasse davvero. « Imparate a parlare: non si viene a sorpren-
der cosi un galantuomo, i^
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«u I PH0UES3I srus)
u Ma sL'iila. ma grilla, " riprieva iiulanu) Renzo: il «lollore, ^ein-
pre gridaiulo. lo !<|iiiigeva con le mani verso I'um-Ìo; e, <|uamlo ve
I' el^ caceialo, a(>ri , ehiamó la serva, e le disse: » resliluite subito
a qui-st'uoiiio (|uellu ehe ha |H)rìalo: io non voglio iiieiilc, non voglio
BÌente. »
Quella donna non a^eva mai. in lutto il tempo ch'tTa stala in quella
casa, eseguito un ordine simile: ma era stato proferito con una tale
risoluzione, die non esitò a ubbidire. Prese le quattro povere bestie,
e le diede a Renzo, con un' oeeliiala di compassione sprezzante, che
paix'va volesse dire: iiiso^a che tu l'abbia falla bella, Renzo voleva
far <>erÌmonÌe; ma il dottore fu inespugnabile; e il giovine, |hù attonito
e pili stizzito ehe mai, dovette riprendersi le \ ittìme rifiulale, e tornar
al (mese, a raccontar alle donne il bel costrutto «Iella sua spediziope.
Le donne, nella sua assenza, dopo essersi tristamente levate il ^'cslito
delle feste e messo quello dei giorno di lavoro, sì misero a eonsullar di
nuovo, Lucia singhiozzando e Agnese sospirando. Quando ciuesta ebbe
l>en parlato de' grandi eFTelli chp si dovevano sperare dai consigli del
dottore, Lucia disse che bisognava veder d'aiutarsi in tutte le maniere;
che il padre Cristoforo era uomo non solo da consigliare, ma da met-
ter l'opera sua, quando si (pattasse di sollevar 'poverelli; e che sarebbe
una gran bella cosa potergli far sajiereciò ch'era accaduto. «Sicuro,"
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CAPITOLO III. tn
disse Agnese: e si diedero a cercare insieme Ui maniera; giacclié art-
dar esse al convento, distante di là forse due miglia, non se ne senti-
vano il corano, in quel giorno: ecerto nessun uomo di giudizio gliene
avrebbe dato il parere. Ma, nel mentj-e che bilanciavano i partili, si
sentì un picchietto all'uscio, e, nello stesso momento, un soiimiesso
ma distinto « Deo gratias. " Lucia, immaginandosi chi poteva essere,
corse ad aprire; e subito, fatto un piccolo inchino famigliare, \enne
avMili im laico cercatore cappuccino, con la sua bisareia pendente alla
spalla sinistra, e lenendwie l'imboccalupa attortigliata e stretta nelle
due mani sul petto.
« Oh fra Caldino! ' dissero le due donne.
u II Signore sia con voi, " disse il frale. " Vengo alla eerca delle
noci. "
u Va a prender le noci per ì padri, » disse Agnese. Lucia s'alzò,
e s'avviò all'altra stanza, ma, prima d'entrarvi, si trattenne dietro le
spaile di fra Caldino, che rimaneva diritto nella medesima positura;
e, mettendo il tUto alla bocca , diede alla madre un'occhiata che eliie-
deva il segreto, con tenerezza, con supplicazione, e anche con una certa
autorità.
n cercatore, sbirciando Agnese così da lontano, disse: » e questo
Digitizf^riiiyGoOgle
•0 I MtOUESSI SPOSI
inalriraonio? Si doveva pur fare oggi: ho veduto nel paese un» «xsrtt
confusione, come se ci fosse una novità. Cos'è sialo? «
<• 11 signor curato è ammaJalo, e bisogna differire, n rispose in frette
la dtHma. Se Lucia non faceva quel s^no, la risposta sarebbe proba-
bilmente stata diversa. « E cmne va la cerca? n soggiuuse poi, per
Diular discorso.
» Poco bene, buona donna, poco bene, he son tutte qui. » E , così
dicendo, si levò la bisaccia d' addosso, e la fece saltar tra le due mani.
« SoD tutte qui; e, per mettere insieme questa bdla aUwndanza, bo
dovuto picchiare a dieci porte. »
u Ma! le annate vanno scarse, fra Caldino; e, quando s'Ita a misu-
rar il pane, non sì può allargar la mano nel resto. «
u E per far tornare il buon tempo, cite rimedia c'è, la mìa donna?
L'elemo»na. Sapete dì quel miracolo delle noci, che avvenne, moH' anni
sono, in quel nostro convento di Romagna? »
u No, in verità; racconlatemeto un i>oco. ^
u Oh! dovete dunque sapere die, in quel convento,' c'era un nostro
padre, il quale era un santo, e si chiamava il padre Macario. Un giwno
d'inverno, passando per una viotlc^a, in un campo d'un nostro be-
nefattore, uomo dabbene andte lui, il paiire Macario vide questo be>
nefattore vicino a un suo gran noce; e quattro contadini, con le zappe
in aria, che principiavano a scalzar la pianta, per metterle le radici al
sole. — Che fote voi a quella povera pianta? domandò il padre Ma-
cario. — Eh! padre, son anni e anni che la non mi vuol far noci; e
io ne faedo legna. — Lasciatela stare, disse il [ladre: sappiate che,
quest'anno, la farà più noci che foglie. Il benefattore, che sapeva chi
era «dui che aveva detta quella parola, ordinò subito ai lavoratori, che
getlasser di nuovo la terra sulle radici; e, cliiamalo il padre, che «m-
tinuava la sua strada, — padre Macario, gli disse, la metà della raccolta
sarà per il convento. Si sparse la voce della predizione; e tutti cor-
revano a guardare il noce. In latti, a primavera, Cori a bizzefle, e, a
suo tempo, noci a bizzefle. U buon benefattore non eU}e la conso-
lazione di bacchiarle; perdiè andò, prima della raccolta, a ricevere
il premio della sua carità. Ma il miracolo fu tanto jiiù grande, eune
sentirete. Quel brav* uomo aveva lasdato un figliuolo di stampa ben
diversa. Or dunque, alla raccolta, il cercatore andò per riscotere la
metà ch'era dovuta al convento; ma colui se ne fece nnovo affatto,
ed ebbe la temerità dì rispondere che non aveva mai sentito dire clic
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CAPITOLO IH.
i cappuci-iiii sapessero fiar noci. Sapete ora posa avvenne? Un );iorno,
(Rrnlilc questa) lo scapestrato aveva invitato alcuni suoi amici dello
slesso pelo. e. gozzovigliando, raccontava la sloria del noce, e rideva
de' frali. Que' giovinastri ebber voglia d'andar a vedere quello ster-
DÙnalo mucchio di noci; e Ini IÌ mena su in granaio. Ma sentite: apre
Tusdo, va verso il canltireio dov'era stato riposto il gran mucchio, e
mentre dice: guardale, guarda egli st4;sso e vede.... dio cosa? Un liei
mucchio di foglie secche di noce. Fu un esempio questo? E il convento,
invece di scapitare, ci guadagnò; |>erchè, dopo un cosi gran fatto, la
cerca delle noci ren(le\'a tanto, tanto, che un benefattore, mosso a com-
pasNone del povero ccmitore . fece al convento la carità d'un asim>,
che aialas.se a portar le n<H!Ì a casa. E si faceva lant'olio, che ogni posero
veniva a prenderne, secondo il suo Liscino; porche noi siam come il
nare, che riceve acqua da tulle le parli, e la toma a distribuire a
lutti i fiumi. «
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•■ I PROMESSI SPOSI
Qui rìcooiparve Lucia, col grembiule così carico di noci, cbe lo reg-
geva a fatica, tenendone le due cocche in allo, con le braccia tene, e al-
lungate. Mentre fra Galdino, levatasi di nuovo la bisaccia, la metteva
giù, e ne scioglieva la bocca, per introdurvi l'abbooilante eleinosììna,
la madre fece un volto ailonito e severo a Lucia, per la sua prodiga-
lità; nu Lucia le diede un' occhiala, che voleva dire: mi giustiliciterò.
Fra Galdino proruppe in ^gi, in au{^ri, in |)romesse, in ringraziamenti,
e, rimessa la bisaccia al posto, s'avviava. Ma Lucia, ridiiamal^do, disse:
u vorrei un servizio da voi; vorrei che diceste al padre Grìs(o((iro, che
ho gran premura di parlargli, e die mi faccia la carità di venir da noi
)>overelte, subilo subito; perché uoii |>ossiuiiio andar noi alla chiesa. «
u Non volete altro? Non passerà un'ora che il (ladre Cristoforo saprà
il \ostro desiderio. "
^ Mi fido. "
u Non dubitale. » E cosi detto, se n'andò, un \hì' |iiù curvo e più
conlento, di quel che fosse venuto.
Al vedere cbe una povera ragazza iiiantlava a chiamare, con laida
confidenza, il padre Cristoforo, e che il cercatore accettava la commis-
sione , senza maraviglia e senza diflicoltà , nessun si |>ensi che quel
Cristoforo fosse un frate (U dozzina, una co.sa da strapazzo. Era anzi
uomo di molla autorità, presso i suoi, e in tutto il contorno; ma lak>
era la condizione de' cappuccini, clic nulla paitva |»cr loro trop|)o basso,
flè troppo elevato. Servir gl'infimi, od esser servito da' |totcntÌ, entrar
ne' palazzi e ne' tuguri, con lo stesso C(Hitcgno d'umiltà e di sicurezza,
esser talvolta, nella slessa casa, un soggetto dì passatempo, e un [ìcr-
sona^io senza il quale non si decideva nulla, chieder l'elemosina per
lutto, e farla a lutti qudli che la chiedevano al convento, a tulio èra
avvezzo un cappuociua Andando per la strada , poteva ugualmente ab-
battersi in un principe che gli baciasse riverentemente la punta del
cordone, o in una brigata di ragazzacci che, flngeudo d'esser alle
mani tra loro, gì' inzaccherassero la barba di fango. La parola » frale »
veniva, in que' tempi, proferita col più gran rispetto, e col più amaro di-
sprezzo: e i cappuccini, forse più d'ogni altr' ordine, eran oggetto de'
due opposti sentimenti, e provavano le due opposte fortune; perchè,
non possedendo nulla, portando un abito più slranamenlc diverso dal
comune, facendo più ajierla professione d'umiltà, s'esponevao più da
vicino alla venerazione e al vilipendio cbe queste cose possono attirare
da' diversi umori, e dal diverso pensare degli uomini.
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CAPITOLO Ili.
Parlilo Tra Galdino, " (ulte quelle noci! <■ esclaiihr' Agnese : u in
quest'anno! "
u Mamma, perdonatemi, n rispose Lucìa; ^ ma, se avessìui» falla
un' elemosina come gli altri, Tra Caldino a%Tt:bbc dovuto girare ancora^
Dio, sa quanto, prima d'aver la bisaccia piena; Dio sa quando sareM)e
tornato al convento; e, con le ciarle die avrebbe falle e sentite, Dio
sa se gli sarebbe rimasto in metile.... "
" Hai pensato bene; e poi e tutta carità che porla sempre buon
frutto, " disse Agnese, la quale, co' suoi difettucci, era una gran buona
donna, e si sarebbe, come si dice, buttala nel fuoco per quell'unica
figlia, in cui aveva riposta tutta la sua compiacenza.
In questa, arrivò Renzo, ed entrando con un volto dispettoso insieme
e morlilìcalo,gettà i capponi sur una tavola; e fu questa l'ultima trista
vicenda delle povere bestie, per quel giorno.
hBcI parere che m'avete dato!» disse ad Agnese, u IVI' avete man-
dalo da un buon galantuomo, da uno che aiuta veramente i poverelli! ^
E raccontò il suo abboccamento col dotlore. La donna, stupefatta di cosi
Irisla riuscita, voleva mettersi a dimostrare che il parere però era buono,
e che Renzo non doveva aver sapulo far la cosa come andava fatta;
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ma Lucia inlemippe quella questUme, annunziando die sperava d'aver
trovato un aiuto migliore. Renzo accolse anche questa speranza, come
accade a quelli che sono nella sventura e nell' impiccio. » Ma, se il padre, "
disse, " non ci trova un ripiego, lo troverò io, in un modo o nell'altro. "
Le donne consigliaron la pac« , la {tazienza , la prudenza, u Do-
mani, " disse Lucìa, « il padre Cristoforo verrà sicuramente; e ve-
drete rhe troverà qualche rimedio, di quelli che noi poveretti nonsap-
piani nemmeno immaginare. »
u Lo spero; TI disse Renzo, urna, in ogni caso, sapii) tarmi ragione,
o Tarmela fare. A. questo mondo c'è giustizia finalmente. "
Co' dolorosi discorsi, e con le andate e venule che si son riferite,
quel giorno era passato; e cominciava a imbrunire.
;> Buona notte,'- disse tristamente Lucia a Renzo, il quale non sa-
|)e\a risolversi d'andar.sene.
' Buona notte, " rispose Renzo, ancor più tristamente.
' Qualche santo ci aiuterà, " replicò Lucia: ^ usate prudenza, e
rassegnatevi. "
La madre aggiunse altri consigli detto stesso genere; e lo sposo se
n'andò, col cuore in tempesta, ripetendo sempre quelle strane j»-
role: u a questo mondo c'è giustizia, finalmente! " Tanl' è vero che
un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica.
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(:\i»rnn,<( iv
cnoii oraancortutluapi>arsostiirorìz-
c, quando il padre Cristoforo usci dal
.'onvenlo ài Pescarenico, |)er salire alla
Ha dov' era aspettalo. È Pescarenico
terricciola, sulla riva sinistra deli'Ad-
> vogliam dire del lago, poco disoosto
ionie: un gruppetto dì case, aLilale la
|)arte da |)e¥calori, e addobbate qua
di tramagli e di reti tese ad ascingare.
nvenlo era situalo {e la fabbrica ne
sussiste tullavia) al dì fuori, e in faccia all'entrala della terra, con di mezzo
la strada che da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tulio sereno: di
mant» in mano che il sole s'alza\'a dietro il monte, si vedeva la sua luce,
dalle sommila de' monti opposti, scendere, come spiegandosi rapida-
nieiile, giù per i |>endiì, e nella valle. Un venticello d' autunno, staccando
da' rami le foglie ap|)assìte del gelso, le portava a cadere, qualche passo
distante dall'albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor
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M I PROMESSI SPOSI
Iesi, biiltavan le roglic rosseggianli a varie linle; e la lerra lavorala di
fresco, spicra\'a bruna e distinla ne' campì dì stoppie btanraslrc e luc-
cìcanli dalla guazza. La scena era lieta^ ma ogui figura d'uomo che vi
apparisse, raltrìsiava lo sguardo e il pensiero. Ogni tanlo, s' inconlravano
mendichi laceri e macilenti, o inveechiatì nel mestiere, o spinti allora
dalla necessità a toider la mano. Passavano zitti accanto al padre Cri-
stoforo, lo guardavano pietosamente, e, benché non a^esser nulla a
sperar da lui, giacché un cappuccino non toccava mai moneta, gli
facevano un inchino di ringraziamento, per l'elemosÌDa che ave\'an ri-
cevuta, o che andavano a cercare al convento. Lo spettacolo de' lavo-
ratori sparsi ne' campi, aveva qualcosa d'ancor più doloroso. Alcuni
andavan gettando le lor sem^ite, rade, con risparmio, e a malincuore,
come chi arrischia cosa che troppo gli premei altri spìngevan la vanga
come a stailo, e rovesciavano svoglialammte la zolla. La fanciulla scarna,
lenendo per la corda al |>asc<^o la vaccherella magra stecchila, giiar-
davainnanzi, e si chinava hi fretta, a rubarle, |ier cibo della famiglia,
qualche erba, di cui la fame aveva insegnato che anche gli uomini po-
levan vivere. Questi spettacoli accrescevano, a ogni passo, la mestizia
del frate, il quale camminava già col tristo presentimento in cuore,
d'andar a sentire qualche sciagura.
— Ma perché sì prendeva tanto pensiero di Lucia? E perché, al primo
avviso, s'era mosso con tanta sollecitudine, come a una chiamala dd
padre provinciale? E chi era questo padre Cristoforo? — Bisogna sod-
disfare a tulle queste domande.
Il padre Cristoforo da *'" era un uomo più vicino ai sessanta che
ai einquant' anni. D suo vapo raso, salvo la piccola corona di capel-
' lì , che vi girava intorno , secondo il rito cappuccinesco , s' alzava di
tempo in tempo, con un movimento che lasciava tras|>arirc un non
so che d'altero e d'inquieto; e subito s'abbassava, per riflessione d'n-
inillà. La barba bianca e lunga, die gli copri\a le guance e il mento,
faceva ancor più risaltare le foiinc rilevate della parte superiore del
volto, alle quali un'astinenza, già da gran pezzo abituale, aveva assai più
af^unto di gravità che tolto d'espressione. Due occhi incavati cran per
lo più chinati a terra, ma lalvolta sfolgoravano, con vivacità repentina;
come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale
sanno, per esperienza, che non sì può vincerla, pure fanno, di tempo in
tempo, qualche sgamliolto, che scontan subito, <-on una buona tirala
di i»oi>o.
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U padre Ci'i»toruru noi) era scii)|>re sialo cosi, né M'ilipiT cru blalu
Crìiiluforo: il stio nome di ballotìiino era Lodovico. Era ligliuolo (Tuii
Riercanle di "* (qnesìU asterischi vcngon tulli dalia circospezione del
mio anonimo) che, ne' suoi iiHim'anni.itrovaiidosi assai foniilo di beni,
e con quell'unico figliuolo, aveva rinunzialo al Iraflìco, e s'era daìo
a viv cr da signore.
Nel suo nuovo ozio, cominciò a entrargli in corpo una gran ver-
gogna di tulio quel tem)>o che aveva speso a far qualcosa in questo
inondo. Predominalo da luia tal Tanlasia, studiava tulle le maniere di
for dimenticare ch'era slato mercante: avrebbe voluto poterlo dimen-
ticare anche lui. Ma il fondaco, le l>alle, il libro, il braccio, gli coni-
parivaii sempre nella memoria, come I' ombra di Banco a Macbelh,
andie tra la pompa delle mense, e i) sorriso de' parassiti. E non si po<
Irebbe dire la cura che dovevano aver que* poveretti, per schivare ogni
parola c^ potesse parere allusiva all'antica condizione del convitante.
Un giorno, per raccontarne una, un giorno, sul Unir della I avola, ne'
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1 1
«a I PfKMIESSI SPOcU
momenti (Mia più viva e M-hit-tta allegrìa, die non si sarebbe polulo
diredii imù jcudesse. o la brigata di spareechiarc, o il padrone d'aver
apparerebiato, anda\a stuzzicando, con Riiperiorìlà amiehevole, uno
di que'eonuneosali, il più iHieslo mangiatore del mondo. Quello, per
eorrìspondere alla celia, senza la minima ombra di malizia, pru|MÌo
eoi «nidore d'uii bambino, rispose: ueb!ìoi6Ì'oreeefaiodeÌmercanlc. "
Egli slesso fu subilo eolpìlo dal suono della parola ehc gli era uscila
(ti boeca: guardò, con laceia ineerìa, alla (accia del padrone, che s'en
rannuvolala: l'uno e l'altro a\Tebber voluto riprender queUa di prima;
ma non era possibile. Gli dtri roniilati pensa\-ano. i^mun da se, al
I modo di sopire il piccolo seandolo, e dì lare una diversione; ma. pcn-
i saiMio. tacevano, e. in quel silenziojoseanddo era più maniiesta C^nuno
I seansiva d'incontrar gli occhi d^i altri; ognuno senliv a che tutti wan
! oeeujKiti del |>ensiero che tulli vulevau dìsi^imulare. La gioia, jierquel
' giorno, se n'andò; e l'imprudente o, per parlar con più giustizia, lo
' sAirlunato, non ricevette più invito. Om il padre di Lodovico passò
gli lAimi suoi anni in angustie continue, temendo sempre d* essere
seheniito . e non riflettendo mai che il vender? non è cosa più ridicola
ebe il comprare, e che quella prolessiooe di cui allora si vergopiava,
l'aveva pure esercitata per tant' anni, in presenza del pubblico, e sraza
rimorso. Fece educare ìl tìglio iiobìhDente. secondo la condizione de'
tcm|H. e per quanto gli era concesso dalle le^i e dalle i-<iiisue1udini ;
gli diede maestri di lettere e d'e^er(■izi cav'aUerer^^ii: e mori, lascian-
tlolo ricco e giovinetto.
LiutovÌM» aveva c«»lralte aMudini signorili; e ^i adidatori. tra Ì
quali iTa cresciuto, l'avevano avt czzato ad esser trattato con moHo ri-
sprila Ma. quando volle misefaìarsì CM principali dela sua citlà. trovò
un £ire ben div erso da quello a cui era arcoslumato; e vide che, a voler
e;«or dHb lor compagnia, come avrebbe desiderato, gb eonvvnìva
biv una nuova scuola di paiieiua e dì soatnùiajMne. slv sempre al di
sotto, e ìn^nname una, itpù mooienta Ina (al maniera (fi vivere non
s'aceonfava. né e«n l'eduraiione. né con la natura di Lodovica 8'al-
ImlaDÒ (fa e^ indispellito. 3la poi ne sta^-a lontano con rwniirirn.
perchè gli pareva che questi VTramente avTpbber dovuto essere i suoi
«ooipagni: soltulo gli avrebbe voluti pili traltabiU. Con ({oeslo misto
(fiodinaziane e di laDCore. non potendo frcqueiriarli fwiiigliw im iili ,
e vTilendo pure aver che br con loro in ({ualcfae modo, s'era (fato a
competer con loro di sl()ggi e~ di m:^Ìfìcenn. («nipraiKiasì eoa a
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CAPITOLO IV.
cwilanti inioiicizie, invidie e ridicoto. La sua indole, onesta insieine e
violenta, l'aveva poi imbarcalo per tempo in altre gare più serie. Sen-
lìva un orrore spontaneo e sincero per 1' anglierie e jier i sopriLsi :
orrore reso uneor più vivo in lui dalla qualità delie persone elie più
ne ciHiiniettevano alla giornata; cit'erano appunto coloro c<>i quali aveva
più di quella ruggine. Per acquietare, o |>er esercitare tutte queste |>as-
sìoni in una volta, prendeva volentieri le parti d'un debole supralTatto,
si piccava di farci slare un sov6rchialore,s'inlrometteva in una briga,
se ne tirava addosso un'altra; tanto che, a poco a poco, venne a co>
sliluirsi come un protetlOT degli oppressi, e un vendicatore de' torti.
L'inipi«%o era gravoso; e non è da domandare se il povero Lodovico
avesse nemici, impegni e pensieri. Oltre la guerra esterna, era jioi
tribolato cfmtinuamente da contrasti interni; perchè, a spuntarla in un
impegno (senza ]Kirlare di quelli Jn cui reslava al di sotto), <)ovcva
anche lui adoperar raggiri e violenze, che la stia coseienza non po-
teva poi approvare. Doveva tenersi intomo un buon numero di bra-
vacri ; e, cosi per la sua sicurezza, come per averne un aiuto più vigoroso,
doveva scegliere i più arrischiati, cioè i più ribaldi; e vivere co' birboni,
per amor della giustizia. Tanto che , più d' una volta , o scoraggi-
lo, dopo una trista riuscita, o inquieto per un pericolo imminente,
annoialo del continuo guardarsi , stomacato della sua compagnia , in
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7« I PROMESSI SPOSI
pensiero dell' awenìre, per le sue sostanze ehe se ii'aiwla^an, di giorno
in giorno, in o|»ere buone e in braxerie, più d'una \olta gli i-i-a saltala
la fantasia di forù frale; ebe. a qiic' (empi, era il ripiego più romuite, iwt
uscir d'iinpieci. Ma questa, ebe sarebbe forse stata una fantasia per
(ulta la sua vita, divenne una risoluzione, a causa d'un acrìdenle,
il più serio ehe gli fosse aneor capitato.
Andava un giorno per una strada della sua eìtlà, seguito da due
l>ravi, e aeoompagnato da untai Cristoforo, altre volto gio\ine di liot-
tega e. dopo ebiusa cpieMa, diventato ni.icstro di easa. Era un uonio
di circa cinqiiant'anni, affezionato, dalla gioventù, a IxhIovìco, che ave^a
veduto nascere, e ehe, tra salario e regali, gli dava non strio da vi-
vere, ma dì che mantenere e tirar su una numerosa famiglia. Vide Ixt-
dovieo spuntar da lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore di
professione, eoi quale non a^eva mai parlato in \ita sua. ma ebe gli
era cordiale nemieo, e al quale rendeva, pur di cuore, il eontraeeam-
liio: giacché è uno de' vantaci di questo mondo, quello di poter odiare
ed esser odiati, senza conoscersi. 0>stui. seguito da quattro bravi, s'a-
vanzava diritto, con passo superbo, con la testa alta, eoii la Itooea eom|>o-
sta airaltcrigia e allo sprezzo. Tutt'c due eamminavan rasente al muro;
ma Loduvìeo ( notate bene ) lo strisciava eoi lato destro ; e ciò , se-
condo una consuetudine, gli dava il diritto {do^e mai si va a ficcare il
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CAPITOLO IV. Il
diritlo!) di non islaccarsi dal dello muro, per dar passo a chi si fosse;
eosa della quale allora si faceva gran caso. L'altro pretendeva, all'op-
l>o$to, che quel dirìllo competesse a lui, come a nobile, e che a Lodo-
vico toccasse d'andar nel mezzo; e ciò in forza d'un' altra consuetu-
dine. Perocché, in questo, come accade in molli altri afforl, erano in
vigore due consuetudini contrarie, senza che fosse deciso qual delle
due fosse la buona; il che dava opportiuiìtà di fare una guerra, ogni
volla che una lesta dura s'abbattesse in un'altra della slessa tempra.
Que' due si venivano incontro, ristretli alta muraglia, come due figure di
basso rilievo ambulanti. Quando si trovarono a ^iso a viso, il signoi'
tale, squadrando Lodovico, a capo allo, col cipiglio imperioso, gli disse,
in un tono corrispondente di \'oce: » falò luogo. "
a Fale luogo voi, « rispose Lodovico. « I>a diritta è mia. "
u Co' vosti'i pari, è sempre mia. "
u Si, se l'arroganza de' \ostri pari fosse legge per i pari miei. "
I bra\"i dell'uno e dell' altro eraii rimasti fermi, ciascuno dietro il
suo padrone, guardandosi in cagnesco, con le mani alle daghe, preparali
alla batt^lia. La gente che arrivava di qua e di là, si teneva in disianza,
a osservare il fatto; e la presenza di quegli s|)ollatori animava sempre
pili il puntiglio de' contendenti.
« Nel mezzo, vile meccanico; o ch'io t'insegno mia \'olla come si
traila co' genliluoniini. »
a Voi mentile ch'io sia vile. »
u Tu menti ch'io abbia mentito. " Questa risposta era di pranuua-
lica. u E, se tu fossi cavaliere, come son io,» aggiunse quel signore,
"li vorrei far vedere, con la spada e con la cappa, ehc il mentitore
sei tu. n
■i E im buon pretesto per dispensarci di sostener cu' falli l'inso-
lenza flelle vostre parole, n
"GeUate nel fango questo ribaldo.» disse il gentiluomo, voltandosi
a' suoi.
u Vediamo! » disse Lodovico, dando subitamente un jiasso indiètro,
e mettendo mano alla spada.
" Temerario ! 71 gridò l'altro, sfoderando la sua: « io spezzerò questui,
quando sarà macchiala del tuo vii sangue, n
Cosi s'avventarono l'uno all'altro; i servitori delle due parti si slan-
ciarono alla difesa de' loro padroni. Il conibaltimenlo era disuguale, e
per il numero, e anche perchè Lodovico mirava {HuUosio a scansare
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Il I PROMESSI SPOSI
i <«lpi, c a Jisannare il nemico, che ad ucciilei'lo; ma questo voleva la
morìe di lui, a ogni costo. Lodovico aveva già ricevula al braccio si-
nistro una pugnalata d'un bravo, e una ^graffiatura leggiera in tuia
guancia, e il nemico principale gli piondjava addosso per finirlo; quando
Cristoforo, vedendo il suo padrone iieiret-tremo pericolo, andò col pu-
gnale addosso al signore. Questo, rivolta tutta la sua ira contro di lui,
lo passò eun la s|)ada. A quella vista, Lodovico, come fuor di sé, cacciò
la sua nel ventre del feritore, il quale cadde moribondo, qua-*! a un punti)
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col |)overo Cristoforo. I bravi del gentiluomo, visto ch'era finita, si
diedero alla fuga, malconci : quelli di Lodovico, tartassali e sfregiali an-
che loro, non essendovi più a chi dare, e non volendo trovarsi impic-
ciati nella gente, che già accorreva, scantonarono ds^l' altra parìe: e Lo-
dovico si trovò solo, con que" due funesti com|tagni ai piedi, in mezzo
a una folla.
« Com'è andata? — È uno. — Son due. — Gii ha fallo un «•-
chtello nel ventre. — Chi è slato ammazzato? — Quel prepolenle. —
Oh santa Maria, che sconquasso! — Chi cerca trova. — Una le paga
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CAPITOLO IV. 73
(ulte. — Ha finito anche hii. — Che coipo! — Vuol essere una fac-
cenda seria. — E quell'allro di^raziato! — Misericordia! che spetta-
colo ! — Salvatelo, salvalelo. — Sia fresco anche lui. — Vedete com' è
concio! butta sangue da tulle le parti. — Scappi, scappi. Non si lasci
prendere, t
Queste parole, che più di tutte si facevan sentire nel frastono con-
fuso di quella folla, esprìmev-ano il voto co[nune;e,col consiglio, venne
anche l'aiuto, il folto era accaduto vicino a una chiesa di caiqiuccìni,
asilo, come ognun sa, impenetrabile allora a' birri, e a lutto quel com-
plesso di cose e di persone, che si chiamava la giustìzia. L'uccisore fe-
rito fu quivi condotto o portato dalla folla, quasi fuor di sentimento;
e i frali Io ricevettero dalle mani del popolo, che glielo raccomandava,
dicendo: «è un uomo dalAene die ha freddato un birbone superbo:
rha latto per sua difesa: c'è slato tirato per i capelli. »
Lodovico non aveva mai, prima d'allora, sparso sangue; e, benclic
l'omicidio fosse, a quc' tempi, cosa tanto comune, che gli orecdii d'ognuno
erano avvezzi a sentirlo raccontare, e gli occhi a vederlo, pure l'im-
pressione ch'egli ricevellc dal veder l'uomo morto per luì, e l'uomo
morto da luì, hi nuova e indicibile; fu una rivelazione di sentimenti
ancora sconosciuti. Il cadere del suo nemico, l'alterazione di quel volto,
che passava, in un momento, dalla minaccia e dal furore, all'abballimenlo
e alla quiete solenne della morte, fu ima vista che cambiò, in un punto,
l'animo dell'uccisore. Strascinato al convento, non sapeva quasi dove
si fosse, uè cosa si facesse; e, quando fu tornato in sé, si trovò ia un
Ietto dell'infermeria, nelle mani del frale cbirurgo, (i cappuccini ne
avevano ordinariamente imo in ogni convento) che accomodava faldelle
e (iasce sulle due ferite ch'egli aveva ricevute nello scontro. Un padre, il
cui impiego particolare era d'assisterei moribondi, e che aveva spesso
avuto a render questo servizio sulla strada, fu chiamato subilo 2\ luogo
del combattimento. Tornato, pochi minuti dopo, entrò nell'infermeria,
e, avvicinatosi al letto dove Lodovico giaceva, u consolatevi « gli disse:
« almeno è morto bene, e m'ha incaricato di chiedere il vostro pcr-
d(H)o, e di portarvi il suo." Questa parola fece rinvenire affatto il po-
vero Lodovico, e gli risv^liò più vivamente e più distintamente i sen-
timenti ch'eran confusi e afTolIati nel suo animo: dolore dell'amico,
sgomento e rimorso del colpo che gli era uscito di mano, e, nello stesso
tempo, un'angosciosa compassione dell'uomo che aveva ucciso, u E Tal*
tre? » domandò ansiosamente al frate.
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74 1 PHOUESSi SPOSI
u L'altro era spirato, quancfio arrivai. "
Frattanto, gli accessi e i contorni del concento forniicolavan di po-
polo curioso: ma, giunta la sbirraglia, fece (smaltir la folla, e si postò
Il una «-cria distanza dalla porla, in modo però clic nessuno pote»^c
uscirne inosservato. Un fratello del morto, due ^uoi cugini e un vc<^
diio zio, vennero pure, armali da capo a pieili, con grande acconipa-
gnamcntodi bravi; e si miseroafor la ronda intorno, guardando , con
aria e con atti di dis|H-tlo minaccioso, igue' curiosi , clic non osavaii dire :
gli sta bene: ma l'avevano t-erillo in viifo.
Appena Lodo\ico eU)e potuto raccogliere j suoi pensieri, chiamato
im frale confessore, lo pregò che cercasse della vedova di Crislofm-o,
le chiedesse in suo nome perdono d'essere slato lui la cagione, quan-
tunque ben certo involontaria, di quella desolazione, e, nello stesso tempo,
l'assicurasse ch'egli prendeva la famiglia sopra di se. Riflettendo quindi
a" casi suoi, senti rinascere più che mai vivo e serio quel pensiero di
farsi frale, ehealti'C volle gli era passato per la mente: gli parve die
Dio medesimo l'avesse messo sulhi strada, e datogli un segno del suo
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CAPITOLO IV. jn
volere, facendirio capitare in un convento, in quella congiuntura; e il
partito fìi preso. Fece cliìamare il guardiuio, e gli manifestò il suo desi-
derio. N' eblie in rbposta, ctie bisognava guardarsi dalle risoluzioni
precipitate^ ma che, se persisteva, non sarebbe riputato. AUora, fatto
venire un notaro, dettò una donazione dì lutto ciò che gli rimaneva
(ch'era tuttavia un bel palrimoaio) alla famiglia di Cristoforo: un»
somma alla vedova, come se le costiluisse una contraddote, e il resto
a otto figliuoli che Crìstofbi-o aveva lasciati.
La risoluzione di Lodovico veniva molto a proposito per i suoi ospiti^
i quali, per cf^^fon sua, erano in un beli' intrigo. Rimandarlo dal con-
\'ento, ed esporlo cosi alla giustizia, cioè alla vendetta de' suoi nemici,
non era partilo da metter neppure in consulla. Sarebbe stalo lo stesso
che rinunziare a' propri privilegi, screditare il convento presso il pò-
ptrio, attirarsi il biasimo di tutti i cappuccini dell'universo, per aver
lasciato violare il diritto di tutti , concitarsi contro tutte t' autorità ec-
clesiastiche, le quali si consideravan come tutrìd di questo diritto. Dal-
l'altra parte, la famiglia dell'ucciso, potente assai, e per sé, e per le sue
aderenze, s'era messa al punto di voler vendetta; e dichiarava suo ne-
mico chiunque s'attentasse di mettervi ostacolo. La storia non dice che
a loro dolesse mollo dell'ucciso, e nemmeno che una lagrima fosse stata
sparsa per lui, in tutto il parentado: dice soltanto ch'eran tutti sma-
niosi d' aver nell'unghie l'uccisore, o vivo o morto. Ora questo, vestendo
l'abito di cappuccino, accomodava 4^i cosa. Faceva, in certa maniera,
un'emenda, s'imponeva una penitenza, si chiamava implicilamoite in
colpa, si ritirava da ogni gara; era in somma un nemico che depon
l'arrai. I parenti del morto potevan poi anche, se loro piacesse, cre-
dere e vantarsi che s'era fatto frate per disperazione, e per terrore del
loro sdegno. E, ad <^ni modo , ridurre un uomo a spropriarsi del suo,
a tosare la testa, a camminare a piedi nudi, a dormir sur un saccone,
a viver d'elemosina, iMteva parere una punizione competente, anche
all'offeso il più borioso.
0 padre guardiano si presentò, con un'umiltà dbinvolla, al fratello
del morto, e, dopo mille proteste di rispetto per l' illustrissima casa, e
di desiderio di compiacere ad essa in tutto ciò che fosse fattibile, parlò
del pentimento di Lodovico, e della sua risoluzione, facendo garbata-
mente sentire che la casa poteva esseme contenta, e insinuando poi soa-
vemente, e con maniera ancor più destra, che, piacesse o non piacesse,
la cosa doveva essere. Il fratello diede in ismanie, che il cappuccino
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is I ntoifssei SPOSI
lasciò svaporare, dicendo di l^npo io tempo: «e un troppo giusto do-
lore, n Pece intendere che, in ogni caso, la sua famiglia avrebbe saputo
prendersi una soddisfazimie: e il cappuccino, qualunque cosa ne pen-
sasse, non disse di no. Finalmente ridiiesc, impose come una condt-
zìiHic, che l'uccisor dì suo fratello partireste subilo da quella eillà.
(I guardiano, che aveva già deliberato che questo fosse folto, disse che
si farebbe, lasciando che l'altro credesse, se gli piaceva, esser questo
un atto d' iU>bidienza: e tutto fu concluso. Contenta la famiglia, che
ne usciva con onore; contenti ì frati, che salvavano un uomo e i loro
privilegi, senza &rsi alcun nemico; contenti i d'Iettanti di cavallerìa,
che vedevano un alfarc lermìnarsi lodevolmente; contento il pop<do,
die vedeva fuor d'impiccio un uomo ben voluto, e die, nello stesso
tempo, ammirava una conversione; contento (inahnenlc,e più di tutti,
in mezzo al dolore, il nostro Lodovico, il quale cominciava una vita
d'espiazione e diservizio, che potesse, se non riparare , p^are almeno
il mal latto, e rintuzzare il pungolo intollerabile dd rimorso. D soqiello
che la sua risoluzione fosse attribuita alla paura, l' afflisse un momento;
ma si consolò subito, col pensiero che anche quell'ingiusto giudizio sa-
rebbe un gastigo per lui, e un mezzo ^ espiazione. Co^, a treni' anni,
si ravvolse nd sacco; e, dovendo, secondo l'uso, lasciare il suo nome,
e prenderne un altro, ne scelse uno che gli rammentasse, ogni mo-
mento, ciò che aveva da es|Mare: e si chiamò fra Cristoforo.
Appena compita la cerimonia della vestizione, il guardiano gf intimò
cl)e sarebbe andato a fare il suo noviziato a '", sessanta miglia lon-
t»io, e che partirebbe all'indomani. Il novizio s'inchinò profondamente,
e chiese una grazia, u Permettetemi, padre, » disse, « die, prima
di partir da questa città, dove ho sparso il sangue d'un uomo, dove
lascio una famiglia crudelmente offesa, to la ristori almeno dell' alTronto,
eh' io mostri almeno il mio rammarico di non poter risarcire il danno,
col chiedere scusa al fratello dell'ucciso, e gli levi, se Dio benedice
la mia intenzione, il rancore dall'animo. » Al guardiano parve die un
tal passo, oltre all'esser buono in sé, servirebbe a rictmciliar sempre
più la famìglia col convento; e andò diviato da qud signor fratello, ad
cspoi^i la domanda di fra Cristoforo. A proposta così inaspettata, colui
sentì, insieme con la maravi^ia, un ribollimento dì sdegno, non perù
senza qualche compiacenza. Dopo aver pensalo un momento, » venga
domani, » disse; e assegnò l'ora. Q guardiano tornò, a portare al novizio
il consenso desiderato.
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CAPITOLO IV. 71
Il gentiluomo pensò subito die, quanto più quella soddisfazione fosse
solenne e clamorosa, tanto più accrescerebbe il suo credilo presso tutta
la parentela, e presso il pubblico; e sarebbe (per dirìa con un'eicganz»
moderna) una beila pagina nella stona della famiglia. Fece avvertire
in Iretta tutti i parenti che, all'indomani, a mezzogiorno, restassero ser-
viti (così si diceva allora) di venir da lui, a ricevere una soddisfa-
zione comune. A mezzogiorno, il palazzo brulicava di signori d'ogni
età e d'ogni sesso: era un girare, un rimescolarsi di gran cappe,
d'alte penne, di durlindanc |)endenti, un moversi librato di gorgiere
inamidale e crespe, uno strascico intralciato di rabescate zimarre. Le
anticamere, il cortile eia strada funnicolavan di servitori, di paggi, di
bravi e di curiosi. Fra Cristoforo vide quell'apparecchio, ne indovinò
il motivo, e provò un leggier turbamento; ma, dopo un istante, disse
Ira sé: — sta bme: l'ho ucciso in pubblico, alla presenza di tanti
suoi nemici: quello fu scandolo, questa è riparazione. — Osi, con gli
occhi bassi, col padre compagno al fianco, passò la porla di quella
casa, attraversò il cortile, tra una folla che lo squadrava con una cu-
riosità poco cerimoniosa; sali te scale, e, dì mezzo all'altra folla signo-
rile, che fece ala al suo passaggio, seguito da cento sguardi, giunse
alla presenza del padron di casa; il quale, circondato da' parenti più
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IS I PROMESSI SPOSI
prossimi, slava rillo ne) mezzo della sala, con lo sguardo a lerra , i-
il incnloinarìa, impugnando, con la mano sinistra, i) pomo della spada,
e stringendo con la destra il bavero della cappa sul petto.
C'è talvolta, nel volto e ne! contegno d'un nomo, un' espressone
cosi immediata, si direbbe quasi un'elTusione dell'animo interno, che.
in una folla di spettatori, il giudizio sopra quell'animo sarà un solo.
U volto e il eontcgno di fra Cristoforo disser diiaro agli astanti, che
non s'era fallo fi-ate, né veniva a quell'umiliazione per limore umano:
e questo cominciò a concigliarglìeli tulli. Quando vide l' offeso, affrellò
il passo, gli si pose ingiitocchioni ai piedi , incrociò le mani sul pedo,
e, chinando la testa rasìi, disse queslc parole: u io sono l'omicida ài
suo fratello. Sa Iddio se vorrei restituirglielo a costo del mio san-
gue; ma, non potendo altro che farle inelfìcaei e Iarde scuse, la sup-
plico d'accettarle \)er l'amor di Dio. >■ Tutti gli occhi erano inuntrfMlì
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CAPITOLO IV, TO
9ul novizio, e sul personaggio a cui egli parìava; tulli gli oreccbi eran
tesi. Quando fra Grìstfribro tacque, s'alzò, per lulla la sda, un idot"
mono di pietà e di rìspello. D gentiluomo, che slava in atto di
degnaziiHie forzala, e d' ira compressa , Tu turbalo da quelle parole;
e, chinandosi verso l' inginocchiato, u alzatevi, n disse, con voce alte-
rata: e l'offesa..,, il fatto veramenle.... ma l'abito che portate
iHMi solo questo, ma anche per voi... S'alzi, padre.... Mio fratello...
non fo posso negare.... era un cavaliere.... era un uomo.... un po'
impetuoso.... un po' vivo. Ma tutto accade per disposizion di Dio.
Non se ne parli più... Ma, padre, lei non deve slare hi codesta po-
situra. B E, presolo per le braccia, lo sollevò. Fra Cristoforo, in piedi,
ma col capo chino, rispoi^c: » io posso dunque sperare che lei m' ab-
bia concesso il suo perdono! E se 1' ottengo da lei, da chi non devo
sperarlo?Oh! s'io potessi sentire dalla sua bocca questa parola, perdono In
u Perdono?" disse il gentiluomo, u Lei non ne ha più bisogno.
Ma pure, poiché lo desidera, certo, certo, io le perdono dì cuore, e
lutti. ... >
"Tutti! tutti!" grìdaiNMio, a una voce, gli astanti. Il volto del frale
s' aprì a una ^oia rìeonoscenle , sotto la quale traspariva però an-
cora un' umile e prdonda compunzione del male a cui la remissione
degli uomini non pote^'a riparare. U gentiluomo, vinto da qu^l'aspetlo,
e trasportato dalla commozione generale, gli gelìò le braccia al collo,
e {^i diede e ne ricevette il bacio di pace.
(Jn u bravo! bene! » scoppiò da tutte le partì della sala; tutti si mos-
sero, e si strinsero intorno al frate. Intanto vennero servitori, con gran
copia di rinfreschi. L gentiluomo sì raccostò al nostro Cristoforo, ti quale
&eeva segno di volersi licenziare, e gli disse: u padre, gradisca qual-
die cosa; mi dia questa prova d'amicizia. » E sì mise per servirlo
prima d'ogni altro; ma egli, ritirandosi, con una certa resislenza cor-
diale, u queste cose, n disse, «non Fanno più per me; ma non sarà
mai eb'io rifluii ■ sam doni. Io sto per mettermi in viaggio: :9ì degni
dì fermi portare un pane, perchè io possa dire d' aver goduto la sua
carità, d' aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo per-
dono." n gentiluomo, commosso, ordinò che cosi sì facesse; e vc«ine
subito un cameriere, in gran gala, portando un pane sur un piatto
d'ai^iito, e lo presentò al padre; ÌI quale, presolo e ringraeiato, lo
mise nella sporta. Chiese quindi licenza; e, abbraccialo di nuovo il pa-
driHi dì casa, e tutti quelH che, trovandosi più vicini a Ini, ]H)terono
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1 raouEssi SPOSI
impadronirsene UD momento, si liberò da osiìi a fatica; ebbe a com-
batter nell'anticamere, per isbrìgarsi da' servitori, e aiicbe da' bra-
vi, che gli baciavano il lembo dell'abito, il cordone, il cappucci»;
e si trovò nella strada, portalo come in trionfo, e accompagnato <la
una folla di popolo, lino a una )K)rta della città; d'onde usci, comin-
ciando il suo pedestre viaggio, verso il luogo del suo llo^'iziato.
Il fratello dell' ucciso, e il parentado, che s' er-ano aspettati d' assa~
porarc in quel giorno la trista gioia doli' orgoglio, si trovarono in vece
ripieni della gioia serena del perdono e della benev olenza. La compagnia
si trattenne ancor qualche tempo, con una bonarietà e con una cor-
dialità insolita, in ragionamenti ai quali nessuno era preparato, an-
dando là. In vece di soddisfazioni prese, di soprusi vendicati, d'im-
pegni spuntali, le lodi del novizio, la riconciliazione, la mansuetudine
furono i temi della conversazione. E taluno, clic, per la cinquantesima
volta, avrebbe raccontato come il conte Muzio suo padre aveva saputo,
in quella famosa congiuntura, far slare a dovere il marchese Stanislao,
ch'era quel rodomonte che (^nun sa, parlò in vece delle penitenze
e della pazienza mirabile d'un fra Simone, morto moli' anni prima.
Partila la compagnia, il padrone, ancor tutto commosso, riandava Ira se,
con maraviglia, ciò che aveva inleso, ciò eli' egli medesimo a^■e^'a detto;
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CAPITOLO IV. ai
e borboUava tra i denti : — diavolo d' un frale ! ( biscia t>ene clw
iKH trascriviamo le sue precise parole ) — diavolo d' un frate! se ri-
maneva )ì in ginocchio, ancora per qualche momento, quasi quasi gli
chiedevo scusa io, che m' abbia ammazzalo il fratello. — La nostra
sttHia nota espressamente che, da quei giorno in poi, quel signore
fn un po' me» precipitoso, e un po' più alla mano.
U padre Cristoforo camminava, con una consolauone che non aveva
mai più provata, dopo quel giorno terrìbile, ad espiare il quale (utia
la sua vita doveva esser consacrala. Il sit^izio eh' era imposto a' no-
vizi, l'osservava, senza avvedersene, assorto com'era, nel pensiero
delle fatidie, delle privazioni e dell' umiliazioni che avrebbe sofferte,
pò* iscontare il suo fallo. Fermandosi, all' ora delta refezione, presso
un benefattore, mangiò, con una specie di vduttà, del pane del per-
dono: ma ne serbò un pezzo, e lo ripose nella sporta, j)er tenerlo,
come un ricordo perpetuo.
Non è nostro disegno di br la storia della sua vita claustrale: dire-
mo soltanto che, adempiendo, sempre con gran voglia, e con gran cura,
gli ufizi che gli venivano ordinariamente assegnati, di predicare e d'as-
sistere ì moribondi, non lasciava mai sfuggire un' occasione d'eser-
citarne due altri, che s'era imposti da sè:accomodar differenze, e pro-
te|3;ere oppressi. In questo genio entrava , per qualdie parte, senza
ch'egli se n'avvedesse, quella sua vecchia abitudine, e un reslìcciolo di
spiriti guerreschi , che 1* umiliazioni e le macerazioni non avevan po-
tuto spegner del tutto. U suo linguaggio era abitualmente umile e
posato; ma, quando si trattasse dì giustizia o di verità combattuta, ru<Mno
s'animava, a un tratto, dell' impeto antico, che, secondato e modificato da
un'ea&si solenne, venutagli dall'uso del predicare, dava a quel linguaggio
un carattere singolare. Tutto il suo contegno, come l'aspetto, annun-
ziava una lunga guerra, tra un'indole focosa, risentita, e una volontà
O[^)osta, abitualmente vittoriosa, sempre all'erta, e diretta da molivi
e da isiHrazioni superiori. Un suo confratello ed amico, che lo co-
nosceva bene, l'aveva una volta paragonato a quelle parole Irof^
espressive nella loro forma naturale, che alcuni, anche ben educali,
pronunziano, quando la passione trabocca, smozzicale, con qualche
lettera mutala; parole che, in quel travisamento, fanno però ricordare
(Iella loro energia primitiva.
Se una poverella sconosciuta, nd tristo caso di Lucia, avesse diie-
sto r aiulo del padre Cristoforo, ^li sarebbe corso immediatamente.
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SI I PROMESSI SPOSI
lYattandosi poi di Lucia, accorse con tanta più sollecitudine, in quanto
conosceva e ammirava l' innocenza di lei, era già in pensiero per i suoi
pericoli, e sentiva un' ìndegnazione santa, per la turpe persecuzione
della quale era divenuta l'ometto. Oltre di ciò, avendola consigliata,
per il meno male, di non palesar nulla, e di starsene quieta, temeva
ora che il consiglio potesse aver prodotto qualche tristo efledo; e aHa
soUeciludine di carità , eh' era in lui come ingenita , s' aggiungeva , in
questo caso, quell'angustia scrupolosa che spesso tormenta i buoni.
Ma, intanto che noi siamo slati a raccontare i fatti del padre Cri-
stoforo, è arrivato, s'è affacciato all' uscio; e le donne, lasciando il
' manico dell'aspo che facevan girare e strìdere, si sono alzate, dicen-
do, a una voce: « oh padre Cristoforo! sia benedetto!"
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I qual |)adrc Grisloforo si ferniù
rillo sulla soglia, e, appena ebbe
data un'occhiaia alle donne, do-
velte accorgersi die i suoi presen-
linienti non eran falsi. Onde, eoo
quel tono d' inlen-ogazione che va
incontro a una trista risposta, al-
Eando la barba con un moto leg-
giero della lesta all' indietro, disse:
« ebbene? « Lucia rispose con uno
scoppio di pianto. La madre cominciava a far le scuse d'aver osato...
ma il frale s'avanzò, e, messosi a sedere sur un panchetto a tre piedi,
troncò i complimenti, dicendo a Lucia: «quietatevi, povera figliuola.
E voi , n disse poi ad Agnese, u raccontatemi cosa c'è! » M«itre
la buona donna faceva alla meglio la sua dolorosa relazione, il frate di-
ventava di mille colorì , e ora alzava gli occhi al cielo , ora batteva
ì piedi. Terminala la storia, si copri il volto con le mani, ed esclamò:
«o Dio benedetto! fino a quando....! « IVta, senza compirla frase, vol-
tandosi di nuovo alle donne: « poverette! » disse: » Dio vi ha visitate.
Povera Lucia! »
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04 I PROMESSI SPOSI
u No» ci abbandonerà, padre? » disse questa, singhiozzando.
u Abbandonarvi ! » rispose. « E con vlie faccia potrei io chieder n
Dio qualcosa per me , quando v' avessi abbandonata ? voi in questo
slato! voi, eli' Egli mi confida! Non vi perdete d'animo: Egli v'assisterà:
Egli vede tutto: Egli può servirsi anche d'un uomo da nulla come son
io, )U'r confondere un.... Vediamo, pensiamo qnel che si possa fare. "
Cosi dicendo, appoggiò il gomito sinìslro sul ginocchio, chinò la
fronte nella palma, e con la destra strinse la barba e il mento, come
|)er (cncr ferme e unite tutte le potenze dell' animo. Ma la più attenta
eonsidcrazionc non serviva che a fargli scorgere più distintamente
quanto Ì1 caso fosse pressante e intrigalo, e quanto scar^, quanto in-
certi e perieolosi i ripieghi. — Mettere un po' di vergogna a don
Abbondio, e fargli sentire quanto manchi al suo dovere? Vei^ogna
e dovere sono un nulla per lui, quando ha paura. E hr^i paura?
Che mezzi ho io mai di fargliene una che superi quella che ha d'una
schioppettala? Informar di tutto il cardinale arcivescovo, e invocar la
sua autorità? Ci vuol tempo: e intanto? e poi? Quand'anche que-
sta povera innocente fosse maritala , sarebbe questo un freno per
qiidl' uomo? Chi sa a qiial segno possa arrivare?,... E resistergli?
Come? Ali! se |>olessi, itensava il povero frate, se potessi tirar dalla
mia i miei frati di qui, quc'di lUilano! Ma! non è im affare comune;
sarei abbandonato. Costui fa l'amico del eon\-ento, si spaccia per par-
tigiano de' cappuccini: e i suoi bravi non son venuti più d'una volta
a ricoverarsi da noi? Sarei solo in ballo; mi buscherei anche dell'in-
quieto, dell'imbrc^lione, dell' araattabriglie; e, quel eli' è più, potrei
fors' anche, con un lentatÌ\o fuor di lempo, {leggiorar la condizione
di questa poveretta. — Contrappcsalo il prò e il contro di questo e
di quei partito, il migliore gli parve d'affrontar don Rodrigo stesso,
tentar di smoverlo dal suo infame proposito, con le pr^liiere, coi
Icrrori dell' aHra vita, anche di questa, se fosse possibile. Alla peg-
gio, si |>otreU)e almeno conoscere, per qnesla via, più distintamente
quanto colui fosse ostinato nel suo sporco im|>egno, scoprir di più le
sue intenzioni, e prender consiglio da ciò.
Mentre il frate stava cosi meditando, Renzo, il quale, per tutte le
n^poni che ognun può indovinare, non sapeva star lontano da quella
casa, era comparso sull'uscio; ma, visto il padre sopra pensiero, e le
donne die facevan cenno di non disturbarlo, si fermò sulla soglia, in
silenzio. Alzando la faccia, per comunicare alle donne il suo progetto.
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il frale s'accorse «li lui, e lo salutò in un modo ch'esprimeva un'afTc-
tionc consueta, resa più intensa dalla pietà.
u Le hanno detto..., padre? » gli domandò Renzo, con voce com-
i- Pur troppo; e |H;r questo son qui. "
-■ Cile dice di quel birbone...? "
- Clic vuoi di' io dica di lui? Non è qui a sentire: che giovereb-
l>ero le mie parole? Dico a le, il mio Renzo, che tu conlìdi in Dio, e
ebe Dio nrni l'abbandonerà. "
" Benedette le sue parole! " esdamò il giovane. « Lei non è di quelli
che dan sempre torlo a' poveri. Ma il signor curato, e quel signor <)ot-
Inr delle cause perse.... »
u Non rivangare quello die non può servire ad altro che a inquie-
tarli inulilniente. Io sono un povero (rate ; ma ti ripeto quel che ho
detto a queslc donne: per quel poco che posso, non v'abbandonerò. "
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B« I PROMESSI SPOSI
u Oh, lei non è come gli amici del mondo! Cìarìoni! Chi avesse
creduto alle proteste che mi tacevan costoro, nel buon tempo; eh eh!
Eran pronti a dare il sangue per me; m'avreUtero sostenuto contro
il diavolo. S' Jo avessi avuto un nemico?.... bastava che mi lasdassì
intendere; avrebbe finito presto di mangiar pane. E ora, se vedesse
come si ritirano.... » A questo punto, alzando gli occhi al volto de)
padre, vide ctie s'era tutto rannuvolato, e s'accorse d'aver detto ciò
che conveniva tacere. .Ma volendo raccomodarla, s'andava intrigando
e imbrogliando: u volevo dire non intendo dire cioè, vivevo
dire,,,. «
u Cosa volevi dire? E che? tu avevi dunque comincialo a guastar
l'opera mia, prima che fosse intrapresa! Buon per te che sci stalo dis-
ingannato in tempo. Che! Ui andavi in cerca d'amici.,., quali amici!...
che non t'avrcblicr potuto aiutare, neppur volendo! E cercavi di per-
der Quel solo cite lo può e lo vuole! Non sai tu che Dio è l'amico
de'tnbolatJ,ehe confidano in Lui? Non sai tu che, a metter fuori l'un-
ghie, il debole non ci guadagna? E quando pure.... » A questo punto,
alTerrò rortemenle il braccio di Renzo: il suo aspetto, senza perder
d' autorità , s' atteggiò d' una compunzione solenne , gli occhi s' ab-
bassarono, la voce divenne lenta e come sotterranea: uquando pure....
è un terribile guadagno! Renzo! vuoi tu confidare in me?... die dico
in me, omiciattolo, fraticello? Vuoi tu confidare in Dio? «
u Oh si! » rispose Renzo, u Quello è il Signore day\'ero. »
" EHienc; prometti ctkc non affronterai, che^^non provocherai nes-
suno, che ti lascerai guidar da me. "
« Lo prometto. «
Lucia fece un gran respiro, come se le avesser levato un peso d'ad-
dosso; e Agnese disse: « bravo figliuolo. »
u Sentite , figliuoli , » riprese fra Oistofbro : u io anderò oggi a
parlare a queir uomo. Se Dio gli tocca il cuore, e dà forza alle mie
parole, bene: se no, Egli ci farà trovare quaklie altro rimedio. Voi in-
tanto, statevi quieti, ritirati, scansate le eiarìe, non vi late ved««. Sta-
sera, 0 domattina al più (ardi, mi rivedrete. " Detto questo, troncò
tutu i ringraziamenti e le benedizioni, e parti. S'avviò al convento,
arrivò a tempo d'andare in coro a cantar sesia, desinò, e si mise su-
bito in calumino, verso il covile della fiera che voleva provarsi d'am-
mansare.
Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d'una
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bicocca, sulla cìnw d'uno de' poggi ond'è sparsa e rilevala quella co-
sliera. A questa indicazione l' anoitiino aggiunge che il luogo (avrebbe
Tatto meglio a scriverne alla buona il nome) era più in su del paesello
de^i sposi, discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal «onvento.
Appiè del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il
lago, giaceva un mucchiello di casupole, abitate da conladini di dtm
Rodrigo; ed era come la picctria capitale del suo piccol regno. Bastava
passarvi, per esser chiarito della condizione e de' coiitumi del paese.
Dando un'occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto,
» vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cap-
pelli di piglia, reticelle e (iaschelti da polvere, alla rinfusa. La genie die
vi s'incontrava erano omacci tarchiati e arcigni, con un gran ciuffo
arrovescialo sul capo, e chiuso in una reticeUa;'vecchi che, perdute le
canne, parevan sempre pronti, chi nulla nulla gli aizzasse, a digri-
gnar le gengive; donne con certe facce maschie, e con certe braccia
neriwrute, buone da venire in aiuto della lingua, quando questa non
bastasse: ne' semlHanti e nelle mosse de' fanciulli stessi, che giocavan
per la strada, sì vedeva un non so che di petulante e di provocativo.
Fra Cristoforo attraversò^ il villaggio, sali per una viuzza a (goc-
ciola, e pervenne sur una piccola spianata, davanti al palazzotto. La
porta era chiusa, segno che il padrone stava desinando, e non voleva
esser frastornalo. Le rade e piccole finestre che davan sulla strada,
chiuse da imposte sconnesse e consunte dagli anni , eran però difese
da grosse inferriate, e quelle del pian terreno tanf alte che appena vi
sard>be arrivato un uomo sulle spalle d' un altro. — Regnava quivi
un gran silenzio; e un passeggiero avrd>be potuto credere che fosse
una casa abbandonala, se quattro creature, due vive e due morte,
ooOocale in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d' abi-
tanti. Due grand* avoltoi, con l'ali spalancate, e co' tesdii penz(4oni,
f uno spennacchiato e mezzo roso dal tempo , 1' altro ancor saldo e
pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone; e
due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle pandie poste a destra e a
sinisU^, facevan la guardia, aspettando d'esser chiamali a goder gli
avanzi della tavola del signore. Il padre si fermò ritto , in allo di chi
si dispone ad aspettare; ma un de'bravi s'alzò, e gli disse: » padre,
padre , venga pure avanti : qui non si fanno aspettare i cappuocìn! :
noi siamo amici del convento: e io ci sono stato in certi momenti che
(iiorì non era troppo buon'aria ]>cr me; e se mi avesser tenuta la
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BS I PROHESSl SPOSI
porta chiusa, la sarebbe andata male, n Cosi dicendo, diede due piccfiì
col martello. A quel suono rbposer subito di dentro gli urli e le filrj<k
di mastini e di cagnolini; e, pochi momenti dopo, giunse borbottan-
do un vecchio servitore; ma, veduto il padre, gli fece un grand' in-
citino, acquietò le bestie , con le mani e con la voce, introdusse I' o~
spile in un angusto cortile, e richiuse la porta. Accompagnatolo poi in
un salotto , e guardandolo con una cert' aria di maraviglia e di ri-
spetto, disse: u non è lei.... il padre Cristoforo di Pescaroiico? »
a Per l'appunto. *
t Lei qui? >•
~ Come vedete, buon uomo. "
" Sarà per Tar del bene. Del bene, » continuò moi'nioraiido tra i
<lenli, e rincanmiinandosi, u se ne può far per tutto. » Attraversati due
otre altri salotti oscuri, arrivarono all'uscio della sala del convito.
Quivi un gran frastono confuso di forchette, di ctdtelli, di bicdiieri, di
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piatti, e sofira tutto dì voci discordi, che cercavano a vic«H)a di so-
verchiarsi. Il frale voleva ritirarsi, e stava ctmtraslando dietro l'uscio
ed servitore, per ottenere d'esser lasciato in qualche canto della casa, fin
che il pranzo fosse terminalo; quando l'uscio s'apri. Va certo conte
Attilio, che stava seduto in faceta (era un cugino del padron di casa;
e abbiam già fatta menzione di lui, senza nominarlo), veduta una testa
rasa e una tonaca, e accortosi dell'intenzione modesta del buon frale,
i' elù! ehi! « gridò; ■ non ci scappi, padre riverito: avanti, avanti. «
Don Rodrigo, senza indovinar precisamente il soggetto di quella vi-
sita, pure, per non so qual presentimento confuso, n'avrebbe fatto
di meno. Ma , poiché lo spensierato d'Allilio aveva fatta quella gran
chiamata, non conveniva a luì di tirarsene indietro; e disse: «venga,
padre, venga, n II padre s'avanzò, inchinandosi al padrone, e rispon-
dendo, a due mani, ai saluti de' commensali.
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DO 1 PHUUESSI Sl'OSI
L'uomo onesto in faccia al malvagio, piace generaJmeute (non dice
a lutti) immaginarselo con la fronte alta, con lo sguardo sicuro, col
pcllo rilevato, con lo scilinguagnolo bene sciolto. Nel tatto però, per
fargli prender quell'attitudine, si rlcbiedon ntolte circostanze, le quali
ben di rado si riscontrano insieme. Perciò, non vi maravigliate se fra
Cristoforo, col buon testimonio della sua coscienza , c(d sentimento fer-
missimo della giustizia della causa che veniva a sostenere, con un sen-
limcnto misto d'orrore e di compassione per don Rodrigo, stesse con
una cercaria di suf^zifflie e di rispetto, alla presenza di quello stesso
don Rodrigo, eli' era IÌ in capo di tavola, in casa sua, nel suo regno,
circondalo d'amici, d'omaggi, di tanti segni della sua potenza, con un
viso da far morire in bocca a chi si sia una preghiera, non die un
consiglio, non che una coirezione, non che un rimprovero. Alla sua
destra sedeva quel conte Attilio suo cugino, e, se fa bisogno di dirlo,
suo collega di libertinaggio e di so^ercbieria, il quale era venuto da
Milano a villeggiare, per alcuni giorni, con lui. A sinistra, e a un al-
tro lato della tavola, stava, con gran rispetto, temperalo però d' una
certa scurezza, e d' una certa saccenlcria, il signor podestà, quel me-
desimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo Tra-
maglino, e a fare star a dovere don Rodrigo, cmne s'è visto di sopra.
In faccia al podestà, in atto d'un rispetto il più puro, il più sviscerato,
se<leva il nostro dottor Azzecca-garbugli, in cappa nera, e col naso più
rubicondo del solito: in faccia ai due cugini, due convitati oscuri,
de' quali la nostra storia dice sollanto che non facevano altro che man-
giare, chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un
commensale, e a cui un altro non contraddicesse.
" Da sedere al padre', n disse don Rodrigo. Un servitore presentò
una sedia, sulla quale si mise il padre Cristoforo, facendo qualche scusa
al signore, d'esser venuto in ora inopportuna. "Bramerei di parlarle
da solo a solo, con suo comodo, per un alTare d'importanza," soggiunse
poi, con voce più sommessa, all' oi-ecchio di don Rodrigo.
u Bene, bene, parleremo ; " rispose questo: u ma intanto si porli
da bere al padre. »
Il padre voleva scliermirsì; ma don Rodrigo, alzando la voce, in
mezzo al trambusto eh' era' ricomiociato , gridava : « no, per liacco ,
non mi farà questo torlo; non sarà mai ^■ero che un cappuccino va-
da via da questa casa, senza aver gustato del mio vino, né un credi-
tore insolente, senza aver assaggiate le legna de' mìei boschi. " Queste
Digitizf^riiiyGoOgle
parole eccitarono un rìso universale, e interruppero un momento
la questione che s'agitava caldamente tra i commensali. Un servitore,
portando sur una sottocoppa un'ampolla di vino, e un lungo- bic-
chiere in forma di calice, lo presenta al padre; il quale, non volendo
resistor a un invito tanto pressante dell'uomo die gli premeva tanto
di (arsi propizio, non esitò a mescere, e si mise a sorbir lenlanimlc
il vino.
u L'autorità del Tasso non serve al suo assunto , signor podestà ri-
verito; anzi è contro di lei; n riprese a urlare il conte Attilio: «per-
ette queir uomo erudito, r|ueir uomo grande , clic R»|)eva a menadito
tutte le regole della cavalleria, ha fatto che il messo d'Argante, prima
d" esporre la sfida ai ea^'alieri cristiani chictla lirenza al pio Bu-
glirnie »
B Ma questo» replicava, non meno urlando, iI-|)odcslii, «questo e
im di più, un mero di più, un ornamento poetico, giacclié il messag-
giero è di sua natura inviolabile , per diritto delle genti , jure </e»-
tium ; e, senza andar tanto a cercare, lo dice anche il proverbio: am-
basetator non porta pena. E, i proverbi, signor conte, sono la sapienza
del genere umano. G, non avendo il messaggìero detto nulla in suo
proprio nome, ma solamente presentata la sfida in iscritto .... »
u Ma quando vorrà capire che quel messaggiero era un aiiitio te-
merario, che non conosceva le prime... ? «
« Con buona licenza di lor signori, " interruppe don Rodrigo,
il quale non avrdìbe voluto che la «{ueslione andasse troppo avanti :
H rimettiamola nel padre Cristoforo; e si sUa alla sua sentenza, n
« Bene, benissimo, n disse il conte Attilio, al quale parve cosa mollo
garbata il far decidere un punto di cavalleria da un cappuccino; men-
tre il podestà, più infer^'orato di cuore nella questione , si chetava a
stento, e con un certo viso, che pareva volesse dire: ragazzate.
u Ma, da quel che mi pare d'aver capilo, " disse il padre, « noa
afta cose di cui io mi deva intendere. »
u Solile scuse di modestia di loro padri ; >< disse don Rodrigo: <• ma
non mi scapperà. Eh via ! sappìam bene die lei non è venuta al
mondo col cappuccio in capo, e che il mondo l'Ita conosciuto. Via,
via : ecco la questione. »
u U latto è questo, » cominciava a gridare il conte Attilio.
u Lasciale dir a me, die son neutrale, cugino, » riprese don Ro-
drigo. B Ecco la storia. Un cavaliere spagnolo manda una sfida a un
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BS I PR(niESSl SPOSI
cavalìer milanese : il portatore , non Irovando il provocalo in casa ,
consegna il cartello a un Tratello del cavaliere; il qual Tralello legge
la s/ida, e in risposta dà alcune bastonale al portatore. Si traila....»
« Ben date, ben applicate, » gridò il cMite Attilio. « Fu una vera
ispirazione, n
K Del demonio, » soggiunse il |)odestà. u Battere un anibascialore!
persona sacra! Anche lei, padre, mi dirà se questa è azione da ca-
valiere. »
« Si, signore, da cavaliere, » gridò il conte: u e lo lasci dire a me,
che devo intendermi di ciò che conviene a un cavaliere. Oh, se fos-
sero stati pugni, sarebbe un'altra faccenda; ma il bastone non isporca
le mani a nesswio. Quello che non posso capire è perchè le pre-
mano tanto le spalle d' un mascalzone. "
" Chi le ha parlalo delle spaile, signor conte mio? Lei mi fa dire
spropositi che non mi son mai passati per la mente. Ho parlato del
carattere, e non di spalle, io. Parlo sopra lutto del diritto delle genti.
Mi dica un poco, di grazia, se i leciali che gli antichi Romani mands-
vano a intioiar le sfide agli altri popoli, chJedevan licenza d' esporre
l'ambasciala: e mi trovi un poco uno saitlore clic faccia menzione
che un feciale sia mai sialo bastonato. "
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K Che hinno a far con noi gli ufiziali degli antichi Romani? genie
cfae uidava alla buona, e che, in queste coae, era indietro , indietro. Ma,
secondo le leggi della cavalleria moderna, eh' è la ^era, dico e sostengo
che un messo il quale ardisce di ])orre in mano a un cavaliere uiia
sfida, senza avergliene chiesta licenza, è un temerario, \'iolabiIe vÌo-
labilissimo, bastonabile basionabilissinio . . . . "
« Risponda un poco a questo sillogismo. "
u Niente, niente, niente. ^
«Ma asciati, ma ascolti, ma ascolti. Percoterc mi disarmalo e alto
proditorio; atqui il messo de quo era senz'arme; ergo . . . ."
u Piano, piano, signor podesU. •>
" Che piano? "
-> Piano, le dico: cosa mi viene a dire? Atto proditorio e ferire
uno con la spada, per di dietro, o dai^li una scbiop]>ettata nella schiena :
e, anche per questo, si possono dar certi casi . . . ma stiamo nella que-
stione. Concedo che questo generalmente possa chiamarsi allo prodi-
torio; ma appellar quattro bastonate a nn mascalzone! Sarebbe bella
die si dovesse dirgli: guarda che ti bastono: coitic si direbbe a un
galantuomo: mano alla spada. — E lei, signor dottor riverito, in \tce
di tarmi de's<^bigni, |>er fanni capire eh' è del mio parere, [lercliè
non sostiene le mie ragioni, con la sua buona tabella, per aiutarmi a
|)er8uader questo signore? "
u lo.... n rispose conrusetloil dottore: u io g<Hlo di questa dotta di-
.sputa; e ringrazio i) bdl' accidente che liu dalo occasione a una guerra
d'ingegni coai graziosa. E poi, a me non compete di dar sentenza:
sua signoria illustrissima lia già dcl^ato un giudice... qui il padre... ><
u É vero; n disse don Rodrigo: « ma come volete die il giudice
pai-li, quando i litiganti non vogliwio slare zitti? »
u Ammutolisco, » disse il conte Attilio. Il podestà strinse le labbra,
e alzò la mano , conte in atto di rassegnazione.
» Ah sia riognfziato il cielo! A lei, padre, » disse don Rodrigo, con
una serietà mezzo canzonatoria.
a Ho già fatte le mie scuse, col dire elie non me n' intendo, » rÌ3i>ose
fra Cristoforo, rendendo il bicchiere a un servitore.
u Scuse magre: " gridarono i due cugini: u vogliamo la sentenza. «
» Quand' é cosi, » riprese il frate, u il mio debole |)arere sarebbe
che non vi fossero né slide, né portatori, né bastonale, n
I commensali si guardarono 1' un con l' altro maravigliati.
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>l I PllOHESSt SPOSI
«Ob questa è grossa! <> disse il conte Aililio. <• Mi perdoni, |>adre,
ma è grossa. Si vede che lei non conosce il mondo. "
"Lui ? » disse don Rodrigo: « me lo vcrfele far ridire: lo conosce,
cugino mio, quanto voi: non è vero, padre? Dica, dica se non lia
gitla la sua carovana ? »
In vece di rispondere a quest' amorevole domanda, il padre disse
una parolina in segreto a sé medesimo: — queste vengono a le; ma
l'Icordati, frate, die non sei qui per te, e che lutto ciò che tocca le
solo, non entra nel conto.
uSar&,n disse il cugino: «mail padre... come ^ chiama il padre? «
" Padre Cristoforo » rispose j)iù d' uno.
u Ma, padre Cristoforo, padron mio colendissimo, con qnesle sue
massime, lei vorrebbe mandare il mondo sottosopra. Senza ^de! Senza
bastonale! Addìo il punto d'onore: impunità per tulli i mascalzoni.
Per buona sorte che il supposto è impossibile, n
« Animo, dottore, » scappò fuori don Rodrigo, che voleva sempre
più divertire la dÌ3[mta dai due primi contendenti, « animo, a voi, che,
per dar ragione a tultJ, siete un uomo. Vediamo un poco come farete
per dar ragione in questo al padre Cristoforo, n
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CAPITOLO V. «»
u In verità, n rispose il dotlore, lenendo brandita in aria la for-
chetta, e rivolgendo» al padre, « ìa verità io non so intendere come
il padre Oristoloro, il quale è insieme il perfetto religioso e l'uomo di
mondo, non abbia pensato che la sua sentenza, buona, ottima e di
giusto peso sul pulpito, non vai niente, sia detto co) dovuto ridilo,
in una disputa cavalleresca. Ma il padre sa, meglio di me, cbe ogni
cosa è buona « suo luogo; e io eredo che, quella volta, abbia voluto
cavarsi, con una celia, dall'impiccio di proferire una sentenza. «
Cbe si poteva mai rispondere a ragionamenli dedotti da una sa-
pienza così antica, e sempre nuova? Niente: e cosi fece il nostro frale.
Ma don Rodrigo, per voler troncare quella questione, ne venne n
suscitare un'altra. » A proposilo, » disse, « ho sentito che a Milano
cwrevan voci d'accomodamento, n
D lettore sa che in quell'anno si combatteva per la successione ai
ducato di Mantova, del quale, alla morte di Vincenzo Gonzaga, che
non aveva lasciata prole legittima, era entrato in possesso il duca di
Nevcrs, suo parente più prossimo. Luigi XHI, ossia il cardinale di Ri-
chelieu, sosteneva quel principcj suo ben affetto, e naturalizzalo fran-
cese: Filippo IV, ossìa il conte d'Olivares, comunemente chiamalo il
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«S 1 PKMIESSI SPOSI
eoDle duca, noD lo voleva lì, per le slesse ragioni; e gli aveva riosso
guerra. Siccome poi quel ducalo era feudo dell'impero, cosi le due
parli s'adoperavano, con pratiche, con istanze, con minacce, presso
l'imperator Ferdinando II, la prima perchè accordasse l'investitura al
nuovo duca; la seconda perché glida negasse, ansi aiutasse a cacciarlo
da quello stato.
u Non son lontano dal crédere, » disse ìl conte Attilio, u che le
cose si possano accomodare. Ho certi indizi .... t
u Non creda, signor conte, non creda," interruppe il podestà, ulo,
in questo cantuccio, posso saperle le cose; perchè il signor castellano
spagnolo, clic, per sua iMnIà, mi vuole un po' di bene, e per esser
figliuolo d' un creato del conte duca, è informato d'ogni cosa . . . . "
B Le dico elle a ine accade ogni giorno di parlare in Milano con
ben altri personaggi; e so ili buon luogo che il papa, interessatissimo,
com'è, per In pace, ha fatto proposizioni .... »
•i Cosi dev'essere; la cosa è in regola; sua santità fa il suo dovere;
un papa deve sempre meller bene Ira ì principi cristiani; ma il conte
duca Ila la sua politica, e . . . . "
" E, e, e; sa lei, signor mio, come la pensi l'imperatore, in questo
momento? Creile lei che non ci sia altro che Mantova a questo mon-
do? Le cose a cui si deve |>ensare son molte, signor mio. Sa tei, per
esempio, fmo a che segno l'imperatore possa ora fidarsi di quel suo
prìncipe di Valdislano o di Valiistai, o come lo chiamano, e se....»
u 11 nome legittimo in lingua alemanna, » interruppe ancora il po-
destà, u è Vuglienstòiiio, come l'ho sentilo proferir pm volle dal no-
stro signor castellano s|)agnolo. Ma stia pur di buon animo, die....»
« Mi vuole insegnale .... ? " riprendeva il conte ; ma don Ro-
drigo gli die d'occhio, per fargli intendere che, per amor suo, cessasse
di contraddire. Il conte tacque, e il podestà, come un basUinciilo dis-
iinbr(^liato da una secca, continuò, a vele gonfie, il corso della sua
eloquenza. « Vaglienstcino mi dà poco fastidio; |>erchè il conte duca
ha l'occhio a tutto, e per Inllo; e se Vagliensteino voi'rà fare il beli' u-
more, saprà ben lui farlo rigar diritto, con le buone, o con le cattive.
Ha l'occhio per tutto, dico, e le mani lunghe; e, se ha fisso il chiodo,
come riia fìsso, e ginsfamcnte, da quel gran politico che è, che il
signor duca di Nivers non metta le radici in Mantova, il signor due»
di Ni^'ers non ce le metterà; e il signor cardinale di Riciliù farà mi
buco neir acqua. Mi fa pur ridere quel caro signor cardinale, a voler
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CAPITOLO V. ni
cozzare con un conle duca, ooii uiiOlivares. Dico il ver», clic vorrei
rìnascerv di qiii a dugent'anni, per seiilir cosn diraimo i posteri, di
questa bella pretensione. Ci vuol altroché invidia; testa vuol essere:
e teste conte la testa d'un conte duca, ce n'é una sola al mondo. Il
conte duca, signori mìei, » proseguiva il podestà, sempre col vento
in poppa, e un po' maravigliato anclie liti di non incontrar mai uno
scoglio: u il eonte duca è una volpe vecchia, parlando col dovuto ri-
spetto, che farebbe perderla traccia a chi si sia: e, quando accenna a
destra, si può esser sicuri che batterà a sinistra: ond'è che nessuno
può mai vantarsi di conoscere i suoi disegni; e quegli stessi che de-
von metterli in esecuzione , quegli stessi che scrivono i dispacci , non
ne capiscon niente, lo posso parlare con qualche cognizion di causa;
perchè quel brav'uomo del signor castellano si degna di trattenersi meco,
con qualche confidenza. Il conte duca, viceversa, sa appuntino cosa
bolle in pentola di tutte 1' altre corti; e tutti que' politiconi (che ee
n' è di diritti assai , non si può negare) hanno appena immaginato un
disegno, elie il conte duca te l'ha già indovinalo, con quella sua testa,
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I PROMESSI SPOSI
con quelle sue strade coperte, eoa qua' suoi tìli lesi per tutto. Quel
pover'uomo del cardinale di Riciliù tenta di qua, fiuta di là, suda,
s'Ingegna: e poi? quando gli è riuscito di scavare una mina, trova la
contrammina già bell'e fatta dal conte duca »
Sa il cielo quando il podestà avrebbe preso terra; ma don Rodrigo,
stimolato anche da' versacci che faceva il cugino, si voltò all' improv-
viso, come se gli venisse un' ispiratione, a un servitore, egli accennò
che portasse un certo liasco. « Signor podestà, e signori miei ! » disse
poi : H un brindisi al conte duca; e mi sapranno <Ure se il vino sia
degno del personaggio. » Il podestà rispose eoa un inchino, nel quale
traspariva un sentimento di riconoscenza particolare; perchè tutto ciò
che si faceva o si diceva in onore del conte duca, lo riteneva in
parte come fatto a sé.
« Viva mill'anni don Gasparo Guzman, eonte d'Olivares, duca di
sanLucar, gran privato del re don Filippo il grande, nostro signore ! »
esclamò, alzando il bicchiere.
Privato, chi non lo sapesse, era il termine in uso, a que' tempi, ix»*
significare il favorito d'un principe.
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" Viva mill'anni! " rìsposer tutti.
u Servite il padre, » disse don Rodrigo.
u Mi perdoni; » rispose il padre: u ma ho già fallo un ditsoi-diiie,
e non potrei ... « .
u Cune! « disse don Rodrigo: « si tratta d' un brindisi al conte
duca. Vuol dunque far credere ch'ella tenga dai navarrìni? "
Cosi si diiamavano allora, per ischemo, i Francesi, dai principi di Na-
varra, che avevan cominciato, con Enrico IV, a regnar sopra di loro.
A. tale scongiuro, convenne bere. Tutti i commensali proruppero in
esdamasioni , e in elo^i del vino: fuor che il dottore, il quale, col
capo alzato, con gli o&Aà fìssi, con le labbra strette, esprìmeva molto
[HÙ che non avrebbe potuto far con parole.
« Che ne dite eh, doUore? » domanda don Rodrigo.
Tirato fuor del bicchiere un naso più vermiglio e più lucente di
quello, il dottore rispose , battendo con eo&si ogni sillaba: «dico, pro-
ferisco, e sentenzio die questo è l' Olivares de' vini : censui, et in tam
ivi tentenliam, che un liquor simile non si trova in tutti i ventidue
regni del re nostro signore, che Dio guardi: dicliiaro e definisco che
i pranzi dell' ìllus^issimo signor don Rodrigo vincono le cene d' EUio-
gabak»; e che la carestia é bandita e confinata in pa*|>eluo da questo
palazzo, dove siede e regna la splendidezza. "
« Ben detto! ben definito! » gridarono, a una voce, i commensali:
ma quella parola, carestia, che il dottore aveva buttata fuori a caso,
rivolse in un punto tutte le menti a quel tristo soggetto; e lutti par-
larono ddla carestia. Qui andavan tutti d'accordo, almeno nel princi-
pale ; ma il fracasso era forse più grande che se ci fosse slato dispa-
rere. Parlavan tulli insieme, « Non c'è carestia, » diceva lino; « sono
gl'incettatori .... »
u E i Tomai, » diceva un altro: «che nascondono il grano. Implc-
cwli. »
u Appunto; impiccarìi, senza misericordia. "
" De' buoni processi, » gridava il podestà.
« Che processi? " gridava più forte il conte Attilio: « giustizia som-
maria. Pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce
pubblica, siHi conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli. »
<f Esempi! esempi ! senza esempi non si fa nulla. "
« Impiccarli! impiccarli!; e salterà fuori grano da tutte le parli, n
Qu, passando per una fiera, s'è trovato a goder l'armonia che fa
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100 I PROMESSI SPOSI
una compagnia di cantambanchi, <]uando, tra una sonala e l'attra, c^uno
accorda il suo stromento, fu^endolo slriden; quanlo più |»u6, affine di
sentirlo disUnlamenle, in mezeo al nimon; degli altri, s'immagini che
(ale fosse la consonanza di quei, se si può dire, discorsi. S'andava in-
tanto mescendo e rimescendo di quel lai vino; e le lodi di esso veni-
vano, com' era giusto, frammischiate alle sentenze di giurbpnidenza
economica; sicché le parole che s' udivan più sonore e più frequenti,
erano: ambrosia, e impiccarli.
Don Rodrigo intanto dava dell'occhiale al solo che stava zitto; e lo
vedeva sempre li fermo, senza dar segno d' impazienza né di (retta, sema
far atto che tendesse a ricordare che stava as)>etlando; ma in via di
non ^'olcr andarsene, prima d'essere stato ascoltato. L'avrebbe mandato
a spasso volentieri, e fatto di meno di quel colloquio; ma congedare
un cappuccino, senza avergli dato udienza, non era secondo le regole
della sua polìtica. Poiclic la seccatura non si poteva scansare, sì risol-
vette d'affrontarla subito, e di liberarsene; s'alzò da tavola, e seco
tutta la rubiconda brigala, senza interrompere il chiasso. Ciiiesta poi
licenza agli ospiti, s'av^'icinò, in allo cont^noso, al frate, che i^'era su-
bito alzato con gli altri; gli disse: ^ eccomi a' suoi comaiHli; •> e lo
condusse in un'altra sala.
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n che ]>osso ubbidirla?» disse don Rodrigo ,
])ianliU)do$i in piedi nel mezzo della sala.
Il suono delle parole era tale; ma il modo
con cui eran [irofcrile, voleva dir chiara-
nienle, bada a ehi sci davanti, pesa le pa-
role, e sbrigali.
Per dar coraggio al nostro fra Cristoforo,
non c'era mezzo più sieuro e più spedilo,
che prenderlo con maniera arrogante. Egli
clic sla^a sosi>eso , cercando le parole , e facendo scorrere tra le dita le
ave marie della corona che teneva a cintola , come se in qualdieduna
di quelle sperasse di trovare il suo esordio; a quel fare di don Rodrigo,
sì sentì subito venir sulle labbra più parole del bisogno. Ma iiensando
quanto importasse di non guasltu% i fatti suoi o, ciò ch'era assai più,
i falli altrui, corresse e temperò le frasi ehe gli si eran presentate alla
niente, e disse, con guardinga umiltà: « vengo a proporle un allo di
giustizia, a pregarla d'una carila. Ceri' uomini di mal affare hanno
messo innanzi il nome di vossignfH^a illustrissima , per far paura a un
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IDI I PROMESSI SPOSI
povero curato, e impedirgli di compire il suo dovere, e per sover-
cliiare due innocenti. Lei può, con una parola, confonder coloro, re-
stituire al diritto la sua forza, e sollevar quelli a cui è fatta una così
crude! violenza. Lo può; e potendolo la coscienza, l'onore — i
« Lei mi parlerà della mia coscienza , quando verrò a confessarmi
da lei. In quanto al mio onore, ha da sapere che il custode ne son
io, e io solo; e che chiunque ardisce entrare a parte con me di que-
sta cura, lo riguardo come il temerario che l'offende. «
Fra Cristoforo, avvertito da queste parole che quel signore cercava
di tirare al peggio le sue, per volgere il discorso in contesa, e non
dargli luogo di venire alle strette, s' impegnò tanto più alla sofferenza,
risolvette di mandar giù qualunque cosa piacesse all'altro di dire, e
rispose subito, con un tono sommesso: » se ho detto cosa che le di-
spiaccia, è stato eertamente contro la mia intenzione. Mi corregga pure,
mi riprenda, se non so parlare come si conviene; ma si degni ascol-
tarmi. Per amor del cielo, per quel Dio, al cui cospetto dobbiam tutti
comparire » e, cosi dicendo, aveva preso tra le dita, e metteva da-
vanti agli occhi del suo accif^ialo ascoltatore il teschietto di legno at-
taccato alla sua corona, u non s'ostini a negare una giustìzia così
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CAriTOLO VI. I«l
Tarile, e così dovuta a de* poverelli. Pen« die Dio ha aempre gli occhi
sopra di loro, e cbe le loro grida, i loro gemiti sodo ascoltati lassù,
L' innocenza é polente al suo — »
1 Eh, padre! •> interruppe bruscamente don Rodrigo: « il rispetto
(di' io porto al suo abito è grande : ma se qualche cosa potesse far-
melo dimenticare, sard^ il vederlo indosso a uno che ardisse di ve-
nire a farmi la spia in casa. »
Questa parola fece venir le fiamme sul viso del frate : il quale però,
col sembiante di chi inghiottisce una medicina molto amara riprese :
li lei non crede che un tal titolo mi si convenga. Lei sente in cuor suo,
che il passo ch'io fo ora qui, non è né vile né spregevole. M' ascolli,
signor don Rodrigo; e voglia il cido che non venga un giorno in
cui si penta di non avermi ascoltato. Non voglia metter la sua glo-
ria.... qual gloria, ^gnor don Rodrigo! qoal gloria dinanzi agli uomini!
E dinanzi a Dio! Ld può mdto quaggiù; ma "
« Sa lei , » disse don Rodrigo, interrompendo, con islJzza, ma non
senza qualche raccapricdo, « sa Id che, quando mi viene lo sdiirìbizzo
di senlire una predica, so benissimo andare in chiesa, come fanno gli
altri? Ma in casa mia! Oh! » e continuò, con un sorriso forzato di
sdiemo: x ld mi tratta da più di qud che sono. Il predicalore in casa!
Non r hanno che i prindpi. »
u E qud Dio che chiede conto ai prindpi della parola che fa loro
sentire, ndle loro reji^; quel Dio che le usa ora un tratto di mise-
ricordia, mandando un suo ministro, indegno e miserabile, ma un
suo ministro, a pregar per una innocente — »
u In somma, padre, » disse don Rodrigo, facendo atto d'andarsene,
u io non so qud che Id voglia dire: non capisco altro se non che
d dev'essere qualche fondulla che le preme mollo. Vada a far le sue
confidenze a dù le piace; e non sì prenda la liberlà d'iu^idir più
a lungo un gentiluomo. »
Al moversi di don Rodrigo, il nostro frate gli s'era messo davanti,
ma con gran rispetto; e, alzate le mani, come per supplicare e per
trattenerlo ad un punto , rispose ancora : << la mi preme , è vero, ma
mm più di lei; son due anime che, Tuna e l'altra, mi prcmon più dd
mio sangue. Don Rodrigo ! io non posso far altro per lei, che pregar Dio ;
ma lo fero ben di cuore. Non mi dica di no: non voglia tener nel-
l'angoscia e nel (err(H% una povera innocente. Una parola di lei può
far tutto. "
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101 I PROMESSI SPOSI
» EUienc, » disse don Rodrigo, <• giacché lei crede ch'io possa
far molto per questa persona; giacché questa persona le sia tanto a
cuore — "
a Ebbene?" riprese ansiosunenle il padre Crìstoforo, al quale l'alio
e il contegno di don Rodrigo non pennetlevano d' abbandonarsi alla
speranza che parevano annunziare quelle pande.
u EUltene, la consigli di venire a metlersì sotto b mìa protezioDe.
Non le mancherà più nulla , e nessuno ardirà d' inquietarla , o eh' io
non son cavaliere, n
A sifhlta proposta, l' indegnazione del Trale, rattenuta a stento fin
allora, traboccò. Tutti que' bei proponimenti di prudenza e di pazienza
andarono in fumo : 1' uomo vecchio si trovò d' accordo col nuovo ; e .
in que' casi, fra Cristoforo VQle\'a \'eniineii(e per due. u La vostra pro-
tezione!» esdaiDÒ, dando indietro due pasiii, postandosi fieramente sul
piede destro, mettendo la destra sull'anca, alzando la sinistra con l' indice
leso verso don Rodrigo , e piantandogli in faccia due occhi infiammati :
u la vostra prolezione ! È meglio che abbiate parlato cosi, clic aU>iatc fatta
a me un tale proposta. Avete colmata la misura; e ntHi vi temo pili. "
1 Come parti, frate? t
" Parlo come si parla a clii è alibandonato da Dio , e non può più
far paura. La vostra protezione! Sapevo bene che ipiclla innocente
é sotto la protezione di Dio ; ma voi , voi me lo fate sentire ora . con
tanta certezza, die non ho più bisogno di riguardi a parlarvene. Lucia,
dico: vedete come io pronunzio questo nome con la fronte alla, e con
gli occhi immobili. -^
" Come ! in questa casa '. ^
u Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta sopra so-
spesa. Stale a vedere che la giustizia di Dio avrà riguardo a quattro
pietre, e suggezione di quattro ^hcrri. Voi avete creduto che Dio abbia
fatta una creatura a sua immagine, per darvi il piacere di tormentarla!
Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Voi avete di-
sprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuore di Faraone era
indurito quanto il vostro; e Dio ha saputo spezzarlo. Lucia è sicura
da voi: ve lo dico io povero frate; e in quanto a voi, sentile bene
qud ch'io vi prometto. Veirà un giorno...."
Don Rodrigo era tìn allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia ,
attonito, non trovando parole; ma, quando senti intonare una pre-
dizione, s' aggiunse alla rabbia un lontano e misterioso spavento.
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CAPITOLO VI.
Alferrò rapidameiito per aria quvlla mano minacciosa, v, alzando
tavow, per (roncar quella dell' ìnfeuslo [H-ofela, gridò: - escimi di Ira
piedi; villano lemerario. ]>oltrone incappucrialo, «
Qacsle parole così chiare acquietarono in un moracnlo il padre
Cristoforo. AH' idea di strapazzo e di villania era, nella sua mente, cosi
bene, e da tanto tempo, associata l' idea di soflerenza e di silenzio, che,
a quel complimento, gli cadde (^i spìrito d* ira e d'entusiasmo , e non
gji restò altra risoluzione che quella d' udir tranquillamente ciò che a
don Rodrigo piacesse d'aggiungere. Onde, ritirata placidamente la mano
dagli artigli dei gentiluomo, abbassò il capo, e rimase immobile, come,
al cader del vento, nel Ibrte delia burrasca, un albero agitato ricom-
pone naturalmente ì suoi rami , e riceve la grandine come il dtJ la
manda.
u Villano rincivilito! » proseguì don Rodrigo: " tu tratti da par tuo.
Ma ringrazia il saio die ti copre codeste spalle di mascalzone, e ti salva
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106 1 PROHESSl SPOSI
dalle carezze che si fanno a' tuoi pari, per insegnar loro a |wrlare.
Esci con le lue gambe, per questa rolla; e la vedremo, b
Così dicendo, addilo, con impero sprezzante, un uscio in feccia a quello
per cui erano entrati ; ìl padre Cristoforo chinò il capo, e se n' andò, la-
sciando don Rodrigo a misurare, a passi infuriati, il campo di battaglia.
Quando il frale ebbe serrato l'uscio dietro a sé,' vide nell'altra stanza
dove entrava, un uomo ritirarsi pian piano, strisdando il muro, come
per non esser veduto dalla stanza del colloquio; e riconobbe il vecchio
servitore ch'era venuto a riceverlo alla porta di strada. Era costui in
quella casa, forse da quarant' anni , cioè prima che nascesse don Ro-
drigo; entratovi al servizio del padre, il quale era stato tuli' im' altra
cosa. Morto lui, il nuovo padrone, dando Io sfratto a tutta la fiuni^ia,
e facendo brigata nuova, a\ èva però ritenuto quel servitore, e per es-
ser già vecchio, e perché, sebben di massime e di costume diverso in-
teramente dal suo , compensava però questo difetto con due qualità :
un'alta opinione della dignità della casa, e una gran pratica del ceri-
moniale, di cui conosceva, meglio d'ogni allro, le più antiche tradizioni,
e i più minuti particolari. In faccia al signore, il povero vecchio non
si sarebbe mai arrischiato d'accennare, non che d'esprimere la sua
disapprovazione di ciò che vedeva tutto il giorno; appena ne faceva
qualche esclamazione, qualche rimprovero tra i denti a' suoi ccrfle-
ghi di servizio; i quali se ne ridevano, e prendevano anzi pìwere
qualche vcdta a toccargli quel tasto, per fargli dir di più che non avrebbe
voluto, e per sentirlo ricantar le lodi dell' antico modo di vivere in
quella casa. Le sue censure non arrivavano agli orecchi del padrone
che accompagnate dal racconto delle rìsa che se n'eraii fatte; dimodo-
ché riuscivano andie per lui un soggetto di scherno , senza risenti-
mento. Ne" giorni poi d'invito e di ricevimento, il vecchio diventava
un personaggio serio e d'importanza.
D padre Cristoforo lo guardò, passando, lo salutò, e seguitava la sua
strada ; ma il vecchio se gli accostò misteriosamente , mise il dito alla
bocca, e poi, col dito stesso, gli fece un cenno, per invitarlo a en-
trar con lui in un andito buio. Quando furon li, gli disse sotto voce:
u padre, ho sentito tutto, e ho bisogno di parlarle, n
" Dite presto, buon uomo. »
"Qui no: guai se il padrone s'avvede — Ma io so molte coec; e
vedrò di venir domani al c(mvento. »
« C'è qualche disegno? »
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CAPITOLO VI. lOT
u Qualcosa per aria e' è dì sicoro : già me ne son potuto aecorgei'e.
Ma ora starò sull' iotesa , e spero di scoprir lutto. Lasci fare a me. Mi
tocca a vedere e a sentir cose...! cose di fuoco! Sono in una casa...!
Ma io vorrei salvar l'anima mia. »
B II Signore vi benedica! n e, proferendo sottovoce queste |)arole,
il frate mise la mano sul capo del servitore, che, quantunque più
vecchio di lui, gli sla^a curvo dinanzi, nell'alliludine d'un figliuolo.
» Il Signore vi' ricompenserà, » proseguì il frate: u non mancate di
venir domani. ••
« Verrò, n rispose il servitore: « ma lei vada via subito c....'|)er
amor del ciclo non mi nomini. » Cosi dicendo, e guardando in-
torno, usci, per l'altra parie dell'andito, in un salotto, che rispondeva
nel c(H-tile; e, visto il campo libero, chiamò fuori il buon frale, il jvollo
(tei quale rispose a quell' ultima parola più chiaro che non avrebbe
potuto fore qualunque protesta, li servitore gli additò l'uscita; e il
Irate, senza dir altro, parti.
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lOB I PROMESSI SPOSI
Queil' uomo era sialo a sentire all' uscio del suo pìKiroiie : aveva
fallo bene? E fra Grislororo faceva bene a lodarìo di ciò? Secwido le
regole più cornimi e mcn contraddcllc , è cosa molto brutta; oia quel
caso non poteva riguardarsi come un'eccezione? E d sono dell' ee-
ceuoni alle regole più comuni C mcn contraddette? Questioni impor-
tanti; ma clic il lettore risolverà da se, se ne ha voglia. Noi non in-
tendiamo di dar giudizi: ci basta d'aver dei falli da raccontare.
Uscito ftiori , e voltale le (spalle a quella casacci», fra Cristoforo re-
spirò più liberamente, e s'avviò in fretta per la scesa, tutto infocato
in volto, commosso e sottosopra, come (^luio può immaginarsi, per
quel che aveva sentito, e per quel che aveva detto. Ma quella cosi
inaspettata esibizione del vecchio era stata tmgran ristorativo per lui:
gli pareva che il cielo gli avesse dato un segno visibile della sua pro-
iezione. — Ecco un filo , pensava , un filo che ia provvidenza mi mette
nelle mani. E in quella casa medesima! E senza ch'io so^^assi nep-
pure di cercarlo! — Così nmiinando, alzò gli occhi verso l'occidente,
vide il sole inclinalo, che già già toccava la cima del monte, e pensò
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CAPITOLO VI. lOS
ebe rìmmeva ben poco del giorno. Allora , benché sentisse le ossa
gravi e fiaccale da' vari strapazzi di quella gìwnata , pure studiò dì
più il passo, per poter riportare un avviso, qual si fosse, a' suo!
fnoletti, e arrivar poi al convento, prima di notte: che era una delle
leggi più predse, e più severamente mantenute del codice cappucci-
nesco.
Intanto, nella casetta di Lucia, erano stati messi in campo e venti-
lati disegni, de' quali ci conviene informare il lettore. Dopo la {ortensi
del frate, i tre rimasti erano slati qualclie tempo in silenzio; Lucia
preparando tristamente il desinare ; Renzo sul punto d' andarsene
ogni momento, per levarsi dalla vista di lei cosi accorata, e non sa-
pendo staccarsi; Agnese tutta inlenta, in apparenza, all'aspo clic feceva
girare. Ma, in realtà, stava maturando un progetto; e, ([uando le parve
maturo, ruppe il silenzio in qutsti termini:
il Saltile, flgliuoli! Se volete aver cuore e destrezza, quanto brso-
ffa, se vi fidale di vostra madre, » a quel cottra Lucia si riscosse,
u io m' impegno di cavarvi di quest' impiccio, meglio forse, e più presto
del padre Cristoforo, quantunque sia quell'uomo che è. " Lucia ri-
mase li, e la guardò con un volto ch'esprimeva più niaravi^ia che
fiducia in una promessa tanto magnifica; e Renzo disse sidjilamenle :
a cuore? desb^zza? dite, dite pure quel cìie si può fare. »
■I Non è vero , » prosegui Agnese , » che , se foste maritati , sf
swebbe già un pezzo avanti? E die a tutto il reslo si IrovereUje più
(adlmente ripiego? "
« Ce dul^io? « disse Renzo: « marilali clic fossimo.... lutto
il mondo è paese; e, a due passi di qui, sul bei^amasco, chi lavora
seta e ricevuto a braccia aperte. Sapete quante volte Bortolo mio cu-
gino m' ha fatto sollecilare d" andar là a star con lui , che f^^i fortuna ,
oom'ha fatto lui: e se non ^\ ho mai dato retta, ^t è che serve?
perchè il mio cuore era qui. Maritati, si va tutti insieme, si mette su
casa là, si vive in santa pace,iuor dell'unghie di questo ribaldo, fon-
tano dalla tentatone di fare uno sproposito. N'è vero. Lucia? n
« Si , ff disse Lucia : « ma come ? »
« Come ho detto io, * riprese la madre: u cuore e destrezza; e
la cosa è facile. »
« Facile^ » dissero msieme que' due, per cui la cosa era divenuta
ttfito stranamente e dolorossunente difficile.
" Facile, a saperla fare,» replicò Agnese, u Ascollateraì bene, die
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lift I PftOUESSI SPOSI
vedrò di làrvela intendere. Io ho seattlo dire da gente che sa , e anzi
ne bo veduto io un caso, che, per fare un matrimonio, ci vuole bensì
il eurato, ma non è necessario che voglia; basta che ci sia. »
u Come sta questa faccenda? » domandò Renzo.
u Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimoni bai lesti e ben
d'accordo. Si va dal curato: il punto stadi chiapparlo all'improvviso,
che non abbia tempo di scappare. L' uomo dice : signor curato , que-
sta è mia mo^ie; la donna dice : signor curato, questo è mio marito.
Biso^ia che il curato senta, che i testimoni sentano; e il matrimonio
è beli' e fatto , sacrosanto come se i' avesse fatto il papa. Quando le pa-
role son dette , il curato può strillare , strepitare , fare il diavolo ; è
inutile; siete marito e moglie. »
« Possibile? » esclamò Lucia.
u Come! n disse Agnese: « state a vedere che, in trent'anni d>e
ho passati in questo mondo, prima che nasceste voi altri, non avrò
imparalo nulla. La cosa e tale quale ve la dico: per segno tale àie
una mia amica , che voleva prender uno contro la volontà d^ suoi
parenti, facendo in quella maniera, ottenne il suo intento. D eurato,
che ne aveva so^wtlo, stava all'erta; ma i due diavoli seppero far
così bene, che lo colsero in un punto giusto, dissero le pande , e
furon marito e moglie: benché la poveretta se ne pentì poi, in capo
a tre giorni. »
Agnese diceva il vero, e riguardo alla possibilità, e riguardo al peri-
colo di non ci riuscire: che, siccome non ricorrevano a un tide espe-
diente, se non persone die avesser trovato ostacolo o rifiuto nella
via ordinaria, così i parrocbì meltevan gran cura a scansare quella
coop^'aùone forzata; e, quando un d'essi venisse pure sorpreso da
una dì quelle coppie , accompagnata da testimoni , faceva di tutto
per iscapolarsene , come Proteo dalle mani di coloro che volevano
fario vaticinare per forza.
e Se (osse vero. Lucìa!» disse Reqzo, guardandola con un'aria
d* aspettazione supplichevole.
u Come ! se fosse vero ! » disse Agnese. « Anche voi credete ch'io
dica fandonie. Io m'affanno per voi, e non son creduta: bene bene;
cavatevi d'impiccio come potete: io me ne lavo le mani.»
«Ah no! non ci abbandonale,» disse Renzo. uParìo così, perchè
la cosa mi par troppo bella. Sono ndle vostre maoi ;
come se foste proprio mìa madre. »
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CAPITOLO VI. IH
Queste parole fecero svanire il pìccolo sdegno d' Agnese , e dhneB-
(icare un proponimento che, per verità, non era stalo seno.
u Ma perchè dunque, manuna , » disse Lucia, coti quel suo conte-
gno sommesso, " perette questa cosa non è venula in mente al padre
Grisloforo ? n
" In mente ? » rispose Agnese : " pensa se non gli sarà venuta in
mente ! Ma non ne avrà voluto parlare. "
u Perché? " domandarono a un tratto i due giovani.
u Perché .... perchè , quando lo volete sapere , i religiosi dicono
die veramente è cosa che non istà bene ».
u Come può essere che non istia bene, e che sia ben fatta, quan-
d* è fatta ? » disse Renzo.
« Che volete eh' io vi dica ? » rispose Agnese, a La legge l' banno
latta loro, come gli è piaciuto; e noi poverelli non possiamo capir
tutto. E poi quante cose . . . Ecco ; e come lasciar andare un pugno
a un cristiano. Non istà bene; ma, dato che glid abbiale, né anche il
papa non glielo può levare. "
« Se é cosa che non istà bene, n disse Lucia, « non bisogna farla. «
u Che! n disse Agnese, u ti vorrei forse dare un parere contro il
timor di Dio? Se fosse contro la volontà de' tuoi parenti, per pren-
dere un rompicollo .... ma, conlenta me, e per prender questo fi-
gliiH^; e chi fa nascer tutte le diRIcollà è un birtxme; e il signor
curato .... »
"L'è cluara, che l' intenderdtbe c^uno, » disse R«f)zo.
« Non bisogna parlarne al padre Crìstdbro, prima di far la cosa,»
pros^ui Agnese: « ma, fatta che sia, e ben rìusdla, che pensi tu che
ti dirà il padre ? — Ab figliuola ! è una scappata grossa; me l' avete
Ufa. — I religiosi dcvon parlar così. Ma eredi pure che, in Cttor suo,
sarà contento andie lui. n
Lucia , senza trovar che rispondere a quel ragionamento , non ne
sembrava però capacitata: ma Renzo, tutto rincorato, disse: « quan-
d' è così , la cosa è fatta. "
u Piano, » disse Agnese. « E i testimoni? Trovar due che vo-
f^ìano, e che intanto sappiano Stare zitti! E poter cogliere il signor
curato die, da due giorni, se ne sta rintanato in casa? E farlo star'
li ? die, benché sia pesante di sua natura, vi so dir io che, al vedervi
«mperìre in qu^a conformità, diventerà lesto come un gatto, e'scap-
perà come il diavolo dalf aequa santa. «
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I PROMESSI SPOSI
u L' bo ti-ovalo io jl verso, l' lio trovato, » disse Renzo, ballendo
il pugno sulla tavola, e facendo balzellare le stoviglie apparecchiale
per il desinare. E seguitò esponendo il suo pensiero, che Agnese ap-
provò in tutto e per tulio.
" Son imbrc^li, ^ disse Lucia: " non son cose lisce. Finora ab-
biamo operalo sinceramcnle : tiriamo avanti con fede, e Dio ci aiu-
terà : il padre Cristoforo V ha detto. Sentiamo il suo parere. «
" Lasciati guidare da chi ne sa più di te, n disse Agnese, con v^to
grave. « Che bisogno c'è di chieder pareri? Dio dice: aiutati, ch'io
l' aiuto. Al padre raccontn-emo tutto , a cose fatte. "
uLucia,» disse Renzo, u volete voi mancarmi ora? Ntm avevamo
noi fatto tutte le cose da buon cristiani? Non dovremmo esser già
marito e moglie? Il curalo non ci aveva fissalo lui il giiHvo e l'ora?
E di elii è la colpa, se dobbiamo ora aiularcì con un po' d'ingegno?
No, non mi mancherete. Vado e (orno con la risposta. » E, salutando
Lucia, con un atto di preghiera , e Agnese, con un'aria d'intelligenza,
parli in fretta.
Le tribolazioni aguzzano il c^veilo : e Renzo il quale, nd sentiero
retto e piano di vita percorso da luì (in allora, non a' era mai trovato
nell'occasione d'assottigliar molto il suo, ne aveva, in questo caso, im-
maginata una, da far onore a un giureconsulto. Andò addirittura, se-
condo clic aveva disegnato , alla casetta d' un certo Tonio , eh' era lì
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CAPITOLO VI, US
poro disiatile; e lo trovò in cucina, che, con un ginocchio sitilo
scalino del focolare , e tenendo, con una mano, 1' orto d'un paiolo,
messo sulle ceneri calde , dimenava , col matlcrello ricurvo , una
piccola polenta bigia, di gran saraceno. La madre , un fratello, la
moglie di Tonio, erano a tavola; e tre o quattro ragazzetti, ritti ac-
canto al babbo, stavano aspettando, con gli occhi fissi al paiolo,
che venisse il momento di scodellare. Ma non e' era quell' allegrìa che
la vbta del desinare suol pur dare a chi se l'è meritato con la fatica.
La mole della polenta era in ragion dell' annata , e non del numero
e della buona voglia de' commensali: e ognun d'essi, fissando, con
uno sguardo bieco d'amor rabbioso, la vivanda comune, pareva pen-
sare alla porzione d' appetito , che le doveva sopravvivere. Mentre
Renzo barattava i saluti con la famiglia, Tonio scodellò la polenta sulla
lafTerìa dì faggio, che slava apparecchiata a riceverìa: e parve una
piccola luna, in un gran cerchio di vapori. Nondimeno le donne dis-
sero cortesemente a Renzo : « volete restar servito ? » comirfìtnento
che il contadino di Lombardia , e chi sa di quant* altri paesi ! non
lascia mai di fare a chi lo Irovi a mangiare, quand'anche questo
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114 I PROMESSI SPOSI
fosse un ricco epulone alzatosi allora da tavola, e lui fosse all'ullìmo
boccone.
u Vi rinf^^o,» rispose Renzo: «venivo solamente per dire una
parolina a Tonio; e, se vuoi, Tonio, per non disturbar le tue donne,
possiamo andar a desinare all' osterìa, e lì parleremo. » La proposta fu
per Tonio tanto più gradita, quanto meno aspettata ; e le donne, e anche
i bimbi (giacché, su questa materia, princtpian presto a ragionare) non
videro mal volentieri che si sottraesse alla polenta un concorrente, e
il più formidabile. L'invitato non islette a domandar altro, e andò
con Renzo.
Giunti all'osteria del villaggio; sedati, con tutta libertà, in una per-
fetta sdiludine, giacché )a miseria aveva divezzati tutti i frequentatori
di quel luogo di delizie; fatto portare quel poco che si trovava; volalo
un boccale di vino; Renzo, con aria di mistero, disse a Tonio: o se tu
vuoi farmi un piccolo servizio, Ìo te ne voglio fare uno grande. »
f Parla, parla; comandami pure, n rispose Tonio, mescendo. fOggi
mi butterei nel fuoco per le. »
X Tu liai un debito di venticinque lire col signor curato, per fitto
del suo campo, che lavoravi, l'anno passalo. «
u Ah, Renzo, Renzo! tu mi guasti il benefizio. Con che cosa mi
vieni fuori? M'hai fatto andar via il buon umore. »
" Se ti parlo del debito, » disse Renzo, u é perché, se tu vuoi,
io intendo di darli il mezzo di pagarlo. <>
« Dici davvero? "
tt Davvero. Eh? saresti contento? «
" Conlento? Per diana, se sarei contento! Se non foss' altro, per
non veder più que' versacci , e que' cenni col capo, che mi fa il signin-
curalo, ogni volta che e' incontriamo. E poi sempre: Tonio, ricorda-
tevi: Tonio, quando ci vediamo, per quel negozio? A tal segno che
quando, nel predicare, mi fìssa quegli occhi addosso, io sto quasi in
timore che abbia a dirmi, lì in pubblico: quelle ventidoquc lire! Che
maledette ^ano le venticinque lire! E poi, m' avrebbe a restituir la
collana d' oro di mia moglie, che la baratterei in tanta polenta. Ma »
u Ma, ma, se tu mi vuoi fare un servìzìelto, le venticinque lire
son preparate "
« Di su. 1
u Ma .... ! » disse Renzo , mettendo il dito alla bocca.
a Fa bistro di queste cose? tu mi conosci. »
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CAPITOtO VI. IK
<• U ijtgnor curato va cavando fuori certe ragioni senza suj^, per
tirare in lungo il mio niatriincmio; e io in vece vorrei spìeciaraii. Mi
tlicon di sicuro che, presenlandosegli davanli i due sposi, con due
testimoni, e dicendo io: questa è mìa moglie, e Lucia: questo è mio
marito, il matrimonio è bell'e fatto. M'hai tu inleso?
u Tu vuoi eh* io venga per lestimonio? »
" Per l'appunto, n
u E pagherai per me le venticinque lli-e? ^
" Così r intendo. »
H Birt>a chi manca. »
" Ma bisogna trovare un altro testimonio. »
u L'ho trovato. Quél sempliciollo di mio fralel GervaMt fai-n quello
che gli dirò io. Tu gli pagherai da bere ? «
u E da mangiare, » rispose Renzo, u Lo condurremo <|ui a slare
allegro con noi. Ma saprà fare? n
« Gt'insegnerò io: tu sai bene ch'io ho avuta anche la sua parie
di cer^'cllo. "
" Dwnani — «
>- Bene, n
« Verso sera.... "
^ Benone. »
" Ma!..." disse Renzo, mettendo di nuovo il dito alhi Loeca.
" Poh!...» rispose Tonio, piegando il capo sulla spalla destra, e
alzando la mano sinistra, con un viso ette diceva: mi foì torlo.
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Ito I PROMESSI SPOSI
«Ha, se tua nu^ie ti domaDila, come ti donuuiderà, senza dub-
bio
(« Di buffe, sono in debito io con ima mo^ie, e tanto tanto, che
non so se arriverò mai a saldare il conto. Qualche pastocchia la tro-
verò, da mellerle il cuore in pace. »
u Domattina, n disse Renzo, « discorreremo con pia comodo, per
intenderei bene su tutto, n
Con questo, uscirono dall' osteria, Tonio avviandosi a casa, e stu-
diando la fandonia che racconterebbe alle donne, e Renzo a render
conto de' concerti presi.
In questo tempo Agnese, s' era anaticata invano a persuader la fl-
^iuola. Questa andava opponendo a ogni ripone, ora l'una, ora
l'altra parte del suo dilemma: o )a cosa è calliva, e non bisogna
farla; o non è, e perché non dirla al padre Cristoforo?
Renzo arrivò tutto trionfante, fece il suo rapporto, e terminò con
un ahn 1 interiezione che signilica : sono o non sono un uomo io ? si po<
leva trovar di meglio? vi sarebbe venula in mente? e cento cose simili.
Lucia tentennava mollemente il capo; ma i due infervorati le bada-
van poco, come si suol fare con un fanciullo^ al quale non si spera di
far intendere tutta la ragione d'una cosa, e che s'indurrà poi, con
le pr^^ere e con l'autorità, a ciò che si vuol da lui.
«Va bene, » disse Agnese: «va bene; ma.... non avete pensalo
a tutto. "
" Cosa ci manca ? » rispose Renzo.
« E Perpetua? non avete pensato a Perpetua. Tonio e suo fratel-
lo , li lascerà entrare ; ma voi ! voi due ! pensate ! avrà ordine di
tenervi lontani , più che un ragazzo da un pero che ha le frutte
mature: »
" Come faremo? " disse Renzo, un po' imbrogliato.
« Ecco: ci ho poisalo io. Verrò io con voi; e ho un segreto per
attirarla, e per incantarla di maniera die non s'accorga di voi altri, e
possiate entrare. La diiamerò io, e le toccherò una corda. . . vedrete."
« Renedetta voi ! » esclamò Renzo : u l' ho sempre detto che siete
nostro aiuto in tutto. "
tt Ma tutto questo non ser\'e a nulla, •« disse Agnese, «se non si
persuade costei, che si ostina a dire che è peccato."
Renzo mise in campo anche lui la sua eloquenza; ma Lucìa non à
lasciava sraovere.
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CAPITOLO VI. UT
1 Io DOn 90 che rispondere a queste vostre ragioni, » diceva : « ma
■vedo che, per far questa cosa, come dite voi, bisogna andar avanli a
furia di sotterfugi, di bugie, di finzioni. Ah Renzo! non abbiam co-
minciato così. Io voglio esser vostra moglie, » e non c'era verso che
potesse proferir quella parola, e spiegar quell' intenzione, senza fare
il viso rosso: u io voglio esser vostra moglie, ma per la strada diritta,
col timor di Dio, all'altare. Lasciamo fare a Quello lassù. Non volete
che sappia trovar Lui il bandolo d'aiutarci, meglio che non possiamo
far noi, con tutte codeste furberie ì E perchè tar misteri al padre Cri-
stoforo? »
La disputa durava tuttavia, e non pareva vicina a finire, quando
nn calpestio aflrettalo di sandali, e un rumore di tonaca El)attuta,
somigliante a quello die fanno in una vela allentata i soffi ripetuti del
vailo, annunziarono il padre Cristoforo. Si chetaron tutti; e Agnese
eUw appena tempo di susurrare all' orecchio di Lucia : « bada bene ,
ve', di non dirgli nulla, n
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I padre Cristoforo arrivava nell'altitudine
d' un buou capitano che , perduta, senza
sua colpa, una ballaglia importante , af-
flitto ma non scoraggilo, sopra pensiero
ma non sbalordito, di corsa e non in fuga,
si porta dove il bisogno lo chiede, a pre-
munire i luoghi minacciati, a raccoglier
le truppe, a dar nuovi ordini.
u La pace sia con voi , » disse, nell' entrare. » Non c'è nulla da
s|>erarc dall'uomo: tanto più bisogna confidare in Dìo : e già ho qual-
che pegno della sua protezione. »
Sebbene nessuno dei tre sperasse nitrito nel tentativo del padre
Cristoforo, giacché il vedere un potente ritirarsi da una soverchie-
ria, senza esserci costretto, e per mera condiscendenza a preghiere
disarmate, era cosa piuttosto inaudita che rara; nulladimeno la Irisla
certezza fu un colpo per tutti. Le donne abbassarono il capo; ma
neir animo di Renzo , l' ira prevalse all' abbattimento. Quell* annunzio
lo trovava già amareggialo da tante sorprese dolorose, da tanti ten-
tativi andati a voto, da tante speranze deluse, e, per di più, esacer-
bato, in quel momento, dalle ripulse di Lucia.
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CAPITOLO vn. Il»
•■ Vorrei sapere, » grida, digrigRaodo i denti, e alzando la voce,
quanto noQ aveva mai fiitlo prima d' allora, alla presenza del padre
Cristoforo; u vorrei sapere che ragioni ha dette quel cane, per soste-
nere . . . per sostenere che la mia sposa non dev' essere la mia sposa, n
«Povero Renzo!» rispose il frale, con una voce grave e pietosa,
e con uno sguardo die comandava amorevolmente la pacatezza : u so
il polente che vuol commettere l' ingiustizia fosse sempre obbligato n
dir le sue ragioni, le cose non anderdd>ero come vanno. "
«Ha detto dunque quel cane, che non vuole, perchè non vuole?»
« Non Ila detto nemmen questo, povero Renzol Sarebbe ancora
un vanlaggio se , per commetter 1' iniquità , dovessero confessarla
apertamente. »
« Ma qualcosa ha dovuto dire : cos' ha detto quel tizzone d* inferno ì »
u Le sue parole, io t'ho sentite, e non te te saprei ripetere. Le
parole dell' iniquo die è forte , penetrano e sfuggono. Può adirarsi
die tu mostri sospetto di lui, e, nello stesso tempo, farti sentire che
quello dì che tu sospetti è cerio: può insultare e chiamarsi oReso,
schernire e chieder ragione, atterrire e lagnarsi, essere sfacciato e
irreprensibUe. Non chieder più in là. Colui non ha proferito il nome
di questa innocente, né il tuo, non ha figurato nemniM di conoscervi,
non ha dello di pretender nulla; ma ma por troppo ho doluto
intendere eh' è irremovibile. Nondimeno , confidenza in Dio I Voi ,
poverette, non vi perdete d'animo; e tu, Renzo oh! credi pure,
di' io so mettermi ne' tuoi panni, ch'io sento quello che passa nel
tuo cuore, Ma, pazienza! É una magra parola, una parola amara, per
chi non crede ; ma tu ! non vorrai tu concedere a Dìo un giorno,
due giorni, il tempo che vorrà prendere, per fer trionfare la giu-
stizia ? Il tempo è suo; e ce n' ha promesso tanto 1 Lasda fare a Lui ,
Reozo ; e sappi sappiate tutti eh' io ho {pà in mano un filo ,
per aiutarvi. Per ora, non posso dirvi di più. Domani io ncm verrò
quassù; devo stare al convento tutto il giorno, per voi. Tu, Renzo,
procura di venirci: o se, per caso impensato, tu non potessi, mandate
un uomo Sdato, un garzonodlo di giudizio, per mezzo del quale io
possa farvi sapere qudlo che occorrerà. Si fa buio; bisogna eh' io
corra al convento. Fede, coraggio; e addio. »
Detlo questo, usd in frelta, e se n'andò, correndo, e quasi sal-
telloni, giù per quella viottola storta e sassosa, per non arrivar tardi
al convento, a rischio di buscarsi una buona sgridala, o quel die gli
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IBO I PROUESSI SPOSI
sarebbe pesalo ancor più, una penitenza, che gP impedisse, il giorno
dopo , di trovarsi pronto e spedilo a ciò die potesse ricliiedcrc il
bis«^o de' suoi prolelli.
«Avete sentito cos'ha detto d'un non so che.... d'un filo che ha,
per aiutarci? » disse Lucia. « Gonvien fidar» a lui; è un uomo ehe,
quando promette dieci «
« Se non t^é altro ....! « interruppe Agnese. « Avrebbe dovuto par-
lar più chiaro, o chiamar me da una parte, e dirmi cosa sia questo...»
« Ghiacdiiere! la finirò io: io la finirò!" interruppe Renzo, questa
volta, andando in su e in giù per la stanza, e con una voce, con un
viso, da non lasciar dubbio su) senso di quelle parole.
" Oh Renzo! » esclamò Lucia.
H Cosa volete dire? « esdamò Agnese.
u Che biseco e' è di dire? La finirò io. AU>ia pur cento, mille
diavoli neir anima, finalmente è di carne e ossa ànelte lai n
u No, no, per amor del delo [ » cominciò Lucia; ma il pianto
le troncò la voce.
« Non son discorsi da tarsi, neppur per burla, » disse Agnese.
u Per buria? n gridò Renzo, fermandosi ritto in Tacda ad Agnese
seduta, e piantandfde in laccia due occhi stralunati, u Per burla! ve-
drete se sarà burla. »
" Oh Renzo ! » disse Lucia, a st^to, tra i singhiozzi: ^ non v' Ito
mai visto cosi. »
« Non dite queste cose, per amor del cielo, n riprese ancora in
Tretta Agnese, abbassando la voce. « Non vi ricordale quante bntc-
da ba al suo comando colui? £ quand'anche Dio libm!... contro
i poveri e' è sempre giustizia. »>
« La forò io, la giustitia, io! È ormai tempo. La cosa non è faeile:
lo so anch' io. Si guarda bene , il cane assassino : sa come sta ; ma
nrni importa. Risoluzione e pazienza .... e il momento arriva. Si, la
brò io, la giustizia: lo libererò io, il paese: quanta gente mi benedi-
rà....! e poi in tre salti....! «
L'orrore che Luda senti di queste più chiare parole, le sospese il
pianto, e le diede forza di parlare. Levando Mìe palme il viso !»•
grimoso, disse a Renzo, con voce accorata, ma risoluta: - non v' im-
pwta più dunque d'avermi per moglie. Io m'era promessa a un gio-
vine che aveva il timor di Dio; ma un uomo che avesse.... Fosse al
«euro d'ogni {pustizia e d'ogni vendetta, foss' anche il figlio del re...."
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CAPITOLO Vir. HI
" E benei n gridò Renzo, con un viso più che mai stravollo:
B io non v'avrò; ma non v'avrà né anche luì. lo qui senza di voi,
e lui a casa del ... . »
" Ah no! per cariU, non dite così, non fate quegli occhi: no,
non posso vedervi cosi, n esclamò Lucia, piangendo, supplicando, con
le mani giunte; mentre Agnese chiamava e richiamava il giovine per
nome, e gli palpava le spalle, te braccia, le mani, per acquietarlo.
Stette egli immobile e pensieroso, qualche tempo, a contemplar quella
taccia supplichevole dì Lucia; poi, tult'a un tratto, la guardò torvo,
diede addietro, lese il braccio e l'indice verso di essa, e gridò:
" questa! si questa ^li vuole. Ha da morire! »
"E io che male v'ho Tatto, perchè mi facciale morire?» disse Lu-
cia, buttandosegli inginoct^ioni davanti.
- Voi! " rispose, con una voce eh' esprimeva un'ira ben diversa,
ma un'ira tuttavia: « voi! Che bene mi volete voi? Che prova m' a-
vele data? Non v'ho io pregala, e pregala, e pregata? E voi: no! no! »
u Si si, 1 rispose precipitosamente Lucia : •• verrò dal curalo, doma-
ni, ora, se volete; verrò. Tornate quello di prima; verrò. "
« Me lo promettete? « disse Renzo, con una voce e con un viso
divenuto, lutt'a un tratto, più umano.
u Ve lo prometto. »
« Me l'avete promesso. »
« Sipiore, vi ringrazio! « esclamò Agnese, doppiamente conlenla.
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Ili I PROMESSI SPOSI
In mezzo a quella sua gran collera , aveva Renzo pensalo di che pro-
fitto poleva esser per lui lo spavento di Lucia? E non aveva adope-
rato un po' d' artifizio a farlo crescere, per farlo fruttare? 11 nostro
autore protesta di non ne saper nulla; e Ìo credo che nemmea Renzo
non lo sapesse bene. Il latto sta eh' era realmente infuriato contro
don Rodr^;o, e che bramava ardentemente il consenso di Lucia; e
quando due forti passioni schiamazzano insieme nel cuor d'un uomo,
nessuno, neppure il paziente, può sempre distinguer chiaramente
una voce dall' altra, e dir con sicurezza qual sia quella che predomini.
« Ve l'ho promesso, ■ rispose Lucia, con un tono di rimprovero
timido e affettuoso: « ma anche voi avevate promesso di non lare
scandoli , di rimettervene al padre .... »
e Oh via! per amor dì clii vado in furia? Volete tornare iniiietro,
ora? e farmi fare uno sproposito? n
u No no, » disse Lucia, cominciando a rispaventarsi. « Ho promesso,
e non mi ritiro. Ma vedete voi come mi avete fatto promettere. Dio
non voglia . . . . "
" Perche volete far de' eattivi augùri, Lucia? Dio sa che non tao-
ciam male a nessuno, n
u Promettetemi aJmeno che questa sarà l' ultima. "
u Ve lo prometto, da povero figliuolo. "
" Ma, questa volta, mantenete poi, » disse Agnese.
Qui r autore confessa di non sapere mi' altra cosa: se Lucia fosse,
in tutto e per lutto , mdcontenta d'essere stata spinta ad aceonsen-
lire. Noi lasciamo, come luì, la cosa in duM>io.
Renzo avrebbe voluto prolungare il discorso, e fissare, a parte a
parte, quello che si doveva fare il gionio dopo; ma era già notte, e
le donne gHel'augurarMio buona] non parendo loro cosa conveniente
che , a queir ora , d trattenesse più a lungo.
La notte perà fu a lutt' e tre così buona come può essere quella
cbe succede a un giorno pieno d' agìlazÌ(Mie e di guai, e che ne pre-
cede uno destinato a un' impresa importante , e d' esito incerto. Renzo
si lasciò veder di buon' ora, e concertò con le donne , o piuttosto con
Agnese, la grand' operaatHie della sera, proponendo e sciogliendo a
vicenda diffictJtà, antivedendo contrattempi, e rioorainctando, ora l'uno
ora l'altra, a descriver la faccenda, come si racconterebbe una cosa
fatta. Lucia ascoltava;e, senza approvar con panrie ciò che non poteva
approvare in cuor suo, prometteva di far meglio che saprebbe.
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CAPITOLO vri. <«1
u Anelerete voi giù al convenlo, per pariare al padre Cristororo,
come v'ha detta ier sera? » domandò Agnese a Renzo.
u Le zucche ! n rispose questo : « sapete che diavoli d'occhi ha il pa-
dre : mi leggerebbe in viso , come sur un libro , che e' è qualcosa
per aria; e se cominciasse a Ianni dell'interrogazioni, non potrei
uscirne a bene. E poi, io devo star qui, per accudire all' affare. Sarà
ntef!^io che mandiate voi qualcheduno.»
u Manderò Menico. »
" Va l)ene, -. rispose Renzo; e parti, per accudire all'affare, come
aveva detto,
Agnese andò a una casa vicina, a cercar Menico, eh' era un ragaz-
zetto di circa dodici anni, sveglio la sua parie, e che, per via di cugini
e di cognati, veniva a essere un po' suo nipote. Lo chiese ai pa-
renti, come in prestilo, per tutto quel giorno, » per un certo servi-
zio, n diceva. Avutolo, Io condusse nella sua cucina, gli diede da
colazione, e gli disse che andasse a Pescarenico, e si facesse vedere al
padre Cristoforo, il quale lo rimanderebbe poi, con una risposta, quando
sarebbe tempo. " U padre Cristoforo , quel bel vecchio, tu sai, con la
barba bianca, quello che chiamano il santo ..."
" Ho capito, » disse Menico ; " quello che ci accarezza sempre, noi
altri ragazzi, e ci dà, ogni tanto, qualche santino. "
u Appunto, Menico. E se li dirà che tu aspetti qualche poco, li vh
ciiio al convento, non ti sviare: bada di non andar, con de' compa-
gni, al lago, a veder pescare, né a divertirti vaa le reti attaccale al
muro ad asciugare, né a far quell'altro tuo giochetto solito...."
Bisogna saper che Menico era bravissimo per fare a rimbalzalo;
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,,4 t PROMESSI SPOSI
e si sa che tulli, grandi e piccoli, faeciam volentieri le cose atte quali
abbiamo abilità: non dico quelle sole.
u Pob! zia; non son poi un ragazzo. »
uBene, abbi giudizio; e, quando tornerai con la risposta ... guarda ;
queste due belle parpagliole nuove son per te. "
t. Datemele ora , eh' è lo slesso. «
" No, no, lu le giocheresti. Va, e portali bene; che n' avrai an-
che di più. "
Nel rimanente di qoella lunga mattinata, si videro certe novità che
misero non poco in sospetto 1" animo già conturbalo delle donne. Un
mendico, ne rifinito né cencioso come i suoi pari, e con un non so
che d' oscuro e di sinistro nel semWanle, entrò a chieder la carità,
dando in qua e in là cert' occhiate da spione. Gli fii dato un pezzo di
pane, che ricevetle e ripose, con un' indìflercnza mal dissimulala.
Si Iraltoine poi, con una certa sfacciaUggine , e, nello slesso tempo,
con esitazione, facendo molte domande, alle quali Agnese s'affrettò di
risponder sempre il contrario di quello che era. Movendosi, come per
andar via, finse di sbagliar 1' uscio, entrò in quello che metteva alla
scala, e li diede un'altra occhbta in fretta, come potè. Gridatf^li
dietro: u ehi ehi! dove andate galantuomo? di qua! dì qua! " tornò
indietro, e uscì dalla parie che gli veniva indicala, scusandosi, con una
sommissione , con un' umiltà affettata , che stentava a collocarsi nei
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CAPITOLO Vn. ISK
lineamenti duri di quella fÌEiccia. Dopo costai, continuarono a farà ve-
dere, di tempo in tempo, altre strane figure. €be razza d'uomini fos-
sero, non si sarebbe potuto dir fadlmente; ma non si poteva creder
neppure che fossero quegli onesti viandanti che volevan parere. Uno
entrava col pretesto di farsi insegnar la strada; altri, passaodo da-
vanti alf uscio, rallentavano il passo, e guardavan sott' occhio nella
stanza, a traverso il cortile, come chi vuol vedere senza dar sospetto.
Finalmente, verso il mezzogiorno, quella fastidiosa processione fini.
Agnese s'alzava ogni tanto, attraversava il cortile, s'afTacciava all'u-
scio di strada, guardava a destra e a sinistra, e tornava dicendo:
" nessuno: « parola che proferiva con piacere, e che Lucia con pia-
cere sentiva, senza che né l'una né 1' altra ne sapessero ben chiara-
mente il perchè. Ma ne rimase a tutt' e due una noo so quale inquie-
tudine, che levò loro, e alla figliuola principalmente, una gran parte
del coraggio che avevan messo in serbo per la sera.
Convien però che il lettore sappia qu^cosa di più preeiso, intorno
a qne' ronzatori misteriosi: e, per informarlo di tutto, dobbiam tor-
nare un passo indietro, e ritrovar don Rodrigo, che aUiiam lasciato
ieri, solo in una sala del suo palazzotto, al partir del padre Cristoforo.
Don Rodrigo, come àbbiam detto, misurava innanzi e indietro, a
passi lunghi, quella sala, dalle pareti della quale pendevano ritratti
di famiglia, di varie generazioni. Quando si trovava col viso a un»
parete, e voltava, si vedeva in faccia un suo antenato guerriero,
terrore de' nemici e de' suoi soldati, torvo nella guardatura, co'capelli
corti e ritti, co' baffi tirati e a punta, che sporgevan dalle guance.
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IS« I PHOMESSI SPOSI
col mento obliquo: ritto in piedi l'eroe, con le gambiere, co' cosciali,
con la corazza, co' bracciali, co' guanti, tutto di ferro; con la destra
sul fianco, e la sinistra sul pomo della ^Nida. Don Rodrigo lo guardava ;
e quando gli era arrivato sotto, e voltava, ecco in faccia un altro ante-
nato, magistrato, terrore de' litiganti e degli avvocati, a sedere sur
una gran seggiola coperta di velluto rosso, ravvolto in un'ampia Ioga
nera; tutto nero, fuorché un collare bianco, con due larghe facciole,
e una fodera di zibellino arrovesciata ( era il distintivo de' senatori,
e non lo portavan che l'inverno, ragion per cui non si troverà mai
un ritratto di senatore vestito d' estate); macilento, con le ciglia ag-
grottato : teneva in mano una supplica, e pareva che dicesse: vedremo.
Di qua una matrona, terrore delle sue cameriere ; di là un aliale, (er-
rore de' suoi monaci: tutta gente in somma che aveva fallo terrore,
^
„GoogIe
CAPITOLO VU. It7
e Io spirava ancora dalle lele. Alla [H'esenia di tali memorie , don
Rodrigo tanto più s' arrovellava , sì vergognava , non poteva darsi
pace, che un frate avesse osato venirgli addosso, eoo la prosopopea di
Nalban. Formava un disegno di vendetta, l'abbandonava, pensava
come soddisfare insieme alla passione , e a ciò che chiamava onore ;
e talvolta ( vedete un poco ! ) sentendosi fischiare ancora agji orecchi
quell'esordio di profezia, si sentiva venir, come si dice, i bordoni,
e stava quasi per deporre il pensiero delle due soddisfazioni. Final-
mente, per far qualche cosa, chiamò un servitore, e gli ordinò che lo
scusasse con la compagnia, dicendo eh' era trattenuto da un affare ur-
gente. Quando quello tornò a ritmre dte que'signori eran partiti,
lasciando ì loro rispetti: « e il conte Attilio? •» domandò, sempre
camminando, don Rodrigo.
v É uscito con que' signori, illustrìssimo. "
« Bene : sei persone di seguito, per la passq^iala : subito. La spada,
la cappa, il cappello: subilo. »
Il servitore partì, rispiHidendo con un inchino; e, poco dopo, tornò,
portando la ricca spada, che il padrone si cìnse; la cappa, che si
buttò sulle spalle; il cappello a gran penne, che mise e indiiodò, con
una manata, fieramente sul capo: segno dì marina toiitìda. Si mosse,
e, alla porta, trovò ì sei ribaldi tutti annali, i quali, follo ala, e inchi<
natolo, gli andaron dietro. Più burbero, più superbioso, più accigliato
del solito, usd, e andò passeggiando verso Lecco. I conladini, gli ai^
ligiani, al vederla venire, si ritiravan rasente al muro, e di li fo-
cevacw scappeUate e inchini profondi , ai quali non rispondeva. Grane
inferiori, l'inchinavano anche quelli che da questi eran detti signori;
che, in que' contorni, non ce n' era uno che potesse, a mille mi-
glia, competer con lui, di nome, di ricchezze, d'aderenze e ddla vo-
glia di servirsi di tulio ciò, per islare al dì s(^ra definì altri. E a que-
sti corrispondeva con una degnazione contegnosa. Quel giorno non
avvenne, ma quando avveniva che s'incontrasse col signor castellano
spagnolo, l'inchino allora era ugualmenle profondo dalle due parti;
la cosa era come Ira due potentati , i quali non abbiano nulla da
spartire tra loro; ma, per convenienza, fanno onore al grado 1' uno
ddl' altro. Per passare un poco la mattana, e per contrapporre al-
l'immagine del frale die gli assediava la fantasia, inmiagini in lutto
diverse, don Rodrigo entrò, quel giorno, in una casa, dove andava, per il
solito, molla goite, e dove fu ricevuto eoo qudla cordialità affaccendata
Digitizf^riiiyGoOgle
Ita 1 PROMESSI SPOSI
c rispettosa, eh' è riserbata agli uomini che si fanno molto amare o mollo
lemere; e, a notte già fatta, tornò al suo palazzotto. D conte Attilio
era anche lui tornalo in quel momento; e fu messa in tavtria la cena,
durante la quale, don Rodrigo fu sempre sopra pensiero , e parìò poco.
« Cugino, quando pagate questa scommessaci' disse, con un fare
di malizia e di stremo, il conte Attilio, appena sparecchialo, e andati
via i servitori.
« San Martino n<Mi è aneor passato. »
« Tant'è che la paghiate suIhIo; perchè passeranno tutti i santi
del lunario , prima die ..."
- Questo è quel che si vedrà. »
u Cugino, voi volete lare il politico; ma io ho capito lutto, e son
tanto cerio d'aver vinta la scmnmessa, che son pronto a Utrae un'
altra. "
u Sentiamo. »
u Che il padre Il padre che so io? quel frale in somma
v'ha convertilo. «
« Elcoone un'altra delle vostre. "
" Converlrto, cibino; convertilo, vi dico, lo per me, ne godo. Sa-
jiele che sarà un bello spettacolo vedervi tutto compunto, e eoa gli
occhi bassi ! E che gloria per quel padre ! Come sarà tornato a casa
gonfio e pettoruto! Non son pesci che si pigino tutti i giorni, né cou
tutte le reti. Siale cerio che vi porterà per esempio; e, quando anderà
a far qualche missitMie un po' lontano, parìerà de' fatti vostri. Mi par
di sealirlo. n E qui , parìando col naso , e acc(Hnpa{pMndo le parole
con gesti caricati , continuò, in tono di predica: « in una parte di
questo mondo, che, per degni ri^)eUÌ, non nomino, viveva, uditori
carissimi, e vive tuttavia, un cavaliere scapestrato, amico più delle
h»ninine, che degli uomini dabbene, il quale, avvezzo a lar d* ogni
erba un fascio, aveva messo gli occhi ....•>
« Basta, basla, i interruppe don Rodrigo, mezzo sogf^i^ando, e
mezzo annoiato. " Se volete raildoppiar la scommessa, son pronto
anch' io. "
" Diavolo! che aveste voi convertito il padre! »
» Non mi parlate di colui : e in quanto alia scommessa , san lUarlino
deciderà. « La curiosità dd cernie era stuzzicala ; non gli rispannìò inter-
rogazioni, ma don Rodrigo le seppe eluder tutte, rimettendosi sem-
pre al giorno della decisione, e rum volendo ccnnunicare alla parie
,y Google
CAPITOLO vn.
[Ili ebe noli erano
'. assdiudimeiilu
avversa »
fisaati.
La niattiita seguente, don Rodrigo si desiò don Rodrigo. L'appren-
sioiie die quel verri un gi'onio gli aveva messa in eoFpo, era svanita
dd iDtIo, co'sogni della noUe;egli rimaneva la raUiia sola, esacerbala
»icbe dalla vergogna di quella debolezza passe^iera. L' immagini più
recenti della passef^iata trionfale, degi' inchini, dell'accoglienze, e il
canzonare del cugino, avevano contribuito non poco a rendergli 1' a-
nimo antico. Appena alzato, fece chiamape il Griso. — Cose grosse,
— disse tra sé il servitore a cui fu dato l'ordine; perché l'uomo die
aveva quel soprannome, non era niente meno che il capo de' bravi,
quello a cui s'imponevano te imprese più rischiose e più inique, il
fidatissimo del padrone, 1' uomo lutto suo, per gratitudine e per in-
teresse. Dopo aver ammazzato uno, di giomo, in piazza, era andato
ad implorar la protezione di don Rodrigo; e questo, vestendolo della
sua livrea, l'aveva messo al coperto da ogni ricerca della giustizia.
Cosi, impegnandosi a ogni delitto che gli venisse comandato, colui si
era assicurala l'impunità del primo. Per don Rodrigo, l'acquisto non
era stato dì poca importanza; perchè il Griso, oltre all'essere, senza
paragone, il più valente della famiglia, era anche una prova di ciò che
il suo padrone aveva potuto attentar felicemente contro le leggi ; di
modo che la sua potenza ne veni\'a ingrandita, nel fallo e nell' opi-
nione.
« Griso! n disse don Rodrigo: » in questa congiuntura, si vedrà
<|uel che tu vali. Prima di domani, quella Lucia deve trovarsi in
questo palazzo. »
« Non si dirà mai che il Griso si sia ritirato da un comando del-
l'illustrìssimo signor padrone. »
« Piglia quanti uomini ti possono bisognare, ordina e disponi, come
lì par meglio; purché la cosa riesca a bnon fine. Ma bada sopra tutto,
die non le sia fatto male, r
" Signore, un po' di spavento, perchè la non faccia troppo stre-
pito non si potrà fer di meno. »
« Spavento.... capisco.... è inevitabile. Ma non le si torca un ca-
pello; e sopra lutto, le si porli rispetto in ogni maniera. Hai inteso?»
« Signore, non si può levare un fiore dalla pianta, e portarlo a
vossignoria , senza toccarlo. Ma non si farà die il puro necessario. »
" Sotto la tua sicurtà. E come forai? "
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I imuuKssi SPOSI
uCi slavo pensando, signore. Siam fortunati che la casa é in fondo
al paese. Abbiam bisogno d' un luogo per andarci a poslare : e ap-
punto c'è, poco disiarne di là, quel casolare disabitato e solo, in
mezzo ai campi, quella casa... vossignoria non saprà niente di queste
4>osc... una casa che bruciti, |Kichi anni sono, e non hanno avuto da-
nari da riattarla, e l'hanno abbandonala, e ora ei vaimo le streghe:
ma non è sabato, e me ne rido. Questi villani, clic son pieni d'uM)ie,
non ci bazxicherebbero, in nessuna notte ddla scltimana, per tutto
l'oro del mondo: sicdic possiamo andare a fermarci là, con sicurezza
die lìessnno verrà a guastare i fatti nostri. "
« Va bene? e poi? n
Qui, il Griso a proporre, don Rodrigo a discutere, finché d' accordo
ebbero concertala la maniera di condurre a fine l'impresa, senza che
rimanesse traccia degli autori , la maniera anche di rivolgere , con
falsi indizi , i sospetti altrove, d' impor silenzio ^la povera Agnese,
ti' incutere a Renio tale spavento, da fargli passare il dolore, e il pen-
siero di ricorrere alla giustizia, e anclie la volontà di lagnarsi; e tutte
r altre briocoiicrie necessarie alla riuscita della bricconerìa princi|>ale.
Noi lral%iciamo di riferir que' concerti, perche, come il lettore vedrà.
non son necessari all'intelligenza della storia; e siam eonleiili anclic noi
ili non doverlo trattener più lungamente a sentir pai'Iuuienlare que'dui-
faslitliosi ribiildi. .Basta clic, inenliv il tìrìso so n' andava, (ter nieitcr
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CAPITOLO VII. 131
mano all'esectizioiic, don Rodrigo (o riciiiainò, e gli disse: « svìiti:
se per caso, quel tanghero temerario vi desse nell' unghie questa sera,
non sarà male che gli sia dato anticipatamente mi buon ricordo sulle
spaile. Così, l' ordine che gli verrà intimato domani di stare zillo, farà
più sicurainenlc 1' effetto. Ma non l'andate a cercare, per non gua-
stare quetto cbe pi» importa: tu m'hai inteso. »
u Lasci fare a me, » rispose il Griso, inchinandosi, con un atto
d'ossequio e di millanteria; e se n'andò. La mattina fu spesa in giri,
per riconoscere il paese. Quel falso pezzente che s' era inoltrato a
quel modo nella )>overa casetta, non era altro cbe il Griso, il quale
veniva per levarne a occhio la pianta: i falsi viandanti eran suoi ri-
baldi, ai quali, per operare sotto i suoi ordini, bastava una cognizione
più superficiale del luogo. E, fatta la scoperta, non s'eran più lasciati
vedere, per non dar troppo sospetto.
Tornati che furon tutti al palazzotto, il Griso rese conto, e (issò
definitivamente il disegno dell'impresa; assegnò le parti, diede istru-
zioni. Tutto ciò iMHi si potè fare, senza cbe quel vecchio ser\'itore, il
quale stava a occbi aperti, e a orecchi lesi, s' accorgesse che qualche
gran cosa si macchinava. A forza di stare attento e di domandare:
accattando una mezza notizia di qua, una mezza di là, commentando
tra sé una parola oscura, interpretando un andare misterioso, tanto
lece, che venne in chiaro di ciò che si doveva eseguir quella notte.
Ma quando ci fu riuscito, essa era già poco lontana, e già una pic-
cola vanguardia di bravi era andata a imboscarsi in quel casolare
diroccato. 11 povero veediio, quantunque sentisse bene a che rischioso
giuoco giocava, e avesse anche paura di portare il soccorso di Pisa,
pure non volle mancare: usci, con la scusa di prendere un po' d'aria,
e s'incamminò in fretta in fretta al convento, per dare al padre Cri-
stt^òro l'avviso promesso. Poco dopo, « mossero gli altri bravi, e disce-
sero spicdolati, per non parere una compagnia: il Griso venne dopo;
e non rimase indietro che una bussola, la quale doveva esser portata
al casolare, a sera intdlrata; come fu fatto. Radunali che furono in quel
hiogo, il Griso spedi tre di coloro all' osteria del paeselto : uno che si
mettesse suir uscio, a osservar ciò che accadesse nella strada, e a veder
quando tutti gli abitanti fossero ritirati : gli altri due che stessero
dentro a giocare e a bere, come dilettanti; e attendessero intanto a
spiare se qualclie cosa da spiare ci fosse. Egli, col grosso della tru|>-
pa, rimase nell'agguato ad aspettare
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I3V I PftOSESSl SPOSI
Il povero ^eochio trollava ancora; ì Ire esploratori arrivavano al
loro posto; il sole cadeva; quando Renzo entrò dalle donne, e disse:
u Tonio e Gervaso m' aspellan fuori: vo eon loro all'osteria, a man-
giare un boccone; e, quando sonerà l'ave maria, verremo a prendervi.
Sii, coraggio, Lucia! lutto dipende da un momento. » Lucia sospirò,
e ripetè: « coraggio, n con una voce che smentiva la parola.
Quando Renzo e i due compagni giunsero all'osteria, vi Irovaron
quel tale già piantalo in sentinella, che ingombrava mezzo il vano
della porla, appoggialo con la schiena a uno stipite, con le braccia in-
crociate sul petto; e guardava e riguardava, a destra e a sinistra, fa-
cendo lampeggiare ora il bianco, ora il nero di due occhi griragni.
Un berretto piatto di velluto cliermisi, messo storto, gli copriva la
metà del ciuffo, che, dividendosi sur una fronte fosca, girava, da una
parte e dall'altra, sotto gli orecchi, e terminava in trecce, fermate con
un pettine sulla nuca. Teneva sospeso in una mano un grosso randel-
lo; arme propriamente, non ne portava in vista; ma, solo a guardar-
gli in viso, anche un fonciullo avrebbe pensalo che doveva averne
sotto quante ce ne poteva stare. Quando Renzo , eh' era innanzi agli
altri, fu li per entrare, colui, senza scomodarsi , lo guardò fisso
(isso; ma il giovine, inlento a schivare ogni questione, come suole
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CAPITOLO VII. 113
Ognuno che abbia un'impresa scabrosa alle mani, non fece vista d'ac<
coT^rsene, non disse neppure : fatevi in ìk; e, rasentando l'altro sti-
pite, passò per isbieco, col fianco innanzi, per l'apertura lasciala da
quella cariatide. I due compagni dovettero far la slessa evoluzione, se
vollero entrare. Entrati, videro gli altri, de' quali avevan già sentila
la voce, cioè que' due bravacci, che seduti a un canto della (avola,
giocavano alla mora, gridando tutt'e due insieme (lì, è il giuoco che
lo richiede), e mescendosi or l'uno or l'altro da bere, con un gran
Gasoo ch'era tra loro. Questi pure guardaron fisso la nuova compa-
gnia; e un de* due spedalmente, lenendo una mano in aria, con tre
dititoci tesi e allargali, e avendo la bocca ancora aperta, per un gran
«sei » dte n'era scoppiato fuori in quel momento, squadrò Renzo da
capo a piedi; poi diede d' occhio al omipagno, poi a quel dell'uscio, che
rispose con un cenno del capo. Renzo insospettilo e incerto guardava ai
suoi due convitati , come se volesse cercare ne' loro aspetti un' inter-
pretazione di tutti que' segni : ma i loro aspetti non indicavano altro
che un buon appetito. L'oste guardava in viso a lui, come per
aspettar gli ordini: egli lo fece venir con sé in una stanza vicina, e
ordinò da cena.
«Chi sono que' forestieri?» gli domandò poi a' voce bassa, quando
quello tornò, con una tovaglia grossolana sotto il braccio , e un fiasco
1 Ntm li conosco,'» rispose l'oste, spiegando la tovaglia.
e Come? né anche uno?»
" Sapete bene , » riqiose ancora colui , stirando, con tutt' e due le
mani, la tovaglia sulla tavola, « die la prioka rqjola del nostro mestiere,
è di non domandare i falli degli altri: tanto che, fin le nostre donne
non son curiose. Si starebbe freschi, con tanta gente che va e viene:
è sempre im porto di mare: quando le annate son ragionevoli, voglio
dire; ma stiamo allegri, che tornerà il buon tempo. A noi basta che
gji avventori siano galantuomini : chi siano poi, o chi non siano, non
fa niente. E ora vi porterò un piallo di polpette, che le simili non le
avete mai mangiate. »
u Come potete sapere ....?•> ripigliava Renzo; ma l'oste, già av-
vialo alla cucina, seguitò la sua slrada. E li, mentre prendeva il
legame delle polpette summentovate, gli s'accostò pian piano quel
bravaccio che aveva squadrato il nostro giovine, e gli disse sottovoce:
" Chi sono que' galantuomini ? »
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1 pflOMESSi srosi
u Buona genie qui del paese, » rispose l'oslc, scodellando le |h^-
pelle Del piallo.
u Va bene; ma come si chiamano? ehi sono?" insistette colui, con
voce inquanto ^rbala.
«Uno 81 chiama Renzo, n rispose l'oste, pur sottovoce: « un buon
giovine, assestato; Itlatore di seta, che sa bene il suo mestiere. L'al-
tro è un contadino die ha nome Tonio: buon camerata), allegro: pec-
cato che n' abbia pochi; che gli spenderebbe tutti qui. L' altro è un
semplidotto, che mangia però volentieri, quando gliene danno. Con per-
messo. »
E, con uno sgambetto, uscì tra il fornello e l' interrogante; e andò
a portare il piatto a chi si doveva. «Come potete sapere,» riattaccò
Renzo, quando lo vide ricomparire, u che siano galantuomini, se non
li conoscete? "
«Le azioni, caro mio: l'uomo si conosce all'azioni. Quelli che be-
vono il vino senza criticarlo , che pagano il conto senza tirare, che
non melton su lite con gli altri avventori , e se hanno una coltellata
da consegnare a uno, lo vanno ad aspettar fuori, e lontano dall'oste-
ria, tanto che il povero oste non ne vada di mezzo, quelli sono i ga-
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CAPITOLO VII. ist
lantuomìni. Però, se si può conoscer la genie bene, come ci coiibscia-
mo Ira noi quattro, è meglio. E che diavolo vi vìen voglia di saper
tante cose, quando siete sposo, e dovete aver tuli' altro iii tesla? e
em davanti quelle polpeIte,chc farebbero resuscitare un nwrio?» Cosi
dicendo, se ne tornò in cucina.
H nostro autore, osservando al diverso Diodo che teneva cosini nel
soddisfare alle domande, dice ch'era un uomo così latto, che, in tulli
i suoi discorsi, faceva professione d'esser mollo amico de' galantuomini
in generale; ma, in atto pratico, usava multo maggior compiacenza
roii quelli che avessero riputazione o sembianza di birboni. Glie ca-
rattere singoiare! eh?
La cena non fu molto allegra. 1 due convitali avrebbero voluto go-
dersela con lutto loro comodo; ma l'invilanle, preoccupato di ciò che il
lettore sa, e infastidito, e anche un po' inquieto del contegno strano
di quegli sconosciuti , non vedeva i' ora d' andarsene. Sì parlava sot-
lovoce, per causa loro; ed eran paride tronche e svogliale.
" Che bella cosa, n scappò fuori di punto in bianco Gervaso,
" ebe Renzo votata prender moglie , e abbia bisogno . . ! " Renzo gli
lece un viso brusco. « Vuoi stare zitto, bestia?» gli disse Tonio, accom-
Itagnando il titolo con una gomitata. La conversazione fu sempre più
fredda, fino alla fine. Renzo, stando indietro nel mangiare, come nel
liere, attese a mescere ai due testimoni, con discrezione, in maniera
di dar loro un po' di brio, senza lari! uscir di cervello. Sparecchialo,
p^fo il conto da colui che aveva fatto men guasto, dovettero tutti e
Ire passar novamcnte davanti a quelle facce, le quali tutte si voltarono
a Renzo, come quand'era entralo. Questo, fatti ch'ebbe podii passi
borì deir osteria, si voltò indietro, e vide che i due che aveva lasciati
seduti in cucina , lo seguitavano: si lermò allora, co' suoi compagni, come
se dicesse: vediamo cosa voglion da me costoro. Ma i due, quando
!>' accorsero d'essere osservati, si fermarono anch'essi, si parlarOn
MiUovoce, e lomarono indietro. Se Renzo fosse stato tanto vicino da
Acniir le loro parole, gli sarcherò parse molto strane. " Sarebbe
|)crò un beli' onore, senza contar la mancia, n diceva uno de' malan-
drini, u se, tornando al palazzo, potessimo raccontare d'avergli spia-
nate le costole in fretta in fretta, e cosi da noi, senza che il signor
làriso fosse qui a regolare, n
" E guastare il negozio principale! » rispondeva 1' altro. « Ecco:
»' e avvisto di qualche cosa; si leniia a guardarci. Ih! se fosse pni
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I3B 1 PROMESSI SPOSI
tardi! Torniamo iudieiro, per non dar sospeUo. Vedi dte vieii genlv
da tutte le parli: lasciamoli andar lutti a pollaio. »
C era in fotti quel brulichio, quel ronzio che si satle in un vil-
b^io, sulla sera, e che, dopo pochi momenti, dà luogo alla quiete
solenne delta notte. Le donne venivan dal campo, portandosi in collo
i bambini , e lenendo per la mano i ragazzi più grandini, ai qtiidi lit-
cevati dire le divozioni della sera ; venivan gli nomini, con li* vanglie,
e con le zappe sulle sp^le. All'aprirsi degli usci, si vedevan luccicare
qua e là i fuochi accesi per le povere cene: sì sentiva nella strada
barattare i saluti, e qualche parola, sulla scarsità della raccolta , e sulla
miseria dell' annata; e più delle panile, si sientivano i tocchi misurati
e sonori della campana, che annunziava il finir del giorno. Quando
Renzo vide che i due indiscreti s'eran ritirati, continuò la sua strada
nelle tenebre crescenti, dando sottovoce ora un ricordo, ora un altro,
ora all' uno, ora all'altro fratello. Arrivarono alla casetta di Lucia,
ch'era già notte.
Tra il primo pensiero d'una impresa terrìbile, e I' esecuùohè di
essa, (ha detto un t>arbaro che non era privo d'ingegno) l'intervallo
è un sogno, pieno' dì Ikntasmi e di paure. Lucia era, da motte ore,
ncir angosce d' un lai sogno: e Agnese, Agnese medesima, 1' autrice
del consiglio, slave sópra pensièro, e trovava a stento parole -per rin-
corare la figlia. Ma, al momento dì destar», al momento cioè di dar
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CAPITOLO VII. 1S7
princìpio all'opera, l'animo si trova lutto Irasformato. A.I terrore é al
coraggio che vi contrastavano, succede un altro terrore e un altro
coraggio: l'impresa s'arTaecia alla mente, come una nuova apparizione :
ciò che prima spaventava di più, sembra talvolta divenuto agevolo
tutt'a un tratto: talvolta comparisce grande l'ostactrio a cui s' era a|v
pena badalo; l'immaginazione dà indietro sgomentala; le membra par
die ricusino d'ut^idìre; e il cuore manca alle promesse che aveva
folte eoo più sicurezza. Al picchiare sommesso di Renzo, Lucia fu assa-
lila da tanto terrore, che risolvette, in quel momento, di soRVirc ogni
cosa, di star sempre divisa da lui , piuttosto eh' eseguire quella riso-
luzione; ma quando si fu fatto vedere, ed ebbe detto: « son qui,
andiamo ; » quando tulli si mostraron pronti ad avviarsi, senza esitazio-
ne, come a cosa stabilita, irrevocabile; Lucìa non ebbe tempo ne forza
di far difflooltà, e, come strascinata, prese tremaiido un braccio della
madre, un braccio del promesso sposo, e sì mòsse con la brigala av-
venturiera.
Zitti EÌtli, nelle tenebre, a passo misurato, usciron dalla casetta,
e preser la strada fuori del paese. La jhù corta shrebtic stata d'attra-
versarìo: che s'andava diritto alla casa di'dòn Abbondio; ma scelsero
quella, per non esser visti. Per viottole, tra gli oi4i. e i campi,
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Ita I PROMBSSI SPOSI
arrìvaron vidno a quella casa, e lì si divisero. I due promessi rimaser
nascosti dietro l'angolo di essa; Agnese con loro, ma un po' più innanzi,
per accorrere in lempo a feiroar Perpetua, e a impadronirsene; Tonio,
Con lo scempiato di Gervaso, che non sapeva far nulla da sé, e senza
il quale ncm si poteva (ar nulla, s' affacciarcHi bravamente alla porta,
e picchiarono.
« Chi è, a quest'ora? « gridò una voce dalla finestra, dtc s'apri in
quel momento: era la voce di Perpetua, u Ammalati non ce n' é,
ch'io sappia. È forse accaduta qualche disgrazia? »
uSon io,n rispose Tonio, u con mio fratello, che abbiam bisogno
di parlare al signor curato. "
u É ora da cristiani questa? « disse bruscamente Perpetua. « Oic
discrezione? Tornate domani. «
« Sentite: tornerò 0 non tornerò: ho riscosso non so che danari,
e venivo à saldar quel debìtuccio che sapete: aveva qui venticinque
belle berlinghe nuove; ma se non si può, pazienza: questi, so come
spenderli, e tornerò quando n'aU)ia messi insieme d^i altri, n
uAspcltale, aspettate: vo e torno. Ma perdio venire a quest'ora?"
« Gli ho ricevuti, andi'io,poco fa;e ho pensalo, come vi dico, che,
se li tengo a dormir con me, non so dì che parere sarò domattina.
Però, se l'ora non vi piace, non so che dire: per me, son qui; e
se non mi volete, me ne vo. »
u No, no, aspettate un momento: torno con la risposta.»
Cosi dicendo, richiuse la finestra. A questo punto, Agnese si staccò
dai promessi, e, detto sottovoce a Lucia: u corallo; è un momoilo;
è come fòrsì cavar un dente , » si riiuii ai due fratelli, davanti all' li-
scio; e si mise a ciariarc con Tonio, in maniera clic Perjieliia, venendo
ad aprire, dovesse credere che si fosse abbattuta li a caso, e che To-
nio l'avesse trattenuta un momento.
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CAPITOLO VIU.
omcadc ! Chi era costui ? — ruini'
flava tra se don Abbondio seduto sul
suo se^^loite, la una stanza del plano
superiore, con un Ijbricdolo aperto
davanti , quando Perpetua enArò a
porlai^li l' imbasciata. — Cameade !
questo nome mi par bene d* averlo
letto 0 sentito; doveva essere un uo-
mo di studio, un leiteratone del tem-
po antico: è un nome di quelli; ma
chi diavolo era costui? — ■ Tanto il pover uomo era lontano da pre-
vedere che burrasca gli si addensasse sul capo!
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< 40 I PROMESSI SPOSI
Biiiogiia sapere che don Abbondio sì dilettava di lecere un po<
(filino <^i giorno; e un curato suo vicino, che aveva un po' di libre-
ria, gli prestava un libro dopo 1' altro, il primo che gli veniva alle
mani. Quello su cui meditava in quel momento don Abbondio, con-
valescente della febbre dello spavento, anzi più guarito (quaiìlo alla
febbre ) che non volesse lasciar credere, era un panegirico &i onore
di san Carlo , detto con molta enfasi , e udito con molta ammirazione
nel duomo di Milano, due anni prima. Il santo v'era paragonato,
per l'amore allo studio, ad Archimede; e fìn qui don Abbondio non
trovava inciampo; perchè Archimede ne ha fatte di così curiose, ha
fatto dir tanto di sé, che, per saperne qualche cosa, non e' è bisogno
d' un'erudizione mollo vasla. Ma, dopo Archimede, l'oratore chiama\'a
a paragone anche Cameade: e li il lettore era rimasto arrenato, bi
quel momento entrò Perpetua ad annunziar la visita di Tonio.
u A quest'ora? n disse anche don Abbondio, com'era naturate.
« Cosa vuole? Non hanno discrezione: ma se non lo piglia al
volo n
H Già : se non lo piglio ora, chi sa quaoflo lo potrò pigliare 1 Fatelo
venire Ehi! ehi! siete poi ben sicura che sia proprio lui? "
«Diavolo!» risposta Peri>etua,e scese; apri ruscio,edisse: "dove
siete?» Tonio si fece vedere; e, nello stesso lem|>o, venne avanti sn-
elle Agnese, e salutò Perpetua per nome.
u Buona sera, Agnese, n disse Perpetua: «di dove sì viene, a que-
st'ora? »
"Vengo da....» e nominò un paescttó vicino. » E se sapeste...»
continuò: u mi son fermata di piò, appunto in grazia vostra. »
« Oh perchè? » domandò Perpetua; e voltandosi a' due fratelli,
« entrate, n disse, u che vengo anch'io. »
«Perchè,» rispose Agnese, « una donna di quelle ebe non sanno
le cose, e voglion parlare .... credereste? s' ostinava a dire che voi
non vi siete maritata con Beppe Suolavecchia, ne con Anselmo Lun-
ghigna, perchè non v' Iranno voluta. Io sostenevo che siete stala voi
rfie gli avete rifiutati, l'uno e l'altro.... »
" Sicuro. Oh la bugiarda! la bugìardona! Chi è costei? •>
« Non me lo domandale, che non mi piace metter male, f
« Me lo direte, me l'avete a dire: oh la bugiarda! »
« Basta.... ma non potete credere quanto mi sra dbpiacìulo di non
saper bene tutta la storia, per confonder colei. »
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CAPITOLO Vili. Ili
H Guardale se si può invenlarc, a questo modo! » csdamò di duovo
Perpetua ; e riprese subilo : " in quanto a Beppe , lutti sanno , e
iianno |>otiito vedere — Ehi, Tonio! accostate l'uscio, e salite pu-
re, ehe vengo." Tonio, di dentro, rispose di si; e Perpetua continuò
la sua narrazione appassionata.
In faccia all'uscio di don Abbondio, s'apri\'a, tra due casi|>ole, una
stradella, che, finite quelle, voltava in un campo. Agnese vi s'avviò,
come se volesse tirarsi alquanto in disparte, per parlar più libera-
mente; e Perpetua dietro. Quand'ebbero vtdialo, e furono in luogo,
donde non si poteva più veder ciò ehe accadesse davanti alla casa di
don Abbondio, Agnese tossì forte. Era il segnale: Renzo lo senti, fece
con^o a Lucia, con una stretta di braccio; e tutt' e due, in punta
di piedi, vennero avanti, rasentando il muro, zitti zitti; arrivarono al-
l'uscio, lo spinsero adagino adagino; cheli e chinati, entraron nell'an-
dito, dov'erano i due fratelli, ad aspettarìi. Renzo accostò di nuovo
l'uscio pian piano; e tuli' e quattro su per le scale, non facendo ru-
more neppur per uno. Giunti sul pianerottolo, i due fratelli s'avvici-
narono all' uscio della stanza, eh' era di fianco alla scala; gli sposi si
strinsero al muro.
« Deo gratiaa, » disse Tonio, a voce chiara.
» Tonio, eh? Entrate, t rispose la voce di dentro.
Il chiamato apri l'uscio, appena quanto bastava per poter passar
lui e il fratello, a un per volta. La striscia di luce, che usci d'improv-
viso per quella apertura, e si disegnò stA pavimento oscuro del pia-
nerottolo, fece riscoter Lucia, come se fosse scoperta. Entrali i fra-
telli, Tonio si tirò dietro l'uscio: gli sposi rimasero imniidHli nelle te-
ueòre, con l'orecchie tese, lenendo il fiato: il rumore più torte era
il muldlar che faceva il povero cuore di Lucia.
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I4S I PI10UE8SI SPOSI
Don Abbondio slava, come aM>ian] dello, sur una vecdiia seggiola,
ravvolto in una vecchia zimarra, con in capo una vecchia papalina,
che gli faceva cornice intorno alla faccia, al lume scarso d' una pic-
cola lucerna. Due folte ciocche di capelli , che gli scappavano fuor
della papalina, due folti sopraccigli, due folti baffi, un folto pizzo,
tutti canuti, e sparsi su quella faccia bruna e rugosa, potevano as-
somi^iarsi a cespugli coperti di neve , sporgenti da un dirupo , al
chiaro di luna.
" Ab! ah!» fu il suo saluto, mentre si levava gli occhiali, e li ri-
|>oneva nel libricciolo.
u Dirà il signor curato, che son venuto lardi, " disse Tonio, in-
chinandosi , come pure fece , ma più goITamentc , Gervaso.
« Sicuro cb' è lardi : tardi in tutte le maniere. Lo sapete, che sono
ammalato? •>
« Oh! mi dispiace. »
" L' avrete sentito dire ; sono ammalato , e non so quando potrò
lasciarmi vedere Ma perchè vi siete condotto dietro quel — qud
figliuolo? "
■ Così per compagnia, signor curato, n
« Basta, vediamo. •>
» Son venlidnque berlinghe nuove, di quelle eoi sant'Ambrogio a
cavallo, » disse Tonio, levaudosi un involtino di tasca.
« Vediamo, « replicò don Abbondio: e, preso l'involtino, si ri-
messe gli occhiali, l'aprì, cavò le berlinghe, le contò, le voltò, le
rivoltò, le trovò senza difetto.
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CAPITOLO VIIL Iti
t Ora, eigncH* curalo, mi darà la collana della mìa Tecla, n
« È giusto, » rispose don Aldrandio; poi and^ a un armadio, si
levi una chiave di lasca, e, guardandosi ìnlomo, come per lener lon-
tani gli spettatori , apri una parte di sportello , riempì 1' apertura
tati la persona, mise dentro la testa, per guardare, e un braccio, por
prender la collana; la prese, e, chiuso l'armadio, la consegnò a Tonio,
dicendo: u va l)ene7 »
"Ora, n disse Tonio, u si conienti di mettere un po' di nero sul
bianco. »
u Anche questa !n disse don Abbondio: de sanno tutte. Ih! com'è
divoiuto sospettoso il mondo! Non 'vi fidate di mcl«
« Come, «gnor curato! s'io mi fido? Lei mi fa torto. Ma siccome
9 mio nome è sul suo libraccio, dalla parte dd debito dunque,
giacdtè ha ^k avuto l'incomodo di scrivere una volta, cosi . . . dalla
vila alla morte .... »
« Bene bene, » interruppe don Abbondio, e brontolando, tirò a
sé una cassetta del tavolino, levò fuori carta, penna e calamaio, e si
mise a scrivere, ripetendo a viva voce le parole, di mano in mano
die gli uscivan dalla penna. Frattanto Tonio e, a un suo cenno,
Gervaso, si piantaron ritti davanti al tavolino, in maniera d' impedire
allo scrivente la vista dell' uscio; e, come per ozio, andavano stro-
picciando, co' piedi, il pavimento, per dar segno a quei ch'erano
fuori, d'entrare, e per confondere nello stesso tempo il rumore delle
loro pedate. Don Abbondio, immerso nella sua scrittura, non badava
ad altro. Allo stropiccio de' quattro piedi, Renzo prese un braccio di
Lucia, lo strinse, per darle concio, e si mosse, tirandosela dietro
tutta U>emante, che da sé non vi sarebbe potuta venire. Entraron
pian piano, in punta di piedi, ratlenendo il respiro; e si nascosero
dietro i due fratelli. Intanto don Abbondio, finito di scrivere, rilesse
attentamente, senza alzar gli occhi dalla caria ; la piegò in quattro, di-
cendo: «ora, sarete contento? » e, levatosi con una mano gli occhiali
dal naso, la porse con l^altra a Tonio, alzando il viso. Tonio, allun-
gando la mano per prender la carta, si ritirò da una parte; Gervaso,
a un suo cenno, dall'altra; e, nel mezzo, come al dividersi d'una sce-
na, apparvero Renzo e Lucia. Don Abbondio, vide confusamente, poi
vide chiaro, si spaventò, si stupì, s'infuriò, pensò, prese una risolu-
zìme : tutto questo nel tempo che Renzo mise a proferire le parole :
«signor curato, in presenza di questi testimoni, quest'è mia mt^ie.»
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1 PnOMESSI SPOSI
Le sue labbra non erano àncora (ornale al posto, che don Abbondio,
lasciando cader la caria, aveva già afTerrala e alzata, con la mancina,
la lucerna, ghermito, con la diritta, il Uppcto del tavcdioo, e tiratolo
a sé, con furia, buttando io terra libro, carta, calaniaìoe polv<TÌno;e,
balzando tra la seggiola e il tavolino, a' era avvicinato a Lucia. Li
l>overct(à, con quella sua voce son>-e, e allora tnlla tremante, aveva
appena potuto proferire: uc questo..,." che. don Abbondio le aveva
buttato sgarbatamente il tappeto sulla testa e sul viso, per impedirle
di pronunziare intera la formota. E subito, lasciata cader la lucerna
che teneva nell'altra mano, s'aiutò anche con quella a imbacuccarla
col tappcio, che quasi la solTogava;e intanto gridava quanto n'aveva
in canna: u Perpetua! Perpetua! tradimento! aiuto! » Il lucignolo,
che moriva sul pavimento, mandava una luce languida e saltellante
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Mi]>ra Lucia, lu quale, alTalto smamla. non Iciilava uoppiu'e di vol-
gersi , e poteva parere luia statua abbozzata iu crela , sulla <|ualc
r arlcfire ha gifllalo ui) umido panno. Ossala o^iii luce, don AMwii-
dio last'iii la poveretta, e andò »-rcando a tastoni l'usm i-li<> ntel-
(èva a ima stanza |>iù interna; lo tmvó, entrò in quella, si rhiuM'
ilciili-o, gridando tuttavia: u Per|>etua ! tradimento! aiuto! rtiori di
questa casal fuori di questa casa! " Nell'altra stanza, tutto eraconru-
sJwne: Renzo, cercando di Termare il curalo, e remando con lo mani,
(wne se facesse a uiosea cieca, era ai'rivato ull'uscto, e piecliiava, gri-
llando: 'i apra, apra; non Taccia schiamazzo.'' Lucia chiamava Renzo,
con voce fioca, e diceva, pivgando : " andiamo, andiamo, per fa-
■noi- di Dio. « Tonio , earpone, andava s|>azzando con le munì il |)<i-
vimenlo, per veder di raccapezzare la sua ricevuta, pervaso, spiritato,
gridava e saltellava, cercando l'uscio di scala, per uscire a siihamento.
In mezzo a quc^to serra serra, non |>ossiairi Ias<'Ìar <li fei-maici un
Digitizf^riiiyGoOgle
ne 1 piioiiESSi SPOSI
momento a fare una rinessìone. Renzo , t-he strepitava di notte in
caisa altrui, che vi s'era introdolto di sojipiatlo, e teneva il padrone
slesso assediato in una stanza, ha tutta l'apparenza d'un oppressore;
eppure, alla fin de' fatti, era l'oppresso. Don Abbondio, sorpreso,
luesso in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a' falli
suoi, parrebbe la vidima; eppure, in realtà, era lui che faceva un so-
pruso. Cosi va spesso il mondo voglio dire, cosi andava nel se-
colo decimo settimo.
L'assedialo, vedendo che il nemico non dava segno di ritirarsi,
iipri una finestra che guardava sulla piazza della chiesa , e si diede a
gridare: » aiuto! aiuto! n Era ii più bel chiaro di luna; l'ombra
della chiesa, e più in fuori l'ombra lunga ed acuta del campanile, si
.stendeva bruna e spiccata sul piano erboso e lucente della piazza :
ogni oggetto si |>oleva distinguere, quasi come di giorno. IVla, fin dove
arrivava lo sguardo, non appariva indizio di persona vivente. Con-
tiguo però al muro laterale della chiesa, e appunto dal lato elio ri-
spondeva verso la casa parrocchiale , era un piccolo abituro , un
bugigattolo, dove dormiva Ìl sagrestano. Fu questo riscosso da quel di-
sordinalo grido, fece un salto, scese il letto in furia, apri l'impan-
nata d' una sua flnestrina, mise fuori la testa, con gli oeehi tra' peli ,
e disse : " cosa c'è? "
■' Correte, Ambrogio! aiuto! gente in casa, ^ gridò verso lui don
Abbon<lio. ^. Vengo subito , n rispose «piello ; tirò indietro la testa ,
nehiuse la sua impannala, e, quantunque mezzo Ira '1 sonno, e più
che mezzo shigollilo, trovò su due piedi un espediente per dar più
aiuto di quello che gli si chiedeva, senza nietlerst lui nel tafferuglio.
(|uale si fosse. Dà di piglio alle brache, che Icncva sul letto; se le
caccia sotto ìl braccio, come un cappello di gala, e giù balzellali per
una scaletta di legno; corre al campanile, afTerra la coirla della più
grossa di due campanelle clic e' erano , e suona a martello.
T<m . fon, tun, lon: i contadini balzano a sedere sul letto; i gio-
vinetti sdraiati sul fenile , lendon 1' orecchio , si rizzano. ^ Cos' è ?
Cus' è ? Cani|>ana a martello ! fuoco ? ladri ? banditi ? » Molte donne
(wnsigliano, pregano i mariti, di non moversi, di lasciar correre gli
altri: alcuni s'alzano, e vanno alla fìnesli'a : i poltroni . come se si
aiTcndess<-ro alle pi-eghiere, rilonian sotto: i più curiosi e più bravi
M-cndouo a prender le forclic e gli schioppi , per correre al rumore:
altri stanno a vedere.
Digitizf^dtiyGoOgle
O
CAPITOLO Vili. UT
Ma. prima che quelli fiwsero all'ordine, prima anzi che fobser ben
desti , il rumore era giiinlo agli orecchi d' altre persone che veglia-
vano, non lontano, ritte e vestite: i bravi in un luogo, Agnese
e Perpetua in un altro. Diremo pnma brevemente ciò che faces-ìer
coloro, dal momento in cui gli abbiamo lasciati, parte nel casolare e
parte all' ost^a. Questi tre , quando videro tutti gli usci chiusi e la
strada dcs^a , uscirono in (retta , come se si fossero avvisti d' aver
folto tardi, e dicendo di voler andar subilo a casa ; diedero una giravolta
per il paese, per venire in chiaro se tutti eran ritirali; e in fatti, non
incontrarono anima vivente, nò sentirono il più pìccolo strepito. Pa.s-
sarono anche, pian piano, davanti alla nostra povera casetta: la più
quieta di tutte, giacché non c'era più nessuno. Andarono allora di-
viato al casolare, e fecero la loro relazione al signor Griso. Subito,
questo si mise in testa un cappellaccio, sulle spalle un sanroechiiio di
tda incerata , sparso di conchiglie ; prese un bordone da pellegrino ,
disse: « andiamo da bravi: zitti, e attenti agli ordini, » s'incamminò
il primo, gli altri dietro; e, in un momento, arrivarono alla casetta,
per una strada opposta a quella per cui se n' era allontanata la nostra
brigatella, andando aneti' essa idla sua spedizione. Il Griso trattenne la
truppa, alcuni passi lontano, andò innanzi solo ad esplorai-e, e, vislo
tutto deserto e tranquillo di fuori, fece venire avanti due di quei
Irisli . diede loro ordine di scalar adagino il muro die chiudeva il
cortiletto, e, calati dentro, nascondersi ìn un angolo, dietro un follo
fico, sul quale aveva messo l'occhio, la mattina. Ciò fatto, pìechiò pian
piano , con intenzione di dirsi un pellegrino smarrito, che chiedeva
ricovero, fino a giorno. Nessun risponde: ripicchia un |mi' più forte;
nemmeno uno zitto. Allora, va a chiamare un terzo malandrino, lo fa
scendere nel cortiletto, come gli altri due, con l'ordine di sconficcare
ailagio il paletto, per aver libero l'ingresso e la ritirata. Tutto s'ese-
guisce con gran cautela , e con prospero successo. Va a chiamar gli
altri, li fa entrar con sé, lì manda a nascondersi accanto ai primi; ac-
costa adagio adagio l'uscio di strada, vi posta due sentinelle di dentro;
e va diritto all'uscio del terreno. Picchia anche lì, e aspella : e' poteva
ben aspettare. Sconficca pian pianissimo anche quell'uscio: nessuno di
dentro dice: chi va là?; nessuno sì fa sentire: meglio non può andare.
Avanti dunque : " st , " chiama quei del fico , entra con loro nella
stanza terrena, dove, la mattina, a^eva scelleratamente accattato quel
pezzo di pane. Cava fuori esca, pietra, acciarino e zolfanelli, accende
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Mii 1 i'iiu.Mi:ssi SIGISI
un SI») [aiilcriiiim , entra ncll' altra stanza |)iii interna, |>er aet-erlarsi
che nessun ci sia: non (■(• nessuno. Torna indietro, va al)' uscio di
.scala, guarda, porge l'orecchio: solitudine e silenzio. Lascia due atlrc
senlincllc a terreno, si Ta venir dietro it Grignapoco, eh' era un bravo
del contado di Bergamo, il quale solo doveva minacciare, acchetare,
comandare, essere in somma il dicitore, affìnehc il suo lìngua^io \nt-
(essc Tal- credere ad Agnese che la spedizione venixa da quella parie.
Con costui al fianco , e gli altri dietro , il Griso sale adagio adagio ,
hestemniiando in eiror suo ogni scalino che scriecliiolasse, o^i passo
di c|uc' mascalzoni che facesse rumore. Finalmente e in cima. Qui
giace la lepiv. Spìnge niolicmenle l'uscio che mette alla prima stanza;
ruscio cede, si fa spiraglio: vi mette l'occhio; è buio: vi mette l'o-
recchio, per sentire se qualcheduno russa, lìata, brulica là dentro:
nrenlc. Dunque avanti: si mette la lanterna davanti al viso, per vedere.
senza esser \eduto, spalanca 1' uscio, vede un letto; addosso: il
letto è fatto e spianato, con la l'imboccatura arrovesciata, e cwnposta sul
capezzale. Si stringe nelle spaìk , si \olta alla comi>agiiia , accenna
loi-o che va a >edei'e nell'altra stanza, e cJie gli vengan dietro pian
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I I CAPITOLO Vili. ita
! j piano ; entra , fa le slesse eerìmoni<! , trova la stossa cosa. " Che dia-
I volo è questo? » dice allora: « elie qualche cane Iradilore alibi» TalU)
; la spia? " Si rnetton ditti, con nien cautela, a guardare, a laslare [kt
I ' i^ni canto, bullan sottosopra la casa. Mentre costoro sono in tali rac-
cende , i due che fan la guardia all' uscio di strada , sentono un cal-
pestio di passini frettolosi , elie s' avvicinano in fretta ; b' irania-
I ginanu che , chiunque sìa , passerà diritto ; stan quieti , e , a buon
I conio, si inetlono all'erta. In (atti, il calpestio si ferma appunto all'u-
j scio. Era Menico che veniva dì corsa , mandalo dal padre Crislu-
I furo ad avvisar le due donne che, per l'amor del cielo, scappassiTO sii-
! bilo di casa, e si rifugiassero al convento, |>erchè.... il perchè lo sa-
pete. Prende la maniglia del paletto , per picchiare , e se lo sente
tentennare in mano, schiodato e sconficcato. — Che è questo? —
; pensa ; e spinge l'uscio con paura : quello s'apre. Menico mette il piede
1 ! dentro, in gran sospetto, e d sente a un punto acchiappar per le
braecia , e due voci sommesse, a destra e a sinistra, che dicono, in
l«no minaccioso: t zìHo! o sei morlo. « Lui in vece caccia un urlo:
uno di que' malandrini gli mette una mano alla boica; l'altro (ira
lucri un eollcllaccio, per fargli paura. Il garzoncello trema come una
tflglia, e non tenia neppur di gridare; ma, lulC a un trailo, in
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IttO t PROMESSI SPOSI
vere di luì, e con ben altro tono , si fa sentir quel primo tocco di
cani|)ana cosi fallo , e dietro una tempesta di rintocchi in Illa. Chi é
in difelto è in sospetto, dice il proverbio milanese: all' uno e all'altro
furfante parve dì sentire in qiie'tocehi il suo nome, cognome e s4>-
prannome : lasciano andar le braccia di Menico , ritirano le loro in
furia, spalancan la mano e la bocca, si guardano in viso, e cornino
alla casa, dov'era il grosso della compagnia. Menico, via a gambe
per la strada, alla volta del campanile , dove a buon conto qualche-
duno ci doveva essere. Agli altri furfanti che frugavan la casa, dal-
l'allo al basso, il terrìbile tocco fece la slessa impressione: si confon-
dono, si scompigliano, s'urlano a vicenda: ognuno cerca la strada
più corla, per arrivare all' uscio. Eppure era tutta gente provata e
av\ezza a moslrare il viso; ma non poterono star saldi contro un pe-
ricolo indelerminatfl, e che non s'era fallo \-cdere un po' da lontano,
prima di venir loro addosso. Ci volle tutta la superiorità del Gris4) a
lenerli insieme, tanto che fosse ritirata e non fuga. Come il cane che
scorta una mandra di iwrci , corre or qua or là a quei che sì sban-
dano; ne addenta uno per un oi-ccchio, e lo lira. in ischiera;nc spinge-
un allro col muso; alibaia a un altro die esce di Illa in quel momen-
to ; così il pellegrino neeiulTa un dì coloro, che già toccsiva la soglia,
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CAPITOLO Vili. liti
e lo strappa indietro; caccia indietro col bordone uno e un altro che
s'avviavan da quella parte: grida agli altri che corron «jua e là, senza
$apcr dove; lanlo che lì raccozzò tutti nel mezzo del cortiletto, u Presto,
|)resto! pistole in mano, coltelli in pronto, tutti insieme; e poi anderemo:
cosi si va. Chi volete che ci tocchi , se sliani ben insieme , sciocconi?
.Va, se ci lasciamo acchiappare a uno a uno, anche i villani ce ne darau-
no. Vei^ogoa! Dietro a me, e uniti, n Dojw questa breve aringa, si
mise alla fronte , e usci il primo. La casa , come abbiani detto , era
in fondo al villaggio ; il Griso prese la strada che metteva fuori , e
tulli gli andaron dietro in buon ordine.
Lasciamoli andare, e torniamo un passo indietro a prendere Agnese
e Perpetua, die abbìam lasciale in una certa stradctla. Agnese aveva
Itrocurato d'allontanar l' altra dalla casa di don Abbondio, il più che
fosse possibile ; e, fino a un 4-erlo punto, la cosa era andata bene. Ma
tutt'a un tratto, la serva s'era ricordata dell' uscio rimasto aperto, e
aveva voluto tornare indietro. Non c'era che ridire: Agnese, per nou
farle nascere qualche sospetto, aveva dovuto voKar con lei, e andarle
dietro, cercando però di trattenerla, ogni volta che la vedesse riscal-
data ben bene nel racconto di que' tali matrimoni andati a monte.
Mostrava di darle molla udienza, e, ogni tanto, per far vedere che
stara attenta , o per ravviare il cicalio , dfceva : « sicuro : adesso
capisco: va benissimo: è chiara: e poi? e lui? e voi? » Ma intan-
to, faceva un altro discorso con sé stessa. — Saranno usciti a que-
st'ora? o saranno ancor dentro? Che sciocchi che siamo stati lutt'e
tre, a non concertar qualche segnale, per avvisarmi, quando la cosa
fosse riuscita ! É stala proprio grossa ! Ma è fatta : ora non e' è altro
cbc. tener costei a bada , più che posso : alla peggio, sarà un po' di
tempo perduto. — Cosi, a eorserelle e a fermatine, cran tornale poco
distante dalla casa di don AM>ondio, la quale però non vedevano,
per ra^one di quella cantonata: e Perpetua, trovandosi a un punto
importante del racconto , s' era lasciata fermare senza far resistenza ,
anzi senza avvedersene ; quando, tuli' a un tratto, si senti \ enir rlm-
txunbando dall'alto, nel vano immoto dell'aria, i>er l'ampio silenzio
della notte, quel primo sganglicrato grido di don Abbondio: u aiuto!
aiuto! n
■■^ Misericordia! cos' è stato? » gridò Perpetua, e volle correre.
^ Cosa c'è ? cosa c'è ? n disse Agnese , lenendola per la sollwia.
' Misericordia! non avete sentito? » replicò quella, svincolandosi.
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I PIIOUESSI SPOSI
- Cosa c'<!? cosa c'è?" ri|M;tè Agnese, afferrandola per un braecio.
- Diavolo d' lina doinia I » esclamò Perpetua , rispingcndola , |>er
mettersi in libertà; e prese la rìneorsa. Quando, più lontano, |iiù
aeiilo , più istantaneo , si sente E' urlo <li Menico.
~ Misericordia I r^ grida anche Agnese ; e di galoppo dietro l' al-
tra. A^'e^-an quasi appena alzali i calcagni, quando si<oceò la campa-
na : un tocco , e due , e tre , e st^'guita : sarebbero stali spi-onÌ , se
<|Uelle ne a\essero avuto bisogno. Perpetua arrida, un momento prima
dell'altra; n>entre vuole spinger l'uscio, l'uscio si spalanca dì denin»,
e sulla soglia ctmiparìscono Touto, Gervaso, Renzo, Lucìa, che. Irò-
vaia la scala, eran venuti gin saltelloni; e, sentendo poi (pid terribile
scaniimiiio, coi'revano in furia, a mettersi in salvo.
- Cosa c'è? cosa c'è? n domandò Perpetua ansante ai fralelli, cIh-
le ris|>oseru con un urlone, e scanlonaroiio. -^ E voi] come! che fate
(|ui voi ? n domandò poscia all' altra coppia , «juando 1' ebbe i-affigu-
rala. Ma quelli piu-e uscìron sciìza rispondere. Perpetua , pvr aceor-
n're do\'e il bisogno era maggiore , non domandò altro , entix'i Ìii
Tretta nell'andito, e corsi', come poteva al buio, verso la scala.
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CAPITOLO Vili. Ut
I due sposi rimasti ])roiiiessi si trovarono in fiicda Agnese, che ar-
rivava tutt' afTiuinata. « Ah siete qui!» disse quesla, cavando- fuori la
parola a stento: « com'è andata? cos'è la campana? mi par d'aver
sentilo.... "
« A casa , a casa , " diceva Renzo , « prima clie xenga gente, n
E s* avviavano ; ma arriva Menico di corsa , ti riconosce , li ferma,
e, ancor tutto tremante, con voce mezza fioca, dice : u dove andate ?
indietro, indietro! per di qua, al convento! "
u Sei tu die....? » cominciava Agnese.
« Cosa c'è d'ailro? « domandava Renzo. Lucia, tutta smarrita, ta-
ceva e tremava.
« Ce il diavolo in casa, » riprese Menico ansante, u Gli lio visti
io: m'hanno voluto ammazzare: l'Iia detto il padre Cristoforo: e an-
che voi, Renzo, lia detto che veniale subito: e poi gli lio visti io:
provvidenza clic vi trovo qui tutti! vi dirò poi, quando saremo fuori. »
Renzo, ch'era il più in sé di tutti, pensò che, di qua o di là,
conveniva andar subito, prima che la gente accorresse; e die la .
più sicura era di far ciò che IMeniuo consigliava, anzi comandava, con
la forza d'uno spavenlato. Per istrada poi, e fuor del periodo, si po-
trebbe domandare al ragazzo una spiegazione più chiara. " Cam-
mina avanti , » gli disse, u Andiam con lui , n disse alle donne. Vol-
tarono, s'incamminarono in fretta verso la chiesa, attraversaron la
piazza, dove per grazia del ciclo, non c'era ancora anima vivente;
entrarono in una stradelta che era Ira la chiesa e la casa di don Ab-
bondio; al primo buco che videro in una siepe, deniro, e via )>er i
campi.
Non s' eran forse allontanati un cinquanta passi , quando la gente
cominciò ad accorrere sulla piazza , e ingrossava ogni momento. Si
guardavano in viso gli uni con gli altri: ognuno aveva una domanda
da fare , nessuno una risposta da dare. I primi arrivati corsero alla
porta della cliiesa: era seirata. Corsero al campanile di fuori; e uno
di quelli , messa la l>ocea a un finestrino, una specie di feritoia , cac-
ciò dentro un: «die diavolo c'è?" Quando Ambrogio senti una voce
conosciuta, lasciò andar la corda; e assicurato dal ronzio, ch'era ac-
corso molto popolo, rispose: « vengo ad aprire. •> Si mise in fretta
r arnese ctie aveva portato sotto il braccio , venne , dalla parte di
dentro , alla porta della difesa , e 1* apri.
« Cos' è tutto questo fracasso? — Cos'è? — Dov'è? — Chi è? «
d.y Google
I PROMESSI SPOSI
« Come, diì è? » disse Ambrogio, tenendo con una luaiio un bat-
(eiilc delia porla, e, con l'altra, il lembo di quel tale arnese, ^e s'era
■ messo cosi in fretta: « come! non lo sapete? gente in casa del si-
gnor curato. Animo, figliuoli: aiuto. » Si voltati lutti a quella casa,
vi s' avvicinano in Tolta , guardano ìn su , stanno in orecchi : tulio
quieto. Altri corrono dalla parte dove c'era l'uscio: è eliiuso; e non par
che sia sialo toccato. Guardano in su anche loro: non e' è una fineslni
aperta: non si sente uno zitto.
« Chi è là dentro ? — Olie , ohe ! — Signor curalo ! — Signor
curato ! »
Don Abbondio, il quale, appena accortosi della fuga degl'invasori,
s' era ritirato dalla finestra , e l' aveva richiusa , e che in questo mo^
mento stava a bisticciar sottovoce con Perpetua, che l'aveva lasciato
sole in queir imbroglio , dovette, quando si senti chiamare a voce df
popolo, venir di nuovo alla finestra; e visto qnel gran soccorso, si
penti d'averlo chiesto.
« Cos' è stato ? — Che le hanno fatto ? — Chi sono costoro? —
Dove sono? n gli veniva gridato da cinquanta voci a un tratto.
« Non c'è più nessuno: vi ringrazio: tornale pure a casa. »
« Ma chi è stato ? — Dove sono andati ? — Che è accaduto ? n
« Cattiva gente, gente che gira di notte; ma sono fuggili: tornate
a casa i non e' è più niente : un' altra volta , figliuoli : vi ringrazio del
vostro buon cuore. « E, detto questo, si ritirò , e chiuse la finestra.
Qui alcuni cominciarono a brontolare , idlrì a canzonare , altri a
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CAPITOLO vm. IH
agnvvT ìHttì ^! slfiDgeVaD nelle spalle, e se ii'aDdaraco: quando
«riva uiio lutto trafelato, cbe stent«va a formar le parole. Stava co-
stui di casa quasi dirimpetto alle ooetre donne , ed essendosi , al ru-
more, afTaocialo alla iìnestra, aveva veduto nel eorliletto quello sooin-
piglio de' bravi, quando il Griso s'aflfonnava a racei^ierli. Quand'eUK
ripreso fiato, gridò: « cbe fate qui, flgliuoli? non è qui il diavdo;
è giù in fondo alla strada , alla easa d'Agnese MtHidella : gente arma-
la ; son dentro ; par che vogliano ammazzare un pellegrino ; chi sa
che diavolo c'è! "
" Che? — Clic? — Cbe? « E comincia una cwisulla tumultuosa.
« Bisogna andare. — Bisogna vedere. — . Quanli sono? — Quanti
siamo ? — Chi sodo ? — 11 console ! il . console ! »
« Son qui, " risponde il console, di mezzo alla folla : « son qui ;
ma bisogna aiutamii , bist^^na ubbidire. Presto : dov' è il sagrestano ?
Alla campana, alla campana. Presto: uno che corra a Lecco a cercar
soccorso ; venite qui tutti »
. Chi accorre , citi sguizza tra uomo e uomo , e se la balte ; il tu-
multo era grande , quando arriva un altro, die gli aveva veduti par>
tire in fretta , e grida : " correte, figliuoli : ladri , o banditi che scap-
pano con un pellegrino: son già fuori del paese: addosso! addosso!»
A quest'avviso, senza aspettar gli ordini del capitano, si movono
in massa, e giù alla rinfusa per la strada; di mano in mano che l'eaer-
ctto s' avanza, qualcheduno di quei della vanguardia rallenta il passo, sì
lascia sopravanzare, e si Heca nel corpo della battaglia: gli ultimi spin-
gono innanzi : lo sciame confuso giunge finalmente al lui^ indicalo.
Le tracce dell'invasione eran fresche e manifeste: l'uscio spalancato,
la serratura sconfinala; ma gl'invasori erano spariti. S'entra nel cor-
tile; si va all'uscio del terreno: aperto e sconficcato anche quello i si
chiama : u Agnese 1 Lucift ! H pellegrino ! Dov" è il pellegrino ? L' avrà
sognato Stefano, il pellegrino. — No, no: Tha visto anche Carian-
drea. Ohe, pellegrino ! — ' Agnese ! Lucia! ^ Nessuno risponde. « Le
hanno portate via ! Le hanno portate via ! n Ci fu allora di quelli
cbe, alzando la voce, proposero d'inseguire i rapitori: che era un'in-
famità; e sarebbe una vergogna per il paese, se ogni birbone po-
tesse a man salva venire a portar via le donne , come il nibbio i
pulcini da un'aia deserta. Nuova consulta e più tumultuosa: ma uno
(e non si seppe mai bene chi fosse stalo) gettò nella brigata una
voce, che Agnese e Lucia s'eran messe in salvo in una casa. La voce
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■ ita I PROCESSI SP05t
corse rapidamente, ol tenne credenza; non sì parlò più di dar la cac-
da ai fuggitivi ; e la brigata si sparpagli» , andando (^uno a casa
sua. Era un bisbiglio, uno strepito, un picchiare e un aprir d'nsei,
un apparire e uno sparir di lucerne , un interrogare di donne dalle
fìneslre, un rispondere dalla strada. Tornala questa descrla e saien-
ziosa, i discorsi continuaron nelle case, e moriron negli sbadigli, per
ricominciar poi la mallina. Fatti però , non ce ne fu altri ; se non
che, quella medesima mattina, il console, stando ne) suo campo, col
mento in una mano, e il gomito appoggialo sid manico della vanga
mezza ficcala nel lerreno, e con un piede sul vangile; stando, dico, a
speculare tra se sui misteri della notte passala, e sulla ragion composta
di ciò che gli toccasse a fare, e di ciò che gii convenisse fare, vide ve-
nirsi incontro due uomini d' assai gagliarda presenza , chiomati come
due re de' Franchi della prima razza , e somigliantissimi nel resto a
(jue' due che cinque giorni prima avevano affrontalo don Abbondio ,
se pur non eran qiie' medesimi. Costoro , con un fare ancor men ce-
riihonioso , Intimarono al console che guardasse bene di non far de-
posizione al podestà dell'accaduto, di non rispondere il verf , caso
che ne venisse interrogato, di non ciarlare, di non fomentar le ciaHe
de' villani , per quanlo ave^a cara la speranza dì morir di malattia.
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CAPITOLO Vm. 11(7
1 nostri Infiaschi camminarono un pezzo dì buon Irolto, in silen-
zio, voltandosi, ora l'uno ora l'altro, a guardare se nessuno gì' insegui-
va, tulli in affanno per la fatica della fuga, per il batticuore e per
la sospensione in cui erano stali, per il dolore della cattiva riuscita,
per r apprensione confusa del nuovo oscuro pericolo. E ancor più in
afianno li teneva l'incalzare continuo di que' rintocchi, i quali, quanto,
per l'altontanarsi , venivan più fiochi e ottusi, tanto i>areva che pren-
dessero un non so che di più lugubre e sinistro. Finalmente cessarono.
I fuggiaschi allora, trovandosi in un campo disabitato, e non sentendo
un alilo all'intorno, rallentarono il [>asso;e fu la prima Agnese che,
ripreso fiato, ruppe il silenzio, domandando a Renzo com'era andata,
domandando a Menico cosa fosse quel diavolo in casa. Renzo raccontò
brevemente la sua trista storia; e tutt' e tre si voltarono al fanciullo,
il quale rìferi più espressamente l'avviso del padre, e raccontò quello
th'egli stesso aveva veduto e rischiato, e che pur troppo confermava
l'avviso. Gli ascollalori compresero più di quel che Menico avesse sa-
puto dire : a quella scoperta , si sentiron rabbrividire ; si fermaron
(ulf e tre a un tratto, si guardarono in viso fun con l'altro, spa-
ventati; G subito, con un movimento unanime, tutt' e tre posero una
mano, chi sul capo, chi sulle spalle del ragazzo, come per accarez-
zarlo, per ringraziarlo lacitamenle che fosse sialo per loro un angelo
tutelare, per dimostrargli la compassione che sentivano dell' angoscia
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tua I PROMESSI SPOSI
da lui soCTerla, e del pericolo eorso per la loro salvezza; e quasi per
-cliiedei^iene scusa. « Ora (orna a casa, percbè i tuoi noD abbtan»
a star più in pena per te, a gli disse Agnese; e rammentandosi
delle due parpagliole promesse, se ne levò quattro di tasca, e gliele
diede, a^ìungendo : « basla ; prega il Signore che ci rivediamo pre-
sto : e allora " Renzo gli diede una berlinga nuova , e gli rac*
comandò molto di non dir nulla della commissione avuta dal frale;
Lucia r accìu'ezzò di nuovo , lo salutò con voce accorala ; il ragazzo
li salutò tutti , intenerito ; e tornò indietro. Quelli ripresero la loro
strada, tutti pensierosi; le donne innanzi, e Renzo dietro, cwne per
guardia. Lucia sta^a stretta al braccio della madre, e scansava dol-
cemcnte, e con destrezza, l'aiuto che il giovine le offriva ne' passi
malagevoli di quel viaggio fuor dì strada; vergognosa in sé, andie
in un (ale turbamento , d'esser già stata tanto sola con lui, e tanto
famigliarmenle , quando s' aspettava di divenir sua moglie, tra pochi
momenti. Ora , svanito cosi dolorosamente quel sogno , si pentiva
d* essere andata troppo avanti, e, tra tante cagioni di tremare, tre-
mava anche per quel pudore che non nasce dalla trista scienza del
male , per quel pudore che ignora sé stesso, somigliante alla paura
del fenciiiUo, che trema nelle tenebre, senza saper di che.
" E la casa? « disse a un tratto Agnese. Ma, per qimnto la do-
manda fosse importante , nessuno rispose , perchè nessuno poteva
darle una risposta soddisfacente. Continuarono in silenzio la loro
strada, e poco dopo, sboccarono finalmente sulla piazzetta davanti alla
chiesa del convento.
Renzo s'affacciò alla porta, e la sospinse bel bello. La )H>rta di
fatto s'apri; e la luna, entrando per lo spiraglio, illuminò la faccia
pallida , e la barba d' argento del padre Cristoforo , che sta\'a quivi
ritto -in aspettativa. Visto che non ci mancava nessuno, » Dio sia
benedetto! « disse, e fece lor cenno ch'entrassero. Accanto a luì,
stava un altro cappuccino; ed era il laico sagrestano, ch'egli, con
preghiere e con ragioni, aveva persuaso a vegliar con lui , a lasciar
socchiusa la porta, e a starci in sentmella, per accogliere que' poveri
minacciati : e non si richiedeva meno deli' autorità del padre, e della
sua fama di santo, per ottener dal laico una condiscendenza incomoda,
pericolosa e irregolare. Entrati che furono , il padre Cristoforo riac-
costò la porta adagio adagio. Allora il sagrestano non potè più refj^^ere,
e, chiamato il padre da una parte, gli andava susurrando airtH-ecchio:
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CAPITOLO vm. IH»
Kina padre, padre! di nelle... in chiesa... con^lonne... chiudere...
fa r^ola ma padre! « E tentennava ia testa. Mentre diceva sten-
(alameQle quelle parole, — vedete un poco ! — pensava il padre Cri-
sleforo, — se (osse un masnadiero inseguito, ira Fazio non gli farebbe
una diffw(4là al mondo; e una povera innocente, che scappa dagli ar-
tigli del lupo — » Omnia munda viundisj n disse poi, voltan-
dosi tuli' a un tratto a fra Fazio, e dimenticando che questo non m-
lendeva il latino. Ma una tale dimenticanza fu appunto quella che
fece l'effetto. Se il padre si fosse messo a questionare con ragioni , a
fi^ Fazio non sarebber mancate altre ragioni da opporre; e sa il cielo
quando e come la cosa sarebbe Rnila. Ma, al sentir quelle parole
gravide d' un senso misterioso , e proferite così risolutamente , gli
parve die in quelle dovesse contenersi la soluzione di lutti Ì suoi
dubbi. S' acquietò , e disse : » basta ! lei ne sa più di me. "
u Fidatevi pure, » rispose il padre Cristoforo ; e, all' incerto chia-
rore della lampada che ardeva davanti all' altare, s' accostò ai ricove-
rati, i quali slavano sospesi aspettando, e disse loro: « figliuoli! rin-
graziate il Signore, ette v'ha scampati da un gran pericolo. Forse in
questo momento !» E qui si mise a spiegare ciò die aveva fatto
accennare dal piceo! messo : giacché non sospettava eh' e(!si ne sape»-
ser più di lui , e supponeva che Menico gli avesse trovati tranquilli
in casa , prima che arrivassero i malandrini. Nessuno lo disingannò ,
nemmeno Lucia, la quale però sentiva un rimorso segreto d'una (ale
dissimulazione, con un tal uomo; ma era ia notte degl'imbrogli e de'
sotterfugi.
u Dopo di ciò , » continuò e^i , « vedete bene , flgliuiJi , che ora
questo paese non è ^curo per voi. É il vostro; ci siete nati; non
avete fatto male a nessuno; ma Dio vuol così. É una prova, SglìuoU:
soppMiatela con pazienza, con fiducia, senza odio, e siate sicuri àte
verrà un tempo in cui vi troverete contenti di ciò che ora accade.
k ho pensato a trovarvi un rifugio , per questi primi momenti. Pre-
sto, io spero, potrete ritornar sicuri a casa vostra; a ogni modo, Dio
vi provvedere, per il vostro meglio; e io certo mi studierò di non
mancare alla grazia che mi fa , scegliendomi per suo ministro , nel
servizio di voi suoi poveri cari trìbcdati. Voi, " continuò volgendosi
alle due donne, « potrete fermarvi a*'*. Là sarete aU)astanza fuori
d'ogni pericolo, e, nello stesso tempo, non troppo lontane da casa
vostra. Cercale dd nostro convento , fole chiamare il padre guar-
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I PROMESSI SPOSI
diano, dategli questa lettera: sarà per voi un altro fra Cristoforo. E
anche tu, il mio Renzo, anche tu devi metterti, per ora, in salvo
dalla rabbia degli altri, e dalla tua. Porta questa lettera al padre Bo-
naventura da Lodi, nel nostro convento di Porla Orientale in Milano.
Egli ti farà da padre, ti guiderà, ti troverà del lavoro, per fin che tu
non possa tornare a viver qui tranquillamente. Andate alla riva del
lago, vicino allo sbocco del Bione. n È un torrente a pochi passi da
Pescarenico, u Lì vedrete un battello fermo; direte: barca; vi sarà
domandato per chi; rispondete: san Francesco. La barca vi riceverà,
vi trasporterà all'altra riva, dove troverete un biUYtccio che vi con-
durrà addirittura fino a ***. »
Chi domandasse come fra Cristoforo avesse così subito a sua di-
sposizione que' mezzi di trasporlo, per actjua e )ier terra, fareUic
vedere di non conoscere qual fosse il potere d'un cappuccino tenuto
in concetto di santo.
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CAPITOLO VHl. iui
Reslava da pensare alla custodia delle case. Il jiadre ne ricevclle
le chiavi, incaricandosi di consegnarle a quelli che Renzo e Agnese
gì' indicarono. Quest'ultima, levandosi di tasca la sita, mise un gran
sospiro, pensando che, in (|uel momeiilo, la casa era aperta, che c'era
stato il diavolo, e ehi sa cosa ci rimaneva da custodire!
u Prima che partiate, » disse il padre, " preghiamo tutti insieme
il Signore , perchè sia con voi , in codesto viaggio , e sempre ; e so-
pra tutto vi dia forza, vi dia amore di volere ciò ch'Egli ha voluto. "
Così dicendo s' inginocchiò nel mezzo della cliìest ; e tulli fecer lo
stesso. Dopo eh" ebbero pregato, alcimi momenti, in silenzio, il [la-
dre, con voce sommessa, ma distìnta, articolò (|ueste parole: u noi \ì
preghiamo ancora per quel poveretto che ci ha condotti a (juesto passo.
Noi sai-emmo indegni della vostra misericordia, se non ve la chiedes-
simo di cuore per lui : ne ha tanto bisogno ! Noi , nella nostra tribo-
lazione , abbiamo questo conrui-to , che siamo nella strada do^-c ci
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(CI 1 PHOllESSI SPOSI {
avete meiisi \oì : possiamo offrirvi i noslH guai ; e diventano un gua- |
dagno. Ma lui! ... è rostro nemico. Ob disgraziato! compete eoii
Voi ! Abbiale pietà di lui , o Signore , toccategli il cuore , rendetelo
vostro amico, concedetegli lutti i beni che noi possiamo desiderare a
noi stessi. »
Alzatosi poi, come in fretta, disse: u via, figliuoli, non c'è tempo
da perdere : Dio vi guardi , il suo angelo v'accompagni: andate. » E
mentre s' avviavano, con quella commozione che non trova parole, e
che si manifesta senza di esse , il padre soggiunse, con voce alterala:
« il cuor mi dice che ci rivedremo presto. »
GfTto , il cuore , dii gli dà retta , ha sempre quache cosa da dire
su quello che sarà. Ma che sa ti cuore? Appena un |)oco di quello
che è già accaduto.
Senza aspettar risposta, fra Cristoforo, andò verso la sagrestia; i
viaggiatori usciron di diiesa; e fra Fazio diiuse la porta, dando loro
un addio, con la voce alterata anche lui. Essi s'avviarono zittì zitti
alla riva ch'era slata loro indicala; videro il battello pronto, e data e
barattata la par(Ja, c'entrarono. Il barcaiolo, puntando un remo alla
proda , se ne staccò ; afferrato poi l' altro remo , e vogando a due
braccia, prese il largo, \'erso la spiaggia opposta. Non tirava un alito
dì vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile,
se non fosse stato il tremolare e l'ondeggiar leggiero della luna, che
vi si specchiava da mezzo il cielo. S'udiva soltanto il fiotto morto e
lento frangersi sulle ghiaie del lido, il gorgoglio più lontano dell'acqua
rotta tra le pile del ponte , e il tonfo misurato di quc' due remi, che
ta^^ia^'ano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo gron-
danti, e si rituffavano. L'onda s^^la dalla barca, riunendosi dietro
la poppa, segnava una striscia increspata, che s'andava allontanando
dal lido. I passcggieri silenziosi, con la testa vtritata indietro, guarda-
vano ì monti, e il paese rischiarato dalla lima, e cariato qua e là di
grand' ombre. Si distìnguevano i villaggi, le case, le capanne: il pa-
lazzotto di don Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le co-
succe ammucchiate alla falda del prommitorio , parei a un feroce che,
ritto nelle tenebre, in mezzo a una comjiagnia d'addormentati, ve-
gliasse, meditando un delitto. Lucia lo vide, e rabbrividì; scese con
r ocdiio giù giù |H-r la china, fino al suo paesello, guardò fisso all' e-
stremità, scopri la sua casella, scopri la chioma folta del fico che so-
pravanzava il muro del eoriilc, scopri la finestra della sua caiucra; e.
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CAPITOLO Vili. 103
seduta, com' era, nel fondo della barca , posò 1) braccio sulla sponda ,
pos6 sul braccio la fronte, come per dormire, e pianse segretamente.
Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevali al cielo; cime inu-
guali, note a chi è «resciulo Ira voi, e impresse odia sua mente, non
meno che lo sia l'aspetto de" suoi più familiari; (orrenli, de' quali di-
stingue Io scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse
e bianchegfpanli sul pendio, come branchi di pecore pascenti; addio!
Quanto è tristo i[ passo dì chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla
fantasia di quello stesso che se ne parte vcdontariamciite , tratto didla
speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento,
i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere,
e lomerebbe aMora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà
dovizioso. Quanto più s'avanza nel piano, il suo occhio si ritira, di-
sgustato e stanco, da quell'ampiezza iinifonne; l'aria gli par gravosa
e morta; s'inoltra mesto e disattento nelle città tunmituose; le case
aritmie a case, le strade che sboccano nelle strade, |«ire che gli le-
vino il respiro; e davanti agli edifìzi ammirati dallo straniero, pen»a,
con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccra a cui
ha già messi gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tor-
nando ricco a' suoi monti.
Ma chi non aveva mai spinto al di là di (|uelli neppure un desi-
derio fuggitivo, eh! aveva composti in essi tutti i disegni dell' avve-
nire, e n' è sbalzato lontano, da mia forza perversa! Chi, staccato a
un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speran-
ze, [ascia que' monti, per avviarsi in traccia dì sconosciuti ctie non lia
mai desiderato di conoscere, e non può con l' immaginazione arrivare
a un momento stabilito per il ritorno! Addìo, casa natia, dove, se-
dendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore
de' passi comuni il rumore d' un passo aspettalo con un misterioso
timore. Ai]dìo, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte
alla sfuggita , passando , e non senza rossore ; nella qu^e la mente
sì figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addìo ,
chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del
Signore; dov' era promesso, preparato un rito; dove il sospiro sc-
ipito del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l'amore ve-
nir comandato, e chiamarsi santo; addìo! Chi dava a ^'oi tanta giocon-
dità è per lutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli , se non per
■ prepararne loro una più certa e più grande.
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I piiu.uessi SPOSI
I j Di IhI genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia, e
I j poco divci-si ì pensieri degli altri due pellegrini, mentre la barca j^i
I j jHidiiva avvieinaiido alia riva destra dell'Adda.
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CAPITOLO IX.
iii'Iar che fece la barra contro
la proda, scosse Lucia, la quale,
(topo aver asciugale in segreto le
lacrime, alzò la lesta, come se si
svegliasse. Renzo uscì il primo,
' e diede la mano ad Agnese , la
r quale, uscita pure, la diede alla
figlia; e tutl' e Ire resero trista-
mente grazie al barcaiolo. " Di che cosa? u rispose quello: u slam
quaggiù per aiutarci l'uno con l'altro, » e ritirò la mano, quasi con
ribrezzo, come se gli fosse proposto di rubare , allorché Renzo cercò
di farvi sdrucciolare una parte de' quattrinelli che sì trovava indosso,
e che ave%'a -presi quella sera, con intenzione di regalar generosa*
mente don Abbondio, quando questo l' avesse, suo malgrado, servilo.
n baroccio era li pronto; il conduttore salutò i Ire aspettali, li fece
salire, diede una voce alla bestia, una frustala, e via.
U nostro autore non descrìve quel viaggio notturno, tace il nome
de) paese dove fra Cristoforo aveva indirizzate le due donne; anzi
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100 I PROMESSI SPOSI
protesta espressanienle di non lo voler dire. Dal progresso della storia
si rìleva poi la cacone di queslc relicenze. Le avventure di Lucia in
quel soggiorno, si Irovuno avviluppale in un intrigo tenebroso di per-
sona appartenente a una famiglia, come pare, mollo potente, al tempo
che l'autore scriveva. Per render ragione della strana condotta di quella
[lersona, nel caso particolare, egli ha poi anche dovuto raccontarne
in sufcinto la vita antecedente; o la famiglia ci fa quella figura che
vedrà chi vorrà leggere. Ma ciò clic la circosjiezione del poveruomo
ci ha voluto sottrarre, le nusli'c diligenze ce l'hanno fatto trovare in
altra parte. Uno storico milanese ' che ha avuto a far menzione di
quella pei-sona medesima, non nomina, è vero, né lei, né il paese; ma di
(guesto dice ch'era un borgo antico e nobile, a cui di ciltà non man-
cava allro che il nome; dice altrove, che ci passa il Lambro; altrove,
che e' è un arciprete. Dal riscontro di questi dati noi deduciamo che
fosse Monza senz' sJtro, Nel vasto tesoro dell' induzioni erudite, ce ne
|iotrà ben essere delle più fine, ma delle più sicure, non crederei.
Potremmo anche, sopra eongelture molto fondale, dire il nome della
famiglia; ma, sebbene sia estinta da un pezzo, ci |)ar meglio lasciarlo
nella penna, |ier non metterci a rischio dì far torlo neppure ai morti,
0 per lasciare ai dotti qualche soggetto di ricerca.
I nostri viaggiatori arrivaron dunque a Monza, poco dopo il levar
del sole: il conduttore entrò in un' osteria, e li, come pratico del luogo,
e conoscente del padrone, fece assegnar loro una stanza, e ve gii ac-
compagnò. Tra i ringraziamenti, Renzo tentò pure di fargli ricevere
qualche danaro; ma quello, al pa.vì del barcaiolo, aveva in mira un' al-
tra ricompensa, più lontana, ma più abbondante: rilirò le mani, an-
dte lui, e, come fuggendo, corse a governare la sua bestia.
Dopo una sera quale l'abbiamo descritta, e una notte quale ognuno
può immaginarsela, passala in compagnia di que' pensieri, col sospetto
incessante dì qualche incontro spiacevole , al soffio d' una brczzolina
più che autunnale, e tra le continue scosse della disagiala vettura, che
ridestavano sgarbalainenle chi dì loro cominciasse appena a velar l'oc-
chio, ntm parve vero a tult' e tre dì sedersi sur una panca che stava
ferma, in una stanza, qualunque fosse. Fecero colazione, come per-
metteva la penuria de' tempi, e i mezzi scarsi in pi-oporzionc de' con-
tingenti bisogni d'nn avvenire incerto, e il poco appetito. A tult* e
* Joseph! Riptiinonlll, llistoriir Pnlri.r, OcriHlii V, Lilt. VI, C«p. HI, png. SUB ci scq.
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CAPITOLO. IX. 167
tre passò per la niente il bancbetlo che, due glorili prima, s'aspet-
tavan di fare; e ciascuno mise un gran sos[)iro. Renzo avrebbe voluto
fermarsi li, almeno tutto quel giorno, veder le donne allogale, ren-
der loro i primi servizi; ma il padre aveva raccomandato a queste di
mandarlo subito per la sua strada. Addussero quindi esse e quegli or-
dini, e cento altre ragioni; che la gente ciarlerebbe, che la separa-
zione più rilardata sarebbe più dolorosa, eh' egli potrebbe venir pre-
sto a dar nuove e a sentirne; tanto che si risolvette di partire. Si
concerlaron, come poterono, sulla maniera dì rivedersi, più presto
che fosse possìbile. Lucìa non nascose le lacrime; Renzo trattenne a
stento le sue, e, stringendo forte forte la mano a Agnese, disse con
voce soffogata: « a rivederci, » e parti.
Le donne si sarebber trovate ben impicciale, se non fosse slato
quel buon baroccìaio, che aveva ordine di guidarle al convento de'
ca[^uccÌDÌ, e di dar loro c^n' altro aiuto che potesse bisognare. S' av-
viaron dunque con lui a quel convento; il quale, come <^nun sa, era
podii passi distante da Monza. Arrivali alla (lorla, il conduttore tirò
il campanello, fece chiamare il padre guardiano; questo venne subito,
e ricevette la lettera, sulla soglia.
" Oli ! fra Cristoforo! » disse, riconoscendo il carattere. Il tono
ella voce e i movimenti del volto indicavano nianifeslameiite che
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IM 1 PHO^ESSI SPOSI
proferiva il ooine d'un grand' amico. Coovien poi dire che il nostro
buon Cristoforo avesse, in quella lettera, raccomandate le donne con
mollo calore, e riferito il loro caso con molto sentimento, perdiè il
guardiano, faceva, di tanto in tanto, atti di sorpresa e d' indegnazio-
ne; e, alzando gli occhi dal foglio, li fissava sulle donne con una certa
espressione di pietà e d' interesse. Finito eh' ebbe di leggere, stette lì
alquanto a pensare; poi disse : " non e' è che la signora: se la si-
gnora vucd prendersi quesl' impegno .... y
Tirata quindi Agnese in disparte, sulla piazza damanti al convento, le
fece alcune intem^azioni, alle quali essa soddisfece; e, tornalo veirso
Lucia, disse a tult'e due: >• donne mie, io tenterò; e spero di po-
lervi trovare un ricovero più che sicuro, più che onorato, fin clic Dio
non v'abbia provvedute in mi^ior maniera. Volete venir con me? n
Le donne accennarono rispettosamente di si; e il frale riprese: u be-
ne; io ^i conduco subito al monastero della signora, State perà disco-
ste da me alcuni passi, perché la gente si diletta di dir male; e Dio
sa qimnle belle chiacdiiere si fareU>ero, se si vedesse il padre guar-
diano per la strada, con una bella giovine . . . con donne voglio dire. »
Cosi dicendo, andò avanti. Lucia arrossì; il barocciaio sorrise, guar-
dando Agnese, la quale non polè tenersi di non fare allretlanlo; e
tutt' e li'c si mossero, quando il frate si fu avviato; e gli andarcm die-
tro, dieci passi discosto. Le donne allora domandarono al barocciaio,
ciò ohe non avevano osato al padre guardiano, clii fosse la signora.
■> La signora, n rispose quello, » è una monaca; ma non è una mo-
itaca come l'altre. Non è che sia la badessa, né la priora; die anzi, a
quel che dicono, è una delle più giovani: ma e della costola d'Ada-
mo; e i suoi dd tcm|M) antico erano genie grande, ^'enuta di Spa-
gna, do\e sun quelli che comandano; e per questo la chiamano la
signora, \Kr dire eh' é una gran signora; e tulio il |>aese la chiama
con quel nome, perche dicono che in quel monastero non lianno avuto
mai una |>ersoiia simile; e ì suoi d'adesso, laggiù a Milano, conlan
mollo, e son di quelli che liaimo sempre ragione; e in Monza anclie di
più, iK'rcIiè suo padre, quantunque non ci stia, é il primo del paese;
onde anclie lei può far alto e basso nel monastero; e anche la genie di
fuori le porla un gran ricetto; e quando prende un impano, le
riesce anche di spuntarlo; e perciò, se quel buon religioso li, ottiene
di mettervi nelle sue mani, e che lei v'accetli, vi po»iO dire che sa-
rete sicure come sull' altare, n
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Quando fu vicino alla porla del borgo, fiancheggiala allora da un
aulico torraechione mezzo rovinalo, e da un pezzo di castcllaccio, dìroo*
calo aneli' esso, che forse dieci de' miei lettori possono ancor rani-
inenlarsi d' aver veduto in piedi,. Ìl guardiano si fermò, e si voltò
a guardar se gli altri venivano; quindi entrò, e s'javvió al mutia-
stero; dove arrivato, si fermò di nuovo sulla soglia, aspettando la
piccola brigala. Pregò il barocciaio che, Ira un par d'ore, tornasse
da lui, a prender la risposta: questo lo promise, e si licenziò dalle
donne , che lo caricaron di ringraziamenti , e di commissioni per il
padre Cristoforo. Il guardiano fece entrare la madre e la figlia nel
primo cortile del monastero, le introdusse nelle camere della faltoressa;
e andò solo a chieder la grazia. Dopo qualche tempo, ricomiKirve giu-
livo, a dir loro che venissero avanti con lui; ed era ora, perché la figlia
e la madre non sapevan più come fare a distrigarsi dall' inlern^azioni
pressanti della fatloressa. Attraversando un secondo cortile, diede qual-
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I PROMESSI SPOSI
che avverlimeiilo alle ikiniie, stil modo di portarsi con la signora. <• È
ben disposla per voi altre, -. disse, « e vi può far dd bene quanl»
vuole. Siale umili e rispettose, rispondete con sincerità alle domande
che le piacerà di larvi, e quando non siete interrogate, lasciate fare a
ine » . Entrarono in una stanza terrena, dalla quale » passava nel pai^
lalorio: prima di mettervi il piede, il guardiano, accennando l'uscio,
disse sottovoce alle donne: <* è qui, » come per rammentar loro lutti
quegli avvertimenti. Lucia, che non aveva mai visto un monastero,
quando fu nel parlatorio, guardò in gira dove fosse la signora a cui fare
il suo inchino, e, non Iscorgendo persona, stava come incantata; quan-
do, vislo il padre e Agnese andar ^erso un angolo, guardò da quella
parie , e vide una finestra d' una forma singolare , con due grosse e
fide grate di ferro, distanti l'una dall' altra un palmo; e dietro quelle
una monaca ritta. Il suo aspetto , che poteva dimostrar venticinque
anni, faceva a prima vista un'impressione dì bellezza, ma d'una bel-
lezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, sctunposta. Un velo nero, so-
speso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva dalle due parli, di-
scosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino
cingeva, fino al mezzo, una fronte di diversa, ma non d'inferiore bian-
chezza; un'altra benda a pieghe circondava il viso, e le^mina^'a
sotto il mento ìn un soggolo, che si stendeva alquanto sul petto, a
coprire lo scollo d' un nero saio. Ma quella fronte si raggrinzava
spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora due sopraccigli
neri si ravvicinavano, con un rapido movimento. Due occhi, neri neri
anch' essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un'investiga-
zione superba; talora si chinavano in fretta , come per cercare un
nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe ali-
mentato che chiedessero alTetto , corrispondenza , pietà ; altre volle
avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d' un odio invelC'
rato e compresso, un non so che di minaccioso e di feroce: quando
restavano immobili e fissi senza attenzione, chi ci avrebbe immagi-
nala una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il
travaglio d' un pensiero nascosto, d' una preoccupazione familiare
all'animo, e più forte su quello che ^i oggetti circostanti. Le gote
pallidissime scendevano con un contomo delicato e grazioso, ma al-
terato e reso mancante da una lenta estenuazione. Lia hiblH^, quan-
tunque appena tinte d'un roseo sbiadito, pure, spiccavano in quel
pallore: ì loro moti orano, come quelli degli occhi, subitanei, vivi.
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO IK. ITI
pieni d' espressione e dì mistero. La grandezza ben formala della per-
sona scompariva in un certo abbandono del poi'IamentUj o coniimriva
sfigurala in cerlc mosse repentine, irregolari e troppo risolute per
una donna, non che per una monaca. Nel vestire stesso c'era qua e
là qual cosa di studiato o di negletto , che annunziava una monaca
singolare: la vila era attillata con una certa cui'a secolaresca, e dalla
benda usciva sur una tempia una ciocchettina di neri capelli; cosa
die dimostrava o dimenticanza o disprezzo della regola che prescri-
veva di tenerli sempre corti , da quando erano siali tagliali , nella
cerimonia solenne del vestimento.
Queste cose non Tacevano specie alle due donne, non esercitate a
distinguer monaca da monaca: e il padre guardiano, che non vedeva
la signora per la prima volta, era già avvezzo, come tant' altri, a
quel non so che di strano, che appariva nella sua persona, come nelle
sue maniere.
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I PROMESSI SPOSI
Era essa, in quel momento, come abbiain dello, ritta vicino alla
graia, con una mano appoggiala languidamente a quella, e le bian-
chissinie dita intrecciale ne' vóti; e guardava fisso Lucia, che veniva
avanti esitando, a Reverenda madre, e signora illuslrissima, " disse
il guardiano, a capo basso, e con la mano al petto; u questa è quella
povera giovine , per la quale m' ha fello s[)eran> In sua valida prote-
zione; e questa è la madre, "
Le due presentate facevano grand' inchini: la signora accennò loro
con la mano, che bastava, e disse, voltandosi, al padre: " è una for-
tuna per me il poter Tare un piacere a' nostri buoni amici ì padri
cappuccini. Ma, " continuò; u mi dica un po' più particolarmente il
caso di quesla giovine, per veder meglio cosa si possa fare per lei."
Lucia diveniò rossa, e abbassò la festa.
" Deve sai>ere, reverenda madre . . . . " incominciala Agnese; ma
il guardiano le troncò, con un'occhiata, le jKirole in bocca, e rispose:
" quesla giovine, signora illustrissima, mi vtcn raccomandala, come
le ho dello, da un mio confralello. Essa ha dovuto partir di nasco-
sto dal suo iiaese, irer solirarsi a de' gravi jicricoli; e lia bisogno, per
qualche tempo, d' un asilo nel (|ualc possa vivere sconosciuta, e do^c
nessuno ardisca venire a disturbarla, quaitd' anche ..,.■"
" Quali perìcoli? n interruppe la signora. «DÌ grazia, |)adre guar-
diano, non mi dica la cosa cosi in enìmma. Lei sa che noi altre mo-
nache, ci piace di sentir le storie per minuto. i
" Sono perìcoli, " rispose il guardiano, " che ali* orecchie puris-
sime della reverenda madre devon essere appena leggermente accen-
nali "
«Oh certamente, n disse in fretta la signora, arrossendo alquanto.
Era verecondia? Chi a\es5e osservata una rajuda espressione di di-
spetto die accompagnava quel rossore, avrebbe potuto dubitarne; e
tanto più se 1' avesse paragonato con quello che di tanto in tanto si
spandeva sulle gole dì Lucia.
" Basterà dire, " riprese il guardiano, « che un cavalier prepo-
tente .... non tulli i grandi del mondo si servono dei doni di Dio
a gloria sua, e in vantaggio del prossimo, come vossignoria illustris-
sima:, un cavalier prepotente, dojM) aver perseguitata qualdie tempo
questa creatura con indegne lusinghe, vedendo ch'erano inutili, ebl>e
cuore di perseguitarìa apertamente con la forza, di modo che la po-
veretta è stata ridotta a fuggir da casa sua. »
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CAPITOLO IX. 173
u Accoslalevi , quella giovine, udisse la signora a Liiciu, facendole
cenno col dito. « So che il padre guardiano è la bocca della verità;
ma nessuno può esser meglio informato di voi, in quesl' aifare. Tocca
a voi a dirci se questo cavaliere era un |iersecutorc odioso. « In
quanto all' accostarsi. Lucia ubbidì subito; ma rispondere era un'altra
faccenda. Una domanda su quella materia, quand' anche le fosse slata
latta da una persona sua |)ari, l'avrebbe imbrc^iata non poco: pro-
ferita da quella signora, e con una cert'aria di dubbio maligno, le
levò ogni coraggio a rispondere. " Signora .... madre .... reveren-
da.-..^ balbettò, e non dava segno d'aver altro a dire. Qui Agnese,
come quella die, dopo di lei, era certamente la meglio informa-
ta, si credè autorizzala a venirle in aiuto, u Iliustrissima signora, »
disse, e io posso far testimonianza che questa mia frgliu aveva in odio
quel cavaliere, come il diavolo l'acqua santa: voglio dire, il diavolo
era lui; ma mi perdonerà se parlo male, perché noi slam gente alla
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IT4 I PROMESSI SPOSI
buona. I) fatto sia che questa povera ragazza era promessa a un gio-
vine nostro pari, timorato ili Dio, e ben avviato; e se il signor cu-
rato fosse stato un po' più un uomo di quelli che m' intendo io .... so
che parlo d'un religioso, ma il padre Cristoforo, amico qui del padre
guardiano, è religioso al par di lui , e quello é un uomo pieno di ca-
rità, e , se fosse qui, potrebbe attestare ...»
H Siete ben pronta a parlare scnz' essere interrogala, » interru[^
la signora, con un atto allet-o e iracondo, che la fece quasi parer
brutta. « State zitta voi: già lo so che i parenti hanno sempre una
risposta da dare in nome de' loro figliuoli! n
Agnese mortificala diede a Lucia una occhiala che voleva dire :
vedi quel che mi tocca, per esser tu tanto impicciata. Anche il guar-
diano accennava alla giovine, dandole d'occhio e tentennando il capo,
che quello era il momento di sgranchirsi, e di non lasciare in secco la
graverà mamma.
u Reverenda signora,» disse Lucia, "quanto le ha detto mia madre
è la pura verità. U giovine che mi discorreva, « e qui diventò rossa
rossa, ù lo prendevo io di mia volontà. Mi scua se parìo da slacciala,
ma è per non lasciar pensar male di mia madre. E in quanto a quel
signore (Dio gli perdoni!) vorrei piuttosto morire, che cader nelle
sue mani. E se lei fa questa carità di metterci al sicuro, giacché slam
ridotte a fòr questa faccia di chieder ricovero, e ad incomodare le
persone dabbene; ma sia fatta la volontà di Dio; sia certa, signora,
che nessuno potrà pregare per lei più di cuore clie noi povere donne. »
- u \ voi credo, » disse la signora con voce raddolcita. " Ma avrò
piacere di sentirvi da solo a solo. Non che ablua bisogno d'altri schia-
rimenti, né d'altri motivi, per servire alle premure del padi'C guardia-
no," aggiunse subito, rivolgendosi a lui, con una compitezza studiala.
u Anzi, » continuò, « ci ho già pensato; ed ecco ciò che mi pare di
poter far di meglio, per ora. La fatloressa dei monastero ha maritata,
pochi giorni sono, 1' ultima sua figliuola. Queste donne potranno oc-
cupar la camera lasciata in libertà da quella, e supi^irc a que' pochi
servizi clic faceva lei. Veramente . . . . n e qui accennò al guardiano
che s'avvicinasse alla grata, e continuò sottovoce: « veramente, attesa
la scarsezza dell' annate, non si pensava dì sostituir nessuno a quella
giovine; ma parlerò io alla madre badessa, e una mia parola ... e per
una premura del padre guardiano In somma do la cosa per
fatta. »
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CAPITOLO IX. UH
Il guardiano cominciava a ringraziare, ma la signora l' interruppe:
u non occorron cerimonie: aneh' io, in un caso, in un bisogno, sa-
prei far capitale dell'assistenza de' padri cappuccini. Alla fine,» con-
tinuò, con un sorriso, nel quale traspariva un non so che d* ironico e
d'amaro, <• alla fine, non sìam noi fratelli e sorelle? "
Cosi detto, chiamò una conversa, (due dì queste erano, per una
distinzione singolare, assegnate al suo servizio privalo) e le ordinò
che avvertisse di ciò la badessa, e prendesse poi i concerti <^portuni,
con la fattoressa e con Agnese. Licenziò questa, accommiatò il guar-
diano, e ritenne Lucia. Il guardiano accompagnò Agnese alla porta,
dandole nuove Istruzioni, e se n'andò a scriver la lettera di raggua-
glio all' amico Cristoforo. — - Gran cervellino che é questa signora! —
pensava tra sé, per la strada: — curiosa davvero! Ma chi la sa pren-
dere per il suo verso, le fa far ciò che vuole. Il mio Cristoforo non
s' aspetterà certamente eh' io l' abbia servito cosi presto e bene. Quel
brav' uomo ! non e' è rimedio : biscia che si prenda sempre quaiclie
impegno; ma lo fa per bene. Buon per lui questa volta, che ha tro-
vato un amico, il quale, senza tanto strepito, senza tanto apparalo,
senza tante faccende, ha condotto l' affare a buon porto, in un batter
d'occhio. Sarà conlento quel buon Cristoforo, e s'accorgerà che, an-
dx noi qui, siam buoni a qualche cosa. —
La signora , che , alla presenza d' un provetto cappuccino , aveva
studiati gli alti e le parole, rimasta poi sola con una giovine conta-
dina inesperta, non pensava più tanto a contenersi; e i suoi di-
scorsi divennero a poco a poco cosi strani, che, in vece di riferirli ,
noi crediam più opportuno di raccontar brevemente la storia antece-
dente di questa infelice; quel tanto cioè che basti a render ragione
dell' insolilo e del misterioso che abbiam veduto in lei , e a far com-
prendere i motivi della sua condotta, in quello che avvenne dopo.
Era essa r ultinta figlia del principe "*, gran* gentiluomo mila-
nese, che poteva coniarsi tra i più doviziosi della città. Ma l'alta
opinione che aveva del suo titolo gli faceva parer le sue sostanze
appena sufficienti , anzi scarse , a sostenerne il decoro ; e tutto il
suo pensiero era di conservarle, almeno quali erano, unite in per-
petuo, per quanto dipendeva da lui. Quanti figliuoli avesse, la storia
non lo dice espressamente ; fa solamente intendere che aveva desti-
nati al chiostro tutti i cadetti dell'uno e dell' altro sesso , per lasciare
intatta la sostanza al primogenito, destinato a conservar la famiglia, a
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■ TU I PROMESSI SPOSI
procrear cioè de' fìgliuoli, per lortnenlarsi a (ormeiilarli nella stessa
maniera. La nostra infelice era ancor nascosta nel ventre della madre,
che la sua condizione era già irrevocabilmente stabilila. Rimaneva
soltanto da decidersi se sarebbe un monaco o una monaca; decisione i
per la quale faceva bisogno, non il suo consenso, ma la sua presenza. |
Quando venne alla luce, il principe suo padre, volendo darle un nome j
che risvegliasse immedialameiite l'idea del cliioslro, e cbe fosse stato {
portato da una santa d'alti natali, la cliiaiuù Gertrude. Bambole vestite
da monaca furono ì iirimi baloccbi che le si diedero in mano; poi santini
4^e rapprcsenlavan monache; e que' regali eran sempre accompagnati
con gran raccomandazioni dì tenerli ben di conto, come cosa preziosa,
e con queir interrogare affermalivo: "bello eh? t> Quando il principe, ola
principessa o il principino, che solo de' maschi veniva allevato in casa,
volevano lodar 1' aspetto prosperoso della fanciullina, pareva che non
Irovasser mo<)o d'esprimer bene la loro idea, se non con te parole:
u che madre badessa! « Nessuno però le disse mai direttamente: tu
devi farli monaca. Era un' idea sottintesa e toccala incidentemente,
in ogni discorso che riguardasse i suoi destini futuri. Se qualche
volta la Gertrudina trascorreva a qualche atto un po' arrogante e im-
perioso, al che la sua indole la portava molto facilmente, u tu sei una
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CAPITOLO IX.
rafsazzina, " le si diceva: u queste maniere non ti convengono:
qoando sarai madre badessa, allora comanderai a bacchetta, farai alto
e basso. " Qualche altra volta il prìncipe, riprendendola di ceri' altre
maniere tropjH) libere e famigliari alle quali essa trascorreva con uguale
facilità, " ehi! ehi! •> le diceva; « non è questo il fare d'una par
lua: se vuoi die un giorno ti sì porti il rispetto che li sarò dovuto,
impara fin d'ora a star sopra di te: ricordati che tu devi essere, in
ogni cosa, la prima del monastero; perchè il sangue si porla per
lutto dove si va. y
Tulle te parole di questo genere stampavano nd cervello della fan-
ciullina l'idea che già lei doveva esser monaca; ma quelle che venivan
dalla bocca del padre, facevan più efTelto di tulle l'altre Insieme. D
contegno del prìncipe era abitualmente quello d'un padrone austero;
ma quando si trattava dello stato futuro de' suoi tìgli, dal sno volto
e da ogni sua parola traspariva un' immobilità di rìsoluziooe , una
ombrosa gelosia di comando, che imprimeva il sentimento d' una ne-
cessità fatale.
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t18 I FKOUESSl SPOSI
A sei Olmi, Gertrude fu collocala, per educazione e ancor più per
isli'adanieiilo alla vocazione impostale, nel monastero dove l'abbiamo
veduta: e la scelta del luogo non fu senza disegno. Il buon condut-
tore delle due donne ha detto che il padre della signoi-a era il primo
in Monza: e, accozzando questa qualsisia testimonianza con alcune al-
tre indicazioni che ranontmo lascia scappare sbadatamente qua e là,
noi potremmo anche asserire che fosse il feudatario di qud paese.
Comunque sia, vi godeva d'una grandissima autorità; e pensò che
li , meglio che altrove , la sua figlia sarebbe trattata con quelle di-
stinzioni e con quelle finezze che potesser più ìdletlarla a scegliere
quel monastero per sua perpetua dimora. Né s'ingannava: la badessa
e alcune altre monache faccendiere, che avevano, come si suol dire,
il mestolo in mano , esultarono nel vedersi offerto il p^no d' una
protezione tanto utile in ogni oocorrenza, tanto gloriosa in opù mo-
mento ; accettaron la proposta, con espressioni di riconoscenza, non
esagerate, per quanto fossero forti; e corrisposero pienamente all'in-
tenzioni che il principe aveva lasciate trasparire sul collocamento
stabile della figliuola : intenzioni che andavan cosi d' accordo con le
loro. Gertrude, appena entrata nel monastero, fu chiamata per an-
tonomasia la signorina ; posto distinto a tavola , nel dormitorio ; la
sua condotta proposta all' altre per esemplare ; chicche e carezze senza
fine, e condite con quella famigliarità un po' rispettosa, che tanto ade-
sca i fanciulli, quando la trovano in coloro che vedon trattare gli al-
tri fanciulli con un conlegno abituale di superiorità. Non che tutte le
monache fossero congiurate a tirar la poverina nel laccio : ce n' cran
molte delle sempiici e lontane da ogni intrigo , alle quali il pensiero
di sacrificare una figlia a mire interessate avrebbe fatto ribrezzo ;
ma queste, tulle alleale alle loro occupazioni particolari, parte non
s'accorgevan bene di tutti que' maneggi, parte non distinguevano
quanto vi fosse di cattivo, parie s' astenevano dal farvi sopra esame,
parte stavano zitte, per non fare seandoli inutili. Qualcheduna
anche , rammentandosi d' essere stata , coti simili arii , condotta a
quello di cui s' era pentita poi , saitiva compassione della po-
vera innoeenlina, e si sfogava col ferie carezze tenere e malin-
coniclie; ma questa era ben lontana dal sospettare che ci fosse sotto
mistero; e la faccenda camminava. Sarebbe fiM-se camminata cosi fino
alla fine, se Gellrude fosse stata hi sola ragazza in quel monastero.
Ma, Ira le sue compagne d* educazione, ce n' erano alcune che sapevano
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CAPITOLO IX. IT»
d'esser destinale al matrimonio. Gertnidina, nudrìta nelle idee della
sua siiperiorilà , parlava magnificamente de' suoi destini futuri di ba-
dessa, di principessa del monastero, Voleva a ogni conio esser per le
altre un soggetto d'invidia; e vedeva con maraviglia e con dispetto,
che alcune di quelle non ne sentivano punto. AH' immagini maestose,
ma cireoscritte e fredde, che può somministrare il primato in un mo-
nastero, conlrapponevan esee le immagini varie e luccicanti, di nozze,
di pranzi, di conversazioni, di festini, come dicevano allora, di villeg-
giature, di vestiti, di carrozze. Queste immagini cagionarono nel ccr-
vello di Gertrude quel movimento, quel brulichio che produrrebbe
un gran paniere di fiori appena colli, messo davanti a un alveare. I
parenti e 1' educatrici avevan coltivata e accresciuta in lei la vanità
naturale, per farle piacere il chiostro; ma quando questa passione fu
stuzzicata da idee tanto più omogenee ad essa, si gclló su quelle, con
un ardore ben più vivo e più spontaneo. Per non rcslare al di sotto di
quelle sue compagne, e per condiscendere nello stesso tempo al suo
nuovo genio, rispondeva che, alla (in de' conti, nessuno le poteva met-
tere il velo in capo senza il suo consenso, che anche lei poteva mari-
tarsi, abitare un palazzo, godersi il mondo, e meglio di tutte loro;
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mo I PROMESSI SPOSI
clic lo poteva, pur che t'avesse voluto, che lo vorrebbe, che lo vi^va;
e lo voleva in folti. L' idea della necessità del suo consenso, idea che, fino
a quel tempo, era stala come inosservata e rannicchiala in un angdo della
sua mente, si sviluppò allora, e si manifestò, con tutta la sua importan-
za. Essa la chiamava ogni momento in aiuto, per godersi più tranquil-
lamente l' immagini d' un avvenire gradilo. Dietro questa idea però,
ne compariva sempre infollibilmente un'altra: che quel consenso si
trattava dì negarìo ai principe padre, il quale h> teneva già, o mo-
strava di tencrìo per dato; e, a questa idea, l'animo della figlia era
ben lontano dalla sicurezza che ostentavano le sue paride. Si parago-
nava allora con le compagne , eh' erano ben altrimenti sicure , e pro>
vava per esse dolorosamente l'invidia cbe, da principio, aveva credulo
di lar loro provare. Invidiandole, le odiava: talvolta l'odio s'esalava
in dispetti, in isgarbateue, in motti pungenti; talvolta 1' uniformità
dell'inclinazioni e delle speranze lo sopiva, e hfx\a nascere un' in-
trinsichezza aj^rente e passeggiera. Talvolta , volendo pure godersi
intanto qualdie cosa di reale e di presente, sì compiaceva delle pre-
ferenze che le venivano accordate, e faceva sentire all' altre quella
sua superiorità; talvolta, non potendo più tollerar la solitudine de' suoi
timori e de' suoi desidèri, andava, tutta buona, in cerca di quelle,
quasi ad implorar benevolenza, consigli, coraggio. Tra queste deplo-
rabili guerricciole con sé e con gli altri , aveva varcata la puerizia ,
e s* inoltrava in queir età cosi crìtica, nella quale par che entri nel-
l' animo quasi una potenza misteriosa, che solleva, adorna, rinvigo-
risce tutte r inclinazioni, tutte l'idee, e qualche volta le trasforma, o
le rivolge a un corso imprevedulo. Ciò che Gertrude aveva fino al-
lora più distintamente vaghcfj^iato in que' sogni dell' avvenire, era lo
sfdendore esterno e la pompa: un non so che di nu^e e d'affettuoso,
che da prima v' era diffuso leggermente e come in nebbia, cominciò
allora a spiegarsi e a prim^^are nelle sue bntasie. S'era fatto, nella
parte più riposta della mente, come uno splendido ritiro : ivi si rifu-
giava dagli oggetti presenti , ivi accot^ieva certi personaggi strana-
mente composti di confuse memorie della puerizia, di quel poco che
poteva vedere del mondo esteriore , di ciò che aveva imparato dai
discorsi delle compagne; si tratteneva con es^, parlava loro, e si ri-
spondeva In loro nome; ivi dava ordini, e riceveva omaggi d'ogni
genere. Di quando in quando, i pensieri della religione venivano a
dbturbare quelle feste brillanti e faticose. Ma la religione, come l'ave-
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CAPITOLO IX. 181
vano insegnata alla nostra poveretta , e come essa 1' aveva ricevuta ,
non bandiva 1' orgoglio , anzi lo santificava e Io proponeva come un
mezzo per ottenere una felicità terrena. Privata così della sua es-
senia, non era più la religione , ma una larva come 1' altre. NegI' in-
tervalli in cui questa larva prendeva il primo posto, e grandeg^ava
iwlb fantasia di G^nide, l' infelice, soprafiiatta da terrori confusi, e
compresa da una confusa idea dì doveri , s' immaginava che la sua
ripngnanza al chiostro, e la resistenza all'insinuazioni de' suoi mag-
giori, nella scelta dello stato, fossero una colpa ; e prometteva in cuor
suo d'espiarla, chiudendosi volontariamente nel chiostro.
Era legge che una giovine non potesse venire accettata monaca ,
prima d' essere stata esaminata da un ecclesiastico, chiamalo il vicario
deUe monache, o da qualche altro deputato a ciò, afflncUè fosse certo che
ci andava di sua libera scelta: e questo esame non poteva aver luogo,
se non un anno dopo ch'ella avesse esposto a quel vicario il suo de-
siderio, con una supplica in iscritto. Quelle monache che avcvan preso
il tristo incarico di far che Gertrude s' obbligasse per sempre , con la
minor possibile cognizione di ciò che faceva, colsero un de* momenti
die abbiam detto, per forle trascrivere e sottoscrivere una (al sup-
plica. E a fine d' indurla più facilmente a ciò , non mancaron di dirle
e di ripeterle, che finalmente era una mera formalità, la quale (e
questo era vero) non poteva avere efficacia, se non da altri atti po-
sleriorì, che dipenderebtiero dalla sua volontà. Con tulio ciò, la sup-
plica non era forse ancor giunta al suo destino , che Gertrude s' era
già penUla d' averla sottoscritta. Si pentiva poi d' essersi pentita ,
passando cosi i giorni e i mesi in un' incessante vicenda di sentimenti
contrari. Tenne lungo tempo nascosto alle compagne quel passo, ora
per timore d' esporre alle contraddizioni una buona risoluzione , ora
per vergogna di palesare uno sproposito. Vinse finalmente il desi-
derio di sfogar l' animo, e d" accattar consiglio e coraggio. C era un'
altra le^e, die una giovine non fosse ammessa a quell'esame della
vocasone, se non dopo aver dimorato almeno un mese fuori dei mo<
nastero dove era stata in educazione. Era già scorso l' anno da che
la supplica era stata mandata; e Gertrude fu avvertila che tra pOQO
verrebbe levata dal monastero, e condotta nella casa patema, per ri*
manervi quel mese, e far tutti i passi necessari al compimento del-
l' opera die aveva di fetto cominciala. B prìncipe e il resto della fo-
Du'giia tenevano tutto ciò per cerio, come se fosse già avvenuto;
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I8S ) PROMESSI SPOSI
ma ta giovine aveva tutl' altro in testa: in vece di far gli altri passi,
pensava alla maniera di tirare indietro il primo. In tali angustie, si ri-
solvette d'aprire con una delle sue compagne, la più franca, e pronta
sempre a dar consìgli risoluti. Questa su^^rì a Gertrude d' infonnar
con una lettera il padre della sua nuova risoluzione; giacché non le
basta^'a l'animo di spiattellargli sul viso un bravo: non voglio. E per-
chè i pareri gratuiti, in questo mondo, son molto rari, la consigliera
fece pagar questo a Gertrude, con tante befTe sulla sua dappocaggine.
La lettera fu concertata tra quattro o cinque confidenti , scrìtta di
nascosto , e fìilta ricapitare per via d'artifizi mollo studiati. Gertrude
stava oon grand' ansietà, aspettando una risposta che non venne mai.
Se non che, alcuni giorni dopo, la badessa, la fece venir nella sua cella,
e, con un conlegno di mistero, di disgusto e di compassione, le diede
un cenno oscuro d'una gran collera del prìncipe, e d'un follo ch'ella
doveva aver c(Mnmesso , lasciandole però intendere che , portandosi
bene, poteva sperare che tutto sarebbe dimenticato. La giovinetta in-
tese, e non osò domandar più in là.
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CAPITOLO IX. I8S
Venne Anaiucnte il giorno tanto temuto e bramato. Quantunque
Gertrude sapesse che andava a un combattimento , pure 1' uscir di
DHHiastero, il lasciar quelle mura nelle quali era stata ott' anni rin-
ttiiusa, lo scorrere in carrozza per l'aperta campagna, il riveder la
città, la casa, furon sensazioni piene d'una gioia tumultuosa. In quanto
al combattimento, la poveretta, con la direzione di quelle confidenti,
aveva già prese le sue misure, e btlo, com'ora si direbbe, il suo
piano. — O mi vorranno forzare, — pensava, — e io starò dura;saró
umile, rispettosa, ma non acconsentirò: non si tratta che di non dire
un altro sì; e non lo dirò. Ovvero mi prenderanno con le buone; e
io sarò più buona di loro; piangerò, pregherò, li moverò a compas-
sione: finalmente non pretendo altro che di non esser sacrificata. —
Ma, come accade spesso di simili previdenze, non avvenne né una cosa
né l'altra. 1 giorni passavano, senza che il padre né altri le parlasse
della supplica, né della ritrattazione, senza che le voiisse fatta prò-
posta nessuna, né con carezze, né con minacce. 1 piu^nti eran seri,
tristi, burberi ccm lei, senza mai dime il perché. Si vedeva solamente
che la riguardavano come una rea, come un' indegna: un anatema
misterioso pareva che pesasse sopra di lei, e la segregasse dalla fiuni-
^ia, lasciandoveia soltanto unita quanto bisognava per farle sentire
h sua suggezione. Dì rado, e solo a certe ore stabilite, era ammessa
aRa compagnia de' parenti e del primogenito. Tra loro tre pareva che
regnasse una gran confidenza, la quale rendeva più sensibile e più
doloroso l' abbandono in cui era lasciata Gertrude. Nessuno le rivol-
geva il discorso; e quando essa arrischiava timidamente qualche paro-
la, che non fosse per cosa ueeessarìa, o non attaccava, o veniva corri-
sposta con uno sguardo distratto, o sprezzante, o severo. Che se, non
potendo più soffrire una cosi amara e umiliante distinzione, insisteva,
e tentava di famigliarìzzarsi; se implorava un po' d'amore, si sentiva
subilo toccare, in maniera indiretta ma chiara, quel tasto della scelta
dello stato; le si bceva copertamente sentire che e' era un mezzo di
riacquistar l'affetto della famiglia. Allora Gertrude, che non l'avrebbe
voluto a quella condizione, era costretta di tirarsi indietro, dì rifiutar
quasi i primi segni di benevolenza (^ aveva tanto desiderati, di ri-
mettersi da sé fd suo posto di scomunicata ; e per di più, vi rimaneva
con una certa apparenza del torto.
Tali sensaeioni d'oggetti presenti facevano un contrasto doloroso con
quelle rideoli visioni delle quali Gertrude s'era già tanto occupata, e
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184 I PROMESSI SPOSI
s'occupava tuttavìa, nel segreto della sua mente. Aveva sperato che,
nella splendida e frequentata casa paterna, avrebbe potuto godere al-
meno qualche saggio reale delle cose immaginate; ma si trovò dd tutto
ingannata. La clausura era stretta e intera, come nel monastero; d'an-
dare a spasso non si parlava neppure; e un coretto che, dalla casa,
guardava in una chiesa contìgua, toglieva andie l' unica necessità che
ci sarebbe stata d'uscire. La compagnia era più trista, più scarsa,
meno variata die nel monastero, A ogni annunzio d'una visita, Ger-
trude doveva salire all'ultimo piano, per chiudersi con alcune vecchie
donne di servizio: e li anche desinava, quando c'era invito. 1 servitori
s' uniformavano, nelle maniere e ne' discorsi, all' eaem)HO e all' inten-
zioni de' padroni: e Gertrude, che, per sua inclinazione, avretdte
voluto trattarli con una familiarità signorile, e che, nello stalo in
cui sì trovava, avrebbe avuto di grazia che le facessero qualche di-
mostrazione d' afTetto , come a una loro pari , e scendeva anche a
mendicarne, rimaneva poi umiliata, e sem[H« più afflitta dì vedersi
corrisposta con una noncuranza manifesta, benché accompagnata da
un leggiero ossequio di formalità. Dovette però accorgersi che un
paggio, ben diverso da coloro, le portava un rispetto, e sentiva per
lei una compas^one d' un genere particolare. Il contegno di qud ra-
gazzotto era ciò che Gertrude aveva fino allora visto di più som
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CAPITOLO IX. IS<
a quell' ordine di cose tanto contemplalo nella sua imnwgì nativa ,
d contégno di quelle sue creature ideali. A poco a poco si scoprì un
non so che di nuovo nelle maniere della giovinetta: una tranquillità
e un' inquietudine diversa dalla solita , un fare di chi ba trovato
quache cosa die gli preme, che vorrebbe guardare ogni ntomenlo, e
non lasciar vedere agli altri. Le furon tenuti gli occhi addosso più
che mai : che è che non è, una mattina, fu sorpresa da una di quelle
lameriere, mentre slava piegando alla sfuggila una carta, sulla quale
avrete fatto meglio a non iscriver nulla. Dopo un brève tira tira ,
la carta rimase nelle mani della cameriera , e da queste passò in
quelle del principe.
11 terrore di Gertrude , al rumor de' passi dì lui , non sì può de-
scrìvere né imma^nare: era quel padre, era irritato, e lei si sentiva
colpevole. Ma quando lo vide comparire , con quel cipiglio , con
quella carta in mano, avrebbe voluto esser cento braccia sotto lerra.
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lag 1 raoMcssi sroai
uon ehe in un ehìoslro. Le pan^e non furon molle, ma terribili: il
gasligo inlìinalo subilo non fu che d' esser rinchiusa in quella ca-
mera, sodo la guardia della donna die a\'eva fatta la scoperta; ma
questo non era che im principio, die un ripiego del momento; si
prometteva, si lasciava vedere per aria, un altro gastigo oscuro, in<
delenninalo, e quindi più ^a^enloso.
Il paggio fu subito sflratlato, com' era oalurale; e fu uiinacciat« ai>-
che a lui qualcosa di terribile, se, in quidunque tempo, avesse osato
datar nulla ddi' avvenuto. Nel fatali questa intimasione, il prìodpe
gli appoggiò due solenni schiaffi, per associare a quell'avventura un
ricordo, che lof^ìesse ai ragazzaccio ogni teutazion di vantarsene. Un
prelesto qualunque, per coonestare la licenza data a un paggio, non
era diflìcile a trovarsi; in quanto alla figlia, si disse ch'era incomodata.
Rimase essa dunque col batticuore, con la vergc^na, col rimorso,
col terrore dell' avvenire, e eou la sola compagnia di quella donna
odiala da lei, come il testimonio ddla sua colpa, e la cagione della sua
disgrazia. Costei odia\'a poi a AÌeenda Gertrude, per la quale si tro-
vava ridotta, senza saper per quanto lein|H), alla vita noiosa di car-
ccriera, e divenuta per sempre custode d'un segreto pericoloso.
Il primo confuso (umullo di que' sentimenti s' acquietò a poco a
poco; ma tornando essi ppi a uno per volta nell'animo, vi s'ingran-
divano, e si fermavano a tormenlarlo più distintamente e a bell'agio.
Che poteva mai esser qudla punizione minacciata in cninuiia? Molle
e varie e strane se ne affacciavano alla fantasia ardente e inesperta
di Gertrude. Quella che pareva più probabile, era di venir ricondolla
al monastero di Monza, di ricomparirvi, non più come la signorina,
ina in forma di colpevole, e di starvi rindiìusa, chi sa fino a quando!
chi sa con quali trattanienli! Ciò che una lale immaginazione, ditta
piena di dolori, aveva forse di più doloroso i>cr lei, era l'apprensione
della ^ei^ogna. Le frasi, le [>arole, le vii^ole di quel foglio sciagu-
rato, passamano e ripassavano nella sua memoria: le immaginava os-
servate, pesale da un lettore tanto impreveduto, lauto diverso da
qudlo a cui eraii destinate; sì figurava elic avesser potuto cader sotto
gli occhi anche della madre o dd fratello, o di chi sa allrì; e, al para-
gon di ciò, lutto il rimanente le pareva quasi un nulla. L' ìnmiagine di
colui eh' era stato la prima origine di lutto lo scandolo, non lasciava
di venire spesso anch' essa ad infestar hi jwvera rinchiusa: e pensate
che strana com|>aRìa doveva far quel fantasma. Ira quegli altri cosi
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CAPITOLO IX. I»
diverai da lui, seri, freddi, ininaeciosi. Ma, appunto percliè iton po-
teva separarlo da essi , né tornare un momento a quelle foggllive
ooDipiacenze , senza' ette subito doa le s' afTaoeiassero i dolori presenti
che a' erano la ctHis^juenza, oomìneiò a poco a poco a tornarci friù
di rado, a ritingerne la rimembranza, a divezsarsaie. Né più a lungo,
0 più volentieri, si fermava in quelle liete. e brillanti fantasie d'una
volta: eran troppo opposte alle circostanze reali, a ogni probatólità
ddl" avvenire. Il solo castello nel quale Gertrude potesse immaginare
un rifugio tranquillo e onorevole, e che non fosse in aria, era il mo-
nastero, quando si risolvesse d' entrarci per sempre. Una tal risolu-
zione (non poteva dubitarne) avrebbe accomodalo ogni cosa, saldalo
ogni debito, e cambiata in un attimo la sua situazione. Contro questo
proposilo insorgevano, è vero, i pensieri di tutta la sua vita: ma i
tempi eran mutali; e, nell'abisso in cui Gertrude era caduta, e al pa-
ragone di ciò che poteva temere in certi momenti, la condizione dì
monaca festeggiata, ossequiala, ubbidita, le pareva uno zuccherino. Due
sentimenti di ben diverso genere contrìbuivan pure a intervalli a
^tceoiare quella sua antica avversione: talvolta il rimorso del fallo, e
una tenerezza fantastica di divozione; talvolta 1' orgoglio amareggiato
e irritalo dalle maniere delta carcerìera, la quale (spesso, a dire il ve-
ro, provocala da lei ) si vendicava , ora facendole paura di qud mi-
nacciato gastigo , ora svergognandola del fallo. Quando poi voleva
mostrarsi benigna, prendG\'a un tono di protezione, più odioso an-
cora dell' insulto, bi (ali di^ erse occasioni , il desiderio che Gertrude
sentiva d* uscir dall' unghie di colei , e di comparirle in uno stato al
di sopra della suo collera e della sua pietà, questo desiderio abituale
diveni^'a tanto vivo e pungente, da far parere amabile ogni cosa che
potesse condurre ad appagarlo.
In capo a quattro o cinque lunghi giorni di prigionia, una mat-
tina, Gertrude stuccata e invelenita all' eccesso, per un di que' di-
giti della sua guardiana, andò a cacdarsi in un angolo della camera,
e li, con la faccia nascosta Irà le mani, stette qualche tempo a divorar la
sua rabbia. Senti allora un bisogno prepotente di vedere altri visi, di
sentire altre parole, d'esser trattata diversamente. Pensò al padre, alla
^miglia: il pensiero se ne arretrava spaventato. Ma te venne in mente
che dipendeva da lei di trovare in loro degli amici; e provò una
gioia improvvisa. Dietro questa, una confusione e un pentimento stra-
ordinario del suo fallo, e un ugual desiderio d" espiarlo. Non già che
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Ita I PROMESSI SPOSI
la sua volontà si fermasse in quel proponimento, ma giammai non
c'era entrata con tanto ardore. S'alzò di li, andò a un tavolino, ri-
prese quella penna btale, e scrisse al padre una lettera piena d'en>
tusiasmo e d'abbattimento, d'afflizione e di speranza, imfritHrando -il
perdono, e mostrandosi indeterminatamente pronta a tutto ciò clie po-
tesse piacere a clii doveva accordarlo.
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CAPITOLO X.
i son de' momenti iit cui l'animo. |>arlic«>-
larmenle de' giovani, è disfioslo in maniera
che ogni poco d' islanza basta a ollenenie
ogni cosa che abbia un' apparenza di bene
e di sacrifizio: come un fiore appena sboc-
ciato, s' abbandona iiiollemenle sul suo fra-
gile stelo, pronto a concedere Je sue fra-
granze alla prim' aria che gli aliti punto
d'intorno. Questi momenti, che si dovreb-
bero dagli altri ammirare con timitlo ri-
spetto, son quelli appunto che l'astuzia interessala spia allenlamentc e
coglie di volo, per legare una volontà che non si guarda.
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IM I PROMESSI SPOSI
Al legger quella lettera , il priflci|)e ' ' ' vide subilo lo spiraglio
aperto alle sue aiitiehe e costanti mire. Mandò a dire a Gertrude che
venisse da luij e as|)elIandola, si dis|>ose a batter il ferro, meni r' era
caldo. Gertrwle comparve, e, senza alzar gli ocdii in viso al padre, gli si
buttò in ginocchioni davanti, ed ebbe ap|>ena tìato di dire: ^ pcrdoiiol ^
Egli le Tece cenno che s alzasse ; iiii), con una voce poco alla a i-ìncoi-ai-e,
le rispose che il perdono non bastava desiderarlo né chiedcrlo;cli'era
I-osa IropiM) agevole e trop{io naturale a chiunque sia trovato in col-
pa, e tenia la punizione; che in somma bisognava meritarlo. Gertrude
domandò, sommessamente e tremando, che cosa dovesse fare. Il priii-
ei|>e ( non ci re^^e il cuore di dargli in questo momento il titolo di
(ladre) non rispose dircltaniente, ma coniineiò a parlare a lungo del
fallo di Gertrude: e quelle t>arole frizzavano sull'animo della pove-
retta, come lo scorrere d' una mano ruvida sur una (eiWa. Continuò
direndo che, quand'anche casomai che avesse avuto prima
qualche intenzione di collocarla nel secdo, lei stessa ci a\cva messo
ora im ostacolo insuperabile; giacché a uà cavalier d' onore, com'era
lui , non sarebbe mai bastalo I' animo di regalare a un galantuo-
mo una signorina che avc^a dato mi (al saggio di sé. La misera
ascollatricc era annicbilata: allora il principe, raddolcendo a grado a
grado la voce e le parole, prosegui dicendo che però a ogni fallo e' era
rimedio e misericordia; che il suo era di (pielli per i quali il rimedio
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è più cliianunente indifialo: cb' essa doveva vedere, in quanto tristo
accidente, come un avviso cbe la vita del secolo era troppo piena di
perìcoli per lei
" Ah si 1 » esclamò Gertrude , scossa dal timore , preparala dalla
vergogna, e mossa in quel punto da una tenerezza istantanea.
«Ah! io capite anche voi,» riprese incontanente il principe. «Eb-
Iwne, non si parti più del passato: tutto è cancellalo. Avete preso il
solo partilo onorevole, conveniente, che vi rimanesse; ma perchè l'a-
vete preso di buona v(^ia, e con buona maniera, tocca a me a far-
vtìo riuseir gradito in tutto e per tutto: tocca a me a larne tornare
tutto il vantaggio e iutto ii merito sopra di voi. Ne prendo io la cu-
ra. " Cìosi dicendo, scosse un camjianello cbe stava sul tavolino, e al
servitore che enlrò, disse: « la principessa e il principino subito, n
E seguitò poi con Gertrude: ^ voglio metterli subilo a parte della
mia consolazione; voglio cbe tutti comincin subito a trattarvi come si
conviene. Avete sperimentato in parte il padi-c severo; ma da qui in-
nanzi provCTete tutto il padre amoroso. "
A queste parole, Gertrude limaneva ccHne sbalordita. Ora rìpensa\'a
come mai quel si che le era scappato, avesse potuto significar tanto,
ora cercava se ci fosse maniera dì riprenderlo, di ristringerne il senso;
ma la persuasione del principe pareva cosi intera, la sua gioia cosi
gelosa, la benignità così condizionata, die Gertrude non osò prorerirc
una parola che potesse turbarle menomamente.
Dopo pochi momenti, vennero t due chiamali, e vedendo li (Gertru-
de, la guardarono in viso, incerti e maravigliati. Ma il prìncipe, con un
contegno lieto e amorevole, che ne prescriveva loro un-somigtiante,
X ecco, " disse, u la pecora smarrita; e sia questa l'ultima parola
cbe rìchiaiui triste memorie. Ecco la cons<dazione della famiglia. Ger-
trude non ha più bisogno di consigli; ciò che noi desideravEono per
suo bene, l'ha voluto lei sptMitaneamente. E risoluta, m' ha fatto in-
tendere che è risoluta n A questo passo, alzò essa verso il padre
uno sguardo tra atterrito e supplichevole, come per chiederti die so-
spradesse, ma egli proseguì francamente: » ohe è risolula di pren-
dere il velo. "
<t Brava! bene! " esclamarono, a una voce, la madre e il figlio, e
r uno dopo l'altra abbracciaron Gei-trude: la quale ricevette queste
accii^ieoze con lacrime, che furono interpretate per lacrime di con-
solazione. Allora il princi|)e si diffuse a s^iiegar ciò die fareMie per
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IS9 t PROMESSI SPOSI
render liela e splendida la sorte della figlia. Parlò delle distinzioni di
cui goderebbe nel monastero e nel paese; che, là sarebbe come una
principessa, come la rappresentante della famiglia; che, appena l'età l'a-
vrebbe permesso, sarebbe innalzata alla prima dignità; e, intanto, non
sarebbe so^tla che di nome. La principessa e il principino rinnova-
vano, ogni momento, le congratulazioni e gli applausi: Gertrude era
come dominata da un sogno.
u Converrà poi fissare il giorno, per andare a Monza, a far la ri-
chiesta alla badessa, » disse il principe. "Come sarà contenta! Vi so
dire che tutto il monastero saprà valutar l'onore cheGertnide gli fa.
Anzi .... perchè non ci andiamo oggi? Gertrude prenderà volentieri
un po' d' aria, n
u Andiamo pure, » disse la principessa.
" Vo a dar gli ordini , n disse ìl principino.
"Ma .... » proferì sommessamente Gertrude.
" Piano, piano, n riprese ìl principe: ulascìam decidere a lei: forse
o^i non si sente abbastanza disposta, eie piacerebbe più aspettar lino
a domani. Dite: volete che andiamo oggi o domani? n
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"Domani, « ris|>05C, con voc« Aacca, Gertrude, alla quale pareva
ancora di far (jualchc c«sa, prendendo un po' di tempo.
u Domani, " dis.sc solennemente ìl principe: « ha stabilito che sì
vada domani. Intanto io vo dal vicario delle monache, a (issare un
giorno per l'esame.» Detto Tatto, il principe usci, e andò veramente
( ctie non fn piccola degnazione ) dai detto vicario ; e concertarono
che verrebbe di li a due giorni.
In tulio il resto di quella gicrnala, Gertrude non ebbe un minuto
di bene. Avrebbe desiderato riposar l' animo da tante commozioni ,
lasciar, per dir cosi, chiarire i suoi pensieri, render conto a sé stessa
di rio che aveva fatto, di ciò che le rimaneva da fere, sapere ciò che
vdesse, rallentare un momento quella macchina che, appena avvia-
ta , andava cosi precipitosamente ; ma non ci fu verso. L' ocrtipazioni
si succedevano senza interruzione , s' incastravano 1' una con 1' altra.
Subito dopo partito il princi|>e, fu condotta nel gabinetto della prin-
cipessa , per essere, sotto la sua direzione , pettinata e rivestita dalla
sua propria cameriera. Non era ancor terminato di dar l'ultima mano,
ebe furon avvertile ch'era in (avola. Gertrude passò in mezzo agi' in-
chini della servitù, che accennava di congratularsi per la guarigione ,
e trovò alcuni parenti più prossimi, eh' erano stati invitati in fretta,
per ferie onore, e per rallegrarsi con lei de' due felici avvenimenti, la
ricuperala salute, e la spiegata vocazione.
La sposina (così si chiamavan le giovani monacande, e Gertrude,
al suo apparire, fu da tulli salutata con quel nome), la sposina d)be
da dire e da fare a ris|Hindere a' complimenti die le lioecavan da tutte
le parti. Sentiva bene che ognuna delle sue risposte era come un'ac-
cettazione e una conferma ; ma come rispondere diversamente ? Poco
dopo alzati da tavda , venne 1' ora della trottata. Gertrude entrò in
carrozza con la madre, e con due zìi eh' erano stati al pranzo. Dopo
un solito giro, si riusci alla strada Marina, che allora attraversava lo
spazio occupato ora dal giardin pubblico , ed era il luogo dove i si-
gnori venivano in carrozza a ricrearsi delie fatiche della giornata. Gli
sii parlarono anche a Gertrude, eome porlava la convenienza in quel
giorno: e uno di loro, il qiial pareva che, più dell'altro, conoscesse
ogni persona , <^i carrozza , ogni livrea , e aveva <^i momento
qualcosa da dire del signor tale e della signora tal altra , si voltò a
lei tuffa un tratto, e le disse: u ah furbetla! voi date un calcio a
tulle queste corbellerie; siete una diriltona voi; piantate negi' impieci
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194 I PBOMESSI SPOSI
noi poveri mondani, vi ritirale a fai-c una vila beata, e andate in
paradiso in carrozza. "
Sul lardi, si tornò a casa ; e i servitori, scendendo in fretta con le
torce, avvertirono che molte visite stavano a8i)ellando. La voce era
corsa; e i parenti e gli amici venivano a fare il loro dovere. S'entrò
nella sala della conversazione. La siiosina ne fu l' idolo , il trastnllo ,
la vittima. Ognuno la voleva per sé ; chi si faceva prometler dolci ,
ehi prometteva visite , chi parlava della madre lalc sua parente , cliì
della madre tal altra sua conoscente, chi lodava il cielo di Monza, chi
discorreva, con gran salare, della gran figura ch'essa avrehhe falla là.
Altri, che non avevaa |>oluto ancora a^'vicina^sì a Gertrude così asse-
diala , stavano spiando l' occasione di farsi innanzi , e sentivano un
certo rimorso, fin che non avessero fatlo il loro dovere, A poco a poco,
la compagnia s'andò dileguando; tulli se n'andarono senza rimorso,
e Gertrude rimase sola co' genitori e il fratello.
u Finalmente , " disse il principe , u ho avuto la consolazione di
veder mia figlia trattata da par sua. Bisogna però confessiire che an<
che lei s'è portata benone, e ha fatto vedere che non sarà impicdala
a far la prima figura , e a sostenere il decoro della famiglia. »
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CAPITOLO X.
Si cenò in fretta , per ritirarsi subito , ed esser pronti presto la
mattina seguente.
Gertrude contristata, indispettita e, nello slesso t^npo, tin po'
gonfiata da lutti que' compliinenli , si rammentò in quel punto ciò
d)e aveva patito dalla sua carcerìera; e, vedentlo il padre cosi di-
i^wsto a compiacerla in tulio, fuor che in una cosa, volle approfltlare
dell' auge in cui si trovava, per acquietare almeno una delle passioni
che la tormentavano. Mostrò quindi una gran ripugnanza a trovarsi
con cedei, lagnandosi fortemente delle sue maniere.
" C<Hne! " disse il principe: « v'ha mancalo di rispetto colei! Do-
mani , domani , le laverò il capo come va. Lasciate fare a me , clic le
farò conoscere cbi è lei, e clii siete voi. E a ogni modo, una figlia della
quale io son contento , non deve vedersi intomo una persona che le
dispiaccia. » Cosi detto, fece chiamare un' altra donna, e le ordinò di
servir Gertrude; la quale intanto, masticando e assaporando la soddi-
sfazione che aveva ricevuta, si stupiva di trovarci così poco sugo, in
parinone del desiderio che n'aveva avuto. Ciò che, anche suo mal-
grado, s'impossessava di tutto il suo animo, era il sentimento de' gran
progressi clic aveva fatti, in quella giornata, sulla strada del chio-
stro , il [lensiero che a ritirarsene ora ci vorrebbe m(dla più forza
e risolutezza dì quella che sarebbe bastala pochi giorni prima, e che
pure non s' era sentita d" avere.
La donna che andò ad accompagnarìa in camera, era una vecchia
di casa , stala già governante del principino, che aveva ricevuto ap-
pena uscito dalle fasce, e tirato su fino all'adolescenza, e nei quale
aveva riposte tutte le sue compiacenze, le sue speranze, la sua gloria.
Era essa cwitenta della decisione fatta in -quel giorno, come d'una sua
propria fortuna; e Gertrude, per ultimo divertimento, dovette succiarsi
le cmigratulazioni , le lodi , i constai della vecchia , e sentir parlare
di certe sue zie e prozie, le quali s'eran trovate ben contente d'esser
monache , perchè , essendo di quella easa , avevan sempre goduto i
primi onori , avevan sempre sapulo tenere uno zampino di fuori , e,
dal loro parlatorio, avevano ottenuto cose die le più gran dame, nelle
loro sale, non c'eran potute arrivare. Le parlò delle visite die avrebbe
ricevute: un giorno poi, verrebbe il signor principino con la sua sposa,
la quale doveva esser certamente una gran signorona; e allora, non
sdo il monastero, ma lutto il paese sarebbe in moto. ha. vecchia aveva
parlalo mentre spogliava (jertnide , quando Gertrude era a letto ;
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I PHOMESSI SPOSI
j)arlava aiicura, che Gertrude doroiìva. La giovinezza e la fatica erano
stale più forti de' pensieri. Il sonno fu affannoso, torbido, pieno di
s(^nì penosi, ma non fu rotto che dalla voce strillante della veccliia,
che venne a svegliarla, perchè si preparasse per la gita di Monza.
■> Andiamo, andiamo, signora sposina: è giorno fatto; e prima che
^a vestila e pettinala, ci vorrà mi' ora almeno. La signora principessa
si sia vestendo; e l'hanno svegliala quatir' ore prima del solito. Il
signor principino è già sceso ^le scnderie , poi è (ornato su , ed è
air ordine per parlìi-e quando si sia. Vispo come una lepre , quel
diavoletto : ma ! è stalo cosi (In da bambino ; e io posso dirlo , che
l'ho portato in odio. Ma quand'é pronto, non bisogna farlo a8|>etla-
re , perchè , sebbene sia della miglior pasta del mondo , allora s' im-
pazientisce e strepita. Poveretto ! bisogna compatirlo : è il suo natu-
rale; e poi questa volta avrebbe anclie un |>o' di ragione, perchè
s' incomoda per lei. Guai chi lo tocca in que' momenti ! non ha
riguardo per nessuno, fuorché per il signor principe. Ma, un giorno,
il signor principe sarà lui; più lardi che sia possibile, però. Lesta,
lesta, signorina ! Perchè mi guarda cosi incantata ? A quest' ora do-
vrebbe esser fuor della cuccia. "
All' immagine, del principino im|>azicnte, tulli gli altri pensieri che
s'erano affollati alla mente risvegliala di Gertrude, si levaron subito, I
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CAPITOLO X. IBT
come uno stormo di passere all'apparir del nibbio. Ubbidì, si vestì
ÌD fretta, si lasciò pettinare, e comparve nella sala, dove i genitori e
il fratello eraii radunati. Fu fatta sedere sur una sedia a braccioli, e
le fu portata una chicchera di cioccolata : il che , a que' tempi , era
quel ette già presso i Romani il dare la veste virile.
Quando vennero a avvertir ch'era attaccato, il principe tirò la figlia
in disparte, e le disse: u orsù, Gertrude, ieri vi siete fatta onore: oggi
dovete superar voi medesima. Sì tratta di fare ima comparsa solenne
nel monastero e nel paese dove siete destinata a far la prima figura.
\'' aspettano » É inutile dire che il principe aveva spedito un
avviso alla badessa, il giorno avanti, u \' aspettano , e tutti gli occhi
saranno sopra di voi. Dignità e disinvoltura. La badessa vi doman-
derà cosavfdele: e una formalità. Potete rispondere che diiedele d'es-
sere ammessa a vestir l'abito in quel monastero, dove siete stata edu-
cala così amorevolmente, dove avete ricevute tante finezze: die é la
pura verità. Dite quelle poche parole, con un fare sciolto : die non
s' avesse a dire che v' hanno imboccata, e die non sapete parlare da
voi. Quelle buone madri non sanno nulla dell'accaduto: è un segreto
che de^e restar sepolto nella famiglia ; e perciò non fate una faccia
coDlrila e dubbiosa, che potesse dar qualche sospetto. Fate vedere di
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198 I PaOHESSI SPOSI
vbe sangue uscite: manierosa, modesta j ma ricordatevi che, ■■> quei
liH^, fuor della famiglia, non ci sarà nessuno sopra di voi. »
Senza aspettar risposta , il prìncipe sì mosse ; Gertrude , la princi-
{lessa e il principino lo »eguirMio; scesero tutti le scale, e montarono
in carrozza. Gl'impicci e le noie del mondo,-e la vita beata del chio-
stro, principalmente per le giovani di sangue nobilissimo, fnrono il
tema della conversatone, durante il tragitto. Sul finir della strada, il
jH-incipe rinnovò l' istruzioni alla figlia , e le ripetè più volte la for-
mola della risposta. All'entrare in Monza, Gertrude si senti strìngere
il cuore ; ma la sua attenzione fu attirata per un istante da non so
quali signori che , falla fermar la carrozza , recitarono non so qual
complimento. Ripreso ìl cammino , s' andò quasi di passo al mona-
stero, tra gli sguardi de'euriosi, che accorrevano da tutte le parti sulb
strada. Al fermarsi della carrozza , davanti a quelle mura , davanti a
({uella porta , il cuore si strinse ancor più a Gertrude. Si smontò tra
due ale di popolo, che ì servitori facevano slare indietro. Tutti qu^i
occhi addosso alla poveretta l' obbligavano a studiar continuamente il
suo contegno: ma più di tutti quelli insieme, la tenevano in sugge-
zione i due del padre, a' quali essa, quanliuique ne avesse cosi gran
|>aura, non poteva lasciar di rìvolgei-e i suoi, ogni momento. E quegli
occhi governavano le sue mosse e ìl suo volto , come [ter mezzo dì
redini invisibili. Attraversato il primo cortile, s' entrò in un altro,
e li si vide la porla del chiostro interno, spalancala e tutta occupata
da monache. Nella prima (ila , la badessa circxindata da anziane ; die-
tro, altre monache alla rinfusa, alcune in punta di piedi; in ultimo
le conva^ ritte sopra panchetti. Si vedevan pure qua e là lue-
cicare a mezz'aria alcuni ocdiìelti , spuntar qualche visino tra le to-
nadte: eran le più destre, e le più cora^iose tra l'educande, die,
ficcandosi e penetrando tra monaca e monaca , eran riuscite a farsi
un po' di pertugio , per vedere andi' esse qualche cosa. Da qudla
calca uscivano acclamazioni ; si vedevan molle braccia dimenarsi , in
segno d'accoglienza e di gioia. Giunsero alla porla; Gertrude si trovò
a viso a viso con la madre badessa. Dopo i primi complimenti , que-
sta, con una maniera tra il giulivo e il solenne, le domandò cosa de-
siderasse in quel luogo, dove non c'era dii le potesse negar nulla.
" Son qui . . . . , » cominciò Gertrude; ma, al punto di proferir
le parole che dovevano decider quasi irrevocabilmente del suo de-
stino, esitò un momento, e rimase con gli occhi fissi sulla folla che
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CAPITOLO X. I8S
le slava davanti. Vide, in quel momenlo, una di quelle sue note com-
pagne, che la guardava con un'aria di eom|>assione e di malizia in-
sieme, e pareva che dicesse: ah! la c'è castola la brava. Quella visla,
risvegliando più vivi nell'animo suo tulli gh antichi seutiuienti, le re-
stituì anche un po'di quel poco antico coraggio: e già stava cercando
una risposta qualunque, diversa da quella che le era stala dettala;
quando , alzato lo sguardo alla faccia del padre , qua» per esperi-
menlar le sue forze, scorse su quella un'inquietudine cosi cupa, un'
iinpazi«iza così minaccevole , che , risoluta per paura , con la stessa
prontezza che avrebbe preso la fuga dinanzi un oggetto terrìbile, pro-
seguì : " son qui a chiedere d'esser ammessa a vestir l'abilo reli-
gioso , in questo monastero , dove sono stala allevata così amorevol-
mente. 1 La badessa rispose subito, che le dispiaceva molto, in una
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■00 1 PROMESSI SPOSI
ìsie occasione, che le r^Kole non le permeUesscro di dare imtnediala-
mente una risposta, la quale doveva venire dai voti comuni delle suo-
re, e alla quale doveva precedere la licenza de' superiori. Che però
Gertrude, conoscendo i sentimenti che s'avevan per lei in quel Iim^,
poteva preveder con certezza qual sarebbe questa risposta; e che in-
tanto nessuna regola proibiva alla badessa e alle suore di manifeslarc
la consolazione che sentivano di quella richiesta. S' alzò allora un fra-
stono confuso di con^tulaziont e d' acclamazioni. Vennero subilo
gran guantiere colme di dolci, che furon presentati, prima alla spo-
sina, e dopo ai parenti. Mentre alcune monache facevano a rubarsela,
e altre eomplimenlavan la madre , altre il principino, la badessa fece
pregare il princiiie die volesse venire alla graia del parlatorio , dove
r attendeva. Era accompagnata da due anziane; e quando lo vide com-
parire, « signor principe, " disse: « per ubbidire alle regole
per adempire una formalità indispensabile, sebbene in questo caso .. .
pure devo dirle che, ogni volta che una figlia chiede d'essere
ammessa a vestir l'abito , la superiora , quale io sono indegna-
mente, ... è obbfa'gata d'av\'ertire i genitori .... che se, per caso....
forzassero la volontà della figlia, incorrerebt>ero nella scomunica. Mi
scuserà . . . . i
" Benls^mo , benissimo , reverenda madre. Lodo la sua esattezza :
è troppo giusto .... Ma lei non può dubitare ->
" Oh ! pensi, signor principe,... ho parlato per obbligo preciso,...
del resto . . . . "
" Certo , certo , madre badessa. «
Barattate queste poche parole, i due interlocutori s' inchinarono vi-
cendevolmente, e si separarono, come se a lutf e due ]>csasse di ri-
maner li lesta testa ; e andarono a riunirsi ciascuno alla sua compa-
gnia, l'uno fuori, l'altra dentro la soglia claustrale.
« Oh vìa, n disse il principe: ^ Gertrude potrà presto godersi a
suo bell'agio la compagnia di queste madri. Per ora le abbiamo inco-
modate abbastanza.» Cosi detto, fece un inchino; la famiglia si mosse
con lui ; si rinnovarono ì complimenti , e si parti.
Gertrude, nel tm^iare, non aveva troppa v(^ia di discorrere. Spa-
ventata del passo che aveva fatto , vergognosa della sua dappocag-
gine , indispettita contro gli altri e contro sé stessa , faceva Irisla-
meole il conto dell' occasioni , che le rimanevano ancora di dir di
no; e prometteva deboUnente e confusamente a sé slessa che, in
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questa, 0 in quella, o in quell'altra, sarebbe più destra e più forte.
Con (ulti questi pensieri , non le era però cessato aflalto il terrore
di quel cifMglio dei padre; talché, quando, con un'occhiata datali alla
sfuggita, potè chiarirsi che sul volto di lui non c'era più alcun ve-
stigio di collera, quando anzi vide che sì mostrava soddisfatlìssimo di
lei, le parve una bella cosa, e fu, per un istante, tutta contenta.
Appena arrivati, bisognò rivestirsi e rilisciarsi; poi il desinare, jioi
alcune visite, poi la Irotlala, \mì la conversazione, poi la cena. Sulla (Ine
di questa, il principe mise in campo un altro affare, la scelta ddla
madrina. Cosi si chiamava una dama, la quale, pr^ata da' genitori,
diventava custode e scoria della giovane monacanda, nel tempo tra la
rii^iiesta e l'entratura nel monastero; tempo che veniva six>so in visi'
(ar le chiese, i palazzi pubblici, le conversazioni, le ville, i santuari:
tutte le cose in somma più notabili della città e de' contorni; affinchè
le giovani , prima di proferire un voto irrevocabile, vedessero bene a
cosa davano un calcio, u Bisognerà pensare a una madrina , n disse
il principe : " perchè domani verrà il vicario ddle monache, per la
formalità dell'esame, e subito dopo, Gertrude verrà proposta in capi-
tolo, per esser accettala dalle madri. » Nel dir questo, s'era voltato
verso la principessa; e questa , credendo che fosse un invilo a pro-
porre , cominciava : « ci sarebbe n Ma il prìncipe interruppe:
"No, no, signora principessa: la madrina deve prima di tutto piacere
dia sposina ; e bcn(;hè I' uso universale dia la scelta ai parenti, pure
Gertrude ha tanto giudizio, tanta assennatezza, che merita bene che si
faccia un' eccezione per lei. n E) qui , voltandosi a Gertrude, in atto di
citi annunzia ima grazia singolare, continuò: « ognuna delle dame che
si son trovale questa sera alla conversazione, ha quel che si richiede
per esser madrina d'una lìglia della nostra casa; non ce n' è nessuna,
crederei, che non sia per tenersi onorata della preferenza: sc^liete voi. »
Gertrude vedeva bene che far questa scella era dare un nuovo con-
senso; ma la proposta veniva fatta con tanto apparalo, che il rifiuto,
per quanto fosse umile , poteva parer disprezzo , o almeno capriccio
e leziosa^ine. Fece dunque anche quel passo; e nmninò la dama che,
in quella sera, le era andata più a genio; quella cioè che le aveva fallo
più carezze, die l'aveva più lodata, che l'aveva trattala con quelle
muùere famigliari , affettuose e premurose , che , ne" primi momenti
d'una conoscenza, contraffanno im* antica amicizia. « Ottima scelta, »
disse il principe, che desiderava e aspettava appunto quella. Fosse
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I«s I PROMESSI SPOSI
arte o caso , era avvenuto come quando il giocalor di bussolotti Ta-
cendovi scorrere davanti agli occhi le carte d' un mazzo, vi dice
die ne pensiate una , e lui [loi ve la indovinerà } ma le ha fatte
scorrere in maniera che ne vediate una sola, Quella dama era slata
tanto intomo a Gertrude tutta la sera, I' aveva tanto occupata di eé ,
che a questa sarebbe bisognato uno sforzo dì fantasia per pensarne
un'altra. Tante premure poi non cran senza motivo; la dama aveva,
da molto tempo, messo gli occhi addosso al principino, per farlo suo
genero : quindi riguardava le cose di quella casa come sue proprie ;
ed era ben n&lurale che »' interessasse per quella cara Gertrude ,
niente meilo de' suoi parenti più prossimi.
n giorno dopo, Gertrude si svegliò col pensiero dell'esaminatore che
doveva venire; e mentre stava ruminando se potesse cogliere quella
occasione cosi decisiva, per tornare indietro, e in qual maniera, il prìn-
cipe la fece chiamare. « Orsù, tlgliuola, « le disse : « finora vi siete por-
tala egregiamente: oggi si tratta di coronar l'opera. Tutto quel che
s'è (ktto finora, s'è fatto di vostro consenso. Se in questo tempo vi
fosse nato qualche dubbio, qualche pentimentuccJo, grilli di gioventù,
avreste dovuto spiegarvi; ma al punto a cui sono ora le cose, non
è più tempo di far ragazzate. Queir uomo dabbene che deve venire
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stamattina, vi farà cento domande sulla vostra vocazicme: e so vi fate
monaca di vostra volontà, e il perchè e il per come, e che so io? Se
voi titubate nel rispondere , vi terrà sulla corda chi sa quanto. Sa-r
rebbe un' uggia, un tormento per voi; ma ne potrebbe anche ve^
Dire un altro guaio più serio. Dopo tutte le dimostrazioni pidibliche
che si son fatte , ogni più pìccola esitazione che si vedesse in voi ,
metterebbe a repentaglio il mio onore , potrebbe far credere eh' io
avessi presa una vostra leggereeza per una ferma risoluzione , che
avessi precipitato la cosa, che avessi che so io?ln questo caso, mi
troverei nella necessità di scef^iere tra due partiti dolorosi: o lasciar
che il mondo formi mi tristo concetto ddla mia condotta: partilo che
non può stare assolutamente con ciò che devo a me stesso. 0 sve-
lare il vero motivo della vostra risoluzitme e . . . . « Ma qui, vedendo
che Gertrude era diventala scarlatta , che le si gonfiavan gli occhi ,
e il viso si contraeva, come le figlie d'un flore, nell'afa che precede
la burrasca, troncò quel discorso, e, con aria serena, riprese : " via,
via, tutto dipende da voi, dal vostra giudizio. So che n'avete molto,
e non siete ragazza da guastar sulla fine una cosa falla bene; ma io
doveva preveder tutti i casi. Non se ne parli più ; e restiam d' ac-
cordo che voi risponderete con franchezza, in maniera di non far na-
scer dubbi nella testa di quel!* uomo dabbene. Cosi anche voi ne sa-
rete fuori più presto. » E qui , dopo aver suggerita qualche risposta
all' inteiTOgazioni più probabili, entrò nel solito discorso delle dolcezze
e de' godimenli eh' eran preparali a Gertrude nel monastero ; e la
trattenne in quello, fin ehe venne un servitore ad annunziare il vica-
rio, n principe rinnovò in fretta gli avvertimenti più importanti, o
lasciò la figlia sola con lui , com' era prescritto.
L' uomo dabbene veniva con un po' d' opinione già fatta che Ger-
bude avesse una gran vocazione al chiostro : perchè così 01 aveva
detto il principe, quando era stato a invitarlo. È vero che il buon
prete, il quale sapeva che la diffidenza era una delle virtù più nece»>
sane nel suo uflzio , aveva per massima d' andar adagio nel credere
a simili proteste, e di stare in guardia contro le preoccupazioni; ma
beo di rado avviene che le parole affermative e sicure d'una persona
autorevole , in qualsivoglia genere , non tingano del loro colore la
mente di chi le ascolta.
Dopo i primi complimenti, « signorina, » le disse, " io vengo a
far la parte del diavolo; vengo a mettere in dubbio ciò che, nella sna
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1 pnoiiEssi SPOSI
I
supplica lei tia dalo per cerio; vengo a metterle davanti agli ocelli le
difficoltà, e ad accOTtarmi se le ha ben considerate. Si c(mtenti eh' io
le faccia qualche interrogazione, n |
« Dica pure , " rispose Gertrude. |
Il buon prete comincila allora a internarla, nella forma prescrìtta '
dalle regole. " Sente lei in cuor suo una libera , spontanea ris^du- !
zione di farsi monaca ? Non sono state adoperale minacce , o lusin-
ghe ? Non s* è fallo uso dì nessuna autorità , per indurla a questo ? 1
Parli senza riguardi , e con sincerità , a un uomo il cui dovere è di i
conoscere la sua vera vtdontà , per impedire die non le v^ga usala |
violenza in nessun modo. » 1
La vera risposta a una tale domanda s' affacciò subilo alla mente
di Gertrude, con un' evidenza terribile. Per dare quella risposta , bi-
sognava venire a una spiegazione , dire di che era stata minacciala , i
raccontare una storia L'infelice rìfi^gi spaventata da questa idea; ;
cercò in fretta un' altra risposta ; ne trovò una sola che potesse libe-
rarla presto e sicuramente da quel supplizio, la più contraria al vero.
u Mi fo monaca, » disse, nascondendo il suo turbamento, « mi fo
monaca, di mio genio, lìberamente, n
- Da quanto temi» '^^ "*'» «xl»'» iwnsiero? - domandò ancora
il buon prete.
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«L'ho sempre avuto, » rispose Gertrude, divenula, dopo quel
primo passo, più franca a mentire contro sé stessa.
" Ma quale è II motivo prineipale die la induce a farsi monaca? »
Il buon prete non sapeva che terribile tasto toccasse ; e Gertrude
si fece una gran forza per non lasciar trasparire sul viso l'effetto die
quelle parole le producevano nell'animo. ".Il motivo, » disse, « è di
servire a Dio, e di fuggire ì pericoli del mondo, t
" Non sarebbe mai qualche disgusto ? qualche mi scusi
capriccio? Alle volte , una cagione momentanea può fare un' impres-
sione che par che deva durar sempre; e quando poi la cagione cessa,
e l'animo si mula , allora »
" No , no , » rispose precipitosaniente Gertrude : « la cagiope è
quella che le ho detto. »
U vicario , più per adempire interamente il suo obbligo , che per
la persuasione che ce ne fosse bisogno, insistette con le domande; ma
Gertrude era determinata d' ingannarlo. Oltre il ribrezzo che le ca-
gionava il pensiero di render consapevole della sua debolezza quel
grave e dabben prete , che pareva così lontano dal sospettar tal cosa
iti lei ; la poverella pensava poi anche eh' egli poteva bene impedire
che si dicesse monaca ; ma li flniva la sua autorità sopra di lei , e la
sua protezione. Parlilo che fosse , essa rimarrebbe sola col prin-
cipe. E qualunque cosa avesse poi a patire in quella casa , il buon
prete non n' avrebbe saputo nulla , o sapendolo , con tutta la sua
buona intenzione, non avrebbe potuto (ar altro che aver compassione
di lei, quella compassione tranquilla e misurata, che , in generale,
s'accorda, come per cortesia, a dii abbia dato cagione o pretesto al
male che gli hnno. L' esaminatore fu prima stanco d' interrogare, che
la sventurata di mentire: e, sentendo- quelle risposte sempre conformi,
e non avendo ateun motivo di dubitare della loro schiettezza, mutò
Analmente linguaggio; si rallegrò con lei, le chiese, in certo modo,
scusa d'aver tardato tanto a far questo suo dovere; aggimise ciò che
credeva più atto a confermarla nel buon proposito; e si licenziò.
Attraversando le sale per uscire, s'abbattè nel prìncipe, il quale
pareva che passasse di là a caso ; e con lui pure si congratulò delle
buone disposizioni in cui aveva trovata la sua figliuola. U prìncipe
era stato fhio allora in una sospensione molto penosa : a quella no-
tizia, respirò, e dimenlicimdo la sua gravità consueta, andò quasi di
corsa da Gertrude , la ricobnò di lodi , di carezze e di promesse »
Digitizf^riiiyGoOgle
I PROMESSI SPOSI
con un giubilo cordiale , con una tenerezza in gran parie sincera :
cosi fatto è questo guazzabuglio del cuore umano.
Noi non seguiremo Gertrude in quel giro continuato di spettacoli
e di divertimenti. E neppure descriveremo, in particolare e per or-
dine, i sentimenti dell' animo suo in lutto quel tempo: sarebbe una
storia di dolori e dì fluttuazioni , troppo monotona , e troppo somi-
gliante alle cose già dette. L' amenità de' luoghi , la varietà degli og-
getti, quello svago che pur trovava nello scorrere in qua e in là al-
l' aria aperta , le rendevan più odiosa l' idea del luogo dove alla fine
si smonterebbe per 1' ultima volta, per sempre. Più pungenti ancora
eran l' impressioni che riceveva ndle conversazioni e nelle feste. La
vista delle spose alle quali si dava questo titolo nel senso più ovvio e
più usilalo , le cagionava un' invidia , un rodimento intollerabile ; e
talvolta l'aspetto di qualche altro personaggio le faceva parere che, nel
sentirsi dare quel titolo, dovesse trovarsi il colmo d'ogni felicità. Tal-
volta la pompa de' palazzi, lo splendore degli addobbi, il brulichio e il
fracasso giulivo delle feste, le comunicavano un'ebbrezza, un ardor
(ale di viver lieto, che prometteva a sé slessa di disdirsi, di soffrir
tutto , piuttosto che tornare all' ombra fredda e morta del chiostro.
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Ma tutte quelle rÌ9(duzionì sTumavano alla considerazione più riposata
delle diflScoltà , al solo Bssar gli oeehi io viso al prìncipe. Talvolta
andie, il pensiero di dover abbandonare per sempre que' godimenti ,
{^iene rendeva amaro e penoso qud piccol saggio; eome l'infénnoas'
sciato guarda eon rabbia , e quasi rispinge con dispetto il cucchiaio
d'acqua che il medico gli concede a fatica. Intanto il vicario delle mo-
nache ebbe rilasciala l' attestazione necessaria , e venne la licenza di
lenere il capitolo per )' accettazione di Gertrude. Il capitolo si tenne ;
«mcorsero, com'era da aspettarsi, i due terzi de'voti segreti ch'eran
ridiiesti da' regolamenti ; e Gertrude fu accettata. Lei medesima ,
stanca di quel lungo strazio, chiese allora d'entrar più presto che fos-
se possibile, nel monastero. Non c'era sicuramente chi volesse (renu%
una tale impazienza. Fu dunque fatta la sua volontà ; e , condotta
pomposamente al monastero, vesti l'aiuto. Dopo dodici mesi di novi-
ziato, pieni di pentimenti e di rìpentimenti, si trovò al momento della
professione, al momento cioè in cui conveniva, o dire un no più stra-
no , più inaspettalo , più scandaloso che mai , o ripetere un si tante
volle detto ; lo ripetè, e fu m<Hiaca per sempre.
É una delle bcoltà singolari e incomunicabili della religione cri-
stiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia con-
giuntura, a qualsivoglia tennine , ricorra ad essa. Se al passato c'è
rimedio , essa Io prescrive , lo somministra , dà lume e vigore per
metterlo io opera, a qualtuique costo; se non c'è, essa dà il modo di
lar reabnente e in elTetto, ciò che si dice in proverbio, di neces-
sità virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò eh' è stato intrapreso
per leggerezza ; piega 1' animo ad abbracciar con propensione ciò
che è stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu teme-
raria, ma che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la saviezza, di-
ciìunolo pur francamente, tutte le gioie della vocazione. È una strada
cosi fatta che, da qualunque laberinto, da qualunque precipizio, l'uomo
capiti ad essa , e vi faccia un passo , può d' allora in poi camminare
eoa sicurezza e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine.
Con questo mezzo, Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa
e contenta, comunque lo fosse divenuta. Ma l' infelice si dibatteva in
vece sotto il ffog/o, e cosi ne sentiva più forte il peso e le scosse.
Un rammarico incessante della libertà perduta, l' abborrimenlo dello
stato presente, un vagar faticoso dietro a desidèri che non sarebbero
mai soddisfatti, tali erano le principali occupazioni dell'animo suo.
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I pnOMESSI SPOSI
Rimasticava quel!' amaro passato, ricomponeva nella memoria (ulte le
circostanze per le quali sì trovava lì; e disfaceva mille volle inulil-
mente col pensiero ciò che aveva fatto con l'opera; accusava sé di
dappocaggine , altri di tirannia e di perfìdia ; e si rodeva. Idtdalrava
insieme e piangeva la sua bellezza, deplorava una gioventù destinata
a struggersi in un lento martirio , e invidiava , in certi momenlj ,
qualunque donna , in qualunque condizione , con qualunque eoscicn*
za, polesse liberamente godersi nel mondo que'doni.
La vista di quelle monache che avevan tenuto di mano a liraria
là dentro , le era odiosa. Si ricordava 1' arti e i raggiri che avevan
messi in opera, e le pagava con tante sgarbatezze, con tanti dispetti,
e anche con aperti rinfacciamcnti. A quelle conveniva le più volte
mandar giù e tacere : perchè il principe aveva ben voluto tiranneg-
giar la figlia quanto era necessario per ispingerla al chiostro ; ma ot-
tenuto r intento , non avrebt>e così facilmente sofferto cite altri pre-
tendesse d' aver ragione contro il suo sangue : e ogni po' di rumore
che avesser fatto, poteva esser cagione di far loro perdere qudla gran
protezione, o cambiar per avventura il protettore in nemico. Pare che
Gertrude avrebbe dovuto sentire una eerta propensione per l' altre
suore, che non avevano avuto parte in quegi' intrighi, e che, senza
averla desiderala per compagna, l'amavano come tale; e pie, occupate
e ilari, le mostravano col loro esempio come anche là dentro si potesse
non solo vivere, ma starci bene. Ma querfte pure le erano odiose, per
un altro verso. La loro aria di pietà e di conlentezza le riusciva come
un rimprovero della sua inquietudine, e della sua condotta bisbetica;
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e non lasciava sfuggire occasione di deriderle dietro le spalle, come
pinzochere , o di morderle come ipocrite. Forse sarebbe stala meno
avversa ad esse, se avesse sapulo o indovinalo che le poche palle
nere, trovale nel bossolo che decise della sua accettazione, c'erano
ai^UDto state messe da quelle.
Qualche consolazione le pareva talvolta di trovar nel comandare ,
neir esser corteggiata in monastero, nel ricever visite di complimento
da persone di fuori, nello spuntar qualche ibipegno, nello spendere
la sua protezione , nel sentirsi chiamar la signora ; ma quali consola-
zioni ! D cuore, trovandosene cosi poco appagato , avrebbe voluto di
quando ìd quando aggiunger\-i , e goder con esse le consolazioni della
religione; ma queste non vengono se non a chi trascura quell' altre .-
cwne il naufrago , se vuole afferrar la tavola che può condurlo in
salvo sulla riva, deve pure allargare il pugno, e abbandonar l'alghe,
che aveva prese, per una rabbia d' istinto.
Poco dopo la professione , Gertrude era stala fatta maestra dell' e-
ducvide; ora pensate come dovevano slare quelle giovinette, sotto
una tal disciplina. Le sue antiche confidenti eran tutte uscite; ma lei
serbava vive tutte le passioni di quel tempo; e, in un modo o in un
altro, l'allieve dovevan portarne il peso. Quando le veniva in mente
ebe molle di loro eran destinate a vivere in quel mondo dal quale essa
era esdusa per sempre, provava contro quelle poverine un astio, un
desiderio quasi di vendetta; e le teneva sotto, le bislrallava, fticeva
>y,GoogIe,
3 10 I PROMESSI SPOSI
loro sccmlare antìcipalamenle i piaceri che avrebbcr goduti un giorno.
Chi avesse sentito, in que' momenti, con ebe sdegno magistnde le gri-
dava, per ogni piccola scappatella, l'avrebbe creduta una d(Hina d'una
spirilualilà salvatica e indiscreta. In altri momenti , lo slesso orrore
per il chiostro, per la regola, per l'ubbidienza, scoppiava in aoeessi
d'uinore tulio opposto. Allora, non solo sopportava la svagatezza cla-
morosa delle sue allieve, ma l'eccitava; si mischiava ne' loro giochi,
e li rendeva più sregolati; entrava a parte de' loro discorsi, e li ^io'
geva più in là dell' intenzioni con le quali esse gli avevano inoomìn-
dati. Se qualcheduna diceva una parola sul cicalio della madre bades-
sa, la maestra lo imitava Imigamente, e ne faceva una scena di com-
media ; contraffaceva il volto d' una monaca , I' andatura d' un' altra :
rideva allora sgangheratamente ; ma eran risa che noa la lasciavano
più allegra di prima. Così era vissuta alcuni anni , non avendo co-
modo , né occasione dì far di più ; quando la sua disgrazia volle che
un' occasione si presentasse.
Tra r altre distinzioni e privilegi che le erano stali concessi ,
per compensarla di non poter esser badessa, c'era anche qudlo di
slare in un quartiere a parie. Quel iato del monastero era contiguo
a una casa abitata da un {Rovine , scdln^to di .'professione , uno de'
tanti, che, in que' tempi, e co' loro sgherri, è con l'alleanze d'altri
scellerati , potevano , lino a un certo segno , rid«^i della forza pub-
blica e delle leggi. U nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza par- '
lar del casato. Costui , da una sua flnestrìna che dominava un corti-
letto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare
o girandolar lì, per ozio, allettalo anzi che atterrito dai pericoli e dal-
l' empietà dell' impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La svffl-
lurata rispose.
In que' primi momenti , provò una contentezza , non schietta al
eerto, ma viva. Nel vóto uggioso dell'animo suo s'era venuta a in-
fondere un'occupazione forte, continua e, direi qua», una vita po-
lente ; ma quella contentezza era simile alla bevanda ristorativa cèe
la crudeltà ingegnosa degli antichi mesceva al condannato, per dai^i
forza a sostenere i tormenti. Sì videro, nello stesso tempo, di gran no-
vità in tutta la sua condotta: divenne, tuli' a un tratto, più regolare,
più tranquilla, smesse gli schemi e il brontolio, si mostra anzi ca-
rezzevole e mani^'osa , dimodoché le suore » rallegravano a vicenda
dd cambiamento felice ; lontane eom' erano dall' immaginarne il vero
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CAPITOLO X. SII
HWtivo, e dal comprendere che quella nuova virlù non era altro cUe
ipocrisìa agf^unla all' antiche magagne. Queir apparenza perù, quella ,
per dir così, imbiancatura esteriore, non durò gran tempo, almeno con
quella continuità e uguaglianza: ben presto tornarono in campo i so-
lili dispetti e i soliti capricci, tornarono a farsi sentire l' imprecazioni
e gli scherni contro la prigione claustrale, e talvolta espressi in un lin-
guaggio insolito in quel luogo, e anche in quella bocca. Però, ad t^nuna
di queste scappate veniva dietro un pentimento, una gran cura di farle
dimenticare, a forza di moine e buone parole. Le suore sopportavano
alla meglio tutti questi alt' e bassi, e gli attribuivano all' indole bisbe-
tica e leggiera della signora.
Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse più in là; nia
un giorno che la signora, venuta a parole con una conversa, per non
so che pettegolezzo, si lasciò andare a maltrattarla fuor di modo, e non
la Qniva più, la convei-sa, dopo aver sofferto, ed essersi morse le lab-
bra un pezzo, scappatale finalmente la pazienza, buttò là una parola,
che lei sapeva qualdie cosa, e che, a tempo e luogo, avrebbe parlalo.
Da quel momento in poi, la signora non ebbe più pace. Non passò però
mollo tempo, che la conversa fu aspettala in vano, una mattina, a' suoi
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SIS 1 PR0UES8I SPOSI
ulìzi raosueti: si va a veder nella sua cella, e non si (rova: è chia-
mala ad alta voce; non risponde: cerca dì qua, CCTCa dì là, gira e
rigira, dalla cinta al fondo; non c'è in nessun luogo. E ehi sa quali
congetture si sarebber falle, se, appunto nel cercare, non si fosse sco-
perto una buca nel muro dell' orto; la qual cosa fece pensare a tulle,
che fosse sfrattata di là. Si fecero gran ricerche in Monza e ne' con-
torni^e principalmente a Meda, di dov'era qudla conversa; sì sarìsse
in ^'a^ie parti: non se n'dbbe mai la più piccola notizia. Forse se ne
sarebbe potuto saper di più, se, in vece di cercar lontano, sì fosse
scavalo vicino. Dopo molte maraviglie, perchè nessuno l'avrebbe cre-
duta capace di ciò, e dopo molti discorsi, si concluse che doveva es-
sere andata lontano, lontano. E perché scappò dello a una suora: « s' è
rifugiata in [Olanda di sicuro, » si disse subito, e si ritenne per un
pezzo, nel monastero e fuori , che si fosse rifugiala in Olanda. Non
pare però che la signora fosse di questo parere. Non già die nu>-
strasse di non credere, o combattesse l'opinion comune, con sue ra-
gioni particolari: se ne aveva, cerio, ragioni non furono mai cosi ben
dissimulale; né e' era cosa da cui s' astenesse più volentieri che da
rimestar quella storia, cosa di cui si cwasse meno che di toccare il
fondo di quel mistero. Ma quanto meno ne parlava, tanto più ci pen-
sava. Quante volte al giorno l' immagine di quella donna veniva a cac-
ciarsi d'improvviso nella sua mente, e si piantava li, e non voleva
moversi! Quante volle avrebbe desiderato di vedersela dinanzi viva e
reale, piuttoslo che averta sempre fissa nel pensiero, piuttosto che do-
ver trovarsi, giorno e notte, ìn compagnia di quella forma vana, terri-
bile, impassibile ! Quante ^'olte avrebbe voluto sentir davvero la voce
di colei, qualunque cosa avesse potuto minacciare, piuttosto che aver
sempre neir intimo dell'orecchio mentale il susurro fantastico di quella
stessa voce, e sentirne parole ripetute con una pertinacia, con un'in-
sistenza infaticabile, che nessuna persona vivente non ebbe mai !
Era scorso circa un anno dopo quel fatto, quando Lucia fu pre-
sentala alla signora, ed ebbe con lei quel ciriloquio al quale siam ri-
masti col racconto. La signora moltiplicava le domande intomo alla
persecuzione di don Rodrigo, e entrava in certi particolari , con una
intrepidezza, che riusci e doveva riuscire più che nuova a Lucia,
la quale non aveva mai pensato che la curiosità delle monaclkc po-
tesse esercitarsi intorno a simili argomenti. I giudizi poi che quella
frammischiava all' interrogazioni , o che lasciava trasparire, non eran
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CAPITOLO X. SII
meno strani. Pareva quasi che ridesse del gran ribrezzo che Lucìa
aveva sempre avuto dì quel signore, e domandava se era un mostro,
da far lanla paura : pareva quasi che avrebbe trovato irragionevole e
sciocca la ritrosia della giovine , se non avesse avuto per ragione la
preferenza data a Renzo. E su questo pure s' avanzava a domande,
che Tacevano stupire e arrossire l'interrogata. Avvedendosi poi d'aver
troppo lasciala correr la lingua dietro agli svagamenti del cervello ,
cercò di corrèggere e d' Interpretare in meglio qudle sue ciarle ; ma
non potè fere che a Lucia n<m ne rimanesse uno stupore dispiace-
vi^, e come un confuso spavento. E appena potè trovarsi sola con
la madre , se n' apri con lei ; ma Agnese , come più esperta , sciolse,
con poche parole, tutti que' dubbi, e spiegò tutto il mistero. <• Non le
ne far mara^ig^ia, " disse: u quando avrai conosciuto il mondo quanto
me, vedrai che non son cose da farsene maraviglia. 1 signori, chi pili,
chi meno , chi per un verso , chi per un altro , ban tutti un po' del
mallo. Convien lasciarti dire, principalmente quando s' ha bisogno di
loro; far vista d'ascollarìi sul serio, come se dicessero delle cose giu-
ste. Hai sentilo come m'ha dato sulla voce, come se avessi detto qual-
che gran sproposito? Io non me ne son fetta caso punto. Son lutti cosi.
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114 I PROMESSI SPOSI
E con lutto ciò, sia ringraziato il cielo, cbe pare cbe questa signora
t' aU)ia preso a beo volere , e voglia proteggerci davvero. Del resto ,
se camperai , figliuola mia , e se t' accaderà ancora d' aver die fare
con de' signori , ne sentirai, ne sentirai , ne sentirai. »
Il desiderio d' obbligare il padre guardiano, la compiacenza di prò-
te^re , il pensiero del buon concetto cbe poteva (ruttare la prole*
zione impiegala cosi santamente , una certa inclinazione per Lucia, e
anche un ch'Io si^ievo nel far dei bene a una creatura innocente, nel
soccorrere e consolare oppressi, avevan realmente disposta la signora
a prendersi a petto la sorte delle due povere fuf^tive. A sua richie-
sta], e a suo riguardo, furono alloggiate nel quartiere della fattoressa
attiguo al chiostro , e trattale come se fossero addette ti servizio dd
monastero. La madre e la fij^ia si rallegravano insieme d' aver tro-
vato cosi presto un asilo sicuro e onorato. Avrebber anche avuto
nuÀUt piacere di rimanervi ignorate da ogni persona; ma la cosa non
era facile in un monastero : tantn più che e' era un uomo troppo pre-
mun^o d' aver notizie d' una di loro , e nel!' animo del quale , alla
passione e alla picca di prima s'era aggiunta anche la stizza d'essere
stalo prevenuto e deluso. E noi, lasciando le donne nel loro ricovero,
torneremo al palazzotto di costui , neH* ora in cui slava altendendo
l'esito della sua scellerata spedizione.
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le un branco di segugi ,
dopo aver inseguita in-
vano una.lepre, tornano
inortiiìcali verso il padro-
ne, eo' musi bassi, e con le
code ciondoloni , così , in
quella scompigliata notte,
tornavano i bravi al pa-
lazzotto di don Rodrigo.
Egli camminava innanzi e
indietro, al buio, per una
stanzaccia disabitata dell'ultimo piano, che rispondeva sulla spianata.
Ogni tanto si fermava , tendeva l' orecchio , guardava dalle fessure
dell' imposte intarlate , pieno à' impazienza e non privo d' inquie-
tudine , non solo per l' incertezza della riuscita , ma anebe per le
cons^^enzc possibili ; perchè era la più grossa e la più arrischiata a
cui il brav' uomo avesse ancor messo mano. S' andava però rassicu-
rando col pensiero delle precauzioni prese per distrugger gì' indizi, se
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9lt) I PROUESSI SPOSI
non i sospelli — In quanto ai sospelti, — pensava — mene rido. Vor-
rei un po' sapere rhi sarà quel voglioso die venga quassii a vedo-
se c'è 0 non .c'è una ragazza. Venga, venga quel tanghero, die sani
ben ricevuto. Venga il frate, venga. La vecchia? Vada a Bergamo la
vecchia. La giustizia ? Poh la giustizia ! U podestà non è un ragazzo,
né un malto. E a Alilano ? Chi si cura di costoro a Milano ? Chi gli
darebbe retta? Chi sa che ci siano? Son come gente perduta sulla
ferra; non hanno né anche un padrone: genie di nessuno. Via, via,
niente paura. Come rimarrà Attilio, domattina! Vedrà, vedrà s'io io
ciarle o fatti. E poi se mai nascesse qualche imbroglio che
so io? qualche nemico che volesse cogliere quest'occasione, . . . anche
Attilio saprà consigliarmi : e' è impegnato l' onore di tutto il paren-
tado. — ' Ma il penderò sul quale d fermava di più, perché in esso
trovava insieme un acquietamento de' dubbi, e un pascolo alla pas-
sion principale , era il pensiero delle lusinglie , delle promesse che
adoprerebbe per abbonire Lucia. — Avrà tanta paura di trovarsi
qui sola , in mezzo a costoro , a queste facce , che il viso più
umano qui son io, per bacco. . . che dovrà ricoirere a me, toccherà
a lei a pregare ; e se prega ... —
Mentre la questi bei conti, sente un calpestio, va alla finestra, apre
un poco, fa capolino; son loro. — E la bussola? Diavolo! dov'è la
biissola?Tre, cinque, otto: ci son lutti; c'è anche il Griso; la bussola
non <r' è: diavolo! diavolo! il Griso me ne renderà conto. —
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CAPITOLO XI. -IIT
Strati che furono, il Griso posò in un angolo d'una slunza ler-
rou il suo bordone , posò il cappellaccio e il sanrocchino , e , come
richiedeva la sua carica, che in quel momento nessuno gì' invidiava,
sdì a render quel conto a don Rodrigo. Questo l' aspettava in cima
alla scala ; e vistolo apparire con quella gofla e sguaiata presenza dd
birtMne deluso, » ebbene, » gli disse, o gli gridò: " signore spac-
cone, signor capitano, signor laacifareatne? n
u h' è dura, n rispose il Griso , restando con un piede sul primo
scalino, » l'è dura di ricever de* rimproveri, dopo aver lavorato
fedeUnenle , e cercato dì fare il proprio dovere , e arrischiata anche
la pelle. »
<• Com'è andata? Sentiremo, sentiremo, » disse don Rodrigo, e
i^ avviò verso la sua camera , dove il Griso lo segui, e fece subito la
relazione di ciò che aveva disposto, fatto, veduto e non veduto, sen-
tito, temuto, riparato; e la fece con quell'ordine e con quella confn-
sione, con quella dubbiezza e con quello sbalordimento, che dovevano
per forza regnare insieme nelle sue idee.
« Tu non bai torto, e ti sei portato bene, » disse don Rodrigo :
u hai fotto qudlo che si poteva; ma.... ma, ohe sotto questo tetto
ci fosse una spia ! Se e' è , se lo arrivo a scoprire , e lo scopriremo
se e' è , te raccomodo io; ti so dir io, Griso, che lo concio per il di
delle feste. »
« Anche a me, signore, » disse il Griso, » è passato per la mente
un tal sospetto : e se fosse vero, se s! venisse a scoprire un birbone
di questa sorte, il signor padrone Io deve metter nelle mie mani. Uno
che si fosse preso il diverlimenlo di farmi passare una notte come
questa ! toccherebbe a me a pagarlo. Però, da varie cose ra'è parso
di poter rilevare che ci dev' essere qualche altro intrigo, die per ora
non si può capire. Domani, signore, domani se ne verrà in chiaro. "
" Non siete stali riconosciuti almeno ? »
Il Griso rispose che sperava di no ; e la conclusione del discorso
fu che don Rodrigo gli ordinò, per il giorno dopo. Ire cose dte colui
avreUie sapute ben pensare anche da se. Spedire la inaltiiia presto
due nomini a fare al console quella lale intimazione , che fu poi
fatta , come abbiam veduto; due altri al casolare a far la ronda , per
tenerne lontano ogni ozioso che vi capitasse , e sottrarre a ogni
sguardo la bussola fino alla notte prossfana, in cui si ntanderebl)e a
prenderia ; giacché per allora non conveniva fare altri movimenti da
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iifl I rnoMEssi SPOSI
dar 50S|>el(o; andar |>oi lai, e mandai'e anche altri, de' più distinvolti e
di buona (csla, a mescolarsi con la gente, per scovar qualcosa intorno
all'imbroglio di quella notte. Dati tali ordini, don Rodrigo se n'andò
a dormire, e ci lasciò andare anche il Griso, congedandolo con molte
lodi, dalle quali traspariva evidentemente l' intenzione di risarcirlo de-
gl' improperi prcciptiati coi quali lo aveva accollo.
Va a doriiiire, povero Griso, che tu ne de>'i aver bisi^^. Povero
Griso! In faccende tulio il giorno, in faccende mezza la noKc, senza
conlare il pericolo di cader sodo 1' unghie de' villani , o di buscarti
una taglia per rapto di donna konetta, per giunta di quelle ctie hai
già addosso ; e poi esser ricevuto in quella maniera ! Ma ! cosi pagano
spesso gli uomini. Tu hai però potuto vedere, in questa circostanza, che
qualdie volta la giustizia, se non arriva alla prima, arriva, o presto o
lardi anche in questo mondo. Va a doraiire per ora : ohe un giorno
avrai forse a somministrarcene un'altra prova, e più notabile di questa.
La mattina seguente, il Griso era fuori di nuovo in (accende ,
quando don Rodrigo s'aitò. Questo cercò subito del conte Allilio, il
quale, vetlcndolo spuntare, foce un viso e un atto canzonatorio, egli
gridò : " san Mari ino ! >-
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CAPITOLO \I. Sto
u NoD SU cosa vi dire, " rispose don Rotkigo, airi^aiidogli ae-
i^iU) : " ])agherò la scommessa ; ma non è questo quel clic più ini
scolla. Non v' avevo dello nulla, perchè, lo confesso, pensavo di farvi
l'iflianere s(aniaU»ia. Ma.... basta, ora vi racconlerò tutto.
u Ci Ita messo uno zampino quel frate in quest' affare, " disse il
cm;Ìno , dopo aver sentito lutto , con più serietà clie non si sa-
r^be aspedalo da un cervello cosi balzano. « Quel frale, n conti-
nuò , u con quel suo fare di galla morta , e con qudle sue proposi-
zioni sciocche, io l' bo ]H:r un dirittone, e |)cr un impiccione. E voi
Doo vi siete fidalo di me, non ni'a\'ete mai dello eliiaro cosa sia ve-
nuto qui a impastocchiarvi 1' altro giorno. » Don Rodrigo riferì il
dialogò. « E voi avete avuto lanla soflerenza? » esclamò il conte At-
tilio: « e l'avete lasciato andare com'era venuto? »
« Gbe volevate ch'io mi tirassi addosso tulli i cappuccini d'Ita-
lia? ^
u Non so, ri disse il eonle Allilio, u se, in quel momento, mi saR'i
rieordato che ci fossero al mondo altri ca]>puccini che quel teuierai'io
birbante; ma via, anelie nelle regole della ))rudenza, manca la ma-
niera di prendersi soddisfazione anche d' un cappuccino? Bisogna sa-
per raddoppiare a tempo le gentilezze a tulio il corpo , e allora si
può impunemente dare un carico di bastonale a un membro. Basta ;
ba scansalo la punizione che gli slava più bene; ma lo prendo io solto
la mia prolezione, e voglio aver la consolazione d'insegnargli come si
parla co' pari nostri. "
" Non mi tale peggio, n
^ Fidatevi una volta , che ^i servirò da parente e da amico. »
" Cosa pensate di lare ? »
u Non Io so ancora ; ma lo servirò io di sicuro il frate. Gì pense-
rò, e..,, il signor ooale zio del Consilio spreto e lui che mi deve
lare il servizio. Caro signor conte zio! Quanto mi diverto ogni vtdta
che lo posso far lavorare per me, un politicone di quel calibro! Do-
man l'idtro sarò a Milano, e, in una maniera o in un'altra, il frate
sarà servito. «
Venne intanlo la colazione , la quale non interruppe il discorso
d* un aflare di quell'importanza. Il conte Attilio ne parlava con disii:-
vullura; e, sebbene ci prendesse quella irarte che richiedeva la sua
amicizia per il cugino, e l'onore del nome eomimc, secondo le idee
che aveva d'amicizia e d'onore, pure ugni latito non |ioleva tenersi
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tso < PROIIF^I SPOSI
di non rider sotto i baffi, di quella bella riuscita. Ma don Rodrigo,
ch'era in causa propria, e che, credendo di far quietamente un gr»i
colpo, gji er» andato fallito con fracasso, era agitato da passioni più
gravi, e distratto da pensieri più fastidiosi. « Di belle ciarle, « di-
ceva, u faranno questi mascalzoni, in lutto il contorno. Ma che m'im-
porta? Inquanto alla giustizia, me ne rido: prove non ce n'è; quando
ce ne fosse, me ne riderei ugualmente : a buon confo, ho fallo sta-
mattina avvertire il console che guardi bene di non far deposizione
dell' avvenuto. Non ne Bruirebbe nulla; ma le ciarle, quando vanno
in lungo, mi seccano. É anche troppo ch'io sia stato burlalo cosi
l)arìl)aramenle. *>
« Avete tatto benissimo , » rispondeva il conte Attilio. « Codesto
vostro podestà .... gran caparbio, gran testa vola, gran seccatore d* un
podestà .... è poi un galantuòmo , un nomo che sa il suo dovere ; e
appunto quando s' ha che fare con persone lalì , bisogna aver phì ri-
guardo di non mellerle in impicci. Se un mascalzone di console la
una deposizione , il podestà . per quanto sia ben intenzionato , biso-
gna pure che. ..."
" Ma voi, » interruppe, con un po' di stizza, don Rodrigo, « voi
guastale le mie faccende, con qud vostro conlraddii^li in tutto, e dar>
gli sulla voce, e canzonarlo anche, all' occorrenza. Che diavolo, che un
)M)destà non po^a esser bestia e ostinato , quando nel rimanente è
un galantuomo! "
1 Sapete, cugino, » disse guardandolo, maravigliato, il conte At-
tilio, u sapete, che comincio a credere che abbiate un po' di paura?
Mi prendete sul serio anche il podestà »
" Vìa via, non avete detto voi stesso che bisogna tenerlo di conto?»
" L'ho dettò: e quando si traila d' un aflare serio, vi farò vedere
che non sono un ragazzo. Sapete cosa mi basta I' animo di far per
voi ? Son uomo da andare in persona a far visita al signor podestà.
Ah! sarà contento ddl' onore? E son uomo da lasciarìo parlare per
mezz'ora del conte duca, e del nostro signor castellano spagnolo, e
da dargli ragione in tutto , anche quando ne dirà di quelle cosi mas-
sicce, butterà poi là qualche parolina sul conte zio del Consiglio se-
greto: e sapele che effetto fanno quelle pancine ndl'orecdiio dd si-
gnor podestà. Alla fin de' conti , ha più bisogno lui della nostra pro-
tezione, che voi della sua condiscendenza. Farò di buono, e ciande-
rò, e ve lo lascerò meglio disposto die mai. »
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CAPITOLO \l. SII
Dopo quesle e allrc simili parole, il conte Allìtio usci, per andare
a caccia; e don Rodrigo stelle aspettando con ansietà il ritorno dei
Griso. Venne costui Gnalmenle, sull'ora del desinare, a far la sua re-
lazione.
Lo scompiglio dì quella notte era stalo tanto clamoroso, la spari-
jionc di tre persone da un paesello era un tal avvenimento , clie le
ricerche, e per premura e per curiosità, dovevano naluralaicnte esser
molle e calde e insistenti; e dall'altra parte, gl'informati di qualche
cosa eran troppi, per andar tulli d' accordo a tacer tulio. Perpetua
non poteva tarsi veder sull' uscio, clie non fosse tempestata da quello
e da quell'altro, perche dicesse chi era stato a far quella gran paura
al suo padrone : e Perpetua , ripensando a tulle le circostanze del
fatto, e raccapezzandosi finalmente ch'era siala infinocchiala da Agne-
se, sentiva tanta rabbia di quella pcrlldia, che aveva proprio bisogno
d" un po' di sfogo. Non già che andasse lamentuidosi col terzo e col
quarto della maniera tenuta per infinocchiar lei : su questo non fia-
tava; ma it tiro fatto al suo povero padrone non lo poteva passare
afblto sotto silenzio; e sopra lutto, che un tiro (ale fosse slato con-
certalo e tentato da quel giovine dabbme, da quella buona vedova,
da quella madonnina infilzata. Don Abbondio poteva ben comandarle
risdularoente , e pregarla cordialmente che stesse zitta; lei poteva
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ttS I PHUMESSI SPOSI
bciie ripetergli che non faceta bisogno dì suggerirle una cosa lanlo
chiara e tanto naturale; certo è clic un cosi gran segreto slava nel cuore
della povera donna, come, in una bolle vecchia e mal cerchiala, un
vino mollo giovine, che grilla e gorgoglia e ribolle, e, se non manda
il tappo per aria, gli geme all' intorno , e vien fuori in ischiuma, o
trapela tra doga e doga , e goectota di qua e di là , tanto che uno
può assaggiarlo, e dire a un di presso che vino è. Gervaso, a cui non jia-
reva vera d'essere una volta più informalo degli altri, a cui non i>a-
rcva piccola (^oria l'avere avuta una gran paura, a cui, per a\er
tenuto di mano a una cosa che puzzava di criminale , pareva d' esser
diventato un uomo come gli alli'i, crepava di voglia di vantarsene. E
quantunque Tonio, che pensava scriamcnle all' inquisizioni e ai pro-
cessi possibili e al conto da rendere, gli comandiissc, co' pugni sul viso,
di non dir nulla a nessuno , pure non ci fu verso di soffogargli in
bocca (^li (KU-ola-Dcl resto Tonio, anche lui,doj>o essere slato quella
notte fuor di casa in ora insolita, tornandovi, con un passo e con un
sembiante insolito , e con un' agilazioii d' animo che lo disimneva
alla sincerità, non potè dissimulare il fatto a sua moglie; la quale non
era mula. Chi parlò meno, fu Menico; perché, appena ebbe raccon-
tata ai genitori la storia e il moti\'o della sua sp<^^lizionc , par\c a
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que4Ì una cosa cosi Ivrribìlo che un loro figliuolo avesse avuto parie
a buttare all'aria un'impresa di don Rodrigo, die quasi quasi non la-
sciaron finire al ragazzo il suo racconto. Gii Teccro poi subito i più
Torti e minacciosi comandi che guardasse bene di non far neppure
un cenno di nulla: e la mattina seguènte, non parendo loro d'essersi
abbastanza assicurali, risolvettero di tenerlo chiuso in casa, per quel
giorno, e per qualche atiro ancora. Ma che? essi medesimi poi, chiac-
chierando con la gente del paese, e senza voler mostrar di saperne
più dì loro, quando si veniva a quel punto oscuro della fuga de' no-
stri Ire poverelli, e del come, e del perchè, e del dove, aggiunge-
vano, come cosa conosciuta, che s' eran rifugiali a Pescarenico. Cosi
anche questa circostanza entrò ne' discorsi comuni.
Con tulli questi brani di notizie, messi poi insieme e uniti come
s'usa, e con la frangia che ci s'attacca naturalmente nel cucire,
c'era da fare una storia d'una certezza e d'una chiarezza tale, da
esserne pago ogni intelletto più critico. Ma quella invasion de' bravi,
accidente troppo grave e troppo rumoroso per esser lasciato fuori ,
e del quale nessuno aveva una conoscenza un po' positiva , quel-
r accidente era ciò che imbrogliava tutta la storia. Si mormorava il
mnne di don Rodrigo: in questo andavan tutti d'accordo; nel resto
tutto era oscurità e congetture diverse. Si parlava mollo de' due
bravacci ch'erano stali veduti nella strada, sul far della sera, e del-
l'altro che stava sull'uscio dell'osteria; ma che lume si poteva ri-
cavare da questo fatto cosi asciutto? Si domandava bene all'oste chi
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114 I PROMESSI SPOSI
era slato da lui la sera avanti; raa l'osle, a dargli retta, non sì ram-
mentava neppure se avesse veduto gente quella sera; e badava a dire
che l'osteria è un porto di mare. So[Mtt tutto, confondeva le leste, e
disordinava le congcilure quel pellegrino veduto da Stefano e da
Carlandrea, quel pellegrino ehe ì malandrini volevano ammazzare, e
che se n'era andato eon loro, o che essi avevan portato via. Cos'era ve-
nuto a fare? Era un'anima del purgatorio, comparsa per aiutar le
donne; era un'anioia dannata d'un pell^ino biriiante e impostore,
che veniva sempre di notte a unirsi con chi facesse di quelle che lui
aveva fatte vivendo ; era un pellegrino vivo e vero , che coloro ave-
van voluto ammazzare , per timor che gridasse , e destasse il pae-
se; era (vedete un po' cosa si va a pensare!) uno di quegli stessi ma-
landrini travestito da pellegrino; era questo, era quello, era tante
cose che tutta la sagacità e l'esperienza del Griso non sarebbe bastata
a scoprire chi fosse, se il Griso avesse dovuto rilevar questa parte
della sloria da' discorsi altrui. Ma, come il lettore sa, ciò che la ren-
deva imbrogliata agli altri, era appunto il piùcliiaro per lui: serven*
dosene di chiave per interpretare le altre notizie raccolte da lui im-
mediatamente, 0 col mezzo degli esploratori subordinali, potè di tutto
oompome per don Rodrigo una relazione bastantemente distinta. Si
chiuse subilo con lui, e l'informò del colpo tentato dai poveri spost, il
che spiegava naturalmente la casa trovala vota e il sonare a martello,
senza che facesse bisogno di supporre che in casa ci fosse qualche tra-
ditore, come dicevano que' due galantuomini. L' informò della fuga; e
anche a questa era facile trovarci le sue ragioni : il timwe d^li sposi
colti in fallo, o qualdie avviso dell'invasione, dalo loro quand'era sco-
perta, e il paese lutto a soqquadro. Disse finalmente che s'<»^n rico-
verali a Pescarenico; più in là non andava la sua scienza. Piacque a
don Rodrigo l'esser cerio che nessuno l'aveva lradilo,e il vedere che
non rimanevano tracce del suo fatto; ma fu quella una rapida e leg-
giera compiacenza. "Fuggili insieme!» gridò: « insieme! E quel frate
birbante! Quel frate! n la parola gli usciva arranlolata d^la gola, e
smozzicata tra' denti, che mordevano il dito: ì) suo aspetto era brutto
come le sue passioni. " Quel frale me la paglierà. Griso! non son chi
sono vf^io sapere, voglio trovare.... questa sera, voglio saper
dove sono. Non ho pace. A Pescarenico, subito, a sapere, a vedere, a
trovare .... Quattro scudi subilo, e la mia protezione per sempre.
Questa sera lo vo^io sapere. E quel birbone ! quel frate !»
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h Grbo di nuovo in campo; e, la sera <li quel giorno medesimo,
polè riporìare al suo degno padrone la notìzia desiderata : ed ecco
in qual maniera.
Una delle più gran consolazioni di questa vita è l'amicizia; e una
delle consolazioni dell'amicizia é quell'avere a cui confidare im se-
greto. Ora, gli amici non sono a'due a due, come gli S|>08Ì; (^uno,
generalmente parlando, ne ha più d'uno: il che forma una catena,
dì cui nessuno potrebbe trovar la fine. Quando dunque un amico si
procura quella consolazione di deporre un segreto nel seno d' un al-
tro, dà a costui la voglia di prociu-arsi la slessa consolazione anche
lui. Lo prega, è vero, di non dir nulla a nessuno; e una tal condizio-
ne, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe imme-
diatamente il corso delle consolazioni. Ma la pratica generale ha voluto
che obblighi s(rilanlo a non confidare il segreto, se non a chi sia un amico
ugualmente fidato, e imponendt^li la slessa condizione. Così, d'amico
fidalo in amico fidalo, il segreto gira e gira per quell'immensa ca-
tena, tanto die arriva all' orecchio di colui o di coloro a cui il primo
che ha parlato intendeva appunto di non laseiarìo arrivar mai. Avrebbe
però ordinariamente a stare un gran pozzo in cammino, se ognuno
non avesse che due amici: quello che gli dice, e quello a cui ridice
la cosa da tacersi. Ma ci son degli uomini privilegiati che li contano
a centinaia; e quando il segreto è venuto a uno di questi uomini, i
giri divengon sì rapidi e si molliplici, die non è più possibile dì se-
guirne la traccia. Il nostro autore non ha potuto accertarsi per quante
bocche fosse passalo il segreto che il Griso aveva ordine di scovare:
il fallo sta che il buon uomo da cui erano slate scortate le donne a
Monza, tornando, verso le venlitrc, col suo baroccio, a Pescarenico,
s'abbatte, prima d'arrivare a casa, in un amico fidato, al quale rac-
contò, in gran confidenza, 1' opera buona che aveva fatta, e il rima-
nenie; e il fatto sta che il Griso polè, due ore dopo, correre al palaz-
zollo, a riferire a don Rodrigo che Lucia e sua madre s'eran ricoverale
in un convento di Monza, e che Renzo aveva seguìlata la sua strada
fino a Milano.
Don Rodrigo provò una scellerata allegrezza di quella separazione,
e senti rinascere un po' di quella scellerata speranza d'arrivare al suo
intento. Pensò alla maniera, gran jarte della notte; e s'alzò presto, con
due disegni, l'uno stabilito, l'altro abbozzato. Il primo era di spedire
immantinente il Griso a Monza, per aver più chiare notizie di Lucia,
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HO I PROMESSI SPOSI
e sa|>ere se ci Tosse da tentar qualche cosa. Fece dunque cliìainar su-
bito quel suo fedele, gli mise in mano i quattro scudi, lo lodò dì
nuovo dell'abilità con cui gli aveva guadagnati, e gli diede l'ordine
che aveva premeditato.
" Signore.... » disse, tentennando, il Griso.
u Che? non ho io parlato chiaro? "
u Se potesse mandar qualchedun-allro.... "
« Come? n
u Signore illustrissimo , io son pronto a metterci la pelle per il
mio pailrone: è il mio dovere; ma so anche die lei non vuole arri-
schiar troppo la vita de' suoi sudditi. »
« Ebbene ? »
« Vossignoria illustrissima, sa bene quelle poche taglie eh' io ho
addosso: e.... Qui son sotto la sua prolezione; siamo una brigala;
il signor podestà è amico di casa; i birri mi porlan rispetto; e an-
ch'io.... è cosa che fa poco onore, ma per viver quieto.... Il tratto
da amici. In Milano la livrea di vossignoria e conosciuta; ma in Mon-
ca.... ci sono conosciuto io ìn vece. E sa vossignoria che, non fo per
dire, chi mi potesse consegnare alla giustizia, o presentar la mia te-
sta, farebbe un bel colpo? Cento scudi l'uno sull'altro, e la facoltà
di liberar due banditi, n
« Che diavtrfo! » disse don Rodrigo : « tu mi riesci ora im can
da paf^iaio che ha cuore appena d' avventarsi alle gambe dì chi passa
sulla porta, guardandosi indietro se quei di casa lo spalleggiano, e
non si sente d'allontanarsi! «
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CAPITOLO XI.
,., n
« Credo, signor pudrone, d'aver date prove... n
u Dunque ! i
u Dunque, » ripigliò francamenle il Griso, messo così al punto,
(• dunque vossignoria faccia conto eh' io non abbia parlalo : cuor di
Icone, gamba di lepre, e son pronto a partire, y
u E io non ho detto che tu vada solo. Piglia con le un paio de'
meglio.... lo Sfregiato, e il Tira-dritto; e va dì buon animo, e sii il
Griso. Che diavolo! Tre figure come le vosli'e, e che vanno per i fatti
loro, chi vuoi che non sia conlento di lasciarìe passare? Bisognerebbe
che a' birri di Monza fosse ben venuta a noia la vita, per metterla
su contro cento scudi a un gioco cosi rischioso. E poi , e poi , non
credo d'esser co» sconosciuto da quelle parti, die la qualità di mio
servitore non ci si conti per nulla. «
Svei^ognato così un poco il Griso, gli diede poi più ampie e par-
ticolari istruzioni. 11 Griso prese i due compagni , e parti con faccia
allegra e baldanzosa, ma bestemmiando in cuor suo Monza e le taglie
e le donne e i capricci de' padroni; e camminava come il lupo, che
spinto dalla fame, col ventre raggrinzalo, e con le costole che gli si
potrebber contare, scende da' suoi monti, dove non c'è che neve, s'a-
vanza sospettosamente nel piano, sì ferma ogni tanto, con una zampa
sospesa, dimenando la coda spelacchiata ,
Le>a il muso, odomnilo tt tdiIo inlìJo,
I se mai gli porli odore d' uomo o di ferro, rizza gli wecchi acuti ,
I e gira due occhi sanguigni, da cui Iraluce insieme l'ardore della preda,
i e il (errore della caccia. Del rimanente , quel bel verso , chi volesse
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I PMOUESSI Sl'OSI
saper donde venga, è tratto da una diavoleria inedita di crociale e
di lombardi, die presto iioti sarà più inedita, e Tara ui bel rumore;
e io l'bo {M-eso, perchè mi veniva in (aglio; e dico dove, per non farmi
bello della roba altrui : cbe qualcheduno non pensasse che sia una
mia astuzia per far sapere che l'autore di quella diavoleria ed io sia*
mo come fratelli , e eh' io frugo a piacer mio ne' suoi manoscrKii.
L'altra cosa die premeva a don Rodrigo, era dì trovar la maniera
die Renzo non potesse più tornar con Lucia, né metter piede in
paese; e a questo line, macchinava di fare sparger voci di minacce e
d'Insidie, che, venendogli all'orecchio, per mezzo di qualche amico, 0ì
facessero passar la voglia di tornar da quelle parti. Pensava però die
la più sicura sardrfw'se sì potesse farlo sfrattar dallo stato: e per riu-
scire in questo, ve(lc^'a che più della forza gli a\Teblje potuto servir
la giustizia. Si poteva , per esempio, dare un po' di ctÀore al tentativo
fatto nella casa parrocchiale, dipingerlo come un'aggressione, un atto
sedizioso, e, per mezzo del dottore, fare intendere al podestà cb'era
il caso di spedir contro Renzo una buona cattura. Ma pensò die non
conveniva a lui di rimestar quella brutta faccenda; e senza star altro
a lambiccarsi il cervello, sì risolvette d' aprirsi col dotlor Azzecca-garbu-
gli, quanto era net^ssarìo per fargli comprendere il suo desiderio. —^
Le gride son laute! — pensava: — e il dottore non è un'oca: qual-
cosa che faccia al caso mìQ saprà trovare , qualche garbuglio da az-
zeccare a quel vìllanaccìo : altrimenti gli muto nome. — Ma (come
vanno alle volle le cose di questo moiidoi) intanlo che colui pensava
al dottore, come all'uomo più abile a servirlo in questo, un altr* uo-
mo, r uomo che nessuno s' ìnunagìi>erebl>c , Renzo medesimo , per
dìrìa, lavorava di cuore a scr\'Jrlo, in un modo più certo e più sjtedilo
di lutti quelli clic il dottore avrebbe mai sapuli trovare.
Ho visto più volte un caro fanciullo, vispo , per dire il vero, più
del bisogno, ma che, a lutti i segnali, mostra di voler riuscire un ga-
lantuomo; l'ho visto, dico, più volle aHacccndato sulla sera a man-
dare al coperto un suo gregge di porcellini d' Lidia, che aveva lasciati
scorrer liberi il giorno , in un giardinetto. Avrebbe voluto fargli an-
dar lutti insieme al covile ; ma era fotica buttata : uno si sbandava a
destra, e mentre il piccolo pastore correva per cacciarlo nel branco,
un altro , due , tre ne uscivano a sinistra , da ogni parte. Dimodo-
ché, dopo essersi un po' impazientito, s'adattava al loro genio, spin-
geva prima dentro quelli eh' eran più vicini all' uscio, poi andava a
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CAPITOLO XI. 910
prender gli altri , a uno , a tlue , a Ire , come gli riusciva. Un gioco
simile ci convien fare co' nostri personali : rico\'erata Lucia , siam
corsi a don Rodrigo; e ora lo dobbiamo abbandonare, per andar die-
tro a Renzo, che avevam perduto di vista.
Dopo la separazione dolorosa che abbiani raccontala , camminava
Renzo da Monza verso Milano, in quello stalo d'animo che ognuno può
immaginarsi facilmente. Abbandonar la casa, lialasciarc il mestiere, e
quel ch'era più di tulio, allontanarsi da Lucia, trovarsi sur una
strada, senza saper dove andercbbe a posarsi; e tutto per causa di
quel birbone! Quando si tratteneva col pensiero sull' una o sull'altra
di queste cose, s' ingolfava tutto nella rabbia, e nel desiderio della
vendetta; ma gli tornava poi in mmtc quella preghiera che aveva re-
citata anche luì col suo buon frate, nella chiesa di Pescarenico ; e si
ravvedeva: gli si risvegliava ancora la stizza; ma vedendo un' imma-
gine sul muro , si levava il cappello , e si fermava un momento a
pr^r di nuovo : tanto die, in quel viaggio, eU>e ammazzalo in cuor
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130 I PR0UCS81 SPOSI
SUO (loii Rodrigo, e risuscilalolo , almeno venti volle. La strada era
allora tutta sepolta tra due alle rive, fangosa, sassosa, solcala da ro-
taie profonde, die, dopo una pioggia, divenìvan rigagnoli; e in certe
parti più basse, s' allagava tutta, che si sarebbe potuto andarci in barca.
Aque'passi, uii pìccol sentiero erto, a scalini, sulla riva, indicava che
altri passeggicri s' eran fatta una strada ne' campi. Renzo, salito per
un di que' valiclii sul terreno più elevato, vide quella gran macchina
del duomo sola sul piano, come se, non di mezzo a una città, ma
solvesse in un deserto; e si fermò su due piedi, dimenticando lutti
ì suoi guai, a contemplare anche da lontano quell'ottava maraviglia,
di cui aveva Unto sentilo parlare fin da bambino. Ma dopo qualche
momento, voltandosi indietro, vide all'orizzonte quella eresia frasta-
gliata di montagne, vide distinto e alto tra quelle i) suo Re»egone_, si
sentì tutto rimescolare il sangue, stette li alquanto a guardar trisla-
menle da quella parte, poi tristamente si voltò, e seguitò la sua stra-
da. A |>oco a poco comineiò poi a scoprir cam|ianili e torri e cupole
e tetti ; scese allora nella strada , camminò ancora qualche tempo , e
quando s' accorse d'esser ben vicino alla città , s' accostò a un vian-
dante, e, inchinatolo, con tutto quel garbo che seppe, gli disse: u di
grazia, quel signore. «
" Che volete, bravo giovine ì "
u Saprebbe insegnarmi la strada più corta, per andare al eonvcnlo
de' cappuccini dove sta il padi'e Bonaventui'a ? n
L'uomo a cui Renzo s'indirizzava, era un agiato abitante del con-
torno, che, andato quella mattina a Milano, per certi suoi atfari, se
ne tornava, senza aver fatto nulla, in gran fretta, che non vedeva
l'ora di trovarsi a casa, e avrebbe fatto volentieri dì meno di quella
Termata. Con tutto ciò, senza dar segno d' im|iazienza , rispose molto
gentilmente: " (i(^iuol caro, de' conventi ce n'è più d'uno: bisogne-
rebbe che mi sapeste dir più chiaro quale è quello che voi cercale. «
Renzo allora si levò di seno la lettera del padre Cristoforo, e la fece
vedere a quel signore, il quale, lettovi : porla orientale, gliela ren-
dette dicendo: » siete foHunato, bravo giovine; il convento che cer-
cate è poco lontano di qui. Prendete per questa viotttria a mancina:
è una scorciatoia: in pochi minuti arri>'erete a una cantonata d' una
fìdibrica lunga e bassa: è il lazzeretto; costeggiate il fossato die lo
circonda, e riuscirete a porla orientale. Entrate, e, dopo tre o quat-
trocento passi, vedrete una piazzetta con de' begli olmi: là è il eon-
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CAPITOLO XI. Ili
vento: non potele sbagliare. Dìo v' assista, bravo giovine. » E, ac<
«omp^nando l'ultime parole con un gesto grazioso della inanOj se
n'andò. Renzo rimase stupefatto e edificato delia buona maniera de'
dtladini verso la gente di campagna; e non sapeva ch'era un giorno
fuor deirordinario, un giorno in cui le cappe s'inchinavano ai farsetti.
Fece la strada che gli era slata insegnata , e si trovò a porta orien-
tale. Non bisogna però che, a questo nome, il lettore si lasci correre
alla fantasia V immagini che ora vi sono associale. Quando Renzo entrò
per quella porta , la strada al di fuori non andava diritta che per
tutta la lunghezza del lazzeretlo;poi scorreva serpeggiante e stretta, Ira
due siepi. La porla consiste\'a in due pilastri, con sopra una tettoia,
per riparare i battenli, e da una parte, una casuccìa per i gabellini.
I bastioni scendevano in pendio irregolare, e il terreno era una super-
ficie aspra e inuguale di rollami e di cocci buttati là a caso. La strada
che s'apriva dinanzi a chi entrava per quella porla, non si paragMie-
rebbe male a quella che ora si presenta a chi entri da porla Tosa. Un
fbssalello 'le scorreva nel mezzo, fino a poca distanza dalla porta, e la
divideva cosi in due stradette tortuose, ricoperte di polvere o di fan-
go, secondo la stagione. AI punto dov'era, e dov'è tuttora quella
viuzza chiamala di Borgbello , il fossatello si perdeva in una fogna.
LI e' era una colonna, con sopra una croce, detta di san Dionigi : a
destra e a sinistra, erano orti cinti di siepe e, ad intervalli, casucce,
abitate per lo più da lavandai. Renzo entra, passa; nessuno de' gabel-
lini gli bada: cosa che gli parve strana, giacché, da que' pochi del suo
paese che potevan vantarsi d'essere stati a Milano, aveva sentito rac-
eonlar cose grosse de' fruganienti e dell' interrogazioni a cui venìvan
sottoposti quelli che arrivava» dalla campagna. La strada era deserta,
dimodoché, se non avesse sentito nn ronzio lontano che indicava un
gran movimento, gli sarebbe ])arso d'entrare in una città disabitata.
Andando avanti, ^nza saper cosa si pensare, vide per terra certe
strìsce bianche e soffici, come dì neve ; ma neve non poteva essere ;
che non viene a strisce, né, per il solito, in quella stagione. Si
diinò sur una di quelle , guardò , toccò , e trovò eh' era farina. —
Grand' abbondanza , — disse tra sé , — ci dev' essere in Milano ,
se straziano in questa maniera la grazia di Dio. Ci davan poi ad in-
tendere che la carestia é per tutto. Ecco come fanno,, per tener quieta
la pov»^ gente di campagna. — Ma, dopo pochi altri passi, arrivato
a fianco della colonna, vide, appiè di quella, qualcosa di più strano;
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351 1 PROMESSI SFUSI
vide sugli scalini del piedestallo eerle cose sparse, che certameDfe
non eran cioKoli, e se fossero stale sul banco d'un fornaio, non si
sarebbe esitato un momento a cliianiarli pani. Ma Renzo non ardiva
creder cosi presto a' suoi occhi; perchè, diamine! non era lut^o da
pani quello. — Vediamo un po' che affare è questo, — disse ancora tra
sé; andò verso la colonna, si chinò, ne raccolse uno: era veramente
un pan tondo, bianchissimo, di quelli che Renzo non era solilo man-
giarne che nelle solennità. — È pane davvero! — disse ad aita voce;
tanla era la sua jnaravìglia: — cosi lo seminano in questo paese?
in quest'anno? e non si scomodano neppure per mecoglierlo, quando
eade?Chesia il paese di cuccagna questo? — Dopo dicci miglia distra-
ila, all'aria fresca della mattina, quel pane, insieme con la maraviglia,
gli risvegliò l'appetito. — Lo piglio ? — deliberava tra sé: — poh !
l'hanno lasciato qui alla discrezion de' cani; tanl' è che ne goda anche
un cristiano. A.lla fine , se comparisce il padrone , glielo pgltcrò. —
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CAPITOLO \r, asi
Cosi pvnsaiiilo, si mise in una lasca t[uello che aveva in mano, ne
ftresc un sceoiulo, e lo mise nell'altra; un terzo, e conitiieiò a man-
giare; e si rincamminò, più int-crto die mai, e desideroso dì chiarirsi
i-lie storia fosse quella. Appena mosso, vide spuntar gente che veni\'a
(hir interno della cittù, e guardò attentamente quelli elie api>arivaiio
i primi. Erano un uomo, una donna e, (|ualche passo indietro, uiì ra<
gazzotto: tutt' e tre con lui carico addosso, che parc\a supcriore all<^
loro forze, e tati' e ti-e in una figura strana. I vestili o gli stracci in-
^inali ; infarinali i \ÌsÌ, e di più stravolli e accesi; e andavano,
non solo <.'ur\i. \)cv i) peso, ma sopra doglia, come se gli fossero state
|H»te l'ossa. L'uomo reggeva a stento sulle spalle un gran sacco di
farina, il quale, bucato qua e là, ne seminava un poco, a ogni in-
toppo, a (^li mossa disequililirala. Ma più sconcia era la flgui'a della
(loiuia: un pancione smisurato, che pareva tenuto a fatica 4la due
braccia piegale: eume una |xrnlolaccia a due nianiebiie disotluaquel
pancione u>ei\'an due gambe , nude fin sopita il ginoccbio, clic veni-
vano innanzi Itarcollando. Renzo giiai'dò più attentamente, e vide clic
<|ucl gran nH\>o eia la sottana clic la donna teneva per il lembo, con
dentro fiiriiia quanta ce ne poteva slare, e un: po' di pi»; dimodoché,
A-'^!^
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! »< I pnoiiESSi SPOSI
quasi a ogtii passo, ne velava via una ventala. Il ragazzolto teneva
; con tuli' e due le mani sul capo una paniera colma di pani ; ma ,
I I per aver le pmbe più corte de' suoi genitori, rimaneva a poco a
I |K>co indietro, e, allungando poi il passo ogni lanlo, per raggìun-
j gerii, la paniera perdeva l'equilibrio, e qualche pane cadeva.
I a Buttane via ancor un altro, buono a niente che sei, n disse la
' madre, digrignando i denti verso il ragazzo.
I « lo non li butto via; cascan da sé: com'bo a fare? » rispose quello.
i « III! buon per te, clie ho le mani impicciate, » riprese la donna,
dimenando i pugni, come se desse una buona scossa al povero ragaz-
zo; e, con quel movimento, fece volar via più farina, di quel che ci
sarebbe voluto per farne ì due pani lasciati cadere allora dal r^;azzo.
» Via, via, « disse l'ucuno: u torneremo indietro a raccoglierli, o qual-
cheduno li raccoglierà. Si stenta da tanto tempo: ora che viene un po'
<r abbondanza, godiamola in santa pace. »
In tanto arrivava altra gente dalla porta; e uno di questi, aocosla-
iosì alla donna, le domandò: u dove si va a prendere il pane? "
« Più avanti, » rispose qudla;e quando furon lontani dieci passi,
soggiunse borbottando: «questi contadini birboni verranno a spazzar
tulli i forni e tutti i magazzini, e non resterà più niente per noi. "
« Un po' per uno, tormento che sei, " disse i) marito: « abbon-
danza, abbondanza, n
Da queste e da altrettali cose die vedeva e sentiva, Renzo cominciò
a raccapezzarsi ch'era arrivato in una città sollevata, e che quello
era un giorno dì conquista, vale a dire che ognuno pigliava, a pro-
porzione delia voglia e della forza , dando busse in pagamento. Per
quanto noi desideriamo di far fare buona figura al nostro povero
montanaro, la sincerità storica ei obbliga a dire che il suo primo seti-
Itmenlo fu di piacere, \veva cosi poco da lodarsi dell'andamento ordi-
nario delle cose, die si trovava indinato ad appro\are ciò che lo mu-
tasse in qualunque maniera. E del resto, non essendo punto un uomo
supcriore al suo secolo, viveva anche luì in quell'opinione o in qudla
passione comune, che la scarsezza del pane fos.'ic cagionala dagl' incet-
tatori e da' fornai; ed era disposto a trovar giusto ogni modo di
strappar loro dalle mani l' alimento che essi, secondo quell'opinione,
negavano crudelmente alia fame di lutto un pogwlo. Pure, si propose
di star fuori del tumulto , e si rallegrò d' p,sser diretto a un cappuc-
cino, che gli troverebbe ricovero, e gli farebbe da padre. Così pen-
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CAPITOLO XI. SSH
sando, e guardando inlanto ì nuovi conquislalori die venivano cari-
chi di preda, fece quella po' di strada che gli rimaneva per arrivare
al convento.
Dove ora sorge quel bel palazzo, con quell'alto loggiato, c'era al-
lora, e e' era ancora non son moli' anni, una piazzetta, e in fondo a
quella la chiesa e il convento de' cappuccini, con quattro grand' olmi
davanti. Noi ci rallegriamo, non senza invidia, con que' nostri lettori
che non han visto le cose in quello slato: ciò vuol dire che son mollo
giovani, e non hanno avuto tempo di far molte corbellerie. Renzo
andò diritto alla porla, si l'ipose in seno il mezzo pane che gli rima-
oeva, levò fuori e tenne preparala in mano la lettera, e tirò il cam-
panello. S'apri uno sportellino clic aveva una grata, e vi comparve
la faccia del frate portinaio a domandar chi era.
« Uno di campagna, che porla al padre Bonaventura una lettera
pressante del padre Cristoforo. »
" Date qui , » disse ri portinaio, mettendo una mano alla gl'ala.
< No, no, ^ diste Renzo: « gliela devo consegnare in proprie
' Non è in convento. »
« Mi lasi'i entrare, che 1' aspelteró. "
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■< Fate a niiu modu, " rispose il frate: " andate a aspellan; in
chiesa, die intanto potrete fare un pu'di licne. In convento, per adesMi,
non s'entra. " E detto qucslo, ricUÌii?« lo 5|>ortelIo. Renzo rimase li,
con la sua lederà in mano. Fece dicci passi vei"so la porla della cliicsa,
|icr seguire il consiglio del portinaio; nia poi pensò di dar prima uii'
altra occliiala al tumulto. Attraversò la piaziietta , si |>orti> sull'orlo
della strada, e si fermò, con le braccia incrociate sul petto, a guar-
dare a sinistra, verso l'interno della cillà , dove il brulichio era ]iiù
follo e più rumoroso. Il vortice attrasse lo spcttalore. — Andiamo a
vedere, — disse tra sé; tirò fuori il suo mezzo pane, e slioccuiieel-
lando, si mosse verso <|iiclla parte. Intanto die s'incammina, noi rac-
eonleremo, più brevemente che sia ])os.'sihÌie , le uigioiii e il principio
di ipiello sconvolgimento.
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((lidio il (recoiul' alino di raccolfa scarsa.
N«!ll' anletedonle , le pruvvisloni i-imaslv
(logli anni addietro avevan supplito, (ino
a un cerio se^^io, al difcllo; e la popola-
zione era giunta, non satolla né afTamata,
Illa, ecrto, afTattu sprovveduta, alla messe
de) I6S8 , nel (piale siamo con la nostra
storia. Ora, questa messo tanto desiderata
t. rìiLsci ancor più misera della precedente,
in parie por maggior contrarietà delle sta-
gioni (e (|uesto non solo nel milaii<^se, ma in un Imon tnitlo di paese
(rircon\n(ano); ìli parte per colpa degli nomini. Il guasto e lo spcr-
|ierio della guerra, dì quella bella guerra di cui abbiam fatlo menzione
di sopra, era tale, che, nella parte dello stato più % icina ad es»a, molti
poderi più dell'ordinario rimanevano incolti e abbandonati da' conta-
dini, i quali, in vece di procacciar col lavoro pane por sé e per gli
altri, cran coslrelli d'andair ad acoaltarto per carità. Ho dello: più
delC ordinario: perchè le insopportabili gravezze, imposto con una eii-
pìdigia e con un' insensatezza del |)ari sterminato , la condotta abi-
tuale, alleile Ìii piena paco, delle truppe alloggiale ne' paesi, condotta
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che i dolorosi documenti di que' (empi uguagliaao a qudla d' un ne-
mico invasore, altre cagioni che non e qui il luogo dì mentovare, an-
davano già da qualdie tempo operando lentamente quel tristo élTelto
in tutto il milanese: le circostanze particolari di cui ora parliamo,
erano come una repentina esacerbazione d' un mal cronico. E quella
qualunque raccolta non era ancor finita di riporre, che le provvisitMii
per l'esercito, e io seiupinio che sempre le accompagna, ci fecero
dentro un tal vóto, die la penuria si fece subilo sentire, e con la
penuria quel suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto,
il rincaro.
Ma quando questo arriva a un certo segno , nasce sempre (o al-
meno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di valen-
tuomini, pensate in quel tempo!), nasce un'opinione ne' molli, die
non ne sia cagione la scarsezza. Si dimentica d'averla temuta, pre-
detta; si suppone tult'a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che
il male venga dal non vendersene abbastanza per il consuuK>: suppo-
sizioni ette non stanno né in cielo, né in terra; ma che lusingano a
un tempo la collera e la speranza. GÌ' incettatori di grano, reali o im-
maginari, t possessori di terre, che non lo vendevano tutto in un
giorno, i fornai che ne compravano, tutti coloro in somma che ne
avessero o poco o assai , o che avessero il nome d'averne, a questi
si dava la colpa della penuria e del rincaro, questi erano il bersaglio
del lamento miiversale, l'al^mmìnio della moltitudine male e ben ve-
stita. Si diceva dì sicuro dov' erano i magazzini, i granai, colmi, tra-
boccanti, appuntellati; s' indicava il numero de' sacchi, spropositato; ^
parlava con certezza dell' immensa quantità di granaglie che veniva
spedita segretamente in altri paesi; ne' quali probabilmente si gridava,
con altrettanta sicurezza e con fremito ugwde, che le granaglie di là
venivano a Milano. S' imploravan da' magistrati que' provvedimenti,
che alla moltitudine paion sempre, o almeno sono sempre parsi tlnora,
cosi giusti, così semplici, così atli a far saltar fuori il grano, nascosto,
muralo, sepolto, come dicevano, e a far ritornar l'abbondanza. 1 ma-
gistrali qualche cosa facevano : come di slabiKre il prezzo massimo d'al-
cune derrate, d'intimar pene a chi ricusasse di vendere, e altri editti
di quel genere. Siccome però tutti i provvedimenti dì questo mondo,
per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il biseco
dd cibo, né di far venire derrate fuor di stagione; e siccome questi
in ispecie non avevan certamente quella d'altiranieda dove ce ne
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CAPITOLO XII. tm
potesse essere di soprabbondanti; cosi il male durava e cresceva. La
iDollUudine attribuiva un tale effetto alla scarsezza e alla debolezza
de' rimedi, e ne sollecitava ad alte grida de' più generosi e decisivi.
E per sua sveolura, trovò l'uomo secondo il suo cuore.
Nell'assenza del governatore don Gonzalo Femandez de Cordova,
che comandava 1' assedio di Gasale del Monferrato, faceva le sue veci
in Milano il gran cancdliere Antonio Ferrer, pure spagnolo. Costui
vide, e chi non l'avrebbe veduto? che l'essere il pane a un prezzo
giusto, è per sé una cosa mollo desiderabile^ e pensò, e qui fu lo sba-
glio, che un suo ordine potesse bastare a produrla. Fissò la meta (così chia-
mano qui la tariffa in materia di commestibili), fissò la mela del pane
al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comunemente
venduto trentatre lire il moggio : e si vendeva fino a ottanta. Fece
come una donna stala giovine, che pensasise di ringiovinire, alterando
la sua lede di battesimo.
Ordini meno insensati t: meno iniqui eran, più d'una volta, per la
resistenza delle cose stesse, rimasti ineseguiti; ma all'esecuzione di
questo vegliava la molliludinc, che, vedendo finalmente convertito in
legge il suo desiderio, non avrebbe sofferto che fosse per cdia. Ac-
corse subito ai forni, a chieder pane al prezzo lassalo; e lo chiese
1 PRESTir-
-"^S ■
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sto I PKOIIESSI SPOSI
con quel fare di risoliilezza e di minaccia, che <Ianiio la passiom;,
la forza e ta legge riunite insieme. Se i fornai strillassero, non lo do-
mandalo. Intrìdere, dimenare, infornare e sfornare senza posa; per-
dio il |>oi>oIo, sentendo in confuso che l'era una cosa violenta, as-
sediava i forni dì continuo, |>cr goder quella cuccagna tìn die durava;
affacchinarsi, dico, e scalmanarsi più del solito, per iscapilarci. ognun
vede che bel piacere ilovcssc essere. Ma, da una (larle i magistrali die
intimava]] pene, tlall' altra il popolo che voleva esser servilo, e, punto
punto che qualche fornaio ii]<lugiass(- , pressava e brontolava , con
quel suo vocione, e minacciava una <)i quelle sue giustizie, die sono
delle Jieggio che si facciano in questo mondo: non c'era reitcnzioiic,
bisognava rimenare, infornare, sfornare e vendere. Però, a farìj coi>-
tinuare in queir impresa, non bastava die fosse lor <-omaiidato, ne che
avessero molla [launi; bisognava potere: e un po' più che la cosa fosse
durala , non avrebbero più potuto. Faec\an vedere ai nuigislrali
l'iniquità o l' insopiiortahililà del carico imposto loro, protestavano
di \'OhT gettar la pala nel forno , t< andarsene ; e intanto tiravano
avanti come potevano , sjieraiido , spcran<lo che, una volta o l'allni.
il gran cancelliere avrebl>c inteso la ragione. Ma A.nlonio Ferrer, il
quale era quel clic ora si direbbe un uomo di caratteri', rispondeva
die i fornai s'ei'ano av^-antaggiati molto e |>oi inolio nel passato, die
n' avvantaggei'eblicro mollo e poi mollo col ritornar dell' abliondanza:
che anche si vedrebbe, si perisercbl)e forse a dar loro cpiatclie risarci-
mento; e che intanto tirassero ancora avanti. 0 fosse veRimcnIc pei*-
suaso lui di queste ragioni die allegava agli altri, o che, anche co-
noscendo dagli effetti 1' iiii|iossibihìà di mantener (luel suo trillo,
volesse lasciare agli altri 1' odiosità di rìvocarlo : giacché , chi può
ora entrar nel cervello d' Antonio Feri'cr? il fatto sia che rimase
fc^mo su ciò che aveva stabilito. Finalnienle i decurioni (un magi-
strato nmiiicipale coin|H>sto di nobili, che dui'ò lino al iiovanlasei del
secolo scorso) iiifomni'on per letlera il governaloiT , dello slato ii)
mi eran le cose: tro\assc lui qualche ripiego, die le facesse andare.
Don Gonsuilo. ingolfalo (in sopra i ca|iflli nelle facci-ndo della guer-
ra, feccciòche il lettore s'immagina cerlainenlc: nominò una giunla.
alla quale conferi l' autorità di slabilire al pane un pi-czzo clic potesse
correre; una cosa da iwtercl campar tahio una parte die I' altra. 1
deputati si railunarono. o come qui si di<-eva s|ii^;iiolescaniente nel
gergo segretariesco d'allora, ai giunlarono; e dopo mille riverenze,
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CAnTOLO XH. S*l
complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria, ter-
giversazioni, strascinali tulli verso una deliberazione da una necessità
sentila da lutti, sapendo bene che giocavano una gran caria, ma in-
viali che non c'era da far altro, conclusero di rincarare il pone. [
fornai respirarono; ma il popolo imbestiali.
La sera avanti qneslo gìonio in cui Renzo arrivò in Milano, le
strade e le piazze brulicavano d'uomini, die lras|>orlali da una rab-
bia comune, predominali da un pensiero comune, conoscenti o estra-
nei, si riunivano in crocchi, senza essersi dati l'intesa, quasi senza
avvedersene, come gocciole sparse sullo stesso pendio. Ogni discorso
accresceva la persuasione e .la passione degli uditori , come di co-
lui che l'aveva proferito. Tra tanti appassionati, c'eran pure alcmii
più di sangue freddo, i quali slavano osservando con mollo piacere,
che l'acqua s'andava intorbidando; e s'ingegnavano d'intorbidarla
di più, con que' ragìonanieiili , e con (juelle storio che i furbi sanno
comporre, e che gli animi alterali sanno credere; e si proponevano
di non lasciarla posare, quell'acqua, senza farci un po' di pesca. Mi-
gliaia d' uomini andarono a lello col sentimento indeterminato cIh-
qualdie cosa bisognava fare , che qualdie. cosa si fard>be. Avanti
giorno, le strade eran di nuovo sparse di crocchi: fanciulli, donne,
uomini, vecchi, operai, poveri, si radunavano a sorte: qui era un
bisbiglio confuso di molte voci; là uno predicava, e gli altri applau-
divano; questo faceva al più vicino la slessa domanda eh' era allora
slata fatta a lui; quest'altro ripeteva l'esclamazione che s'era sentila
risonare agli orecdii; per tutto lamenti, minacce, maraviglie: un pic-
co! numero di vocaboli era il materiale di tanti discorsi.
Non mancava altro che un'occasione, una spinta, un avviamento
qualunque, per ridurre le parole a fatti; e non tardò mollo. Usci-
v'Mio, sul far del giorno, dalle botteghe de' fornai i gwzoDÌ die, con
una gerla carica di pane, andavano a portarne alle solile case. Il
primo cwnparire d'uno di que' malcapitati ragazzi dov'era un croc-
chio di gente, fu come il cadere d'im salterello acceso in una polve-
riera. « Ecco se c'è il pane! " gridarono cento voci insieme. « Si,
per i tiranni, che nolano nell'abbondanza, e voglion far morir noi di
fame, <* dice uno; s'accosta al ragazzetto, avventa la mano all' orìo
ddla gerla, dà una stralla, e dice: u lascia vedere. i II ragaszetlu
diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire: lasciatemi andare; ma
la parola gli muore in l)occa; allenla le braccia, e cerca di liberarle
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Kl I PKOUESSI SPOSI
ili frvKa dallo cijjiie. -^ Giù quella gerla , "
jiida iiilaitto. Molte
Ulani l'afleiTano a un tempo: è ìli terra; si bulla per aria il cauo-
^acciu che la copre : una tepida fragranza si dillonde all' ìiilonw.
u Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiar pane anche noi, » dice
il primo; prende un pan tondo, l'alza, facendolo vedere alla folla, l'ad-
denta: mani alla gerla, pani per aria; in m«n che iion si dice, fu
sparecchialo. Coloro a cui non era toccato nulla, irritali alla vista del
guadilo altrui, e animati dalla fadlità dell'impresa, si mossero a
branchi, in cerea d'altre gerle : quante incontrale, tante svaligiale. E
noii c'era néppur bisogno di dar l'assalto ai portatori: quelli che, per
loro disgrazia, si trovavano in giro, visla la mala parala, posavano vo-
lonlarìameote il carico, e via a gambe. Con tulio ciò, coloro che rima-
nevano a denti secchi, erano senza paragone i più; aiiclie i cmiquislalori
non eran soddisfalli di prede cosi piccole, e, mescolati poi con gli udì
e con gli altri, e' eran coloro che avevan fallo disegno sopra un disor
dine più co' fiocchi. » Al forno! al fonio! » h grida.
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CAflTOLU \H. ' a41
Nella slradti diiamata la Corsia de' Servi, c'era, e u è tuttavia uii
fonio, che consena lo slesso nome; nome che in toscano viene a dire
il forno delle grucve, e in milanese ì- composto di parole così elcro-
Hite, cosi bisbetiche, co» salvatiche. che l'airabelo della lingua non
ha i segni per indicarne il suono'. A quella parte s' avventò la
gente. Quelli ddla bollega slavano iiiterrogaiido il garzoite tomaio
scarico, il quale, lutto sbigottito e abbarulTalo, riferiva balbellando
la sua trista avventura; quando si senic un calpestio e un urìio insieme:
cresce e s'avvicina; compariscono i forieri deUa masnada.
Serra, serra; presto, presto: uno corre a chiedere aiuto al capitano
di giustizia; gli altri chiudono in frella la bottega, e appuntellano i
ballenti.' La genie eomiikcia a alTellarsi dì fuori, e a gridare: " pane!
I»ne! aprite! aprite! n
Pochi liiomenti dopo, arrivali capitano di giustizia, con una scorta
d'alabardieri. '^ Largo, largo, figliuoli; a casa, a casa: fate liiogo al
ipilaoo di giustizia, <- grida lui e gli alabardieri. I^a genie, che non
• r,\ iireflìti di sranv:
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t44 , 1 PROMESSI SPOSI
tra aneor troppo Zilla, fa un po' di luogo; diiiiodocliè quelli )H»ter<HW
arrivare, e postarsi, insieme, se non in ordine, davanti alla porta
dcUa bottega.
>> Ma figliuoli, n predicava di li il capitano, "che fate qui! A casa,
a casa. Dov'è il timor di Dio? Che dirà il re nostro signore? Non vo-
gliam farvi male; ma andate a casa. Da bra\'il Che diamine vuk-le
Tur qui, cosi ammontati? Niente dì bene, né per l'anima, né per il corpo.
A casa, a casa. "
Ma quelli die vedevan la fiicda del dtctlore, c-senlivan le sue
(tarolc, quand'andie avessero veduto ubLidire, dilc un poro in che
maniera avrebber potuto, spìnti com'erano, e incalzati da quelli di
dietro, spinti anch'essi da altri, come (lutti da flutti, via. via fino
all'estremila della folla, cbe andava sempre crescendo. M capitano,
cominciava a mancargli il respiro. " Fateli dare addietro di' io possa
riprender fiato, " diceva agli alabardieri: » ma non fate male a nes-
suno. Vediamo d'entrare in bottega: picchiate; fateli stare indietro. >;
" Indietro! indietro! » gridano gli alabardieri, buttandosi tulli in-
itieme addosso ai primi, e respingendoti (;on l' aste dell'alabarde. Qudli
urtano, m tirano indietro, come possono; danno con le sdiicne ne'
[ietti , co' gomiti nelle pance , co' calcagni sulle punte de' piedi a
f|Uellr che son dietro a loro: si Ut un pigio, una calca, che quelli dte
»i trovavano in mezzo, avrebbero pagalo qualcosa a essere altrove.
Intanto un po' di \Mo s e fatto davanti alia porta : ìl capitano pie-
clu'a , ripicdiia , urla clic gli aprano : qudli di dentro vedono dalie
finestre, sceinlon di corsa, aprono; il capitano entra, cliiama gli ala-
bardieri, che si ficcan dentro anch'essi 1' un dopo l'altro, gli ultimi
ratlenendo la folla con l'alabarde. Quando sono entrati lutti, si mette
tanto di catenaccio, si riappuntella; il capitano sale di corsa, e s' af-
faccia a una finestra. Uh, che fonnicolaio!
u Figliuoli, » grida: molti si voltano in su; » figliuoli, andale a
cosa. Perdono generale a chi (orna subito a casa. "
u Pane! pane! aprite! aprite! >y cran le parole più distinte ndl'ui^
lio orrendo, che la folla mandava in risposta.
u Giudizio, figliuoli! badate benel siete ancora a tempo. Via, an-
dale, tornate a casa. Pane, ne avrete; ma non è questa la maniera.
Eh!... eh! che fate laggiù! Eh! a quella porla! Oibò oibó! Vedo,
vedo : giudizio ! badate bene 1 è un delitto grosso. Or ora ^eiigo io.
Eh! eh! smettele con que' ferri; giù quelle mani. Vergogna! Voi altri
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XII.
milanesi, che, per la boiitù, siele nominati in liillu il mondo! Sentite,
sentile: siete sempre stali buoni fi Mi eanagliul -^
Questa rapida mutazione di stile Tu cagionala da una pietra eliu,
usdla dalle mani d'uno di que' buoni figliuoli, venne a batter nella
fronte del capitano, sulla protuberanza sinistra della profondità mela-
fisica. " Canaglia! canaglia!'' continuava a gridare, chiudendo presto
prcslo la finestra, e ritirandosi IVfa quantunque avesse gridato quanto
n'aveva in canna, le sue parole, buone e cattive, s'eran tutte dile-
guale e disfatte a mezz'aria, nella tcm|)esla delle grida che ^enivan di
giù. Quello poi che diee\'a di vedere, era un gran lavorare di pietre,
di ferri {i primi che c<duro avevano potuto procacciarsi per la stra-
da), che si faceva alla porta, per sfondarla, e alle finestre, per svel-
lere r inferriate: e già 1' opera era molto avanzata.
Intanto , padroni e garzoni della bottega , eh' erano alle finestre
de'piani di sopra, con una munitone di pietre (avranno probabil-
mente disseirìato un cortile), 'nrla%'ano e focevan versacci a quelli di
giù, perchè smettessero; facevan vedere le pietre, accennavano dì vo-
lerle buttare. Visto eh' era tempo perso, cominciarono a butlarìe dav-
vero. Neppur una ne cadeva in fallo; giacché la calca era tale, che'
un granello di miglio, come si suo) dirCj non sarebbe andato in terra.
« Ah birboni! ah furfantuniiÈ questo il pane, che date alla povera
gente? Ahi! Ahimè! Ohi! Ora, ora ! " s' urlava di giù. Più d' uno fu
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Ila 1 PROMESSI SPOSI
concialo inale; due ragazzi vi rimasero morti. D furwe accrebbe le
forze della moltitudine: la porla fu sfondala, l' inferriate, svelle; e it
torrente [lenelrò per tutti ì varchi. Quelli di dentro, vedendo la mala
parata, scapparono in soffitta: il capitano, gli alabardieri, e alcuni della
casa stetlcro li ranniecliiali ne' cantucci; altri, uscendo per gli ab-
baini, andavano su pe' letti, come i gatti.
La vista della preda fece dimenticare ai \incilori i disegni di ven-
dette sanguinose. Si slanciano ai cassoni ; il pane è messo a ruba.
Qualcheduno in vece corre al l)anco, butta giù la serratura, agguanta
le ciotole , piglia a manate, intasca , ed esce carico di quattrini, per
tornar poi a rubar pane, se ne rimarrà. La folla si sparge ne' ma-
gazzini. Mellon mano ai saccbi, li strascicano, li rovesciano: chi se ne
caccia uno Ira le gambe, gli scioglie la bocca, e, per ridurlo a un ca-
rico da potersi portare, bulla via una parte della farina: cbi, gridando:
u aspella, aspetta, « si china a parare il grembiule, un fazzoletto, il
cappello, per ricever quella grazia di Dio; uno corre a una madia, e
prende un pezzo di pasta, che s'allunga, e gli scappa da ogni park-:
un altro, che ha conquistato un burallello, lo porla per aria: dà va.
ohi viene: uomini, donne, fanciulli, spinte, rispinle, uriì, e un bianco
polverio che per lutto si posa, per tulto si solleva, e tutto vela e
annebbia. Di fuori, una calca composta di due pi-ocessioni opposte.
che si rompono e s'intndciano a vicenda, di chi esce con la preda, e
di dtì vuol entrare a farne.
Mentre quel forno veniva cosi messo sottosopra, nessun altro della
città era quieto e senza pericolo. Ma a nessuno la gente accorse in
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CAPITOLO XII ttl
numero tale da potere inlraprender luUo;Ìiì aicuiii,i padroni avevaii
raeeolto degli ausiliari , e stavan sulle difese ; altrove, trovandosi io pochi,
venivaDO in certo modoapalli; distribuivan pane a quelli die s'eraq
eominciali a aOollare davanti alle botteglie, con questo che se n'an-
dassero. E qudli se n'andavano, non tanto perchè Tosser soddisfalli,
quanto perchè gli alabardieri e la sbirraglia, stando aUa larga da quel
tremendo forno delle grucce, si facevan però vedere altrove, in tamk
bastante a tenere in rispetto i tristi che non fossero una folla. Cosi il
trambusto andava sempre crescendo a quel primo disgraziato forno;
))erchè tiilìì coloro che gli ])izzieavan le mani di for qualche beli' im-
presa, correvan là, dove gli amici erano i più forti, e l'impunità sicura.
A questo punto eran te cose, quando Renzo, avendo ormai sgra-
nocchialo il suo pane, veniva acanti per il borgo di porta orientale,
e s' avviava , senza saperlo , proprio al luogo centrale del tumulto.
Andava, ora lesto, ora rilardalo dalla folla; e andando, guardava e
stava in orecchi, per ricavar da quel ronzio confuso di discorsi qual-
che notizia più positiva dello slato delle cose. Ed ecco a un di presso
le parole che gli riuscì di rilevare in tutta la strada che fece.
^ Ora è scoperta, » gridava uno, -^ l'impostura infame di qui-'
birboni, che dicevano che non c'era né paine-, né farina, ne grano.
Ora si vede la cosa chiara e lampante ; e non ce la potranno |mù
dare ad intendere. Viva l'abbondanza! "
u Vi dico io che tutto questo non serve a nulla," diceva un altro:
" è un buco ndl'a^qua; anzi sarà peggio, se non si fa una buona
giustizia. Il pane verrà a buon mercato, ma ci mellerantio il veleno,
per far morir la povera gente, come mosche. Già Io dicono che siam
troppi; l'hanno detto nella giunta; e lo so di certo, per averlo sentito
dir io, con guest' orecchi, da una mia comare, che è amica d'un pa-
rente d' uno- sguattero d' uno di que' signori. «
Parole da non ripetersi diceva, con la schiuma alla bocca, un altro,
che teneva con una mano un cencio di fazzoletto su' capelli arruffoli
e insanguinati. E qualche vicino, come per consolario, gli taceva eco.
« L^i^, largo, signori, in cortesia; lascin passare un povero padre
di famiglia, che porla da mangiare a cinque figliuoli. » Cosi diqe^'B
uno die veniva barcollando sotto un gran sacco di farina; e ognuno
s'ingegnava di ritirarsi, per fargli largo.
« Io?n diceva un altro, quasi sottovoce, a un suo compagno: e io
me la batto. Son uomo di mondo, e so come vanno queste cose.
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I PROMESSI SPOSI
Questi iiiciiotli che fìanno ora tanto fracasso, domani o donian l'altro, se
ne staranno in casa, liilli pieni di paura. Ho già visto certi vi^i, certi
galantuomini che giran, facendo J'indìanp, e nolano chi e' è e chi non e' è:
quando poi tutto è finito, si raccolgono i conti, e a chi tocca, locea. »
" Quello die prolegge i fornai, n grida>a una voce sonora, elie al-
lirt) l'attenzione di Renzo, " é il vicario di provvisione, x
t< Son lutti birboni , n diceva un ^'icino.
u Si; ma il capo è lui, » replicava il primo.
Il vicario di provvisione, eletto ogn' anno dal goVériiatore Ira sei
nobili proposti dal Consiglio de' decurioiri, era il presidente di questo, e
del tribunale di provvisióne; il quale, composto di dodici, andic que-
sti nobili , avevti, con altre atlribuzioui , quella prineipalmenle del-
l'annona. Chi occupava un (al |>oslo doveva necessariamente, in lemjM
di fame e d'ignoranza, esser detto l'autore de' mali: meno che noH
avesse fallo ciò che fece Ferrer; cosa che non era nelle sue facoltà,
^ anche fosse stata nelle sue idee.
« Scellerati! " esclamava un altro: « si può far di pejHpo? sono arri-
vati a dire che il gran cancelliere è un vecchio rìmbambilo, per levai^ti
il credito, e comandar loro soli. Bisognerebbe fare una gran 9Ka,e'meI-
terK dentrOi a viver di vecce e di loglio, come volevano Irallar nói; "
« Pane eh? « dicevauno die cercava d'andar in (retta: « sassale
dì libbra: pietre di questa fatta, che venivan giù come la grandioe.
E ctie schiacciata di costole! Non vedo l'ora d' es^e a casA mia. n
Tra questi discoi-si, dai quali non saprei dire se fosse più informato
o sbalordito, e tra gli urloni, arrivò Renzo finalmente davanti a quel
forno. La gente era già molto diradala, dimodoché potè contemplare
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CAPITOLO XII. am
H brullo e rccenle soqquadro. Le mura scalcinate e animdoedk; da
saasi, da maltoni, le finestre sgangherate, diroccala la porla.
— Questa poi non è una bella cosa, — ^ disse Renzo tra sé: — se
condan cosi tutti i /orni, dove vogtion fare il pane? Ne' pozzi? — ■
Ogni tanto, usciva dalla botila qualeheduno che portava un pezzo
di cassone, o di madia, o di frullone, la stanga d'una gramc^a. ima
(tanca, una paniera, un libro di conti, qualche cosa in somma di quel
liovero Tomo ; e gridando : u largo , largo , n passava Ira la <eitlc.
Tulli questi s'incamminavano dalla slessa parte, e a un luogo^conve-
nuto, si vedeva. — Cos'è quest'altra storia? — pensò di nuovo Renzo;
e andò dietro a uno che, Tatto un fascio d'asse spezzate e di scheg-
ge, se lo mise in ispalla, avviandosi , come gli altri, per la strada ohe
costeggia il lianco settentrionale del duomo, e ha preso nome dagli
scalini che c'erano, e da poco in qua non ci son più. La voglia d'os-
servar gli avvenimenti non potè fare che il montanaro, (jiiando gli si
scopri davanti la gran mole, non si soffermasse a guardare in su.
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suo I PROMESSI SPOSI
con la bocca aperta. Studiò poi il passo, per ra^unger colui die
nveva preso come per guida; voltò il canto, diede un'occhiata anche
alla facciata del duomo, rustica allora in gran parte e ben lontana dal
compimento; e sempre dietro a colui, che andava verso il mezzo ddla
piazza. La gente era più fitta quanto più s' andava avanti, ma al por-
latore gli si faceva lai^ : egli fendeva l' onda del popolo , e Renzo ,
standogli sempre attaccato , arrivò con lui al centro della folla. Li
c'era uno spazio vóto, e in mezzo, un mucchio di brace, reliquie
degli attrezzi detti di sopra. All'intorno era un batter di mani e di
piedi, un frastono di mille grida di trionfo e d'imprecazione.
L' uomo del fascio lo buttò su quel mucchio ; un altro , con un
mozzicone di pala mezzo abbruciacchialo, sbracia il fuoco: il fumo
cresce e s' addensa ; la fiamma si ridesta ; con essa le grida sorgon
più forti, u Viva l'abbondanza! Molano gli affamatorì ! Moia la ca-
restia! Crcpi la Provvisione! Crepi la giunta! Viva il pane! «
^'eramente, la dislruzion de' frulloni e delle madie, la devaslazion
de' forni, e lo scompiglio de' fornai, non sono i mezzi più spìcci per
far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche.
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CAPITOLO XII. SUI
che una iiHilUtudiiie non ei arriva. Però, senza essere un gran meta-
fisico, un uomo ci arriva talvolta alta jtriraa, finch' è nuovo neIJa que-
Klione ; e solo a forza di parlarne , e di sentirne parlare, diventerà
inabile anche a intenderle. A Renzo in fatti quel pensiero gli era ve-
nuto da principio, e gli tornava, come abbiam visto, ogni momento.
Lo tenne per altro in sé; |>ercliè, dì tanti visi, non ce n'era uno che
sembrasse dire: fratello, se fallo, correggimi, che l'avrò t-ai-o.
tiià era di nuo^o tìiiila la fiamma; non si ^ede^a più \'enir nes-
suno con altra materia, e la gente cominciala a annoiarsi; quando si
sparse la \o«<, che, al Cordusio ( una piazzetta o un crocicchio non
molto distante di li ), s'era messo l'assedio a un forno. 8|>esso, in
simili circostanze , 1' annunzio d' una cosa la fa cssci'c. Insieme con
qudta voce, si dìriuse nella multtludinc una voglia di correr là: « io
^'0 ; tu , vai ì vengo ; andiamo , » si sentiva per tutto : la calca si
rompe, e diventa una processione. Renzo rimaneva indietro, non mo-
vendosi quasi, se non quanto era strascinato dal torrente; e teneva
intanto consiglio in cuor suo, se dovesse uscir dal baccano, e ritornare
al convento, in cerca del padre Bonaventura, o andare a vedere an-
die quest'altra. Prevalse di nuovo la curiosità. Però risolvette di non
cacciarsi nel fìtto della mischia, a farsi ammaccar 1' ossa, o a risicar
qualcosa di peggio; ma di tenersi in qualche distanza, a osser^ai-e. E
trovandosi già un poco al largo, si levò di tasca il secondo pane, e
attaccandoci im morso, s'avviò alla coda dell'esercito tumultuoso.
Questo, dalla piazza, era già entrato nella strada corta e stretta
di Pescheria vecchia, e di là, per quell'arco a sbieco, nella piazza de'
Mercanti. E li eran ben pochi quelli che , nel passar davaiiti alla
nicchia che taglia il mezzo della loggia dell' edifìzio chiamato allora il
eoKegio de' dottori, non dessero iin'ocdiiatina alla grande statua che
vi camp^^jiava, a quel viso serio, burbero, accipigliato, è non dico
abbastanza, di don Filippo II, che, anche dal marmo, imponeva uh
non ao che di rispetto, e, con quel bracdo teso, pareva che fosse lì
per dire: ora vengo io, marmaf^ia.
Quella statua non e' è più, per un caso singolare. Orca cento set-
tant'anni dopo quello che stiam raccontando, un giorno le fu cam-
biata la testa, le fu levato di mano lo scettro, e sostituito a questo
un pugnale; e alla statua fu messo nome Marco Bruto. Così accomO'
data stette forse un par d'anni; ma, una mattina, certuni che non
avevan simpatia eon Marco Bruto, anzi dovevano avere eoo lui una
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lUl I PHOMCSSl SPOSI
cuggine segreta., gellaroiio ima fune intomo alla statua, la tiraroD
giti, le recero, curio angherie; e, mutilala e ridotta a un torso ioforme,
la strascicarono, con gli occhi in fuori , e con le lingue fuori, per le
- htrade, e, quando furono stracchi bene, la ruzzolarono non so dove.
Clii r avesse detto a Andrea Biffi, quando la scolpiva!
Dalla piazza de' mercanti, la marmaglia insaccò, per queir altr' arco.
nella via de' fmtagnai, e dì li si sparpagliò nel Gordusio. Ognuno, ^ pri'>
nio sboccarvi, guardava subito verso il forno ch'era stato indicato. Ma
in vece della moltitudine d'amici che s' aspettavano di trovar li già al la-
voro, videro soltanto alcuni starsene, come esitando, a qualche dlstanca
della bottega, la quale era chiusa, e alle finestre gente armata, in alto di
star pronti a difendersi. A quella vista, chi si maravigliava, chi sa-
grava, chi rideva; chi si voltava, per informar quelli che arrìvavan
via via ; chi si fermava , chi voleva tornare indietro , chi diceva :
it avanti, avanti. " C era un incalzare e un rattenere, come lui ri-
stagno, una tiluba;»one, un ronzio confuso di contrasti e di consulte.
in questa, scoppiò di mezzo alla folla una maledetta voce: « c'è qui
vicino la casa del vicario di provvisione: andiamo a far {pustlzìa, e
a dare il sacco. » Parve il rammentarsi comune d'un concerto preso,
piuttosto che l'accettazione d'una proposta, u Dal vicario ! dal vicario ! »
è il solo grido che si possa sentire. La turba si move, tutta insieme,
verso la strada dov' era la casa nominata in un così cattivo punto.
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CAPITOLO XJII.
turalo vicario sta\at, in quel
momento, Scendo un chilo
agro e stentalo d'un desinare
biascicato senza ^petito, e
senza pan Tresco; e attende-
va, con gran sospensione ,
come avesse a finire qutHta
burrasca , ItMitano però dal
sospettar che dovesse cader
così spaventosamente addosso a lui. Qualche galantuomo precorse di
galoppo la fdla, per avvertirlo di quel che gli sovrastava. I servi-
lori, attirati già dal rumore sulla porla, guardavano sgomentati lungo
la strada, dalla parte donde il rumore veniva avvieinandosi. Mentre
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1114 I PROuessi SPOSI
asooltan l'avviso, vedon comparire la vanguardia: in fretta e in furia,
si porta l'avviso al padrone: mentre questo pensa a fuf^re, e catae
Aiggire, un altro viene a dirgli che non è più a tempo. 1 servitori ne
hanno appena tanto che basii per chiuder la porta. Metton la stanga,
inelton puntelli, corrono a chiuder le finestre, come quando si vede
venire avanti uii lempo nero, e s'aspetta la grandine, da un momento
all'altro. L'urlio crescente, scendendo dall'alto cune un tuono, rim-
bomba nel voto cortile; ogni buco della casa ne rintrona: e dimezzo
ai vasto e confuso strepito, si senton forti e fìtti colpi di fàetn
idla porla.
u 11 vicario! Il tiranno! L'aflamatorelLo vogliamo! vivoomorto!»
Il meschino girava di stanza in stanza , pallido , senza fìato , bal-
lendo palma a palma, raccomandandosi a Dio, e a' suoi servitori, che
tenessero fermo , che trovassero la mani»^ di farlo scappare. Ma
(«me , e di dove ? Sali in soffitta ; da un pertugio , guardò ansio-
samente nella strada , e la vide piena zeppa dì furibondi ; senti le
voci ehe diiedevan la sua morte; e più smairilo che mai, si ritirò, e
andò a cercare il più sicuro e riposto nascondiglio. Li rannicciiialo,
stava attento, attento, se mai il funesto rumena s' affievolisse, se il tu-
multo s'acquietasse un poco; ma sentendo in vece il muggito alzar» più
feroce e più rumoroso, e raddoppiare i picchi, preso da un nuovo
soprassalto al cuore, si turava gli orecchi in fretta. Poi , come fuori di
sé, strìngendo i denti, e raggrinzando il viso, stendeva le bracda, e
(Hinlava i pugni, come se volesse tener ferma la porta.... Del resto,
quel che facesse precisamente non si può sapere, giacché era solo;
e la stona é costretta a indovinare. Fortuna cl»e c'è avvezza.
Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non già por-
tatovi dalla piena, ma cacciatovi» deliberatamoile. A quella prima
proposta di sangue, aveva sentito il suo rimescolarsi tutto: in quanto
a) saccheggio, non avrebbe saputo dire se fosse bene o male in quel
ca^; ma l'idea dell'omicidio gli cadono un orrore pretto e immediato.
E quantunque, per quella funesta dodlìtà degli animi appassionati al*
l'aflennare appassionato di molti, fosse persuasìssimo die il vicario era
la cagion principale della fome, il nemico de' poveri, pure, avendo, al
primo movere della turba, sentita a caso qualche parola die indicava
la volontà dì fare <ygm dono per salvarìo, s'era subito proposto d'aiu-
tare anche lui un'opera tale; e, con quest'intenzione, s'era caocialo,
quasi fino a qodla porla, die veniva travagliata in cento modi. Chi con
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CAPITOLO XIII. lU
ciottoli picchiava su' chiodi della serratura , per iscoofìcvarla ; altri ,
con pali e scarpelli e martelli, cercavano ili lavorar più in regtda:
altri poi, con pietre, con coltali spuntati, con chiodi, con bastonr,
con l'unghie, non avendo altro, scaldnavaDO e sgretolavano il muro,
e s' ingegnavano dì levare i mattoni, e fare una breccia. Quelli che
non potevano aiutare, &cevan coraggio con gli urti; ma nello slesso
tempo, con lo star li a pigiare, impicdavandi più il lavoro già impic-
ciato dalla gara disordinala de' lavoranti: giacché, per grazia del cielo,
accade talvolta anche nel mal^ quella cosa troppo frequente nel bene,
che i foutorì più ardenti divengano un impedimento.
I magistrati ch'ebbero i primi l'avviso di quel che accadeva, spe-
dìron subito a chieder soccorso al comandante del castello, che allora
si diceva di porla Giovia; il quale mandò alcuni soldati. Ma, Ira l'avviso,
e r ordine , e il radunarsi, e il mettersi io cammino, e il cammino,
essi arrivarono che la casa era già cinta di vasto assedio; e fecero ^lo
lontano da quella, all'estremità della folla. L'ufiziale che li comandava,
non sapeva che partito prendere. Li non era altro die una, lasaalemi
dire, accozzaglia di gente varia d'età e di sesso, che stava a vedere.
\ir intinuuioni che gli venivan fatte, di sbandarsi, e di dar luogo, ri-
spondevano con un cupo e lungo mormorio; nessuno si moveva. Far
fuoco sopra quella ciurma, pareva all'uiìzìale cosa non solo crudele, ma
piena di pericolo; cosa che, oflendendo i meno terribili, avrebbe irri-
tato i molti violenti: e del resto, non aveva una tale istruzione. Aprire
quella prima folla, rovesciarla a destra e a sinistra, e andare avanti
a portar la guerra a chi la faceva, sareUie stala la meglio; ma riu-
scirvi , li stava il punto. Chi sapeva se i solflali avrebber potuto avan*
zarsi uniti e oi'dinali ? Che se, in. vece di romper la folla, si fossero
sparpagliati loro tra quella, si sarebber trovati a sua discrezione;
dopo averla aizzata. L'irresolutezza del comandante e l'immobilità de'
soldati parve, a diritto o a torto, paura. La gente che si trova^'W vi-
cìno a loro, si contentavano di guardargli in viso, con un'aria, come
si dice, dì me n'impipo; quelli ch'erano un po' più lontani, non se
ne stavano di provocarìi, con visacci e con grida di scherno; più in
là, pochi sapevano o si curavano che ci fossero; i guastatwi seguita-
vano a smurare, senz'altro p«isiero die di riuscir presto nell'impresa;
gli spettatori non cessavano d'animarìa con f^iurii.
Spiccava tra questi , ed era lui stesso spettacolo , un veodiio mal
vissuto, che, spalancando due occhi affossati e infocati, conlniendo le
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1 pRouessi SPOSI
grinze K un at^ghigno di compiacenza diabolica , eoo le maiii alzate
sopra una canizie viluperosa, agitava in aria un marldlo, una corda,
qiialbY) gran chiodi, con che diceva di volere attaccare il vicario a un
battente ddla sua porìa, ammazzato che fosse.
u-'Oibólvergt^na!" scappò fuori Renzo, inorridito a qudJe parole,
alla vista, di tant'allrì visi ette davan se^o d'approvarìe, e incon^-
gHo dat vedane degli ^ri, sui quali, benché muti , traspariva lo
slessb orrore del qiiale era compreso lui. u Vei^ogna ! Vogliam noi
rubare il mestiere al l>oia? assassin»^ un cristiano? Come volete che
Dio a dia del pane , se facciamo di queste alrocilà ? Ci manderà de'
fulmini, e non del pane! «
M Ab canel ah tratfitor ddla patria! « gridò, volhindosi a Renzo,
con un viso da indemonialo , un di coloro che avevan potuto sentire
tra il frastono quelle sante parole. « Aspetta, aspetta! É un servitore
del vicario, travestito da contadino: è una spia: dalli, dalli! « Genio
voà si spargono all'intorno, u Cos'è? dov'è? chi è? Un so^itore del
vicario. tJna spia. Il vicario travestilo da conladino, die scappa., Dih
v'è? dov'è? daUij dalli! n..
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CAPITOLO XIII. IHT
Renzo ammutolisce, diventa piccino piccino , vorrebtte spai'ire; alcuni
suoi vicini lo prendono in mezzo; e eon alte e diverse gi-ida cercano
di cMifondere (|uelle voci nemiche e omicide. Ma ciò che più di (ulto
lo servì fu un u largo, largo, » che si senti gridar li vicino: e largo! e
qui l'aiuto: largo, ohe! "
Cos'era? Era una lunga scala a mano, die alcuni iwrtavano, per
appof^arla alla casa, e entrarci da una finestra. Ma per buona sorte,
quel mezzo, che avrebbe resa la cosa facile, non era facile esso a met-
tere in opera. 1 portatori, all'una e all' altra cima, e di qua e di là
della maediina , urtati , scompigliati , divisi dalla calca , andavano a
onde : uno , con la lesta tra due scalini e gli staggi suHe si)alle , op-
presso come sotto un giogo scosso, mugghiava; un altro veniva stac-
cato dfd carico, con una spinta; la scala abbandonata picchiava sjKille,
braccia, costole: pensate cosa dovevan dire coloro de" quali erano.
Altri sollevano con le mani il peso morto, vi si caccian sotto, se lo
mettono addosso, gridando: " animo! andiamo! » 1^ macchina fatale
s' avanza tialzelloni , e serpeggiando. Arrivò a tcm|>o a disti-arre e a
disordinare i nemici di Renzo , il quale profittò della confusione naia
nella confusione; e, quàtio quatto sul principio, poi giocando di gomita
a più non posso, s'allontanò da quel luogo, dove non c'era buon'aria
per Ihì, con l'intenzione anelie d'uscire, più presto che potesse, dal
liunulto, e d'andar davvero a trovare o a appellare il padre Bona-
ventura.
Digitizf^riiiyGoOgle
tW I PROMESSI SPOSI
Tuli' a un Irallo, un movimento sb^ordìnario oomìneìalo a una
(^IromitA, si propaga per la folla, una vocesìspai^, viene avanti di
l)ocoa in bocca: u Ferrer ! Ferrer ! » Una maraviglia, una gioia, una rab-
bia, un'indinnzione, una ripiifpianza, scoppiano per (utio dove arriva
f|Uel nome; ctii lo grida, ehi vtiol soFTogarìo; chi afTerma, ehi nega,
chi benedice , chi bestemmia.
« É qui Ferrer! — Non è l'ero, non è vero! — Si, si; viva Ferrer!
qudlo che ha messo il pane a buon mercato. — No, no! — É qui, è qui
in carrozza. — Cosa imporla? che e' entra lui ? non vogliamo nessuno!
— Ferrer! \iva Ferrer! 1' amico della povera gente! viene per con-
durre in prigione il vicario. — No, no: vogliamo far giustizia noi:
indietro, indietro! — Si, si; Ferrer! v^ga Ferrer! in ]>rigione il vicario!"
E tutti , alzandosi in punta di piedi , si voltano a guardare da
(|uella |>arle donde s'anniHiziava l'innaspellalo arrivo. Alzandosi tutti,
vedevano né più né meno elic se (ossero stali ludi con le piante in
terra; ma lant'c, tulli s'alzavano.
In falli, all'estremila della folla, dalla parte opposta a quella dove
stavano i soldati, era arriialo in carrozza AnlcMiio Ferrer, il gran can-
i-elliere; il quale, rimordendogli probabilmente la coscienza d'essere
vo' suoi spropositi e con la stia ostinazione, stalo eausa , o almeno oc-
casione di quella sommossa, leniva ora a cercar d'acquietarla, e d'im-
pedirne alméno il più terribile e irreparabile elTetlo: veniva a spender
bene una popolarità mal acquistata.
Ne' tumulti {wpolari e' è sempre un certo numero d' uomini die,
o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica,
o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro,
fanno di lutto per ispingcr le cose al p^^o ; propongono o promo-
l'ono i più spietati consigli, soffiai) nel fuoco ogni volta che prindpb
a illanguidire: non e mai troppo per costoro; non correbbero che il
tumulto avesse né line né misura. Ma per contrappeso, c'è sempre
anche un certo numero d'altri uomini che, con pari ardore e con
insistenza |)ari, s'adoprano per produr l'effetto eontrarìo: taluni mossi
«laamicieia o dn parzialità jier le persone minacciate; altri senz'altro
impulso che d'un pio e spontaneo orrore del sangue e de' fatti atroci.
Il cielo li benedica. In ciascuna di queste due parti opposte , andie
quando non ei siano concerti antecedenti, l'uniformità de' voleri crea
iin concerto istantancD nell'operazioni. Chi forma poi la massa, e quasi
il materiale del tumulln, è un miscuglio accidentale d'uomini, che.
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CAPITOLO \1<). tuo
più o meno, per gradazioni indefinite, tengono delfuiio e dell'altro
eslrano: un po' riscaldati, un po' furili, un po' inclinati a una certa
giuslizia , come I' inlendon loro , un po' vogliosi di vederne qualche-
duna grossa, pronti alla ferocia e alla miseriuirdia , a dt^'lcslarc e a<l
adorare, secondo che si prescniì l'occasione di provar con picneeza
l'uno 0 l'altro sentimento; avidi ogni momento di sapere, di credere
qualche cosa grossa , bisognosi di grìttare , d'applaudire a qualelie-
duno, o d'urlargli dietro. Viva e moia, son le parole clic niantlaii
fuori più volentieri; e chi è riuscito a persuaderli che un tale non me-
riti d'essere squartato, non ha bisogno di spender più parole i>er con-
vincerli che sia degno d' esser portalo in trionfo : attori , spedaloii ,
strumenti, ostacoli, secondo il \'enlo; pronti anche a stare zitti, quando
non scntan più grida da ripetere, a Unirla, quando manchino gl'isti-
gatori, a sbandarsi , quando molle voci concordi e non eontrad<letle
aUiiano detto : andiamo; e a tornarsene a easa, domandandosi 1' uno
con l'altro: cos'è stato? Siccome però questa massa, avendo la maggior
forza , la può dare a cliì vuote, cosi ognuna delle due partì attive us»
ogni arte per tirarla dalla sua , per impadronirsene : sono quasi due
anime nemiche, che combattono per entrare in quel corpaccio, e fario
movere. Fanno a chi saprà sjiarger te ^'oci jiiù atte a eccitar le pas-
sioni, a dirigere i movimenti a favore dell'uno o dell'altro intento; a
chi sajirà più a proposilo trovare le nuo^e che riaccendano gli sdegni,
0 gli afQevt^scano , risveglino le speranze o i terrori; a ehi saprà tro-
vare il grido, che ripetuto dai più e più forte, esprima, attesti e crei
nello stesso tempo il voto della pluralità, jier l'uria o per l'altra parte.
Tulla questa chiacchierala s'è fatta per \'enirc a dire che, nella lolla
tra le due parti che si contendevano il volo della gente alTollala alla
casa del vicario, 1' a|){)arizionc d'Antonio Ferrer diede, quasi in un
m(Hiiento, un gran vantaggio alla parte degli umani, la (juale era ma-
nifestamente al disotto, e, un po' più clic quel soccorso fosse tardalo,
non avrebbe a\ ulo più , né forza , né motivo di eombatterc. L' uomo
era gradito alla moltitudine, per quella tariffa di sua invenzione cosi
fovorevole a' compratori, e per quel suo ei-oico star duro contro ogni
ragi<Hiamento incontrario. Gli animi già propensi erano ora ancor più
innamorati dalla fiducia animosa del veecliio che, senza guardie, senza
apparato, veniva cosi a trovare, ad affrontare una niollilndinc irri-
tata e procellosa. Faceva poi un elTetto mirabile il sentire che veniva
a condurre in prigione il vicario : così il furore contro costui, i-hè si
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100 1 PROMESSI SPOSI
$areU>e scatenalo peggio, chi l'avesse preso con ìv brusche, e non gli
avesse voluto conceder nulla, ora, con quella promessa di soddisla-
zjone, con quell'osso in bocca, s'acquie(a\'a un poco, e dava luogo ag^
altri opposti sentimenti, che sorgevano in una gran parte degli animi.
I partigiani della pace, ripreso (iato, secondavano Ferrer in cento
maniere : quelli che si trovavan vicini a lui , ceeilando e rieccilando
col loro il pubblico applauso, e cercando insieme dì far ritirare la
gente, per aprire il passo alla carrozza; gli altri, applaudendo, ripe-
tendo e facendo passare le sue parole, o quette che a lor parevano le
migliori che potesse dire, dando sulla voce ai furiosi ostinali, e rìviA-
gendo contro di loro la nuova passione della mobile adunanza. « Chi
è che non vuole che si dica : viva Ferrer ? Tu non vorresti eh , che
il pane fosse a buon mercato ? Son birboni che- non vogliono una
giustizia da crìsiiani: e c'è di quelli ohe schiamazzano più defili altri,
per fare scappare il vicario. In prigione il vicario! Viva Ferrerl Lai^
a Ferrer! » E crescendo sempre più quelli clic parla^an cosi, s'an-
dava a proporzione abbassando la baldanza delia parte contraria; di
maniera che i primi dal predicare vennero anche a dar sulle mani
a quelli che diroccavano ancora, a cacciarli indietro, a le^'ar loro
dall' unghie gli ordigni. Questi fremevano , minacciavano anche ,
cercavan di rifarsi; ma la causa del sangue eia perduta: il grido die
predominava era: prigione, giustizia, Ferrer! Dopo un po' di dibat-
timento, coloro furon respinti: gli altri s' impadroniron della porta,
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CAPITOLO XIII. sei
e per tenerla difesa da nuovi assalti, e per prepararvi l'adilo a Ferrei-;
e alcuno di essi, mandando dentro una voce a quelli di casa, (fessure
non ne mancava) gli avvisò che arrivava soccorso, e che facessero star
pronto il vicario, « per andar subito.... in prigione: ehm, avole inleso?»
H É quel Perrer che aiuta a far le gride? » domandò a un nuovo
vicino il nostro Renzo , che si rammentò del vidit Ferrei- che il dot-
tore gli aveva gridato all'orecchio, facendoglielo ^ edere in fondo ili
quella tale.
« Gàh: il gran cancdliere <•. gli fu risposto.
1 É un gal^uituomo, n' e vero? »
« Eccome se è un galantuomo! è quello die avc^a messo il |>iiiic
a buon mercato ; e gli altri non hanno voluto ; e ora \ iene a con-
durre in prigione il vicario, che non ha fatto le cose giuste. »
Non b bisogno di dire che Renzo fu subito per Fcrrcr. Vdie an-
dargli incontro addirittura: la cosa non era facile; ma con certe sue
spinte e gomitate da alpigiano , riusci a far^ far largo . e a arri\'arc
in prima ffla, proprio di fianco alla carrozza.
Era questa già im po' in<dlrala nella folla; e in quel momento slava
ferma, per uno di quegl'ineagli inevitabili e frequenti, in un'andata
di quella sorte. Il vecdiio Ferrer presentava ora all'uno, ora all'altro
sportello, un viso lutto umile, tutto ridente, tulio amoroso, un viso
cbc aveva tenuto sempre ìn serbo per quando si trovasse alla presenza
di don Filippo IV; ma fu costretto a spenderlo anche in quesl'occa-
»one. Pariava anche; ma il diiasso e il ronzio di tante voci, gli ev-
viva stessi che si facevano a Ini , lasciavano ben poco e a ben pochi
sentir le sue parole. S'aiutava dunque co' gesti, ora mettendo la punta
ddle mani sulle labbra, a prendere un bacio che le mani, separan-
dosi subito, distribuivano a destra e a sinistra in ringraziamento alla
pubblica benevolenza; ora stendendole e movendole lentamente fuori
d'uno sportello, per diiedere un po' di luogo; ora abbassandole gar-
batamente, per chiedere un po' di silenzio. Quando n'aveva ottenuto
UD poco, i più vicini sentivano e ripetevano le sue parole: " pane,
abb(HndaDza: vengo a far gìuslizia: un po' di luogo di grazia. » So-
praflatto poi e come soffogato dal fracasso di tante voci , dalla vista
di tanti via Qtti, di lant' occhi addosso a lui, si tirava indietro un mo-
mento, gonfiava le gote , mandava mi gran solito, e diceva tra sé:
— por mi Vida, que de gente! —
« Viva Ferrer! Non abbia paura. Ia-ì ò un galantuomo. Pane, pane!»
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1 fHOUESSI Sfusi
I Sì; [laiiP, liane, " lispotideta Ferrei*: u ubboiHlaiiza; lo |ii'onicMa
n e niellevH la mano al pello.
1 1
I !
u Un po' di luogo, » aggiungeva subito: « vengo per condurio in
prigione, per dargli il giusto gastigo che si merita: » e soggiungeva
sottovoce : u SI es culpable. » Chinandosi poi innanzi verso il coc-
cliiere, gli diceva in fretta: « adelante, Pèdro, si puedes. "
Il cocchiere sorrideva anche lui alla moltitudine, con una grazia af-
fettuosa , come se fosse stalo un gran personaggio ; e con un garbo
ineffabile, dimenava adagio adagio la frusta, a destra e a sinistra, per
chiedere agl'incwnodi vicini che si rìsiringessero e si ritirassera un
poco. «Di grazia, « diceva anche lui, » signori miei, un po' di luogo.
un pochino; appena appena da poter |>assare. «
Intanto i benevoli più attivi s' adopra^'ano a far fare il lu(^o chie-
sto cosi gentilmente. Alcuni davanti ai cavalli facevano ritirar le per-
sone, con buone parole, con un mettere ie mani sui pelli, con cei'l»'
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CAPITOLO Xtll. iiGS
spinte soavi: « in là, vi:i, un )>o' di luogo, signori; » alcuni facevan
lo stesso dulie due parli della carrozza, perchè potesse passare senza
arrotar piedi, né aniinaccar oioslacd ; che, oltre il male delle persone,
sarebbe stato porre a un gran repentaglio l' auge d" Antonio Ferrer.
Renzo, dopo essere sialo qualche momento a vagheggiare quella
ikcorosa vecchiezza, conturbala un po' dall'angustia, aggravata dalla
latita , ma animata dalla sollecitudine , abbellita , per dir cosi , dalla
speranza di togliere un uomo all'angosce mortali, Renzo, dico, mise
da |>arle t^ni pefìsiero d'andarsene; e si l'isolvette d'aiutare Ferrer,
e di non abbandonarlo, tin che non fosse ottenuto l'intento. Detto
fatto, si mise con gli altri a far far largo; e non era cerio de' meno
aitivi. D largo si fece; « venite pure avanti, » diceva più d'uno al
cocchiere, ritirandosi o andando a fargli un po' di strada più innanzi.
"Jdelante, presto, eoa juicio," gli disse anche il padrone; e la car-
rozza si mosse. Ferrer, in mezzo ai saluti che scialacquava al pubUico
in massa, ne faceva certi partictdari di ringraziamento, con un sorrìso
d'intelligenza; a quelli che vedeva adoprarsi per lui: e dì questi sorrisi
ne toccò più d'uno a Renzo, il quale per verità se li meritava, e serviva'
in quel giorno il gran cancelliere meglio che non avrebbe potuto fare il
più bravo de' suoi segretari. Al giovane montanaro invaghito di quella
buona grazia, pareva quasi d'aver fatto amicìzia con Antonio Ferrer:
La carrozza, una volta incamminata, seguitò poi, più o meno adagiò,
e non senza qualche altra fermalina. Il tragitto non era forse più che
un tiro di schioppo; ma riguardo al tempo impiegatovi, avrebbe po-
tuto parere un viaggetto, anche a chi non avesse avuto la santa fretta
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SOI 1 pRouessi SPOSI
(li Ferrcr. La gente si moveva, davanti e di dietro, a destra e a sini-
slra della carrozza, a guisa di cavalloni intorno a nna nave che avanza
nel forte della tempesta. Piti aculo, più scordato, più assordante di
quello della tempesta era il bastono. Ferrer, guardando ora da una
parte, ora dall'altra; atte^andosi e gestendo insieme , cercava d'in-
tender qualche cosa, per accomodar le risposte al bìst^no; voleva far
alla meglio un po' di dialogo con quella brigala d' amici; ma la cosa
era difficile, la più diOìcile Torse che gli fosse ancora capitata, in tan-
l'anni di grao-caiicellierato. Ogni tanto però, qualdie parola, anche
qualche frase, ripetuta da un crocchio nel sud passaggio, gli si faceva
sentire, come lo scoppio d'un razzo più forte si fa sentire nell' im-
menso scoppieltio d' un fuoco artiiiziale. E lui, ora ingegnandosi di
rispondere in modo soddisfacente a queste grida, ora dicendo a buon
coido le parole che sapeva dover esser più accette, o die qualche ne-
cessità istaittauea |«ireva rieliiedere, parlò anche lui per tutta la slrada.
" Si, signori; pane, abbondanza. Lo condurrò io in prigione: sarà
gasligato... si e» niìpable. Si, si, comanderò Ìo: il paiie a buon mer-
cato. Àti es.... cosi è, voglio dire: il re nostro signore non vu*Ac
che codesti fedelissimi vassalli patisean la fame, Ox! ox! gum-doot:
non sì facciano male, signori. J^droj adelante con juicio. Abbondanza,
abbondanza. Un pò* di luogo, per carila. Pane, pane. In prigione, in
prigione. Cosa? » domandava poi a uno che s'era buttalo mezzo den-
tro lo s|>ort6llo, a urlargli qualche suo consiglio o preghiera 0 applauso
che fosse. Ma costui , senza poter neppure ricevere il " cosa? «, era
siato (irato, indietro da uno che lo vedeva lì li per essere scliiacciato
da una rota. Con queiste botte e risposte, tra le incessanti acclanuzioni,
tra qualche . fremito anclie d'opposizione, che si faceva sentire qua e
là, niaci?» subilo soffogalo, ecco alla fine Ferra- arrivato alla casa, per
opera principalmeìite di que' biioni ausiliari,
'■ Gli altri .che,' c(Hne abtaam dello, eran già li con le medesiine
buòne infenuoii!, avcvaoio intanto làwrato a fare e a riferì un po' di
pìaSEè. Fréga, esorta^ minaccia;'pigia,,rìpigìa, iocìdza 'di qua e; di là,
eóii.quel raddoppiare di voglia, e coìi quel rinnovamento di forze che
vienedal veder vicino il fine desiderato; g)i era finalmenle i-ìusdlo di
tlividcr la calca in due, e poi di spìngere indietro le duccaldie; tanto
che, tra la porta e La carrozza, che vi sì fermò davanti, v'era un
piccolo spazio voto. Renzo, che, facendo un jio' da battistrada, mi {to'
da scorta, era arrivato con la carrozza, potè collocarsi in una di qiidle
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CAPITOLO XIII. tOJ
flue fl'oiilìcrc di bciie\uli, che facevano, nello slcsso (viii|>o, ala alla
earrozza e argine alle due onde |>reinenli di popolo. E ainlan<1o a ral-
leiieriie una con le pmlerose sue 8|>aHe, si (rovo anche in nn Ih;I posto
per poter vedere.
Ferrer mise nn gran respiro, quando vide (|uella piazzetta Utiera, r
la porla ancor chiusa. Chiusa qui vuol dire non aperta; del resto i
gangheri eran quasi seontìceati fuor de' pilastri: t battenli scheggiati,
ammaccali, sforzati e scombaciati nel mezzo lasciavano vedei- fuori da
un largo spiraglio un jwzzo di catenaccio storto, allentalo, e quasi di ■
\ello, che, se vogliam dir cosi, li teneva insieme. Un galantuomo s'era
alTaeciato a quel fesso, a gridar che aprissero; un alti-o spalanetV in
frella lo sportello della carrozza; -il vecchio mise fuori la testa, s'alzò,
e afferrando con la deslm il braccio di quel galantuomo, usci, e scese
sul predellino.
La folla, da una parie e dall'allra, slava lulla in puiila di piedi
per veliere: mille visi, mille barbe in aria: la curiosità e l'altenzione
generale creò un momento di generale silenzio. Fcrrér, fermatcHi quel
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SOfl I PflOMESSI SPOSI
monieiiio sul itrcdellìno , diede un'occhiaia in giro, saluU^ con un in-
eliino la molliludine, come da un pidpilo,c messa la mano sinislra al
petto, gridò: " pane e giustìzia; " e franco, diritto, togato, scese iii
terra, Ira l'acclamazioni che andavano alle stelle.
Intanto quelli di dentro avevano aperto, ossia avevan lìiiito d'aprire,
tirando via il catenaccio insieme con gli anelli già mcui sconliccati, e
ailai^ndo Io spiraglio, appena quanto bastava per fare entrare il de-
sideralissimo ospile. " Presto, presto, » diceva lui: " aprite bene,
ch'io possa entrare: e voi, da bravi, tenete indietro la gente; non
mi lasciale venire addosso... per l'amor del ciek>! Seriale un po' di
lai^ per tra poco. . . . Ehi ! chi! signori, un miHnenlo, » diceva poi
ancora a quelli di dentro: u adagio con quel battente, lasciatemi pas-
sare: eh! le mie costole; vi raanmaodo le mie costile. Chiudete ora:
no; eh! eh! la toga! la toga! n Sarebbe in fatti rimasta presa tra i bat-
tenti, se Ferrer nwi n'avesse ritirato con molta disinvoltura lo slrn-
scico, che disparve come la coda d'ima serpe, che si rìmbuca inseguii».
Riaccostati i battenti, furono anche riappuntellati alla meglio. Di
fuori, quelli che s'eran coslituiti guardia del corpo di Ferrer, lavora-
vano di spalle, di braccia, e di grida, a mantener la piazza vota,
pregando in cuor loro che il Signore lo facesse far presto.
1 Presto, presto, » diceva anche lui di dentro, sotto il portico, ai
servitori, che gli sì eran mes^ intorno ansanti, gridando: " sì» bene-
detto! ab eccellenza! oh eccellenza! uh eccellenza! n
u Pfeslo, presto, n ripeteva Ferrer: « dov'è questo bencdelt'uomo? ^
n \'ieario scendeva le scale, mezzo slrasdcato e mezzo portalo da
alti-i suoi servitori , bianco come un panno lavalo. Quando vide il suo
aiuto, mise un gran respiro; gli tornò il polso, gli scorse un po' di
vita nelle gambe, un po' di colore sidle gote; e corse, come potè.
verso Ferrer, dicendo: « sono nelle mani di Dio e di vostra eccel-
lenza. Ma come uscir di qui ? Per tutto c'è gente che mi vurA mwto. «
u Veìxga usted conmù/o, e si faccia ooraj^io: qui fuori c'è la mia
carrozza; presto, presto. " Lo prese per la mano e lo condusse verso
la porta; facendogli corallo tuttavia; ma diceva intanto tra sé: — at^ii
està el butilis; Dio» nos valga! —
La porta s'apre; Ferrer esce il primo; l'altro dietro, rannicchiato,
attaccato, incollalo alla toga salvatrice, come un l>ambino alla sottanii
della mamma. Quelli che avevan mantenuta la piazza vola, fanno ora,
con mi alzar di mani, di cappelli, come una rete, una nuvola, per
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CAPITOLO XIII. 9«7
soUraire alla vista pericolosa della ni(rililudiiie il vivano; il qiuilc ciitra
H primo nella carrozza , e vi si rimpialla in un angolo. Ferrei- sale
dopo ; io sportello vieii chiuso. La mollitudine \ ide in confuso, riscp|>e,
indovinò quel eh' era aifadulo-; e niandó un m'Io d' applausi e d' ini-
lirerazìoni.
La parte della strada die 'Hmaneva da farsi, |>o(eva parer la pili
diflldle e la più pericolosa. Ma il voto pubblico era aUiaslanza spiegalo
per lasciar andare in prigione il vicario ; e nel tempo della fermala ,
molli di quelli che avevano agevolalo l'arrivo di Ferrer, s'eran lanlo
ingegnati a preparare e a mantener come una corsia nel mezzo della
folla, che la carrozza potò, questa seconda volla, andare un po' più le-
sta, e di seguito. Di mano in mano clic s'avanzava, le due folle ratte-
nutc dalle |>ar(i, si ricadevano attdosso e sì rimischiavano, dietro a quella.
Ferrer, appena seduto, s'era chinalo per avvertire il vicario, clic
slesse ben rìneanliicciato nel fondo, e non sì facesse vetlerc, per l'amor
del cielo; ma l'avverlimento era superfluo. Luì, in vece, bisognava
che si facesse vedere, per oceu|iare e attirare a sé tutta l'attenzione
dd pubblico. E |>cr tutta quesla gita, come nella prima, fece al mu-
tabile uditorio un discorso, il pili continuo nel tempo, e il più scon-
nesso nel senso che fosse mai; interrompendolo però ogni tanto con
t|ualclie parolina spagnola, clic in frella in frettasi voltava a bisbigliar
neir orecchio del suo acquattato compagno, u Si, signori ; pane e giu-
stizia: in castello, in prigione, solfo la mia guardia. Grazie, graEie,
grazie tante. No, no: non iscapperà! /^r ablandarlot. È troppo giu-
sto; s'esaminerà, si vedrà. Anch'io voglio bene a lor signori. Dn ga-
stigo severo. Esto lo dtgo por su bien. Una meta ^usla, una mela
onesta, e gastigo a^ì aflamatori. Si tirìn da parte, di grazia. Si, sì;
io sono un galantuomo, amico del popolo. Sarà gastigato: è vero, e
un birbante, uno scdleralo. Perdane , nsted. la passerà male, la pas-
serà male »i e$ culpa/ile. Sì, sì, li faremo rigar diritto i fornai.
Vi\a il re, e i buoni milanesi, suoi fedelissimi vassalli! Sia fresco, sta
fresco. Amtno; estaiiws ya quasi fuera. »
Avevano in falli attraversala la maf^ior ealca, e già eran vicini
a uscir al largo, dd lutto. Lì Ferrer, mentre cominciava a dare un
po' di riposo a' suoi polmoni, vide il soccorso di Pisa, que' soldali
spagnoli , che però sulla fine non erano siali affatto inutili , giacche
sostenuti e diretti da qualche ciltadino, avevano cooperalo a mandare
in pace un |to' di gente, e a tenere il |)asso lil)«-o all'ultima uscita.
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«ea I PROMESSI SPOSI
All' arrivar della can'ozza, fecero ala, e preseiituron Tarme al gran
cancelliei'e , il quale fece anche qui un salufo a destra, un saluto a
siiiialra; e all' ufizJale , che venne più vicino a far^ì il suo, disse, ac-
compagnando le parole con un cenno della destra: ubem a uilèd lai
manog: » prole che l'iillziale intese per quel che volevano dir real-
mente, àoò.: m'avete dato Un, bell'aiuto^ In risposta ,' fece un aliro
saluto , e si rislrinsc nelle spaUe. Era veramente il caso di dire : ce-
dant arma togae j .TUB .Ferrar non aveva in quel momento la testa a
citazioni: e del resto earel^iero stale parole Lutiate vìa, perehè fuR-
ziale non intendeva il Ialino.
A Pedro, nel passar tra quelle due file di michelelli, tra que' mo-
schetli cosi ris|>eUosamente alzati , gli tornò in petto il cuore antico.
Si riebbe afiatlo dallo sLalor^menlo, si raiiimenlò chi era, e ebi eon-
dueeva; e ^dando: u ohe! ohe! « senz'aggiunta d'altre cerimonie,
alla gente ormai rada abbastanza per poter esser trattala cosi, e ^er-
zando i cavalli, fece loro prender la rincorsa verso il castello.
a Levantese, levantetej eitdmos ya fuera , " disse Ferrer al vica-
rio ; il quale, ras»curalo dal cessar delle ^da, e dal rapido moto della
carrozza, e da quelle parole, si svdse, si sgruppò, s'alzò; e riavute»!
alquant», cominciò a render grazie, grazie e graue al suo. liberatore.
Questi, dopo essersi condoluto con luì <lel perìcolo e rallegrato della
salvezza: « ah ! ^ esclamò, ballendo la mano sulla sua zucca monda,
« ^e dii-à de etto su excefenciaj die ha già tanto la luna a rovescio,
per quel maledetto Casale, che non vuole arrendere? Que dirà el amóe
duqvfj che piglia ombra se una foglia fa più rimiore del soIHo? Que
dirà el rey nue$lro letiorj che pur qualche cosa bisognerà. che venga
a risapere d'un fracasso cosi? E sarà poi finito? Dios lo sabe. »
" Ah! per me, non v<^io più intpioeiamiene, n diceva il vicario:
e me ne chiamo fuori; rassegno la mia carica nelle mani di vostra ec-:
cellenia, e vo a vivere in una grotta, sur una monlagna , a far l'e-
remita, lontano, lontano da questa genie bestiale. »
« Utled farà quello che sarà più conveniente por el seroicio de m
magestadj n rispose gravemente il gran cancelliere.
" Sua maestà non vorrà la mia morie, » replicava il vicai-io : « in
una grotta, in una grotta; lontano da costoro. »
Ole avvenisse poi di questo suo prepeiiimento non io dice il no-
Siro autore, il quale, dopo avere accompagnalo il pover'uonìo in ca-
stello, non fa più menzione de' falli suoi.
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CAPITOLO XIV.
Mia l'intarsia iiidieiro
cominciò a sbandarsi, a
diramarsi a destra e a
!>inis(ra, per qiiesla e
per quella strada. Chi
andava a casa, a accu-
dire anche alle sue fac-
cende; vili s'allontana-
va, per respirare un po' al largo, dopo tante ore di stretta; chi, in
cerca d'amici, per ciarlare de' gran fatti della giornata. Lo slesso
Romberò s'andava facendo dall'altro ^micco della strada, nella quale
ta genie restò abbastanza rada perchè qud drappello di spagnoli po-
tesse , senza trovar resistenza , avanzarsi , e postarsi alla casa del vi-
cario. Accosto a quella stava ancor condensato ti fondaccio , per dir
cosi, del tumulto; un branco di birboni, che malcontenti d'una line
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ITO I PROMESSI SPOSI
rosi fredda e cosi iinperfclta d'uii così grand' apparalo, parie broiilo-
la\'aiio, parfv beslemniìavano, parte lenevan consiglio, per veder $e
rgiialohe cosa si potesse aneora intraprendere ; e, conie per provare,
andavano iirlacchìando e pigiando quella po\'era porla , eli' era slata
di nuovo appuntellala alla meglio. All' arrivar del drappello, tulli co-
loro, chi diritto diritto, eli) baloccandosi, e come a slento, se n'an-
darono dalla. parte opposta, lasciando il campo libero a' soldati, che
lo presero, e vi si postarono, a guardia della casa e della strada. Mji
tulle le strade del coiilorno erano seminate di crocchi : ào\e t' e-
ran due o (re |>ersone ferme, se ne fermavano tre, quattro, venti
altre: qui qualcheduno si staccava; là lutto un erocchio si moveva
insieme : era come quella nuvolaglia die lalvolla rimane sparsa , e
gira per l'azzurro del cielo, dopo una burrasca; e fa dire a chi
guarda in su : questo tempo non è rimesso bene. Pensate poi die
iKtbilonia di discorsi. Chi raccontava con enfasi i casi particolari cdtc
aveva visti; ehi raccontava ciò che lui slesso aveva fatto; chi si ralle-
grala che la cosa fosse finita bene, e lodava Ferrei", e p^onoslica^a
guai seri per il vicario; chi, sghignazzando, diceva: " non abbiate
paura, che non l'ammazzeranno: il lupo non mangia la carne del
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CAPITOLO XIT. Ila
lupo ; » dii più sitzzosameiile mormorava che non s' cran falle le
eose a dovere, eli' era un inganno, e eh' era slafa una pazzia il far
tanto chiasso, per lasciarsi poi canzonare in quella maniera.
Intanto il sole era andato sotto , le cose divcnlavan tutte d' un co-
lore; e molli, stanchi della giornata e annoiati di ciarìare al buio,
tornavano verso casa. Il nostro giovine, dopo avere aiutato il passag-
gio della carrozza, finché e' era slato bisogno d' aiuto, e esser passalo
inebe lui dietro a quella, Ira le file de' soldati , come in trionfo, si
rallegrò quando la vide correr liberamente, e fuor di pericolo; fece
un po' di strada con la folla, e n' usci, alla prima cantonata, per re-
spirare anclie lui un po' liberamente. Fallo eh' ebbe pochi passi al
lar)[o, in mezzo all' agitazione di Unti sentimenti, di tante immagini,
recenti e confuse, senti un gran bisogno di mangiare e di rijiosarsi;
e cominciò a guardare in su, da una parte e dall'altra, cercando un'
insegna d'osteria; giacché, per andare al convento de' cappuccini, ei-a
troppo tardi. Camminando cosi con la lesta per aria, si trovò a ri-
dosso a un crocchio; e feruialosì, sentì clic vi dìscorrevan di conget-
ture , di disegni , per il giorno dopo. Stato un momento a sentire,
non potè tenersi di non dire anche lui la sua; parendogli clic potesse
senza presunzione proporre qualche cosa chi aveva fatto lauto. E
persuaso, per tulio ciò che aveva visto in quel giorno, che ormai ,
per mandare a effetto una cosa , bastasse forta entrare in grazia a
quelli die giravano per le strade, » signori miei ! » gridò, in tono
d'esordio : « devo dire anch' io il mio debol parere ? Il mio debol
parei-e é questo: che non è solamente nell'affare del itane che si fanno
delle bricconerie: e giacché oggi s'è visto chiaro che, a farsi sentire,
s' otlicne quel che è giusto ; bisogna andar avanti cosi , fin die non
si sia messo rimedio a tulle quelle altre scelleratezze e ohe il mondo
vada un po' più da cristiani. Non è vero, signori miei, che c'è una
nano di tiranni , che bnno proprio al rovescio de' dieci comanda-
menli , e vanno a cercar la gente quieta, clic non pensa a loro, per
farle ogni male, e poi hanno sempre ragiwie? anzi quando ii' hanno
fatta una più grossa del solilo, camminano con la testa più alta, clic
par cbe gli s' abbia a rifare il resto ? Già andie in Milano ce ne
dev' essere la sua parte. »
" Pur troppo , " disse una voce.
" Lo dicevo io, » riprese Renzo: "già le storie si raccontano an-
ebe da noi. E poi la cosa parla da sé. Mettiamo , |»er esempio , che
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1T3 I PROuessi SPOSI
ijualvheduim <li costoro che voglio dir io sliii un po' in (!a»i|>agna,
un po' in Milano : »c « un diavolo là , non ^'o^ril esser un angiolo
qui ; ini pare. Dunque mi dicano un poco , siignori miei , se lianno
inai vislo uno di questi col muxo aW inferriata. E quel che è peggio
(e questo lo posso dir io di sicuro), è che le gride ci sono, stampale,
per gasligarli : e non già gride senza costrutto ; fatte benissimo , clw
noi non potremmo trovar niente di meglio ; ci son nominale le bri(y
eonerie chiare, proprio come succedono; e a ciascheduna, il suo buon
gastigo. E dice: sia chi sì sia, vili e plebei, e che so io. Ora, andate
a dire ai dottori, scribi e fari>iei , che vi Tacciano far giustizia, se-
condo che canta la grida : vi danno retta come il papa ai furfanti :
cose da far girare il cervello a qualunque galantuomo. 9t vede dun-
que chiaramente che il re, e quelli che comandano, vorrebbero che i
birb(Nii fossero gastigali; ma non se ne fa nulla, perchè e' è nna lega.
Dunque bisogna romperla; bisogna andar domatlina da Ferrer, the
quello è un galantuomo, un signore alla mano; e oggi s'è potuto ve-
dere cwn'era contento di trovarsi con la povera gente, e come cer-
cava di sentir le ragioni die gli venìvan tietic , e rispondeva con
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CAPITOLO VIV. 173
buma grazia. Bisogna andar tia Ferrer, e dirgli come stannò le cose:
e io, per la parte mia, gliene posso raccontar delle belle; die ho vislu
io, co' miei occhi, una grida con tanto d'arme in cima, ed era siala
fatta da tre di quelli che possono , che d' oguuno e' era sotto il suo
nome bell'e stampalo, e uno di questi nomi era Ferrer, visto da me,
co' miei ocelli: ora, questa grida diceva proprio le cose giuste per
me; e un dottore al quale io gli illesi che dunque mi Tacesse render
giustizia, com'era l'intenzione di que' Ire signori, tra i quali c'era
anche Ferrer, questo signor dollore, che m'aveva latto veder la grida
luì medesimo, che è il più bello, ah ! ah * pareva che gti dicessi delle
pazzie. Son sicuro cite, quando quel caro vecchione sentirà queste
belle cose; che lui non le può saper tulle, specialmente quelle
«li Tuori; non vorrà più che il mondo vada cosi, e ci niellerà un
buon rimedio. E poi, anche loro, se lanno le gride, devono aver
piacere che s'ubbidisca: che è anche un disprezzo, un pitafììo col
loro nome, contarlo per nulla. E se i pre|M>tciitÌ non vogliono abbas-
sar la lesta, e fanno il pazzo, siaiu qui noi per aiutarlo, come s'è
fatto oggi. \on dico che deva andar lui in giro, in carroilza, ad ac-
chiappar tulli 1 birboni, prepolenti e tiranni: si; ci vorrebbe l'arca
di Nqp. Bi.sogna che lui comandi a chi tocca, e non solamente in Mi-
latW;,; wa per (ulto, che faccia» le cose conforme dicon te gride; e
IWnupe un buon processo addosso a lutti quelli ohe liann» eom-
messo di quelle bricconerìe; e dove dice prigione, prigione; dove
dice galera, galera; e dire ai podestà che faccian davvcm; se no,
Diaodarìi a spasso, e metterne de' meglio: e poi, eeme dico, d sa-
remo awlte noi a dare una mano. E ordinare a'doltori' che stiano a
senfirn i poveri: e parlino in difesa della ragioue. Dieo bene, signori
miei; "" ■ ;: ■
Renzo aveva, parlato tunCo di cuore, cbe, fìn dall'esordio, una
gran parte' de' radunali, sospeso ogni altro discorso, s'era» rivoltali
a lui; e, a un certo punto, lutti erano divenuti suoi uditori. Un grido
confuso d'applausi, di "bravo: sicuro: ha ragione: è vero pur Irop-
po," fu come la risposta <lcir udienza. Non niancaron però i critici,
u Eb sì, n diceva uno: «ilar retta a' montanari: son tutti avvocati;»
e se ne andava. « Ora, » mormorava un altro, « ogni scalzacane vorrà
dir la sua; e a furia dì metter carne a fuoco, non s'avrà il pane a
buon mercato; cbe è- quello per cui ci sìam mo^i.» Renzo però non
sentì che-i complimenti; chi gli prendeva una mano, chi gli prendeva
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I PHOHESSI SPOSI
l'iillra. « A rivederci a iluiiiani. — Dove? — Sulhi piazza del duoiito.
— \a Iwiic. — Va iM'f»'. — K i|iialco.sa sr farà. — E ijunlcosi si fera. "
« Chi è (li quesli bravi signori che voglia iiispgiianni un'osteria,
per mangiare mi Loceone, e dormìn- da povero figliuolo?» disse
Rcnxo.
u Soii qui io a servirvi, quel bravo giovine, n disse uno, el«'
aveva a^eollala altenlameiile la )iredica, e non aveva detlo ancor
nulla. " Conopeo appunto un'osteria ohe farà al raso voslro; e vi rac-
i-omanderò al padrone, che è mio ainieo, e galantuomo. »
u Qui vicino? " domandò Renzo. » Poco dislaiite, « ns|>o$e colui.
Lii raduhata si sciolse; e Renzo, dopo molle slreOe di maniscono-
friufe, s'avviò con lo sconosciulo, ringraziandolo della sua cortesia.
u Di che cosa? " diceva colui; " una mano laVa l'altra, e tutC e
due lavano il viso. Non sramo obbligali a far servizio al prosfiimo?»
C camminando, faceva a Renzo, in aria di discorso, ora una, ora
un'altra domanda. " Non per sa|)erc i falli vostri; ma voi mi parete
molto stracco: da che paese venite? "
" Vengo," rispose Renzo, " fino, fino da Lecco, n
" Fin da Lecco? Dì Lecco siete?"
« Di Lecco . . , cioè del territorio. »
u Povero giovine! per quanto ho polulo intendere da' vostri di-
scorsi , ve n* hanno fatte delle gros*;e. "
u El>! caro il mio galantuomo! ho dovuto jkarlare con un po' di
politica, per non dire in pubblico t falli mìei; ma... basta, qualclie
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CAPITOLO XIV.
giorno si saprà; e allora. . . Ma qui vedo mi' iii.sc);na «l'oMleria ; e, in
fede mia, non ho voglia d'andar [iti'i lonlaiio. "
" No, no; venilo dov' ho dello io, die c'è |ioco^ ;r <lissi' la gui-
da: " qui non islaresle bene. »
u Eli, sì;'" rispose il giovine : « non sono nn signorino avvezzi»
a star nel rolone: «iiialeosa alla buona da niedere in castello, e un
.saccone, mi basta: quel etie mi |)reiiie è dì trovar prcslo 1' «no e
l'altro. Alla provvidenza!" Ed enti'ò in un lisciacelo, sopra Ìl quale
pendeva l'insegna della luna piena. «Bene; vi condurrò qui, gìaeelié
vi piace cosi," disse lo sconosciuto; e gli andò dietro.
uNon occorre che v'iu«Hnodiale di più." rispose Renzo, uperò,»
sf^iunse, «se venite a bere un bicchiere con me, mi fate piacere. »
li Aceelleró le vostre grazie," rispose colui; e andò, come più
pratico del luogo, innanzi a Renzo, per mi cortiletto; s'accostò
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sie t PROMESSI sposr
all' liscio clic metteva in cucina, alzò il saliscendi, a|>rì, e v' enln»
col .suo eonijiagno. Due lumi a mano , peiidenli da due perlìebe at-
taccale alla trave del paleo , \'i spandevano una mezza luce. Molla
genie era seduta, non però in ozio, su due panche, di qua e di là
d'una tavola slretla e lunga, che teneva quasi tutta una parte dellii
stanza: a intervalli, tovaglie e pialli; a intervalli, carte voltate e
rivoltate, dadi buttati e raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Si vede-
vano anche correre berlinghe, reali e parpagliole, che, se avessero po-
tuto parlare, avrebbero dello probabilmenle : — noi eravamo stamat-
tina nella ciotola d' un fornaio , o nelle tasche di qualche spellatorc
del tumulto, che tutt' intento a vedere come andassero gli aflari pub-
blici, si dimenticava 'di \'igilar le sue faceendole privale. — Il chiasso
era grande. Un garzone girava innanzi e indietro, in fretta e in
furia, al servizio di quella tavola insieme e tavoliere: l'oste era a
sedere sur una piccola panca, sotto la cappa del cammino, occupato,
in apparenza, in eerte ligure che faceva e disfaceva nella cenere, con
le molle; ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui.
S'alzò, al rumore del saliscendi; e andò incontro ai soprarrivali. Vista
ch'ebbe la guida, — maledetto! — disse tra sé: — che tu m' abbia
a venir sempre tra piedi, quando meno li vorrei! — Data poi un'oc-
citiata in fretta a Renzo, disse, ancora tra sé: — ' non ti conosco; ma
venendo con im tal cacciatori; , o cane o lepre sarai : quando a\'rai
detto due i>arole, ti conoscerò. — Però, di queste riflessioni nulla
trasparve sulla faccia dell' oste , la quale stava immobile come un
ritratto: una faccia pienotta e lucente, con una barbetta folla , rossic-
cia, e due occhietti chiari e fissi.
« Cosa comandai) questi signori?» disse ad alta voce.
» Prima di lutto, un buon fiasco di vino sincerò, " disse Renzo:
« e \m un boccone, n Cosi dicendo, si buttò a sedere ^r una pan-
ca, verso la cima della ta\'ola. e mandò un u ah! " sonoro, come se
volesse dire: fa bene un po' di panca, dopo essere stato, lauto tempo.
ritto e in faccende. IMa gli ^cnne subito in mente quella panca e
quella tavola, a cui era stato seduto l'ultima volta, con Lucia e con
/Vgiiesc: e mise un sospiro. Scosse poi la lesta, come per iscacciai*
quel pensiero: e vide venir l'oste col vino. Il compagno s'era messo
a sedere in faccia a Renzo. Questo gli mescè subito da bere, dicen-
do: «per bagnar le labbra. » E riempito l'altro bicchiere, lo tra-
cannò in un sorso.
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CAI'ITOLO XIV. J7T
u Comi mi darete da mangiare? " disse poi all'uste.
u Ho dello stufato: vi |)iai'e? n disse questo.
f Si , bra\o; dello stufato. '^
" Sarete servito, >■ disse l'oste a Renzo; e al garzone: « servite
questo forestiero, ji E s'avvio verso il eammino. «Ma..." riprese poi.
tornando verso Renzo: " ma pane, non ce n'ho in questa giornata. »
« Ai pane, n disse Renzo, ad alta voce e ridendo, « eì ha pen-
sato la provvidenza. " E tirato fuori il terzo e ulUmo di que' pani
raecolli sotto la erocedi san Dionigi, l'alzò per aria, gridando: « eeoo
il pane della provvidenza! »
All'esclamazione, molli si voltarono; e vedendo quel trofeo in
aria, uno gridò: « viva il pane a Iniou mercatol n
« A buon men'ato ? « disse Renzo: « grati» et amore, n
» Miglio , meglio. »
>■ Ma, " soggiunse subilo Renzo, » non vonx'i che lor signori pen-
sassero a male. Non è ch'io l'abbia, eonic si suol dire, sgraffignato.
L'ho trovato in terra; e .se potessi trovare anche il padrone, soii
pronto a pagarglielo. «
« Bravo! bravo! y gridarono, sghignazzando più forte, i compa-
gnoni ; a nessuno de' quali pasw'i per la niente che ([uelle jKirole fossero
(lette davvero.
" Credono eh' io «'anzoni ; ma l'è proprio cosi, n disse Renzo
alla sua guida: e. girando in mano quel pane, soggiunse: " vedetft
come )' hanno accomodato; pare una seliiacciata : ma ee n' era del
prossimo ! Se ci si lro^'avan di quelli che han 1' ossa un po' tenere ,
siranno stati freschi. " E sùbito, divorati tre o quattro bocconi di
quel pane, gli niandt) dietro un secondo bicchier di vhio; e sog-
giunse; " da SI- non vuol andar giù (piesto ))ane. Non ho avuto inai
la gola tanto si-cea. S'è fatto un gran gridare! "
u Preparate un buon letto a ipiesto bravo giovine," disse )a gui-
da : « perchè ha iiitenzioirc di dormir qui. »
" Volete donnir qui ? » domandò 1' oste a Renzo , avvicinandosi
alla tavola.
K Sicuro, n rispasc Renzo; " un Ietto alla buona: basta che i lenzoli
sian di bucato: perchè son povero figlinolo, ina av\ezzo alhi pulizia.»
f Oh. ili quanto n i|urstn! n dis-n; l'oste: andò al banco, ch'era
in un angolo della cucina; e riloi-nò, con un calamaio e un iiezzetto
di carta bianca in una mano, e una penna nell'altra.
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178 I PHOUESSI SPOSI
u Cosa vuol dir (jucsto? n escbmó Renzo, ingoiando un ExK-conc
delio stufato che il garzone gli iiveva messo davanti , e sorridendo
poi con maraviglia, M>ggiunse.- m è il lenzolo di bucato, codesto? »
L'oste, senza rispondere, posò sulla (avola i) calamaio e la carta:
poi appoggiò sulla tavola medesima ÌI braccio sinistro e il gomito dc>
Siro; e, con la penna in aria, e Ìl viso alzato verso Renzo, gli disse:
u fatemi il piacere di dirmi il vostro nome, cognome e patria. '>
u Cosa? " disse Renzo: " cosa c'entrano codeste storie col Ietto?"
" Io fo il mio dovece. ^ disse Toste, guaidando in viso alla ^ui-
da: u noi siamo obbligali a i-ettder conto di tutte le |H-rs<>ue die ven-
gono a alloggiar da noi: nomfi ù cnipuime , e ili elio nazione sarà.
a che negozio rii-ne. se ha secn armi quanti} lempo ha di fermarci
in questa città — Son parole della grida. -
Prima di ris]H)ndi'riì , Renzo volò un altro bicchiere: era il terzo:
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CAPITOLO XIV. S7U
V d'ora in poi ho paura che noti li potremo più coniare. Poi disse:
" ah ali ! avete la grida ! E io fo conio d' esser doltor di legge ; e al-
lora so subilo che caso si fa delle gride. "
" Dico davvero, n disse l'osle, sempre guardando il muto com-
pagno di Renzo; e, andato di nuovo al banco, ne levò dalla cassetta
un gran foglio, un proprio esemplare della grida: e venne a spie-
garlo davanti agli occhi di Renzo,
" Ah! ecco! « esdamò questo, alzando con una mano il bicchiere
riempilo di nuovo, e rivolandolo sid)ilo, e stendendo poi l' al Ira
Diano, con un dito teso, verso la grida: " ecco quel bel foglio di
messale. Me ne rallegro moltissimo. La conosco queir arme ; so cosa
vuol dire qudla faccia d'ariano, con la corda al collo. '■■ (In cima alle
gride si metteva allora l'arme del governatore; e in quella di don Gonzalo
Fernandez de Cordova, spiccava un re moro ìncaleiialo per la gola.)
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tmt I l'KOMRASl SPOSI
■' \'iiol àìfv , (|iiulta faucia: cumanda chi può, e ubbidisce chi vuole.
Quando que!«la faccia avrà fallu andare in galera il signor don
biisla , lo 80 io ; come dic« in un altro foglio di messale eom|KH
giio u questo; quando avrà fallo in maniera die un giovine one-
sto possa s|>osare una giovine onesta che è contenta di sposarlo, al-
loi-a le «lirò il mio nome a questa bccia; le darò anclie un bacio )>er
di jtii'i. Posso aver delle buone ragioni per non dirìo , Ìl mio nome.
Oh bella! E se un furfantone, che avesse al suo coniando una mano
d'altri fuKanli: |>erché se fosse solo » e qui tini la frase con un
gesto: u se un furfantone volesse saper dov' io sono, per farmi qu^
che brullo tiro, domando io se questa faccia si moverebbe per aiu-
tarmi. Devo dire i fatti miei 1 Andie quesla è nuova. Son venuto
a Milano per confessarmi, supponiamo ; ma voglio confessarmi da un
padre cappuccino, per modo di dire , e non da un oste, n
L'oste slava zitto, e seguitava a guardar la guida, la quale min
faceva dimostrazione di sorte veruna, Renzo, ci dispiace il dirlo, tra-
cannò un altro bicchiere, e prosegui: " (i porterò una ragione, il
mio caro oste, che li capaciterà. Se le gi-ide che parlan bene, in fa-
vore de' buoni cristiani, non contano; tanto meno dcvon contare
(juelle che pariau male. Dunque leva tulli quest'imbrogli, e |>or(a in
vece un altro fiaso); perchè questo è fes,«o. " Cosi dicendo, lo per-
(•osse leggermente con le nocca, e soggiunse: « senti, senti, oste,
come d'Occhia. "
Andie quesla volta, Renzo aveva, a poco a |H>eo, attirata l'atten-
zione di quelli che gli sta\'an d'intorno: e anche questa volta, fu ap-
plaudito dal suo uditorio.
« Cosa devo fare? " disse l'oste, guai-dando quello sconosciuto,
che non era tale per lui.
1 Via, via, " gridaron multi di que' compagnoni: u ha ragione
(piel giovine: son tulle angherie, trappole, impicci: te^e nuova oggi,
legge imo va. «
In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all'oste un'occhiata
di rimprovero, per queir interrogatone troppo scoperta, disse: ^ la-
M-Iatelo un po' fare a suo modo: non fate scene. "
■• Ho fatto il mio dovere, " disse l'oste, forle;e poi Ira sé: — ora
ho le spalle al muro. — E prese la carta, la |>enoa, il calamaio, In
grida , e il tìasw voto , per consegnarlo al garzone.
■> l'olia «lei medesimo, « disse Renzo: u elie lo trovo galantuomo:
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CAPITOLO XIV. aai
e lo metteremo a lello come 1' allro , senza domandargli nome e co-
gnome, e dì ebe nazioi)e sarà, e cosa viene a Tnre, e se ha a slare
un pexzo in questa città. «
« Del medesimo, « disse l'oste al garzone, dandogli il fiasco; e
ritornò a sedere sotto la cappa del cammino. — Altroché lepre ! —
pensava, istoriando dì nuovo la cenere: — e in che mani sei capi-
lalol Pezzo d'asino! se vuoi affogare, aflbga; ma l'oste della luna
piena non deve andarne di mezzo, per le tue pazzie. —
Renzo ringraziò la guida, e tutir quegli altri che avevan |>rcsc le
sue parti. " Bravi amici! » disse: " ora vedo proprio che i galan-
tuomini si danno la mano, e. si sostengono. » Poi, spianando la destra
per aria sopra la tavola, e mettendosi di nuovo in attitudine di pre-
dicatore, « gran cosa, » esclamò, « che tutti qnelli che ruotano il
mondo, voglian fare entrar per lutto caria, penna e calamaio! Sem-
pre la penna per aria! (srande smania che hanno que' signori d' ado-
prar la penna! n
1 Eliì, quel galantuomo dì campagna! volete saperne la ragione?»
disse ridendo uno di que' giocatori, che vinceva.
u Sentiamo un poco, » rispose Renzo.
» La ragione è questa, » disse colui : " che que' signori son loro
die mangian l'oche, e si Irovan li (ante penne, tante penne, che
qualcosa bisogna che ne facciano. <>
Tutti si mìsero a ridere , fuor che il compagno che perdeva.
u To' , " disse Renzo: « é un ixtcla costui. Ce n'è anche qui de'
poeti : già ne nasce per lutlo. IS' ho una vena anch' io , e qualche
volta ne dico delle curiose.... ma quando le cose vanno bene. »
Per capire questa baggìanala del povero Renzo, bisogna sapere
che, presso il volgo di Milano, e del contado ancora più , poeta non
significa già , come per tutti Ì galantuomini , un sacro ingegno , un
abitator di Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello biz-
zarro e un po' balzano, che, ne' discorsi e ne' fatti, abbia più dell'ar-
guto e del singolare ebe del ragionevole. Tanto qud guastamestieri
del volgo è ardilo a manomettere le parole, e a far dir loro le cose
più lontane dal loro legittimo significalo! Perchè, vi domando io, cosa
ci ha che fare poeta con cervello balzano ?
u Ma la ragione giusta la dirò io, » soggiunge Renzo: « è perché
la penna la tcngon loro: e così , le parole che dicon loro , volan via,
e sparisecmo ; le parole che dice un povero fì^iuolo , stanno attenti
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tuit I PROMESSI SPOSI
l)enc, e presto presto k> infilzali per aria, con quella penna, e le le in-
cliiòdano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo. Hanno poi an-
che un'altra malizia; che, quando vogliono imbrogliare un povero
figliuolo, che non abbia studiato, ma che abbia un po' di so iu
quel che voglio (tire « e, per farsi intendere, andava picchiando,
e come anelando la fronte con la punta dell'indice; "
che comincia a capir l'imbroglio, taffete, buUan dentro nel discorso
qualche parola in Ialino, per fargli perdere il lilo, per confondergli
la testa. Basta; se ne deve smetter dell'usanze! Oggi, a buon conio,
s'è fatto tutto in volgare, e senza carta , penna e calamaio; e doma-
ni , se la gente saprà regolarsi, se ne farà anche delle meglio : senza
torcere un capello a nessuno, però; tutto per via di giustizia, n
Intanto alcuni di que* compagnoni s' eran rimessi a giocare, dltri
A mangiare, molti a gridare; alcuni se n'andavano; altra gente arri-
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CARTOLO XIV. S83
vava; l'oste badava agli uni e agli altri: tutte cose clie noo hanno
che fare con la nostra storia. Anche la sconosciuta guida non vedeva
l'ora d'andarsene; non aveva, a quel che paresse, nessun alTare in
quel luogo ; eppure non voleva partire prima d' aver chiacchierato
un altro poco con Renzo in particolare. Si voltò a lui, riattaccò il
discorso del pane ; e dopo alcune dì quelle frasi che, da qualche tem-
po, correvano per tutte le bocche, venne a metter fuori un suo pro-
getto, u Eh ! se comandasi io , n disse , u lo troverei il verso dì fare
andar le cose bene. »
" Come vorreste fare? » domandò Renzo , guardandolo con due
occhietti brillanti più del dovere, e storcendo un po' la bocca, come
per star più attento.
u Come vorrei fare? " disse colui: " vorrei che ci fosse pane per
lutti ; tanto |>er 1 poveri , come per i ricchi. "
« Ah! così va bene, " disse Renzo.
« Ecco come farei. Una meta onesta , clic tulli ci potessero cam-
pare. E poi, distribuire il pane in ragione delle bocche: perchè c'è
degC ingwdi indiscreti, che vorrebbero lutto per loro, e fanno a ruffa
raffa, pìf^iano a buon conto; e poi manca il pane alla povera gente.
Dunque dividere il pane. E come sì fa? Ecco : dare un bel biglietto
a ogni famiglia, in proporzion delle bocche, per andare a prendere
il pane dal fornaio. A me, per esempio, dovrebbero rilasciare un bì-
^ietlo in questa forma : Ambrogio Fusella , di professione spadaio ,
cm moglie e quattro figliuoli, tutti ìn età da mangiar pane (nolat«
bene): gli si dia pane tanto, e paghi soldi tanti. Ma far le cose giu-
ste, sempre in ragion delle bocche. A voi, per esempio, dovrebbero
fare un biglielto per.... il vostro nome? »
" Lorenzo Tramaglino, » disse il giovine; il quale, invagliito del
progetto, non fece attenzione ch'era tutto fondato su caria, penna e
calamaio; e che, per metterlo in opera, la prima cosa doveva essere
di raccogliere i nomi delle persone.
" Benissimo,» disse lo sconosciuto: «ma avete moglie e lìgliuoli?»
u Dovrei bene figliuoli no troppo presto ma la mo^
glie.... se il mondo andasse come dovrebbe andare »
« Ah siete solo 1 Dunque abbiate pazienza , ma una porzione più
piccola. "
« E giusto; ma se presto, come spero e con l'aiuto di Dio....
Ba^a ; quando avessi medile anch' io ? »
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■■t I PROUESSI SPOSI
« Allora si cambia il biglietto, e si cresce la porzione. Come v'ho
detto; sempre in ragion ddle bocche,» disse lo sconosciuto, alzando^.
■• Cosi va bene, •> gridò Renzo; e continuò, gridando e balteado
il pugno sulla (avola : « e perché non la fanno una l^ge cosi? n
1 Cosa volete che vi dica? Intanto vi do la buona notte, e me ne
vo ; perché penso che la moglie e i figliuoli m' aspetteranno da un
pezzo. X
" Un altro gocciolino, im altro gocciolino, « gridava Renzo, riem-
piendo in fretta il bicchiere di colui;e subilo alzatosi, e accltiappatolo
per una falda del farsello, tirava forte, per farlo seder di nuovo. «Un
altro gocciolino : non mi fate quest' a^ronto. "
Ì!
Ma l'amico, con una stratta, si liberò, e lasciando Renzo fare un
guazzabuglio d' istanze e di rimproveri, disse di nuovo: « buona
notte, » e se n' andò. Renzo seguitava ancora a predicargli, che
(|uello era già in istrada; e poi ripiombò sulla panca. Fissò gli occhi
su quel bicchiere che aveva riempito; e, vedendo passar davanti alla
tavola il garzone, gli accennò di fermarsi, come se avesse qualche
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CAPITOLO XiV. tSB
affare da comuaicargli; poi gli accennò il bicchiere, e con una pro-
nunzia lenta e solenne, spiccando le parole in un cerio modo parti-
colare, disse: " ecco, l'avevo preparalo per quel galantuomo: vedete;
pieno raso, proprio da amico; ma non l'ha voluto. Alle volte, la gente
ha dell'idee curiose. Io non ci ho colpa: il mio buon cuore l'iio fatto
vedere. Ora, giacché la cosa è fatta, non bisogna lasciarlo andare a
male. » Cosi detto, lo prese, e lo volò in un sorso.
« Ho inleso, » disse il garzone, andandosene.
" Air! avete inteso anche voi, n riprese Renzo: « dunque è vero.
Quando le ragioni son giuste ! i
Qui è necessario tutto l'amore, che portiamo alla verità, per farcì
proseguire fedeJmenle un racconto di cosi poco onore a un perso-
naggio tanto principale, si potrebbe quasi dire al primo uomo della
nostra storia. Per questa stessa ragione d'imparzialità, dobbiamo però
andie avvertire ch'era la prima volta, che a Renzo avvenisse un caso
simile: e appunto ques}o suo non esser uso a stravizi fu cagione in
gran parte che il primo gli riuscisse cosi fatale. Que' pochi bicchini
die aveva buttati giù da principio, l'uno dietro l'altro, contro il suo
solito, parte per quell'arsione che si sentiva, parte per una certa al'
terazione d'animo, che non gli lasciava far niUla con misura, gli die-
dero subito alla testa: a un bevitore un po' esercitato non avreU>ero
latto altro che levargli la sete. Su questo il nostro anonimo fa una
osservazione, che noi ripeteremo: e conti quel che può contare. Le
abitudini temperate e oneste, dice, recano anche questo vantaggio,
che, quanto più sono inveterate e radicale in un uomo, tanto più fa-
cilmente, appena appena se n'allontani, se ne risente subito; dimo-
doché se ne ricorda poi per un pezzo; e anche uno sproposito gji
serve di scola.
Comunque sia, quando que' primi fumi furono salili alla tesla di
Renzo, vino e parole continuarono a andare, l'uno in giù e l'altre
in su, senza misura né regola: e, al punto a cui l'abbiam lasciato,
stava già come poteva. Si sentiva una gran voglia di pariare : ascol-
tatori, o almeno uomini presali che potesse prender per tali, non
ne mancava; e, per quache tempo, anche le parole eran venute via
senza fersi pregare, e s'eran lasciate collocare in un certo qual or-
dine. Ma a poco a poco, quella faccenda di flnir le frasi cominciò a
divenii^i fieramente difficile. Il pensiero, che s'era presentato vivo e
risoluto alla sua mente, s'annebbiava e svaniva tult'a un tratto; e la
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■88 I PROHESSl SPOSI
jiarola, dopo essersi fatta aspettare un pezzo, n(M) era quella che fosse
al caso. In queste angustie, per uno di que' falsi islinli clie, in tante
cose, rovinan gli uomini, ricorreva a quel benedetto fiasco. Ma di die
aiuto gli potesse essere il Basco, in una tale circostanza, clii ha fior
di senno lo dica.
Noi riferirenw soltanto alcune delle mollissime parole die mandò
fuori, in quella sciagurata sera: le molle più che tralasciamo, disdi-
rebbero troppo; perchè, non solo non hanno senso, ma non fanno
vista d'averlo: condizione necessaria in un libro stampato.
u Ah oste, oste! n ricominciò, accompagnandolo con l'occhio in-
torno alla tavola, o sotto la cappa del cammino; talvolta fissandolo
dove non era, e |)arlando sempre in mezzo al chiasso della brigata:
" oste che tu sei! Non posso mandarla giù quel tiro del nome,
cognome e negozio. A un figliuolo par mio ! Non li sei portato
bene. Che soddisfazione, che sugo, che gusto di mettere in caria
un povero figliuolo? Parlo bene, signori? Gli osti dovrebbero tenere
dalla parie de' buoni figliuoli Senti, senti, oste; ti voglio. fare
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CAPITOLO XIV. «67
IBI paragone per la ragione Ridono eh? Ho un po' dì brìo,
sì ma le ragioni le dico giuste. Dimmi un poco; chi è che (i
noanda avanti la bottega? I poveri Hgliuoli, n'è vero? dico bene?
Guarda un po' se que' signori delle gride vengono mai da le a bere
un bicchierino. »
1 Tulla genie che beve acqua , » disse un vldno di Renzo.
« Vt^iono stare in sé, » sc^iunse un altro, " per poter dir le
bugie a dovere. »
"Ah! » gridò Renzo: « ora è il poeta che ha parlato. Dunque
intendete anche voi altri le mie ragioni. Rispondi dunque , oste : e
Ferrar, che è il meglio di tulli, è mai venuto qui a fare un brin-
disi , e a spendere un becco d'un quattrino ? E quel cane assassino
di don ? Sto zitto, perché sono in cervello andte troppo. Perrer e
il padre Grrr so io, son due galantuomini; ma ce n'è pochi de'
galantuMnini. I vecchi peggio de' giovani ; e Ì giovani peggio an-
Cora de' vecchi. Però, son contento che non si sia fatto sangue, oibò;
barbarie, da lasciarle fare al boia. Pane; oh questo si. Ne ho rice-
vuti degli urloni; ma ne ho anche dati. Largo! abbondanza! vi-
va!— E4>pure, anche Ferrer qualche parolina in Ialino siés
baraò» trapolorum Maledetto vizio! Viva! giustizia! pane! ah,
ecco le parole giuste!... Là ci volevano que' galantuomini.... quando
scappò fuori quel maledetto ton ton lon, e poi ancora lon ton lon.
Non si sarebbe fuggiti, ve', allora. Tenerlo li quel signor curato
So io a chi penso! »
A questa parola, abbassò la testa , e stelle qualche leoipo, come
assorto in un pensiero : poi mise un gran sospiro , ,e alzò il viso ,
con due occhi inumiditi e lustri, con un cerio accoramento così sve-
nevole, cosi sguaiato, che guai se ctii n'era l'oggetto avesse potuto
vederlo un momento. Ma quegli omacci che già avevan cominciato a
prendersi spasso dell'eloquenza appassionala e imbrogliala di Renzo,
lanto più se ne presero della sua aria compunta; i più vicini dice-
vano agli altri: guardate; e tutti si voltavano a luì; lanto che divenne
lo zimbello della brigata. Non già che tutti fossero nel loro buon sen-
no, o nel loro qual si fosse senno ordinario; ma, per dire il vero,
nessuno n'era tanto uscito, quanto il povero Renzo: e per di [hù
era conladino. Si misero, or l'uno or l'altro, a stuzzicarlo con do-
mande sciocche e grossolane, con cerimonie canzonatorie. Renzo, ora
dava segno d'averselo per male, ora prendeva la cosa i
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188 I PROUESSl SPOSI
ora, senza badare a tutte quelle voci, parlava tli luti' altro, ora ri-
spondeva, ora interrogava; sempre a salti, e fuor di proposilo. Per
buona sorte, in quel vaneggiamento, gli era però rimasta come un'
attenzione istintiva a scansare i nomi ddle persone; dimodoché anche
quello che doveva esser più altamente fitto nella sua memoria , non
fu proferito: che troppo ci dispiacerebbe se quel nome, per il quale
anche noi sentiamo un po' d'afTetlo e di riverenza , fosse stalo stra-
scinalo per quelle boccacce, fosse divenulo trastullo di quelle lingue
sciagurate.
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r.APlT4»l,4» X\.
>sk-, vLileiido die il gioco andava in luii-
f^o, s'era accostato a Renzo; e pregando,
con buona grazia, quegli altri che lo la-
sciassero stare, l'andava M:olendo per un
braccio , e cercava di Targli intendere e di
persuaderlo che andasse a dormire. Ma
Renzo tornava sempre da capo col nome
e cognome, e con le gride, e co' buoni
figliuoli. Però quelle parole : lello e dor-
mire, ripetute al suo orecchio, gli entra-
roa finalmente in testa; gli fecero sentire un po' più distintamente il
bisogno di ciò che significavano, e produssero un momento di lucido
intervallo. Qud po' di senno che gli tornò, gli fece in certo modo ca-
pire che il più se n'era andato: a un di presso come l'ultimo moccolo
rimasto acceso d'un' illuminazione, fa vedere gli altri spenti. Si fece
corano; sfese le mani, e le appuntellò sulla tavola; tentò, una e due
volle, d'alzarsi; sospirò, barcollò; alla lerza, sorretto dall'oste, sì rizzò.
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V.», I PROMESSI S4>0SI
Quello, ivggiiiidolo tuUa\ia, lo fece uscii'e di tra la tavola e la paii-
ca; K , preso con una mano un lume, con l' altra, parte lo condusse,
parie lo tirò, alla meglio, verso l'uscio di scala. Li Renzo, al chiasso
de'^jiluti che coloro gli urìavan dietro, si voltò in fretta; e se ir suo
sostenitore non Tosse stalo ben lesto a tenerlo ]Kr un braccio, la vol-
tata sarebbe stala un capitombolo; si vc^tò dunque, e, con l'altro brac-
cio die gli rimaneva libero, andava trinciando e iscrivendo nell'aria
certi saluti, a guisa d'un nodo di Salomone.
u Andiamo a letlo, a letto, " disse l'oste, strascicandolo; gli fecv
imboccar l'uscio; e con più latica ancora, lo tirò in cinta di quella
scaletta , e poi nella camera clic gli aveva destinata. Renzo , visto il
letto die l'aspettava, si rallegrò; guardò amorevolmente l'oste, con due
occbietti olle ora seintillavan più che mai, ora s' ceelissavano , come
due lucciole; cercò d'equilibrarsi sulle gambe; e stese la mano al viso
dell' uste , per prendergli il ganaseiiio , in segno d' amicizia e di
l'icoiiosi-eiizu; ina non gli riùsci. « Bravo ostel» gli'riusci|>erò*di dire:
i' ora vedo che sci un galantuomo: questa e un'opera buòna, dare
un Ietto !) un buon lìgliuolo; ma quella figura che in' hai fatta, sul
nome e cognome, quella non era da galantuomo. Per buopa sorte die
andi'io son furbo la mia parte . . . . n
L'oste, il quale non pensava che colui potesse ancor tanto coiinet-
Icre; 1' oste clic, per lunga esperienza, sapeva quanto gli uoniiui, in
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: CAPITOLO XV. , ini
quello sialo, siali pil'i stuelli del solito a eaiiibiar <li itart-Ti^, volte iip-
profittare di quel lucido iii(t>rvallo,'per fare un altro tentativo, u Fi'
gliui^o caro, "' disse, con una voce e con un fare lutto gentile: "non
l'ho fatto per seccarvi, né per sapere i fatti vostri. Cosa volete? è
l^e: anche noi bisogna ubbidire; altrimeitU siamo i primi a por-
tarne la pena. É meglio contentarli-, e ... Di che si tratta finalmente?
Gran cosa! dir due parole. N<m per loro; ma per fare un piacere a
me: via; qui Ira noi, a qualtr' occhi, facciam le nostre cose; ditemi
il vostro nome, e... e poi andate a letto col cuor quieto, »
u Ali birbone! « esdamò Renzo: u mariolo! tu mi (orni ancora in
campo con queir infamità del nome, cognome e negozi»! ■■
u Sta zitto, buH'one; va a letto, « diceva l'oste.
.Ma Renzo continuava più forte: u ho inteso: sei della lega anclic
Ih. Aspella, aspetta, che l'accomodo io. n E voltando la tesla verso
la scaletta, cominciava a urlare più forte ancora; » amici! l'oslc è
della .... t'
« Ho detlo per celia,» gridò questo sul viso dì Renzo, spingendolo
verso il Iclto: u per celia; non hai inteso che ho detlo per celia? r.
" Ali! per celia: ora parli bene. Quando hai detto per cch» . . , .
Son proprio celie. « E cadde bocconi sul letto.
li Animo; sp(^ialevi; presto, « disse l'aste, e al consiglio aggiunse
l'aiulo; che ce n'era bisogno. Quand» Renzo si Tu levato il farscllo,
(e ce ne volle) l'oste l'agguantò subilo, e corse con le mani alle tti'
sche , pcit vedere se c'era il morto. Lo trovò: e pensando che, il
giorno <lopo, il suo ospite avrebbe avuto a fare i conli con tuli' allri
che con luì, e che quel morto sarebbe probabilmente caduto in mani
di dove un oste non avrebbe potuto farlo uscire; volle provarsi se
almeno gli riusciva dì eoncluitcr quest'altro alTare.
" Voi siete un buon llglinolo, un galantuomo; n'è vero? «^ di.sse.
t' Buon figtiuolo, galantuomo, » rispose Renzo, facendo tuttavia li-
tigar le dita co' bottoni de' panni die non s' era ancor potuto levare.
« Bene, « replicò l'oste: » saldate ora dunque quel jwco ronticìno.
perdio ilomani io devo uscire per certi miei affari.... »
« Quest'c giusto, ^ disse Renzo. " Son furbo, ma galantuomo....
Ma i danari ? Andare a cercare i danari ora ! r^
" Eccoli qui, « disse l'onte: e, mettendo in opera tutta la sua pra-
tica, tutla la sua pazienza, tutta la sua destrezza, gli riuscì di fere il
conio con Renzo, e di ))agarsi.
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liti 1 PKUUE88I SPOSI
u Dammi una mano, ch'io possa finir di spogliarmi, oste, r> disse
Renzo. " Lo %'edo anch' io, ve', che ho addosso un gran sonno. »
L'oste gli diede l'aiulo ricliiesto; gli stese per di più la coperta ad-
dosso, e gli disse sgarbatamente u buona notte, » che già quello rus-
sava. Poi, per quella specie d'atlrattiva, che alle volle ci tiene a con-
siderare un oggetto dì stizza, al pari che un oggetto d'amore, e ctie
forse non è altro che il desiderio dì conoscere ciò che opera fortemente
sull'animo nostro, sì ttvmò un momento a contemplare l'ospite cosi
noioso per lui, alzandogli il lume sul viso, e facendovi, eoo la mano
stesa, ribatter sopra la luce; in quell'alto a un di presso che vien dipinta
Psiche . quando sia a spiare furli\'amenlc le forme del conswle
sfoiiosciwto. a Pezzo d' asino S disse nella sua mente al povero addor-
mentato: '^ sci andato proprio a cerearlela. Domani |>oi, mi saprai dire
elle bel gusto CI a\riu. Tangheri, clie volete girare it mondo, senza sa-
per da clic i)ar)c si levi il .sole; per imbrogliar voi e il prossimo. "
Osi dello o (H'iLsaltt, ritirò il lume, si nuvwe. ilscì dalla camera, e
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CAPITOLO XV. »3
chiuse l'uscio a chiave. Sul pièneroKolo della scala, chiamò l'ostessa; alla
quale disse che lasciasse i figliutrii in guardia a una loro scrvella, e
scendesse in cudna, a far le sue veci. « Bisogna eh' io vada fuori, Jn
ftrazia d* un forestiero capitato qui, non so come diavolo, per mìa di-
sgrazia, » soggiunse; e le raccontò in compendio il noioso accidente.
Poi soggiunse ancora: « occhio a tutto; e sopra tulio prudenza, in
questa maledetta giomala. Abbiamo laggiù una mano di scapestrali
lAte, Ira il bere, e tra che di natura sono sboccati, ne dicon di lutti
i colorì. Basta, se qualche temerario . . . . n
« Oh! non sono una bambina, e so anch' io quel die va fallo. Pi'
nora, mi pare che non si possa dire .... »
u Bene, bene; e badar che paghino; e tulli que' discorsi che fanno,
sul vicario di provvisione e il governatore e Ferrer e i decurioni e i
cavalieri e Spagna e Francia e altre simili corbellerie, far vista di non
sentire; perchè, se si contraddice, la può andar male subilo; e se si da
ragione, la può andar male in avvenire: e già sai anche lu che qual-
die volta quelli che le dicon piti grosse — Basta; quando si senloii
certe proposizioni, girar la lesta, e dire: vengo; come se qualchedimo
chiamasse da un'altra parie. Io cerctieró dì tornare più presto clic
posso. "
Ciò detto, scese con lei in cucina, diede un' oecliiata in giro, per
veder se e' era noiìtà di rilievo; staccò da un cavicchio il cappello e
la cappa, prese un randello da un cantuccio, ricapitolò, con Un'altra
occhiala idla moglie, I' istruzioni che le aveva date; e uscì. Ma, già
nel for quelle operazioni, aveva ripreso, dentro di si-, il filo dell'apo-
strofe cominciala al letto del po^'ero Renzo; e la proseguiva, cammi-
nando in istrada.
— Testardo d'un montanaro! — Che, per quanto Renzo a^■esse
volato tener nascosto l'esser suo, questa qualità si manifesta\'a da sé,
nelle parole, nella pronunzia, nell'aspetto e negli alti. — Una gior-
nata come questa, a forza di politica, a forza tfaver giudìzio, io n'u-
scivo netto; e dovevi venir tu sulla fine, u guastarmi l'uova nel pa-
niere. Manca osterie in Milano, die tu dovessi proprio capitare alla
mia? Fossi almeno capitato solo; die avrei chiuso un occhio, per questa
sera; e domattina t'avrei fatto intender la ragione. Ma no signoro;
ili compagnia ci vieni; e in compagnia d'un bargello, per far meglio!
A ogni passo, l'oste incontrava o passeggieri scompagnali, o coppie,
o brigate di gente . che giravano susurrando. A questo punto delia
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I PRUHES3I SPOSI
sua mula allocuzione, vide venire una paUuglia ili soktati ; e tiran-
dosi da parie, per lasciarli passare, li guardò con la coda dell' oc^iio.
e continuò Ira sé : — eccoli i gasligamalti. E l« , pezzo tV asino,
per a\'er visto un po' di gente in giro a far baccano, ti su' eaccìato
in testa die il mondo abbia a mutarsi. E su questo bel fondamento, li sei
rovinato le, e volevi anche rovinar me; che non è giusto. Io facevo di
lutto per salvarli; e lu, bestia, in contraccambio, e' è mancalo poco
che non m'iiai messo sottosopra l' osteria. Ora tocolierà .1 le a levarli
d'impiccio: per me ei penso io. Come se io volessi sapere il tuo nome
per una mia curiosità ! Cosa m' imporla a me die tu ti ehiami Tad^
deo o Barlolommeo ? Ci ho un bel gusto anch' io a prender la penna
in mano! ma non siete voi altri soli a voler le cose a modo vostro.
Lo so andi'io che ci son delle gride die non conlan nulla: bella no-
vità, da venircela a dire un montanaro! Ma tu non sai che le gride
contro gli osti coniano. E pretendi girare il mondo, e parlare; e non
sai che, a voler fare a modo suo, e impiparsi delle gride, la prima
cosa è di parlarne con gran riguardo. E per un povero oste che fosse
del tuo parere, e non domandasse il nome di chi capila a favorirlo,
sai tu, bestia, cosa c'è dì bello? Sotto pena a qual si voglia dei itetti
oiti, tavernai ed altri, come sopra, di trecento scudi: si, son li die co-
vano trecento scudi; e per ispenderli così bene; da essere applicati ,.
per I due terzi alla regia Camera, e l'altro all' accusatore o dela-
tore: qud bel cecino! Ed in caso di inabilità, cinque anni di galera,
e maggior pena, pecuniaria 0 corporate, all' arbitrio di sua eccellfnza.
ObblÌgatis.simo alle sue grazie. —
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' CAPITOLO XV. «0:1
\ queste jiarole, l'oste toccava la soglia del palazzo di giustizia.
Li, come a lutti gli altri ufizi, c'era tui gran da fare: per tulio
s'attendeva a dar gli ordini che parevan più atti a preoccupare il
giorno M^uenlc, a levare i prelesti e l'ardire agli animi vogliosi di
nuovi tumulti, ad assicurare la forza nelle mani solile a adoprarla.
S'accrebbe la soldatesca alla casa del vicario; gli sbocchi della strada
furono -sbarrati di travi, trincerali di carri. S'ordinò a tulli i foniai
che facessero pane senza intermissione; si spedirono staffetle a' paesi
circonvicini, con ordini di mandar grano alla città; a ogni forno furono
deputati nobili, che vi si portassero di buon nuiUino, a invigilare sulla
distribuzione e a tenere a freno gl'inquieti, con l'autorità della pre-
senza, e con le buone paroFe. Ma per dar, come si dice, un colpo al
cerchio e uno alla botte , e render più efficaci i consigli con un po'
di spavento, si pensò anche a trovar la maniera di metter le mani
addosso a qualche sedizioso : e questa era principalmente la parte del
capitano di giustizia; il (piale, ognuno può pensare die senlimcnli
avesse per le sollevazioni e pur i sollevati, con una pezzella d'acqua
\ ulncraria sur uno degli organi della profondità melalìsica. I suoi brac-
cdi erano in campo tino dal principio del lumulto: e quel sedicente
Ambrogio Fusella era, come ha detto l'oste, un bargello travestilo,
mandalo in giro uppunto per cogliere sul fatto qualclieduno da po-
lersi riconoscere, e tenerlo in petto, e appostarlo, e acchiapparlo poi,
a notte affalto quieta, o il giorno dopo. Sentite quattro parole di
quella predica di Renzo, colui gli aveva fatto subilo assegnamento
sopra; parendogli quello un reo buon uomo, proprio quel che ci vo-
leva. Trovandolo poi nuovo affatto del paese , aveva tentalo il colpo
maestro di condurlo caldo caldo alle carceri, come alla locanda più si-
cura della città; ma gli andò fallito, come avete visto, Potè però por-
lare a casa la notìzia sicura del nome, cognome e patria, oltre cen-
l' altre belle nolizie congetturali; dimodoché, quando l'osle capitò lì, a
dir eió che sapeva intorno Renzo, ne sapevan già più dì lui. Entrò
nella solila stanza, e fece la sua deposizione: come era giunto ad al-
loggiar da lui un forestiero, che non ave\'a mai v<duto manifestare il
suo nome.
f Avete fatto.il voslro dovere a informar la giuslizia; « disse un
notaio criminale^ mettendo giù la penna, u ma già Io sapevamo. »
'— Bel segreto! — pensò l'oste: — ci vuole un gran talento! —
« E sappiamo anche, » continuò il notaio, « (|ucl rivcrilo home. »
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loe I PHOHESSI SPOSI
— Diavolo! il nome poi, com'lianno fatlo? — pensò l'osle qtiesla
voi la.
u Ma voi, y' riprese l'altro, eon volto serio, " voi noti dite liilto
sinceramenie. "
u Cosa devo dire di più? »
X \h! ali! sappiamo benissimo che colui ha portalo nella vostra
osteria una quantità di pane rubato, e rubato con violenza, per via
di sacclieggio e di sediziotte. »
» Vien uno con un pane in tasca; so assai dov' è andato a pren-
derlo. Pereliè, a parlar come in punto di morte, |>os50 dii-c di non
avergli visto che un pane solo. "
u Già; sempre scusare, difendere: clii sente voi altri, son tulli
galantuomini. Come potete provare che quel pane fosse di buon
acquisto? "
" Cosa ho da provare io? io non c'enlr'o: io fo l'osle. ■^
" Non |>utrete però n^^re che eodcslo vostro avventore non ab-
bia avuta la temerità di proferir parole ingiuriose contro le gride,
I- di fare alti inali e iudeeenti contro l' arme di sua eccellenza. »
u Mi faccia grazb, vossignoria: come può nuu essere mio avven-
tore, se lo vedo per la prima volta? É il diavolo, con rispetto par-
lando, che l'ha mandalo a casa mia: e se lo conoscessi, vossignoria
%edc bene che non avrei avuto bisogno di domandargli il suo nome. »
" Però, nella vostra osterìa, alla vostra presenta, si son flette cose
di fuoco : i)arole temerarie, proposÌEioni sediziose , mormoruionì, ^rìda,
clamori. »
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CAPITOLO XV. lOT
" Come vuole vossignoria eli' io badi agii spropositi che posson
dire tanti orioni che parlai) ditti insieme? Io devo attendere a' miei
interessi, che sono un pover'uomo. E poi vossignoria sa bene che
chi è di lingua sciolta, per il solito è andie lesto di mano, tanto più
quando sono una brigala, e ... »
1 Si, si; lasciateli Tare e dire: d(Hnani, domani, vedrete se gli sarà
passato il riuzo. Cosa credete? »
« lo non credo nulla. »
u Che la cani^ia »a diventala padrona di Milano? »
» Oh giusto ! »
« Vedrete, vedrete. "
u Intendo benissimo : il re sarà sempre il re; ma chi avrà riscosso,
a\Tà riscosso: e naturalmente un povero padre di famiglia non ha
voglia di riscolere. Lor signori hanno la forza: a lor signori tocca. «
" Avete ancora molta gente in casa? »
u Un visibilio. »
<• E quel vostro avventore cosa fa? Continua a schiamazzare, a
metter su la gente, a preparar tumulti per domani? »
« Quel forestiero, vuol dire vossignoria: e andato a letto, n
u Dunque avete molla gente Basta; badalo a non lasciarlo
scappare. «
— Che (levo fare il birro io? — |iensò l'oste; ma non disse né si
né no.
^ Tornate pure a casa; e abbiate giudizio, » riprese il nolaio.
u Io ho sempre avuto giudizio. Vossignoria può dire se ho inai
dato da fare alla giustizia. "
i- E non crediate che la giustizia abbia perduta la sua forza. "
- [o^ per carità! io non credo nulla: abbado a far l'oste, n
" La solila canzone: non avete mai altro da dire, r
1 Che ho da dire altro? La verità è una sola. »
" Basta; per ora riteniamo ciò che avete deposto; se verrà poi Ìl
<-aso, informerete più minutamente la giustizia, intorno a ciò che vi
l>olrà venir domandato, n
u Cosa ho da informare? io non so nulla; appena ho la lesta da
attendere ai falli miei, n
u Badate a non laseiari» partire. ''
u Spero che l' illustrissimo signor capilano saprà che son venuto
subilo a fare il mio dovere. Bacio le mani a vossignoria. «
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■i„a I l'IlOllESSI SPOSI
Allo !ipiiiilar drl giorno, Renzo russava da virca scU'ore, ed era
iiiicora, [loverelto! sul più bello, quando due forti scosse alle h'accìa,
e una voec clic dappiè del Ietto gridava : « Lorenzo Tcamaglino 1 " .
lo fecero riseotere. Si risenti, ritirò le braccia, apri gli occhi a stento;
(! vide ritto appiè del Ietto un uomo vestito di nero, e due armali,
uno (li (pia, uno di là del capezzale. E, tra la sorpresa, e il non es-
ser desto bene, e la spranglietla di quel vino che sapete, rimase un
momento come Incantalo; e credendo di sognare, e non piacendogli
(]uel sogno, si diluena^'a, come per is^egliarsi afTatlo.
" Ah! avete sentito una volla, Lorenzo Tramaglino? « disse l'uomo
dalla cappa nera, (pici iiolnio medesimo della si-ra itvanti. " Animo
dunque; levatevi, e venite con noi. >■
u Lorenzo Tramiiglino! » disse Renzo Tramaglino: " cosa vuol
dir questo? Cosa volete da me? Chi v'ha dello il mio nome? "
« Meno ciarle, e fate presto, n disse uno de" birri che gli stavano
a lianeo, prendendogli di nuovo il braccio.
j Ohe! che pi-e|ioleiiza ("■ qiicsla? " gndt) Renzo, riliraiido il brac-
cio. « Osici a i'osic; «
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CAPITOLO XY «0(1
« Lo porliam via in camJm? " disse ani-ora quel btrro, voltali'
dosi ai notaio.
X Avete inteso? n disse ijucslo a Renzo: » ai farà cosi, se non ^1
levale subito subito , per %'enir con noi. >■
" E percliè? " diMiiandò Renzo.
t U perchè lo sentirete dal signor i-apilano di giustizia. -
u Io? Io sono un galantuomo: non lio latto nulla; e mi mai-avi-
gtio »
>. Meglio per voi, meglio per voi; t-osi, in due parole sarete spir-
da(o, e potrete andarvene per i Talli vostri, n
u Mi lascino andare ora, « (lis.se Renzo: » io non Ito elle far niilb
eon la giuslizla. '^
>• Orsù, liiiiamola! » diss«' un birro.
■i Lo portiamo via <lavvero? « disse l'allro.*
- Lorenzo Tramaglino! n disse il notaio
» Come sa il mio nome, vossignoria? "
- Fate il vostro dovere , « disse il notaio a' birri ; i c|nali misero
subito le mani addosso a Renzo, per timrlo fuori del letto.
" Eli ! non toccale la canie d' un galaiiltiomo , elie .... 1 Hi so ve-
stir da me. "
- Dunque vestiteci subito, » disse il notaio.
•• Mi vesto, y rispose Renzo; e and:i\'a di fatti rm-cogliendo qua e
là ì panni sparsi sul letto, come gli avanzi d'nn naufragio sul lido.
E cominciando à méllerseli, proseguiva tuttavia dicendo: » ma io
non d viglio andare dal capitano di giustizia. Non lio elic far nulla
con lui. Giacché mi si fa quesf aflroiilo ÌEiginstamcnte, voglio esser
condotto da Ferrer. Qnello lo conosco, so che è un galantuomo; i;
ra'ba dell' (^Uigazioni. »
u Si, M, figliuolo, sarete condotto da Ferrer, <> m|iose il notaio.
In allrc circostanze, avrebbe riso, proprio di gusto, d'una richieda
ornile; ma non era moinento da ridere. Già nel venire, aveva visto
per le strade un certo movimento, da non potersi ben definire se fos-
sero rimasugli d'una sollevazione non del lutto sedata^ o principi d'una
nuova: uno sbucar di persone, un accozzarsi, un andare a brigate,
un far croccili. E ora, senza farne sembiante, o cercando almeno di
non farlo, stava in orecchi, e gli pareva che il ronzio andiasse cre-
scendo. Desiderava dunque di spicciarsi; ina avrebbe anche voluto
condur via Renzo d'amore e d'accordo; giacché, se si fosse \'emiti n
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100 I PlIOUESSl SPOSI
guerra aperta con lui, noit itoleva esser cerio, quando fossei'o iti
istrada, di trovarsi tre coiiU-'uiio. Perciò dava d'occhio a' birri, die
avessero pazienza, e non inasprissero il giovine; e dalia parie sua,
cercava di persuaderlo con buone parole. Il giovine intanto, mentre si
vestiva adagino adagino, richiamandosi, come poteva, alla memoria ^'t
avvenimenli del giorno avanti , indovinava bene, a un di presso, che
le gride e il nome e il cognome dovevano esser la causa di tutto;
ma come diamine colui lo sapeva quel nome? E clic diamine era
accaduto in quella notte, perchè la giustizia avesse preso lant' ani-
mo, da venire a colpo sicuro, a metter le mani addosso a uno de'
buoni figliuoli che, il giorno avanti, avevan tanta voce in capitolo?
e die non dovevano esser tutti addormentali, poiché Renzo s'accor-
geva anche lui d'un ronzio crescente nella strada. Guardando poi in
viso il notaio, vi scorgeva in pelle in pelle la titubazione che costui
si sforzava invano di tener nascosta. Onde, cosi per venire in diìaro
delle sue congetture, e scoprir paese, come per tirare in lungo, e
anche per tentare un colpo, disse: « vedo bene cos'è l'origine di
tutto questo: gli e per amor del nome e del econome. ler sera ve-
ramente ero un po' allegro: questi oali alle volte hanno certi vini
traditori; e alle volle, come dico, si sa, quando il vino è giù, è lui
che parla. Ma, se non si tratta d'altro, ora son pronto a darle ogni
soddisfazione. E poi, già lei lo sa il mio nome. Chi diamine gliel ha
detto? »
" Bravo, figliuolo, bravo! « rispose il notaio, tutto manieroso:
« vedo che avete giudizio; e, credete a me che son dd mestiere, voi
siete più furbo che tanl' altri. E la miglior maniera d'uscirne presto
e bene: con codeste buone disposizioni, in due parole siete spicdalo,
e lasdato in liberlà. Ma io, vedete Dgliuolo, ho le mani legale, non
posso rilasciarvi qui, come vorrei. Via, fate presto, e venite pure
senza timore; che quando vedranno dii siete; e poi io dirò. ... La-
ssale fare a me Basta ; sbrigatevi , figliuolo. »
« Ah! lei non può: intendo, » disse Renzo; e continuava a ve-
stirsi, rispingendo con de' cenni i cenni che i bin-i facevano di met-
lergli le mani addosso, per farlo spicciare.
« Passeremo dalla piazza del duomo? » domandò poi al notaio.
1 Di dove volete; per la più corta, affine di lasciarvi più presto in
libertà, » disse qudlo, rodendosi dentro di sé, di dover lasciar cadere
in terra quella domanda misteriosa di Renzo, che poteva divenire un
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CAPITOLO XV, MI
(enia dì cento inlurrogazioni. — Quando uno nasce disgrazialo! —
pensava. — Ecco; mi viene alle mani uno clic, si vede, non vor-
rebbe altro clic cantare; e, un |>o' di respiro che s'avesse, così extra
Ibrnutm , accademicamente, in via di discorso amichevole, gli si fa-
rebbe confessar, senza corda, quel che uno volesse; un uomo da con-
durlo ili prigione già beli' e esaminalo, senza che se ne fosse accorto:
e un uomo di questa sorte mi deve per I' appunto capitare in un
momento cosi angustiato. Eh! non c'è scampo, — continuava a pen-
sare, tendendo gli orecchi, e piegando la testa all'indietro: — non
c'è rimedio; e' risica d'essere una giornata peggio di ieri. — Ciò che
lo fece pensar cosi , fu un rumore straordinario die si senti nella
strada: e non potè tenersi di non aprir l'impannata, per dare un'
ocdiiatina. Vide ch'era un erocchio di cittadini, i quali, all' intima-
zione di sbandarsi, fatta loro da una pattuglia, avevan da principio
risposto con cattive parole , e fmalinente si separavan continuando a
brontolare; e quel die al notaio parve un segno mortale, i soldati
eran pieni di civiltà. Chiuse l' impannata, e stette nn momento in
forse, se dovesse condor l'impresa a termine, o lasciar Renzo in
guardia de' due birri, e correr dal capitano di giustizia, a render
conto di ciò che accadeva. — Ma, — pensò subilo, — mi si dirà
che sono un buon a nulla, un pusillanime, e che dovevo eseguir gli
ordini. Siamo in ballo; bisogna ballare. Malannaggia la furia! Maledetto
il mestiere!
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Renzu era l<.-\alo,: i due sa'ellili gli alavano a' fiaiic-lii. Il notaio
iuremió a (;0!>loro che non lo sfurza^scr (ro|>|io. e (lìst-o a lui: » da
bravo, (ìgliiiulu; a noi, s|iic(-iatevi. i
Anche Ronzo svnliva, vedc\a e pensava. Era ormai tuHu veslilo.
salvo il (arsetlo, die teneva con una mano, frugaiiilo con l'altra nelle
lascile. " Ohe! " di^e, guardando il notaio, co» un viso mollo si-
gnilicanle: » (|iii c'era de' soldi e una lettera. Signor mio! -^
u Vi sarà dato ogni cosa luinlualnieiile, -> disse il notaio, ^ do)»*
adenijiile (|ueMe gioehe fornialilà. Andiamo, andiamo. •-
» \o, DO, no, n disse Renzo, tentennando il capo: » <jues(a non
mi va: voglio la roba mia, signor mio. Renderò conto delle mie azioni;
ma voglio la roba mia. n
" Voglio farvi vedere die mi fido di voi: tenete, e fate presto, "
(lisine il notaio, levandosi di seno, e consegnando, con un sospiro, a
Renzo le cose setiucstrale. Questo, r-iponendolc al loro [loslo, mormo-
rava tra' denti: " alla larga! bazzicate tanto co' ladri , che avete un
poco imparato il mestiere, n I birri non potcvan più stare alle mos-
se; ma il notaio li teneva a freno con gli occhi, e diceva intanto tra
sé: — se tu arrivi a metter piede dentro quella soglia, l'Ila! da [u-
gar con usura ; l'hai da pagare. —
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CAPITOLO W. MS
Mentre Renzo si metteva il Eetrsetlo, e jtrendeva il capitilo,, il no-
taio fece cenno a un de' birri, die s'avviasse per la scala; gii mandò
dietro il prigioniero, poi l'altro amico; poi si mosse anclie lui. In cu-
cina che furono, mentre Renzo dice: « e que^^t'osle benedetto dove
s'è cacciato? » il notaio fa un altro cenno a' birri; ì quali afferrano,
l'uno la destra, l'altro la sinistra del giovine, e in fretta in fretta gli
legano i polsi con certi ordigni, |ier quell'ipocrita figura d'eufemi-
smo, chiamati manichini. Consistevano questi (ci dispiace di dover
discendere a particolari indegni della gravità slorica; ma la chiarezza
lo richiede), consistevano in una cordicella lunga un po' più che il
giro d'un polso ordinario, la quale aveva nelle cime due pezzetti di
I^^o, come due piccole slanglictle. La cordicella circondava il ])olso
del paziente; i legnelti, |)assali tra il medio e 1' anulare del prendi-
tore, gli rimanevano chiusi in pugno, dì modo che, girandoli, ri-
stringeva la legatura, a volontà; e con ciò aveva mezzo, non solo
d'assicurare la presa, ma anche di martirizzare un ricalcitrante: e a
questo fìne, la cordicella era sparsa di tiodì.
Renzo si divincola, grida: « che tradimento è questo? A. un galan-
tuomo ....'.« Ma il notaio , che per ogni tristo fatto a\ èva le sue
buone parole, « abbiale |>azienza, » dicc^'a: » fanno il loro dovere.
Cosa volete? son tulle formalità; e anche noi non possiamo trattar la
gente a seconda del nostro cuore. Se non si facesse quello che ci \ien
comandato, staremmo freschi noi altri, pe^^io di \oi. Abbiale pa-
zienza. "
Mentre parlava, i due a cui toccava a fare, <licdero mia gii'ata a~
legnetti. Renzo s'acquietò, come un cavallo bizzarro che si sente il
kdibro stretto tra le morse, e esclamò: « pazienza! ^^
« Bravo figliuolo! » disse il 'notaio: « questa è la vera maniera
d' uscirne a bene. Cosa vol*te? è una seccatura; lo vedo anch'io; ma,
IMrtandovi bene, in un momento ne siete fuori. E giacché \edo che
siele ben disposto, e io. mi sento inclinato a aiutarvi, voglio darvi
anche un altro parere, i>er vostro bene. Creilctc a nie, die son pra-
tico di queste cose: andate via diritto diritto, senza guardare in qua
e in là, senza fervi scorgere: così nessuno bada a voi, nessuno s'av'-
vcde di quel cbe è; e voi conservate il vostro onore. Ui qui a un'wa
voi siete in libertà: c'è tanto da fare, die avranno fretta anctic loro
di sbrigarvi: e poi parlerò io. . . , Ve n'andate per i fatti vostri; e
nessuno saprà cbe siete stalo nelle mani <lel)a giustizia. E voi altri, "
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.104 I PROMESSI SPOSI
vonlimiò poi, vollaiidosi a' birri, con un viso severo: u guardate bene
di non fargli male, perchè lo proteggo io: il vostro dovere bisogna
che lo facciate; ma ricordatevi che e un galantuomo, un giovine ci-
vile, il quale, di qui a poco, sarà in libertà; e che gli deve premere
il suo onore. Andate in maniera che nessuno s'avveda di nulla: come
se foste tre galantuomini che vanno a spasso. » E, con tono imperativo,
e con sopracciglio minaccioso, concluse: » m'a^'ele inleso. » Vollalosì
l>oi a Renzo, col sopracciglio spianato, e col viso divenuto a un tratto
riilcnle, che pareva volesse dire: oh'noi sì che siamo amici!, gli bi-
sbigliò di nuovo : u giudizio ; fate a mio modo : andate- raccolto e
(|uieto; fìdatevi di chi vi vuol bene: andiamo, n Eia comitiva s'av%-Ìò.
Però, di tante belle parole Renzo, non ne credette una: né che il
notaio volesse più bene a lui che a' biiri, né die prendesse lauto a
cuore la sua riputazione, nò che avesse inlenzion d'aiutarlo: capi be-
nri^imo che il galantuomo, temendo che si presentasse per la slrada
qualche buona occasione di scappargli dalle mani, metteva innanzi
<|ue' bei motivi, per istornar lui dallo starci attento e da approfittarne.
Dìmododiè tulle quelle esortazioni non servirono ad altro che a eon-
fcnnarlo nel disegno che già aveva in testa, di far lutto il contrario.
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CAPITOLO XV. SOH
Nessuno concluda da ciò che il notaio fosse un furbo inesperto e
novizio; perchè s'ingannerebbe. Era un furìw matricolato, dice il no-
stro storico, il quale pare che fosse nel numero de' suoi amici: ma, in
quel momento, si trovava con l'animo agitato. A sangue freddo, vi so
dir io come si sarebbe tatto beffe di chi, per indurre un altro a fare
una cosa per sé sospetta, fosse andato su^;erend(^iela e inculcando-
gliela caldamente, con quella miserabile finta di dargli un parere di-
sinteressato, da amico. Ma é una tendenza generale degli uomini,
quando sono agitati e angustiati , e vedono ciò che un altro (lotrebbe
lare per levarli d'impìccio, di chiederglielo con istanza e ripetuta-
mente e con ogni sorte di prelesti; e i furbi, quando sono angustiali
e aitati, cadono anche loro sotto questa legge comune. Quindi è che,
in simili circostanze, fanno per lo più una così meschina figura. Que'
ritrovali maestri, quelle belle malizie, con le quali sono avvezzi a
vincere, che son diventate |>er loro quasi una seconda natura, e che,
messe in opera a tempo, e condotte con la (Kicalezza d'animo, con la
serenità di mente necessarie, fanno il colpo così bene e cosi nascosta-
mente, e conosciute anche, dopo la riuscita, riscolono l'applauso uni-
versale; i poverini quando sono alle strette, le adoprano in fretta, al-
l'impazzala, senza garbo né grazia. Di maniera che a uno che li veda
ingegnarsi e arrabattarsi a quel' modo, fanno pietà e movou lo risa; e
Tuomo che pretendono allora di mettere in mezzo, quantimque meno
accw^o di loro, scopre benissimo tutto il loro gioco, e ila quegli ar-
tifizi ricava lume per sé, contro di loro. Perciò non si può mai ab-
bastanza raccomandare a' furbi di professsione di conservar sempre il
loro sangue freddo, o d'esser sempre i più forti, che è la più sicura.
Renzo adunque, appena furono in istrada, cominciò a girargli oc-
chi in qua e in là, a spoi^rsì con la iwrsoaa, a destra e a sinistra,
a tender gli orecchi. Non e' era però concorso straordinario; e bendiè
sul viso di più d'un passeggìero si potesse legger facilmente un cerio
non so che dì sediuoso, pure ognuno andava diritto per la sua stra-
da; e sedizione propriamente delta, non e' era.
« Giudizio, giudizio! n gli susurrava il notaio dietro le spalle: "il
vostro onore; l'onore, figliuolo. » Ma quando Renzo, badando atten-
tamente a tre che venivano con visi accesi, senti che pariavan d'un
forno, di farina nascosta, di giustizia, cominciò anche a far loro de'
cenni col viso, e a tossire in quel modo che indica tutt' altro die
un raffreddore. Quelli guardarono più attenlamente la comitiva, e si
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I rnouGSSi sposi
fermarono ; con loro si fei-marono iillri che airivavaiio; allrì, che gli <,Taii
)>a8satì davanti, voltatisi al bisbiglio, tornavano indietro, e faMvan coda.
' Jliiitilt- il voi; i^iiidizio, figliuolo: iieggiu per voi vedete; non glia-
slnl<- i Tiilti vostri; l'onore, la riputazione,» continuava a susurrare il
iioliiin. Ronzo Tiireva peggio. I bim, dopo essersi consultati con l'oo-
clrìo, |ifns;)ii<l<) di Tar bene (ognnno è soggetto a sbagliare), gli die-
dero mia NliTlla di inanidiint.
■• Ahi! uhi! ahi! » grida il tormentato: al grido, la gente s'afTolla
intorno; n'accorre da ogni parte della strada: la comitiva si trova in-
cagliala. " È un inalviveiile, n bisbigliava il notaio a quelli che gli
erdiio a ridosso : ^ è un ladro colto sul fatto. SÌ ritirino, lascili passar
la giustizia. •> Ma Renzo, visto il M iiiomentu, visti i birri diventar
bianclii. o almeno pallidi, — se non m'aiuto ora, pensò, mio danno.
— G subito alzò la voce: « figliuoli! mi menano in prigione, perchè
ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galanlnonio:
aiulalcmì , nuii ni' abbandonale , fìgliuolì ! »
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C*riTOLO XV. SUI
Un moiTOOi-io favorevole, voci piti chiare di proli-ziune s'ulzano in
rÉjiposIa: ì birri siil principio comandano, poi ditt'dono, ])oi pregano
i più vidni d'andarsene, e di Tar largo: la folla in vece incalza e pi-
gia sempre più. Qnclli, vista la mala parala, lascian andare i ma-
nichini , e non si coran più d' allro che di perdersi nella folla , pei-
uscirne inosservati.il notaio desiderava anlcnlemenlc di far lo stesso;
nia c'era de' guai, per amor della cappa nera. Il (mver'uomo, pallido
e sbigottito, cercava dì farsi piccino piccine, s'andava storcendo, pei-
i^usciar fnor della folla; ma non poteva alzar gli occhi, che non se
ne vedesse \'cnli addosso. Studiava (ulte le maniere di comparire un
estraneo che, passando di lì a caso, si fosse trovalo stretto nella calca,
come una pagliueola nel ghiaccio; e riscontrandosi a viso a viso con
uno che lo guardava fìsso, con un cipiglio peggio degli altri, lui, com-
posta la bocca al sorriso, con un suo fare sciocco, gli domandò: " eos' è
slato? "
« Uh corvaccio! " rispose colui. « Corvaccio! eorvacciol « risonò
all'intorno. Alle grida s'aggiunsero gli urloni; dì maniera elie, in poco
tempo, parte con le gambe proprie, parie con le gomita altrui, ot-
tenne ciò che più gii premeva in «juel momento, d'essei- fuori di (jiicl
serra serra.
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CAPITOLO XVI.
ij)|ia, ijcuppa, galiiiituoiiio : U e' è un L-oiivciito,
ceco là unu chiesa; di qui , di là, <• si grida a
Renzo da ogni parte. In quanto allo scappare,
jicnsate se aveva bisogno dì consigli. Fin dal
primo momento che gli era balenato in mente
una speranza d'uscir da*quell' unghie, aveva
cominciato a fare i suoi conti, e stabilito, se
i|uesto gli riusciva, d'andare scnzafennarsi, Rn
che non fosse fuori, non solo della cilUi, na del
ducato. — Perchè, — aveva pensato, — il mio nome l' hanno su' loro
libracci , in qualunque maniera 1' abbiano avuto ; e ccd nome e co-
gnome, mi vengono a pi-endere quando vf^liono. — E in quanto a
un asilo, non vi si sarebbe caccialo che quando avesse avuto i birri
alte spalle. — Perchè, se posso essere uccel di bosco, — aveva an-
che pensalo, — non voglio diventare ucccI di gabbia. — Aveva dun-
que disegnato per suo rifugio quel paese nel territorio di Bei^jamo,
ilov' era accasato quel suo cugino Bortolo, se ve ne rammentale, che
più volle l'aveva invitalo a andar là. Ma trovar la strada, li slava il
male. Lascialo in una parie sconosciuta d'una città si può dire sco-
nosciuta, Rento non sapeva neppure da che porta s' uscisse per an-
dare a Bergamo; e quando l'avesse sapulo, non sapeva poi andare alla
porta. Fu li lì per farsi insegnar la strada da qualcheduno de' suoi
liberatori; masiceome nel poco tempo che aveva avuto per meditare
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CAPITOLO XVI. SM
sa' casi suoi, gli eran passate per la mente certe idee su quello spa-
daio cosi obbligante, padre di quattro lìgliooli, cosi, a buon c(H)to,
non volle manifestare i suoi disegni a una gran brigata, dove ce ne
poteva essere qualche altro di quel conio; e risolvette subilo d'allonla-
itarsì in fretta di li : che la strada se la farebbe poi insegnare, in luogo
dove nessuno sapesse rlii era, uè il perché la domandasse. Disse a'suoi
liberatori: u grazie tante, l^iuoli: siate benedetti, » e, uscendo per il
largo che gli fu fatto immediatamente, prese la rincorsa, e via; den-
tro per un vicolo, giù per una stradetla, galoppò un pezzo, senza sa-
per dove. Quando gli parve (tessersi allontanalo abbastanza , rallentò
il passo, per non dar sospetto; e cominciò a guardare in qua e in
là, per isceglier la persona a cui far la sua domanda, una faccia che
ispirasse confidenza. Ma anche qui c'era dell' imbroglio. La domanda
per sé era sospetta; il tempo stringeva; i birri, appena liberati da
quel piccolo intoppo, dovevan senza dubbio essersi rimessi in traccia
del loro fuggitivo; la voce di <|uclla fuga poteva essere arrivata fin
là; e in liJi strette, Renzo dovette fare forse dieci giudizi fisionomici,
prima di trovar la figura che gli paresse a proposito. Quel grassotto,
che slava ritto sulla soglia ddlu sua bottega, a gambe laiche, con
le mani di dietro, con la pancia in fuori, col mento in aria, dal quale
pendeva una gran |>appagorgia , e che, non avendo altro che fare,
andava alternativamente sollevando sulla punta de' piedi la sua massa
(remolanlc, e lasciandola ricadere sui calcagni, aveva un viso di ci-
catone curioso, che, in vece di dar d(.<lie risposte, avrebbe fatto delle
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siv I PROuessi SPOSI
inleriY^zioni. Quell'altro che veniva innanzi, con gli occhi fissi, e col
labbro in fuori, non che insegnar \tresto e bene la strada a un altro,
appena pareva conoscer la sua. Quel ragazzotlo, che, a dire il vero,
mostrava d'esser mollo sveglio, mostrava perù d'essere anche jiiù ma-
lizioso; e probabilmente avrebbe avuto un gusto matto a far andare
un povero contadino dàlia parte opposta a quella che desiderava. Tan-
fo vero che all'uomo impicdato, quasi ogni cosa è un nuovo impìc-
vio! Visio tinalmente uno die veniva in fretta, pensò che questo,
avendo probabilmente ([ualchc afbrc jii-essante , gli risponderebln; su-
bilo, senz' altre chiacchiere; e sentendolo parlar da se, giudicò Hie
dovesse essei'e un uomo sincero. Gli s'accostò, e disse: « di grazia, quel
signore, da die parte si va pei- andare a Bergamo? »
» Per andare a Stergamo? Da porta orienlalo. »
u Grazie tante; e per andare a porla orientale? »
" Prendete questa strada a inancinii ; vi troverete sulla piazza del
duomo; poi . . . »
u Basla, signore; il resto lo so. Dio gliene renda merito, n E di-
viato s'incamminò dalla parie che gli era stala indicata. L'altro gli
guardò dietro un momento, e, accozzando nel suo pensiero qudla ma-
niera di camminare con la domanda, disse Ira sé: — o n' ha fatta
una, 0 qualcheduno la vuol fare a lui. —
Renzo arriva sulla piazza del duomo; l'attraversa, )ìassa accanto a
un mucchio di cenere e di carboni spenti, e riconosce gli avanzi àe\
falò di cui era stato spettatore il giorno avanti ; eosteggia gli scalini
del duomo, rivede il forno delle grucce, mezzo smantt^llato , e guar-
dato da soldati; e tira diritto per la strada da cui era venuto iii-sieme
con la folla; arriva al convento de' cappuccini; dà un' occhiata a
quella piazza e alla porta della diiesa, e. dice tra se, sospirando: —
m'aveva però da(o un buon parere quel frate di iei-i: die slessi in
chiesa a asjyellarc, e a fare un jw'di bene. —
Qui , essendosi fermalo un momento a guardai^* attenlamenle alla
iwria per cui doveva passare, e vedendovi, cosi da lontano, molla
genie a guardia, e avendo la fanlasia un po' riscaldala (bisogna coni-
jiatìrlo; aveva Ì suoi motivi), provò una certa ripugnanza ad affrontare
quel passo. SÌ trovava così a mano un luogo d'asilo, e dove, con
quella lettera, sarebbe ben raccomandato; fu tentato fortemente d'en-
trarvi. Ma, subilo ripreso animo, pensò: — uceei di bosco, fin clie si
può. Chi mi conosce? Di ragione, i brrri non si saran fatti in pezzi.
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CAPITOLO XVI. SII
per andarmi ad aspeMare a tulle le porle. — Sì ^oUò, per vedere se
luai vimissero da quella parie: non vide né quelli, ne altri che pares-
sero occultarsi di lui. Va innanzi; rallenta quelle gambe benedette ,
cbevolevan sempre correre, mentre conveniva soltanto camminare; e
adagio adagio, fischiando in semitono, arriva alla porla.
C'era, proprio sul passo, un muccliio di gabcltini, e, per rinforzo,
anche de' micbelelti spagnoli; ma slavan tulli attenti verso il di fuori,
per non lasciare entrar di quelli clic, alla nolizia d'una sommossa,
v'accorrono, come i corvi al campo dove è slata data ballagli»; di ma-
niera elle Renzo, con un'aria indifferente, con gli ocelli bassi, e con
un andare cosi tra il viandante e uno che vada a spasso, usci, senza
che nessuno gli dicesse nulla; ma il cuore di dentro faceva un gran
battere. Vedendo a diritta una % iottota , entrò in quella , per evitare
la strada maestra ; e camminò un pezzo prima di voltarsi neppure in-
dietro,
Camntiita, cammina; trova cascine, trova villaggi , lira innanzi senza
Digitizf^riiiyGoOgle
SII 1 PROMESSI SPOSI
domuidarne il nome; e certo d' allonUnarsi da Milano, spera d'andar
verso Bergamo; questo gli basta per ora. Ogni tanto, si voltava indie-
tro; ogni tanto, andava anche guardando e strofinando or l'uno or
l'altro p<^so, ancora un po' indolenziti , e segnati in giro d'una stri-
scia rosseggiante, vestigio della cordicella. I suoi pensieri erano, come
c^nuno può immaginarsi, un guazzabuglio di pentimenti, d'inquietu-
dini, di rabbie, di tenerezze; era uno studio faticoso di raccapezzare
le cose dette e fatte la sera avanti, di scoprir la parte segreta della
sua dolorosa storia, e sopra tutto come avean potuto risapere il suo
nome. I suoi sospetti cadevan naturalmente sullo spadaio, al quale si
rammentava bene d'averlo spiattellato. E ri|>ensaiido alta maniera cou
cui gliel aveva cavato di bocca, e a lutto il fare di colui, e a tutte
queir esibizioni che rinscivan sempre a voler saper qualcosa , il so-
spetto diveniva quasi certezza. Se non che sì rammentava poi anche,
in confuso, d'aver, dopo la partenza dello spadaio, contiimato a cica-
lare; con chi, indovinala grillo; di cosa, la memoria, per quanto ve-
nisse esaminata, non lo sapeva dire: non sapeva dir altro che d'es-
sersi in quel tempo trovata fuor di casa. Il poverino si smarriva in
quella ricerca: era come un uomo che ha sottoscritti molti fogli bianchì,
e gli ha affidati a uno che credeva il fior de' galantuomini ; e scopren-
dolo poi un imbroglione, vorrebbe conoscere lo stato de' suoi alTari:
che oonoseei-e? è un caos. Un altro studio penoso era quello di far
sull'avvenire un disegno che gli potesse piacere: quelli clic non erano
in aria, eran tutti malinconici.
Ma ben presto, lo studio più penoso fu quello di trovar la strada.
Dopo aver camminalo un pezzo, si può dire, alla ventura, vide che
da sé non ne poteva uscire. Provava bensì una certa ripugnanza a
mcller fuori quella giarola Bergamo , come se avesse un non so che
di sospetto, di sfacciato; ma non si polc\'a far di meno. Risolvette
dunque di rivolgei'si, come aveva fatto in Milano, al primo viandanle
la cui fìsonomia gli andasse a genio ; e cosi fece.
u Siete fuor di strada, n gii rispose questo; e, pensalo« un poco,
parte con parole, parte co' cenni, gl'indico il giro che doveva lare,
per rimettersi sulla strada maestra. Renzo lo ringraziò, fece le viste di
far come gli era slato detto, prese in falli da quella parte, con inten-
zione però d'avvicinarsi bensì a quella benedetta strada maestra, di
non perderla di vista, di costeggiarla più che fosse possibile; ma senza
mettavi piede. Il disino era più facile da concepirai die da eseguirsi.
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CAPITOLO XVI. US
La conclusione fu che, andando cosi da destra a sinistra, e, conte si
dice, a zig zag , parte seguendo l'altre indicazioni che si faceva corag-
gio a pescar qua e là, parie correggendole secondo i suoi lumi, e adatr
(andole al suo intento, parte lasciandosi guidar dalle strade in cui si
trovava incamminato, il nostro fuggitivo aveva fatte forse dodici mi-
glia, che non era distante da Milano più di sci; e in quanto a Berga-
mo, era mollo se non se n' era allontanato. Cominciò a jiersuadersi
che, anche in qudla maniera, non se n'usciva a bene; e pensò a tro-
var qualche altro ripii^o. Quello che gli \'ennc iu mente, fu di scovar,
con qualche astuzia , il nome dì qualche paese vicino al confine , e al
quale si potesse andare per istrade comunali: e domandando di quello,
si farebbe insegnar la strada, senza seminar qua e là quella domanda di
Bergamo, che gli pareva puzzar tanto di fuga, di sfratto, di criminale.
Mentre cerca la maniera di pescar tutte quelle notizie, senza dar .
sospetto, vede pendere una frasca da una casuccia solitaria, fuori d'un
paesello. Da qualche tempo, sentiva anche crescere il bisogno di risto-
rar le sue forze; pensò che li sarebbe il luogo di fare ì due servizi in
una volta; entrò. Non c'era che una vecchia, con la rocca al Ranco, e
col fuso in mano. Chiese un boccone; gli fu offerto un po'<li strac-
chino e del vin buono: accettò lo stracchino, del vino la ringraziò (gli
era venuto in odio, per quello scherzo che gli aveva fatto la sera
avanti); e si mise a sedere, pregando la donna che facesse presto. Que-
.■«ta, in un mtHnento, ebbe messo in tavola; e subilo dopo cominciò a
tempestare il suo ospite di domande, e sul suo essere, e sui gran fatti
di Milano: che la voce n'era arrivata tin là. Renzo, non solo seppi;
sciiermirsì dalle domande, con molta disinvoltura; ma, approfittandosi
della diflicoltà medesima, fece servire al suo intento la curiosità dell»
veocliia, che gli domandava dove fosse incamminato.
« Devo andare in molti luoghi, » rispose: u e, se trovo un ritaglio
di lempo, vorrei anche passare un momento da quel paese, piuttosto
grosso, sulla strada di Bergamo, vicino al confine, però nello stato di
Milano . . . Come si chiama ?» — Qualchcduno ce ne sarà , — pen-
sava intanto tra se.
" Gorgonzola, volete dire, n rispose la vecchia,
" Gorgonzola! » ripetè Renzo, (|Ui>sÌ per mettersi meglio in mente
la parola. « È mollo lontano di qui? " riprese |)0i.
« Non lo so precisamente: saranno dieci, saranno dodici miglia. Se
ci Posse qualchctluno de' miei figliuoli, \c Io saprebbe dire. "
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I PROMESSI SPOSI
« E tt-ttMc die ui si possii andare jier qucsic Iwlle \ioltole, st'iiia
prwidPT la strada macslra? dove t'è uitu polvere, una polvere! Tanto
li'inp»! clic noli pi«\el "
-< A me mi par di si: potete domandare nel primo paese die tro-
\ei-cle andando a diritta. '^ E glielo nominò.
u Va bene: n disse Renzo; s'alzò, prese un pezzo di pane che gli
ora a^ill)zalo della magra colazione, un pane ben diverso da quello
die aveva trovalo, il giorno avanti, appiè della eroee di san Dionigi:
pagò il conio, usci, e prese a diritta. E, per no» ve l'allungar più del
bisogno, col nome di Gorgonzola in bocca, di pae^e in paese, ci ar-
rivò, un'ora circa prima di sera.
Già cainmin iacendu, aveva disegnalo di far li un' allra fermaticia.
per fare un pasto un po' più sostanzioso. Il corpo avi-ebbe anche gradito
un po' dì letto; ma prima che contentarlo in questo, Renzo l'avrebbe
lascialo cader ritmilo sulla strada. Il suo proposilo era d' infonnarsi
all' osteria, della distanza dell'Adda, di cavar destramente notizia di
qualelic traversa che mcltesse là, e di rincamminarsi da qudla parie,
subito dopo essersi rinfrescato. Nato e cresciuto alla seconda sorgente,
per dir cosi, di quel fiume, aveva sentito dir più volte, die, a un
certo punto, e iter un certo tratto, esso faceva confine tra lo stato
mitaiiese e il vtneto: del punto e de) tratto non aveva un' idea pre-
cisa; ma, allora come allora, 1' aitar più urgente era di passarlo, do-
vunque si fosse. Se non gli riusciva in quel giorno, era risoluto di
canmiinare (in die l'ora e la Iena glielo permettessero: e d'aspettar
poi l'alba, in un eani|>o, in un deserto; dove piacesse a Dio; pur che
no» fosse un'osteria.
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UAPITOU» XVi. nij
Falli alcuni passi i» G«i'goi>zota, vide un'insegna, enlrò; v all'oste,
cbe gli venne ìoconlro, chiese un boccone, e una meszella di vino:
le miglia di più , e ìi tempo gli avevan fatto passare quell' odio così
estremo e fanatico. " Vi prego di far presto, » soggiunse: " perchè
ho bisogno di rimettermi subito in istrada. « E questo lo disse , non
solo perchè era vero, ma anche per paura clie l'oste, immaginandosi
i4ie colesse dormir li , non gli uscisse fuori a domandar de) nome <■
del cognome , e donde veniva, e per clic negozio Alta larga I
L'oste rispose a Renzo, che sarebbe servito; e (|uesto si mise a se-
dere in fondo della tavola, vicino all'uscio: il posto de' vci^ognosi-
C'erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese, i {piali, dopo
aver discusse e commentate le gran notizie di Milano del giorno a\'anti,
si struggevano di sapere un poco come fosse andata anclie in quel
giorno; tanto più che ([uelle prime eran più atte a stuzzicar la curio-
sità, che a soddisfarla: una sollevazione, ne soggiogata né vittoriosa,
sospesa più che terminata dalla notte; una cosa tronca, la line d'un
atto piuttosto che d'un dramma. Vn di coloro si slaccò dalla brigata,
s'accostò al soprarrivato, e gli domandò se veniva da Milano.
" Io? " disse Renzo sorpreso, i)er prender t('m|>o a rispondere.
ti Voi, se la domanda è lecita. «
Renzo, Icniennando ÌI capo, stringendo le labbra, e facendone nseìrc
un suono inarticolato, disse: " Milano, da quel die ho sentito dire...
non dev'essere un' luogo da andarci in questi momenti, meno c-lie {ler
una gran necessità. »
" Continua dunque anche oggi il fracasso? '■ domandò, iihi più
inlanza, il curioso.
- Bisognerebbe esser là, per saperlo, " disse Renzo.
u Ma \ oi , non venite da Milano ? "
« Vengo da Liscale, » rispose lesto ÌI ^io^ine, cìk- inlunio ave^a
jieiisala la sua risposta. Ne veniva in fatti, a rigor di termini, |>creliè
c'era passato; e il nome l'aveva saputo, a un certo punto della stra-
da, da un viandante che gli aveva indicato quel paese come il primo
die doveva attraversare, jier arrivare a Gorgonzola.
" Ohi " disse l'amico: come se volesse dire: faresti meglio a venir
da Mibno, ma pazienza. ^E a Liseate, r. soggiunse, " non sì sapeva
niente dì Milano? »
" Poirehb'essere benissimo che qualcheduno )h Siipcsse (](ialelie ro-
-«a, n rispose il montanaro: " ma io non ho sentilo dir nulla. "
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3IU I PHUUESSl SFUSI
E queste parole le proferi in quella maniera ]>ar(Ìcolare die par
che voglia dire: ho finito. Il curioso rilornó al suo posto; e, un mo-
mento dopo, l'oste venite a mettere in (avola.
" Quanto c'è di qui all'Adda? » gli disse Renzo, mezzo Ira' denti,
con un fare tla addormentato, che gli abbtam visto qualche altra volta.
u M'Adda, per passare? » disse l'oste.
u Cioè .... si ... . all'Adda, n
» Volete passare dal |)ontc di Cassano, o sulla chiatta di Canonica?»
u Dove si sia ... . Domando cosi per curiosità. »
u Eh, \'olevo dire, perchè quelli sono i luoghi dove passano i ga-
lantuomini, la gente che può dar conto di sé. "
ii Va bene : e quanto e' è? »
u Fate conto che, tanto a un luogo, rome all'altro, poco più, poco
meno, ci sarà sei miglia. >
« Sei miglia! non credevo tanto, » disse Renzo. » E già, « rìprcse
poi, con un' aria d' indifferenza, (lortata fìno all' alTellazìone : « e
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CAPITOLO XVr. 31T
già , chi aressu bisc^no <ti |>rciidci'c una scorciatoia , ci saruniio alti'i
luoghi da polcr passare? »
« Ce n'è sicuro, n rispose l'oslc, ficcandogli in viso due oeclu |>ieii!
(Cuna curiosità malisiosa. Bastò questo per far morir Ira' denti al gio-
vine l'altre domande che aveva preparate. Si tirò davanti il piatto; e
guardando la mezzetta che l'oste aveva posala, insieme con quello,
sulla tavola, disse: u il vino è sincero? »
« Come l'oro, " disse l'oste: u domandatene pui-e a tuKa la gente
del paese e del contomo, che se n'intende: e poi, lo sentirete. » E
COSI dicendo, tornò verso la brigata.
— - Maledetti gli osti ! — esclamò Renzo tra se: — più ne conosco,
peggio li trovo. — Non ostante, si mise a mangiare con grand'ap|ic-
lito, stando, nello stesso tempo, in orecchi, senza die paresse suo fatto,
per veder di scoprir paese, di rilevare come sì jKnsasse colà sul gran-
d'avvenimento nel quale egli aveva avuta non piccola parie, e d'os-
servare specialmente se, Ira quo' parlatori, ci fosse qualche galantuomo,
a cui un povero fìgihiitlo potesse fidarsi di domandar la strada, senza
Itniore d'esser messo alle strette , e forzalo a ciarlare de' fatti suoi.
u Ma! n diceva uno: u <{ues(a V(dla par proprio die i milanesi abbian
\'otulo far davvero. Basta; domani al |)iCi tardi, si saprà qualcosa. «
u Mi pento di non esser andato a Milano stamallina, " diceva un
allro.
u Se vai domani, vengo anch'io, r disse un terzo; ])0i mi altro,
{toi un altro.
« Quel che vorrei sapere, n riprese il jn'iuio, « è se que' signori
di Milano penseranno anche alla povera genie di cain|>agna , o se fa-
ranno far la legge buona solamente per loro. Sapete come sono eh ?
Cittadini superbi, tutto por loro: gli altri, come se non ci fossero. '<
u La bocca l'abbiamo anche noi , sia per mangiare, sia per dir la
nostra ragione, i disse un altro, con voce tanto più modesta, quanto
jtiù la proposicìone era avanzala: » e quando la cosa sia incammina-
ta.... " Ma credette meglio di non finir la frase.
» Dd grano nascosto, non ce n'è solamente in Milano, » comiu-
ciava un altro , con un' aria eu)>a e maliziosa ; quando sentono avvi-
cinarsi un cavallo. Corron tulli all' uscio; e, riconosciuto colui che
arrivava, gli vanno ineonlro. Era un mercante di Milano, che, an-
dando più volle r anno a Bci-gamo, jter i suoi trarfidii , era solito
IKtssM- la notte in (piell' oslerìa; e eccome ci trovava quasi scmjtrc ki
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I PROMESSI SPOSI
i>li%su lomjiagiiia, li tuiio^rvxa ludi, tìli ^^'ufToltuiiu iiilunio: uno preiule
hi briglia, un altru la MafTa. ^ Ben arriv<i1o, ben arrivalo! «
; I
M
^. Ben trovali, f^
- Avek' fallo buon \ iaggio ' "
- Bollissimo ; v \'oi allrì , come siate ' '-
- Bene , bene, die nuove ci portate di Milano ' '■
- Ab! ecco quelli delle novità, '■■ disse il mercante, snionlandu, e
lasciando il cavallo in mano d'un garzone, u E |)oi, e [loi, '< eonti-
nuò,- entrando con la compagnia, uà quest'ora le saprete forse meglio
di me. -
- Non sappiamo iiuila, davvero, ^ disse più d'uno, ineltendosi la
mano al petto.
" Possibile? " disse il mercante. « Dunque iie sentirete delle bel-
le o delle brulle. Elii, oste, il mio letto solito è in libertà? Bene:
un bicchier di vino, e il mio solilo boccone, subilo; perche voglio
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CAPITOLO XVI. 310
andare a letto (>re:>lu , jier [larlir pre»(o doniallìim, e arn\iii-e a Bei'-
ganio per t' ora cti>l de:iinare. E ^'oi altri , » continuò , iiiellendosi a
sedere, dalla |tarte opposta a quella dove stava Renzo, zillo e attento,
" voi altri non sapete di tutte quelle diavolerie di ieri? »
' u Di ieri sì «.
4 Vedete dunque, n riprese il mercante, h se le sapete le novilti.
Lo dicevo io che, stando qui sempre di guardia, per frugar quelli ohe
passano ..."
u Ma oggi, com' è andata oggi? n
' Ah oggi. Non sapete niente d' oggi ! "
■■' Niéole adatto : non é passato nessuno, r
u Dunque laseiatenii bagnar te labbra; e poi vi dirò le cose d'oggi.
Sentirete. » Empi il bicchiere , to prese con una mano , poi con le
prime due dita dell'altra sollevò i bafìi, poi tsi lisciò la barba, bevclte.
e riprese : u oggi, amici cari, ci mancò poco, che non fosse una giornata
brusca cwne ieri , o peggio. E non mì par quasi \'ero d' esser qui a
(jiiacchierar con voi altri; perchè avevo già messo da parte ogni |icii'
siero di viaggio, per restare a guardar la mia povera bottega. ^
■■' Che diavolo c'era? " disse uno degli ascoltanti.
» Proprio il diavolo: sentirete. " E trinciando la [Helanza die gli
era stala messa davanti, e |h>ì mangiando, continuò il suo racconto. I
compagni, ritti di qua e di là della tavola, lo sta^'ano a sentire, con
la bocca aperta; Renzo, al suo posto, senza che paresse suo fatto,
slava attento , forse più di tulli , masticando adagio adagio gli ultimi
suoi bocconi.
" Stamattina dunque quc' birboni che ieri avevano follo quel
chiasso orrendo, si trovarono a' )>osti eonvenuli (già c'era un'intel-
ligenza: tutto cose preparate); si riunirono, e rieomineiarono quella
bella storia di girare di strada in strada, gridando per tirar altra gen-
te. Sapete che è come quando si spazza, con riverenza parlando, la
casa; il muecliio del sudiciume ingrossa quanto più va avanti. Quando
parve loro d' essei' gente abbastanza , s' avviarono verso la casa del
!>ignor vicario di provvisione; come se non bastassero le tirannie ch(-
gli hanno folte ieri : a im signore di quella sorte ! oh che birboni ! E
la rcrf>a che dicevan contro di lui ! Tutte invenzioni : un signor dab-
bene, puntuale; e io lo posso dire, che son tutto di casa, e lo servo
tli panno per le livree della servitù. S' incamminaron dunque verso
quella casa : bis(^nava veder che canaglia , che facce : figurateli che
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ZIO I PROMESSI SPOSI
SOI) [Kissali davaiili alla mia bottega: facre clic i giudei ildbi
f^ia Crucis non ci sci) |>cr nulla. E le cose che nscivan da (judic
bocche ! da ttii'ai'seiic gli orecchi, se non fosse slnto che non (ornava
conio di farsi scorgere. Andavan dunque con la buona intenzione di
dare il sacco; ma ..... n E qui, alzata in aria, e slcsa la mano sini-
stra, si mise la punta del pollice alla pmila del naso.
» Ma? n dissero forse lutti gli ascoKalori.
>« Ma, 9) continuò it mercante , " trovaron la strada cliìusa con
ti-avi e eon carri, e, dietro quella barricala, una bella fila di michc-
lelli , con gli archibusi spianati per riceverli come si meritavano.
Quando videro qiteslo bell'apparato Cosa avreste fallo voi altri? -
« Tornare indielro. «
" Sicuro; e cosi fe<rcro. Ala \'edclc un poco se non era il demonio
die li portava. Son li sul Cordusio, vcdon lì quel forno che, fin da
ieri, avevan voluto saccheggiare ; e cosa si faceva in quella bottega? si
distribuiva il pane agli avventori; e' era de' cavalieri , e fior di cava-
lieri, a invigilare che tutto andasse bene; e costoro (avevano il dia-
%'olo addosso vi dico, e poi e' era ehi gli aizzava), costoro, dentro come
disperali; piglia tu, che piglio anch' io: in un batter d'occhio, cavalieri,
fornai, avventori, pani, banco, panche, madie, casse, sacchi, frulloni,
crusca, farina, pasta, tuKo sottosopra. "
u E i michelelti? >>
u I niichelettì avevan la casa del vicario da guardare: non si ptiù
cantare, e portar la croce. Fu in un batter d'occhio, ^■ dico: piglia
piglia; tutto ciò che c'era buono a qualcosa, fu preso. E |ioì (orna in
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CAPITOLO \VI. 331
campo quel Lwl ritrovato di ieri, di porlarv il resto sulla piazza, e
«li rame una lianiuiata. E già comincia^'ano, i mauigoUli, a tirar fuori
nÌKi; (|uaiido uno più iitaiiigoUlo degli altri, indovinale un po' con
(-1)6 l)ella proposta venne fuori. »
« CoH clie cosa? "
u Di fare uu niuc(*bÌo di tutto nella bottega, e di dar fumo al
aiucchio e alla casa insieme. Dello fatto .... «
u Ci han dato fuoco? »
« Aspettate. Un galantuomo del vicinalo ebbe un'ispirazione dal
cielo. Corse su nelle stanze, cercò d'un Crocifisso, lo trovò, l'atlaccò
all' archetto d'una finestra, prese da capo d'un letto due candele bc-
itedelle, le accese, e le mise sul davanzale, a destra e a sinistra dei
Crocifìsso. La gente guarda in su. In un Milano, bisogna dirla, c'è
aitcora del timor di Dio; tulli lornai-ono in sé. La più jtarte, voglio
dire; c'era bensì de' diavoli elie, per rubare, avrcblicro dalo fuoco
anebe al paradiso; ma ^ìsto che la gente non era del loro parei-e, do-
veUero smettere, e star dieli. Indovinate ora chi arrivò all'improv-
viso. Tulli i monsignori del duomo, in processione, a croce alzata.
in abito corale; e monsignor Mazenta, arciprele, cominciò a predicare
da una parie, e monsignor Sellala, penitenziere, da un'alira, e gif
allri anche loro: ma, brava gente! ma cosa volete fare? ma è queslo
l'esempio elie dale a' vostri figliuoli? ma tornate a casa; ma non sa-
pete che il pane e a buon mercato, più di prima? ma andate a ve-
dere, che c'è l'avviso sulle cantonate^
« Era vero? "
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SJ3 I PRUUKSSI SPOSI.
« Diabolo! Volete die i monsignori del duomo venissero in cappa
magna a dir delle fandonie? »
" E la genie cosa fece? «
u A poco a poco se n'andarono; corsero alle cantonale; e, dii sa-
peva lecere, la c'era proprio la mela. Indovinate un poco: un pane
d* ott' once, per un soldo, n
u Cile bazza! "
« La vigna è bella; pur che la duri. Sapete quanta farina Iranno
mandata a male, tra ieri e stamattina? Da mantenerne il ducato per
due mesi, n
u £ per fuori di Milano, non s'è fatta nessuna legge buona? »
« Quel che s'è fatto per Milano, è tutto a spese della città. Non
so che vi dire: per voi altri sarà quel che Dio vOTrà. A buon c(Hito,
i fracassi son finiti. Non v'ho detto tntto; ora viene il buono, r
1 Cosa c'è ancora? <■
"C'è che, ier sera o stamattina che sia, ne sono stali agguan-
tati molti; e subito s'è saputo che i capì saranno impiccati. Appena
cominciò a spargersi questa voce, c^uiio andava a casa per la più
corta, per non arrischiare d'esser nel numero. Milano, quand'io ne
sono uscito, pareva un convento di frati. »
u Gì' impiccheranno poi davvero? »
1 Eccome! e presto, " rispose il mercante.
a E U gente cosa farà? " domandò ancora colui che aveva fatta
l'altra domanda.
" La gente? anderà a vedere, » disse il mercante. " Avevan tanta
voglia di veder morire un cristiano all'aria aperta, che volevano, bir-
boni ! far la festa al signor \icario di provvisione. In vece sua, avranno
quattro tristi, serviti con tulle le formalità, accomp^nati da' cappuc-
cini, e da' confratelli della buona morte; e gente che se l'è meritato.
E una provvidenza, vedete; era una cosa necessaria. Couiinciavan già
a prender il vizio d'entrar nelle botteghe, e di servirsi, senza metter
mano alla borsa; se li lasciavan fare, dopo il pane sarebbero venati
al vino, e cosi di mano in mano Pensale se coloro volevano smet-
tere, di loro spontanea volontà, una usanza così comoda. E vi so dir
io che, per un galantuomo che ha bottega aperta, era un |>ensier
poco allegro. »
e Davvero, n disse uno degli ascoltatori, u Davvero, » ripeleron
gli altri, a una voce.
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CAPITOLO XVI. 3ÌZ
«E, » continuò il mercante, asrìugandosi la liarl» voi tovagliolo,
^ l'era ordita da un pezzo: c'era una lega, sapete? »
« C'era una lega? »
« Cera una lega. Tutte cabale ordite da' iia\arrini, da quel car-
dinale là di Francia , sapete chi A'oglio dire , che ha un certo nome
mezzo tureo, e che ogni giorno ne pensa una, per far qualche dispetto
alla corona di Spagna. Ma sopra tutto, tende a Tur qualche tiro a Mi'
lano; perchè vede bene, il furbo, clic qui sta la forza del re. -
'i Già. n
" Ne volete una prova? Chi ha Tallo il più gran chiasso , eran fo-
restieri; andavano in giro iacee, che in Milano non s'eran inai ve-
dute. Anzi mi dimenticavo di dirvenc una che m'è stata data |>er
eerta. La giustizia aveva acchiappalo uno in un'osterìa .... » Renzo,
il quale non perdeva un ette di quel discorso, al tocco di questa
corda, si sentì venir freddo, e diede un guizzo, prima che potesse -
pensare a contenersi. Nessuno però se n'avvide; e il dicitore, senza
interrompere il filo del racconto, seguitò: u uno che non si sa bene
NKtHra <1b die parte fosse venuto, da chi fosse mandato, né che razza
ifuomo si fosse; ma certo era uno de' capi. Già ieri, nel forte del
baccano, aveva fallo il diavolo; e \m, non contento di questo, s'era
messo a predicare, e a proporre, così una galanteria, che s' ammazzas-
sero tulli i signori. Birbante! Chi farebbe viver la povera gente , quando
i signori fossero ammazzali? La giustìzia, che l'aveva appostato, gli
mise l'unghie addosso; gli trovarono un fascio di lettere; e lo mena-
vano in gabbia; ma che? i suoi compagni, che facevan la ronda intorno
all'osteria, vennero in gran numero, e lo liberarono, il manigolilo. »
» E cosa n'è stato? ^
■• Non si sa; sarà scap[)ato, o sai'à nascosto in Milano: son gente
che non ha né casa né tetto, e Irovui per tutto da alloggiai'e e da
rintanarsi: però finché il diavolo può, e vuole aiutarli: ci dan poi
dentro quando meno se lo pensano; perché, quando la pera é ma-
tura, convìen che caschi. Per ora si sa di sicuro che le lettere son
rimaste in mano della giustizia, e clic c'è descritta tutta la cabala; e
si dice che n' anderà di mezzo molla genie. Peggio per loro; che
hanno messo a soqquadro mezzo Milano, e volevano aiiclic far peg-
gio. Dicono che i foniai son birboni. Lo so anch'io; ma bisogna im-
piccarli per via di giustizia. C'è del grano nascosto. Chi non Io sa?
Ma tocca a chi comanda a tener buone spie, e andarlo a disollcrrare.
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m I PROHBSSI SPOSI
e iiiaiiJai'e aiiclie gì' incctUilori a dar calci all'aria, in comp^oia de'
fornai. E se chi comanda noo fa nulla, tocca alla ciltà a ricorrere;
e se non danno reità alla prima, ricorrere ancora; die a forza di ri-
correre s'ottiene; e non metter su un'usanza cosi scellerala d'entrar
nelle botteghe e ne' fondachi , a prender la roba a man salva, n
A Renzo quel poco mangiare era andato in tanto veleno. Gli pa<
rcva mill'anuì d'esser fuori e tonidno da quell'osteria, da quel paese;
e più di dieci volte aveva detto a sé stesso: andiamo, andiamo. Ma
quella paura di dar sospetto, creseiula allora oitremodo, e fatla liramia
di (ulti i suoi pensieri, ^ave^'a tenuto sempre inchiodato sulla panra.
In qudla ))crplessilà, pensò die il ciarlone doveva |>oi Onire dì par-
lar di lui; e conduse tra s*:. di moversi, appena sentisse attaccare
qualche altro discorso.
u E per questo, » disse uno della brigata, u io che so come vanno
ipicste raccende, e che ne' lunnilti i galantuomini non ci sLiiino bene,
non mi son lascialo vincere dalla curiosila, e son rimasto a casa mia. i
e E io, mi son mosso? » disse un altro.
« Io? » sf^iunse un terzo: » se per caso mi fossi trovato in Mi-
lano, avrei lascialo imperfetto qualunque affare, e sarei tornalo su-
bilo a casa mia. Ho moglie e figliuoli; e |toÌ, dico la verità, i baccani
non mi piacdono. t>
A questo punto, l'oste, ch'era stato anche lui a sentire, andò verso
l'altra cima della tavola, per veder cosa faceva quel forestiero. Renzo
colse l'occasione, chiamò l'oste con un cenno, gli chiese il conto, lo
saldò senza tirare, quantunque l'acque fossero mollo basse ; e, senza fir
altri discorsi, andò diritto all'usdo, passò la soglia, e, a guida della Prov-
videnza, s'incamminò dalla parte opposta a quella per cui era venuto.
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XVII.
asla spesso una voglia, per non
lasciar ben avere un uomo; pen-
sale poi due alla volla,ruDa in
guerra coH'allra. Il povero Renio
n'aveva, da molle ore, due tali in
corpo, come sapete: la voglia di
correre, e quella di star nascosto ;
e le sciagurate parole del mer-
cante gli avevano accresciuta ol-
tremodo l'una e l'altra a un colpo.
Dunque la sua avvuitura aveva
fallo chiasso; dunque lo volevano
a qualunque patto;chi sa quanli
birri erano in campo per dargli la
«tccia ! quali ordini erano siali spedili di frugar ne' paesi, nell'osterie, pa
le strade! Pensava bensì che finalmente i birri die lo conoscevano, eran
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sio I PROMESSI SPOSI
due soli, e «he il nome non lo portava seritto in fronte; ina gli lurna-
vano in mente certe storie che aveva sentile raccontare, di fuggitivi colli
e scoperti per istranc combinazioni, riconoscinti all'andare, all'aria so-
spettosa, ad altri segnali impensati: lutto gli face\'a ombra. Quantunque,
nel momento che usciva di Gorgonzola, scoccassero le Aentiquallro, e le
tenebre che venivano innanzi, diminuissero sempre più quc' pericoli, ciò
non ostante prese contro voglia la strada maestra, e si propose d'entrar
nella prima viottola che gli paresse condur dalla parte dove gli pre-
meva di riuscire. Sul principio, incontrava qualche viandante; ma,
pieno la fantasia di quelle brutte apprensioni, non ebbe cuore d'ab-
bordarne nessuno, per informarsi deila strada. — - Ha detto sei mi-
glia, colui, — pensava: — se andando fuor dì strada, dovessero anche
diventar otto o dieci, le gambe che hanno fatt« l'altre, faranno anche
queste. Verso Milano non vo di eerto; dunque vu verso l'A.dda. Cam-
mina, cammina, o presto o tardi ci arriverò. L'Adda lia buona \oce;
e, quando le sarò vjcino, non ho piAbisogno di chi me l'insegni. Se
qualche barca c'è, da poter passare, passo subito, altrìinenli mi fer-
merò fino alla mattina, in un campo, sur una pianta, come le pas-
sere: meglio sur una pianta, che in prigione. —
Ben presto vide aprirsi una slraducola a mancina; e v'entrò. A
quell'ora, se si fosse abbattuto in qualcheduno.non avrebbe più fatte
tante cerimonie per farsi insegnar la strada; ma non sentiva anima
vivente. Andava dunque dove la strada lo conduceva; e pensava.
— lo fare il diavolo! Io ammazzare tutti i signori! Un fascio di let-
tere, io! I miei compagni che mi stavano a far la guardia! Pagherei
qualche cosa a trovarmi a viso a viso con quel mercante, dt là dal-
l'Adda (ah quando l'avrò passata quest'Adda benedetta!), e fenuarlo,
e domandargli con comodo dov' abbia pescale tutte quelle belle no-
tizie. Sappiate ora, mio caro signore, che la cosa è andata così e cosi,
e che il diavolo ch'io ho fetto, è stato d'aiutar Ferrar, come se fosse
stalo un mio fratello; sappiate che que' birboni die, a sentir voi,
erano i miei imiici, perchè, in un certo momento, io dissi una pa-
rola da buon cristiano, mi %'ollero fare im bnitto scherzo; sappiate
che, intanto die voi slavate a guardarla vostra l)Ot lega, io mi foceva
schiacciar le costole, per salvare il vostro signor vicario di provvi-
sione, che non l'ho mai né visto né conosciuto. Aspetta che mi mova
un' altra volta, per aiutar signori . . . , É vero che bisogna farlo per
l'anima: S(m prossimo anche loro. E quel gran fascio di lettere, dove
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CAPITOLO XVII. ilf
t'er^ tutla la cabala, e che adesso è In mano della giustizia, come
voi sapete di certo; scommetliamo che ve lo fo comparir ((ui, senza
l'aiuto del diavolo? Avreste curiosità di vederìo quel fascio? Eccolo
qui .... Una lettera sola?.. ... Si signore, una lettera sola; e questa
lettera, se lo volete sapere, l'ha scritta un religioso che vi può inse-
gnar la dottrina, quando si sia; un religioso che, senza farvi torlo,
vai fÀù un pelo della sua barba che tutta la vostra; e é scritta, que-
sta ietterà, come vedete, a un altro religioso, un uomo anche lui ... .
Vedete ora quali sono i furfanti miei amici. E imparale a parlare un'
altra volta; principalmente quando si tratta del pfossimo. —
Ma dopo qualche lempo, questi pensieri ed altri simili cessarono
affatto: le circostanze presenti occupavan tutte le facoltà del povero
pellegrino. La paura d'essere inseguito o scoperto, che aveva tanto
amareggialo il viaggio in pieno giorno, non gli dava ormai più fasti-
dio; ma quante cose rendevan questo molto più noioso! Le tenebre; la
solitudine, la stanchezza cresciuta , e ormai dolorosa; tirava una brez-
zolina sorda, uguale, sottile, che doveva far poco servizio a chi si
trovava ancora indosso quegli stessi vestiti che s'era messi per andare
a nozze in quattro salti, e lornare subilo trionfante a casa sua; e, ciò
che rendeva ogni cosa più grave, queir andare alla ventura, e, per dir
cosÌt al tasto, cercando un luogo di riposo e di sicurezza.
Quando s'abbatteva a passare per qualctie paese, andava adagio
adagio, guardando però se ci fosse ancora qualche uscio aperto; ma
iHHi vide mai altro segno di gente desta, che qualche lumicino tra-
sparente da qualche impannata. Nella strada fuor dell'abitato, si sof-
fermava ogni tanto; slava in orecchi, )>er veder se sentiva quella be-
nedetta voce dell'Adda; ma invano. Altre voci non sentiva, che un
mugolio di cani, che veniva da qualche cascina isolata, vagando per
l'aria, lamentevole insieme e minacdoso. Al suo avvicinarsi a qualcbe-
duna di quelle, il muglilo si cambiava in un ablwiar frettoloso e rab-
bioso: nel passar davanti alla porla, sentiva, vedeva quasi, il bestione,
od muso al fessolino della porta, raddoppiar gli urli: cosa «he ^i fa-
ceva andar via la teolazitme di picchiare, e di chieder ricovero. E
forse, anche senza i cani, non ci si sarebbe risolto. — Citi è là?—
pensava: — cosa volete a quest'ora? Come siete venuto qui? Fatevi
conoscere. Non <^è osterie da alloggiare? Ecco, andandomi bene, quel
che mi diranno, se picchio: quand'anche non ci dorma qualche pauroso
die, a buon conto, si metta a gridare: aiuto! al ladro! Bisogna aver
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SIB 1 PROMESSI SPO&Ì
subilo ()iialco$a di cliiaro da rispondere: e cosa ho da rispondere io?
Chi sente un rumore ta notte, non gli viene in testa altro che la-
dri, malviventi, trappole; non si pensa mai che un galantuomo
possa trovarsi in istrada di notte, se non è un cavaliere in carrozsa.
— Allora serbava quel |>arlito all'estrema necessità, e tirava innanzi,
con la speranza di scoprire almeno l'Adda, se non passarla, in quella
notte; e di non dover andarne alla cerea , di giorno chiaro.
Cammina, cammina; arrivò dove la campagna coltivala moriva in
una sodaglia si)arsa di felci e di scope. Gli parve, se non indìzio, al-
meno un cerio qnal argomento di (lume vicino, e s'inoltrò per quella,
sq;uendo un sentiero che l'attraversava. Falli pochi passi, si fermò ad
ascoltare; ma ancora invano. La noia del viaggio veniva aecresdula
dalla salvalichezza del luogo, da quel non veder più né un gelso, ne
una vile, né altri segni di coltura umana, che prima pareva quasi che
gli facessero una mezza compagnia. Ciò non ostante andò avanti ; e
siccome nella sua mente cominciavano a suscitarsi certe immagini ,
certe apparizioni, lasciatevi in serbo dalle novelle sentite raccontar* da
bambino, cosi, |ier discucciarlo, o per acquietarle, recitava, cammi-
nando , dell' orazioni per i morti.
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CAPITOLO XVII, .-.li>
A poco a poco, si travò Ira mai^hie più alte, di pruni, di quercioli,
I (li marrtidic. Seguitando a andHi*e avanli, e allungando il passo, con
i pili impazienza die voglia , cominciò a veder tra le macchie qualche
albero sparso; e andando ancora, sempre per ki stesso sentiero, s'ac-
corse d'entrare in un bosco. Provava un certo ribrezzo a inoli rai'visi;
ma lo vinse, e contro voglia andò avanti ; ma più che s' inoltrava, più '
il ribrezzo cresceva, più ogni cosa gli dava fastidio. Gli alberi clic
\edeva in lontananza, gli rapprescntavan figure strane, derornii, mo-
struose; l'annoiava l'ombra delle cime leggermente agitate, che (rc-
inolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna; lo stesso scrosciar
Jelle foglie secche che calJ>esla^'a o moveva camminando , a\eva per
il suo orecchia un non so clic d' odioso. Le gambe p^o^■a\■ano come
lilla smania , un impulso di corsa , e nello slesso teni|Mi pareva che
durassero fatica a ref^^er la persona. Sentiva ta brezza notturna bat-
ter più rigida e maligna sulla fronte e sulle gote; se la sentiva scor-
rer Ira i panni e le carni, e raggrinzarle, e penetrar più acuta nelle
ossa l'Otte dalla stanchezza , e sp^nervi queir ultimo rimasuglio dì
vigore. A un certo punto, quell'uggia, quell'orrore iiidefinilo con cui
r animo combatteva da qualche tempo , parve che a un tratto lo so-
perchiasse. Era per perdersi affatlo ; ma atlerrito , più che d" ogni
altra cosa, del suo terrore, richiamò al cuore gli antichi spirili, e gli
comandò che reggesse. Cosi rinfrancato un momento, si feniiò su due
piedi a deliberare ; e risolveva d' uscir subito di li per la strada già
fatta, d' andar diritto all' ultimo paese per cui era passato , di tornar
Ira gli uomini, e di cercare un ricovero, anche all' osteria. C stando
cosi ferino, sos|>eso il fruscio de' piedi nel fogliame, tutto tacendo
d'intorno a lui, ccnninciò a sentii-e un rumore, un mormorio, un mor-
morio d'acqua corrente. Sta in orecchi; n' è eerto; esclama: «è l'Adda!»
Fu il ritrovamento d'un amico, d'un fratello, d'un salvatore. La stan-
chezza quasi scomparve, gli (ornò il (wlso, senti Ìl sangue scorrer li-
bero e lepido per tutte le \ene, senti crescer la fiducia de' (lensicri, e
svanire in gran |)arte quell' incerlezza e gravità delle cose; e non esitò
a internarsi senqH'e più nel bosco, dietro all' amico niinore.
Ari'ivò in pochi momenli all'estremità del piano, sull'orlo d'una
ri%'a profonda; e guardando in giù Ira le macchie che tuKa la ri-
vestivano, vide l'acqua luccicare e correre. Alzando |K)i lo guardo,
vide il vasto piano dell'altra riva, spai'so di paesi, e al di là i colli, e
sur uno di quelli una gran macchia biancastra, che gli parxc dover
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I PROIIESSI SPOSI
essere una città, Bergamo sicuramenle. Scese un po' sul pendio, e,
separando e diramando, con le mani e con le braccia, il prunaio,
guardò giù, se qualche barebelta si movesse nel fiume, ascoltò se sen-
tisse batter de' remi ; ma non vide né senti nulla. Se fosse slato
qualcosa di meno dell'Adda, Renzo scendeva subilo, per lenlarne il
guado; ma sapeva bene che l'Adda non era fiume da Iratlarsi cosi
in confidenza.
Perciò si mise a consultar tra sé, molto a sangue freddo, sul par-
tito da prendere- Arrampicarsi sur una pianta, e star li a aspellar
l'aurora, per forse sei ore che poteva ancora indugiare, con quella
brezza, con quella brina, vestito così, c'era più che non bisognasse
per inlirizzir davvero. Passeggiare innanzi e indietro, tutto quel tempo,
oltre che sarebbe stalo poco efficace aiuto contro il rigore del sereiio,
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CAPITOLO XVII. Xnl
era un rìehieder troppo da quelle povere gambe, clie già avevano
fatto più del loro dovere. Gli venne in mente d'aver veduto, in uno
de' campì più vicini alla sodaglia, una di quelle capanne coperte di
paglia, costrutte di tronchi e di rami, intonacali poi con la mola, dove
i conladini del milanese usan, l'estate, depositar la raccolta, e ripararsi
la nolle a guardarla: nell'altre stagioni, rimangono abbandonate. La
disino subilo per suo albergo; sì rimise sul sentiero, ripassò il bo-
sco, le macchie, la sodaglia; e andò verso la capanna. Un usciaccto
inlarlalo-e sconnesso, era rabbattuto, senza chiave uè catenaccio; Renzo
l'apri, enlrò; vide sospeso per aria, e sostenuto da ritorte di rami, un
graticcio, a foggia d' hamac; ma non si cura di salirvi. Vide in terra
un po' di paglia; e pensò che, anche li, una dormitina sarebbe ben
saporita.
Prima però di sdraiarsi su quel letto clic la Provvidenza gli a\'eva
preparato, vi s'inginocchiò, a ringraziarla di quel benefizio, e di luUa
l'assislenia che aveva avuta da essa, in quella terribile giornata. Disse
|)Oi le sue solite divozioni; e per di più, chiese perdono a Domened-
dio di non averle delle la sera avanti; anzi, per dir le sue pai-ole,
d'essere andato a dormire come un cane, e peggio. — E per que-
sto, — soggiunse poi tra sé; appoggiando le mani sulla paglia, e
d' inginocchionì mettendosi a giacere: — per questo, ni' e leccala, lu
mattina, quella bella svegliata. — Raccolse poi tulla la paglia che ri-
maneva all'intorno, e se l'accomodò addosso, facendosene, alla meglio,
■ma specie di coperta, per temperare il freddo, che anche là dentro
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X31 I PROVKSSI SPOSI
si faceva soiilir mollo bene; e vi si raniiieehiò sotto, eoii l'iiilenzionc
di dormire mi bel sonno, paiiei)d«glr d'averlo compralo anche più
earo del do^■c^!.
Ma appena ebbe chuid gli occhi, comineiò nella sua memoria o
nella snn fantasia t'I luogo preciso non ve lo saprei dire), cominciò,
dico, un andare « venire di gente, così alTollato, cosi incessanle, die
addio sonno. Il mercante, il notaio, i birri, lo spadaio, l'oste, Feircr,
il vicario, la brigala dell'osteria, tutta quella turba delle strade, poi don
Abbondio, poi don Rodrigo: lulla genie con cui Renzo aveva che dire.
Ti-e sole immagini gli si presentavano non accompagnate da al-
cuna memoria amara, nelle d'ogni sospetto, amabili in tutto; e due
pi'incipalmente , molto differenti al certo, ma strettamente legate nei
cuore del giovine : una treccia nera e una barba bianca. Ma anche la
consolazione die provava nel fermare sopra dì esse il pensiero, era
tutt' altro che pretta e tranquilla. Pensando al buon frate, sentiva più
divamente la vergogna delle proprie scappale, delia turpe intempe-
ranza, del bel caso che aveva fatto de' paterni consigli di lui ; e con-
templando l'immagine dì Lucìa! non ci proveremo a dire ciò che sen-
tisse: il lettore conosce le circostanze; se lo figuri. E quella povera
Agnese, come l'avrebbe potuta dimenticare? Quell'Agnese, che l'aveva
scelto, che l'aveva già considerato come una cosa sola con la sua unica
figlia, e prima di ricever da lui ii titolo dì madra, n'aveva preso il
linguaggio e il cuore, e dimostrata co* fatti la premura. Ma era un
dolore dì più, e non il meno pungente, quel pensiero, che, in grazia
appunto di cosi ahiorevoli intenzioni, dì tanto bene che voleva a luì,
la povera donna si trovava ora snidala, quasi raminga, incerta del-
l'avvenire, e raccoglieva guai e travili da quelle cose appunto da
cui aveva speralo il riposo e la giocondità d^li ultimi suoi anni. Cbe
nolte, |)overo Renzo! Quella che doveva esser la quinta delle sue
nozze! Che slanea! Che letto matrimoniale! E dopo qual giornata! E
per arrivare a qual domani , a qual serie di giorni t — Quel cbe Dìo
vuole , — rispondeva ai pensieri che gli davan più noia : — ■ qùd die
Dio vuole. Luisa quel che fa: c'è andie per noi. Vada tutto in isccuito
de' mìei peccati. Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla patire un
pezzo, un pezzo, un pezzo! —
Tra questi pensieri, e disperando ormai d'attaccar sonno, e faceo-
dosegli il freddo sentir sempre piò , a segno eh' era costretto ogni
tanto a tremare e a balt«% i dcnli, sospirava la venuta del giorno.
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CAPITOLO XVII.
e inistirava con impazienza il lento scorrer dell'ore. Dico misurava,
liercfaè, ogni mezz'ora, sciiliva in quel vasto silenzio, rimbombare i
tocchi d'un orologio: m'immagino che dovesse esser quello di Trczzo.
E la prima volta che gli feri gli orecchi quello scocco, cosi inaspet-
tato, senza che potesse avere alcuna idea del luogo donde venisse,
^i fece un senso misterioso e solenne, come d' un avvei'limento che
venisse da persona non vista , con una voce sconosciuta.
Quando finalmente quel martello ebbe battuto undici tocchi, ch'era
l'ora disegnata ila Renzo per levarsi, s'alzò mezzo intirizzito, si mise
inginoochioni , disse, e con più fervore del solilo, le divozioni della
mattina, si rizzò, si stirò in lungo e in lai^o, scosse la vita e le
spalle, come per mettere insieme tutte le membra, che ognuno pa-
reva che facesse da sé, soffiò in una mano, poi nell'altra, se le stro-
picciò, aprì Tuscio della capanna^ e, per la prima cosa, diede un'oc-
chiata in qua e in là, [ter veder se e' era nessuno. E non \edendo
nessuno, cercò con Cocchio il sentiero della sera avanti; lo riconobbe
subito, e prese per quello.
Il cielo promclleva una bella giornata: la luna, in un canto, pal-
lida e senza r^|;gÌo , pure spiccava nel campo immenso d' un bigio ce-
ruleo, die, giù giù verso l'oriente, s'andava sfumando leggermente
in un giallo roseo. Più giù, all'orizzonte, si stendevano, a lunghe
falde ineguali, poche nuvole, tra 1' azzurro e il bruno, le più basse
orlate al di sotto d'una striscia quasi di fuoco, che di mano in mano
si taceva più viva e tagliente: da mezzogiorno, altre nuvole ravvolte
insieme, leggieri e solfìci, per dir così, s'andavan lumeggiando di
mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, cosi bello quand'è
bello, cosi splendido, cosi in pace. Se Renzo si fosse trovalo li an-
dando a spasso, certo avrebbe guardalo in su, e ammiralo queir al-
beggiare così diverso da quello ch'era solito vedere ne' suoi monti;
ma badava alla sua strada, e camminava a passi lunglii, per riscal-
darsi, e per arrivar presto. Passa i campì, passa la sodaglia, passa le
macchie, attraversa il bosco, guardando in qua e in là, e ridendo e
vergognandosi nello slesso tempo, del ribrezzo che vi ave\'a provalo
poche ore prima; è sul ciglio della riva, guarda giù; e, di tra i rami,
vede una barchetta di pescatore, che veniva adagio, contr'acqua, ra-
dendo quella sponda. Scende subito per la più corta, tra t pnini; è
suHb riva; dà una voce leggiera leggiera al pescatore; e, con l'inten-
sione di far come se eliiedcsse un servizio di poca importanza, ma.
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^34 I movessi SPOSI.
senza avvedersene, in una maniera mezzo supplicbevok , gli accenna
che approdi. Il pescatore gira uno sguardo lungo la riva, guaiola al-
tenlamente lungo l'acqua clie viene, si volla a guardare indietro, lungo
l'acqua che va, e poi dirizza la prora vn-so Renzo, e approda. Renzo
che stava sull'orlo della riva, quasi con un piede nell'acqua, alTerra
la punta del batlcllo, ci salta dentro, e dice: » mi fareste il servizio,
eoi pagare, di tragittarmi dì là?» Il pescatore l'aveva indovinalo, e
già mollava da quella paiie. Renzo, vedendo sul fondo della barca un
altro remo, si china, e l' afferra.
u Adagio, adagio, » disse il padrone 3 ma nel veder poi con die
garbo il giovine aveva preso lo strumento, e si disponeva a maneg-
giarlo, » ah, ah, « riprese: « siete del mestiere, n
e Un pochino, » rispose Renzo, e ci sì mise con un vigore e con
una maestria, più che da dilellante. E senza mai rallentare , dava ogni
tanto un'occhiata ombrosa alla riva da cut s' allonlanavano , e poi una
impaziente a quella dov'eran rivolti, e si coceva di non imlvrci an-
dar per la più copia; che la corrente era, in quel luogo, troppo
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CAPITOLO XVII. 33K
rapida, per tagliarla direttamoile; e la barca, parte rompendo, |>arte
secondando il filo dell'acqua , doveva Tare un tragitto diagonale. Conio
accade in tutti gli affari un po' imbrogliati, che ie difficoltà alla prima
si presentino all'ingrosso, e nell' eseguire poi, vengan fuori per mi-
nuto, Renzo, ora che l'Adda era, si può. dir, passata, gli dava fasti-
dio il non saper dì certo se lì essa fosse contine, o se, superato qud-
l'oslacolo, gliene rimanesse un altro da superare. Onde, diiamalo il
pescatore, e accennando col capo quella maccliia biancastra clic aveva
veduta la notte avanti, e elie allora gji appariva ben più distinta, disse:
" è Bergamo, quel paese? "
u La città di Belano, « rispose il pescaloi-e.
■i E quella riva lì , è bergamasca ? »
- Terra di san Marco. «
■> Viva san Marco! » eselaniA Renzo. Il pescatore non disse nulla.
Toccano finalmente quella riva; Renzo vi si slancia; ringrazia Dio
Ira sé, e poi con la bocca il barcaiolo; inette le mani in tasca, lira
fuori una berlinga, che, attese le circostanze, non fu un piccolo spro-
prio, e la poi^e al galantuomo; il quale, data ancora una occhiata
alla riva milanese, e ai fiume di sopra e di sotto, stese la mano, prese
la mancia, la ripose, poi strinse le labbra, e per di più ci mise il
dito in croce, accompagnando quel gesto con un'occhiata espres»va:
e disse poi: « buon viaggio, n e tornò indietro.
Perchè la così pronta e discreta cortesia di costui verso uno sco-
nosciuto non faccia troppo maravigliare il lettore, dobbiamo informarlo
che quell'uòmo, pregato spesso d'un simile servizio da contrabban-
dieri e da banditi, era avvezzo a farlo; non lauto per aniore del poco
e inòerto guadagno che gliene poteva venire, quanto per ncm farsi
de' nemici in quelle classi. Lo faceva, dico, ogni volta che potesse
esser sicuro che non lo vedessero né gabellieri, né birri, né esplora-
tori. Cosi, senza voler più bene ai primi che a! secondi, cercava di
soddisfarli tutti, con quell'imparzialità, t^e è la dote ordinaria dì chi
è obbligato a trattar con cerl'uni, e soggetto a render conto a cerl'allrii
Renzo si fermò un momentino sulla riva a contemplar la riva op-
posta, quella terra che poco prima scottava tanto sotto i suoi piedi.
— Ah ! ne son proprio fuori ! — fu il suo primo penserò. — Sta li,
maledetto paese, — fu il secondo, l'addio alla patria. Ma il terzo
corse a chi lasciava in quel paese. Allora incrociò le braccia sul
|>ctto, mise un sospiro, abbassò gli occhi sull'acqua die gli scorreva
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330 I PHOUESSI SPOSI
a' piedi, « pensò — è passala eolio il iwnle! —Cosi, all'uso del siio
|)aese, cliianiava, per anlonoioasia, quello di Lecco. — Ab mondo bir-
bone! Basla; quel die Dio vuole. —
Voltò le spalle a que' tristi oggetti, e s'incamminò, prendendo per
punto di mira la macchia biancastra sul pendio del monte, Bnchè tro-
vasse qualclieduno da farsi insegnar ia strada giusta. E bisognava ve-
dere con che disinvollura s'accostava a' viandanti, e, senza tanti rì-
gii-i, nominala il paese dove abitava quel suo cugino. Dal primo a
cui si rivolse , seppe clic gli ^imane^'a^o ancor nove miglia da fare.
Quel viaggio non fu lieto. Senza parlare de' guai che Renzo por-
tava con sé, il suo occhio veniva ogni momento rattristalo da oggetti
dolorosi, da' quali dovette accorgersi che troverebbe nel paese in cui
s'inoltrava, la penuria che aveva lasciala nel sno. Per tutta la strada,
e più ancora nelle terre e ne' borghi , inconti'ava a ogni passo po\'eri,
die non eran poveri di mestiere, e moslra\'an la miseria più nel viso
che nel vesliario: conladini, montanari, artigiani, famiglie intere; e
un misto ronzio di preghiere, di lamenti e di vagiti. Quella vista,
oltre la compassione e la malinconia, lo mctte^'a anche in pensiero
tic' casi suoi.
— Chi sa, — andava meditando, — se lro\o da far bene? se e«
lavoro, come ne^^i anni |iassali? Basta; Bortolo mi voleva bene, è nn
buon figliuolo, ha fatto danari, m'ha invitalo tante volle; non in'ab-
liandoiierà. E (miì, la Provvidenza m'ha aiutalo (inora; m'aiuterà an-
che per l'avvenire. —
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CAPITOLO Wll. 3ST
Inlanto l'appetilo, nsvegliaU) già ila qualche leinpo, an(la\'a cre*
sceodo di miglio in mìglio; e quantunque Renzo, quando cominciò a
dar^i reità, sentisse di poter reggere, senza grand' incomodo, per
quelle due o tre che gli polevan rimanere; pensò, da un'altra )>arte,
che non sarebbe una bella cosa di presentarsi al cugino , come un
pitocco, e dirgli, per primo complimenlo: dammi da mangiare. Si levò
di lasca tutte le sue ricchezze, le fece scorrere shp ima mano, tirò la
sorama. Non era un conto che richiedesse una grande aritmetica; ma
però e' era abbondantemente da fare una mangiatina. Entrò in un'oste-
ria a ristorarsi lo stomaco; e in fatti, pagato che ebbe, gli rimase an-
cor qualche soldo.
Neil' uscire, vide, accanto alla porla, che quasi v'inciampava, sdra-
iale in terra, più che sedute, due donne, una attempala, un'altra
più giovine, con un t>ambiiio, che, dopo aver succhiala invano l'una
e l'altra mammella, piangeva, piangeva; tutti del color delta morte:
e ritto, vicino a loro, un uomo, nel viso del quale e nelle membra,
si potevano ancora vedere i segni d'un' antica robustezza, domala e
quasi spenta dal lungo disagio. Tiilt'e Ire stesero la mano verso colui
die usciva con passo franco, e con l'aspetto rianimato: nessuno parlò;
che poteva dir di più una preghiera?
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:(3a I pkohessi sposi.
« La c'è la Provvidenza!» disse Renzo; e, cacciata subito la mano {
in lasca, la volò di que' pochi soldi ; li mise nella mano che si trovò
più vicina, e riprese la sua strada. i
La refezione e l'o|>era buona (giaccìièsiam composti d'anima e di
corpo) avevano riconfortati e rallegrati lutti i suoi pensieri. Cerio,
dall' essersi cosi spogliato degli ultimi danari, gli era venuto più di
eonfidenza per l'avvenire, che non gliene avrebbe dato il trovarne
dieci \'olte tanti. Perchè, se a sostenere in quei giorno que' poverini
che mancavano sulla strada, la Pi-ovvidenza aveva tenuti in sert)0 pro-
prio gli ultimi quattrini d'un estraneo, fuggitivo, incerto anche lui
del come vivrebbe; chi poteva credere che volesse poi lasciare in secco
colui del quale s'era servila a ciò, e a cui aveva dato un sentimento
così vìvo di se stessa, cosi efficace, cosi risoluto? Questo era, a un
di presso, il pensiero del giovine; però men chiaro ancora di qudlo
ch'io l'abbia saputo esprimere. Nel rimanente della strada, ripensando
a' casi suoi, ludo gli si spianava. La carestia doveva poi finire: lutti
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CAPITOLO WII. 3S»
gli anni si miele: intanto aveva ìl cugino Bortolo e la propria abilità;
aveva, per di più, a casa un po' di danaro, die si farebbe mandar
subito. Con quello, alla peggio, camperebbe, giorno per giorno, (Indie
tornasse l'abbondanza. — Ecco poi tornata flnalmeiite l'abbondanza,
— pros^^iva Renzo nella sua fentasia: — rinasce la furia de' lavori:
i padroni fanno a gara per aver degli operai milanesi, die son quelli
die sanno bene il mestiere; gli operai milanesi alzan la cresta; chi
vu<d gente abile, biscia che hi paghi; si guadagna da vivere per più
(funo, e da metter qualcosa da parte; e si fa scrìvere alle donne
che vengano.... E poi, perchè aspettar tanlof Non è vero che, con
quel poco che abbiamo in serbo, si sarebbe campati là, anche que-
st'inverno? Cosi camperemo qui. De' curali ce n'è per tutto. Ven-
gono quelle due care donne: si mette su casa. Che piacere, andar
passeggiando su questa slessa strada tutti insieme! andar fino all'Adda
in baroccìo, e far merenda sulla riva, proprio sulla riva, e far ve-
dere alle donne il luogo dove mi sono imbarcato, il prunaio da cui
sono sceso, quel posto dove sono stato a guardare sé c'era un bal-
tdlo. —
Arriva al paese del cugino; nell'entrare, anzi prima di mettervi
piede, distingue una casa alla alla, a più ordini di lìnestre lunghe
lunghe; riconosce un filatoio, entra, domanda adatta voee, tra il ru-
more dell'acqua cadente e delle rote, se stia h un certo Bortolo Ca-
stagneri.
e 0 «gnor Bortolol Eccolo là. «
— StgnM-e? buon se^o, — pensa Renzo; vede il cugino, gli corre
incontro. Quello si volta, riconosce il giovine, che gli dice: " son
qui. » Un oh! di sorpresa, un alzar di braccia, un gettarsele al collo
scambievolmente. Dopo quelle prime accoglienze, Bortolo tira il nostro
giovine lontano dallo strepilo d^li ordigni, e dagli occhi de* curiosi,
in un'altra slanza, e gli dice: « li vedo volentieri; ma sei un bene-
detto fl^ìuolo. T'avevo invitalo tante volte; non sei mai voluto ve-
nire; ora arrivi in un momento un po' critico. »
« Se te lo devo dire, non sono venuto via di mia volontà, » disse
Renzo; e, con la più gran brevità, non però senza molta commozione,
gli rsecMitó la dolorosa storia.
» È un allro par di maniche, » disse Bortolo, u Oh povero Renzo!
Ma tu hai fatto capitale di me ; e io non t' abbandonerò. Veramente,
un non e' è ricerca d'operai; anzi appena appena t^nuno tiene i suoi,
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SII) I 1>K0)IF.S.SI SPOSI
))er DOn perderli e disviare il negozio; ma il padrone mi vuol bene,
e ha della rdb». E, a dirtela, in gran parte la deve a me, senza van-
larini: lui il capitale, e io quella poca abilità. Sono il primo lavo-
rante, sai? e poi, a dirtela, sono il factotum. Povera Lucia Mondello!
Me ne ricordo , come se fosse ieri : una buona ragazza ! sempre la più
composta in chiesa; e quando si passava da quella sua casuccia
Mi pardi vederla, quella casuccia, appena fuor del paese, eoa un bel
fico che passava il muro . . . . "
u No, no; non ne parliamo. "
u Volevo dire che, quando (à passava da quella casuccia, sempre
sì sentiva quell'aspo, che girava, girava, girava.Equel don Rodrìgol
già, anche al mio tempo, era per quella strada; ma ora fa il diavolo
affatto, a quel die vedo: fin che Dio gli lascia la briglia sul ctdio.
Dunque, come ti dicevo, anche qui si patisce un po' la fame... Apro-
posito, come stai d'appetito? "
^ Ho mangialo poco fa, per viaggio, r^
•< E a danari, come stiamo? r
Renzo slese una mano, l'avvicinò alla bocca, e \i fece scori-cr so-
pra un piccol soffio.
1 Non importa, » disse Bortolo: ^ n'ho io: e non ci pensare, clie,
presto presto, cambiandosi le cose, se Dio vorrà, me li renderai, e
te n'avanzerà anche per te. »
u Ho qualcosina a casa; e me li farò mandare. >■
» Va bene; e intanto fa conto di me. Dio m'ha dato del bene,
perchè faccia del bene; e se non ne fo a' parenti e agli amici, a chi
ne fard? »
u L'ho detto io della Provvidenza! " cschimó Renzo, sb-ingendo
affelluosamente la mano al buon cugino.
u Dunque, » riprese questo, " in Milano hanno fatto tutto quel
chiasso. Mi paiono un po' matti coloro. Già, n' era corsa la voce an-
che qui ; ma voglio che (u mi racconti poi la cosa più mioulamente.
Eh! n'abbiamo delle cose da discorrere. Qui però, vedi, la va più
quietamente, e si fanno le cose con un po' più dì giudizio. La cilU
ha comprate duemila some di grano da un mercante che sta a Vene-
zìa: grano che vien di Turchia; ma, quando si tratta di mangiare,
non sì guarda tanto per il sottile. Ora senti un po' cosa nasce: nasce
die i rettori di Verona e di Brescia chiudono i passi , e dicono :
dì qui non passa grano. Che li fanno i bergamaschi? Spediscono a
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CAPITOLO XVII. SII
Venezia Lorenzo Torre, un dottore, ma di quelli! É partilo in fretta,
s'è presentalo al doge, e ha detto: che idea è venula a que'signwi
rettori? Ma un discorso! un discorso, dicono, da dare alle stampe.
Cosa vuoi dire avere un uomo che sappia parlare I Subito un or-
dine che si Usd passare il grano; e i rettori, non solo lasciarìo pas-
sare, ma bisogna che lo facciano scortare; ed è in viaggio. E s'è pen-
salo aoehe al contado. Giovanbatisla Biava, nunzio di Bergamo in
Venezia (un uomo anche quello!) ha fatto intendere al senato che, an-
che in campagna, si pativa la fame; e il senato ha concesso quattro
mila staia di miglio. Anche questo aiuta a far pane. E poi , lo vuoi
sapere ? se non ci sarà pane, mangeremo del companatico. Il Signore
m'ha dato del bene, come ti dico. Ora ti condurrò daJ mio padnme:
gli ho parìato di le tante volte, e ti fora buona accoglienza. Un buon
bergamascone all'antica, un u<Hno di cuor largo. Veramente, ora non
t'aspettava; ma quando sentirà la storia E poi gli operai sa te-
nerti dì conto, perchè la carestia passa, e il negozio dura. Ma prima
di tutto, bisogna che t'avverta d'una cosa. Sai come ci chiamano in
questo paese, noi altri dello stalo di Milano? -^
1 Come ci chiamano? r>
' Ci chiaman baggiani. ^'
- Non è un bel nome. ^
" Tant'è: chi è nato nel milanese, e vuol, vivere nel bergamasco,
bisf^na prenderselo in santa pace. Per questa genie, dar del baggiano
a un milanese, è come dar dell'illustrissimo a un cavaliere. ^
u Lo diranno, m'immagino, a chi se lo vorrà lasciar dire, n
u Figliuolo mio, se tu non sei disposto a succiarli del baggiano a
tutto pasto, non far conto di poter viver qui. Bisognerebbe esser sem-
pre col coltello in mano: e quando, supponiamo, tu n'avessi ammaz-
zati due. Ire, quattro, verrebbe poi quello che ammazzerebbe te: e
allora, che bel gusto di comparire al tribunal di Dio, con tre o quat-
tro omicidi sull'anima! n
u E un milanese che aUiia im po' di » e qui picchiò la fronte
eoi dito , come aveva fatto nell'osteria della luna piena, u Voglio dire,
uno che sappia bene il suo mestiere? »
" Tutl'uno: qui è un ba^^ano anche lui. Sai come dice il mio
padrone, quando parla di me co' suoi amici? — Quel baggiano è
stalo la man di Dìo, per il mio negozio; se non avessi quel baggiano,
sarei ben impicciato. — L'è usanza cosi. »
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341 I PROMESSI SPOSI.
1 L'è un'usanza sciocca. E vedendo quello che sappìam fare (che
finalmente chi ba portata qui quest'arte, e chi la fa andare, siamo
noi), possibile che non si sian corretti? »
u Finora no: col tempo può essere; ì ragazzi che vengon su; ma
gli uomini fatti, non c'è rimedio: hanno preso q»el vizio; non lo
smetton più. Cos'è poi finalmente? Era ben un'altra cosa quelle ga-
lanterie che t'hanno fatte , e il di più die ti volevan lare i nostri cari
compatriotti. »
ti Già, è vero: se non c'è altro di male .... »
« Ora che sei persuaso di questo, tutto anderà bene. Vieni dal pa-
drone, e coraggio. »
Tutto in fatti andò bene, e tanto a seconda delle promesse di Bor-
tolo, che crediamo inutile di farne particolar relazione. E fu vera-
mente provvidenza; perchè la roba e i quattrini che Renzo aveva la-
sciati in casa, vedremo or ora quanto fosse da farci ass^oamento.
I'
II
„GoogIe
CAPITOLO XVUI.
V H<!llo r1«rso giorno, is di noveinbre,aiTÌva un espresso
al signor podestà di Lecco, e gli presenta
un dispaccio del signor capitano di giu-
stizia, contenente un ordine di fare ogni
possibile e pii'i opportuna inquisizione ,
per iseoprire se un certo giovine nomi-
nalo Lorenzo Tramaglino, filatore di seta,
scappato dalle forze praedicti egregii do-
' mini capitaneij sia tornalo, palavi oel
clam^ al suo paese, ignotum quale per
l'appunlo, verum in territorio Leuci: f/uod ti compertum (uerit tic
tue, cerchi il detto signor podestà, quanta maxima diligentia (ieri
poterit, d'averlo nelle mani; e, legalo a dovere, videlizet con buone
maDetle , attesa l' esperìmenlala insufficienza de' manichini per il no-
minalo soggetto, lo faccia condurre nelle carceri, e lo ritenga li, sotto
buona custodia, per fame consegna a chi sarà spedito a prenderlo; e
lanlo nel caso del si, come nel caso del no, aecedatii ad domum prat-
rficti' Laurentii TramaUinìj et, facto debita diligentia, quidquid ad rem
repertum fuerit auferatit,- et informationei de UHui prava qttalitatei
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S44 I PROMESSI SPOSI.
Vita, et complicibus sumalisj e dì tulio il detto e il fatto , il tro\alo
e i) non Irovato, il preso e il lasciato, diligenler referatts. Il signor po-
destà, dopo essersi umanamente cerziorato che il soggetto non era
tornalo in paese, fa diiamare il console del villaggio, e si fa condur
da lui alla casa indicata, con gran treno di notaio e di birri. La casa
è chiusa; chi ha le chiavi non e' è, o non si lasda trovare. Si sfonda
l'uscio; si fa la debita diligenza, vale a dire che si fa come in una
città presa d'assalto. La \oce di quella spedizione si sparge immedia-
tamente per tutto il contorno; viene agli orecchi del padre Cristoforo;
il quale, attonito non meno-che afflitto, domanda al terzo e al quarto,
per aver qualche lume intorno alla cagione d'un fatto cosi inaspettato;
ma non raccoglie altro che congetture in aria , e scrive subito al pa-
dre Bonaventura, dal quale spera di poter ricevere qualche notizia più
precisa. Intanto i parenti e gli amici di Renzo vengono citali a deporre
ciò che posson sapere della sua prova qualità: aver nome Tramaglino
è una di^razia, una vergogna, nn delitto: il paese è sottosopra. A
poco a poco, si viene a sapere che Renzo è scappato dalla giustizia,
nel bel mezzo di Milano, e poi scomparso; corre voce che abbia fatto
qualcosa di grosso; ma la cosa poi non si sa dire, o sì racconta in
cento maniere. Quanto più è grossa , tanto meno vien credula ori
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CAPITOLO XVIII. ' 34iE
|iaesc, dove Renzo è conosciuto per un bravo gio\'Ìnc : ì più presu-
mono, e vanno susurrandosi agii orecdii l'uno con l'allro, clic e una
macchina mossa da quel prepotente di don Rodrigo, per rovinare il
suo povero rivale. Tant'è vero che, a giudicar per induzione, e senz:i
la necessaria cognizione da' fallì, si fa alle volte gran torlo anche ai
biriuinti.
Ma noi, co' fatti alla mano, come si suol dire, possiamo affermare
che, se colui non aveva a\'Uto parte nella sciagura di Renzo, se ne
rompiacque però, come se fosse opei'a sua, e ne trionfò co' suoi fidati,
e prìneipalmenle col conte Attilio. Questo, secondo i suoi primi disegni,
airebbe dovuto a quell'ora trovarsi già in Milano; ma, alle prime noti-
zie del tumulto, e della canaglia clic girava per le strade, in lutl'altra
attitudine che dì ricever bastonate, aveva credulo tiene di trattenersi
in campagna, fino a cose quiclc. Tanto più che, avendo offeso molti,
aveva ({ualche ragion di temere die alcuno de' tanti, che solo per iin-
palenza slavano cheti, non prendesse animo dalle circostanze, e giu-
dicasse il momento buono da far le rendette di tutti. Questa sospen-
sione non fu di lunga durala: l'ordine venuto da Milano detl' esecu-
zione da farsi contro Renzo era già un indizio clic le cose avevan
ripreso il corso ordinario; e, quasi nello stesso tempo, se n'ebbe la
certezza positiva. Il conte Attilio parli ìmiuedialamente , animando il
cugino a persister nell'impresa, a spuntar l'impegno, e promettendo-
gli che, dal canto suo, metterebbe subito mano a sbrigarlo dal frate;
al qual aCfare , il fortunato accidente dell' abietto rivale dove\'a fare
un gioco mirabile. Appena partilo Attilio , arrivò il Griso da Monza
sano e salvo, e riferì al suo padrone ciò che aveva potuto raccoglie-
re: che Lucia era ricoverata nel (al monastero, sotto la protezione
della (al signora; e stava sempre nascosta, come se fosse una monaca
andie lei, non mettendo mai piede fuor della porta, e assistendo alle
funzioni di chiesa da una finestrina con la grata: cosa clic dispiaceva
a molti, i quali avendo sentilo motivar aoa so che di sue avventure,
e dir gran cose del suo viso, avrebbero voluto un poco \edcre come
fosse fallo.
Questa relazione mise il diavolo addosso a don Rodrigo, o, per dir
meglio, rendè più cattivo quello che già ci slava di casa. Tante cir-
costanze favorevoU al suo disegno inliammavano sempre più la sua
passione , cioè quel misto di puntiglio , di rabbia e d' infame capric-
cio, di cui la sua passione era composta. Renzo assente, sfrattato,
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Ite I PROHESM WOSI.
bandito, di maDÌera die ogni cosa diventava lecita conliv di liu,e an-
che la sua sposa poteva esser considerata, in certo modo, come roba
dirubello: il solo uomo a) mondo che volesse e potesse prender le sue
parli , e fare un rumore da esser sentito anclie lontano e da persone
alte, l'arrabbiato frate, tra poco sarebbe probabilmente anche lui fuor
del caso di nuocere. Ed ecco che un nuovo impedimento , non die
contrappesare tutti qne' vantaggi , li rendeva, si può dire, inutili. Un
monastero di Monza , quand'anche non ci fosse slata una principessa,
era un osso troppo duro per ì denti di don Rodrigo; e per quanto
egli ronzasse con la fantasia intorno a quel ricovero, non sapeva im-
maginar né via né verso d'espugnarìo, né con la forza, né per insidie.
Fu quasi quasi per abbandonar l' impresa; fu per risolversi d'andare a
Milano, allungando anche la strada, per non passar neppure da Mon-
za; e a Milano, gettarsi in mezzo agli amici e ai divertimenti, per di-
scacciar, con pensieri affatto allegri, quei pensiero divenuto ormai lutto
tormentoso. Ma, ma, ma, gli amici ; piano un poco con questi amici.
In vece d'una distrazione, poteva aspettarsi di trovar nella loro com-
))agnia, nuovi dispiaceri: perchè Attilio certamente avreUw gii preso
la tromba, e messo tutti in aspettativa. Da ogni parte gli verrebbero
domandate notizie della montanara : bisognava render ragione. S' era
voluto, s'era tentato; cosa s'era ottenuto? S'era preso un impegno:
un impegno un po' ignobile, a dire il vero: ma, via, uno non può
alle volte regolare i suoi capricci; il punto é di soddisfarli; e come
s'usdva da quest'ìmp^nof Dandola vìnta a un villano e a un frale!
Uh ! E quando una buona sorte inaspettata, senza fatica del buon a nul-
la, aveva tolto di mezzo runo,e un abile amico l'altro, il buonanulta
non aveva saputo valersi ddla congiuntura, e si ritirava vilmente dal-
l' impresa. Ce n' era più del bisogno, per non alzar mai più il viso tra i
galantuomim' , o avere ogni momento la spada alle mani. G poi, come
tornare, o come rimanere in quella villa, in quel paese , dove, lasdando
da parte i ricordi incessanti e pungenti della passione, si portereUie
lo sfregio d'un cdpo fallilo? dove, nello slesso tempo, sarebbe cre-
sciuto l'odio pubblico, e scemata la ripulazion del potere? dove sul
viso d'ogni mascalzone, anche in mezzo agl'inchini, si potrebbe 1^-
gere un amaro: l'hai ingoiala, d ho gusto? La strada ddl' iniquità ,
dice qui il manoscritto, è larga; ma questo non vuol dire che sia co-
moda: ha i suoi buoni intoppi, i suoi passi scabrosi; è noiosa la sua
parie, e faticosa, benché vada all'ingiù.
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CAPITOLO XVIII. S4T
A don Rodrigo, il quale non voleva uscirne, uè dare addietro, né
fermarsi, e non poteva andare avanti da sé, veniva bensi in mente
un mezzo con cui potrebbe : ed era di chieder l'aiuto d'un tale, le cui
mani arrivavano spesso dove non arrivava la vista degli altri: un
uomo o un diavolo, per cui la difficoltà dell'imprese era spesso uno
stimolo a prenderle sopra di sé. Ma questo partito aveva anche i suoi
inconvenienti e i suoi rischi, tanto più gra\'i quanto meno sì poic-
h'ano calcolar prima; giacché nessuno avrebbe sapulo prevedere fin
dove anderebbe, una volta che sì fosse imbarcato con quell'uomo,
potente ausiliario certamente , ma non meno assoluto e pericoloso
condotUere.
Tali pensieri tennero per fiù giorni don. Rodrigo tra un si e un
no, r uno e l'altro più che noiosi. Venne intanto una letlera del cu-
gino, la quale diceva che la trama era ben avviata. Poco dopo il ba-
leno, scoppiò il tuono; vale a dire che, una t>ella mattina, si senti die
il padre Cristoforo era partilo dal convento di Pescarenico, Questo
buon successo così pronto, la lettera d'Attilio che faceva un gran
coraggio, e minacciava di gran canzonature, fecero inclinar sempre
più don Rodrigo al parlilo rischioso: ciò che gli diede l' ultima spinta,
fu la notizia inaspettata che Agnese era tornata a casa sua: un impe-
dimento di meno vicino a Lucia. Rendiam conto di questi due avve-
nimenti, cominciando dall'ultimo.
Le due povere donne s'erano appena accomodate nel loro ricovero,
che si sparse per Monza, e per conseguenza anche nel monastero, la
nuova di quel gran fracasso di Milano; e dietro alla nuova grande,
una serie infinita di particolari, che andavano crescendo e variandosi
ogni momento. La falloressa, che, dalla sua casa, poteva tenere un
orecebio alla strada, e uno al monastero, raeci^licva notizie di qui,
notizie di li, e ne fa(%va parte all'ospiti. » Due, sei, otto, quattro,
sette ne hanno messi in prigione; gì' impiccheranno, parte davanti al
forno delle gruceej parte in cim^ alla strada dove e' é la casa del vi-
cario di provvisione. . . . Ehi, ehi, sentite questa! n' é scappato uno,
cÌK è di Lecco, o di quelle parti. Il nome non lo so ; ma verrà qual-
cheduDo che me lo saprà dire; per veder se lo conoscete. »
Quest'annunzio, con la circoslanza d'esser Renzo appunto arrivato
in Milano nel giorno fatale, diede qualche inquietudine alle donne, e
principalmente a Lucia; ma pensate cosa fu quando la falloressa venne
a dir loro: » è proprio del vo^ro paese quello che se Té battuta, per
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.-.Ili I PitouKssi srasi.
1)011 essere Jinpiccalo; un filatore di se(a, che sA cliiama Tramaglino:
lo conoscete? «
A Lucia, ch'era a sedere, orlando non so che cosa, cadde il la-
voro di mano; impallidì, si cambiò luUa, di maniera che la faltoressa
se ne sarebbe avvista certamente, se le fosse siala più vicina. Ma era
ritta sniia soglia con Agnese; la quale, conturl>ata anche lei, però non
tanto, potò star Torte; e, per risponder «jiialcosa, disse ctie, in un pic-
colo paese, lutti si conoscono, e che lo conosceva;ma che non sapeva
pensare emne mai gli fosse potuta seguire ima cosa simile ; perchè
era nn giovine posato. Domandò poi se era scappalo di certo, e dove.
" SeapiKilo, lo dieon tutti; dove, non sì sa; può essere che l'ac-
chiappino ancora, può essere che sia in salvo: ma st\ gli torna sodo
l'unghie, il vostro giovine posalo . . . . n
Qui, per buona sorte, la fatlorcssa fu chiamata, e se n'andò: figura-
tevi come rimanessero la madre e la figlia. Più d'un giorno, dovellero
la povera donna e la desolata fanciulla stare in una tale incertezza.
a mulinare sul come, sul pcrclic, sulle conseguenze di quel fatto do-
loroso, a commentare, ognuna tra sé, o sottovoce tra loro, quando
potevano, quelle terribili parole.
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CAPITOLO Wtll. 34»
Un giovedì finnlmcntc , capilo al iiionasl«ro un uomo a cei-car
d' Agnese. Ei'a UD pesciaìolo dì Pescarenico, die andava a Milano, se-
condo l'ordinario, a spacciar la sua mercanzia; e il buon frate Cristo-
foro I' aveva pregato che, passando per Monza , facesse nna scappala
al monaslero, salutasse le donne da parte sua, raccontasse loro quel
che si sapeva del tristo caso di Renzo, raccomandasse loro d'aver pa-
zienza, e confldare in Dio; e che lui povero frate non sì dimenliclie-
reU>e certamente di loro, e spiercbbc l'occasione di poterle aiutare;
e intanto non mancherebbe, ogni settimana, di far loro saper le sue
nuove, per quel mezzo, o altrimenti. Intorno a Renzo, il messo non
seppe dir altro di nuovo e di certo, se non la visita fallagli in casa,
e le ricerche per averlo nelle numi ; ma insieme ch'erano andate tutte
a voto, e si sapeva di certo che s'era messo in s^vo sul bergamasco.
Una tale certezza, e non fa bisogno di dirlo, fu un gran balsamo per
Lucia: d'allora in poi le sue lacrime scorsero più facili e più dolci;
provò maggior conforto negli sfoghi segreti con la madi'c; e in tutte
le sue prcgltiere, c'era mescolato un ringraziamento.
Gertrude la faceva venire spesso in un suo parlatorio pri\'alo, e
la IraKcneva talvolta lungamente, compiacendosi dell'ingenuità e della
dolcezza della poverina, e nel sentirsi ringraziare e benedire c^ni mo-
mento. Le raccontava anche, in confidenza, una parte (la parte nella)
delta sua storia, di ciò che aveva patito, per andarli a patire; e quella
prima maraviglia sospettosa di Lucia s'andava eambiando in compas-
sione. Trovava in quella storia ragioni più che sufficienti a spiegar ciò
die c'era d'un po' strano nelle maniere della sua benefalfricc; tanto
più con r aiuto di quella dottrina d'Agnese su' cervelli de' signori. Per
quanto [lerò sì sentisse portata a contraccambiare la confidenza che
Gertrude le dimostrava, noii le passò ncppur per la testa di parlarlo
delle sue nuove inquietudini, della sua nuova disgrazia, di dirle ehi
fosse quel filatore scappato; per non rischiare di spargere una \ow
così piena di dolore e di scandolo. Si schermiva anche, quanto poteva,
dal rispondere alle domande curiose di quella, sulla storia antecedente
alia promessa; ma qui non eran ragioni di prudenza. Era perche alla
povera innocente quella storia pareva più spinosa, più dilVìcìlc da
raccontarsi, di tutte quelle che aveva senlilc, e che credesse dì poter
sentire dalla signora. In queste c'era tirannia, insidie, patimenti; cose
brutte e dolorose, ma che pur si potevan nominare: nella sua c'era
mescolalo per tutto un sentimento, una parola, che non le pareva
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sso I psoiiESai SPOSI.
iwssibile di proferire, parlando di sé; e alla quale non avrebbe mai
trovalo ila sostituire una perìfrasi che non le paresse succiala: l'amore!
Qualche volta, Gertrude quasi s'indispettiva di quello star cosi sulle
difese; ma vi trasparìva tanta amorevolezza, tanto rispetto, tanta ri-
conoscenza, e anche tanta fiducia! Qualche volta forse, quel pudore
così delicato, cosi ombroso, le dispiaceva ancor più per un altro verso;
ma tutto si perdeva nella soavità d' un pensiero che le tornava ogni
momento, guardando Lucia: — a questa fo del bene. — Ed era vero;
perchè, oltre il rìcovero, que' discorsi, quelle carezze famigliari erano
di non poco conforto a Lucia. Un altro ne trovava nel lavorar di
continuo; e pregava sempre die le dessero qualcosa da fare: anche
nel parlatorio, portava sempre qualche lavoro da tener le mani in
esercizio : ma, come i pensieri dolorosi si caccian per tutto! cucendo,
cucendo, ch'era un mestiere quasi nuovo per lei, le veniva ogni poco
in mente il suo aspo; e dietro all'aspo, quante cose!
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CAPITOLO XVm. IBI
Il secoado giovedì, tornò quel pesciaiolo o un allro messo, co' sa-
luti dd padre Cristoforo, e con la conferma della fuga felice di Renzo.
Notizie più positive intorno a' suoi guai, nessuna; perchè, come ab-
biam detto al lettore, il cappuccino aveva sperato d'averìe dal suo
confratello di Milano, a cui l'aveva raccomandalo; e questo rispose di
utHi aver veduto né la persona, né la lettera; che uno di campagna
era bensì venuto al convento, a cercar di lui; ma die, non avendocelo*
trovato, era andato via, e non 'era più comparso.
Il terzo giovedì, non si vide nessuno; e, per le povere donne, fu
non s<^o una privazione d'un conforto desideralo e sperato, ma, come
accade per ogni piccola cosa a chi è afllitto e impiccialo, una cagione
d'inquietudine, di cento sospetti molesti. Già prima d'allora, Agnese
aveva pensalo a fare una scappala a casa; questa novità di non ve-
dere l'ambasciatore promesso, la fece risolvere. Per Lucia era una
becenda seria il rimanere dislaccata dalla gonnella della madre ; ma
la smania di saper qualche cosa, e la sicurezza che trovava in quel-
l'asilo cosi guardalo e sacro, vinsero le sue ripugnanze. E fu deciso
tra loro che Agnese aoderebbe il giorno seguente ad aspettar sulla
strada il pesciaiolo che doveva passar di li, tornando da Milano; e gli
diiederebbe in cortesia un posto sul baroccio , per farsi condurre a'
suoi monti. Lo trovò in fatti , gli domandò se il padre Crisloforo non
gli aveva data qualche commissione per lei : il pesciaiolo, tulio il giorno
avanti la sua partenza era stato a pescare, e non aveva saputo niente
dd padre. La donna non ebbe bisogno di pregare, per ottenere il
piacere che desiderava: prese congedo dalla signora e dalla figlia, non
senza lacrime, promettendo di mandar subilo le sue nuove, e di tor-
nar presto; e parli.
Nel viaggio, non accadde nulla di particolare. Riposarono parie della
notte in un'osterìa, secondo il solito; riparlirono innanzi giorno; e
arrivaron di buon'ora a Pescarenico. Agnese smontò sulla piazzetta
dd convento , lasciò andare il suo conduttore con molli : Dio ve ne
renda merito; e giacché era li, volle , prìma d'andare a casa, vedere
il suo buon frate benefattore. Sonò il campandlo; chi venne a aprire,
fu fra Gfddino, quel delle noci.
« Oh! la mia donna, che vento v'ha portata? »
<• Vengo a cercare il padre Cristoforo.»
" D padre Cristoforo? Non c'è. i
" Oh! stari mollo a tornare? »
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SS9 I Pitaiitssi SPOSI.
u Ma .... ? n disse il frate, alzando le spalle, k i-itiraiido nel cap-
puccio la ledila rasa.
X Dov'è andalo? "
u A Rimitii. <i
- A?"
u A Riniini. »
u Dov' è questo paese ? »
" Eh eb ehi « rispose il frate, U-ificiaiido verliealmeiilc l'una cu»
la mano distesa, })er significare una gran distanza.
u Oh |H)vera me! Ma |>erchG è andato via cosi all'improvviso? ■
" Perchè ha voluto così il padre provinciale, n
» E perchè mandarlo via?chc faceva lanlo bene qui? Oh Signore!»
.- Se i superiori do\ess«ro i-cnder conio degli ordini che danno,
do\e sarebbe l'ubbidienza, la mia donna? n
" Si; ma questa è la mia rovina. »>
» Sapete cosa sarà? Sarà che a Riminì avranno avuto bisogno d'un
buon predicatore; (ce n' abbiamo |>cr tuUo ; ma alle volte ci vuol
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CAPITOLO XVIII. 5US
queir uomo fatto apposta ) il padre provinciale di Ik avrà scrìtto al
padre provineiaie di qui , se aveva un stretto così e cosi ; e il pa-
dre provinciale avrà detto: qui ci vuole il padre Cristoforo. Dev'es-
ser proprio cosi , vedete, n
« Ob poveri noi! Quand'è partito? »
« Jerìaltro. "
u Ecco! s'io davo retta alta mia ispirazione dì venir via qualche
giorno prìma! E non si sa quando possa tornare? cosi a uii di presso?
« Eb la mia donna! lo sa il padre provinciale; se lo sa anclie lui.
Quando un nostro padre predicatore ha preso il >'olo , non si può pre-
vedere su che ramo potrà andarsi a posare. Li cercan di qua, li cer-
can di là: e abbiamo conventi in tutte le quattro parti del mondo.
Supponete che, 'a Rimini, il padre Grìstoforo faccia un gran fracasso
co) suo quaresimale : perchè non predica sempre a braccio , come
faceva qui, per i pescatori e i conladini: per ì pulpiti delle città,. ha
le sue belle prediche scritte; e Ctor di roba. Si sparge la xùee, da
quelle parti, di questo gran predicatore; e lo possono cercare da . . .
da che so io? E allora, bisogna mandarlo; perchè noi viviamo, della
carità di tulio il mondo, ed è giusto cbe serviamo tutto il mondo, n
" Ob Signore! Signore! " esclamò di nuovo Agnese, quasi piangendo:
" come devo fare, senza quell'uomo? Era quello che ci faceva da pa-
dre! Per noi è una rovina. »
« Sentite,.buonadonna;it padre Grieloforo era véramente un uomo;
ma ce n'abbiamo degli altri, sapete? pieni di carità e di talento, e che
sanno trattare ugualmente co' signori e co' poveri. Volete il padre
Atanasio? volete il padre Girolamo? volete il padre Zaccaria? É un
uomo di vaglia, vedete, il padre Zaccaria. E non istate a badare, come
fanno certi ignoranti, che sia cosi mingherlino, con una vocina fessa,
e una barbetta misera misera: non dico per predicare, perchè ognuno
ha ì suoi doni; ma per dar pareri, é un uomo, sapele? n
« Oh per carità! n esclamò Agnese, con quel misto di gratitudine e
d'impazienza, che si prova a un' esibizione in cui si trovi più la buona
volontà altrui, che la propria convenienza: « cosa m'importa a me
cbe uomo sia o non sia un altro, quando quel pover' uomo che non
c'è più, era quello die sapeva le nostre cose, e aveva preparato tutto
per aiutarci? t>
" Allora, Insogna aver pazienza, n
« Questo lo so, f^ rispose Agnese: « scusale dell'incomodo, n
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SH< I pROJiessi SPOSI.
u Di che cosa, la mia donna? mi dispiace per voi. E se vi risolvete
di cercar qualdieduno de' nostri padri, il convento è qui che non sì
move. Ehi, mi lascerà poi veder presto, per la cerca dell'olio. >•
■ State bene, » disse Agnese; e s'incamminò verso il suo paesello,
desolata, confusa, sconcertata, come il povero cieco die avesse per-
duto il suo bastone.
Un (to' niegilu informati che fra Caldino, noi possiamo dire come
amlù veramente la cosa. .Attilio, appena arrivalo a Milano, andò, coinè ~
aveva promésso a dòn Rodrigo, a far visita al loro comune zio del
Coniglio segréte. (Era una consulta, composta allora di tredìd perso-
naggi di Ioga e di spada, da cui il governatore prendeva parere, e
ebe, morendo uiio di questi, o venendo mutato, assumeva tcsnpora-
riamente il governo.) Il conte zio, togato, e uno degli anziani del con-
siglio, vi godeva un cerio credilo; ma nel farlo valere, e nel fiarlo
rendere coit gli altri , non e' era il suo compagno. Un pariare ambi-
guo, tm lacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d'oc-
chi che esprimeva: non posso p»-lare; un lusingare senza promettere,
un minacciare in cerimonia; tutto era diretto a quel fine; e tutto, o
più o meno, tornava in prò. A segno che (ino a un: io non posso
niente in questo affare: detto talvolta per la pura verità, ma detto in
modo che non gli era creduto, serviva ad accrescere il concetto, e
quindi la realtà del suo potere: oome quelle scatole che si vedono an-
cora in qualche bottega di speziale , con su certe parole arabe, e den-
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CAPITOLO XVIir. Sun
Irò non c'è nulla; ma servono a manleoere il credito alla bottega.
Quello del conte zio, che, da gran tempo, era sempre andato crescendo
a lenlissimì gradi, ullimamenle aveva fatto in una volta un passo,
tome si dice, di gigante, per un'occasione straordinaria, un viaggio
a Madrid, con una missione alla corte ; dove, che accoglienza gli fosse
ralla, bisognava sentirìo raccontar da lui. Per non dir altro, il conte
duca l'aveva trattato con una degnazione particolare, e ammesso alla
sua confideoza, a segno d'avergli una volta domandalo, in presenza,
si può dire, di mezza la corte, come gli piacesse Madrid, e d'avergli
un' altra ^olta detto a quatl/ occhi , nel vano d' una finestra , che il
duomo di Milano era il tempio più grande rlie fosse negli stali del re,
Falli i suoi complimcDli al conte zio, e presenlaligli quelli del cugi-
no, Attilio, con- un suo contegno serio, che sapeva prendere a tempo,
disse: H credo di fare il mio dovere, senza mancare alla confidenza
di Rodrigo,' avvertendo il signore zio d' un affare che, se lei non ci
incile una mano, può diventar serio, e portar delle conseguenze ..."
Digitizf^riiiyGoOgle'
ssa I PROMESSI SPOSI
u Qualcheduna delle sue, in' immagino. »
u Per giustizia, devo dire che il torto non è dalla parte dì mio cu-
gino. Ma è riscaldato; e, come dico, non c'è che il signore zio, che
possa . . '•
u Vediamo, vediamo. »
u C'è da quelle parli un frate cappuccino che l'ha con Rodrigo; e
la cosa è arrivala a un punto che .... «
u Quante volle v'ho detto, all'uno e all' altro, che i frati bisogna
lasciarii cuocere nel loro brodo? Basta il da fare che danno a chi
deve ... a. chi tocca ...» E qui sodio. » Ma voi altri che polcle scan-
sarli . . . . n
" Signore uo, in questo, è mio dovere di dirle che Rodrigo l'avrebbe
scansato, se avesse potuto. È il frale che l'ha con lui, che ha preso
a provocarlo in tutte le maniere . . . . ^
« Che diavolo ha codesto frate con mio nipote? «
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CAPITOLO XVIII. sat
« Prima di tutto^ è una lesla inquieta, conosciuto per tale, e ehe
fa professione di prendersela coi cavaKerì. Cosini prolegge, dirìge,
che so io? una contadinotta di là; e ha per questa creatura una ca-
rità, una carità non dico pelosa, n>a una carità molto gelosa, so-
spettosa, permalosa, n
« latendo, » <iisse il conte zio; e sur un certo fondo di gofTa^ne,
dipintici ÌD viso dalla natura, velaio poi e ricoperto, a più mani,
dì politica, balenò un raggio di malizia, che vi faceva un bellisùmo
vedere.
" Ora, da qualche tempo, n continuò Attilio, us'è cacciato in te-
sta questo frate, die Rodrigo avesse non so die disegni sopra questa...»
« 8'ò caecialo in testa, s'è cacciato in testa: lo conosco anch'io il
signor don Rodrigo; e ci vuol altro avvocalo che vossignoria, per
giustificarlo in queste mat^ie. "
" Signore zio, che Rodrigo possa aver fatto qualche scherzo a quella
creatura, incontrandola per la strada, non sarei lontano dal crederlo:
è giovine, e finalmente non è cappuccino ; nia queste son bazzeocJc
da non trattenerne il signore zio: il serio è che il frale s'è messo a
piHiar di Rodrigo come si farebbe d'un mascalzone, cerca d'iùuai^i
ewitro tulio il paese .... »
o E gli altri frati? »
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sua 1 PROHCSBI SPOSI
« Non se ne impicciano, perchè lo conoscono per una lesta calda,
e hanno tulio il rispelto per Rodrigo; ma, dall'altra |iarte , questo
frate ha un gran credito presso i villani, perché fa poi anche il san-
to, e »
u M'immagino che non sappia che Rodrigo è mio nipote. "
e Se Io sa ! Anzi questo è quel che g(j mette più il diavolo ad-
dosso. »
u Come? come? »
« Perché, e lo va dicendo- lui, ci trova più gusto a farla vedere a
Rodrigo, appunto perchè questo ha un prolettor naturale, di tanta
autorità come vossignoria: e che lui se la ride de' grandi e de' politici,
- e dte il cordone di san Francesco tien legate andie le spade, e che ...»
u Oli frate temerario ! Come si chiama costui ? »
« Fra Cristoforo da * * * n disse Attilio; e il conte zio, preso da
una cassetta del suo tavolino, un librìccino ài memorie, vi scrisse, s(rf-
RandOj soffiando, quel povero nome. Intanto Attilio s^uitava: « è
sempre stalo di quell'umore, costui: sì sa la sua vita. Era un plebeo
che, trovandosi aver quattro soldi, voleva competere coi cavalieri del
suo paese; e, pò* rabbia di non poterla vincer con lutti, ne ammazzò
UDO ; onde , per ìacansar la forca , si fece frate. r>
u Ma bravo! ma bene! La vedremo, la vedremo," diceva il conte
no , s^:uitando a soffiare.
« Ora poi, 1 continuava Attilio, « è più arrabtnato che mai, per-
chè gli è andato a monte un disegno che gli premeva mdlo molto: e
da questo il signore zio capirai che uomo sia. Voleva costui maritare
quella sua creatura: fosse per levarla dai perìcoli del mondo, lei m'in-
tende, 0 per che altro si fosse, la voleva maritare assolutamente ; e
aveva trovato il l'uomo: un'altra sua creatura, un soggetto, che,
forse e senta forse, andie il signore zio lo conoscerà di nome; perchè
tengo per certo che il Coniglio segreto avrà dovuto occuparsi di quel
degno soggetto. "
« Chi é costui? »
' u Un filatore di seta, Lorenzo Tramaglino, quello che .... »
" Lorenzo Tramaglinol» esclamò il conte zio. « Ma bene! ma bravo,
padre! Sicuro .... in falli . . . , aveva una lettera per un ... . Peccalo
che-. ... Ma non importa ; va bene. E perchè il signor don Rodrigo
non mi dice nulla di tutto questo? perchè lascia andar le cose tant'a-
vanti, e non si rivolge a chi lo può e vuole dirigere e sostenere? »
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CAPITOLO XVIII. SS»
» Dirò il vero anche io questo, » |HX>seguiva AlUlio. « Da una
parte, sapendo quante brigbe , quante cose ha per la testa il signore
no ... . » (questo, soffiando, vi mise la mano, come per significare
la gran fatica ch'era a farcele star tutte) « s'è fatto scrupolo di darle
una briga di più. E poi, dirò tutto: da quello che ho potuto capire,
è cosi irritalo, così fuor de' gangheri , cosi stucco delle villanie di
qud frate , che ha più veglia di farsi giustizia da sé , in qualche ma-
niera sommaria , che d'ottenerla in una maniera regcriare, dalla pru-
denza e dal braccio del signore zio. Io ho cercato di smorzare; ma ve-
dendo elle la rosa andava per le brutte , ho credulo che fosse mio
dovere d'avvertir di tutto il signore zio, che alla fine è il capo e la
colonna della casa .... »
" Avresti fatto meglio a parlare un poco [«-ima. »
« É vero; ma io andavo sperando che la cosa svanirebbe da sé,
o che il fi^te tornerebbe (inaimente in cervello, o ctie se n' anderebbe
da quel convento, come accade di questi frali, che ora sono qua, ora
sono là ; e allora tutto sarebbe finito. Ma »
« Ora toccherà a me a raccomodarla. »
« Cosi ho pensato anch'io. Ho dello Ira me: il signore zìo, con la
sua avvedutezza, con la sua autorità, saprà lui prevenire uno Beando-
lo, e insieme salvar 1' onore di Rodrigo, ebe è poi anche il suo. Que-
sto frate, dicevo io, l'ha sempre col cordone di san Francesco; ma
per adoprario a proposilo, il cordone di san Francesco, non è neces-
sario d'averlo intorno alla pancia. Il signore zio ha cento mezzi cli'io
non conosco: so cbe il padre provinciale ha, com'è giusto, una gran
deferenza per la! ; e se il signore zio crede che in questo caso il mi-
glior ripiego sia di far cambiar aria al frate, lui con due parole ...»
« Lasci il pensiero a chi tocca, vossignoria, » disse un po' ruvida-
mente il conte zìo.
H Ah è vero!" esclamò Attilio, con una tentennatina di testa, e con
un sogghigno di compassione per sé stesso. " Son io l' ucmo da dar
pareri al signore uo! Ma é la passone che ho delta riputazione del
casato ebe mi fa parlare. E ho anche paura d' aver fatto un altro male, »
soggiunse con un'aria pensierosa: «ho paura d'aver fatto Iorio a Ro-
drigo nel concetto del signore zio. Non mi darei pace, se fossi cagione
di forte pensare che Rodrigo non abbia tutta quella fede in lei , tutta
quella sommissione che deve avere. Creda, signore zio, che in questo
caso è proprio . . . . n
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I«0 1 PROMESSI H>OSI
" Via, via; che torlo, che kH-to tra voi altri due? die sarete sem-
pre amid, Anche l'uno non niella giudizio. Scapestrati, scapestrali,
che sempre ne fole una; e a me tocca di ratlopparìe : che . . . . mì
foreste dire uno sproposito, rai date più da penswe v<m altri due,
che, n e qui iinin^matevi che sofHo mise , u (ulti questi benedetti af-
fari di slato. »
AUiJio fece ancora qualche scusa , qualche promessa, qualche com-
plimento; poi si licenziò, e se n'andò, acccunpagnato da un « e ah-
biamo giudìzio, » ch'era la fomiola di commiato del conte zio per i
suoi nipoti.
d.y Google
CAPITOLO XIX.
, vedendo in un campo mal coltivalo , un'
erbaccia, per esempio un bei lapazio, vo-
lesse proprio sapere se sia venuto da un
seme maturato nel campo stesso , o porta-
tovi dal vento, 0 lasciatovi cader da unnc-
cello, per quanto ci pensasse, non ne ver-
rebbe mai a una conclusione. Cosi anche
noi non sapremmo dire se dal fondo natu-
rale del suo cervello , o dall' insinuazione
d'Attilio , venisse al conte zio la risoluzione
di servirsi del padre provinciale per troncare nella miglior maniera
quel nodo imbrogliato. Certo è che Attilio non aveva detta a caso
quella parola ; e quantunque dovesse aspettarsi cbe , a un sumeri-
mento cosi scoperto, la boria ombrosa del conte zio avrebbe ricalci-
Irato, a ogni modo volle fargli balenar dìoaus l'idea di quel ripiego,
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sei I PROUESSl SPOSI
c metterlo sulla strada, dove desiderava che andasse. Dall'altra parte,
il ripiego era (almeiite adallato all'umore del conte zio, lalmente in-
dicalo dalle circoslanzc,che, senza suggerimento di ehi si sia, à può
scommettere che l' avrebbe trovato da sé. Si trallava che , in una
guerra pur' troppo aperta, uno del suo nome, un sbo nipote, non ri-
manesse al di sotto: punto essenzialissiroo alla riputatone del potere
che gli stava tanto a cuore. La soddisfazione che il nipote poteva
prendersi da sé, sarebbe stala un rimedio peggior del male, una
sementa di guai ; e bisognava impedirla , ìn qualouque maniera ,
e senza perder tempo. Comandargli che partisse in quel mooiento
dalla sua villa; già non avrebbe ubbidito; e quand'anche avesse, era
nn cedere il campo , una ritirata della casa dinanzi a un convento.
Ordini , forza legale, spauracotii di lai genere , non valevano contro
un avversario di quella condizione: il clero regolare e secolare era
affatto immune da ogni giurisdizione laicale ; non solo le persone, ma
i luoghi ancora abitati da esso : come deve sapere anche chi non
avesse letta altra storia che la presente; che stareUw fresco. Tutto
quel che si poteva contro im tale avversario era cercar d' allonta-
iiarlo, e il mezzo a ciò era il padre provinciale, in arbitrio del quale
en Y andare e Io stare di qudlo.
Ora, Ira il padre provinciale e il conte zio passava un'antica etmo-
scenza : s' eran veduti di rado , ma sempre con gran dimostrazioni
d'amicizia, e con esibizioni sperticate di servizi, E alle volte, è meglio
aver che fare eoa uno che sia sopra a molti individui, che con un solo
di questi, il quale non vede che la sua causa , non senle che la sua I
passione, non cura che il suo punto; mentre l'altro vede in uà Iratto 1
cento relazioni j cento conseguenze , cento interessi , cento cose da i
scansare, cento cose da salviu*e; e si può quindi prendere da cento >
parti. i
' Tutto ben ponderato, il conte zio invilo un gÌ(M-no a pranzo il pa- ]
dre provinciale, e gli fece trovare una corona di commensali assortili |
con un inleiidimenlo sopraffino. Qualche parente de' più titolati, di |
quelli il ieui solo e&sato era un gran titolo; e che, col solo contegno, \
con una certa sicurezza nati^'a , con una sprezzatura signorile, par- {
landò di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo |
apposta, a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della supe- |
riorità e della potenza; e alcuni clienti legali alla casa per una dipffl- I
densa eredìlaria, e al personaggio per una servitù di tutta la vita; i I
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CiU>1T0L0 XIX MS
qoalt, cominciando dalla minestra a dir di si, con la bocca, con gli oc-
chi, con gli orecchi, con tulla la tesla, con lutto il corpo, con littla
l'anima, alle frutte v'avevan ridotto un uomo a non ricordarsi più
coae si facesse a dir di no.
A tavola, il conte padrone fece cader ben presto il discorso sul
tema di Madrid. A Roma si va per più strade ; a Madrid egli andana
per tutte. Parìò della corte , del eonte duca , de' ministri , della fami-
glia del go\'ernatore , delle eacce del loro, clic lui poteva descriver
benissimo, perchè le aveva godute da un posto distinto, dcH'Escuriale
di cui poteva render conto a un puntino, perché un creato del conte duca
l'aveva condotto per tulli i buclii. Per qualche tempo, lulla la compa-
gnia stette, oome un uditorio, attenta a lui solo, poi si divise in col-
loqui particolari; e lui allora continuò a raccontare altre di quelle belle
cose, come in confidenza, al padre provinciale die gli era accanto,
e die lo lasciò dire, dire e dire. Ma a un cerio punto, diede una gi-
ralina al discorso, lo slaccò da Madrid, e eh corte in corte, df dignità
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Se« I PROUESSI SPOSI
in dignità, lo tirò sul cardine Barberini, di' era cappuccino, e fratello
del papa allora sedente. Urbano VUI: nìeale meno. Il conte zio do-
velle anche lui lasciar parlare un poco, e stare a sentire, e ricordar»
che finalmente, in questo mondo, non c'era soltanto i personaggi che
facevan per lui. Poco dopo alzati da tavola, pregò il padre provinciale
di passar con lui in un'altra stanza.
Due potestà, due canizie, due esperienze consumate si trovavano
a fronte. Il magnifico signore fece sedere il padre molto reverendo,
sedette andie lui, e comindò: » stante l'amicizia che passa tra di noi,
ho creduto di for parola a vostra paternità d'un affare di comune in-
teresse, da concluder tra di noi, senz' andar per altre strade, die po-
trebbero .... E perciò, alla buona, col cuore in mano, le dirò di che
si tratta; e in due parole son certo ette anderemo d'accado. Mi dica:
nel toro convento di Pescarenico (^ è un padre Cristoforo da * "? n
Il provinciale fece cenno di si.
« Mi dica un poco vostra paternità, scliiettamcnte , da buon ami-
co... . questo soggetto .... questo padre .... Di persona io non lo
conosco ; e sì che de" padri cappuccini ne conosco parecchi : uomini
d'oro, zelanti, prudenti, umili: sono stato amico dell'ordine fin da
ragazzo.... Ma intuitele famiglie un po' numerose c'è sempre
qualche individuo, qualche testa.... E questo padre Cristoforo, so da
certi ragguagli che è un uomo.... un po' amico de' contrasti .... die
non ha tutta quella prudenza, tutti que' riguardi .... Scommetterei
che ha dovuto dar più d' una volta da pensare a vostra paternità. »
— Ho inteso; è un impegno, — pensava intanto il provinciale: —
Colpa mia ; lo sapevo che quel benedetto Cristoforo era un soggetto
da farlo girare di pulpito in pulpito, e non lasciarlo fermare sei mesi
in im luogo, specialmente in conventi di campagna. —
" Oh! n disse poi : u mi dispiace.davvero di sentire che vostra ma-
gnificenza abbia in un tal concetto il padre Cristof<m); m«ilre, per
quanto ne so io, è un religioso. . . . esemplare in convento, e tenuto
in molta stima anche di fuori. »
« Intendo benissimo; vostra paternità deve Però, però, da
amico sincero, voglio avvertirla d'una cosa che le sarà utile di sapere;
e se anche ne fosse già informala, posso, senza mancare ai miei do-
veri, metterle sott'occhio certe conseguenze possibili: non dico di
più. Questo padre Cristcrforo , sappiamo che proteggeva un uomo di
quelle, parti, un uomo.... vostra paternità n'avrà sentito parlare; quello
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CAPITOLO XIX, IBa
che, con tanlo scandulo, scappò dalle mani deHa giustizia, dopo aver
fotto, in quella terribile giornata di san Martino, cose.... cose.... Lo-
renzo Tramaglino! »
— Ahi! — pensò il provinciale; e disse: » questa drcosUifza mi
riesce nuova; ma vostra magnificenza sa bene «he una parte del -no-
stro ulizio è appunto d'andare in cerca de' traviali, per ridurli....»
u Va bene; ma la protezione de' traviati d'una certa specie .... !
Son cose spinose , affari delicati .... » E qui , in vece di gonflar le
gote e di soQlare , strinse le labbra, e tirò denlro taat'aria quanta
oc soleva mandar fuori, soffiando. E riprese: « ho creduto bene di
dtrle un cenno su questa circostanza , perchè se mai sua eccellenza ....
Potrdibe esser fatto qualche passo a Roma .... non so niente e
da Roma venirie «
B Son ben tenuto a vostra magni6cenza di codesto avviso; però
son cerio che, se si prenderanno informazioni su questo proposilo, si
troverà che il padre Cristoforo non avrà avuto che fere con I' uomo
che lei dice, se non a fine dì mettergli il cervello a partito. Il padre
Cristoforo, lo conosco. »
H Già lei sa meglio di me che soggetto fosse al secolo, le cosette che
ba fatte in gioventù. »
" E la gloria dell'abito questa, signor conte, che un uomo, il quale
al secolo ha potuto far dir di sé, con questo indosso, diventi un altro.
E da che il padre Cristoforo porla quest'abito ..."
« Vorrei crederlo : lo dico di cuore: vorrei crederlo; ma alle volte,
come dice il proverbio .... l'abito non fa il monaco. <•
Il proverbio non veniva in ti^^lio esattamente; ma il conte l'aveva
sostituito in fretta a un altro che gli era venuto sulla punta della
lingua:. il lupo cambia il pelo, ma non il vìzio.
« Ilo de' riscontri, » continuava, « ho de' contrassegni "
u Se lei sa positivamente, » disse il provinciale, « che questo re-
ligioso abbia emnmesso qualche errore ( tutti si può mancare ), avrò
per un vero favore l'esserne informato. Son superiore: indegnamenle ;
ma lo sono appunto per correggere, per rimediare. »
u Le dirò: insieme con questa circostanza di^iacevole della pro-
texiooe aperta di questo padre per chi le ho detto, e' è un'altra cosa
disgustosa, e che potrebbe Ma, tra di noi, aceomodereoH) tutto in
una volta. C'è, dico, che lo stesso padre Cristoforo ha preso a cozzare
coi^ mio. nipote , don Rodrigo * * '. •>
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=en I PROMESSI SPOSI
" Oti! questo mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace davvero, n
u Mio nipote è giovine, vivo, sì sente quello che è, non è avvezzo
a esser provocato . . , . "
" Sarà mio dovere di prender buone informazioni d'un Tatto simile.
Come lio già detto a vostra magnificenza, e parlo con un signore cbc
non tia meno giustizia die pratica di mondo, lutti siamo di carne,
soggetti a sbagliare .... tanto da una parte, quanto dall'altra: e se il
padre Gribtoforo avrà mancato . . . . n
« Veda vostra paternità; son eose, come io le dicevo, da finirsi Ira
di noi, da seppellirsi qui, eose die a rimestarle troppo.... si fa peggio.
Lei sa cosa segue: quest'urli, queste picche, principiano talvolta da una
l)agatlella, e vanno avanti, vanno avanti...'. A voler trovarne il fondo,
o non se ne viene a capo, o vengon fuori cent' altri imbrogli. So-
pire, troncare, padre molto reverendo : troncare, sopire. Mio nipote e
giovine; il religioso, da quel die senio, ha ancora lutto lo spirilo,
le.... inclinazioni d'un giovine; e tocca a noi, che aliamo i nostri
anni . , . pur troppo eh , padre molto reverendo? »
Ctii fosse stato lì a vedere , in quel punto , fu come quando , nel
mezzo d* un' opera seria, s'alza, per isbaglio, uno scenario, prÌBia
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CAPITOLO XIX. SOT
del tempo, e si vede un canlaote die, non pensando, in quel mo-
inrnlo, ebe ci sia un pubblico al mondo, discorre alta buona con
un suo compagno. Il viso, l'atlo, la voce del conte zio, nel dir quel
fmr troppo!, luUo fu naturale: li non c'era politica: era proprio vero
die gji dava noia d'avere i suoi anni. Non già che piangesse i passa-
(enapi, il brìo, l'avvenenza della gioventù: frivolezze, sciocchezze,
miserie! La cagion del suo dispiacere era ben più soda e importante:
era che sperava un certo posto più alto, quando fosse vacato; e te-
meva di non arrivare a tempo. Ottenuto che l'avesse, si poteva esser
certi che non si sarebbe più curalo degli anni, non avrebbe deside-
rato altro, e sarebbe morto contento, come lutti quelli die desìde-
ran molto una cosa, assicurano di voler fare, quando siano an'ivati
a oUaierla.
Ma per lasciarlo parlar luì, » tocca a noi, » continuò, « a aver giudizio
per ! giovani, e a rassettar le loro malefatte. Per buona sorte, siamo
ancora a tempo ; la cosa non ha fatto chiasso ; è ancora il caso d' un
buon principiit obala. Allontanare il fuoco dalla pa^ia. Alle volte un
so^ello che, in un lufygo, non fa bene, o die può esser causa di qual-
che inconveniente riesce a maraviglia in un altro. Vostra paternità
saprà ben trovare la nìcchia conveniente a queste religiosa C'è giusto
anche fàRra drcostànza , che possa esser cadute in sospetto di chi ... .
polrdibe desiderare che fosse rimosso: e, collocandolo in qualche posto
un po'Ionlanette, facciamo un viaggio e due servizi; tiitto s'accomoda
da sé, o per dir meglio, non c'è nuUa di guasto. »
Questa condusione, il padre provinciale se l'aspettava fino dal prìn-
dpio del discorso- — Eh già! — pensava tra sé: —^ vedo dove vuoi
andar a parare: delle solite; quando un povero fi^tèèprésp a noia da
voi altri, o da ano di voi altri, a vi- dà ombra, sulnlo, sènza cercar
se abbia (orto o ragione , il superiore deve iarlo sgomberare. ^-
E quando il smte ebbe finito, e messo un lungo soffia, die equi-
valeva a un punto fermo, « intendo t>enissimo, n disse il [HMivindale,
H quel che il signor conte vuol dire; ma prima di fare un passo...»
« E un passo e non è un passo, padre molto reverendo: è una cosa
naturale, una cosa ordinaria; e se non si prende questo ripiego, e subito,
prevedo un mmte di disordini, un' iliade di guai. Uno sproposito....
mio nipote non crederd ci son io, per questo.... Ma, al punto a
cui la cosa è arrivata, se non la (ronchiamo noi, senza perder tempo,
con un colpo netto, non è possibile che si fermi, che resti segreta
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I PROMESSI SPOSI.
c allora non e più solamente mio nipote .... Si stuzzica un vespaio ,
padre mollo reverendo. Lei vede; «amo una casa, ablnaino attinenze ..."
u Cospicue. »
u Lei m'intende: tutta gente che ha sangue nelle vene, e dte, a
questo mondo. ... è qualche cosa. C'entra il puntiglio; diviene un
affare comune; e allora.... anche chi è amico della pace.... SareUx
un vero crepacuore per me, di dovere.... di trovarmi.... io che ho
sempre avuta tanta propensione per i padri cappuccini .... ! Loro pa-
dri, per far del bene, come fanno con tanta edificazione del pubblico,
hanno bisogno di pace, dì non aver contese, di stare in buona armo-
nia con chi ... . E poi , hanno de* parenti al secolo .... e questi affa-
raoci di puntiglio, per poco che vadano in lungo, s'estendono, si
ramiflcano, tiran dentro.... mezzo mondo. Io mi trovo in questa be-
nedeUa carica , che m' obbliga a sostenere un certo decoro .... Sua
eccellenza.... i mìei signori colleghi.... tutto diviene aftir di corpo
tanto più con quell'altra circostanza .... Lei sa come vanno queste
cose, f
u Veramente, » disse il padre provinciale, u ìl padre Cristoforo è
predicatore; e avevo già qualche pensiero.... Mi si richiede appunto....
Ma in questo momento, in tali circostanze, potrebbe parere una pu-
nizione; e una punizione prima d'aver ben messo in chiaro «
<t No punizione, no: un provvedimento prudenziale, un ripief|;o
di comune convenienza, per impedire i sinistri che polrcbtiero .... mi
sono siaegato. »
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CAPITOLO XIX. san
tt Tra il signor conte e ine, la cosa rimane in questi termini; intendo.
Ma , stando il fetto come fu riferito a vostra magnìRcenza , è impossi-
bile, mi pare, che nel paese non «a traspiralo qualcosa. Per tulio e' è
degli aizzatori, de' mettimale, o almeno de' curiosi maligni che, se pos-
son vedere alle prese signoH e religiosi , ci hanno un gusto matto; e
Untano, inter[H«tano, ciarlano .... Ognuno ha il suo decoro da con-
servare; e io poi, come superiore (indegno), ho un dovere espresso....
L'onor dell'abito.... non è cosa mia.... é un deposito dei quale....
Il suo signor nipote, giacché è così alteralo, come dice vostra magni-
licenza, po^bbe prender la cosa come una soddisfazione data a lui,
e . . . . noD dico vantarsene , trionfarne, ma .... »
u Le pare, padre molto reverendo? Mio nipote è ufi cavaliere che
nel mondo è consideralo.... secondo il suo grado e ildovere; ma da-
vanti a me è un ragazzo ; e non farà né più né meno di quello che
gli prescriverò io. Le dirò di più: mio nipote non ne saprà nulla. Che
bisogno abbiamo noi di render conto ? Son cose die facciamo tra di
noi, da buoni amici; e tra di noi hanno da rimanere. Non si dia pen-
siero dì ciò. Devo essere avvezzo a non parlare, n E soffiò. « In quanto
ai cicaloni , » riprese, » che vuol che dicano? Un religioso che vada
a predicare in un ^tro paese, è cosa cosi ordinaria! E poi, noi che
vediamo .... noi che prevediamo .... noi che ci too;a .... non
d<Abiamo poi curarci delle ciarìe. »
« Però, aOine di prevenirle, sarebbe bene che, in quest'occasione,
il suo signor nipote facesse qualche dimostrazione, desse qualche se-
gno palese d'amicìzia, di riguardo.... non per noi, ma per l'abito... »
" Sicuro, sicuro; quest'è giusto .... Però non c'è bisogno: so che
i cappueeini son sempre accolti come si deve da mio nipote. Lo fa per
ioclinaùone: é un genio in fomìglia: e poi sa di far cosa graia a me.
Del resto, in questo caso .... qualcosa di straordinario .... è troppo
giusto. Lasci fare a me, padre molto reverendo; che comanderò a mio
nipote.... Cioè bisognerà insinuargli con prudenza, affinchè non s'av-
veda di quel che è passalo tra di noi.' Perchè non voirei alle volle
che mettessimo un impiastro dove non e'è ferita. E per quel che ab-
biaoto ctmcluso, quanto più presto sarà, meglio. £ se si trovasse qual-
che nicchia un po'lonlana.... per levar proprio ogni occasione....»
u Mi vien chiesto per 1' appunto lin predicatore da Rtminì ; e for-
s' anche, senz'altro motivo, avrei potuto metter gii ocdii .... »
« Mollo a proposito, molto a proposilo. E quando ? i
Digitizsd.v Google
u tìiaccbé la cosa si deve lare, si tara presto. »
' H Presto, presto, padre molto revereDdo: meglio oggi che domani.
£ , n continuava poi, aliandosi da sedere, « se posso qualche eosa,
tanto io, come la mia bmiglja, per i noslri buoni padri cappuccini •>
u Conosciamo per prova la bontà della casa, » disse il padre pro-
vinciale , alzatosi anclie lui, e avviandosi v^-so 1' uscio, dietro al suo
vincitore.
f Abbiamo spento una favilla, n disse questo, sorTermanilosi , ouiki
favilla, padre molto reverendo, cbe poteva destare un grand'incendio.
Tra buoni amici, con due parole s'accomodano di gran cose. »
Arrivalo all' uscio, lo spalancò, e volle assolutamente che il padre
provinciale andasse avanti: entrarono nell' altra stanza, e si riunirono
al resto della compagnia.
1
! !
Un grande studio, una grand'' arte, di gran parole, metteva quel si-
gnore nel maneggio d'un affare ; ma produceva poi anche effetti cor-
rispondenti. Infatti, col colloquio che abbiam riferito, riuscì a far an-
dar fra Cristoforo a piedi da Pescarenico a Rìmini, che è una bella
Una sera , arriva a Pescarenico nn cappuccino di Milano , con un
plico per il padre guardiano. Ce dentro l'obbedienza per fra Crislo-
fOTo, di portarsi a Rimini, dovfe predicherà la quaresima. La lettera al
guardiano porla l' istruzione d' insinuare al detto frate che deponga
ogni pensiero d'alTarì che potesse avere avviali nel paese da cui deve
partire, e che non vi mantenga corrispondenze: il frate latore dev'cs-
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CAPITOLO XIX. STI
sne il compagno di viaggio. Il guardiano non dice nulla la sera; la
mattina, fa chiamar fra Cristoforo, gli fa vedere l'obbedienza, gli dice
che vada a prender la sporta, il bastone, il sudario e la cintura, e con
quel- padre compagno che gli presenta, si metta poi subito in viaggio.
Se fu un colpo per il nostro frale, lo lascio pensare a voi. Renzo,
Lucia, Agnese, gli vennero subilo in mente; e esclamò, per dir cqsì,
dentro di sé: — oh Dio! cosa faranno que' meschini, quando io non
sarò più qui! — Ma alzò gli occhi al cielo, e s'accusò d'aver mancato
di fiducia, d'essersi credulo necessario a qualche cosa. IMise le mani
in croce sul pello, in segno d'ubbidienza, e chinò la testa davanti al
padre guardiano; il quale lo lirò poi in disparte, e gli diede quell'ul-
Iro avviso, con parole dt consiglio, e con significazione di precetto. Fra
Cristoforo andò alla sua cella, prese la sporta, vi ripose il breviario,
il suo quaresimale, e il pane del perdono, s'allacciò la tonaca con la
sua cintura di pelle, si licenziò da' suoi confratelli che si trovavano in
convento, andò da ultimo a prender la benedizione del guardiano, e
col compagno, prese la strada che gli era stala prescritta.
Abbiamo detto che don Rodrigo, intestalo più che mai dì venire a
fine della sua bella impresa, s'era risoluto di cercare il soccorso d'un
terribile uomo. Di costui non possiam dare né il nome, né il cogno-
me, né un. titolo, e nemmeno uqa congettura sopra nulla di tutto ciò:
Diiìitizf^riiiyGoOgle
cosa tanto più strana, die del personaggio troviamo memoria in [hù
d'un libro (libri stampali, dico) di quel tempo. Che il personaggio sia
quel medesimo, l'identità de' fatti non lascia luogo a dubitarne; ma
per lutto un grande studio a scansarne il nome, quasi avesse dovuto
bruciar la penna, la mano dello scritlore. Francesco Rivofa, nella vita
del cardinal Federigo Borromeo, dovendo parlar di quell'uomo, lo
chiama « un signore altrettanto potente per ricchezze, quanto nobile
per nascita , " e fermi li. Giuseppe Ripamonti, che, nel quinto libro
della quinta decade della sua Storia Pt^ria^ ne fa più distesa menzio-
ne, lo nmnina uno, costui, ct^uì, quest'uomo, quel personaggio. «Ri-
ferirò, » dice, nel suo bel latino, da cui traduciamo come ci riesce,
e il caso d' un tale che essendo de' primi tra i grandi ddla cillÀ,
aveva stabilita la sua dimora in una campagna, situala sul confine; e
li, assicurandosi a forza di delitti , teneva per niente i giudici, i giu-
dici, ogni magistratura, la sovranità; menava una vita affatto indipen-
dente; ricettatore di forusdti, foruscito un tempo anche lui; poi tor-
nalo, come se niente fosse....» Da questo scrittore prenderemo qual-
che altro passo, che ci venga in taglio per confermare e per dilucidare
il racconto del nostro anonimo; col quale tiriamo avanti.
Fare ciò ch'era vietato dalle leggi , o impedito da una forza qua-
lunque; esser arbitro, padrone negli affari altrui, senz'altro interesse
die il gusto di comandare ; esser temuto da tutti, aver la mano da co-
loro eh' eran soliti averla dagli altri ; tali erano state in ogni tempo
le passioni principali di costui. Fino dall'adolescenza, allo spettacolo e
al rumore di tante prepotenze, di tante gare, alia vista di tanti tiranni,
provava un misto sentimento di sdegno e d'invidia impaziente. Gio-
.vine, e vivendo in città, non tralasciava occasione, anzi n'andava in
cerca, d'aver che dire co' più famosi di quella professione, d'attraver-
sarli, per provarsi con loro, e farli stare a dovere, o tirarli a cercare
la sua amicizia. Sup^ìore di ricchezze e di seguito alla più parte , e
forse a tutti d'ardire e di costanza, ne ridusse molti a ritrarsi da ogni
rivalità, molti ne conciò male, molti n'eld>e amia; non ^à amia del
l>ari, ma, come soltanto potevan piacere a lui, amid stdiordinati , che
sì riconoscessero suoi inferiori , che gli stessero alla sinistra. Nel feitto
però, veniva anche lui a essere il faccendiere , lo strumento di tulli
coloro : essi non mancavano di richiedere ne' loro impegni l'opa^ d'un
tanto ausiliario; per lui, tirarsene indietro sareblie stato decadere dalla
sua riputazione, mancare al suo ass|into. Di maniera che. per conto
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CAPITOLO XIX. S»S
3U0, e per conto d'altri, tante ne fece che, non bastando né il nome,
né il parentado , uè gii amici , né la sua audacia a sostenerlo contro
i bandi pubblici, e contro tante animosità potenti, dovette dar luogo,
e uscir dallo stato. Credo che a questa circostanza si riferisca un tratto
notabile raccontato dal Ripamonti. " Una volta ette costui ebbe asgom^
berare il paese, la segretezza che usò, il rispetto, la timidezza, turon
tali : attraverso la città a cavallo , con un seguito di cani , a suon di
tromba; e passando davanti al palazzo di corte, lasciò alla guardia
un'imbasciata d'impertinenze per il governatore. »
Nell'assenza, non ruppe le pratiche, né tralasciò le corrispondenze
con que' suoi tali amid , i quali rimasero uniti con lui , per tradurre
letteralmente dal Ripamonti, « in lega occulta di consigli atroci, e di
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KTl I PROMESSI SPOSI
cose funeste. » Pare anzi che allora contraesse eon più alte persooe,
certe nuove terribili pratiche, ddle quali lo storico summenlovato
|)arla con una brevità misteriosa. :< Anche alcuni prìncipi esteri, » dice:,
« » valsero più volte dell'opera sua, per qualche importante omiddio,
e spesso gli ebbero a mandar da lontano rinforù di gente che ser*
visse sotto i suoi ordini. »
Finalmente (non si sa dopo quanto tempo), o fosse levato il bando,
per qualche potente iotereessione, o l'audacia di quell'uomo gli tenesse
luogo d' immunità, si rìsolvetle di tornare a casa, e vi tornò difetti;
non però in Milano, ma in un castello confinante col territorio b»^-
maseo, che allora era, come (^un sa, stato veneto. « Quella casa, »
cito ancora il Ripamonti, «era come un'officina di mandali sanguino»:
servitori, la cui lesta era messa a taglia, e che avevan per mestiere di
troncar leale: né cuoco, né sguattero dispensali dall'omicidio: le mani
de' ragazzi insanguinate. » Oltre questa tiella famiglia domestica, n'a-
veva, come afferma lo stesso storico, un'altra di soggetti simili, dispersi
e posti come a quartiere in vari luoghi de' due stati sul lembo de'
quali viveva, e pronti sempre a' suoi ordini.
Tutti i tiranni, per im bel tratto di paese all'intorno, avevan do-
vuto, chi in un'occasione e chi in un'altra, scegliere tra l'amicizia e
l'inimicizia di quel tiranno straordinario. Ma ai primi che avevano vo-
luto provar dì resistergli, la gli era andata così male, che nessuno sì
sentiva più di mettersi a quella prova. E neppur col badare a' fatti
suoi, con Io stare a sé, uno non poteva rimanere indì|>endenfe da lui.
Capitava un suo messo a intimargli che abbandonasse la tale impresa,
che cessasse di molestare il tal debitore , o cose simili : bisognava ri-
spondere sì o do. Quando una parte, con un ornarlo vassallesco, era
andata a rimettere in lui un affare qualunque, l'altra parte si trovava
a quella dura scelta, o di stare alla sua sentenza, o di dichiararsi suo
nemico; il che equivaleva a esser, come si diceva :d(re volte, tisico
in terzo grado. Molli, avendo il torto, ricorrevano a lui per aver
ragione io effetto ; molti anche , avendo ragione , per preoccupare
un cosi gran patrocinio, e chiuderne l'adito Gl'avversario: gli uni e
gli altri divenivano più specialmente suoi dipendenti. Accadde qualebe
volta che un debole oppresso, vessalo da un prepotente, si rivolse a
lui; è luì, prendendo le parti del debole, forzò il prepotente a fùurla,a
riparare il mal fatto, a chiedere scusa; o, se stava duro, gli mosse tal
guerra , da costringerlo a sfrattar dai luoghi che aveva timoneggiaii ,
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CAPITOLO XtX, UH
0 gli fece anche pagare un più pronto e più terrìbile fio. E io quei
casi, quel nome tanto temuto e abborrito era slato benedetto un mo-
mento : perchè , non dirò quella giuatizìa , ma quel rimedio , quel
compenso qualunque, non si sarebbe potuto, in que' tempi, aspetlarlo
da nessun' altra forza né privata, né pubblica. Più spesso, anzi per
l'ordinario, la sua era slata ed era ministra di voleri iniqui, di sod-
disfazioni atroci, di capricci superbi. Ma gli usi così diversi di quella
Twza producevan sempre l'effetto medesimo, d'imprimere negli animi
una grand' idea di quanto egli potesse volere e eseguire in onta del-
l'equiU e dell'iniquità , quelle due cose clie metton tanti ostacoli alla
volontà degli nomini, e li [anno così spesso tornare indietro. La fama
de' tiranni ordinari rimaneva per lo più rislretla in quel piccolo tratto
di paese dov'erano i più riechi ei più forti: ogni distretto aveva i suoi;
e si rassomigliavan tanto, che non c'era ragione che la gente s'occu-
passe di quelli ebe non aveva a ridosso. Ma la fama di questo nostro
era già da gran tempo diffusa in ogni parte del milanese : per tutto,
la sua vita era un soggetto di racconti popolari; e il suo nome sifpii-
ficava qualcosa d' irresistibile, di slrdno, di favoloso. I) sospetto che
per lutto s'aveva de' suoi collegati e de' suoi sicari, contribuiva an-
ch' esso a tener viva per tutto ia memoria di lui. Non eran più che
sospetti; giacché chi avrdtbe confessata apertamente una l^e dipen-
denza? ma ogni tiranno poteva essere un suo c4^legato, ogni malan-
drino, uno de' suoi; e l'incertezza stessa rendeva più vasta l'opinione,
e più cupo il lernM'e della cosa. E ogni volta che in qualche parte sì
vedessero comparire figure dì bravi sconosciute e più brutte dell'ordt-
nario , a ogni fatto enorme dì cui non si sapesse alla prima indicare
o indovinar l'autore, sì proferiva, si mormorava il nome di colui che
noi, grazie a quella benedetta, per non dir altro, circospezione de'
nostri autori, saremo costretti a chiamare l' innominato.
Dal castellaedo di costui al palazzotto di don Rodrigo, non c'era più
di sette miglia: e quest'ultimo, appena divenuto padrone e tiranno,
aveva dovuto vedere che, a cosi poca distanza da uiì tal personaggio,
non era possibile far quel mestiere senza venire alle prese, o andar
d'accordo con lui. Gli s'era perciò offerto e gli era diveouto amico,
al modo di lutti gli altri , s'intende; gli aveva reso più d'un servizio
( il manoscritto non dice di più ); e n' aveva riportate ogni volta pro-
messe di contraccambio e d' aiuto , in qualunque occasione. Metteva
perù molla cura a nascondere una tale amicizia , o almeno a non
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STO I pRouessi SPOSI
lasciare sooni;ere quanto stretta, e di che natura fosse. Don Rodrigo
voleva bensì fare il tìnumo, ma non ii tiranno salvatieo: la professione
era per lui un mezzo, non uno scopo: voleva dimorar liberaawnte Ìd
città, godere. i comodi , gli spassi, gli onori della vita civile; e perciò
bisognava che usasse oertì riguardi, tenesse di conto parenti,: coltivasse
l'amicizia di persone alte, avesse una mano sulle bilance della giusti-
zia, per farle a un bisogno traboccare dalla sua parte, a per farle spa-
rire, o per darle anche, in qualche occasione, sulla lesta di qualche-
duno che in quel modo si potesse servir più facilmente cbe con l' armi
della violenza privata. Ora, l'intrinKchezza, didam meglio, una 1^
con un uomo di quella sorte, con un aperto nemico della forza pub-
blica , non gli avrebbe certamente fatto buon gioco a ciò, specialraentc
presso il conte ào. Però quel tanto d' una tale amicizia cbe non era
possibile di nascondere, poteva passare per una relazione indispensa-
bile con un uomo la cui inimicizia era troppo pericolosa; e cosi rice-
vere scusa dalla necessità; giacché clii ha 1' assunto di provvedere, e
non n' ha la volontà, o non ne trova il verso , alla lunga acconsente
che altri provveda da sé, fino a un eerto segno, a' casi suoi; e se
non acconsente espressamente , chiude un occhio.
Una mattina, don Rodrigo uscì a cavallo, in treno da caccia, con una
pìccola scorta di bravi a piedi; il Griso alla staffa, e quattro altri in
coda; e s'avviò al castello dell' innominalo.
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CAPITOLO \X.
l castello dell' in-
ncuninaloeraaca-
valiereaunavalk
angusta e uggiosa,
sulla cima d' un
poggio cbe spoi^e
io fuori da un'a-
spra giogaia di
monti, ed è, non
si saprebbe dirbc-
ne, se congiunto
. _ ad essa o separa-
tone (fa an mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di lane
e di preci[HZÌ, che si: prolungano anche dalte due parti. Quella che
guftfda la valle è la sola praticabile; un pendio piuttosto n-to, ma
uguale e continualo; a prati in alto ; nelle folde a campì , sparsi qua
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STB I rROUBSSI BPSSI
e là di casucce. D fondo é un lello di cioltolonì, dove scorre un riga-
gnolo o toirentaccio, secondo la stagione; allora serviva di confine ai
due stati. I gioghi opposti, che formano, per dir così , l'altra parete
della valle, hanno anch'essi un po' di falda coltivata; il resto è schegge
e macigni, erte ripide, senza strada e nude, meno qualche cespuglio
ne' fessi e sui ciglioni.
Dall' alto del caslcllaccio, come l'aquila dal suo nido insanguinato,
il selvaggio signore dominava all'intorno tutto lo spazio dove piede
d'uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé,
uè piò in allo. Dando un'occhiata in giro, scorreva tutto quel recinto,
i pendii, il fondo, le strade praticate là dentro. Quella che, a gomiti e
a giravolte, saliva al terribile domicilio, si spiegava davanti a chi guar-
dasse di lassù, come un nastro serpeggiante: dalle finestre, dalle feri-
toie, poteva il signore contare a suo bell'agio i passi di chi veniva, e
spianatali l'arme contro, cento volle. E anche d'una grossa compagnia,
avrebbe potuto, con quella guarnigione di bravi che teneia lassù, sten-
derne sul sentiero, o farne ruzzolare al fondo parecchi, prima che uno
arrivasse a toccar la cima. Del resto, non che lassù, ma neppure nella
valle, e neppur dì passaggio , non ardiva metter piede nessuno cbe
non fosse ben visto dal padrcme del castello. U birro poi che vi si fosse
lascialo vedere, sarebbe stato trattato come una spia nemica cbe venga
colla in un accampamento. Si raccontavano le storie tn^^iche degli ul-
timi f^ avevano voluto tentar l'impresa; ma eran già storie antiche;
e nessuno de' giovani si rammentava d'aver veduto nella valle uno di
quella razza, né vivo, nk morto.
Tale è la descrizione che l'anonimo fa del luogo: del nome, nulla;
anzi, per non metterci sulla strada di scoprirlo, non dice niente del
viaggio di don Rodrigo, e lo porta addirittura nel mezzo della valle,
appiè del poggio, all'imboccatura dell'erto e tortuoso sentiero. Li c'era
una (avema , cbe si sarebbe anche potuta chiamare un corpo di guardia.
Sur una vecchia insegna che pendeva sopra l'uscio, era dipinto da tutt'e
due le parli un sole raggiante; ma la voce pubblica, che t^dvolla ri-
pete ì nomi come le vengono insegnati, talvolta li rifa a modo suo,
non chiamava quella taverna che col nome della Malanolte.
Al rumore cTuna cavalcatura cbe s'avvicinava, comparve sulla so-
glia on ragazzaccio, armato come un Saracino; e data un' occliiala,
entra ad informare Ire sgherri, cbe stavan giocando, con certe carte
sudioe e piegate in forma di teg(di. Colui die pareva t| capo s* alzò ,
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CAPITOLO XX
^affacciò idf uscio, e, riconosciuto un amico del suo padroue, lo sa-
lutò rìspettosamente. Don Rodrigo, resogli con molto garbo il satulo.
«lomandò se if signore si trovasse al castello; e rispostogli da quel capo-
ralaccio che credeva di si, smontò da cavallo, e buttò la l)riglia al Ti-
radritto, uno del suo seguito. Si levò lo schioppo, e lo consegnò al
Montanarolo, cwne per isgravìirsi d'un peso inutile, e salir più lesto;
ma, in realtà, perchè sapeva bene, che su quell'erta non era permesso
d'andar con lo schioppo. Sì cavò poi di lasca alcune berìinghe, e le diede
al Tanaboso , dicendogli : « voi altri state ad aspettarmi ; e intanto sta-
rete un po' allegri con questa brava gente. » Cavò finalmente alcuni
seudi d'uro, e li mise in mano al captMralaccio, assegnandone metà a
lui, e metà da dividersi tra ì suoi u«Hnini. Finalmente, col Griso, che
aveva anche lui posato lo sdiioppo, cominciò a piedi la salila. Intanto
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XSO I PROURBSI SPOSI
i Ire bravi sopraddeltJ, e lo Squinlemottocli'era' il quurlo (oh! vedete
che bei nomi, da serbarceli con tanta cura), rimasero eoi tre dell'in-
nonunato, e con quel ragazzo allevato alle forche , a giocare , a trin-
care, e a raccontarsi a vicenda le loro prodezze.
Vd altro tu^vaceìo dell' tnnomÌDato, che saliva, raggiunse poco dopo
don Rodrigo ; lo guardò. Io riconobbe, e s'accompagnò ctm Iqi ; e gli
risparmiò cosi la noia di dire il suo nome, e di rendere altro conto
di sé a quant'allrì avrebbe incontrati, che non lo ccuoscessero. Arri-
vato al castello, e introdotto (lasciando però il Griso alla porta), fu fatto
passare per un andirivieni di corridoi bui, e per \arìe sale tappezzate
di moschetti, (^ sciabole e di partigiane, e in ognuna delle quali c'era
di guardia qualche bravo; e, dopo avere alquanto aspettalo, fu am-
messo in quella dove si trovava l' innominato.
Questo gli andò incontro, rendendogli il saluto, e insieme guardan-
dogli le mani e il \'tso, come faceva per abitudine, e ormai qua» in-
volontariamente, a chiunque venisse da lui, per quanto fosse de' più
^'ccchi e provati amici. Era grande, bruno, calvo; bianchì i pochi ca-
pelli che gli rimanevano; rugosa la faccia: a prima vista, gli si sa-
rebbe dato più de' sessanl' anni che aveva; ma il conlegno, le mosse,
la durezza risentila de' lineamenti , il lampeggiar sinistro , ma vivo
degli occhi , indicavano una forza dì corpo e d' animo , che sarete
stata straordinaria in un giovine.
Don Roilrigo disse che veniva per consiglio e per aiuto ; die , tro-
vando» in un impegno difllcìle , dal quale il suo on(M% non gli per-
metteva di ritirarsi, s'era ricordato delie promesse di quell'uomo die
non prwnetleva mai troppo , né invano ; e si fece ad esporre il suo
scellerato imbroglio. L' innominato che ne sapeva giè qualcosa , ma
in confuso, sielle a sentire con attouione, e come curioso di si-
mili storie , e per essere in questa mischiato un nome a lui noto e
odiosissimo, quello di fra Cristoforo, nemico aperto de' tiranni, e in
parole e, dove poteva, in opere. Don Rodrigo, sapendo con etti par-
lava, si mise poi a esagerare le difficoltà dell'impresa; la distanza del
luogo, un monastero , la signora ! . . . . A questo, l' innominato, come
se un demonio nascosto nd suo cuore gliel avesse comandato, inter-
ruppe subitamente, dicendo che pr^ideva l' impresa sopra di sé. Prese
l'appunto del ntune della nostra povera Lucia, e licenziò don Rodrigo,
dicendo: « tra poco avrete da me l'avviso di quel die dovrete fare.»
Se il lettore si ricorda di qudlo sdagurato Egidio cbe abitava
.yGooglè
CAPITOLO XX. qSl
acEtoto al mimastero dove la povera Lucia stava riceverata, sappia ora
che costui era uno de' più atrelli ed iottmi coll^hi dì scelleratezze
die avesse rinnoininato: perciò questo aveva lasciata correre così proD-
tamente e risolutamrate la sua parola. Ma appeoa rimase solo, si trovò,
iuta dirò peotito, ma iDdispettito d'averla data. Già da qualche tempo
Gooiineiava a provare , se non un rimorso, una cert' uggia delle sue
sceUerateue. Quelle tante di' erano ammontate, se non sulla sua co-
sciaua, idmeno nella sua memoria, si risvegliavaoo ogni volta che ne
Gommettesse una di nuovo, e si presentavano all'animo brutte e trop-
pe: era CMue il crescere e crescere d'un peso già incomodo. Una certa
ripugnanza provala ne' primi delitti, e vinta poi, e scomparsa quasi
afhtto, tornava ora a farsi sentire. Ma in que' primi tempi, l'immagine
d'un avvenire lungo, indeterminato, il sentimento d'una vìt^ità vi-
gaeosti, riempivano l'animo d'una fiduda spensierata: ora ali'oi^Ktsto,
i pensieri dell'avvenire eran quelli che rendevano più noioso il pas-
sato. — Invecchiare ! morire i e poi ? — E , cosa notabile ! l' imma-
gine ddta morte , die, in un pericolo vicino, a fronte d' un nemico,
soleva raddoppiar gli spiriti di quell'uomo, e infondergli un'ira piena
di. C(miggio, quella slessa immagine, apparendogli nel silenzio della
notte, nella sicurezza del suo castello, gli metteva addosso una coster-
nazione repratina. Non era la morte minacdata da un avversario mor-
tale andie lui; non si poteva rispingerla con armi migliori, e con un
braccio più pronto; veniva sola, nasceva di dentro; era forse ancOT
lontana, ma faceva un passo ogni momento; e, intanto che la mente
combatteva dolorosamente per allontanarne il pensiero, quella s'avvi-
dnava. Ne' primi tempi , gli esempi cosi frequenti , lo spettacolo, per
dir così, continuo della violenza, della vendetta, dell'omicidio, ispi-
randogli un'emulazione feroce, gli avevano anche servito come d'una
specie d* autorità contro la coscienza : ora , gli rinasceva ogni tanto
neir animo l' idea confusa , ma terrìbile , d' un giudizio individuale ,
d' una ragione indipendente dall' esempio ; ora , 1' essere uscito dalla
torba volgare de' malvagi, l'essere innanzi a tutli, gli dava talvolta il
sentimento d' una soliludine tremenda. Quel Dio di cui aveva sentito
parlare , ma che , da gran tempo , non si curava di negare né di ri-
conoscere, occupato soltanto a vivere come se non ci fosse, ora, in
certi momenti d'abbattimento senza motivo, di terrore senza pericolo,
gli pareva sentirlo gridar dentro di sé : Io sono però. Nel primo bol-
lor ddle passioni , la legge che aveva, se non altro, sentita annmiziare
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381 I PR01IE8S1 spoei
in nome di Lui, non gli era parsa die odiosa: ora, quando gli tornava
d'improvviso alla mente, la mente, suo malgrado, la concepiva come
una cosa che ha il suo adempimento. Ma, non che aprirsi ohi nessuno
su questa sua nuova inquietudine , la copriva anzi profondamente , e
la mascherava con l' apparenze d'una più cupa ferocia; e con questo
mezzo, cercava anche di nasconderla a sé stesso, o di sofTogarìa. Invi-
diando (giacché non poteva annientarli né dimenticarìi) que' tempi in
cui era solito commettere l'iniquità senza rimorso, senz'altro pensiero
che della riuscita, faceva i^i sforzo per farli tornare, per ritenere o
per riafferrare quell'antica volontà, pronta, supert>a, impertuiiula, per
convincer sé slesso ch'era ancor quello.
Cosi in quest'occasione, aveva subilo impegnala la sua parola a
don Rodrigo, per chiudersi l' adito a ogni esitazione. Ma appena par-
tito costui, sentendo scemare quella fermezza che s'era comandata per
promettere, sentendo a poco a poco venirsi innanzi nella meote pen-
sieri che lo tentavano di mancare a quella parola, e l'avrdibero con-
dotto a scomparire in faccia a un amico, a un complice secondario-;
per troncare a un tratto quel conlraslo penoso, chiamò il Nibbio, uno
de' più destri e ardili ministri delle sue enormità, e quello di cui era
solito servirsi per la corrbpondenza con Egidio. E, con aria rìsolnla,
gli comandò che montasse subito a cavallo , andasse diritto a Monza ,
informasse Egidio dell'impegno contralto, e richiedesse il suo aiuto
per adempirlo.
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CAPITOLO X\ S8S
■ n messo ribaldo tornò più presto che il suo padrone con se l'aspet-
tasse, con la risposta d'Egidio: che l'imiM'esa era beile e sicura; gli
ri man&sae sabito una carrozza, con due o tre bravi ben travisati; e
Ini prradeva la cura di tutto il resto , e guiderebbe la cosa. A que-
sl' anDonzio , rinnomioato, comunque stesse di dentro, diede ordine
in fretta al NibUo stesso, che disponesse lutto secondo aveva detto
Egidio, e andasse con due altri che gli nominò, alla spedizione.
Se per rendere l' orrìbile servizio die gli era slato chiesto , Egidio
avesse dovuto far conto de' soli suoi mezzi ordinari, non avrebbe cer-
tamente data COH subilo una promessa così decisa. Ma, in quell'asilo
stesso dove pareva che tutto dovesse essere ostacolo, l'atroce giovine
ave\'a un mezzo noto a lui solo; e ciò che per gli altri sarebbe stata
la maggiw difHcoItà, era strumento per lui. Noi abbiamo riferito come
la sdagurata signora desse una volta retta alle sue parole; e il lettore
può avere inteso che quella volta non fu l'ullima, non fn che un primo
passo in una strada d'abbominazione e di sangue. Quella stessa voce,
die aveva acquistato forza e, direi quasi, autorità dal delitto, le im-
pose ora il sagrìfìae dell'innocente che aveva in custodia.
La proposta riusci spaventosa a Gertrude. Perder Lucia per un caso
ìmpreveduto, senza colpa, le sarebbe parsa una sventura, una puni-
zione amara: e le veniva comandalo di privarsene con una scellerata
p«^dia, di cambiare in un nuovo rimorso un mezzo d'espiazione.
La sventurata tentò tutte le strade per esimersi dall' orrìbile comando;
tutte, fuorché la sola ch'era sicura, e che le stava pur sempre aperta
davanti. It delitto è un padrone rigido e inflessibile , contro cui non
divien forte se non chi se ne rìbella interamente. A questo Gertrude
non voleva risolversi; e ubbidì.
Era il giorno stabilito; l'ora convenuta s'avvicinava; Gertrude,
ritirata con Lucia nel suo parlatorio privato , le (aceva più carezze
dell'ordioarìo, e Lucia le riceveva e le contraccambiava eoo tenerezza
crescente: come la pecora, tremolando sènza timore sotto la mano del
pastore die la palpa e la strascina mollemente,- si v<dta a leccar quella
mano; e non sa che, fuori della stalla, l'aspetta il macellaio, a cui il
pastore l' lia venduta un momento prìma.
« Ho bisogno d' un gran servizio ; e vcm soia potete farmelo. Ho
tanta gente a' miei comandi; ma di cui mi lìdi, nessuno. Per un aOare
di grand* importanza , che vi dirò poi, lio bistro di parlar subito su-
bito con quel padre guardiano de' cappuccini die v' ha oondotla qui
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I PROMESSI SPOSI
da me, la mia povera Lucia; ma è anche necessario che nessuno sap- -
pia die riio mandalo a chiamare io. Non ho che voi per lar segreta-
mente quesl' imbasdala. »
Luda fu atterrila d'una tale richiesta; e con quella sua suggetionc,
ma senza nascondere una gran maraviglia, addusse subito, per disini'
panarsene, le ragioni che la signora doveva intendere, che avrebbe
dovute prevedere; senza la madre, senza nessuno, per una strada so-
litaria, in un paese sconosciuto — Ma Gertrude, ammaestrala a una
scota infernale, mostro-tanta maraviglia anche Ivi, e tanto dispiacere
di trovare una lai ritrosia nella persona di cui credeva poter far più
conto, figurò di trovar così vane quelle scuse! di giorno chiaro, quat-
tro passi, una strada che Lucia aveva fatta pochi giorni prima , e che,
quand'anche non l'avesse mai veduta, a insegnargliela, non la poteva
slK^iare! .... Tanto ^sse, die la poverina, commossa e punta a un
tempo, si lasciò sfuggir di bocca; « e bene; cosa devo fare? "
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XX. S8II
« Andate al conveiilo de' cappuccini : » e le descrisse la strada di
nuovo: " fate chiamare il padre guardiano, ditegli, da solo a solo,
die venga da me sidjtto subito ; ma che non dica a nessuno die sod io
die lo mando a chiamare. »
u Ma cosa dirò alla fattoressa, che non m' ha mai vista uscire, e
mi domanderà dove vo? «
" Cercale di passare senz' esser vista; e se non vi riesce, ditele
die andate alla chiesa late, dove avete promesso di fare orazione. »
Nuova difficoltà per la povera giovine: dire una bugia; ma la si-
gnora «■ mostrò di nuovo cosi afflilta delle ripulse, le fece parer cosi
brulla cosa l'anteporre un vano scrupolo alla riconoscenza, che Lucia,
sbalordita più cbe convinta, e soprattutto commossa più che mai, ri-
spose: « e bene; anderó. Dìo m'aiuli! » E si mosse.
Quando Gertrude , che dalla grata la segui\'a con l'occhio fisso e
lorbido, la vide metter piede sulla soglia, come sopraffatta da un sen-
limento irresistibile, apri la bocca, e disse: u sentite, Lucia! »
Questa si voltò , e tornò verso la grata. Ma già un altro pensiero ,
un pensiero avvezzo a predominare, aveva vìnto di nuovo nella meiile
sdagurata di Gertrude. Facendo le ^iste di non esser contenla dell'istru-
zioni già date, spiegò di nuovo a Lucia la strada che do^'e^'a tenere,
e la licenziò dicendo: ufate ogni cosa come v'ho detto, e tornale pre-
sto. » Lucia parti.
Passò inosservata la porta del chiostro, prese la strada , con gli occhi
bassi, rasente al muro; trovò, con l'indicazioni avute e con le pro-
prie rimembranze, la porla del borgo, n'uscì, andò tutta raccoUa e
un po' tremante , per la strada maestra, arrivò in pochi momenli a
quella che conduceva al convento; e la riconobbe. Quella strada era,
ed è tutt'ora, afl'ondata, a guisa d'un Ietto di fiume, tra due alle
rive orlate di macchie, che vi forman sopra una specie di volta. Lucia,
entrandovi, e vedendola affatto solitaria, sentì crescere la paura, e al-
lungava il passo; ma poco dopo si rincorò alquanto, nel vedere una
carrozza da viag^'o ferma, e accanto a quella, davanti allo sportello
aperto, due viaggiatori die guardavano in qua e in là, come in-
certi della strada. Andando avanti, sentì uno di que' due, che' dice-
va: « ecco una buona giovine die e' insegnerà la strada. » Infatti,
quando fu arrivata alla carrozza, quel medesimo, con un fare più gen-
tile die non fosse l'aspetto, si voltò, e disse: « quella giovine, d sa-
preste insegnar la strada di Monza ? »
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I ritoiESSi SPOSI.
u Andando di li, vanno a rovescio, » rispondeva la poverina:
u Monza è di (|ua. ...» e sì voltava, per accennar col dito; quando
l'altro compagno (era il Nibbio), alTen-anctola d'improvviso per la vita,
l'alza da lena. Lucia girò la testa iniliciro atterrita, e cacciò un urto;
il malandrino la mise per forza nella carrozza: uno cbe slava a sedere
davanti, la prese e la cacciò, per quanto Id si divincolasse e strìdesse,
a sedere dirimpetto a sé: un altro, metlendolc un fazzoletto alla bocca,
le chiuse il grido in gola. In tanto il Nitdiio entrò presto presto anche
lui nella carrozzai lo sportello si chiuse, e la carrozza parli di carrÌCTa.
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CAPITOLO XX 307
L'aHro die le aveva fatta quella domanda traditora, rimasto nella strada,
diede un'occhiaia in qua e in là , per veder se fosse accorso qùalche-
duno agli urli di Lucia: non c'era nessuno; saltò sur una riva, attac-
candosi a un albero della macchia, e disparve. Era costui uno sgherro
d'Egidio; era slato, facendo l'indiano, sulla porta del suo padrone,
per veder quando Lucìa usciva dal monastero; l'aveva osservala bene,
per poterla riconoscere; ed era corso per una scorciatoia, ad aspettarla
al posto convenuto.
Chi potrà ora descrivere il terrore, l'angoscia di costei, esprimere
dò che passava nel suo animo? Spalancava gli occhi spaventati, per
ansietà di conoscere la sua orrìbile situazione, e li richiudeva subito,
per il ribrezzo e per il terrore di que' visacci : si 5torce^'a , ma era
tenuta da tutte le parli : raccoglieva tutte le sue forze , e dava delle
stratte, per buttarsi ^erso lo sportello; ma due braccia nerboruta la
tenevano come conficcala nel fóndo della carrozza; quattro altre ma-
nacce ve l'appuntellavano^ Ogiii volta che aprisse la bocca per cacciare
un urlo, il fazzoletto veniva a solTogargiielo in gola, fntanto tre bocche
d'inferuo, con la voce più umana che sapessero formare, andavan ri-
petendo: "zitla, zitta, non abbiate paura , non vogliamo farvi male, n
Dopo qualche momento d'una lolla così angosciosa, parve che s'acquìe- .
tasse; allentò le braccia, lasciò rader la testa airindielroì alzò .a stento
le palpebre, tenendo l'occhio immobile; e quegli orridi visacci' che le
slavàn davanti le parvero confoiidersi e òndéggìai'e insioine in un me-
scuglio mostruoso: le fuggì il colore dal viso';' un sudor freddo glielo
coprì; s'abbandonò, e svenne.
» Su,su, coraggio, » diceva il Nibbio.^» Ccraggio, coraggio, » ripete-
vau gli altri due. birboni ;.ma lo smarrimento d'ogni sènso preservava
in quel momento Lucia dal sentire i conforti di quelle orl'ibili' vóci. .
« Diavolo! par morta,» disse uno di coloro: « se fosse moria dav^'e^o? »
« Oh ! morta! n disse l'altro : " è uno di quegli svenimenti die ven-
gono alle donne. Io so che, quando ho voluto mandare all'altro mondo
qualcheduno, uomo o donna die fosse , e' è voluto altro, n
« Via! n disse il Nibbio: " attenti al vostro dovere, e non andate
a cercar altro. Tirate fuori dalla cassetla i tromboni, e lenetdi pronti ;
che in questo Ixisco dove s'entra ora, c'è sempre de'birbonì annidati.
Non cosi in mano, diavolo! riponeteli dieiro le spalle, lì slesi: non
vedete che costei è un puldn bagnato che basisce per nulla? Se vede
anni, è capace di morir davvero. E quando sarà rinvenuta, badate
d.y Google
san I PROMESSI SPOSI.
bene di non Tarle paura; dod la toccate, se non vi fo segno; atenerìa
basto io. E zitti : lasciale parlare a me. n
Intanto la carrozza, andando sempre di corsa, s'era inoltrata nd bosco.
Dopo qualche tempo, la povera Lucia cominciò a risentirsi, oome
da un sonno profondo e affannoso, e apri gli occhi. Penò alquanto a
distinguere gli spaventosi oggetti che la circondavano, a raccogliere !
suoi pensieri : alfine comprese di nuovo la sua terribile sitaazwoe. U
primo uso che fece delle poche forze ritornatele, fu dì buttarsi ancora
verso lo sportello, per slanciarsi fuori; ma fu ritenuta, e non potè che
vedere un momento la solitudine selvaggia del luogo per cui passava.
Cacciò di nuovo un urlo; ma il Nibbio, alzando la manaccia col fazzo-
letto, « via, » le disse, più dolcemente che potè; « stale zitta, dw
sarà meglio per voi: non vogliamo farvi male; ma se nonistate ziUa,
vi faremo star noi. »
« Lasciatemi andare! Chi siete voi? Dove mi conducete? Perchè
m'avete presa? Lasciatemi andare, lasciatemi andare! »
u Vi dico che non abbiate paura : non siete una bambina, e dovete
capire che noi non vogliamo farvi male. Non vedete che avremmo po-
tuto ammazzarvi cento volte, se avessimo cattive intenzioni? Dunque
slate quieta. »
t No, no, lasciatemi andare per la mia strada: io non vi conosco. »
« Vi conosciamo noi. »
t Oh santissima Vetrine! come mi conoscele? Lasciatemi andare,
per carità. Chi siete voi? Perchè m'avete presa? »
« Perchè c'è stato comandato. «
u Chi? chi? chi ve lo può aver comandato? »
" Zitta ! » disse con un visaccio severo il Nibbio : « a noi mm sì
fa di -codeste domande. »
Luda tentò un'altra volta di buttarsi d'improvviso allo sportello;
ma vedendo ch'era inutile, ricorse di nuovo alle preghiere; e con la testa
bassa, con le gote irrigate di lacrime, con la voce interrotta dal pianto,
con le mani giunte dinanzi die labbra, « oh! » diceva: « per l'amor
di Dio, e della Vergine santissima, lasciatemi andare! Cosa v'Ito fatto
di male io? Sono una povera creatura die non v'ha fallo niente. Quella
die m' avete fatto voi , ve lo perdono di cuore ; e pregherò Dio per
voi. Se avete anche voi una fìglia, una moglie, una madre, pensate
quello che patirebbero , se fossero in questo stato. Ricordatevi che dd><
biamo morir tutti, e che im giorno desidererete die Dio vi usi mise-
,y Google
CAPITOLO XX. 3S«
rieordia. Lasdatom andare, lasciatemi qui: il Signore mi farà Iroyar
la mia strada. »
« Non possiamo. "
« Non potete? Oh Signore! perchè non potete? Dove votele con-
danni? Perdiè. . . . ?»
e Non possiamo: è inutile: non aU)iate paura, che non vogliamo
farvi male: stale quieta, e nessuno vi toccherà. »
Accorata, affannata , atterrìla sempre più nel vedere che le sue pa-
role non facevano nessun colpo, Lucia si rivolse a Colui che tiene in
mano il cuore degli uomini, e può, quando voglia, intenerire i più duri.
Si strìnse il più che potè, nel canto della carrozza, mise le braccia in
croce sid petto, e pregò qualche tempo con la mente; poi, tirala fuorì
la corona, cominciò a dire il rosario, con più fede e con più affetto
che non avesse ancor fatto in vita sua. Ogni tanto, sperando d'avere
impetrala la misericordia die implorava, si voltava a ripregar coloro;
ma sempre inutilmente. Poi ricadeva ancora senza sentimenti, poi si
riaveva di nuovo, per rivivere a nuove angosce. Ma ormai non ci regge
il cuore a descriverle più a lungo: una pietà troppo dolorosa ci affretta
al termine di quel via^o, che durò più di quatlr'ore; e dopo il quale
avremo altre ore angosciose da passare. Trasportiamoci al castello dove
fìofelice era aspettata.
Era aspettata dall'innominato, con un'inquietudine, con una ao-
spension d' animo insolita. Cosa strana ! quetl' uomo che , aveva di-
sposto a sangue freddo di tante vite, che in tanti suoi fatti non a^eva
contalo per nulla i dolori da lui cagionati , se non qualche volta per
assaporare in essi una selvaggia voluttà di vendetta, ora, nel metter
le mani addosso a quesla sconosciuta, a quvsta povera contadina, sen-
tiva come un ribrezzo, direi quasi un terrore. Da un'alta finestra del
suo caslellaccio, guardava da qualche tempo verso uno sbocco della
valle; ed ecco puntar la carrozza, e venire innanzi lentamente: per-
chè quel primo andar dì carriera aveva consumata la foga , e domate
le forze de' cavalli. E benché, dal punto dove stava a guardare, la non
paresse più che una di quelle carrozzine che si danno per balocco ai
fanciulli, la riconobbe subito, e si senti il cuore batter più forte.
— Ci sarà? — pensò subilo; e continuava tra sé: — che noiamì
dà costei ! Liberiamocene. —
E videva chiamare uno de' suoi sgherri , e spedirlo subito incontro
alla carrozza, a ordinare ti Nibbio che voltasse, e conducesse colei al
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I PROMESSI SPOSI
palazzo di don Rodrigo. Ma un tto imperioso die risonò nella sua men-
te, fece svanire quel disegno. Tormentato però dal bisogno di dar qual-
che ordine, riuscendogli intollerabile lo slare aspettando oziosamente
(piel)a carrozza che veniva avanti passo passo, come un tradimento,
che so io ? come un gastigo, fece chiamare una sua vecchia donna.
Era costei nata in quello stesso caslcllo, da un antico custode dì
esso , e aveva passala li tutta la sua vita. Ciò che aveva veduto e
sentito (in dalle Tasce, le aveva impresso nella mente un concetto ma-
gnifico e terribile del potere de' suoi padroni; e la massima principale
che aveva alUnla dall' istruzioni e dagli esempi , era che bisognava
ubbidirli in ogni cosa, perché potevano far del gran male e del gran
bene. L'idea del dovere, deposta come un germe nel cuore di tutti
gli uomini, svolgendosi nel suo, insieme co' sentimenti d'un rispello,
d'un terrore, d'una cupidigia servile, s'era associata e adattala a quelli.
Quando l'innominato, divenuto padrone, comiociòafar queir usospa-
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CAPITOLO XX. S9I
tenlevole della sua forza, ooslei ne provò da principro un certo ri-
brezzo insieme, e un senlimento più profondo di sommissioDe. Col
tempo, s'era avvezzala a ciò che aveva tuUo il giorno davanti agli oc-
chi e negli orecchi: la volontà potente e sfrenata d'un cosi gran si-
gnore, era per lei come una specie di giustizia fatalo. Ragazza già fatta,
ave^a sposato un servìlor di casa, il quale, poco dopo, essendo andato
a una spedizione rischiosa, lasciò l'ossa sur una strada, e lei vedova nel
castello. La vendetta che il signore ne fece subito, le diede ima conso-
lazicne feroce , e le accrebbe 1' orgoglio dì trovarsi sotto una tal pro-
tezione. D'allorainpoi, non mise piede fuor del castello, che molto di
rado; e a poco a poco non le rimase del vivere umano quasi altre
idee salvo quelle che ne riceveva in quel luogo. Non era addetta ad
alcun servizio particolare, ma, in quella masnada di sgherri , ora l'uno
ora l'altro, le davan da fare ogni poco; ch'era il suo rodimento. Ora
aveva cenci da rattoppare, ora da preparare io fretta da mangiare a
chi tornasse da una spedizione , ora feriti da medicare. I comandi poi
di coloro, i rimproveri, i ringraziamenti, eran eonditi di beffe e d'im-
properi: vecchia, era il suo appellativo usuale; gli aggiunti, che qual-
cheduBo sempre ci se n'attaccava, variavano secondo le circostanze e
l'um(H% dell'amico. E colei, disturbata nella pigrizia, e provocata nella
stizza, eh'eraoo due d^le sue passioni predominanti, contraccam-
biava alle volle que* complimenti con parole, in cui Satana avrebbe
riconosciuto più del suo ingegno, che in quelle de' provocatori.
« Tu vedi laggiù quella carrozza ! n le disse il signore.
1 La vedo, » rispose la vecchia, cacciando avanti il mento appim-
)alo, e aguzzando gli occhi infossati, come se cercasse di spingerli su
gli orli dell'occhiaie.
u Fa allestir subilo una bussola, entraci, e fatti portare alla Mala-
nolle. Subilo subito; che tu ci arrivi prima di quella carrozza: già la
viene avanti col passo della morie. In quella carrozza c'è... d dev'es-
sere... una giovine. Se c'è, dì al Nibbio, in mio nome, che la metta
nella bussola, e lui venga su subito da me. Tu starai nella bussola,
con quella... giovine; e quando sarete quassù, la condurrai nella tua
camera. Se li domanda dove la meni, di chi è il castello, guarda di
non »
a Oh! "disse la vecchia.
u Ma, " continuò l'innominato, " falle coraggio, n
" Cosa le devo dire ? »
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sn I HtoitEsei SPOSI
li Cosa le devi dire? Falle coraf^io, ti dico. Tu sei venuta a co-
désla eia, senza sapere comesi fa coraggio a una creatura, quando
si vuole! Hai tu mai sentilo àRanno di cuore? Hai tu raaiiavuto pmva?
Non sai le parole che fanno piacere in que' momenli ? Dille di quelle
parole : trovale, alla malora. Va. »
E parlila che fu, sì fermA alquanto alla finestra, con gli occhi fissi
a quella carrozza, die già appariva più grande di molto; poi gli alzò
al sole, che in quel momento si nascondeva dietro la montagna; poi
guardò le nuvole sparse al di sopra, che di brune si fecero , qua^ a
un tratto, di fuoco. Si ritirò, chiuse la finestra, e si mise a camini*
nare innanzi e indietro per la stanza, con un passo di viaggiatore
frettoloso.
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CAPrroLO XXI.
a era corsa a
e a comandare,
itorìtà di quel
;, da chiunque
lunziatoinquel
faceva spicciar
rcbè a neasu»
'a in testa che
uno tanto ar-
servìrsene fal-
Si trovò infatti
alla Malanolte un po' prima che la carrozza ci arrivasse; e vistala ve-
nire, uscì di bussola, fece segno al cocchiere che fermasse, s'avvicinò
allo ^Mirtello*, e al Nibbio, che mise il capo fuori, riferi sottovoce gli
ordini del padrone.
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S»l 1 PROMESSI SPOSI
Lucia, al fermarsi della carrozza, si scosse, e rinvenne da una spe-
cie di letargo. Si senli da capo rimescolare il sangue, spalancò la bocca
e gli occhi, e guardò. Il Nibbio s'era tiralo intUetro; e la vecchia, ed
mento sullo sportello, guardando Lucia, diceva: «venite, la mia gio-
vine; venite, poverina; venite con me, cbe ho ordine di trattarvi bene
e di farvi coraggio. •>
Al suono d' una voce dì donna, la poverina provò un conforto, un
coraggio momentaneo ; ma ricadde subito in uno spavento più cupo.
t Chi siete? n disse con voce tremante, fissando lo sguardo attonito
in viso alla vecchia.
" Venite, venite, po\'erina, « andava questa ripetendo. Il NÌW*io e
gli altri due , argomentando dalle parole e dalla voce co« straordina-
riamente raddolcita di colei, quali fossero l'intenzioni del signore, cer-
cavano di persuader con le buone l'oppressa a ubbidire. Ma lei segui-
tava a guardar fuori; e bcndiè il luogo selvaggio e sconosciuto , e la
sicurezza de' suoi guardiani non fé lasciassero concepire speranza di
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CAPITOLO XXI. IM
soccorso , apriva non ostante la bocca per gridare ; ma vedendo Ìl
Nibbio tu- gli occhiacci del fozzolelfo, ritenne il grido, Iremo, si stor-
se, fu presa e messa nella bussola. Dopo, c'entrò la vecchia; il Nibbio
Asse ai due altri manigoldi che andassero dietro, e prese 8|>edita-
laente la salita , per accorrere ai comandi del padrone.
« CU siete? 1 domandava con ansietà Lucia al ceffo soonosdulo e
deforme: ". perché son con voi? dove sono? dove mì eotiducele? »
•■ Da chi vuol farvi del bene, " rispondeva la vecchia, " da un
gran .... Fortunati quelli a cui vuol far del bene 1 Buon per voi, buon
per voi. Non abbiate paura, slate allegra, ctiè m' lia comandato di forvi
corallo. Glielo direte, eh? che v'ho Tatto coraggio? »
B Chi e? perehè? che vuol da me? Io non son sua. Ditemi dove
sono; lasciatemi andare; ^le a costoro che mi lascino andare, che mi
portino in qualche chiesa. Oh! voi che siete una donna, in nome di
Maria Verone ...!••
Quel nome santo e soave , già ripetuto con venerazione ne' priniT
anni, e poi non più invocato per tanto tempo, né forse sentilo profe-
rire, feceva nella mente della sciagurata che lo sentiva in quel mo-
mento, un'impressione confuta, strana, lenta, come la rimembranza
della lu<% , in un vecchione accecalo da bambino.
Intanto l'innominato, ritto sulla ptfrtadtt castello, guardava ingiù;
e vedeva la bussola venir passo passo, come prima la carrozza, e avanti,
a una distanza che cresceva ogni momento, salir di corsa il Nibbio.
Quando questo fu in cima, il signore gli accennò che lo seguisse; e
andò con lui in una stanza del castello.
« Ebbene? » disse, fermandosi lì.
« Tutto a un puntino, « rispose, inchinandosi, il Nibbio: •> l'avviso
a tempo, la donna a tempo, nessuno sul luogo, un urlo solo, nessuno
0(Hnpar80, il cocchiere pronto, i cavalli bravi, nessun incontro: ma... n
u Ma che? »
« Ma dico il vero, che a^Tcì avuto più piacere che l'ordine
fosse slato di darle una schioppettata nella schiena , senza sentirla par-
lare, senza vederla in viso. »
« Cosa? cosa? che vuoi tu dire? »
" Voglio dire che tutto quel tempo, lutto quel tempo .... M'ha
fatto troppa compassione, n
- Compassione! Che sai tu di compassione? Cos'è la compassione?»
« Non l'bo mai capilo così l>ene come questa volla: è una storia
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IH I rROMESSl SPOSI
la compassione aa poco come la paura: se uno la lascia prender pos-
sesso, non è più uomo. »
u Seotiamo un poco come ba fatto cosici per moverli a compas-
sione. 1
e O signore illustrissimo ! tanto tempo .... ! piangere, pregare, e
U/e ceri' occhi, e diventar bianca bianca come morta, e poi singhioz-
zare , e pregar di nuovo , e certe parole . . . . n
— Non la voglio in casa costei , — pensava intanto 1* innominalo. —
Sono stato una bestia a impegnarmi; ma ho prinnesso, bo promesso.
Quando sarà lontana .... — E alzando la lesla, in atto di comando,
verso il Nibbio, » ora, » gli disse, << metti da parte la compassione:
monta a cavallo, prendi un compagno, due se vuoi; e va di eorsa a
casa di quel don Rodrigo ebe tu sai. Digli che mandi .... ma subito
subito, perdiè altrimenti "
Ma un altro no interno più imperioso del primo gli proibì di 6DÌre.
u No, » disse con voce risoluta, quasi per esprimere a sé stesso il
comando di quella voce segreta, « no: va a riposarli; e d<HDattÌna
Tarai quello che ti dirò! ••
— Un qualche demonio ha costei dalla sua, — pensava poi, ri-
masto solo, ritto, con le braccia incrociate sul petto, e con losguardo
ìmmolMle sur una parte del pavimento, dove il raggio della luna, en-
trando da una finestra aita, disegnava un quadrato di luce pallida,
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CAPITOLO XXI. Uf
l^ata a scacchi dalle grosse iofeirìale, e ialagliata più minulamente
dai piccoli compartimenti delle vetriale. Un qualche demonio, o
un qualche angelo che la protegge Compassione al Nibbio!
Domattina, domattina di buon'ora, fuor di qui costei; al suo destino,
e non se ne parìi più, e, — proseguiva tra sé, con quell'animo con
eni si comanda a un ragazzo indocile, sapendo che non ubbidirà, ■ —
e non ci si pensi più. Quell'animale di don Rodrigo non mi venga a
romper la testa con ringraziamenti ; che .... non voglio più sentir
parlv di costei. L' ho servilo perchè .... perchè ho promesso : e ho
promesso perchè.... è il mio destino. Ma voglio die me lo paghi beae
questo servino, colui. Vediamo un poco .... —
E v<rieva almanaccare cosa avrebbe potuto richiedergli di scabroso,
per compenso, e quasi per pena; ma gli sì allraversaron dì nuovo
aDa mente quelle parole : compassione al Nibbio! — Come può aver
btlo costei? — continuava, strascinato da quei pensiero. — Voglio
vederla .... Eh! no ... . Si , voglio vederia.
E d'ima stanza -in un'altra, trovò una scaletta, e su a tastone, andò
«Ila camera della vecchia, e picchiò all'uscio con un calcio.
- Chi è? "
" Aprì. »
A quella voce, la vecchia fece Ire salti; e subito si sentì scoirere
il paletto negli anelli, e l'uscio si spalancò. L' innominato, dalla soglia,
diede Un'occhiata in giro; e, al lume d'una lucerna àie ardeva sur un
tavolino , vide Lucia rannicchiala io terra , nel canto il più lontano
dall' uscio.
« Chi t'ha detto che tu la buttassi là come un sacco di cenci, scia-
gorata? » disse alla vecchia, con un cipiglio iracondo.
« S' è messa dove le è piaciuto , » rispose umilmente colei : « io
ho fatto di tutto per forle coraggio ; lo può dire anche lei; ma non
tfè stato verso. »
e Alzatevi, » disse l'innominato a Lucia, andandole vicino. Ma Lu-
cia, a cui il picchiare, l'aprire, il comparir di quell'uomo, le sue pa-
role, avevan messo un nuovo spavento nell'animo spaventalo, stava
più che mai raggomitolata net cantuccio, col viso nascosto tra ternani,
e non movendosi, se non che tremava tutta.
« Aitatevi , che non voglio farvi del male e posso farvi del
bene, « ripetè il signore.... u Alzatevi! » tonò poi quella voce,
sdegnala d'aver due volte comandalo invano.
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SOB I rROUGSSI SPOSI
Come riavigoriU dallo spavento, l' infelicissima si rizzò subilo ingt-
nocchioni; e giungendo le mani, come avrebbe btto davanti a un'im-
magine, alzò gli occhi in viso all' innomìiiato, e riabbassandoli subilo,
disse: « son qui : m'ammazzi. »
u V ho detto che non voglio farvi del male, » rispose, con voce
mitigala, l'innominato, rissando quel viso turbato dall' accoramento e
da) (errore.
» Cor^gio, coraggio, » diceva la vecchia: u se ve lo dice lui, che
non vuol farvi del male .... »
K E perche, » riprese Lucia con una voce, in cui, col tremito della
paura , sì sentiva una certa scurezza dell' indegnazione disperata ,
1 perché mi fa patire Io pene dell'inferno? Cosa le ho fatto io?....«
I
' V'hanno (órse mallrattata? Parlale. » ;
' Oh maltrallata! M'hanno presa a tradimento, per forza! perché?
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CAPITOLO XXI. 3M
perchè m'hanno presa? perchè son qui? dove sono? Sono ima povera
creatura: cosa le bo fatto? In nome di Dio . . ..»
-Dio, Dio, » interruppe l'innominato: «sempre Dio: eolorochenon
possono difendersi da se, che non hanno la forza, sempre bao questo
Dio da mettere in campo, come se gli avessero parlato. Cosa preten-
dete con codesta vostra parola? Di farmi ?» e lasciò la frase a
■ Oh Signore! pretendere! Cosa posso pretendere io meschina, se
non che lei mi usi misericordia? Dio perdona lanle còse, perun'opera
di misericordia! Mi lasci andare; per carità mi lasci andare I Non torna
owto a uno che un giorno deve morire di t&r patir tanto una povera
crealara. Oh ! lei che può comandare , dica che mi lascino andare !
M' hanno portata qui per forza. Mi mandi con questa donna a * * " ,
dov' è mia madre. Oh Vergine santissima ! mia madre ! mìa madre ,
per carità , mia madre I Forse non è lontana di qui .... bo veduto i
miei monti! Perchè lei mi fa patire? Mi faccia condurre in una chiesa..
Pregherò per lei,* tutta la mia vita. Cosa te cosla dire unai parata? Oli
eoeo! vedo -ohe si move a cempassione: dica una pdrida, la^dica. Dio
perdona faste cose, per im' opera dì mteerieordial »
T— Oh penéè non .è figlia d'uno dì que'oani olie m'hanno bandi-
to! — pensava l'innominato: — d" uno -di ^ue' vili che mi vorreh-
ber&.iB(u4o1 dte «n gedrei dì ffueslo-suo strillare; e in voce: '. .• —
> Non iscacci una buona ispiraeione ! « proeeguiva fervidamente
Lucia , rianimata dal vedere una cert' aria d' esitazione nel viso e nel
conteso del suo tiranno, u Se let non mi fa questa carità, me la farà
il Signore: mi farà morire, e per me sarà finita; ma lei!.... Forseun
giorno anebe lei ... . Ma no, no; pregherò sempre io il' Signore che
la preservi da 4^ni male. Cosa le cosla dire una parola? Se provasse
lei a patir queste pene ....!»
u Via, fatevi-coraggio, » interruppe l'innominato, con una dolcezza
che fece strasecolar la vecchia, x V'ho fatto nessun male? V'ho mi-
nacciala ? "'
u Oh no! Vedo che lei ha buon cuore, e che sente pietà dì questa
povera creatura. Se lei volesse, potrebbe farmi paura più di lutti gli
altri, potrebbe farmi morire; e in vece mi ha. . . . un po' allargato il
cuore. Dio gliene renderà merito. Compisca l'opera dì misericordia:
mi liberi, mi liberi, n
« Domattina »-
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4M I PROUESSI SPOSI.
H Oh mi liberi ora , subito ....<•
H DomaltiDa ci rivedremo, vi tUeo. Via, intanto fatevi coraggio.
Riposale. Dovete aver bisogno di mangiare. Ora ve ne porteranno. i
1 No, no; io moie se alcuno entra qui: io moie. Mi conduca lei in
chiesa que' passi Dio glieli conteri. »
K Verrà una donna a portarvi da mangiare, n disse l' inoominato;
e dettolo, rimase stupito anche lui che gir fosse venuto in mente un
tal ripiego, e che gli fosse nato il bisogno di cercarne uno, per rassi-
curare una donnicciola.
- E tu, » riprese poi subito, voltandosi alla vecchia, « falle corag-
gio che mangi; mettila a dormire in questo lello: e se ti vuole in
compagnia, bene; altrimenti, tu puoi ben dormire una notte in terra.
Falle coraggio , li dico ; tienla allegra. G che non ablua a lameot»^
di te! »
Così detto, sì mosse rapidamente verso l'uscio. Lucia s'alzò e oone
per trattenerlo, e rinnovare la sua preghiera; ma era sparilo.
« Oh povera me ! Chiudete, chiudete subito. » E- sentito ch'eUie
accostare i battenti e scorrere il paletto, tornò a rannicchiarsi nel soo
cantuccio. •• Oh povera me! » esclamò dì nuovo singhiozzando: -dii
pregherò ora? Dove sodo? Ditemi voi, ditemi per carità, chi è quei
signore .... quello che m' ha parlalo ? »
•■ Chi è, eh? chi è? Volete eh' io ve lo dica. Aspetta eh' io le lo dica.
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CAPITOLO XXI. mi
Perchè vi protegge , avete messo su superbia ; e vedete esser sod-
disfetta voi , e farne andar di mezzo me. Domandatene a lui. S'io vi
contentassi anche in questo, non mi toccherebbe di quelle buone p»
rote che avete sentile voi. » — Io son veocbb, son veccbia, -=- con-
tinuò, mormorando Ira i denti. — Maledette le giovani, che fonno bel
vedere a piangere e a ridere , e hanno sempre ragione. — ' Ha sen-
tendo Luda singhiozzare, e lomand(de minaccioso alla mente il- co-
mando del padrone , si chinò verso la povera rincantucciata , e, con
voce raddolcita, riprese: " via, non v' ho detto niente di male: slate
allegra. Non mi domandate di quelle cose che non vi posso dire ; e
del resto , state di buon animo. Oh se sapeste quanta gente sarebbe
contenta di sentirlo parlare come ha parìalo a voi ! State allegra, die
or ora verrà da mangiare ; e io che capisco .... nella maniera die
v" ha parlato, d sarà della roba buona. E poi onderete a Ietto, e . . . .
mi tascerele un cantueduo anche a me, spero, » soggiunse, con una
voce, suo malgrado, stizzosa.
u Non v<^ìo mangiare, non voglio dormire. Lasdatemi stare; non
v'accostale; non partite di qui! »
u No, no, via, n disse la vecchia, ritirandosi, e mettendosi a sedere
sur una seggiolacda, donde dava alla poverina certe occhiate di ter-
rare e d'astio insieme; e poi guardava il suo covo, rodendosi d'esserne
forse esdusa per tutta la notte, e brontolando contro il freddo. Ma si
raUegrava col pensiero della cena, e con la speranza che ce ne sarebbe
auche per lei. Lucia non s'avvedeva del freddo, non sentiva la fame, e
come sbalordita, non aveva de' suoi dolori, de' suoi terrori stessi, che un
sentimento confuso, simile all' immagini scenate da un febbrìdtante
Si riscosse quando senti picdiiare; e, alzando la facda atterrita, gridò:
« ehi è? ehi è? Non venga nessuno! "
" Nulla, nulla; buone nuove, n disse la vecchia : « è Marta che
porla da mangiare. »
« Chiudete , chiudete ! » gridava Lucìa.
« Ih! subito, subilo, « rispondeva la' vecchia; e presa una paniera
dalle mani di quella Marta, la mandò via, rìdiìine^'e venne a posarU
panio^ sur-'Una tavola nel me^o della- camera. Invitò poi più volle
Lucia che venisse a goder di qtielià buona roba. Acbpreva le paròle più
eflScad, secondo lei, a mettere appetito alla poverina, prorompeva in
esdamazioDi sulla squisitezza de' dbi : « di que' bocconi die, quando
le persone come noi possono arrivare a assaggiarne, se ne ricordan per
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tin I PROMESSI SPOSI
UH pezEO ! Del vino che beve il padrone co' suoi amid .... quando
capila qualchedano di quelli ... ! e vogliono ^re allegri! Ehm! » Ma
vedendo cbe tulli gì' ìneantì riuseivano inutSi , » siete voi die non
volete, » disse. •> Non istale poi a dìi^i domani cli'ìo non v' ho follo
coraggio. Mangerò io; e ne restcHi più cbe abbastanza per voi, per
quando metterete giudìeio, e vorrete ubbidire, n Cosi detto, si mise a
mangiare avidamente. Saziata che fu, s'alzò, andò verso il cantuccio,
e, chinandosi sopra Lucia, l'invitò di nuovo a mangiare, per andar poi
a Ietto.
" No, no, non vo^ìo nulla, » rispose questa, con voce fiacca e
cerne sonnolenta. Poi, con più risolutezza, riprese: u è sfrato l'usdo?
é serrato bene? » E dopo aver guardato in giro per la camera, s'alzò,
e, con le mani avanti, con passo sospettoso, andava verso quella parte.
La vecchia ci corse prima di lei, stese la mano al paletto, lo scosse,
e disse: « sentite? vedete? è serrato bene? siete contenta ora? »
" Oh contenta ! contenta io qui i n disse Lucia , rimettendosi di
nuovo nel suo cantuccio, u Ma il Signore lo sa che ci sono! i
« Venite a letto: cosa volete far li, accucciala come un cane? S'è
mai visto rifiutare i comodi , quando sì possono avere ? »
« No, no; lasdatemi slare. "
« Siete voi che lo volete. Ecco, io vi lascio il posto buono: mi mello
sulla sponda; starò incomoda per voi. Se volete venire a letto, sapete
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CAPITOLO XXI. *o:i
come avete a fare. lUcordateii che v'ho pregata più volte. » Cosi di-
cendo, sì cacciò sotto vestita; e tutto tacque.
Lucia slava immobile in quel cantuccio, tutta in un gomitolo, con
le ginocchia alzate, con le mani appoggiate sulle ginocchia, e col viso
nascosto nelle mani. Non era il suo, né sonno né veglia, ma una rapida
successione, una torbida vicenda di pensieri, d'immaginazioni, di spa-
venti. Ora, più presente a sé stessa, e rammentandosi più disUnta-
menle gli orrori veduti e sofferti in quella giornata, s'applicava dolo-
rosamente alle circostanze dell' oscura e formidabile realtà in cui si
trovava avviluppata ; ora la mente , trasportata in una regione ancor
più oscura, si dibatteva contro i fantasmi nati dall' incertezza e dal
terrore. Stette un pezzo in quest'angoscia; alRne, più che mai slanca
e abbattuta, stese le membra intormentite, si sdraiò, o cadde sdraiata,
e rimase alquanto in uno stalo più somigliante a un sonno vero. Ma
tult' a un tratto si risenti, come a una chiamala interna, e provò il
bisogno di risentirsi interamente, di riaver lutto il suo pensiero, di
conoscere do%'C fosse, come, perchè. Tese l'orecchio a un suono; era
il russare lento, arranlolato della vecchia; spalancò gli occhi, e vide
un chiarore fioco apparire e sparire a vicenda : era il lucignolo della
liioerna, clie, vicino a spegnersi, scoccava una luce tremola, e subilo
la ritirava, per dir così, indietro, come è il venire e l'andare dell'onda
sulla riva: e quella luce, fuggendo dagli oggetti, prima che prendes-
sero da essa rilievo e colore distinto, non rappresenlava allo sguardo
che una successione di guazzabugli. Ma ben presto le recenti impres-
sioni, ricomparendo nella mente, l'aiutarono a distinguere ciò che
appariva confuso al senso. L'infelice risv^liata riconobbe la sua prigiO'
ne: tulle le memorie dell'orribil giornata trascorsa, tutti i terrori del-
l'avvenire, l'assalirono in una volta: quella nuova quiete stessa dopo
tante agitazioni, quella specie di riposo, quell'abbandono in cui era la-
sciata , le facevano un nuovo terrore : e fu vinta da un tale affanno ,
che desiderò di morire. Ma in quel momento, si rammentò che poteva
almen pregare, e insieme con quel pensiero, le spuntò in cuore come
un' improvvisa speranza. Prese di nuovo la sua corona, e ricominciò
a dire il rosario; e, di mano in mano che la preghiera usciva dal suo
labbro tremante, il cuore sentiva crescere una fiducia indeterminala.
Tutt'a un tratto, le passò per la mente un altro pensiero: che la sua
orazione sarebbe stata più accetta e più certamente esaudita, quando,
nella sua desolazione, bcesse anche qualche otTerta. Si ricordò di
Digit,z(=d 'yGoOgle
401 I PR0MR88I SPOSI
«|ueIto che aveva di più caro, o che di più caro aveva avuto; giacché,
in quel momenlo, l'animo suo non poteva sentire altra affezione che di
spavento, né concepire altro desiderio die della lìlieraEione; se ne ri-
cordò, e risolvette subito di farne un sacrifìsio. S'alzò, e si mise in
ginocchio , e tenendo giunte al petto le mani , dalle quali pendeva la
corona, alzò il viso e le pupille al cielo, e disse: •■ o Vergine sanUs-
sima! Voi, a eui mi sono raccomandala fante volle, e che tante volle
in' avete consolata ! Voi die avole patito tanti dolori , e siete ora tanto
gloriosa, e avete fatti tanti miracoli per i poveri tribolati; aiulatemi!
fatemi uscire da questo pericolo, fatemi tornar salva c«i mia madre,
Madre del Signore; e fo voto a voi di rimaner vergine; rinunziò per
sempre a quel mìo povH%tto, per non esser mai d'altri che vostra, n
Proferite queste parole, abbassò la testa, esì mbe la corona intomo
al collo, quasi come un segno di consacrazione, e una salvaguardia a
un tempo, come un'armatura della nuova milizia a cui s'era ascritta.
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CAPITOLO XXI. 40tt
Rimessasi a sedere ìd terra, senti entrar nell'animo una certa tranquil-
lila, una più larga fiducia. Le venne in mente quel domattina ripe-
luto dallo sconosciuto polente , e le parve di sentire in quella parola
una promessa di salvaisione. I sensi alTaticatJ da lauta gueira s'assopi-
rono a poco a poco in queir acquietamenlo di pensieri: e Gnalmenle,
già viciuo a giorno, col nome della sua protettrice tronco Ira le lab-
bra, Lucia s'addormentò d'un sonno perfetto e continuo.
Ma c'era qualcbedun altro in quello stesso castello, che avrebbe
voluto tare altrellanlo, e non potè mai. Partito, o quasi scappato da
Lucia, dato l'ordine per la cena di lei, fatta una consueta visita a certi
posti del castello, sempre con quell'immagine viva nella menle, e con
quelle parole risonanti all'orecchio, il signore s'era andato a cacciare
in camera, s'era chiuso dentro in fretla e in furia, come se avesse
avuto a trincerarsi contro una squadra di nemici; e spogliatosi, pure
in furia, era andato a letto. Ma quell' iounagine, più che mai presente,
|>arve che in quel momento gli dicesse: tu non dormirai. — Gbe
sciocca curiosità da donnicciola, — pensava, — m'è venula di ve-
derla? Ha ragione quel bestione del Nibbio; uno non é più uomo;
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to« I raouEssi SPOSI.
ù vero, non è più uomo ! . . . Io ?.. . io non sor più uomo^ io? Cott' è
shito? che diavolo m' è venuto addosso? che e' è di nuovo? Noa lo
sapevo io prima d'ora, che le donne strillano? Strillano anche f^ uo-
mini alle volle, ({iiando non si possono rìvollare. Che diavolo! non ho
mai sentilo belar donne ? —
E qui, senza che s'affaticasse molto a rintracciare nella memoria, la
memoria da sé gli rappresentò più d'un caso in cui né preghi né la-
menti non l'avevano punto smosso dal compire le sue risoluKÌoni.Ma
la rimembranza di tali imprese, non che gli ridonasse la fermezza, die
già gli mancava, di compir questa; non che spegnesse nell'animo quella
molesta pietà; vi deslava in vece una specie di terrore, una non so
qual rabbia di pentimento. Di maniera che gli parve un sollievo il
tornare a quella prima immagine di Lucia, contro la quale aveva cer-
cato di rinfrancare il suo coraggio. — È viva costei, — pensava, —
è qui ; sono a tempo ; le posso dire : andate , rallegratevi ; posso ve-
der quel viso cambiarsi; le posso anche dire: perdonatemi .... Perdo-
natemi ? io domandar perdono ? a una donna ? io ... ! Ah , eppure l se
una parola, una parola tale mi potasse far bene, levarmi d'addosso un
\ìo' di questa diavoleria, la direi; eh! sento che la direi. A che cosa
son ridotto! Non son più uomo, non son più uomo ! ... Via! — disse
|>oi, rivoltandosi arrabbiatamente nel letto divenuto duro duro, sotto
le coperte divenute pesanti pesanti: — via! sono sciocchezze che mi
son passate per la lesta altre volte. Passo-à anctie questa. —
E per farla passare , andà cercando col pensiero qualche cosa im-
portante , qualcbeduna di quelle die solevano occuparlo fortemente ,
onde applicarvelo tutto; ma non ne trovò nessuna. Tutto gli appariva
cambiato: ciò che altre volle stimolava più fortemente i sum desidèri,
ora non aveva più nulla di desiderabile: la passione, come un cavallo
<livenulotull'a un tratto restio per un'ombra, non voleva piùaudare
avanti. Pensando all' imprese avviate e non finite, in vece d'animare al
compimento, in vece d' irritarsi degli ostacoli (die l' ira in quel momento
gli sarebbe parsa soave), sentiva una tristezza, quasi uno spavento
de' passi già fatti. Il jtempo gli s'aflaeciò davanti vóto d'ogni intento,
d'ogni occupazione, d'ogni volere, pieno soltanto di memorie intolle-
rabili; tutte l'ore somiglianti a qudla che gli |>assava cosi lenta, cosi
pesante sul capo. Sì schierava nella fantasia tutti i suoi matandrmi,
e non trovava da comandare a nessuno di loro una cosa che gj' im-
IMtrlasse; anzi l'idea di rivederli, di trovarsi tra loro, era un nuovo
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CAPITOLO XXI. 401
peso , un' idea di schifo e d' impiccio. E se volle trovare un' occupa-
uone per l' indomani , un' opera fattibile , dovette pensare die all' in-
domaai poteva lasciare in libertà quella poverina.
— La libererò , si ; appena spunta il giorno , correrò da lei , e le
dirò : andate , andate. La farò accompagnare E la promessa? e
r impégno ? e don Rodrigo ? Chi è don Rodrigo? - —
A guisa di d)i è collo da una interrogazione inaspettata e imbaraz-
zante d'un superiore, l'innominato pensò subito a rispondere a questa
cfae s'era fotta lui stesso, o piuttosto quel nuovo ^uij che cresciuto
terribilmente a un trailo, sorgeva come a giudicare l'antico. Andava
dunque cercando le ragioni per cui , prima quasi d'esser pregato, s'era
potuto risolvere a prender l'impegno di Tar tanto patire, senz'odio,
senza timore, un'infelice sconosciuta, per servire colui; ma, non che
riuscisse a trovar ragioni che in quel momento gli paressero buone
a scusare il fatto, non sapeva quasi spiegare a sé stesso come ci si
fosse indotto. Quel volere, piuttosto che una deliberazione , era slato
un movimento istantaneo dell'animo ubbidiente a sentimenti antichi ,
abituali, una conseguenza di mille fatti antecedenti; e il tormentato
esaminator di sé stesso, per rendersi ragione d'un sol fatto, si trovò
ingolfalo nell'esame di tutta la sua vita. Indietro, indietro, d'anno in
anno, d'impegno in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza
in scelleratezza: ognuna ricompariva all'animo consapevole e nuovo,
separata da' sentimenti che l'avevan fatta volere e commettere, ricom-
pariva con una mostruosità che que' sentimenti non avevano allora la-
sciato scorgere in essa. Eran tutte sue, eran lui: l'orrore di questo
pensiero, rinascente a ognuna di quell'immagini, attaccato a tutte,
crebbe fino alla disperazione. S'alzò in furia a sedere, gettò in furia
le mani alla parete accanto al letto, afferrò una pistola, la slaccò, e....
al momento di finire una vita divenula insopportabile, il suo pensiero
sorpreso da un terrore, da un'inquietudine, per dir così, superstite,
si slanciò nel tempo che pure continuerebbe a scorrere dopo la sua
fine. S'immaginava con raccapriccio il suo cadavere sformato, immo-
bile, io balia del più vile sopravvissuto; la sorpresa, la oonfosione nel
caglio, il giorno dopo: ogni cosa soltosofH>a; lui, senza forza, senza
voce , buttato chi sa dove. Immaginava i discorsi che se ne sarebber
latti lì, d'intorno, lontano, la gioia de" suoi nemici. Anche le tenebre,
andie il silenzio, gli focevan veder nella morte qualcosa di più tristo,
di spaventevole; gli pareva die non avrebbe ertalo, se fosse slato df
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I PROMESSI SPOSI.
giorno, all'aperto, in faccia alla gente: buttarsi in un fiame e sparire.
E assorto in queste contemplazioni tormentose, andava alzando e riab-
bassando, con una forza convulsiva del pollice, il cane della pisl^a;
quando gli balenò in mente od altro pensiero. — Se quell'altra vita
di cui id' hanno parlato quand' n^ ragazzo, di cui parlano sempre,
come se fosse cosa sicura, se quella vita doq c'è, se è un'invenzione
de' preti ; che fo io ? perchè morire ? cos' importa qudlo che ho fatto ?
cos'importa? è una pazzia la mia E se c'è quest'altra %ita...-.! —
A un tal dubbio, a un tal rischio , gli venne addosso una dispera-
zione pia nera, più grave, dalla quale non si poteva fuggire, neppur
con la morte. Lasciò cader l' arme , e stava con le mani ne' capelli ,
battendo i denti, tremando. Tutf a un tratto, gli toruarono in mente
parole che aveva sentite e risentite , poche ore prima : — Dio per-
dona tante cose, per un'opera di misericordia! — Enon gli tomavan
già con quell'accento d'umile preghiera, con cui erano stale proferite;
ma con un suono pieno d'autorità, e che insieme induceva una lon-
tana speranza. Fu quello un momento di sollievo : leva le mani dalle
tempie, e, in un'attitudine più composta, (Issò gli occhi della moitc
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CAPITOLO y\n tM
in colei da cui aveva sentite quelle parole ; e la cedeva , non come
la sua prigioniera, non come una supplichevole, ma in atto di chi di-
spensa grazie e consolazioni. Aspettava ansiosamente il giorno , per
eorrere a liberarla, a seulire dalla bocca di lei altre parole di refrige-
rio e di ^'ila; s'immaginava di condurla lui stesso alla madre. — E
poi? che farò domani, il resto della giornata? die farò doman l'altro?
che farò dopo doman l' altro ? E la notte ? la notte , che (ornerà tra
dodici ore ! Oh la notte! no , no , la notte ! — E i-icadulo nel vóto
penoso dell'avvenire, cercava indarno un impiego del tempo, una ma-
niera di passare t giorni, le nolti. Ora si proponeva d'abbandonare il
castello, e d'andarsene in paesi lontani, dove nessun lo conoscesse,
iwppur dì nome;' ma sentiva che luì, luì sarebbe sempre con sé:
ora gli rinasceva una fosca speranza dì ripigliar l'animo antico, le an-
tidte voglie ; e che quello fosse come un delirio passeggiero ; ora te-
meva il giorno, che do\-e^'a farlo vedere a' suoi cosi miserabilmente
mutato ; ora lo sospirava , come se dovesse portar la luce anche ne"
suoi pensieri. Ed ecco, appunto suH' albeggiare , pochi momenti dopo
che Lucia s'era addormentata, ecco che, stando cosi immoto a sedere,
senti arrivarsi all'orecchio come un'onda di suono non bene espresso,
ma che pure aveva non so che d'allegro. Stette attento, e ricon(rf)be
uno scampanare a festa lontano; e dopo qualche momenlo, senti anche
l'eco del monte, che ogni tanto ripeteva languidamente il concento, e
si confondeva con esso. Di lì a poco , sente un altro scampanio più
vicino, anche quello a festa ; poi un altro. — Che allegrìa e* è ? co-
s'hanno di belio tutti costoro? — Saltò fuori da quel covile di pruni;
e vestitosi a mezzo, eorse a aprire una finestra, e guardò. Le monta-
gne eran mezze velate dì nebbia; il cielo, piuttosto che nuvoloso, era
ludo una nuvola cenerognola; ma, al chiarore che pure andava a
poco a poco crescendo, si distingueva, nella strada in fondo alla valle,
gente che passava, altra che usciva dalle case, e s'avviava, lutti dalla
slessa parte, verso lo sbocco, a destra del castello, tutti col vestilo
delle feste, e con un'alacrità straordinaria.
— Che diavolo hanno costoro ? che e' è d' allegro in questo male-
detto paese ? dove va tutta quella canaglia ? — E data una voce a
un bravo fidalo che dormiva in una stanza accanto, gli domandò qual
fosse la cagione di quel movimento. Quello, che ne sapeva quanto lui,
rispose che anderebbe subito a informarsene. Il signore rimase appog-
gialo alla finestra, tutto intento al mobile spettacolo. Erano uomini,
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410 I PROMESSI SPOSI.
donne, fanciulli, a brigate, a coppie, soli; uno, raggiungendo chi gli
era avanti, s'acctmipagnava con lui; un altro, UMeode di casa, s'udì»
col primo che rintoppasse; e andavano insieme, come amici a nn viag-
gio convenuto. Gli alti indicavano manireslamenle una fretta e una
gioia comune; e quel rimbombo non accordato ma consoitaneo delle
varie campane, quali più, quali meno vicine, pareva, per dir così,
la voce di que' gesti, e il supplimento ddle parole che non potevano
arrivar lassù. Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una più che
curiosila di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale
a tanta gente diversa.
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CAPITOLO xxn.
.oco dopo, il bravo venne a riferire che, il
giorno avanti, il cardinal Federigo Bor-
romeo, arcivescovo di Milano, era arri-
valo a*'*, e ci starebbe tutto quel gior-
no ; e che la nuova sparsa la sera di
quest'arrivo ne' paesi d'intomoaveva in-
V' vegliati tutti d' andare a veder queir uo-
' mo;e si scampanava più per allegria, che
per avvertir la gente. Il signore, rimasto
t ~ solo, contiouò a guardar nella valle, ancor
più pensi«^)S0. — Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per
vedere un uomo! E però ognuno di cosloro avrà il suo diavolo die lo
tormenti. Ma nessuno, nessuno n'avrà uno come il mio; nessuno avrà
passata una notte come la mia! Cos'ha quell'uomo, per render tanta
gente allegra? Qualche soldo che distribuirà cosi alla ventura.... Ma
costoro non vanno tulli per l'elemosina. Ebbene, qualche segno nel-
l'aria, qualche parola Oh se le avesse per me le parole cbe pos-
sono consolare I se .... ! Perchè non vado anch' io ? Perchè no ? ... .
Anderò, anderà; e gli voglio parlare: a quattr'occhi gli voglio par-
lare. Cosa gli dirò? Ebbene, quello che, quello che Sentirò cosa
sa dir lui, quest'uomo! —
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4tS I PKOUESSI SPOSI
Fatta eosi in confuso questa risoluzione, Ani -in fretta di vestirsi,
mettendosi una sua casacca d" un taglio che aveva qualche cosa del
militare; prese la terzetta rimasta sul letto, e l'attaccò alla cintura da
una parte; dall'altra, un'altra che slaccò da un chiodo della parete;
mise in quella stessa cintura il suo pugnale ; e staccata pur dalla pa-
rete una carabina famosa quasi al par di lui, se la mise ad armacollo;
prese il cappello, usci dì camera; e andò prima di tutto a quella dove
aveva lasciata Lucia. Posò fuori la carabina in un cantuccio vÌcìdo
all'uscio, e picchiò, facendo insieme sentir la sua voce. La vecchia
scese il letto in un salto, e corse ad aprire. Il signore entrò, e data
un'occhiata per la camera, ^ide Lucìa rannicchiata nel suo cantuc-
cio e quieta.
« Dorme? » domandò sotto voce alla vecchia: « là, dorme? ena
questi i miei ordini, sciagurata? "
« Io ho fatto di tutto, » rispose quella: « ma non ha mai voluto
mangiare, non è mai voluta venire. ...»
<• Lasciala dormire in pace ; guarda di non la disturbare ; e
quando si sveglierà Marta verrà qui nella stanza vicina; e
tu manderai a prendere qualunque cosa che costei possa chiederti.
Quando si sveglierà .... dille che io ... . che il padrone è {Kirtito per
poco tempo, che tornerà, e che farà tutto quello che lei vorrà.»
La vecchia rimase tutta stupefatta pensando tra sé: — che sia qual-
che principessa costei? —
Il signore usci, riprese la sua carabina , mandò Marta a fare anti-
camera, mandò il primo bravo che incontrò a far -la guardia, perché
nessun altro che quella donna mettesse piede nella camera; e poi
usci dal castello, e prese la scesa , di corsa.
Il manoscritto non dice quanto ci fosse dal castello al paese dov'era
il cardinale; ma dai fatti che slam per raccontare, rìsulla che non do-
veva esser {òù che una hmga passeggiala. Dal solo accorrere de* val-
ligiani , e ancbe di gente più lontana , a quel paese , questo non si
potrebbe argomentare; giacché nelle memorie di quel tempo troviamo
che da \'enti e più miglia veniva gente in folla, per veder Federigo.
1 bravi che s'abbattevano sulla salita, si fermavano rispettosamente
al passar del signore, aspettando se mai avesse onlini da dar Ioro,o
se volesse prenda'li seco, per qualche spedizione ; e non sapevao che
si pensare della sua aria, e dell'occhiale che dava in risposta a' loro
inchini.
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CAPITOLO XXII. 41S
Quando fu nella strada puU>lica, quello clie diceva maravigliare i
pasaeggieri , era di cederlo senza seguito. Del resto , ognuao gli fo-
ceva luogo, prendendola larga, quanto sarebbe bastalo anctie per il
svilito, e levandosi rispellosamente il cappello. Arrivato ai paese,
trovò una gran folla; ma il suo nome passò subito di bocca in Ixtcca;
e la folla s' apriva. S'accostò a uno, egli domandò dóve fosse il car-
dinale. X In casa del curato, n rispose quello, inchinandosi, e gl'in-
dico dov'era. Il signore andò là, entrò in un cortiletto dove c'eran
molli preti, che tutti lo guardarono con un'attenzione maravigliala e
sospettosa. Vide dirimpetto un uscio spalancalo, che metteva in un sa-
lollino, deve molti altri preti eran eongr^ati. Sì levò la carabina, e
l'appoggiò in un canto del cortile; poi entrò nel salottino: e anche
li, occhiate, bisbigli, un nome ripetuto, e silenEÌo. Lui, voltatosi a
uno di quelli, gli domandò dove fosse il cardinale; e ehe voleva pa-
largli.
« Io son forestiero, » rispose l'interrogalo, e data un'occhiata in-
tomo, chiamò il eappellano crocìfero, che in un canto del salottino,
sla\'a appunto dicendo sotto voce a un suo compagno: « colui? quel
i !
„GoogIe
4M I PROHESSI SPOSI.
fooioso? cbe ha a far qui colui? atla larga! » Però, a quella diiamafa
che risonò nel silenzio generate, dovette venire; inchinò l'iimomi-
nalo, stette a sentir quel cbe voleva, e alzando con una curiosità in-
quieta gli occhi su quel viso, e riabbassandoli subito, rimase lì un
poco, poi disse o balbettò: « non saprei se mon^gnore illustrissi-
mo in questo momento ai trovi sia ... . possa
Basta, vado a vedere » E andò a malincorpo a lar l' imbasciata nella
stanza vicina, dove si trovava il cardinale.
A questo punto della nostra storia , noi non possiam br a meno
di non fermarci qualche poco, come il viandante, stracco e tristo da
un lungo camminare per un terreno arido e salvatioo , sì trattiene
e perde un po' di tempo all'ombra d'un bell'albero, 8uireii>a, vicino
a una fonte d'acqua viva. Ci siamo abbattuti in un persona^io, il
nome e la memoria del quale, affacciandosi, in qualunque tempo, alla
mente, la ricreano con una placida commozione di riverenza, e eoa
uri senso giocondo di simpatia: ora, quanto più dopo tante immi^pni
di dolore, dopo la contemplazione d' una moltiplica e fastidiosa per-
vemtà ! Intorno a questo personaggio bisogna assolutamente che noi
spendiamo quattro parole: chi non si curasse di sentirle, e avesse p«ò
voglia d' andare avanti nella storia , salti addirittura al capìtolo se-
guente.
Federigo Borromeo, nato nel 1864, fu degli uomini rari in qua-
lunque tempo , che abbiano impiegato un ingegno egregio , tutti i
mezzi d'una grand' opulenza , tutti i vantaggi d'una condizione pri-
vilegiata, un intento continuo, nella ricerca e nell'esercizio del me-
glio. La sua vita è come un ruscello che, scaturito limpido dalla roc-
cia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diver^
terreni, va limpido a gettarsi nel fiume. Tra gli agi e le pompe, badò
fin dalla puerizia a quelle parole d'annegazione e d' umiltà , a quelle
massime intorno alla vanità de' piaceri, all'ingiustizia dell'orgoglio,
alla -vera dignità e a' veri beni , che, sentite o ncm sentite ne' cuori,
vengono trasmesse da una generazione all'altra, nel più elementare in-
segnamento della religione. Badò, dico, a quelle parole, a quelle mas-
sime, le prese sul serio, le gustò, le trovò vere; vide che non pote-
van dunque esser vere altre parole e altre massime opposte , cbe
pure si trasmettono di generazione in generazione, con la stessa sica-
rezza, e talora dalle stesse labbra; e propose di prender per norma
dell' azioni e de' pensieri quelle cbe erano il vero. Persuaso che la
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CAPITOLO XXn. «IH
vila non è già desiiiub ad esBere un peso per molti , e una festa
per alcuni , na per tutti un impiego , del quale ognuno renderà
conto , cominciò da fanciullo a pensare coinè potesse render la sua
utile e santa.
Nel 11(80, manifestò la risoluzimie di dedicarsi al ministero eccle-
siastico, e ne prese l'abito dalle mani dì quel suo cugino Carlo i
che una fama, già fin d'allora antica e universale, predicava santo.
Entrò poco dopo nel collegio fondalo da questo in Pavia, e che porta
ancora il nome del loro casato ; e Ir , applicandosi assiduamente alle
occupazioni che trovò prescrìtte, due altre ne assunse dì sua volontà;
e furono d* insegnar la dottrina cristiana ai più rozzi e derelitti dei
popolo, e di visitare, ser\'ire, consolare e soccorrere gì' infermi. Si
valse dell'autorità che tutto gli conciliava in quel luogo, per attirare
i suoi compagni a secondarlo in tali opere; e in ogni cosa onesta e
profittevole esercitò come un primato d' esempio , un primato che
le sue doti personali sarebbero forse bastate a procacciargli , se fosse
anche slato l' inlìmo per condizione. I vantaggi d' un altro genere ,
che la sua gli avrebbe potuto procurare, non solo non li ricercò, ma
mise ogni studio a schivarìi. Volle una tavola piuttosto povera che
frugale, usò un vestiario piuttosto povero che semplice; a conformità
di questo , tutto il tenore della vita e il contegno. Né credette mai
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ll« I PROMESSI SPOSI.
dì doverlo mutare, per quanto alcuni congionli gridassero e si la-
mentassero che avvilisse così la dignità delia casa. Un'altra guerra
ebbe a sostenere con gì' istitutori , i quali , furtivamente e come per
sorpresa, cercavano di mettergli davanti, addosso, intorno, qualche
suppellettile più signorile, qualcosa che lo facesse distinguer dagli al-
tri, e figurare come il prìncipe del luogo : o credessero di farsi alla
lunga ben volere eoo ciò; o fossero mossi da quella svisceratezza ser-
vile che s'invanisce e si ricrea nello splendore altrui; o fossero di
que' prudenti che s'adombrano delle virtù come de' vizi, predicano
sempre che la perfezione sta nel mezzo; e il mezzo lo fìssan giusto
in quel punto dov'essi sono arrivali, e ci stanno comodi. Federigo,
non che lasciarsi vìncere da que' tentativi, riprese coloro che li face-
vano; e ciò Ii-a la pubertà e la giovinezza.
Che, vivente il cardinal Carlo, maggior di lui dì venlisei anni,
C ' <^^!'^,^;Ì2m^mm
davanti a quella presenza grave, solenne, ch'esprimeva cosi al vivo
la santità, e ne rammentava le opere, e alla quale, se ce ne fosse
stato bisogno , avrebbe aggiunto autorità ogni momento 1' ossequio
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CAPITOLO XXII. UT
nianiresfo o spontaneo de' circostanli, quali e quanti si fossero, Fede*
rigo fanciullo e giovinetto cercasse di conrormarsi al contegno e al
pensare d' un tal superiore, non è certamente da farsene maraviglia;
ma é bensi cosa mollo notabile che, dopo la morte di lui , nessuno sì
sia potuto accorgere che a Federigo, allor di vent'anni, fosse mancata
una guida e un censore. La fama crescente del suo ingegno, della sua
dottrina e della sua pietà, la parentela e gì' impegni di pit\ d'un car-
dinale potente, il credilo della sua famiglia, il nome stesso, a cui
Carlo aveva quasi annessa nelle menti un' idea di santità e di premi-
nenza, tutto ciò che deve , e tutto ciò clie può condurre gli uomini
alle dignità ecclesiastiche, concorre\'a a pronosticargliele. Ma egli, per-
suaso in cuore di ciò che nessuno il quale professi cristianesimo può
negar con la bocca, non ci esser giusta superiorità d' uomo sopra gli
uomini, se non in loro servìzio, temeva le dignità, e cercava di scan-
sarle; non certamente perchè sfuggisse di servire altrui; che poche
vite furono spese in questo come la sua; ma perchè non si stimava
abbastanza degno né capace di così alto e pericoloso servizio. Perciò,
vcDOidogli, nel ikok, proposto da Clemente VID l'arcivescovado di
Milano, apparve fortemente turbalo, e ricusò senza esitare. .Cedette
poi al comando espresso del papa.
Tali dimostrazioni, e chi non lo sa? non sono né diflìcili né rare;
e l'ipocrisia non ha bisogno d'un più grande sforzo d' ingegno per farle,
che la buiToneria per derìderle a buon conto, in ogni caso. Ma cessan
forse per questo d'esser l'espressione naturale d'un sentimento vir-
tuoso e sapiente? La vita è il paragone delle parole: e le parole ch'e-
sprimono quel sentimento, fossero anche passate sulle labbra di tutti
gl'impostori e di tutti i betTardi del mondo, saranno sempre belle,
quando siano precedute e seguite da una vita di disinteresse e di
sacrifiEÌo.
In Federigo arcivescovo apparve uno studio angolare e continuo
di non prender per sé , delle ricchezze , del tempo , delle cure , dì
tutto sé stesso in somma , se non quanto fosse strettamente necessa-
rio. Diceva, come tutti dicono, che le rendite ecclesiastiche sono patri-
monio de' poveri : come poi intendesse infatti una tal massima, si veda
da questo. Volle che si stimasse a quanto poteva ascendere il suo man-
tenimento e quello della sua servitù ; e dettogli che seicento scudi
(scudo si chiamava allora quella moneta d'oro che, rimanendo sco-
pre dello stesso peso e titolo, fu poi detta zecchino), diede ordine che
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4iit I pROJiESsi srosr.
lauti se iic contasse ogni anno dalla stia cassa particolare a quella
della mensa; non credendo che a lui ricehissiino fosse lecito vivere
di quel patrimonio. Del suo poi era cosi scarso e sottile misuratore a
sé stesso, che badava di non isnietlere un vestilo, prima che fosse
logoro affatto : unendo però , come fu notato da scrittori contempo-
ranei, al genio della semplicità quello d' una squisita pulizia: due abi-
tudini notabili infatti , in quell' età sudicia e sfarzosa. Similmente, af-
finchè nulla si disperdesse degli avanzi ddla sua mensa frugale , gli
assegnò a un ospizio di poveri; e uno di questi, per suoordinc, en-
trava ogni giorno nella sala del pranzo a raccoglier ciò che fosse ri-
masto. Cure, che potrebbero forse indur coucelto d'una virtù grclla,
misera , arigustiosa , d' una mente impaniala nelle minuzie , e in-
capace di disegni elevati ; se non fosse in piedi questa biblioteca
ambrosiana, i^ Federigo ideò con sì animosa lautezza, ed eresse, con
tanto dispendio, da' fondamenti; per fornir la quale di libri e di ma-
noscritti, oltre il dono de' già raccolti «m grande studio e spesa da
lui, spedi Otto uomini, de' più colti ed esperti die potè avere, a fame
incetta, per l'Italia, per la Francia, per la Spagna, per la Germania,
per le Fiandre, nella Grecia, al Libano, a Gerusalemme. (]osi riusd
a radunarvi circa trentamila volumi stampati , e quattordicimila ma-
noscrìtti. Alla biblioteca uni un collegio di dottori (furon nove, e
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CAPITOLO XXn. tlff
peiwonatì da lui fin àte vfese; dopo, non bastando a quella spesa
l'entrale ordinarle, furon rìstrellì a due); e il loro ufizio era di col-
lìvarevari studi, teologia, storia, lettere, antichità ecclesiastiche, lin-
gue orientali , con l' obbligo ad ognuno di pubblicar qualche lavoro
salta materia assegnatagli ; v* unì un colletto da lui dello trilingue ,
per lo studio delle lingue greca , latina e italiana ; un collegio d' a-
lunni, die venissero istruiti in quelle facoltà e lìngue, per insegnarle
un giorno; v'unì una stamperia di lingue orientali , dell' ebraica cioè,
della caldea, dell'arabica, della persiana, dell' armenai una galleria di
quadri, una di statue, e una scuola delle tre principali arti del dise-
gno. Per queste, potè trovar professori già formati; per il rimanente,
abbiam visto che da fare gli avesse dato la raccolta de' libri ede'ma-
iioscritli; f^rto pili difficili a trovarsi dovevano essere i tipi di quelle
lingue, allora molto men coltivate in Europa che al presente; più
ancora de' tipi, f^ì nomini. Basterà il dire che, di nove dottori, otto
ne prese tra i giovani, alunni del seminario; e da questo si può ai^o-
mentare che giudizio facesse degli studi consumati e delle riputazioni
fatte di quel tempo: giudìzio conforme a quello che par che n'ab-
bia portato la posterità , col mettere gli uni e le altre in dimenticao-
la. Nelle regole che stabilì per l'usoeper il governo ddla bìblioleca,
si vede un intento d'utilità perpetua, non solamente bello in sé, ma
in molte partì sapiente e gentile molto al di là dell'idee e dell'abi-
tudini comuni di quel tempo. Prescrisse al bibliotecario che mante-
nesse commercio con gii uomini più dotti d' Europa, per aver da loro
notizie dello stato delle scienze, e avviso de' libri migliori che venis-
sero fuori in ogni genere, e farne acquisto; gli prescrisse d'indicare
agli studiosi i libri che non conoscessero, e potesser loro esser utili; or-
dinò die a tutti, fossero cittadini ofore6tierÌ,s) desse comodità e tempo
di servirsene, secondo il bisogno. Una tale intenzione deve ora parere
ad ognuno troppo naturale, e immedesimala con la fondazione d'una
biblioteca: allora non era così. E in una storia dell' ambrouana, scriU»
(ed costruito e con l'eleganze comuni del secolo) da un Pierpaolo
Bosca, che vi fu bibliotecario dopo la morte di Federigo, vien notalo
espressamente, come cosa singolare, che in questa libreria, eretta d<i
un privato, qua^i tutta a sue spese, ì libri fossero esposti alla vista
del pubblico, dati a chiunque li chiedesse, e datogli anche da sedere, e
carta, penne eealamaio, per prendergli appunti che gli potessero bi-
s<^nare; mentre in qualche altra insigne biblioteca pubblica d'Italia.
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4 IO I PR<»IB3SI SPOSI
i libri non erano nemmen visibìli, ma chiusi in artDadi, donde aot
sì levavano se non per gentilezza de' bibliotecari, quando si senlivano
di farli vedere un momento; di dare ai concorrenti il comodo di stu-
diare, non se n'aveva neppur 1' idea. Dimodoché arricchir tali bi-
blioteche era un sottrar libri all' uso comune : una di quelle coltiva-
zioni , come ce n' era e ce n' è tutta\'ia molte , che isteriliscono il
campo.
Non domandate quali siano stati gli effetti di questa fondatione del
Borromeo sulla coltura pubblica: sarebbe tacile dimostrare in due
frasi, al modo che si dimostra, che furon miracolosi , o che non furoa
niente; cercare e spiegare, (ino a un certo se^o, quali siano stati
veramente, sarebbe cosa di molla fatica, di poco costrutto, e fuor di
tempo, Ma pensate che generoso, che giudizioso, che benevolo, che
perseverante amatore del miglioramento umano , dovess' essere colui
die volle una tal cosa, la volle in quella maniera, e l'esegui, io mezzo a
quell'ignorantaggine, a quell'inerzia, a quell'antipatia generale per
ogni applicazione studiosa , e per conseguenza in mezzo ai coi" im-
porta ? e e" era altro da pensare ? e che beli' invenzione ! e mancava
anche quetta^ e simili; che saranno certissimamente stati più che gli
scudi spesi da lui in qucll' impresa ; i quali furon centocinquemila ,
la più parte de' suoi.
Per chiamare un tal uomo sommamente benefico e liberale, può
(larer che non ci sia bisogno di sapere se n' abbia spesi molt' altri
in soccorso immedialo de' bisognosi ; e ci son forse ancora di quelli che
pensano che le spese di quel genere, e sto per dire tutte le spese, siano
la migliore e la più utile elemosina. Ma Federigo teneva 1' elemosina
propriamente detta per un dovere prìncipalissimo ; e qui , come nel
resto, i suoi falli furon consentanei all'opinione. La sua vila fu un
continuo profondere ai poveri; e a proposito di questa stessa carestìa
di cui ha già parlalo la nostra storia, avremo tra poco occasione di
riferire alcuni tratti, dai quali si vedrà che sapienza e che geolilezza
abbia saputo mettere anche in questa liberalità. De' molli esempi sin-
golari che d'ima tale sua virtù hanno notati i suoi biografi, ne cite-
ramo qui un solo. Avendo risaputo clie un nobile usava artifizi e an-
gherie per far monaca una sua figlia, la quale desiderava piuttosto di
maritarsi, fece venire il padre; e cavatogli di bocca che il vero motivo
di qudla vessazione era il non avere quattromila scudi che, secondo
lui, sarebbero siali necessari a maritar la figlia convenevolmente,
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXIt. 411
Federigo la dolo di quattromila scudi. Forse a taluno parrà questa
una targliezza eccessiva, non ben ponderata, troppo condiscendente
agli stolti capricci d'un superbo; e clie qualtromila scudi potevano
esser meglio impiegati in cent' altre maniere. A questo non abbiamo
nulla da rispondere, se non che sarebbe da desiderarsi ehe si vedes-
sero spesso eccessi d'una virtù cosi libera dall'opinioni dominanti
( ogni tempo ha le sue ) , così indipendente dalla tendenza generale ,
cmna, in questo caso, Tu quella che mosse un uomo a dar quattromila
scudi, perchè una giovine non Tosse falla monaca.
La carità inesausta di quest' uomo, non meno che nel dare, spic-
cava in tutto il suo contegno. Di facile abbordo con tutti , credeva di
dovere specialmente a quelli che si chiamano di l>assa condizione, un
viso gioviale , una cortesia afleltuosa; tanto più, quanto ne trovan
meno nel mondo. E qui pure ebbe a combattere co' galantuomini del
ne quid nimit, i quali, in ogni cosa , avrebbero voluto farlo star ne'
limili, cioè ne' loro limiti. Uno di costoro, una volta che, nella visita
d'un paese alpestre e salvatico, Federigo istruiva certi poveri fan-
ciulli, e, Ira l' interrogare e l'insegnare, gli andava amorevolmente
accarcKzando , l'avvertì che usasse più riguardo nel far tante carezze
a que' ragazzi , perchè eran troppo sudici e stomacosi : come se
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MS I PROUF^I SPOSI
supponesse, il buon uomo, che Federigo non avesse senso altbasUiDia
per fare una tale scoperta, o non abbastanza perspicacia, per trovar
da sé quel ripiego cosi fino. Tale è, in certe condizioni di tempi e dì
cose, la sventura degli uomini costiluili in corte dignità: die meo-
tre così di rado si trova clii gli avvisi de' loro mancamenti , non
manca poi gente cora^^iosa a riprenderli del loro far bene. Ma il
buon vescovo, non senza un certo risentimento, rispose: « sono mie
anime, e forse non vedranno mai più la mia faccia; e nonvoletecbe
gli abbracci ? «
Ben raro peri era il risentimento in lui, ammirato per la soavità
de' suoi modi, per una pacatezza imperturbabile, che si sarebbe at-
tribuita a una felicità straordinai'ia di temperamento; ed era l' effetto
d'una disciplina costante sopra un' indole viva e risentita. Se qualche
volta si mostrò severo , anzi brusco , fu co' pastori suoi subordinali
che scoprisse rei d' avarizia o di negligenza o d'altre tacce special-
mente opposte allo spìrito del loro nobile ministero. Per tutto ciò die
potesse toccare o il suo interesse , o la sua gloria tem|M>rale , non
dava mai segno di gioia, né di rammarico, né d'ardore, né d'agita-
zione: mirabile se questi moti non si destavano ncll' animo suo , più
mirabile se vi si desiavano. Non solo da' molli conclavi ai qaali assi-
stette, riportò il concetto di non aver mai aspiralo a quel posto cosi
deaderabile all' ambizione, e così terribile alla pietà; ma una volta clic
un collega , il quale conlava molto , venne a otTrìrgli il suo volo e
quelli della sua fazione (brutta parola, ma era quella die usavano),
Federigo rifiutò una tal proposta in modo, che quello depose il pen-
siero, e si rivolse altrove. Questa stessa modestia, quest' avvertono
al predominare apparivano ugualmente ndl'occasioni più comuni della
vita. Attento e infaticabile a disporre e a governare , dove riteneva
che fosse suo dovere il farlo, sfuggi sempre d' impicciarsi negli affari
altrui; anzi sì scusava a tutto potere dall' ingerirvisi ricercalo: discre- 1 |
zione e rilegno non comune, come ognuno sa, negli uomini zelatori i >
del bene, qual era Federigo. | j
Se colessimo lasciarci andare al piacere di raccogliere i tratti nota- ,
bili del suo carattere, ne risulterebbe certamente un complesso sin- j
golare di meriti in apparenza opposti, e certo difficili a trovarsi in- i {
sieme. Però non omelleremo di notare un' altra singolarità di qudla 1 |
bella vita: che, piena come fu d'altìvità, di governo, di funzioni, | ,
d' insegnamento, d'udienze, dì visite diocesane, dì viaggi, di contrasti, I i
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CAPITOLO XXII. 4»
iton solo lo sludio ti eU>e una parte , ma ce n' ebbe Unta , che per
un letterato di professiooe sarebbe bastato. E infalli , con tant' altri
e divera titoli di lode , Federigo eblie anche , presso i suoi contem-
poranei, quello d' uom dotto.
Non dottiamo però dissimulare che tenne con ferma persuasione, e
sostenne in pratica, con lunga costanza, opinioni, che al giorno d'oggi
(irebbero a ognuno piuttosto strane che mal fondate; dico anche a co-
loro che avrebbero una gran voglia di trovarle giuste. Chi lo volesse
difendere in questo, ci sarebbe quella scusa così correnle e ricevuta,
ch'erano errori del suo tempo, piuttosto che suoi : scusa che, per certe
cose, e quando risulti dall'esame particolare de' fatti, può aver qnalcbc
valore, o anche molto; ma che applicata cosi nuda e alla cieca, come
sì fa d'ordinario, non significa proprio nulla. E perciò, non volendo
risolvere con formole semplici questioni complicate, né allungar troppo
un episodio, tralasceremo anche d'esporle; bastandoci d'avere accen-
nato cosi alla sfuggita che, d'un uomo cosi ammirabile in complesso,
noi non pretendiamo che ogni cosa lo fosse ugualmente ; perchè non
paia che abbìam voluto scrivere un' orazion funebre.
Non è certamente fare ingiuria ai nostri lettori il supporre che
qualcheduno di loro domandi se di taolo ingegno e di tanto studio
quest'uomo abbia lascialo qualche monumento. Se n' ha lasciali! Circa
cento son l'opere die rimangon di lui, Ira grandi e picrole, tra la-
tine e italiane, tra stampate e manoscritte, che si serbano nella biblio-
teca da lui fondata: trattati di morale, orazioni, dissertazioni di storia,
d'antichità sacra e profana, di letleratura, d'arti e d'altro.
— E come mai, dirà codesto lettore, tanle opere sono dimenticate,
0 dmaio cosi poco conosciute, così poco ricercale? Ck>me mai, con
tanto ingegno, con tanto studio, con tanta pratica degli uomini e
delle cose, con tanto meditare, con tanta passione per il buono e per
il bello, con tanto candor d' animo, con tant' altre di quelle qualità
die fanno il grande scrittore, questo, in cento opere, non ne ba la-
sdata neppur una di quelle che son riputate insigni anche da chi non
le approva in tutto, e conosciute di titolo anche da chi non le legge?
Come mai, tutte insieme, non sono bastate a procurare, almeno col
numero, al suo nome una fama letteraria presso noi posteri? — ■
La domanda è ragionevole senza dubbio, e la questione, molto in-
teressante; perchè le ragioni di questo fenomeno si troverebbero con
l'osservar molti fatti generali: e trovate, condurrebbero alla spiegazione
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494 I PROUESSI SPOSI.
di più altri fenomeni simili. Ma sarebbero molte e prolisse: e poi se
non V andassero a genio? se vi facessero arricciare il naso ? Sicché
sarà meglio che riprendiamo il filo della storia, e cbe, in vece di d-
calar più a lungo intorno a quesl' uomo, andiamo a vederlo in azione,
con là giuda de) nostro autore.
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CAPITOLO XXiiI
ordinai Fedeiij^o, iiilaiilo clic a&|)vlla^'a l'ora
d' andar in chiesa a Celebrar gli ufizi di-
vini, stava studiando, com'era solito di fare
in lutti i ritagli di tempo; quando entrò il
eappellano crocifero, con un viso alterato.
u Una strana vìsita , strana davvero ,
monsignore illustrissimo! "
u Chi è? » domandò il cardinale.
" Niente meno clic il signor . , . « ri-
prese il cappellano; e spiccando le sillabe
con' una gran significazione, proferi quel nome che noi non possiamo
scrivere ai nostri lellori. Poi soggiunse: " è qui fuori in persona; e
chiede nient' altro che d'esser introdotto da vossignoria illuslrissima. »
u Lui! " disse il cardinale, con un viso animato, cliìudendo il li-
bro, e alzandosi da sedere: « venga! venga subilo! "
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(Sfì I TROUESSI SPOSI
» Ma . . ■ ." replicò il cappellano, senza moversi: " vossignoria
illiisli-issima deve sapere chi è costui: quel bandito, quel famoso. . . »
" E non è una fortuna per un vescovo, che a un tal uomo sia
naia la volontà di lenirlo a trovare? «
u Ma ... 1 insistette il eappellano: " noi non possiamo mai par-
lare di certe cose, perchè monsignore dice che le son ciance; però,
quando \iene il caso, mi pare che sia wi dovere .... Lo zelo ta de'
nemici, munsrgnorej e noi sappiamo positivamente che più d'un ri-
baldo ha osato vantarsi che, un giorno o l'altro .... »
u E che hanno fallo ? » interruppe il cardinale.
«• Dico che costui è un appaltatore dì delitti, un disperalo, che
tiene corrispondenza co* disperali più furiosi , e che può esser man-
dato .... »
u Oh, che disciplina è codesta, n interruppe ancora sorridendo
Federigo, « che ì soldati esorlino ÌI generale ad aver paura? » Poi,
divenuto serio e pensieroso , riprese : u san Carlo non si sarebbe Irò-
vato nel caso di dibattere se dolesse ricevere un lai uomo : sarebbe
andato a cercarlo. Fatelo entrar subito : ha già aspellato Iroppo. »
Il cappellano si mosse , dicendo Ira sé : — non e' è rimedio : tutti
questi santi sono ostinati. —
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CAPITOLO XXIII. 431
Aperto l'uscio, e affacciatosi alla stanza dov'era il signore e la bri-
gata, vide questa ristretta in una parte, a bisbigliare e a guardar di
solt' occhio quello, lasciato solo in un canto. S'avviò verso di lui; e
intanto squadrandolo, come poteva, con la coda dell'occhio, andava
pensando che diavolo d'armeria poteva esser nascosta sotto quella ca-
sacca; e che, veramente, prima d' introdurlo, avrebbe dovuto proporgli
almeno .... ma non si seppe risolvere. Gli s'accostò, e disse: u mon-
signore aspetta vossignoria. Si conlenti di venir con me. " E prece-
dendolo in quella piccola folla, che subilo fece ala , dava a destra e
a sinistra occhiate, le quali signiOcavano : cosa volete? non lo sapete
anche voi altri, che fa sempre a modo suo?
Appena introdotto l'innominato, Federigo gli andò incontro, con un
volto premuroso e sereno, e con le braccia aperte, come a una per-
sona desiderata, e fece subilo cenno al cappellano che uscisse: il quale
ubbidì.
I due rimasti stettero alquanto senza parlare, e diversamente so-
spesi. L'innominato, ch'era stato come portalo lì per forza da una
smania inesplicabile , piuttosto che condotto da un determinalo dise-
gno, ci stava anche come per forza, straziato da due passioni opposte,
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413 I PR0UE3S1 SPOSI
quel desiderio e quella speranza confusa di trovare un refrigerio a
tormento interno, e dall' altra parte una stizza, una vergogna di ve-
nir li come un pentito, come un sottomesso, come un miserabile, a
confessarsi in colpa, a implorare un uomo: e non trovava parole, né
quasi ne cerca\'a. PerA, alzando gli occhi in viso a quell'uomo, si sea-
tiva sempre più p^etrare da un sentimento di venerazione imperioso
insieme o soave, che, aumentando la fiducia, mìtigava'il dispetto, e
senza prender l'orgoglio di fronte , l'abbatteva , e, dirò così , gì' im-
poneva silenzio.
La presenza di Federigo era infatti di quelle che annunziano una
superiorità, e la fanno amare. Il portamento era naturalmente (impo-
sto, e quasi involontariamente maestoso, non incurvato né impigrito
punto dagli anni; l'occhio grave e vivace, la fronte serena e pensie-
rosa; con la canizie, nel pallore, Ira i segni dell' astinenza, della me-
ditazione, della fatica, una specie di floridezza verginale: tutte le forme
del volto indicavano che, in altre età, c'era stata quella che più pro-
priamente si chiama bellezza; l'abitudine de' pensieri solenni e bene-
voli, la pace interna d'una lunga vita, l'amore degli uomini , la gioia
continua d' una speranza ineffabile , vi avevano sostituita una , direi
quasi, bellezza senile, che spiccava ancor più in quella magnifica sem-
plicità della porpora.
Tenne anche lui, qualche momento, fìsso nell'aspetto dell' innomi-
nato il suo sguardo penetrante, ed esercitato da lungo tempo a ri-
trarre dai sembianti i pensieri; e, sotto a quel fosco e a quel turbato,
parend<^li di scoprire sempre più qualcosa di ctmforme alla speranza
da lui concepita al primo annunzio d'una tal visita, tutt' animalo,
« oh! n disse: u che preziosa visita è questa! e quanto vi devo es-
ser grato d'una sì buona risoluzione ; quantunque per me abbia un
po' del rimprovero! »
" Rimprovero! n esclamò il signore maraviglialo, ma raddolcito da
quelle parole e da quel fare, e contento che il cardinale avesse rotto
il ghiaccio, e avvialo un discorso qualunque.
« Certo, m'è un rimprovero, » riprese questo, " eli' io mi sia la-
sciato prevenir da voi ; quando , da tanto tempo , (ante volle , avrei
dovuto venir da voi io. »
" J>a me, voi! Sapete chi sono? V'hanno detto bene il mìo nome?»
■" E questa consolazione eh' io sento, e che, certo, vi si ntanifesla
nel mio aspetto, vi par egli ch'io dolessi provarla all'annunzio, alla
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CAPITOLO XXIII. JS9
vista d'uno sconosciuto? Siete voi che me la fate provare; voi, dico,
che avrei dovuto cercare; voi che almeno ho lanlo amalo e pianto,
per cui ho tanto pregato; voi, de' miei figli, che pure amo tutti e di
cuore, quello che avrei più desiderato d'accogliere e d'abbracciare, se
avessi creduto di poterlo sperare. Ma Dio sa fare Egli solo le maravi-
glie, e supplisce alla debolezza, alla lentezza de' suoi poveri servi. «
L'innominato stava attonito a quel dire cosi infiammato, a quelle
parole, che rispondevano tanto risolutamente a ciò che non aveva an-
cor detto, né era ben determinato di dire; e commosso ma sbalordito,
slava in silenzio. "E che?» riprese, ancor più aFTeltuosamente , Fede-
rigo: <• voi avete una buona nuova da darmi, e me la fate tanto so-
spirare? "
« Una buona nuova, io? Ho l'inferno nel cuore; e vi darò una
buona nuova? Ditemi voi, se lo sapete, qual è questa buona nuova
che aspettate da un par mio. »
« Che Dio v' ha toccato il cuore , e vnol farvi suo , » rispose pa-
catamente il cardinale.
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tIO I PttOUESSl SPOSI
K Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se Io sentissi! Dov'è questo Dio?»
a Voi me lo domandate ? voi? E chi più di voi l'ha vicino? Non
ve lo sentite in cuore, che v'opprime, che v'agita, che non vi lascia
stare, e nello stesso tempo v'attira, vi fa presentire una speranza di
quiete, di consolazione, d'una consolazione che sarà piena, immensa,
subilo che voi lo riconosciate , lo conressiale , l' impiliate ? »
« Oh, certo! ho qui qualche cosa che m'opprime, che mi rode!
IMa Dio ! Se c'è questo Dio , se è quello che dicono , cosa volete che
fàccia di me? •
Queste parole furon dette con un accento disperato; ma Federigo,
con un tono solenne, come di placida ispirazione, rispose: «cosa può far
Dio di voi? cosa ^'uol farne? Un segno della sua potenza e della sua
bontà: vuol cavar da voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare.
Che il mondo gridi da lanto tempo contro di voi, che mille e mille voci
detestino le vostre opere ...» (T innominalo si scosse, e rimase stu-
pefatto un momento nel sentir quel linguaggio così insolito, più stupefallo
ancora dì non provarne sdegno, anzi quasi un sollievo); » che gloria, »
proseguiva Federigo, « ne viene a Dio?Son voci dì terrore, sonvoeì
d'interesse; voci forse anche di giustizia, ma d'una gìuslizia così facile,
così naturale! alcune forse, pur troppo, d'invìdia di codesta vostra scia-
gurata potenza, di codesta, lino ad oggi, deplorabile sicurezza d'animo.
Ma quando voi slesso sorgerete a condannare la vostra vita.adaccusu'
voi slesso, allora! allora Dio sarà glorificato! E voi domandate cosa
Dio possa far di voi? Chi son io pov^ uomo, che sappia dirvi fin
d'ora che profitto possa ricavar da voi un tal Signore? cosa possa
fare di codesta volontà impetuosa, di codesta imperturbata costanza,
quando l'aUMa animata, infiammata d'amore, di speranza, di penti-
mento? Chi siete voi, poveK uomo, che vi peasiate d'aver sapulo da
voi immaginare e fare cose più grandi nel male , che Dio non possa
farvene volere e operare nel bene? Cosa può Dio far di voi? E per-
donarvi ? e larvi salvo? e compire ia voi l'opera della redeozioDe? Non
son cose magnifiche e degne di Luì? Oh pensale! se io omiccialolo,
io miserabile, e pur a)si pieno di me stesso, io qual mi sono, mi
struggo ora tanto della vostra salute, che per essa darei con gaudio
(Egli m'é testimonio) questi pochi giorni che mì rimangono; oh pen-
sate ! quanta , quale debba essere la carità di Colui che m' infonde
questa cosi imperfetta, ma cosi viva; come vi ami, come vi voglia
Quello che mi comanda e m' ispira un amore per voi che mi divora! »
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CAPITOLO X\lll. 4SI
A misura che queste parole uscivan dal suo labbro , il volto , lo
sguardo, ogni moto ne spirava il senso. La faccia del suo ascoltatore,
di stravolta e convulsa, si fece da principio attonita e intenta; poi si
compose a una commozione più profonda e meno angosciosa ; i suoi
occhi, che dall'infanzia più non conoscevan le lacrime, si gonfiarono;
quando le parole furon cessate, si copri il viso con le mani, e cUede
in un dirotto pianto, che fu come V ultima e più chiara risposta.
« Dio grande e buono 1 » esclamò Federigo, alzando gli occhi e le
mani al cielo : u che ho mai fatto io , servo inutile , pastore sonno-
lento, perchè Voi mi chiamaste a questo convito di grazia, perchè mi
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ist I PROHCSSI SPOSI
faceste degno & assistere a un si giocondo prodìgio ! » Go6Ì dìceodo,
slese la mimo a preoder quella dell' innominato.
" No! " gridò questo, « no! lontano, lontano da me voi: nonlor
date quella mano innocente e benefica. Non sapete tutto ciò cbe ha
latto questa che volete stringere. »
« Lasciale, « disse Federigo, prendendola con amorevole violenza,
" lasciate cti' io stringa codesta mano che riparerà tanti torti , die
spargerà lanle beneficenze, che solleverà tanti afflitti, che si stendcrii
disarmata, pacifica, umile a tanti nemici. »
« É troppo! » disse, ^nghìozzando, l'innominato. " Lasciatemi,
mon^gnore; buon Federigo, lasdalemi. Un popolo affollato v'aspetta;
lant' anime buone , lant' innocenti , tanti venuti da lontano , per ve-
dervi una volta, per sentirvi: e voi vi trattenete .... cimi chi ! »
•i Lasdamo le novanlanove pecorelle,» rispose il cardinale: u sodo
in sicuro sul monte : io voglio ora stare con quella eh' era smarrita.
Queir anime son forse ora ben più contente , che di vedere questo
povero vescovo. Forse Dio, che lia operato in voi il prodigio della
misericordia , diffonde in esse una gioia di cui non sentono ancora
la cagione. Quel popolo è forse unito a noi senza saperlo: forse lo
Spirilo metto ne' loro cuori un ardore indistinto d< carila, una pre-
ghiera ch'esaudisce per voi, un rendimento di grazie di cui voi siete
l'oggetto non ancor conosciuto. » Cosi dicendo, stese le braccia al
collo dell'innominato; il quale, dopo aver tentato di sottrarsi, e resi-
stilo un momento, cedette, come vinto da quell'impeto di carità, ab-
bracciò anche lui il cardinale, e abbandonò sull'omero di lui il suo
volto tremante e mutalo. Le sue lacrime ardenti cadevano sulla por-
pora incontaminata di Federigo: e le mani incolpevoli di questo strin-
gevano alTettuosamente quelle membra, premevano quella casacca, av-
vezza a portar l'armi della violenza e del Iradimento.
L'innominato, sciogliendosi da quell'abbraccio, si coprì di nuovo
gli occhi con una mano, e, alzando insieme la faccia, esclamò: « Dio
veramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco ora, com-
prendo chi sono; le mie iniquità mi slaimo davanU; ho ribrezzo di
me stesso; eppure ! eppure provo un refrigerio, una gioia , si
una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita! ••
<• É un saggio, « disse Federigo, « che Dio vi dà per cattivarvi
al suo servìzio, per animarvi ad entrar risolulamento nella nuova vita
io cui avrete tanto da disfare, tanto da riparare, tanto da piangere! n
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capìtolo XXIII. 4SS
u Me svenluralo! » esclamò il ^gnore, u quanlt:, quante .... cose,
le quali non potrò se non piangere ! Ma almeoo ne ho d' intraprese,
d'appena avviate, cbe posso, se non aJtro, rompere a mezzo: una ne
Iw , che posBO romper subito , disfare , riparare. »
Federigo si mise in attenzione; e l'inDomÌDato raccontò brevemente,
ma con parole d' esecrazione anche più forti di quelle che abbiamo
adoprato noi, -la prepotenza fatta a Lucia, i terrori , i patimenti della
poverina, e come aveva imploralo, e la smania che quell' implorare
aveva messa addosso a lui , e come essa em ancor nel castello
X Ah, non perdiam tempo! » esclamò Federigo, ansante di pietà e
di sollecitudine, u Beato voi ! Questo è pegno del perdono di Dio ! far
che possiate diventare strumento di salvezza a chi volevate esser di
rovina. Ditf vi benedica ! Dio v' ha benedetto ! Sapete di dove sia que-
sta povera nostra travagliata? ■'
Il signore nominò il paese di Lucia.
" Non è lontano di qui,. " disse il cardinale : u lodato sia Dio ; e
probabilmente . . . . >> Così dicendo , corse a un tavolino , e scosse un
campanello. E subito entrò con ansietà il cappellano crodfero , e per
la prima cosa, guardò l'innominato; e vista quella faccia mutata, e
quegli occhi rossi di pianto, guardò il cardinale; e sotto queir JnaKe-
I-abile compostezza , scorgendogli in volto come un grave contento ,
e una premura quasi impaziente, era per rimanere estatico con la
txwca aperta , se il cardinale non l'avesse subito svegliato da quella
contemplazione, domandandogli se, tra i parrochi radunati li , si trovasse
quello di * * *.
«C'è, monsignore illustrissimo, n rispose il cappellano.
" Fatelo venir subilo , » disse Federigo , " e con luì ÌI parroco
qui della chiesa. »
11 cappellano uscì, e andò nella stanza dov' eran que' preti riuniti:
tutti gli occhi si rivolsero a lui. Luì, con la bocca tuttavia aperta,
col viso ancor tutto dipinto di quell' estasi , alzando le mani , e mo-
vendole per aria, disse : « signori ! signori ! kaec mutatìo dexterae
Exèelsi. » E stelle uà momento senza dir altro. Poi, ripreso il tono e
la voce della earìca, soggiunse : « sua signoria illustrissima e reveren-
dissima vuole il «gnor curato della parrocchia, e il signor curato di '**, »
11 primo chiamato venne subito avanti, e nello stesso tempo , usci
di mezzo alla folla im: " io? « strasdcato, con un'intonazione di ma-
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ts* I PROUESSI SPOSI.
" Non è lei il signor curato dì ' * ' ? « riprese il cappdlano.
« Per l'appuDlo; ma .... »
u Sua signoria illustrissima e reverendissiina vuol lei. "
u Me? n disse ancora quella voce, significando chiaramente in quel
monosillabo: come ci posso entrar io? Ma questa volta, insieme con
la voce, venne fuori l'uomo, don Abbondio in persona, oon un passo
forzato, e con un viso tra l'attonito e il disgustalo. Il cappellano gli fece
un cenno conia mano, che voleva dire: a noi; andiamo; ci vuoi tanto?
E precedendo i due curati , andò all' uscio, l' apri, e gì' introdusse.
II cardinale lasciò andar la mano dell'innominato, col quale intanto
aveva concertato quello che dovevan fare; si discosto un poco, e chiamò
con un cenno il curato della chiesa. Gli disse in succinto di che si
trattava ; e se saprebbe trovar subito una buona donna che volesse
andare in una lettiga al castello, a prender Lucia: una donna di cuore
e di testa, da sapersi ben governare in una spedizione cosi nuo^a ,
e usar le maniere più a proposito , tro\'ar le parole più adattale , a
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CAPITOLO XVIir. (3i(
rìneorare, a tranquillizzare quella poverina, a cui, dopo (anle angosce,
e in tanto turbamento, la liberazione elessa poteva mettxir nell'animo
una nuova confusione. Pensalo un momento, il curato disse che aveva
la persona a proposilo, e usa. Il cardinale chiamò con un altro cenno
il cappellano , al quale ordinò che facesse preparare subito la lettiga
e t lettighieri, e sellare due mule. Uscito anche il cappellano, si voltò
a don Abbondio.
Questo, che già gli era vicino, per tenersi lontano da quell'altro
signore, e che intanto dava un'occhiatina di sotto in su ora all'uno ora
all'altro, seguitando a almanaccar tra sé che cosa mai potesse essere
tutto quel rigirio , s' accostò di più , fece una riverenza , e disse :
«m'hanno significato che vossignoria illuslrìssima mi voleva me; ma
io credo clie abbiano sbaglialo. »
a Non hanno sbaglialo, « rispose Federigo: uho una buona nuova
da darvi , e un consolante, un soavissimo incarico. Una vostra par-
rocdiiana, che avrete pianta per ismarrita. Lucia Mondella, è ritro-
vata, è qui vicina, in casa di questo mio caro amico; e voi anderete
ora con lui, e con una donna che il signor curalo di qui è andato a
cercare, anderete, dico, a prendere quella vostra creatura, e l'accom'
pagnwele qui. «
Don Abbondio fece di tutto per nascondere la noia, che dico? l'af-
bnno e l'amaritudine che gli dava una tale proposta, o comando che
fosse; e non essendo più a tempo a sciogliere è a scomporre uii vei--
saccio già formato sulla sua faccia, lo nascose, chinando profondamente
la testa , in segno d' ubbidienza. E non l' alzò che per fare un altro
profondo inctiino all'innominato, con un'occhiata pietosa die diceva:
sono nelle vostre mani: abbiale misericordia: parcere subjectis.
Gli domandò poi il cardinale, che parenti avesse Lucia.
« Di stretti, e con cui viva, o vivesse, non ha che la madre , "
rispose don Abbondio.
« E questa sì trova al suo paese? »
« Monsignor , sì. n
" Giac^è, » riprese Federigo, •* quella povera giovine non potrà
esser cosi presto restituita a cosa sua , le sarà una gran consolazione
di veder subito la madre: quindi, se il signor curalo di qui non torna
prima ch'io vada in chiesa, falerni voi il piacere di dirgli che trovi
UQ baroccio o una cavalcatura; e spedisca un uomo di giudizio a cer-
car quella donna, per condurla qui. «
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1 PROMESSI SPOSI.
' E se anda&si io ? « disse don Abbondio.
' No, no, voi: v'ho già pregalo d'altro, « rispose il cardinale.
I I
li
" Dicevo , » replicò doo Abbondio , » per disporre queIJa povera
madre. E una donna molto sensitiva; e ci vuole uno che la conosca, |
e la sappia prendere per il suo verso, per non forte male in vece di ì '
bene. >• I ^
« E per questo, vi prego d'avvertire il signor curato che scelga | |
un uomo dì proposito: voi siete mollo più necessario altrove, ^ | :
rispose il cardinale. E avrebbe voluto dire : quella povera giovine lia 1 \
molto più bisogno di veder subito una faccia conosciuta, una persona j |
sicura , in quel castello , dopo lanl' ore di spasimo , e in una lerribilc I '.
oscurità dell' avvenire. Ma questa non era ragione da dirsi così chia- I
ramenle davanti a quel terzo. Parve però strano al cardinale che doo ,
AU)ondio non l'avesse intesa per aria, anzi pensala da sé; ecosifoor i
di luogo gli parve la proposta e l'insistenza, che pensò doverci esser >
sotto qualche cosa. Lo guardò in viso, e vi scopri facilmente la paura '
di viaggiare con quell'uomo tremendo, d'andare in quella casa, ao- \
che per poclii momenli. Volendo quindi dissipare aflatto queir ombre ,
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CAPITOLO XXIII. «M
codarde, e non piacendogli di tirare in disparte il curato e di bisbigliar
con Ini in s^pvto, mentre il suo nuovo amico era li in terzo, pensò
die il mezzo più opportuno era di far ciò che avrebbe fallo anche
senza questo motivo , parlare air innominalo medesimo ; e dalle sue
risposte don Abbondio intenderebbe finalmente die quello non era più
uomo da averne paura. S'avvicinò dunque all'innominato, e con quel-
l'aria di spontanea confidenza, che si trova in una nuova e potente af-
fezione, come in un'antica intrtnsieliezza, «non crediate, » gli disse,
u ch'io mi contenti di questa visita per oggi. Voi tornerete, n' é vero ?
in compagnia di questo ecclesiastico dabbene? »
« S'io tornerò? n rispose l'innominato: » quando voi mi rifiulaste,
rimarrei ostinato alla vostra porla, come il povero. Ho bisogno di par-
larvi! ho bisogno di sentirvi, di vedervi! ho bisogno di voi! »
Federigo gli prese la mano, gliela strinse, e disse: « favorirete
dunque di restare a desinare con noi. V'aspetto. Intanto, io vo a pre-
gare, e a render grazie col popolo; e voi a celliere i primi frutti della
misericordia. »
Don Abbondio, a quelle dimoslraziobi, stava come un ragazzo pau-
roso, che veda uno accarezzar &m sicurezza un suo cagnaccio grosso,
rabbuffato, con gli occhi rossi, con un nomaccio famoso per mor» e
per ispaventì, e senta dire al padrone che il ^o cane e un buon be-
stione, quieto, quieto: guarda il padrone, e non contraddice né ap-
prova; guarda il cane, e non ardisce accostarglisi , per timore clic il
buon bestione non gli mostri i denti, fosse anche per fargli te feste;
non ardisce allontanarsi , per non farsi scorgere ; e dice in cuor suo :
oh se fossi a casa mia !
Ai cardinale, che s'era mosso per uscire, tenendo sempre per la
mano e conducendo seco l'innominato, diede di nuovo nell'occhio il
pover uomo, che rimaneva indietro, mortificato, malcontento, facendo
il muso senza volerlo. E pensando che forse quel dispiacere gli po-
tesse anche venire dal parergli d'esser trascurato, e come lascialo in
un canto, tanto più in paragone d'un facinoroso cosi ben accolta, cosi
accarezzalo , se gli voltò nel passare , si fermò un momento , e con
un sorriso amorevole, gli disse: " signor curato, voi siete sempre con
me nella casa del nostro buon Padre; ma questo questo perierat,
et mventus est. »
« Oh quanto me ne rallegro ! » disse don Àtdxmdio, facendo una
gran riverenza a tult' e due in comune.
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«ss I PROMESSI SPOSI.
L' arcivescovo andò avanti, spinse 1' uscio, che fu subilo spalancalo
di fuori da due servilori , clic stavano uno di qua e uno di là : e la
mirabile coppia apparve agli sguardi bramosi del clero raecolfo nella
stanza. Si videro que' due volti sui quali era dipinta una commoùone
diversa, ma ugualmente profonda; una tenerezza riconoscente, un'u-
mile gioia nell'aspetto venerabile di Federigo; in quello dell'innomi-
nato, una confusione temperala di conforto, un nuovo pudore, una
compunzione , dalla quale però traspariva tuttavia il vigore di quella
selvaggia e risentila natura. E si seppe poi, che a più d'uno de' ri-
guardanti era allora venuto in mente quel dello d'Isaia: il lupo e l'a-
gnèllo atìdranno ad un patcolo; il leone e il bue mangeranno inaiente
lo tirarne. Dietro veniva don Abbondio , a cui nessuno badò.
Quando furono nel mezzo delia stanza, entrò dall'altra parte l'aiu-
tante di camera del cardinale, e gli s'accostò, per dirgli che aveva
esegniti gli ordini comunicatigli dal cappellano; che la lelliga e le due
mule eran preparate, e s' aspettava soltanto la donna che il curalo
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CAPITOLO XXIir. 438
avrebbe coDdotla. Il cardinale gli disse che , appena arrivato questo ,
lo Tacesse parlar subito con don Abbondio: e tutto poi fosse agli or-
dini di questo e dell' innominato; al quale strìase di nuovo la mano,
in atto dì eonimiato, dicendo: « v'aspetto. » Si voltò a salutar don
Abbondio, e s'avviò dalla parte che conduceva alla chiesa. Ileterogli
andò dietro, tra in folla e in processione: i due compagni di viaf^o
rimasero soli nella stanza.
Stava l'innominato tutto raccolto in sé, pensieroso, impaziente che
venisse il momento d'andare a levar dì pene é di carcere la sua Lu-
cia: sua ora in un sraso cosi diverso da quello che lo fosse il giorno
avanti : e il suo viso esprimeva un' agitazione concentrala, che all'oc-
ctiio ombroso dì don Abbondio poteva facilmente parere qualcosa di
peggio. Lo sogguardava, avrebbe voluto attaccare un discorso amiche-
vole; ma, — cosa devo dirgli ? — pensava : — devo dirgli ancora :
mi rallegro? Mi rallegro di che? che essendo stalo (Inora un demonio,
vi siate finalmente risoluto di diventare un galantuomo come gli idlri?
Bel complimento! Eh eh eh! in qualunque maniera io le rigiri, le con-
gratulazioni non vorrebbero dir altro che questo. E se sarà poi vero
die sia diventato galantuomo: cosi a un tratto! Delle dimostrazioni se ne
bnno taote a questo mondo, e per tante cagioni! Che so io, alle volte?
E ìnlanlo mi tocca a andar con luì! in quel castello! Oh che storia!
che storiai che storia! Chi me l'avesse detto stamattina! Ah, se posso
uscirne a salvamento, m' ha da sentire la signora Perpetua, d'avermi
cacciato qui jier forza, quando non c'era necessità, fuor della mia
pieve : e che tutti i parrochi d' intorno accorrevano , andie più da
lontano; e che non bisognava stare indietro; e che questo, e che que-
st'altro; e imbarcarmi in un affare di questa sorte ! Oh povero me !
Eppure qualcosa bisognerà dirgli a costui. — E pensa e ripeosa, aveva
trovato che gli avrebbe potuto dire: non mi sarei mai aspettato questa
foKuna d'incontrarmi in una così rispettabile compagnta;e stava per
aprir bocca, quando entrò l'aiutante di camera, col curato del paese,
il quale annunziò che la donna era pronta nella lettiga; e poi si voltò
a don Abbondio, per ricevere da lui 1' altra commissione del cardi-
nale. Don Abbondio se ne sbrigò come potè, in quella confusione di
mente; e accostatici poi all'aiutante, gli disse : « mi dia almeno una
bestia quieta; perchè, dico la verità, sono un povero cavalcatore. »
« Si figuri, » rispose I' aiutante, con un mezzo sogghigno: " è la
mula del segretario, che é un letterato. »
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44» IPROìIESSl SPOSI
^ Basta " replicò don Abbondio , e cooliiiaò pensando ; — il
cielo me la mandi buona. —
II signore s'era ìncamininato di corsa, al primo avviso: arrivalo
all'uscio, s'accorse di don Abbondio, ch'era rimasto indietro. Si fermò
ad aspettarlo ; e quando questo arrivò frettoloso , in aria di chieder
perdono, l'inchinò, e lo fece passare avanti, con un allo cortese e
umile: cosa che raccomodò alquanto Io stomaco al povero tribolato.
Ma appena messo piede nel cortiletto , vide un' altra novità che gli
guastò quella poca consolazione ; vide l' innominato andar verso un
canto, prender per la canna, con una mano, la sua carabina, poi per
la cigna con l'altra, e, con un movimento spedito, come se facesse
l'esercizio, mettersela ad armacollo.
— Ohi! ohi! ohi! ^ pensò don Abbondio: — cosa vuol farne di
qudl' ordigno, costui ? Bel cilizio, bella disciplina da convertito! E se
gli salta qualche grillo? Oh che spedizione! oh che spedizione! —
Se quel signore avesse potuto appena sospettare che rana di pen-
sieri passavano per la testa al suo compagno, non si può dire cosa
avrebbe folto per rassicurarlo; ma era lontano le mille miglia' da un
(al sospetto; e don Abbondio stava attento a non far nessun atto che
significasse chiaramente: non mi fido di vossignoria. Arrivati all'uscio
di strada, trovarono le due cavalcature in ordine: l'innominato sallù
su quella che gli fu presentata da un ))alafrciiierc.
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CAPITOLO XXIIl.
« Vizi non ne ha? » disse all'aiutante di camera don Abbondio,
rimettendo in terra il piede, che aveva già alzato verso la slafTa.
« Vada pur su di buon animo : è un agnello. » Don Abbondio ,
arrampicandosi alla sella, sorretto dall'aiutante, su, su, su, è a ca^'allo.
La lettiga, cb'era innanzi qualche passo, portala da due mule, sì
mosse, a una voce del lettighiero; e la comitiva parli.
Si doveva passar davanti alla chiesa piena zeppa di popt^o, per una
piazzetta piena anch'essa d'allro popolo del paese e forestieri, che non
avevan potuto entrare in quella. Già la gran nuova era corsa ; e al-
l'apparir della comiliva, all'apparir di quell'uomo, oggeUo ancor po-
etie ore prima di teirore e d'esecrazione, ora dì lieta maraviglia,
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4^8 I PROUESSl SPOSI
».' alzò nella folla un mormorio quasi d'applauso ; e facendo largo , si
faceva insieme alle spinte, per vederlo da vicino. La lettiga passò,
r iiinoniinalo passò ; e davanti alla porla spalancala della chiesa , si
levò il cappello, e chinò quolla fronte tanto temuta, lin sulla criniera
della mula , tra il susurro di cento voci die dicevano : Dio la bene-
dica! Don Abbondio si levò anche lui il cappello, si chinò, sì racco-
mandò al ciclo ; ma sentendo il concerto solenne de' suoi confratelli
elle cantavano a distesa, provò un'invidia, una mesta tenerezza, un
accoramento tale, die durò fatica a tener le lacrime.
Fnori poi dell'abitalo, nell'aperta campagna, negli andirivieni lai-
\olla alTutto deserti della strada, un velo più nero si stese sui suoi
pensieri. Altro oggetto non aveva su cui ri[M)sar con fiducia lo sguar-
do, elie il leltighicro , il quale, essendo al servizio del cardinale, io-
\e\a essere cerlamenle un uomo dabbene, e insieme non aveva aria
d'imbelle. Ogni lauto, comparivano viandanti, anche a comilive, die
accorrevano per vedere il cardinale ; ed era un ristoro per don Ab-
Iwndio ; ma passttggiero , ma s' andava verso quella valle tremenda',
dove non s' incontrerelfbc che sudditi dell'amico: e che sudditi ! Co»
l'amico a^'rebl^e desiderato ora più die mai d'entrare in discorso, tanto
per tastarlo sempre più, come per tenerlo in buona; ma ^edendulo
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CAPITOLO XXIII 111
cosi soprappensiero , gliene passava la voglia. Dovette dunque pSi'Iar
con sé stesso; ed ecco una parte di ciò clic il pover' uomo si disse in
quel tragitto: cliè, a scriver tutto, ci sai^bbe da Turnc un libro.
— É un gran dire clie tanto i santi come i birboni gli abbiano a
aver l'argento vivo addosso , e non si contentino d' esser sempre in
moto loro, ma voglian tirare in ballo, se potessero, tutto il genere
umano ; e che ì più faccendoni mi devan proprio venire a corcar me,
cbe non cerco nessuno, e tirarmi per i capelli ne' loro afTari : io clie
non chiedo altro che d' esser lasdato vivere ! Quel malto birbone di
don Rodrigo! Cosa gli mancherebbe per esser 1' uomo il più felice di
questo mondo, se avesse appena un pochino dì giudizio? Lui ricco,
lui giovine, lui rispettato, lui corteggiato: gli dà noia il bene stare;
e bisogna che vada accattando guai per sé e per gli altri. Potrebbe
far l'arte di Miclielaccio; no, signore: vuol fare il mestiere di mole-
star le lemmine: il più pazzo, il più ladro, il più arrabbiato mestiere
di questo mondo ; potrebbe andare in paradiso in carrozza , é vuol
andare a casa del diavolo a pie zoppo. E costui ! — — E qui lo
guardava, come se avesse sospetto che quel costui sentisse i suoi pen-
sieri , — 4906lui , dopo aver mésso sottosopra il móndo con le scel-
leratezze, ora lo mette sottosopra con la conversione . .<. ..se sarà
vero.'Intanto tocta a me a farne l'esperienza!... É. finita: quando son
nati con quella smania in corpo, bisogna che faccian sempre fracasso.
Ci vuol tanto a ff^e il galantuomo tutta la vita, com' ho fatt' io ? No,
signore ; si deve squartare, ammazzare, fare il diavolo .... oh povero
me ! ... e poi uno scompiglio, anche per far penitenza. La penitenza,
quando s'ha buona volontà, sì può farla a casa sua, quietamente,
senza lant' apparato , senza dar tant' incomodo al pros»mo. E sua ^-
gnorìa illustrissima, subito subito, a braccia aperte, caro amico, amico
caro; stare a tutto qael clic gli dice costui, come se l'avesse visto far
miracoli; e prendere addirittura una risoluzione, mettercisi dentro con
le mani e co' piedi, presto di qua, presto di là: a casa mia si chiama
precipitazione. E senza avere una minima caparra, dargli in mano un
povero curalo! questo si chiama giocare un uomo a pari e caffo. Un
vescovo santo, com'è lui, de' curati dovrebbe esserne geloso, come
della pupilla degli occhi suoi. Vn podiino di flemma , un pochino di
prudenza, un pochino dì carità, mi pare che possa stare anche con
la santità .... E se fosse tutto un' apparenza ? Chi può conoscer lutti
■ fini degli uomini ? e dico d^ì uomini come costui ? A pensare che
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411 I PROMESSI SPOSI
mi tocca a andar con lui, a casa sua ! Ci può esser sotto qualclie dia-
volo: oh povero me! è meglio non ci pensare. Che imbroglio è que-
sto di Lucia? Che ci fosse un'intesa con don Rodrigo?che gente! ma
almeno la cosa sarebbe chiara. Ma come l'ha avuta nell'unghie costui?
Chi lo sa?E tutto un segreto con monsignore: e a me che mi fanno
trottare in questa maniera, non si diee nulla, lo non mi curo di sa-
pere i fatti degli altri ; ma quando uno ci ha a metter la pelle , lia
anche ragione di sapere. Se fosse proprio per andare a prendere quHIa
povera creatura, pazienza! Benché, poteva ben condurla con sé ad-
dirittura. E poi, se è così convertito, se è diventalo un santo padre,
che bisogno e" era di me ? Oh che caos ! Basta ; voglia il ciclo che la
sia cosi : sarà sialo un incomodo grosso, ma pazienza! Sarò contento
anclie per quella povera Lucia: anche lei deve averla scampata grossa;
sa il cielo cos'ha patito: la compatisco; ma è nata perla mia rovina....
Almeno potessi vedergli proprio in cuore a costui, eome la pensa. Qii
lo può conoscere? Ecco li, ora pare sant'Antonio nel deserto; ora pare
Oloferne in persona. Oh povero me! povero me ! Basta : il cielo è in
obbligo d'aiutarmi, perchè non mici son messo io di mio capriccio. —
infatti, sul volto dell'innominato si vedevano, per dir eosi, passare
i pensieri, come, in un'ora burrascosa, le nuvole trascorrono dinann
alla faccia del sole , alternando ogni momento una luce arrabbiata e
un freddo buio. L' animo, ancor tutto inebriato dalle soavi parole di
Federigo, e come rifatto e ringiovanito nella nuova vita, s" elevava a
quell'idee di misericordia, di perdono e d'amore; poi ricadeva sotto
il peso del terribile passato. Correva con ansietà a cercare quali fos-
sero le iniquità riparabili , cosa sì potesse (roncare a mezzo, quali ì
rimedi più espedienti e più sicuri, come scioglier tanti nodi, che fan
di tanti complici : era uno sbalordimento a pensarci. A quella stessa
s{iedizionc, ch'era la più facile e così vicina al termine, andava con
un'impazienza mista d'angoscia, pensando che intanto quella creatura
pativa. Dio sa quanto, e che luì, il quale pure si struggeva dì lìbe- !
rarla, era lui che la teneva intanto a patire. Dove e'eran due strade, |
il leltighiero si voltava, per saper quale dovesse prendere: l' innomi- ; |
nato glicl'indicava con la mano, e insieme accennava di far presto. ' ^
Entrano nella valle. Come stava allora il povero don Abbondio ! , i
Quella valle famosa, della quale aveva senato raccontar tante storie or- i 1
rìbili, esserci dentro: quc' famosi uomini, ÌI flore della braveria d'Italia, | |
quegli uomini senza pawn e senza misericordia, vederli in carne e in il
I
DigilizsdnyGoOgle
CAPITOLO xxni.
ossa, tnciHitrarae uao o due o tre a ogni voltata di strada. Si ràìaa-
vuio sommessamente al signore; ma certi visi abbronzati! certi baffi
irli ! certi occliiacci , che a don Abbondio pareva che volessero dire :
largii la festa a quel prete? A segno che, in un punto di somma co*
slernauonc, gli venne detto Ira sé: — gli avessi maritati ! non mi po-
teva accader di peggio. — Intanto s' andava avanti per un sentiero
sassoso, lungo il torrente: al di là quel prospetto di balze aspre, scure,
disabitate; al di qua quella popoiaeione da far parer desiderabile ogni
deserto : Dante non istava peggio nel mezzo di Malebolge.
Passan davanti la Malanotte; bravacci sull'uscio, inchini al signore,
occhiate al suo compagno e alia lettiga. Coloro non sapevan cosa si
pensareigià la partenza dell'innominato solo, la mattina, aveva dello
straordinario ; il ritorno non lo era meno. Era una preda che condu-
ceva? E come 1' aveva fatta da se? E come una lettiga forestiera? E
di chi poteva esser quella livrea ? Guardavano , guardavano, ma nes-
suno si moveva, perchè questo era l'ordine che il padrone dava loro
con dell' occhiate.
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■!• I PAOHESSI SPOSI
Panno la salila , sono in cìiaa. 1 b^avi cfte si trovan sulla spianala
e sulla porla , si rìlirano di qua e di là , per lasciare il passo libero :
r innominato fa segno che non si movan di più ; sprona, e passa da-
vanti alla lettiga; accenna al lellighiero e a don Abbondio che lo se-
guano; entra in un primo cortile, da quello in un secondo; va verso
un usciolino , fa stare indietro con un gesto un bravo clic accorreva
per tenergli la slafla, e gli dice : » tu sia costi, e non venga nessu-.
no. » Smonta, lega in fretta la mula a un' inferriata, va alla lettiga,
s' accosta alla donna, che aveva tirala la tendina, e le dice sottovoce:
« consolatela subilo; fatele subilo capire che è libera, in mano d'a*
mici. Dio ve ne renderà merito, n Poi fa cenno al leltighiero, che apra;
poi s'avvicina a don Abbondio, e, con un sembiante oo^ sereno ccune
questo non gliel aveva ancor visto, né credeva che lo potesse a^ere,
con dipintavi la gioia dell'opera buona che finalmente stava per com-
pire, gli dice, ancora sotto voce: « signor curato, non le chiedo scusa
dell' incomodo clic ha per cagion mia : lei lo fa per Uno che paga
bene, e per questa sua poverina.» Ciò detto, prende con una mano
il morso, con l'altra la staffa, per aiutar don Abbondio a scendere.
Quel volto, quelle parole , quell' atto, gli avevan dato la vila. Mise
un sospiro, che da un' ora gli s' aggirava dentro, senza mai trovar
l'usdla; si chinò verso l'innominato, risposeavoce bassa bassa: " le
pare? Ma, ma, ma, ma, ! » e sdrucciolò alla meglio dalla sua
cavalcatura. L'innominato legò anche quella, e detto al leltighiero che
stesse li a aspettare, si levò una chiave di tasca, apri T uscio, enirtj
fece entrare il curato e la donna, s'avviò davanti a loro alla sctileUaì
e luti' e tre salirono in silentio.
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CAPITOLO XXIV.
'era riseiUifa da ])oco tempo; e di quel
pò una parte aveva penato a svegliarsi
Lio, a separar le torbide visioni del sonno
e memorie e dall' immagini di 'quella
(à troppo somiglianle a una funesta vi-
ic d'infermo. La veeeliia le si era subito
icinala, e, eon quella voce forzalamenlc
le, le aveva dello: « ali! avele dormilo?
«ste potuto dormire in letto : ve l' lio
dello tante volle ier sera. " E non ri-
;ndo risposta, aveva continualo, sem-
pre con un tono di snpplicazione stizzosa :
« mangiate una volta: abbiate giudizio. Uh come siete bruita! Avete
bisogno di mangiare. E poi se, quando torna, la piglia con me?"
«No, no; TOglio andar vitt, voglio andar da mia madre. Il padrone
me riia promesso, ha! diJllo: domattina. Dov'è il padrone? »
« È uscito; m' lia dello die tornerà presto, e che farà tulio quel
die volete. »
" Ha detto cosi? ha delLó così? Ebbene; io voglio andar da mia
niadre;-snbilo, subito."
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Mie I PROMHSI SPOSI.
Ed «eco » sente nn calpestio nella stanza vicina; poi un pìccliio al-
l' uscio. La vecchia accorre, domanda: « chi è ? »
V Aprì , « risponde soinmessanienlc la nota voce. La veccliia tira
il paletto; l'innominato, spingendo leggermenle i battenti, fa un po'
di spiraglio: ordina alla vecchia di venir fuori, fa entrar subilo don
Abbondio con la buona donna. Socchiude poi di nuovo l' uscio, si ferma
dietro a quello , e manda la vecchia in una parte lontana del castel-
lacelo ; come aveva già mandata via andie l' altra donna che slava
fuori, di guardia.
Tutto questo movimento, quel punto d'aspetto, il primo apparire
di persone nuove, cagionarono un soprassalto d'agitazione a Lucia, alla
quale, se lo stalo presenta era intollerabile, ogni cambiamoilo però era
motivo di sospetto e di nuovo spavento. Guardò, vide uu prete, una
donna; si rincorò alquanto: guarda più attenta: è lui, o non è lui?
Riconosce don Abbondio , e rimane con gli occhi fissi , come incan-
tala. La donna, andatale vicino, si chinò sopra di lei, e, guardandola
pietosamente, prendendole le mani, come per accarezzarla e alzarla a
un tempo , le disse : « oh poverina ! venite , venite con noi. »
u Chi siete? » le domandò Lucia; ma, senza aspettar la risposta,
si voltò ancora a don Abbondio, che s'era trattenuto discosto due passi,
con un viso, anche lui, tutto compassionevole; lo fissò di nuovo, e
esclamò : » lei ! è lei 7 il signor curato ? Dove siamo ? . . . Oh povera
me! son fuori di sentimento! «
u No, nò , " rispose don Abbondio : " son io davvero : fatevi co-
raggio. Vedete? slam qui per condurvi via. Son proprio il vostro cu-
rato , vénulo qui apposta, a cavallo , . . . n
Lucia , come riacquistate in un tratto tutte le sue forze , si rizzò
precipitosamente; poi fissò ancora lo sguardo su que' due visi, e dis-
se : u è dunque la Madonna che vi ha mandati. »
« Io credo di sì , •> disse la buona donna.
u Ma possiamo andar via, |>ossiamo andar via davvero? » riprese
Lucia, abbassando la voce, e con uno sguardo timido e sospettoso. » E
tutta quella gente ... ? » continuò, con le labbra contratte e tremanti
di spavento e d'orrore: b e quel signore...! queir uomo ... I Già,
me r aveva promesso ..."
« E qui anche lui in persona, venuto apposta con noi , « disse don
Abbondio: « è qui fuori clic aspetta. Andiamo presto; non lo facciamo
aspeltare, un par suo. »
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CAPITOLO XXIV. 4(0
Allora, quello di cui si parlava, spinse l'uscio, e si fece vedere; Lu-
cia, che poco prima lo desiderava anzi, non avendo speranza in altra
cosa del mondo, non desiderava che lui, ora, dopo aver veduti visi,
e sentite voci amiche, non potè reprimere un subitaneo ribrezzo; si
riscosse, ritenne il respiro, si strinse alla buona donna, e le nascose
il viso in seno. L' innominato , alla vista di quell' aspello sul quale
già la sera avanti non aveva potuto tener fermo lo sguardo, di quel-
l'aspello reso ora {nù squallido, sbattuto, affannalo dal palire prolun^
gaio e dal digiuno, era rimasto li fermo, quasi sul)' uscio; nel veder
poi quell'atto dì terrore, abbassò gli occhi, stelle ancora un momento
immobile e muto ; indi rispondendo a ciò che la poverina non aveva
detto, u è vero, » esclamò; « perdonatemi! » '
« Viene a liberarvi; non è più quello ; è diventato buono: sentite
che vi chiede perdono?» diceva la buona donna all'orecchio di Lucia.
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4HO t PAOHESSI SPOSI.
" Si può dir (ti più? Via, su quella testa; non fate la bambina; che
possiamo andar presto, » le diceva don Abbondio. Lucia alzò la testa,
guardò l'innominato, e, vedendo bassa quella fronte, atterrato e con-
fuso quello sguardo, presa da un misto sentimento di conforto, di ri-
conoscenza e di pietà, disse: «oh, il mio signore! Dìo le renda merito
della sua misericordia ! «
X E a voi , cento volte, il bene che mi fanno codeste vostre parole. »
Cosi dello, si voltò, andò verso l'uscio, e usci il primo. Lucia,
tutta rianimala, con la donna che le dava braccio, gli andò dietro; don
Abbondio in coda. Scesero la scala, arrivarono all'uscio che metteva nd
cortile. L'innominato lo spalancò, andò alla lettiga, apri lo sporlella, c^
con una certa gentilezza quasi timida (due cose nuove in lui) sonvg-
gendo il braccio di Lucia, l'aiutò ad entrarvi, poi la buona donna. Slegò
quindi la mula di don Abbondio, e l' aiutò anche lui a montare.
•■ Oh che degnazione ! » disse questo; e montò mollo più lesto che
non avesse fatto la prima volta. La comitiva si mosse quando l' inno-
minato fu anche lui a. cavallo. La sua frontes'era rialzala; lo sguardo
aveva ripreso la solita espressione d'impero. I bravi che incontrava,
vedevan bene sul suo viso i segni d'un forte pensiero, d'una preoccu-
pazione straordinaria; ma non capivano, né poicvan capire più in ]k.
Al castello, non si sapeva ancor nulla della gran mutazione di quel-
l'uomo; e per congettura, certo, nessun di coloro vi sarebbe arrivato.
La buona donna aveva subito tirate le tendine della lettiga : prese
poi affettuosamente le mani dì Lucia, s'era messa a confortarla, con
parole di pietà , di congratulazione e dì tenerezza. E vedendo come ,
oltre la fatica dì tanto travaglio sofferto, la confusione e l'oscurità de-
gli avvenimenti impedivano alla poverina di sentir pienamente la con-
tentezza della sua liberazione , le disse quanto poteva trovar di più
atto a distrigare, a ravviare, per dir cosi, ì suoi poveri pensieri. Le
nominò il paese dove andavano.
u Si? » disse Lucia, la qual sapeva ch'era poco discosto dal suo.
"Ah Madonna santissima, vi ringrazio! Mia madre! mia madre! »
1 La manderemo a cercar subito,» disse la buona donna, la quale
non sapeva che la cosa era già fatta.
« Sì, sì; che Dìo ve ne renda merito .... E voi, chi siete? Come
siete venula .... «
u M' ha mandata il nostro curato, » disse la buona donna: « per-
chè questo signore. Dio gli ha toccato il cuore (aa benedetto !), ed è
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CAPITOLO XXIV. 4l(l
veanto al nostra paese , per parlare al signor cardinale arcivescovo
(4^ l'abbiamo là in visita, quel sant' uomo), e s' è pentito de' suoi
peccatacci, e vuol mutar vita; e ha detto al cardinale che aveva Tatla
rubare una povera innocente , che siete voi , d' intesa con un altro
senza timor di Dio, che il curato non m' ha dello chi possa essere, n
Lucia alzò gli occhi al cielo.
« Lo saprete Torse voi, » continuò la buona donna : « basta; dun-
que il signor cardinale ha pensalo che , trattandosi d'una giovine, ci
voleva una donna per venire in compagnia, e ha detto al curato che
ne cercasse una; e il curato, per sua bontà, é venuto da me. ... n
« Oh! il Signore vi ricompensi della vostra carità! «
u Che ^te mai, la nùa povera giovine? E m'ha detto il signor cu-
rato, che vi facessi coraggio, e cercassi di sollevarvi subito, e farvi
intendere come il Signore v* ha salvata miracolosamente .... »
« A.h si! proprio miracolosamente; per intercession della lUadonna. »
t Dunque, che stiate di buon animo, e perdonare a chi v'ha fatto
del male, e esser contenta che Dio gli abbia usala misericordia, anzi
pregare per lui; che, oltre all' acquistarne merito, vi sentirete anche
allargare il cuore. «
Lucia rispose con uno sguardo che diceva di si, tanto chiaro come
avrebbero potuto far le parole, e con una dolcezza che le parole non
avrebbero saputa esprimere.
u Brava giovine! » riprese la donna: u e trovandosi al noshro paese
anche il vostro curato (che ce n'è tanli tanti, di tutto il contorno,
da mettere insieme quattro uQzi generali), ha pensato il signor cardi-
nale di mandarìo anche lui in compagnia; uur è stato di poco aiuto.
Già l'avevo sentito dire ch'era un uomo da poco; ma in quest'occa-
sione , ho dovuto proprio vedere che è più impicciato che un pukin
nella stoppa. »
" B questo....» domandò Luda, cquestoche è diventato buono....
chi è?»
u Come! non lo sapete? « disse la buona donna, e lo nominò.
» Oh misericordia! » esclamò Lucia. Quel nome, quante volle l'a-
veva sentito ripetere con orrore in più d'una storia, in euì figurava
sempre come in altre storie quello dell'orco! E ora, al pensiero d'es-
sere stata nel suo terribil potere, e d'essere sotto la sua guardia pie-
tosa ; al pensiero d' una cosi orrenda sciagura, e d* una cosi improv-
visa redenzione; a considerare di chi era quel viso che aveva veduto
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àB* I PROUESSI SPOSI
burbero, poi commosso, poi umiliato, rimaaeva come estatica, di-
cendo solo , ogni poco : « oh misericordia ! n
« É una gran misericordia davvero ! » diceva la buona donna : « de-
v'essere un gran sollievo per mezzo mondo. A pensare quanla genie
teneva sottosopra; e ora, come m'ha detto il nostro corat» e
poi, sfAo a guardarlo in viso, è diventato un santo! E poi si vedon
subilo le opere. •>
Dire clie questa buona donna non provasse molla curiositi di co-
noscere un po' più distintamente la grand'avventura nella quale si tro-
vava a fare una parte , non sarebbe la verità. Ma bisogna dire a sua
gloria ehe, compresa d'una pietà rispettosa per Lucia, sentendo in
certo modo la gravità e la dignità dell'incarico die le era slato ad-
dato, non pensò neppure a farle una domanda indiscreta, né oziosa:
tutte le sue parole, in quel tragitto, furono di eonforlo e di premura
per la povera giovine.
« Dio sa quant' è ehe non avete mangiato ! n
<• Non me ne ricordo più .... Da un pezzo, n
H Poverina! Avrete bisogno di ristorarvi. »
u Si, n rispose Lucia con voce fioca.
» A casa mia, grazie a Dio, troveremo subito qualcosa. Fatevi co-
raggio, che ormai e' è poco. »
Lucia si lasciava poi cader languida sul fondo della lettiga , axK
assopita ; e allora la buona donna la lasciava in riposo.
Per don Abbondio questo ritorno non era certo cosi angoscioso come
l'andata di poco prima; ma non fu neppur esso un viaggiò di piacere.
Al cessar di quella pauraccia, s'era da principio sentito tutto scarico,
ma ben presto cominciarono a spuntargli in cuore cent'altri dispiaceri;
come, quand'è stato sbarbata uu grand'sdbero, il terreno rimane ^{om-
bro per qualche tempo, ma poi si copre tutto d'erbacce. Era diventato
più sensibile a tutto il resto;e tanto nel presente, quanto ne' pensieri
dell'avvenire, non gli mancava pur troppo materia di tormentarsi. Sen-
tiva ora, mollo più che nell'andare, l'incomodo dì quel modo di viag-
giare, al quale non era molto avvezzo; e specialmente sul principio, nella
scesa dal castello al fondo della valle, fl lettighieru, stimolato da' cenni
dell'innominato, faceva andar di buon passo le sue bestie; le due ca-
valcature andavan dietro dietro, con lo stesso passo; onde seguiva die,
a certi luoghi più ripidi, il povero don Aldtondio, oome se fosse messo
a le^-a per di dietro, tracollava sul davanti, e, per reggersi, doveva
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CAPITOLO XXIV. èsa
appualellarsi con la mano all'arcione; e non osava però pregare che
s' andasse più adagio , e dall'altra parte avrebbe voluto esser fuori di
quel paese più presto clie fosse possibile. Olire di ciò, dove la strada
era sar un rialto, sur un ciglione, la mula, secondo l'oso de'pari suoi,
pareva che facesse per dispetto a tener sempre dalla parte di fuori,
e a metter proprio le zampe sull'orlo; e don Abbondio vedeva sotto
di sé, quasi a perpendicolo, un salto, o come pensava lui, un preci-
pizio. — ■ Anclie tu, - — diceva tra sé alla bestia, — bai quel male-
detto'gusto d'andare a cercarci pericoli, quando c'ètanto sentiero! —
E tirava la briglia dall'altra parte; ma inutilmente. Sicché, al solito,
rodendosi di stizza e di paura , si lasciava condurre a piacere altrui. '
J bravi non gli faeevan più tanto spavento, ora che sapeva più di
certo eome la pensava il padrone. — Ma, — rifletteva però, — se la
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»( I PROMESSI SPOSI
notizia di questa gran conversione si sparge qua dentro, intanto cbe ci
siamo ancora, chi sa come l' intenderanno costoro! Chi sa cosa nasce!
Che s'andassero a immaginare che sia venuto io a fare il missionario!
Povero me! mi martirizzano! — U cipiglio dell'innominato dod fj&
dava fastidio. — Per tenere a segno quelle fecce li, — pensava, —
non ci vuol meno di questa qui; lo capisco anch' io; ma perchè deve
toccare a me a Irovaimi tra tutti costoro! —
Basta; s' arrivò in fondo alla scesa, e s'uscì finalmente anche didla
valle. La fronte dell' innominato s" andò spianando. Anclie don Ab-
bondio prese una faccia più naturale , sprigionò alquanto la testa di
tra le spalle, sgranchì le braccia e le gambe, si mise a stare un po'
più sulla vita , clic faceva un tutt' altro vedere , mandò più larghi re-
spiri, e, con animo più riposato, si mise a considerare altri lontani
pericoli. — Cosa dirà quel bestione di don Rodrigo ? Rimaner con
tanto di naso a questo modo, col danno e con le beffe, figuriamoci se
la gli deve parere amara. Ora è quando fa il diavolo davvero. Sta a
vedere che se la piglia anche con me , perché mi son travato dentro
in questa cerimonia. Se lia avuto cuore fin d' allora di mandare que'
due demòni a farmi una figura di quella sorte sulla strada , ora poi ,
chi sa cosa farà! Con sua signoria illustrissima non la può prendere,
cbe è un pezzo mollo più grosso di lui ; lì bisognerà rodere il freno.
Intanto il veleno l'avrà in corpo, e sopra qualcheduno lo vorrà sfo-
gare. Come finiscono queste faccende? I colpi cascano sempre all'io-
giù; i cenci vanno all'aria. Lucia, di ragione, sua signoria illustrìs-
sima penserà a metterla in salvo : quell'altro poveraccio mal capitato
è fuor del tiro, e ha già avuto la sua: ecco che il cencio son diven-
tato io. La sarebbe barbara, dopo tant' incomodi, dopo tante agitazioni,
e senza acquistarne merito, che ne dovessi portar la pena io. Cosa farà
ora sua signorìa illustrissima per difendermi , dopo avermi messo in
ballo ? Mi può star mallevadore lui che quel dannato non mi faccia
im'azione peggio della prima? E poi , ha tanti affari per la testa ! mette
mano a tante cose! Come si può badare a tutto? Lascian poi alle volte
le cose più imbrogliate di prima. Quelli ehe fanno il bene , lo fanno
all'ingrosso: quand'hanno provata quella soddisfazione, n'hanno ab-
bastanza, e non si voglion seccare a star dietro a tutte le conseguenze;
ma coloro cbe lianno quel gusto dì fare il male , ci mettono più dili-
genza, ci stanno dietro fino alla fine, nonprendon mai requie, perchè
hanno quel canchero che li rode. Devo andar io a dire cbe son venuto
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CAPITOLO XXIV. JHK
qai per comando espresso di sua signoria illuslrissìma , e non di mia
volontà? Parrebbe che volessi tenere dalla parte dell' iniquità. Oli santo
cielol Dalla parte dell'iniquità io! Per gli spassi che la mi dà! Basta;
il meglio sarà raccontare a Perpetua la cosa com'è; e lascia poi (are a
Perpetua a mandarla in giro. Purdiè a monsignore non venga il grillo
di far qualche pubblicità , qualche scena inutile , e metlermìcJ dentro
anehe me. A buon conto, appena siamo arrivali, se é uscito di chiesa,
vado a riverirlo in fretta in fretta; se no, lascio le mie scuse, e me ne
vo diritto diritto a casa mìa. Lucìa è bene appoggiata ; di me non ce n' è
più bisogno; e dopo tant' incomodi, posso pretendere anch' io d'andarmi
a riposare. E poi ... . che non venisse anche curiosità a monsignore
di saper tutta la' storia, e mi toccasse a render conto dell' alTare del
matrimonio! Non ci mancherebbe altro. E se viene in visita anche
alla mìa parrocchia!. . . . Ohi sarà quel che sarà; non vo' confondermi
prima del tempo: n' ho abbastanza de' guai. Per ora vo a chiudermi in
casa. Fin che monsignore si trova- da queste parli , don Rodrigo non
avrà faccia di far pazzie. E poi E poi ? Ah ! vedo che i miei ui-
limi anni ho da passarli male ! —
La comitiva arrivò che le funzioni di chiesa non erano ancor ter-
minate; passò per mezzo alla folla medesima non meno commossa della
prima volta; e poi si divise. I due a cavallo voltarono sur una piaz-
zetta di fianco, in fondo a cui era la casa del parroco; la lettiga andò
avanti verso quella della buona donna.
Don Abbondio fece quello che aveva pensato : appena smontato, fece
i più sviscerati complimenti all' innominalo, e lo pregò di volerlo 8cu>
sar con monsignore ; che lui doveva tornare alla parrocchia addirit-
tura, per affari urgenti. Andò a cercare quel che chiamava il suo ca-
vallo, cioè il bastone die aveva lasciato in un cantuccio del salotto,
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»sa . .1 PROUESSt SPOSI
e s* incamminò. L' innominato stette a aspettare che il cardinale tor-
nasse di chiesa.
La buona donna, falla seder Lucia nel miglior luogo della sua cu-
cina, s'affaccendava a preparar qualcosa da ristorarla, ricusando, con
una cerla ruslichezza cordiale, i ringraziamenti e le scuse che questa
rinnovava ogni tanto.
Presto presto , rimettendo slipa sollo un calderotto , dove notava
un buon cappone , fece alzare il Irallorc al brodo , e riempitane uiia
scodella già guarnita di fette di pane, potè finalmenle presentarla a
Lucia. E nel vedere la poverina a riaversi a ogni cucchiaiata, si con-
gratula\'a ad alla voce con sé slessa che la cosa fosse accaduta in un
giorno in cui , com' essa diceva , non c'era il gallo net fuoco. -» Tulli
s'ingegnano oggi a far qualcosina, » aggiungeva: "ineno que' poveri
poveri che stcnlano a aver pane dì vecce e polenta di saggina ; però
oggi da un signore cosi carilale\'ole sperano di buscar lutti qualcosa.
Noi, grazie al cielo, non siamo in questo caso: Ira il mestiere di mio
marito , e qualcosa che abbiamo al sole , si campa. Sicché mangiale
senza pensieri intanto; che presto il cappone sarà a tira, e potrete
ristorarvi un po' meglio. » Così dello, ritornò ad accudire al desinare,
e ad apparecchiare.
Lucia , tornatele alquanto le forze , e acquietandosele sempre più
l'animo, andava intanto assellandosi , per un'abitudine, per un istinto
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXIV. «UT
dr pulizia e di verecondia : rimetteva e fermava le (rccee allcnlale
e airufTate, raccomodava il TazzolcUo sul seno, e intorno a) eolio. In
far questo, le sue dita s' inlralclarono nella corona che ei aveva )nessa,
la notte avanti ; lo sguardo vi corse ; si fece nella niente un tumulto
istantaneo ; la memoria del voto , oppressa (ino allora e soffogata da
tante sensazioni presenti , vi si suscitò d' improvviso, e vi compar\e
chiara e distinta. Allora tutte le potenze del suo animo, appena ria-
vute, furon sopraffatte di nuovo, a un tratto : e se qucll' animo non
fosse stalo così prejtarato da una vita d' innocenza , di rassegnazione
e di lìducia, la costernazione che provò in quel momento, sarebbe
stata disperazione. Dopo un ribollimento di quc' pensieri die non
vengono con parole , le prime che si formarono nella sua mente fu-
rono : — oh povera me , cos' ho fattoi —
Ma non appena l' ebbe pensate , ne risenti come uno spavento. Le
tornarono in mente tulle le circostanze del voto , l'angoscia intollera-
bile, il non avere una speranza di soccorso, il fervore della preghiera.
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IHB I PnOUKSSI SPOSI
la pienezza del sentimento con cui la promessa era slata fatta. E dopo
avere ottenuta la grazia, pentirsi delia promessa, le parve un' ingra-
titudine sacnlega, una perfidia verso Dio e la Madonna; le parve che
una tale infedeltà le attirerebbe nuove e più terribili sventure , in
mezzo alle quali non potrebbe più sperare neppur nella preghiera;
e s' anreUó di rinnegare quel pentimento momentaneo. Si levò con
divozione la corona dal collo , e t«iendola nella n>ano tremante ,
confermò , rinnovò il voto , chiedendo nelle slesso tempo , con una
supplicazione accorala, che le fosse concessa la forza d'adempirlo, die
le fossero risparmiati i pensieri e 1' occasioni le quali avrebbero po-
tuto , se non ìsmovcre il suo animo , agitarlo troppo. La lontananza
di Renzo, senza nessuna probabilità di ritorno, quella lontananza die
(in allora le era stata così amara, le parve ora una disposizione della
Provvidenza , che avesse fatti andare insieme ì due avvenimenlì per
un fine solo; e si studiavaidi trovar nell'uno la ragione d'esser con-
tenta dell'allro. E dietro a quel pensiero, s'andava figurando ugual-
molte che quella Provvidenza medesima, per compir l'opera, saprebbe
trovar la maniera di far che Renzo si rassegnasse anche lui, non pen-
sasse più.... Ma una tale idea, appena trovala, mise sottosopra la
mente eh' era andata a cercarla. La povera Lucia , sentendo die il
cuore era lì li per pentirsi, ritornò alla preghiera, alle conferme, al com-
battimento, dal quale s'alzò, se ci si passa quest' espressione, come il
vincìlore stanco e ferito, dì sopra il nemico abbattuto: non dico ucciso.
Tult'a un tratto, si sente uno scalpìcdo, e un diiasso di voci al-
legre. Era la famigliola che tornava di diiesa. Due bambinette e un
fanciullo entran saltando; si fermano un momento a dare un'occhiaia
curiosa a Lucia, poi corrono alla mamma, e le s'aggruppano inlomo:
ehi domanda il ntmie dell' ospite sconosctula , e il come e il perchè ;
chi vuol raccontare le maraviglie vedute: la buona donna risponde a
tutto e a tutti con un « zitti , zitti, x Entra poi , con un passo più
quieto , ma con una premura cordiale dipinta in viso, il padrone <U
casa. Era, se non l'abbiamo ancor detto, il sarto del villaggio, e de'
contorni ; un uomo che sapeva leggere , che aveva letto in fotti più
d' una volta il Leggendario de' Santi, il Guerrìn meschino e i Reali di
Francia, e passava, in quelle parli, per un uomo di talento e di sden-
za: lode però che rifiutava modestamente, dicendo soltanto che aveva
sbagliato la vocazione; e che se fosse andato agli studi, in vece di
tant' altri — ! Con questo , la miglior pasta del mondo. Essendosi
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CAPITOLO XXIV. tao
trovato presente quando sua moglie era siala pregata dal curalo d'ìii-
trapreadere quel viaggio caritatevole , non solo ci aveva data la sua
approvazione, ma le avrebbe fatto coraggio, se ce ne fosse stalo bi-
sogno. E ora che la funzione, la pompa, il concorso, e soprattutto la
predica del cardinale avevano, come si dice, esaltali tutti i suoi buoni
sentimenti , tornava a casa con un' aspettativa , con un desiderio an-
sioso di sapere come la cosa fosse riuscita, e di ti'ovare la povera in-
nocente salvala.
« Guardale un poco, » gli disse, al suo entrare, la buona donna,
accennando Lucìa; la quale fece il viso rosso, s'alzò, e cominciava a bal-
bettar qualche scusa. Ma lui, avvicinatosele, l' interruppe facendole una
gran festa, e esciamando: « ben venuta, ben venula! Siete la bene-
dizione del cielo in questa casa. Come son contento di vedervi qui !
Già ero sicuro che sareste arrivata a buon porto; perchè non ho mai
trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo
bene ; ma son contento di vedervi qui. Povera giovine ! Ma é però
una gran cosa d'aver ricevuto un miracolo ! »
Né si creda che fosse lui il solo a qualificar così quell'avvenimento,
perchè aveva letto il Leggendario : per lutto il paese e per tuli' i
coDtorni non se ne parlò con altri termini, fin che ce ne rimase la
memoria. E, a dir la verità, con le frange che vi s'attaccarono, non
gli poteva convenire altro nome.
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«so 1 PROMESSI SPOSI.
Accostatosi poi passo passo alla moglie, che staccava il calderotlo
dalla catena , le disse sottovoce : u è andato bene ogni cosa? »
» Benone : li racconterò poi lutto. »
u Si, sì; con comodo. "
Messo poi subito in tavola, la padrona andò a prender Lucia , ^e
l'accompagnò, la fece sedere; e staccata un'ala di quel cappone, gliela
mise davanti; si mise a sedere ancbe lei e il marito, facendo lutl'e
due coraggio all'ospite abbattuta e vergognosa, perchè mangiasse. U
sarto cominciò, ai primi bocconi, a discorrere con graud'enfasi , in
mezzo all' interruzioni de' ragazzi, che mangiavano intorno alla lavob,
e che in verità avevano viste troppe cose straordinarie, per fare alla
lunga la sola parte d'ascoltatori. Descriveva le cerimonie solenni, pei
saltava a parlare della conversione miracolosa. Ma ciò che gli aveva
fatto più impressione, e su cui tornava più spesso, era la predica del
cardinale.
u A. vederlo li davanti all'altare, » diceva, « un sÌgn<M'e di quella
sorte, come un curato ... ."
u E quella cosa d' oro che aveva in testa .... » diceva una bam-
binetta.
u sta utla. A pensare, dico, che un signore di quella sorte, e un
uomo tanto sapiente, che, a quel che dicono, ha letto lutti i libri che
ci sono, cosa a cui non è mai arrivato nessun altro, né anche in Mi-
lano; a pensare che sappia adattarsi a dir quelle cose in maniera che
tutti intendano ... ."
u Ho inteso anch'io , " disse 1' altra chiacchierina.
« Sia zitta! cosa vuoi avere inteso, tu? «
u Ho inteso che spiegava il Vangelo in ^ece del signor curalo. "
u Sta zitta. Non dico chi sa qualche cosa; che allora uno è obbli-
galo a intendere; ma anche i più duri di testa, i più ignoranti, an-
davan dietro al filo del discorso. Andate ora a domandar loro se sa-
prebbero ripeter le parole e)ie diceva: si; noa ne ripescherebbero una;
ma il sentimento Io hanno qui. E senza mai nominare quel si^^ore,
come si ca|>iva che voleva parlar di lui ! E poi , per capire , sarebbe
bastalo osser\'are quando aveva le lacrime agli occhi. E allora tutla la
gente a piangere .... »
" É proprio vero , " scap|>ó fuori il fanciullo : « ma perchè pian-
gevan tulli a quel modo , come bambini ? »
" Sta zitto. E si che e' è de' cuori duri in questo paese. E ha fatto
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CAPITOLO XXIV. 4«1
proprio vedere che, benché ci sìa la carestia , bisogna riagraziare il
Signore, ed esser conlenti: far quel che si può, industriarsi, aiutarsi,
e poi esser contenti. Perchè la disgrazia non è il patire, e l'esser po-
veri; la di^razìa è il far del male. E non son belle parole; perchè si
sa che anche luì vìve da pover uomo, e si leva il pane di bocca per
darìo agli aflamali ; quando potrebbe far vila scella , meglio di chi si
sìa. Ali ! allora un uomo dà soddisfazione a sentirlo discorrere ; non
come tanl' altri, fate quello che dico, e non fate quel che fo. E poi ha
fatto proprio vedere che .anche coloro che non son signori, se hanno
più del necessario , sono obbligati di fame parte a ehi patisce, n
Qui interruppe ìi discorso da sé , come sorpreso da un pensiero.
Stelle un momento; poi mis* insieme un piallo delle vivande ch'eran
sulla tavola, e aggiuntovi un pane, mise il piallo in un tovagliolo, e
pnso queslo per le quattro cocche , disse alla sua bambinetta mag-
giore: u piglia qui. " Le diede nell'altra mano un fiaschello di vino,
e soggiunse: « va qui da Maria vedova; lasciale questa roba, e dille
che è per slare un po' allegra co' suoi bambini. Ma con buona maniera,
ve' ; che non paia che tu le faccia l' elemosina. E non dir niente , se
incontri qualchedimo; e guarda di non rompere. •»
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4«l I PROMESSI SPOSI.
Lucia fece gli ocdii rossi , e senti in cuwe una tenere&a ricrea-
trice; come già da' discorsi di prima aveva ricevuto un soUieyo che
UD discorso fatto apposta non le avrebbe potuto dare. L'animo attirale
da quelte descrizioni, da quelle fantasie di poonpa, da quelle c(HtiiiKH
zioni di pietà e di maraviglia, preso dall'entusiasmo medesimo dd
narratore, sì staccava da' pensieri dolorosi di sé; e anche ritomandeci
sopra , si trovava più forte contro di essi. Il pensiero slesso del gran
sacrifizio , non già che avesse perdalo il suo amaro , ma iosiem eoo
esso aveva un non so che d' una gioia austera e solenne.
Poco dopo , entrò il curato del paese, e disse d'esser mandalo dal
cardinale a informarsi di Lucia, ad avvertirla che monsignore voleva
vederla io quel giorno, e a ringraziare in suo nome il sarlo e la mo-
glie. E questi e quella, commossi e confusi, non trovavan parole per
corrispondere a lali dimostrazioni d'un taJ personaggio.
« E vostra madre non è anc4M'a arrivata? disse il curato a Luda.
« Mia madre!» esclamò questa. Dicendole poi il curato, die l'aveva
mandala a prendere, d'ordine dell'arcivescovo, si mise il grembiule agli
occhi, e diede in un diroUo pianto, che durò un pezzo dopo die fu an-
dato via il curato. Quando poi gli aEfelU tumultuo^ che le si erano
susdlati a quell'annunzio, cominciarono a dar luogo a pensieri più
posati , la poverina si ricordò che qudla consolazione allora così vi-
cina, di riveder la madre, una consolazione così inaspettala poche ore
prima, era stata da lei espressamente implorata in quell'ore terribili,
e messa quasi come una condizione al voto. Fatemi tornar taliM con
mia madre, aveva detto; e queste parole le ricomparvero ora distinte
nella memoria. Si confermò più che mai nel proposito di mantener la
promessa , e si fece di nuovo , e più amaramente , scrupolo di qud
povera me! che le era scappato detto tra sé, nel primo momento.
Agnese infatli , quando si parlava di lei , era già poco lontana. È
focile pensare come la povera donna fosse rimasta, a qudl'invito cosi
inaspettato, e a quella notizia, necessariamente tronca e confusa, d'un
pericolo, si poteva dir, cessato, ma spaventoso; d'un caso terribile, che
il messo non sapeva né circostanziare né spiegare; e lei non aveva a
che attaccarsi per ispiegarlo da sé. Dopo essersi cacdate le mani ne'
capelli, dopo aver gridalo più volte; « ah Signore! ah Madonna! »,
dopo aver fatte al messo varie domande, alle quali questo non sapeva
die risponda^ , era entrata in fretta e in (uria nel baroccio , conti-
nuando per la strada a esdamare e interrogare, senza profitto. Ma, a
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CAPITOtO XXIV. *M
UD cerio puDto , aveva iocoDlrato don Abbondio che veniva adagio
adagio, mettendo avanti, a ogni passo, il suo bastone. Dopo un u oh! »
dì tuU' e due le parti , lui s' era fermato , lei aveva fatto fermare, ed
era smontata; e s'eran tirati in disparfe in un castagneto che costeg-
giava la strada. Don Abbondio l'aveva ragguagliata dì ciò che aveva
potuto sapere e dovuto vedere. La cosa non »a chiara ; ma almeno
Agnese fu assicurata che Lucia era alTatto in salvo; e respirò.
Dopo, don Abbondio era voluto entrare in un altro discorso, e
darle una lunga istruzione sulla maniera di regolarsi con l'arcivesco-
vo, se questo, com' era probabile, avesse desiderato dì parlar con lei e
COTI la figliuola; e soprattutto che non conveniva far parola del matri-
monio.... Ma Agnese, accorgendosi die il brav'uomo non parlava che
per il suo proprio interesse, l'aveva piantato, senza promettergli, anzi
senza risolver nulla ; che aveva tutt' altro da pensare. E s' era ri-
messa in istrada.
Finalmente il baroccio arriva, e si ferma alla casa del sarto. Luda
s'alza precipitosamente; Agnese scende, e dentro di corsa: sono nelle
braccia l'una dell'altra. La moglie del sarto, ch'era la sola che si tro-
vava li presente, fa coraggio a tutt' e due, le acquieta, si rallegra con
loro, e poi, sempre discreta, le lascia sole, dicendo che andava a pre-
parare un letto per loro ; die aveva il modo , senza incomodarsi; ma
che , in ^uni caso , tanto lei , come suo marito, avrebbero piuttosto
voluto dormire in terra , che lasciarle andare a cercare un ricovero
aìtrove.
Passato quel primo sfogo d'abbracdamenti e di singhiozzi, ^^esc
volle sapere i casi di Lucia , e questa si mise affannosamente a rac-
conta^ieli. Ma, come il lettore sa, era una storia che nessuno la co-
nosceva tutta; e per LacJa stessa e' eran delle parti oscure, inespHca-
bìli affatto. E principalmente quella fatale combinazione d' essersi la
terrìtHle ctUTczsa trovala li sulla strada, per l' appunto quando Luda
vi passava per un caso straordinario : su di che la madre e la fi(^ia
focevan cento congetture, senza mai dar nel segno, anzi senza neppure
andard vicino.
In quanto all' autor principale della trama , tanto V una che l' altra
non potevano lare a meno di non pensare che fosse don Rodrigo.
" Ah anima nera! ah tizzone d'inferno!" esclamava Agnese: u ma
verrà la sua ora anche per lui. Domeneddiolo pagherà secondo il me-
rito; e allora proverà anche luì .... »
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1 PROUESSI SPOSI.
u No, no, mamma; no! n interruppe Lucia: » non gli augurate
di patire , non 1' augurate a nessuno ! Se sapeste cosa sia patire [ Se
.1 :
I I
aveste provalo! No, no! preghiamo piuttosto Dio e la Madonna per
lui : che Dio gli tocchi il cuore , come Ila Tatto a quesl' altro povero
signore, ch'era peggio di luì; e ora è un santo, r
Il ribrezzo clic Lucia provava nel tornare sopra memorie cosi re-
centi e così crudeli, la fece più d'una volta restare a mezzo; più d'una
volta disse che non le bastava i' animo di continuare , e dopo molle
lacrime, riprese la parola a stento. Ma un senlimenlo diverso la tenne
sospesa, a un certo punto del racconto: quando fu al voto. Il timore
che la madre le desse dell' imprudente e della precipitosa; e che, come
aveva fatto nell'affare del matrimonio, mettesse tu campo qualche sua
regota larga di coscienza, e volesse fai^liela trovar giusta per forza;
o che, povera donnar, dicesse la cosa a qualdieduno in confidenza, se
non altro per aver lume e consiglio, e la facesse così divenir pubblica,
cosa che Luda, solamente a pensarci, si sentiva venire il viso rosso;
anche una certa vergogna della madre stessa, una ripugnanza inespli-
cabile a entrare in quella materia; tutte queste cose insieme fecero
che nascose quella circostanza importante , proponendosi di farne
prima la confidenza al padre Cristoforo. Ma come rimase aDorehc ,
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CAPITOLO XXIV. «flU
domabdando di lui, si sentì rispondere che non c'era pia, ch'era stalo
maodalo in un paese lontano lontano, in un paese che aveva uo certo
nome!
B E Renzo? » disse A^ese.
u È in s^vo, n'è vero? » disse ansiosamente Lucia.
u Questo è sicuro, perchè tulli Io diconoj si tien per certo che si
sìa ricoverato sul bergamasco; ma ti luogo proprio nessuna lo sa dire:
e lui finora non ha mai fatto saper nulla. Che non abbia ancora tro-
vala la maniera, n
H Ah, se è in salvo, sia ringrazialo il Signore! n disse Lucia; e
cercava di cambiar discorso; quando il discorso fu inlcrroKo da una
noviU inaspettata : la comparsa del cardinale arcivescovo.
Questo, tornato di chiesa, dove l'abbiam lasciato, sentito dall'inno-
minato che Lucia era arrivata, sana e salva, era andato a tavola con
lui, facendoselo sedere a destra, in mezzo a una corona di preti, die
non potevano saziarsi di dare occhiate a quell'aspelfo così ammansalo
senza debolezza, «)si umiliato senza abbassamento, e di paragonarlo
con r idea che da lungo tempo s'eran falta del personaggio.
Finito di desinare, loro due s'eran ritirati di nuovo insieme. Dopo
un colloquio che durò molto più del primo , l' innominalo era partito
per il suo castello, su quella slessa mula della mattina; e il cardinale,
fatto chiamare il curato, gli aveva detto che de^derava d'esser con-
dotto alla casa dov'era ricoverala Lucia.
« Oh! monsignore, n aveva risposto il curato, " non s'incomodi:
manderò io subilo ad avverlire che venga qui ia giovine, la madre,
se è arrivata, anche gli ospiti, se monsignore li vuote, tulli quelli che
desidera vossignoria illustrissima. »
u Desidero d'andar io a trovarli, n aveva replicato Federigo.
u Vossignoria illustrissima non deve incomodarsi : manderò io su-
bito a chiamarli : è cosa d' un momento , » aveva insistito il curalo
goastameslieri (buon uomo del resto), non intendendo che il cardi-
ns^e voleva con quella visita rendere onore alla sventura , all' inno-
cenza, all'ospitalità e al suo proprio ministero in un tempo. Ma, avendo
il superiore espresso di nuovo il medesimo desiderio, l' inferiore s'in-
chinò e si mosse.
Quando i due personaggi furon veduti spuntar nella strada, tutta
la gente che c'era andò verso dì loro; e in pochi momenti n'accorse
da ogni parte, camminando Iwo ai fianchi chi poteva, e gli altri
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44;n I PROMESSI SPOSI
dietro, alla rinfusa. Il curalo badat'a a dire: « via, indietro, rìlira-
(evi; ma! ma! » Federigo gli diceva: u lasciateli fare, ■ e andava
avanti, ora alzando la mano a benedir la gente, ora abbassandola aà
accarezzare i ragazzi che gli venivan tra' piedi. Così arrivarono alla
casa, e c'entrarono: la folla rimase ammontata al di fuori. Ma nella
folla si trovava ancbe il sarto , il qiule era andato dietro come g^i
altri , con gji occiù fissi e con la bocca aperta, non sapendo dove à
rìuscàrebbe. Quando vide quel dove inaspettato , si fece far largo ,
pensale con che strepilo, gridando e rigridando: « lasciate passare
chi ha da passare ; » e entrò.
Agnese e Lucìa sentirono un ronzio crescente nella strada; mentre
pensavano cosa potesse essere, videro l'uscio spalancarsi, e comparire
il porporato col parroco.
" É quella? » domandò il primo al secondo; e, a un cenno afler-
mativo, andò verso Lucia, ch'era rimasla lì con la madre, Lutt'e due
immobili e mute dalla sorpresa e dalla vergogna. Ma il tono di quella
voce, l'aspetto, il conlegno, e soprattutlo le parole di Federigo l'eb-
bero subilo rianimate. « Povera gio^'ine , n cominciò : « Dio ha per-
messo die foste messa a una gran prova; ma v'Iia anche fatto vedore
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CAPITOLO XXIV. 40T
die non aveva levato [' occhio da voi, die non v' aveva diin«iticata.
V ha rimessa in salvo; e s'è serbilo di voi per una grand'opera, per
fere una gran misericordia a ano , o per sollevar mt^ti nello stesso
tempo. »
Qni comparse nella stanza la padrona, la quale, al nunore, s'er» al-
foodata anch'essa alla finestra, e avendo veduto dii le entrava in casa,
aveva sceso le scale, di corsa, dopo essersi raccomodata alla meglio;
e quasi nello stesso tempo, entrò il sarto da un altr' uscio. Vedendo
avviato il discorso, andarono a riunirsi in un canto, dove rimasero
con gran rispetto. Il cardinale, salutatili cortesemente, continuò a par-
lar con le donne, mescolando ai conforti qualche domanda, per veder
se nelle risposte potesse trovar qualche congiuntura di far del haie a
chi aveva tanto patito.
u Bisognerebbe che tutti i preti fossero come vossignoria, cbe te-
nessero un po' dalla parte de'poveri, e non aiu(assei-o a metterli in
imbroglio, per cavarsene loro, » disse Agnese, animata dal contegno
cosi famigliare e amore^'Ole di Federigo, e slizzila dal pensare che il
signor don Abbondio, dopo aver sempre sacrilkatl gli altri, preten-
desse poi anche d'impedir loro un piccolo sfogo, un lamento con chi
era al di sopra di luì, quando, per un caso raro, n'era venuta l'oe-
casione.
« Dite pure tulio quel clic pensale, » disse il cardinale: « parlate
lil>cramenle. "
« Voglio dire che, se il nostro signor curato avesse fatto il suo do-
vere, la cosa non sarebbe andata cosi. »
Ma facendole il cardinale nuove istanze perche si spiegasse meglio,
quella comindò a trovarsi impicciata a dover raccontare una storia
nella quale aveva anch'essa una parte che non si curava di far sapere,
specialmente a un tal personaggio. Trovò però il verso d'accomodarla
con un piccolo stratdo : raccontò del matrimonio concertalo, del rifiuto
di don Abbondio, non lasciò fuori il pretesto de'supmon che lui aveva
messo in campo ( ali , Agnese ! ) ; e saltò all'attenlalp di don Rodrigo, e
come , essendo stati avvertili , avevano potuto scappare, u Ma si , "
soggiunse e concluse : u scappare per ìndampard di nuovo. Se in
vece il signor curato ci avesse detto sinceramente la cosa , e avesse
subito maritati i miei poveri giovani, noi ce n'andavamo via sutùlo,
tutti insieme, di naseoslo, Itmlano, in luogo che né anche l'tuia non
l'avrebbe sapulo. Così s'è perduto tempo; ed è nato quel cbe è nato.
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t6« ■ PROMESSI SPOSI.
« Il signOT curalo mi renderà conto di questo fatto, » disse il car-
dinale.
u No, signcve, no, signore,» disse subito Agnese: « non ho parlato
per questo : non lo gridi , perchè già quel che è slato è stato ; e poi
non serve a nulla: è un uomo Eatto cosi: tornando il caso, farebbe
lo stesso. "
Ma Lucia , non contenta dì quella maniera di raccontar la stona ,
soggiunse : « anche ntà abbiamo fatto del male : si vede che non era
la volontà del Signwe che la cosa dovesse riuscire. »
« Che male avete potuto far voi, povera giovine?» disse Federigo.
Lucia, malgrado gli oediiacci die la madre cercava di farle alla sfi^-
gila, raccontò la storia del tentativo fatto in casa di don Abbondio;
e concluse dicendo ; u abbiam folto male ; e Dio ci ha gastigati. »
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CAPITOLO XXIV. 4«fi
n Prendete dalla sua mano i palimenti cbe avete sofferti , e state
di buon animo, » disse Federigo: « perchè, chi avrà ragione di ral-
legrarsi e di sperare, se non ehi ba patito, e pensa ad accusar sé me-
desimo? »
Domandò allora dove fosse il promesso sposo, e sentendo da Agnese
(Lucia stava zitta, con la testa e gli occhi bassi) ch'era scappato dal
sao paese, ne provò e ne mostrò maraviglia e dispiacere ; e volle sa-
pere il perdiè.
Agnese raccontò alla meglio tulio (|uel |>oco die sapeva della storia
di Renzo.
e Ho sentito parlare di questo giovine, n disse il cardinale : « ma
come mai uno die si trovò involto in affari di quella sorte , poteva
essere in trattato di matrimonio con una ragazza cosi? »
« Era un giovine dabbene, « disse Lucia, faeendo il viso rosso,
ma con voce sicura.
« Era un giovine quieto, fin troppo,» soggiunse Agnese: «e que-
sto lo può domandare a dii sì sia, anche al signor curato. Chi sa che
imbroglio avranno Tatto laggiù, die cabale? I poveri, ci vuol poco a
forti comparir birboni. «
« È vero pur troppa , » disse il cardinale : " m' inronnerò di lui
senza dubbio:» e fattosi dire nome e cognome del giovine, ne prese
l'appunto sur uo librìccin di memorie. Aggiunse poi che contava -di
portarsi al loro paese tra pochi giorni , che allora Lucia potrebbe ve-
nir là senza timore, e che intanto penserebbe luì a provvederla d'un
luogo dove potesse esser al sicuro , tin die ogni cosa fosse accomo-
dala per il meglio.
Si voltò quindi ai padroni di casa, cbe vennero subito avanti. Rin-
novò i ringraziamenti die aveva fatti fare dal curato , e domandò se
sarebbero stati contenti di ricoverare, per que' pochi giorni, le ospiti
die Dio aveva loro mandate.
tt Oh ! si signore , » rispose la donna, con un tono di voce e con
UD viso ch'esprimeva molto più di quell'asdutta risposta, strozzala
dalla vergogna. Ma 11 marito, messo in orgasmo dalla presenza d'un
tale interrogatore, dal desiderio di farsi onore in un' occasione di tanta
importanza, studiava ansiosamente qualche bella risposta. Raggrinzò la
fronte, torse ^i occhi in traverso, strinse le labbra, tese a tutta forza
r aroo dell' inldletto , cercò , frugò , sentì di dentro un cozzo d" idee
monche e di mezze parole : ma il momoito stringeva ; il cardinale
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I PROMESSI SPOSI
accennava già d' avere interpretalo il silenzio : il pover'uomo aprì la
bocca, e disse: « si figuri! » Altro non gli volle venire. Cosa, di coi
non solo rimase avvilito sul momento; ma sempre poi quella rimeoi-
branza importuna gli guastava la compiacenza del grand' onore rice-
vuto. E quante volte, lomandoci sopra, e rimetleodosi col pensiero
in quella circostanza, gli venivano in menic, quasi per dispello, (larole
che tutte sarebbero slate meglio di quell' iusulso ai figuri! Ma, come
dice un antico proverbio, del senno di poi ne son piene le fosse
U cardinale parli , dicendo : " la benedizione del Signore sia sopra
questa casa. »
Domandò poi la sera al curalo come si sarebbe potuto in modo con-
^'enevole ricompensare quell'uomo, che non doveva esser ricco, del-
l'ospitalità costosa, specialmente in que' tempi. Il curato rispose che,
per verìlk , né i guadagni della professione , né le rendite di cedi
campicelli, cbeilbuon sarto aveva del suo, non sarebbero bastate, in
quell'annata, a metterlo in islato d'esser liberale con gli altri ; ma che,
avendo fatto degli avanzi negli anni addietro, si trovava de' più agiati
del contorno, e poteva far qualche spesa di più, senza dissesto, come
cerio faceva questa volentieri ; e che , del rimanente , non ci sareUic
stalo verso di fargli accettare nessuna ricompensa.
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CAPITOLO XXIV. 4H
u AvTÒ probabilmente, » disse il cardinale, u credili con genie
die non può pagare. »
u Pensi , monsignore tlluslrissimo : questa po\era genie paga con
quel che le avanza della raccolta: l'anno scorso, non avanzò nulla;
ili questo , tutti rimangono indietro del necessario. •>
u Ebbene, » disse Federigo: » prendo io sopra di me tulli que' de-
bili ; e %oi mi farete il piacere d' aver da luì la nota delle partite , e
di saldarle, n
" Sarà una somma ragionevole, n
u Tanto meglio: e avrete pur troppo di quelli ancor più bisognosi ,
i-lie non hanno debili perclie non (rovan credenza. »
" Eh, pur troppo! Si fa quel che si può; ma come arrivare a tulio,
in tempi di questa sorte? >>
" Fate che lui li vesta a mio conto, e pagatelo bene. Veramente ,
in quest'anno, mi par rubato tutto ciò che non va in paoe; ma que-
sto è un caso particolare. »
Non vogliam però chiudere la storia di quella giornata, senza rac-
contar brevemente come la terminasse l' innominato.
Questa volta, la nuova della sua conversione 1' aveva preceduto
nella valle; vi s'era subito sparsa, e aveva messo per tutto uno sba-
lordinienlo, un'ansietà, un cruccio, un susurro. Ai primi bravi, o ser-
vitori (era lult'uno) che vide, accennò che lo seguissero; e cosi dì
mano in mano. Tulli veiiivan dietro, con una sospensione nuova, e con
la suggezione solila; finché, con un seguito sempre crescente, arrivò
al castello. Accennò a quelli che si trovavan sulla porla , che gli ve-
nissero dietro con gli altri ; entrò nel primo cortile , andò \erso il
mezzo, e lì, essendo ancora a cavallo, mise un suo grido tonante:
era il segno usato, al quale accorrevano lutti que' suoi die l'avessero
senlito. In un momento, quelli ch'erano sparsi per il castello, vennero
dietro idla voce, e s'univano ai già radunali, guardando lutti il pa-
drone.
« Andate ad aspettarmi nella sala grande, » disse toro; e dall'alto
ddla sua cavalcatura, gli stava a veder partire. Ne scese poi, la menò
lui stesso alla alalia, e andò dov' era aspettalo. Al suo apparire, cessò
subito on gran bisbiglio che c'era; tulli si ristrinsero da una parie,
lasciando vólo per lui un grande spazio della sala: pole\ano essere
una trentina.
L' innominalo alzò la mano , come per mantener quel silenzio
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4T« I PROMESSI srosi
improvviso ; alzò la (esla, che passava tutte quelle della brigata, e d
u ascoltate tutti , e nessuno parli , se non è interrogato. Figliuoli ! la
strada per la quale siamo andati finora, conduce nel fondo deirinfaiio.
Non è un rimprovero ch'io voglia farvi, io che sono avanti a tutti,
il peggiore di tutti; ma sentite ciò che v'ho da dire. Dio mismeor-
dioso m'ha ehiamato a mutar vita; e io la muterò, l'ho già mutala:
cosi faccia con tutti voi. Sappiale dunque, e tenete per fermo che don
risoluto di prima morire che far più nulla contro la sua santa ì^fge.
Levo a ognun di voi gli ordini scellerati che avete da me; voi m'in-
tendete ; anzi vi comando di non far nulla di ciò che v' era coman-
dato. E tenete per fermo ugualmente, che nessuno, da qui avanti, potrà
far del male con la mia protezione, al mio servizio. Gtii vuol restare
a questi patti, sarà per me come un Rglitiolo : e mi troverei con-
tento alla fine di quel giorno , in cui non avessi mangiato per satol-
lar l'ultimo di voi, con l'ultimo pane che mi rimanesse in casa. Gù
non vuole , gli sarà dato quello che gli è dovuto di satario, e un
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CAPITOLO XXIV. ITI
regalo di più: potrà andarsene; ma non meda più piede qui: quando
non fosse per mular vila ; che per questo sarà sempre ricevuto a
braccia aperte. Pensateci questa notte : dumallina vi eliiamerà, a uno
a uno, a darmi la risposta; e allora vi darò nuovi ordini. Per ora, ri-
tiratevi, ognuno al suo posto. E Dio che ha usalo con me tanta mise-
ricordia, ^'i mandi il buon pensiero. »
Qui fìni, e lutto rimase in silenzio. Per quanto vari e tumultuosi
fossero i pensieri che ribollivano in que' cervcllaeci, non ne apparve
dì fuori nessun segno. Erano avvezzi a prender la voce del loro si-
gnore come la manifestazione d'una volontà con la quale non c'era
da ripetere : e qndla voce , annunziando che la volontà era mutata ,
non dava punto indizio die fosse indebolita. A nessuno di loro passò
neppur per fa mente die, per esser lui convertito, si potesse pren-
dergli il sopravvento , rispondergli come a un altr' uomo. Vedevano
in Ini un santo, ma un di que' santi che sì dipingono con la testa
alta, e con la spada in pugno. Oltre il timore, avevano anche per lui
( prìocipalmenle quelli ch'eran nati sul suo, ed erano una gran parte)
un'aflotinne come d'uomini ligi; avevan poi tutti una benevolenza
d'ammirazione; e alla sua presenza sentivano una specie di qiietla,
dirò pur cosi, verecondia, ebe anche gii animi phì zotici e più petu-
lanti provano davanti a una superiorità che hanno già riconosciuta.
Le cose poi che allora avevan sentile da quella bocca , erano benà
odiose a' loro orecchi, ma non false né affatto estranee ai loro inlel-
lelti: se mille volte se n' eran fatti beffe, non era già percliè non le
credessero, ma per prevenir con le beffe la paura che gliene sarebbe
venuta, a pensarci sul serio. E ora, a veder l'effetto di quella paura
in un animo come quello del loro padrone , chi più, chi meno, non
ce ne fu uno che non gli se n'attaccasse, almeno per qualche tempo.
S'E^^unga a lutto ciò, che quelli tra toro che, trovandosi la mattina
fuor della valle, avevan risaputa per i primi la gran nnova, avevano
insieme veduto, e avevano anche riferito la gioia , la baldanza della
popolazione, l'amore e la venerazione per l'innominato, ch'erano en-
trati in lut^o dell' antico odio e dell' antico terrore. Di maniera che ,
nell'uomo che avevan sempre riguardato, per dir così, di basso in
alto, anche quando loro medesimi erano io gran parte la sua forza,
vedevano ora la maraviglia, l'idolo d'una moltitudine; lo vedevano al
di sopra degli altri, ben diversamente di prima, ma non meno; sem-
pre, fuori ddla schiera comune, sempre capo.
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m I PnOMESSI SPOSI
Slavano adunque sbalorditi, incerti l'uno dell'altro, e o^ua di sé.
Clii si rodeva, clii faceva disegni del do^e sarebbe andato a cercar
ricovero e impiego; chi s'esaminava se avrebbe potuto adattarsi a di-
vciilar galantuomo; chi anche, tocco da quelle parole, se ne sentiva
una certa inclinazione; chi, senza risolver nulla, proponeva di pro-
metter (ulto a buon conto, di rimanere intanto a mangiare quel pane
ofTcrlo cosi di buon cuore , e allora cosi scai'so, e d'acquistar lempo:
nessuno fialò. E quando l'innominato, alla line delle sue parole, alzò
di nuovo quella iitano impci'iosa per accennar clic se n'andassero, quaUi
quatti, come un branco di pecore, lutti insieme se la ballcrono. Usci
anche lui, dietro a loro, e, piantatosi prima nel mezzo del cortile, stette
a vedere al barlume come sì sbrancassero, e ognuno s'avviasse al suo
poslo. Salito poi a prendere una sua lanterna, girò di nuo^o i cortili,
i con'idoi , le sale, visitò tulle l'entrature, e, quando vide ch'era
(ullo quieto, andò finalmente a dormire. Si, a dormire; ))erchè aveva
sonno.
AfTari intralciati, e insieme urgenti, per quanto ne fosse sempre
andato in corca , non se n' era mai trovali addosso tanti , in nessuna
congiuntura, come alloi-a; eppure aveva sonno. I rimorsi cheglielave-
^an lev ato la notte avanti , non che essere acquietali , mandavano anzi
grida più alte, più severe, più assolute; eppure aveva sonno. L'or-
dine, la specie di govèrno stid)ilìLo là dentro da lui in lant'aonì, con
(ante cure, con un Innlo singolare accoppiamenfò d'audacia e di per-
severanza, ora l'qvcva lui medesimo messo inforse, con podie pa- [
role; la dipendenza illìmilàla di que' suoi, quel loro esser disposti a ! |
tutto , quella fedeltà da masnadieri , sulla quale era avvezzo da lanlo I
tempo a riposare, l'aveva ora smossa lui medesimo; i suoi mezzi, gii
aveva fatti diventare un monte d'imbrogli, s'era messa la confusione i
e r incL'rlezza in casa; eppure aveva sonno. { |
Andò dunque in camera, s'accostò a. quel lei Io in cui la notte avanti i 1
aveva trovate tante spine; e vi s'inginoccliiùaccanto, con l'intenzione ,
di pi-egare. Trovò in fatti in un cantuccio riposto e profondo della |
menic, le preghiere ch'era stato ammaesli-ato a recitar da bambino; |
cominciò a recitarle; e quelle parole, rimaste li tanto tempo ravvoile | 1
insieme, venivano 1' una dopo 1' allra come sgomitolandosi. Provava i j
in questo un misto di sentimenti indefinibile ; mia ceHa dolcezza in ! ,
quel ritomo materiale all'abitudini dell'innocenza; un inaspriinenlo '
di dolore al pensiero dell'abisso che aveva messo tra quel tempo e 1
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CAPITOLO XXIV, 17»
questo; un ardore d'arrivare, con opere di espiazione, a una cuscienza
nuova, a uno sialo il più vicino all'innocenza, a cui non poteva (or-
nare; una riconoscenza, una fiducia in quella misericordia che lo |>o-
teia condurre a quello stalo , e che gli a\e\& giù dati (anii segni di
volerlo. Rizzatosi poi, andò a letto, e s'addormentò immedialauicnie.
Cosi terminò quella gioniala, (anlo celebre ancora quando scriveva
il nostro Mioninio; e ora, se non era Ini, non se ne saprebbe nulla,
almeno de' lutrlicolari; giacché il Ripamonti e il Rivola, citati di sopra,
non dicono se non che quel sì segnalato tiranno, dopo un abbocca-
mento con Federigo, mutò mirabilmente vila, e per sempre. E quanti
son quelli che hanno letto i libri di que'due? Meno ancora di quelli
die leggeranno il nostro. E chi sa se, nella valle stessa,ehi avesse vo-
glia di cercarla, e 1' abilità di trovarla, sarà rimasta qualche stracca e
confusa tradizione del fatto? Son nate tante cose da quel tein|>o in jmi 1
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CAPITOLO XXV.
Il giurilo scguenlc , nel paesello di Luda e in
tiitlo il lerritorio di Lecco, non si I)a^la^a cbe
di lei, dell' innominalo, dell' arcivescovo e d'un
altro tale, che, quantunque gli piacesse mollo
d'andar per le bocche degli uomini, n'avreb-
be, in quella congiuntura, fallo volentieri di
meno: vogliam dire il signor don Rodrigo.
Non già die prima d'allora non si |>arlasse
■'-ii"^ '^l^ ' (U'' fatti suoi; ma eran discorsi rolli, segreti;
bisognava clic due si conoscessero bene bene Ira di loro , i^r aprirsi
sur un tale argomento. E anche . non ci mellevano tulio il senti-
menlo di che san;bbero stati capaci : peiehé gli uomini, generalmente
parlando, quando l' imiegnazioiie non si possa sfogare senza grave
pericolo, non solo dimoslran meno, o tengono affallo in sé quella che
senlono, ma ne senlon meno in cffcUo. Ma ora,elii si sarebbe tenuto
d' informai-si , e di ragionare d' un fallo così strepitoso, in cui s'era
vista la mano del cielo, e dove faeevan buona figura due personaggi
tali ? uno , in cui un amore della giustizia tanto animoso andava
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CAPITOLO XXV. J77
unito a lanla autorità; l'altro, con cui pareva che la prepotenza in
persona si fosse umiliata, ctie la braveria fosse venuta, per dir cosi,
a render 1' anni , e a cliiedere il riposo. A tali paragoni , it signor
don Rodrigo diveniva un po' piccino. Allora si capiva da lutti cosa
fosse tormentar l' innocenza per poterla disonorare, perseguitarla con
un'insistenza cosi sfacciata, con si atroce violenza, con si abbomine-
voli insidie. Sì faceva , in queir occasione , una rivista di lanl' altre
prodezze di qiiet signore : e su lutto la dìeevan come la sentivano,
incoraggiti ognuno dal trovarsi d'accordo con tulli. Era un susurro,
un fremito generale; alla larga però, per ragione di tulli que' bravi
che colui aveva d' intorno.
Una buona parte di quest' odio pubblico cadeva ancora sui suoi
amici e cortigiani. Si rosolava bene il signor podestà, sempre sordo e
de») e muto sui fatti dì quel tiranno; ma alla lontana, anche lui,
perchè, se non aveva i bravi, aveva i birri. Col dottor Azzecca-gar-
bugli, che non aveva se non chiaccbiere e cattale, e con altri corti-
gìanelli suoi pari, non s'usava lanli riguardi: eran mostrati a dito,
e guardati con occhi torli; di maniera che, per qualche tempo, sti-
maron bene dì non farsi veder per le strade.
Don Rodrigo, fulminato da quella notizia cosi impensata, così di-
versa dall'avviso che aspettava di giorno in giorno, dì momento in
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ila I PR0UE3S1 SPOSI.
momento, stette rintaoato nel suo palazzotto, solo co' suoi bravi-,
a rodersi, per due giorni; il terzo, parti per Milano. Se non fosse
stato altro che quel mormoracchiare della gente, forse, poiché le cose
erano andate tant' avanti, sarebtie rimasto apposta per affrontarlo,
anzi per cercar l'occasione di dare un esempio a tulli sopra qualdie-
duno de' più arditi; ma chi lo cacciò, fu l'essersi saputo per certo,
die il cardinale veniva anche da quelle parti. 11 conte zìo, il quale
di tutta quella storia non sapeva se non quel che oli aveva detto
Attilio, avrebbe certamente preteso che, in una congiuntura simile,
don Rodrigo facesse una gran figura, e avesse in pubblico dal cardi-
nale le più distinte accoglienze: ora, ognun vede come ci fosse in-
camminato. L' avrebbe preteso , e se ne sar^be fatto render conio
minutamente ; perchè era un' occasione importante dì far vedere in
che stima fosse tenuta la famiglia da una primaria autorità. Per le-
varsi da un impiccio così noioso , don Rodrigo , alzatosi una mattina
prima del sole , si mise in una carrozza , col Griso e con altri bravi ,
di fuori, davanti e di dietro; e, lasdato l'ordine che ìt resto della
servitù venisse poi in seguito, parti come un fuggitivo, come (ci sia
un po' lecito di sollevare i nostri personaggi con qualche illustre pa-
ragone) , come Catilina da Roma, sbuffando, e giurando di tornar ben
presto, in altra comparsa, a far le sue vendette.
Intanto, il cardinale veniva visitando, af una per giorno, le par-
roechie del territorio di Lecco. Il giorno in cui doveva arrivare a
quella di Lucia, già una gran parte degli abitanti erano andati sulla
strada a incontrarlo. All'entrata del paese, proprio accanto alla ca-
setta delle nostre due donne , e' era un arco trionfale , costrutto di
stili per il ritto, e di pali per il traverso, rivestito dì pa^ia e di bor-
raccina , e ornalo di rami verdi di pugnitopo e d' agrifoglio , distinti
di bacche scarlatte; la facciala della chiesa era parala dì tappezzerie;
al davanzale d'c^i finestra pendevano coperte e lenzoli distesi, fasce
di bambini disposte a guisa di pendoni ; tutto quei poco necessario
che fosse atto a fare, o bene o male, figura di superfluo. Verso le
ventidue, ch'era l'ora in cui s'aspettava il cardinale, quelli ch'eran
rimasti in casa, vecchi, donne e fanciulli la più parte, s'avvìartmo
anche loro a incontrarlo, parte in fila, parte in truppa, preceduti da
don Abbondio, uggioso .in mezzo a tanta festa, e per il fracasso che
lo sbalordiva, e per il brulicar della gente innanzi e indietro, che,
come andava ripetendo , gli faceva girar la lesta , e per il rodio
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CAPITOLO XXV. ti»
segreto ebe le donne avesser potuto cicalare, e dovesse toccai^! a
render conto del malrìmonio.
Quand'ecco si vede spuntare il cardinale, o per dir meglio, la
turba in mezzo a cui si trovava nella sua lettiga, col suo seguilo
d'intorno; perchè di tutto questo non si vedeva altro che un indizio
in aria , al di sopra di tutte le leste , un pezzo della croce portata
dal cappellano che cavalcava una mula. La gente che andava con don
Abbondio, s'alTrcttó alla rinfusa, a raggiunger queir idtra: e lui, dopo
i\mr dello, Ire % quattro volte : " adagio-, in fila; cosa fate? » si voltò
indispettito; e seguitando a borbollare: «è una babilonia, è una babi-
lonia, » entrò in chiesa, ialanlo ch'era vota; e stelle li ad aspettare.
Il cardinale veniva avanti, dando benedizioni con la mano, erice-
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«so 1 PROMESSI SPOSI
vondone dalle bocche della genie , che quelli del segiiito avevano un
bel da fare a tenere un po' indietro. Per esser del paese di Luda ,
avrebbe voluto quella gente fare all' arcivescovo diiiioslrazioni straor-
dinarie; mala cosa non era facile, pcrcbè era uso che, per lutto dove
arrivava, tutti facevano più che potevano. Giù sol princìpio stesso dei
suo pontificalo , nel primo solenne ingresso in duomo , la calca e
l'impeto della gente addosso a lui era slato tale , da far temere della
sna vita; e alcuni gentiluomini die gli eran più vicini, avevano
sfoderale le spade, per atterrire e respinger la folla. Tanto e' era in
quc' costumi di scomjKisto e di violento, che, anche nel far dimostra-
zioni di benevolenza a un vescovo in chiesa, e noi moderarle, si do-
vesse andar vidno all' ammazzare. E quella difesa non sarebbe forse
bastala, se il maestro e il sottomaestro delle cerimonie, un Clerid e
un Picozzi , giovani preti die sl&\m bene di corpo e d' animo , non
l'avessero alzato sulle braccia, e portalo di peso, dalla porla Ano al-
l'aliar maggiore. D'allora ìn poi, in (ante visite episco|>ali ch'ebbe a
fare, il primo entrar nella chiesa si può senza sdierzo contarlo tra le
sue pastorali fatiche, e qualche volta, Ira i pericoli passati da lui.
Entrò anche in questa come potè; andò all'altare e, dopo essere
stato alquanto in orazione, fece, secondo il suo solilo, un picco! di-
scorso al popolo, sul suo amore per loro, sul suo desiderio della loro
salvezza, e come do\'essero disporsi alle funzioni del giorno dopo. Ri-
tiratosi poi nella casa del parroco, tra gli altri discorsi, gli domandò
informazione di Renzo, Don Abbondio disse eh' era un giovine un
po' vivo, un po' testardo, un po' collerico. Ma, a più particolari e
precise domande, dovette rispondere ch'era un galantuomo, e die
anche lui non sapeva capire come, in Milano, avesse potuto fare tutte
quelle diavolerie che avevan detto.
e hi quanto alla giovine, » riprese il cardinale, h pare anche a
voi che possa ora venir sicuramente a dimorare in casa sua? » ! i
u Per ora, » rispose don Abbondio, " può venire e slare, come | i
vuole: dico, per ora; ma, " soggiunse poi con un sospiro, « bìso- i i
gnerebbe che vossignoria illustrissima fosse sempre qui, o almeno | |
vidno, " i I
« Il Signore è sempre vicino, " disse il cardinale: " del resto, | I
penserò io a metterla al sicuro. « E diede subito ordine che, il giorno I '
dopo, di buon' ora, si spedisse la lettiga, con una scorta, a prender
le due donne. ) i
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CAPITOLO XXV. tat
Don Abbondio usci di ti lutto coulviilo clic il cardinale gli avesse
pariate de' due gioxani , senza cliiedorgli conio del suo rifiuto di ma-
rilarii. — Dunque non sa niente, — diceva tra sé: — Agnese è slata
zitta: miracolo! É vero che s' hanno a lornare a vedere; ma le da-
remo un' altra istruzione, le daremo. — E non sapeva , il pover' uo-
mo, che Federigo non era entralo in ciuell'argomento, appunto perche
intendeva di parlai^iene a lungo, in tempo più libero; e, prima di
dargli ciò cltc gli era dovuto, voleva sentire anche le sue ragioni.
Ma i pensieri del buon prelato pei' nielter Lucia al bieuro ei'an
divenuti inutili: dopo che l'aveva lasciata , ei-au naie delle cose, che
dobbiamo raccontare.
Le due donne, in que' |>oehÌ giorni eh' ebbero a passare nella ca-
suceia ospitale del sarto, avevan ripreso, per quanto avevan potuto,
ognuna il suo antico tenor dì vita. Lucia aveva subito chieslo.da la-
vorare; e, come aveva fatto nel monastero, cuciva, cuciva, ritirata in
una stanzina, lontano dagli occhi della gente. Agnese andava un po'
biori, un po' lavorava in compagnia della figlia. I loro discorsi eran tanto
più tristi, quanto più affettuosi : tuli' e due eran preparale a una sepa-
razione; giacché la pecora non poteva tornare a star cosi vicino alla
lana del lupo : e quando, quale, sarebbe- il termine di questa separa-
zione? L'avvenire era oscuro, imbroglialo: per una di loro princi-
palmente. Agnese tanto ci andava facendo dentro le sue congetture
allegre : che Renzo finalmente, se non gli era accaduto nulla di si-
nistro, dovrebbe presto dar le sue nuove; e se a\'cva trovalo da
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481 I PROUCSSI SPOSI
lavorare e da slaliilirsi, se (e come dultilarne?) slava rermo nelle siie
promesse, perchè non si potrebbe andare a star con lui ? E di tali
speranze, ne parlava e ne riparlava alla figlia, per la quale non sa-
prei dire se fosse maggior dolore il sentire, o |>ena il rìspcH>dere. Il suo
gran segreto l'aveva sempre tenuto in sé; e, inquietata bensì dal dis-
piacere di fare a una madre co^ buona un sotterfugio, che non era il
primo; ma (rattenuta, come invincilHlmente, dalla vei^gna e da' vari
timori che abbiam detto di sopra, andava d'o^ in domani, senza
dir nulla. I suoi disegni eran ben diversi da quelli della madre, o, per
dir meglio, non n'aveva; s'era abbandonala alla Provvidenza. Cercava
dunque di lasciar cadere, o di stornare quel disccMSO; o diceva, in
termini generali, di non aver più speranza, né desiderio di cosa di
questo mondo, fuorché di poter presto riunirsi con sua madre; le più
volte, il pianto veniva opportunamente a troncar le parole.
u Sai perché ti par cosi ? <> diceva Agnese : « perchè bai lanlo
palilo, e non ti par vero che la possa voltarsi in bene. Ma lascia fare
al Signore; e se . ■ ■ . Lascia che sì veda un barlume, appena un bar-
lume di speranza; e allora mi saprai dire se non pensi più a nulla. «
Lucia bacia\'a la madre, e piange\'a.
Del resto, tra loro e i loro ospiti era naia subito una grand'amici-
zia : e dove nascerebbe , se non tra benelìcali e benefallori, quando gli
uni e gli altri son buona genie? Agnese specialmente faceva dt gran
chiacchiere con la padrona. Il sarto poi dava loro un po' di svago con
delle storie, e con de' discorsi morali: e, a desinare soprattutto, aveva
sempre qualche bella cosa da raccontare, di Bovo. d'Antona ode' Padri
del deserto.
Poco distante da quel paesetto , ville^^ava uoa coppia d' alto af*
fare; don Ferrante e donna Prossede: il casato, al solito, nella penna
dell' anonimo. Era donna Prassede una vecchia gentildonna mollo in*
clinala a far del bene : mestiere certamente il più degno che l' uomo
possa esercilare; ma che pur troppo può anche guastare, come tulli
gli altri. Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d't^i altra
cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per
mezzo de' nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso
stanno come possono. Con l' idee donna Prassede si regolava come
dicono che si deve far con gli amici: n'aveva poche; maaquelle poche
era molto aITczionala. Tra le poche, oe n' era per disgrazia molte delle
storte;e non eran quelle che le fossero men care. Le accadeva quindi,
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CAPITOLO XXV. Atix
0 di proporsi per bene ciò die non lo fosse, o di prender per mczti,
cose che potessero piutlosto far riuscire dalla parie opposta, o dì cre-
derne leciti di quelli che non Io fossero punto, per una certa supposi-
zione in confuso, che chi fa più del suo dovere possa far più di quel
che avrebbe diritto; le accadeva di non vedere nel fatto ciò che c'era
di reale, o di vederci ciò che non c^era; e molte altre cose simili, che
possono accadere, e che accadono a tutti, senza eccettuarne i migliori;
ma a donna Prassede, troppo spesso e, non dì rado, tutte in una volta.
Al sentire il gran caso di Lucia, e tutto ciò che, in quell'occasione,
si diceva della giovine, le venne la curiosità di vederla; e mandò uria
carrozza, con un vecchio bracciere, a prender la madre e la figlia.
Questa si ristringeva nelle spalle , e pregava il sarto , il quale aveva
fatta loro l' imbasciata, che trovasse maniera di scusarla. Finché s'era
trattato di gente alla buona che cercava di conoscer la giovine del
miracolo , il sarto le aveva reso volentieri un tal servizio ; ma in
questo caso, il riGulo gli pareva una specie di ribellione. Fece tanti
versi, tant' esclamazioni, disse (ante cose: e che non si faceva così,
e ch'era una casa grande, e che ai signori non si dice di no. e che
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4RI 1 PROUESSl SPOSI
pote^'a esser la loro fortuna , e che la signora donna Prassede, oltre
il resto, era anche una santa; tante cose insomma, che Lucia si do-
vette arrendere : mollo pia clie Agnese cmifermava tutte quelle ra<
gionì con altrettanti " sicuro, sicuro. »
Arrivale davanti alla signora, essa fece loro grand' accoglienza, e
molle congratulazioni; interrogò, consigliò: il tutto con una certa su-
periorità quasi innaia, ma corretta da tante espressioni umili, tempe-
rata da (anta premura, condita di tanta spiritualità, che, Agnese
quasi subito, Lucia poco dopo, cominciarono a sentirsi sollevate dal
rispetto opprimente clic da principio aveva loro incusso quella signorile
presenza; anzi ci trovarono una certa attrattiva. E per v«iire alle
corte, donna Prassede, sentendo che il cardinale s' era incaricato di
trovare a Lucia un ricovero, punta dal desiderio di secondare e di
prevenire a un tratto quella buona intenzione ^ s' esibì di prender
la giovine in casa, dove, senz'essere addetta ad alcun servizio par-
ticolare, potrebbe, a piacer suo, aiutar l'altre d(mne ne' loro lavori.
E soggiunse che penserebbe lei a dame parte a monsignore.
Oltre il bene chiaro e immediato che c'era in un'opera tale, donna
Prassede ce ne vedeva, e se ne proiHineva un altro, forse più con-
siderabile, secondo lei; di raddirizzare un cervello, di metter sulla
buona strada chi n'aveva gran bisogno. Perchè, Un da quando aveva
sentito la prima volta parlar di Lucia, s' era subito persuasa che una
giovine la quale aveva potuto promettersi a un poco di buono, a un
sedizioso, a uno scampaforca in somma, qualche m^gna, qualche
|)ecca nascosta la doveva avere. Dimmi chi pratichi, e li dirò chi
sei. La visita di Lucia aveva confermala quella persuasione. Non che,
in fondo, come si dice, non le paresse una buona giovine; ma c'era
molto da ridire. Quella testina bassa, col mento inchiodato sulla fon-
tanella della gola, quel non rispondere, o risponder secco secco, come
per forza, potevano indicar verecondia; ma denotavano sicuramente
molta caparbietà: non ci voleva molto a indovinare che quella testina
aveva le sue idee. E queir arrossire ogni momento, e quel rattenere
i sospiri .... Due occhioni poi , che a donna Prassede non piaccìan
punlo. Teneva essa per certo, come se lo sapesse di buon luogo, die
lulte le sciagure di Lucia erano una punizione del cielo per la sua
amicizia con quel poco di buono, e un avviso per far clic se ne staccasse
adatto ; e stante questo , si proponeva di coopenu^ a un così buon
line. Giacché, come diceva spesso agli altri e a sé stessa, tulio il suo
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CAPITOLO XXV. jsu
studio era di secondare i voleri del cielo : ma faceva spesso uno sba-
glio grosso, eh' era di prender per cielo il suo cervello. Però, della
seconda inlenzioDC clic abbiam dello, si guardò bene di darne il mi-
nimo indizio. Era una delle sue massime qnesla, i^, per riuscire a
Tar del bene alla genie, la prima cosa, nella ma^ior parie de' casi,
è di non metlerìi a parte del disegno.
I<a madre e la figlia si guardarono in viso. Nella dolorosa necessità
di dividersi, l'esibizione parve a tutt'e due da accettarsi, se non altro
per esser quella villa così vicina al loro paesello: per cui, alla peggio
de' peggi , sì ravvicinerebbero e potrebbero trovarsi insieme , alla
prossima villeggiatura. Visto, l'una negli occhi dell'altra, il cousejiao,
si voltaron tutt'e due a donna Prasaede con quel ringraziare che ac-
eelta. Essa rinnovò le gentilezze e le promesse, e disse che mandcr
r^be subilo una lellera da presentare a monsignore.
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49* I PR0UE8SI SPOSI
Partile le donne, la lettera se la fece distendere da don Ferrante,
di cui, per esser letterato, eome diremo più in particolare, sì serviva
per s^retario, nel)' occa^onì d'importanza. Trattandosi d'una di que-
sta sorte, don Ferrante ci mise (ulto il suo sapere, e, consegnando la
minuta da copiare alla consorte, le raccomandò caldamente l'ortograQa;
ch'era una delle molte cose che aveva studiate, e delle poche sdle
quali avesse lui il comando in casa. Donna Prassede copiò diligentis-
simamente, e spedi la lettera alla casa del sarto. Questo fu due o tn
giorni prima che il cardinale mandasse Ih lettiga )>er ricondur le
donne al loro paese.
Arrivate, smontarono alla casa parrocchiale, dove si trovava il car-
dinaie. Cera ordine d'introdurle subilo: il cappellano, che fu il primo
a vederle, t'eseguì, trattenendole solo quant' era necessario pn* dar
loro, in fretta in fretta , un po' d' istruzione sul cerimoniale da usarsi
con monsignore, e sui titoli da dargli; cosa che soleva fare, ogni volta
che lo potesse di nascosto a lui. Era per il pover' uomo un tormento
continuo il vedere il poco ordine die regnava intorno al cardinale, su
(luci particolare: « tulio, ■• diceva con gli altri della famiglia, « per
la troppa bontà di quel benedetl' uomo ; per quella gran famigliari-
tà. » E raccontava d' aver perfino sentito più d' una volta co' suoi
orecchi, rispondergli : messer sì, e messer no.
Stava in quel momento il cardinale discorrendo con don Abbondio,
sugli all'ari della parrocdiìa : dimodoché questo non ebbe campo di
dare anche luì, come avrebbe desiderato, le sue istruzioni alle ilonae.
Solo, nel passar loro accanto, mentre usciva, e quelle venivano avanti,
potè dar loro d' occhio, per accennare eh' era conlenlo di loro, e die
continuassero, da brave, a non dir nulla.
Dopo le prime accoglienze da una parie , e i primi inchini dall'al-
tra, Agnese si cavò di seno la letlcra, e la presentò al cardinale, di-
cendo : « e della signora donna Prassede , la quale dice che conosce
mollo vossignorìa illustrissima, monsignore; come naturalmente, tra
loro signori grandi, si devon conoscer tulli. Quand'avrà letto, vedrà. »
e Bene, » disse Federigo, letto die ebbe, e ricavato il sugo del
senso da' fiorì dì don Ferrante. Conosceva quella casa quanto bastasse
per esser certo che Lucìa c'era in^'ìtata con buona intenzione, e che
li sarebbe sicura dall'insidie e dalla violenza del suo persecutore. Che
concetto avesse della testa di donna Prassede , non n' abbiam nolizia
positiva. Probabilmente, non era quella la persona die avrebbe scella
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CAPITOLO XXV. twt
a un lai inlcolo; ma, come abbiam dello o fatto intendere altrove,
non era suo costume di disfar le cose che non toccavano a lui, per
rifarle meglio.
« Prendete in pace anche questa separazione, e l'incertezza in cui
vi trovate, » soggiunse poi: " confidale che sia per finir presto, e
die il Signore voglia guidar le cose a quel termine a cui pare che le
avesse indirizzate; ma tenete per cerio che quello che vorrà Lui, sarà
il meglio per voi. » Diede a Lucia in particolare qualche altro ricordo
amorevole; qualche altro conforto a tutl'e due; le l>enedisse, e le la*
sdó andare. Appena fuori , si trovarono addosso uno sciame d' amici
e d'amiche, tutto ìl comune, si può dire, che le aspettava, e le eon-
dasse a casa, come lo trionfo. Era tra tutte quelle donne una gara
di congratularsi, di compiangere, di domandare; e tutte esclamavano
dal dispiacere^ sentendo che Lucia se n' anderebbe il giorno dopo.
Gli uomini gareggiavano nell'offrir servizi; ognuno voleva star quella
notte a ^ la guardia alla casetta. Sul qual fatto , il nostro anonimo
credè bene di formare un proverbio: volete aver molti in aiuto? cer-
cate di non averne bisogno.
Digitizf^riiiyGoOgle
tM I PROUF^I SPOSI.
Taote accoglieiuc confondevano e sbalordivano Lucia : Agnese nan
s'imbrogliava cosi per poco. Ma in sostanza fecero bene anche a Lu-
cia, distraendola alquanto da' pensieri e dalle rimembranze clic, pur
troppo, anche in mezzo al Trastono, le si risvegliavano, su quell'uscio,
in quelle stanzucce, alla vista d'ogni oggetto.
Al tocco della campana che annunziava vicino il cominciar delle
funzioni, lutti sì mossero verso la chiesa, e fu per le nostre donne
un' altra pass^giata trionfale.
Terminate le funzioni, don Abbondio, ch'era corso a vedere se
Perpetua aveva ben disposto ogni cosa per il desinare, fu chiamalo
dal cardinale. Andò subito dal grand' ospite, ìl quale, lasciatolo venir
vicino, « signor curato, » cominciò; e quelle parole furon dette in
maniera, da dover capire, ch'erano il principio d' un discorso lungo
e serio: « signor curato; perchè non avete voi unita in matrimonio
quella povera Lucia col suo promesso sposo? "
— Hanno votalo il sacco slamattina coloro, — pensò don Abbon-
dio; e rispose borbottando: u monsignore illustrissimo avrà twn sen-
tilo parlare degli scompigli die son nati in quell'allure: è slata uoa
confusione tale, d:> non poter, neppure al gìonio d'oggi, vederci
chiaro: come anche vossignorìa illustrissima può ai^omentare da que-
sto, che la giovine è qui , dopo lauti accidenti, come per miracolo ;
e il giovine, dopo altri accidenti, non si sa dove sia. "
" Domando, » riprese ìl cardinale, « se è vero che, prima di lutti
codesti casi, abbiate rifiutato di celebrare il matrimonio, quando n'e-
ravate richiesto, nel giorno fissato; e ìl perchè. »
u Veramente .... se vossignoria illustrissima sapesse .... che inti-
mazioni .... che comandi terribili ho avuti di non parlare . ...» E
restò li senza concludere, in un ceri' allo, da far rispetlosamcnte in-
tendere che sarebbe indiscrezione il voler saperne di più.
u Ma I " disse il cardinale , cuu voce e con aria grave fuor del
consueto : « e il vostro vescovo che , per suo dovere e per vostra
giustificazione, vuol saper da voi il perchè non abbiale fatto ciò die,
nella via regolare, era obbligo vostro di fare. »
" Monsignore, » disse don Abbondio, facendosi piccino piccino,
u non ho già voluto dire .... Ma m' è parso che, essendo cose intral-
ciate, cose vecchie e senza rimedio, fosse inutile di rimestare... .
Però, però, dico .... so che vossignoria illustrissima non vuol tradire
un suo povero parro«>. Perchè vede bene, monsignore; vossignorìa
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CAPITOLO XXV. 48»
illustrìssima non può esser per tutto; e ìo resto qui esposto. . . . P«rò,
quando Lei me lo comanda, dirò, dirò tutto. »
« Dite: io non vorrei altro che trovarvi senza colpa. »
Allora don Abbondio si mise a raccontare la dolorosa storia ; ma
tacque il nome principale , e vi sostituì : un gran signore ; dando cosi
alla prudenza tutto quel poco che si poteva, in una tale stretta.
x E non avete avuto altro motivo? » domandò il cardinale, quando
don Abbondio ebbe finito,
e Ma forse non mi sono spiegato abbastanza , » rispose questo :
u sotto pena delia vita , m' hanno intimato di non far quel matri-
monio. "
" E vi par codesta una ragion baslaitto , per lasciar d' adempire
un dovere predso? »
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«se I PROMESSI SPOSI.
u Io ho sempre cercalo di Tarlo, il raro dovere, andie coti mio
gra^'C incomodo, ma quando si traila della vita .... »
" E quando vi side presentato alla Chiesa, n disse, con accento i '
ancor più grave, Federigo, u per addossarvi codesto ministero, v' ha
essa fatto sicurtà della vita ì \" ha detto che i doveri annessi al mi- I
iiislero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da o^i pericolo? 0 ' 1
v' ha dello forse che dove cominciasse il pericolo , ivi cessereUK il j |
dovere? O non v'ha espressamente detto il contrario? Non v'ha av- , '■
vertito che vi mandava come un agnello Ira i lupi? Non sapevate ' |
voi che e' eran de' violenti , a cui potrebbe dispiacere ciò che a voi 1 .
sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e l'esempio, ad i
imitazione dì Cui ci lasciam nominare e ci nomìnbmo pastori , ve-
nendo in terra a esercitarne 1' ufizio, mise forse per condizione if a> !
^er salva la vila ? E per salvarla , per conservarla , dico , qualdie j 1
giorno di^più sulla terra, a spese della carità e del dovere, c'era hi- ,
sogno dell' unzione sanla, dell' imposizion delle mani, della grazia del j I
sacerdozio ? Basla il mondo a dar questa virtù , a ins^nar questa . i
dottrina. Che dico? oh vergogna! il mondo stesso la rifluta: il mondo [ I
fa anch' esso le sue leggi, che prescrivono il male come il bene ; ha {
il suo vangelo anch'esso, un vangelo di superbia e d' odio; e non [ \
vuol che si dica che l'amore della vita sia una ragione per trasgre- i
dirne i comandamenti. Non lo vuole; ed è ubbidito. E noi! noi figli |
e annunziatori della promessa! Che sarebbe la Chiesa, se codesto vo- | I
stro linguaggio fosse quello di lutti i vostri confratelli? Dove sarebbe,
se fosse comparsa nel mondo con codeste dottrine ?» ' i
Don Abbondio stava a capo basso : il suo spirilo si trovava tra ; i
quegli argomenti, come un pulcino negli artigli del falco, che lo tcn- i
gono sollevalo in una regione sconosciuta, in un'aria die non ha mai i
respirata. A'edendo che qualcosa bisognava rispondere, disse, con una ' '
certa sommissione forzata: « monsignore illuslrissimo , avrò torlo. [ I
1 Quando la vila non si deve contare, non so cosa mi dire. Ma qwmdo : i
s' ha che fare con certa gente , con gente che ha la forza, e che non |
luol sentir ragioni , anche a voler fare il bra\'o , non saprei cosa ci , |
si potesse guadagnare. É un signore quello, con cui ncm si può né i i
vincerla ne impallarìa. " l i
« E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vin- i |
cere? E se non sapete questo, che cosa predicale? di che siete mac- | I
Siro ? qual è la buona nìtoca che annunziate a' poveri ? Chi pretende i '.
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CAPITOLO X\V. 491
da voi cbe vinciate la forza con la forza? Certo non vi sarà duiiiaii-
dato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere i polenti; che
a questo non \i fu dato né mis^one, né modo. Ma vi sarà ben doman-
dalo se avrete adopralì i mezzi eh' erano in vostra mano per far ciù
die v' era prescrilto, anctie quando avessero la temerìtù di proikìrvelo. n
— Anclie questi santi son curiosi, — pensava intanto don Abbon-
dio: — io sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli
amori di due giovani, che la vita d' un povero kicerdote. — E, in
quanl' a lui, si sarebbe volentieri contentato che il discorso lìnisse lì;
ma vedeva il cardinale, a ogni pausa, restare in allo di chi aspetti
una risposta: una confes«one, o un' apologia ^ qualcosa in somma.
« Tomo a dire, monsignore, n rispose dunque, " clie avrò lorto
io ... . U coraggio , uno non se lo può dare. »
" E perchè dunque, jwtrei dirvi, vi siete voi impegnalo in un mi-
nistero che v' impone dr stare in guerra con le passioni del secolo ì
Macome, vi dirò piuttosto, come non pensale che, se in codesto mi-
nistero, comunque vi ci siate messo, v' è necessario il coraggio, per
adempir le xostre obbligazioni , e' è Chi ve lo darà infallibilmente,
quando glielo chiediate? Credete voi che tutti que' milioni dì martiri
avessero naturalmente coraggio? elle non facessero naturalmente nes-
sun cwilo della vita ? tanti giovinetti die cominciavano a gustarla ,
tanti vecchi avvezzi a rammaricarsi che fosse già vicina a finire, (ante
donzelle, tante spose, tante madri? Tutti hanno avuto coraggio; per-
ché il coraggio era necessario, ed essi confìda\'ano. Conoscendo la vo-
stra debolezza e i vostri doveri , avete voi pensato a prepararvi ai
passi difficili a cui potevate trovarvi, a cui vi siete trovato in effetto?
Ah! se per lant' anni d' uiizio pastorale, avete (e come non avi-este?)
amalo il vostro gregge, se avete riposto in esso il mostro cuore, le
vostre cure, le vostre delizie, il coraggio non doveva mancarvi al hi-
sogno : l'amore è intrepido. Ebbene, se voi gli amavate, quelli che
sono affidali alle vostre cure spirituali, quelli che voi chiamate figliuoli ;
quando vedeste due di loro minacciati insieme con voi, ah eerto!
come la debolezza della carne v' ha latto tremar per voi, così la carità
v'avrà fatto tremar per loro. Vi sarete umiliato di quel primo timore,
percliè era un effetto della \'0stra miseria ; a\Tele implorato la forza
per vincerlo, per discacciarlo, perché era una tentazione: ma il timor
santo e nobile per gli altri, per i vostri figliuoli, quello l'avrete ascol-
lato, quello non v' avrà dato pace, quello v'avrà eccitato, costretto.
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I pnoHESSi SPOSI.
a pensare, a fare ciò die si potesse, per riparare al pericolo che lor
sovrastava — Cosa v' ha ispiralo il timore, l' amore? Cosa avete fatto
per loro ? Cosa avete pensato ? »
E (acque in allo di chi aspetta.
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXVI.
una stdaMa domanda, don AbbMidio, cbe pur
s'era ing^nalo di risponder qualcosa a delle
menò precise, restò lì senza articolar parola. E,
per dir la verità, anche noi, con questo manO'
scritto davanti, con una penna in mano, non
avendo da contrastare cbe con te frasi, né
altro da temere che le critiche de' nostri let-
tori; anche noi, dico, scaliamo una certa ri-
pugnanza a proseguire : troviamo un non so
dte di strano in fjueslo mettere in campo, con così poca fatica, tanti
bei precetti dì fortezza e di carità, di premura operosa per gli altri,
di sacrifizio illimitato di sé. Ma pensando cbe quelle cose erano dette
da uno che poi le faceva, tiriamo avanti con corano.
(i Voi non rbpondete? » riprese il cardinide. •> Ah, se aveste fatto,
dalla parte vostra, ciò die la carità , ciò che il dovere ridiiedeva ; in
qualunque maniera poi le cose fossero andate, non vi mancherebbe
ora una risposta. Vedete dunque voi stesso cosa avete fatto. Avete
ubbidito all' iniquità , non curando ciò che il dovere vi prescriveva.
L'avete ubbidita puntualmente: s'era fatta vedere a voi, per inti-
marvi il suo desiderio ; ma voleva rimanere occulta a chi avrebbe
potuto ripararsi da essa, e mettersi in guardia; non voleva à» si
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494 I PROMESSI SPOSI.
facesse rumore, videva il segreto, per maliu-are a suo beli' agio ì suw
disegni d'insidie o di forza; vi comandò la trasgressione e il silenzio:
voi avete Irasgredito, e non parlavate. Domando ora a voi se noa
avete fatto dì più; voi mi direte se è vero che abbiale mendicati de'
pretesti al vostro rifiuto, per non rivelame i) motivo. » E stette lì al-
quanto, aspettando di nuovo una risposta.
— Anche questa gli hanno rapportala le chiacdiierone , — pensava
don Abbondio; ma non dava segno d'aver nulla da dire; onde il car-
dinale riprese: e se è vero, che abbiate detto a que' poverini ciò che
non era, per tenerli nell'ignoranza, nell'oscurità, in cui l'iniquità li
voleva. . . .Dunque lo devo credere; dunque non mi resta che d'ar-
rossirne con ^■oi, e di sperare che voi ne piangerete con me. Vedde
a che v' ha condotto ( Dio buono ! e pur ora voi la adduccvate per
iscusa) quella premura per la vita- che deve finire. V Ita condotto —
ribattete liberamente queste parole, se vi paiono ingiuste, prendeiric
in umiliazione salutare, se non lo sono .... v' ha condotto a ingan-
nare i deboli, a mentire ai vostri figliuoli. »
— Ecco come vuuio le cose, — diceva ancora tra sé don Abbon-
dio: — a quel satanasso, — e pensava all'innominato, — le braccia
al collo; e con me, per una mezza bugia, detta a solo line di sal^'ar
la pelle, tanto chiasso. Ma sono superiori; hanno sempre ragione. E il
mio pianeta, che tutti m' abbiano a dare addosso; ancl)e i santi. —
E ad alta voce, disse: « ho mancato; capisco che ho mancalo; ma
cosa dovevo fare in un frangente di quella sorte? »
« E ancor lo domandate? E non ve l'ho detto? E dovevo dir-
velo? Amare, figliuolo; amare e pregare. Allora avreste sentito che
l' iniquità può aver bensì delle minacce da fare , de' colpi da dare ,
ma non de' comandi; avreste unito, secondo la legge di Dio, ciò che
1' uomo voleva separare ; avreste prestato a quegl' innocenti infelid il
ministero che avevan ragione di richieder da voi; delle conseguenze
sarebbe restato mallevadore Iddio, perchè si sarebbe andati per la sua
strada : avendone presa un' eJlra , ne restate mallevadore voi ; e di
quali conseguenze! Ma forse che tutti i ripari umani vi mancavano?
forse che non era aperta alcuna via di scampo , quand' aveste voluto
guardarvi d'intorno, pensarci, cercare? Ora voi potete sapere die
que" vostri poverini, quando fossero stati maritati, avrebbero pulsato
da sé al loro scampo, eran disposti a fuggire dalla focda dà potente,
s' eran già disegnalo il luogo di rifugio. Ma ancbe sedka questo, non
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CAPITOLO XXVL 40K
vi venne in mente che alla fìne avevate un superiore? Il quale, come
mai avreUke quest'autorità di riprendervi d'aver mancalo al vostro
ufìzio, se non avesse anche l'obbligo d'aiutarvi ad adempirlo? Perchè
non avete pensato a informare il vostro vescovo dell'impedimento die
un' infame vi(denza metteva ah' esercizio del vostro ministero? »
— I pareri di Perpetua! — pensava stizzosamente don Abbondio,
a cui, in mezzo a que' discorsi, dò die stava più vivamente davanti,
era l'immagine di que' bravi, e il penderò che don Rodrigo era vivo
e sano, e, un giorno o 1' altro, tornerebbe glorioso e trionfante, e
arr3Ì>biato. E benché quella dignità presente, quell'aspetto e quel lin-
guaggio, lo facessero star confuso, e gì' incutessero un certo timore ,
era però un timore che non lo soggiogava affatto , né impediva al
pensiero di riealdtrare : perchè c'era in quel pensiera, che, alla Bn
delle Ani, il cardinale non adoprava né schioppo, né spada, né tiravi.
" Come non avete pensato, » proseguiva questo, « che, se a que-
gli innocenti insidiati non fosse stato aperto altro rifugio, c'ero io,
per accoglierli, per metterli in salvo, quando \'ot me gli aveste indi-
rizzati , indirizzali dei derelitti a un vescovo , come cosa sua, come
parte preziosa , non dico del suo carico , ma delle sue ricchezze ? E
in quanto a voi, io, sarei divenuto inquieto per voi; io, avrei do-
vuto non dormire , fin che non fossi sicuro che non \i sarebbe torlo
un capello. Ch' io non avessi come, dove, mettere in' sicuro la vo-
stra vila? Ma quell'uomo che fu tanto ardilo, credete voi che non gli
si sarebbe scemato punto 1' ardire , quando avesse saputo che le sue
trame eran note fuor di qui, note a me, di* io vegliavo, ed ero riso-
luto d' usare in vostra difesa tutti i mezzi che fossero in mia mano?
Non sapevate che, se 1' uomo promette troppo spesso più die non
sia per mantenere , minaccia anche non di rado, più che non s' ut-
lenti poi di commettere? Non sapevate die l' iniquità non si fonda
soltanto sulle sue forze, ftia anche sulla credulità e sullo spavento
altrui?
— Proprio le ragioni di Perpetua, — pensò anche qui don Ab-
liondio, senza riflettere che que) trovarsi d' accordo la sua serva e
Federigo Borromeo su ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare , vo-
leva dir molto contro di lui.
« Ma voi, 1 proseguì e conduse il cardinale, » non avete visto, non
avete voluto veder altro cbe il vostro pericolo temporale ; qual ma-
raviglta die vi »a parso late, da trascurar per esso ogni altra cosa? »
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4M I PROMBSSI SPOSI.
u Gli é perché le ho viste io quelle fiicce, i scappò delto a doo
Abbondio; u le ho sentile io quelle parole. Vossignoria iUustrìsama
parla bene ; ma bisognerebbe esser ne' paoni d' un povero prete , e
essersi trovalo al punto. »
Appena ebbe proferite queste parole, si morse )a lingua; s'accorse
d' essersi lascialo troppo vincere dalla stizsa , e disse tra sé : — ora
vien la grandine. — Ma alzando dubbiosamente lo sguardo, fu tutto
maravigliato, nel veder 1' aspetto di qucll' uomo, che non gli riusciva
mai d'indovinare né di capire, nel vederlo, dico, passare, da quella
gravità autorevole e correlU'ice, a una gravità compunta e pensierosa.
" Pur trop])o! •• disse Federigo, " tale è la misera e tcrrilHle no-
stra condizione. Dobbiamo esigere rigorosamente dagli altri quello che
Dio sa se noi saremmo pronti a dare: dobbiamo giudicare, correg-
gere, riprendere; e Dio sa quel che faremmo noi nel caso sIe,sso,
quel clie abbiam fiitlo in casi somiglianti ! Ma guai s' io dovessi
prender la mia debolezza per misura del doì'cre altrui , per norma
del mio insegnamento! Eppure ó certo che, insieme con le dottrine.
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unroLO XXVI. mi
io devo flare agli altri l' esempio, non reodOTini simile al dottor delia
1^^, che càrica gli altri di pesi che non posson portare, e che lui
nm loccher^be con un dito. Ebbene, figliuolo e fratello; poiché gli
errori dì quelli che presiedono, sono spesso più noti agli altri che a
loro; se voi sapete eh' io abbia, per pusillanimità, per qualunque ri-
spetto, trascurato qualche mio obbh'go, ditemelo francamente, Tatemi
ravvedere ; affinchè , dov' è mancato 1' esempio , supplisca almeno la
confessione. Rimproveratemi liberamente le mie debolezze j e allora le
parole acquisteranno più valore nella mia bocca, perché sentirete più
vivamente, che non son mie, ma di Chi può dare a voi e a me la
Iona necessaria per far ciò cbe prescrivono. "
— Oh che sant* uomo! ma che tormento! — pensava don Abbon-
dio : — anche sopra di sé : purché frughi , rimesti , critichi, inquisi-
sca ; anche sopra di sé. — Disse poi ad alta voce : « oh monsi-
gnore! ehe mi fa celia? Chi non conosce il petto forte, lo zelo imper-
territo di vossigoorìa illnatrìssinia ? » E tra sé soggiunse : — anche
b^po. — "
V Io non vi chiedevo una lode, die mi fa tremare, » disse Fedeii-
go, « perché Dio conosce i miei maneamenti, e quella che ne conosco
anch'io, basta a coDfendérmi. Ma avrei voluto, vorrei che ci confon-
dessimo msieme davanti a Luì, per confidare insieme. Vorrei, per
anor - vostro , cbe intendeste quwilo la vostra condotta »a stata op-
posta, quanto sia opposto il vostro linguaggio alla Jegge che pur pre-
dicale , e secondo la quale sarete giudicato. »
u Tutto casca addosso a me , » disse don Abbondio: « ma queste
persene che son venute a rapportare , non le lianno poi detto d' es-
sersi introdotte in casa mia , a tradimento , per sorprendemii , e per
bre .un matrimonio c(mtro le regole. »
u Me r hanno detto, figliuolo : ma questo m' aec<H^ , questo m' al-
tora, che voi desideriate ancora di scusarvi ; cbe pensiite di seu>
sarvi , accusando; cbe prendiate materia d'accusa da ciò che dovr^
b' esser parte della vostra confessione. Chi gli ha messi, non dico nella
neces»tà, ma nella tentazione dì far ciò cbe hanno fatto? Avrdd>ero
essi cercata quella via irr^^iare , se la iegillinia non fosse loro slata
cliiusa? pensato a insidiare il pastore, se (ossero siali accolli nelle
sue braeeia, aiutali, consigliati da lui? a sorprenderlo, se non si fosse
nascosto? E a questi voi date carico? e vi sdegnate perchè, d(^
tante sventure, che dico? nel mezzo della sventura, abbian detto una
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parola di sfogo al loro, ai vostro pastore? Che il rioorso dell' «cipres-
so, b querela dell' afflitto siano odiosi al mondo, il mondo è tale; ma
noi ! E che prò sarebbe stato per ^oi, se avessero taciuto ? Vi tan-
nava conto che la loro cansa andasse intera al giudizio di Dìo ? Non
è per voi una nuova ragione d' amar queste persone { e gii tante
ragioni n'avete), che v'abbian dato oceasiooe di sentir la voce sincera
del vostro vescovo, che v' abbian dato un mezzo di conoscer meglia,
e di socHitarc in parte il gran debito die avete con loro? ^! se v'a-
vessero provocato, offeso, tormentato, vi direi (e dovrei io dirvelo?)
d'amarli, appunto per questo. Amateli perchè hanno patito, perdiè pa-
tiscono, perchè son vostri , perchè son deboli , perchè avete bisogno
d'nn perdono, a ottenervi il quale, pensate di qual forza possa essere
la loro preghiera. ••
Don Abbondio slava zitto; ma non era più quel silaauo fiH'zato e
impaziente: stava zitto come chi ha più cose da peasane che da dì-
re. Le parole die sentiva, eraii conseguenze inaspettale, applicazioni
nuove, ma d'una' dottrina antica però nella sua mente, e ooa oautn-
stata. Il male degli altri, dalla considerazion del quale l' aveva sempre
distratto ia paura del proprio, gli faceva ora un' impressone nuova. E
se non sentiva tutto il rimorso che la predica voleva produrre (die
quella stessa paura era sempre li a far 1' ufizio di difensore), ne sen-
tiva però; senliva un certo dispiacere di sé, una compassione per gli
altri, un misto di tenerezza e di confusione. Era, se d si lasda pas-
sare questo parsone, come lo stoppino umido e ammaccato d' una
candela, che presentato alla fiamma d'una gran torda, da prinapio
fuma, sdiizza, scoppietta, non ne vuol saper nulla; ma alla Sue s'ac-
cende e , bene o male , bruda. Si sarebbe apertamente accusato ,
avrebl>e pianto', se non fbese stalo il pensiero dì don Rodrigo; dm
tuttavia si mostrava aUsastanza coounosso, perchè il cardinale do-
vesse accorgersi die le sue parole non erano state senza effetto.
« Ora , " proseguì questo , « uno fuggitivo da casa sua , faltra
in prodnto d* aM>andiniarìa , tutt' e due con tnqipo forti motivi £
stame lontani , senza probabilità di riunirsi mai qui , e contenti di
sperare che Dio li riunisca altrove; ora, pur troppo, non hanno bistH
gno di voi; pur troppo, voi non avete occaaone di far loro dd bene;
né il corto nostro prevedere può seoprìme alcuna ndf aw^re. Rh
ehi sa se Dio misericordioso non ve ne prepara? Ah non le lasdate
sfuggire! cercatde, state alle vdetle, pregalo che le &cda nase«re. »
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CAPITOLO XXVI. (OD
■ Non maDcherò, mon»gnore, non mancherò, davvero, » ri-
fipflse don Atdwndio, con una voce che, in quel momento, veniva
pr^rio dal cuore.
■ Ah eì,figlÌuolo, sì! » esclamò Federigo;e con una digoìfà piena
d* affetto , oondnse: « lo sa il cielo se avrei desiderato di tener con
voi tutt' albH discorsi. Tatt' e due abbiamo già vissuto molto: lo sa il
cielo se m' è stalo duro di dover eontrtsiar eon rimproveri codesta
vostra cannie, e quanto sarei stato più contento di consolarci insieme
delie nostre cure comuni , de' nostri guai , parlando della beata spe-
rania, alla quale «amo arrivati eoa vicino. Piaccia a Dio che le pa-
rche le quali bo pur dovuto usar con voi, servano a voi e a me. Hoa
ùAe che m' abbia a chieder conto , in quel giorno , d' avervi mante-
nuto in un nfino, al quale avete così infelicemente mancato. Ricom-
priamo il tempo : la mezianotte è vicina; lo Sposo non può tardare ;
teniamo accese le nostre lampade. Presentiamo a Dio i nostri cuori
miaerì, vóti, perchè Gli piaccia riempirli di quella carità, che ripara
al passato, die assicura l'avvenire, che teme e conOda, piange e sì
rallegra , con sapienza ; che diventa in ogni caso la virtù di cui ali-
biamo biseco. »
Così detto, si mosse ; e don Ald>ondÌo gli andò dietro.
Qui l'anonimo ci avvisa che non fu questo il solo abbocearo«ito
dì que* due personaggi, né Lucia il solo argomento de' levo abbocca-
menti ; ma die lui s' è ristretto a questo , per non andar lontano dal
soggetto principale dd racconto. E die, per lo stesso motivo, non ùrk
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MO I PROUESSI SPOSI
menzione d' altre cose notabili , dette da Federigo io tutto il ceno
della visita, né delle sue liberalità, né delle discordie sedate, de^ odi
antichi tra persone , famiglie , terre intere , spenti o { cosa eh' era
pur troppo più frequente) sopiti , né di qualche bravaccio o tirao-
nello ammansato, o per tutta la vita, o per qualche tempo; cose tutte
delle quali ce n' era sempre pia o meno, in ogni lui^ della diocesi
dove quell'uooio eccellente baeaae qualdte soggiorno.
Dice poi, che, la mattina seguente, venne donna Prassede, seoondo
Il fissato , a prender Lucia, e a complimentare il cardinale , il quale
gliela lodò, e raccomandò caldamente. Lucia si staccò dalla madre,
potete pensar con che pianti ; e usci dalla sua casetta ; disse per la
seconda volta addio al paese, cui qud senso di doppia amarena,
che si prova lasciando un luogo che fu unicamente caro, e otte non
può esserlo più. Ma i congedi con la madre non eran gli ullìmi ; per>
che donna Prassede aveva detto die si stareU>e ancor qualdie giorno
in quella sua villa , la quale non en molto lontana ; e .^;nese pre-
mise alta figlia d'andar ìk a trovarla, a dare e a ricevere un pili
doloroso addio.
Il cardinal)! era anche lui sulle mosse per continuar la sua visita,
quando arrivò, e chiese di pariargli il curato della parrocchia, in cui
era il castello dell' innominato. Introdotto , gli presentò un gruppo e
una lettera di quel signore , la quale lo pregava di far accettare aDa
madre di Lucia cento scudi d'oro eh' eran nel gruppo , per servir di
dote alla giovine , o per qnell' uso che ad esse sarebbe parso mi-
gliore ; lo pregava insieme dì dir loro , che , se mai , in qualunque
tempo, avessero creduto che potesse render loro qualche servizio, la
povera giovine sapeva pur troppo dove stesse ; e per lui , quella sa-
rebbe una delle fortune più desiderate. Il cardinale fece subito diia-
mare Agnese, le riferi la commissione , àte fu sentita con altrettanta
soddisfazione che maravi^^ia; e le presentò il rotolo, ch'essa prese,
senza far gran ctHuplimenli. « Dio gliene renda merito, a quel signo-,
re , » disse : « e vossignoria illustrissima lo ringrazi tanto tanto. E
non dica nulla a nessuno , perchè questo è un certo paese ... Mi
scusi, veda; so bene che un par suo non va a dilacdiierare di que-
ste cose ; ma . . . Id m' intende. »
Andò a casa, zitta, zitta; si chiuse in camera, svoltò il rotilo, e
quantunque preparata, vide oon ammirazione, tutti in un mncdàetlo
e suoi, tanti di que' ruf^i , de' quali non aveva forse mai vìrto |hù
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CAPITOLO XXVI. noi
d' UDO per volta, e anche di rado; li contò, penò alquanto a métlerll
di nuovo per lagtìo , e a tenerli li tulli , che ogni momenlo faoevan
panda , e sgusdavano dalle sue dita inesperte ; ricomposto finalmrate
un rotolo alla meglio, lo mise in un cencio, ne Tece un involto,
un baluffoletlo , e legatolo bene in giro con delta cordellina , 1' andò
a Secare in un cantucdo del suo saccone II resto di quel giorno ,
non fece altro che mulinare, far disegni sull'avvenire, e sospirar l' in-
domani. Andata a letto, stette desta lui pezzo, eoi pensiero in com-
pagnia di que' cento che aveva sotto: addomontata, li vide in sogno.
All'alba, s'alzò e s' incamminò subito verso la villa, dov'era Luda.
Questa, dal canto suo , quantunque non le fosse diminuita quella
gran ripugnanza a parlar dd voto, pure era risoluta di farsi forza, o
d" aprirsene con la madre in queir abboccamento , che per lungo
tempo doveva chiamarsi l'ultimo.
Appena poterono esser sole, Agnese, con una facda tutta animala,
e insieme a voce bassa, come se ci fosse stato presente qualdieduno
a cui non volesse farsi sentire , cominciò : « ho da dirti una gran
cosa; » e le raccontò l'inaspettata fortima.
u Iddio lo benedica , quel signore , » disse Luda : " così avrete
da star bene voi, e potrete anche far del bene a qualctiedun altro. »
« Come ? » rispose Agnese : « non vedi quante cose possiamo
fare, con tanti danari? Sentì; io non ho altro che te, che voi due,
posso dire; perdio Renzo, da che cominciò a discorrerti, 1' ho sempre
riguardalo come un mio figliuolo. Tulio sia che non gli sia accaduta
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MI I PROMESSI SPOSI
qualdK disgrazia, a vedere che Don ha mai folto saper nulla: ma ài\
deve andar tutto male ? Speriamo dì do , speriamo. Per me , avrei
avuto caro di lasciar l' ossa nel mio paese ; ma ora cbe tu non d
pu(H stare, in grazia di quel bìiiwne , e anche solamente a pensare
d'averlo vicino colui, m' è venuto in odio il mio paese: e con voi
idtri io sto per tutto. Ero disposta, fin d'allora, a venir con voi altri,
anche in capo al mondo ; e son sempre stata di quel parere ; ma
senza danari come si la ? Intendi ora? Que' quattro, cbe quel pove-
rino aveva messi da parte, con tanto stento e con tanto risparmio, è
venula la giustizia, e ha spazzalo ogni cosa; ma, per ricompensa, il
Signore ha mandato la fortuna a noi. Dunque , quando avrà trovato
il bandolo di fer sapere se è vivo, e dov'è, e che intenzioni ha, li
vengo a prender io a Milano; io U vengo a prendere. Altre volte mi
sarebbe parso un gran che; ma le disgrazie fanno diventar disin\'oltÌ;
fino a Monza ci sono andata , e so cos' è viaggiare. Prendo con me
un nomo di proposito, un parente, come sareU» a dire Alessio di
Maggianico: cbè, a voler dir )>ròprio in paese, un uomo dì proposito
non e' è : vengo con lui : già la spesa la facciamo noi, e . . . intendi? n
Ma vedendo che, in vece d' animarsi. Lucia s'andava accorando,
e ncm dUnostrava che una tenerezza sen^ allegria, lasciò U discorso a
mezzo, e disse: <■ ma cos' hai? non ti pare? »
« Povera mamma 1 » esclamò Liida , gettandole un braccio al
collo, e ùascond^ndo il viso nel seno di lei.
u Cosa e' è? ». domandò di nuovo ansiosamente la madre.
» Avrei dovuto dirvclo prima, n rispose Lucia, alzando il viso,
e asciugandosi le lacrime ; « ma non ho mai avuto cuore : compa-
titemi. »
(t Ma dì su, dunque. »
u Io non posso più esser moglie di quel poverino ! »
« Come ? come? »
Lucia, col capo basso, col petto ansante, lacrimando senza piange-
re, come chi racconta una cosa che , quand' anche dispiacesse, non si
può cambiare, rivelò il voto; e insieme, giungendo le mani, diiese
di nuovo perdono alla madre, di non aver parlalo fin allora; la pre^
di non ridir la cosa ad anima vivente , e d' aiutarla ad adempire ciò
che aveva promesso.
Agnese era rimasta slnpefatla e costernata. Voleva sdegnarsi dd
, nlraizìo tenuto con lei; ma 1 gravi pensieri del caso soffogavano quel
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CAPITOLO XXVI. . «OS
dispiaeere ano pn^rìo ; voleva dirìe : cos' hai fatto 7 ma le pareva
che sarebbe un prendersela col cielo : tanto più che Lucia tornava a
dipinger co' più vivi colorì quella notte , la desolaxione così nera , e
la liberazione così imprevedula , tra le quali ia promessa era stata
falla, cosi espressa, cosi solenne. E intanto , ad Agnese veniva anche
in m^ite questo e quelf esempio , che aveva sentito raccontar pìA
volte , che lei stessa aveva raccontato alla figlia , di gastighi strani e
terrìbili, venuti per la violaEÌone di qualche volo. Dopo esser rimasta
un poco come incantata, disse : u e ora cosa farai? »
« Ore, « rispose Lucia , « tocca al Signore a pensarci; al Signtve
e alla Madonna. Mi son messa nelle lor mani : non m' hanno abbai>>
donata finora ; non m' abbandoneranno ora che ... La graua che
diiedo per me al Signore, la sola grazia, dopo la salvazlon dell' aoi-
ma , è che mi faccia tornar con voi : e me la concederà , si ^ me la
concederà. Quel giorno ... in quella carrozza ... ah Vergine san-
tissima! . . . quegli uomini ! ... chi m'avrebbe detto che mi menavano
da colui che mi doveva menare a trovarmi con voi, il giorno dopo? "
« Ma non parìarne subito a tua madre ! « disse Agnese con una
certa stizzetta temperala d'amorevolezza e di pietà.
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B0< I PROMESSI SPOSI
■ CompaUtemì ; non avevo cuore ... e cbe sardri)e giovato d' af-
fliggervi qualche tempo prima? »
« E Remo? » disse Agnese, tentennando il capo.
« AhJ " esclamò Lucia, riscotendosi , « io non ci devo pen-
sar più a quel poverino. Già si vede cbe non era destinato . . . Ve-
dete come pare cbe il Signore ci abbia voluti proprio tener separati.
E cbi sa . . . ? ma no, no: l'avrà preservato Lui da' perìcoli, e lo
fora esser fortunato ancbe di più, senza di me. «
« Ma intanto , » riprese la madre , u se nou fosse die tu lì sei
legata per sempre, a tulio il resto, quando a Renzo non ^ì sia acca-
duta qualcbe disgrazia, con que' danari io ci avevo trovato rimedio. •>
« Ma quc' danari, n replicò Lucia, u ci sarebbero venuti, s' io non
avessi passala quella notte? È il Signore clie ha voluto cbe tutto an:
dasse cosi: sia falla la sua volontà, n E la parola mori nel pianto.
A quell'argomento inaspettato, Agnese rimase lì pensierosa. Dopo
qualche momento. Lucia, ratlenendu i singhiozzi, riprese : « ora cbe
la cosa e fatta, bisogna adattarsi di buon animo; e voi, povera mam-
ma, voi mi potete aiutare, prima, pregando il Signore per la vostra
povera figlia, e poi . . . bisogna bene che quel poverino lo sap[Ha.
Pensateci voi, fatemi anche questa carità ; die voi ci potete pensare.
Quando saprete dov* è, fategli scrivere, trovate un uomo
appunto vostro cugino Alessio , che è un uomo prudente e caritate-
vole , e ci ha sempre voluto bene, e non ciarlerà : fategli scriver da
lui la cosa com' è andata, dove mi son trovala, come ho patito, e cbe
Dio ha voluto cosi, e che metta il cuore in pace, e eh' io non posso
mai mai esser di nessuno. E fatali capir la cosa con buona grazia,
spiegai^)] cbe ho promesso, che ho proprio fatto voto. Quando saprà
die ho promesso alla Madonna ... ha sempre avuto il timor di Dio.
E voi , la prima volta cbe avrete le sue nuove, fatoni scrivere, fa-
Ioni sapa* che è sano ; e poi . . . non mi fate più saper nolla. «
Agnese, tutta inlenerila, assicurò la figlia die ogni con si fard^
come desiderava.
« Vorrei dirvi un'altra cosa, « riprese questa: " qud poveri-
no, se non avesse avuto la disgrazia di pensare a me , non gli sa-
rebbe accaduto ciò cbe gli è accaduto. É per il mondo ; gli hanno
troncato il suo avviamento , gli hanno portalo via la sua roba , que'
ripianili che aveva &tli, poverino, sapete perchè ... E noi aUbiamo
tanti danari ! Oh mamma ! giacdiè il Signore d ha mandato laolo
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CAPITOLO XXVI. BOJl
beoe, e quel poverino, è proprio vero che lo riguardavate eome vo-
Siro ... sì, come un figliuolo, oh! fate mezzo per uno; che, sicuro,
Iddio non ci mancherà. Cercate un' occasione fidata , e mandateglieli ,
che sa il cielo eome n' ha bisogno ! »
« Ebbene , cosa credi ? » rispose Agnese : a glieli manderò dav-
vero. Povero giovine I Perchè pensi tu eh' io fossi così contenta di
que" danari? Ma ... ! io era proprio venuta qui tutla contenta. Ba-
sta, io glieli manderò , povero Renzo I ma anche lui .... so quel die
dico ; certo che i danari fanno piacere a chi n' ha bisogno ; ma que-
sti non saranno quelli che lo faranno ingrassare, n
Lucia ringraziò la madre di quella pronta e liberale condiscenden-
la, con una gratitudine , con un afletlo, da for capire a dii l' avesse
osservata, che il suo cuore faceva ancora a mezzo con Renzo, forse
più che lei medesima non lo credesse.
a E senza di le, che farò io povera donna? » disse Agnese, pian-
gendo anch' essa.
« E io senza di voi, povera mamma? e in casa di forestieri? e
laggiù in qud Milano ... ! Ma il Signore sarà con tutt' e due; e
poi ci farà tornare insieme. Tra otto o nove mesi ci rivedremo;
e di qui allora, e andie prima^ spero, avrà aiccomodate le cose Lui,
per riunirci. Lasciamo fare a Lui. La chiederò sempre sempre alla
Madonna questa grazia. Se avessi qualche altra cosa da offrirle, lo
farei; ma è tanto misericordiosa, che me l'otterrà per niente.»
Con queste ed altre simili, e più volte ripetute parole di lamento
e di conforto, di rammarico e di rassegnazione, con molte raceoman*
dazioni e promesse di non dir nulla, con molte lacrime, dopo lunghi
e rìnno^'ati abbraeciamenli, le donne si separarono, promettendosi a vi-
cenda di rivedersi il prossimo autunno, al più lardi; come se il man-
tenere dipendesse da loro, e eome però si fa sempre in casi simili.
Intanto cominciò a passar molto tempo senza che Agnese potesse
saper nulla di Renzo. Né lettere né imbasciate da parte di lui, non
ne veniva: di lutti quelli del paese, o del contorno, a cui potè do-
mandare , nessuno ne sapeva più di lei.
E non era la sola che facesse invano una tal ricerca: il cardinal
Federigo, che non aveva detto per cerimonia alle povere donne, di
voler prendere informazioni del povero giovine, aveva infetti scritto
subito per averne. Tornato poi dalla visita a Milano, aveva ricevuto
la risposta in cui gli si diceva che non s' era potuto trovar recapito
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UOB I PUOllESSl SPOSI
ddl'' indicate soggello; che veramente era slato qualche Icmpo io
casa d'ui) suo parente, nel tal paese, dove non aveva fattd dir di sé;
ma, una mattina, era scomparso all'improvviso, e quel suo parente
stesso non sapeva cosa ne fosse stato , e non poteva clic ripetere
certe \oci in aria e coni radili tiorie che correvano , essersi il gio-
vine arrotalo per Jl Levante, esser {laSsalo in Germania, |>erilo iiel
guadare un liume: die non sì mancherebbe di slare alle ideile, se
mai sì potesse saper qualcosa dì più positivo, per farne Subilo paKe
a sua signoria illustrissima e reverendissima.
Più tardi , quelle ed altre ^oci ai sparsero anclie nel territorio di
Lecco, e vennero per conseguenza agli orecchi d'Agnese. La povera
donna faceva dì tutto per venire in chiaro qual fosse la vera, per
arrivare alla fonie di questa e di quella, ma non riusciva mai a tro-
var dì più di quel (incolto, che, anche al giorno d'oggi, basta da se ad
attestar lantc cose. Talora, appena glicn'era stala raccontala una, ve-
niva uno e le diceva che non era vero nulla; ma per dargliene in cam*
bio un' altra, ugualmente strana o sinistra. Tutte ciarìe: ecco il fallo.
Il governatore di Milano e capitano generale in llalia, don Gon-
zalo Fernandez di Cordova, aveva fatto un gran fracasso col signor
n-sitlcnk di Venezia in Milano, i^rchè un malandrino, un ladrone
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CAPITOLO XXVI. SOT
puMilioo, un promotore di saccheggio e d'omicidio, il bmoso Lo-
renzo Tramaglino, die, nelle mani stesse delta giustizia, aveva ecci-
talo sommossa per farsi liberare, fosse accollo e rìcetlato nel terri-
torio bergamasco. Il residente avea risposto che la cosa gli riusciva
nuova, e che scrivereblic a Venezia, per poter dare a sua eccellenxa
quella spiegazioae che il caso avesse portalo.
A Venezia avevan per massima di secondare e di'collivare 1' in-
dinazionc degli operai di seta milanesi a trasportarsi nel territorio
bergamasco, e quindi diTar che ci trovassero molti vantaggi e, so-
prallutlo quello senza di cui ogni altro è nulla, la sicurezza. Sic-
come però, Ira due grossi litiganti, qualche cosa, per poco che sìa,
bisogna sempre die il terzo goda; cosi Bortolo fu avvisato in oonG-
denza, non si sa da chi, che Renzo non istava bene in quel paese,
e die ford>be meglio a entrare in qualche altra fabbrica , cambiando
andic nome per qualche tempo. Bortolo intese per aria, non domandò
altro, corse a dir la cosa al cugino, lo prese con sé in un cales-
sino, lo condusse a un altro filatoio, di:3co8lo da qudlo forse quindici
miglia, e lo presentò, sotto il nome d' Antonio Rivolta, al padrone,
ch'era nativo anche lui dello stalo di Milano, e suo antico cono-
sceate. Questo, quantunque 1' annata fosse scarsa, non si fece pre-
gare a ricevere un operaio die gli era raccomandato come onesto e
abile, da un galantuomo che se n'intendeva. Alla prova poi, non
ebbe che a lodarsi dell'acquislo; meno che, sul principio, gli era
parso che il giovine dovesse essere un po' stordito, percliè, quando
si chiamava: Antonio! le più volte non rispondeva.
Poco dopo, venne un ordine da Venezia, in isUle pacalo, al capitano
di Bergamo, die prendesse e desse informazione, se nella sua giuris-
dizione, e segnatamente nel (al paese, si trovasse il lai soggetto. Il
ca|MtaDO, falle le sue diligenze, come aveva capito che si volevano,
trasmise la risposta negativa, la quale fu trasmessa al residente in
Milano, che la trasmettesse a don Gonzalo Femandez di Cordova.
Non mancavan poi curiosi, che volessero saper da Bortolo il perdiè
quel giovine non c'era più, e dove fosse andato. Alla prima do-
manda Bortolo rispondeva: '< ma! e scomparso, n Per mandar poi in
paee i più insistenti, senza dar loro sospetto di quel che n'era dav-
vero, aveva credulo bene di r^alar loro, a chi 1' una, a chi l' altra
delle notizie da noi riferite di sopra: però, come cose incerte, che
aveva sentile dire anche luì , senza averne un riscontro positivo.
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BOB 1 PROMESSI SPOSI
Ma quando la domanda gli yenoe falla per commissioa del cardi-
nale, senza nominarlo, e con un certo apparato d'importanza e di
mistero, lasciando capire ch'era in nome d'un gran personaggio,
tanto più Bortolo s' insospettì, e credè necessario di risponda* 8e>
condo il solito; anzi, trattandosi d'un gran personaggio, diede in
una volta tutte le notizie che aveva stampate a una a una, in quelle
diverse occorrenze.
Non si creda però che don Gonzalo, un signore di quella sorte,
l' avesse proprio davvero col povero filatore di montagna ; che infor-
malo forse del poco rispetto usalo, e delle cattive parole delle da eo-
lui al suo re moro incatenalo per la gola, volesse fargliela pagare; o cbe
lo credesse un soggello tanto pericoloso, da perseguitarlo aocbe fuggiti-
vo, da non lasciarlo vivere anche lontano, come il senato romano con
Annibale. Don Gonzalo aveva troppe e troppo gran cose in testa,
per darsi tanto pensiero de' falli di Renzo; e se parve cbe se ne
desse, nacque da un concorso singolare di circostanze, per cui il
poveraccio, senza volerlo, e senza saperlo né allora né mai, si
trovò, eon un sottilissimo e invisibile filò, attaccato a quelle Iroppe
e troppo gran cose.
V>5NW^
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CAPITOLO XXVII.
VJià più (f una volta e' è occorso di for
menzione della guerra che allora bolliva,
per la successione agli stali del duca Vi»>
cenzo Gonzaga, secondo di quel noine;
ma e' è occorso sempre in momenti di
gran frella: siccliè non abbiam mai po-
tuto darne più che un cenno alla sfug-
gita. Ora però, all'intelligenza del nostro
racconto si richiede proprio d' averne
qualche notìzia più particolare. Son cose che chi conosce la storia le
deve sapere; ma siccome, per un giusto sentimento di noi oiedesimi,
dobbiam supporre che quest' opera non possa esser letta se non da
ignoranti, cosi non sarà male che ne diciamo qui quanto basti per
infarinarne chi n' avesse bisogno.
Abbiam detto che, alla morte di quel duca, il primo chiamato, in
linea di successione, Carlo Gonzaga, capo d'un ramo cadetto tra-
piantato in Francia , dove possedeva ■ ducali di Nevers e di Rhétel ,
era entrato al possesso di Mantova; e ora aggiungiamo, del Monfei^
rato : che la fretta appunto ce 1' aveva fatto lasciar nella penna. La
corte di Madrid, che voleva a ogni patto ( abbiam detto anche que-
sto) escludere da que' due feudi il nuovo principe, e per escluderlo
aveva bisogno d' una r^one ( perchè le guerre fatte senza una ra-
gione sarebbero ingiuste), s' era dichiarato sostenitore di quella che
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mo 1 PHOllESSI SPOSI
prelcndevano avere, su Mantova uà altro Gonzaga, Ferrante, prin-
cipe di (ìuaslalia; sul Monferrato Carlo Emanuele I, duca di Savoia,
e Margherita Gonzaga, duchessa vedova di Lorena. Don Gonzalo,
ch'era della casa del gran capitano, e ne portava il nome, e die
aveva già fatto lu guerra in Fiandra, voglioso oltremodo di condurne
una in Italia , era forse quello che faceva più fuoco, perchè questa a
dichiarasse; e intanto, Interpretando l'intenzioni e precorrendogli
ordini della corte suddetta , aveva concluso col duca dì Savoia un
trattato d' invasione e di divisione del Monferrato; e n'aveva poi ot-
tenuta facilmente la ratificazione dal conte duca, faceodi^i creder
molto agevole l'acquisto di Gasale, ch'era il punto più difeso della
parie pattuita al re di Spagna. Protestava però, in nome di questo,
di non vtJere occupar paese, se non a titolo di deposilo, lino alla
sentenza dell'imperatore; il quale, in parte per gli ufizi altrui, in
parte per suoi propri motivi, aveva intanto negala l'investitura al
nuovo duca, e iittimal^li che rilaisciassc aJui in sequestro gli stati
controversi: lui poi, sentite le parti, li rimetterebbe a chi fosse di
dovere. Cosa alla quale il Nevers non s'era voluto piegare.
Aveva anche lui amici d'importanza: il cardinale di Richelieu, i
ngaorì veneziani, e il papa, ch'era, come abbiam dello, Urbano Vili.
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CAMTOLO XXVII.
Ma il primo, impegnalo allora nell' assedio della Rctccella e in una
guerra «m l'Iiigliillerra, atlraversalo dal parlilo della regina madre,
Maria de* Modici, contraria, per certi suoi motivi, alla casa dìNe-
vers, non poteva dare che delle speranze. I veneziani non voteian
moversi, e nemmeno dichiarai'si, sé prima mi esercito francese non
fosse calalo in llalia ; e , aitilando il duca sotto mano , come pote^
vano , con la corte di Madrid è col governatore dì Milano stavano
sulle protese, sulle proposte, sul!' (<$ortBKÌoni , placide o minacciose,
secondo i momenti. !l papa raccomandava jl Neiers àgli amici, ìiilcr-
cudeva in sno favore presso' gii avversari,' faceva progelli d'acco-
modamento; di metter gente in campo non he voleva saper nnlla.
Cosi t due allehii aHe offese poléroiio, lanlo più sicnramcnle, co-
minciar r impresa concertata. Il duca di Savoia era entrato, dalla sua
|tartc, nel Monferrato; don Gonzalo aveva messo, con gran voglia,
l'assedio a Casale; ma non ci trovava tiitla quella soddisfazione clic
s'era immaginalo: die non crédeste che nella guerra' sia lulto rose.
I.a corte non l'aiutava a seconda de' suoi desideri, anzi gli lasciava
mancare i mezzi più necessari; l' dicalo l' aiutava troppo: vf^lio dire
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I PROMESSI SPOSI
cbc., dopo aver presa la sua porzione , andava spilluzziciuido quella
assegnala al re di Spagna. Don Gonzalo se ne rodeva quanto mai si
possa dire ; ma temendo , se faceva appena un po' di rumore , cfae
quel Carlo Emanuele , cosi attivo ne' maneggi e mobile ne' trattali ,
come prode nell'armi, si voltasse alla Francia, doveva cliiudere un
occhio, mandarla giù, e stare zitto. L'assedio poi andava male, in
lungo, ogni tanto all' indietro, e per ìl contegno saldo, vigilante, ri-
soluto degli assediati, e per aver lui poca gente, e, al dire di qual-
che storico, per i molti spropositi che faceva. Su questo noi lasciamo
la verità a suo luogo, disposti anche, quando la cosa fosse realmente
cosi, a trovarla bellissima, se fu cagione che in quell'impresa sia
restato morto, smozzicato, storpiato qualche uomo di meno, e, ette-
ria pifrìbus, anche soltanto un po' meno danneggiati ì tegoli di Casale.
In questi frangenti ricevette la nuova della sedizione di Milano , e d
accorse in persona.
Qui, nel ragguaglio che gli si diede, fu fatta anche menzione ddli
fuga ribelle e clamorosa di Renzo, de' fatti veri e supposti ch'erano
stati cagione del suo arresto; e gli si seppe anche dire che questo tale
s'era rifugiato sul territorio' di Bergamo. Questa circostanza fermò
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CAPITOLO XXVH. Hlx
l'attenzione dì don Gonzalo. Era informato da tuli' altra parte, clic
a Venezia avevano alzata la eresia, per la sommossa di Milano; che da
principio avevan credulo che sarebbe costretto a levar l'assedio da Ca-
sale, e pensavan tuttavia che ne fosse ancora sbalordito, e in gran |)cn-
siero: tanto più che, subito dopo quell'avvenimento, era arrivata la no-
tizia, sospirala da que' signori e temuta da lui, della resa delia Roccella.
K scottandt^li motto, e come uomo e come politico, che que' signori
avessero un lai concetto de' talli suoi , spiava ogni occasione di per-
suaderli, per via d' induzione, che non ave^a perso nulla dell' an-
tica sicurezza; giacché il dire espressamente: non ho paura, è come
non dir nulla. Un buon mezzo è di fare il disgustalo, di querelarsi,
di reclamare: e perciò, essendo venuto il readente dì Venezia a fw-
^i un complimento, e ad esplorare insieme , nella sua faccia e nel
suo contegno, come slesse dentro dì se (notate tutto; che questa è
politica di quella vecchia fine], don Gonzalo, dopo aver parlato del
tumulto, leggermente e da uomo che ha già messo riparo a tutto;
fece quel fracasso che sapete a proposito di Renzo; come sapete aa-
die quel che ne venne in conseguenza. Doiw, non s'occupò più d'un
allure co9ì minuto e, in quanto a lui, terminato; e quando poi, che
fu un pezzo dopo, gli arrivò la risposta, al campo sopra Casale, do-
v'era tornalo, e dove aveva tuli' altri pensieri, alzò e dimenò la
testa, come un baco da seta che cerchi la foglia; slette li un mo-
mento, per farsi tornar vivo nella memoria quel fatto, dì cui non ci
rimaneva più i^e un'ombra; sì rammentò della cosa, ebbe un' idea
fugace e confusa del personaggio; passò ad altro, e non ci pensò più.
Ma Renzo, il quale, da quel [joco che gli s'era fallo veder per
aria, doveva supporre luti' altro che una cosi benigna noncuranza,
stette un pezzo senz'altro pensiero o, per dir meglio, senz'altro stu-
dio, che di viver nascosto. Pensate se si struggeva dì mandar le sue
nuove alle donne, e d'aver le loro; ma c'eran due gran dìRìcollà.
Una, che avrebbe dovuto anche lui confidarsi a un segretario, perchè
il poverino non sapeva scrivere, e neppur leggere, nel senso esleso
della parola; e se, interrogato dì ciò, come forse vi ricorderete, dal
dodor Azzecca-garbnglì , aveva risposto dì sì, non fu un vanto, una
sparala , come si dice ; ma era la aerila che Io stampato lo sapeva
leggere, mettendoci il suo tempo: lo scritto è un altro par di mani-
che. Era dunque costretio a mettere un terzo a parte de' suoi inte-
ressi, d'un segreto così geloso: e un uomo che sapesse tener la
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1114 I PROMESSI SPOSI
penna in mano, e di cui uno si potesse fidare, a que' l«mpi non si
trova\'a così facilmente j tanlo più in un paese dove non s' avesse
nessuna antica conoscenza. L'altra diffìcollà era d'avere anclic un
corriere; un uomo che andasse appunto da quelle parti, che volesse
incaricarsi della lettera, e darsi davvero il pensiero di recapitarla;
(ulte cose, anche queste , dillicilì a trovarsi in un uomo solo.
Finalmente, cerca e ricerca, trovò ehi scrivesse per lui. Ma, no»
sapendo se le donne fossero ancora a Monza, o dove, credè bene di
fare accluder la lettera per Agnese in un' altra diretta al padre Cri-
stoforo. Lo scrivano prese anche l' incarico dì far recapitare il plico ;
lo consegnò a utio che doveva passare non lontano da Pescarenico;
costui lo lasciò, con molle raccomandazioni, in un' osteria sulla stra-
da, al punto più vicino; trattandosi che il plico era indirizzato a un
convento, ci arrivò^ ma cosa fi'avvenisse dopo, non s'è mai saputo.
Renzo, non vedendo comparir risposta, fece stendere un'altra lette-
ra, a un di presso come la prima, e accluderla in un' altra a un suo
amico di Lecco, o parente che fosse. Si cercò un altro latore, si
trovò; questa volta la lettera arrivò a chi era diretta. Agnese trottita
Maggiatiieo, se la fece leggere e spiegare da quell'Alessio suo cugino:
concertò con lui una risposta, che questo mise in caria; sì trovò il
mezzo di mandarla ad Antonio Rivolta nel luogo del suo domicilio:
lutto questo però non cosi presto come noi lo raccontiamo. Renzo
ebbe la risposta, e fece riscrivere. In somma, s'avviò tra le due parti
un carteggio, né rapido né regolare, ma pure, a balzi e ad intervalli,
continualo.
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXTH. Sin
Ma i)er avere un' idea di quel cai-leggio, bisogna sapere un^poeo
come andassero allora lali cose, ansi come vadano; perclié, in qucslo
particolare, credo die ci sia poco o nulla di cambiato.
Il cooladino clic non sa scrivere, e che avrebbe bisogno di scrive-
re, si rivolge a uno che conosca queir -arte, scegliendolo, per quanto
può, tra (|uelli delta sua condizione, perchè degli altri si perita, o
si fida poco; l'informa, con più o meno ordine e chiarezza, degli
antecedcnli: e gli espone, nella stessa maniera, la cosa da mettere in
carta. 9 letterato, parie intende, parte frantende, dà qualche consi-
glio, propone qualche cambiamento, dice: lasciate fare a me; piglia
la penna, mette come può in forma letteraria i pensieri dell'altro,
li corregge, li migliora, carica la mano, oppure smorza, lascia anche
ruori, secondo gli pare die (orai meglio alla cosa: perché, non e' è
ritnedio, chi ne sa più degli altri non vuol essere strumento mate-
riale nelle loro mani; e quando entra negli aflari altrui, vuol anclie
(irgli andare un po' a modo suo. Con tutto dò, al letterato sud-
detto non gli riesce sempre di dire tutto quel che vorr^be ; qualche
volta gli accade di dirà tult' altro: accade anche a noi altri, che
scriviamo per la stampa. Quando la lettera cosi composta arriva alle
mani del corrispondente, die anche lui non aU>ia pratica dell'abbiccì,
la porta a un altro dotto di quel calibro, il quale gliela legge e gliela
spiega. Nascono delle questioni sul modo d'intendere; perchè l'inte-
ressalo, fondandosi sulla cognizione de' fatti aniecedenli, pretende
die certe parole ^oglian dh-e una cosa; il lettore, stando alla pratica
che ba della composizione , pretende che ne vogliano dire un' altra.
Finalmente bisogna che chi non sa » metta nelle mani di chi sa, e
dia a lui l' incarico della risposta; la quale, fatta sul gusto della pro-
posta, va poi soggetta a un' i'nlcrpretazione simile. Che se, per di
più, il soggetto ddla corrispondenza è un po' geloso; se c'entrano
afferi segreti, che non si vorrebbero lasciar capire a un terzo, caso
mai die la lettera andasse persa; se, per questo riguardo, c'è stala
anche l' intenzione positiva dì non dir le cose affatto chiare; allora,
per poco che la corrispondenza duri, le parli finiscono a intendersi
tra di loro come altre volte due scolastici die tla qualtr' ore dispulas-
sero sull'entelechia: per non prendere una similitudine da cose vive;
die ci avesse poi a toccare qualche scappellotto.
Ora, il caso de' nostri due corrispondenli era appunto qudlo che
abbiam detto. La prima lettera scrìtta in nome di R^zo conlenevà
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SI6 IPROUESai SPOSI
molle materie. Da princìpio, oltre un racconto della fuga, mollo più
conciso, ma anche più arrufEato di (|iiello che avete letto, un ragguiir
gtio delle sue circostanze attuali; dal quale, tanto Agnese quanto il
suo turcimanno furono ben lontani di ricavare un costrutto chiaro e
intero: avviso segreto, cambiamento dì nome, esser sicuro, ma do-
vere star nascosto; cose per sé non troppo tamigliari a' loro intelletti,
e nella lettera dette anche un po' in cifra. C era poi delle domande
affannose, appassionate, su' casi di Lucia, con de' cenni oseurì e do-
lenti , intorno alle ^'oci cbe n' erano arritate fino a Renzo. C erano
fìnalmenle speranze incerte, e lontane, disegni lanciati nell'avvenire,
e intanto promesse e pr^hierc di niantener la fede data, di non
perder la pazienza né il coraggio, d' aspellar migliori circostanze.
Dopo un po' di tempo, Agnese trovò un mezzo fidato di far per\'c-
iiire nelle mani dì Renzo una risposta, co' cinquanta scudi assegna-
tigli da Lucia. Al veder tant'oro, Renzo non 'safieva cosa si pensare;
e con r animo agitato da una maraviglia e da una sospensione che
non davan lut^o a contentezza, corse in cerca-dei segretarìo, per
farsi interpretar la lettera, e aver la chiave d'un così strano mistero.
Nella lettera, il segretario d'Agnese, dopo qualdie lamento sulla poca
chiarezza della proposta, passava a deso'ivere, con chiarezza a un di
presso uguale, la tremenda storia di quella persona ( coù diceva); e
qui rendeva ragione de' cinquanta scudi ; poi veniva a parlar del
voto, ma per via di perifrasi, aggiungendo, con parole più dirette e
aperte, il consiglio di mettere il cuore in pace, e di non pensarci più.
Renzo, |>oco mancò cbe non se la prendesse col lettore interprete:
tremava, inorrìdÌ\'a, s'infuriava, di quel che aveva capilo, e di qud
che non aveva potuto capire. Tre o quattro volte si fece rileggere il
terribile scritto, ora parendogli d' intender meglio, ora divenendo^
buio ciò che prima gli era parso chiaro. E in quella febbre di pas-
sioni, volle elle il segretario mettesse subilo mano alla penna, e ri-
spondesse. Dopo r espressioni più forti che si possano immaginare di
pietà e dì terrore per ì casi di Lucia, " scrivete, n pros^uiva det-
tando, « che io il cuore in pace non lo voglio mettere, e non io
metterò mai; e cbe non son pareri da darsi a un Jigliuolo par mio;
e cbe i danari non lì toccherò; che li ripongo, e li tengo in de-
posito, per la dote della giovine; che già la giovine dev'esser mia;
che io non so di promessa ; e die ho ben sempre sentito dire die
la Madonna c'entra per aiutare ■ tribolati, e per ottener delle grazie.
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXVII.
ma per fer dispetto e per mancar di parola, non l' Ito sentito mai; e
che codesto non può stare; e che, cod questi danari, abbiamo a met-
ter su casa qui; e che, se ora sono un po' imbroglialo, l'è una bur-
rasca che passerà presto; » e cose simili.
Agnese ric-c\c |)oi quella lettera , e fece riscri\ere ; e il carteggio
continuò, nella maniera che abbiam detto.
Lucia, quando la madre ebbe |>olulo, non so \ìer qual mezzo,
farle sa|>ere che quel tale era vivo e in salvo e avvertilo, sentì un
gran sollievo, e non desiderava più allro, se non che si dimenticasse
di lei; 0, per dir la cosa proprio a un puntino, che pensasse a di-
menticarla. Dal canto suo, faceva cento volte al giorno una risolu-
zione simile riguardo a lui; e adoprava anche ogni mezzo, per man-
darla ad cRello. Stava assidua al lavoro, cercava d' occuparsi tutta
in quello: quando l' immagine di Renzo le si presentava, e lei a dire
0 a cantare orazioni a niente. Ma queil' immagine , proprio come se
avesse avuto malizia, non veniva per lo più, così alla scoperta; s' in-
troduceva di soppiatto dietro all' altre, in modo che la mente non s'ac-
corgesse d'averla ricevuta, se non dopo qualche tempo che la c'era.
Il pensiero di Lucia stava spesso con la madre: come non ci sareblic
stato? e il Renzo ideale veniva pian piano a mettersi in terzo, come
il reale aveva fatto tante volte. Cosi con tutte le persone, in tutti ì
luf^i, in tutte le memorie del passato, colui si veniva a ficcare. E
se la poverina si lasciava andar qualche volta a fantasticar sul suo
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• 18 I PROUESSI SPOSI.
avvenire, anche li compariva colui, per dire, se non altro: io a buon
conio non ci sarò. Però , se il non pensare a lui era impresa dispe-
rala, a pensarci meno, e meno intensamente cbe il cuore avrebbe
voluto, Lucia ci riusciva fino a un cerio segno: ci sarebbe anche rtu-
scila meglio, se fosse stata sola a volerlo. Ma c'era donna Prassede,
la quale, tutta impegnata dal canto suo a levarle dall'animo colui,
non aveva trovalo miglior espediente che di parlai^liene spesso. «Eb-
bene? " le diceva: « non ci pensiani più a colui? »
" Io non penso a nessuno, » rispondeva Lucia.
Donna Prassede non s'appagava d' una risposta simile; replicava
die ci volevan fatti e non parole; si dilTondeva a parlare sul costume
delle giovani, le qu^i, diceva, «quando hanno nel cuore uno scape-
strato ( ed è li che inclinano sempre ) , non se lo slaccan più. Un
partito onesto, ragionevole, d'un galantuomo, d'un uomo assesbto,
die, per qualche accidente, vada a monte, son subito rassegnale; ma
un rompicollo, è piaga incurabile. » E allora principiava il panegirico
del povero assente, del birbante venuto a Milano, per rubare e scan-
nare; e voleva far confessare a Lucia le bricconate che colui doveva
aver fatte, anche al suo paese.
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CAPITOLO XXVII. >IB
Lucia, con la voce Iremanle di vergOffia, di dobire, e di quello
sdegno che poteva aver luogo nel suo animo dolce e nella sua untile
fortuna, assicurava e atlcslava, ohe, al suo paese, quel poverello
non aveva mai fatto parlar di sé, altro che in bene; avretd)e voluto,
dice^'a, che fosse presente qualcheduno di là, per fargli far teslimo'
nianza. Anche sul!' avventure di Milano, delle quali non era ben in-
formala, Io difendeva, appunto con la cognizione che aveva di lui e
de' suoi portamenti fino dalla fanciullezza. Lo difendeva o si propo-
neva di difenderlo, per puro dovere di carità, per amore del vero,
e, a dir proprio la parola con la quale spiegava a sé stessa il suo
sentimento, come pròssimo. Ma da queste. apol(^ie donna Prasséde
ricavava nuovi argomenti per convincer Lucia, che il suo cuore era
ancora perso dietro a colui. E per verità, in que' momenti, non sa-
prei ben dire come la cosa stesse. !>' indegno ritratto die la vecchia
bceva del poverino, risvegliava, per opposizione, più viva e più di-
stìnta che mai, nella mente' della giovine l' idea clic vi s' era formata
in una cosi lunga consuetudine; le rimembranze compresse a forià, si
svolgevano ih folla; l'avversione e il disprezzo richiamavano tanti an-
tichi motivi di stima; l'odiò cieco e violento faceva sorgèr'pìù forte
la pietà: e con questi affetti, chi sa quanto ci potesse essere o non es-
sere di quell'altro che dietro ad essi s'introduce cosi facilmente negli
animi; figuriamoci cosa farà in quelli, donde si tratti di scacciarlo per
forza. Sia- cwne si sia, il discòrso,' per la parie di Lucia, non sarebbe
mai andato mollo- in lungo; che. le parole linivan presto in pianto.
Se 'donna Prassede fosse stata spinta a trattarla in quella maniera
da qualche odio inveteralo contro di tei, forse quelle lacrime l'a-
vrebbero, tocca e fatta smettere; ma parlando a fin di bene, tiraAU
avanti, senza lasciarsi smovere; come i gemiti, i gridi supplichevoli,
potranno ben trattenere l'arme d'un nemico, ma non il ferro d' un
chirurgo. Fatto però bene il suo dovere per quella volta, dalle stoc-
cale e da' rabbuITi veniva all'esortazioni, ai consigli, conditi anche
di qualdie lode, per temperar così l'agro col dolce, e ottener meglio
l' effetto, operando sull'animo in tutti i versi. Certo, di quelle ba-
ruffe ( che avevan sempre a un di presso lo slesso principio, mezzo
e fine), non rimaneva alla buona Lucia propriamente astio contro l'a-
cerba predicalrice, la quale poi nel resto la traltava con gran dol-
cezza; e anche in questo, si vedeva una buona intenzione. Le rima-
neva bensì un ribollimento, una sollevazione di pensieri e d' affetti
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HIO I PltOUESSI SPOSI
tale , che d voleva molto tempo e molla fatica per tornare a qu^la
qualunque calma di prima.
Buon per lei , che non era la sola a cui donna Prassede avesse a
far del bene; sicctic le baruffe non potevano esser così frequenti.
Oltre il resto della servitù, tutti cervelli die avcvan biseco, più o
meno, d'esser raddirizzati e gutdati;ol(re tutte l'altre oceasiooi di pre-
star lo stesso ullzio, per buon cuore, a molti con cui non era obbligata
a niente: occasioni clie cercava, se non s'offrivan da sé; aveva anche
cinque figlie; nessuna in casa, ma che le davan più da pensare, cite se
ci fossero slate. Tre eran monaclie, due maritate; e donna Prassede
si trovava naturalmente aver tre monasteri e due case a cui soprin-
tendere: impresa vasta e complicata, e tanto più faticosa, che due
mariti, spallcf^iali da padri, da madri, da fratelli, e tre badesse, fian-
cheggiate da altre dignità e da motte monache, non volevano accet-
tare la sua soprintendenza. Era una guerra, anzi cinque guerre, co-
perte, gentili, fino a un certo segno, ma vive e senza tregua: era in
lutti que' luoghi un'attenzione continua a scansare la sua premura,
a chiuder 1' adito a' suoi pareri, a dudere le sue richieste, a far die
fosse al buio, più clic si poteva, d'ogni affare. Non parlo de' con-
trasti, delle difficoltà che incontrava nel maneggio d'altri aflari anclic
più estranei: si sa che agli uomini il bene bisogna, le più volte,
farlo per forza. Do)-e il suo zelo poteva esercitarsi liberamente , era
in casa: li ogni persona era soggetta, in tulio e per tutto, alla sua
autorità, fuorché don Ferrante, col quale le cose andavano in un
modo affatto particolare.
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CAPITOLO XXVII.
Uomo di studio, non gii piaceva né di comandare né d'ubbidii'c.
Cbe, in tutte le cose di casa, In signora moglie fosse la padrona,
alla baon'ora; ma lui servo, no. E se, pregato, le prestava a un'oc-
eorrenra l'ufizio della penna, era percliè ci aveva il suo geoio; dei
rìmanenle, anche in questo sapeva dir di no, quando non fosse per-
suaso di ciò che lei voleva fargli scrivere. « La s' ingegni, » diceva
in que' casi; « faccia da sé, giacché la cosa le par lanlo chiara, n
Donna Prassede, dopo aver tentato per qualche tempo, e inulilmen-
te, di tirarlo dal lasciar fare al fare , s' era ristretta a brontolare
spesso contro di lui, a nominarlo uno schivafatiche, un uomo fìsso
nelle sue idee, un letterato; titolo nel quale, insieme con la slizza,
c'entrava anche un po' di compiacenza.
Don Ferrante passava di grand' ore nel suo studio, dove aveva
una raccolta di libri considerabile, poco meno di trecento volumi;
tutta roba scelta, tutte opere delle più riputate, in varie materie;
in ognuna delle quali era più o meno versato. Nell'astrologia, era
tenuto, e con ragione, per più che un dilettante; perché non ne
possedeva soKanlo quelle nozioni generiche, e quel voeatiolarìo comu-
ne, d'influssi, d'aspetti, di congiunzioni; ma sapeva parliU'e a pro-
posito, e come dalla cattedra, delle dodici case del cielo, de' circoli
massimi, de' gradi lucidi e tenebrosi, d'esaltazione e di deiezione,
di transiti e di rivoluzioni, de' princìpi in somma più certi e più
recondili della scienza. Ed eran forse veni' anni che, in dispule fre-
quenti e lunghe, sosteneva la domiiìcazione del Cardano contro un
altro dotto allaccato ferocemente a quella dell' Aleabizio, per mera
ostinazione, diceva don Ferrante; il <]uale, riconoscendo volentieri
la superiorità degli antichi, non poteva però soffrire quel non voler
dar ragione a' moderni, anche dove I' hanno chiara che la vedrebbe
ognuno. Conoeceva andie , più che mediocremente , la storia della
seieeza; sapeva a un bisogno citare le più celebri predizioni avverale,
e ragionar sottilmente ed eruditamente sopra altre celebri predizioni
andate a vóto, per dimostrar che la colpa non era della scienza, ma
di chi non l' aveva sapula adoprar bene.
Della Mosolla antica aveva imparato quanto poteva bastare, e n' an-
dava di continuo imparando di più,. dalla lettura di Diogene Laer-
zio. Siccome però que' sistemi, per quanto siao iielli, non si può
adottarli tutti; e, a voler esser filosofo, bisogna scegliere un autore,
oasi don Ferrante aveva scelto Aristotile, il quale, come diceva lui,
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Hit I pnouessi sposi.
non è uè antico né moderno; é il filosofo. Aveva àhdie varie opere
de' più savi e sottili segnaci di lui, Ira i moderoì: qodle de* suoi
impi^natori non ave^a mai voluto leggcrìe, per ncHi buttar via' il
Ivmpo, diceva; né comprarle, per non buttar vìa i danari. Per ecce-
zione però, dava luogo nella sua libreria a que'eclebri vcntidtie libri
Dit xuhiililate, e a qualche altr' opera antiperipatelica del Cardano.
in grazia del suo valore in astrologiaj dicendo elic ehi aveva potuto
scrivere il trattato De rextituliotie lemporum et motuùm aelestàim ,
e il libro Duodeeim ifeiuturantm , meritava d' tessere ascoltato, anche
quando spropositava ; e che il gran difello di quel!' uomo era sialo
d' aver troppo ingegno; e clie nessuno si può immaginare dove sa-
rebbe arrixalo , anche in filosofìa , se fosse stato sempre nella strada
retta. Del rimanente, quantunque, nel giudizio de' dotti, don Ferrante
passasse per un peripatetico consumato, non ostante a lui non pareva
di saperne abbastanza; e più d' una volta disse, con gran modestia,
che r essenza, gli universali, l'anima del mondo, e la natura delle
eo§e non eran cose tanto chiare, quanto si potrebbe credere.
Della filosofia naturale s'era fello più un passatempo che nno studio;
l'opere stesse d'Aristotile su ipiesta materia, e quelle di Plinio le aveva
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CAPITOLO XXVII. «SS
piuttosto klte die studiale : non di meno, eon questa lettura, con te
notizie faccolle incìdenlemenle da' Irntlati di fìlosofia generale , con
qualclié scorsa dala alla Magìa naturale del Porla, alle Ire storie ia-
fìidum, animalium, plantarum, dei Cardano, al Trattalo deli' ertie,
delle piante, degli animali, d'Alberto Magno, a qualche altr' opera di
minor conto , sapeva a tempo trattenere una eon\'ersazione ragio-
naodo delle virtù più mirabili e delle curiosità più singolari di molli
semplici ; descrìvendo esattamente le forme e 1' abitudini delie sirene
e dell'unica fenice; spiegando come la salamandra stia nel fuoco senui
bruciare: come la remora, quel pesciolino, abbia la forza e l'abilità
di fermare di punto in bianco, in alto mare, qualunque gran nave;
come le gocciole dulia rugiada diventin perle in seno delle conchi-
glie; come il cameleonte si cibi d'aria; come dal ghiaccio lentamente
induralo, con l'andar de' secoli, si formi il cristallo; e altri de' più
maraviglio» segreti della natura,
In quelli della magia e della stregoneria s'era internato di più,
trattandosi, dice il nostro anonimo, di scienza mollo più in voga e più
necessaria, e nella quale i falli sono di molto maggiore importanza, e
più a ulano, dà poterli verìlieare. Non c'è bisogno di dire che, in un
tale stùdio, non aveva. mai avula'altrd mira' che d' istruirsi e di co-
noscere a fondo le pesshne arti de' maliardi, j)cr potersene guardare,
e difendere. E, con la scorta principàlmeiile det'gràn MartiiK) Deirto
(r uomo della scienza), era in grado di : discorrere ex professo del
maleficio amatorio, del maleficio sonnifero, del maleficio ostile, e del-
rinfìnìte specie che, pur troppo, dice ancora l' anonimo, si vedono
in pratica alla giornata, di questi tre generi capitali di malie, con
elfetli così dolorosi. Ugualiiienic vaste e fondate eraii le cognizioni di
don Ferrante in fallo di storia, specialmente universale: nella quale
i suoi autori erano il Tarcagnota, il Dolce, il Bugalli, il Campana, il
Guazzo, i più ripnlati in somma.
Ma cos'è inai la storia, diceva spesso don Ferrante, senza la po-
litica? Una guida clic cammina, cammina, con nessuno dielro che
impari la strada, e per conseguenza butta via i suoi passi; come la
politica sènza la storia è uno che cammina senza guida. C'era dùn-
que ne' suoi scadali un palchetto assegnato agli statisti; dove, tra
mòlli di piccola mole, e di fama secondaria, spiccavano il Bodiiio ,
il Cavalcanti, il Sansovino, il Paruta, il Boccalini. Due però erano
i libri clic don Ferrante anteponeva a lutti, e di gran lunga, in
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SC4 1 PROMESSI SPOSI-
quf^sla materia; due die, iìno a un certo Ifiinpo, fu soliU) di chiamare
i primi , senza mai potersi risolvere a qua! de' due convenisse unt-
eamente quel grado: l'uno, il Principe e i Discorai dei celebre se-
gretario fiorentino; mariolo si, diceva don Ferrante, ma profondo:
l'altro, la Ragion di Stato del non men celebre GiovaiiDÌ Boterò;
galantuomo sì, diceva pure, ma acuto. Ma, poco prima de) tonpo
net quale è circoscritta la nostra storia, era venuto fuori il libro che
lerminò la (|uestioDe del primato, passando avanti ancbe all' teiere di
que' due matadori, diceva don Ferrante; il libro in cui si trovm
racchiuse e come stillate tutte le malisie, per poterle conoscere, e
tutte le virtù, per poterle praticare; quel libro piccino, ma tt^o
d' oro; in una parola, lo Statista Regnante di dota Vulerìano Casti-
glione, di quell'uomo celeberrimo, di cui si può dire, cbe i più
gran letterali lo esaliavano a gara, e i più gran personaggi facevano
a rubarselo; di quell' uomo, che il papa Urbano Vili onor6, «une è
noto, di magnifiche lodi ; che il cardinal Bcn-ghcsc e il viceré di Na-
poli, don Pieti'O di Toledo, sollecitarono a descrivere, il primo i fatti
di papa Paolo V, l'altro le guerre del re cattolico in Italia, 1' u&o e
l'allro invano; dì quell'uomo, che Luigi Xlll, re di Francia, per sug-
gerimento del cardinal di Richelieu, nomiiWi suo istoriogralo ; a cui
il duca Carlo Emanuele di Savoia confei'ì la slessa carica ; in lode dì
citi, per tralasciare altre gloriose testimonianze, la duchessa CrislÌDa,
figlia del cristianissimo re Elnrico IV, potè in un diploma, eoo molti
altri titoli , annoverare « la certezza della fiima eh' egli ottiene in
Dalia, di primo scrillorc de' nostri (empi. »
J|
„GoogIe
.CAPITOLO XXVIL Mll
Ma se, in tnlte le ^enze suddette, don 'Ferrante poteva dirsi ad-
dottrina, una ce n' era in cui meritava e godeva il titolo di pro-
fessore: la seieoza cavalleresca. Non solo ne ragionava con vero pos-
sesso , ma pregato frequentemente d' intervenire in a^ri d" onore,
dava sempre qualche decisione. Aveva nella sua libreria, e si può
dire in testa, le opere degli scrittori più riputati in tal materia: Pa-
ride d^ Pozzo,' Fausto da Longiano, 1' Urrea, il Muzio, il Romei, l'Al-
bergato, il Forno primo e il Forno secondo di Torquato Tasso, di
cui aveva aocbe in pronto, e a un bis^^no sapevi cilare a memoria
lutti i pas» ddla Gerusalemme Liberata, come della Conquistata,
die possono far testo in materia di cavalleria. L'autore però :degli
autori, nel suo concetto, era il nostro cdebte Francesco Birago, con
cui si trovò anche, piùd'.una volta, a dar giudizio- sopra casi d'o-
nore; e il quale, dal canto suo, parlava di do» Ferrante in termini
di stima particolare. E fin da quando venner fuori i Discorai Caval-
lereschi di quell'insigne scritlore, don Ferrante pronosticò, senza esi-
tazione, che quest' opera avrebbe rovinata l' autorità ddl' Olcvano, e
sarebbe rlmasln, insieme con l'altre sue nobili sorelle, come codice
di primaria autorità presso ai posteri: profezia, dice l'anonimo, che
ognun può vedere come s\ sia avverata.
Da questo passa poi alle lettere amene; ma noi cominciamo a du-
Intare se veramente il lettore abbia una gran voglia d' andar avanti
con lui' in questa rassegna, anzi a temere di non aver già buscato il
titolo di copiatM* servile per noi, e qneHo di seccatore da dividersi
con l'anonimo sullodato, per averlo bonariamente seguito fin qui, in
cosa estranea al racconto principale, e nella quale probabilmente
non s'è tanto disleso, che per isfoggiar dottrina, e far vedere che non
era indietro del suo secolo. Però, lasciando scrìtto quel che è scritto,
per non perder la nostra fatica, omelteremo il rimanenle, per rimet-
terci in istrada: tanto più che ne abbiamo un bel pezzo da i>ercor-
rere, senza incontrare alcun de' nostri personaggi, e uno ]iiii lungo
ancora, prima di bwvar quelli ai latti de' quali cerlamentc il lettore
s' interessa di più , se a qualche cosa s' interessa in tutto questo.
Fino all'autunno del seguente anno 16S9, rimasero tutti, chi per
volontà, chi per forza, nello stalo a un di presso in cui gli abbìam
lasciati, senza che ad alcuno accadesse, né che alcun altro potesse fiir .
cosa degna d'esser riferita. Venne l'autunno, in cui Agnese e Lucìa
avevan latto conio di ritrovarsi insieme: ma un grande avvenimento
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Bla I PRouessi SPOSI.
pubblico ntandò quel conto all' aria: e fa questo cerUmenle uno de'
suoi più piccoli effetti. Segutron pòi altri grandi avvenimenti , che
però non portarono nessun cambiamento notabile nella sorte dv' no-
stri personaggi. Finalmente nuovi casi , più generali , più forti , più
estremi, airivarono unehe Uno a loro, fino agli infimi di loro, se-
condo la scala del mondo: come- uii turbine vasto, incalzante, vaga-
bondo, scoscendendo e sbarbando alberi, arruffando tetti, scoprendo
campanili, abbattendo muraglie, e sbattendone qua e là i rollami, sol-
leva anche i fuscelli nascosti tra l'erba, va a cercare negli angoli le
. foglie passe e leggieri, che un minor vento vi aveva confinate, e le
jiorla in giro involle nella sua rapina.
Ora, perché i futti privati che ci rimangon da raccontare, riescan
chiari , dobbiamo assolutamente premettere un racconto alla meglio
di quei pubblici, prendendola ancbe un po' da lontano.
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CAPITOLO XXVfU.
1^0 ipxd]à sedinone dd giorno' dì mn Mar-
lino e óèr seguènte ..parve che l'abr
bondanza fosse (ornata in Milano, co^
me per miracolo-Pane in qbaritilà da
tutti i fornai ; il prezzo, eome ndl' an>
nate migliori; le farine a proporzione.
' Colóro die, in que' due giorni , s' é>-
' raoo addati a urlare o a far anche
1 ' qualcosa di più, avevano ora (meno
I alcuni pochi stati presi) di che lodarsi :
\ e non crediate che se ne stessero, ap-
pena cessato quel primo spavento delle catture. Sulle piazze, sulle
Cantonate, nelle bettole, era un tripudio palese, un congratularsi e
-un vantarsi tra' denli d'aver trovata la maniera di far rìnviliare il
pane. In mezzo ■ però alla festa e alla baldanza, e' era ( e come non
ci sarebbe stala?) un' inquietudine, un presentiraenlo che 1» .«osa
non ave^e a durare. ' Assediavano i fornai e i farinaioli, come già
avevan fallo in queir altra fattizia e passeggiera abbondanza prodotta
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US 1 pRouessi SPOSI.
dalla prima larìfla d' Antonio Ferrer ; tulli oonsiimavuto senza ri-
sparmio; chi aveva qualche quattrino da parte, l'invesliv» in pane e
in farine; faeevan magazzino ddie casse, delle botticine, delle cal-
daie. Cosi, facendo a gara a goder del buon mercato presente, ne
rendevano, non dico impossibile la lunga durata, che già lo era per
sé, ma sempre più diflicile anche la continuazione momentanea. Ed
ecco che, il ts di novembre, Antonio Ferrer, De orden de Su Ex-
cefencùi , puM>ticù una grida, con la quale, a diìunque avesse gra-
naglie 0 rìu*ine in casa, veniva proibito di comprarne né punto né
poco, e ad ognuno di comprar pane, per più che il bisi^no di due
giorni, tottù pene pecuniarie e corporali, attarbitrio di Sua Eceet-
ienza; intimazione a chi toccava per uRzio, e a ogni persona, di de*
nmiziare i tra^;ressori; ordine a' giudici, di far ricerche nelle case
elle potessero venir lor^ indicate; insieme però, nuovo comando a'
fornai dì tener le botteghe ben fomite di ]>ane, tatto pena, in ca»o
di mancamento, di cinque anni di galera , et maggiore , ali" arbitrio
di S. E. Chi sa immaginarsi una grida lale eseguita, deve avere una
bella immaginazione; e certo, se tutte quelle che si pubblicavano in
quel tempo erano eseguite, il ducalo di Milano doveva avere almeno
lanla gente in mare, quanla ne possa avere ora la gran Bretagna.
Sia com' esser si vof^ìa, ordinando ai fomui di far tanto pane, bi-
■sogna^iif > oaebe fané in modo che la materia del pane non mancasse
loco.' S' ei^ immaginalo ( come sempre in tempo di carestia rinasce
uno studio di ridurre in pane de' prodotti che d'ordinario si consu*
mano soli' altra forma), s'era, dico, immaginalo di far entrare il riso
nel comp<»lo del pane detto di mistura. Il SS di novembre, grida
che sequestra , agli ordini del vicario e de' dodici di provvisione, la
metà del riso vcslilu (risone lo dicevano qui, e lo dioon tuttora) die
t^uno possegga; pena a cliiunque ne disponga senza il permesso
di que' signori, la perdila della derrata, e una multa di tre scudi
per mc^o. E, come ognun vede, la più onesta.
Ma questo riso bisognava pagarìo , e un prezzo troppo spropor-
zionalo da quello del pane. H carico di supplire all'enorme dilTerenza
era stalo imposto alla città; ma il Consiglio de' decurioni, che l'a*
veva assunto per essa, deliberò, lo stesso giorno 9S di novembre, di
rappresentare al governatore l' impossibilità di sostenerlo più a lungo.
B il governatore , con gridai del 7 di dicembre , fissò il prezzo del
riso suddetto a lire dodici il mo{^io:a chi ne chiedesse dì più, come
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CAPITOLO XXVHI. HI»
a chi ricusasse di vendere , intimò la perdita della dorala e una
multa d'altrettanto valore, et maggior pena pecuniaria ef ancora cor-
porale $ÌHO alla galera, all'arbitrio di S. E., lecondo la qualità de'
coti et delle perirne.
Al riso brillato era già stalo fissato il prezzo prima della sommos-
sa; come probabilmente la tariffa o, per usare quella denominazione
celeberrima negli annali moderni, 'il nummum del grano e dell'altre
gnnaglie più ordinarie sarà stato /issato con altre gride, che non c'c
avvenuto di vedere.
Mantenuto cosi il pane e la farina a buon mercato in Milano ,
ne veniva di conseguenza che dalla campagna accorresse gente a
processone a comprarne. Don Gonzalo, per riparare a questo, co-
me dice lui, inconveniente, proibì , con un' altra grida del lit di di-
cembre, di portar fuori della città pane , per più del valore di venti
soldi; pena la penlìta del pane medesimo, e venticinque scudi, et in
tato dà inhabilità, di due tratti di corda in publicOj et maggior pena
ancora, secondo il solito, all'arbitrio di S. E. Il SS dello stesso
mese ( e non si vede perchè cosi lardi ), pubblicò un ordine somi-
gliante per le farine e per i grani.
La moltitudine aveva voluto far nascere l'abbCHidanza col saccheggio
e con r incendio ; il governo voleva mantenerla con la galera e con
la corda. I mezu erano convenienti tra toro; ma cosa avessero a fare
col (ine, ti lettore Io vede: come valessero in fatto ad ottenerlo, lo
vedrà a momenti. E poi facile anche vedere , e non inutile l' osser-
vare eonie tra qucf^i strani provvedimenti ci sia però una connes-
sione necessaria: ognuno era una conseguenza inevitabile dell' ante-
cedente, e lutti del primo, clic fìssava ai pane un prezzo così lontano
dal prezzo reale , da quello cioè che sarebbe risultalo naturalmente
dalla proporzione tra il bisogno e la quantità. Alla moltitudine un
tale espediente è sempre parso, e ha sempre dovuto parere, quanto
conforme all'equità, altretlanto semplice e agevole a mettersi in ese-
euzione: è quindi cosa naturale che, nell'angustie e ne' patimenti
della carestia, essa lo desideri, l'implori e, se può, l'imponga. DI
mano in mano poi che le conseguenze si fanno sentire , conviene
che coloro a cui tocca, vadano al riparo di ciascheduna, con una
le^e la quale proibisca agli uomini di far quello a che eran pw-
tali dall' antecedente. Ci si pennella d' osservar qui di passaggio -
una combinazione singolare. Li un paese e in un' epoca vidna ,
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itili I pai)tiP3si SPOSI
lidi' epoca la più clamorosa e la più notabile della storia DHideriia , si
ricorse, in circostanze simili, a simili espedienti ( i medesimi, si po-
trebbe quasi dire, nella sostanza, con la sola diR'erenza di propor-
zione, e a mi di presso nel medesimo ordine) ad onta de' tempi
lauto cambiali, e delle cognizioni cresciiile in Europa, e in quel
paese forse più che altrove ; e ciò principalmente perchè la gran
massa popolare , alla quale quelle cognizioni non erano arrivate ,
|>otè far prevalere a lungo il suo giudizio, e forzare, come colà si
dice, la mano a quelli che Tacevan lu legge.
Cosi, tornando a noi , due erano siati, alla Un de' conti, i frulli
principali della sommossa: guasto e |>erdi(a effettiva di viveri, nella
sommossa medesima; consumo, liii che durò la tariffa, largo, spen-
sierato, senza misura, a spese di quel poco grano, die pur doveva
bastare lino alla nuova raccolla. A questi effetti generali s' aggiunga
<|uatlro disgraziati, impiccali come capi del tumulto: due davanti al
forno delle grucce, due in cima della strada dov'era la casa del vi-
cario (li provvisione.
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CAPITOLO XXVIII. USI
Del resto, le relazioni slorìclie di que' temili soii falle eosi a ca»i,
che non rì si trova neppur la notizia del eome e del quando cessasse
quella larìfla violenta. Se, in mancanza di notizie positive, é lecito
propor eongctiure, noi ìndiniamo a credere che sia stata abolita poco
prima o poco dopo il <4 di dicembre, che fu il giorno di quell'ese-
cuzione. E in quanto alle gride, dopo l'ultima che abbiam citata del
9S dello slesso mese, non ne troviamo altre in materia di grasce;
«an esse perite, o siano sfuggile alle nostre ricerche, o sia lìnahiientc
che il governo, disanimato, se non ammaestrato dall'ineflicacia di quc'
suoi rimedi, e soprafTutlo dalle cose, le abbia alibandoiiate al loro
corso. Troviamo bensì nelle relazioni di più d'uno storico (inclinati .
com'erano, più a descriver grand'avveniinenti, cl;e a notarne le ca-
gioni e il progresso) il ritrailo del paese, e della città prindpalmenle,
nell'inverno avanzalo e nella primavera, quando la cagìon del male,
la sproporzione cioè Ira i viveri e il bisogno, non distrutta, an» accre-
sciuta da' rimedi che ne sospesero temporariamenle gli efletti , e nep-
pure da un'introduzione sufficiente di granaglie estere, alla quale osta-
vano r insuffiGienza de' mezzi pubblici e privati, la penuria de' paesi
circonvicini, la scarsezza, la lentezza e i vincoli del commercio, e le
leggi slesse tendenti a produrre e manlenere il prezzo basso, quando,
dico, la cagion vera della carestia, o per dir meglio, la carestia stessa
operava senza ritegno, e con tuHa la sua forza. Ed ecco la copia di
quel ritratto doloroso.
A ogni passo, bolleghe chiuse; le Eabbrìcbe in gran palle deserte;
le strade, un indicibile spettacolo, un corso incessante di miserie, un
soggiorno perpetuo di patimenti. Gli accattoni di mestiere, diventali
ora il minor numero, confusi e perduti in una nuova mtdtitudine,
ridoni a litigar l'elemosina con quelli talvolta da cui in altri giorni
l'avevan ricevuta. Garzoni e giovani licenziati da padroni di bottega,
die, scemalo o mancalo affatto il guadagno giornaliero, vivevano slen-
lalamente degli avanzi e del capitale ; de' padroni stessi , per cui il
cessar delle faccende era stato fallimento e rovina; operai, e anche '
maestri d'ogni manifaltura e d'ogn'arte, delle più comuni come delle
più raffinale, delle più necessarie come di quelle di lusso, vaganti di
porta in porta, di strada in istrada, appoggiali alle caolonate, ac-
covacciati sulle lastre, lungo le case e le chiese , chiedendo pietosa-.
mente l'elemosina, o esitanti tra il bisogno e una vergeva noii ancor
domata, smunti, spossati, rabbrividiti dal freddo e dalla fame ne' paoni
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SSt I PROUESSI SPOSI
logori e scarsi, ma che in molti serbavano ancora i segni d' un'antica
agiatezza ; come nelt' inerzia e neU'avvilìniento, compariva non so qnale
indizio d'abitudini operose e Trancbe. Mescolati Ira la deplorabile tur-
ba, e non piccola parte di essa, servitori licenziati da padroni caduti
allora dalla mediocrità nella strettezza , o cbe quantunque Tacolto-
sissimi sì trovavano inabili, in una tale annata, a mantenere quella so-
lita pompa di seguilo. E a ludi questi divelli indigenti s'a^^iunga un
numero d'altri, avvezzi in parte a vivere del guadagno di esa: bam-
bini, donne, vecchi, aggruppati co' loro antichi sostenitori, o dispersi
in altre parti all'accatto.
C eran pure , e si distinguevano ai ciuflì «rrufTati , ai cenci sfar-
zosi, o anche a un certo non so che nel portamento e nel gesto, a
quel marchio cbe le consuetudini stampano su' visi , tanto più rile-
valo e chiaro, quanto più sono strane, molti di quella genia de' bravi
che, i^rdulo, per la condizion comune, quel loro pane scellerato, ne
andavan chiedendo per carità. Domati dalla fame, non gareggiando con
gli altri che di preghiere, spauriti, incantati, si strascicavan per le
strade die avevano per (anio tempo passe^iale a lesta alfa , con
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CAPITOLO XXVm. SII
isguardo sospettoso e feroce , vestiti di livree ricche e bizzarre, oon
gran penne, guarniti di ricche armi, attillati, profumati; e paravano
umilmente la mano, che tante volte avevano alzata ioscrienle a mioac'
ciare, o traditrice a ferire.
Ma forse ir più brullo e insieme il più compassionevole spettacolo
èrano i conladini, scompagnali, a coppie, a famiglie intere; mariti,
m(^i, con bambini in collo, o attaccati dietro le spalle, con ragazzi
per la mano , con vecchi dietro. Alctmi che, invase e spogliate le loro
case dalla soldatesca, alloggiata lì o di passaggio, n'eran fuggiti dispe-
ratamente; e tra questi ce n'era di quelli che, per for più compassione,
e come per distinzione di miseria, facevan vedere i lividi e le margini
de' colpì ricevuti nel difendere quelle loro podie ultime provvisioni, o
scappando da una sfrenatezza cieca e brutale. Altri, andati esenti da
quel flagello particolare, ma spinti da que'duc da cui nessun angolo
era stalo immune, la sterilità e [e gravezze, più esorbitanti che mai
per soddisfare a ciò che si chiamava i bisogni della guerra, eran ve-,
nuti, venivano alla città, come a sede antica e ad ultimo asilo di rie-
diexza e dì pia munilìeenza. Si potevan distinguere gli arrivati di fre-
Digitizf^riiiyGoOgle
KX4 I PR0UE38I SPOSI
SCO, più ancora che all'andare ìnoerlo e all'aria nuova, a un fare ma-
ravigliato e indispettilo di trovare una tal piena , una tale rivalità di
miseria, al termine dove avevan creduto di comparire oggetti singo-
lari di compassione, e d'attirare a sé gli sguardi e i soccorsi. Gli altri
che da più o men tempo giravano e abitavano le strade della città ,
tenendosi ritti co' sussidi ottenuti o toccati come in sorte, in una
tanta sproporzione tra i mezzi e il bisogno, avevan dipinta ne' volli e
negli atti una più cupa e stanca costernazione. Vestiti diversamenle,
quelli che ancora si potevano dir vestiti; e diversi anche nell'aspcllo:
facce dilavate del basso paese, abbronzate del pian di mezzo e delle
colline, sanguigne di montanari ; ma tutte alBIate e stravolte, tutte con
ocelli incavali, con isguardi (Issi, tra il torvo e l'insensato; arruffati i
capelli, lunghe e irsute le barbe: corpi cresciuti e indurati alla fatica,
esausti ora dal disagio; raggrinzala la |>elle sulle braccia aduste e su-
gli stinchi e sui petti scarnili, che si vedevan di mezzo ai cenci scom-
posti. B diversamente, ma non meno doloroso di questo aspetto di vi-
gore abbattuto, l'aspetto d' una natura più presto vinta, d'un lan-
guore e d'uno sfinimento più abbandonato, nel sesso e nell'età più
deboli.
Qua e là per le strade, rasente ai muri delle case, qualdie po' di
paglia pesta, trita e mista d' immondo ciarpunie. E una tal porctierìa
era però un dono e uno studio della carità ; eran covili apprestali
a qu^cheduno di que' meschini , per posarci il capo la notte. Ogai
tutto, ci si vedeva, anche di giorno, giacere o sdraiarsi taluno a cui
la stanchezza o il digiuno aveva levate le forze e tronche le gambe :
qualche volta quel tristo tetto portava un cadavere : qualche volta si
vedeva uno cader come un cencio all' improvviso , e rimaner cada-
vere sul selciato.
Accanto a qualcbeduno di que' covili, si vedeva pure chinato qual-
che passeggiero o vicino , attirato da una compassion subitanea. In
qualche luogo appariva un soccorso ordinato con più lontana previ-
denza, mosso da una mano ricca di mezzi, e avvezza a beneficare in
grande; ed era la mano del buon Federigo. Aveva scelto sei preline'
quali una carila viva e perseverante fosse accompagnata e servita da
una complessione robusta; gli aveva divisi in coppie, e ad ognuna
assegnata una terza parte della città da percorrere, con dielro tac-
chini carichi di vari cibi, d'altri più sottili e più prouU ristorativi, e
di vesti. Ogni mattina, le tre coppie si mettevano in istrada da diverse
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CAPITOLO XXVIll. BSB
parli , b' avvicinavano a quelli che vedevano abbandonali per terra ,
e davano a ciasclieduno aiuto secondo il bisogno. Taluno già agoniz-
zante e non più in caao di ricevere alimento , riceveva gli ultimi
soccorsi e le consolazioni della religione. Agli aframali dispensavano
minestra, ova, pane, vino; ad altri, estenuati da più antico digiuno,
porgevano consumali, stillali, vino più generoso, riavendoli prima, se
faceva di bisogno, con coae spiritose. Insieme, distribuivano vesti alle
nudila più sconce e più dolorose.
Né qui (iniva la loro assistenza: il buon pastore aveva voluto cbe,
almeno dov'essa poteva arrivare, recasse un sollievo clilìcace e non
monientarieo. Ai po^'c^ini. a cui quel primo ristoro avesse rese forze
bastanti per reggersi e per camminare, davano un po' di danaro,
allineile il bìsc^no rinascente e la mancanza d' altro soccorso non li
rrmetlessc ben presto nello slato di prima; agli altri cercavano ri-
covero e mantenimento , in qualcbc casa delle più vicine. In quelle
de' bcncslanli, erano per lo più ricevuti per carità, e come racco-
mandali dal cardinale; in altre, dove alla buona volontà mancassero
i mezzi , ehiedevan que' preti che il poverino fosse ricevuto a doz-
zina, lìssa\'ano il prezzo, e ne sborsavan subito una |>arlc a conto.
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ase I PROKESSl SPOSI
Davano poi, di qaesti ricoverati, la nota ai parrochi, acciocché -Ji vi*
sitassero; e tornavano essi medesimi a visitarli.
Non c'è bisogno di dire che Federigo non ristringeva le sue cure a
questa estremità di patimenti, né l'aveva aspettala per commoversi.
Quella carità ardente e versatile doveva tutto sentire, in tutto ado-
prarsi, accorrere dove non aveva potuto prevenire, prender, per dir
così, tante forme, in quante variava il bisogno. Infatti, radunando tutti
i SUO) mezzi, rendendo più rigoroso il rÌsi>armÌo, mettendo mano a
risparmi destinati ad altre liberalità, divenute ora d' un' importanza
troppo secondaria, aveva cercato ogni maniera di far danari, per im-
pigrii tutti in soccorso degli afTamati. Aveva fatte gran compre di
granaglie , e speditane una buona parte ai luoghi della diocesi , che
n'cran più scarsi; ed essendo il soccorso troppo inferiore al bisogno,
mandò anclie del sale, u con cui, » dice, raccontando la cosa, il Ri-
pamonti ' , " l'erbe del prato e le cortecce degli alberi si convertono
in cibo, n Granaglie pure e danari aveva dislribuili at parroclti della
città ; lui stesso la visitava , quartiere per quaHiere , dispensando
elemosine; soccorreva in segreto molte famìglie povere; nel palazzo
arcivescovile , come attesta uno scrittore contemporaneo , il medico
Alessandro Tadino, in un mo Ragguaglio che avremo spesso occasion
di citare andando avanti, si distribuivano ogni mattina due mila sco-
delle di minestra di riso '.
Ma questi ctTetti di carità, che possiamo certamente chiamar gran-
diosi , quando si consideri che venivano da un sol uomo e dai soli
suoi mezzi (giacché Federigo ricusava, per sistema, di farsi dispen-
satore delle liberalità altrui), questi, insieme con le liberalità d'altre
mani private, se non cosi feconde, pur numerose; insieme con le
sovvennoni che il Consiglio de' decurioni aveva dea*etale , dando al
tribunal di provvisione l'incombenza di distribuirle; erano ancor poca
cosa in paragone del bist^no. Mentre ad alcuni montanari vidnì a
morir di fame, veniva, per la carità del cardinale, prolungata la vita,
altri arrivavano a quell'estremo; i primi, linilo quel misurato soecmso,
ci ricadevano; in altre parti, non dimenticate, ma posposte, come meno
angustiate, da una carità costretta a scegliere, l'angustie divenivan
1 HIalorlae Fatriie, Decailia V, L[b. VI-, pag. S8«.
■ KagguBgllo deirorigiae et giornali successi della gran pesle conlngiosa, veneOci
et malenca, acgullo nella clltà di Hilano etc. Uilano leie, pag. io.
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' CAPITOLO XXVIIt. S3T
morlalì; per tulio si periva, da ogni parte s' accorreva alla città. Qui,
due migliaia, mellianio, d'aflamali più robusti ed esperti a superar la
concorrenza e a farsi lai^o, avevano acquistala una minestra, tanto
da non morire in quel giorno; ma più altre migliaia rimanevano in-
dietro, invidiando quei, diremo noi, più fortunati, quando, Ira i ri-
masti indietro, c'erano spesso le mogli, i figli, i padri loro? E mentre
. in alcune parti ^ella città, alcuni di quei più abbandonati e ridotti
all'estremo venivan levati di terra, rianimali ricoverati e prov\'eduti
per qualche tempo; in cent' altre parti, altri cadevano, languivano
0 anche spiravano, senza aiuto, senza refrigerio.
Tutto il giorno, si sentiva per le slrade un ronzio confuso di voci
supplichevoli; la notte, un susurro di gemiti, rollo di quando in
quando da alti lambiti scoppiati all'improvviso, da uri), da aeceoti
profondi d' invocazione, che terminavano in istrida acute.
É cosa notabile che, in un tanto eccesso di slenti, in una tanta
varietà dì querele, non si vedesse nuù un tentativo, non iscappasse
mai un grido di sommossa : almeno non se ne trova il minimo cen-
no. Eppure, tra cot(Hv> che vivevano e morivano in quella maniera,
e' era un buon numero d'uomini educati a tutt' altro che a tollerare;
e' erano a centinaia , di que' medesimi die, il giorno di san Martino,
s'erano tanto falli sentire. Né si può pensare che l'esempio de' quat-
tro disgraziati che n' avevan portata la pena per (ulti, fosse quello
che ora li tenesse lutti a freno.- qual forza poteva avere, non la pre-
senza , ma la memoria de' supplizi sugli animi d' una moltitudine
vagabonda e riunita, che si vedeva come condannata a un lento sup-
plizio, che già Io pativa? Ma noi uomini siam in generale falli così:
Gj rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo
in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnali ma stupidì,
il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile.
Il vólo che la morlalilà faceva ogni giorno in quella deplorabile
moltitudine, veniva ogni giorno più che riempito: era un concorso
continuo, prima da' paesi circonvicini, poi da tutto il contado, poi
dalle città dello stato, alla (ine anche da altre. E intanto, anche da
questa partivano ogni giorno antìctiì abitatori ; alcuni per sottrarsi
alta vista di tante piaglie; altri, vedendosi, per dir cosi, preso il
posto da' nuovi concorrenti d' accatto , uscivano a un' ultima dispe-
rata prova di chieder soccorso altrove , do^'e si fosse , dove almeno
non fosse cosi fitta e così incalzante la folla e la rivalità del chiedere.
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asB I PIIOUESSI SPOSI
S' incontravano nel)' opposto viaggio questi e que' pellegrini , speU
lacolo di ribrezzo gli uni agli altri, e s^io doloroso, augurio sinistro
dei termine a cui gli uni e gli altri erano incaminìnali. Ma seguita-
vano ognuno la sua strada, se non più per la speranza dì mutar
sorte, almeno per non tornare sotto un cielo divenuto odioso, per
non rivedere i luoghi dove avevan disperalo. Se non che taluno,
mancandt^li aflallo le forze, cadeva per la strada, e rimaneva li
morto: spettacolo ancor più funesto ai suoi compagni di miseria, <^'
getto d'orrore, forse di rimprovero ì^i ìdlri passeggieri. « Vidi io, "
scrive il Ripamonti , e nella strada che gira le mura , il cadavere
d'una donna. ... Le usciva di bocca dell'erba mezza rosicchiata, e
le labbra facevano ancora quasi un atto di sforzo rabbioso. . . . Aveva
un fagottino in i^palla, e attaccalo con le fasce al petlo un bambino,
che piangendo chiedeva la poppa .... Ed erano sopraggiunte persone
compassionevoli, le quali, raccolto il mescliinello di terra, lo porla-
van via, adempiendo cosi intanto il primo ufìzto materno, y
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G&PItOLO XXVIII. »•
Quel eontrapposlo di gale e di ceneì , di superfluilà e di miseria,
^lUc(4o ordinario de" tempi ordinari, era allora affollo cessalo. I
eeoci e la miseria eran quasi per tutto; e ciò che se ne distingueva,
era appena un'apparenza di parca mediocrità. Si vedevano i nobili
camminare in abito semplice e dimesso, o anche logoro e gretto;
alcuni, pcrdiè le cagioni comuni della miseria avevan mutala a quel
segno anche la loro fortuna, o dato il tracollo a patrimoni giù scon-
certati: gii altri , o che temessero di provocare col fasto la pubblica
disperazione, o che si vergognassero d' insultare alla pubUica cala-
milii. Qne' prepotenti odiali e riattati, soliti a andare in giro con
uno strascico dì bravi , andavano ora quasi soli , a capo basso ,
COR visi che parevano offrire e chieder pace. Altri che, anche nella
prosperità, erano slati di pensieri più umani, e di portamenti più
modesti , parevano anch' essi confusi , costernali , e come sopraf-
fatti dalla vista continua d' una miseria che sorpassava , non solo la
possibilità del soccorso , ma direi quasi , le forze della compassione.
Chi aveva il modo di far qualche elemosina, doveva però fare una
(rista sedia tra fame e fome, Ira urgenze e urgenze. E appena si
vedeva una mano pietosa avvicinarsi alla mano d'un infelice, na-
sceva all'intorno una gara d'altri infelici; coloro a cui rimaneva più
'vigore, si facevano avanti a chieder con più blanza; gli estenuali , i
vecchi, i fanciulli, iJzavano le mani scarne; le madri alzavano e faee-
van veder da lontano i bambini piangenti, mal rinvoltati nelle fasee
cenciose, e ripiegati per languore nelle loro mani.
Cosi passò l' inverno e la primavera: e già da qualche tempo il
tribunale della sanità andava rappresentando a quello della prov-
visione il pericolo del contagio, che sovrastava alla città, per tanta
miseria ammonlata in ogni parte di essa; e proponeva che gli accat-
toni venissero raccolti in diversi ospizi. Mentre si discute questa
proposta, mentre s' approva, mentre si pensa ai mezzi, ai modi, ai
luoghi , per mandarla ad effetto , i cadaveri crescono nelle strade
ogni giorno più; a proporzion di questo, cresce tutto l'altro ammasso
di miserie. Nel tribunale dì provvisione vien proposto, come più^Iiacile
e più spediUvo, un altro ripiego, di radunar tutti gli accattoni, sani
e infermi, in un sol luogo, nel lazz»%llo,- dove fosser mantenuti e
curali a spese del pubblico; e cosi vien risoluto, contro il parere
della Sanità, la quale opponeva dK, in una cosi gran riunione, sa-
rebbe cresciuto il perìcolo a cui sì voleva metter riparo.
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DIO I PR0UE83I SPOSI
Il lazzerello di Milano (se, per caso, questa storia capitasse nelle
mani di qiialcheduno che non lo conoscesse , né di vista né per de-
scrizione) è un recinto quadrilatero e quasi quadrato, fuori della
città, a sinistra della porta detta orientale, distante dalle mura lo
spa»o della fossa , d' una strada dì circonvallazione , e d' una gora
che gira il recinto medesimo. I due lati maggiori son lungiri a un di
presso cinquecento passi; gli altri due, forse quindici meno; tutti,
dalla parte estema, son divisi in piccole stanze d' un piano solo; di
dentro gira intorno a tre di essi un portico conlimio a vMa , so-
stenuto da piccole e magre colonne.
I^c slanzine eran dugent'oltanlotlo, o giù di li: a' nostri gioniì,
una grande apertura fatta nel mezzo, e una piccola, in un canto
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CAPITOLO xxvni. mi
della facciala del lalo die costeggia la strada maestra , ne hanno per-
iate via non so quante. Al tempo della nostra storia, non e' eran che
due entrature; una nel mezzo del lato che guarda le mura della
città, l'altra di rimpetto, nell'opposto. Nel centro dello spazio inter-
no, c'era, e c'è tutt'ora, una piccola chiesa ottangolare.
La prima destinazione di tutto l'edifìzìo, cominciato nell'anno 1489,
co' danari d'un lascito privato, continuato poi con quelli del pub-
blico e d' altri testatori e donatori, fu, come 1' accenna il nome slesso,
di ricoverarvi, all'occorrenza, gli ammalali di peste j la quale,' già
molto prima di queir epoca, era solita, e lo fu per mollo tempo
dopo, a comparire quelle due, quattro, sei, olio volte per secolo,
ora in questo, ora in quel paese d'Europa, prendendone talvolta una
gran parte, o anche scorrendtda tutta, per il lungo e per il largo.
Nel momento di cui parliamo, il lazzeretto non serviva che per de-
pòsito delle mercanzie soggette a contumacia.
Ora , per metterlo in libertà , non si slette al rigor delle leggi sa-
nìtarìe , e fatte in fretta in fretta le purghe e gli esperimenti pre-
scritti, si rìlasciaron tutte le mercanzie a un tratto. Si fece stender
della paglia in tutte le stanze, si fecero provvisioni di viveri, della
qualità e nella quantilà che si potè; e s' invilarono , con pubblico
edillo , tutti gli accattoni a ricoverarsi li.
Molli vi concorsero volontariamente; tulli quelli die giacevano in-
fermi per le strade e per le piazze, ci vennero trasportali ; in pochi
giorni, ce ne fu, tra gli uni e gli altri, più di tre mila. Ma molti più
furon quelli che restaron fuori. O che ognun di loro aspettasse di
veder gli altri andarsene, e di rimanere in pochi a goder l'elemo-
sine della città, o fosse quella naturai ripugnanza alla dausura, o
quella diffidenza de' poveri per tutto ciò che vien loro propósto da
chi possiede le ricchezze e il potere (diffidenza sempre proporzionata
air ignoranza comune di dii la sente e di dii l' ispira, al numero de'
poveri, e al poco giudìzio delle lef^i), o il saper di fallo quale fosse
in reallà il benefizio offerto, o fosse tutto questo interne, o che al-
tro, il fatto sta che la più parte, non facendo conto dell'invito, con-
tinuavano a strascicarsi stentando per le strade. Visto ciò , si credè
bene di passar dall' invito alla forza. Si mandarono in ronda birri
die cacciassero gli accattoni al lazzeretto, e vi menassero legati qudli
che resìstevano; per ognun de' quali fu assegnato a coloro il prenuo
dì die£i soldi : ecco se , anche ndle maggiori strettezze, i danari del
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■4t I PR01CE3SI SPOSI
pubblico si tro\'an sempre, per impiegarli a spropo^lo. E quantun-
que, com'era siala congettura, anzi intento espresso della Provvi-
sione, un certo numero d'accattoni sfrattasse dalla ciltà, per andare
a vivere o a morire altrove, in libertà almeno; pure la caccia fu tale
che, ili poco tempo, il numero de' ricoverali, Ira ospiti e prigionieri ,
s' accostò a dieci mila.
Le donne e i bambini , sì vuol supporre che saranno siali messi
in quartieri separali, benché le memorie dd tempo non ne dicaii
nulla. Regole poi e prov\edÌmenlÌ per il bnon ordine , non ne sa*
ranno certamente mancati ; ma si liguri ogniuio qual ordine potesse
essere stabilito e mantenuto, in que' tempi specialmente e iu quelle
circostanze , in una cosi vasta e varia riunione , dove coi volontari
si trovavano i forzati; con quelli per cui 1' accatto era una necessità,
un dolore, una vergogna, coloro di cut era il mestiere; con motti
cresciuti nell'onesta attività de' campi e dell' oflìcine, molti altri edu-
cati nelle piazze, nelle taverne, ne' palazzi de' prepotenti, all'ozio,
alla truffo, allo scherno, alla violenza.
Come stessero poi tutti insieme d' alloggio e di vitto , si potrebbe
tristamente congetturarlo, quando non n'avessimo notizie positive;
ma le abbiamo. Dormivano ammontati a venti a trenta per ognuna
di quelle cellette, o accovacciati sotto i portici, sur un po' di p^ia
putrida e fetente, o sulla nuda terra: perchè, s'era bensi ordinato
che la paglia fosse fresca e a sufficienza , e cambiata spesso ; ma in
effetto era stala cattiva, scarsa, e non si cambiava. S' era ugualmente
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CAPITOLO XXVIII. tus
ordinalo die il paoe fosse di Luooa qoidiUi: giacdiè, quale aiuminì-
slratore ha mai detto cbe si faccia e si dispensi robA cattiva? ma ciò
die non si sarebbe ottenuto nelle circostante solite , anche per un
fuù ridretto servizio, etmie ottenerlo in qaei caso, e per quella mol-
tilu^ne? Si disse allora, come troviamo nelle memorie, che il pane
del lazzeretto fosse alterato con sostanze pesanti e non nutrienti: ed
e pur troppo credibile die non fosse uno di qoe' lamenti in aria.
D'acqua perfino c'era scarsità; d" acqua, veglio dire, vi^'a e salubre:
il pozzo comune, doveva esser In gora che gira le mara dd redato,
bassa , lenta , dove anche motosa , e divenula poi quale poteva ren-
derla r uso e la vicinanza d' una tanta e tal moltitudine.
A tutte queste cagioni di mortalità, tanto più attive, che «^era-
vano sopra corpi ammalali o ammalazzati, s'aggiunga una gran per-
versità della stagione: pit^e ostinate, seguite da una siccità ancor
più ostinala , e con essa un caldo anticipalo e violento. Ai mali
s' aggiunga il sentimento de' mali , la nda e la smania della prigio-
nia, la rimembranza dell'antiche abitudini, il dolore di cari perduti,
la memoria inquieta di cari assenti, il tormento e il ribrezzo vicen- .
devote, tant'altre passioni d'abbattimento o di rabbia, portale o nate
là dentro ; I' apprensione poi e lo spettacolo continuo della morte
resa frequente da tante cagioni, e divenula essa medesima una nuova
e polente cagione. E non farà stupore che la mortalilà crescesse e
regnasse in quel recinto a segno di prendere aspetto e, presso molti,
nome di pestilenza: sia che la riunione e l'aumento di (ulte quelle
cause non focesse che aumentare l'attività d' un' influenza puramente
epidemica; sia (come par che avvenga nelle carestie anche meo gravi
e men prolungale di quella) che vi avesse luogo un certo contagio,
il quale ne' corpi alTetti e preparati dai disagio e dalla calti^'a qua-
lità degli alimenti, dall' intemperie, dal sudiciume , dal travaglio e
dall'avvilimento trovi fa tempera, per dir cosi, e la stagione sua pro-
pria , le condizioni necessarie in somma per nascere, nutrirsi e mol-
tiplicam (se a un ignorante è lecito buttar là queste parole, dietro
l'ipotesi proposta da alcuni lìsid e riproposta da ultimo, con molte ra^
gioni e con molta riserva, da uno, diligente quanto ingegnoso*): sia
poi che il contagio scoppiasse da principio nel lazzeretto medesimo ,
* Det morbo pel ecolli ale... e degli altri conlsgi i
.Kctrbì, Cap. ni, ^ I v >.
generale, opera del <loll. f. Enrico
„GoogIe
HK I PROMESSI SPOSI
come, da un'oscura e inesatta relazione, par die pensassero i medid
della Sanità; sia che vivesse e andasse covando prima d'allora (dò
die par forse più verisimile, chi pensi come il disagio era già antico
e generale, e la mortalità già frequente), e che portalo in quella folla
permanente, vi si propagasse con nuo^a e terribile rapidità. Qualuo-
que di queste congetture sia la vera, il numero gioraaliero de' morti
nel lazzeretto oltrepassò in poco tempo il centinaio.
Mentre in quel luogo lutto il resto era languore, angoscia, spa-
vento, rammarichìo, fremito, nella Provvisione era vergogna, slor-
(liniento, incertezza. Si discusse, si senti il pu«re della Sanità; non
si trovò altro che di disfare dò che s' era fatto con tanto apparato,
con (anta spesa, con tante vessazioni. S'aprì il lazzeretto, si liceozia-
ron tulli i poveri non ammalati die ci rimanevano, e che scapparon
fuori con una gioia furibonda. La città tornò a risonare dell' antico
lamento, ma più debole e interrotto; rivide quella turba più rada e
più compassionevole, dice il Ripamonti, per il pensiero del come
fosse di tanto scemala. GÌ' infermi furon trasportati a Santa Maria
della Stella , allora ospizio di poveri ; dove la più parie perirouo.
Intanto però comincia vario que' beiiedelti campi a imbiondire. Gli
accattoni venuti dal contado se n' andarono, ognuno dalla sua parte,
a quella tanto sospirala segatura. Il buon Federigo gli accomiatò con
un ultimo sforzo, e con un nuovo ritrovalo di carità : a ogni conta-
dino che si presentasse all'arcivescovado, fece dare un giulio, e una
falce da niii'tere.
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CAPITOLO XXVIit. K(H
Con la messe Analmente cessò la carestìa: la morlalilà, epidemica
o conlagiosa, scemando dì giorno jn giorno, si prolungò però fin nel-
i'aatunno. Era sul finire, quand'eeco un nuovo flagello.
Molle cose importanti, di quelle a cui più specialmenle si dà lifolo
di storiche, erano accadute in questo frattempo. Il cardiniil di Riche-
lieu, presa, come s'è detto, la Roccella, abborracciata alla meglio una
pace col re d'Inghilterra, aveva proposto e persuaso con la sua potente
parola, nel Consiglio di quello di Francia, che si soccorresse efficace-
mente il duca dì Nevers; e aveva insieme determinalo il re medesimo
a condurre in persona la spedizione. Mentre si facevan gli apparecchi,
il conte di Nassau, commissario imperiale, intimava in Mantova al
nuovo duca, che desse gli stati in mano a Ferdinando, o questo man-
derebbe un esercito ad occuparli. Il duca clic, in più disperate circo-
stanze, s'era schermito d'accettare una condizione cosi dura e così so-
spetta, inco'raggilò ora dal vicino soccorso dì Francia, tanto più se ne
schenniva ; però con termini in cui il no fosse rigiralo e allungato ,
quanto si poteva, e con proposte dì sommissione, anche più apparente,
ma meno costosa. Il commissario se n'era andato, proteslandogli che
^ verrebbe alla forza, lo marzo , il cardinal di Richelieu era poi ca-
lalo iniatti col re; alla testa d'un e&ercito; aveva chiesto il passo al
duca di Savoia^ s'era trattato; non s'era concluso; dopo uno soontro,
col vantaggio de' Francesi , s'era trattato dì nuovo, e concluso un ac-
cordo, nel quale il duca, tra l'altre eose, aveva stipulato die il Cor-
dova leverebbe l'assedio da Gasale; obbligandosi, se questo ricusasse,
a unirsi co' Francesi, per invadere il ducalo di Milano. Don Gonzalo,
parendc^ andie d'uscirne con poco, aveva levalo l'assedio da Casale,
dov'era subito entrato un corpo di Francesi, a rinforzar la guarnigione.
Fu in questa occasione che l'Achìllinl scrisse al re Luigi quel suo
i sonetto:
Sodate, a fochi, a preparar metalli:
e un altro, con cui l'esortava a portarsi subito alla liberazione di Terra
santa. Ma è un destino che i pareri de' poeti non siano ascoltati : e se
nella storia trovate de* fatti conformi a qualche loro suggerimento, dite
pur francamente ch'eran cose risolute prima. Il cardinal di Richelieu
aveva in vece stabilito di ritornare in Francia, per affari che a lui
parevano più urgenti. Girolamo Soranzo, inviato de' Veneziani, potè
bene addurre ragioni per combattere quella risoluzione; che il re e il
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BIS I PROMESSI SPOSI
cardinale, dando retta alla sua prosa come ai versi dell' Achiliini , se
ne ritornarono col grosso dell' esercito , lasciando soltanto sei imb
uomini in Susa, per mantenere il passo, e per caparra del trattato.
Mentre quell'esercito se n'andava da una parie, quello di Ferdinando
s'avvicinava dall'altra; aveva invaso il paese de'Grigioni e la V^t^i-
na; si disponeva a calar nel milanese. Oltre tutti i danni che si pò-
tevan temere da un tal passaggio, eran venuti espressi avvisi al tri-
bunale della sanità, efae in quell'esercilo covasse la peste, della quale
allora nelle truppe alemanne c'era sempre qualche spraEzo,come dice
il Varchi, parlando di quella che, un secolo avanti, avevan portata
in Firenze. Alessandro Tadino , uno de' conser\'alori ddla saniti ,
(eran sei, oltre il presidente: quattro magistrali e due medici) fii in-
caricato dal tribunale, come racconta lui stesso, in quel suo raggua-
glio già citato ', di rappresentare al governatore Io spaventoso pericolo
che sovrastava al paese, se quella gente ci passava, per andare all'as-
sedio di Mantova , come s' era sparsa la voce. Da tulli i portamenti
di àoa Gonzalo , pare che avesse una gran smania d' acquistarsi un
posto nella storia, la quale infatti non potè non occuparsi di Ini; ma
( come spesso le accade ) non conobbe , o non si curò di pepsina»
r atto di lui più degno dì memoria , la risposta che diede al Tadino
in quella circostanza. Rispose che non sapeva cosa farci; che i moUvi
d' interesse e di riputazione , per i quali s' era mosso queir esercito,
• Par le.
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CAPITOLO XXTIII. 1143
pesavan più die il perìcolo rappresentato ; dbe con tutto ciò si cer-
casse di riparare alla meglio , e si sperasse nella Provvidenza.
Per riparar dunque alla meglio, i due medici della Sanità (il Ta-
dino suddetto e Senatore Sellala, tiglio del celebre Lodovico) propo-
sero in quel tribunale che si proibisse sotto severissime pene di com-
prar roba di nessuna sorte da' soldati di' eran per passare ; ma non
Tu possibile far intendere la necessità d'un lai ordine al presidente,
1 uomo, » dice il Tadino, « di molla bontà, che non poteva credere
dovesse succedere incontri di morte di tante migliaia di persone, pei*
il comercio di questa genie, ci loro robbe. » Citiamo questo trailo per
uno de' singolari di quel tempo: che di certo, da clic ci son tribunali
di sanità, non accadde mai a un altro presidente d' un lai corpo, di
fore un ragionamento simile ; se ragionamento si può chiamare.
In quanto a don Gonzalo, poco dopo quella risposta, se n' andò da
Milano; e la partenza tu trista per luì, come lo era la cagione. Ve-
niva rimosso per i caltivi successi della guerra, della quale era stalo
il promotore e il capitano; e il popolo lo incolpava della fame sofTerla
sotto il suo governo. (Quello che aveva fallo per la peste , o non sì
sapeva, o certo nessuno se n'inquietava, come vedremo più avanti,
' fu(H*chè il tribunale della sanità, e i due medici specialmente.) All' uscir
dunque, in carrozza da viaggio, dal piazzo di corte, in mezzo a una
guardia d* alid)ardieri , con due Irombetli a cavallo davanti, e con
altre carrozze di nobili che gli facevan seguito, fu accollo con gran
Osdiiale da ragazzi di' eran radunali sulla piazza del duomo , e che
{^i andaron dietro alla rinfusa. Entrala la comitiva nella strada cIm:
conduce a porla licinese , di dove si doveva uscire , cominciò a Irò-
varsi in mezzo a una folla di gente die, parte era lì ad aspettare,
parie accorreva ; tanto più die i trombetti , uomini di formalità , non
cessaron di sonare, dal palazzo di corte, fino alla porta. E nel pro-
cesso che si fece poi su quel tumulto, uno di costoro, ripreso che,
con quel suo trombettare, fosse stalo cagione di farlo crescere, ri-
sponde : u caro signore , questa è la nostra professione ; et se S. E.
non hauesse liauuio a caro che noi hauessimo sonalo , doveva co-
mandarne cbe tacessimo. » Ma don Gonzalo, o per ripugnanza a far
cosa che mostrasse timore , o per Umore di render con questo più
ardita la moltitudine, o perchè fosse in effelto un po' sbalordito, non
dava nessun ordine. La mollitudine, che le guardie avevan tentalo
in vano di respingere , precedeva , circondava , seguiva le carrozze ,
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S4R I PROMESSI SPOSI.
gridando: <• la va vja la careslra, va via il sangue de' poveri, « e
peggio. Quando furon vicini alla porla , cominciarono anche a tirar
sassi, mattoni, torsoli, bucce d'ogni sorte, la munizione solila in somma
di quelle spedizioni; una parie corse sulle mura, e di là fecero un'ul-
tima scarica sulle carrozze die uscivano. Subilo dopo si sbandarono.
In luogo di don Gonzalo, fu mandalo il marcbe;» Ambro^ Spi-
nola, il cui nome ave\'a già acquistala, nelle guerre di Fiandra, qndla
celd^rità militare che ancor gli rimane.
Inlanlo l'esercito alemanno, sotto il comando supremo del conte
Rambaldo di Collallo , allro condoUiere ilaliuno , di minore , ma non
d'ultimu fama, aveva ricevuLo l'ordine definitivo di portarsi all'impresa
di Mantova; e nel mese di sellembi-e, entrò nel ducato di Milano.
La miliua, a que' tempi, era ancor composta in gran parte di soldati
di ventura arrolati da condottieri di mestiere, per commissione di que-
sto 0 di quel principe, qualche volta anche per loro proprio conio, e per
vendersi poi insieme con essi. Più che dalle paghe, erano gli uomini
attirali a quel mestiere dalle speranze del saccheggio e da lutti gli al-
lenamenti della licenza. Disciplina stabile e generale non ce n'era; ne
avrebbe potuto accordarsi vosi facilmente con l'aulorità in parte indi-
pendente de' vari condottieri. Questi poi in particolare, né erano molto
raHlnatori in fatto di disdplina , né , anche volendo , si vede come
avrebbero potuto riuscire a stabilirla e a nianlencrla; che soldati dì
quella razza , o si sarebbero rivollati contro un condoUiere novatore
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capìtolo XWIIL at9
che si fosse messo in lesta d'abolire il saccheggio; o per lo meno,
l'avrebbero lasciato solo a guardar le bandiere. Oltre di ciò, siccome
i principi, nel prendere, per dir cosi, ad affìtto quelle bande, guarda-
van più ad aver genie in quantità, per assicurar l'imprese, die a pro-
porzionare il numero alla loro facollà di pagare, per il solilo mollo
scarsa; cosi te paglie venivano per lo più tarde, a conto, a spizzico;
e le spoglie de' paesi a cui la toccava, ne divenivano come un sup-
plimenlo (acilamente eonvenulo. É celebre , poco meno del nome di
WallenstA.'ìii, quella sua seiilenza : esser più facile mantenere un eser-
cito di cento mila uoinrni, die uno di dodici mila. £ questo di cui
partiamo era in gran parte composto della gente che, sotto il suo
comando, aveva desolata la Germania, in quella guerra celebre Ira le
guerre, e per se e per i suoi elTelti, che ricevette poi il nome da'
Ircnt'aniii della sua durala: e allora ne correva l'undecimo. C'era
anzi, condotto da un suo luogotenente, il suo proprio reggimealo;
degli altri condottieri, la più parie avevan comandato sotto di lui, e
ci si trovava più d'uno di quelli che, quattr'anni dopo, dovevano
aiutare a fargli far quella cattiva fine che ognun sa.
Eran vent'otlo mila fanti, e sette mila cavalli; e, scendendo dalla
Valtellina per portarsi nel mantovano, dovcvan seguire tulio il corso
che fa l'Adda per due rami di lago, e poi di nuovo come fiume fino
al suo sbocco in Po, e dopo avevano ud buon tratto di questo da
cost^giare: in tutto otto giornale nel ducalo di Milano.
Una gran parie degli abitanti si riftigiavano su per i monti , por-
tandovi quel che avevan di meglio, e cacciandosi innanzi le bestie;
altri rimanevano, o per non abbandonar qualche ammalato, o per pre-
servar la casa dall'incendio, o per tener d'occhio cose preziose nasco-
ste, sotterrale; altri perchè non avevan nulla da iierderc, o anclie (a>
cevan conio d'acquistare. Quando la prima squadra arrivava al paese
della fermata, si spandeva subilo per quello e per i circonvicini, e li
metteva a sacco addiriltura:ciò che c'era da godere o da portar via,
spariva; il rimanente, lo distruggevano o lo rovinavano; i mobili dì-
venlavan legna, le case, stalle: senza parlar delie busse, delle ferite,
degli stupri. Tutti i ritrovati, (ulte l'astuzie per salvar la rol>a, riu-
sdvano per lo più inutili, qualche volta portavano danni maggiori. I
stridali, gente ben più pralica degli sd'alagemniì anche di questa guerra,
frugavano per tulli i buchi delle case, smuravano, diroccavano; cono-
seevan Eacilmenle negli orli la terra smossa di fresco; andarono fino su
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SM I PR(»IESSI SPOSI
per i moatj a rubare il bestiame ; andarooo nelle grotte , guidati da
qualdie birbnnle del paese, io cerca di qualche riceo ehe vi « fosse
rimpiattato; lo strascinavano alla sua casa, e con tortura di miuacoe
e di percosse, lo costringevano a indicare il tesoro nascosto.
Finalmente se n'andavano; erano andati; sì seoliva da lontano mo-
XÌF€ il suono de' tamburi o delle trombe; succedevano alcune ore
d' una quiete spaventata; e poi un nuovo maledetto batter di cassa,
un nuovo maledetto suon di trombe , annunziava un' altra squadra.
Questi, non trovando più da liir preda, con tanto più furore facevano
sperpero del resto, bruciavan le botti votate da quelli, gli usci delle
stanze dove non c'era più nulla, davan fuoco anche alle case; e con
tanta più rabbia, s'intende, maltratlavaa le persone; e cosi di p^gio
in peggio, per venti giorni: che in tante squadre era diviso l'esercito.
Colico fu la prima terra del ducato, che invasero que' demòni; ^
gellarono poi sopra Sellano; di là entrarono e si sparsero nella Val-
sassina, da dove sboccarono nel territorio di Lecco.
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CAPITOLO XXIX.
, fra i poveri spaventati traviamo
persone di nostra conoscenza.
Chi non ha visto dòn AUwndio,
il giorno che si sparsero tutte in
una volta le notizie della calata
dell'esercito, del suo awieinarsi,
e de' suoi portamenti , non sa bene
cosa sìa impiccio e spavento. Ven-
gono ; son trenta , son quaranta ,
son cinquanta mila; son dìavtdi ,
SODO ariani, sono anticristi; hanno
saccheggiato Corlcnuova; bùi dato
fuoco a Prìmaluna: devastano In-
Irobbio, Pasturo, Barsio; sono ar-
rivati a Balabbio; domani son qui: tali eran le voci che passavan di
bocca in bocca; e insieme un correre, un fermarsi a vicenda, un
Digitizf^riiiyGoOgle
HHS I PR0UBS3I SPOSI
consultare tumultuoso , un' esitaùooe tra il Tu^^ire e il reslare , un
radunarsi di donne, un metter le mani ne' capelli. Don Abbondio,
risoluto dì fuggire, risoluto prima di tulli e più di tutU, vedeva
però, in ogni strada da prendere, in ogni luogo da ricoverarsi, osta-
coli insuperabili e pericoli spaventosi. « Come fare?» esclamava:
<• dove andare? » I monti, lasciando da parte la dififlcdlà del cam-
mino, non eran sicuri: ^à s'ora saputo che i lanzicbeoeechì vi s'ar-
rampicavano come gatti, dove appena avessero indizio o speranta
di far preda, n lago era grosso; tirava un gran vento : oltre di questo,
la più parte d^ barcaioli , temendo d' esser forzati a tragittar sol-
dati 0 bagagli, s' eran rifugiati, con le loro barche, all'altra riva:
Dlcune poche rimaste , eran poi partite stracariche di genie ; e, Ira-
vagliate dal peso e della burrasca, si diceva elie pericolassero ogni
momento. Per portarsi lontano e fuori della strada che l' esercita
aveva a percorrere, non era possibile trovar né un calesse, né un
cavallo, né alcun altro mezzo: a piedi, don Ablmndlo non avrebbe
p(^uto far troppo cammino, e temeva d' esser raggiunto per istrada,
n territorio bergamasco non era tanto distante, che le sue gambe non
ce lo potessero portare in una tirala ; ma si sapeva eh' era stalo
spedito in fretta da Bergamo uno squadrone di cappellttti, il qual
doveva costeggiare il confine , per tenere in suggezione i lanzicbe-
neccbi; e quelli eran diavoli in carne, né più né meno dì questi, e
faeevan dalla parte loro il peggio che potevano. U pover" uomo cor-
reva, stralunato e mezzo fuor di sé, per la casa; andava dietro a
Perpetua, per concertare una risoluzione con lei; ma Perpetua, af-
fbcoendata a raccogliere il meglio di casa, e a nasconderlo in soffitta,
o per i bugigattoli, passava di corsa, affannata, preoccupata, con le
mani 0 con le braccia piene, e rispondeva: " or ora finisco di met-
ter questa roba al sicuro, e poi faremo anche noi come fanpo gli
altrì. » Don Abbondio voleva trattenerla, e discuter con lei i vari
.parliti; ma lei, tra il da fare, e la fretla, e lo spavento che aveva
.anch'essa in corpo, e la raU»ia che le faceva quello del padrone,
en, in tal congiuntura, meno trattabile di quel die fosse stata mai.
" S'ing^piano gli altri; c'ingegneremo anclie noi. Mi scusi, ma non
é capace che d' impedire. Crede lei che anche gli altri non abbiano
luia pdfe da salvare? Che vengono per far la gueira a lei i soldati?
Potrdjbe andie dare una mano, in questi m(Mnenti, in vece di venir
tra' piedi a piangere e a impieeiare. •• Con queste e simili risposte
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CAPITOLO XXIX. BUS
si sbrigava da lui, avendo già stabililo, finila che fosse alla meglio
quella tumultuaria operazione, di prenderlo per uo braccio, come
Dn ragazzo, e di strascinarlo su per una montagna. Lasciato così
solo, s' alTaccrava alla lìneslra, guardava, tendeva gli orecclti; e ve-
drndo passar qualclicduno . gridava con una voce mezza di pianto e
mezza di rimprovero: « fole questa carità al vostro povero curalo di
cercargli qualche cavallo, qualche mulo, qualche asino. Possibile che
nessuno mi voglia aiutare! Oh che genie! Aspelfalerai almeno , che
pos.«i venire anch'io con voi ; aspellate d' esser quindici o ^'cnli , da
condurmi via insieme , di' io non sìa aUiandonalo. Volete lasciarmi
in man de' cani ? Non sapete che sono luterani (a più parte , che
amnia27jire un sacerdote l'hanno per opera meritoria? Volete la-
sciarmi qui a ricc\'crc il martirio? Oh che gente ! Oh che gente ! »
Ma a chi diceva queste cose? Ad uomini che passavano curvi
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SUI I PROUESSI SPOSI
sotto il peso della loro povera roba , pensando a quella che lasci»-
vano tn casa, spingendo le loro vaccherelle, cooducendosi dietro i
figli , caricbì anch' essi quanto potevano , e le donne con in collo
quelli elle non potevan camminare. Alcuni tiravan di lungo, senta
rispondere uè guardare in su; qualclieduno diceva : « eh messere!
faccia anche lei come pud; fortunato lei che non ha da pensare alla
famiglia; s'aiuti, s'ingegni. •>
" Oh povero ine! » esclamava don Abbondio: « oh che genie!
die cuori! Non e* è carità : ognun pensa a sé; e a me nessuno vuol
pensare. « E lorna^'a in cerca di Perpetua.
u Oh appunto! » gli disse questa: « e i danari? »
u Come faremo?»
« Li dia a me, clie anderò a sollerrarli qui nell'orlo di casa, in-
sieme con le posate, n
« IWa . . . . »
f Ma, ma; dia qui; tenga qualche soldo, per quel che pu.6 occor-
rere ; e poi lasci fare a me. n
Don Abbondio ubbidì, andò alio scrigno, cavò il suo lesoretlo, e
lo consegnò a Perpetua; la quale disse: « vo a sotterrarli netrorlo,
appiè del fico; » e andò. Ricomparve poco dopo, eoo un paiiiere
(love e' era della muniuone da bocca , e con una piccola gerla vola;
e si mise in fretta a collocarvi nel fondo un po' di biancheria sua e
del padrone, dicendo inlanlo: «il breviario almeno lo porterà lei.»
« Ma dove andiamo ? »
uDove vanno tulli gli altri? Prima di tutto, anderemo in istrada;
e là sentiremo, e vedremo cosa convenga di fare. »
In quel momento entrò Agnese con una gerletla sulle spalle, e in
aria di chi viene a fare una proposta importante.
Agnese, risoluta anche lei di non aspettare ospiti dì quella sorte,
sola in casa, com'era, e con ancora un po' di quell'oro dell' inno-
minalo, era slata qualche tempo in forse del luogo dove ritirarsi. Il
residuo appunto dì quegli scudi , che ne' mesi della fame le avevan
fallo tanto prò , era la cagion principale della sua angustia e della
irresoluzione, per aver essa sentilo clie, ne' paesi già invasi, quelli
che avevan danari, s'eran trovati a più lerribil condizione, esposti
insieme alla violenza degli stranieri, e all'insidie de' paesani. Era vero
clic, del bene piovutole, come si dice, dal delo, non aveva fatta la
confidenza a nessuno, fuorché a don Abbondio; dal quale andava.
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CAPITOLO XXIX. att
volta per volta , a (arsi spicciolare uno scudo , lasciandogli sempre
qualcòsa da dare a qualcheduno più povero di lei. Ma i daiiaii na-
scosti, specialmente chi non è avvezzo a maneggiarne molti, tengono il
possessore in un sospetto cfHilinuo del sospetto altrui. Ora , mentre
andava anch' essa rimpiatlando qua e là alla meglio ciò che non po-
teva portar con sé , e pensava agli scudi , che teneva cucili nel bu-
sto, si rammentò die, insieme con essi, l'innominato, le aveva man*
date te più largite ofTerle di servizi; si rammentò le cose die aveva
sentito raccontare di quel suo castello posto in luogo cosi sicuro, e
dove, a dispetto del padrone, non potevano arrivar se non gli uc-
celli; e si risolvelte d'andare a chiedere un asilo lassù. Pensò come
potrdibe Earsi conoscere da quel signore, e le venne subito in mente
don Abbondio; il quale, dopo quel colloquio cosi fatto con l'arcive-
scovo, le aveva sempre fatto festa, e tanto più di cuore, die lo po-
teva senza compromettersi con nessuno , e che , essendo lontani t
due giovani, era anche lontano il caso die a lui venisse fatta una
richiesta, la quale avrebbe messa quella benevolenza a un gran ci-
mento. Suppose che, in un tal parapiglia, il pover'uomo doveva es-
ser ancor più iiupicdato e più sbigollilo di lei , e die il partilo pò-
lr^d>e parer molto buono anche a lui; e glielo veniva a proporre.
Trovatolo con Perpetua, fece la proposta a tuli' e due.
u Che ne dite, Perpetna? » domandò don Abbondio.
a Dico che è un' ispirazione del cielo , e che non bisf^na perder
tempo, e mettersi la strada Ira le gambe. »
u E poi .... "
« E poi, e p(M, quando saremo là, ci troveremo ben contenti.
Quel signore, ora si sa che non vorrebbe altro che lar servizi al pros-
simo; e sarà ben contento andie lui (U ricoverarci. Là, sul conline, e
così per aria, s(dda(i non ne verrà certamente. E poi e poi, ci trove-
remo anche da mangiare; che, su per i monti, finita questa poca gra-
zia di Dio,» e così dicendo, l'acconnidava nella gerla, sopra la bian-
cherìa, « ci saremmo trovali a mal parlilo, i
e Convertito, è convertilo davvero, eh?»
» Che e' e da dubitarne ancora , dopo tutto qudlo che si sa ,
dopo quello che anche lei ha veduto? »
« E se andassimo a metterci in gabbia ? »
» Che gabbia ? Con tulli codesti suoi casi , mi scusi , non ^ ver-
rebbe mai a una conclusione. Brava Agnese ! v' è proprio venuto un
Digitizf^riiiyGoOgle
sue I PROHCSSl SPOSI
buon pensiero. » E messa la gerla sur un tavolino, posso le bracai
nelle cigne , e la prese sulle spalle.
« Non si potrebbe, " disse don Abbondio trovar qualdie uomo
die vaiìsse con noi, per far la scoria al suo curalo? Se ìncontrassii-
DIO qualche birbone, cl>e por troppo ee n'c in giro parccdii, che
aiuto ni' avete a dar voi altre? »
« Un'altra, per perder tempo! » esclamò Perpetua. « AndtuHo a
cercar ora l'uomo, che ognuno ha da pensare a' folli su<m. Animo!
vada a prendere il breviario e il cappello; e andiamo. »
Don Abbondio andò, tornò, di lì a tin momento, col breviario sotlo
il braccio, col cappello in capo, e col suo bordone in mano; e usa-
rono lult' e tre per un usciolino che melteva sulla piazzetta. Perpetua
ridtiuse , più per non trascurare una formalità , che per fede dw
avesse in quella toppa e in que' baUenti , e mise la chiave in taso.
Don Abbondio diede, nel passare, un' occhiata alla chiesa, e disse tra
i denti : u al popolo tocca a custodirla , die serve a lui. Se liaono
un po' dì cuore per la loro chiesa, ci penseranno; se poi non hanno
cuore , tal sia di loro. »
Presero per i campi, zitti zitti, pensando 4^uno a' casi suoi, e
guardando^ intorno, specialmente don Abbondio, se apparisse qualche
figura sospetta, qualcosa di straordinario. Non s'incontrala nessuno:
la gente era, o ndle case a guardarle , a far fagotto , a nascondere ,
o per le strade che conducevan direttamente all' alture.
Dopo aver sospirato e risospiralo , e poi lasciato scapitar qualche
interiezione, don Abbondio cominciò a brontolare più di seguilo. Se
la prendeva col duca di Nevers, che udrebbe potuto stare in Francia
a godersela, a Tare il principe, e voleva esser duca di Mantova a di-
si>c(lo del mondo; con l' imperatore , che avrebbe do\:uto a\er giu-
dizio per gli altri, lasciar correr l' acqua all' ingiù , non islar su tutti
i puntigli: che lìnalmente, lui sardtbe sempre slato l'imperatore,
fosse duca di Mantova Tizio o Sempronio. L'aveva principalmente col
governatore, a cui sarebt>e toccato a lar di tutto, per lenur lontani
i flagelli dal paese, ed era lui che ce gii attirava: tutto per il gusto
di far la guerra. ^ Bisognerebbe, » diceva, « che fossero qui que'
signori a vedere, a provare , che gusto è. Hanno da rendere un M
conto! Ma inlaitlo, ne va di mezzo chi non ci ha cólpa. «
« Lasci un po' star codesta gente ; che già non son qudli cbe ci
verranno a aiutare, " diceva Perpetua. « 0>dcste . mi scusi , sono di
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CAPITOLO XXIX. BBT
quelle sue solile chiacdiiere che dod concludoo nulla. Piuttosto, quel
che mi dà uoia ...»
u Cosa c'è? »
Perpetua, la quale, in quel pezzo di strada, aveva pensalo eoo
comodo at naseondimenlo fallo in furia, cominciò a lamentarsi d'aver
dimenticata la lai cosa, d'aver mal riposta la tal altra; qui, d'aver
lasciala una traccia che poteva guidare t ladroni, là . . .
u Brava! » disse don Abbondio, ormai sicuro della vita, quanto
bastava per poter angustiarsi della roba : » brava ! cosi avete folto .?
Do%e avevate la lesta ? »
V Come ! » esclamò Perpetua , fermandosi un momento su due
piedi, e melleudo i pugni su' (lancili, in quella maniera che la gerla
glielo permctieva : <• come ! verrà ora a farmi codesti rimproveri ,
quand'era lei che me la faceva andar via, la lesta, in vece d'aiutarmi
e farmi coraggio ! Ho pensato forse più alla roba di casa die alla
mia; non bo avuto chi mi desse una mano; ho dovuto far da Marta
e Maddalena ; se qualcosa anderà a male , non so cosa mi dire : lio
fatto anche più del mìo dovere. »
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Mt 1 PROUESSI SPOSI
Agnese interrompeva questi contrasti , entrando andie lei a par-
lare de' suoi guai : e non si rammaricava tanto dell' incomodo e dei
danno, quanto di vedere svanita la speranza di riabbracciar presto la
sua Lucia ; che , se vi rammentate , era appunto qudl' autunno sul
quale ave\'an fatto assegnamento : né era da supporre che donna
Prassede volesse venire a vill^giare da quelle parli , in tali circo-
hianze : piuttosto ne sarebbe partita, se ci si fosse trovala, come &-
cevan lutti gli altri villeggianti.
La vista de' luoghi rendeva ancor più vivi qua' pensieri d'Agnese,
e più pungente II suo dispiacere. Usciti da' sentieri, avevan presa la
strada pubblica , quella medesima per cui la povera donna era ve-
nuta riconducendo, per così poco tempo , a casa la figlia, dopo aver
soggiornato con lei, in casa del sarto. E già si vedeva il paese.
" Anderemo bene a salutar quella brava gente, » disse Agnese.
" E anche a riposare un pochino : che di questa gerla lo comin-
cio ad averne abbastanza ; e poi per mangiare un boccone , » disae
Perpetua.
« Con patto di non perder tempo ; che non siamo in viaf^o per
divertimento, n concluse don Abbondio.
Furono ricevuti a braccia aperte, e veduti con gran piacere:
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CAPITOLO XXIX. «19
ranineDlavano una buona azione. Fate -del bene a quanti più potete,
dice qui il nostro autore ; e vi seguirà tanto più spesso d' incontrar
de' visi che vi mettano allegria.
Agnese, nell' abbracciar la buona donna, diede in un dirotto pian-
to, che le Tu d' un gran sollievo ; e rispondeva con singliiozci alle do-
mande che quella e il marito le facevan di Lucìa.
uSfa meglio di noi,» disse don Abbondio: «è a Milano, fuor de'
perìcoli, lontana da queste diavolerie, x
« Scappano, eli? il signor curato e la compagnia, « disse il sarto.
u Sicuro, » risposero a una voce il padrone e la serva.
» Li compatisco. »
H Siamo incamminali, » disse don Abbondio; « ai castello di " *. »
« L' hanno pensala bene : sicuri come in chiesa. »
<• E qui, non ttanno paura ? » disse don Ablrandio.
« Dirò, signor curato : propriamente in Oipitazione , come lei sa
che sì dice, a parlar bene , qui non dovrebbero venire coloro : siam
troppo fuori della loro strada, grazie al cielo. AI più al più, qualche
scappala, che Dio non voglia: ma in ogni caso c'è tèmpo; s'hanno a
sentir prima altre notizie da' poveri paesi dove anderanno a fermarsi. »
Si concluse di star li un poco a prender fiato ; e , 'siccome 'en
l'ora dd dennare, « signori, n disse il sarto:» devono onorare. la
mia povera tavola : alla buona : ci sarà un piallo di buon viso. »
Perpetua disse d' aver con sé qualcosa da rompere il digiuno. Dopo
un po' di cerimonie da una parte e dall'altra, si venne a patti d'ac-
cozzar, come si dice, il pentolino, e di desinare in compagnia.
I ragazzi s'eran messi con gran festa intomo ad Agnese loro amica
vecchia. Presto, presto ; il sarto ordinò a una bambina ( quella clic
aveva portalo quel boccone a Maria vedova : chi sa se \t ne ram-
mentate più!), ehe andasse a diricciar quattro castagne primalicce,
di'eran riposte in un canluccio: e le mettesse a arrostire.
« E tu, » disse a un ragazzo, « va nell' orto , a dare una scossa
al pesco, da fome cader quattro , e portale qui : tutte, ve'. E tu, "'
disse a un altro, u va sul fico, a coglierne quattro de' più maturi. Già
lo conoscete anche troppo quel mestiere. « Lui andò a spillare una
sua bollicina ; la donna a prendei^ un po' di biancheria da taiola.
Perpetua cavò fuori le provvÌ8Ìoni;s' apparecchiò: un tovagliato e un
piatto di maiolica al posto d'onore, per don Abbondio, con una po-
sala che Perpetua aveva nella gerla. Si misero a tavola, e desinarono,
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BW 1 PfUMBSSI SPOSI
se non con grand' allegria, almeno con molta più che nessuno de'
GOtninensali si fosse aspettalo d' averne in quella gioniata.
« Cosa ne dice, signor curato, d' uno scombussolamento di questa
sorte ? » disse il sarto : » mi par di leggere la storia de' otóri in
Francia. »
u Cosa devo dire? Mi doveva cascare addosso ancbc questa! »
« Però, hanno scelto un bu0n''rieovero , « riprese quello: » ci»
diavolo ha a andar lassù per forza? E troveranno compagnia: cliè già
s'è sentito che ei sia rifugiata molla genie, e che ce n' arrivi tutlora. «
" Vt^lio sperare, « disse don Abbondio, Bcbe:saremo ben aec<Jli-
Lo conosco quel bravo signore; €■ quando tio 'a%'uto tiii' allra voli»
l'onore di trovarmi coji lui, fu così compito! «
» G a me," disse Agnese, utn' ha fatto dire dal signor monsignor
illustrìssimo, ette, quando aves^ bisogno di qualcosa, bastava die an-
das^ da lui. » ^
" Gi^an bt'lla conversione !" riprese don Abbondio: « e si man*
tiene, n'c vero? si mantiene. »
Diiìitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXIX. Kflt
Il sarto si mise a parlare alla distesa della saiila vita dell' innomi-
iialo , e come , dall' essere il flagello de' contorni , n' era divenuto
r esempio e il l)enefat(ore.
u E quella gente die teneva con sé ?.. . tutta quella servitù ?.. »
riprese don Abbondio, il quale n'aveva più d'una volta sentito dir
qualcosa, ma non era mai quieto abbastanza.
" Sfrattali la più parte , » rispose il sarto : " e quelli cbe son ri-
masti, Itan mutato sistema, ma come ! In somma è diventato quel ea-
slello una Tebaldo ; la le sa queste cose. »
Entrò poi a parlar con Agnese della vtsila del cardinale. « Gran-
d'uomo! n diceva; « grand' uomo! Peccalo che sia passalo di qui
così in furia, che non ho né anche potuto fai^li un po' d'onore.
Quanto sarei conlento di potergli parlare un'altra volta, lui po' più
con comodo »
Alzati poi da tavola, le fece osservare una stampa rappresentante il
cardinale, che teneva attaccata a un l>attenlc d'uscio, in venerazione
del personaggio , e anche per poter dire a cliiunque capitasse , che
non era somigliante; giacché lui aveva potuto esaminar da vicino e
con comodo il cardinale in persona , in quella medesima slan^.
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nei I f>RO]iessi SPOSI
u L'Iianiio volutu (av luì, con questa cosa qui? » disse Agnese.
u Nel vestilo gli somiglia; ma ... n
» N' è vero clic non somiglia? " disse il sarlo : « lo dico sempre
aiicir io : noi, non e' ingannano , eli ? ma , se non allro , e' è sotto il
suo nome : è una memoria. »
Don Abbondio faceva fretta ; il sarto s' impegnò dì trovare nii ba-
roccio che li conducesse appiè della salila m'andò subilo in cerca, e
poco dopo, lornò a dire che arrivava. Si voltò poi a don AUnuidìo,
e gli disse : « signor curato, se mai desiderasse, di poriiir lassa qual-
che libro, per passare il tempo, da pover' uomo posso servirla : die
anch' io mi diverto un po' a leggere. Cose non da par suo , libri in
volgare ; ma però ..."
u Grazie, grazie, " ris|>ose don Abbondio : <•- son circostanze , dte
si ha appena lesta d'occuparsi di quel che é di precetto. »
Mentre si fanno e si ricusano ringraziamenti, e gì barattano sduli
e buoni augùri, inviti e promesse d' un' altra fermala al ritomo, il
baroccio è arrivato davanti -all'uscio di strada. Ci metton le gerle,
Saigon su, e principiano, con un po' più d'agio e di Iranquillità d'a-
nimo, la seconda metà dèi viaggio. ^
Il sarto aveva detto la verità a don Abbondio, intorno all'innomi-
nato. Questo, dal giorno che 1' abbiam lasciato, aveva sempre conti-
nuato a far ciò che allora s' era proposto , compensar danni, chieder
pace, soccorrer poveri, sempre del bene in somma, secondo 1' occa-
sione. Quel coraggio che altre volte aveva mostrato nell' offendere e
nel difendersi, ora lo mostrava nel non fare né l'una cosa né l'altra.
Andava sempre solo e senz' armi, disposto a tutto quello che gli potesse
accadere dopo tante violenze commesse, e persuaso che sarebbe com-
metterne una nuova l' usar la forza in difesa di chi era debitore dì
tanto e a tant); persuaso che ogni male che gli venisse fatto, sar^^
un' ingiuria riguardo a Dio , ma riguardo a luì una giusta retribu-
zione:e che dell'ingiuria, lui meno d'ogni altro, aveva diritto di tani
pntiitore. Con tulio ciò , era rimasto non meno inviolato di quando
teneva armate, per la sua sicurezza., tante braccia e il suo. La ri-
membranza dell'antica ferocia, e la vista della mansuetudine presbite,
lina , che doveva aver lasciati tlinlì desidèri di vendetta, (' altra, che
la rendeva tanto agevole , cospiravano in vece a procacciargli e a
mantenergli un' ammirazione , che gli serviva principalmente di sal-
vaguardia. Era queir uomo che nessuno aveva potuto umiliare, e cbe
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CAPITOLO XXIX. 1163
s' era uuliliatu da so. I roucori, irritali ttltre volle dal suo disprezzo £
d^a paura degli altri , si dileguavano ora davanti a quella nuova
umiltà : gli ofTesi avevano ollenula, contro ogni aspettativa , e senza
pericolo , una soddisfazione che non avreUwro potuta promettersi
dalla più Tortnoata vendetta, la soddis^ione di vedere un tal uomo
pentito de' suoi torli, e parteci)>e , per dir cosi, della loro indegna-
ziooe. Molli , il cui dispiacere più amaro e più intenso era slato per
molt' anni , di non veder probabilità di trovarsi in nessun caso più
forti di colui, per ricattarsi di qualdie gran lorto; incontrandolo poi
solo , disarmato, e in atto di cbl non farebbe resistenza , non s' eran
sentili altro impulso che di. fargli dimostrazioni d'onore. In quell'ab-
bassamento volontario, la sua presenza e il. suo contegno avevano, qo-
qutslalo, senza ciie lui lo sapesse, un non so che di pi» alto e di più
nobile; perchè ci si vedeva, ancor meglio di prima, la noncuranza d'o-
gni pericolo. CUi odi, anche i più rozzi e rabbiosi, si sentivano come
legati e tenuti in rispetto dalla venerazione pubblica per l'uomo pe-
nitente e benefico. Questa era tale, che spesso quell' uomo si trovava
impicciato a schermirsi dalle dimostra^oni che gliene venivau fatte,
e doveva star attento a non lasciar troppo trasparire nel volto e ne-
gli atti il sentimento iolerno di compunzione, a non abbassarsi trop-
po, per non esser troppo «saltalo. S' era scelto nella diiesa 1' ultimo
luogo ; e non e' era pericolo che nessuno glielo prendesse : sarebbe
stato come usurpare, un posto d' onore. Offender poi queir uomo , o
anche trattarlo con poco riguardo, poteva parere non lanto un' inso-
lenza e una viltà, quanto un. sao-ilegio: e quelli stessi a cui questo
sentimento degli altri poteva servir di ril^no , ne partecipavano
andie loro , più o meno.
Queste medesime ed altre cagioni , allontanavano pure da lui ie
vendette della forza pubblica, e gli procuravano, anche da questa
parte , la sicurezza della quale non si dava pensiero. Il grado .e le
parentele , die in .ogni tempo gli erano state di qualche difesa , lanlo
più valevano per lui, ora che a quel nome già illustre e infame, an-
dava aggiunta la lode d' una condotta esemplare, la gloria della con-
versione. 1 magistrati e i grandi s'erun rallegrati di questa, pubblica-
mente come il popolo; e sarebbe parso strano l' infierire contro clii
e^a stato soggetto di tante congratulazioni. Olli'c di ciò , un (totere
occupalo in una' guerra per))etua, e spesso infelice, contro ribellioni
vive e rinascenti, poteva trovarsi abbastanza conlento d'user liberato
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sei I PROMESSI SPOSI
dalla più indomabile e molesta, per iion andare a cercar altro: tanto
più, elie quella conversione pi-odnceva riparazioni che non era av-
vezzo ad ottenere, e nemmeno a richiedere. Tonnenlare un santo,
non pareva un buon mezzo di cancellar la vergogna di non aver sa-
puto fare stare a doyere un facinoroso: e l'esempio che sì fosse dato
. eoi punirlo, non avrebbe potuto aver altro effetto, die di stornare i
suoi simili dal divenire inoffensivi. Proliabilmente anche la parte i^
il cardinal Federigo aveva avuta nella conversione, e il suo nome as-
sociato a quello del convertito, servivano a questo come d'uno scudo
sacro. E in quello stato dì cose e d'idee, in quelle singolari relazioni
dell'autorità spirituale e del poter civile, cli'eran così spesso alle prese
tra loro, senza mirar mai a distruggersi , anzi mischiando sempre alle
ostilità atti di riconoscimento e proteste di deferenza, e che, spesso
pure, andavan di conserva a un fine comune, senza far mai pace,
potè parere, in eerla maniera, che la rieonciliazìoDe della prima por-
lasse con sé l' oblivione, se non 1' assoluzione del secondo , quaoda
quella s'era sola adoprata a produrre un effetto voluto da tuU'e due.
Cosi quell' uomo sul quale, se fosse caduto, sarebbero corsi a gara
grandi e piccoli a calpestarlo ; messosi volontariamente a terra j ve-
niva risparmiato da tutti, e inchinato da molti.
È vero ch'eran anche molti a cui quella strepitosa mutazione do-
vette far luti' altro che piacere: tanti esecutori stipendiati di drilli,
tanti compagni nel delitto , che perdevano una cosi gran forza sulla
quale erano avvezzi a fare assegnamento, che anche si trovavano a
un tratto rotti i fili di trame ordite da un pezzo, nel momento fonc
die aspettavano la nuova dell' esecuzione. Ma già abbiam veduto
quali diversi sentimenti quella conversione facesse nascere ne^ì sgbarì
die si trovavano allora con lui , e che la sentirono annunziare dalla
sua bocca: stupore, dolore, abbattimento, stizza; un po' di tutlo,
fuQrdiè disprezzo né odio. Lo stesso accadde agli allri die teneva
sparsi in diversi posti, lo slesso a' complici di più alto affare, quando
riseppero la terrìbile nuova, e a tutti per le cagioni medesime. Mot-
t'odio, come trovo nel luogo, altrove citalo, del Ripamonti, ne venne
piuttosto al cardinal Federigo. Riguardavan questo come uno che
^era misdiiato ne' loro affari , per guastarli ; l'innominato aveva vo-
luto salvar l'anima sua: nessuno aveva ragion dì lagnarsene.
Di mano in mano poi, la più parte degli sgherri dì casa , non po-
tendo accomodarsi albi nuova dìsdplina , né vedendo probabilità che
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CAPITOLO XXIX. aw:
3' avesse, a mutare, se n' erano andati. Chi avrà cercato allro padro-
ne , e rors* anche tra gli antichi amici di quello che lasciava; chi si
sarà arrotato in qualche terzo, come allora dicevano, di Spagna o di
Mantova , o di qualche altra parte belligerante ; chi si sarà mesào
alla strada , per far la guerra a minuto, e per conto suo; chi si sarà.
andte contentato d' andar birboneggiando in libertà. E il simile
avranno fotto quegli altri che stavano prima a' suoi ordini , in di-
versi paesi. Di quelli poi che s' eran potuti avvezzare al nuovo lenor
di vilaj 0 che lo avevano abbracciato volentieri , i più, nativi della
valle , eran tornali ai campi , o ai mestieri imparali nella prima età ,
e poi abbandonati ; i forestieri eran rimasti nel castello , come servi-
tori : gli udì e gli altri , quasi ribenedetti nello slesso tempo che il
loro padrone , se la passavano , al par di lui , senza fare né ricever
torti , inermi e rispellali.
[Ma quando , al calar delle bande alemanne , alcuni fuggìaschi di
IKiesì invasi o minacciati capitarono su al castello a chieder ricovero,
l'innominato, lutto contento che quelle sue mura fossero cercate come
asilo da' deboli , che per tanto tempo le avevan guardate da lontano
come un enorme spauracchio , aecoliìe quegli sbandati , con espres-
sioni pjutloslo di riconoscenza che di cortesia ; fece sparger la voce , -
che la sua casa sarebbe aperta a chiunque ci si volesse rifugiare , e
pensò subito a mettere, non solo questa, ma anche la valle, in istalo
di difesa , se mai lanzichenecchi 0 cappelletti volessero provarsi di
venirci a far delle loro. Radunò i servitori che gli eran rimasti , po-
chi e valenti, come i versi di Torti; fece loro una parlala sulla buona
occasione che Dio dava a loro e a lui, d'impiegarsi una volta in aiuto
del im)s«mo , che avevan lanlo oppresso e spaventato ; e , con quel
tono naturale di comando, ch'esprimeva la certezza dell'ubbidienza,
amianziò loro in generale ciò che intendeva che facessero, e soprat-
tutto prescrisse come dovessero contenersi, perchè la gente che veniva
a ricoverarsi lassù, non vedesse in loro che amici e difensori. Fece poi
portar giù da una stanza a l^to l'armi da fuoco, da taglio, in asta, che
da un pezzo stavan li ammucchiate , e gliele distribuì ; fece dire a'
suoi contadini e afQttuari della valle, che chiunque si sentiva, venisse
eoa armi ^ castello ; a chi non n' aveva, ne diede ; scelse alcuni, che
fossero come utìziali, e avessero altri sotto il loro comando ; assegnò
ì poeti all'entrature e ia altri luf^i della valle, sulla salita, alle porte
del castello; slabili l'ore e i modi di dar la mula, come in .un caqqto.
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a«S 1 PHOHESSl SPOSI
0 come già o' era costumalo ia quel castello medesioM, ne' tonpi ddb
sua vila disperata.
In un canto di quella stanza a tetto, e' enino in disparte l'armi che
lui solo aveva portate; quella sua famosa carabiDa, mosclielli, spade,
spadoni, pistole, coltellacci, pugnali, per (eri-a, o appi^giali al muro.
Nessuno d^ servitori le toccò ; ma concertarono dì domandare al
padrone quali voleva che gli fossero portale. « Nessuna, » rispose:
e , fosse voto , fosse proposito , restò sempre disarmato , alla testa dì
quella specie di guarnigione.
Nello stesso tempo, aveva messo in moto altr* uomini e donne di
^rvizio, o suoi dipendenti, a pi'eparar net castello alleggio a quante
più persone fosse possibile, a rizzar letti , a disporre sacconi e slni-
punli nelle stanze, nelle sale, che divenlavan dormitòri. E aveva dato
ordine di far venire provvisioni abbondanti , per is|)esare gli ospiti
ette Dio gli manderebbe, e i quali infatti andavan crescendo di giorno in
giorno. Lui intanto non ìslava mai fermo; dentro e fuori del caslello,
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CAPITOLO XXIX. MV
SU e giù per la salila, in giro per la valle, a slabilire, a rinforzare, a vi-
silar posti, a vedere, a farsi vedere, a mettere e a tenere in regola, con
le parole, con gli occhi, con la presenza. In casa, per la strada, faceva ac-
coglienza a quelli che arrivavano; e tutti, o lo avessero già visto, o lo
vedessero per la prima volta, lo guardavano estatici, dimenticando un
inomenlo i guai e i timori che gli avevano spinti lassù; e si voltavano
ancora a guardarlo, quando, staccatosi da loro, seguitava la sua strada.
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CAPITOLO XXX.
lantunque il concorso maggiore non Tosse
dalla parte per cui i nostri tre ruotivi
s' avvicinavano alia valle, ma ali' imbocc»-
lura opposta, con lutto ciò, coraindarono
a trovar compagni di viaggio e di sventu-
ra, che da traverse e viottole erano sboc-
cati 0 sboccavano nella strada. In circo-
stanze simili, tutti quelli che s' incontrano,
è come se si conoscessero. Ogni volta die
il baroccio aveva raggiunto qualdic pe-
done, si barattavan domande e risposte. Chi era scappalo, come i
nostri, senza aspellar l'arrivo de' soldati; dii aveva sentili i lamburì
o le trombe; chi gli aveva visti coloro ,e li dipingeva come gli spa-
ventati sogiion dipingere.
1 Siamo ancora rortimali, « dicevan le due donne: » ringraziamo^
il cielo. Vada la roba ; ma almeno siamo in salvo. »
Ma don Abbondio non trovava che ci fosse tanto da rallegrane '•
anzi quel concorso, e più ancora il ma^^ore che sentiva esserci
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CAPITOLO XXX. iios
dall'altra parte , cominciava a dargli ombra. « Oh die storia! » bor-
bottava alle donne, in un momenlo che non c'era nessuno d'intorno:
u oh che storia! Non capite, che radunarsi (anta gente in un luogo
è lo stesso che volerci tirare i soldati per forza? Tutti nascondono ,
tutti portan via; nelle case non resta nulla; crederanno che lassù ci
siano tesori. Ci vengono «curo. Oh povero me ! dove mi sono im-
barcalo! »
« Oh! voglion far altro che venir lassù," diceva Perpetua; «aii-
die loro devono andar per la loro strada. E poi , io ho sempre sen-
ato dire che , ne' pericoli , è meglio essere in molti. «
« In m<dti? in molti? » replicava don Abbondio: « povera donna!
Non sapete che t^i lanzichenecco ne mangia cento di costoro ? E
poi , se volessero far delle pazzie , sarebbe un bel gusto, eh? di tro-
varsi in una battaglia. Oh povero me! Era meno male andar su per
i monti. Che abbian tutti a voler cacciarsi in un luogo ! . . . Seccatori ! »
borbottava poi , a voce più bassa : « tutti qui : e via , e via , e via ;
l'uno dietro l'altro, come pecore senza ragione. "
« A questo modo , » disse Agnese , u anche loro potrebbero dir
lo stesso di noi. n
u Chetatevi un po',» disse don Abbondio: « che già le chiacchiere
non servono a nulla. Quel cb' è fatto è fatto: ci siamo, bisogna starci.
Sarà quel che vorrii la Provvidenza: il cielo ce la mandi buona.»
Ma fu ben peggio quando, all' entrala della valle, vide un buon po-
sto d'armati, parte sull'usdo d'una casa,eparle nelle stanze terrene:
pareva una caserma. Li guardò con la coda dell' ocdiio : non eran
quelle (acce che gli era toccato a vedere nell'altra dolorosa sua glia, o
se ce n' era di quelle, erano ben cambiate ; ma con lutto ciò, non si può
dire che noia gli desse quella vista. — Ob povero me! — pensava:
— ecco se le fanno le pazzie. Già non poteva essere altrimenti : me
lo sarei dovuto aspettare da un uomo di quella qualità. Ma cosa vuol
fore? vuol far la guerra? vuol fare il re, lui? Oh povero me! In dr-
oostanze clie si vorrebbe potersi nasconder sotto terra, e costui cerca
Cffii maniera di farsi scorgere, dì dar nell' occhio ; par che li voglia
invitare! —
u Vede ora, signor padrone, i gli disse Perpetua , « se e' è della
brava gente qui , che ci saprà difendere. Vengano ora ì soldati :
qui non sono come que' nostri spauriti , che non son buoni che a
menar le gambe. »
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a I PROIIESSI SPOSI
1 Zitta! " rispose, con voce tiassa nta iraconda, don Altliondio:
« zìMa ! che non sapete quel clic \ì dite. Progale il ciclo die abbian
rrella j soldati, o che non \'cngano a sapere le cose che sì Tanno qui,
e che si mette all'ordine questo luogo come una Tortezza. Non sapete
che i soldati é il loro mestiere di prender le fortezze? Non eercan
allro; per loro, dare un assalto è come andare a nozze; perché tulio
quel ohe trovano e per loro, e passano la gente a fll di spada. (Mi
posero me! Basta, Vedrò se e! sarà maniera di mettersi in salvo su
per queste balze. In una battaglia non mi ci colgono: oh! in una
battaglia non mi ci colgono, n
X Se ha poi paura anche d'esser difeso e aiutalo... » ricominciava
Perpetua; ma don Abbondio l'interruppe aspramente, sempre però
a voce bassa: «zitta! E badale bene di non riportare questi discorsi.
Ricordatevi che qui bisogna far sempre viso ridente, e approvare
(litio quello che si vede. »
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CAPITOLO XXX. fH
Alla Malanotle, trovarono un altro picch<:Uo d'armati, ai quali
don Abbondio /eoo una scappellala, dicendo intanto tra sé: — obi-
Riè, ohimè: son proprio vernilo in un accampamento! — Qui il ba-
roccio si fcmiò; ne scesero; don Abbondio pagò in fretta, e licenziò
il condottiere; e s'incamminò con le due cORi|>agne )>er la salila,
senza Tar parola. La visla di qua' liioglii gli andava risvegliando nella
fantasia, e mescolando all'angosce presenti, la rimembranza dì quelle
che vi Bvtiva sofTerte l'altra volta. E Agnese, la quale non gli aveva
mai visti que' luoghi, e se n' era fatta in mente una pittura fanta-
stica che le si rappresentava <^ni volta che pensava' al viai^io spa-
ventoso di Lucia , vedendoli ora quali eran davvero , provava come
un nuovo e più ^ivo scotimento di quelle crudeli memorie. « Oh si-
gnor curato! » esclamò: « a pensare che la mia povera Lucia è pas-
sata per questa strada! »
« Volete slare zitta? donna senza giudizio! •• ic gridò in un orec-
chio don Abbondio: « son discorsi codesti da farsi qui? Non sapete
che siamo in casa sua? Fortuna che ora nessun vi sente; ma se par-
lale in questa maniera. ..."
« Oh! » disse Agnese: » ora che è santo...! »
u Slate zitta, n le replicò don AUwndio: » credete voi che ai
santi si possa dire, senza riguardo, lutto ciò che passa per la men-
te? Pensate piuttosto a ringraziarlo del bene che v'ha fatto, n
u Oh! per questo, ci avevo già pensato: che crede che non le sa)>-
pia un pochino le creanze? »
u La creanza é di non dir le cose che posson dispiacere, special-
mente a chi non è avveezo a sentirne. E intendetela bene tutt'e due,
che qui non è luogo da far pettegolezzi, e da dir tutto quello che vi può
venire in testa. È casa d'un gran signore, già lo sapete: vedete che
compagnia c'è d'intorno: ci vien gente di tutte le sorte ; sicché ,
giudìzio, se potete: pesar le parole, e soprattutto dirne podie, e solo
quando e' è necessità : che a slare zitti non si sbaglia mai. "
u Fa peggio lei con tutte codeste sue... » riprendeva Perpetua.
Ma: «zitta! « gridò sottovoce don Abbondio, e insieme si levò il
cappello in fretta, e fece un profondo iiichino: che, guardando in
su , aveva visto l' innominalo scender verso di loro. Anche questo
aveva visto e riconosciuto don Abbondio; e alTretlava il passo per
andargli incontro.
« Signor curato, » disse, quando ^gli fu vicino, << avrei voluto
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STS I PROMESSI SPOSI
ofTrirte ta mia casa in miglior occasionei ma, a ogni modo, sod ben
conlento di poterle esser utile in qualche cosa. "
u Confidalo nella gran bontà di vossignoria illustrissima, » rispose
don Abbondio, u mi son preso l'ardire di venire, in queste triste
cii'coslanzc, a incomodarla: e, come vede vossignoria illustrìssima, mi
6on preso anche la liberlit di menar compagnia. Questa è la mia go-
vernante ..."
u Benvenuta, " disse l'innominato.
u E questa, » continuò don Abbondio, u è una donna a cui vos-
signoria ha già fatto del bene: la madre di quella ... dì quella ...»
■ Di Lucia, n disse Agnese.
u Di Lucia! " esclamò l'innominato, voltandosi, con la lesta bassa,
ad Agnese. « Del bene, io! Dio immortale! Voi, mi fate dd bene, a
venir qui , . . da me . . . in questa casa. Siate la benvenuta. Voi ci
portale la benedizione. »
« Oh giusto!» disse Agnese: « vengo a incomodarla. Anzi," con-
tinuò, avvicinandosegli all'orecchio, " ho anche a ringraziarla, . . "
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CAPITOLO XXX. ITS
L'innominato troncò qoelle parole, domandando premurosamente
le nuove dì Lucia; e sapule che 1' ebbe, si voltò per accompagnare al
castello i nuovi ospiti, come fece, malgrado la loro resistenza cerimo-
niosa. Agnese diede al curato un' occhiata che voleva dire : veda un
poco se e' è bisogno che lei entri di mezzo tra' noi due a dar pareri.
" Sono arrivati alia sua parrocchia? » gli domandò l'ianomìnalo.
« No, signore, che non gli ho voluti aspettare que' diavoli, » ri-
spose don Abbondio. « Sa il cielo se avrei potuto uscir vivo dalle loro
mani, e venire a incomodare vossignorìa illustrìssima. »
« Bene, si faccia coraggio, » riprese l' innominato: «che ora è in
sicuro. Quassù non verranno; e se si volessero provare, slam pronti
a riceverli. »
u Speriamo che non vengano," disse don Abbondio, u E sento, t
soggiunse, accennando col dito i monti che chiudevano la valle di
rìmpetto, u sento che, anche da quella parte, giri un'altra masnada
di gente, ma.. . ma . . . »
» É vero , » rispose l' innominalo : " ma non dubifi , che siam
pronti anche per loro. »
— Tra due fuochi, — diceva tra sé don Abbondio: — proprio
Ira due fiioclii. Dove mi son lasciato tirare! e da due petlegtJe! E
costui par proprio che ci sguazzi dentro! Oh che gente c'è a questo
mondo! —
Entrati nel castello, il signore fece condurre Agnese e Perpetua in
una stanza del quartiere assegnato alle donne , che occupava tre lati
del secondo cortile, nella parte posteriore dell' edifizio situata sur un
masso sporgente e isolalo, a cavaliere a un precipìzio. Gli uomini al-
leviavano ne' lati dell'altro cortile a destra e a sinistra, e in quello
che rispondeva sulla spianala. Il corpo dì mezzo, die separava i due
cortili , e dava passaggio dall' uno all' altro , per un vasto andito di
rìmpetto alla parta prìncipale , era in parie occupalo dalle provvi-
sioni, e in parie doveva servir di dept)sito per la roba che i rifugiati
volessero mettere in salvo lassù. Nel quartiere degli uomini, c'erano
alcune camere destinate agli ecciesiaslii-i , che potessero capitare. L'in-
nominato v'accompagnò in persona don Abbondio, che fu il primo a
prenderne il possesso.
Ventitré o ventiquattro giorni stettero i nostri fuggitivi nel castello,
in mezzo a un movimento continuo, in una gran compagnia, e che
ne' primi tempi, andò s«npre crescendo; ma senza che accadesse nulla
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Bit I PBOSIESSI SPOSI
di straordinario. Non passò forse giorno, die non si desse gjl'arnii.
Vengon lanzichuiecclii di qua; si son veduti cappelleKi di là. A.opni
avviso, l' innominato mandava uomini a esplorare; e, se faceva ti>iso-
gno, ]>rendeva con sé della genie die tene\'a sempre pronta a dò, e
andava con essa fuor ddla valle, dalla parie dov' era indicato il peri-
colo. Ed era cosa singolare, vedere una schiera d' uomini armati da
capo a piedi, e schierali come una truppa, condotti da un uomo seii<
e' armi. Le più volte non erano che foraggieri e sacdicggialori sban-
dati, che se n'andavano prima d'esser sorpresi. Ma una volta, cac-
dando alcuni di costoro, per insegnar loro a non venir più da quelle
parli, l'innominato ricevette avviso che un paesello vicino era invaso
e messo a sacco. Erano lanzichenecchi di vari corpi ctie, rimasti in*
dietro per rubare, s'eran riuniti, e andavano a gettarsi all'improv-
viso sulle terre vicine a quelle dove alloggiava l'eserdlo; spogliavano
gli abitanti, e gliene facevan di tulle le sorte. L' innominato fece un
breve discorso a' suoi uomini, e li condusse al paesello.
Arrivarono inaspettati. I ribaldi die avevan credulo di non andar
che alla pi'eda, vedendosi venire addosso gente schierata e pronta a
combattere , lasciarono il saccheggio a mezzo , e se ii' andarono in
fretta, senz'aspettarsi l'uno con l'altro, dalla parte dond'eran venuti.
L' innominalo gì' insegui per un pezzo di sliada; poi, fatto far t^lo,
stelle qualche tempo aspettando , se vedesse qualche novità ; e lìnal-
inenle se ne ritornò. E ripassando nel paesello salvato , non si po-
trebbe dire con (|uali applausi e benedizioni fosse accompagnato il
drappello liberatore e Ìl condottiero.
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXX. BT>
^'el castello, Ira quella mollitudine, formala a caso, di persone,
varie di coodizione, dì costumi, di sesso e d'età, non nacque mai
alcun disordine d'importanza. L'innominato aveva messe guardie ia
diversi luoglii, le quali tutte invigilavano che non seguisse nessun in-
conveniente, con quella premura che ognuno metteva nelle cose di
cui s'avesse a rendergli conto.
Aveva poi pregali gli ecclesiastici, e gli uomini più autorevoli die
si trovavan trai ricoverati, d'andare in giro e d'invigilare anche loro.
E più spesso che poteva, girava anche lui, e si faceva veder per lutto;
ma, anche in sua assenza, il ricordarsi di chi s'era in casa, serviva
di (reno a chi ne potesse aver bisogno. E, del resto, era tutta gente
scappala, e quindi inclinata in generale alla quiete: i pensieri della
casa e della roba, per alcuni anche di congiunti o d'amici rimasti nel
pericolo, le nuove cite venivan di fuori, abbattendo gli animi, man-
tenevano e accrescevano sempre più quella disposizione.
C era però anche de' capi scarichi, degli uomini d'una tempra più
salda e d'un coraggio più verde, che cercavano di passar que' giorni
in allegria. Avevano abbandonate le loro case, per non esser forti ab-
bastanza da difenderle; ma non trovavan gusto a piangere e a sospi-
rare sur una cosa che non c'era rimedio, né a figurarsi e a contem-
plar con la fantasia il guasto che vedrebbero pur troppo co' loro occhi.
Fami^ie amiche erano andate di conserva, o s'eran ritrovate lassù,
s'eran falle amicizie nuove; e la folla s'era divisa in crocchi, secondo
gli lunori e l'abìludinì. Chi aveva danari e discrezione, andava a de-
sinare giù nella valle, dove in quella cà'costanza, s'eran rizzate in
fretta osterie: in alcune, i bocconi erano alternati co' sospiri, e non
era lecito parlar d'altro chedi sciagure: in altre, non si rammentavan
le sciagure, se non per dire che non bisognava pensarci. A chi non
poteva 0 non voleva farsi le spese, si distribuiva nri castello pane,
minestra e vino: oltre alcune favole ch'eran servite ogni giorno, per
quelli che il padrone vi aveva espressamente invitali; e i nostri eran
di questo, numero.
Agnese e Perpetua, per non maagiare.il pane a ufo, aveyan vo-
luto essere impiegate ne' servizi che richiedeva una così grande ospi-
talità; e in questo spendevano una buona parte della giornata; tt
resto nel diiaccliierare con certe amiche che s'eran fatte, o col po-
vero don Abbondio. Questo non aveva nulla da fare, ma non s'an-
noiava pci-ò; la paura gli teneVa compagnia. La paura proprio d'uo
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STB I PROMESSI SPOSI
assalto, credo die la gii fosse passata, o se pur gliene rimaneva, era
quella che gli dava meno fastidio; perché, pensandoci appena appena,
doveva capire quanto poco fosse fondata. Ma l'immagine del paese
circonvicino inondato, da una parte e dall'altra, da soldataeci, le armi
e gli armati che vedeva sem|>rc in giro, un castello, quel castello, il
pensiero di tante cose che potevan nascere ogni momento in tali circo-
stanse, tutto gli teneva addosso uno spavento indistinto, generale, con-
tinuo; lasciando stare il rodio che gli dava il pensare alla sua povera
casa. In tulio il tempo che stette in quell'agio, non se ne discosto ntu
quanto un tiro di schioppo, né mai mise piede sulla discesa: l'unica
sua iKisseggiala era d'uscire sulla spianata, e d'andare, quando da una
parte e quando dall'altra del castello, a guardar giù per le balze e |>er
i burroni, per isludiare se ci fosse qualche passo un po' praticabile.
qualche po' di sentiero, per dove andar cercando un nascondiglio in
caso d' un serra serra. A lutti i suoi compagni di rifugio faceva gran
riverenze o gran saluti, ma bazzicava con pochissimi: la sua convep
sazione più frequente era con le due donne, come abbiam detto;
con loro andava a fare i suoi sfoghi, a rischio che talvolta gli fosse
dato sulla voce da Perpetua, e che Io svergognasse anche Agnese. A
tavola poi, dove slava poco e parlava pochissiipo, sviliva le nuove
del terribile passaggio, le quali arrivavano ogni giorno, o di paese
in paese e di bocca in bocca, o portate lassù da qualcheduno, che
da principio aveva voluto restarsene a casa, e scappava in ullimo,
senza aver potuto salvar nulla, e a un biseco anche malconcio: e
ogni giorno c'era qualche nuova storia di sciagura. Alcuni, novellisli
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CAPIT<H.O WX. STI
dì professione, raeco^ievan diligentemente tutte le voci, abburaUa-
van latte le relazioni, e ne davan poi il Hore agii altri. Si dispulava
quali Tossero i ref^menti più indiavolali, se fosse peggio la fanleria o
la cavalleria; sì ripetevano, il meglio die si poteva, certi nomi di cod-
dottieri; d'alenai si racconlavan l'imprese passale, si speciQcavano
le stazioni e le marce: quel giorno, il tale reggimento si spandeva
ne' bdi paesi, domani anderebl>e adiiMS» ai tali ^tri, dove intanto
il tal altro faceva il diavolo e p^ggi«. Sopra tutto si cercava d'aver
informazione, e si teneva II conto de' reggimenti elie pitssavan di
mano in mano il ponte di Lecco, perdiè quelli si potevano conside-
rar come andati, e fuori veramente do) paese. Passano i cavalli di
Wallenstein , passano i fanti di Merode, lassano i cavalli di Anhalt,
passano i fanti di Brandebui^o , e poi ì cavalli di Monteeuccoli , e
poi quelli di Ferrari; passa Altringer, passa Furslcnberg, passa Col-
loredo; passano ì Croati, passa Torquato Conti, passano altri e altri;
quando piacque al cielo, passò anche Galasso, clie fu 1' ultimo. Lo
squadron volanle de' veneziani finì d' allonlanarsi, e lutto il paese,
a destra e a sinistra, si trovò libero anch' esso. Già quelli delle terre
invase e sgombrale le piume, eran parliti dui castello; e ogni giorno
ne i>artiva: come, dopo un temporale d'autunno, si vede dai paleliì
fronzuti d'un grand' albero uacìre da ogni parie gli uccelli che ci
8* erano riparati. Credo che i nostri tre fossero gli ultimi ad andar-
sene; e ciò per volere di don Abbondio, il quale temeva, se si tor-
nasse subito a casa, di trovare ancora in giro lanzichenecchi rimasti
indietro sbrancati , in coda all' esercilo. Perpelua ebbe un t>el dire
die, quanto più s' indugiava, tanto più si dava agio ai birboni
del paese d'entrare in casa a porlW via il resto; quando si Irallava
d* assicurar la pelle , era sempre don Abbondio che la vinceva ;
meno che 1' imminenza del perìcolo non gli avesse fallo perdere
afbtto la testa.
Il giorno (issato per la partenza, l'innominato fece trovar pronla
alla Malanotle una carrozza , nella quale aveva già fallo mettere un
corredo di biancheria per Agnese. E tiratala in disparte, le fece an-
che accettare un gruppetto di scudi, per riparare al guasto die tro-
verebbe in casa; quantunque, battendo Ja mano sul iwlto, essa an-
dasse ripetendo che ne aveva li ancora de' vecdii.
« Quando vedrete quella vostra buona , povera Luda ...» le
diwe in ultimo: « già son cerio die prega per me, poiché le ho fatlo
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Kit I PHOIIESSI SPOSI.
Iwilo nialc : ditele adunqae di' io la ringraiio, e ooslìdo in Dìo, dw
hi stia preghiera tornerà anche in lauta benedizione per lei. >>
Volte poi accoaipagnar tutti e tre gli ospiti, fino (dia earrozsa. 1
ringraziamenti umili e sviscerati di don Abbondio e i coiUfSiinenti di
Perpetua , se gì' iuimagìni il lettore. Partirono ; fecero, s^cmdo il fis-
salo , una Temiatina, ma senza neppnr mettersi a sedere , nella ea»
del sarto , dove sentirono raccontar cento cose del passaggio : la so-
lila storia di ruberie, di percosse, di sperpero , di spordiizie : ma li ,
per buona sorte, non s'eran visti laiizicbenecehi.
u Ah signor curalo ! » disse il sarto, dandogli dì braccio a riiuon-
(are in carrozza : « b' ha du Tar de' libri in istampa, sopra un fracasso
di «pH-sla sorlr. »
Do|>o un' altra po' di strada, cominciarono i nostri viaf^ialori a
veder co' loro occhi qualclie cosa di quello che avcvan tanto sentilo
descrìva-e: vigne spogliate, non come dalla vendemmia, ma come-
dalia grandine e dalla bufera che fossero venute in compagnia : tralci
a terra, sfrondali e scompigliali; strappati i pali, calpestato il terreno, e
sparso di scliegge, di foglie, di sterpi; scliianlali, scapeuati gli alberi;
sforacchiate le siepi; i oancolli portoti via. Ne' paesi poi, usci sfondali.
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CAPITOLO XXX. sin
ìmpannale Iscere, rodami d'ogni sorte, cenci a mucclti , o seminali
per le strade; un'aria pesante, zaffate di puzzo più forte clic uscivan
dalle casella gente, chi a buttar fuori porclierie, dii a raceomodar le
irhpoBle alla inolio, chi in croceliio a lamentarsi insieme ; e, al pas-
sar delta carrozza, mani di qua e di là lese agli sportelli, per chieder
r demoBÌna.
' Con queste immagini, ora davanti agli ocelli, ora nella mente, e
eoli l'aspettativa <£ trovare altKlIanto a casa loro, ci arrivarono; e
trovarono infatti quello che s' aspettavano.
A^ese lece posare i fagotti ìn un canto del cortiletto , eli' era ri-
maslo il luogo più palilo della casa;si mise poi a spazzarla, a l'acco-
gliere e a rigovernare quella poca roba che le avevan lasciala; fece
venire un legnaiolo e un fabbro, per riparare i guasti più grossi, e
guardando poi, capo per ca|K>, la biancheria regalata, e contando quo'
nuovi ruspi , diceva Ira sé : — soii eadula in piedi ; sia ringrazialo
Iddio e la Madonna e quel buon signore: posso pioprio dii-c d'isser
eadula in piedi. " —
Don Abbondio e Perpetua entrano in casa, senza aiuto di chia\'i ;
ogni passo che fanno nell'andito, senlon crescere un tanfo, un veleno,
una peste, che li respìnge indietro ; con la mano al naso , \'anno al-
l'uscio di cucina; entrano in punta di piedi, studiando dove metterli,
per iscansar |>iù che possono la porcheria die eopre il pavimento ; e
danno un'occhiata in giro. Non c'era nulla d'intero; ma avanzi e
frammenti di quel ciie e' era slato, li e altrove, se ne vedeva in <^iii
canto : piume e penne delle galline di Perpetua, pezzi dì biancbcrìa,
fogli de' calendari di don Abbondio , cocci di pentole e di piatti ;
tulio insieme o sparpaglialo. Solo nel focolare si potevan vedere ì
segni d'un vasto saccheggio accozzali insieme, come molte idee sot-
tintese, in un periodo sleso da un uomo di garbo. C'era, dico, un
rimasuglio di lizzi e tizzoni spenti, i quali mostravano d' essere slati,
un bracciolo di seggiola, nn piede di tavola, imo sportello d'armadio,
una panca di letto, una doga ddla botlìdna, dove ci stava il vino che
rimeUeva io stomaco a don Abbondio. Il resto era cenere e carboni ;
e con que' carboni stessi, i guastatori, per ristoro, avevano scaraboe-
diiali i mini di figuracce , ingegnandosi , con certe l>errelline o eon
certe olierìebe, e con certe larghe facciole, di fome de' preli, e mct-
teoda studio a farli orribili e ridicoli: intento che, per verità, noa
poteva andar fillilo a. tali artisti.
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»0 1 PROUCSSI SPOSI.
« Ah porci [ » esclamò Perpetua. « Ali baroni ! » esdainò doa Ab-
liondio; e, come scappando, andaron fuori, per un allr* uscio cfae
metteva nell'orto. Respirarono; andaron diviato al fico; ma già prima
d'arrivarci, videro la terra smossa, e misero un grido tutt'edue io*
siéme; arrivali, trovarono elTellivamenlc, in vece del morto, la bnea
aperta. Qui nacquero de' guai : don Abbondio cominciò a prendersela
con Perpetua , che non avesse nascosto bene -. pensate se questa ri-
mase zitta: dopo eh' ebbero ben gridalo , luti' e due col braccio, teso^
I e con l'indice appuntalo verso la buca , se ne tornarono iotòone,
brontolando. E fate conto che per tutto Irovarono a un di pressa la
medesima cosa. Penarono non so quanto , a Tar ripulire e smorliare
la casa, tanto più che, in que' giorni , era difficile trovar aiolo; e
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CAPITOLO XXX. IBI
iHMi éo quanto dovettero slare come accampali , acoomodandosi alla
mef^io, 0 alta peggio, e rifacendo a poco a poco usci, mobili, uten-
nlì, con danari prestati da Agnese.
Per giunta poi , quel disastro fu una semenza d" altre questioni
molto noiose; perché Perpetua, a forza dì chiedere e domandare, di
spiare e llutare , venne a saper di certo che alcune masserine del suo
padrone, credute preda o strazio de' soldaU , erano in vece sane e
salve in easa di genie del paese; e tempestava il padrone che si fa'-
cesse sentire, e richiedesse il suo. Tasto più odioso non si poteva
biccare per don Ablwndio; giacdiè la sua roba era in mano di bìr*
bonìrCioé di quella spede di persone con eul^i premeva. più di stare
in pace.
u Ma se- non ne voglio saper nulla di queste cose, » dieeval « Quante
volle ve \o devo ripetere, che quel che è andàtoèandato? Ho da es-
ser messo anche in croce, perchè m' è slata spc^liata la ca^? ».
" Se lo dico, n rispondeva Perpetua, u che lei sì lascerebbe cavar
gli occhi di lesla. Rubare ^li altri è peccalo, ma a lei, e peccalo
non rubare. »
u Ma vedete se codesti sono spropositi da dirsi ! " replicava don
Abbondio : « ma volete slare zitta ? »
Perpetua si chetava, ma non subito subito; e prendeva pretesto
da tutto per riprincipiare. Tanto che il pover" uomo s' era ridotto a
.yGoògle
>RS I PROUESSI SPOSI.
non lamentarsi più, quando trovava mancante qualche cosa, ntA my-
mmitì che ne avrebbe avuto bisogno; perchè, più d'una volta, gli
era toccato a sentirsi dive: « vada a chiederlo al tale clie l'ha,^ noe
l'avrebbe tenuto fiito a quest'ora, se doo avesse che fare con un b«on
uomo. »
Un'altra e più viva inquietudine gli dava il sentire che {(iornai-
niente continuavano a passsu* soldati alla spicciolata, come aveva troppo
bene congetturalo; onde slava sempre in sospetto di vedersene capitar
qualcheduno o anche una compagnia sull' uscio, che aveva fallo rac-
comodare in fretta per la prima cosa, e che teneva chiuso con gran
cura; ma, per grazia del cielo, ciò non avvenne mai. Né però questi
terrori erano ancora cessati , che un nuovo ne sopraggiunse.
Ma qui lasceremo da parte il pover" uomo : si tratta ben d' altro
che di sue apprensioni privale, che de' guai d'alcuni paesi , che d' un
disastro pass^igiero.
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CAPITOLO XXXI.
I peste die il tribunale della sanità aveva
lemulo che potesse entrar con le bande ale^
nanne nel milaneee, e' era entrata davvero,
!Ome è noto; ed è noto parimente che nOH
li fermò qui, ma invase e spopolò una buona
larle d'Ilalia. Condotti dal filo della nostra
ttoria, noi passiamo a raeconlar t^i avveni-
nenti principali di quella calamità; nel mi-
anese , n' intende , anzi Ìq Milano quasi
Musivamente : che della città quasi esclu-
sivamente trattano le memorie del tempo, come a un di presso accade
sempre e per tulio, per buone e per cattive ragioni. E in questo rac-
conto, il nostro line non è, per dir la verità, sollanto di rappresentar lo
sialo delle cose nel quale verraimo a trovarsi i nostri personaggi; ma
di far conoscere insieme, per quanto si può in ristretto, e per quanto
si può da noi, un tratto di storia palria più famoso che conosciuto.
Delle molte relazioni contemporanee , non ce n'é alcuna die basti
da sé a dame un' idea un po' distinta e ordinala ; come non ce ii' è
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KB( I PROMESSI SPOSI.
alcuna che non possa aiutare a formarla. In ognuna di queste rda*
zioni, senza eceeltuarne quella del Ripamonti *, la quale le supera
tutte, per la quantità e per la scella de' fatti, e ancor più per il modo
d'osservarli, in ognuna sono omessi fatti essenziali, che son registrali
in altre; in ognuna ci sono errori materiali, che si posson riconoscere
e retliiìcare con l'aiuto di qualclie altra, o di que' pochi atti della pub-
blica autorità, edili e inedili , che rimangono; spesso in una si ven-
gonoatrovar le cagioni di cui nell'altra s'eran visti, come in aria, gli ef-
fetti. In tutte po^ regna una strana confusione di tempi e di cose; è un
continuo andare e venire, come alla ventura, senza disegno generale,
senza disegno ne' particolari : carattere, del resto, de' più comuni e de' più
apparenti ne' libri di quel tempo, principalmente in quelli scritti in
lingua volgare, almeno in Italia; se anche nel resto d'Europa, i dotti
lo sapranno, noi lo sospettiamo. Nessuno scrittore d'epoca posteriore
s'è proposto d'esaminare e di confrontare quelle memorie, per ri-
trarne una serie concatenata degli avvenimenti, una storia di quella
peste; sicché l'idea che se ne Ita generalmente, dev'essere, di ne-
cessitìi , molto incerta , e un po' confusd : un' idea indeterminata di
gran mali e di grand' errori (e per verità ci fu dell'uno e ddl' altro,
al di là di quel che si possa immaginare), un'idea composta più di
giudizi che di fatti, alcuni falli dispersi, non di rado scompagnati dalle
eircosianze più caratteristiclie , senza dislìnzion di tempo, cioè senta
intelligenza di causa e d'effetto, di corso, di progressione. Noi, esa-
minando e confrontando, con molta diligenza se non altro, tutte le
relazioni stampale, più d' una inedita, molli (in ragionedel poco clic
ne rimane) documenti, come dicono, ufizialt, abbiam cercato di fame
non già quel che si vorrebbe, ma qualche cosa che non è stalo ancor
fatto. Non infendiamo di riferire tutti gli atti pubblici , e nemmeno
lutti gli avvenimenti degni, in qualche modo, di memoria. Molto
meno pretendiamo di rendere inutile a chi voglia farsi un'idea più
Compita della cosa, la lettura delle relazioni originali: sentiamo troppo
die forza viva, propria e, per dir cosi, incomunicabile, ci sia sempre
netr opere di quel genere, comunque concepite e condotte. Solamente
abbiam tentato di distinguere e di verificare i falli più generali e più
importanti , di disporli nell' ordine reale della loro successione , per
* JoMphi Ripamotilli , canonici scnlensis , cbronlsltc urbis UcilloUnl , De pcsle
4|un Tuil anno le», Libri V. HedioUni, ISIO, apud Hiloleslu.
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CAPITOLO XXXI. MV
quanto lo comporli la ragione e la natura d'essi, d'osservare lu loro
efficienza reciproca, e di dar cosi , per ora e finché qualcliedun altro
non faccia meglio, una notizia succinta, ma sincera «continuala, di
quel disastro.
Per tutta adunque la striscia di territorio pei'corsa dall' esercito ,
s'era trovato qualche cadavere nelle case, qualcheduno sulla strada.
Poco dopo, in questo e in quel paese, cominciarono ad ammalami,
a morire, persone, famiglie, di mali violenti, strani, con segni sco-
nosciuti alla pia parte de' viventi. C'era soltanto alcuni a cui non
riuscissero nuovi : que' pochi clie potessero ricordarsi della peste che,
cinquanlatrè anni avanti, aveva desolata pure una buona jKirte d'I-
talia, e in ispede il milanese, dove fu cliiamala,ed èlultora, la pe-
ste di san Carlo. Tanto è forte la carità ! Tra le memorie cosi \'arie e
cosi solenni d' un infortunio generale, può essa far primeggiare quella
d'un uomo, perchè a quest'uomo ha ispiralo sentimenti e azioni più
memorabili ancora de' mali ; stamparlo nelle menti , come un sunto
di tutti que' guai, perché in tutti l'ha spìnto e ìnlromesso, guida,
soccorso, esempio, vittima volontaria; d'una calamità per lulti, far
per quest'uomo come un'impresa; nominarla da lui, come una con-
quista, 0 una scopCrla.
Il prol<^sico Lodovico Sellala, die, non solo aveva veduta quella
peste, ma n'era stato uno de' più aitivi e intrepidi, e, quantunque
allor giovinissìmo, de' più riputati curatori; e che ora, in gran so-
spetto dì questa, slava all'erta e sull'informazioni, riferì, il 90d'ot<
tobre, nel tribunale della sanità, come, nella terra di Cliiuso (l'ulti-
ma del territorio di Lecco, e confinante col bergamasco), era scoppialo
indubitabilmente il contagio. Non fu per questo presa veruna risolu*
zione, come si ha d^ Raggua^^io del Tadino <.
Ed ecco sopraggiungere avvisi somiglianti da Lecco e da Bellano.
Il tribunale allora si risolvette e si conlenló dì spedire un commissa-
rio che , strada facendo , prendesse un medico a Como, e si portasse
con lui a vistare i luoghi indicati. Tiitt' e due, » o per ignoranza o
« per altro, si lasciorno persuadere da un \'eccliìo et ignorante bar-
u biero dì Odiano, che quella sorte de mali non era Peste; ' » ma,
in alcuni luoghi, effetto consueto dell' emanazioni autunnali delle pa-
ludi, e negli altri, effetto de' disagi e degli strapazzi sofferti , nel
I Puf. ti. . I Tadino , ivi.
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ut I PROMESSI SPOSI.
passaggio degli alemanni. Una tale assicurazione fu riportala al tribu-
nale, il quale |)are che iie mettesse il cuore in pace.
' Ma arrivando senza posa altre e aiirc notizie di morie da diverse
parti, furono spedili due delegali a vederee a provvedere: il Tadino
suddetto, e un auditore del tribunale. Quando questi giunsero, il
male s'era già lauto dilatato, che le prove si offrivano, senza che
bisognasse andarne in cerca. Scorsero il lerrìlom di Lecco , la Val-
sassina, le coste del lago di Como, i distretti denominati il Monte di
Briunza, e la Gera d'Adda; e per tutto trovarono paesi chiusi da can-
celli all'eiitraUire, allri quasi deserti, e gli abitanti scappali e atlendati
alla campagna, o dispersi; u et ci parevano, » dice il Tadino, " laute
X creature seluaticlie, portando in mano clii 1' herba menta, chi la
" rula, chi il rosmarino et chi una ampolla d' accio. » S' iaformarono
del numero de" morii : era spav enievole ; visilarono infermi e cadaveri,
e |)cr tulio trovarono le brutte e terribili marche della pestilenza.
Diedero subito , per Itltere , quelle sinistre nuove al tribunale della
Winilà, il quale, al riceverle, che fu il so d'ottobre, <> sì disi)0se,"
dice il medesimo Tadino , a prescriver le bullette , per chiuder fuori
dalla Città le persone provenienti da' paesi dove il contagio s' era
manifestalo; " et mentre si eompilaua la grida,» ne diede antieipata-
meule qualche ordine sommario a' gabellieri.
Intanlo i delegati presero in frcllauin furia quelle misure che par-
\er loro migliori ; e se ne tornarono , con la trista persuasione che
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CAPITOLO XXX.I. »ST
n<Mi sarebbero bastale a rimediare e a fermare an male già tanto
avanzato e difTuso.
Arrivali il 14 di novembre, dalo ragguaglio, a voce e di nuovo
in iscritto, al tribunale, ebbero da questo commissione di presentarsi
al governatore, e d' esporgli Io stalo delle cose. V'andarono, e ripor-
tarono: aver lui di tali nuove- provato molto dispiacere, mostratone
un, gran senlintenlo ; ina i pensieri della guerra esser più pressanti :
led belli graviorei esse curai. Così il Ripamonti , il quale aveva spo-
^iali i registri della Sanità, e conferito col Tadino, incaricalo spe-
cialmente della missione : era la seconda , se il lettore se ne ricorda ,
per quella causa, e con quell'esito. Due o tre giorni dopo, il 18 dì
novembre, emanò il governatore una grida , in cui ordinava pubMi-
che feste, per la nascila de) principe Carlo, primogenito del re Fi-
lippo IV , senza sospcHare o senza curare il pericolo d' un gran con-
corso, in tali circoslanze: lutto come in tempi ordinari, come se non
gli fosse stato parlato di nulla.
Era quest'uomo, come già s'è dello, il celebre Ambrogio Spinola,
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KB8 t PROyESSI SPOSI.
mandalo per raddirizzar quella guerra e riparare agli errori dì don
Gonzalo, e incidentemente, a governare; e noi pure possiamo qui
incidenlemenle rammentar cbe mori dopo pochi mesi, in quella stessa
guerra che gli. stava lanto a cuore; e morì, non già di ferite sul
t-ampo , ma in letto, d'affanno e di struggimento, per rimproveri,
torli, di^iisti d'ogni specie ricevuti da quelli a cui serviva. La
storia Ita deplorala la sua sorte, e biasimala l'altrui scMMScenza; Ita
descritte con molla diligenza le sue imprese militari e poiìticbe, lo-
dal» la sua previdenza, 1' attività, la costanza: poteva andie cercare
cos' abbi» fatto di tulle queste qualità, quando la peste minacciava,
invadeva una popolazione datagli in cura, o piuttosto in balìa.
'Ma ciò die , lasciando intero il biasimo , scema la maraviglia di
quella sua condotta, ciò che fa nascere un'altra e più forte maravi-
glia , è la condotta della popolazione medesima, di quella, voglio dirf,
die, non tocca ancora dal contagio, aveva tanta ragion di Innerio.
AII'arrì\o di quelle nuove de' paesi die n'erano cosi malamente im-
branati, di paesi che formano intorno alla città quasi un semidrcolo,
in alcuni punii distante da essa non più di diciotto o venti miglia;
chi non crederebbe che \ì sì suscitasse un movimento generale, un
desiderio di precauzioni bene o male intese, almeno una sterile in-
quietudine? Eppure, se in qualche cosa le memorie di quel tempo
vanno d'accordo, è nel!' attestare che non ne fu nulla. La penuria
dell'anno antecedente, le angherie della soldatesca, le afflizioni d'a-
nimo, parvero più die bastanti a render ragione della mortalità: sulle
piazze', nelle botteghe, nelle case, chi buttasse là una parola del pe-
ricolo, chi motivasse peste, veniva accolto con beffe incredule, con
disprezzo iracondo. La medesima misci-edenza , la medesima , per dir
meglio , cecità e fissazione prevaleva nei senato, nel Consiglio de' de-
curioni, in ogni magistrato.
Trovo die il cardinal Federigo , appena si riseppero i primi casi
di mal contagioso, prescrisse, con lettera pastorale a'parrodii, tra le
altre cose, che ammonissero più e più volte i popoli dell'importanza
e dell'obbligo stretto di rivelare ogni simile accidente, e di consonar
le robe infette o sospette * : e anche questa può essere contala Ira le
sue lodevoli singolarità.
* Vita ili FcdcriEo Borromeo , comiillalg d» Francesco Ait-oli. Milano , laae ,
|Mg. USI.
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CAPITOLO XXXl. ata
Il Iribunale della sanità chiedeva, implorava cooperazione, ma ol-
leneva poco o niente. E nel tribunale slesso, la premura era ben lon-
tana da uguagliare l'urgenza: erano, come ancrma più volte il Tadino,
e come appare ancor meglio da tutto il contesto della sua relazione ,
i due fisici che, persuasi della gravità e dell'imminenza del pericolo,
slimolavan quel corpo , il quale aveva poi a stimolare gli altri.
Abbiam già veduto come, al primo annunzio della peste, andasse
freddo nell' operare , anzi nell' informarsi : ecco ora un altro fatto di
lentezza non men portentosa, se però non era forzata, per ostacoli
frapposti da magistrati superiori. Quella grida per le bullette, risoluta
il SO d'ottobre, non fu stesa che il di ss del mese seguente, non
fu pubblicata che il 90. La peste era già entrata in Milano.
Il Tadino e il Ripamonti vollero notare il nome di chi ce la portò
il primo, e altre circostanze della persona e del caso: e infatti, nel-
l'osservare i prìncipi d'una vasta mortalità, in cui le vittime, non die
esser distinte per nome, appena si potranno indicare all' incirca, per
il numero delle migliaia, nasce una non so quale curiosità di cono-
scere que' primi e pochi nomi che poterono essere notati e conser-
vati: questa specie di distinzione, la precedenza neh' esterminio, par
che foccian trovare in essi, e nelle particolarità, per altro più indif- *
ferenti, qualche cosa di fotale e dì memorabile.
L' uno e 1' altro storico dicono che fu un 'soldato italiano al servi-
zio di Spagna; nel resto non sono ben d'accordo, neppur sul nome.
Fu, secondo il Tadino, un Pietro Antonio Lovato, di quartiere nel
territorio di Lecco; secondo il Ripamonti, un Pier Paolo Locati , di
quartiere a Chiavenna. Differiscono anche nel giorno della sua en-
trala in Milano: il primo' la mette al 3S d'ottobre, il secondo ad al-
trettanti del mese seguente: e non si può stare né all'uno né all'al-
tro. Tutt' e due V epoche sono in contraddizione con altre ben più
verificate. Eppure il Ripamonti, scrivendo per ordine del Consìglio
generale de' decurioni, doveva avere al suo comando molti mezzi di
prender l' informazioni necessarie; e il Tadino, per ragione del suo
impilo, poteva, meglio d'ogn' altro, essere informalo d'un fatto di
questo genere. Del resto, dal riscontro d'altre date che ci paiono,
come abbiam detto, più esatte, risulla che fu, prima della pubblica-
zione della grida sulle bullette; e, se ne mettesse conto, si potrelrfie
anche provare o quasi provare, che dovette essere ai primi di quel
mese; ma certo, il lettore ce ne dispensa.
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I PIIOMESSI SI>OSI.
Sia come si sia, cutró questo fante sventurato e porlator di svcn-
ttii'a, con un gran fagolto di vesti comprate o rubate a soldati
alemanni; andò a Termarsi in una casa di suoi parenti, nel borgo di
porta orientale, vicino ai cappuccini; appena arrivato, s'ammalò; fu
portalo allo spedale ; dove un bubbone che gli si scopri sotto un' a-
scella, mise chi lo curava in sospetto di ciò eh' era infatti; il quarta
giorno mori.
Il IrìlMinale della sanità fece segregare e sequestrare in casa la di
lui famiglia; i suoi vestiti e il letto in eui era slato allo ^[ledale, fu-
ron bruciati. Due serventi clie l'avevano avuto in cura, e un buon
frale che l'aveva assislilo, caddero anch'essi ammalati in pochi giorni,
tuli' e tre di peste. Il dubbio che in quel luogo s* era avuto , fin da
principio, della natura del male, e le cautele usale in conseguenta.
fecero si che il contagio non vi si propagasse di più.
Ma il soldato ne aveva lasciato di fuori un seminio che non lardò
a germogliare. Il primo a cui s' attaccò, fu il padrone della casa dove
quello aveva alloggiato, un Carlo Colonna sonator di liuto. AJlora tulli
i pigionali di quella casa furono , d' ordine della Sanità , condotti al
lazzeretto, dove la più parte s'ammalarono; alcuni morirono, dopo
poco tempo , di manifesto contagio.
Nella città, quello che già c'era slato disseminato da costoro, da' loro
panni, da' loro mobili trafugati da parenti, da pigionali, da persone
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXXI. «ei
<fi servìzio, alle rìcerclie e al fuoco pr^crillo dal tribunale, e di [lìi'i
quello che e' entrava dì nuovo, per l' ìmperfczion degli editli, per la
Irascuranza- nell' eseguirli , e per la destrezza nell' eluderli , andò co-
vando e serpendo lentamente, tutto il restante dell'anno, e ne' primi
mesi del suss^ueote 16S0. Di quando in quando, ora in questo,
ora in quel quarli«% , a qualeheduno s' attaccava , qualebeduno ne
nH>riva: e la radezza slessa de' casi allontanava il sospetto della ve-
rità, confermava sempre più il pubblico in quella stupida e micidiale
fiducia che non ci fosse peste , né ci fosse stala neppure un mo-
mento. Molti medici ancora, facendo eco alla voce del popolo (era,
anche in questo caso, voce di Dio?), deridevan gtì augùri sinistri,
gli avverlimenli minacciosi de' pochi; e avevaii pronti nomi di ma-
laltie comuni, per qualificare ogni caso di peste che fossero chia-
mali a eiu-are; cmi quahmque sintomo, mn qualunque segno fosse
comparso. «
Gli avvisi di questi accidenti, quando pur pervenivano alla Sanità,
ci per\'enÌvano- tardi per lo più e incerti. Il (errore della contumacia
e del Uzzeretlo aguzzava tutti gl'ingegni: non si denunziavan gli am-
malati, si corrompevano i becchini e i loro soprintendenti; da su-
balterni del tribunale stesso, deputali da esso a visitare i cadaveri,
s'ebbero, con danari, falsi attestati.
Siccome però, a ogni scoperta che gli riuscisse fare, il tribunale
ordinava di bruciar robe, metteva in sequestro case, mandava fami-
glie al lazzeretto, cosi é facile argomentare quanta dovesse essere
contro di esso l'ira e la mormorazione del pubblico, "della Nobiltà..
ddli Mercanti et della plebe,» dice il Tadino; persuasi, eom'eran tulli,
che fossero vessazioni senza motivo, e senza costrutto. L'odio prin-
cipale cadeva sui due medici; il suddetto Tadino, e Senatore Sellala,
tiglio del prololisieo: alai segno, che ormai non potevano attraversar
le piazze senza essere assalili da parolacce, quando non eran sassi.
G certo fu singolare, e merita che ne sia fatta memoria, la eondizÌ(H)e
in cui, per qualche mese, si trovaron quegli uomini, di veder venire
avanti un orribile flagello, d' aR'aticarsi in ogni maniera a stornarlo,
d' incontrare ostacoli dove cercavano aiuti , \'olontà , e d' essere in-
sieme bersaglio delle grida , avere il nome di nemici della patria :
pi-o patriiB hoalibus, dice il Ripamonti.
Di queir odio ne toccava una parte anche agli altri medici die,
convinti come loro, della realtà del contagio, suggerivano precauzioni,
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»D1 I PR0UES3I SPOSI.
cercavano di comunicare a tulli la loro dolorosa certezza. 1 più di-
screli li tacciavano dì credulilà e d" oslinaxtone : per lutti gji altri ,
era manifesto impostura , cabala ordita per far bottega sul pubblico
spavento.
Il prolofisico Lodovico Sellala , allora poco men che ottuagenario ,
stoto professore dì medicina all' università di Pavia, poi di filosofia
morale a Milano, autore di molte opere rìpulatissime allora, chiaro per
inviti a cattedre d' altre università, Ingolstodt, Pisa, Bologna, Padova,
e per il rifiuto dì lutti questi invili, era certamente uno degli uomini
più autorevoli del suo tempo. Alla riputazione della scienza s'aggiun-
geva quella della vita, e all' ammirazione la benevolenza , per )a
sua gran carila nel curare e nel beneficare i poveri. E, una cosa die
in noi turba e contrista il sentimento di stima ispirato da questi me-
riti, ma che allora doveva renderlo più generale e più forte, il po-
ver' uomo partecipava de' pregiudizi più comuni e più funesti de'
suoi contemporanei: era più avanti dì loro, ma senza allontanarsi
dalla schiera, che è quello che attira i guai, e fa molte volle perdere
l' autorità acquistoU in altre maniere. Eppure quella grandissima che
godeva, non solo non bastò a vincere, in questo caso, l'opinion di
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CAPITOLO XXXI. tot
quello die i poeti cliiamavai) volgo profano , e i capocODiici , rispel-
tabile pubblico; ma non potè salvarlo dall' aniiiiobilà e dagl' iiisulli dì
quella parie di esso, che corre più facilmente da' giudizi alle dinio-
slrasioiii e ai fatli.
Un giorno che andava in bussola a viaitare i suoi ammalali, prin-
cipiò a radiuiarglisi intorno gente, gridando esiger lui il capo di coloro
che volevano per forza che ci fosse la peste; lui die nielle^'a in isjui-
vento la città, con quel suo cipiglio, con quella sua barbacela: lutto
[KT dar da fare ai medici. La folla e il furore andavan crescendo i
i portantini, vedendo la mala parala, ricoverarono il padrone in una
casa d'amici, che per sorte era vicina. Questo gli tocco per aver
veduto chiaro, detto ciò che era, e voluto salvar dalla peste molle mi-
gliaia di persone: quando, con un s.uo deplorabile consulto, cooperò
a far torturare, tanagliare e bruciai-e, come strega, una povera inft;-
lice sventurata, perché il suo padrone pativa dolori strani di stomaco,
e un altro padrone di prima era stalo fortemente innamoralo di lei *,
* SIwia di Milano del Conle Pleiro Vei
; Milano IS9S, Tom. 4. pag. mi.
„GoogIe
itD4 I PROMESSI SPOSI
allora ne avrà avuta pnsao il pubblico nuova lode di sapiente e, ciò
die è intollerabile a pensve, nuovo titdo di benenento.
Ma sul Unire del mese di marzo, cominciarono, prima nel bwgo.
di porla orientale, poi in ogni quartina ddia città, a farsi frequenti
le malattie, le morti, con aecidenti strani di spasimi, di pdpitauoni,
di letargo, di delirio, con quelle insegne funeste di lividi e di bub-
boni; morti per lo più celeri, violente, non di rado repentine, senza
alcuB indizio antecedente di malattia. I medici opposti alla opinion
del contagio, non colendo ora confessare ciò che avevan deriso, e
dovendo pur dare un nome generico alla nuo^'a malattia, divenuta
troppo comune e troppo palese per andarne senza, trovarono quello
di febbri maligne, di febbri peslileali: miserabile transazione, anzi
Iriiffcria di parole, e che pur faceva gran danno; perchè, figurando
di rieonoseere la vcrìlà, riusciva ancora a non lasciar credere ciò che
più imporlava di credere, di vedere, che il male s'attaccava per mezzo
del conlatto. 1 magistrati, come chi si risente da un profondo sonno,
principiarono a dare un po' più orecchio agli avvisi, alle proposte della
Sanità, a far eseguire i suoi editti, i sequestri ordinali, le quarantene
prescritte da quel tribunale. Chiedeva esso di continuo anche danari
per supplire alle spese giornaliere, crescenli, del lazzeretto, di tanti
altri servizi'; e li chiedeva ai decurioni, intanto cbe fosse deciso (cbc
non fu, creda, mai, se non col fatto) se tali spese toccassero alla
città, o all'erario regio. Ai decurioni faceva pure istanza il gran can-
celliere, per ordine aiiclie ■jpi gnvpi-nairtpg ^ "h' pra andato di nuovo
a metter l'assedio a quel povero Gasale; faceva istanza il senato, per
che pensassero alla maniera di vettovagliar la città, prima che dila-
limdot'isi per isvenlura il contagio, le venisse negato pratica dagli
.illri paesi ; perchè trovassero il mezzo di mantenere una gran parie
della popolazione, a cui eran mancati i lavori. I decurioni cercavano
di far danari per via d' imprestiti, d' imposte; e di qud die ne rac-
coglievano, ne davano un po' alla Sanità, un po' a' poveri; un po'
di grano compravano; supplivano a una parie dei bisogno. E le grandi
angosce non erano ancor venute.
Nel lazzeretto, dove la popolazione, quantunque decimata ogni
giorno, andava ogni giorno crescendo, era un'altra ardua impresa
quella d'assicurare il servizio e la subordinazione, di conservar le
se))arazioni prescritte,' di mantenervi in somma o, per dir meglio,
di stabilir\i il governo ordinato dal tribunale della sanità: die, fin
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CAPITOLO XXXi. n»
*iJa' primi momenli, c'era siala ogni cosa in confusione, per la sfre-
natezza di molti rìncliinsi, per ia trascuratezza e per la connivenza
- de' serventi. Il tribunale e i decurioni, non sapendo dove battere il
capo, pensaron di rivolgersi ai cappuccini, e supplicarono il padre
commissario della provincia, il quale faceva le veci del provinciale,
morto poco prima, acciò volesse dar loro de' soggetti abili a gover-
nare quel regno desolato. Il commissario propose loro, per princi-
pale, un padre Felice Casati, uomo d' età matura, il quale godeva
una gran fuma di carità, d' attività, di mansuetudine insieme e di
fortezza d' animo, a quel che il seguito fece vedere, ben meritata;
e per compagno e come ministro dì lui, un padre Michele Pozzo-
bonelli, ancor giovine, ma grave e severo, di pensieri come d'a-
spetto. Furono accctlali con gran piacere; e il so di marzo, entra-
rono nel lazzcrcllo. Il presidente della Sanità li condusse in giro.
come per prenderne il possesso; e, convocati i serventi e gì' impie-
gati d'ogni grado, dichiarò, davanti a loro, presidente di quel Iih^u
il padre Felice, con primaria e piena autorità. Di mano in mano |Kii
die la miserabile radunanza andò crescendo, v'accorsero altri cap-
puccini;e furono in quel luogo soprintendenti, confessori, amministra-
(ori, itifermieri , cucinieri, guardarobi, lavandai, lutto ciò clic occor-
resse. Il padre Felice, sempre affaticato e sempre sollecito, girava di
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KM I PROMESSI SPOSI
giorno, girava di iiolte, per i porltci, per le stanze, per quel vaslo
spasio ioleroo, lalvolla.pMrUfldo. un' anta, talvolta non armato che
di ciljzio; MiidiavA e regolava ógni coeA; sedava i tumulli, faceva ra-
gione alle querele, laiiiacciaya, puniva, nprtikdtiva; cooforlava, asciu-
gava e spargeva laorimt. Presti, «ul prihàpto, la peste;! ne guwi, e si
rimise,. con jiuova Iona, alle btoA di prima^ 1 sueì contcmielli ci la-
sciaropoila- più -parte la \-ita, e tutti con allegrezza:
Certo, una Ihl? : dittatura et^ uno strano ripiego; strano t»ine la
calauiilà, come i tempi; e quando non ne sapessimo altro, basterebbe
per ar^oinefilo, aiUi per saggio d' una società molto rozza e OMlre-
gtriala, il veder che quelli a cui toccava od così importante governo,
non sapesser più farne allro che cederlo , né trovassero a chi ce-
derlo j che uomini, per istituto, il più alieni da ciò. Ma è ìusìeine un
si^gio non ignobile della fora e dell' abilità che la carità può dare
in ogni tem|>o, e in qualunque ordin di cose, il veder quesl' uomini
sostenere un tal carico cosi bravamente. E fu bello lo stesso averlo
accettalo, seuz' altra ragione che il non esserci ehi lo volesse, sen-
z'altro fine clic di servire, senz' altra speranza in questo mondo, die
d' una morie molto più invidiabile die invidiata; fu bello lo stesso
esser loro offerto , solo perchè era difficile e pericoloso , e si suppo-
neva clic il vigore e il sangue freddo , cosi necessario e raro in que'
momenti , essi lo dovevano avere. E perciò 1' opera e il cuore di
que' frati meritano che se ne faccia memoria, con ammirazione, con
tenerezza, con quella specie di gratitudine che è dovuta, come in
solido , per i gran servizi resi da uomini a uomini , e più dovuta a
quelli dte non se la propongono per ricompensa. >< Che se questi
« Padri lui non si ritrouauano, » dice il Tadino, " al sicuro tutta
u la Città annichilata si trouaiia ; puoichè fu cosa niiracolosa l' liauer
1 questi Padri fatto in così puoco spali» di tempo tante cose per
'" benctitio publico, che non hauendo liauuio agiutto, o almeno puoco
" dalla Città , con la sua industria et prudenza haueuaiio mante-
» nuto nel Lazeretto tante migliaia de poueri. » Le persone rico-
verale in que) luogo, dorante i sette mesi che il padre Felice n'dibe
il governo, furono circa cinquantamila, secondo il Ripamonti; il qoale
dice con ragione , che d' un uomo tale avrebbe dovuto ugu^menle
parlare , se in vece di descri\'er le miserie d' una dita ,- avesse do-
vuto raccontar le cose die posson farle onore.
Andic nel pubblico, quella caparbietà di negar la peste andava
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXXI. KtT
naturaloienle cedendo e perdendosi , di mano iii mano che il morbo
sì difTondeva, e » diffondeva per via del «onlalto e della pratica ; e
tanto più quando j dopo esser qualche lempo rimasto solamente Ira'
poveri, cominciò a toccar persole più conosciute. E Ira queste, come
allora fu il più notiito, cosi merita anche adesso un'espressa menzione
il protoQsico Settata. Avranno almen confessato che il povere vecchio
aveva ragione? Chi lo sa? Caddero infermi di peste, luì, la moglie,
due figliuoli, sette persone di servizio. Lui e uno de' figliuoli n' usciron
salvi; il resto mori. « Questi casi, » dice il Tadino, u occorsi nella
u Città in case Nobili, disposero la Nobiltà, et la plebe a pensare,
u et gli increduli Medici, et la plebe ignorante et temeraria coaiineiò
« stringere le labra, chiudere li denti, et inarcare te ciglia. "
Ma r uscite, i ripieghi, le vendette, per dir cosi, della caparbietà
convinta, sonoalle volte tuli da far desiderare che fosse rimasta fer-
ma e invilla, fino all'ultimo, contro la ragione e l'evidenza: e questa
fu bene una di quelle volte. Coloro i quali avevano impugnato cosi
risolutamente, e cosi a lungo, elie ci fosse vicino a loro, tra loro, un
germe di male, clie poteva, per mezzi naturali, propagarsi e fare
una strage; non potendo ormai negare il propagamento di esso, e
non volendo attribuirlo a que' mezzi ( che sarebbe stalo confessare a
un tempo un grand' inganno e una gran colpa), erano tanto più di-
^tosli a trovarci qualche altra eausa, a menar buona qualunque ne
venisse messa in campo. Per disgrazia, ce n'era una in pronto nelle
idee e nelle tradizioni comuni allora, non qui soltanto, ma in ogiiì
parte d'Europa: arti venefiche, operazioni diaboliche, gente congiu-
rata a sparger la peste, per mezzo di veleni contagiosi, di malìe. Già
cose tali, o somiglianti, erano state supposte e credule in molle altre
pestilenze, e qui segnatamente, in quella di mezzo secolo innanzi.
S'aggiunga che, fin dall'anno antecedente, era venuto un dispaccio,
soltoscrìllo dal re Filippo IV, al governatore, per avvertirlo ch'e-
rano scappali da Madrid quattro francesi , ricercati «ome sospetti
di spargere ungnenti. velenosi, pestiferi: stesse all'erta, se mai coloro
fossero capitati a Milano. Il governatore aveva comunicalo il dispaccio
al senato e al tribunale della sanità; né, per allora, pare che ci si lia-
daase più die tanto. Però, scoppiala e riconosciuta la peste, il tornar
Delle mentì quali' avviso potè servii di òonferma al sospetto indeter-
ntinato d' una frode scell«^la; potè anche essere la prima occasione
di farlo nascere.
Digitizf^riiiyGoOgle
DOS 1 PROUESSI SPOSI
Ma due fulti, I' uno di cieca e indisciplinala paura, 1' altro di imhi
M) quale cattività, furou quelli che convertirono quel sos|)ello inde-
terminato d' un attentato possibile, in sospetto, e per molli in cer-
tezza, d'un attentato positivo, e d'una trama reale. Alcuni, ai quali
era parso di vedere, la sera del IT di maggio, persone in duomo
andare ungendo un assito che scr\'iva a dividere {:li spazi assegnati
a' due sessi, lecero, nella notte, portar fuori della chiesa l'assito e
una quanlilà di panche rinchiuse in quello;quantunque il presidente
della Sanità, accorso a far la visita, eon quattro persone dell' ufizio,
avendo visitalo Tassilo, le panche, le pile dell'acqua benedetta, senza
trovar nulla che potesse confermare Y ignorante sospetto d' un alten-
lalo venefico, avesse, per compiacere all'immaginazioni altrui, e più
lotta per abbondare in cautela, che per bisogno, avesse, dico, decìso
che bastava dar una lavata all' assito. Quel volume di roba accata-
stata produsse una grand' impressione di spavento nella moltitudine.
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CAPITOLO XXXt. BO»
per cui un oggetto diventa cosi facilmente un argomenlo. Si disse e si
credellc generalmente die Tossero siale unte in duomo tulle le pan-
clie, le pareti, e fin le corde delle campane. Né si disse soltanto allora:
tulle le memorie de' contemporanei che parlano di quel Tatlo (alcune
scritte moli' anni dopo), ne parlano con ugual sicurezza: e la storia sin-
cera di esso, bisognerebbe indovìnarìa, se non si trovasse in una lel-
tera del tribunale delia sanità al governatore, che si conserva nel-
l'archivio dello di san Fedele; dalla quale l'abbiamo cavata, e della
(piale sono le parole clic abbiam messe in corsivo.
La mattina seguente, un nuovo e più strano, più significante spet-
tacolo colpi gli occhi e le menti de' eitladini. In ogni parte della
ctllà, si videro le porte delle case e le muraglie, per liingliissimi
tratti, intrise dì non so che sudiceria, giallognola, biancastra, spar-
savi come con delle spugne. O sia stalo un gusto sciocco di far na-
scere uno spavento più rumoroso e più generale, o sia stato un più
reo disegno d'accrescer la pubblica confusione, o non saprei die al-
tro; la cosa è attestata di -maniera, che ci parrebbe men ragionevole
l'attribuirla a un sogno di molti, che al fatto d'alcuni: fallo, del re-
sto, cbe non sarebbe sialo, né il primo né 1' ultimo di lai genere,
n Ripamonti, che spesso, su questo particolare dell'unzioni, derìde,
e' più spesso deplora la credulità popolare, qui afferma d'aver veduto
queir impìastramento, e lo descrive*. Nella lettera sopraccitala, i si-
gnori della Sanità raccontan la cosa ne' medesimi termini; parlan
di vj^le , d' esperimenti falli con quella materia sopra de' cani , e
senza cattivo effetto; af^siungono, esser loro opinione, che cotale le-
taerilà tia più tosto procedtita da ituolenza j che da fine tcelerato :
pensiero che ìndica in loro, fino a qnel tempo, pacatezza d'animo
bastante per non vedere ciò ebe non ci fosse stato. L' allre memorie
contemporanee, raccontando la cosa, accennano anche, essere stata,
sulle prime, opinion di molli, che fosse fatta per burla, per bizzar-
ria; nessuna parla dì nessuno che la negasse; e n' avrebbero parlalo
certamente, se ce ne fosse stati; se non altro, per chiamarli stra-
vaganti. Ho creduto che non fosse fuor di proposilo il riferire e il
mettere insieme questi particolari, in parte poco noti, in parte affatto
* .... fi nos quoque ivirau» vlsere. MaculK crani spanim Iniequatilerque ma-
nanU:s, velult si quii hauglam spongia sanletn adspersisset, Impressiuetve parielt :
et iamue iwMlm, CMUaque tedlam eadem adspergine contamrnala ccrnebanlur. pag. IB.
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«tra I PROIIESSI SPOSI
ignorali', d'un celebre delirio; percliè, negli errori e massuBé negli
errori di molti, ciò che è più inleressaiite e più utile a ossCTvarsi,
mi pare che sia appunto la strada che hanno fetta, 1' appamtze, i
modi con cui hanno potuto entrar nelle menti, e dominarle.
La città già agitala ne fu sottosopra: ì padroni delle case, con pa-
glia accesa, abbrudaeehiavano gli spazi miti; i passeggieri si ferma-
\-ano, guardavano, inorridivano, Tremevano. I foresti^!, sospetti per
questo solo, e che allora si conoscevan facilmente al vestiario, ^c^i-
vano arrestati nelle strade dal popolo, e condotti alla giustizia. Si fe-
cero interrogatòri, esami d'arrestati, d'arrestatori, dì testimoni; non
si trovò reo nessuno: le menti «"ano ancor capaci di dubitare, d'e-
saminare, d'intendere. Il tribunale della saiiilà pubblicò una grida,
con la quale prometteva premio e impunità a chi mettesse in cliiaro
l'autore o gli autori del fallo, ^d ogni modo non parendoci eonu^
niente, dieono que' signori nella citala lettera, che porla.ta; ddta del
«1 di maggio, ma che fu evidentemente scritta il lo,.gioma segiìato
Della grida stampata , che questa déUtlo in qualnitóglia moda retti
impunitOj maitime in tempo tanto pencolom» e tospettoto, per canaotà-
twne a quiete di questo Popolo^ e per canore indicio del fatto ^ hab-
biatno oggi pubticata gridu^ etc. Ndla grida stessa però, nessun een-
no, almen chiaro , di quella ragionevole e acquietante codgcttura .
che partecipavano al governatore : silenzio che accusa a un tempo
una preoccupazione furiosa nel popolo, e in loro una condiscendenza,
tanto più biasimevole, quanto più poteva esser perniciosa.
Mentre il tribunale cercava, molti nel pubblico, eone accade, avevan
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CAPITOLO XXXI. Mt
già Iroxalo. Coloro die credevano esser quella un' unzione velenosa ,
cfii vole\'4 che la fosse una vendetta di don Gonzalo Fei-nandcs
de Cordova, per gl'insulti ricevuti nella sua partenza, chi un rilnh
vaio del cardinal di Riclielicu, per spopolar Milano, e impadronirsene
$enza fatica; altri, e non si sa per qnali ragioni, ne volevano autore
il conte di Collidto, Walleii$tein, questo, quell'altro gentiluomo mila-
nese. Non mancavan, come aUtiam detto, di quelli clic non cedevano
in quel fittip altro che. uno sciocco scherzo, e l' altribuivMW a scolari,
a sigiM>ri, a utìuali die s' aonoiassei'o all'assedio di Casale. Il non ve-
der poi, come si sarà lemulo , che ne seguisse addirittura un infel-
tamenlo, un eccidio universale, fu pr(d>abìln)enl« cagione cbe. quel
)>rimo spavento s' andasse per adorai acquietando, e la cosa foj^ 0
paresse miessa in oblio. .
C'era, del resto, un cerio numero di persone non ancora persuase
che questa peste ci fosse. E perchè, tanto nel lazzerello, come per la
città, alcimi pur ne guarivano^ » sì diceua, » (gli ullimi argomenti
d'una opinione battuta dall'evidenza son sempre curiosi a sapersi)
« si (ticeua dalla plebe, et ancora da molli medici partiali, non essere
u vera peste , perché lutti sarebbero atorti *. » Per levare ogni dub'
bio , trovò il Irìbunale della sanità un espediente proporzionato al
bisogno, un modo di parlare agli occhi, quale i tempi potevano richie-
derlo o suggerirlo. In una delle feste della Pentecoste, usavano i cit-
tadini di concorrere al cimitero di san Gregorio, fuori di Porta Orien-
tale, a pregar per i morti dell'altro contagio, ch'eran sepolti là; e,
prendendo dalla divozione opportunità di divertimento e di spetta-
colo, ci andavano, ognuno più in gala che potesse. Era in quel giorno
morta di peste, tra gli altri, un'intera famiglia. Nell'ora del maggior
«HKorso, in mezzo alle carrozze, alla gente a cavallo, e a piedi, i
cadaveri di quella famiglia furono, d'ordine della Sanità, condotti al
cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinché la folla potesse ve-
dere in essi il marchio manifesto della pestilenza. Un grido di ribrez-
zo, di terrore, s'alzava per tutto dove passava il carro; un lungo
mormorio regnava dove era passato; un altro mormorio lo precorre-
va. La peste fu più creduta: ma del resto andava acquistandosi fede
da sé, ogni giorno più; e quella riunione medesima non dove servir
|)oeo a propagarla.
* Tuilino , p.ig. Oli.
wGoogle
MI I PROUESSI SPOSI
In principio dunque, non peste, assolulamenle ito, per nessun
conto: proibito anctie di proferire il focabolo. Poi, febbri peslilen-
ziali: l'idea s'ammette per i^ieco in un aggettivo. Poi , non vera pe-
ste ; vale a dire peste sì, ma in un certo senso ; non peste proprio,
ma unt) cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente,
peste spnza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s' è attaccala un'altra
idea, l'idea del veneiìzìo e del malefìzio, la quale altera e confonde
r idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro.
Non è, credo, necessario d'esser molto versalo nella storia dell'idee
e delle parole , per vedere che molte lianno fatto un simil eorso. Pei'
grazia del' eielo, die non sono molte quelle d'una tal sorte, e d'un»
tale importanza, e che conquistino la loro evidenza a un tal prezzo,
e alle quali si possano attaccare accessòri d' un tal genere. Si potrebbe
peró, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran
parte, quel corso così lungo e cosi storto, prendendo il metodo pro-
t»osto da tanto tempo, d' os.scrvare, ascollarc, parag<mare, pet^are,
prima di parlare.
Ma parlare, questa cosa cosi sola, è talmente più facile dì tutte
quell'altre insieme, clic anelie noi, dico noi uomini in generale, siamo
un po' di) coiiipalirn.
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XWII.
nt'iiviido sempre pjù dilficife il supplire,
all'esigenze dolorose della eircoslanza,
era sialo , il 4 dì maggio , deciso nel
consiglio de' decm'ioni, di ricorrer per
aiuto al governatore. E, ìl ss, furono
spediti al cani))0 due di quel corpo, die
gli rappresentassero i guai e le strettezze
__ della città : le spese enormi , le easse
vAle, le rendile degli anni avvenire impegnale, le imposte correnti
non pagate, per la miseria generale, prodotta da tante cause, e dal
guasto militare in ispecie; gli meltessero in considerazione che, per
leggi e consuetudini non interrotte, e per decreto speciale di Carlo V,
le spese della peste dovevan essere a carico del fìsco: in quella del
ltt76,avere il governatore, mardiese d' Ayamonte, non solo sospese
tutte le imposizioni, camerali, ma data alla città una sovvenzione di
quaranta mila scudi della stessa Camera ; chiedessero finalmente quat-
tro cose: che 1' imposizioni fossero sospese, come allora s'era fatto;
la Camera desse danari; il governatore itifoi'masse il re, delle miserie
della città e della provincia; dispensasse da nuovi alloggiamenti mili-
tari il paese già rovinato dai passati. Il governatore scrisse in risposta
condoglianze, e nuove esortazioni: dispiacergli di non poter trovarsi
nella città, per impiegare ogni sua cura in sollievo di quella; me
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I PROUESSl SPOSI
sperare die a tulio avrddK supplito lo zelo di que' sigoori : questo
«ssere il tempo di spendere senza risparmio, d' ingegnarsi in ogni
maniera. In quanto alle richieste espresse, proueeré en el mejor modo
qm el lieinjio y necesidadet preKntet permitteren. E sotto, un girigogolo,
che \'oleva dire Ambrogio Spinola, chiaro come le sue promesse. Il gran
cancelliere Perrer gli scrisse che quella risposta era stata Iella dai
decurioni, con gran descotuuelo; ci furono altre andate e venule,
domande e risposte; ma non trovo che se ne venisse a più strette
condusioni. Qualche tempo dopo, nel colmo della peste, il governatore
trasferi, con lettere patenti, la sua autorità a Ferrer medeamo, avendo
lui, come scrisse, da pensare alla guerra. La quale, sia detto qui in-
cidentemente, dopo aver portato via, senza parlar de' soldati, un mi-
lion di persone, a dir poco, per mezzo del contagio, tra la Lwnbar-
dia, il Veneziano, il Piemonte, la Toscana, e una parte della Romagna:
dopo aver desoIaU, come s' è visto di sopra, i luoghi per cui passò,
e figuratevi quelli dove fu fatta; dopo la presa e il sacco atroce di
Mantova; fini con riconoscerne tutti il nuovo duca, per escludere il
quale la guerra era slata intrapresa. Bisogna però dire che fu tA>-
bligato a eedere al duca di Savoia un pezzo del Monferrato, ddb
rendila di quindici mila scudi, e a Ferrante duca di Guastalla allrc
lerre, della rendila di sei mila; e che ci fu un altro trattato ò parie
e segretissimo, col quale il duea di Savoia suddetto cede Pineroio alb
Francia : trattato eseguito qualche tempo dopo, sóli' altri pretesti, e a
furia di furberie.
liistcme con quella risoluzione, i decurioni ne avcvan presa un'
altra: di chiedere al cardinale arcivescovo, che si facesse una pro-
cessione solenne, portando per la cìllà il corpo di san Carlo.
Il buon prelato riliutò, per molte ragioni. Gli dispiaceva queUa !!•
diicia in un mezzo arbitrario, e temeva die, se l'effetto non avesse
corrisposto, come pure temeva, la fiducia si cambiasse ìn tstanàoio'.
* Ménoriii (Ielle cose nolablU «uecesse In Sljluno inlorno al mtil coDlaegiow
l'unno 16S0, ec. raccolte da D. Pio In Croce, Milano, liso. È Irulln evidenlenciite
da scrino incoilo d'autore vissuto al tempo della pestllema: se pure non e nna
Rcmptice edidone, pfulloslo che una nnova coropllattone.
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CAPITOLO. XXXtl.: tot
Temeva di |iiù, clic, se pur c'era di' qiuMfi untori, la .processione
fosse un' oc«asÌon tro|)po comoda al delillo: te tton ce n'era^ il ra-r
dunai*^ lanla gente non polena che spander sempre più il Oonlagio:
pericolo ben più reale*. Che il sospetto sopito dell' Unzioni s'era in
lanlo rkleslalo, più generale e più furioso di prima.
S'era visto di nuovo, o questa voUa era parso di vederci un'c
muraglie, porte d'edilizi pubbjici, usci di case, martelli. Le nuove
di tati scoi>ei'te volavaii di bocca in bocca; e, come accade più die
mai, quando gli animi son |ii-eoccupati, ii sentire faceva l'efl'etto del ver
dere. Gli animi, sempre più amareggiati dalla ))resenza de' mali, irritati
dall'insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella cre-
denza: che la collera aspira a punire: e, come osservò acutamente, a
questo stesso proposito, un uomo d'ingegno ', le piace più d'attribuire
i mali a una perversità umana, contro cui possa far le sue vendette,
clic di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sìa altro da fare
che rassegnarsi. Un veleno squisito, istantaneo, penetrantissimo, eraii
parole più che bastanti a spiegar la violenza, e tulli gli accidenti più
oscuri e disordinati del morbo. Si diceva composto, quel veleno, di
rospi, di serpenti, di Lava e di materia d'appestati, di peggio, di
lutto ciò che selvagge e slravolte fantasìe sapessero trovar di sozzo
e d'atroce. Vi s'aggiunsero poi le malie, per le quali ogni effetto di<
\eni\a possibile, ogni obiezione |>erde^'a la forza, si scioglieva ogni
difficoltà. Se gli effetti non s' erari veduti subito dopo quella prima
unzione, se ne capiva il perchè; era stalo un tentativo sbaglialo di
venefìci ancor novìzi: ora l'arte era pei'fczionala, e le volontà più
accanite nell' infernale proposilo. Ormai chi avesse sostenuto ancora
di' era stata una burla, chi avesse negata l'esistenza d'una trama,
passava per cieco, per ostinalo; se pur non cadeva in sospetto d'uo-
mo interessato a stornar dal vero 1' allenzion del pubblico, di com-
plice, d' tintore.- il vocabolo fu ben presto comune, solenne, tre-
mendo. Con una tal persuasione che ci fossero untori, se ne doveva
scoprire, quasi in&Hibilmenle: tutti gli occhi stavano all'erta; ogni
alto poteva dar gelosia. E la gelosia diveniva facilmente certezza, la
certezza furore.
■ Si ungupMiu scckralu ci
()iic altea innlum. lliiiumoiili, |iiig. IBìl.
< P. Verri, Ossci-ysiriuiiE sulla lorti
(Mrlc moderila, <oni. IT, |)»g. aos:
ili urbe edsciil..
I espelli .. Ccrlliis-
; Sci'llliiri lliiliaiii d' ecoiioniiu |k>U(ìì'u;
„GoogIe
eoe 1 PH0SES9I SPOSI
Due ratti ne adduce in prova il Ripamonli, avvertendo d'averli
scelti , non come i più atroci tra quelli che seguivano giornalmente ,
ma perchè dell'uno e dell' altro era stalo pur troppo teslimonio.
Nella chiesa di sant'Antonio, un giorno di non so quale solennità,
un vecchio più che ottuagenario, dopo aver pregato alquanto ìnginoc-
chioni, volle mellcrsi a sedere; e prima, con la cappa, spolverò la
panca, u Quel ^'ecchio unge le panche ! » gridarono a una voce alcune
donne che vidcr l'alio. La gente che si trovava in chiesa (in chiesa!),
fu addosso al vecchio; Io prendon per i capelli, blandii com'erano
lo cancan di pugni e di calci; parte lo tirano, parte lo spingon fuori
se non lo finirono, fu per istrascinario , cosi semivivo, alla prigione,
ai giudici, alle tmiurc. « Io lo vidi mentre lo straseinavan cosi,» dice
il Ripamonli: « e non ne seppi più altro : credo bene che non aUrà
- potuto sopravvivere più di qualche momcnlo. »
L'altro caso (e segui il giorno dopo) fu ugualmente strano, ma
non ugualmente funesto. Tre giovani compagni francesi, un letterato,
un pittore, un meccanico, venuti per veder l' Italia, per istudiarvi
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CAPITOLO XXXII. COI
le aitticliità, e per cercarvi occosion di guadagno, s'erano accostati a
uon so.qual parie esterna del duomo, e stavan li guardando attenta-
mente. Uno che passava, li vede e si ferma; gli accenna a un altro,
ad altri che arrivano: si rormò un crocchio, a guardare, a tener d'oc-
chio coloro, ohe il vestiario , (a capigliatura, le bisacce, accusavano di
stranieri e, quel eh' era peggio, di francesi. Come per accertarsi
eh' era marmo, stesero essi la mano a toccare. Bastò. Furono circondali,
afTerrati, malmenati, spimi, a furia di percosse, alle carceri. Per buona
sorte, il palazzo di giustizia é poco lonlano dal duomo; e, per una
sorte ancor più felice, furon Irovali innocenti, e rilasciati.
Né tali cose accadevan soltanto in città : la frenesia s' era propa-
gala come il contagio. Il viandante che fosse incontralo da de' con-
tadini , fuor della strada maestra , o che in quella si dondolasse a
guardar in qua e in là, o si buttasse giù per riposarsi ; lo sconosciuto
u cui si trovasse qualcosa dì strano^ di sospetto nel volto, nel
vestilo, erano untori: al primo avviso di chi si fosse, al grido d' uii
ragazzo, si sonava a martello, s' accorreva; gl'infelici eran tempe-
stali di pietre, o, presi, venivan menali, a furia di popolo, in pri-
gione. Così il Ripamonti mcdesijiio. E la prigione , (ino a un cerio
tempo, era un porto di salvamento.
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003 I PROUeS^I SPOSI
. Ma i decurioni, noiì disanimati cfiil rinulo del savio prelalo, anda-
va'n replicando le lóro istanze, che il voto pubblico secondava ru-
morosamente. Federigo resislelté ancor qualche tempo, cercò di con-
vìncerli ; questo è quello che potè il senno d' un uomo , contro la
l'Orza de' tempi , e l' insistenza di molti. In quello stalo d' opinioni ,
con l'idea del pericolo, confu^ com'era allora, contrastata, ben
lontana dall' evidenza che ci si trova ora , non è difficile a capire
come le sue buone ragioni potessero , anche nella sua niente , es-
ser soggiogale dalle catlivc degli altri. Se |hȓ, net ceder die Tece,
avesse o non avesse parte un po' di debolezza della volontà, sono
misteri del cuore umano. Certo, se in alcun caso par che si possa
dare in tutto l'errore all'intelletto, e scusarne la coscienza, è quando
si Iratli di que' pochi (e questo fu ben del numero), nella vita in-
tera de' quali apparisca un ubbidir risoluto alla coscienza, senza ri-
guardo a interessi temporali di nessun genero. A.I replicar dell' istan-
ze, cedette egli dunque, acconsenti che si facesse la processione,
aeeonsenli di più al desiderio, alla premura generale, che la cassa
dov'eran rinchiuse le reliquie di san Carlo, rimanesse do|M> esposta,
per otto giorni, sull' aitar maggiore del duomo.
Non trovo che il tribunale della sanità , né altri, facessero rimo-
stranza né opposizione di sorte alcuna. Soltanto, il tribunale suddetto
ordinò alcune precauzioni clic, senza riparare al pericolo, ne indica-
vano il timore. Pi-eserisse più strette regole per l' entrata delle per-
sone in città; e, per assicurarne 1' esecuzione, fece star chiuse le
porle; come pure, affine d' escludere, per quanto fosse possibile, daHa
t^dunanza gli infetti e i sospetti, lece inchiodar gli usci delle case
séqué$trìilé:,fc quali, per quanto può valei'e, in un fatto di questa
sorte, la semplice afférmazione d' uno scritlore, e d" uno scrittore di
quel tempo, eran circa cinquecento *.
' Tre giorni furono spesi in' preparativi: l'undici di giugnOi ch'era
il giorno stabilito, (a. processione usci, sull' alba , dal duomo: Andava
Ylinaiizi una lunga schiera di popolo, donne la più parte, coperte il
volto d' ampi zendali , molte scalze, e \'estìte di sacco. Venivan pm
l'arti, precedute da' loro gonfaloni, le confraternite, in abiti vari <S
forme e dì colori; poi le fraterie, poi il clero secolare, o^uno con
* AUegKlamcnlo ikllo Slnto di Milano eie. di C. C. Cavxtifl dell» Snniagliii. MV-
lana, leiis, p»g, 4tia.
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CAPITOLO xxxir. eoi»
r JDScgnc dui grado, e con una candela o un (orcello in mano. Nel
mezzo, Ira il chiarore di più lìUi lumi, tra un rumor più allo di canti,
sotto un ricco baldacchino , s' avanzava la cassa , portata da quattro
canonici, parati in gran pompa, clic si cambiavano ogni tanto. Dai cri-
stalli Iraspari^a il veneralo cada\erc vestito di splendidi abili jionli-
ficali, e mitralo il teschio j e nelle forme mutilate e scomposte, si poteva
ancora distinguere qualche vestigio dell'antico sembiante, quale lo rap-
presi^'utaiio l'immagini, quale alcuni si ricordavan d'averlo visto e
onoralo in \ita. Dietro la spoglia dei morlo pastore ( dice il Ripn-
monli , da cui principalmente prendiamo questa descrizione), e vi-
cino a lui, come di meriti e di sangue e di dignità, così ora anche
di persona, veniva l' arcivescovo Federigo. Seguiva l'altra parie
del clero; poi ì magistrali, con gli iibiti di maggior cerimonia; poi i
nobili, quali vesliti sfarzosamente, come a dimostrazione solenne di
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t PROMESSI SPOSI
culto, quali, in srgiio di penitenza, abbrunali, o scalzi e incappali,
con la bufTa sul viso; luUi con lorcelti. Finalmente una coda d'al-
tro popolo misto.
Tutta la strada era parata a festa; i ricclii avevan cavate fuori
le suppellettili più preziose; le facciate delle case povere erano siale
ornale da de' vicini beneslanli, o a pubbliche spese; dove in luogo
di parati, dove sopra i parati, c'eran de' rami fronzuti; da ogni parte
pendevano quadri, iscrizioni, imprese; su' davanzali delle fìneslrc
stavano in mostra vasi, anticaglie, rarità diverse; per tutto lumi. A
molte di quelle lìnestre, infermi sequestrati guardavan la processione,
e r accompagnavano con le loro preci. V altre strade, mute, deserlc;
se non che alcuni, pur dalle finestre, tendevan l'orecchio al riHizio
\'a2abondo; altri, e tra questi si videro fin delle monache, eran saliti
sui letti , se di li |>otessero veder da lontano quella cassa , il cor-
teggio , qualche cosa.
La proces.siono passò |K>r lutti i quartieri della città: a ognuno di
que* crocieelii , o piazzette , dove le strade principali -sboccan ne'
Iwrghi, e the allora serbavano l'antico nome di canobi, ora rimasto
a uno solo, si faceva una fermala, posando la cassa accanto alla croce
che in ognuno era stata creila da san Carlo, nella peste antecedente,
e delle quali alcune sono tuttavia in piedi : di maniera rhc si tornò
in duomo un pezzo do|>o il mezzogiorno.
Ed ecco che, il giorno seguente, mentre appunto regnava quella
presontuosa fiducia, anzi in molti nna fanatica sicurezza clic la pro-
cessione dovesse aver troncata la peste, le morii crebbero, in ogni
classe, in ogni parte della città, a un tal eccesso, con un salto cosi
subitaneo, ctie non ci fu chi non ne vedesse la causa, o 1' occasione,
nella processione medesima. Ma, oh forze mirabili e. dolorose d'un
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CAPITOLO XXXU. eli
pregiudizia generale! non già al trovarsi insieme tante persone, e
per lanlo tempo, non all' infinita moltiplicazime de' contatti fortuiti ,
attribuivano i più quell'effetto; l'attribuivano alla facilità die |ji
untori ci avessero trovata d'eseguire ia grande il loro empio dise-
gno. Si disse che, mescolati nella folla, avessero infettati col loro un-
gnento quanti più avevan potuto. Ma siccome questo non pareva un
mezzo bastante, uè appropriato a una mortalità cosi vasta, e cosi dif-
fusa in ogni classe di persone; sicoome, aquel che pare, non era stato
possibile air occhio co« attento, e pur così travedente, del sospetto, di
scorgere untumi , macefaie di nessuna sorte, su' muri, né altrove;
cosi si ricorse, per laspìegazion del fatto, a quell'altro ritrovato, ^
vecchio, e ricevuto allora nella sdsiza comune d'Europa, delle pol-
veri veneAche e malefiche; si disse che polveri tali, sparse lungo la
strada, e specialmente ai luoghi delle fennate, si fossero attaccate agli
strascìdii de* vestiti, e tanto più ai piedi, che in gran numero erano
quel gjomo andati in giro scalzi. « Vide pertanto , « dice uno scrittore
ctmtemporaoeo * , « l' istesso giorno della processione, la pietà coixar
» con l'empietà, la perfidia con la sincerità, la perdita con l' acqui-
li sto. » Ed era in vece il povero senno umano die cozzava co' fan-
tasmi creati da sé.
Da qnel giorno, la furia dd contagio andò sempre crescendo: in
poco tempo, non ci fu quasi più casa che non fosse toccala: in poco
tempo la popolazione dd lazzeretto, al dir del Somaglia dtato di
sopra , montò da duemila a dodid mila : più lardi , al dir di quasi
tutti , arrivò fino a sedìd mila. 11 4 di luglio , come trovo in un'altra
lettera de' conservatori della sanità al governatore , la mortalità gior-
naliera oltrepassava i dnquecento. Più innanzi, e od colmo, arrivò,
secondo il calcolo più comune, a mille dugento, mille cinquecento;
e a più di tremila cinquecento, se vogliam credere al Tadino. D quale
anche aflerma che, •< per le diligenze fatte, n dopo la peste, si trovò
la popolazion di Milano ridotta a poco più di sessantaquattro mila
anime , e che prima passava le dugento cinquanta mila. Secondo il
Ripamonti, era di sole dogento mila; de' morti, dice che ne risulta
cento quaranta mila da' registri dvici, oltre quelli di cui non si potè
tener conto. Altri dicon più o meno, ma ancor più a caso.
* AgMiinn Lnmpugnano; L> peslilcnn seguila in UIIsdo, l'vaao ISSO. Ullano,
iet4, p$$. u.
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■ Il I PAOMESSl SPOSI '
Si pensi ora in che angustie dovessero trovarsi i decurioni , ad- j
dosso ai quali era rimasto il peso di provvedere alle pubbliche oe- 1
cessila , di riparare a ciò che e' era di riparabile in ud tal disaMro. '
Bisognava ogni giorno sostituire , ogni giorno aumentare serventi pub- |
Mici dì varie specie: monatti, apparitori, commissari. I primi eraoo i
addetti ai servizi più penosi e pericolosi della pestilenza : levar dalle
case, dalle strade, dal lazzeretto, i cadaveri; condurli sqi carri alle j
fosse, e sotterrarli; portare o guidare al lazzeretto gl'iofenni, e go-
veroarli; bruciare, purgare la roba infetta e sospetta. Il nome, vuole i
il Ripamonti che venga dal greco monos; Gaspare Bugalli (in una de-
scrìzion ddla peste antecedente), dal latino monere; ma insieme do- I
liita, con più n^one, che sia parola tedesca, per esser quegli uomini ■
arrolati la più parte nella Svizzera e ne' Grìgioni. Né sarebbe io-
fatti assurdo il crederlo una troncatura del vocabolo numathtidi |
(oiensuale); giacché, nell'incertezza di quanto potesse durare il bi- i
sogno, è probabile che gli accordi noe fossero die di mese in mese.
L' impiego speciale degli apparitori era di precedere i carri , avve^
tendo, col suono d'un campanello, i pass^gierì , che si ritirassero.
I commissari regolavano gli uni e gli altri , sotto gli ordini immediati
del tribunale della sanità. Bisognava tener fornito il lazzeretto dì
medici , di chirurghi , di medicine, di villo , di tutti gli attrezzi d' in-
fermeria ; bisognava trovare e preparar nuovo alloggio per gli amma-
lati che sopra^^ungevano ogni giorno. Si fecero a quest' en'ello eo-
struire in fretta capanne di legno e dì paglia nello spazio interno del
lazzeretto ; se ne piantò un nuovo , tutto di capanne , cinto da ud
semplice assito , e capace di contener quattromila persone. E non ba-
stando, ne furon decretali due altri; d si mise anche mano; ma, per
mancanza di mezzi d' ogni genere , rimasero in tronco. I mezzi , le per-
sone , il coraggio, diminuivano di mano in mano che il bisogno cresceva.
E non solo l' esecuzione rimaneva sempre addietro de' progetti e
degli ordini; non solo, a molte necessità, pur troppo riconosciute,
si provvedeva scarsamente, anche in parole; s'arrivò a quest'eccesso i
d'impotenza e di disperazione, ébe a molte, e delle più pietose, come i
delle più urgenti, non si provvedeva in nessuna maniera. Moriva,
per esempio , d' abbandono una gran quantità di baiiibini , ai quali '
eran morte le madri dì peste: la Sanità propose che s' institui<»e un
ricovero per questi e per le parlorieriti bisognose , che qualcosa si
facesse per loro ; e non potè ollcncr nulla. » Si doueua non di meno, '^
1 i
I I
d.y Google
CAPITOLO XXXII. «13
dice il Tadiao, « compatire ancora alli Decurioni della Città, li quali
si trouauano afflitti, mesti et lacerati dalla Soldadesca senza regola,
et rispetto alcuno ; come molto meno nel)' infelice Ducato , atteso
che aggiutto alcuno , né prouisione si polena haufire dal Gouerna-
tore , se non che sì trouaua tempo di guerra , et bisognava trattar
bene li Soldati *. - Tanto importava il prender Casale! Tanto par
bella II lode del vìocere , iadipendentemente dalla cagione , dallo
scopo per coi si combatta !
Cosi pure , trovandosi colma di cadaveri un' ampia , ma unica
fossa, ch'era siala scavata vicino al lazzeretto; e rimanendo, non stAo
in quello, ma in ogni parie della città, insepolti i nuovi cadaveri, che
ogni giorno eran di più , i magistrati , dopo avere invano cercato
braccia per il tristo lavoro , s' eran ridotti a dire di non saper più
che partito prendere. Né si vede come sarebbe andata a finire ,
se non veniva un soccorso straordinario. Il presidente della Sanità
ricorse , per disperalo , con le lacrime agli occhi , a que' due bravi
frali che soprintendevano al liazertMo ; e il padre Michele s' impe-
gnò a dargli , in capo a quattro giorni , sgombra la dita di cada-
veri; in capo a otto, aperte fosse snfficienli, non solo al bisogno pre-
^enle , ma a quello che si potesse preveder di peggio nel!' avvenire.
Con un frate compagno , e con persone del tribunale , dategli dal
presidente, andò fuor della città, in cero di contadini ; e , parte con
l'aulorità del tribunale, parte con quella dell'abito e delle sue parole,
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ne neeoiae cìrea dugento, ai qo^i fece scavar Ire grandusime fosse ;
spedi poi dal lazserttlo monatti a raccogliere i morti ; tanto che , il
giorno prefisso, la sua promessa si trovò ademiNta.
Una volta, il laueretto rimase senza medici; e, con offerte di grosse
paghe e d'onori , a fatica e non subilo , se ne potè avere; ma mollo
men del bisogno. Fu spesso li li per mancare affalto di viveri, ascino
di temere che ci s'avesse a morire anche di fome; e più d'una volta,
mentre non « sapeva più dove batter la testa per trovare il bist^ne-
vole, vennero a tempo abbondanti sussidi , per inaspettato dono di
misericordia privata: che, in mezzo allo stordimento generale, all'in-
differenza per gli altri , nata dal continao temer per sé , ci furono
degli animi sempre desti alia carili, ce ne furon degli altri in cui la
cariti nacque al cessare d'ogni allegrezza terrena; come, nella strage
e nella fuga di molti a cu! toccava di soprìolcndere e di prowe*
dere, ce ne furono alcuni , sani sempre di corpo , e saldi di coraggio
al loro posto: ci furon pure altri che , spinti dalla pietà, assunsero e
sostennero virtuosamente le cure a cui non eran chiamati per im-
piego.
Dove spiocò una più generale e più pronta e costante fedeltà ai
doveri difficili della circostuiza , fu negli ecclesiastici. Ai lazzeretti ,
nella città, non mancò mai la loro assistenza: dove si pativa, ce n'e-
ra ; sempre si videro mescolati , confusi co' languenti , co' morìbon-
di , languenti e moribondi qualche volta loro medesimi ; ai socom^
spirituali aggiungevano , per quanto potessero , i temporali ; presta*
vano ogni servìzio che richiedessero le circostanze. Più di sessanta
parrochi , della città solamente , moriron dì contagio : gli otto noni ,
all'incirca.
Fedo-igo dava a tutti , com' era da aspettarsi da lui , incitamento
ed esempio. Mortagli intorno quasi tutta la Simiglia arcivescovile , e
facendogli istanza parenti, alti magistrali, principi circonvicini, ebe
s'allontanasse dal pericolo, ritirandosi in qualche villa, rigettò un tal
consiglio, e resistette all' istanze, con queir animo, con. cui scrìveva ai
parrochi: - siate disposti ad al^andonar questa vita mortale, piuttosto
che questa famiglia, questa ligliolauza nostra: andate con amore incon-
tro alla peste, come a un premio, come a una vita, quando ci sia da
guadagnare un'anima a Cristo *. » Non trascurò quelle cautele che
* Rlpiinoiili, piig 181.
„GoogIe
CAPITOLO XXXII. «is
iH>n gì' impedissero di fare il suo dovere { sulla qiial cosa diede an-
che istruzioni e regole al clero ) ; e insieme non curò il perieolo, né
parve che se n' avvedesse, quando, per far del bene, bisognava pas-
sar per qnello. Senza parlare degli ecclesiastici, coi quali era sempre
per lodare e regolare il loro zelo, per eccitare chiunque di loro an-
dasse freddo nel lavoro, per mandarli ai posti dove altri eran morti,
volle che fosse aperto l'adito a chiunque avesse bisogno di lui. Vì-
5>ilava i lazzeretti, per dar consolazione agi' infermi, e per animare i
serventi; scorreva la città, portando soccorsi ai poveri sequestrali
nelle case, fermandosi agli usci, sotto le fineslre, ad ascoltare i loro
lamenti, a dare in cambio parole di consolazione e di coraggio. Si
cacciò in somma e visse nel mezzo della pestilenza, maravigliato an-
che lui alla fine, d'esserne uscito illeso.
Cosi, ne' pubblici infortuni, e nelle lunghe perturbazioni di quel
qual s\ sia ordine consueto, si vede sempre un aumento, una subli-
mazione di virtù; ma, pur troppo, non manca mai insieme un au-
mento, e d'ordinario ben più generale, di perversità. E questo pure
fu segnalalo. I birboni che la peste risparmiava e non atterriva, tro-
varono nella confusion comune, nel rilasciamento d'ogni forza pub-
blica, una nuova occasione d'attività, e una nuova sicurezza d' im-
punità a un tempn. Che anzi, l'uso della forza pubblica slessa venne
a trovarsi in gran parte nelle mani de' peggiori Ira loro. All'impiego
di monatti e d'apparitori non s'adattavano generalmente che uomini
sui quali r attrattiva delle rapine e della licenza potesse più che il
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el« I PROMESSI SPOSI
lerror del conlagio, che ogni naturale ribrezzo. Erano a rosloro pre<
scritte strettissime regole, inlimate severissime pene, assegnali posli,
dati per superiori de' commissari; sopra questi e quelli cran dele-
gali , come abbiam detto , in ogni quartiere , magislrati e nobili ,
con r auloritA di provveder sommariamente a' ogni oocoirenza di
buon governo. Un tal ordin di cose camminò, e fece efletlo, fino a
un certo tempo; ma, crescendo, ogni giorno, il numero di quelli die
morivano, di quelli clie andavan via, di quelli che pcrdevan la lesia,
venner coloro a non aver quasi più nessuno che li tenesse a Treno ;
si fecero, i monatti principalmente, arbitri d' ogni cosa. Entravano da
padroni, da nemici nelle case, e, senza parlar de' rubamcnli, e come
trattavano gl'infelici rìdoKi dalla peste a passar \ter tali mani, le met-
tevano, quelle mani infette e scellerate, sui sani, figliuoli, parenti,
mogli, mariti, minacciando di strascinarli al lazzcrcKo , se non sii
riscaUavano, o lion venivano riscattati con danari. Allre \olle, mette-
vano a prezzo i loro servizi, ricusando di portar via i cadaveri già
putrefatti, a meno di tanti scudi. Si disse (e tra la leggerezza degli
uni e la malvagità degli allri. è ugualmente malsicuro ìl credere e
il non credere), si disse, e l'afferma anche il Tadino', che monatti
e apparilori lasciassero cadere apiiosla dai carri i-obe infette , (ht
propagare e mantenere la pestilenza, divenula per essi un' mirala,
* Pag 109.
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CAPITOLO XXXtl. SIT
un r^fno, una festa. A.)tri sciagurati, fingendosi monatti, porl^iido
un campanello attaccalo a un piede , com' era prescritto a quelli, per
distintivo e per avviso del loro avvicinarsi , s' introducevano nelle
case a farne di tntte le sorte. In alcune, aperte e vote d' abitanti^ «
abitate soltanto da qualche languente, da qualche moribondo, entra*
vao ladri, a man salva, a saccli^giare : altre veiiivan sorprese, invase
da birri che facevan lo stesso , e anche cose peggiori. Del pari con
la perversità, crebbe la pazzia: tutti gli errori già dominanti più
o meno, presero dallo sbalordimento, e dall' agitazione delle menti,
una forza straordinaria, produssero elTctli piti rapidi e più vasti. E
tutti servirono a rinforzare e a ingrandire quella paura speciale
deli' unzioni, la quale, ne' suoi efl'elli, ne' suoi sfoghi, eca spesso,
come abbiam veduto, un'altra perversità. L' imm^ine di quel sup-
posto pericolo assediava e martirizzava gli animi, molfo più che il
pericolo reale e presente, u E mentre,» dice il Ripamonti, « i cada--
veri sparsi , o i mucchi di cadaveri , sempre davanti agli occhi , sem-
pre tra' piedi, facevano della città Inlla come un solo mortorio,
e' era qualcosa di più brulla , di più funesto , in quell' accanimento
vicendevole, in quella sfrenatezza e mostruosità di sospetti . . . Non
del vicino soltanto si prendeva ombra, dell'amico, dell'ospite; ma
qae' nomi , quc' vincoli dell' umana carità , marilo e moglie, padre
e Rf^ìo, fratello e fratello, eran di terrore: e, cosa orribile e inde-
gna a dirsi! la mensa domestica, il letto nuziale, si temevano, co-
me agguati, come nascondigli di venefizio. »
La vastità immaginata, la stranezza della trama lurbavan tutti i
(pudizi, alteravan tutte le ragioni della fiducia reciproca. Da principio,
si credeva soltanto che quei supposti untori fosser mossi dall' ambi-
zione e dalla cupidigia; andando avanti, si sognò, si credette che
ci fosse una non so quale voluttà diabolica in quell' ungere , un' at-
trattiva-che dominasse le volontà. I vaneggiamenti degl'infermi elic
accusava!! sé smessi di ciò che a^evan temuto dagli altri, parevano
rivelazioni, e rendevano ogni cosa, per dir cosi, credibile d'ognuno.
E più delle parole, dovcvan far coI|k> le dimostrazioni, se accadeva die
appestati in delirio andasscr facendo di quegli alti che s' erano figu-
rati die dovessero fare gli imlori:cosa insieme molto probabile, e atta
a dar miglior ragione della persuasion generale e dell'affermazioni
di molti scritlorì. Così, nel lungo e ti'islo periodo de' processi per
stregonerìa, le confessioni, non sempre estorte, degl'imputati, non
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«■■ IPROUESSI sposr
serviron poco a proniovere e a mantener l' opinione che regnava
intorno ad essa; che, quando un'opinioDe regna per lungo laDpo^ e
in una buona parte del mondo, finisce a esprimersi in tutte le ma-
niere, a tentar tutte )' uscite, a scorrer per lutti ì gradi della persua-
sione; ed é dHificile che tutti o inoltissimi credano- a lungo che una
cosa strana si faccia, senza die venga alcuno il quale creda di faria.
Tra le storie che quel delirio dell' unzioni fece immaginare , luna
inerita che sk ne Taiccia menzione, per il credito che scquistò, e per il
giro che fece. Si raccontava, non da tulli nctriste&sa maniera ^ehe: sa-
rebbe un troppo singoiar privilegio delle favole), ma a un di presso,
die un tale, it (al giorno, aveva visto {trrivar sulta piazza dd duomo
un tiro a sei, e dentro, con altri, un gran personaggio, con una fàccia
Aisca e infocala, con gli ocdti accesi, coi capelli ritti, e il labbro at-
icggiato di minaccia. Mentre quel tale sla^a inlento a guardare, la
4'niTOzza !>'era fermala: e il cocchiere l'aveva invitalo a salirvi: e )ui
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CAPITOLO XXXII.
non aveva saputo dir di no. Dopo diversi pigiri, erano smontali alla
porla d'un tal palazzo, dove eiilralo anche lui, con la compagnia,
ave^a tPOTalo amenilà e orrori, deserti e jjiardini, caverne e sale; e
in esse, fantasime sedute a consiglio. Finalnienl4i, gli erano state fatti-
vedere gran casse di danaro, e detto ciie ne prendesse quanto gli
Tosse piaciuto, con questo però, che accettasse un vasetto d' unguento,
.e andasse con esso ungendo per la città- Ma non avendo voluto accon-
sentire, s'era trovato, in un ballar d'occhio, nel medesimo lut^o dovi
era stalo preso. Questa storia, creduta qui generalmente dal popolo
:e, al dir del Ripamonti, non abliaslanza derisa da qualche gomo di
peso *, ^rò per tutta Italia e Tuori. In Germania se ne fece una
etdinpà: l'elettore arcivescovo di Magonza scrisse al cardinal Fede-
rigo, per domandatali cosa si dovesse credere de' fat4i rnvaiigliosi
cbc'jsi i^tctionfavan di Milano; e n'ebbe in risposta eh' cran sogni.
D'ugual valoh;, se non in lutto d'ugual natura,' erano i sogni de'
-dotti; c(Hne disastrosi del pari n' eran gli effetti. Vedevanq , la più
parte di loro , ' 1' annunzio e la ragione insieme de' guaì in pna co-
meta, apparsa l'anno 1688, e ìn una congiunzione di Saturno con
GioVe^ u inclinando, » scrive il Tadino, » la congiontiope sodella sopra
-questo: anno isso, tanto chiara « clic ciascnn la |)qte)ia inlondere-
* Apud prudenliiin [rierosqiie, non licuti debueral irriM. De peste eie. pag. T7-
„GoogIe
GIO t PROMESSI SPOSI
Morlales parai morbot, miranda videntur. » Questa predieione, ca-
vata, dìciivano, da un libro intitolato Speccìtio degli almanacchi per-
fetti, slampafo in Torino, nel lOfiS, correva per le bocche di tutti.
Un'altra cometa, apparsa nel giugno dell'anno slesso della peste,
si prese per UD nuovo avviso; anzi per una prova manifesta dell'un-
zioni. Pescavan ne' libri, e pur troppo ne trovavano in quantità,
esempi di peste, come dicevano, manufatta: citavano Livio, Tacito,
Dione, che dico? Omero e Ovidio, i molti .altri antichi che hanno
raccontati o accennati fatti somiglianti : di moderni ne avevano ancor
più in abbondanza. Citavano cent' altri autori che hanno trattato dol-
Irinalmente, o parlato incidentemente di veleni, di malìe, d'unti.
di polveri: il Cosalpìno, il Cardano, il Grevino, il Salio, il Pareo,
lo Schenchio, lo Zachia e, per finirla, quel funesto Deirio, il quale,
se la rinomanza degli autori fosse in ragione del bene e del malo
prodotto dalle loro opere, dovr^b' essere uno de' più famosi; quel
Deirìo , le cui veglie coslaron la «ila a piA uomini che l' imprese di
qualche conquistatore : quel Deirio , le cui Di»qui»izÌoni Magiche ,
(il ristretto di tutto ciò che gli uomini avevano, fino a' suoi tempi,
sognato in quella mateiia) divenute il testo più autorevole, più irre-
fragabile, furono, per più d'un secolo, norma e impulso polente di
legali, orribili, non interrotte carniflcine.
Da' trovati del volgo, la gente istruita prendeva ciò che si poteva
accomodar con le sue idee; da' trovati della genie istruita, il vcdgo
prendeva ciò che ne poteva intendere, e come lo poteva; e di lutto
si formava una massa enorme e confusa di pubblica follia.
Ma ciò che reca maggior maraviglia, è ti cedere i medici, dico i
medici che fìn da princi|)io avevan credula la peste, dico in ispecie
il Tadino, il quale l'aveva pronosticata, vista entrare, tenuta d'ocdiio,
per dir cosi, nel suo progresso, il quale aveia detto e predicato che
l'era peste, e s'attaccava col eonlatto, che non mettendovi riparo, ne
sarebbe infettato tutto il paese, vederlo ))0i, da questi effetti medesimi
cavare argomento certo dell' unzioni venefiche e malefiche; lui che
in quel Carlo Colonna, il secondo che morì di peste in Milano, aveva
notato il delirio come un accidente della malattia , vederlo poi ad-
durre in prova dell'unzioni e della congiura diabolica, un fatto dì
questa sorte: clie due testimoni deponevano d'aver sentito raccon-
tare da un loro amico ìnTermo, come, una notte, gli eran. venule
persone in camera , a esibirgli la guarigione e danari , se avesse
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CAPITOt.0 XXXtl.
voluto unger le case del contorno; e come, al suo rifiuto , quelli
se n'erano andati, e in loro vece, era rimasto un lupo sotto il' letto,
e Ire gattoni sopra, « che sino al far del giorno vi dimoromo. ' »
Se fosse stalo uno solo che connettesse così , si dovrebbe dire che
aveva una testa curiosa ; o piuttosto non ci sarebbe ragion dì parlarne ;
ma siccome eran molti, anzi quasi tutti, cosi è storia dello spirito uma-
no, e dk occasion d' osservare quanto una serie ordinata e ragionevole
d'idee possa essere scompigliata da un'altra serie d'idee, che ci si
getti a traverso. Del resto, quel Tadino era qui uno degli uomini
più riputati del suo tempo.
Due illustri e benemeriti scrittori hanno aflermato che il cardinal
Federigo dubitasse del fatto dell' unzioni '. Noi vorremmo poter dare
a quell'inclita e amabile memoria una lode ancor più intera, e rap-
presentare il buon prelato, in questo, come in tant' altre cose, supe-
riore alla più parte de' suoi contemponuiei, ma siamo in vece co-
stretti di notar di nuovo in lui un esempio della forza d'un' opinione
comune anche sulle menti più nobili. S'è visto, almeno da quel che
ne dice il Ripamonti, come da prindpto, veramente stesse in dub-
bio: ritenne poi sempre che in quell'opinione avesse gran pxtie la
I Pag. US, HA.
■ Huralorl; Del governo della peslc; Modena, 1TI4, pi
scolo dialo, ptf. sei.
- P. Verri; opn-
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U% I PROIIESSI SPOSI
c(«dulilà; r.igmiranza, la paura, il desiderio di scusarsi d'aver cosi
lardi, riconoscìulo il conli^io, e pensato a mettervi riparo; cbc i»oU«
ci fosse d'esageralo, ma insieme, ette qualche cosa ci fosse di ver^.
Nella biblioteca ambrosiana si conserva un' operetta 30*11(3 di sun
mano intorno a quella peste ; e questo seniimento e' è aeeennat»
spesso , anzi una volta enunciato espressamente. » Era opiaion co-
mune, n dice a un di presso, » die di questi unguenti se ne com-
ponesse in vari luoghi,eche molle fossero l'arti dj metterlo in opera:
delle quali alcune ci paibn \'cre, altre in\'cnlalc. n Ecco le sue parolc:
■ Ci furoR però di quelli cbe pensarono fino alla fine, e fin citc vis-
-scro, die ' lutto fosfiti .immaginazione: e io sappiamo, non da loro,
Èlle nessuno tu abbaslanisa ardito per esporre al pubblico un scnli-
'menlo cosi opposto a quello del pubblico; lo sappiamo dagli scriUori
-che Io deridono o lo riprendono o lo ribattono, come un pregiudiuo
■d'alcuni, uà errore- die non s' allentava di ven.ire a dispula palese, ma
elle pur viveva; lo sappiamo anche da chi ne aveva notizia per tradi-
jtionc. olio trovato genie savia in Milano, »dice il buon Muratori, nel
luogo sopraccitato, «die aveva buone relazioni dai loro maggiori, e
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CAPITOLO XXX». St»
" iioii era lucdto persuasa clic fosse vero il futlo di ^U(%li unU 'wìc*
" nosi. n Si vede ch'era uno sfogo segreto della verilà, liua coAfi^
(lenza domestica: il buon senso c'era; ma se ne stava iiascoslo, per
|iaiira del senso comune.
I magislrati, scemali ogni giorno, e sempi'e più smarriti e coiirusi,
[ulta, per dir cosi, ({uella poca risoluzione di cui eran capaci, l' im-
piegarono n cercar di questi untori. Tra le earte del tempo <iella peste,
che si conservano nell' archivio nominalo di sopra , e' e una letKTà
(senza alcim altro documento relativo) in cui il gran cnneelliere infor-
ma, sul serio e con gran premura, il governatore d'aver ricevuto un
avviso che, m una casa di campagna de' fralelli Girolamo e Giulio
Monti, gentiluomini milanesi, si componeva veleno in tanta <)iuimiti<,
che quaranta uomini erano occupali en ette exercicio, con l'assistenza
dì quattro cavalieri bresciani, i quali facevano venir materiali dal \0-
nezìano, para la fdbrka del veneno. Soggiunge che lui aveva preso,
in gran segreto , i concerti necessari per mandar là il podeslà <fi
Milano e l'auditore delia Sanità, con trenta soldati di cavallerìa; clic
pur troppo uno de' fralelli era stato avvertito a tempo per poter Irar
fugare gl'indizi del delitto, e probabilmente dall'auditor medesiiito ,
suo amico; e die questo trovava delle scuse per non partire; ma clife
non ostante, il podestà co' soldati era andato a reconocer la /xua, jr a
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I PROMESSI SPOSI
vr ti haUard algunos vestigios , e prendere infonnazioni , e. arrestar
. latti qudlì die fosaav ineolpati.
rm Umm^^
La cosa dovè finire in nulla, giacché gli sentii del tempo che par-
lano de' sospetti che e' eran su que' gentiluomini , non citano alcun
Tallo. Ma pur troppo, in un'altra occasione, si credè d'aver trovato.
I processi che ne vennero in consegiiensra , non cran cerlamenle i
primi d'un lat genere: e non si può neppur considerarli come una r»-
rità nella storia della giurisprudenza. Che, per lacere dell' aniidiilà, e
accennar solo qualcosa de' tempi più vicini n quello ^li cui trattiamo,
in Palermo, del mas; in Ginevra, del 1B50, poi del 1K4B, poi an-
cora del ltt74; in Casal Monferrato, del iSZO; in Padova, del IffBS;
in Torino, del IK99, e di nuovo, in quel nicdosim' anno leso, furon
processati e condannati a supplizi, per Io più atrocissimi, dove qaal-
cheduno, dove moltj infelici, come rei d' aver propagala la peste, con
polveri, o con unguenti, 0 eoa malie, o con tutto ciò insieme. Ma l'ai-
tare delle così dette unzioni di Milano, come fu il più celebre, così è
fors' anche il più ossen'abile; o, almeno, c'è più campo di farci sopra
osservazione, per esserne rimasti documenti più circostanziati e più
autentici. E quantaiK|ue uno scrittore lodalo poco soi>ra se ne sia occu-
palo, pure, essendosi lui proposto, non tanto di farne propriamente ia
storia, quanfo di cavarne sussidio di ragioni, per un assunto di maggiore,
o certo di più immediala importanza, e' é parso cite la storia potesse esser
materia d'un nuovo lavoro. Ma non é cosa da uscirne con poclie paro-
le; e non è qui il luogo di trattarla con l'estensione clic merita. E oltre
di ciò, dopo essersi fermato su que' casi, il lettore non si curereU>e
più certamente di conoscere ciò che rimane del nostro racconto. Ser-
bando però a un altro scritto la storia e l'esamp di quelli *, tomerano
finalmente a' nostri personaggi, per non lasciarli più, fino alla fuìfi.
' V. I' opuscolo Id Une del voliimc.
„Googlc.
CAPITOLO xxxni.
nollc, \erso la fmc O'iigosto, pro-
prio nel colmo dvMa peste , (or-
nava don Rodrigo a casa sua , in
Milano , accompagnato dal fede!
Griso, l'uno de' tre o quattro che,
di tutta la famiglia, gli eran ri-
masti vivi. Tornava da un ridotto
d'amici soliti a straviziare insieme,
per passar la malinconia di quel
tempo: e ogni volta ce n' eran de'
niio\Ì, o ne mancava de' vecchi. Quel giorno, don Rodrigo era stato
uno de' più allegri ; e Ira 1' altre cose , a^eva fallo rìder tanto la
compagnia, con una specie d'elogio funebre del eonte Attilio, por-
talo via dalla peste , due giorni prima.
Camminando però, sentiva un mal essere, mi abballimento, una
fiacchezza di gambe, una gi-avezza di respiro, un'arsione interna,
die avrebbe volalo attribuir solamente al vino, alla veglia, alla sta-
gione. Non apri bocca, per tutta la strada; e la prima parola, arri-
vati a casa , fu d' ordinare al Griso che gli facesse lume per andare
in camera. Quando ci furono, il Griso osservò il viso del padrone,
Google
eia I PROHESSI SPOSI
stravolto, acceso, con gli occhi Ìii fuori, e lustri lustri; e gli slava
alla lontana: perchè, in quelle circostanze, ogni mascalzone ave^a
dovuto acquistar, come si dice, l'occhio medico.
" Slo Itene, ve'," disse don Rodrigo, che lesse nel fare del tìriso
il pensiero che gli passava |>cr la nicnle. uSio benone; nia ho be-
vuto, ho bevuto forse un po' troppo. C'era una vernaccia!... Ma,
con una buona dormila, tutto se ne va. Ho un gran sonno... Leva-
mi un po' quel lume dinanzi, che m' accicca . . . mi dà una noia...!»
«Scherzi della vernaccTa," disse il Griso, lenendosi sempre alla
larga, u Ma vada a letto subilo, che il dormire le farà bene. »
" (Ini ragione: se posso dormire... Del reslo, sto bene. Metti qui
vicino, a buon conto, quel campanello, se per caso, stanotte avessi
bisogno di qualche cosa: e sta attento, ve', se mai senti sonare. Ma
non 'avrò bisogno di nulla . . . Porla via presto quel maledetto lu-
me, n riprese poi, intanto che i) Griso eseguiva l'ordine, avvicinan-
dosi meno che poteva. <> Diavolo! clic m'abbia a dar tanto fastidio!"
Il Griso iirese il lume, e, augurala la buona nolte ai padrone, se
n'andò in fretta, mentre quello si cacciava sotto.
Ma le coperte gli parvero una montagna. Le bullo via, e si ran-
nicchiò, yter dormire; che infatti moriva dal sonno. Ma, ap|>ena ve-
lalo l'occhio, sì su-gliava eon un riscossone, come se uno, per
dispello, fosse veuuio a dargli una lenlcnnata; e sentiva cresciuto il
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CAPITOLO XXXIII. eiT
caldo, cresciula la smania. Ricoirc^'a col pensiero all' agosto, alla
\'(H*naccia, al disordìncj avrebbe voluto |>oter dar loro tutta la col-
pa; ma a queste idee si sostituiva sempre da sé quella che allora
ra associata cor tutte, ch'entrava, per dir così, da tutti i sensi,
dtc s' era ficcata in lutti i discorsi dello stravizio, giaccliò era ancor
più facile prenderla in ischerzo, che passarla sotto silenzio: la peste.
Dopo un lungo rivoltarsi, linalmenle s'addormentò, e cominciò u
Tare i ^rù brulli e arrulTati s<^i del mondo. E d' uno in un altro,
gli parve di trovarsi in una gran chiesa, in su, in su, in mezzo u
una folla; di Irovarcisì, che non sapeva come ci fosse andato, come
gliene fosse venuto II |>cnsiero, in quel tempo specialmente; e n'era
arrabbiato. Guardava i circostanti; eran tutti visi gialli, distrutti,
con cert' occhi incantali, abbacinali, con le labbra spenzolale; tulla
gente con certi vestiti che cascavano a pezzi; e da' rotti si cedevano
macchie e bubboni. "Largo canaglia!" gli pareva di gridare, guar-
dando alla porta, eh' era lontana lontana , e accompagnando il grido
con un viso minaccioso, senza però moversi, anzi rislringcndosi ,
per non toccar que' sozzi corpi, che già lo toccavano anche li'oppo
<la ogni parte. Ma nessuno di qucgl' insensati dava segno di volersi
scostare, e nemmeno d'avere inleso; anzi gli stavan più addosso: e
sopra lutto gli pareva che qualcheduno di loro, con le gomita o con
altro, lo pigiasse a sinistra, tra il cuore e l'ascella, dove sentiva
una punlura dolorosa, e come pesante. E se si sloree\'a, \tCT veder
di liberarsene, subito un nuovo non so che veniva a puniargtisi al
luogo medesimo. Infuriato, volle metter mano alla spada;, e appunto
gli parve che, per la calca, gli fosse andata in su, e fosse il pomo
dì (|aella che lo premesse in quel luogo; ma, mellei>docÌ la mano,
non ci trovò la spada, e sentì in vece una Irafilta più forte. Strepita-
va, era lult' affannato, e voleva gridar più forte; quando gli |>arvc
che tutti que' visi si rivolgessero a una parte. Guardò anclic lui;
vide un pulpito, e dal parapetto di quello spuntar su un non so
che di convesso, liscio e luccicante; poi alzarsi e comparir distinta una
tcsla pelata, poi due occhi, un viso, una barba lunga e bianca, un
frate ritto, fuor del parapetto (Ino alla cintola, fra Cristoforo. Il qua-
le, fulminato uno sguardo in giro su tutto I' uditorio, parve a don
Rodrigo che io fermasse in viso a lui, alzando insieme la mano,
neir attitudine appunto che aveva presa in quella sala a terreno del
3H0 palazzoito.' Allm^ alzò anche luì la mano in furia, fece uno sforzo,
Dpizf^ri.yGoOgle
tit8 I PKOUESSt SPO»
cuiiie per ialuiiciai'si ad uci-tiiu|>pai' quel braccio teso per aria; una
voce che gli andava Lrontolaiido tiordaineiile nella gola, scoptHÒ in
un grand' urlo; e si desiò. Lasciò cadere il braccio die aveva alzalo
davvero; nileiilò alquanto a ritrovariìi, ad appir ben gli occhi; die la
luce del giorno già inoltralo gli dava noia, quanto quella della can-
dela, la sera avanti; riconobbe il suo letto, la sua camera; si rac-
capezzò che lutto era blato un sogno: la chiesa, il popolo, il Tralc,
tutto era sparilo; tutto fuorché una così), quel dolore dalla parie si-
nistra. Insieme si sentiva al cuore una palpitazion violenta, alTaimo-
.'<a, negli urecclii un ronzio, un lìschio conlinuo, un fuoco' di dentro,
una gravezza in tulle le membra, peggio di quando era andato a
letto. Esiió (|ualehe momento, ))rima di guardar la parte dove aveva
il dolore; (inuhiicnte la scoprì, ci diede un'occhiata paurosa; e vide
un .sozzo bubbone d' un livido paonazeo.
L'uomo si vide jicrdulo: il lerror dellii morie l' invase, e, eoa
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CAPITOLO XXXIII. 8t9
un senso per av\'eiitiii'a più forte , il terrore di (ti\'entar preda de'
monallì, d'esser portalo, butlalo al lazzeretto. E cercando la manie-
ra d'evitare qiiest' orribile sorte, sentiva i suoi pensieri confondersi
e oscurarsi, sentiva avvicinarsi il momento che non avrebbe più le-
sta, se non quanto bastasse per darsi alla disperazione. Afferrò il
campanello, e lo scosse con violenza. Comparve subito il Griso, il
quale slava all' erta. Si fermò a una eerla distanza dal lelto; guardò
atlcnlamente il padrone, e s'accertò di quello ctie, la sera, i(veva
congelluralo.
«Griso!» disse don Rodrigo, rizzandosi stentatamente a sedere:
« tu sei sempre slato il mìo fido. «
"Si, signore."
u T* bo sempre fallo del bene. "
u Per sua bontà. "
" Di te mi posso fidare . . . ! i
u Diavolo! n
"Sto male, Griso."
" Me n' ero accorto. "
"Se guarisco, li farò ilei bene ancor più di <]tiello che te n'ho
fallo per il passalo."
n Griso non rispose nulla, e alette aspellaiido dove andassero a
parare questi preamboli.
"Non voglio fidarmi d'altri che di te,» riprese doti Rodrigo:
M fammi un piacere , Griso. "
«Comandi," disse questo, rispondendo con la furmola solila a
queir insolita.
«Sai dove sia di casa il Chiodo chirurgo?»
X Lo so benissimo. »
«É un galantuomo, che, chi Io paga bene, lien segreti gli amma-
lali. Va a chiamarlo: digli che gli darò qualtrò, sei scudi per visita,
di più, se di più ne chiede; ma che venga qui subilo; e fa la cOsa
bene, che nessun se n'avveda. "
u Ben pensalo, n disse il Griso: « vo e torno subito. >'
«Senti, Griso: dammi prima un po' d'acqua. Mi sento un'. arcio-
ne, che non ne posso più. "
"No, signore,» rispose il Griso: «niente senza il parere, del me-
dico. Son mali bisbetici: non c'è tempo da perdere. ' Stia quieto: in
tre salti son qui col Chiodo. »
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«so t PROCESSI SPOSI
Cosi detto, usi-i, raccostando l'uscio.
Doti Rodrigo, tornato sotto, l'accompagnava con )' imtiiaginaKÌonG
alla casa avi Chiodo, conlava i passi, calcolava il tempo. Ogni laiitu
rilornava a guardare il suo bubbone; ma voltava subito la lesta dal-
l'altra parte, con ribrezzo. Dopo qualche tempo, cominciò a slare in
orecchi, per sentire se Ìl chirurgo arrivava: e quello sforzo d'atten-
zione sospendeva il sentimento del male , e lenc\'a in sesto i suoi
pensieri. Tutl'a un trailo, sente uno squillo lontano, ma che gli par
clic venga dalle slanzc, non dalla strada. Sta attento; lo sente più
forte, più ripcltilo, e insieme nno stropiccio di piedi: un orrendo
sos)>etlo gli passa per la mente. Si rizza a sedere, e si mette ancor
più attento; sente un rumor cupo nella stanza vicina, come d' un
peso che venga messo giù con riguardo; batta le gambe fuor del
letto, come per alzarsi, guarda all'uscio, lo vede aprirsi, vede pre-
sentarsi e venire avanti due logori e sudici vestiti rossi, due facce
scomunicate, due monalli , in una parola; vede mezza la faccia del
Griso che, nascosto dietro un battente socchiuso, riman li a spiare.
"Ah traditore infame!... Via, canaglia! Biondino! Carlotlo! aiuto 1
son assassinato! » grida don Rodrigo; caccia una mano sotto il ca-
pezzale, per cercare una pistola; l'afferra, la tira fuori; ma al primo
suo grido, i monatti avevan preso la rincorsa verso ìl letto; il più
pronto gli è addosso, prima che lui possa far nulla; gli strappa la
pistola di mano, la getta lontano, lo butta a giacere, e lo tien li,
gridando, con un versacelo di rabbia insieme e di scherno: «ah
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CAPITOLO XXXIII. USI
bii-buni;! contro i nionalli! conlro i minìslrì del tribunuie! contro
f|Uclli che fanno l'opere di misericordia! n
uTicnlo bene, fin che lo porliam via,» disse il compagno, an-
dando verso uno scrigno. E in quella il Griso entrò, e si mise con
colui a scassinar la serratura.
" Sccllei-alo! » urlò don Rodrigo, guardandolo por di sotto all'ai-
li'o clic lo lene\'a, e divincolandosi tra quelle braccia roreule. <• La-
scialeini ammazzar quell'infame, » diceva quindi ai monatti, uc poi
fate di me <|ucl clic volete. >< Poi ritornava a chiamar con quanta
voce aveva, gli altri suoi servitori; ma era inutile, perchè l'abbo-
miiicvole Griso gli aveva mantlati lontano, con finii ordini del pa-
drone stesso, prima d'andare a fare ai monatti la proposta di venire
a quella spedizione, e divider le spoglie.
"Sta buono, sia buono," diceva allo sventurato Rodrigo l'aguz-
/.inu che lo tenc^a appuntellalo sul lelfo. E voltando poi il viso ai
thic clic rai;evan bottino, gridava: ufatc le cose da galantuomini! «
-Tu! Iu!«
afTaccendarsi .
mugghiava don Rodrigo verso il Griso, che vedeva
spezzare, a cavar fuori danaro, roba, a/ar le partì.
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CSI I PROMESSI SPOSI
« Tu! dopo...! Ah diavolo dell' infurilo! Posso ancora guarii'c! )>osso
guarire!" Il Griso non fiatava, e neppure, [ler quanto [wlcva, si
\ollava dalla parte di ào\e venivan quelle |>arole.
uTienlo forte," diceva l'altro monatto: uè fuor di sé.»
Ed era ormai vero. Dopo un grand' urlo , doi» un ultimo e i>iu
violento sforzo per mellersi in libertà, cadde luti' a un tratto ri-
finito e stupido: guardava però ancora, come incantalo, e ogni tanlo
si riscoteva, o si lamentava.
I monatti lo presero, uno per i piedi, e l'altro per le spalle, e
andarono a posarlo sur una barella che avevan lasciata nella stanza
accanto; poi uno tornò a prender la preda; quindi, alzato il niìsc-
rabil |)eso, lo porlaron vìa.
II Griso rimase a scegliere in fretta quel di più die potesse lar
per lui; fece di tutto un fagotto, e se n'andò. Aveva bensì avulu
cura di non toccar mai ì monatti, di non lasciarsi torcar da loro;
ma, in quell'ultima furia del frugare, aveva poi presi, vicino al
letto, i panni del padrone, e gli aveva scossi, senza pensare ad al-
tro, per veder se ci fosse danaro. C'ebbe però a pensare il giorno
dopo, che, mentre slava gozzovigliando in una bettola, gli vennero
a un tratto de' brividi, gli s' abbagliaron gli occhi, gli mancaron le
forze, e cascò. Abbandonalo da' compagni, andò in mano de' mo-
natti, che, spagliatolo di quanto aveva indosso di buono, lo butta-
i-ono sur un carro; sul quale spirò, prima d'arrivare al lazzeretto,
dov' era stalo portalo il suo padrone.
Lasciando ora questo nel soggiorno de' guai, dobbiamo andare
in cerca d'un altro, la cui storia non sarebbe mai slata intralciala
con la sua, se lui non 1' avesse volulo per forza; anzi si può dir di
certo che non avrebbero avuto storia né l'uno né l'altro: Renzo,
voglio dire, che abhiam lasciato al nuovo filatoio, sotto il nome
d' Antonio RivoMa.
Cera stato cinque o sei mesi, salvo il vero; dopo i quali, dichia- {
rata l'inimicizia tra la repubblica e il re di Spagna, e cessato quindi j
ogni timore di ricerche e d'impegni dalla parte di qui, Bortolo <
s'era dato premura d'andarlo a prendere, e di tenerlo ancora con |
sé, e perché gli voleva bene, e perchè Renzo, come giovine di la- ,
lento, e abile nel mestiere, era, in uno fabbrica, di grande aiuto al '
factotum, senza poter mai aspirare a divenirlo lui, per quella bene- I
della disgrazia di non saper tener la penna in mano. Siceoinc anche i |
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CAPITOLO XXXIIl. OU
quesla ragione e' era entrala per quaidie cosa, cosi abbiam dovuto
àidcennarìa. Forse voi vorreste un Bortolo più ideale: oon so che
dire: Tabbricatevelo. Quello era così.
Renzo era poi sempre rimasto a lavorare presso di lui. Più d'una
volta, e specialmenle dopo aver ricevuta qualcheduna di quelle be-
nedette lettere da parte d'Agnese, gli era saltalo il grillo di farsi
soldato, e lìniria: e l'occasioni non mancavano; cliè, appunto in
quell'intervallo di tempo, la repubblica aveva avuto bisogno di far
gente. La tentazione era qualche volta slata per Renzo tanto più
forte, che s'era andie parlato d' invadere il milanese; e naturalmente
a lui pareva die sarete stata una bella cosa, loroare in figura di
vioeilore a casa sua, riveder Lucia, e spiegarsi uaa volta con lei.
Ma Bortolo, con buona maniera, aveva sempre sapulo smontarlo da
quella risoluzione.
li
"Se ci hanno da andare,» gli diceva, u ci anderanou andie senza
di te, e tu potrai andarci dopo, con tuo comodo; se tornano col
capo rollo, non sarà meglio essere stato a casa tua? Disperati che
vadano a far la strada, non ne manclierà. E, prima che ci possan
mettere i piedi...! Per me, sono eretico: costoro al^iano; ma si;
lo slato di Milano non è un boccone da ingoiarsi cosi facilmente. Si
traila della Spagna, figliuolo mio; sai che affare è la Spagna? San
Marco e forte a casa sua; ma ci vuol altro. Abbi pacienza: non islai
bene qui?.... Vedo cosa vuoi dire; ma, se è destinato lassù die la
cosa riesca, sta sicuro che, a non far pazzie, riusdrà anche meglio.
Qualche santo t'aiuterà. Credi pure che non è mestiere per le. Ti
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est I PROMESSI SPOSI
par che convenga lasciare d'incannar seta, per andare a ammanare?
Cosa vuoi lare con quella razta di gente ? €i vuol degli uoiniol faUi
apposta. »
Altre volle Reozo si risolveva d' andar di nascosto, travestito, e
con un nome finto. Ma anche da questo, Bortolo seppe svolgerlo
ogni volla, con ragioni troppo facili a indovinarsi.
Scoppiala poi la peste nel milanese, e appunto, come abbi»
detto, sul confine del bergamasco, non lardò mollo a passarle;
e . . . . non vi sgomentate, eh' io non vi voglio raccontar la storia
anche di questa; chi la volesse, la c'è, scritta per ordine palMiee
da un cerio Lorenzo tìhirardelli : libro raro però e soonosciulo,
quantunque contenga forse più eaba che tutte insieme le descritioDi
più celebri di pestilenze: da tante cose dipende la celebrità de' libri!
Quel di' io volevo dire è die Renzo prese anche lui la peste, «
curò da sé, doé non fece nulla; ne fu in fin di morte, ma la «u
buona complessione vinse la forza del male: in pochi giorni, si trovò
fuor di pericolo. Col tornar della vita , risorsero più che mai rigo-
gliose nell'animo suo le memorie, i desidèri, le speranze, i disegni
della vita; vai a dire che pensò più cbc mai a Lucia. Cosa ne sa-
rebbe di lei, in qud tempo, che il vivere era come un'eccezione?
E, a così poca distanza, non poterne saper nulla? E rimaner, Dio
sa quanto, in una tale incertezza! E quand'anche questa si fosse poi
dissipata, quando, cessato ogni pencolo, venisse a risaper che Lucia
fosse in vita; c'era sempre quell'altro mistero, queir imbroglio del
volo. — Anderò io, aoderò a sincerarmi di tutto in una volla, —
disse tra sé, e lo disse prima d'essere ancora in caso di reggersi.
— Purché sia viva! — Trovarla, la troverò io; sentirò una vdh
da lei proprio, cosa sia questa promessa, le farò conoscere die non
può slare, e la conduco via con me, lei e quella povera Agnese,
se è viva! che m'ha sempre voluto bene, e son sicuro die me ne
vuole ancora. La cattura? eh! adesso hanno altro da pensare, quelli
die son vivi. Gìran sicuri , anche qui , certa gente , che n' liann' ad-
dosso .... Ci ha a esser salvocondotto solamenle per i birboni? E a
Milano, dicono lutti che l' è una confusione peggio. Se lascio scalare
una occasion cosi bella, — ( La peste! Vedete un poco come d fa
qualche volta adoprar le parole qod bmedelto istinto di riferire e
di subordinar lutto a noi medesimi ! ) — non ne ritorna più una
simile! —
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CAPITOLO XXXIII. «31
Giova sperare, caro il rato Benzo.
Appena potè slraseicarsi, andò in cerca di Bortot», il quate, fliH»
allora, aveva potuto scansar la peste, e slava riginnJato. Non gli
entrò in casa, ma, datogli una voce dalla strada, lo fece allacciare
alla finestra.
«Ah ah!» disse Bortolo: «l'hai scampala, tu. Buon per le!"
«Sto ancora un po' male in gambe, come vedi, ma, in quanto al
pericolo, ne son fuori.»
«Eh! vorrei esser io ne' tuoi piedi. A dire: sto bene, le altre
l'Oltc, pareva di dir lutto; ma ora conta poco. Chi può arrivare a
dire: sto m^io; quella sì è una bella parola! »
Renzo, fatto al cugino qualche buon augurio, gli CMOunicò la sua
risoluuone.
"Va, questa volta, che il cielo ti benedica,» rispose quello:
«cerca di schivar la giustizia, c(Hn' io cercherò di sdiivare il con-
tagio; e, se Dio vuole che la ci vada bene a tutl'e due, ci rive-
dremo, n
«Oh! torno sicuro: e se potessi owi tornar solo! Basta; spero.»
uToma pare accompaijnato; che, se Dio vuole, ci sarà da lavo-
rar per lutti, e ci faremo tnioiia compagnia. Purché tu mi ritrovi, e
che sia finito questo diavolo d'influsso!»
«Ci rivedremo, ci rivedremo; ci dobbiam rivedere!»
uToiDO a dire: Dio voglia! »
Per alquanti giorni, Renso si tenne in esercizio, (ler csperiiiienlar
le sue forze, e accrescerle; e appena gli parve di poter lar la stra-
da, si dispose a partire. Si mise sotto panni una cintura, con dentro
que' cinquanta scudi, che non aveva aai inlaccati, e de' quali non
aveva mai (atto parola, neppur con Bortolo; prese alcuni altri pochi
quattrini, che ave\'a messi da parie giorno per giorno, risparmiando
su tutto; prese sotto il braccio un fagottino dr panni; si mise in la-
sca un benservito, che s'era fatto fare a buon conto, dal secondo
padrone, eolio il nome d' Antonio Riverita; in un taschino de' calzoni
si mise un coltellaccio, ch'era il meno die un galantuomo potesse
portare a que' tempi; e s'avviò, agli ultimi d' agosto, tre giorni .
dopo cbe don Rodrigo era sialo portalo al lazzeretto. Prese verso
Lecco, volendo, per non andar cosi alla cieca a Milano, passar dal
suo paese, dove sperava di trovare Agnese viva, e di cominciare a
saper da lei qualcheduna delle tante cose che si struggeva dì sapere.
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nr.n I PROUESSI SPOSI
I poclii guariti dalla peste erano, in mezio al resto della popola-
zione, veramente come una classe privilegiala. Una gran parte del-
l'alita genie languiva o moriva; e quHIi ch'erano siati fin aHm
Illesi dal morbo, ne vivevano in continuo Umore; indavan rìsenali,
guardinghi, con passi misurati, con visi sospettosi, con fretta ed
esìlaiione iosieme: cliè tutto poteva esser contro dì loro arme di
ferita mortale. Quegli altri all'opposto, sicuri a un dì presso dd Mio
loro ( giacché aver due volle la peste era caso piuttosto pro<figioso
che raro), giravano per mezzo al contagio franchi e risoluti; come
i cavalieri d'un' epoca del medio evo, ferrati fin dove ferro d po-
teva slare, e sopra palafreni accomodati anch'essi, per quanto era
fattibile , in quella maniera , andavano a zonzo ( donde quella loro
gloriosa denominazione d'erranti), a zonzo e alla ventura, in mézzo
a una povera marmaglia pedestre di cittadini e di ^'iIlani, ctie, per
ribatlere e ammortire i colpi, non avevano indosso allro che eenci.
Bello, savio ed utile mestiere! mestiere, proprio, da far ta prìoia
figura in un trattato d' economia politica.
Con una tale sicurezza, temperata però dall'inquietudini che il
lettore sa, e contristala dallo spettacolo frequente, dal penderò in-
cessante della calamità comune, andava Renzo verso casa sua, sotto un
bel cielo e per un bel paese, ma non incontrando, dopo lunghi tratti
di tristissima solitudine, se non qitalclie ombra vagante piuttosto die
(lersona viva, o cadaveri portati alla fossa, senza onor d'esequie, senta
canto , senza accompagnamento. A mezzo circa ddla giornata , si
fermò in un Imschetlo, a mangiare un po' di pane e di companatico
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CAPATOLO XXXIIl «1
pire aveva portalo con sé. Fruite, n'aveva a sua disposizione; lungo
la strada, anche più del bisogno: Gchì, pesche, susine, mele, quante
n'avesse volute; bastava eh' entrasse ne' campi a ci^limie, o a
raccattarle sotto gii alberi, dove ce n'era come se Ibsse grandinato;
giacché r anno era straordinartamente abbondante , dì fruite special-
mente ; e non c'era quasi chi se ne prendesse pensiero: anche l'uve
nascondevano , per dir cosi, i pampani , ed eran lasciate in balta del
primo occupante.
Verso sera, scopri il suo paese. A quella vista, quantunque ci
dovesse esser preparato, si sentì dare come una stretta al cuore: fu
assalilo in un punto da una folla di rimembranze dolorose, e di dolo-
rosi presentimenti : gli pareva d" aver negli orecchi que' sinistri tocchi
a martello che l' avcvan come accompagnato , inseguilo , quand' era
fuggito da que' luoghi; e insieme sentiva, per dir così, un silenzio di
morte che ci regnava attualmente. Un turbamento ancor più forte
pro^'ò alto sboccare sulla piazzetta davanti alla chiesa; e ancora peg-
gio s'aspettava al termine del cammino: che dove aveva disegnato
d'andare a fermarsi , era a quella casa di' era stato solito altre volte
di chiamar la casa di Lucia. Ora non poteva essere, tutt'al più,
ebe quella d'Agnese; e la sola grazia, che sperava dal cielo era di
trovarcela in vita e in salute. E in quella casa si proponeva di
chiedere alloggio, congetturando bene che la sua non do\esse esser
più abitazione che da topi e da faine.
Non volendo farsi vedere, prese per una viottola di fuori , quella
slessa per cui era venuto in buona compagnia , quella notte cosi
fotta, per sorprendere il curato. A mezzo circa, c'era da una parte
la vigna, e dall'altra la casetta di Renzo; sicché, passando, potrebbe
entrare un momento nell'una e nell'altra, a vedere un poco come
stesse il feUo suo.
Anditndo, guardava innanzi, ansioso insieoie e timoroso di veder
qualdieduno ; e, dopo pochi passi, vide infatti un uomo in camicia,
seduto in terra, «on le spalle appoggiate a una siepe di gelsomini,
in mi' attitudine d'insensato: e, a questa, e poi anche alla fisono-
mia, gli parve di raffigurar quel povero mezzo scemo dì Gervaso
ch'era venuto per secondo testimonio alla seìagiurata spedizione. Ma
essendosCgJi avvicinalo, dovette accertarsi . eh' era in vece quel To<
nio così sveglio, elie ce l'aveva condollo. .Lq peste,; togliendogli il
^'igore del corpo insieme e delta. mente, gli aveva svolto in (socia e
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<IB I PROMESSI SPOSI
in ogni suo alto un piccolo e velato germe di somiglianza die aveva
con l' incantalo fratello.
«Ob Tonio!» gli disse Renzo, raroandosegli davanti: «sei luN
Tonio alzò gli occhi, senza mover la testa.
«Tonio! non mi riconosci?»
"A chi la tocca, la tocca,» rispose Tonio, rimanendo poi con la
bocca aperta.
«L'hai addosso eh? povero Tonio; ma non mi riconosci più?»
«A chi la tocca, la locca, » replicò quello, con un certo sorriso
sciocco. Renzo, vedendo che non ne caver^be altro, seguitò la sua
strada, più contristato. Ed ecco spuntar da una cantonata, e venire
avanti una cosa nera, che riconobbe subito per don Abbondio. Cam-
minava adagio adagio, portando il bastone come chi n'è portato a
vicenda; e di mano in mano che s' avvicinava, sempre più si poteva
conoscere nel suo volto pallido e smunto, e in ogni atto, che anche
lui doveva aver passala la sua burrasca. Guardava anche lui; gli pa-
reva e non gli pareva: vedeva qualcosa di forestiero nel vestiario:
ma era appunto forestiero di quel di Bergamo.
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXXIII. a»
— É lui senz' altro! — disse tra sé, e alzò le mani al cielo, con
un movimento di maraviglia scontenta, restandogli sospeso in aria il
bastone che teneva nella destra; e si vedevano quelle povere braccia
ballar nelle manicbe, dove altre volte stavano appaia per l'appunto.
Renzo gli andò incontro, allungando il passo, e gli fece uoa rive-
renza; cbè, sebbene sì fossero lasciati come sapete, era però scopre
il suo curato.
"Siete qui, voi?» esclamò don Abbondio.
uSon qui, come lei vede. Si sa niente di Lucìa?»
«Che volete cbe se ne sappia? Non se ne sa niente. É a Milano,
se pure e ancora in questo mondo. Ma voi .... -i
"E Agnese, è viva? «
» Può essere; ma chi volete che lo sappia? non è qui. Ma... "
«Dov'è? "
« È andata a starsene nella Valsassina, da que' suoi parenti, a Pa-
sturo, sapete bene; che là dicono die la peste non faccia il diavolo
come qui. Ma voi, dico....»
«Questa la mi dispiace. E il padre Cristoforo....?»
"É andato via che è un pezzo. Ma...»
uLo sapevo; me l' lianno fatto scrivere: domandavo se per caso
fosse tornalo da queste partì. »
«Oh giusto! non se n' è più sentito parlare. Ma -voi..."
« La mi dispiace anche questa. "
«lUa voi, dico, cosa venite a far da queste parli, per l'amor del
cielo! Non sapete che bagattella di cattura...?»
« Cosa m' importa ? Hanno altro da pensare. Ho voluto venire
anch'io una volla a vedere ì fatti miei. E non st sa proprio...?"
"Cosa volete vedere? che or ora non c'è più nessuno, non c'è
più niente. E dico, con quella bagatlHIa dì cattura, venir qui, pro-
prio in paese, in bocca al lupo, c'è giudiuo? Fate a modo d'un
vecchio die è obbligato ad averne più di voi, e che vi parla per
l'amore che vi porta; legatevi le scarpe bene, e, prima che nessuno
vi veda, tornate di dove siete venato; e se siete stato visto, lanto
più lornatevene di eorsa. Vi pare che sia aria jier voi, questa? Non
sapete che sono venuti a cercarvi, cbe hanno frugalo, frugalo, but-
tato sottosopra... »
" Lo so pur troppo, birboni!»
« Ma dunque...! »
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«<0 I PROUESSI SPOSI
uMa se le dico die non ci penso. E colui, è vivo ancora? e
qui?"
« Vi dico che non e' è nessuno; vi dico die non pensiate alte co«e
di qui; vi dico che.... •>
" Domando se è qui, colui. »
u Oh santo cielo ! Parlate meglio. Possibile che abbiate ancora ad-
dosso tutto quel fuoco, dopo tante cose! »
" C è, o non e' è ? "
«Non c'è, via. Ma, e la peste, figliuolo, la peste! Chi é«te vada
in giro, in questi tempi?»
"Se non ci fosse altro che la peste in questo mondo — dico per
me: r ho avuta, e son franco. «
u Ma dunque! ma dunque! ncm sono avvisi questi? Quando se
n' è scampata una di questa sorte, mi pare che si dovrebbe ringra-
ziare il delo, e.... »
« Lo ringrazio bene, ^
"E non andarne a cercar dell' altre, dico. Pale a modo mio...."
"L'ha avuta anche lei, signor curalo, se non m'inganno.»
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO xxxnr. «o
«Se l'ho avuta! Perfida e infame è sUla: $on qui per DiJracolo:
basla dire chu m' ha conciato in questa maniera die vedete. Ora
avevo proprio bisogno d' un po' di quiete, per riinetlermi in tono:
via , cominciavo a slare un im>' luegjio .... In nome del ciclo , cosa
venite a far qui? Tornale..,. "
u Sempre l'ha con questo tornare, lei. Per tornare, tanto n'avevo
a non movermi. Dice: cosa venite? cosa venite?Oh bella! vengo, an-
ch' io, a casa mia. "
«Casa vostra.,.. "
" Mi dica; ne son morti molli qui?... ><
"Eh cli!« esclamò don Abbondio; e, cominciando da Perpetua,
nominò una filastrocca di persone e di famiglie intere. Ren/A> s'aspet-
tava pur troppo qualcosa di simile; ma al sentir tanti nomi di persone
che conosceva, d'amici, di parenti, stava addolorato, col capo basso,
clamando ogni momento: «poverino! poverina! [wvmni!»
« Vedete! n continuò don Abbondio: «e non^ è lìiirla. Se quelli
che restano non metton giudizio que!>la volta, e scacciar tulli i grilli
dalla testa, non e' è più allro che la (ine del mondo. "
u Non dubiti; che già non fo conto di fermarmi qui. "
" Ah! si9 ringraziato il cielo, che la v' é entrata! E, già s'inlende,
fate ben conto di ritornar sul bergamasco. »
» Di questo non si prenda pensiero, h
"Che! non von-esle già farmi qualche sproposito peggio di que-
sto?"
<• Lei non ci pensi, dico; tocca a me: non son più un bambino:
lio l'uso della rdgione. Spero che, a buon conio, non dirà a nessuno
d'avermi visto. É saeenjole; sono una sua pecora: non mi vorrà
tradire. "
u Ho inteso,» disse don Abbondio, sospirando stizzosanienle: u lio
inteso. Volete rovinarvi voi, e rovinarmi me. Non vi basta di quelle
che avete passate voi; non vi basta di quelle die lio passate io. Ho
inteso, Ilo inteso.» E, continuando a borbottar tra i denti quest' ul-
lime parole, riprese |>cr la sua strada.
Renzo rimase li tristo e scontento, a pensar dove andei-ebbe a
fermarsi. In quella enumerazion di morti fattagli da don Abbondio,
c'era una famiglia di conladini portata via tutta dal contagio, salvo un
giovinotto, dell'età di Renzo a un di presso, e suo compagno fin da
piccino; la casa era pochi passi fuori del paese. Pensò d'andar li.
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C4S I PROMESSI SPMI
E andando, passò davanli alla sua vigna; e gij dal di fuori potè
subilo urgomenlare in cl>e slato In fosse. Una vetlicciola, una frwidà
d'albero di quelli che ci aveva lasciali, non si vedeva passare il muro;
se qualcosa b\ vedeva, era (ulta roba venula in sua assenza. S'af-
facciò all' apertura (del cancello non c'eran più neppure i guigheri);
diede un'occhiaia in giro: povera vigna! Per due inverni di se-
guilo, la gente del paese era andala a Tar legna « nel luogo di qnd
poverino,» come dicevano. Vili, gelsi, frulli d'ogni sorte, lutto era
sialo slrap|iato alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però an-
cora i vestigi dell'antica coltura: giovani tralci, in righe spezzale,
ma che pure segnavano la traccia de' filari desolati ; qua e là , ri-
messiliccì 0 getti di gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di iusAai;
ma aiiclic queslo sì vedeva sparso, solTogalo, in mezzo a una nuo-
va , "^aria e fitta generazione , nata e cresciuta senza 1' aiuto della
man dell'uomo. Era una marmaglia d'ortiche, di felci, di logli, di
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CAPITOLO XXXin. «41
gramigne, di farinelli, d'avene salvaliche, d'aioaranli verdi, di radic-
chielle, d'acetoselle, di panicastreile e d'altrettali piante; di quelle,
voglio dire, di cui il cooladino d'ogni paese ha fatto una gran
classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile.
Era un guazzabuglio di steli, che facevano a soxerehiarsi 1' uno con
l'altro nell'aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a ru-
barsi ÌD somma il posto per. ogni verso; una confusione di foglie, di
fiori, di frutti, di cento colori, di cento forme, di cento grandezie:
spinette, panoocchietle, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi,
gialli, azzuri'i. Tra questa marmaglia di piante ce n'era alcune di più
rilevate e vistose, non però migliori, almeno Ja più parte: l'uva
turca, più aita di tutte, co' suoi rami allargati, rosseggiaiilì , co' suoi
pomposi foglioni verdecupi, alcuni già orlali di porpora, co' suoi
grappoli ripiegati, guarniti dì bacche |taonazze al basso, più su di
porporine, poi di verdi, e iit cima di fìorelliui biancastri; il tasso
barìnsso, con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto
all'aria, e le lunghe spighe sparse e come stellale di vivi fiorì gialli:
cardi, ìspidi ne' rami, nelle foglie, ne' calici, donde uscivano càuf-
feltì di fiori bianchi o porporini, ovvero si staccavano, portati via
dal vento , pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di
vilucchioni arrampicati e avvoltati a' nuovi rampolli d' un gelso, gli
avevan lutti ricoperti delle )or f<^lic ciondoloni, e spenzolavano
dalla cima di quelli le lor campanelle candide e molli: là una zucca
salvatjca, co' suoi chicchi vermigli, s'era avviticchiala ai nuovi Iralei
d'una vile; la quale, cercalo invano un più saldo sostegno, aveva
attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando ì loro de-
boli stdi e le loro foj^lie poco diverse, si tiravan giù, pure a vicen-
da, come accade spesso ai deboli che si prendon l'uno con l'altro
per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all' altra,
saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli riuscis-
se; e, attraversalo davanti al limitare stesso, pareva clic fosse li per
contrastare il passo, anche al padrone.
Ma questo non si curava d'entrare in una lai vigna; e forse non
isleltc tanto a guardarla, quanto noi a farne questo po'di schiszo. Tirò
di lungo: poco lontano c'era la sua casa; attraversò l'orto, cammi-
nando fino a mezza gamba tra l'erbacce di cui era popolalo, coperto,
come la vigna. Mise piede sulla soglia d'una delle due stanze clic
e'en a terreno: al rumore de' suoi passi, al suo aUbcciarsi , uno
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e(4 I PnOUESSI SPOSI
scompiglio, uno scappare incrocicchiato di topacci, un cacciarsi dentro
il sudiciume che copriva tutto il pavimento: era ancora il lello de'
lanzichenecchi. Diede un'occhiaia alle pareli: scrostale, imbratlale,
alTumicate. Alzò gli occhi al palco : un paralo di ragnateli. Non e' eru
altro. Se n' andò anche di là , mettendosi le mani ne* capelli ; tornò
indietro, rifacendo il sentiero che aveva aperto lui, un. momento
prima; dopo pochi passi, prese un'altra straducola a maDcina , che
metteva ne' campi; e senza veder né sentire anima vivente, arrivò
vicino alla casella dove aveva pensato di fermarsi. Già principiava
a fersi buio. L'amico era sull'uscio, a sedere sur un panchetto di le-
gno,con le braccia incrociate, con gli occhi fissi al cielo, come un
uomo sbalordito dalle disgrazie, e insalvatichito dalla solitudine. Sen-
tendo un calpestio, si voltò a guardar chi fosse, e, a quel che gli parve
dì vedere cosi al barlume, Ira i rami e le fronde, disse, ad alta vo-
ce, rizzandosi e alzando le mani: •• non ci son che io? non ne ho
fatto abbastanza ieri? Lasciatemi un- po' stare, che sarà anche questa
un' opera di misericordia. »
Renzo, non sapendo cosa volesse dir questo , gli rispose chiaman-
dolo per nome.
« Renzo ! " disse quello, esclamando insieme e interrogando.
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CAPITOLO XXXIII. fl4B
« Proprio, » disse Renzo; e si corsero incoiitro.
« Sei proprio tu! " disse l'amico, quando furon vicini : « oh che
guslo ho di vederti! Clù l'avrebbe pensato? T avevo preso per Pao-
lìn de' morti, che vien sempre a lormenlarmi , perchè vada a sotter-
rare. Sai che son rimasto solo? solo 1 solo, come uii romito! »
u Lo so pur troppo , '^ disse Renzo. E cosi , barattando e mesco-
laodo in fretta saluti, domande e risposte, entrarono insieme nella
casuGcia. E lì, senza sospendere i discorsi, t'amico si mise in (accende
per fare un po' d'onore a Renzo, come si poteva così all'improvviso
e in quel tempo. Mise l'acqua al fuoco , e cominciò a far la polenta ;
ma cede poi il mallerello n Renzo, perchè la dimenasse; e se n'andò
dicendo: u son rimasto solo; ma! son rimasto solo! n
Tornò con un piccol secchio di latte, con un po' di carne secca,
con un paio di raveggioti, con Gdii e pesche; e posato il lutto, sco-
dellata la polenta sulla tafferia, si misero insieme a lavoia, ringrazian-
dosi scambievolmente, l'uno della visita, l'altro del ricevimento. E,
dopo un'assenza di forse due anni, si Irovarorto a un tratto mollo
più amici di quello che avesser mai sapulo d'essere nel tempo cbc
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•40 1 PROUESSI 8PUS1
si vedevano quasi ogni giorno; perchè gl'uno e all'altro, dice qtn il
manoscritto, eran toccale di quelle cose che fanno conoscere che bal-
samo sia all'animo la benevolenza; tanto quella che si sente, quanto
quella che si Irova negli altri.
Certo , nessuno poteva tenere presso di Renzo il luogo d'Agnese ,
né consolarlo della di lei assenza, non solo per quell'antica e speciale
affezione, ma anche perchè, tra le cose che a lui premeva dì dcci-
firare , ce n' era una di cui essa soia ave^a la chiave. Stette un mo-
mento tra due, se dovesse continuare il suo viaggio, o andar prima in
cerca d'Agnese, giacdic n'era così poco lontano; ma, considerato dw
ddla salute di Lucia, Agnese non ne saprebbe nulla, restò nd primo
proposito d'andare addirittura a levarsi questo dubbio, a aver la sua
sentenza, e di portar poi lui le nuove alla madre. Però, andte dall'a-
mico sepiie molle cose che ignorava, e di molle venne in chiaro die
non sapeva bene , sui casi di Lucia, e solle persecuzioni che gli avevan
fatte a lui, e come don Rodrigo se n' era andato con la coda tra le
gambe, e non s'era più veduto da quelle parti; insomma su tulio
qudl' intreccio di cose. Seppe anche (e non era per Renzo coguìzionc
di poca importanza ) come fosse proprio il casato dì don Ferrante :
elle Agnese gliel aveva bensì fallo scrivere dal siio segretai'io; ma sa
il cielo com'era slato scritto; e l'interprete bergamasco, nel leggaci
la lettera, n'^aveva fatta una parola tale, che, se Renzo fosse andato
con essa a cercar ricapilo di quella casa in Milano , probabìlmenti:
non avrebbe trovato persona che Ìndo\'inasse di chi voleva parlare.
Eppure quello era l'unico filo che avesse, per andar in cerca di Lu-
da. In quanto alla giustizia, potè confei'niarsi sempre più ch'era un
perictdo abbastanza lontano, per non darsene gran pensiero: il signor
podestà era morto di peste: chi sa quando se ne manderebbe un al-
tro; anche la sbirraglia se n'era andata la più parte; quelli che rima-
nevano, avevan tuli' altro da pensare che alle cose vecchie.
Raccontò anclic lui all'amico le sue vicende, e n'ebbe in coiitrar-
cambìo cento storie, dd passaggio dell' esercito, della peste, d'untori,
di prodigi. « Son cose brutte, » disse 1' amico, accompagnando Rem»»
in una camera che il contagio avei'a resa disabitata; « cose die non
si sardibe ma! creduto di vedere; cose da levarvi l'allegria per tutta
la vita; ina però, a parlarne tra aniid, è un sollievo, n
Alto spuntar del giorno , eran luti' e due in .cucina; Renzo in ar-
nese da viaggio , con la sua dntura nascala sotto il farsetto , e il
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CAPITOLO xxxni. e(T
collellaccio nel tasdiioo de' calzoni: il fagolUao, per andar più testo,
Io lasciò in deposilo pressò all'espile. «Se la mi va bene,» gli disse,
u se la trovo in vila , se basta ripasso di qui; corro a Pa-
sturo, a dar la buona nuova a quella povera Aguese, e poi, e poi....
Ma se, per disgrazia , per disgrazia che Dio non voglia allora ,
non so quel che farò, non so dov'anderò: cerio, da queste parti
non mi vedete più. » E così parlando , ritto sulla soglia dell' uscio ,
con la lesta per aria, guardava con im misto di tenerezza e d'acco-
ramento, l'aurora del suo paese che non aveva più veduta da tanto
tempo. L'amico gli disse, come s'usa, di sperar bene; volle che pren-
desse con sé qualcosa da mangiare; l'accompagnò per un pezzetto di
strada , e lo lasciò con nuovi augùri.
Renzo, s' incamminò con la sua pace, bastandogli d'arrivar vicino a
MilaDO in quel giorno, per entrarci il seguente, di buon'ora, e cominciar
subito la sua ricerea. Il viaggio fu senza accidenti e senza nulla che
potesse distrar Renzo da' suoi pensieri , fuorché le solite miserie e
malinconie. Come aveva fatto il giorno avanti , si fermò a suo tempo,
in un boschetto a mangiare un boccone , e a riposai'si. Passando per
Monza, davanti a una bottega aperta, dove c'era de' pani in mostra,
ne chiese due, per non rimanere sprovvisto, in ogni caso. Il for-
naio, gl'intimo di non entrare, e gli porse sur una piccola pala una
scodellelta, con dentro acqua e aceto, dicendogli che buttasse li i da-
nari; e latto questo, con certe molle, git porse, l'uno dopo l'altro,
i due pani, che Renzo si mise uno per tasca.
Verso sera, arriva a Greco , senza però saperne il nome; ma , tra
un po' di memoria de' luoghi, che gli era rimasta dell'altro viaggio, e
il calcolo del cammino fallo da Monza in poi, congetturando che do-
veva esser poco lontano dalla città , usci dalla strada maestra , per
andar ne' campi in cerca di qualche cascifiotto, e li passar la notte;
che con osterie non si voleva impicciare. Trovò meglio, di quel die
cercava: vide un'apertura in una siepe che cingeva il cortile d'una
cascina; entrò a buon conto. Non c'era nessuno: vide da un canto
un gran portico , con sotto del fieno ammantalo , e a quello appog-
giata una scala a mano ; diede un' occhiala in giro , e poi sali alla
ventura; s'accomodò per dormire, e infatti s'addormentò subito, per
non destarsi che all' alba. Allora , andò cai'pon carponi verso l' orlo
di quel gran letto; mise la lesta fuori, e non vedendo nessuno, scese
di dov* era salilo , us<^ di dov' era entrato, s" incamminò per viottole.
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I PROUESSI WOSI
prendendo per sua stella polare il duomo; e dopo ud brevissimo cam-
mino , venne a sbucar sotlo le mura di Milano , Ira ppHa Orientale
e porta Nuova, e molto vicino a questa.
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cAi»mn.(> xxxiv.
.I,D tjuanio lilla maniera di
penetrare iti dtlà, Renzo
a^eva senlito, così all' in-
grosso, che c'eran ordini
severissimi di non ia-
I sciar colrar nessuno ,
senza bullella di sanila;
„ma clie in vece ci s'en-
iHlrava benissimo, clii ap-
[■ pena sapesse un po'
^~ aiutarsi e cogliere il mo-
mento. Era infatti cosi ; e
1 lasciando anche da parie
le cause generali , per cui in que' tempi ogni ordine era poco ese-
guilo; lasciando da parie le speciali, che rendevano cosi malagevole la
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e»o 1 pitoyEssi SPOSI
rigoroso esecuzione di questo; Milano si trovava ormai in late slato,
da non veder cosa giovasse guardarlo, e da cosa; e chiunque ci
venisse, poteva parer piulloslo noncurante ddla propria salute, clic
pericoloso a quella de' cilladini.
Su queste nolÌEÌe, il disegno di Renzo eradi tentare d'entrar dalla
prima porla a cui si fosse abbattuto; se ci fosse qualche intoppo, rì-
pr^ider le mura di fuori , rincbè ne trovasse un' altra di più facile ac-
cesso. E sa il cielo quante porle s* immagina\'a cbe Milano dovesse avere.
Arrivalo dunque sollo le mura, si fermò a guardar d' intorno, come
fa chi, non sapendo da che parte gli convenga di prendere, par che
n'aspetti, e ne cliieda qualche indizio da ogni cosa. Ma, a destra e
a sinÌ!itra , non vedeva che due pezzi d' una strada storta ; dirim-
petto, un tratto di mura; da nessuna parie, nessun segno d'uomini
viventi: se non che, da un certo punto del terrapieno, s'alzava una
colonna d' un fumo oscuro e denso, che salendo s'allargava e s'av-
volgeva in ampi globi, perdendosi poi nell'aria immobile e bìgia.
Eran ^'esiliti , letti e altre masserizie infette cbe si bruciavano : e di
tali triste llammatc se ne faceva di contìnuo, non li soltanto, ma in
varie parli delle mura.
Il (cmpo era chiuso, l'aria pesante, il cielo velato per tutto da una
nuvola o da un nebbione uguale, inerte, che pareva negare il sole,
senza prometter la pioggia; la campagna d'intorno, parie incolla, e
tulla arida ; ogni verzura scolorila , e neppure una gooHola di ru-
giada suUeft^lie passe e cascanti. Per di più, quella s(diludine, quel
silenzio , cosi vicino a una gran città , aggiungevano una nuova co-
sternazione all'inquietudine di Renzo, e rendevan più tetri tulli i
suoi pensieri.
Sialo li alquanto, prese la dirilla, alla ventura, andando, senza sa-
perio , verso porta Nuova , della quale , quantunque vicina , non
poteva accorgersi , a cagione d' un baluardo , dietro cui era allora
nascosta. Dopo |H>eiii passi, principiò a sentire un tintinnio di caiib
panelli , che cessava e ricominciava ogni tanto , e poi qualche voce
d'uomo. Andò avanti e , passalo il canto del baluardo , ^ide per la
prima cosa, un casotto di legno, e sull' uscio, una guardia appoggiata
al moschetto, con una ceri' aria stracca e trascurala: dietro c'era uno
stecconato, e dietro quello, la porla, cioè due alacce di muro, con una
tettoia sopi'a, per riparare i Itatlenli; i quali erano spalancati, come
pure il cancello dello stecconato. Però, davanti appunto all'apertura.
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CAPITOLO XXXIV. «Il
c'era il) terra un tristo inipeiJimento : utia barella , sulla quale due
monatli accomodavano un |wverino, per portarlo \ia. Era il capo de'
gabdiierl, a cui, poco prìma, s'era scoperta la peste. Benzo si rermò,
aspettando la Une: parlilo il convoglio, e non venendo nessuno a ri-
chiudere il cancello, gli parve tempo, e ci s'avviò in fretta; ma la
guM^a, con una manieraccia, gli gridò: u ola! » Renzo si fermò di
nuovo su due piedi, e, datogli d' occhia, tirò fuori un mezzo duca-
Ione, e glielo fece vedere. Colui, o che avesse già avuta la peste, o
che la temesse meno di qud che amava i mezzi ducaloni, accennò a
Renzo che glielo buttasse; e vistoselo volar subilo a' piedi, susurrò:
« va innanzi presto. » Renzo non se lo fece dir due volte; passò lo
stccconalo, passò la porla, andò avanti, senza che nessuno s'accorgesse
di lui, 0 gli badasse; se non che, quando ebbe rulli forse quaranlu
passi, senti un altro » olii » che un gabelliere gli gridava dieiro.
Questa volta, fece le viste di non sentire, e, senza ^'oliarsi nemmeno,
allungò il passo. " Olà! » gridò dì nuovo il gabelliere, con una voce
però die indicava pia impazienza die risoluzione di farsi ubbidire;
e non essendo ubbidito, alzò le spalle, e tornò nella sua casaccia,
come persona a cui premesse più di non accostarsi troppo ai pas-
se^^icri , che d' informarsi de' falli loro.
La strada die Renzo -aveva presa, andava allora, come adesso, di-
ritta fino al canale dello il Naviglio: i lati erano siepi o muri d'or-
li , chiese e conventi , e poche case. lu cima a questa strada , e nel
mezzo di quella che costella il canale, c'era una colonna, con una
croce della la croce di sant'Eusebio. E per quanto Renzo guardasse
innanzi, non vedeva altro che quella croce. Arrivato al crocicchio
che divide la strada circa alla metà, e guardando dalle due parti,
vide a diritta, in quella strada 'che' si chiama lo stradone di santa Te-
resa, un citladino che veniva appunto verso di lui. ■~- Un cristiano,
finalmente! — disse tra sé; e sì voltò subito da quella parie , pen-
sando di farsi insegnar la strada da lui. Questo pure aveva visto il
forestiero che s'avanzava; e andava squadrandolo da lontano, con uno
sguardo sospettoso ; e tanto più, quando s'accorse che, in vece d'an-
darsene per i falli suoi, gli veniva incontro. Renzo, quando fu poco
distante, si levò il cappello, da quel montanaro rispettoso die era; e
tenendolo con la sinistra , mise l' altra mano nel cocuzzolo , e andò
più direttamente verso lo sconosciuto. Ma questo , stralunando gli
cedri affollo , fece un passo addietro , alzò un noderoso bastone e
-
„GoogIe
OHS I PftOHESSI SPOSI
\oHata la punta , di' era di ferro , alla vìla di Renzo , gridò :
\ia ! via ! "
u Oli oli! » gridò il giovino aiidie lui; riuiiso il capitilo in Icsla,
e, avendo tuU'altra voglia, come diceva poi, quando raecoiilava la
cosa, die di nietler su lilc in quel monienlo, voltò le spalle a quello
stravagante, e continuò la sua strada, o, per meglio dire, quella iii
cui si trovava avviato.
L'altro tirò avanti andie luì per la sua, tutto fremente, e vol-
tandosi, ogni momento, indietro. E arrivalo a casa, raccontò che gli
s'era accostato un untore, con un' aria umile, mansueta, con un viso
d' inrame impostore, con lo scatolino dell'unto, o l'involtino ddla
polvere (non era ben cerio qual de' due) in mano, nel cocuzzolo
del cappello, per brgli il tiro, se luì non l'avesse saputo tener lontano.
« Se mi s- accostava un passo di più, » soggiunse, « l' infilavo addi-
rittura , prima che avesse tempo d' accomodarmi me , il birbone. La
disgrazia fu eli' eravamo in un luogo cosi solitario , che se era in
mezzo Milano, chiamavo gente, e mi face\'0 aiutare a acchiapparlo.
Sicuro che gli si trovava quella scellerata porcberìa nd cappello. Ma
li da solo a solo, mi son dovuto contentare di fargli paura, senza
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CAPITOLO XXXIV. «MS
risicare <|j cercarmi un malanDO ; perchè un pu' di polvere è subilo
buUala; e coloro haooo uoa destrezza particolare; e poi lianno il diavolo
dalla loro. Ora sarà in giro per Milano: dii sa che strage fa!» E fìn
che visse, che fu per molt'anni, ogni volta cite si parlasse d'untori ,
ripeteva ht sua storia, e soggiungeva: « quelli che sostengono ancora
ette non era vero, non lo vengano a dire a me; perchè le cose bi-
sogna averle vìsle. n
Renzo , lontano dall' immaginarsi come I' avesse scampata bella , e
agitato più dalla rabbia cfie dalla paura , pensava , camminando , a
queir accoglienza, e indovinava bene a un di presso ciò che lo scono-
sciuto aveva pensato di lui ; ma la cosa gli pareva cosi irragionevole,
che concluse tra sé che colui doveva essere un qualc^ mezzo matto.
— La principia male , — pensava però : — par che ci sia un pia-
neta per me , in questo Milano. Per entrare, lutto mi va a seconda;
e poi, quando ci son dentro, trovo i dispiaceri li apparecchiati. Ba-
sta coli' aiuto di Dio.. . . se trovo — se ci riesco a trovare....
eh! tutto sarà stalo niente. —
Arrivato al ponte, voltò, senza esitare, a sinistra, nella strada di
san Marco, parendogli, a ragione, che dovesse condurre verso l'ìn-
ierno della città. E andando avanti, guardava in qua e in là, per ve-
der se poteva scoprire qualche creatura umana; ma non ne vide altra
che uno 'sformato cadavere nel piccol fosso che corre tra quelle po-
che case (che allora erano anche meno), e un pezzo della strada.
Passato quel pezzo, senli gridare: « o queir uomo! » e guardando da
quella parte, vide poco lontano, a un terrazzino d'una casuccia iso-
lata, una povera donna, con una nidiata di bambini intorno; la quale,
seguitandolo a chiamare , gli fece cenno anche con la mano. Ci andò
di corsa; e quando fu vicino, «o quel giovine, » disse quella donna:
u per i vostri poveri morti , fate la carità d' andare a avvertire il
commissario che siamo qui dimenticati. Ci hanno chiusi in casa come
sospetti, perdio il mio povero marito è morto; ci hanno inchiodato
l'uscio, come vedete; e da ìer mattina, nessuno è venuto a portarci
da mangiare. In tante ore che siam qui, non m' è mai capitato un
cristiano che me la lacesse questa carità: e questi poveri innocenti
iDoion di fame. »
« Di famel » esclamò Renzo; e, cacciate le mani nelle tasche, « ecco,
oceo, " disse, tirando fuori i due pani: u calatemi giù qualcosa da
metterli dentro. »
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««( I PROCESSI SPOSI
» Dio ve ne renda, merito; aspellatc un momenlo, n disse quella
donna; e andò a cercare un paniere, e una fune da calarlo, come
fece. A Renzo intanto gli vennero in mente que' pani che aieva tro-
vati vicino alla croce, nell'altra sua entrata in Milano, e pensava: —
ecco: è una restituzione, e Torse meglio che se gji a\'essi restituiti
al proprio padrone ; perchè qui è veramente un' opera di miseri'
cordia. —
u In quanto al commissario che dite, la mia donna, > disse poi,
mettendo i pani net paniere, «io non vi posso servire in nulla; per-
chè, per dirvi la verità, son forestiero, e non son niente pratico di
questo paese. Però, se incontro qualche uomo un po' domestico e
umano, da potergli |)arlare, lo dirò a lui. n
La donna lo pregò die facesse eosì, e gli disse il nome della strada,
onde lui sapesse indicarla.
« Anche voi, n riprese Renzo, « credo che potrete fermi un piacere,
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CAPITOLO XXXIV. MS
una vera carità , senza voslro iocomodo. Una casa di ca^'alìe^i, di {p^n
signoroni, qui di Milano, casa "*, sapreste insegnarmi dove sia? »
n So che la c'è questa casa, » rispose la donna: « ma dove sia,
no» lo 30 davvero. Andando avanti di qua, qualclieduno die ve la
insegni, lo troverete. E ricordatevi di dirgli anche di noi. "
» Non dubitate, n disse Renzo, e andò avanti.
A ogni passo, sentiva crescere e avvicinarsi un rumore che già
aveva comincialo a sentire mentre era li fermo a discorrere: un ru-
mor di ruole e di cavalli , con un tintinnio di campanelli , e ogni
tanto un chioccar di fruste, con un accompagnamento d'urti. Guar-
dava innanzi, ma non vedeva nulla. Arrivalo allo sbocco di quella
sli-ada, scoprendosegli davanti la piazza di san Marco, la prima cosa che
gli diede nell'occhio, furon due travi ritte, con una corda, e con certe
carrucole; e non lardò a riconoscere ( eh' ei-a cosa ^migliare in quel
tempo) r ahbominevole macchina della tortura. Era rizzala in quel
luogo, e non in qudlo soltanto, ma in tutte le piazze e nelle strade
|HÙ spaziose, afllnehè i deputali d'(^ni quartiere, muniti a questo
d'ogni facoltà più arbitraria, potessero farci applicare immediatamente
chiunque paresse loro meritevole di pena : o sequestrali che uscissero
di casa, o subalterni che non facessero il loro dovere, o chiunque
altro. Era uno di que' rimedi eccessivi e inefficaci de' quali, a quel
tempo, e in que' momenti specialmente, si faceva tanto sc<alaci|ino.
Ora, mentre Renzo guarda quello strumento, pensando perchè ]>ossa
essere alzato in quel luogo, sente avvicinarsi sempre più il rumore, e
vede spuntar dalla cantonata della chiesa un uomo che scoteva un
campanello: era un apparìlore; e dietro a lui due cavalli che, allun-
gando il collo, e puntando le zampe, venivano avanti a fatica; e
strascinato da quelli, un carro di morti, e dopo quello un altro, e poi
un altro e un altro; e di qua e di là, monatti alle costole de' cavalli,
spingendoli, a frustate, a punzoni, a bestemmie. Eran que' cadaveri ,
la più parte ignudi, alcuni mal involtati in qualche cencio, ammon-
ticchiati, intrecciati insieme, come un gruppo di serpi che lenta-
mente si svolgano al tepore della primavera; che, a ogni intoppo, a
«^i scossa, si vedevan que' mucchi funesti tremolare e scompagi-
narsi brutlameiile, e ciondolar teste, e cliiooie verginali arrovesciarsi,
e braccia svincolarsi, e batter sulle rote, mostrando all'occhio già iiior*
ridito come un tale spettacolo poteva divenire più doloroso e più
sconcio.
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t PROMESSI SPOSI
Il giovine s'era fermato sulla cantonata della piazza, vicino alla
sbarra del canale, e pregava intanto per que' morti sconosciuti. Un
atroce pensiero gli balenò in mente: — forse là, là insieme, làscito...
Oli , Signore! fate che non sia vero! fate ch'io non ci pcnsil —
I
I
1 1
ì!
Passato il convoglio funebre, Renzo si mosse, attraversò la piazza,
prendendo lungo il canale a mancina, senz'aura ragione della scella,
se non die il convoglio era andato dall'altra parte.' Fatti que' quattro
passi Ira il fianco della chiesa e il canale, vide a destra il ponte Mar-
cellino; prese di li, e riuscì in Borgo Nuovo. E guardando innanzi,
sempre con quella mira di trovar qualcheduno da farsi insegnar la
strada, vide in fondo a quella un prele in farsetto, con un ba-
stoncino in mano, ritto vicino a un uscio socchiuso, eoi capo cliinalo,
e l'orecchio allo spiraglio; e poco dopo lo vide alzar la mano e be-
nedire. Congetturò quello eh' era di fatto , cioè che finisse di confessar
qualcheduno; e disse Ira sé: — questo e l'uomo che fa per me. Se im
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prete, in futizioii dì prete, noii Ita un po' di carità, un po' d'aiiiorc e
di buona grazia, bisogna dire che non ce ne sia più in questo mondo. —
Intanto il prete, staccatosi dall'uscio, veniva dalla parte di Renzo,
lenendosi, con gran riguardo, nel mezzo della strada. Renzo, quando
gli fu vicino, si Jevò il cappello, e gli accennò che desiderava parlar-
gli, fermandosi nello stesso tempo, in luaniera da fargli iiilendere che
non si sarebbe accostato di più. Quello pure si fermò, in allo di
stare a sentire, puntando però in terra il suo bastoncino davanti u
sé, come per fai-scne un baluardo. Renzo espose la sua domanda, alla
quale il prete soddisifece, non solo con dirgli il nome della strada
dove la casa era situala, ma dandogli anche, come vide che il pove-
rino n' aveva bisogno, un po' d'itinerario; indicandogli, cioè, a forza
di diritte e di mancine, di chiese e di croci , quel!' altre sci o otto
slrade che avesa da passare per arri\'arci.
u Dio la mantenga sano, in questi tempi, e sempre," disse Renzo:
e mentre quello si moveva per andarsene, " un'altra carità, » sog-
giunse; e gli disse delia povera donna dimenticala. 11 buon prete rin-
graziò lui d'avergli dato occasione di fare una carità così necessaria;
e, dicendo che andava ad avvertire chi bisognava, tirò avanti. Renzo
si mosse anche lui, e, camminando, cercava di fare a se stesso una
ripetizione dell' itinerario, per non esser da capo a dover domandare
a ogni oanlonala. Ma non poli'csie immaginarvi come quell'operazione
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) PKiniflS^I SlH»!
gli riuscisse |>enosa, e non Unto per la ilifilcolUi dulia cosa in sé,
quanto per un niio\'o lurbamenlo che gli era nato nell'animo. Quel
nome della strada , quella traccia del cammino i' avcvan messo cosi
sottosopra. Era l' iiidìxio die a^cva desiderato e domandato, e del
quaie non poteva far di meno; né gli era sfatò detto nienl' altro, da
die potesse ricavare nessun augurio sinistro; ma che volete? qud-
i'idea un po' più distinta d'un termine vicino, dove uscirebbe «f una
grand'incertesta, dove potrebt>e sentirsi dire: è viva, o sentirsi dire:
e morta; qudl' idea l'aveva cosi colpito, che, in quel momento, gii
sarebbe piaduto più di trovarsi ancora al buio di tulio, d'essere al
principio del viaggio, di cui ormai toccava la fine. Raccolse i)em le
sue forze, e disse a sé stesso: — ehi! se principiamo ora a fare Ìl
ragazzo, com'anderà? — Cosi rinfhinealo alla meglio, seguitò la sua
strada, inoltmndosi nella città.
Quale città! e cos'era mai, al paragone, quello eh' era slata l' anno
avanti, |>er cagion della fame!
Renzo s'abbatteva appunto a passare per una delle partì più squal-
lide e più desolate : quella crociala di strade die si chiamava il car-
roòio di porla Nuova (C'era allora una croce nel mezzo, e, dirìm-
petto ad essa, accanto a dove ora è san Pranccsoo dì Paola, una
vecchia chiesa eoi titolo di sant'Anastasia.). Tania era stala in quel
vicinato la furia del contagio, e il fetor de' cadaveri lasciali lì, die i
pochi rimasU vivi erano slati costretti a sgomberare: sicché, alla me-
stizia che dava al passeggiero quell'aspetto di solitudine e d'abbando-
no, s'aggiungeva l'orrore e lo schifo dulie tracce e degli avanzi della
recente abitazione. Renzo alTreltò il passo, facendosi coraggio co! pen-
sare die la mela non doveva essere cosi vìdna, e sperando che, |>pìma
d'arrivarci, troverebbe mutala, almeno in parte, la scena; e infalli,
di li a non mollo, riuscì in un luogo che poteva pur dirsi citta di
viventi; ma quale città ancora, e quali vìventi! Serrati, per sospetto
e per terrore, tutti gli uscì dì strada, salvo quelli che fossero spalan-
cati per esser le case disabitate, o invase; altri inchiodali e sigillali,
per esser nelle case morta o ammalata gente di peste; altri segnali
d'una croce fatta col carbone, per indizio ai monatti, che c'eran de'
morti da portar via: il tutto più alla ventura che altro, secondo die
ai fosse trovalo piuttosto qua che là un qnalclie commissario della
Sanila o altro impiegalo, che avesse voluto eseguir gli ordini, o fare
un'angheria. Per lutto «enei e, più rìbullauti de* cenci, fasce marciose,
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CAPITOLO .\X\IV. 4IÌII»
strame aromorìtiaU), o leazoli bultali dalle fineslre; lalvoUa corpi, o
ài persone moHe all'improvviso, nella strada, e lasciati lì fin che pas-
sasse un carro da portarli via, o cascali ilu' carri medesimi, o buttali
aneli' essi dalie finestre: tanto l' insistere e l' imperversar del disastro
aveva insalvatichiti gli animi, e fatto dimenticare ogni cura di pietà, ogni
riguardo sociale [Cessalo per tulto ogni rumor di boUeghe,ogni strepilo
di carrozze, ogni grido di venditori, ogni chiacchierio di passe^ieri,
era ben raro che quel silenzio dì morte fosse rotto ila altro che da
rumor di carri funebri, da lamenti di poveri, da rammarichio d'in-
fermi, da urìi dì fi-enetici, da grida di monatti. All'alba, a mezzo-
giorno, a sera , una campana del duomo da\'a il segno dì recitar certe'
|Weci assegnate dall'arcivescovo: a quel tocco ri^pondevaii le campane
dell'altre chiese; e allora avreste veduto persone alTaeciarsi alle fìnv-
slre, a pregare in comune; avreste sentito un bisbiglio di voci e di
gemiti , die spirava una tristezza mista pure di qualche conforto.
Morti a quell'ora forse i due terzi de' citladinij andati via o amma-
lali una buona parte del resto , ridotto quasi a nulla il concorso della
genie di fuori, de' pochi che andava» per le strade, non se ne sa-
rebbe per avventura, in un lungo (pra, incontrato uno solo in cui
iton si vedesse qualcosa di strano, e che dava indìzio d'una funesta
mutazione di cose. Sì vede^ano gli uomini più qualificali, senza cappa
né mantello, parte allora esstinzialissima del vestiario civile; senza
sotlaiia i preti, e anche de' religiosi in farsetto; dismessa in somma
ogni sorte di vestito die potesse con gli svolazzi toccar qualche cosa,
o dare (ciò che si temeva più di tulio il resto) agio agli untori. E
fuor di questa cura d'andar siicciiUi e ristretti il più che fosse pos-
sibilc, negletta e trasandata ogni persona; lunghe le barbe dì quelli
che usavan |>ortarlc, creseìule a quelli die prima eostumavan di ra*
derle; lungtte pure e arruffale le capigliature, non solo per quella
traseiiranza che nasce da un invecchiato abbaUimento, ma per esser
divenuti sospetti i barbieri , da die era sialo preso e condannalo,
eome untor famoso, uno di loro, Giangìaeonio Mora: nome die, per
un pezzo, conservò una celebrità nninìeìpale d'infamia, e ne merite-
rebbe una ben più diffusa e perenne di pietà. Ipiù tenevano da una
mano un bastone, alcuni andie una pistola, per avvertimento minac-
doso a chi avesse voluto avvicinarsi troppo; dall'altra pasticche odo-
rose, o palle di metallo o di legno traforate, con dentro api^pu;
inzuppate d'aceti medicali; e se le andavano ogni lanlo mettendo il
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«co I PROMI^IS^tl SPOSI
naso, o ce (e tenevano dì conlinuo. Portavano alcuni altaocaU al eolio
una boccetta con dentro un po' d'argento vivo, persuasi che avesse
la virtù d'assorbire e di ritenere ogni esalazione pestilenziale; e ave-
vah poi cura di rinnovarlo ogni tanti giorni. I gentilnomini, non solo
uscivano senza il solilo seguito, ma sì vedevano, con una sporta in
braccio, andare a comprar le cose necessarie al vitto. Gli ami-
ci, quando pur due s' inconlrassoro per la si rada . si saliitavan da
lontano , con cenni tacili e frettolosi. Ognuno , camminando , aveva
molto da fare, per ìscansarc gli schifosi e morliferì inciampi di cui il
terreno era sparso e, in qualche luogo, anche aflafto ingombro: ognuno
cercava di slare in mezzo alla strada, per timore d'altro sudiciume,
o d'altro più funesto peso che potesse venir giù dalle Gneslrc; per
Umore delle polveri \enelìclie che si diceva essere spesso buttate da
<|uelle su' passeggieri; per timore delle muraglie, che potevaa esser
unte. Cosi l'ignoranza, coraggiosa e guardinga alla rovescia, aggiun-
geva ora angustie all'angustie, e dava falsi terrori, in compenso de'
ragionevoli e salutari che a\cva le^■ati da prindpto.
Tal era ciò che di meno deforrne e di men compassionevole » li-
ceva vedere intorno, 1 sani, gli agiati: che, dopo tante immagini di
miseria, e pensando a quella ancor più grave, per mezzo alla quale
dovrem condurre il lellorc, non ci fermeremo oi-a a dir qual fosse
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CAPITOLO XXXIV. 001
lo spellacolo àè%\ì appcstati che sr strascicavano o giacevano per le
strade, de* povei-Ì, de' fanciulli, delle donne. Era (ale, che il riguar-
dante poteva trovar quasi un disperalo conforto in ciò che ai lontani
e ai posteri fa la più forte e dolorosa impressione; nel jicnsare, dico,
nel vedere quanto que' viventi fossero ridotti a poclii.
In mezzo a questa desolazione aveva Renzo fedo già una buona
parte del suo cammino, quando, distante ancor molli passi da una
strada in cui doveva voltare, senti venir da quella un vario frastono,
nel quale si faceva distinguere quel solilo orribile tintinnio.
Arrivato alla cantonata della strada, ch'era una delle più largite,
vide quattro carri fermi nel mezzo; e come, io un mercato di gra-
naglie, si vede un andare e venire dì gente, un caricare e un rove-
sciar di sacchi, tale era il movimento in quel luogo: monatti ch'eli-
travan nelle case, monatti die n'uscivano con un peso su le s]
e lo mettevano su l'uno o l'altro carro: alcuni con la divisa r
altri senza quel distintivo, molti con uno ancor più o<lioso, pennac-
chi e fiocchi di vari colori , che quegli sciagurati |>orta^'ano come
per segno d'allegria, in tanto pubblico lutto. Ora da una, ora da
un'altra finestra, veniva una voce lugubre: « qua, monalli! n E con
suono ancor più sinistro, da quel tristo brulichio usciva qualche vo-
ciacela che rbpondeva: "ora, ora. « Ovvero eran pigionali die bron-
tolavaiKi, e dicevano di far presto: ai quali ! monalli rispondevano
con bestemmie.
Entralo nella strada, Renzo allungò il |iasso, cei-cando di non guar-
dar qucgl' ingombri , se non quanto era necessario per iscansarli ;
quando il suo sguardo s'incontrò in un oggelto singolare di pietà,
d' una pielà che invogliava l' animo a contemplarlo ; di maniera che
si fermò, quasi senza volerlo.
Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il con-
voglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata,
ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata,
ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale:
quella Lelle7.za molle a un tempo e maestosa , che brilla nel sangue
lombardo. La sua andatura era affaticala, ma non cascante; gli ocdii
non davan lacrime, ma poHavan segno d'averne sparse fante; c'era
in (|uel itAore un non so che di pacato e di profondo, die attestava
un'anima tulla consapevole e presente a sentirlo. Ma non wa il solo
suo aspello che, tra tante miserie, la indicasse cosi particolarmente
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e6l I PROMESSI SP09I
alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ani<
mortilo ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di Torse nov'anni,
moria; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un
vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornala per una
festa promessa da tanto tempo , e data per premio. Né la teneva a
giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggialo
a) petto, come se fosse stala viva; se non die una manina bianca a
guisa di cera spen;(olava da una parte, eon una certa inanimala gra-
vezza , e il capo posava sull' omero della madre , con un abbandono
più forte del sonno: della madre, che, se anche la somiglianza de' volli
non n' avesse fatto fede, 1' avrebbe detto chiaramente quello de' due
cb' esprimeva ancora un scnlimenlo.
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia,
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CAllTOtO XXXIV. 03S
con una specie però d' insolito rispetto, con un'esitazione involonta-
ria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né di-
sprezzo, « no! n disse: •• non ine la toccate per ora; devo metterla
io su quel caiTO : proitdele. " Cosi dicendo , apri una mano , fece
vedere una borsa, e la lasciò cadei'e in quella clic il monatto le tese.
Poi continuò: u promettetemi di non levarle un filo d'intorno, ne di
lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra cosi. "
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, lutto premuroso, e
quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggio-
gato, die per rinaspettala ricompensa, s'alTaccendò a far un po'di po-
sto sul carro per la morticina. La madre, dato a quesla un bacio in
fronte, la mise li come sur un letto , ce I' accomodò , le stese sopra
un panno bianco, e disse 1' ultime parole: u addio, Cecilia! riposa in
pace ! Stasera verremo anche noi , per restar sempre insieme. Prega
intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri, n Poi voltatasi
di nuovo al monatto, " voi, " disse, « passando di qui verso sera,
salirete a prendere anche me, e non me sola. «
Cosi 4eUi>, ricBlrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla Hne-
slra , tenendo in c<rilo un' altra bambina più piccola , viva , ina coi
segni della morte in volto. Stette a contoiiplare quelle cosi indegne
esequie della prima, tinche il carro non si mosse, finché lo potè
vedere; poi disparve. E che altro potè fare, se non posar sul letto
l'unica che le rimaiie\-a , e mettersele accanto per morire insieme ?
come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino an-
cora in boccia , al passar della falce che pareggia tulle 1' erte del
prato.
« O Signore! » esclamò Renzo: " esauditela! tiratela a voi , lei e
la sua creaturina: hanno patito abbastanza! hanno |)alilo abbastanza!»
Riavuto da qudla eoiiimozione straordinaria , e inenli'e cerca di
tirarsi in inenic I* itinerario per trovare se alla prima strada deve
voltare, e se a dìrìlla o a itianciiia, seh le anche da qiiesla venire un
altro e divei-so strepilo, un suono confuso di grida imperiose, di fio-
chi lamenti, un (liaitger di donne, un mugolio dì fanciulli.
.\ndò avanti, con in cuore quella solila Irisla e oscm'a aspellaliva.
Arrivalo at crocicchio , vide da una parte una moltitudine confusa
elu; s'avanzava, e si fermò li, per lasciarla passaiù Erano ammalati
c'ie venivan condoni al lazzercllo; alcuni, spinti a forza, resistevano
in vano, in \'ano gridavano clic volevan morire sul loi-o letto, e
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eet I PROllESSI SPOSI
rìs[)oiidcvariu con inulili im|>rccaiioiii itile be»lemnii« e ai «umaiidide'
monadi che li guidavano; altri camminavano in silenzio, senza niosfnr
dolore, né alcun altro scnlìniciilo, come insensati; donne co' bambini
in collo; fanciulli spaventali dalle grida, da quegli ordini, da quella
conipt^nia, più che dal pensiero confuso della morte, i quali ad alle
strida imploravano ia madre e le sue braccia fidale , e la casa loro.
Ahi! e forse la madre, che credevano d'aver lasciata addormentala
sul suo letto, ci s'era buttata, sorpresa tutt' a un tratto dalla peste; e
slava li senza sentimento, per esser portata sur un carro al lazzeretto,
o alla fossa, se il carro veniva più tardi. Forse, o sciagura degna di
lacrime ancor più amare! la madi'e, tutta occupala de' suoi patimenti,
aveva dimenticalo ogni cosa, anche ì figli, e non aveva più che un
pensiero: di morire in pace. Pure, in tanla confusione, sì vedeva
ancora qualche esempio di fermezza e di pietà: padri, madri, fratelli,
figli, consorti, che sostenevano i cari loro, e gli accompagnavano con
parole di conforto: ne adulti soltanto, ma ragazzetti, ma fanciulline
che guidavano i fratellini più teneri, e, con giudizio e con compas-
sione da grandi, raccomandavano loro d'essere ubbidienti, gli assicu-
ravano che s' andava in un luogo doìe e' era chi avrebbe cura di
loro per farli guarire.
In mezzo alla malinconia e alla tenerezza di tali viste , una cosa
toccava più sul vivo, e teneva in agitazione il nostro viaggiatore. La
casa doveva esser li vicina, e chi sa se tra quella gente.... Ma pas-
sala tutta la comitiva, e cessalo quel diil>bio, si voltò a un monalto
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CAPITOLO XXXIV, ow
che veniva dietro, e gli domandò dolla strada e della casa di dòn Fer-
rante. « In malora , tanghero , « fu la risposta che ii' ebbe. Ne si
curò di dare a colui quella die si meritava; ma, vislo, a due passi,
un commissario die veniva in coda al convoglio , e aveva un viso
un po' più di cristiano, fece a lui la stessa domanda. Questo, accen*
nando con un bastone la parte donde veniva, disse: « la prima
strada a dirilla, I' ultima casa grande a sinistro. •>
Con una nuova e più forte ansietà in cuore, it giovine prende da
quella parte. É nella strada; distingue subito (a casa Ira l'altre, più
Lasse e meschine; s' accosta al porlòiie che é chiuso, nicKe la mano
sul martello, e ce la fien sospesa, come in un'urna, prima di tirar
su la polizza dove fosse scritta la sua vita, o la sua moHe. Final-
mente alza il martello,' e dk un picdiio risòluto.
Dopo qualche momento, s'apre un poco una finestra; una donna
la capolino, guardando chi era, con un >-Ìso ombroso che par che
dica: monatti? vagabondi? commissari? untori? diavoli?
'< Quella signora,» disse Renzo guardando in su, e con voce non
trop|io sicura: tei sia qui a servire una giovine di campagna j die
Ila nome Lucia ? n
uLa non c'è più; andate,» rispose quella donna, facendo atto di
diiudcre.
"Un momento, per carità! La non c'è più? Dov'è?"
" Al lazzerelto;» e di nuovo voleva chiudere.
-Ma un momento, per l'amor del cielo! Con la peste?»
uGià. Cosa nuova, eh? Andate."
uOh povero me! Aspetti; era ammalala molto? Quanto lenijwè....?»
Ma intanto la fìnestra fu chiusa davvero.
" Quella' signora! quella signora! una parola, per carità! per i
suoi poveri morti! Non le chiedo niente del suo: ohe!" Ma era co-
me dire al muro.
Afllrtlo della nuova, e ari'abbiato della manici'a , Renzo afferrò
ancora il martello, e, cosi appoggiato alla porta, andava stringendolo
e storcendolo , 1' alzava per picchiar di nuovo alla disperata , poi lo
teneva sospeiio. In quest' agitazione, si voltò per vedere se mai ci
fosse d'intorno qualche vicino, da cui potesse forse aver qualdie
informazione più precisa, qualche indìzio, qualche lume. Ma la prima,
l'unica persona che vide, fu un' altra donna, distante forse un venti
passi; la quale, con un viso ch'esprimeva terrore, odio, impazienza
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««« . I ntouESsi SPOSI
« malizia, COI) cert' occhi stravoUi clic volevamo inaiente guardar lui,
e guardar lonlnno , spalancando la bocca Come Ìq allo di gridare a
più non posso, ma ralicnendo ancbe il respìne, hlzaiido due braccia
scainic, allungando e ritirando due mani grinzose e jMfBle a guisa
d'arligli, come se cercasse d'acchiappar qualcosa, si vedeva che vo-
leva chiamar gente, in modo che qualclicduno non se n'accorgesse.
Quando s' incontrarono a guardarsi, colei, fallasi ancor più brulla, si
l'incosse come persona sorpresa.
«Clic diamine....?" cominciava Renzo, alzando auche lui le mani
\'erso la donna; ma questa, perduta la speranza dì polerki far ro-
glicrc all' im|)rovviso, lasciò scappare il grido che aveva ratlenulo
(in allora: ul' untore! dagli! dagli! dagli all'untore! »
u Olii? io! ah strega bugiarda! sta zitta, « gridò Renzo; e fece
un salto verso lei, per impaurirla e farla chetare. IVIa s' avvide su-
bito, che ave^ a bisogno piutloslo di pensare ai casi suoi. Alio strillar
della \ecchia, accorreva gente di qua e di là; non la folla ebe, in
un caso simile, sarebbe stala, tre mesi prima; ma più che abbastan-
za per poter (are d'un uomo solo quel che \olcssero. Nello stesso
lemjH), s'aprì di nuovo la finestra, e <[uella medesima sgarbata di pri-
ma ci s'affacciò questa volta, e gridava anche lei : u pigliatelo, pìglia-
lelo; clic dev'essere uno di quc' birboni che vanno in giro a unger
le |>orte de' galantuomini. »
Renzo non isletle li a pensare: gli parve subilo miglior partilo sbri-
garsi da coloro, che rimanere a dir le sue ragioni: diede un'occhiaia
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CAPITOLO XXXIV. «BT
a destra e a sinistra, da che parte ci fosse racn gente, e svijjnò di li'i.
Rispinsc con un urtone uno che gh' parava la strada; con un gran
punzone nel petto, fece dare indietro otto o dieci passi un altro che
gli correva incontro; e via di galoppo, col ptigno in aria, stretto,
nocchiuto, pronto per qualunque altro gli fosse venuto tra' pieili.
.La strada davanli era sempre lil>era; ma dietro le spalle sentiva il
cal|>eslio e, più forti del calpestio, quelle grida amare: «dagli! dagli!
all' untore! n Non sapeva quando fossero per fermarsi; non vedeva
do^-é si potrebbe mettere in salvo. L'ira divenne rabbia, l'angoscia
si cangiò in disperazione; e, perso il lume degli occhi, mise mano al
suo eollellaccìo , lo sfoderò, si fermò su due piedi, voltò indietro il
viso pili lorvo e più cagnesco che avesse fatto a' suoi giorni; e, col
braccio teso, brandendo in aria la lama luccicante, gridò: « citi lia
onore, venga avanti, canaglia! che l'migerò io davvero con questo. »
Ma, con maraviglia, e con lui sentimento confuso di consolazione,
vide che i suoi persecutori s'eran già fermati, e slavaa li come
titubanti, e che, seguitando a urlare, facevan, con le mani jK'r
aria, certi cenni da spiritati, come a gente che venisse di lontano
dietro a lui. Si voltò ili nuovo, e vide (che il gran turbamento
non gliel aveva lasciato vedere un momento prima) un carro che
s'avanzava, anzi una fila di que' solili carri funebri, col solilo ac-
compagnamento; e dietro, a qualche dislauiui, un altro mucchietto
di gente che avrebbero coluto anche loro dare addosso all' unloiT,
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MB I PROUBSSI SPOSI
c prenderlo in mezzo; ma eran tralleniili dall' impedimenlo mede-
simo. Vistosi così tra due fuociii, gli venne in mente die ciò die
era di terrore a coloro, polena essere a lui di salvezza; [imsò elio
non era tempo di far lo schizzinoso; rimise il collellaccio nel fodero,
si (irò da umi parte, prese la rincorra verso i e&rri, pasbù il primi),
e adocdiiò nel secondo un buono spazio vóto. Prende la inira^ spicca
un salto; è su, piantato sul piede destro, eoi sinistro in aria, e con
ie liraccia alzate.
"Bravo! bravo!" esclamarono, a una voce, i monatti, alcuni du'
quali seguivano il convc^lìo a piedi, altri eraii seduli sui carri, altri,
per dire l' orribi^^cosa com'era, sui cadaveri, Ihneando da un gran
fiasco che andava in giro. « Bravo ! bel colpo ! »
«Sei venuto a metterti sotto la protezione de' monatti; fa coittu
d' essere in chiesa, » gli disse uno de' due die slavano sul carro do-
v' era ntonlalo.
I nemici, all'avvicinarsi del treno, avevano, i più, voliate le
spalle, e se n'andavano, no» lasciando di gridare: « dagli! dagli!
all'untore! » Qualclieduno si ritirava più adagio, fermandosi <^i
tanto, e voltandosi, con versaeei e con gesti di minaccia, a Renzo;
il quale, dal carro, rispondeva loro dibattendo i pugni in aria.
«Lascia Tare a me,n gli disse un monaUo; e strappato d'addosso
a un cadavere un laido cencio, l'annodò in fretta, e, presolo per
una delle cocche, l'alzò come una fionda verso quegli ostinati, e
fece le viste di buttarglielo, gridando: «aspetta, canaglia!» A quel-
l'atto, fuggiron tutti, inorriditi; e Renzo non vide più che schiene
di nemici, e calcagni che ballavano rapidamente per aria, a guisa di
gualchiere.
Tra i monatti s' alzò un urlo di trionfo , uno scroscio procelloso
di risa, un "Uh!» prolungato, come per accompagnar quella fuga.
«Ah ah! vedi se noi sappiamo prule^erc i galantuomini N disse
a Renzo quel monatto: « va) più uno di noi che cento di que' pol-
troni, j»
«Orlo, posso dire che vi devo la vita,» rispose Renzo: «e vi
ringrazio con tutto il cuore, n
"Di che cosa?» disse il monatto: «tu lo meriti: si vede che sei
un bravo giovine. Fai bene a ungere quesla canaglia: ungili, estir-
pali costoro, che non vaglion qualcosa, se non quando son morti;
che, per ricompensa ddla vita die facciamo, ci maledicono, e vanno
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CAPITOLO XXXIV. SS»
dieendo cbc, Aitila la moria, ci voglioii fare impiccar tulli. Hanno a
(ÌDÌr prima loro che la moria; e i inonatli hanno a restar soli, a
canlar vittoria, e a sguazzar per Milano, y
«Viva la moria, e moia la marmaglia!» esdamò l'altro; e, con
questo bel brindisi, si mise il fiasco alla bocca, e, tenendolo con
lull'e due le mani. Ira le scosse del cari*o, diede una buona bevuta,
|ioi lo porse a Renzo, dicendo: «bevi alla nostra salute.»
.j, ii
«Ve l'auguro a tutti, con lutto il cuore,» disse Renzo: «ma non
ho sete; non ho proprio voglia di bei'e in questo momento, n
e Tu hai avulo una bella |>aura, a quel che mi pare,» disse il
moiiallo: "m'hai aria d'un pover' uomo; ci vuol altri visi a hv
r.imlore. »
o Ognuno s' ingegna come può , « disse I' altro.
» Dammelo qui a me, o disse uno di quelli che venivano a piedi
accaulo al carro, u che ne voglio bere anch'io un altro soi'so, alla
salute del suo padrone, che si trova qui in questa bella compa*
gnia.... li, li, appunto, mi pare, in quella bella carrozzala.»
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BIS ) PUOIIESSI sro8i
1^, con UH suo atroce e maledello ghigno, accennava il oarra
(iavanli a-qiiello su cui slava il povero Renzo. Poi, composto Ìl viso
a un atto di serielù ancor più bieco e fellonesco, fece una rìverenn
(la quella \a\-\c, e riprese: «si contenta' padron mio, che un po-
vero monattuccio assaggi di quello della sua cautina? Vede bene: si
la certe vile: slam quelli che 1' abbiam messo in carrozza, per con-
durìo in villeggiatura. E poi, già a loro signori il vino fn subilo
male: ì poveri monatti lian lo stomaco buono. "
E tra le risate de' compagni, prese il fiasco, e l'alzò; ma, |)riiua di
Itere, si voltò a Renzo, gli fìsso gli occhi in viso, e gli disse, con
una ceri' aria di compassione sprezzante : « bisogna ette Ìl diavolo
col quale hai fatto il patto, sia ben giovine; che, se non eravamo li
noi a salvarli, lui ti dava un beli' aiuto. » E tra un nuovo scroscio
di risa, s'attaccò il Rasco alle labbra.
«E noi? eli! e noi?" gridaron più voci dal carro ch'era avanti.
Il birbone, tracannato quanto ne volle, porse, con tuU'e due le
mani , ìl gran fiasco a quegli altri suoi simili , i quali se lo passaron
dall'uno all'altro, fino a nno die, volatolo, lo prese per il collo, gli
fece fai-e il mulinello, e lo scagliò a fracassarsi sulle lastre, gridando:
«viva la moria!" Dietro a queste parole, intonò una loro canw-
naccia; e subilo alla sua voce s' accompagnaron tulle r altre di quel
turpe coro. La cantilena infernale, mista al tintinnio de' campanelli,
al cigolio de' carri, ai calpestio de' cavalli, risonava nel vóto silen-
zioso delle strade, e, rimbombando nelle case, stringeva amaramente
il cuore de' pochi che ancor le abitavano.
Ma cosa non può alle volle \'enire in acconcio? cosa non può far
piacere in qualche caso? Il pericolo d'un momento prima aveva
resa più che toUei-abile a Renzo la compagnia di que' morti è di
que' vivi; e ora fu a' suoi orecchi una musica, sto per dire, gradita,
quella che lo leva^'a dall' impiccio d' una tale conversazione. Ancor
mezzo alninnalo, e tulio sottosopra, ringraziava intanto alla meglio
in cuor suo la Provvidenza, d'essere uscito d'nn tal frangente, sen-
za ricever male né farne; la pregava che l'aiutasse ora a liberarsi
anche da' suoi liberatori; e dal canto suo, slava all'erta, guardava
quelli, guardava la strada, per cogliere il tempo di s4fa*ucciolar gin
quatto quatto, senza dar loro occasione di lar qualche rumore, qual-
clie scenata, che mettesse in malizia i passeggieri.
Tutt'a un Iratlo, a una cantonata, gli parve di riconoscere il
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CAPITOtO XXXIV. «11
luogo: guardò più aUenlameiilc, e ne fa sicuro. S&pele dov'era?
Sul corso di porta orieirlale , ìii quella strada per cui era tenuto
adagio, e tornato via in frella, ^rca \'cnli mesi prima. Gli venne ^-
hito in mente che di lì s'andava diritto al lazzeretto; e questo tro-
varsi sulta strada giusta, senza studiare, senza domandare, t'clibe
per un IraUo speciale della Provvidenza, e per buon augurio del
rimanente. In quel punto, veniva incontro ai carri un commissariOf
gridando à' monatti dì fermare, e non so cite altro: il fudo è die il
eonvoglio si l'ermo, e la musica si cambiò in un diverbio rumoroso. ,
Udo de' ntonaltì cli'cran sul carro dì Renzo, saltò giù: Renzo disse
all'altro:* vi ringrazio della vostra carità: Dio ve ne renda merito;»
e giù anche lui , dall' ^Ura parte. .
a Va, va, povero untorello, » rispose colui: » non earai (u quello
Hie .spianti Milano, n
Per fortuna , non e' era chi potesse sentire. Jl convoglio era fer-
mato sulla sinistra del corso: Renzo prende in fretta dall'altra parte,
e, rasentando il muro, trotta innanzi verM> il ponte;. lo passa, conti'
nua per la strada del borgo, riconosce il convento de' cappuccini, è
vicino alla porta, vede spuntar l'angolo del lazzeretto, passa il can-
cello, e gli si spiega davanti la scena esteriore di quel recinto: un
indizio appena e un saggio, e già una vasta, diversa, indescrivibile
scena.
Lungo i due lati che si presentano a chi guardi da quel punto,
era tutto un brulichio; erano ammalati che andavano, in compagnie,
ni lazzeretto; altri che sedevano o giacevano sulle sponde del fossato
che lo costeggia; sia che le forze non fosser loro bastate per con-
dursi (in dentro al ricovero, sia che, usciti di là per disperazione,
le forze fosser loro ugualmente mancale per andar più avanti. Altri
meschini erravano sbandati, come stupidi^ e non pochi fuor di sé
affatto; uno stava tutto infervorato a raccontar le sue immagina-
zioni a un disgraziato die giaceva oppresso dal inule; un altro dava
nelle smanie; nn altro guardava in qua e in là con un visìno riden-
te, come se assistesse a un lieto siieilacolo. Ma la s|)ecie più strana
e più rumorosa d' una lui li-ista allegrezza , era un cantare allo e
continuo, il quale pareva die non venisse fuori da quella miserabile
folla, e pure sì faceva sentire più che tutte l'altri voci: una canzone
contadinesca d'amore gaio e scherzevole, di quelle che cliiamavan
vìllanetic; e andando con lo sguardo dietro al suono, per iscoiH-ire
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BTS I PROCESSI SPOSI
chi mai potesse esser cAiileiilo, in quel tempo, in quel luogo, si
vedeva un meschino che, seduto tranquillamente in fondo al fossato,
cantava a più non posso, con la lesta per aria.
Renzo aveva appena falli alcuni passi lungo il lato nterìdionale
del)' edilizio, che si senti in quella nioKitudine un rumore straordi-
nario, e di lontano voci clic gridavano: guarda! piglia! S'alza in
punta di piedi, e vede un cavallaccio clic andava di carriera, spinto
da un più strano cavaliere: era un frenetico che, vista quella bestb
. sciolta e non guardata, accanto a un carro, c'era montato in fretta a
bisdosso, e, martellandole il collo co' pugni, e facendo sproni de' cal-
cagni, la cacciava in furia; e monatti dietro, urlando; e lutto si
ravvolse in un nuvolo di polvere, che volava lontano.
Cosi, già sbalordito e stanco di veder miserie, il giovine arrivò
alla |H>rta di quel luogo do^'e ce ii' erano adunate forse più che non
ce ne fosse di sparse in tutto lo spazio che gli era già toccato di
percorrere. S'affaccia a quella porla, entra sotto la volta, e rimane
un momento immobile a mezzo del portico.
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(;\I>IT(H.() wxv
ini il lclloi-c il re-
dW laxzeretlo ,
alo di sedici mila
tali; quello spazio
iigombro, dove di
ne e ili baracclu>,
di ranri, dove di
; quelle due inler-
miiiate fuglie di portici, a destra e a sinistra, piene, gremtlc di lan-
guenti 0 di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; e su tutto
quel quasi immenso covile, un Lnilictiio, come un ondeggiamento; e
qua e là, un andare e ventre, un fermarsi, un correre, un chinarsi.
Un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi. Tale fu lo spet-
tacolo die riempi a un tratto la vista di Renzo, e lo tenne li, sopraf-
fatto e compreso. Questo spettacolo, noi non ci proponiaiii certo di
descriverlo a parte a parie, né il lettore lo desidera; s*rio, seguendo
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«T4 I PR011ES8I SPOSI
il nostro giovine nel suo penoso giro, ci rermeremo alle sue fermale,
e di ciò che gli loccò di vedere diremo {|uan(o siu necessario a rac-
conlar ciò clie fece, e ciò die gli segui.
Dulia porta dove s' era fermato, lino alla cappella del mezzo, e di là
all'altra porta in faccia, c'era come »n viale sgombro di capanne e
d'ogiti altro ini|iedimei)(o stabile; e alla seconda oceliiata, llenzo vide
in quello un tramenio di carri, un portar vìa ruba, per far luogo;
^'ide cappuccini e secolari clie dirìgevano quell'operazione, e insieme
mandavan via chi non ci avesse che fare. E (emendo d'essere anclic
lui messo fuori in quella maniera, si cacciò addirittura tra le capanne,
dalla jiartc a cui si trovava casualmente voltalo, alla diritta.
Andava avanti, secondo che vedeva posto da poter mettere il piede,
<lu capanna a capanna, facendo capolino in ognuna, e osservando ì
letti ch'eran fuori allo scoperto, esaminando volli abbattuti dal pati-
mento, o contralti dallo spasimo, o immobili nella morie, se mai gli
venisse fatto di trovar quello clic pur temeva di trovare. Ma aveva
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Capitolo xxxv, «ti
già fatto un bel pezzetto dì cammino, e ripetuto più e più volte quvl
doloroso esame, senza veder mai nessuna donna: onde s'immaginò
che dovessero essere in un luogo separato. E indovinava; ma dove
fosse, non n'aveva indizio, né poteva argonien tarlo. Incontrava ogni
tanto ministri, tanto diversi d'aspello e di maniere e d'abito, quaiilu
diverso e opposto era il prinetpio elie dava agli uni e agli altri una
forza uguale di vivere in lati servizi: negli uni l'estinzione d'ogni
senso di pietà, n^li altri una pietà sovrumana. Ma né agli uni né
agli altri si sentiva di lar domande, pernon procacciarsi alle volte un
inciampo; e deliberò d'andare, andare, (in cbe arrivasse a trovar don-
ne. E andando non laseìava di spiare intorno; ma di tempo in tempo
era costretto a ritirare lo sguardo contristato, e come abl)agliulu da
tante piaghe. Ma dove rivolgerlo, dove riposarlo, che sopra altre piaghe ?
L'aria stessa e il etelo accrescevano, se qualche cosa poteva acere-
soeHo, l'orrore di quelle viste. La nebbia s' era a poco a poco addensala
e accavallata in nuvoloni die, rabbuiandosi sempre più, davano idea
d'un annottar tempestoso; se non che, verso il mezzo di quel cielo
cu|H> e abbassato, traspariva, come da un fitto velo, la S|M-ra del sole,
pallida, elle spargeva intorno a sé un barlume fioco e sfumato, e pio>
veva un calore morto e pesante. Ogni tanto, tra mezzo al ronzio con-
tinuo di quella confusa moltitudine, si sentiva un borbottar di tuoni,
profondo, come tronco, irresoluto; né, tendendo l'oreeeliio, avreste
saputo distinguere da che parte venisse; o avreste potuto crederlo un
correr lontano di carri, che si fermassero improvvisamente. Non si
vinleva, nelle campagne d'intorno, moversi uh ramo d'albero, ne un
uccello aiidarvisi a posare, o slaccarsene: solo la rondine, comparendo
subitamente di sopra il tetto del recìnto, sdrucciolava in giù con l'ali
tese, come per rasentare il terreno del campo; ma ^igottifa da quel
brulìcliio, risaliva rapidamente, e fuggiva. Era uno di que'Iempi, in
coi. Ira una compagnia dì viandanti non e' é nessuno eUe rompa il
silenzio; e il cacciatore cammina pensieroso, con lo sguardo a (erra;
e la villana, zappando nel campo, smette di cantare, senza avveder-
sene; di que'Iempi forieri della burrasca, in cui la natura, come im-
PMla al di fuori, e agitala da un travaglio interno, par cito opprima
ogni vivente, e a^uiiga non so quale gravezza a ogni operazione,
all'ozio, all'esistenza slessa. Ma in quel luogo destinato per sé al pa-
tire e al morire, si vedeva l' uomo già alle prese col male soccombere
alla nuova oppressione; ai vedevan centinaia e centinaia peggiorar
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«;« 1 PHOUBSSI SPOSI
precipilosameiile; e insieino, rulliiua lotta era più affannosa, e iid-
rauiiiciUo de' dolori, i gemiti più soffogali: uè forse su quel luogo dì
miserie era ancor passala un'ora crudele al par dj questa.
Già aveva il giovine girato un bel pezzo, e senza frutto, per quel-
l'andirivieni di capanne, quando, nella varietà de' lamenti e nella con-
fusione del mormorio, cominciò a diiìtingucre un misto singolare di
vagiti e di belali; (in clieam'vòa un assito scbeggialo e sconnesso, di
dentro il quale veniva quel suono straordinario. Mise un oceliio a un
largo spiraglio, tra due asse, e vide un recinto con dentro capanne
sparse, e, eoa in quelle, come nel pìccol campo, non la solita infer*
meria, ma bambinelli a giacere sopra malerassine, o guanciali, o len-
zoli distesi, o toppotii; e balìe e altre donne in faccende; e, ciò cbc
più di tutto attraeva e fermava lo sguardo, capre mescolate con quelle,
e falle loro aìulantì: uno spedale d'innocenti, quale il luogoeil tempo
poteva» darlo. Era, dico, una cosa singolare a vedere alcune di quelle
bestie, ritte e quiete sopra questo e quel bambino, dargli la popjKi; e
qualulie altra accorrere a un vagito, come con senso materno, u fer-
marsi pi-esso il |)iecolo allievo, e procurar d'aecomodarcisi sopra, e
belare, e dimenarsi, quasi cbiamando dii venisse in aiuto a lull'e due.
Qua e là eran sedute balie con Lambini al petto; alcune in lai atto
d'amore, da far nascer dubbio nel riguardante, se fossero stale attirate
in quel luogo dalla paga, o da quella carila spontanea clic va in cerca
de'bisogni e de' dolori. Una di csm;, tutla'aeeorala, slaccava dal suo
l>etto esausto un mesehinellu piangenle, e andana Irislaiuenle cei-caudo
la beì>tia , che potesse fur le sue veci. Vti' altra guardava ooii occliìo
di eonipiaeenza quello che le si era addormentato alla poppa, e Cacia-
iolo mollemente, andava in una capanna a posarlo sur una niateras-
sina. Ma una terza, abbandonando il suo petto al lattante straniero,
con una ceri' aria però non di truscuranza, ma di preoccupazione, guar-
dava (isso il cielo: a elie pensava essa, in quell'alto, con quello ^uar
do, se non a un nato dalle sue viscere,. die, forse poco prima, aveva
succhiato quel petto, che forse c'era spii-ato sopra? Altre donne più
attempale altendet'ano ad altri servizi. Una accorreva alle grida d'uii
lianibino affamato, lo prendeva , e lo portava vidno a una capra che
]Kiscolava a un mucchio d'erba fresca, e glielo presentava alle poppe,
gridando l' Inesperto animale e accarezzandolo insieme, aflinehè si pre-
giasse dolcemente all'uHzio. Questa correva a prendere un poverino,
che una eapra luti' inlenla a allallame un altro, pestava con una
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CAPITOLO XXXV. <"»
zara|)a: quella pollava in qua e in là il suo, ninnandolo, cercando, ora
d' addormccifarlo col canto , ora d* acquielarlo con dolci parole, chia-
maiidulo con un nome ch'essa raedesima gli aveva messo. Arrivò in
(luci punto IMI cappuccino con la barba bianchissima, portando due
bamhini slnllanli , uno per hi-accio , raccolli allora vicino alle madri
spit-alv ; e una donna corse a riceverli, e andava guardando Ira la
brigala e nel gregge, per trovar subilo chi tenesse lor luogo di madre.
Più d'iuiu volla il giovine, sj)inlo da quello ch'era il primo, e il
più forte de' suoi pensieri, s'era slaccalo dallo spiraglio per andarsene;
V poi ci ave^'a rimesso l'occhio, per guardare ancora un momento.
Levatosi di li lliiahncnte, atidò costeggiando l' assito. Un che un muc-
ehietto di capanne appoggiate a quello, lo costrinse a voltare. Andò
allora lungo le capanne, con la mira di riguadagnar Tassilo, d'andar
(ino alla (ine di quellO; e scoprir paese nuovo. Ora, mentre guardava
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«TB I paouESSi SPOSI
innanzi, per studiar la strada, un'apparizione repentina, paaseggiera,
istantanea, gli feri lo sguardo, e gli mise l'animo soltosopra. Vide, a
im ccnlo passi di distanza, passare e perdersi subito tra le baraccbe
un cappuccino, un cappuccino che, anclie eoa da lontano e cosi di
fuga, a%'eva tutto l' andare, lutto il fare, tutta la forma del padre Cri-
sloforo. Con la smania che potete pensare, corse verso quella parte;
e li, a girare, a cercare, innanzi, indietro, dentro e fuori, per quegli
andirivieni, tanto die rivide, con altrettanta gioia, quella forma, quel
frale medesimo; Io vide poco lontano, che, scostandosi da una caldaia,
andava, con una scodella in mano, verso una capanna; poi Io vide
sedersi sull'uscio di quella, fare un segno di croce sulla scodella cIk
teneva dinanzi; e, guardando intorno, come uno che stia sempre al-
l'erta, mettersi a mangiare. Era proprio il padre Cristoforo.
La storia del quale, dal punto che l'abbiam perduto di vista, fino
a quest'incontro, sarà raccontala in due parole. Non s'era mai mosso
da Rimini, -né aveva pensato a moversene, se non quando la peste
scoppiata in Milano gli offri occasione di ciò che aveva sempre (anlo
desideralo, di dar la sua vita per il prossimo. Pregò, eon grand' istan-
za, d'esserci richiamato, per assistere e servire gli appestati. Il conte
zio era morto; e del resto c'era più bisogno d' infermieri die di poli-
tici: sicché fu esaudito senza difficollà. Venne subito a Milano; entrò
net lazzeretto ; e e' era da circa tre mesi.
Ma la consolazione di Renzo nel ritrovare il suo buon frate, non
fu intera neppure un momento: nell'alto stesso d'accertarsi ch'era luì,
dovette vedere quanl' era mutato. Il portamento ear\o e stentato; il
viso scarno e smorto ; e in tulio si vedeva una natura esausta , una
carne rolla e cadente, che s'untava e si sorreggeva, ogni momento,
con uno sforzo dell'animo.
Andava anche lui (Issando lo sguardo nel giovine che veniva verso
di lui, e che, col gesto, non osando con la voce, cercava di tarsi di-
stinguere e riconoscere. « Oh padre Cristoforo! » disse poi, quando
gli fu vicino da poter esser sentito senza alzar la voce.
" Tu qui! » disse il frate, posando in terra la scodella, e idzaadosi
da sedere.
" Come sia, padre? come sta? «
" Meglio di tanti poverini che tu vedi qui, » rispose il frate: e la
sua voce era fioca, cupa, mutata come lutto il resto. L'occhio soltanto
era quello di prima, e un non so che più vivo e più splendido; quasi
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CAPITOLO XXXV. «TB
la carila, sublimala nell'estremo dell'opera, ed esultatile di sentirsi vi-
cina al suo principio, ci rimettesse un fuoco più ardente e più puro
di quello che l'infermità ci andava a poco a. poco spegnendo.
- Ma tu, » proseguiva, " come sei qui? perchè vieni cosi ad af-
frontar la peste?. 1
» L'ho avuta, grazie al cielo. Vengo... a cercar di... Lucia. »
« Lucia! è qui Lucia? "
•• E qui : almeno spero in Dio che ci sia ancora. •>
" È (uà moglie? » ■ ■
» Oh caro padre! no che non è mia moglie. Non sa nulla di tulio
quello che è accadulo? «
u No, figliuolo: da che Dio m'ha allontanato da voi altri, io non
II' )io saputo più nulla; ma ora ch'Egli mi lì manda, dico la verità
che desidero molto di saperne. Ma... e il bando? "
« Le sa dunque, le cose clic m'hanno fallo? "
" Ma tu, che avevi fatto? »
« Senta; se vivessi dire d'aver avuto giudizio, quel giorno in Mi-
lano, direi una bugia; ma cattive azioni non n' ho fatte punto. "
" Te lo credo, e lo credevo anclke prima. «
i' Ora dunque le potrò dir lutto. »
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eso I PROCESSI SPOSI
u AspeUa, " disse il frate; e andato alcuni passi fuor della capan-
na, chiamò: " padre Vittore! •> Dopo qualche momento, comparve un
giovine cappuccino, al quale disse: « fatemi la carità, padre V'iitore,
dì guardare aiiche per me, a questi nostri poverini, intanto ch'io me
ne sto ritirato; e se alcuno però mi volesse, chiamatemi. Quel tale
principalmente ! se mai desse il più piccolo segno di tornare in se,
avvisatemi subito, per carità. <>
•> Non dubitate, » rispose il giovine; e il vecchio, tornalo verso
Renzo, « entriamo qui, » gli disse. « Ma... » so^iunse subito, fcr*
mandosi, » tu mi pari ben rifinito: devi aver bisogno di mangiare. ^
u É vero,» disse Renzo: «ora die lei mi ci fa pensare, mi ricordo
che sono ancora digiuno. «
•' Aspetta,» disse il frate; e, presa un'altra scodella, l'andò a em-
pire alla caldaia: tornato, la diede, con un cucchiaio, a Renzo; lo fece
sedere sur un saccone che gli serviva di letto; poi andò a una botte
ch'era in tin canto, e ne spillò un bicchier di vino, che mise sur un
tavolino, davanti al suo convitato; riprese quindi la sur scodella, e si
mise a sedere accanto a lui.
» Oh padre Cristoforo ! » disse Renzo : « tocca a lei a far codeste co^jc?
Ma già lei è sempre quel medesimo. La ringrazio proprio di cuore. <•
"Non ringraziar me, » disse il frate: « è roba de' poveri; i
che tu sei un povero, in questo momento. Ora dimmi quello che non
so, dimmi di quella nostra poverina; ecercadispieciarli;chè c'èpoco j |
tempo, e molto da fare, come tu vedi. •> i !
Renzo principiò, tra una cucchiaiata e l'altra, la storia di Luoa: i
com'era stata ricoverata nel monastero di Monza, come rapila... Al- I '
l'immagine di tali patimenti e di tali pericoli, al pensiero d'essere stato |
lui quello che aveva indirizzata in quel luogo la povera innocente, il i i
buon frate rimase senza fiato; ma lo riprese subilo, sentendo com'era I !
stala mirabilmente liberala, resa alla madre, e allogata da questa presso 1 |
a donna Prassede.
« Ora le racconterò di me, « prosegui Renzo; e raccontò in sue-
cinto la giornata di Milano, la fuga; e come era sempre sialo l<Milano
da casa, e ora, essendo ogni cosa sottosopra, s'era arrischiato d'an-
darci; come non ci aveva trovato Agnese; come in Milano aveva sa-
puto che Lucia era al lazzeretto, u E son qui, » concluse, ■ son qui
a cercarla, a veder se è viva, e se. . mi vuole ancora... percl»c...
alle volle... n
h
„GoogIe
CAPITOLO XXXV. «81
« Ma , » dooiandò il frale , « bai qualche indizio dove sia stala
measa, quando ci sia venula?»
u Niente, earo padre; niente se non che è qui, se pur la c'è, che
Dio voglia ! »
« Ob poverino! ma che ricerche hai tu finora fatte qui? »
« Ho giralo e rigirato; ma, tra l'altre cose, non ho mai visto quasi
altro che uomini. Ho ben pensalo che le donne devono essere in un
luogo a parte, ma non ci sono mai potuto arrivare: se è così, ora lei
me l'insegnerà. »
« Non sai, figliuolo, che è proibito d' entrarci agli uomini che non
ci abbiano qualche incombenza? »
u Ebbene, cosa mi può accadere? »
" La regtJa è giusta e santa, figliuolo caro; e se la quantità e la
gravezza de' guai non lascia che si possa farla osservar con tulio il
rigore, è una ragione questa perchè un galantuomo la trasgredisca? »
« Ma, padre dristoforo! n disse Renzo: « Lucia doveva esser mia
moglie; lei sa come siamo stali separati; sOn venti mesi che palìsco,
e Ito pazienza; son venuto fin qui, a rischio di tante cose, l'una peg-
gjo dell'altra, e ora ..."
H Non so cosa dire, n riprese il frale, rispondendo piuttosto a' suoi
pensieri che alle parole del giovine: « tu vai con buona intenzione;
e piacesse a Dio che tutti quelli che hanno libero 1' accesso in quel
luogo, ci si comportassero come posso fidarmi che farai lu. Dio, il quale
certamente benedice questa tua perseveranza d'affello, questa tua fe-
deltà in volere e in censire colei ch'Egli t'aveva data; Dio, che è più
rigoroso d^i uomini, ma pia indulgente, non vorrà guardare a quel
che d possa essere d'irregolare in codesto tuo modo di cercarla. Ri-
cordali solo, che, della tua condolla in quel ]u(^o, avremo a render
conto tult'e due; agli uomini facilmente no, ma a Dio senza dubbio.
Vien qui. » In cosi dire, s'alzò, e nel medesimo tempo anche Renzo;
il quale, non lasciando di dar retta alle sue parole, s'era intanto con-
sigliato tra sé di non parlare, come s' era proposto prima, di quella tal
promessa di Lucia. — Se senio anche questo, — aveva pensato, —
mi fa dell'altre difTicottà sicuro. 0 la trovo; e saremo sempre a tempo
a disoorrerne; o... e allora! che serve? —
Tiratolo sull'uscio della capanna, ch'era a seltenlrione, il frale ri-
prese: « Senti; il nostro padre Felice, che è il presidente qui deltaz-
zeKlIo, conduce oggi a far la quarantina altrove i pochi guariti che
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MI I PROMESSI SPOSI
ci sono^ Tu vedi quella chiesa lì nel mezzo.. ^. >> e, alzando la mano
scarna e Iremolanle, indicava a sinistra nell'aria torbida la cupola deUa
eappella, ehe torreggiava sopra le miserabili tende ; e prosegui: « là
intorno sì vanno ora radunando, per uscire in processione d*lla porta
per la quale tu devi essere entrato. »
« Ah! era per questo dunque, che'lavoravanoasbratlare la strada. »
" Per l'appunto: e tu devi anche aver sentilo qualche tocco di
quella campana. »
"N'ho senlilo uno. «
u Era il secondo: al terzo saran tutti radunali: il padre Peììce farà
loro un piccolo discorso; e poi s'avvierà con loro. Tu, a quel tocco,
portati. là; cerca di metterti dietro quella ^ente, da una parte della
strada, dove, senza disturbare, né dar nell'occhio, tu possa vederli
passare; e vedi... vedi... se la ci Tosse. Se Dio non ha volato che la
ci sia; quella parte, » e alzò di nuovo la mano, accennando il lato del-
l'edilìzio che avcvan dirimpetto: « quella parte della fabbrica, e una
parte del terreno die è li davanti, è assegnala alle donne. Vedrai imo
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CAMPITOLO XXXV. 8Bt
steaìoiiato che divide questo da quel qu«rliere, inain certi luoghi in-
terrolto, ia allri aperto, sicclié non troverai Uifìcoltù per entrare.
Dentro poi, non facendo tu nulla cbe dia ombra a nessuno, nessuno
prcriiabihDente iion dirà nulla a te. Se però lì si facesse qualche osta-
colo, di che il padre Cristoforo da "' li conosce, e renderà conto di
ifi. Cercala li;. «elicala eoo fiducia e... con rassegnazione. Perchè, ri-
cordati che non è poco ciò die tu sei venuto a cercar qui: tu chiedi
una persona viva al lazzeretto! Sai tu quante volte io ho veduto rin-
QOVfnsi itgLKsto mio povero popolo! quanti ne ho veduti portar via!
quanti pochi uscire!... Va preparato a fare un sacrillzio...
« Già; intendo anch' io, » interruppe Renzo stravolgendo gli occhi,
e cambiandosi lutto in viso; « intendo! Vo: guardai, cercherò, jn un
luogo, neir altro, e poi ancora, per lutto il lazzeretto, in lungo e in
largo... e se non la trovo!... »
<• Se non la trovi?» disse il (rate, con un' aria di serietà e d'aspet-
tativa, e con uno sguardo che ammoniva.
-Ma Renzo, a cui la rabbia riaccesa dall'idea di quel dubbio aveva
fatto perdere il lume degli occhi, ripetè e seguilo: «se non la trovo,
vedrò di trovare qualchedun altro. O in Milano, o nel suo scelteralo
palazzo, o in' capo al mondo, o a casa del diavolo, lo troverò quel
furante che à ha separati; quel birbone che, se non fosse slato lui,
Lucia sarebbe mia -, da venti mesi; e se eravamo destinali a morire,
almeno saremmo morti insieme. Se c'è ancora colui, lo troverò...»
e Renzo! « disse il frate, afferrandolo per un braccio, e guardan-
dolo ancor più severamente.
•i E se lo trovo, » continuò Renzo, cieco alTallo dalla collera, « su
la peste non ha già fatto giustìzia Non è più il tempo che uu
poltrone, co' suoi bravi d'intorno,. possa metter la gente alla dispe-
razione, e ridersene : è venuto un tempo che gli uomini s'incontrino
a viso a viso: e la farò io la giustizia! »
K Sciagurato! » gridò il padre Cristoforo, con una voce che aveva
ripresa tutta l'antica pienezza e sonorità : » sciagurato ! » e la sua
testa cadente sul petto s'era sollevata; le gole si col^i^'ano dell'an-
tica vifa; e il fuoco degli occhi aveva un non so che di terribile,
e Guarda, sciagurato! » E mentre con una mano stringeva e scoteva
forte il braccio di Renzo , girava l' altra davanti a sé , accennando
.quanto più poteva della dolorosa scena all' intorno, utìuarda citi è
'C<^m c^ tfastiga! Colui che giudica, e non è giudicalo! Colui cite
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est I PROMESSI SPOSI
flagella e che perdona ! Ma lu , l'erme della (erra , tu vuoi br giusti-
zia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia! Va, sdagurato, vattene! k,
speravo. >.. si, lio sperato che, prima della mia morte. Dio m'avrebbe
data questa consolazione di sentir che la mia povera Lucia fosse viva;
forse di vcderìa,e di sentirmi prometter da lei che rivolgerebbe ni»
preghiera là verso quella fossa dov'io sarò. Va, tu m'hai levala la
mia speranza. Dio non l'ha lasciala in terra per (e; e tu, eerto, nt»
hai l'ardire di crederli degno che Dio pensi a cons(darli. Avrà pen-
sato a lei, perchè lei è una di quell'anime a cui son riservale le con-
solazioni eterne. Va ! non ho più tempo di darli retta. »
E così dicendo, rigellò da sé il braccio di Renzo, e si mosse verso
una capanna d" infermi.
« Ab padre ! » disse Renzo , andandogli dietro in atto suppliche-
vole : « mi vuol mandar via in questa maniera ? >>
'^-^s:
« Come!» riprese, con voce non meno severa, il cappucdno. «Ar
diresti tu di [««tendere ch'io rubassi il tempo a questi afflitti, i quili
aspettano eh' io parli loro del perdono di Dio , per ascoltar le Uie voci
di rabbia, i tuoi proponimenti di vendetta ? Tfao ascoltato quando
tu chiedevi consolazione e aiuto; ho lasciata la carila per la carltii;
ma ora tu hai ia tua vendetta in cuore : che vuoi da me 7 vatteoe.
Né ho visti morire qui degli ofTest che perdonavano ; degli t^enswi
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CAPITOLO XXXV. Ul
che gemevano di Don potersi umiliare davanti ali' offeso : ho pianto
con gli uni e con gli altri; ma con le die ho da fare ? »
•• Ah gli perdono! gli perdono davvero, gli perdono per sempre!»
«sdamò il giovine.
« Renzo! » disse, con una serietà più tranquilla , il frate: « pen-
saci ; e dimmi un poco quante ^'olte gli hai perdonalo. »
E, stato alquanto senza ricever risposta, tuli' a un trailo ahtussò
il capo, e, con voce cupa e lenta, riprese: u tu sai perchè io porto
quest'abito. » -
Renzo esitava.
u Tu lo sai ! " riprese il vecchio.
« Lo so , » rispose Renzo.
« Ho odiato anch' io: io, che l'bo ripreso per un pensiero, per
una parola, l'uomp ch'io odiavo -cordialmente , che odiavo da gran
tempo , io l' ho ueieiso. »
u S) , ma un prepotente, uno di quelli "
« Zitto ! 1 intaruppe il tirate : « credi tu die, se ci fosse una buona
ragione , io non l' avrei Irovata in treaV anni ? Ab ! s' io potessi ora
mellertì in cuore il sentimento che dopo ho avuto sempre , e die ho
ancora , per 1' uomo eh' io odiavo ! S' io potessi ! io ? ma Dio lo può :
Egli lo feccia ! . . . Senti , Renzo :~Egli ti vuol più bene di quel che
te ne vuoi tu: tu hai potuto macchinar la vendetta; ma Egli ba ab-
bastanza fòrza e abtìastanza misericordia per impedirtela; ti fa una
graùa di cui qualcbedun altro era troppo indegno. Tu sai, tu l' liai
dello tante volte, ch'Egli può fermar la mano d'un prepolenle; ma
sappi che può anche fermar quella d' up vendicativo. E perchè sei
povero, perchè sei offeso, credi tu ch'Egli non possa difendere con-
tro di le un uomo che ha creato a sua imm^ine ? Credi tu eh' Egli
li Isscerdibe fare lulto quello che vuoi ? No ! ma sai tu cosa puoi
fere? Puoi odiare, e perderti; puoi, con- un tuo sentimento, allon-
tanar da te ogni benedizione. Perchè , in qualunque maniera l' an-
dassero le cose, qualunque fortuna tu avessi, tien percertoche tutto
sari gasligo, flndié tu non abbia perdonato in maniera da non poter
mai più direi io gli perdono. »
K Sì, d, » disse Renzo, lutto commosso, e tutto confuso: ■< eapi-
MO die non gli avevo mai perdonalo davvero; capisco che ho par-
lato da bestia, e non da cristiano: e ora, con la grazia dd Signore,
sì, gli perdono proprio di cuore. »
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«ss I PROiEBSi srosi
o E se tu lo vedessi ì r-
" Pregherei il Signore di dar pazieosa a me , e di toccare il cuoiu
a Idi. »
<■ Ti ricorderesti che il Signore non ci lia detto di perdonare a'
nostri nemici, ci ba detto d'amarti? Ti ricorderesti ch'Egli lo ha
amato a segno di morir per lui ? »
" Si, col suo aiuto. »
« EM)ene, vieni con me. Hai detto: lo troverò; lo troverai. Vieni,
e vedrai con chi tu potevi tener odio, a chi polev» desiderar del
male, volergliene fare, sopra che vita tu volevi far da padrone, w
E, presa la mano di Renzo, e strettala come'avrebbe potuto lare
un giovine sano, sL mosse. Quello, senza osar di domandar diro, gli
andò dietro.
Dopo pochi passi, il (rate si fermò .vicino all'apertwa d'una ca-
panna, fissò gli ocelli in viso a Renzo, con un misto di gravità e di
tenerezza; e lo condusse dentro.
^\
■U
L;i prima eosa die sì vedeva, nell' entrare, era un infcroM seduto
sulla paglia nel fondo; un infermo però non aggravato, e die ansi
poteva parer vicino alla conviJescenza ; il quale, visto il padre, len-
lExiaò la testa, ctnne accennando di no: il padre abbassò la sua, can
un atto di tristezza e di rassegnazione. Renzo intanto, girando, con
una curiosità inquieta , lo sguardo sugli altri o{^tti,vide Ire o quattro
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CAPITOLO XXXV. MT
infcnni, ne distinse uno da una parte sur una materassa, involtalo
in un lenzolo, con una cappa signorile indosso, a guisa di coperta:
lo (issò, riconobbe don Rodrigo, e fece un passo indietro; ma il frate,
facendogli di nuovo sentir fortemente la mano con cui lo teneva, lo
tirò appiè del covile, e, stesavi sopra l'altra mano, accennava col dito
l'uomo clic vi giaceva.
Slava l'infelice. Immolo; spalancati gli occhi, ma senza sguardo;
pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiale le labbra:
l'avreste dello il viso d'un cadavere, se una contrazione violenta non
avesse reso testimonio d' una vita tenace. Il petto si sollevava di
quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della
cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle
dita, livide tutte, e sulla punta nere.
u Tu vedi \ « disse il frale , con \ oce bassa e grave. ^ Può essei'
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gastigo, può esser misericordia. Il sentimento che lo proveni ora per
quest'uomo che t'ha offeso, si; lo stesso sentimento, il Dio, che lupare
hai ofTeso, avrà per te in quel giorno. Benedidlo, e sei beoed^o.
Da quattro giorni è qui come la lo vedi , senza dar segno dì senti-
ihento. Forse i) Signore è prónto a concedergli un'ora di ravvedi-
mento; ma voleva esserne pregato da (e: forse vuole ctie tu ne lo
preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola pre-
ghiera, alla preghiera d'un cuore afllillo e rassegnato. Forse la sd-
vezza di quest' uomo e la tua dipende ora da te , da un tuo senti-
mento di perdono, di compassione... d'amore! »
Tacque; e, giunte le mani, chinò il viso sopra di esse, e pregò:
Renzo fece lo slesso.
Erano da pochi momenti in quella positura, quando scoccò la cam-
pana. Si mossero tuU'edue, come di eoocerlo; e uscirono. Né l'uno
fece domande, né l'altro prolesle: i loro visi parlavano.
« Va ora , » riprese il frale , t va preparato , sìa a ricevere una
grazia , sia a fare un sacrifìsio ; a lodar Dio , qualunque sia 1' esilo
delle tue ricerche. E qualunque ^a , vieni a darmene notizia ; noi lo
loderemo insieme. «
Qui, senza dir altro, si separarono; uno tornò dond'era venuto;
l'altro Ravviò alla cappella, che non era lontana più d' un cento passi.
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CAPITOLO XXXVI.
\ ihi avrebbe iiiai detto a Renzo, qualche
ora prima, che, nel Torte d'una lai ri*
cerca, al cominciar de' momenti più
dubbiosi e più decisivi, il suo cuore
sarebbe stato diviso tra Lucia e don
Rodrigo? Eppure era cosi: quella figura
1 enivB a miscliiarsi con tulle l'immagini
care 0 terribili die la speranza o il ti-
more gli mellevan davanti a vicenda, in
quel tragitto; le |)arole sentite appiè di
quel covile, si cacciavano tra Ì sì e i
no , ond'cra combattuta la sua mente ; e
non poteva terminare una pregUiera per I' esito felice del gran ci-
mento, senza allaccarci quella clie aveva principiala là, e che lo scocco
della campana aveva troncala.
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GRÒ I PAOUESSl SPOSI
La cappella ^llangolare che sorge, elevala d'alcuni scalini, nel
mezzo del lazzeretlo, era, nella sua costruzione primiliva, aperta da
lutti i Iati, senz' altro sostegno che di pilastri e di colonne, -una fab-
brica, per dir co^, trarorata: in ogni facciata un arco Ira due ìnler<
colunni; xlenlro girava un portico intorno a quella che si direbbe
più propriamente chiesa, non composta «he d'otto archi, rispondoiti
a quelli delle facciate, con sopra una cupola; di maniera che l'altare
eretto nel centro, poteva esser veduto da ogni finestra delle stanze
del recinto, e quasi da ogni punto del campo. Ora, convertito l'cdì-
fìzio a tutt'allr'usu, i vanì delle facciate son murati; ma l'antica os*
satura, rimasta inlalla, indica chiaramente l'aulico stalo, e l'antica
destinazione di quello.
Renzo s'era appena avviato, .che vide il padre Felice comparire
nel portico della cappella, e artacdarsì sull'arco di mezzo del lato clic
gnarda verso la città; davanti al quale era radunata la comitiva, al
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CAPITOLO XXXVI. MI
piano, nella strada di meszo; e subito dal suo cojilegno s'accorse che
aveva cominciata la predica.
Girò per quelle viottole, per arrivare alla coda dell' udìlurio, come
gli era .sialo suggerito. Arrivatoci, si fermò cheto cheto, lo scorse
tutto con lo sguardo; ma non vedeva di là altro che un follo, direi
quasi un selciato di leste. Nel mezto, ce n'era un certo numero co-
perle di fuzzoleltr, o di veli: in quella parie ficcò più attentamente
^ òcchi; ma, non arrivando a ecoprirci dentro nulla di pia, gli alzò
anche lui dove tutti leoevan fissi ■ loro. Rimase tocco e compunto
dalla venerabii figura del predicatore; e, con quel che gli poteva re-
sfar d'attenzione in un lai momento d'aspettativa, senti questa parie
del solenne ragionamento.
v Diamo un pensiero ai mille e mille cite sono usciti di là; » e,
col dito alzato sopra la spalla, accennava dietro sé la porta che melle
al cimilero detto di san Gregorio, il quale allora era tutto, si può
dire, una gran fossa: u diamo intorno un'occhiata ai mille e mille
che rjmangon qui, troppo incerti di dove sian per uscire; diamo un'oc-
chiata a noi, cosi pochi, che n'usciamo a salvamento. Benedetto il
Signore! Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia! be-
nedetto nella morie, benedetto nella salute! benedetto in questa scelta
che ha voluto far di noi ! Oh! perché l'ha voluto, figliuoli, se non per
seriKirsi un piccol popolo corretto dall' afllìzione, e infervorato dalla
gratitudine? se non a fine che, sentendo ora più vivamenle, che la
vita è un suo dono, ne facciamo quella stima che merita una cosa
data da Lui, 1' impieghiamo nell'opere che si possono offrire a Lui?
se n<m a fine che la memoria de' nostri patimenti ci renda compas-
sionevoli e soccorrevoli ai nostri prossimi? Questi intanto, in compa-
gnia de' quali abbiamo penato, sperato, temuto; tra i quali lasciamo
degli amici, de' congiunti; e che tutti son poi finalmente nostri fra-
lelli; quelli tra questi, che ci vedranno passare in mezzoaloro, men-
tre forse riceveranno qualche sollievo nel pensare che qualcheduno
esce pur salvo di qui, ricevano edificazione dal nostro contegno. Dio
non voglia che possano vedere in nm una gioia rumorosa, una gioia
inon<tona d'avere scansala quella moKe, con la quale essi stanno an-
cor dibattendosi. Vedano che partiamo ringraziando per noi, e pre-
gando per loro; e possa» dire: anche fuor di qui, questi si ricorde-
ranno di noi, continueranno a pregare per noi meschini. Goininciamo
da questo viaggio, da' primi passi che slam per fare, una vita tulla
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e»a 1 PftOHESSI SPOSI
di carità. Quelli che sono tornati nell'antico vigore, dianomi braccio
fi'atemo ai fiacchi; giovani, sostenete i vecchi; voi che siete riniasli
senza figliuoli, vedete, intorno a voi, quanti flgliuoli rimasti senza
padre! siatelo per loro! E questa carità, ricoprendo i vostri peccati,
raddolcirà anche i vostri dolori. »
Qui un sordo mormorio di gemiti, un singhioziio che andava cre-
scendo nell'adunanza, fu sospeso a un tratto, nel vedere il predica-
tore mettersi una corda al collo, e buttarsi in ginocchio: e si slava
in gran silenzio, aspettando quel che fosse per dire.
u Per me, » disse, « e per lutti i mìei compagni^ che, senza al-
«un nostro merito, siamo slati scelli all'alto privilegio di servir Crislo
in voi; io vi chiedo umilmente perdono se non abbiamo degnamente
adempito un si gran ministero. 8e la pigrizia, se l' indocilità della
carne ci ha resi meno attenti alle vostre necessità, men pronti alle
vostre ebiamale; se un'ingiusta impazienza, se uneolpevol tedio ci ha
(atti qualche volta eom|>arirvì davanti con un vol|o annoiato e severo;
se qualche volta il miserabile pensiero che voi aveste bisogno dì noi,
ci ha portati a non tratlarvi con tutta quell'umiltà che si conveniva,
se la nostra rragìlilà ci ha fatti trascorrere a qualche azione ette vi
sia siala di scandolo; perdonateci ! Così Dio rimetta a voi ogni vo-
stro debito, e vi benedica. » E, fatto sull'udienza un gran segno di
croce, s'alzò.
Noi abbiani potuto riferire, se non le precise parole, il senso al-
meno, il tema di quelle che proferì davvero; ma la maniera con eut
furon dette non è cosa da potersi descrivere. Era la maniera d' un
uomo che chiamava privilegio quello di servir gjì appestali, perchè
lo teneva per tale; clic confessava di non averci degnamente corri-
sposto, perchè sentiva di non averci corrisposto degnamenle; che
chiedeva perdono, percliè era persuaso d'averne bisogno. Ma la genie
che s'era veduti d'intorno que' cappuccini non occupati d'altro àie
di servirla, e tanti n'aveva veduti morire, e quello che parlava per
tulli, sempre il primo alla fatica, come nell'autorità, se non quando
s'era trovato andie lui in fin di morte; pensale con che singhiozzi,
con che lacrime rispose a tali parole. Il mirabil frate prese poi una
gran croce ch'era appoggiata a un pilastro , se la inalberò davanti.
lasciò sull'orlo del portico esteriore i sandali, scese gli scalini, e, tra
la folla che gli fece rispettosamente largo, s'avviò per metl^^i alla
festa di essa.
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CAPITOLO KKXVI. ni
Renzo, tutto lacrimoso, né più né meno che se fosse sialo uno di
c|uelli a cui era clilesfo (|uel singolare perdono, si ritirò anche lui, e
andò a mettersi di fianco a una capanna ; e stette li aspettando,
mezzo nascosto, con la persona indietro e la testa avanti, con gli
occhi spalancali, con una gran palpitazion di cuore, ma insieme con
una certa nuova e particolare lìducia, naia, cred'io, dalla lenerezzit
che gli aveva ispirata la predica , e lo spettacolo della tenerezza ge-
nerale.
Ed ceco arrivare il padre Felice, scalzo, con (|ue1la corda al collo,
con quella lunga e pesante croce alzata; pallido e scarno il viso, un
viso che spirava compunzione insieme e coraggio; a passo lento, ma
rÌM)Iuto, come di chi pensa soltanto a risparmiare rallrui debolezza;
e in tutto come un uomo u cui un di più di fatiche e di disagi
desse la furza di sostenere i tanti necessari e inseparabili da quel suo
incarico. Subilo dopo lui, venivano i fanciulli più grandini, scalzi una
gran parte, ben pochi interamente vestiti, chi nffallo in camicia. Vc-
i>ivan |>oi le donne, lenendo quasi tulle \ht la mano una hunbina.
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■»4 I PROMESSI SPOSI
e cantando alternali vamenle il Misererei e il suono fiacco di qudic
voci, il pallore e la languid«2ia di que' \'m eran cose da occupar lulto
di compassione l'animo di cliiun(|ue si fosse trovalo lì come semplice
spctlalorc. Ma Renzo guardava, esaminava, di fila in Illa, di viso in
viso, senza passarne uno; che la processione andava tanto adagio, da
dargliene tutto il comodo. Passa e passa; guarda e guarda; sempre
inutilmente: dava qualche occliiala di corsa alle Ole che rimanevano
ancora indietro: sono ormai poche; siamo all'ultima; son passate tulle;
furon tulli visi sconosciuti. Con le braccia ciondoloni, e eoa la lesta
piegata sur una spalla, accompagnò con l'occhio quella schiera, men<
tre gli passava davanti quella degli uomini. Una nuova atleiizionc,
una nuova speranza gli nacque nel veder, dopo questi, comparire al-
cuni cari'i , su cui erano i convalescenti che non erano ancora in
islalo di camminare. Li le donne venivan l'ultime: e il treno andava
cosi adagio che Renzo potè ugualmente esaminarle tutte, senza che
gUene sfuggisse una. Ma che? esamina il primo carro, il secondo, il
terzo, e via discorrendo, sempre con la slessa riuscita, fino a uno,
dietro al quale non veniva più che un allro cappuccino, con un aspello
serio, e con tin bastone in mano, come regolatore della comitiva. Era
quel padre Michele che abbiam dello essere sluto dato per compagno
nel governo al padre Felice.
Cosi svanì affatto quella cara speranza; e, andandosene, non solo
portò via ileonforto che aveva recalo, ma, come accade le più volle,
lasciò l'uomo in peggiore stalo di prima. Ormai quel che ci poteva
esser di meglio, era di trovar Lucia ammalala. Pure, all'ardore d'una
speranza presente sottentrando quello del timore cresciuto, il pove-
rino s'allaccó con lulle le forze dell'animo a quel trtslo e debole
filo; entrò nella corsia, e s'incamminò da quella parte dì dove era ve-
nuta la processione. Quando fu appio della eappella, andò a inginoc-
chiarsi sull'ultimo scalino; e li fece a Dio una preghiera, o, per dir
meglio, una confitsione di parole arruffale, di frasi interrotte, d'escla-
mazioni, d'istanze, dì lamenti, di promesse: uno di que* discorsiclie
non si fanno agli uomini, perchè non hanno abbastanza penetrazione
per intenderli, né pazienza per ascoltarli; non son grandi abbastanza
per sentirne compassione senza disprezzo.
S'alzò alquanto più rincoralo; girò intorno alla eappella; si trovò
nell'altra corsìa che non aveva ancora veduta, e dte riusciva all' altra
porla; dopo podii passi, vide lo slecconalo di cui gli ave^'a partalo
Digitizf^riiiyGoOgle
i i
CAPITOLO XXXVI. 8»B
il fi'ate, ma ioterrolto (jua e la, appunto come (jueslo a^eva dello ;
entrò per una di quelle aperture, e sì trovò nel quartiere delle donne.
Quasi al primo passo che fece, vide in terra un campanello, di quelli
die i monatti portavano a un pi^de; gli venne in menle che un tale
slnimento avrebbe potuto servirgli come di passaporto là dentro; lo
prese, guardò se nessuno lo guardava, e se lo legò come usavan quelli.
E si mi^ subito atla ricerca, a quella ricerca, clie, per la quanlilà
sola degli oggetti sarebbe slata tieraioente gravosa, quand'anche gli
oggetti fossero stali tult' altri; cominciò a scorrer con l'occhio, anzi a
contemplar nuove miserie, cosi simili in parie alle già vedute, in
parie cosi diverse: che, sotto la slessa calamìlà, era qui un altro pa-
tire, per dir così, un altro languire, un altro lamentarsi, un altro
sopportare, un altro compatirsi e soccorrersi a vitanda; era, in chi
guardasse, un'altra pietà e un altro ribrezzo.
Avev-a già fatto non so quanta strada, senza frutto e senza accì-
deiili; quando si senti dietro le spalle un uoliN una chiamala, che
pareva diretta a lui. Sì voltò e vide, a una certa disianza, un com-
missario, che alzò una mano, accennando proprio a lui, e gridando:
u là nelle stanze, che c'è bisogno d'aiuto: qui s'è finito ora di
sbrattare. «
Renzo s'a\'vide subito per chi veniva preso, e che il campanello
ei*a la cagione dell'equivoco; si diede della bestia d'aver pensalo so-
lamente agi' impicci che quell'insegna gli poteva scansare, e non a
quelli che gli poteva tirare addosso; ma pensò nello stesso tempo alla
maniera di sbrigarsi subito da colui. Gli. fece replicai amen le e in fretta
un cenno col capo, come per dire che aveva inteso, e che ubbidiva;
e si levò dalla sua vista, cacciandosi da una parie tra le capatine.
Quando gli parve d'essere abbastanza loiilnno, pensò anche a libe-
rarsi dalla causa dello scandolo; e, per far quell'operazione senz' es-
sere osservato, andò a mellersi in un piccolo spazio Ira due capanne
die si voltavan , per dir cosi, la scliìeiia. Si china per levarsi il cam-
panello, e stando cosi col capo appoggialo alla parete di ]iaglia d'una
delle capanne, gli viun da quella all'orecchio una voce... Oh ciclo! è
possibile? Tulta la sua anima è in quell'orecchio: la respìi'azione è
sospesa... Sì! sì! è quella voce!... «Paura di die?» diceva quella
voce soave: « abbiam passato ben altro ebe un toinporalr. Chi ci ha
castodite Hnora, ci cnslodirà anche adesso."
Se Renzo non cacciò un urlo, non fu per timore di farai scorgere,
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as< I PHOUESSl SPOSI
fu {>erclié iioii n'ebbe ii fiato. Gli munearon 1« ginocchia, gU s'ap-
pannò la viala; ma fu trn primo momenlo; al secondo, era rillo, più
dtsio, più vigoroso dì prima; in Ire salti girò la capanna, fu sull'uscio,
vide colei che ave^a parlato, la vide levala, chinata sopra un Iclluc-
rto. Si volla essa al rumore; guarda, crede di travedere, di sognare;
guarda più allenta, e grida: "Oh Signor benedetto!»'
"Lucia! v'ho Irovala! vi trovol siete proprio voi! eiclc viva!»esda-
inò Renzo, avuniandosi, tutto Iremantf.
«Oli Signor benedettoln replicò, ancor più trcinaitle. Lucia: «voi?
die cosa è questa! in die maniera? perché? La peste!"
" L'ho avnta. E voi ... ?"
<• Ab ! anch' io. E di mia madri- ... ? »
«Non l'ho vista, perchè è a Pasturo; credo pero che stia bene:
Ma voi come side ancora pallida! come parete debole! Guarita
|>erò, siete guarita? n
" Il Signore m'ha voluto lasciare ancora quaggiù. Ah Renzo! per-
chè siete voi qui?»
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CAPITOLO XXX VL mi
«Perchè?» disse Renzo avvicinandosele sempre più; «mi doman-
date perchè ? Perché ci dovevo venire ? Avete bis(^no die ve Io dica ?
Chi ho io a cui pensi? Non mi chiamo più Renio, io? Non siete più
Luda, voi?»
«Ah cosa dite! cosa dilet Ma non v'ha fìllio scrivere mia madre...?».
u Si: pur troppo m'ha folto scrivere. BeUe cose da fare scrivere a
un povero di^raziato, tribolato, ramingo, a un giovine die, dispetti
almeno, non ve n'aveva mai fatti!»
uMa Renzo! Renzo! giacché sapevate... perchè venire? perdiè? »
«Perchè venire? Oh Luda! perchè v«ure, mi dite? Dopo tante
promesse! Non siam più noi? Non vi ricordate più? Che cosa ci
mancava?»
«Oh Signore!» esdamò dolorosamente Lucia, giungendo le mani,
e alzando gli occhi al cido: u perchè non m'avete fatta la grazia di
lirarmi a Voi...! Oh Renzo! cos'avete mai Tatto? Ecco; comindavo a
sperare che..! col tempo... mi sarei dimenticata...»
' «Beltà speranza! bdle cose da dirmele proprio sul viso!»
« Ali. cos'avete folto! E io questo luogo! tra queste miserie! Ira
questi spettacoli 1 qui dove non si fa altro che morire, avete potuto ... ! »
« Quelli che moiono, bisogna pregare Iddio per loro, e sperare che
anderanno in un buon luogo; ma non è giusto, né àndie per questo,
che quelli che vìvono abbiano a viver disperali....»
«Ma, Renzo! Renzo! voi non pensale a quel che dite. Una pro-
messa alla Madonna!... Un volo!»
" E io vi dico che son promesse che non eontan nulla. " .
«Oh Signore! Cosa dite? Dove siete stalo in questo tempo? Con
chi avete trattalo? Come parlale?
«Parlo da biioit cristiano; e della Madonna penso me^io io die
voi; perdiè credo clic non vuol promesse in danno del prossimo. Se
la Madonna avesse parlalo, oh, allora! Ma cos'è slato? una vostra
idea. Sapete cosa dovete promettere alla Madonna? Promctlelde die
la prima figlia che avremo^ le meneremo nome Maria: che questo
S4H1 qui anch' io a prometterlo: queste son cose die fanno ben più
onore alla Madonna: queste son divozioni die hanno più costrutlo,c
non porlan danno a nessuno. »
«No do; non dite cosi: non sapete quello die vi dite: non lo sa-
pete voi cosa sìa fare un voto: non ci siete stato voi in i|ud caso:
non avete provalo. Andate, andate, per amor del cielo!»
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ma. i.PAOaESS) sposi.
E sf scostò jRipetuonmeiite da lui,' lornandci versò il lettuceio.
«Lucia!» disse Renzo, senza moversi: «ditemi almeno, dilemi:
se non fosse qiiesta ragione... l sareste la stessa per mefn
« Uonif} senza cuore!» rispose Lucia, voltandosi, e ratlenendo a
stealo le bcrime: ù quando m'aveste falle dir delle parole inutili,
delle pàrtric ette mi farri>bero male, delle parole die sarebbero forse
peccali, sareste contento? Andate, «h andate! dimenticatevi di me:
si vede che non eravamo destinali! Ci rivedreme lassa: già non ci
sì deve star molto in questo mondo. Andate; cercate di far sapere a
mia madre che son guarita, che anclie qui Dio m' lia sempre assistita,
die Ik» trovalo un' anima tniòna, questa brava donna, die mi fa da
madre; ditele clic spero che lei sarà preservala da questo male, e
die d rive<tremo quando Dio vorrà, e Coinè vorrà . .-. . Andate, per
amor del cielo, e non pensate a me.... se non quando pregtierde il
Signore, n
E, come chi non ha più altro da dire, ne vuol sentir altro, come
chi vuol soltrarsi a un periodo, si ritirò ancor ]iiù vidiio al lelluc-
eio, dov'era la donna di cui aveva parlato.
u Sentite, Lucia, sentite!» disse Renzo, senza però accostarsele
di più.
«No, no; andate per carità! <>
" Sentile: il padre Cristoforo .... »
u Oli"? »
- È qui. «
«Qui? dove? Olile lo sapHe? »
"Gli ho parlalo poco fa; sono stalo un (iczzo eon lui: e un reli-
gioso della sua qualità, mi pare »
uÉ qui! per assistere i poveri appestali, sicuro. Ma Iiii?riia avuta
la peste?»
u Ah Lucia! ho paura, lio paura pur troppo...» e ntentre R«iio
calava cosi a proferir la parola dolorosa per lui, e die doveva es-
serlo tanto a Lucia, questa s'era staccala di nuo\'0 dui lelluccio, e si
ravvicinava a lui: « lio paura die l'abbia adesso!»
uOh povero sant'uomo! Ma cosa dico, pover'uomo? Poveri noil
Com'è? è a letto? è assistilo?»
uÉ levato, gira, assiste gli altri; ma se lo vedeste, che colore che
ha, come si regge! 80 n'é vi»ti lauti e tanti, che par troppo... imhi
si sbaglia! »
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CAPITOLO XXXVl. OM
« Oh poveri noi ! E è proprio qui ! »
' hQuì, e poco lonlaao: poco più die da casa vostra n casa mìa....
se vi ricontale^ N
"Oli Vergine santissima! "
«Bene, poco pw. E pensale se abbiam parlalo dì voi! M'Ita dello
delle cose... E se sapcsle cosa m'ha fatto vedere! Senlirele; ma ora
voglio cominciare a dirvi quel die m'ha dello prima, lui, con la sua
prt^ria bocea. lU'ba dello che faceto bene a vmìrvi a cercare, e die
al Si);nore ^M piace che un giovine (ratti cosi,- e m'avrebbe aiutato
a far che vi lro\'assi; come è praprio stato la verità: ma giJi e un
sanlo. Sicché, vedete 1" "■
"Ma. se ha parlalo cosi, è perché lui non sa....i
e Che volete che sappia lui delle cose die avete title voi di vostra
testa, senza regola e senza il parere di nessuno? Un bra/uono^ un
uomo di giudieio, come è lui, non va a pensar cose di questa sorte.
Ma quel clic ni'lia fatto vedere!" E! qui raccontò la visita lalta a
qudla capanna: Lucia, quantunque ì suoi sensi e il suo animo, ave»-
sero, in qud soggiorno, dovalo avveuai-si alle più forti impressioni,
slava tutta compresa d'orrore e di compassione.
"E anclic li,» proseguì Reneo, «ha parlalo da santo: -lia dette
die il Sigiiore forse ba destinato di br la grazia a quel meschino....
(ora non potrei proprio dai^li un altro nome)... clic nsjwtla di proi*
derlo in un buon punto; ma vuole clic noi pregliìamo insieme per
lai ... . Insieme! avete inteso? "
«Si, si; lo preglieremo, ognuno dove ti Signore ci terrà: le ora-
cloni le sa mettere inàeme Lui. «
H Ma se vi dico le sue parole ....!"
« Ma Renzo, lui non sa ... "
«Ma non capile che, quando è un sanlo die parla; è il Signore
che lo fa parlare? e che non avrebbe parlalo cosi, se non dovesse
e^r proprio cosi... E )'«ninn di qud poverino? lo Iki bensi pregalo,
« pregherò per luì: dì cuore ho pregato, proprio come se fosse stalo
per un mio fratello. Ma come volete che stia nel mondo di là, il po-
verino, se di qua non s'accomoda questa cosa, se non e disfatto H
male cfae ha fatto lui? Che se voi inleadete la ragione, allora tulio é
come primai quel che è stato è stato: Ini lia fatto la sua penitenza
di qua ....•> .
«No, Renzo, no. Il Signore non vuole die faciìiomo del male,
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700 I rnoMESsi SPOSI
per far Lui misericordia. Lasciate fare a Lui, per questo: noi, il nostro
dovere è di pregarlo. S'io foiosi moria quella noUe, non gli avr^
lie dunque potuto perdonare? E se non son morta , se sono stala
liberala ... «
«E vostra madre, quella povera Agnese, clie m'ha sempre voluto
tanto bene, e clie si struggeva tanto di l'ederci marito e moglie, non
ve riia detto 'anche lei die l'è un' idea storta? Lei, die v' ha fatto
intender la ragione anclie ddl' altre volte, perchè, in certe cose, pensa
più giusto di voi ... »
« Mia madre! volete che mia madre mi desse il parere di mancare
a un voto! Ma, Renzo! non siete in voi. «'
nOli! volete die ve la dica? Voi altre donne, queste cose non le
potete sapere. H padre Cristoforo m'ha dutto che tornassi da lui a
raccontai^li se v'avevo trovata. Vo: lo sentiremo: quel che dirà lui...»
«Si, si; andate da quel sant'uomo; ditegli die prego per lui, e ehe
preghi per me, che n'ho insogno tanto tanto! Ma, per amor del
cielo, per l'anima vostra, per l'anima mia, non venite più qui, a
farmi dd male, a tentarmi. Il padre Cristoforo, lui saprà spie-
gai vi le C0.U, e farvi tornare in voi; lui vi farà mettere il cuore
in (tace. »
«Il cuore in pace! Oli! questo, levatevelo dalla testa. Già me fa-
vele fatta scrivere questa parolaccia; e so io quel che m'ha fatto pa-
tire; e ora avete anche il cuore di dirmela. E io in vece vi dico
chiaro e tondo che il cuore in pace non lo metterò mai. Voi volete
dimenticarvi di me; e io non voglio dimenticarmi di voi. B vi pro-
metto, vedete, clic, se mi fate perdere il gìudìao, a<m lo racquiato
più. Al diavolo il mestiere, al diavolo la buona condotta! Volete con-
dannarmi a essere arrabbiato per tutta la vita; e da arrabbiato vive-
rò E quel disgraziato! Lo sa il Signore se gli lio perdonato di
coorc; ma voi... Volete dunque farmi pensare per tutta |a vita dw
se non era lui ... ? Luda! ayetc detto eh' io vi dimenlidii: cli'io vi
dimentichi! Come devo fare? A. chi credete ch'io pensassi in lutto
questo tempo?... E dopo tante cose! dopo tante promesse! Cosa v'In
fatto io, dopo che ei siamo Jasdati? Perchè ho patito, mi trattale cosi?
pcrdié Iw avuto ddle di^azie? perchè la gente del mondo m' ha
perseguitato? perchè ho passato tanto tempo fuori di casa, tristo,
lontano da voi? perchè, al primo momento die ho potuto, son venuto
a' cercarci?»
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CAPITOLO XXXVI. 701
Lucia , quando il pianto le perntise di formar parole , esclamò ,
f;!ungendo di nuovo le mani, e alzando, al cielo gli occhi pregni di
lacrime: uo Verdine santìssima, aiutatemi voi! Voi sapete che, dopo
quella notte, un momento come questo non I'Ih» mai passato. M'avete
soccorsa allora; soccorretemi anche adesso! «
"Si, Lucia; fate bene d'invocar la Madonna; ma perchè vedete
credere che Lei che è tanto huona, la madre delle misericordie, possa
aver piacere di farcì patire. ... me almeno .... per una parola scap-
pala in un momento che non sapevate quello che vi dicevate? Vo'
lete credere che v'abbia aiutata allora, per lasciarci imbrogliali dopo?...
Se poi questa fosse una scusa; se è ch'io vi sia Acnuto in odio ....
ditemelo .... pai'Iate chiaro. »
H Per carità, Renzo, per carità, per i vostri poveri morii, finilela,
finitela; non mi fate morire.. Non sarebbe un buon momento. Andate
dal padre Cristoforo, raccomandatemi a lui, non tornale più qui, non
(ornale più qui. »
« Vo; ma pensale se non voglio tornare! Tornerei se fosse in capo
al mondo, tornerei, n E disparve.
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I PaOMBSSI SPOSI
Lucia andò a sedere, o piuUoslo si lasciò cadere in terra, accanto
«I tediiccio; e, appoggiata a quello la tcsla, continuò a piangere
dirollamenlc. La donna, che fin allora era stala a occhi e orecchi
aperti, senza fiatare, domandò cosa fosse quell'apparizione, qudla
contesa^ questo pianto. Ma forse il lettore domanda dal canto suo chi
fosse costei ; e , per soddisfarlo , non ci corranno , né anche qui ,
troppe parole.
Era un'agiata mercantessa, di forse treni' anni. Nello spazio di pò-
chi giorni, s'era visto morire in casa il marito e tutti i figliuoli: di
lì a poco, venutale la peste anche a lei, era stata trasportata al laz-
zeretto, e messa in quella capannuccia, nel tem|>o die Lucia, dopo
aver superata, senza avvedersene, la furia del male, e cambiale,
ugualmente senza avvedersene, più compagne, cominciava a riaversi,
e a tornare in sé; che, fin dal principio dclb malattia, trovandosi
ancora in casa di don Ferrante, era rimasta come insensata. Ia capan-
na non poteva contenere che due pei'sonc: e tra queste due, afflitte,
derelitte, sbigotlile, sole in tanta moltitudine, era presto nata un'in-
trinsichezza, un'affezione, che appena sarebbe potuta venire da un
lungo vivere insieme. In poco tempo, Lucia era stata in grado di
potere aiutar l'aHra, che s'era trovala aggravatiasima. Ora che que-
sta pure era fuori di pericolo, si facevano compi^ùi e con^^ e
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CAPITOLO \XXVI TU3
guardia a vicenda; s'eraii promesse di non uscii- dal lazzercdo, se
non insieme; e avevan presi altri concerti per non separarsi neppiir
dopo. La mercantessa die, avendo lasciala in custodia d'un suo fra-
tello commissario della sanità, la casa e i! fondaco e la cassa, tulio
ben fornito, era per trovarsi sola e trista padrona di mollo più di
quel clic le bisognastìe per viver comodamente, voleva tener Lucia
con sé, come una ligliuola o una sorella. Lucìa aveva aderito, pensate
con die gratilodine per lei, e per la Provideiiza; ma sollaiilo fin che
potesse aver nuove di sua madre, e sapere, come speraxa. la volontà
di essa. Del reslo, riservala com'era, né della promessa dello sposa-
lialo, né dell'altre sue avventure straordinarie, non aveva mai detta
una parola. Ma ora, in un così gran ribollimento d'affetti, aveva al-
ntcn tanto bisogno di sfogarsi, quanto l'altra desiderio di sentire. E,
stretta con lutt'e due te mani la destra di lei, si mise subilo a sod-
disfare alla domanda, senz'altro rit^no, che quello die le tacevano i
singhiozzi.
Renzo intanto trottava verso il quartiere del buon frate. Con un [to'
di studio, e non senza dover rifare qualche pezzello di strada, gli
riusci finalmente d'arrivarci. Trovò la capanna; lui non ce lo trovò;
ma, ronzando e cercando nel contorno, lo ^ide in una baracca, die,
piegalo a terra, e quasi bocconi, sla\'a confortando un moribondo. Si
fermò li, aspellando in silenzio. Poco dopo, lo vide chiuder gli ocdii
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104 I PR011E99I BPOiSl
a quel poverino, poi meltersi in ginocdiio, far oruiooe un inomenlo,
e alzarsi. Allori si mosse, e gli andò incontro.
«Oh!» disse il frate, vistolo venire; «ebbene?»
" La c'è: l' ho trovala! "
«In clic slato?»
« Guarita, o almeno levata. «
«Sia ringrazialo il Signore!»
uMa. . . .» disse Renzo, quando gli fu vicino da poter ]tarlar
sottovoce: «c'è un altro imbroglio. »
u Cosa c'è? 1
» Voglio dire che... Già lei Io sa come è Intona quella povera gio-
vine; ma alle volte è un po'fts^ nelle sue idee. Dopo tanfe promes-
se, dopo tulio quello clic sa anclie lei, ora dice che non mi può
sposare, |ìerchè dice, cite so io? che, quella notle della paura, s'è
scaldala la testa, e s'è, come a dire, volala alla Madonna. Cose senza
costrutto, n'è vero? Cose buone, chi ha la scienza e il fondamento
(la ferie, ma per noi gente ordinaria, die non sappiamo bene eooie
si devo» fare n'è vero die son cose die non valgono? »
u Dimmi: è mollo lontana di qui?»
«Oh no: pochi passi dì là dalla chiesa.»
"Aspettami qui un momento,» disse il frale: «e |>oi d onderemo
u Vuol dire che lei le farà intendere .... »
"Non so nulla, figliuolo; bisogna di'io senta Id. »
(•Capisco," disse Renzo, e stette con gli occhi lissi a lerm, e con
le braeda incrociate sul petto, a masticarsi la sua incertezza, rimasta
ìnlera. Il frate andò di nuovo in cerca dt quel padre Vittore, lo pregò
di supplire ancora per lui, entrò nella sua capanna, n'uscì con la
sporta in braccio, toiiiò dii Renzo, gli disse: «andiamo;» e andò in-
nanzi, avviandosi a cpiella lai capanna, dove, qualdie tempo [irìma,
erano cnti'ati insieme. Questa volta, entrò salo, e dopo un momento
ricomparve, e disse: «■ niente! Preghiamo; preghiamo.» Poi riprese:
« ora, eonducimi tu. «
E senza dir altro, s'avviarono.
II tompo s'era andato sempre più rabbuiando, e aiinunziuta or-
mai certa e poco lontana la burrasca. De' lampi filli rompevano l'o-
scurilii cresdula, e lumeggiavano d'un chiarore istantaneo i lunghis-
sìini letti e gli ardii de' portici , la cii]>ola della cappella , i bassi
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CAPITOLO- XXXVI. iiM
eoingnoU delle capanne; e i tuoni scoppiati con isd'epito repentino ,
scorrevano rumoi-cf^ìando dall'una atl'allra regione del ciulo. Andava
innanzi il giovine, attento alla strada, con nna grand' impazienza
d'arrivare, e rallentando però il passo, per misurarlo alle forze del
compagno; il quale, stanco dalle fatiche, aggravato dal male, oppresso
dall'afa, camminava stentatamente, alzando ogni tanto a) cielo la fae^
eia smunta, come per cercare un respiro più libero.
' Renzo, quando vide la capanna, si fermò, si voltò indietro, disse
cMi vóce Iremante: «è qui.»
Entrano... "Eccoli!" grida la donna del ielluccio. Lucia si volta,
s'alza precipitosainenlc, va incontro al vecchio, gridando: u oh clii
l'cdo ! 0 padre Cristoforo ! »
«Ebbene, Lucia! da quante angustie v'ha liberala il SigncH'c! Do-
vete esser ben eontentd d'aver sempre speralo in Lui. n
«Oh si! Ma lei, padre? Povera me, come e cambiatol Come sia?
dica: come sta?-)
«Come Dio vuole, e come, per sua grazia, voglio aneli' io,"
rispose, con rollo sereno, il frale. E, tiratala in nn canto, soggiunse:
«sentile: io non posso rimaner qui clie pochi momenti. Siete voi
disposta a confidarvi in me, come altre voltc?n
« Oh! non e lei sempre il mio padre?»
«Figliuola, dunque; cos'è codesto voto clic m'ha dello Renzo? n
«E un voto che bo fatto alla Madonna.... oh! in una gran tribo-
lazione!... di non marilarmi.»
« Poverina ! Ma a\'e(e pensalo allora , eh' eravate legala da una
promessa 7»
«Trattandosi del Signore e della IMadonna!... non ci Ito jKinsato."
«Il Signore, Agliuohi, gradisce i saigriffzi, l'oflerle, quando le
faoeianio del nostro. È il cuore die vuole, é la volonlùuma voi non
potevate offrirgli la vdonlà d* un altroy al qn^ v' pra\ ale già olUilr-
gala. »
«Ho fatto male?»
f' No, poverina, non pensale a questo: io eredo anzi che la Ver-
gine santa avrà gradila l' intenzione del vostro cuore affililo, e l'avrò
offerta a Dio per voi. Ma drienii; non vi side mai consigliala con
nessuno su questa cosa?»
« lo nwi pensavo che fosse male, da dovermene confessare: e quel
poco bene die si può fare, si sa che non bisogna racconlarlo. »
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TOfl I PROIIKSSI SPOSI
u Non avete nessun altro motiio che vi trattenga dal maolcncr
Ja proni(>ssa die avete falla a Benso? »
«In quanto a questo ■... per me.... che moUvo...? Non potrei pro-
prio dire... •• rispose Lucia, con un'esitazione clic indicava tuli' altro
die un' inocrtezza del pensiero; e il suo viso ancora scolorilo dalla
malattia, liori luti' a un trailo dd più vivo rossore.
uCrcik-Ie voi.n riprese il vecchio, aUiassando gli ocdiì, «die
Dio lia dala- alla sua Chiesa l' autorità di rimettere e di ritenere,
seconilo che torni in maggior bene, i debili e gli iditHi^ii che gli
nomini possono aver contralti con Lui?»
uSi, cliv lo credo."
••Ora sappiate die noi, deputali alla cura dell' aniiuc in qu£slo
luogo, abbiamo, |H!r lutti quelli che ricorrono a noi,' le più ampie
facoltà della Chiesa; e die per conseguenza, itf pOsso, quando voi lo
diiediatc, sciògliervi dall' obbligo, qualiuiquc sia, die poniate aver
contratto a eagion di codesto voto. «
<• Ma non e peccato tornare indietro, pentirsi d'una promessa (alta
alla Madonna? Io allora l'ho falla pròprio di cuore...» disse LiM;ia;
violenteiiit-nlc agitala fiali* assalto d'una t^e inaspeUata, bisogna pur
dire speranza, e dall' insorgere opposto d'un terrore fortifìràla da
lutti i pensieri die, da lanlo tempo, eran la prindpale occupazione
dell' animo suo.
"Peccato, Ogliuola?» disse il padre: «peccato il ricorrere alla
Chiesa, e diicderc al suo ministro che facda uso dell'autorità che ha
ricevuto da essa, e die essa ha ricevuta da Dio? Io ho veduto ìii
che maniera voi due side stati condotti ad unirvi; e, certo, se mai
m' è parso die due fossero unili da Dio, voi altri eravate qoelti: ora
non vedo perdié Dio v' abbia a voler separali. E lo benedico ebe
m'abbia dato, indegno come sono, il potere di parlare iu suo nome.
e di rendervi la vostra partda. E se voi mi chiedete eh' io vi dichiari
sciolta da codesto volo, io non esilerò a farlo; e dei>idero anzi dw
me lo chiediate. •>
«Allora.,.! allora...! lo diiedo;» disse Lueia, con UH volto non
turbalo più die di pudore.
Il frate chiamò con un cenno il giovine, il quale se ne stava nd
cantuccio il più lontano, guardando (giaeebè non poteva far Mn)
fisso (isso al dialogo in cui era lanlo interessalo; e, quando quello
fu li, disse, a voce più alta, a Lucia: « con l'auttmlà die ho dalik
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CAPITOLO XXXVL
Gliiesa, yi (licbiara leiuilla dal voto di vprt;inilii, annullando ciò die
d potè essere d' ineonsiderato, e liberandovi da ogni obbligandone
chf poteste averiie coiilratla. "
Pensi il Ivllere chu suono faces».'i^> ull' oicccliio dì Renzo liili
parole. Ringraziò vivamente con gli ocdii colui .che le aveta profe-
rite; e cercò subilo, ma invano, quelli di Lucia.
«Tornale, con sicuresea e con (tace, ai pensieri d'una volta, x
segui a. dirle il cappuccino: «chiedete di nuovo al Signore le grazie
cbe Gli chicilevalc, per essere una moglie santa; e oonfìdaLe die ve
le coucederà più abbondanti, dopo tanti guaì. E tu," disse, voltao-
dosi a Renzo, «ricordali, figliuolo, die se la. Chiesa ti -rende questa
com))agna, non lo fa per procurarli una consolazione temporale e
mondana, la quale, se anche potesse essere intera, e senza mistura
d'alcun dispiacere, dovrebbe finire in un gran dolore, al momento
dì lasciarvi; ma lo fa per avviarvi luti' e due sulla strada della eoU'
solazione che non a\rà fìiie Amatevi come compagni di viaggio, oon
questo pensiero d'avere a lasciarvi, e con la speranza di ritrovarvi
per sempre. Ringraziale il cÌdo clic v' ha condotti a questo filalo, non
per mezzo dell' allegrezze turbolente e passeggicre , ma co' tramagli
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TOa ■ PltOUESSI SPOSI
e tra le miserie, per disporvi a una aUegrexxa raccolU e tiwaqnilla.
Se Dio vi concede figliuoli, abbiale in mira 4'aUevtrli per' Lui,
d'istillar toro l'amore di Lui e di (ulti gli uomini; e allora li gui-
derete bene in tulio il resto. Lucia! v'ha dello,» e accennava Ren-
zo, adii lia visto qui?"
« Oli padre, me l' lia detto! »
« Voi pregherete per lui ! Non ve ne stancale. E anclie per me
preghercle!... Figliuoli! voglio che abbiale un ricordo del povero
frate. » E qui levò dalla sporta una scatola d' un l^no ordinario,
ma tornila e lustrala con una certa finitezza cappuccinesca; e pro-
seguì: «qui dentro, c'è il reslo di quel pane... il primo che bo
chiesto per carila; quel pane, di cui avete sentito parlare! Lo la.«ci«
a voi altri: sei'butdo; fatelo \cdere ai vostri ligliuoli. Verranno in
un tristo HMnido, e in tristi tempi, in mezzo a' su)>erbi e a' provoca*
lori: dite loro die perdonino sèmpre, seniprel lutto, tutto! e che
preghino, anclie loro, per il povero frate!"
E porse la scatola a Lucia, che la prese con rispetto, come si
furd>be d'una reliquia. Poi, con voce più tranquilla, riprese: «ora
ditemi; dtc appoggi avete qui in Milano? Dove pensate d'andare a
alloggiare, appena uscita di qui? E chi vi eondurrà da vostra madi'c,
che Dio voglia aver conservala in salute?»
«Questa buona signora mi la lei intanto da madre: noi dae usci-
remo di qui insieme, e poi essa penserà a lutlo. »
«Dio la benedica,'! disse il fi-ale, accostandosi al lettiiecio.
Digitizf^riiiyGoOgle
CAPITOLO XXXVI. TO»
«La Hilgraaio aiMAi'io,» disse la vétlova, «ddfa consolazione
die h» data a queste povere crealure; sebbene io avessi fatto coqIo
di tenerla sempre con me, questa cara Lticìa. Ma la terrò intanto;
l'aceompagnerò io al suo paese, la consegnerò a sua madre; e,» sog-
giunse, poi sottovoce, « voglio- furie io il corredo. N'ho troppa delia-
ròba; e dì quelli die dovevan goderla con me, non ho più nes*
suno! " " ■ "
uCusi.n rispose il frale, ulei può fare un gran sacrifizio al Si-
gnore, e del bene al prossimo. Non- le raccomando questa giovine:
già vedo che è cottic sua: non e' è che da lodare il Signore, jI quale
sa moslrursi pdre anche ne' flagelli, e che, col farle trovare insie-
me , ha dato un cosi ctmro segno d" amore all' uno e all' altra. Or*
sn,n riprese poi, voltandosi a Rento, e prendendolo pw una mano:
"nor'due non abbinm pia nulla da he qui-, e ci siamo slati anote
troppo. Andiamo. "
«Oh padre!» disse Lucia: «la vedrò ancora? lo sono guarita, io
die- non fo nulla di bene a questo móndo; e lei...!»
vÉ già mollo tempo,» rispose con tono serio e dolce il vecchio,
"die chiedo al Signore Una grazia, e ben grande: di Unire i mìei
giorni MI servizio elei prossimo. Se me la volesse ora concedere,'
ho bisogno che tutti quelli die hanno carità per me, m'aiutino a
ringraziarlo. Via; date a Renzo le vostre commissioni per vostrs
madre. "
» Raccontatele quel clie iivete veduto," disse Lucia al promesso
sposo: « che bo trovata qui un'altra madre, che verrò con questa più
presto clic potrò, e che spero, spero di trovarla sana. «
ttSe avete bisogno di danari,» disse Renzo, «ho qui lutti quelli
die m'avete manduli, e...»
"No, no,» interruppe la vedova; une ho io anche troppi.»
» Andiamo, » replicò il frale.
1 A rìvederd, Lucìa...! e anche lei, dunque, quella buona si-
gnora, n disse Renzo, non trovando parole die significassero quello
che sentiva.
" Chi sa che II Signore ci faccia la grazia di rivederd ancora
lutti!» esdamò Lucia.
"Sia Egli sempre con voi, e vi benedica,» disse alle due com-
pagne fra Gristofor«; e uscì con Renzo datla cap'ànna.
Mancava poco alla sera, e il tempo pareva sempre più vicino a
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Ila I PR0UeS8l SPOSI
risolversi. Il capputxino esilù di nuovo al giovine di ricoverarìo per
quella notte nella sua baracca. «Compagnia, non le ne potrò fare,-
togKiiinse : <■ ma avrai da slare al eopcrlo. »
Renzo però sì sentiva una smania d'andare; e non si curava di-
rimaner più a lungo in un luogo simile, quando non poteva prolìt-
larne per veder Lucia, e noa avrel^ neppur potuto starsene un
po' eol'biion frale. In quanto all'ora e al tempo, si può dire che.
natie e giorno, sole e pioggia, zelìiro e tramontano^ eraii lutt' uno
per lui in quel moinenlo. Ringraziò dunque il frale, dicendo che
voleva andar più presto clic fosse possibile in cerca d' Agnese,
Quando furono nella strada dì mezzo, il frate gli strinse la mano,
e disse: » se la trovi, che Dìo voglia! quella buona Agnese, salutala
anello in mio nome; e a lei, e a tutti quelli die rimangono, e si
ricordano di fra Cristororo, di' che preghin per lui. Dio l' accom-
|)agni, e li benedica per sempre, n
"Oh caro padre...! ci rivedremo? ci rivedremo?"
«Lassù, spero.» E con queste parole, sì slaccò da Renzo; il
quale, stalo lì a guardarlo fm che non l'ebbe perso di visltt, prese
in fretta verso la porla, dando a destra e a sinistra l'ultime oc-
chiate di compas»one a quel luogo di dolori. C'era un movimento
straordinario, un eorrer di monatti, un trasportar di. roba, un acco-
modar le tende delle baracche, uno strascicarsi di cenvì^lescenti a
queste e ai portici, per ripararsi dulia burrasca imminente. .
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CAPITOr,0 XXXVII.
pena infalli ebbe Raizo possala
la soglia avi ìazzvrvUo, e pri-so a
dìriUa, per ritrovar la viotlula di
dov'era sboccalo la niallina sollo
ÌK niiii'a , principiò come una
grandine di goeeioloni radi e ini-
pi'tuosi, elle, ballendo e riso'-
(andò sulla strada bianca e arida,
sollevavano un mimilo polverìo;
in ui) momeiiio, divenlaron filli;
e prima che arrivasse alla viollo-
)a, la veniva giù a seeehie. Renzo,
in vece d' inquietarsene, ei sguaz-
zava dentro, se la godeva in quella rinfrescala, in quel susurrio, in
quei brulicliio dell'erbe e delle Ti^lte, tremolanti, gocciolanti, rin-
verdite, lustre; metteva certi l'espironi talchi e pieni; e in quel
risolvìmenlo della natura sentiva come più liberamente e più viva-
mente quello che s'era Tatto nel suo destino.
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I PHOMRSFI !IPOSI
Ma quanto più sctiielto e iiilero sarebbe sialo questo sentiuiaito,
se Renzo avesse potuto indovinare quel die si ^idc poclii giorni
dopo: die quell'acqua portava via il rontagio; che, dopo quella, il
lazzeretto, se non era per restituire ai viventi tulli i viventi die
conteneva, almeno non n'avrebbe più 'ingoiali nitri; che, Ira un:i
sellimana, sì vedrebbero riaperti usci e bollcglie, non si parlerebbe
quasi più die di quaranlriia; e ddla peste non rimarrebbe se non
qualdie resticciolo qua e là; quello strascico che un tal flagdlo
lasciava sempre dietro a sé per qualche tempo.
Andava dunque il nostro viaggiatore allegramente, senza aver
disegnato né dove, né conje, né quando, né se avesse da fermarsi
la notte, premuroso soltanto di portarsi avanti, d'arrivar presto al
suo paese, dì trovar con diì parlare, a chi raccontare, soprattutto di
poter presto rimettersi in cammino per Pasturo, in cerca d' Agnese.
Andava, con la mente tutta sottosopra dalle cose di quel giorno; ma
di sotto le miserie, gli orrori, ì perìcoli, veniva sempre a galla un
pensierino: l'ho trovata; è guarita; è mia! E allora faceva uno gam-
betto, e con ciò dava un' annafllata all' intorno, come un can barbone
i '
I !
uscito dall'acqua; qualche volta si eoiitcnfava d' una fregatina ih'
mani; e a^'anli, con più ardore di prima. Guardando per la sli-ada,
raccattava, per dir cosi, i pensieri, die cì aveva lasciati la iQatlina e
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CAPITOLO XXXVII. Tis
il giorno avanti, nel veniret « con più piacere quelli appunto die
allora aveva pia cercato di scacciare, i dubbi, le difficolti, trovarla,
trovarla vìva, tra tanti morii e moribondi! — E l'ho trovata vi-
va! — ■ concludeva. Si rimetteva col pensiero nelle circostanze più
terribili dì' quella giuTiala; si figurava con quel martello in mano:
<à sarà o non ci sarà? e una risposta cosi poco allegra; e mm
aver nemmeno il tempo di masticarla, che addosso quella furia di
Tnttlti birboni; e quel lazzeretto, quel mare! lì ti volevo a Iro^
varia! E averla trovala! Ritornava sa quel momenlo quando fu
finita di passare la processione de' convalescenli : che momento! clie
crepacore non trovarcela! e ora non gliene importava più nulla. E
qud quartiere delle donne! E là dietro a quella capanna, quando
meno s« l'aspettava, quella voce, quella voce proprio! E vederla,
vederla levala! Ma ehe? c'era ancora quel nodo del voto, e più
stretto che mai. Sciollo anche questo. E quell'odio contro don Ro-
drigo, quel rodio continuo che esacerbava tutti ì guai, e avvele*
nava tutte le consolazioni, scomparso anche quello. Talmentediè non
saprei immaginare una contentezza più viva, se non fosse stola l' in-
certezza intorno ad Agnese, il tristo presentimento intorno al padre
Cristoforo, e quel trovarsi ancora in mezzo a una peste.
Arrivò a Sesto, sulla sera; né pareva che l'acqua volesse cessare.
Ma, sentendosi più in gambe che mai, e con tante difficoltà di trovar
dove alloggiare, e «^osì inzuppato', non ci pensò neppure. La sola
cosa che l'incomodasse, era un grand' appetito; che una consolazione
come quella gli avreU>e fatto smaltire altro che la poca minestra
del cappuedno. Guardò se trovasse anche qui una bottega di for-
naio; né vide una; ebbe due pani con le molle, e con quell'altre
cerimonie. Uno in lasea e l' altro alla bocca, e avanti.
Quando passò pei- IMoiiza, era notte fatta: nonostante, gli riuscì
(fi trovar la porta che metteva sulla strada giusta. Ma meno questo,
die, per dir la verità, era un gran mento, potete immaginarvi come
fosse quella strada, e come andasse facendosi di momento in momen-
lo. Affondata (com'eran tulle; e dobbiamo averlo detto altrove) tra
due rive, quasi un letto di fiume, si sarebbe aquell'ora potuta dire,
se non un fiume, una gora davvero; e ogni tanto pozze, da volerà
dd buono e del bello a levarne i predi, non die le scarpe.' Ma
fiéhzo n'usciva come poteva, senz'alti d'impazienza, senza parolacce,
'senza pentimenti; pensando che ogni passo, per quanto costasse, lo
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Il» I KOMBSSI SPOSI
conduceva avanlt, e die I' acqua cesserebbe quando a Dio piacesse,
e clie, a suo tempo, spunterebbe il giorno, e die la strada che bceva
intanto , allora sarebbe folla.
E dirò anche che non ci pensava se non proprio quando non po-
teva far di meno. Eran distratiÓDl queste; il gran lavoro della sua
mente ev» di riandare la storia di que" tristi anni passali: tant' im-
brogli, tante traversie, tanti momeoli in cui era slato per perdere
anche la speranza, e fare andata ogni cosa; e di conU^pporci riiD*
maginasioni d'un avvenire cosi diverso: e l'arrivar di Lucia, e le
nozze, e il metter su casa, e il raccootargi le vicende passale, e
tutta la vita.
Come la facesse quando trovava due strade; se quella poca pra-
tica, con quel poco barlume, fossero^udli che l' aiutassero a trovar
sempre la buon», o se l'indovinasse sempre alla ventura, non ve lo
saprei dire; cbè lui medesimo, il quale soleva raccontar la sua
storia molto per minuto , lunghettamente anzi che no ( e lutto con-
duce a credere che il nostra anonimo l' avesse sentila da lui più
d'una volta), lui medesimo, a questo punto, diceva che, di quella
notte j non se ne rammentava che come se l' aiesse passala ia letto
a sognare. Il fatto sfa che, sul Unir .di essa, si trovò alla riva
ddl'Àdda.
- Non era mai spiovuto; ma, a un certo tempo, da diluvio era
diventata pioggia, e poi un'acquerugiola (ine Une, cheta cheta, ugual
uguale: i nuvoli alti e radi stendevano un velo non interrotto, ma
leggiero e diafano; e il lume del crepuscolo fece vedere a Renzo il
paese d'intorno. C'era dentro il suo; e quel die sentì, a quella
viste, non si saprebbe spiegare. Altro non vi so , dire, se oon die
que' monti, qud Retegone vidno, il territorio dì Leeco, era diven^-
lato lutto come roba sua. Diede un'occhiata anche a sé, e si trovò
un po' strano, quale, per dir la verità, da qud die si sentiva, s'ira-
inaginava già di dover parere: sciupala e attaccala addosso ognieosa:
dalla lesta alla vita, tutto un fradiciume, una grondaia; dalla vita alla
punta de' piedi, mellelta e mola : le parli dove non ce ne fosse si sa-
rebbero potute cbiamare esse zacchere e scbizzi. E se si fosse visto
tutl'inlero in uno specchio, con la tesa del cappello Qosda e cascante,
e i capelli slesi e incollati sul viso, si sareU>e fallo ancor più spede;
In quanto a stanco, lo poteva essere, ma non ne sapeva nulla: e il
frescolino deH'alba aggiunto a quello ddla iiollee di quel poco
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CAPITOLO XXXVII. TU
bagno, non gli dava sHea die una fierezza, una toglia di camminar
più presto.
^ È a Pescate; costeggia qaeil' ultima tratto dell' Adda, dando però
ao'ocdiiata maliocoaica a Pescarenico; passa il ponte; per istrade e
campi, arriva in un momento alla casa deil' ospite amico. Questo ,
che s'era levato allwa, e stava suH' uscio, a guardare il tempo,
aiiò gli ecebi a qudla figura così inzuppata,, cosi infangata, diciam
pure così lercia-, e insieme cosi viva e di^nvolta: a' sboi gionii non
aveva visto un uomo peggio concialo e più contento.
■ Ohe!» disse: «già qui? e con questo tempo? Com'è andata?»
uLaò'è,» disse Renzo: u la c'è: la c'è. "
uSaoa?»
" Guarita, che è meglio. Devo ringraware il Signore e la Madonna
fin cbe campo. Ma cose grandi, cose dì fuoco: U racconterò poi
lotto.»
M Ma come sei conciato 1 «
-SonbeUoeh?»
«A dir la verità, potresti adoprare il da tanto in su, per lavare
il da Unto in giù. Ma, aspetta, aspetta; che ti taccia un buon
fuoco. »
•• Non dico di do. Sai dove la m'ha preso? proprio alla por(a d«l
tazKretto. Ma niente! il tempo il suo mestiere, e io il mio. »
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Ila. I PROMESSI SMSI
L'amico andà e toniò eoo due bracciate di stipa: ne mise uoa in
terra, 1' altra sul focolare, e, con uo po' di brace rimasta della sera
avaali , fece presto tuia bella fiammata. Renio iolaolo s' era levalo il
cappello, e, di^o averlo scosso due o Ire volle, l'aveva buttalo in
terra: e, non cosi facilmente, s'era tiralo via anche il brsello. Levò
pfM dal tasduno de' calzoni il coltello, col fodero tutto fradicio, die
pareva stato in molle; lo mise su un panchetto, e disse: « andte co-
stui è accomodato a dovere; ma l'è acqua! l'è acqualsla rìngraxitio
■1 Signore.... Sono stato lì lì....! Ti dirò poi.» E si fregava le mani.
« Ora &mmi un altro piacere, « soggiunse: « quel bgotlino die ho
lasdato su in camera, va a preodermdo, che prinia die s'asciughi
questa roba che ho addosso ....!»
Tornato col fagotto, l'amico disse: « penso che avrai anche ap-
petito: capisco die da bere, per la strada, non te ne sarà mancalo;
ma da mangiare »
1 Ho trovato da comprar due pani, ieri sul tan^; ma, per dir la
vciìtà, non m' hanno toccalo un dente. »
•< Lascia fare, >• disse l'amico; mise l'acqua in un paiolo, che
atlaccó poi alla catena; e soggiunse: « vado a mungere: quando tor-
nerò col latte, l'acqua sarà all'ordine; e si fa una buona polenta.
Tu intanto fa il tuo comodo. »
Renzo, rimasto solo, si levò, non senza fatica, il resto de' panni,
die gli s'eraii come appiccicati addosso; s' asciugò, si rivesti da capo
a piedi.' L' amico tornò, e andò al suo paiolo: Renzo intanto si mise
a sedere, aspettando
« Ora sento che sono stanco.» disse: » ma è una bdla tirala!
Però questo è nulla. Ne ho da raccontartene per tutta la giornata.
Com'è conciato Milano! Le cose clic bisogna vedere ! "Le cose die
Insogna toccare! Cose da forsi poi schifo a sé medesimo. Sto per dire
cbe non ci voleva meno di quel bucatino die Ik> avuto* E qud cfae
m'hanno voluto fare quc' signori di laggiù! Sentirai. Ma se tu ve-
dessi il lazzeretto! C'è da perdersi nelle miserie. BasU ; ti raeeonleró
tutto .... E la e' è, e la verrà qui, e sarà mia moglie; e tu devi hr
da testimonio, e, péste o non peste, almeno qualche ore, voglio dw
stiamo allegri. «
Del resto mantenne ciò, che aveva detto all'amico, di voler rae-
conlai^liene per tutta la gìornala; tanto più, die, avendo sempre con-
tinuato a piovigginare, questo la pasèò tutta in casa, parte sedato
I I
„Google
CAPITOLO XXXVir. TU
accaiilo all'amico, |>ar(« in faccende inlorno a un suo |>iccolo tino,
« a una bollicina, e ud ailrì Javorì, in preparasione della vendem-
mia; ne' quali Renzo non lasciò di dargli una mano; che, come
soleva dire, era di quelli clie si slancaoo più a star senza far nulla,
cbe a lavorare. Non potè però tenersi di non fare una scappatina
alla casa d' Agnese, per rivedere una certa finestra, e per dare an-
clie li una fregatina di mani. Tornò senza essere slato vÌ!>lo da nes-
suno; e andò subilo a letto. S'alzò prima die facesse giorno; e, ve-
dendo cessala l'acqua, se non ritornalo il sereno, si mise in cammino
(ter Pasturo.
Era ancor presto quando ci arrivò: cliè non aveva mena fretta e
v<^lia di finire, di quel die possa averne il lettore. Cercò d'Agnese;
««iti che slava bene , e gli fu insegnata una casuccia isolala dove
abitala. Ci andò; la chiamò dalla strada: a una tal voce, essa s'afTac-
dò di eorsa alla finestra; e, mentre slava a bocea aperta per mandar
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Tlt I PBOIIBS8I SPOSI
fuori non so die parola, non so «be suono, Remo la prÉveniM di*
eendo: <• Lucia è guarita: 1' bo veduta ierìaltro; vi saluta; verrà pre-
sto. E poi ne bo, ne ho delle cose da dirvi. ■
Tra la sorpresa dell' apparizione, e la conlentezza della notizia, e la
smania di saperne dì più, Agnese cominciava ora un' esclamaiàone,
ora una domanda, senza fluir nnlla: poi, dimenticando le preeaoironi
ch'era solita a prendere da molto tempo, disse: « vengo adaprirvL»
« Aspettate: e la peste? » disse Renzo: •■ voi non l'avete avula,
eredo. •
•• Io no: e voi? ••
« Io si; ma voi dunque dovete aver giudizio. Vengo da Milano;
e, sentirete, sono proprio stalo nel contagio fino agli occhi. E vero
che mi son mutalo tutto da eapo a piedi; ma l' è una porcherìa che
i attacca alle vidte come tin nudefizìo. E giacché il Signore V ha
preservata finora, voglio che stiate riguardala fin che non è loìto
quest'influsso; perchè siete la nostra mamma: e voglio dte campiamo
insieme un bel pezzo allegramente, a conto del gran patire che ab-
biam fotto, almeno io, »
« Ma .... n cominciava Agnese.
« Eb! » interruppe Renzo: « non e' è ma che tenga. So quel che
volete dire; ma sentirete, sentirete, che de' ma non ce n' è più. Au-
diamo in qualche luogo all'aperto, dove sì possa parlar con comodo,
senza pericolo; e sentirete. »
Agnese gl'indico un orlo ch'era dietro alla casa; e soggiùnse:
« entrate li, e vedrete che c'è due panche, l'una in foccia all' altra,
che paion messe apposta, lo vengo subito. "
Renzo andò a mettersi a sedere sur una: un momento dopo,
Agnese sì trovò li sull' altra: e Bon certo che, se il lettore, informato
come è delle cose antecedenti , avesse potuto trovarn li io terzo, a
veder con gli occhi quella conversazione così animata, a sentir con gli
orecchi que' racoonti, qudle domande, quelle spiegazioni, quelfesda-
mare, qud condolersi, quel rallegrarsi, e don Rodrigo, e il padre
Cristoforo, e tutto ÌI resto, e quelle descrizioni dell' avvenire ^ dùare
e positive come quelle del passato, son certA, dico, che ci avrdbe
preso gusto, e sarebbe stato 1' ultimo a venir via. Ma d' averta sulla
carta tutta quella conversazione, con parole mute, fatte d'incbioalro,
e senza trovare» un solo fatto nuovo, son di parere cbe non se ne
curi molto, e che gli piaccia più d'indovinaria da sé. La oondusioDe
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CAPITOLO XXXVII. ii§
fu cbe s' anderebbe a metter su casa tutti insinne Ja quel paese del
bei^masco dove Renzo aveva già un buon avviamento : in quanto
al tempo, Don si poteva decider nulla, perehè dipendeva dalla peste,
e da aftre drcostanee: appena cessalo il perìcolo, Agnese tornerebbe
a casa, ad aspettarvi Lucia, o Lum ve l'aspetterebbe: intanto Renzo
fareUte spesso qualebe allra corsa a Pasturo, a veder la sua maib-
ma^ e a tenerla informata di quel cbe potesse accadere.
Prima di partire, offrì anche a lei danari, dicendo: «gli bo qui
tutti, vedete, que' lalì: avevo fatto voto anch'io di non toccarli, fin
che la cosa non fosse venuta in chiaro. Ora, se n' avete bisognò,
portate qui una scodella d'acqua e aceto; vi butto dentro ! cinquanta
scodi belli e lampanti. »
« No, no, » disse Agnese: u ne lio ancora più del bisogno per me:
i vostrì, serbateli, che saran buòni per metter su casa. «
Renzo tornò al paese con questa consolazione di più d' aver tro-
vata sana e salva una persona tanto cara. Stette il rimanente di
quella giornata, e la notte, in casa dell'amico; il giorno dopo, ili
viaggio di nuovo, ma da un'altra parte, cioè verso il paese adottivo.
Trovò Bortolo, in buona salute anche lui, e in minor timore dì
perderla; che, in que" pochi giorni, le cose, anche lì, avevaa preso
rapidamente una bonissima piega. Pochi eran quelli che s'amma-
lavano; e il male non era più quello; non [mù que' lividi mortali.
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T90 I PRoitEssi sro^i
né quella violenza di sLilomi; ma febbrìciallole , intenniUeoti la
maggior parie, con al più qualclie picco! bubbone seolorilo, die si
curava come un fìgnolo ordinario. Giù 1' aspello del paese compariva
mutato; i rimasti vivi cominciavano a uscir Tuori, a contarsi tra
loro, a farsi a \'icenda condoglianze e congratulazioni. Si parlava già
di ravviare i lavori : ì padroni pensavano già a cercare e a eapar-
rare operai, e in quell'arti principalmente dove il numero n'era
slato scarso anche prima del contagio, com'era quella ddla seta.
Renzo, senza fare il lezioso, promise (salve però le debite approva-
zioni ) al cugino di rimettersi al lavoro, quando verrebbe accompa-
gnalo, a stabilirsi in paese. S'occupò intanto de' preparativi piti
necessari: trovò una casa più grande; cosa divenula pur troppo
facile e poco costosa; e la forni di mobìli e d'attrezzi, intaccando
questa volta il tesoro, ma senza farci un gran buco, che tutto era a
buon mercato, essendoci molta più roba che gente che la eomprassero.
Dopo non so quanti giorni, ritornò al paese nativo, che trovò
ancor più notabilmente cambiato in bene. Trottò subito a Pasturo;
trovò Agnese rincoraggila affatto, e disposta a. ritornare a casa quando
si fosse; di maniera ehe ce la condusse lui : dì diremo quali fossero
i loro sentimenti, quali le parole, al rivedere insieme que' luoghi.
Agnese trovò ogni cosa come l'aveva lasciata. Sicché non potè far
a meno di non dire che, questa volta, trattandosi d'una povera
vedova e d' una povera fanciulla, avcvan fatto la guardia gli angioli.
«E l'altra volta,» soggiungeva, «clic si sarebbe creduto che il
Signore guardasse altrove, e non pensasse a noi, -giacché lasciava
portar via il povero fatto nostro; ecco che ha fatto vedere il con-
trario, perchè m'ha mandato da un'altra parte di bei danari, con
cui ho potuto rimellere ogni cosa. Dico ogni cosa, e non dico bene;
perché il corredo di Lucia che coloro avevan portalo via beli' e
nuovo, insieme col resto, quello mancava ancora; ma ecco che ora ci
viene da un'altra parie. Chi m'avesse detto, quando Ìo m'arrapi-
navo tanto a allestir quell'altro: lu credi di lavorar per Lucia: eh
povera donna! lavori per chi non sai: sa il cielo, questa tela, que-
sti panni, a che sorte di creature anderanno indosso: quelH per
Lucia, il corredo davvero che ha da servire per lei, ci penserà
un'anima buona, la quale tu non'aai né anche che la uà in questo
mondo."
n primo pensiero d'Agnese fu quello di preparare nella. sua povera |
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CAPITOLO XXXVII. 711
easuocia l' Sloggio il più decenle die potesse , a qoeir anima buona ;
poi aodù io cerca di seta da annaspare; e lavorando ingannava il
tempo.
Rcneo, dui canto suo, non passò in osio quo' giorni già tanto
lunghi per sé: sapeva far due meslierì per buona sorte; si rimise a
quello del conladino. Parie aiutava il suo ospite, per il quale era
una gran fortuna l'avere in tal tempo spesso al suo comando un' o-
pcra, e un' opera di queir abilitò; parte coltivava , anzi dissodava
r orticello d'Agnese, trasandato afTatlo nell'assenza di lei. In quanto
al suo proprio podere, non se n' occupava punto, dicendo di' era una
parrucca troppo arruflala , e che ci voleva altro che due braccia a
ravviarla. E non cì metteva neppure ■ piedi ; come né anche in
casa: che gli avrebbe fatto male a vedere quella desolazione; e aveva
già preso il partito di disfarsi d' ogni cosa , a qualunque prezzo , e
d' impiegar nella nuova patria quel tanto che ne potrebbe ricavare.
Se i rimasti vivi erano, l'uno per l'altro, come morti resuscitati,
Renzo, per quelli del suo paese, lo era, come a dire, due volle:
ognuno gli faceva accoglienze e congratulazioni , ognuno voleva
sentir da luì la sua storia. Direte forse: come andava col bando?
L' andava benone: lui non ci pensava quasi più , supponendo che
quelli i quali avrebbero potuto eseguirlo, non ci pensassero più ne
andie loro: e non s'ingannava. E questo non nasceva solo dalla
peste die aveva fatto monte di tante cose; ma era, come s'è potuto
vedere anche in vari luoghi di questa storia , cosa comune a que'
tempi, che i decreti, tanto generali quanto spedali, contro le perso-
ne, se non c'era qualche animosità privata e polente die li tenesse
vivi, e lì facesse valere ^ rimanevano spesso senza effetto, quando
non l'avessero avuto sul primo momento; come palle di schioppo,
che, se non fanno colpo, restano io terra, dove non danno fastidio
a nessuno. Conseguenza necessaria della gran fadlità con cui U semi-
navano que' decreti. L'attività dell'uomo è limitata; e tutto il di
più che c'era nel comandare, doveva tornare in tanto meno odi' ese-
guire. Quel che va nelle maniche , non può andar ne' gheroni.
Chi volesse anche sapere come Renzo se la passasse con don Ab-
bondio, in quel tempo d'aspetto, dirò che stavano alla lai^ l'uno
dalP altro: don Abbondio, per timore di sentire intonar qualcosa di
matrimonio: e, al solo pensarci, si vedeva davanti agli occhi don
Rodrigo da una parte, co' suoi bravi, il cardinale dall'altra, oo' suoi
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I PROMESSI SPOSI
argonicnli: Renzo, perchè aveva fissato di non parlargliene che al
momenlo di concludere, non volendo risicare di fario inalberar pri-
ma del tempo, di suscitar, chi sa mai? qualche difficoltà, e d'im-
brogliar le cose con chiacchiere inulili. Le sue chiacchiere, le faceva
con Agnese. « Ci-edele voi che verrà presi© ? -. domandala 1" uno.
ulo spero di si,» rispondeva l'altro: e spesso quello elie aveva
dala la risposta, faceva poco dopo la domanda medesima. E con
queste e con simili furberie, s'ingegnavano a far passare il tempo,
che pareva loro più lungo , di mano in mano che n' era più passalo.
Al lettore noi lo faremo passare in un momenlo lutto quel lempo,
dicendo in compendio che, qualche giorno dopo la visita di Renzo
al lazzeretto, Lucia n' usci con la buona vedova; che, essendo stala
ordinala una quarantina generale, la fecero insieme, rinchiuse nella
casa di quest' ultima ; che una parte del lempo fu spesa in allestire
il corredo di Lucia, al quale, dopo aver fallo un po' di cerimonie,
doveltc lavorare anche lei ; e che, terminata che fu la quarantina, la
vedova lasciò in consegna il fondaco eia casa a quel suo fratello com-
missario; e si fecero ì preparativi per il viaggio. Potremmo andie
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CAPITOLO XXWII. TtS
soggiunger subito: parlrrono, arrivarono, e quel che segue; ma, co»
tutu la volontà che abbiamo di secondar la frella del lettore, ci sou
tre cose appartenenti a queir intervallo di tempo, che non vorremmo
passar sotto silenzio; e, per due almeno, crediamo che il lettore slesso
dirà che avremmo fallo mate.
La prima, che, quando Lucia tornò a parlare alla vedova delle sue
avventure, più in particolare, e più ordinatamente di quel che avesse
polutD in quell'agitazione della prima confidenza, e fece menzione
più espressa . della signora che l' aveva ricoverala nel monastero di
Monza, venne a sapere di costei cose che, dandole la chiave di molti
misteri, le riempiron l'animo d'una dolorosa e paurosa maraviglia.
Seppe dalla vedova che la sciagurata, caduta in sospetto d'atrocissimi
fotti, era stata, per ordine del cardinale, trasportala in un uionastero
di Milano; che li, dopo molto infuriare e dibàttersi, s'era ravveduta,
s'era ai»usala; e che la sua vita attuale era supplizio volontario tale,
che nessuno, a meno di non togliergliela , ne avrebbe potuto trovare
un più severo. Chi volesse conoscere un po' più in particolare questa
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trista storia, la Iroverà nel libro e ai luogo che abbiam citato Dllrove,
a proposito della stessa persona *,
L'altra cosa è che Lucìa, domandando del padre Cristoforo a tutti
i cappuccini die potè vedere nel laueretto, senti, con più dolore che
maraviglia , di' era morto di peste.
Finidmente , prima di partire , avrebbe anche desideralo di saper
qualcosa de' suoi antichi padroni, e di fare, come diceva, un atto dH
suo dovere , se alcuno ne rimaneva. La vedova 1' accompagnò alla
casa , dove seppero che l' uno e 1' altra erano andati tra quc' più. Di
donna Prasscde, quando si dice ch'era moria, è detto tutto; ma in-
torno a don Ferrante, trattandosi di' era stalo dotto, l' anonimo ha
credulo d" estendersi un po' più ; e noi , a nostro rìsdiio , trascrive-
remo a un di presso quello clic ne lasciò scritto.
Dice adunque die, al primo parlar che si fece di peste, don Fer-
rante fu uno d«' più risoluti a negarla, e che sostenne eoslanlemente
fino all' ultimo, quell' opinione; non già con iscbiamazzì, come il po-
polo; ma con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire almeno che
mancasse la concatenazione.
"In rerum natura, n diceva, u non ci son die due generi di
cose: sostanze e acddenti; e se io provo die il contagio non può
esser né l'uno né l'altro, avrò provato che non esiste, clic è una
chimera. E son qui. Le sostanze sono, o spirituali, o materiali. Clie il
contagio sia sostanza spirilualc , è uno sproposito che nessuno vor-
rebbe sostenere; sicché è inutile parlarne. Le sostanze materiali sono,
o semplici, o composte. Ora, sostanza semplice il contagio non è;
e si dimostra in quattro parole. Non è sostanza aerea; perchè, se
fosse tale, in vece dì passar da un corpo all' alli^, volerebbe subito
alla sua sfera. Non è acquea; perchè bagnerebbe, e \'crrcbbG asdii-
gata da' venti. Non è ignea; perchè brucerebbe. Non e terrea; perche
sarebbe visibile. Sostanza composta, neppure; perche a ogni modo
dovrete esser sensibile all' occhio o al tatto; e questo contagio, eliì
r ha veduto? chi 1' ha toccato? Riman da vedere se possa essere ac-
ddente. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori dottori che si
comunica da un corpo all'altro; che questo è il loro achille, questo
il prelesto per far tante prescrizioni senza eostrullo. Ora, suppo-
nendolo aecideiite, verrebbe a essere un accidente trasportalo; due
* Ri|»m. Hl»l. Pai., Dee. V. Lib. VI, Cip. Iti.
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CAnroLO xxxTii. Ttv
parole die fenno ai calci, non essendoci, in tutta la fllosofla, cosa
più chiara, più liquida di questa : che un accidente non può passar
da un soggetto all'altro. Che se, per evitar quesla Scilla, si riducono
a dire che sia accidente prodotto, danno in Cariddi: perchè, se è
prodotto, dunque non si comunica, non si propaga, come vanno bla-
terando. Posti questi princìpi, cosa serve v«)irci tanto a parlare di
vibici, d'esantemi, d'antraci ...?>■
«Tutte corbellerie," scappò fuori una volta un tale.
«No, no,n riprese don Ferrante: «non dico questo: la scienza
è scienza; solo bisogna saperla adoprare. Vibici , esantemi , antraci ,
parotidi, bubboni violacei, Turoncoli nigrìcantì, son tutte parole
rispettabili, che hanno il loro significato beli' e buono; ma dico che
non han che fare con la questione. Chi nega che ci possa essere di
queste cose , anzi che ce ne sia ? Tulio sia a veder di dove ten-
gano. »
Qui cominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin clic non
faceva che dare addosso all'opinion del contagio, trovava per lutto
orecchi attenti e ben disposti : perchè non si può spiegare quanto sia
grande l'autorità d'un dotto di professione, allorché vuol dimostrare
agli altri le cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva a distin-
guere, e a voler dimostrare che l'errore di que' medici non coiisi-
sleva già neh' affermare che ci fosse un male (erribile e generale;
ma neir assegnarne la cagione; allora (parlo de' primi tempi, in cui
non si voleva sentir discorrere di peste), allora, in vece d'orecchi,
trovava lingue ribelli, ìntrallabili; allora, di predicare a distesa era
finita; e la sua dottrina non poteva più metterla fuori , ette a pezzi
e bocconi.
« La e' è pur troppa la vera cagione, n diceva; « e son costretti
a riconoscerla anche quelli che sostengono poi qucll' altra cosi in
aria... La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione
di Saturno con Giove. E quando mai s'è sentilo dire che l'influenze
si propaghino...? E lor signori mi vorranno negar l'influenze? Mi
negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che slian
lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli flccati in un guan-
cialino?... Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori
medici; confessare che ci troviamo sotto una congiunzione cosi mali-
gna, e poi venirci a dire, con beerà tosta: non toccate qui, non loc-
cate là, e sarete sicuri! Come se questo schivare il conlatto maleriatc
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Tta I PROMESSI SPOSI
de' corpi lenreoi, potesse impedir l'effetto virtuale de' corpi celesti!
E tanto affannarsi a bruciar de' cenci! Povera gente! brucerete Giove?
brucerete Saturno?»
Hit fretta , vale a dire su questi bei fondamenti , non prese nes-
suna precauzione contro la peste; gli s' attaccò; andò a letto, a mo-
rire, come un eroe di Metaslasio, prendendosda con le stelle.
E quella sua famosa libreria? É forse ancora dispersa su per i
muricdoli.
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CAPITOLO XXXVIU.
□a sera, Agnese sente fermarsi un le-
gno all' uscio. — È lei, di cerio ! — Era
proprio lei , con la buona vedova. L' ac-
coglienze vicendevoli se le immagini il
lettore.
La mattina seguente, di buon'ora, ca-
pila Renzo che non sa nulla, e vien so-
lamente per isfogarsi un po' con Agnese
su quel gran lardare di Lucia. Gli atli
che fece, « le cose che disse, al trovar-
sela davanti , si rimettono andie quelli
all' immaginazion del lettore. Le dimo-
strazioni di Lucia in vece furon (ali, che
non ci vuol molto a descriverle. « Vi saluto: come stale? ^ disae,
a ocelli bassi , e senza scomporsi. E non crediate che Renzo trovasse
quel Èire troppo asciutto, e se 1' avesse per male. Prese benisBÌmo
la cosa per il suo verso; e, come, tra gente educata, si sa far la
tara ai complimenti, cosi lui intendeva bene che quelle parole non
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Ila I paouEssi SPOSI
csprinievan tulio ciò che passava nel cuore di Lucia. Del reslo, era
facile accorgersi che aveva due maniere di pronunziarle : una per
Renzo , e un' al(ra per tutta la genie che potesse conoscere.
«Sto bene quando vi vedo,» rispose il Rovine, con una frasie
vecchia, ma che avrebbe inventata lui, in quel momento.
" Il nostro povero padre Cristoforo ... ! » disse Lucia : « pregate
per r anima sua : benché si può esser quasi sicuri che a quesl' ora
prega lui per noi lassù. »
uMe l'aspettavo, pur troppo,» disse Renzo. E non fu questa la
sola trista corda che si toccasse in quel colloquio. Ma che? di qua-
lunque cosa si parlasse, il colloquio gli riusciva sempre delizioso.
Come que' cavalli bisbetici che s* impuntano, e si piantan li, e alzano
una zampa e poi un'altra, e le ripiantano al medesimo posto, e
tanno mille cerimonie prima di fare un passo, e poi tutto a un
trailo prendoa l'andare, e via, come se il vento li portasse, oosi en
divenuto il tempo per lui: prima i minuti (^i parevan ere; poi l'ore
gli parevan minati.
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CAPITOLO XXXVIII, TIB
La vedova, non solo non guastava la compagnia, ma ci l'ace\'a
dentro molto bene; e certamente, Benso, quando la vide in quel
lettuceio, non se la sarebbe potuta immaginare d' un umore cosi
sodevole e gioviale. Ma il lazzeretto e la campagna , la morie e le
nozze, non son tutl' uno. Con Agnese essa aveva già latto amicizia;
eoD Lucia pof era un piacere a vederìa, tenera insieme e scherze-
vole, e come la stuzzicava garì>atamenle , e -senza spinger troppo,
appena quanto ci voleva per obbligarla a dimostrar tutta 1' allegria
die aveva in cuore.
Renzo disse finalmente che andava da don Abbondio, a prendere
i concerti per lo sposalizio. Ci andò, e, con un certo fare tra burle-
vole e rispettoso, >< signor curato,» gli disse: « le è poi passalo
quel dolor di capo, per cui mi diceva di non poterci maritare? Ora
siamo a tempo; la sposa c'è: e son qui'per sentire quando le sia di
comodo: ma questa volta, sarei a pregarla di far presto. » Don My
bondio non disse di no; ma cominciò a tentennare, a trovar cerL'al-
tre scuse, a far cert' altre insinuazioni: e perchè mettersi in piazza,
e far gridare il suo nome, con quella cattura addosso? e cbe la cosa
potr^be (arsi ugualmente altrove; e questo e quest'altro.
«Ho inteso,» disse Renzo: u|ei ha ancora un po' di quel mal
dì capo. Ma senta, senta. « E cominciò a descrivere in che stato
aveva visto quel povero don Rodrigo; e che già a quell'ora doveva
sicuramente essere andato. « Speriamo, » concluse, « che il Signore
gli avrà usato misericordia. »
u Questo non ci ha che fare, » disse don Abbondio: « v' lio forse
dello di no? Io non dico di uo; parlo... parlo per delle buone
ragioni. Del resto, vedete, fin che c'è (iato... Guardatemi me: sono
una eolica fessa; sono stato andi' io, più di là che di qua: e son
qui; e... se non mi vengono addosso de' guai... basta... posso spe-
rare di starci ancora un pochino. Figuratevi poi certi temperamenti.
Ma, come dico, questo non ci ha die far nulla. "
Dopo qualche allia botta e risposta, né più né meno concludenti,
Renzo strisciò una bdla riverenza, se ne tornò alla sua compagnia,
fece la sua relazione, e fini con dire: » son venuto via, cbe n'ero
pieno, e per non risicar di perdere la paiteiiza, e di levargli il ri-
apello. In certi momenti, pareva proprio quello dell'altra volta;
proprio quella mutria, quelle ragioni: son sicuro die, se la durava
ancora un poco, mi tornava in campo eon qualdie parola io latino.
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TSO t PROMESSI SPASI
Vedo che vuol essere un'altra lungagnata: è meglio fare addirittura
come dice luì, andare a maritarsi dove andiamo a stare. »
«Sapete cosa faremo? « disse la vedova: « voglio die andiamo
noi altre donne a fare un'alira prova, e vedere se ci riesce meglio.
Così avrò anch' io il gusto di conoscerlo quesl' uomo , se è proprio
come dite. Dopo desinare voglio che andiamo ; per non tornare a
dargli addosso subito. Ora, signore sposo, menateci un po' a spasso
noi altre due, intanto che Agnese è in faccende: cbè a Lucia farò io
da mamma: e ho proprio coglia di cedere un po' meglio queste
montagne, questo lago, di cui ho sentilo tanto parlare ;je il poco che
n'bo già visto, mi pare una gran bella cosa. •>
Renzo ie condusse prima di tutto alla casa del suo ospite , dove
fu un' altra festa: e gli fecero promettere che, non solo quel giorno,
ma tutti i giorni, se potesse', verrebbe a desinare con loro.
Passeggiato, desinato, Renzo se n' andò, senza dir dove. Le donne
rimasero un pezzetto a discorrere , a concertar» sulla maniera di
prender don Abbondio; e finalmente andarono all'assalto.
— Son qui loro , disse questo tra sé ; ma fece faccia (osta : gran
congratulazioni a Lucia, saluti ad Agnese, complimenti alla forestiera.
Le fece mettere a sedere, e poi eiilró subito a parlar della peste: \o\k
sentir da Lucia come l'aveva passata in que' guai: il lazzeretto dìf-dt.'
opportunitit di far parìare anche quella clte t' era slata compagna ;
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CiPITOLO XXXVIII. 7:11
poi, com' era giusto, don Abbondio parlò anche ddla sua burra*
sca; p(H de' gran mirallegri anctie a Agnese, che l'aveva passala
liscia. La cosa andava in lungo: già fin dal primo momento, le due
anziane stavano alle velelte, se mai venisse l'occasione d' entrar nel
discorso essenziale: finalmente non so quale delie due ruppe il gliiac-
eto. Ma cosa volete? Don Abbondio era sordo da quel)' ore(%hio. Non
die dicesse di no ; ma eccolo di nuovo a quel suo serp^ngiare , vol-
t^giare e saliar di palo in frasca. " Disognerebbe, « diceva, « poter
far levare quella calturaccia. Lei, signora, che è di Milano, conoscerà
più o meno il filo delle cose, avrà delle buone protezioni, qualche
cavaliere di peso: che con questi mezzi si sana ogni piaga. Se poi si
volesse andar per la più corta, senza imbarcarsi in tante storie; giac-
ché codesti giovani, e qui la nostra Agnese, lianno già intenzione di
spatriarsi (e io non saprei cosa dire: la patria è dove si sta bene),
mi pare che si potrebbe t»r tutto là , dove non e' è cattura che ten-
ga. Non vedo proprio l'ora di saperlo concluso questo parentado, ma
lo vorrei concluso bene, tranquillamente. Dico la verità: qui, con
quella cattura viva, spiattellar dall'altare quel nome di Lorenzo Tra-
maglino, non Io farei col cuor quieto: gli voglio troppo bene; avrei
paura di fargli un cattivo servizio. Veda tei ; vedete voi altre. »
Qui, parte Agnese, parte la vedova, a ribatter quelle ragìoni;don
Abbondio a rimetterle in campo, soli' altra forma: s'era sempre da
capo; quando entra Renzo, con un passo risoluto, e con una notizia
in viso; e dice: " è arrivato il signor marchese*".»
«Cosa vuol dir questo? arrivato dove?» domanda don Abbondio,
alzandosi.
« É arrivato nel suo palazzo, di' era quella di don Rodrigo; per-
ché questo signor mwbeae è 1' erede per fìdecommisso, come dico-
no; sicché non e' è più dubbio. Per me, ne sarei contento, se potessi
sapere che quel pover* uomo fosse morto bene. A buon conto, finora
ho detto per lui de' paternostri, adesso gli dirò de' De profuìuti*. E
questo signor marchese è un bravissim'uomo. "
«Sicuro, 1 disse don Abbondio: «l'ho sentito nominar più d'una
volta per un bravo signore davvero , per un uomo della stampa an-
tica. Ma che sia proprio vero ?»
« Al sagrestano gli crede? "
« Perché ? n
- Perchè lui l' ha veduto co' suoi occhi, lo sono stalo solamente lì
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I3t I PROMESSI 8P06I
ne' conlomi, e, per dir la \eriUi, ci sono andato appunto perdiè bo
pensato : qualcosa là si dovrebbe sapere. E più d' uno m' Ita dello lo
stesso. Ho poi incontralo Ambrogio che veniva proprio di lassù, e che
r Ita veduto, come dico, far da padrone. Lo vuol sentire, Ambrogio?
L' ÌM fatto aspettar qui fuori apposta. »
« Sentiamo, " disse don AUmndio. Renzo andò a diiauure il sa-
grcslano. Questo confermò la cosa in tutto e per tutto , ci aggiunse
altre circoslanze, sciolse tutti i dubbi; e poi se n' andò.
u Ahièmorto dunque! e proprio andato!» esclamò don Abbondio.
i
» Vedete , figliuoli , se la Provvidenza arriva alla flne certa gente.
Sapete che I' è una gran cosa! un gran respiro per questo {«vero
paese! cbè non ci si poteva vivere con colui. È slata un gran fla<
gallo questa peste; ma è anche stata una tcopo; ha spazzato via certi
sof^tti, die, Agiiuoli mìei, non ce ne liberavamo più: verdi, frc- 1 |
sebi, prosperosi: bisognava dire che chi era destinalo a far loro l'e- ' '
sequie, era ancora in seminario, a fare-i latinucci. E in un batter I
d' occhio, sono spariti, a cento per volta. Non lo vedremo più andare | i
in giro con quegli sgherri dietro, con quell'albagìa, con quell'aria, ! '
con quel palo in corpo, con quel guanlar la gente, che pareva che si |
stesse tutti al mondo per sua degnazione. Intanto, lui non c'è più, e ,
noi ci siamo. Non manderà più di queir imbaseiale ai gabntuomini. I '
Ci ha dato un gran fastìdio a tulli, vedete: cbè adesso lo possiamo ' '
dire.- » '
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CAPITOLO XXXVIII. Ili
« Io gli ho perdonalo di cuore, - disse Renzo.
u E fai il tuo dovere,» rispose don Abbondio: « ma si può anche
ringraziare il cielo, die ce n'abbia liberati. Ora, tornando a noi, vi
ripelo: late voi altri quel ehe erodete. Se volete che vi mariti io,
soD qui; se vi toma più comodo in altra maniera, fate voi allrì. fa
quanto alla cattura, vedo andi'io che, non essendoci ora più nessuno
che vi tenga di mira, e voglia far^i del male, non è cosa da pren-
dersene gran pensiero : Unto più , ebe e' é slato di mezzo quel de-
creto grazioso, per la nascita del serenissimo infante. E poi la peste!
la peste! ha dulo di bianco a di gran cose la peste! Sicché, se vole-
le. . . .oggi è giovedì.... domenica vi dico in chiesa; perchè quel che
s'è fatto l'altra volta, non conta più niente, dopo tanto tempo; e
poi ho la consolazione di maritarvi io. »
« Lei sa bene ch'eravamo venuti appunto per questo, « disse
Renzo.
" Benissimo; e io vi servirò: e voglio darne parte subito a sua
«ninenza. »
» Chi è sua eminenza? » domandò Agnese.
" Sua eminenza, » rispose don Abbondio, u è il nostro cardinale
arcivescovo , che Dio conservi. «
« Oh! in quanto a questo mi scusi,» replicò Agnese: «die, seb-
bene io sia una povera ignorante, le posso accertare die non gli si
dice cosi; perchè, quando siamo state la seconda volta per parlargli,
come park) a lei, uno di que' signori preti mi tirò da parte, e m'in-
segnò come si doveva trattare con quel signore, e che gli si doveva
dire vossignoria illustrissima, e monsignore. >>
" E ora, se vi dovesse tornare a insegnare, vi direbbe che gli va
dato dell'eminenza: avete inteso? Perdiè il papa, clie Dio lo conservi
anche lui, ha prescritto, (in dal mese di giugno, che ai cardinali si
dia questo titolo. E sapete perchè sarà vcnulo a questa risoluzione ?
Perchè l' illustr^imo, di' era riservato a loro e a eerti principi, ora,.
vedete andie voi altri, cos'è diventalo, a quanti si dà: e come se lo
succiano volentieri! E cosa doveva fare, il papa? Levarlo a tulli? La-
' menti, ricorsi, dispiaceri, guai; e per di più, continuar come prima.
Dunque ha trovato un bonis^mo ripiego. A poco a poco poi, si comin-
cerà a dar dfell' eminenza ai vescovi; poi Io vorranno gli abati, poi i
proposti: perchè gli uomini son fatti cosi;sempre voglion salire, sem-
pre salire; pm i canonid «
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TS4 I PROMESSI SPOSI
« Poi i curali, " disse la vedova.
u No no, » riprese don Abbondio: •> i curati a tirar la carretta:
non abbiale paura che gli avveztin male , i curali : del reverendo ,
fino iJla fin del mondo. PìuUoslo, non mi maraviglierei punto che i
cavalieri, i quali sono avvezzi a sentirai dar deirillustrissimo, a taaer
tratlali come i cardinali, un giorno vigessero dell'eminenza andie
loro. E se la vogliono, vedete, lro%'eranno «lil gliene darii. E allora ,
il papa che ci sarà allora, troverà quiJclie altra cosa per i cardinali.
Orsù, ritorniamo alle nostre cose: domenica vi dirò in chiesa; e in-
lanlo, sapete cos'ho pensalo per servirvi me{^io? Intanto chiederemo
la dispensa per 1' altre due denunzie. Hanno a avere un bel da fare
laggiù in curia, a dar dispense, se la \a per lutto come qui. Per
domenica ne lio già ... . uno .... due tre; senza conlar^'i voi
altri: e ne può capitare ancora. E poi vedrete, andando avanti, che
affare vuol essere: non ne deve rimanere uno scompagnato. Ha pro-
prio (alto uno sproposito Perpetua a morire ora; che questo era il
momento che lrova\'a 1' avventore anche lei. E a Milano, signora, mi
figuro che sarà lo stesso. "
« Eccome! si figuri che, solamente nella mia cura, domenica pas-
sata, cinquanta denunzie. "
« Se lo dico; ìl mondo non vuol finire. E tei, signora, non lianno
principiato a ronzarle intorno de' mosconi?»
H No, no; io non ci penso, né ci voglio pensare. »
u Sì , sì , die vorrà esser lei sola. Anche Agnese , veda ; an^c
Agnese ..."
» Uh! ha voglia di scherzare, tei, n disse questa.
» Sicuro che Im voglia di scherzare: e mi pare che sia ora final-
mente. Ne abbiam passate delle brutte, n' è vero, i miei giovani?
delle brutte n' abbiam passate : questi quattro giorni che dobbianw
stare in questo mondo, » può sperare che vogliano essere un po'
m^io. Ma! fortunali voi altri, che, non succedendo di^razie, avete
ancora un pezzo da parlare de' guai passati: io in vece, sono alle ven-
titré e Ire quarti , e . . . . i birboni posson morìi'e; della peste si può
guarire; ma agli anni non c'è rimedio: e, come dice, tenectui ipia
u Ora, » disse Renzo, « parli pur latino quanto vuole; che non
me n' importa nulla, n
« Tu l'hai ancora col latino, tu: bene bene, t'accomoderò io:
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CAPITOLO XXXVUI. T»
quando mi verrai davanti, eoa questa creatura, per sentirvi dire
appunto certe paroline in latino, ti dirò: latino tu non ne vuoi: vat-
tene in pace. Ti piacerà? n
« Eh! so io quel che dico, n riprese Renzo: « non è quel latino
lì die mi t& paura: quello è un latino sincero, sacrosanto, come quel
della messa : anche loro, li , bisogna che leggano quel che e' è sul libro.
Parlo di quel latino birbone, fuor di chiesa, che viene addosso a tra-
dimento, nel buono d' un discorso. Per esempio, ora clie siam qui,
che tutto è finito; quel Ialino che andava cavando fuori, li proprio,
in quel canto, per darmi ad intendere che non poteva, e che d vo-
leva dell'altre cose, e che so io? me lo volti un po' in volgare ora. »
« Sta zitto, buffone, sta zitto: non rimestar queste cose; che, se
dovessimo ora fare i conti , non so chi avanzerebbe. Io ho perdonato
tutto: non ne parliam più: ma me n' avete fatti de' tiri. Di te non
mi ta specie, che sei un malandrìnaccio; ma dico quest'acqua chela,
questa santerella, questa madonnina infilzata, che si sarebbe creduto
far peccalo o guardarsene. Ma già, lo so io chi l'aveva ammaestrata,
io so io, lo so io. » Cosi dicendo, accennava Agnese col dito, che
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THB I PROMESSI SPOSI
prima aveva lenuto rivolto a Lucia : e non si- potrebbe sfregare eoa
che bonarietà, con che piacevolezza Tacesse que* rimproveri. Qtidla
notizia gli aveva dato una disinvoltura, una parlantina, insolita da
gran tempo; e saremmo ancor ben lontani dalla fine, se volessimo ri-
ferir tutto il rimanente di que* discorsi, che lui tirò in lungo, rilenendo
più d' una volta )a compagnia che voleva andarsene, e ImnancMa poi
ancora un pocltino suil' uscio dì strada, sempre a parlar di bubbole.
n giorno seguente , gli capita una visita , quanto meno aspettata
lanto più gradita: il signor marchese del quale s'era parlalo: un nomo
tra la virilità e la vecchiezza, il cui aspetto era come un attestalo di
ciò che la foma diceva di lui: aperto, cortese, placido, umile, digni-
toso, e qualcosa che indicava una mestizia rassegnata.
«Vengo, n disse, u a portarle i saiulì del cardinale areivesco^'o. •>
u Oh che degnazione di lutV e due! »
1 Quando fui a prender congedo da quest' uomo incomparabile,
che ni' onora della sua amicizia, mi parlò di due giovani di codesta
cura, ch'eran promessi sposi, e che hanno avuto de' guai, per causa
di quel povero don Rodrigo. Monsignore desidera d' averne notizia.
Son vivi? E le loro cose sono accomodate?'!
« Accomodalo ogni cosa. Anzi-, io m'era proposto di scriverne a
sua eminenza; ma ora die ho l'onore »
« Si ti-oyan qui ? "
" Qui ; e, più presto che si potrà , saranno marito e moglie. »
« E io la prego di \ olernii dire se si possa far loro del bene , e
anclie d' insegnarmi la maniera più conveniente. In quesla calamità,
Im perduto i due soli figli che a\'e^'o , e la madre loro , e ho avuti-
Ire eredità considerabili. Del superfluo, n'avevo aoclic prima: sieclic
lei vede ebe il darmi una occasione d' impiegarne, e tanto più una
come questa, è farmi veramente un servizio. >>
u II cielo la benedica ! Perchè non sono tutti come lei i : . . ? Ba-
sta; la ringrazio anch'io di cuore per questi miei figliuoli. E giac-
ché vossignoria illustiissimu mi dà tanto coraggio, sì signore, die lio
.un espediente da suggerii-le , il quale forse non le dispiacerà. Sappia
dunque che quesla buona gente son i-isoltili d' andare a meller su
casa altrove, e di vender quel poco clic lianiio al sole qui: una vi-
gnetta il giovine, di nove o dieci pertiche, salvo il vero, ma trasan-
data affatto : bisogna làr conto del terreno , nicnt' altro ; di più una
casuceia lui , e un' altra la sposa : due topaie, veda. Un signore come
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CAPITOLi) XWV.I
vossignorìa non può sapere come la \atla ^r i poveri, quando vo-
^lion dJsfanti del loro. Finisce sempre a andare in bocca di qitaleliC
furbo , che forse sarà già un pezzo die fa all' amore a <|uelle quattro
braccia di lerra , e quando sa die l'altro ha bisogno di vendere, sì
ritira, fa lo svoglialo; bisogna corrergli dietro, e dargliele per un
pezzo ^i pane: speeialmenle ]M}Ì in circostanze come queste. |l signor
marchese ha già veduto dove vada a parai-e il mio discorso. La ea-
rìlà più fiorila che vossignoria illustrissima possa fare a i|uesta gente,
è di ca\'arli da quesl' impiccio , comprando quel poco fatto loro, lo ,
l»er dir la verità, do un parere interessato, perchè verrei ad acqui-
etare nella mia cura un compadrone come il signor marchese ; ma
vossignoria deciderà secondo che le parrà meglio : io ho parlato per
ubbidienza. «
Il marchese lodò mollo il suggerimento; ringraziò don Abbondio,
e lo pregò di voler esser arbitro del prezzo , e .di fissarlo allo bene ;
e lo fece poi restar di sasso , col proporgli che s' andasse subilo iu-
sieme a casa della sposa , dove sarebbe probabilmente anche lo sposo.
Per la strada, don Abbondio, tutto gongolante, come vi potete
immaginare , ne pensò e ne disse un' altra. » Giacdiè vossignoria il-
lustrissima è tanto inclinalo a far del bene a questa gente, ci sarebbe
un altro servizio da render loro. U giovine ha addosso una cattura,
ima specie di bando, per qualche scappatuccia die ha fatta in Mi-
lano , due anni sono , quel giorno del gran fracasso , dove s' e tro-
vato impicciulo, senza malizia, da ignorante, come un lopo nella
trappola: nulla di serio, veda: ragazzate, scapataggini: di far del
male veramente, non è capace: e io posso dirlo, che l'ho battezzato,
e l'Ilo vedulo venir su: e poi, se vossignoria vuol prendersi il di-
verlìmento di sentir questa povera genie ragionar su alla carlona,
potrà fargli raccontar la storia a lui , e sentirà. Ora, tratlandosi di
cose vecchie , nessuno gli dà fastìdio ; e, come le ho detto, lui pensa
d'andarsene fuor di stato; ma, eoi'tempo, o tornando qui, o altro,
non si sa mai , lei m' insegna che è sempre meglio non esser su.qne'
libri. Il signor marchese, in Milano, conta, come è giusto, e per quel
gran cavaliere , e per quel grand' uomo che è .... No , no, mi lasci
dire; elle la verità vuole avere il suo luogo. Una raccomandazione;
una |)arolina d' un |iar suo, è più dd bisogno per ottenere una buona
assolutoria, n
» Non c'è impegni forli contro codesto giovine? •>
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;Sti 1 l'IlOMESSI SPOSI
u No, do; non ci-eJerei. Gli luuiiio fallo fuoco addosso nel primo
inoinenlo; niu ora credo che non ci sia piti altro die la semplice Ibr-
iiialilà. "
<> Essendo cosi , lu cosa sarà facilo ; e iu prendo ^olenlieri sopra
di me. n
u E poi non vorrà che si dica clitt è un grand' uomo. Lo dico , e
lo, voglio dire; a suo dispetto, lo voglio dire. E anctie se io sles»
zitto, già non servirebbe a nulla, peicbè |>arlan lutti; e vox popttli,
rnr Pei. n
Ti'uvuroiio appuiilo te tre donile e Kenzo. Come (|uesli rimaues-
fiero, lo lascio considerare a voi : io credo die anche quelle nude e
ruvide pareti, e l'impannate, e i patichelti, e le stovi);IÌe si niaravi*
gliassero di ricever tra loro una visita cosi straordinaria. A\^viò lui la
coaversaiione , parlando del cardinale e dell' altre cose , con aperla
cordialità, e insieme con delicati riguardi. Passò poi a far la propo-
sta per cui era venuto. Don Abbondio, pregato da lui di fissare il
prezzo, si fece avanli; e, dopo un po' di cerimonie e di scuse, e die
non era sua farina, e che non potrebbe altro die andare a (astoni ,
e die parlava per ubbidienza , e die si rimetteva , proferì , a parw
suo, uno sproposito. II compratore disse che, per la parte sua, era
contentissimo,?, come se avesse franteso, ripetè il doppio; non volle
sentir relttricazìoni , e troncò e conduse ogni discorso iiivilando la
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CAPITOLO XXWIII. T»fl
cenipagiiia a desinare |>er il giorno dopo le nozze , al suo palazzo ,
dove si fureblic l' islnimenlo in regola.
— Ali! — diceva |>oi tra sé don Abbondio, lornalo a casa: — se
la peste facesse sempre e per lutlo le cose in questa maniera , sa-
rebbe proprio peccato il dirne male: quasi quasi ce ne vorrebbe una.
ogni generazione; e si potrebbe slare a palli d'averla; ma guarire
ve'. —
Venne la dispensa, lenne l' assolutoria, ^'enne quel bcncdcllo giorno
i due promessi andarono , con sicurezza trionfale , proprio a quella
chiesa, dove, proprio per bocca di don Abbondio, furono sposi.
Un atìro Irionfo , e Licii più singolare, fu l'andare a quel palaz-
zolloievi lascio iKUsareche cose dovessero fassar loro per la menle,
in far quella salila, all'entrare in quella porla; e ebe discorsi doves-
sero fare, ognuno secondo ìl suo naturale. Accennerò soltanto clie,
(u mezzo all'allegria, ora l'uno, ora l'altro motivò più d'una volla,
cbe, per compir la festa, ci mancava il povero padre Cristoforo. •> Ma
per lui , n dicevan poi , « sia meglio di noi sicuramenlc. "
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I pnOMBSRI SPOill
Il marchese foce loro una gran festa, ii condussi! in mi bel lineilo,
mise a tavola gli sposi, con Agnese e con la mercantessa ; v. prima di
rilirarsi a pranzare altrove con don Abbonriio, volle star li un iweo
(
a far com]>agiiÌa agi' invitali , e aiulò anzi a servirli. A nessuno ver-
rà , spero, in lesta di dire clie sarebbe stala cosa più semplice bre
addirillura una tavola sola. \e l'ho dato per un brav'uomo, ma non
per an originale, come sì dircblw ora; v'ho detto ch'era umile, non
già che fosse un portento d'umiltà. N'aveva quanta ne bisognava per
mettersi al di sotlo di quella buona gente , ma non per istar loro
in pari.
Dopo i due pranzi , fu steso il contratto per mano ti' un dottore ,
il quale non fu l'Azzecca-garbugli. Questo, ^'oglìo dire la sua spoglia,
era ed e tuttavia a Canterelli. E |icr chi non è di quelle parti» capi-
sco anch' io che qui ci vuole una spiegazione.
Sopra Lecco forse un mezzo miglio , e quasi sul fianco dell' altro
[ìaese dwamato Castello, c'è un luogo detto Canterelli, dove s'incro-
cian due strade; e da una parte del crocicchio, si vede un rialto,
come un poggetto artilieiale, con una croce in cima; il quale non è
altro che un gran mucchio di morti in quel contagio. La tradizione,
|)er dir ta verità, dice seinpljccniente i morti del contagio; ma de-
v' esser quello senz' altro , elie fu 1' ultimo , e il ]tiii micidiale di cnj
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CAPITOLO XXXVin. 741
rimanga memoria. E sapete che le tradizioni, chi non le aiufa, da sé
dicon sempre troppo gwco.
Nel ritorno non ci fu altro i neon veniente , se non die Renzo era
un po' incomodalo dal peso de' quattrini che portava via. Ma l'uomo,
come sapete , a\e\a fatto ben altre \'ìte. Non prlo del lavoro della
mente, che non èra piccolo, a pensare alla miglior maniera di farli
fruttare. A vedere i progetti che passavan per quella niente , le ri-
flessioni , l' immaginazioni ; a sentire i prò e i contro , per 1' agricol-
tura e per r industria, era come se ci si fossero incontrate due ac-
cademie dui secolo passato. E per lui l' impiccio era ben più reale ;
perchè , essendo un uomo solo , non gli si pote^ a dire : cbc bisogno
c'è di scegliere? l'uno e l'altro, alla buon'ora; che ! mezzi, in so-
stanza , sono i medesimi ; e son due cose come le gambe , che due
vanno meglio d' una sola.
Non si pensò più clic a fare i fagotti, e a mettersi in viaggio: casa
Tramaglino per la nuova patria, e la vedova per Milano. Le lacrime,
i ringraziamenti , le promesse d' andarsi a trovare furoii molle. Non
meno tenera, eccettuale le lacrime, fu la separazione di Renzo e della
bmiglia dall' ospite amico : e non crediate die con don Abbondio le
cose passassero freddamente. Quelle buone creai ure avcvan sempre
coneersato un certo allaccamcnto rispettoso per il loro curalo; e
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749 I PROUESSl SPOSI
qurslD, ili fondo, aveva sempre voltilo Iwnc a. loro. Son quc' bciie-
delti affari, clic imbrogliai) gli affelli.
Chi domandasse se non ci fu anche del dolore in dislacéarsi tlal
(taesc nativo, da quelle montagne; ce ne fu «curo: cliè del dolore,
ce n'è, slo per dire, un po' i>cr tutto. Bisogna |)erò die non fosso
molto forte, giacdiè avrebbero potuto risparmiarselo, stando a casa
(oro , ora che Ì due grand' inciampi , don Rodrigo e il hando , ersn
levali. Ma, già da qualclic tempo, erano avveui luU'e tre a rìgiiarr
dar come loro il paese duvc andavano. Heiiso f aveva fatto entrare
in grazia alle donne , raccontando l'agevolezze die d trovavano gli
operai, e conio cose della bella vita che si faceva là. Dd resto, avvvan
tulli passato de' momenti ben amari in quello a eiii voltavan le spal-
le; e le niemorie triste, alla lunga giiastan sempre ndla nienlc i- luo-
ghi clie le rìcliianiano. E se que' luoghi son qudlidovc siam- iiali ,
e* è forse in tali memorie qualcosa di più as|>ro e pungente. Anche
il bambino , dice il manoscritto , riposa volentieri sul seno della balia,
cerca eon avidità e eon fiducia la poppa che l'ha dolcenienle alin^n-
tato (ino allora ; ma se la balia , per divezzarlo , la bagna d' assenzio,
il bambino ritira la bocca, poi torna a provare, ma finalmente se ne
slaeea; piangendo si, ma se ne slacca.
Cosa direte ora, sentendo che, ajtpena an'tvatì e accomodali nel
nuovo paese. Reni») eì trovò de' disgusti beli' e preparali? Miserie;
ma ci vmil cosi poco a diblurbare uno sialo felice'! Ecco, in |)oclie
[rarole , la cosa.
Il parlare che, in quel pae^e, s' era fatto di Luda, molto tempo
prima che la ci arrivasse ; il saper die Renzo aveva avuto a patir
tanto per lei , e sempre fermo , sempre fedele; forse qualche parola
di qualche amico parziale per lui e per tulle le cose sue, avevaii
fallo nascere una cerla curiosità di veder la giovine, e una cerla
aspctlaliva della sua bellezza. Ora sapete come e l'aspettativa: im-
maginosa, credula , sicura ; alla prova poi , diflieile, schizzinosa : non
trova mai tanto che le basii, perchè, in sostanza, non sapeva quello
che si volesse ; e fa scontare senza pietà il dolce che aveva dato senza
ragione. Quando comparve .questa Luda, molti j quali crcdevan lì)rsc
die dovesse avere i capelli jiroprio d'oro, e le. gole proprio di rosa,
e due ocdii 1' uno più bdlo dell' altro , e die so io f comineiaroiio a
alzar le sjialle , ad orrieeiare il naso , e a dire : » eb ! l' è questa ?
Dopo tanto lenipo, dopo lauti discorsi, s'aspettava qualcosa di ipcglioL
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CAPITOLO XXXVIII. 113
Cos' u poi? Una' coiiladtiia come (ani' (d(re. Eh ! di' quesie e delle
meglio, ce II' è per lulio. " Venendo poi a esaminarla in particolare,
nota\'an chi un difetto, chi un altro : e ci furon Un di quelli che la
Irovavoii brulla affalto.
Siccome però nessuno lo andava a dir sai viso a Renzo , queste
eose ; cosi non c'era gran male tìa lì. Chi lo fece il male, furon certi
tali clic gliele rapportarono: e Renzo, che volete? ne fu tocco sul
vivo. Cominciò a rnminarci sopra , a farne di gran lamenti , e con
clii gliene pal'la^'a , e più a lungo tra sé. — E cosa v'importa a voi
altri? E chi v'ha dettoti' aspettare? Son mai venuto io a pariarvme?
a dirvi che la fosse bella ? E quando me lo dicevate voi altri , v' ho
mai risposto altro , se non che era una buona giovine ? É una con-
tadhia! V ho detto mai che v'avrei menalo qui una principessa? Non
vi piace? Non la guartlutc. N' avete delle belle donne: guardale
qiictlc. —
E vcdL-te un poco come alle volte min corbelleria basta a decìdere
dello slato d' un uomo per tiitla la vita. Se Renzo avesse dovuto pas-
sar la sua in quel i>aese, secondo il suo primo disegno, sarebbe slata
una vita poco allegra. K forza d'esser disgustalo, era ormai diventalo
disgustoso. Era sgarbalo con tutti, perchè ognuno poteva essere uno
de' critici di Lucia. Non già che trattasse proprio contro ti galateo;
ma sapete (|nanle belle cose sì possoii fare senza offender le regole
della buona creanza : fino sbudellarsi. Aveva un non so che di sar-
donico in ogni sua parola ; in tutto t^ova^'a anche lui da ci'iticare ,
a sogno che, se faceva callivo tempo due giorni di seguito, subito
diceva : « eh già , in questo paese ! » Vi dico che noti eran pochi
quelli che 1' ave\an già preso a noia , e anche persone che prima gli
volevan bene; e col tempo, d'una cosa nell'allra, si sarebbe trovato,
per dir cosi , in guerra con quasi tutta la popolatone , senza poter
forse nò anelie lui conoscer la prima cagione d' un cosi gran male.
Kla si direbbe che la peste avesse preso l' impano di raccomodar
tutte le malefatte di costui. Ave^'a essa portato via il padrone d'un
altro filatoi», squalo quasi sulle porle di Beliamo; e l'erede, giovine
scapestrato, che in tulio queir edìRzio non trovava ulie ci fosse nulla
di divertente , era delibci-ato , anzi smanioso di vendere , anche a
mezzo prezzo; ma voleva i danari T uno sopra l'altro, per poterli
impiegar subito in consumazioni improduttive. Venuta la cosa a^i
orecchi di Bortolo, eorse a vedere; trattò: palli più grassi non si
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ut I PROMESSI SPOSI
sard)l)ero poluli sperare; ma quella condizione de* pronti conlanli
guastava tutto , perchè quelli che aveva mesiii da parte , a poco a
poco, a forza di risparmi, erano ancor lontani da arrivare alla aom-
ma. Tenne 1' amico in mezsa parola , tornò indietro in fretta , contu*
nicò l'atTare al cugino, e gli propose di farlo a mezzo. Una cosi bdla
pro))osta troncò i dubbi economia di Renzo, clic si risolvette siUnto
per r industria , e disse dì si. Andarono insieme , e si strinse il cmi-
tratto. Quando poi i nuovi padroni vennero a stare sul loro , Luda,
che li non era iispcltala per nulla, non solo non andò soggetta a cri-
licite , ma si può dire che non dispiacque ; e Renzo venne a risapere
ulte s' era detto da più d' uno : " avete veduto quella bella bag^ana
che c'è venuta? n L' epiteto faceva passare il sostantivo.
E anche del dispiacLTe che aveva provato nell'altro paese,.glj restò
un utile ainmaesli-umento, Prima d' allora era stalo un po' lesto nel
sentenziare, e si lasciava andar volentieri a criticar la donna d'altri,
e i^ni cosa. Allora s'accorse che le parole fanno un efliello in bocca,
e un altro negli orecchi; u prese un po' più d'abitudine d'ascoltar di
denti'O le sue, prima di proferirle.
Non crediate però che no;t ci fosse qualche faslidiuccio anelie li.
L* uomo (dice il nostro anoiiitno : e già sapete per prova che aveva
un gusto un po' strano in fatto di similitudini ; ma passategli anche
questa, che avrebbe a esser l'ultima), l'uomo, (in che sta in qnesto
inondo, è un infermo che si trova sur un letto scomodo più o meno ,
e vede intorno a se altri Ietti, ben rifalli al di fuori, piani, a livello:
e si tìgura che ci si deve star benone. Ma se gli riesce di camlHare,
appena s'è accomodato nel nuovo, comincia, pigiando, a sentire,
qui una lisca che lo punge, li un bernocculo die lo preme: siamo in
somma, a un tli prc-ssu, alla storia di prima, E per questo, soggiunge
l'anonimo, si dovrebbe pensare più a far bene, die a star bene: e cosi
si finirebbe anche a star meglio. È tirata un po' con gli argani , e
proprio da secentista; ma in fondo ha ragione. Per altro, prosegue,
dolori e imbrogli della qualità e della Corza di qudli che abbiam rac-
contati, non ce ne furon più per la nostra buona gente: fu, da qud
punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più fdid, ddle più
invidiabili ; di maniera die, se ve l'avessi a raeconlare, vi secdie*
rebbe a morie.
Gli alTari andavan d' incanto: sul principio ci fu un i>u' d'incaglio
per la scarsezza de' lavoranti e per lo sviamento e le prolensioni de
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CAPITOLO XXXVIII. ut
pochi eh' eran rimasli. Puron pubblicati editti che limitavano le paglie
degli operai ; malgrado qiiest' aiuto, le (»se si rineamininarono, perché
alla fine bisogna àie si rincamminino. Arrivò da Venezia un altro editto,
un po' più ragionevole: esenzione, per dieci anni, da ogni carico reale
e personale ai forestieri che venissero a abitare in quello stato. Per i
nostri fu una nuova cuccagna.
Prima che finisse l'anno del matrimonio, venne alla luce una beila
creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità A
Renzo d^adempire quella sua magnanima premessa, fu una bambina;
e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col
tempo non ao quant' altri, dell'uno e dell' altn» sesso: e Agnese affac-
cendala a portarli in qua e in là , 1' uno dopo 1' altro , chiamandoli
caltivaccì , e stampando loro in viso de' bacioni, die ci lasciavano il
bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volle
die imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo die, giacché la
c'era questa birberia, dovevano almeno projìtiariie anche loro.
Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre
col dire le gran cose che ci aveva imparale , per governarsi meglio
in avvenire. « Ho imparato, n diceva, « a non mellermi ne' tumulti:
Ito imparato a non predicare in piazza : ho imparato a non alzar
troppo il gomito: ho imparalo a non tenere in mano il martello delle
porte, quando c'è li d'intorno gente che ha la testa calda : ho impa-
rato a non allaccarmi un campanello al piede, prima d'aver pensalo
quel che ne possa nascere. » E cent' altre cose.
Lucia però, non elie trovasse la dottrina falsa in sé, ma non n'era
soddisfalla; le pareva, così in confuso', che ci mancasse qualcosa. A
forza di sentir ripetere la slessa canzone, e di pensard sopra (^ni
volta, « e io , " disse un giorno al suo moralista , » cosa volete che
abbia imparalo ? Io non sono andata a cercare i guai : son loro che
sono \'enuti a cercar me. Quando non voleste dire, » aggiunse, soa-
vemente sorridendo, u che il mio spropo»lo sia stalo quello di vo-
lervi bene, e di promettermi a voi. »
Renzo, alla prima, rimase impiccialo. Dopo un lungo dibattere e
cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché
d si è dato cagione ; ma che la condotta più cauta e più innocente
non basta a tenerli lontani ; e che quando ^'engoao , o per colpa o
senza colpa , la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una
vita migliore. Questa coticlusiDue, benché trovala «la povera genie,
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T4« I PltOÌIESSI SPOSI
o'è parsa cosi giusta, che al:d>iaia pensato di melleria qui, coinè il
sugo di tutta la storia.
La quale , se non v' è dispiaciuta aflatto, vogliatene bene a chi l' lia
scritta, e anche un pochino a chi l'ha raccomodala. Ma se in vece
fossimo riusciti ad annoiarvi , credete elie non s' è latto ^posla.
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INTRODUZIONK.
i giudici che, in Milano, n«l 4630, con-
dannarono a supplizi-atrocissimi alcuni
accusati d' aver propagata la peste eoo
certi ritrovati sciocchi non men che or-
ribili, parve d'aver Tatto una cosa tal-
mente degna di memoria, che, nella sen-
tenza medesima, dopo aver decretala, in
aggiunta de' supplizi, la demolizion della
casa d'uno di quegli sventurati, decreta-
ron di più, che in quello spazio s' innaU
zasse una colonna, la quale dovesse chiamarsi infame, con un' iscri-
zione che tramandasse ai posteri la notizia dell'attentato e della pena.
E in ciò non s' ingannarono : quel giudizio fu veramente memorabile.
In una parte dello scrìtto antecedente, l'autore aveva manifestata
r intenzione di pubblicarne la storia ; ed è questa che presenta al
pubblico , non senza vergogna , sapendo che da altri è stata sup-
posta opera di vasta materia, se non altro, e di mole corrispon-
dente. Ma se il ridicolo del disinganno deve cadere addosso a lui,
DÌ!ì"itiz(=riiiyG00gle
THO INTRODITZIONE.
gli sia permesso almeno di protestare che nell' errore non Ita colpa,
e che, se viene alla luce un topo , lui non aveva detto che dovessero
partorire i menti. Aveva detto soltanto che, come episodio, una tale
storia sarebbe riuscita troppo lunga , e che , (juantuoque il soggetto
fosse già stato trattato da uno scrittore giustamente celebre ( Oi-
»ervaiioni tuUa tortura, di Pietro Verri )j gli pareva che potesse
esser trattato di nuovo, con diverso intento. E basterà un breve
cenno su questa diversità, per far conoscere la ragione del nuovo la-
voro. Cosi si potesse anche dire l'utilità; ma questa, pur troppo,
dipende molto ptiì dall'esecuzione che dall' intento.
Pietro Verri si propose, come indica il titolo medesimo del suo
opuscolo, di ricavar da quel fatto un argomento contro la tortura ,
facendo vedere come questa aveva potuto estorcere la confessione
d' un delitto , fisicamente e moralmente impossibile. E l' ai^omento
era stringente, come nobile e umano 1' assunto.
Ma dalla storia, per quanto possa esser succinti, d'un avvenimento
complicato, d'un gran mate fatto senza ragione da uomini a uomini,
devono necessariamente -potersi ricavare osservazioni più generali,
e d'un' utilità, se non così immediata^ non meno reale. Anzi, a con-
tentarsi di quelle sole che potevan principalmente servire a quell'in-
tento speciale, c'è pericolo di formarsi una nozione del fatto, non
solo dimezzata, ma falsa, prendendo per cagioni di esso l' ignoranza
de' tempi e la barbarle della giurisprudenza, e riguardandolo quasi
come un avvenimento fatale e necessario ; che sarebbe cavare un
errore dannoso da dove si può avere un utile insegnamento. L' igno-
ranza in fisica può produn-e. degl' inconvenienti , ma non delle ini-
quità; e uua cattiva istituzione non s'applica da sé. Certo, non era
nn effetto necessario del credere all' efficacia dell' unzioni pestifere,
il credere che Guglielmo Piazza e tìiangiacomo Mora le avessero
messe in opera; come dell' esser la tortura in vigore non era effetto
necessario che fosse fatta soffrire a tutti gli accusali, né che tutti
<|uelli 'a cui si faceva soffrire, fossero sentenziati colpevoli. Verità
ehe può parere seiocca per troppa evidenza -, ma non di rado le ve-
rità troppo evidenti, e che dovrebbero esser sottintese, sono in
vece dimenticate; e dal non dimenticar questa dipende il giadicar
rettamente quell'atroce giudizio. Noi abbiam cercato di metterla in
luce, di far vedere ehe que' giudici condannaron degl' innocenti, che
essi, con la più' ferma persuasione dell'efficacia dell' unzioni, e con
una legislazione che ammetteva la tortura, potevano riconoscere
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INTRODUZIONK. THl
ÌDOOceatì; e che «nzi, per trovarli colpevoli, per respingere il vero
che ricomparivft ogni momeoto, in mille forme, e da mille parti,
con earaUeri chiari allora com' ora , come sempre , dovettero fare
coDtìDui sforzi d'iogcgno, e ricorrere a espedienti, de' quali non
potevano ignorar l'iagiastizia. Non vogliamo certamente (e-sarebbc
un tristo assunto) togliere all' ignoranza e alla tortura la parte loro
io <'|iieir orribile fotto : ne furono, la prima un' occasion deplorabile,
l'altra un mezzo crudele e attivo, quantunque non l'unico certa-
. mente , né il principale. Uà crediamo che importi il distìnguerne
le vere ed efficienti cagioni j che furono atti iniqui, prodotti da
che, se non da passieai perverse?
Dìo solo ha potuto distìnguere qual più , qnal meno tra queste
abbia dominato nel cuor di que' giudici , e Sf^giogate k loro vo-
lontà: se la rabbia contro perìcoli t^cari, cbc, impaziente dì tro-
vare un oggetto, alTerrava quello che le veniva messo davanti; che
aveva ricevuto una notizia desiderata, e non voleva trovarla falsa;
aveva detto. fintUnunte/ e non voleva dire: tiam da eafio; la raUlìa
resa spietata da una lunga paura , e diventata odio e puntiglio
contro gli sventurati che ccrcavan di sfuggirle di mano; o il timor di
mancare a. un' aspettativa generale, altrettanto sicura quanto awen->
tata, di parer meno abili se scoprivano dcgV ionocenti, dì voltar contro
dì sé le grida della moltitudine , col non ascoltarle ; il timore fora' ao-
cbe dì gravi pubblici mali ehe ne potessero avvenire: timore di meu
tui'pe apparenza, ma ugualmente perverso, e noa meo miserabile,
quando sottentra al timore, veramente nobile e veramente sapieule,
di comiuctter l' ingiustizia. Dio solo ha potuto vedere se que' ma-
gistrati, trovando ì colpevoli d' un delitto che non e' era, ma che si
voleva *, furon più complici o ministri d' una moltitudine che, acce-
cata, non dall'ignoranza, ma dalla maligniti e dal furore, violava
con quelle grida i precetti più positivi della legge divina , dì cui
si vantava seguace. Ha la menzogna , 1' abuso del potere , la vìor-
lazion delle K'^ì e delle regote più note e ricevute, l'adoprar doppi»
peso e doppia misura , son cose cbc si possoo riconoscere anche
diagli uomini negli atti umani; e riconosciute, nou si posson rife-
rire ad altro che a passioni pervertitrici della volontà; né, per ispiegar
gli atti ni;itcmlmente iniqui di quel giudizio, se ne potrebbe trovar
di più naturali e di meo trute, che quella rabbia e quel timore.
Ora, tali cagioni non furoo pur troppo particoinri a un'epoca;
* Ul mot vulgo, qinimvi* fultit, ittiiit 4i<lnlcic. 1'ucil. Aiki. I, sa.
„GoogIe
VHt INTttODUZIONE.
De fu soltanto per occasioDe d'errori in fisica, e col. mezzo delta
tortura, che quelle passioni, come tutte l'altre, abbian fatto com-
mettere ad uomini eh' eran tutt' altro che scellerati di professione,
azioni malvage, sia in rumorosi avvenimenti pubblici, sia nelle più
oscure relazioni private. > Se una sola tortura di meno , > scrive
r autor sullodato, > si darà in grazia dell' orrore che pongo sotto
gli occhi, sarà ben impiegato il doloroso sentimento che provo, e
la speranza di ottenerlo mi ricompensa *. * Noi, proponendo a let-
tori pazienti di fissar di nuovo lo sguardo sopra orrori già cono-
sciuti, crediamo che non sarà senza un nuovo e non ignobile fratto,
se lo sdegno e il ribrezzo che non si può non provarne ogni volta,
si rivolgeranno anche, e principalmente, contro passioni che non
si possoD bandire, come falsi sistemi, né abolire, come cattive isti-
tuzioni, ma render meno potenti e meno funeste, col riconoscerle
ne' loro eff'etti , e detestarle.
E non temiamo d' aggiungere che potrà anche esser cosa, in
mezzo ai più dolorosi sentimenti, consolante. Se , io un complesso
di fatti atroci dell'uomo contro l'uomo, crediam di vedere un eF>
fetto de' tempi e delle circostanze , proviamo , insieme con l' orrore
e con la compassion medesima, uno scoraggìmento , una specie di
disperazione. Ci par di vedere la natura umana spinta invincìbilmente
al male da cagioni indipendenti dal suo arbitrio , e come legata in
un sogno perverso e affannoso, da cui non ha mezzo di riscotersi,
di cui non può nemmeno accoi-gcrsi. Ci pare irragionevole l' inde-
gnazione che nasce in noi spontanea conb'o gli autori di (]ue' fatti,
e che pur nello stesso tempo ci par nobile e santa.- rimane 1' orrore,
e scompare la colpa; e, cercando un colpevole contro cui sdegnarsi
a ragione , il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare
tra due bestemmie, che son due deliri : negar la Frowideoza, o ac-
cusarla. Ma quando , nel guardar più attentamente a que' fatti, ci si
scopre un' ingiustìzia che poteva esser veduta da quelli stessi che
la commettevano, uu trasgredir le regole ammesse anche da loro,
dell' azioni opposte ai lumi che non solo e' erano al loro tempo, mn
che essi medesimi, in circostanze simili, uiostraron d'avere, è u»
sollievo il pensare che, se non seppero quello che facevano, fu per
non volerlo sapere, fu per queir ignoranza che l'uomo assume e
perde a auo piacere, e non è una scusa, ma una colpa; e che di
tali (atti si può bensì esser forzatamente vittime, ma non autori.
* Verri, OsservKÌoni *ulla tortura, $ VI.
,y Google I
1^TR0DI;ZI(WE. TB3
Non ho però voluto dire che, tra gli orrori di r|uel giudizio, t' illu-
stre scrittore suddetto non veda mni, in ncssuo caso, l' ingiustizia
personale e volontaria de' giudici. Ho vointo dir soltanto che non s' era
proposto d'osservar quale e quanta parte c'ebbe, e molto meno dì
dimostrare che ne fu la principale, anzi , a parlar prccìsamenle, la
sola cagione. E aggiungo ora, che non 1' avrebbe potuto fare senza
nocere al suo particolare intento. 1 partigiani della tortura (che l' isti-
tuzioni più assurde ne hanno finché non son morie del tutto , e
spesso anche dopo, per la ragione stessa che son potute vìvere) ci
avrebbero trovata una giustificazione di quella. — Vedete? — avreb-
bero detto , — la colpa è dell' abuso , e non della cosa. — Veramente
sarebbe una singoiar giustificazione d'una cosa, il fur vedere che,
oltre all' essere assurda in ogni caso, ha potuto in qualche caso
speciale servir di strumento alle passioni, per commettere fatti as-
surdissimi e atrocissimi. Ma l' opinioni fisse l' ìotendon cosi. E dal-
l'altra parie, quelli che, come il Verri, volevano l'abolizion della
tortura, sarebbero stati malcontenti che s' imbrogliasse la causa
con distinzioni, e che, con dar la colpa ad altro, si diminuisse 1' or-
rore per quella. Cosi almeno avvien d' ordinario: che chi vuol met-
tere in luce una verità contrastala , trovi ne' fautori , come negli
avversari, un ostacolo a esporla nella sua forma sincera. È vero che
gli resta quella gran massa d'uomini senza partito, senza preoccu-
pazione , senza passione , ebo non hanno voglia di conoscerla in
nessuna forma.
In quanto ai materiali di cui ci slam serviti per compilar questa
breve storia, dobbiam dire prima di tutto, che le ricerche fatte da
noi per iscoprire il processo originale, benché agevolate, anzi aiu-
tate dalla più gentile e attiva compiacenza , non han giovato che a
persuaderei sempre più che sìa assolutamente perduto. D'una buona
parte però è rimasta la copia; ed ecco come. Tra que' miseri accusati
sì trovò, e pur troppo per colpa d' alcun di loro, una persona d' im-
portanza, don Giovanni Gaetano de Padilla, figlio del comandante del
castello dì Milano , cavalìer di sani' lago , e capitano di cavalleria; il
quale potè fare stampare te sue difese, e corredarle d'un estratto
dd processo, che, come a reo costituito, gli fu comunicato. E certo,
qne' giudici non s' accorsero allora , che lasciavan fare da uno stam-
patore un monumento più autorevole e più durevole di quello che
avevan commesso a un architetto.
Di quesl' estratto, c'è dì più un' altra copia manoscritta/ ìu alcuni
,y Google
IBI INTRODUZIONE.
luoghi più scarsa, ìd altri pivi abbondante, la quale appjirtenne al
conte l'ietro Verri, e fu dal degnissimo suo figlio, il signor conte
Gabriele, con liberale e paziente cortesia, messa e lasciala a nostra
disposizione. E quellu che servi all' ilbistre scrittore per lavorar l' o-
puscoln citato, ed è sparsa di postille, che sono riflessioni rapide,
o sfuglii repentini dì coinpassion dolorosa, e d' indegnazione santa.
Porla per lilolo: Sumfnarìum offentivi cantra Don Jokannem Caje-
iaiivm (fé Padilfaj ci si trovan per esteso molte cose delle quali
nell'estratto stampato non c'è che un sunto; ci son notati in margme
i numeri delle pagine del processo originale, dalle quali son levati ì
diversi brani; ed è pure sparsa di brevissime annotazioni latine, latte
però del carattere stesso del testo: Detentio Mora; Detcriptio Do-
mini Johannitj Àdvertatur Commìttarioj JnverUhmlej SubgettiOj
e simili, che sono evidentemente appunti presi dall' avvocato del
Fadilla, per le difese. Da tutto ciò pare evidente che sia una copia
lettei'alc dell' estratto autentico che fu comunicato al difensore ; e
che questo, nel farlo stampare, abbia omesse varie cose, come meno
iniporlanlì, e altre si sia contentato d'accennarle. Ma come mai se
ne trovano nello stampato alcune che mancano nel manoscritto ?
Probabilmente il difensore potè spogliar di nuovo il processa ori-
ginate, e farci una seconda scella di ciò che gli paresse utile alla
eausa del suo cliente.
Da questi due estratti abbiamo naturalmente ricavato il più ; ed
essendo il primo, altre volte rarissimo, stato ristampato da poco
tempo, il lettore potrà, se gli piace, riconoscere, coi confronto di
quello, i luoghi che abbiam presi dalla copia manoscritta.
Anche le difese suddette ci hanno somministrato diversi fatti,
0 materia di qualche osservazione. E siccome non fnrou mai ristam-
pate, e gli esemplari ne sono scarsissimi, non mancherem di citarle,
ogni volta che avremo occasion di servircene.
Qualche piccola cosa finalmente abbiam potuto pescare do qual-
chedimo de' pochi e scompagnati documenti autentici che son rima-
sti di quell'epoca di confusione e di dbperdimento, e che si conser-
vano nell'archivio citato più d'una volta nello scritto autecedàite.
Dopo la breve storia del processo abbiam poi creduto che n(Hi
sarebbe fuor di luogo una più breve storia dell'opinione che regnò
inlnino ad esso, fino ») Verri, cioè per un secolo e mezzo circa.
Uico l'opinione espressa ne' libri, che è, per lo più, e in gran
parte, la soia che i posteri possan conoscere; e ha in ogni caso
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INTRODUZIONE. Jse
una sua importanza speciale. Nel iioslro, e' è parso che potesse essere
una cosa curiosa it vedere un seguito di scrittori andar l'uno dietro
all'altro come le pecorelle di Dante, senza pensare a iufonnarsi
d'un fallo del '|ualc credevano dì dover parlare. Mon dico: cosa
divertente ; cliè , dopo aver visto quel crudele combattimento , e
queir orrenda vittoria dell' errore contro la verità, e del fuiore po-
tente contro r innocenza disarmata, non posson far altro che dispia-
cere, dicevo quasi rabbia, di chiunque siano^ quelle parole in con-
Ternia e in esaltazion dell'errore, queir affennar così sicuro, sul
fondamento d'un credere cosi spensierato, (juellc maledizioni alle
vittime, queir Ìndegna?.ioDe alla rovescia. Ma un tal dispiacere porla
con se it suo vantaggio, accrescendo l'avversione e la dirfidenxa per
quell'usanza antica, e non mai abbastanza screditata, di ripetere
senza esaminare, e, se ci si lascia passar (guest* espressione, dì me-
scere al pubblico il-suo vino medesimo, e alle volte quello che gli
ha già dato alla testa.
A questo line, avevam pensato alla prima di presentare al lettore
la raccolta di tutti i giudizi su quel fatto, che c'era riuscito di tro-
vare in qualunque libro. Ma temendo poi di metter troppo a ci-
mento la sua pazienza, ci siam ristretti a pochi scrittori, nessuno
affatto oscuro , la più parte rinomati: cioè quelli, de' quali son più
istruttivi anche gli errori, quando non posson pili esser contagiosi.
,y Google
„GoogIe
>»».
.^ matliiia del fil di giugno i630, verso le
!' ,' ([uallro e mezzo, una donnicciola chiamala
Calei'ina Rosa, Irovandosi, per disgrazia,
1 a una llnestra d' un cavalcavia che allora
e' era sul principio dì via della Vetra
de' Cilladini, dalla parie che mette al corso
di porla Ticinese (quasi dirimpetto alle
^ colonne di san Lorenzo), vide venire un
„ uomo con una cappa nera , e il cappello
sugli occhi , e una carta in mano , «opra
la qnaie , dice costei nella sga deposizione, melteua tu le manij
che fiareua che scrivesse. Le diede nell' occliio che , entrando nella
strada, li fece appresso alla vmraglia delle cote , che è nibUo.dopo
voltalo il cantone j e che a luogo a luogo tiraua con le mani die-
tro al muro. j4ll' hora, soggiunge, mi viene in penderò se a caso
fosse un poco uno de quelli che, a' giorni pastatij andammo ongendo
le muraglie. Presa da un lai sospetto, passò in un' altra stanza, che
Digitizf^riiiyGoOgle
guardava lungo la strada, per tener d' occhio lo sconosciuto, die a' a-
vanzava in quella: et viddij dice, che leneua toccato la detta mura-
fflia con le mani.
C'era alla finestra d' una casa della strada medesima un' altra spetta-
trice, chiamata Ottavia Bono; la quale, non sì saprebbe dire se con-
cepisse lo stesso pazzo sospetto alla prima e da sé, o solamente quando
l'altra ebbe messo il campo a rumore. Interrogala anch'essa, depone
d' averfo veduto fìn dal momento eh' entrò nella strada; ma non fa
menzione di muri toccati nel camminare. Fiddi, dice , che ti fermò
(fui 111 (ine delta muraglia del giardino della casa delli Crivelli ....
et viddi che costui kaueua una carta in tnano , sopra la quale miise
la taano dritta ^ che mi pareua che volesse scriuere : et poi viddt
che , Iellata la mano dalla carta , la fregò sopra la muraglia del
detto giardino , doue era uri poco di bianco. Fu probabilmente per
pulirsi le dita macchiate d'inchiostro, giacché pare che scrivesse dav-
vero. Infatti , neir esame che gli fu fatto il giorno dopo , interrogalo ,
se f anioni che fece quella mattina^ ricercorno scrittura, rbponde:
signor il E in quaolo all' andar rasente al muro , se a una cosa si-
mile ci fosse bisogno d' un perchè, era perchè pioveva, come accennò
,yG cotale
DELLA COLONNA IKFAUi:. TU»
quella Caterina medesima , ma per cavarne una iiiduiione di questa
sorle: è ben una gran cosa: hieri, mentre costui faceua questi atti dì
ongere, pioueua, et bisogna mo che hauesse pigliato quel tempo pio-
uoiOj perchè piti persone potessero imbrattarsi li panni neW andar in
volta j per andar al coperto.
Dopo quella fermata, costui tornò indietro, rifece la medesima strada,
arrivò alla cantonata, ed era per isparìre; quando, per un'altra dis-
grazia, fu rintoppato da uno eli' enlra^'a nella slrada, e die lo salutò.
Quella Caterina, che, iter tener dietro all' untore, fìn che poteva, era
tomaia alla finestra dì prima , domandò all' altro chi fosse quello che
kaueua salutato. L'altro, clie, come depose poi, lo conosceva di vista, e
non ne sape>'a il nome , disse quel che sapeva , cti' era un commis-
sario della Sanità. Et io dissi a questo tale, segue a deporre la Cateri-
na, è che ho visto colui a fare certi attij che non mi piaccino niente.
Subito puoi si diuuigò questo negùtiù, cioè fu essa, almeno principal-
mente, che lo divolgò; el uscirne dalle porte j et si vidde imbrattate
le muraglie d' un certo ontume che pare grasso et che lira al giallo j
et in particolare quelli del Tradate dissero che haucuano (roualo tutto
imbrattato li muri dell'andito della loro porla. L'altra donna depone
il medesimo. Interrogata, se sa a che effetto questo tale fregasse di
quella mano sopra il muro^ risponde: dopo fu trouato onte le mura-
glie, particolarmente nella porta del Tradate.
E, cose che in un romanzo sarebbero tacciate d'inverisimili, ma die
pur troppo r accecamento della passione basta a spiegare, non venne
in mente né all' una né all' altra, che, descrivendo passo per passo,
spedalmente la prima, il giro che questo tale aveva fotte nella strada,
non avevan però potuto dire che fosse entrato in quell' andito : non
parve loro una gran cosa davvero, die costui, giacché, per fare un
lavoro simile, aveva voluto aspettare che fosse levalo il sole, non ci
andasse almeno guardingo , non desse almeno un' oecliiata alle flne-
stre;né die tornasse tranquillamente indietro per la medesima strada,
come se fosse usanza de' malfattori di trattenersi più del bisogno nel
luogo del delitto ; né che maneggiasse impunemente una materia die
doveva uccider quelli che se ne imbrattassero i ptintii ,- né troppe
altre ugualmente strane inverisimiglianze. Ma il più strano e il pili
atroce si è die non paressero tali neppure all' interrogante, e che non
ne diiedesse spiegazione nessuna. O se ne chiese, sarebbe peggio an-
cora il non averne fatto menzione nel processa
,y Google
1 vicini, a cui lo spavento fece scoprire chi sa quante sudicerie che
avevan probabilmente davanti agli occhi, chi sa da quanto tempo,
senza badarci , si misero in fretta e in furia a abbruciacchiarle con
della paglia accesa. A Giangiacomo Mora , barbiere , che slava sulla
cantonata, parve, come agli altri, che fossero stali unti i muri della
. sua casa. E non sapeva, l'infelice, qual altro pericolo gli sovraslavu,
e da quel commissario medesimo , ben infelice anclie lui.
Il racconto delle donne fu subilo arricchito di nuove circostanze ;
o fors' anche quello che fecero subito ai vicini non fu in tutto uguale
a quello che fecero poi al capitano di giustizia. Il figlio di quel po-
vero Mora, essendo interrogalo più tardi se »a o ha inteso dire in che
modo il detto commissario ongesse le dette muraglie et case^ risponde :
tentei che una donna di quelle che stanno sopra il portico che Ira-
uerta la detta F^edra, quale non so come habbi nomci disse che detto
comitàssario ongeua con una penna, hauendo un vasetto in mano. Po-
trebb'esser benissimo che quella Caterina avesse parlato d'iuta penna
da lei vista davvero in mano dello sconosciuto ; e ognuno indovina
troppo facilmente qual altra cosa potè esser da lei battezzala per va-
setto; che, in una mente la qual non vedeva che unzioni, una penna
doveva avere una relazione più immediata e più stretta con un va-
setto, che con un calamaio.
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DELLA COLONIA I^FAUE. 761
Ma par troppo , in quel tumidto di diiacchiere , non andò persa
una circostanza vera, clie 1' uomo era un commissario della Sanità; e,
con quest'indizio, si trovò anche subito ch'era un Guglielmo Piazza,
genero della cornar PaolOt la quale doveva essere una levatrice molto
nota in que' contorni. La notizia si sparse via via negli altri quar-
tieri, e ci Tu anche portata da qualcheduho die s'era abbattuto a
passar di lì nel momento del sottosopra. Uno di questi discorsi fu
rìrerilo al senato, che ordinò al capitano di giustizia, d'andar subilo
a prendere informazioni, e di procedere secondo il caso.
£ stato Mgiiifkato al Senato che Meri mattina fumo onte con on-
tWAi mortifere le mura et porte delle case della Fedra de' Cittadini,
disse il editano di giustizia al notaio criminale die prese con sé in
quella spedizione. G con queste parole , già piene d' una deplorabile
certezza, e passate senza correzione dalla bocca del popolo in quella
de' magistrati, s'apre il processo.
I ■ I
Ai veder questa ferma persuasione , questa pazza i>aura d' un at-
tentato chimerico, non si può far a meno di non rammentarsi ciò che
accadde di simile in varie parti d'Europa, pochi anni sono, nel tempo
del ctdera. Se non che, questa volta, le persone punto pimto istruite,
meno qualche eccezione, non parteciparono della sciagurata credenza,
anzi la più parte fecero quel die potevano per combatterla ; e non
si sarebbe trovato nessun tribunale che stendesse la mano sopra im-
putati di quella sorte, quando non fosse stato per sottrarli al furore
della moltitudine. É, certo, un gran rai^ioramento; ma se fosse anche
,y Google
più grande , se sì potesse esser certi che , in un' oceasion dello stesso
genere , non ci sarebbe pia nessuno die sognasse attentati dello
stesso genere, non si dovrebbe perciò creder cessato il pericolo d' er-
rori somiglianti nel modo, se non nell* oggetto. Pur troppo, 1' uomo
può ingannarsi, e ingannarsi terribilmente, con mirilo minore strava-
ganza. Quel sospetto e quella esasperaziwi medesima nascono ugualmetile
all' oceasion di mali che possono esser benissimo, e sono in eBetto, qual-
cbe volta, cagionati da malizia umana; e il sospetto e l'esasperazione,
qu^ido non sian frenali dalla ragione e dalla cariUi , hanno la trista
virtù di Tar prender per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi
e sulle più avventate afTermazioni. Per dtanie un esempio andi' esso
non lontano, anteriore di poco al colera; quando gì' incendi eran «fi-
venuti cosi frequenti nella Normandia, cosa ci voleva perchè un uomo
ne fosse subilo subito creduto autore da una moltitudine? ti'essere it
primo che trovavan li, o nelle vicinanze; I' essere sconosciuto, e non
dar di sé un conto soddisfacente : cosa doppiamente difficile quando
chi risponde è spaventato , e furiosi quelli che interrogano ; 1' essere
indicalo da una donna che poteva essere una Caterina Rosa, da on
ragazzo che, preso in sospetto esso medesimo per uno strumento ddla
malvagità altrui , e messo alle strette di dire chi 1' avesse mandalo a
dar fuoco, diceva un nome a caso. Felici que' giurati davanti a cui
tali imputati comparvero ( che più d' una volta la moUitudioe esegui
da sé la sua propria sentenza); felici que' giurati , se entrarono nella
loro sala ben persuasi che non sapevano ancor nulla , se non rimase
loro nella mente alcun rimbombo di quel rumore di fuori , se pen-
sarono, non che essi erano il paese, come si dice spesso con ud trav-
iato di quelli che fanno perder di vista il carattere proprio e essen-
ziale della cosa , con un traslato sinistro e crudele nei casi in cui il
paese sì sia già formalo un giudizio senza averne i mezzi; ma eh* eran
uomini esclusivamente investiti della saera, necessaria, terribile auto-
rità di decidere se altri uomini siano eolpev(rii o innocenti.
La persona eh' era stata indicala al capitano di giustizia, per averne
informazioni, non poteva dir altro ebe d'aver visto, il giorno prima,
passando per via della Vetra , aU>rucìaccbiar le muraglie , e sentilo
dire eh' erano state unte qudla mattina da un gtnen della comar
Paota.lt capitano di giustiaa e il notaio si portarono a quella strada;
e videro infatti muri affumicati , e uno , quello del barbiere Mora ,
imbiancato di fresco, E anche a loro fa detto da dipeni che ti $om
,y Google
DF.I.I,A COLONNA IKFASIE. 78S
trouali itti, che etò era stato fatto per averli veduti unti; come anco
dal detto Signor Capitatio , et da m» notaro , scrive costui , <i sono
vitti ne' luoghi abbrvgiati alcuni legni di materim antumm tirante al
giallo, spartani come con le deta. Quale rìconoscimenlo d' un «nrp*
di delitto!
Fu esaminata uoa doona di quella casa de' Tradati, la quale disae
die avevan trovali i muri dell' andito inUtrattati di una certa eo$a
gialla, et in grande guatUiti. Furono esaminate le due donne, delle
quali abbiam riferita la deposizione; qualche altra persona , die non
a^iunse nulla, per ciò che riguardava il fatlo;e,lra gji altri, l'uomo
che aveva salutato il commissario. Interrogalo di più, se pattando lui
per la F'edra de' Cittadini, vidde le muraglie imbrattate, risponde:
non li feci fantatia, perchè fin' alt liora non ti era detto cota alcuno.
Era già stato dato 1' ordine d' arrestare il Piazta , e ci volle poco.
Lo stesso giorno 9S, referitee .... fante delta compagnia del Bari-
cello di Campagna al prefato Signor Capitano, il quale ancoro era
in earrozxaj che andaua verto cata tua, lìcome pattando dalla caia
del S^nor Senatore Monti Preiidente della Sanità, ha ritrouato auanti
a qtiella porta, il luddetto Guglielmo Commissario, et hauerlo j in
esecuzione dell'ordine datogli, condotto in prigione.
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Per ispiegarc come la sicurezza dello sventarato non diminaisse
punto la {H-eoccupazione de' giudici , non basla certo l' ignoranza de'
tempi. Avevano per un indizio di reità ia fuga dell' impulalo; cbe di
li non fossero condotti a intendere che il non fuggire , e un tal non
fuggire, doveva essere indizio del contrario ! Ma sarebbe rìdicelo il
dimostrar che uomini potevano veder cose che I' uomo non può non
vedere : può benà non volerci badare.
Fu subito visitala la casa del I^uia , frugato per tatto , in omm-
6m» arcis, capii», «nni'is, cancelli» , mblectiSi per ^eder se c'eran
vasi d'unzioni, o danari, e non si trovò nulla: nihit penitus comper-
tum fuit. Né anche questo non gli giovò ponto, come pur troppo si
vede dal primo esame che gli fu fatto, il giorno medesimo, dal capi-
tano di giustizia, con l'assistenza d'im auditore, prt^ubilmeale quello
del tribunale della Sanità.
É interrogalo sulla sua professione, sulle sue operazioni diiluali,
sul giro che fece il giorno prima, sul vestito che aveva; Analmente gli
si domanda: »e»a che siano ttati trouati alcuni imbrattamenti nelle mu-
raglie delle case di questa dtlà, particolarmente in Porta Ticinese. Ri-
sponde: mi non lo sOj perchè non mi fermo niente m Porla Ticintse.
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DELLA COLONNA INFAUE. ««S
di sì replica dte questo non è perùmile; a vuoi dimostrargli cbe lo
doveva aapere. A quattro ripetute domande, risponde quattro volte il
medesimo, in altri tennioi. Si passa ad altro, ma non con altro fioe:
cbè vedrem poi per qual crudele malizia s' insistesse su questa pre-
tesa inverìsimigliania, e s'andasse a caccia di qualche altra.
Tra ì fotti della giornata antecedente, de' quali aveva parlato il
Piazza , e' era d'essersi trovato coi depalati d' una parrocdiia. (Eran
gentiluomini eletti io ciascheduna di queste dal tribunale della Sanità,
per invigilare, girando per la città, suU' esecuzion de' suoi ordini.) Gli
fa domandato chi eran quelli con cui s' era trovato ; rispose : cbe li
conosceva aolametUe di pula « non di nome, lil anche qui gli fu detto:
non i veriiùniU. Terribile parola : per intender 1' importanza della
quale , son necessarie alcune osservazioni generali , die pur troppo
non potranno esser brevisnoie , sulla pratica di qu(^ tempi , ne* gia-
dizi crimioali.
]f.
i nesla , cmne ognun sa , si regcriava principalmente ,
. qui, come a un di presso in tutta Europa, suU'auto-
? rità degli scrittori ; per la ragion sempKdssima cbe ,
/.in una gran parte de' casi, non ce n'era alb^ su cui
k* regolarsi. Erano due conseguenze naturali del non
> esserci complesa di leggi composte con un intento ge-
iKTtia , cbe gì' interpreti si facessero legislatori , e fossero a un di
presao ricevuti enne tali; giacché, quando le cose necessarie non son
bile da chi toccherebbe, o non son fotte in maniera di poter servire,
nasce ugualmente, Ìd alcuni il pensiero di farle, negli altri la di^io-
sizione ad accettarle, da chiunque sian falle. L' operar senza regole è
il pia faticoso e dtfQcite mestiere di questo mondo.
Gli statuti di IMitano, per esempio, non prescrivevano altre norme,
né condizioni alla fecoltì di mettere un uomo alla tortura (foeoltà ant-
messa implicitamente , e riguardata ormai come connaturale al (dritte
di giudicare), se non che 1' accusa («sse confermala dalla foma, e il
delitto portasse pena dt mngiH , e ci fossero indizi * ; ma senza dir
' SUtuts criminallai Rubrica generali! de forma cllallonis In cHmInalibus; De
lomienlis, seu quiesUonibn».
,y Google
quali. La legge romana, che aveva vigore ne' casi a cui ntHi provve-
(iessero gli Blatuti , non lo dice di più , benché ci adopri più parole.
« I giudici non devono cominciar da' tormenti , ma servirsi prima
d' argomenti verisimili e probabili ; e se, condotti da questi , quasi
da indizi sicari, credono di dover vcnn% ai tormenti, per iscoprir la
verità, lo focciano, quando la condizion della persona lo permette *. »
Anzi, in questa legge è espressamente istituito 1' arbitrio del giudice
sulla qualità e sul valore degl' indist; arbitrio che negli statuii di Mi-
lano fu p(M sottinteso.
Nelle cosi delle Nuove Costituiioni promulgate per ordine di Carlo V,
la tortura non è neppur nominata; e da quelle lino all' epoca del no-
stro processo, e per merito tempo dopo, si trovano beasi , e in gran
quantità, atti legislativi ne' quali è intimata come pena; nessuno, ch'io
sappia, in cai sia regolala la facoltà d'adoprarìa come mezzodì prova.
E anche di questo si vede facilmente la ragione : 1' eflietto era di-
ventato causa; il legislatore, qui come altrove, aveva trovato, [H'ìdcì-
palmente per quella parte che chiamiam procedura, un sup|riente, die
faceva , non solo sentir meno , ma quasi dimenticare la neces»là del
suo, dirò co», intervento. Gli scrittori, priacipabnenle dal tempo Ìd
cui cominciarono a diminuire ì semplici commentari sulle leggi ro-
mane, e a crescer l' opere composte «m un ordine più indipendente,
sia su tutta la pratica criminale, sia su questo o quel punto ^tecìale,
gli s<TÌltwi Irallavao la materia con metodi complessivi , e insieme
con un lavoro minuto delle parti; moltiplicavan le leggi con l'inter-
pretarle , stendendone, per analt^ìa, 1' applicazione ad altri casi , ca-
vando regole generali da le^^i speciali ; e, quando questo non bastava,
snpplivan del loro, con quelle regole che gli paressero più fondate
sulla ragione, sull' equità, sul diritto naturale, dove concordemente,
anzi copiandosi e citandosi gli unì con gli altri, dove con disparità di
pareri: e i giudici, dotti, e alcuni anclie autori, in quella scienza,
avevano, quasi in qualunque caso, e in qualunque circostanza d* un
caso, decisioni da seguire o da scegliere. La legge, dico, era divenuta
una scienza; anzi alla scienza, cioè al diritto romano interpretato
da essa, a quelle anliclie leggi de' diversi paesi che lo studio e l'an-
lorilà crescente del diritto romano non aveva bile dimenticare, e
eh' erano ugualmente interpretate dalla scienza , alle consuetudini
' Cod. Llb. tXi TU. XLI, De quKSllDnibu) I. 8.
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DELLA COLONNA INFAME. T<T
approvale da essa, a' suoi precelti passati in consueludiiù, era quasi
unicamente appropriato il nome di legge : gli atti dell' autorità so-
vrana, qualunque fosse, si chiamavano ordini, decreti, gride, o con
altrettali nomi ; e avevano annessa non so quale idea d' occasionale
e di temporario. Per citarne un esempio, le gride de' govemalori di
Milano , l' autorità de* quali era anclie legislativa, non valevìuio che
per quanto durava il governo de^ loro autori; e il primo atto del suc-
cessore era di conrermarìe prov visoriamente. Ogni gridario^ come Io
chiamavano, era una specie d' Editto del Pretore , composto un poco
alla volta, e in diverse occasioni ; la scienza invece , lavorando sem-
pre, e lavorando sul tutto; modillcandosi, ma insensibilmente; avendo
sempre per maestri quelli che avevan comincialo dall' esser suoi di-
scepoli, era, direi quasi, una revisione continua, e in parte una com-
pilazione continua delle Dodici Tavole , affidala o abbandonala a un
decemvirato perpetuo.
Questa così generale e cosi durevole autorità di privati sulle leggi,
fu poi, quando si vide insieme la convenienza e la possibilità d'abo-
lirla, col for nuove, e più intere, e più precìse, e pid ordinate leggi,
Tu, dico, e, se non va' inganno, è ancora riguardata come un latto
strano e come un fatto funesto all'umanità, principalmente nella parie
n-iminale , e più principalmente nel punto della procedura. Quanto
fosse naturale s* è accennato ; e del resto , non era un fatto nuovo ,
ma un'estensione, dirò cosi, straordinaria d'un fatto antichissimo, e
forse , in altre proporzioni , perenne ; giacché , per quanto le leggi
possano essere particoiarizzate, non cesseranno forse mai d'aver bi-
sogno d'interpreti, né cesserà forse mai che i giudici deferiscano,
dove più, dove meno, ai più riputati tra quelli, come ad uomini che,
di proposito, e «od un intento generate, hanno studiato la cosa prima
di loro. E non so se un più tranquillo e accurato esame non focesse
trovare che fu anche , comparativamente e relativamente , un bene ;
perché succedeva a uno stalo di cose molto peggiore.
È difficile infatti che uomini i quali considerano una generalità di
casi pos»bili , cercandone le regole nell' interprelazìon di leggi posi-
tive, o in più universali ed alti prindpi , consiglin cose, più inique,
più insensate, più violente, più capricciose di quelle che può con-
sigliar l'arbitrio, ne' casi diversi, in una pratica cosi facilmente ap-
passionala. La quantità stessa de* volumi e degli autori , la moltipli-
dtà e, dirò cosi, lo sminuzzamento progressivo delle regole da essi
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prescrìUe, sarebbero im indioo dell' iDlenuooe di restringer rarbitrio^
e di guidarlo ( per quanto era possibile) secwdo la ragiooe e va«o la
giusUzia;giacchènoncivu(d tanto per islruir gli uomini ad abusar ddla
forza, a seconda de' casi. Non si lavora a lare e a ritagUu* nnimeati
al cavallo che si vuol lasciar correre a suo capriccio ; ^i m leva la
briglia , se l' ha.
Ma cosi avviea per il solito ndl« rilomie umane che si fanno per
gradi ( parlo ddle vere e giuste riforme ; non di tutte le cose die
ne hanno {u-eso il nome): ai primi che le intraprendono, par mollo
di modificare la cosa, di correggerla in varie parti, di levare, d'ag-
giungere : quelli che veogOD dopo, e alle volte molto tempo di^, tro-
vandola , .e con ragjone , ancora cattiva , si fermano facilmente alla
cagion più proesima , maledicono cmne autori della cosa quelli di
cui porta il nome , pendiè le hanno data la forma eoo la quale con-
tinua a vivere e a dominare.
In questo errore , diremmo quasi invidiabile , quando è compagno
di grandi e benefidie imprese, ci par che sia caduto, con altri uomini
insigni dd suo tempo, l'autore dell' OMeraunmi mtta tortura. Quanto
e forte e fondalo nel dimostrar 1' assurdità, l' ingiustizia e la crudeltà
di quell' aUMHninevole pratica , altrettanto ci pare die vada , osiam
i^re, in fretla nell' attribuire all'autorità degli scrittori ciò ch'essa
aveva di più odioso. E non è certamente la dimenticanza della nostra
inferitila che ci dia il coraggio di contradir liberammle, cmne «amo
per fare , l' opinion d' un uomo cosi illustre , e sostenuta in un Ubro
cosi generoso; ma la confidenza nel vantaggio d'esser venuto d<^)0,e .
dì poter facilmente ( prendendo per punto principale ciò cbc per lui
en aflalto accessorio ) guardar con occhio più tranquillo , nd com-
plesso de' suoi effelli, e nella diffo^nza de' tempi, eome eosa morta,
e passata nella storia, un fatto ch'egli aveva a ctnobaltere, cmne an-
cor dominante, come un ostacolo attuale a nuove e desiderabilissine
riforme. E a ogni modo , qud bllo é talmente legato col suo e no-
stro argomento , dte I' uno e l' altro eravam naturalmente condotti a
dirne qualcosa in generale: il Verri perchè, didl' essere qodraulorllà
riconosciuta^ tempo dell'iniquo giudizio, induceva die ne fosse com-
[diee , e in gran parte cagione ; noi perdiè , osservando ciò eh' easa
preso-iveva o insegnava ne' vari particolari , ce ne dovrem servire
come d' un criterio , sussidiario ma importantissimo , per dimostrar
l>iù vivamente l'iniquità, dirò cosi, individu^e dd giudiùo medesimo.
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DELLA COLONNA INFAUE. T»
u È certo,'» dice l'ingegnoso ma preoccupalo scriUore, « che
nienle sia scrilto nelle leggi nostre, né sulle persone die possono
metlenu alla tortura, né sulle occasioni nelle quuli possano applicar-
vÌ8Ì, né sul modo di tormentare, se col foco o disiogamenlo e slnizio
delle membra, né sul lem|io per cui dura Io spasimo, né sul numero
delle volte da ripeterlo ; lutto queslo strasio si (a sopra gli uomini
coli' autorità del giudice, unicamente appoggialo alle dollrine dei cri-
niinafistì citati. * »
Ma in quelle leggi nostre stava scrilla la tortura ; ma in quelle d' una
gran parte d' Europa *, ma nelle romane, di' ebbero per lauto lemjxt
nome e autorità di diritto comune, stava scrilte la tortura. La que*
stione deV esser dunque, se i eriminaliijti interpreti {cosi lì cliianierc-
mo , per distinguerli da quelli ch'ebbero il inerito e la fortuna di
sbandirli per sempre ) siaii venuti a render la tortura più o meno
atroce di quel die fosse in ntano dell' arbitrio,acui la l^gel'abbando-
nava quasi affollo j e il Verri medesimo aveva, in quel libro medesimo,
addotta, o almeno accennata, la piDva più forte in loro fa\'orc. " Fari-
naccio istesso , " dice l' illustre scrittore, " parlando de' suoi tempi,
asserisce che i giudici, per. il diletto che provavano nel lomieiilaru i
rei, inventavano nuove specie di tormenti ; eecoiie le parole : Judicei
quipropter deleclationem, qamn haóenl tortiuendi reo», incemuìit ho-
vai tormeiitorum tpeciei ^. »
Ho dello: in loro favore^ perché l' intimazione ai giudici d'astenersi
dall' inventar iiuo^c maniere di tormentare, e in generale ie ripren-
sioni e ì lameiili che attestano insieme la sfrenata e inventiva crudeilà
dell'arbitrio, e i'intenzion, se non altro, di repiimerla e di svergo-
gnarla, non sono lauto del Farinacci, quanto de' crìniinaiìsti, direi qua^,
in genere. Le parole slesse trascritte qui sopra, quel dottore le prende
1 Verri, Osservi! zioiii sulla lorlura, % \lll.
1 La prallca cWuiinale dell' IngliUlerra, non cercando la prova del delltlo o del-
l'liiiiocenu ncir iiilerrogatorlo del reo, escluse indi re Ila meni e, ma necessaria meni e.
quel meizo TalUce e crudele d'ai«r la sua eonfeuione. Francesco Casoni (De (or-
■neiilis, ca|i. I, 3.) i; Anioolo Cornei (Variarum resolutionuoi, eie. loui. S, cap. 13,
de tortura reoruiii n. (.) utteslano che, almeno al loro leiiipo, la tortura non era ili
us«i nel regno d'Aragona. Giovanni Loccenio (Synopsis juris Su eco-gol li lei ), dialo
da Ulluiic Taliar (Traclat. de lorlura, et liidicits d eliclo ruai , cap. 1. is), alleala
il medesimo della Svezia ; né so se alcun altro paeae d'Europa sia «odalo immune
da quel vergognoso flagello, o se ne sia liiMralo prima dei secolo scorso.
S Verri, Om. S Vili. — Farin. Praxis el Tbeor. ctlinliwlia, QwMl. XXXViri, S«.
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da uno più antico, PraDcesco dal Bruno, il cpnle le dta come d'ano
pili antico ancOTa , Angelo d'Arezto, con altre graviefiH*ti, che cbamo
qui tradotte: "giudici, arrabbiati e perversi, che saranno da Dio ewi-
Tusi; giudici ignoranti, perchè J'uoni sapiente abborrìsoe tali cose, e
dà Torma alla scienza col lume delle virtù. < "
Prima di tutti questi, nel secolo XIII, Guido da Suzara, trallando
della tortura , e applicando a quest' argomento le parole d' uo re-
scritto di Costanzo, sulla custodia del reo, dice esser suo intento
« d' imporre qualche moderaiione ai giudici die incrudeliscono senza
misura *. »
Nel secolo seguente , Baldo applica il celebre rescritto di Costan-
tino Goatro il padrone che uccide il servo, << ai giudid che squarcian
le carni del reo, perchè confessi;» e vuole che, se questo muore ne'
tormenti , il giudice sìa decapitalo, come omicida ^.
Più lardi. Paride dal Pozzo inveisce contro que' giudici che, <• a»-
setali di sangue , anelano a scannare, non per fìne di riparazione né
d'esempio, m:i come per un Iwo vanto [propter glorìam eoruiw); e
sono per dò da riguardarsi come omicidi *. »
I Fnnc. a Bruno, Oe Indlclis et lorlura; peri, n, qirnt. il, i.
t Guid. de Sata, De lormenlls, i. — Cod. lib. IX, tit. t. De custodia n
3 Baldi, ad lib. IX Cod. lil. XIV, ne emendalione aervorumj s.
4 Par. de Fulco , De lyndicalu ; Id verbo : Cnidelllu orOcialig, ».
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DELLA COLONNA INFAME. TTI
« Badi il giudice di non adoprar tonnentì ricercati e inusilali;
percliè chi fa tali cose è degno d' esser cliiamato carnefice piuttosto
che giudice, » scrive Giulio Claro *.
« Bisogna alzar la voce (clamandum est) conlrd que' giudici severi
e crudeli che , per acquislare una gloria vana^ e per salire, con que-
sto mezzo, a più alti posti, impongono ai miseri rei nuove specie di
tonnenti, » scrive Antonio Gomez *.
Diletto e gloria! quali passioni, in-qual soggetto! Voruttà nel tor-
mentare uomini , oi^giio nel soggiogare uomini imprigionati ! Ma
almeno qadli che le svelavano , non sì può credere che intendessero
di favorirle.
A queste testimonianze (e altre simili se ne dovrà allegare or ora)
aggiungeremo qui, che, ne' libri su questa materia, die abhiam potuti
vedere , non ci è mai accaduto di trovar lamenti contro de' giudici
che adoprassero tormenti troppo le^ieri, E se, in quelli che non abbiam
visti, (-i si mostrasse una lai cosa, ci parrebbe una curiosità davvero.
Alcuni de' nomi clie abbiam eitati, e di quelli che avremo a citare,
son messi dal Verri in una lista di « serillorì , i quali se avessero
esposto le crudeli loro dottrine, e la metodica descrizione de'raflìnati
toro spasimi in lingua volgare , e con uno stile di cui la rozzezza e
la barbane non allontanasse le persone sensate e colte dall' esaminarli,
non potevano essere riguardali se non coli' occhio medesimo col quale
si rimira >l came6ce, cioè con orrore e ignominia >. » Certo, l'orrore
per quello che rivelano , non può esser troppo ; è giustissimo questo
sentimento anche per quello che ammettevano; ma se, per quello
che ci misero, o ci vollero metter del loro, l'orrore sia un giusto
sentimenlo, e l' ignominia una giusla relribuzione, il poco che abbiam
visto , deve bastare almeno a farne dubitare.
È vero che ne' loro libri, o, per dir meglio, in qualclieduno, sono,
più che nelle leggi, descritte le varie specie di tormenti; ma come
consuetudini invalse e radicate nella pratica, non come rìtrovati degli
scrittori. E Ippolito IMarsigli , scrittore e giudice del secolo decimo-
quinto , die ne fu un' atroce , strana e ributtante lista , allegando
I J. Clarl, Seatenllaruni receitlufuiM , Lib. V, $ Ou. QubsI. LKIV, s«.
1 GomcE, Variar, resol. I. s, e. is, De lorlura reonin, K.
3 oss. $ xm.
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anche la sua esperienza, eliiama però bextiali que' giudici clic ne in-
venlan dì nuovi '.
Furono quegli scrittori, è vero, che misero in campo la questione
del numero delle ^Dlte die lo spasimo potesse esser ripetuto; ma (e
a^'rcmo occasion di vederlo ) per inipor limili e condizioni all' arbi-
trio, prolìltando dell' indelerminale e ambigue indicazioni die ne soni-
ministrava il dlritlo romano.
Furon essi , è vero , che traltaron del tempo che potesse durar lo
spasimo; ma non per altro che pei- imporre, anche in questo, qualdie
misura all'instam^abilccrudelUi, che non ne aveva dalla Icf^e, «a ceri i
{giudici, non meno ignoranti die iniqui, i quali lormenlano un uoimi
per tre o quattr' ore, « dice il Farinacci * ; «a certi giudid iniquìs-
simì e scelleratissimi, levali dalla feccia, privi di scienza, di virtù, di
mgioiie, i quali, quand' hanno in loro potere un accusalo, forse a torto
(farle indebite), non gli parlano che tenendolo al tormento; e se non
confessa quel eh' essi vorrebbero, lo lascian li pendente alla fune, per
un giorno, per una notte intera, n aveva detto il tarsigli ~', circa un
j^ccolo prima
I
; !
1 llipp. do Marsiliis, ad Til. Dig. de «juiMllanibaft ; teg. In crìminibn*, i
« Pmxis eie. Uutesl. XXXVUl, «4.
3 Procllca ruiisaruoi crimCnaliuui j in verbc; Expcdita; 80.
„GoogIe
DELLA. COLONNA INFAME.
In questi piassi, e in qualche altro de* citati sopra, sì puù anche ho-
lare come alla crudeltà cerchino d' associar I* idea dell' ignoranza. E
per la ragion contraria, raccomandano, in ndme della scienza, non
meno che della cosciensa, la moderazione, la benignità, la maosùelu-
dine. Parole ehe'fanno rahhia, applicate a una tal cosa; ma che in-
sreme fanno vedere se l'intento di quegli scrittori era d'aizzare il mo-
stro , 0 d' ammansarlo,
Riguardo poi alle persone che potessero esser messe alla tortura ,
non vedo cos' importi clie niente ci fosse nelle leggi propriamente
DÒslre , quando e' era mollo , relativamente al resto di questa Insta
malma, nelle leggi romane, le quali erano in /atto leggi nostre
aneli' esse.
u Uomini, " prosegue il Verri, « ignoranti e feroci, i quali senza
esaminare donde emani il diritto di punire i delilti , qual sia il fine
per Qui si puDÌseooo , qual sia la norma onde graduare la gravezza
dei dditli, qual debba esser la proporzione tra i delilti e le pene, se
cin uomo possa mai- costringersi a rinunziare alla difesa propria, e
simili principii, dai quali intimamente conosciuti possono unicamente
dedursi le naturali conseguenze più conformi alla ragione ed al bene
ddla società ; uomini , dico , oscuri e privati , con tristissimo raffina-
menlo ridussero a sistema e gravemente pubblicarono la scienza di
tormentare altH uomini , con quella Iranquìllità medesima eolla quale
si descrive l' arte di rimediare ai muli del corpo moano : e furono
essi obbediti come legislatori , e si fece un serio e placido oggetto di
studio , e si accolsero alle librerie l^li i crudeli scrittori die inse-
gnarono a sconnettere con industrioso spasimo le membra degli
uomini vi^'i , e a raffinarlo oolla lentezza e coir aggiunta di più tor-
m«)ti, onde rendere più desiHaate e acuta l'angoscia e l'estennioio. »
Ma come mai ad uomini oscuri e ignoranti potè esser conceasa
(anta autorità? dico oscuri al loro tempo, e ignoranti riguardo ad esso;
che la questione è necessariamente rdativa;e si tratta di vedere, non
già se quegli scrittori avessero i lumi che sì posson desiderare in un
legislatore , ma se n' avessero più o meno di coloro die |KÌma applir
càvan le leggi da sé , e in gran parte se le facevan da sé. E come
mai era più feroce 1' uomo che lavorava teorie, e le discuteva dinanzi
al pubblico , ddr uomo eh' esercitava l' arlHlrio in privato , sopra chi
gli resisteva?
lo quanto poi alle questioni accennale dal Verri, guai se la soluzione
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della prima, « donde emani il diritto dì punire i delitti, » fosse ne-
cessaria per compilar oon discrezione delle leggi penali ; poiché si
potè bene , al tempo del Verri , crederìa sdolta ; ma ora (e per for-
tuna , fiacche é men male 1' agitarsi nel dubbio , clie il riposar rtti-
r errore) é più controversa che mai. E l'altre, dico in generale tutte
le questioni d' un' importanza, più immediata , e più pratica , erano
forse sciolle e sciolte a dovere , erano almeno discusse , esaminate
quando gli scrittori comparvero? VennCTO essi forse a confondere im
ordine stabilito di più giusti e umani princìpi, a baliar di posto dottrine
più sapienti, a lurìHir, dirò cosi, il possesso a una giurisprudenza più
ragionala e più ragionevole? A qnesto possiamo risponder francamente
di no, anche nm; e ciò basta all' assunto. Ma vorremmo che qualdie-
dmio di quelli die ne sanno, esaminasse se |Mntlosto non furon essi
che, costretti, appunto perché privati e non legislatori, a render ra-
gione delle loro decisioni , richiaoiaron la materia a principi gene-
rali , raccogliendo e ordinando quelli che sono sparsi nelle le;^ ro-
mane, e cercandone altri nell'idea universale del -diritto; se non funm
essi che, lavorando a oostmir, con rottami e con nuovi materiali, una
pratica criminale intera ed una, prepararono il concetto, indicarono
la possibilità , e in parie l'ordine, d' una legislazion criminale intera
ed una ; essi che , ideando una ferma generale , aprirono ad altri
scrittori , dai quali furono troppo sommariamente giudicati , la strada
a ideare una generale riforma.
In quanto Qnalmenle all'accusa, cosi generale e cosi nuda, d'aver raf-
finato i tormenti, alziamo in vece veduto che fu cosa dalla magfpor
parte di loro espressamente detestala e , per quanto slava in loro ,
prwbila. Molti de' luoghi clie abbiam riferiti possono anche servire a
lavarli in parte dalla taccia d' avente trattato con queir impassibile
tranquillità. Ci sì permetta di citarne un altro che parrebbe quasi
un' anticipala protesta. « Non posso che dar nelle furie, » scri%'e il Fa-
rinacci , u (non potsum msi vekemtnter exeandeteere ) contro quc'
giudici che tengono per lungo tempo legato il reo, prima di sottoporio
alla tortura; e con quella preparazione la reodon più crudele*. »
Da queste testimonìanEe, e da quello che sappiamo essere stata la
tortura negli ultimi suoi tempi , si può francamente -dedurre che ì
crìminalisti interpreti la lasciarono molto, ma molto, men barliàra di
*'Qum1. xxxvm, 3s.
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DELLA COLONNA INFAME. ITI
qudlo che l' avevan trovata. E cerio sarebbe assurdo l' atlribuire a
una sola causa una lai dimiiiuEÌone di male; ma, tra le molte, mi par
die sarebbe andie cosa poco ragionevole il non «intare il biasimo e le
ammonidoni ripetute e rinnovate pubUicamente, di secolo in secolo,
da quelli ai quali pure s'attribuisce un' .autorità di fatto sulla pratica
de' tribunali.
Cita poi il Veiri alcune loro proposizioni ; le quali non bastereb-
bero per fondarci sopra un generale giudizio stori*» , quand' anche
fossero tulle esatlamenle citate. Eccone, per esempio, una importan-
tissima, die non Io è : « Il Claro asserisce che basta vi siano alcuni
indizii contro un uomo, e si può metterlo alla tortura '. "
Se quel dottore avesse parlato cosi, sarebbe piuttosto una singo-
larità che un argomento ; tanto una tal dottrina è opposta a quella
d* una moltitudine d" altri dottori. Non dico di tutti , per non adér-
mar troppo più di quello che so ; benché , dicendolo , non temerci
d'affermar più di quello che è. Ma in realtà il Claro disse, anche luì, il
contrario ; e il Verri fu probabilmente indotto in errore dall' incuria
d' un tipografo, il quale stampò: Nam inffìcit adeue aliqua indkia
contro reum ad hoc ut torqueri potai '^ in vece di Non tufjìcit, come
trovo in due edizioni anteriwi'. E per accertarsi dell'errore, non è
neppnr necessario questo confranto , giacché il testo continua cosi :
« se tali indizi non sono anche Icgitlimamenle provati; » frase che
fard)be ai cozzi con I' antecedente, se questa avesse un senso affer-
mativo. E soggiunge subito: u ho detto che non basta (dixi quoque
non tuffictn) che ci siano indizi, e che siano l^itlimamenle provati,
se non sono andie sufffcienti alla torlura. Ed è una cosa die i giudid
timorati di Dio devono aver sempre davanti agli ocdii, per non soUo-
pMre ingiustamente alcuno alla tortura: cosa del resto che li sottopone
essi medesimi a un giudizio di revisione. E racconta l'AflIiKo d'aver
risposto al re Federigo, che nemmen lui, con l'autorità regia, poteva
comandare a un giudice di mettere alla tortura un uomo , contro il
quale non ci fossero indizi sufllcieiiti. »
Così il Claro ; e basterebbe questo jier esser come certi, che dovette
intender tutt' altro che di rendere assoluto l'arbìtrio con quell'altra
I Om. % VUL
■ Seni. ree. Ub. V, quKsl. LXIV, ii. Vcnct. 1640; « typ. Btralliaa, pag. mi.
3 Yen. apuli Bler. Polum, isso, r. iia. — Ibld. ftpud P. Ugi>Iliiuiii,i)»«,l. ISO.
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proposizione die il Vei'H traduce cosi: " ìa isaleria di (orlura e d'in-
dìzi, non polendosi prescrivere una nurota certa, tulio si rìmeUe ai-
i' arbitrio del giudice.' » La contradizione sarebbe troppo strana ; e lu
sarebbe di più, se è possibile, con qudlu che l'autor uicdosilno dice
altrove: " benché il giudice ^bbia l'arbitrio, deve poi'ù ilare al dtrìtiu
comune.... e badino bene gli nfiziali della giustizia, di non andar
avanti tanto allegramente {ne tiimù aniiHOie jtrocedaal), con questo
pretesi» dell' arbitrio '. •<
Cosa intese dunque, con r|uelle parole: remiUttar arbitrio judieù,
che il Verri traduce: « lutlo si rimette all'arbilj'io del ^udìoe? »
Intese .... Ma che dico? e perchè cercare in questo un' opinioit
particolare del Claro ? Quella propositionu , egli non faceva altro die
ripeterla, giacché era, per dir cosi, proverbiale tra gì' interpreti; e
già due secoli prima, Bartolo la ripeteva Miche, lui, come senteiixa
coiììoìk: Doclores coìiimuiuler dìcuiU tjuod Ìii /('yc(quiili ^iunogl'indi/i
suOìcienli alla lorluni) no» polctt daii cvrla iloctrinas wd relinquititr
i Verri , loc. eli. — dar. Ine. elt. i
s Ibid., QiuMl. xxxij ».
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DELLl COLONNA INFAHB. in
arbitrio jtidici* *. E con questo iHm iotendevan già di proporre tui
principio, di slabìlire una teoria, ma d' enunciar seoiplicenicnfe
un fotlo ; cioè che la legge , non avendo determinalo gì' indizi , gli
aveva per ciò stesso lasciati all'arbitrio del giudice. Guido da Suzara,
anteriore a Bartolo d'un secolo circa, dopo aver detto o ripctulo
anche lui, che gl'indizi son rimessi all'arbitrio del giudice, sog-
giunge : " come , in generale , tulio ciò che non è determinato dalla
legge '.«E per citarne qualeheduno de' meno antichi, Paride dal Pozzo,
ripetendo quella comune sentenza, la commenta cosi : « a ciò che non
i determinato dalla legge , né dalla consuetudine , deve supplire la
religion del giudice ; e perciò la legge sugi" indìzi mette un gran ca-
rico sulla sua coscienza ^ » E il Bossi, criaiinalisla del secolo XVI,
e senator di Milano : « Arbitrio non vuol dir altro ( in hoc eoTuiatit )
se non che il giudice non ha una regola certa dalla l^^e , la quale
dice soltanto non doversi cominciar dai tormenti , ma da argomcnli
verisimili e probabili. Tocca dunque al giudice a esaminare se un
indizio sia verisimile e probabile *, »
Gò ch'essi chiamavano arbitrio, era io somma la cosa stassa che, per
iscansar quel vocabolo equivoco e di tristo suono, fu poi chiamala
poter discrezionale: cosa pericolosa, ma inevitabile nell' applicazion delle
leggi, e buone e cattive; e che i savi legislatori cercano, non di togliere,
che sarebbe una chimera, ma di limitare ad alcune determinate e meno
essoiziali circostanze, e di restringere anclie in quelle più dte possono.
E tale, oso dire, fu anche 1' inlento primitivo, e il progressivo
lavoro degl'interpreti, segnatamente riguardo si\» tortura, sulla quale
il potere lasciato dalla ief^e al giudice era spaventosamente largo.
Già Bartolo , dqio le parole che abbiam citate sopra, soggiunge: u ma
io darò le regole che potrò. » Altri ne avevan date prima di lui; e i
suoi successori ne diedero di mano in mano mdte più, chi propo*
nendone qualdieduna del suo, chi ripetendo e approvando le pro-
poste da altri ; senza lasciar però di ripeter la formola eh' esprime^'a
il fallo della le^e, della quale non erano, alla fine, che interpreti.
I Barlol. ad nig. 1ib. XLVtlI, lit. KVIII, I. It.
s Ei feiMrailicr omiie quod non dclerminaiur a Iure, rclìoquUur arbitrio ludi-
caalls. De lonaentis, io.
3 Et Ideo iex super indidh gravai conscieollas iudicum. De Syndlcalu , in
vertM: Uandavit , is.
« iCgid. Bossll, Tractalns vanì; 111. de indieilj «ole lortaram, ss.
DioizPd.yGoOgle
[\lu con l'andar del tèmpo, e con 1' avanzar del lavoro, vollero mo-
dìlicarc anche il linguaggio; e n' abbìain 1' allcslato dal Fariiiacei,
jmslcriorc ai citali qui, anteriore però all' epoca del nostro processo ,
e allora aulorevolissimo. Dopo aver ripetuto , e coofennaLo con un
subisso d'autorità, il principio, che « l'arbitrio non si deve intenda
libero e assoluto, ma legato dal diritto e dall'equità; « dopo averne
cavate, e confermate con altre autorità, le conseguenze, che « il ^udice
deve inclinare alla parie più mite , e regolar 1' arbitrio con la dispo-
sizion generale delle leggi , . e con la dottrina de' dottori approvati, e
che non può Tormarc indizi a suo capriccio ; " dopo aver trattato, più
estesamente , credo , e più ordinatamente che nessuno avesse ancor
fatto, di tali indizi, conclude: «puoi dunque vedere che la massima
comune de' dottori, — gì' indizi alla tortura sono arbitrari al giuc^ce,
— è talmente, e anche concordemente ristrella da' dottori medesimi,
che non a torlo molti giurisperili dicono doversi anzi stabilir la regola
contraria, «oè che gl'indizi non sono arbitrari al giudice*.» E ella
questa sentenza di Francesco Casoni: « è error comune de' giudici il
credere che la tortura sia arbitraria; come se la natura avesse creati i
corpi de' rei perchè essi potessero straziarli a loro caprìccio ■. »
I Ibld. QuEst. XXXVll, I9S ad too.
3 t'rancisci Casoni Traclalus de lorncnlis ; cap. I, io.
,y Google
DELLA COLOKNA INrAUE. -Ila
Si vede qaì uo DWmento notabile della scienza, die, misurando il
suo lavoro, n'esìge il frutto; e dichiarandosi, non aperta riformutrìce
{ cbè non lo pretendeva , né le sarebbe elato ammesso ), ma elificace
ausiliaria della legge, consacrando la propria autorità con quella d'una
le^ superiore ed eterna, intima ai giudict di seguir le regole <èe
Ila trovale, per risparmiar degli strazi a chi poteva essere innocente,
e a loro delle turpi iniquità. Triste correzioni d' una cosa die , per
essenza , non poteva ricevere una buona forma ; ma tutt' allro che
argomenti atti a provar la tesi del Verri: «né gli orrori della tortura
si contengon soltanto nello spasimo che si fa patire .... ma orrori
ancora vi spargono i dottori sulle circostanze di amministrarla '. n
G si permetta in ultimo qualche osservazione sopra un altro luogo
da lui dtato; cbè l'esaminarli tutti sarebbe troppo in questo luogo, e
non abiiastanza certamente per la questione. « Basti un solo orrore
per tutti ; e questo viene riferito dal celebre Claro milanese , che è
il sommo maestro di questa pratica: — Un giudice può, avendo in
carcere una donna sospetta di delitto, farsela venire nella sua stanza
secretamenle, ivi accarezzarla, fingere di amarla, prometterle la libertà
affine d' indorU ad accusarsi del delitto, e che con un tal mezio un
certo reggente indusse una giovine ad aggravarsi d' un omicidio, e la
condusse a perdere la testa. — Acdocché non si sospetti che quest'or-
rore contro la religione, la virtù e tutti i più sacri prineipii dell'uomo
sia esagerato , ecco cosa dice il Claro : Paris dicit quod judex po-
teit, eie. ' n
Orrore davvero; ma per veder cbe importanza possa avere in una
qùeslion di questa sorte, s' osservi che, enunciando queir opinione ,
Paride dal Pozzo ^ non proponeva già un suo ritrovato; raccontava,
e pur troppo con approvazione, un fatto d' un giudice, doè uno de'
mille fatti che produeeva farbìlrio senza suggerimento di dottori; s'os-
servi che il Baiardi, il quale riferisce queU'opinione, nelle sue aggiunte
al Claro (non il Claro medesimo), lo fa per detestarla anche lui, e
per qualificare il folto di finzione diabolica * ; s' osservi che non cita
alcun altro il quale sostenesse un' opinion tale, dal tempo di Paride
1 om. S vui.
1 ibld.
S Parldis de Puleo, De sy"<l><^<*l" > '■> verbo: Et advertendum tal ; Judex debet
se SublJlis in InvesUgXiida maleacil verilate.
« Ad Uif. SenlcuL fee«pt. QuBit. L\IV, it, add, so, Bi.
,y Google
dal Pozzo ul suo, cioè per lo apazio d' un secolo. E andando avaoti ,
sai-ebbe più strano die ce ne fosse slato alcono. E quel Paride ^
Pozzo medesimo. Dio ci lìberi di «hiamarlo , col Giannone, eccet-
letite ffiurecoruulto*; ma l'altre sue parole che abbiam riferite sopra,
basterebbero a far vedere che queste brullissime non bastaoo a dare
una giusta idea nemmen delle dottrine di questo solo.
Non abbiam certamente la strana pretensione d' aver dimoalraio
die quelle degl'interpreti, prese nel loro complesso, non servirono,
uè furon rivolle a peggiorare. Questione interessantissima, giacché si
tratta di giudicar 1' elTetto e l' intento de) lavoro intellettuale di più
secoli, in una materia cosi importante , anzi cosi necessaria all' uma-
niln ; questione del nostro tempo , giacché, come abbiamo accennato,
e del resto ognun sa , il momento in cui si lavora a rovesciare un
sistema , non è il più adattalo a fame imparzialmente la storia; ma
questione da risolversi, o piuttosto storia da farsi, con altro che con
pochi e sconnessi cenni. Questi baslan però , se non m' inganno , a
dimostrar precipitala la soluzione coairaria; come erano, in «erto
modo, una preparazìon necessaria al nostro racconto. Che in esso noi
avremo spesso a rammaricarci che 1' autorità di quegli uomini non
sia slata enicace davvero ; e siam cerU che il lettore dovrà dir con
noi : fossero stali ubbiditi !
III.
enir finalmente all' applicazicme , era insegna-
» comune, e quasi universale de' dotlwi, che
a;ìa dell' accusato nel rispondere al giudice, fosse
legl' indizi legittimi, come dicevano, dia tor-
Bcco perchè l'esaminatore dell'infelice Piazza gli
e, non esser verisimile che lui non avesse sen-
tilo (tarlare di muri imbrattati in porta Ticinese , e che non sapesse
il nome de' deputati coi quali aveva avuto che fare.
Ma insegnavan forse che bastasse una bugia qualunque ?
« La bugia, per fare indizio alla tortura, deve riguardar le qualità
e le circostanze sostanziali del delitto, cioè che appartengano ad esso,
e dalle quali esso si possa inferire; altrimenti no : aliai lectts. »
* Istoria dvil«, eie., lib. la, cap. ull.
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DELIA COIONKA ITIFAIIE. T8I
« La bugia non fo indizio alia tortura, se riguarda cose che non
j^lgravereMiero 11 reo, quando le avesse confessate. »
E bastava, secondo loro, che il dello dell'accusato paresse al giu-
dice bugia , perchè questo potesse venire ai tormenti ?
n La bugìa per fare indizio alla tortura dev'esser provata condu-
dentemente, o dalla propria confession del reo, o da due testimoni . . .
essendo dottrina comune che due sian necessari a provare un indizio
remolo, quale è la bugia '. » Gito, e citerò spesso il Farinacci, come
uno de' più autorevoli allora, e come gran raccoglitore dell'opinioni
più ricevute. Alcuni però si contentavano d'un testimonio solo, purché
fosse maggiore d'ogni eccezione. Ma che la bugia dovesse risultar da
prove legali, e non da semplice congettura del giudice, era dottrina
comune e non contradetla.
Tali condizioni eran dedotte da quel canone della legge romana ,
il quale proibiva (che cose s' è ridotti a proibire, quando se ne sono
ammesse ceri' altre ! ) di cominciar dalla tortura. » E se concedes-
simo ai giudici, » dice l'autor medesimo," la facoltà di mettere alla
tortura i rei senza indizi lattimi e sufficienti, sarebbe come in lor
potere il cominciar da essa. ... E per poter chiamarsi tali, devon gì' in-
dizi esser- verisiìmili, probabili, non leggieri, né di semplice formalità,
ma gravi , urgenti , certi , chiari, anzi più chiari del sole di mezzo-
giorno , come si suol dire. ... Si traila di dare a un uomo un tor-
mento, e un tormento die può decider della sua lila ; aqiiur de Ao-
fflinù salute/ e perciò non ti maravigliare, o (pudice rigoroso, se la
scienza deh diritto e i dottori richiedono indizi cosi squisiti, e dicon
la cosa con tanta forza, e la vanno tanto ripetendo ■. »
Non diremo certamente che tutto questo sia ragionevole ; giacché
non può esserlo ciò che implica eontradiuone. Erano sforzi vanì, per
conciliar la certezza col dubbio, per evitare il pericolo di tormentare
innocenti, e d'estorcere false confessioni, volendo però la tortura co-
me un mezzo appunto di scoprire se uno "fosse innocente o reo, e di
fargli confessare una data cosa. La conseguenza logica sarebbe stala di
dichiarare assurda e ingiusta la tortura; ma a questo ostava l'ossequio
cieco all' antichità e al diritto romano. Quel lìbriccino Dei delitti e
delle pene, che promosse, non solo i'abolizion della tortura, ma la
I Pro\1s et TheoHne crimlnatìs, QuibsI. LH , il, IS, 14.
■ Ibld. QuMt. XXXVn,i,s, ».
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riforma di tulla la legislazion criminale , cominciò con le parole .
u Alcuni avanzi di leggi d' tin antico popolo conquistatore. » E parve,
com'era, ardire d'un grand' ing^no: un secolo prima sarebbe parsa
stravaganza. Né c'è da maravigliarsene: non s'è egli visto un ossequio
dello stesso genere mantenersi più a lungo , anzi diventar più forte
nella politica , più tardi nella letteratura, più lardi ancora in qualche
ramo delle Belle Arti? Viene, nelle cose grandi, come nelle piccole,
un momento in cui ciò che, essendo acddenlale e fattizio, vuol perpe-
tuarsi come naturale e necessario, è costretto a cedere all' esperienza,
al ragionamento, alla sazietà, alla moda, a qualcosa di meno, se è
possibile, secondo la qualità e l'importanza delle cose medesime; ma
questo momento dev'esser preparato. Ed è già un merito non piccolo
degl'interpreti, se, come ci pare, furon essi che lo prepararono, ben-
ché lentamente, benché senz' avvedersene , per la giurisprudenza.
Ma le regole che pure avevano stabilite, bastano in questo caso a
convincere i giudici, anche di positiva prevaricazione. Vollero ap-
punto costoro cominciar dalla tortura. Senza entrare in nulla che
toccasse circostanze, né sostanziali né accidentali, del presunto delit-
to, moltiplicarono interrogazioni inconcludenti , per farne uscir de'
pretesti di dire alla vittima destinata: non é verisimile; e, dando in-
sieme a inverisimiglianze asserite la forza di bugie legalmente provate,
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DELLA COLONNA IISFAUE. TIS
tnlimar la luiiura. E die Don cercavano una veriUi, ma volevano una
confessione: non sapendo qDanlo vantaggio avrebbero avuto nell'esa-
me del Tatto supiKtsto , volevano venir presto al dolore, che dava loro
un vantaggio pronto e sicuro: avevan furia. Tutto Milano sapeva (è
il vocabolo usato in casi simili) die Guglielmo Piazza aveva unti i
miu-i , gli uscì , gli anditi dì via della Vetra; e loro che l'avcvaD nelle
inani, non l'avrebbero folto confessar subilo a lui !
Si dirà forse che, iu faccia alla giurisprudenza, se non alla coscien-
za, tutto era giustillcato dalla mas^ma detestabile, ma allora ricc-'
vuta , che ne' delitti più atroci fosse lecito oltrepassare il diritto? La-
sciamo da parte che l'opiniou più comune, anzi quasi universale, de'
giurecODSulLi , era (e se al del piace, doveva essere) che una tal mas-
sima non potesse applicarsi alla procedura , ma soltanto alla pena ;
« giacché, » per citarne uno, u benché si tratti d'un delitto enor-
me , non consta però che 1' uomo l' abbia commesso ; e fin che non
consti, é dovere che si serbino le solennità del diritto'.» E solo per
fumé memoria, e come un dique' tratti notabili con cui l'eterna ra-
gione si manifesta in tulli i tempi , citeremo andie la sentenza d' un
uomo che scrisse sul prindpio del secolo decjmoquinto, e fu, per lungo
tempo dopo, chiamalo il Bartolo del diritto ecclesiastico , Nicolò Te-
deschi, arcivescovo di Palermo, più celebre, (In che fu celebre, sotto
il nome d'Abate Palermilano: u Quanto il delitto é più grave," dice
quest'uomo, u tanto più le presunzioni devono esser forti; perchè,
dove il pericolo é iniiggiore, bisogna anche andar più cauli. ' » Ma
questo, dico, non fa ul nostro coso (sempre riguardo alla sola giuris-
prudenza), poiché il Glaro attesta che nel foro di Milano prevaleva
la consuetudine contraria; cioc era, in quo' casi, permesso al giudice
d'oltrepassare il diritto, anche nell'inquisizione'. » Regola, » dice
il Rimiitaldi, altro già celebre giureconsulto, «da non riceversi negli
altri paesi;" e il Farinacci soggiunge: «ha ragione'. » Ma vediamo
come il Claro medesimo interpreti una tal r^ola : " si viene alla tor-
tura, quantunque gl'indizi non siano in tulio sufficienti (m totum
I P. Follerii, Pract. Crini. Cap. QuoiI lufrocavil, n.
9 Quanlo crimen est gravlus, Unto pne^umpiiones debent esse veli emenUo rei ;
quia ubi inajiis periculum, ibi caulius est agindum. — Abbalis Panormllani, Com-
menlaria in liÉros decrelalluin. PriEsuDiplionibus, Cap. XIV, 3.
s Clar. Seni. Ree. lìb. V, § 1, d.
4 nipp. Riminaldl, Consilia ; LXXXvni, ss. — Farin. QniEnt. XXXVIL itt.
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TB4 STORIA
sufjteientia)t uè provali da testiiiMMiì nag^orì d'ogni eccezìooe, e
spesse volle anche senza aver data al reo copia del processo iofor-
mativo. " E dove tratta in particolare degV indizi legittimi alla im-
tura, li dichiara espressamente necessari « non sdo ne' delilti minori,
ma anche ne' maggiori e negli atrocissimi, anzi nel delitto stesso di lesa
maestà. * » Sì contentava dunque d' indizi meno rigorosamente pro-
vali, ma li voleva provati in qualche maniera; dì testimoni meno au-
torevoli, ma voleva testimoni; d'indìzi più ìeggfirì, ma voleva indizi
reali, relativi al fatto; voleva insomma render più facile al giudice
la scoperta del delitto, non dai^i la facoltà di tormentare, sotto qua-
lunque pretesto , chiunque gli venisse nelle mani. Son cose che una
teoria astratta non riceve, non inventa, non sogna neppure; bensì
la passione le fa.
Intimò dunque t' iniquo esaminatore ai Piazza : cht dica la verità
per qual cataa nega di lapere che siano itale onte le muraglie j et di
sapere come ti chiamino li deputati, che altrtmente, come cote inue-
ritimilij ti metterà alla corda j per hauer la verità di queste intieri-
nmilHudini. — Se me la vogliono anche far attaccar al collo lo fac-
cino,- che di quette cose che mi hanno interrogato non ne to niente,
rispose l'infelice, con quella specie di coraggio disperato, con cui la
ragione sfida alle volte la forza, come per farle sentire che, a qua-
lunque segno arrivi, non arriverà niai a divenlar ra^ne.
* Clar. Ib. Ub. V, ^ nn. QuMt. LXIV, ».
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DELLA COLONNA IKFAMt. 78>
E si veda a che miserabile astuzia dovettero ricorrer que' signori,
per dare un po' più di colore al pretesto. Andarono, come abbiam
detto, a caccia d'una seconda bugia, per poter parlarne con la formola
del plura^; cercarono un altro zero, per ingrossare un conio in cui
non avevan potuto fare entrar nessun numero.
E messo alla tortura ; gli s' intima che n risolva di dire la verildj
risponde, tra gli urli e Ì gemili e l'invocazioni e le supidicazioni :
l'Ilo detta, signore. Insìstono, ^h per amor di Dio! grida l'infelice:
f'. S. mi facci lasciar giù , che dirò quello che so s mi facci dare
un po' d'aqua. È lascialo giù, messo a sedere, interrogalo di nuo-
vo; risponde : io non so niente; V. S. mi facci dare un poco d'aqiu.
Quanto è cieco il furore! Non veniva loro in mente che quello cbe
volevan cavatali di bocca per forza, avrebbe potuto addurlo lui
come un argomento fortissimo della sua innocenza , se fosse stalo
la verità, come, con atroce sicurezza, ripetevano. — Si, signore, —
avrebbe potuto rispondere: — avevo sentito dire clic s'eran trovati
unti i muri di via della Velra; e stavo a baloccarmi sulla porla dì casa
vostra, signor presidente della Sanità! — E l'argomento sarebbe stalo
tanto più forte, in quanto, essendosi sparsa insieme la voce del fatto,
e la voce che il Piazza ne fosse l'autore, questo avrete, insieme con
la notizia, dovuto risapere il suo pericolo. Ma questa osservazlon cosi
ovvia, e che il furore non lasciava venire in mente a coloro, non poteva
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nemmeno venire in mente all'infelice, perchè non ^i era slato dello '
di cosa fosse imputato. Volevan prima domarlo co' tormenti; questi erau
per loro gli argomenti %-erosìmìtt e probabili , richiesti dalla le^e ;
volevan fargli sentire quale terribile, immediata cooseguen^ veniva
dal risponder loro di no; vedevano che si eonfessasse bugiardo una
volta, per acquistare il diritto di non credei^li^ quando avrebbe detto:
sono innocente. Ma non ottennero l' iniquo inlento. 11 Piacza, rimesso
alla tortura, alzalo da terra, intimatici che verrebbe alzalo di più,
eseguita la minaccia, e sempre incalzato a dir la verità, rispose sem-
pre : l'ko della; prima urlando, poi ai voce bassa; finché i giudici,
vedendo che ormai non avrebbe più potuto rispondere in nessuna ma*
niera, lo fecero lasciar giù, e ricondurre in carcere.
Riferito l'esame in senato, il giorno SS, dal presidente della Sanità,
che n'era membro, e dal capitano di giustiaia, cbe ci sedeva quando
fosse chiamato, quel tribunale supremo decretò che: «il Piazn, dopo
essere slato raso , rivestito con gli abili della curia, e purgalo, fosse
sottoposto alla tortura grave, con la legatura del canapo,» atrocissima
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DELLA COLONNA INFAUE. IBI
aggiunta, per la quale, oltre le braccia, si slogavano aDcbe le maDÌ;
u a riprese, e ad arbitrio de' due magislralì sufldetli ; e ciò sopra
ulcunft delle menzogne e inverisìmiglianze risullanli dal processo. <•
Il solo senato aveva, non dÌeo l'autorità, ma il potere d'andare
impunemente tanto avanti per una tale strada. La legge romana sulla
ripetizion de' tormenti < , era interpretala in due maniere; e la men
[irobabile era la più umana. Molti dottori (seguendo forse Odofredo *, .
che è il solo citato da Gino di Pistoia ' , e il più antico de' citati dagli -
altri } intesero che la tortura non si potesse rinnovare, se non quando
fossero sopravvenuti nuovi indizi, più evidenti de' primi, e, con-
diuone che fu aggiunta poi, di diverso genere. Molt' altri , seguendo
Bartolo' ', intesero che si potesse, quando i primi indìzi fossero mani'
resti, evidentissimi, urgentissimi; e quando, condizione a^^uula poi
anche questa , la tortura fosse stata leggiera '. Ora , né 1' una , né
l'altra interpretazione faceva punto al caso. Nessun nuovo indizio «^
emerso ; e i primi erano che due donne avevan visto il Piazza toccar
qualche muro; e, ciò ch'era indizio insieme e corpo del delitto, i
magistrali avevan visto alcuni segni di materia ontuosa su que' muri
abbruciacchiali e affumicati, e segnatamente in un andito dove il
Piazza non era entrato, Di più, quest'indizi, quanto manifesti, evidenti
e urgenti, ognun lo vede, non erano slati messi alla prova, discussi
col reo. Ma che dico ? il decreto del senato non fa neppur menzione
d' indizi relativi ài ddilto , non applica neppur la legge a torto ; fa
come se non d fosse. Contro ogni legge, contro ogni autorità, come
contro ogni ragione, ordina che il Piazza sia torturato di nuovo, so-
pra alcune bugie e inverisìmiglianze j ordina cioè a' suoi del^;ali di
rifere, e più spietatamente, ciò che avrebbe dovuto punirli d'aver
tatto. Percìocdiè era (e poteva non essere?) dottrina universale, ca-
none della giurisprudenza , che il giudice inferiore, il quale avesse
messo un accusato alla tortura senza indizi legittimi , fòsse punito dal
superiore.
I Heus evldcollorlbus «rgumenlis oppressus, repcll In queitioiieni poleM. Dig.
lU». XLVIII, lU. 18, t. 18.
I Numquid polest i-epetl queesllo? Videlur quod sic ; ut Dig. eo. t. Repell. Sed
VOI dkalii quod non pate«( repeli sine aovls imUcii». Odofredi , od Cod. Ilb. IX ,
Ut. 41.
. la.
3 Cynì pislorlensls, super Cod. Ilb. IX, tjt. li, I. de lormenlis
» Bari, ad Dlg. lòc. cil.
a V. Firinac. QinsL XXXVm, ti, ci seq. .
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Ma il senalo di Milano «ra tribunal supremo ; in queslo mondo ,
8* inlende. E il senato di Milano, da cui il puUriico aspettava la sua
vendetta , se non la salute , non doveva essere men destro , mai
perseverante , men fortunato scopritore , dì Caterina Rosa. Che tutto
sì faceva con l'autorità di costei; quel suo; alf hora mi viene in
pensiero te a caso fotte un poco uno de quelli , com' era sialo il
primo movente del processo , così n' era ancora il regolatore e il
modello; se non che colei aveva eomìneìato col dubbio, i giudìd
con la certezza. E non paia strano dì vedere un tribunale farsi se-
guace ed emulo d'una o di due donniccitrie ; giacché, quando s* è per la
strada della passione , è naturale che i più ciechi guidino. Non paia
strano il veder uomini i quali non dovevan essere , anzi non eran
cerlamcnle di quelli che vogliono il male per il male, vederli, dico,
violare cosi apertamente e crudelmente ogni diritto; giacché il credere
ingiustamente, è strada a ingiustamente operare, fin dove l'ingiu-
sta persuasione possa condurre; e se la coscienza esita, s'inquieta,
avverte, le grida d'un pubUico hanno la funesta forza (in chi di-
mentica d'avere un altro giudice) di soffogare i rimorsi; anche d'im-
pedirli.
Il motivo di quelle odiose, se non crudeli prescrizioni, di tosare,
rivestire, purgare, lo diremo con le parole del Verri. « In quei tempi
credevasì che o ne* capelli e peli, ovvero nel vestito, o persino n^ì
zPd.yGoOgle
DELLA COLONNA INFAUE. 7S0
intestini trangugiandolo, potesse avere uà amuleto o patio col demo-
nio, onde rasandolo, spogliandolo e purgandolo ne venisse disarmalo*. »
E questo era veramente de' tempi ; la violenza era un fallo ( con
diverse lonae) di tutti i lempi, ma una dottrina di nessun tempo.
Quel secondo esame non fu che una ugualmente assurda, e più
atroce ripetizione de) primo, e con lo slesso effello. L'infelice Piazza,
interrogato prima, e contradetto oon cavilli, che si direbbero puerili,
.se a nulla d'un tal fatto potesse convenire un tal vocabolo, e sempre
su circostanze indifferenti al supposto delitto, e senza mai accennarìo
nemmeno, fu messo a quella più crudele tortura, che il senato aveva
prescritta. N' ebbero parole di dolor disperalo, parole di dolor suppli-
chevole, nessuna di quelle che desideravano, e per ottener le quali
avevano il coraggio dì sentire, dì far dire quell'altre, ^h Dio mio!
ah che asiastinamenlo è questo! ah Signor fitcale! , . . Fatemi almeno
appiccar pretto . . , Fatemi tagliar via la mano . . . ^mmazzatetnij
Itttcialemi almeno riposar un poco. Jh! tignor Presidente! . . . Per
amor di Dio, fatemi dar da berej ma insieme : non io. niente, la fe-
rità l'ho detta. Dopo molle e molte risposte tali, a quella freddamente
e freneticamente ripetuta istanza di dir la verità, gli mancò la voce,
anuDuloli;per quattro volte non rispose; finalmente potè dire ancora
una volta, con voce fioca : non so niente,- la verità l' ho già della. Si
dovette finire, e ricondurlo di nuovo, non confesso, in carcere.
• OJS. 8 IIL
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E non e' eran più nemmen pretesti , né motivo di rìcomÌDeiare :
quella die avevan presa per una scorcialoia, gli aveva condotti fuor
di strada. Se la tortura avesse prodotto il suo effetto, estorta la con-
fession della bugia, tenevan 1' uomo ; e , cosa orribile ! quanto più il
soggetta della bugia era per sé indifferente, e di nessuna importanza,
tanto più essa sarebbe siala, nelle loro mani , un argomento polente
della reità del Piazza , mostrando che questo aveva bisogno di stare
alla larga dal fatto, dì farsene ignaro in tutto, in somma dì mentire.
Ma dopo una tortura illegale, dopo un' altra più illegale e più atroce,
0 grave, eome dicevano, rimettere alta tortura un uomo, perchè ne-
gava d' aver sentito parlare d' un fatto, e di sapere il nome de' depu-
tati d'uoa parrocchia, sarebbe slato eccedere i limiti dello straordinario.
Eran dunque da capo, come se non avessero fatto ancor nulla ; biso-
gnava vraiire, senza nessun vantaggio, all' investigazion del supposto
delitto , manifestare il reato al Piazza , interrogarlo. E se l' uomo ne-
gava? se, come aveva dato prova di saper fare, persisteva a negare
anche ne' tormenti?! quali avrebbero dovuto essere assotulamente gli
ultimi , se i giudici non volevano appropriarsi una lerribil sentenza
d' un loro collega , morto quasi da un secolo , ma la cui autorità
era viva più cbe mai , il Bossi citato sopra. >• Più di tre volle, »
dee, « non ho mài visto ordinai la tortura, se non da de* giudici
boia: nisi a cami/kibus^. » E parla della tortura ordinala legalmente!
Ma la passione è pur trop|)o abile e coraggiosa a trovar iiuo\e*
strade, per iseansar quella del dìrilló, quand'è lunga e incerta. Ave-
• Tracia), var.j lil. De lorlura, ii.
,y Google
DELLA COLONNA ISFAUS.
van Gomincìsfo con la tortura dello spasimo,
tortura d' un altro genera D' ordine del senato (come si ricava da
una lettera autentica del capitano di giustizia al governatore Spinola,
che allora si trovava all' assedio di Casale), l' auditor fiscale della Sa-
nità, in presenza d' un notaio, promise al Piazsa l'impuniti, con la
coadizione (e questo si vede poi nel processo) che dicesse intenuneate
la verità. Cosi eran riusciti a parlargli dell' ìmputaziwie, senza do-
verla discutere; a parlargliene, non per cavar dalle sue risposte i
lumi necessari all' investigazion della verità , non per sentir quello
che ne dicesse lui; ma per dargli uno stimolo potente « dir quello
die volevan lora
Eja lettera che abbiamo accennata , tu scrìtta il *<8 di giugno, cioè
quando il [HM)cesso aveva, con quell'espediente, Datto uo gran passo.
■ Ho giudicalo conuenire, •> cMoincta, e die V. E. sapesse quello che
si è scoperto nel particolare d'alcuni scellerati cbe , a' giwrni passati,
andauano ungendo i muri et le porle dì questa dita. » E non sarà
forse senza curiosità, né senza istruzione, il veder come cose tali sian
raccontate da quelli che le fecero. « Hétibi , » dice dunque , « com-
missione dal Senato di fornaar processo, nel quale, per il detto d'al-
cune donne , e d' un huomo degno dì fede , restò qggraualo un Gu'
gBelmo Piazza , buomo plebeio, ma ora Commissario della Saniti ,
lA'esso, il venerdì alti si su l'aurora, hauesse unto i muri di una
contrada poMa in Porta Ticinese , diiamata la Vetra de'Ciltatfini. »
E r uomo degno di fede, messo lì subito per corroborar l'autorità
delle donne, aveva detto d'aver rintoppato il Piazza, il quafe io sa-
lutai j et lui mi rete il saluto. Questo Ara stato aggravarlo ! come se
il delitto imputatogli fosse stato d*- essere entrato in vìa ddla Vetra.
Non parla poi il capitano dì giustizia della visita fatta da lui per rico-
noscere il corpo del delilto; come non se ne parla pia nel processo.
» Ji'u dunque, » prosegue, « incontinente preso costui. » E non
parla della visita fattagli in casa, dove non sì trovò nulla di sospetto.
« Et essendosi maggiormente nel suo esame aggrauato, » (s'è visto! )
«fu messo ad una grane tortura, ma non confessò il delitto. »
Se qualcheduno avesse detto allo Spinola , che il Piazza non era
stato internato punto intorno al delilto, lo Spinola a^'rebbe risposto:
— Sono poùlivamente informato del contrario : il capitano di giù-
stìzia mi scrive, non questa cosa appunto, ch'era inut)le;ma un'altra
che la SDltinlende , die la suppone necessariamente ; mi scrii'e die,
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messo ad una grave lorlura , non lo ctmfessò. — Se )' altro avesse
iosistito, — come ! — avrebbe potuto dire l' uomo celebre e potente,
— volete voi die il capitano di giustizia gi faccia beffe di me, a
se^o di raccoDlarmi, come una notizia importante, che non è acca-
duto quello che non poteva accadere ? — Eppure era proprio cosi :
cioè, non era che il capitano di giustizia volesse farsi beffe del gover-
natore ; era che avevan fatta una cosa da non potersi racconlare
ndla maniera appunto che l' avevan fatta; era, ed é, che la falsa co-
scienza trova più bcìlmente pretesti per operare , che forniole per
render conio di quello che ha btto.
Ma sul punto dell' impunità, e' è in quella lettera un altro inganno
che io Spinola avrebbe potuto , anzi dovuto, conoscer da sé, abneno
per una ^rte, se avesse pensato ad altro che a prender Casale, che
non prese. Prosegue essa così : « finché d' ordine del Senato ( anco
per esecutione della grida tdtimamente fatta in questo particolare
pubblicare da V. E.), promessa dal Presidente della Sanità a costui
l'impunità, confessò Analmente, eie. »
Nel capit<rio XXXI dello scritto antecedente, s' è fatto menzione d'una
grida, con la quale il tribunale della Sanità prometteva premio e im-
punità a chi rivelasse gli autori d^V imbrattamenti trovali sidle porìe
e sui muri delie case, la mattina del 18 di maggio; e s'è anche ac-
cennata una lettera del tribunale suddetto al governatore , su quel
fallo. In essa , dopo aver protestato che quella grida era stata pub-
blicata, con parikipatione del Sfg. Gran Caneelliere, il quale foceva
le veci del governatore, pregavan questo di' corrofrorar/a con altra
ma, con prametsa di maggior premio. B il governatore ne fece
infolli promulgare una, in data del is di giugno, con la quale pi-o-
ntetts a eiatcuna pertona che, nel termine di giorni trenta,, met-
terà in chiaro la pertona o le persone che Aanno commetiOj fauorito,
aiutato colai delitto, il premio , etc. et se quel tate sari dei complici,
gli proTHette anco t' impunità della pena. Ed è per l' esecuzione di
questa grida , cosi espressamente circoscritta a un fatto dd 18 di
maggio , che il capitano di giustizia dice essersi promessa l' impunità
all' uomo accusato d'un fallo del ai dì giugno, e Ip dice a quel me-
desimo che r avev^ se non altro, sottoscritta! Tanto pare che si fi-
dassero suir assediò di Casale ! giacché sarebbe troppo strano il sup-
porre che travedessero essi medesimi a quel segno.
Ma che bisogno avevano d' usare un tal raggiro con lo Spinola?
Digitizf^riiiyGoOgle
DELLA COLONNA IKFAUE. TSS
n bisogno d'alfaccarsi alla sua autorità, di travisare un atlo ir-
regolare e abusivo, e secondo la giurisprudenza comune, e secondo la
legislazioD del paese. Era , dico , dottrina comune cbe il giudice non
potesse, di sua autorità propria, concedere impunità a un accusato'.
E nelle coslituzionì di Carlo V, dove sono attribuiti al senato poteri
ampissimi, s'eccettua però quello dì « concedere remissioni di delitti,
grazie o salvocondotli ; essendo cosa riservata al principe ■. « E il
Boss! già citato, il quale, come senator di Milano in quel tempo, fu
uno de' compilatori di quelle costituzioni, dice espressamente: « que-
sta promessa d'impuuifà appartiene al principe solo ^. o
Ma perchè mettersi nei caso d' usare un (al raggiro, quando pote-
van ricorrere a tempo al governatore, il quale aveva sicuramente dal
principe qq tal potere, e la facoltà di trasmetterlo? E non è una
possibilità immaginala da noi: è quello che fecero essi medesimi,
all'occasione d' un altro infelice, involto più tardi in quel crudele
processo. L'atto è registrato nel processo medesimo, in questi termini:
Ambroiio Spinohj etc. In conformità del parere datoci dal Senato
con lettera dei cinque del corrente , concederete impunità, in virtù
della presente, a Stefano Baruello, condannato come dispensalore et
fabricatore delli onti peitiferi, sparsi per questa Città, ad esliutione
del Popoh, se dentro del termine che li sarà statuito dal detto Senato,
manifestarà li auttori et complici di tale misfatto.
Al Piazza l'impunità non fu promessa con un atto formale e aulen-
tioo; furon parole dettegli dall'auditore della Sanità, fuor del pro-
cesso. E questo s'intende: un tal allo sarebbe stato una falsità troppo
evidente, se s'attaccava alla grida, un' usurpazion di potere, se non
s'attaccava a nulla. Ma perchè, aggiungo, levarsi in certo modo la
possibilità di mettere in forma solenne un atlo di tanta importanza?
Questi perciiè non possiam certo saperli positivamente; ma vedrem
più lardi cosa servisse ai giudici l'aver fatto così.
A ogni modo, l'irregolarità d'un tal procedere era tanto manifesta,
die il difensor del Padìlla la notò liberamente. Bencbè, come {H-otesta
con gran ragione, non avesse bisogno d' uscir da ciò che riguardava
direttamente il suo cliente, per iscolparlo dalla pazza accusa; benché,
1 V. Farinacci , Quiesl, LX\X1, tii.
1 Conati la UoDM dooilnil medlolanenaisj De Seoaloribii»
3 Op. eli. III. De cODle^sis per lortur-jo, il.
,y Google
senza ragione , e cuii |>ucu coerenza, aniiiicda un delitlu reale, e de'
veri colpevoli, in quel mescuglio d'immaginazioni e d'invenzioni; ciò
non ostante, ad abbondanza, come si dice, e per indebolire tutto ciò dte
potesse aver relazione con queir accusa, fa %'arie eccezioni alla parte
del processo che riguarda gli altri. E a proposito dell'impunilà, senza
impugnar l'aulorità del senato in tal materia (che alle volle gli uomini
si tengon più offesi a metlH* in dubbio il loro potere, cbe la loro reU
liludine), oppone die il Piazza «fu introdotto nanti detto signor Audi-
(ore solamente, quale non faaueua alcuna giurìsdilione . . . procedendo
perciò nullamenle , e contro li (ermiiii di ragione. » E parlando ddb
menzione cbe fu (alta più tardi, e occasionalnienle, di qudl' impunità
dice : « e pure, sino a quel ponto , non appare, né si legge io pro-
cesso impunità, quale pure, nauti delta redargutione, doueua coo-
slare in processo, secondo li termini di ragione. »
In quel luogo delle difese e* è una parola buttala là , come ind-
denfemente, ma significantissima. Ripassando gli atti die precedei^
tero l' impunità , V av\'Ocato non fa alcuna eccezione espi-essa e diretta
alla tortura data al Piazza, ma ne paria cosi: « sotto pretesto tf inue-
risimili, torturato, n Ed è, mi pare, una circostanza degna (Fosser-
vazione die la' cosa sia slata ehiamala eoi suo nome anche allora, an-
che davanti a quelli clte n'eran gli autori, e da uno che non pensava
punto a difender la causa di chi n' era sialo la vittima-
Bisogna dire che quella promessa d'impunità fosse poco coaosduta
dal pubblico, giacché il Ripamonti, raccontando i fatti prindpalì dd
processo , nella sua storia della peste , non ne fa menzione , aoii
l'esdude indirettamente. Questo scrìUore, incapace d'alterare apposta
la verità, ma inescusabile di non aver letto, nò le difese del Padilia, ne
l'eslralto dd processo che le accompagna, e d'aver creduto piuttosto
alle darle del pubblico , o alle menzogne di quaidie interessato ,
racconta in vece che il Piazza, subilo dopo la tortura, e mentre lo
slegavano per ricondurlo in carcere , usci fuori con una rivelauone
spontanea , che nessuno s' aspettava '. La bugiarda rivdazione fa
latta bensi , ma il giorno seguente, dopo 1' abboccamento con l'audi-
tore, e a gente che se l'aspettava l>enis8Ìmo. Sicché, se doo fossero
rimasti que' podii documenti, se il senato avesse avuto che fare sd-
tanto col pubblico e con la storia, avrebbe ottenuto l'intento d'ab-
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DELLA COLONNA ^FAUE. TOit
buiar quel fallo così essenziale al processo , e che di«(le le mosse a
tulli gli altri che venner dopo.
Quello che passò in queir abboccamenlo , nessuno lo sa , ognuno
se r immagina a un dì presso. « É assai verosìmile, •> dice il Verri ,
« che nel carcere istesso si sia persuaso a quest'infelice, che persistendo
egli nel negare , ogni giorno sarebbe ricomincialo lo spasimo , che il
delitlo sì credeva certo, e altro spediente non esservi per lui fuorché
l'accusarsi e nominare i complici, cosi avrebbe salvato la vita, e si
sarebbe soltraito alle torture pronte a rinnovarsi ogni giorno. Il Piazza
dunque chiese, ed ebbe l'impunità, a condizione però che esponesse
sinceramente il fallo *. " -,
Non pare però punto probabile die il Piazza abbia chiesto luì liui-
punita. L'infelice, come \edrpmo nel seguilo de! processo, non an-
dava avanti se non in quanto cm strascinato; ed ében più credibile,
che , per fargli fare quel primo , cosi slrano e oi-ribile passo , per
tirarlo a calunniar sé e allri, l' auditore gliel' abbia offerla. E dì più,
ì giudici , quando gliene parlaron poi , non a\rcbI>cro omessa una
circoslanza cosi imporlanle, e che dava lanlo maggior peso alla con-
fessione; uè l'avrebbe onies.<ia il capitano di giuslizia nella lellera allo
Spinola.
■ o... *; IV.
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Ma ehi può iniiiiugiKai'bi ì conibulliiiienti ili quell'animo, a cui la
nicuioi'ii) cosi rocenk' df' lormeiili avrà fallo sentire a vicenda jl leiror
di sodrirli di nuovu, e l'orrore di farli soffrire I a cui la speranza
di fuggire una nioilc si)aventosa, non sì ])rcsentava che accompagnala
con Io spavento di cagionarla a un altro innocente! giaccbè non
poteva credere clic fossero per abbandonare una preda, senza averne
acquistala un'altra almeno, che volessero linirc senza una condanna.
Cedctlc, abbracciò quella speranza, per quanto fosse orribile e in-
certa ; assunse l' inqiresa , per quanto fosse mostruosa e difficile ; de-
liberò di mettere una vidima in suo luogo. Ma come trovarla? a che
filo attaccarsi? come scegliere tra nciìsniio ? Lui, era stato un fatto
reale, che aveva servito d'occasione e di prclcslo [ter accusarlo. Era
entrato in via della Vctra, era andato rasente al muro, l'aveva toc-
cato; ui>a sctagurula aveva traveduto, ma qualche cosa. Un fallo
allreltanlo innocente, e alli'ellanlo indìITLTenle fu, si vede, quello clte
gli SUggeri la persona e la favola.
R barbiere Giangiaeomo Moi'a componeva e spacciava un unguento
contro la peste; uno de' mille specifici che avevano e dovevano aver
eredito, mentre faceva tanta strage un male di cui non si conosce il
rimedio, e in un secolo in cui la medicina aveva ancor cosi poco im-
parato a non arTemiare, e insegnato a non credere. Pochi giorni prima
d'essere arrestato, il Piazza ai èva chiesto di quell'unguento al iKirbierc;
Oiiìitizf^ritiyGoogle
DELLA COLONNA INFAME. TftT
questo aveva promesso di preparargliene ; e aveadoio poi incon-
tralo sul Carrobio, la manina slessa del giorno che seguì l'arresto,
gli a\'cva detto ctie il \'asetlo era pronto, e venisse a prenderlo. Vo-
levan dal Piazza una storia d'unguento, di concerti, di via della
Vetra ; quelle circostanze cosi recenti gli servirò» di materia per
compornc una: se sì può chiamar comporre l'allaccare a molle cir-
costanze reali un'invenzione incompalibile con esse.
.11 giorno seguente, 96 di giugno, il Piazza è condotto davanti
agli esaminatori , e l' auditore gì' intima : che dica conforme a quello
che estraivdkialmente confessò a me, alla presema anco del Notavo
Baìbiano, se sa chi è H faòricalore degli uìiguenti j con quali tante
volte si tono Iroìiate ontale le porte et mura delle case et cadenazzi
di questa città.
Ma il disgraziato, che, mentendo a suo dispetto, cercava di sco-
starsi il meno possibile dalla verità, rispose soltanto: a tue l'ha dato
lui l'uiìguento, il Barbiero. Son le parole tradotte letteralmente, ma
messe cosi fuor dì luogo dal Ripamonti: dedit unguenta mihi lontor.
Gli si dice che nomini il detto Barbiero j e il suo complice, il suo
ministro in un tale attentalo, risponde: credo Aa66inotue frib.JocomOj
la cui parentela (il cognome) non so. Non sapeva di certo, che do^e
stesse di casa, anzi di bottega; e, a un'altra interrogazione, lo disse.
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Gli domandano se da detto Bnrbtero lui Conititulo ne ha haunto
0 poco o assai di detto unguento. RispOTide : me ne ha dato tanta
qwantìtd come potrebbe capire questo calamaro che è qua sopra la
tauola. Se avesse ricevuto dal Mora il vasello del preservativo die
gli a\'eva chiesto , avrebbe descrillo quello ; ma non potendo cavar
nulla dalla sua memoria, s'allacca a un oggetto presente, per allac-
carsi a qualcosa di reale. Gli domandano se' detto Sartiero è amico di
lui Conslitulo. E qui, non accorgendosi come la veritii che gli si pre-
senta alla memoria, faccia ai cozzi con l' invenzione, risponde: è amico,
signor sì, buon di, buon anno, è amico, signor «/ vai a (Ure che
lo conosceva appena di salulo.
Ma gli esaminatori, senza far nessuna osservazione, passarono a
domandargli, con qual occasione detto Barbiero gli ha dato dello onta.
Ed ecco cosa rispose : ;)auai di' 16, et lui chiamandomi mi disse: ci Ao
puoi da dare un non so che; io gli dissi che cosa era? et egli disse : è
non so che onto; et io dissi: sij si j verrò puoi a tuorlo ,■ et cori da
li a due o tre giorni, me lo diede puoi. Altera le cireoslanze materiali
del fatto , quanto è necessario per accomodarlo alla favola ; ma gli
lascia il suo colore; e alcune delle parole che riferisce, eran proba-
bilmente quelle eh' eran corse davvero tra loro. Parole dette in con-
seguenza d'un concerto già preso, a proposito d'un preservativo,
le dà per delle ali' inlento di proporre di punto in bianco un avve-
lenamento, almen tanto pazzo quanto atroce.
Con tulio ciò, gli esaminatori vanno avanti con le domande, sul
luogo, sui giorno, sull'ora della proposta e della coitsegna; e, come
contenli di quelle risposte, ne chiedon dell' altre. Che cosa gli disse
quando gli consegnò il detto vaifelto d'onta?
Jtfi disse; pigliale questo vasetto, et angele le muraglie qui «dietro,
et poi venete da me, che hauerele una mano de danari.
postilla qui, slavo por dire esclama, il Verri. E una tale inverisimi-
glianza avvenla , per dir cosi , ancor piò in una risposta successiva.
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DEr.LA COLONNA INFAUE. t»b
Interrogalo se il detto Barbierù assignò a fui ConstHuto il luogo
predio da ongere , lisponde : »iì ditte che ongetti lì nella Fedra de'
Ciltadinij et che cominciasti dal suo aschio, dove iii effetto cominciai.
u Nemmeno l'uscio suo proprio aveva unto il l>arbiere ! » poslilla
qui di nuovo il Verri. E non ci voleva, cerio, la sua perspicacia per
fare un' osservazion simile; ci volle l'accecamento della passione per
non farla , o la malizia della passione per non farne conio , se , co-
me è più naturale, si presentò onclie alla mente degli esaminatori.
L'infelice indentava così a stento, e come per (orsa, e solo quando
era eccitato, e come punto dalle domande, che non si saprebbe indo-
vinare se quella promessa di danari sia stata immaginata da lui, per
dar qualche ragione dell' avere accettata una commission di quella
sorte, 0 se gli fosse stata suggerita d» un' ìnlerrogazion dell'auditore,
in quel tenebroso abboccamento. Lo stesso bisogna dire d' tia' altra
invenzione, con la quale, nell'esame, andò incontro indirellamente
a un' altra dilTicoltà , cioè come mai avesse potuto maneggiar quel*'
l'unto cosi mortale , senza riceverne danno. Gli domandano se detto
Barbiere disse a lui Coiiititulo per qual cauta faceste ontare le dette
porte et muraglie. Risponde: lui non mi disse niente j mUmagino bene
che detto onto fosse velenato , et potesse nocere alti corpi humant,
poiché la mattina seguente mi diede un' aqiia da beuere, dicendomi
che mi sarei preseruato dal veleno di tal onto.
A tutte queste risposte, e ad altre d' ugual valore , die sarebbe
lungo e inutile il riferire , gli esamìnalori non trovaron nulla da op-
|>orrc, o per parlar più precisamente, non opposero nulla. D' una sola
cosa credettero di dover chiedere spiegazione : per qual causa non
l' ha potuto dire le altre volte.
Rispose: io non lo so, né so a che attribuire la causa, se non a quella
aqua che mi diede da berej perché V, S. vede bette che, per quanti
tormenti ho hauuto, non ho potuto dir niente.
Questa \'olta perù, quegli uomini cosi facili a contentarsi, non son
contenti, e tornano a domandare: per qual cauta non ha detto questa
verità prima di adesso, massime tendo stato tormentato nella maniera
che fa tormentato, et sabbato et hieri.
Questa veritìk!
Risponde: io non C ho detta, perché non ho potuto, et te io fossi
stato cent'anni sopra la corda, io non haueria mai jwtuto dire cosa
alcuna, perché non poteuo parlare, poiché quatìdo tu' era dimandata
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OOO STOHfA
qualche cosa di questo parlicolarei mi (agiva dal cuore, el non polena
rispondere. Sentilo questo , chiuser I' esame , e rimandaron lo sven-
turato in carcere.
Ma basta il chiamarlo sventurato ?
A una tale interrogazione, la coscienza si confonde , rifugge, vor-
rebbe dichiararsi incompetente ; par quasi un' arroganza spietata ,
un' ostenlazion farisaica, il giudicar chi operava in tali angosce, e fra
tali insidie. Ma costretta a rispondere, la coscienza deve dire ; fu anche
colpevole; i patimenti e i terrori dell' innocente sono una gran cosa,
hanno di gran virtù ; ma non quella di mutar la legge eterna, di
far che la calunnia cessi d' esser colpa. E la compassione stessa, ette
vorrebbe puiv scusare il tormentato, si rivolta subilo anch'essa contro
il calunniatore; ha sentilo nominare un altro innocente; prevede altri
patimenti, altri terrori, forse altre simili colpe.
E gli uomini che crearon quell'angosce, che tesero quell' insidre,
ci parrà d'averli scusali con dire : si credeva all' unzioni, e c'era la
tortura? Grediam pure anche noi alla possibilità d'uccider gli uomini
col vdeno; e cosa si dii-ebbc d'un giudice che adducesse questo per
alimento d* aver giuslametite condannalo un uomo come avvele-
natore? C è pure ancora la pena di morte ; e cosa sì risponderelAe
a uno che pretendesse con questo di giustificar tutte le sentenze di
m(M-te? No; non c'era la tortura per il caso di Guglielmo Piazza:
furono i giudici che la vollero, che, per dir cosi, l'inventarono in
quel caso. Se gli avesse ingannati, sarebbe stala loro colpa, perchè
era opera loro ; ma alihiam visto che non gt' ingannò. Metttam pure
che siano stati ingannali dulie parole del Piazza nell'ultimo esame, ct>e
abbian potuto credere un fatto, esposto, spiegalo, circostanziato in
quella maniera. Da che eran mosse quelle parole? come l'avevano
avute? Con un mezzo, sull' illegittimità del quale non dovevano in-
gannarsi, e non s' ingannarono infatti , poiché cercarono di nascon-
derlo e di travisarlo.
Su, per impossibile, tutto quello che venne dopo fosse slato un
concorso accidentale di cose le più alte a confermar V inganno , la
colpa rimarrebbe ancora a coloro che gli avevano aperta la strada.
Ma vedremo in vece che tutto fu condotto da quella medesima loro
volontà, la quale, per mantener l'inganno lino alla (ine, dovette
ancora eluder le leggi, come resistere all'evidenza, farsi gioco della
probità, conte indurirsi alla eompassione,
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UBLLA COLON."«.V 1»»' Alili.
IV
militoi'c corso, con la i^birrùgliu, alla casìa del Mora,
i lo Irovaroiio in bolt<!ga. Ecco un alli-o reo cIk^ non
[lensava a ruggire , né a nascondersi , benché ÌI suo
complice fosse in prigione do ciuatlro giorni. C era
:on lui un suo (igliuolo; e l'audrlore ordinò che Tos-
terò arrestali tult' e due.
Il Vèrri, spogliando i libri parrocdiiali di San Loicnicu, lio\ò che
l'infelice barbiere polcva avere anche Ire Jiglie; una di quallonlici
anni, una di dodici, una die aveva appena finili i sei. Ed è bello il
vedere nn uomo ricco, nobile, celebre, in carica, prendersi qiicsla cura
di scavar le memorie d' una famiglia povera, oscura, dinienlieala : che
dico? infame; e in mezzo a una posterìlà, erede cieca e Icnace della
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sluKa esecrazione degli avi , cercar nuovi (^gelti a una compassion
generosa e sapiente. Certo , non è cosa ragionevole i' opporre la
compassione alia giuiìtizia , la quale deve punire andte quando è
costretta a compiangere, e non sarebbe giustizia, se volesse condonar
le pene de' colpev<^i al dolore degl' innocenti. Ma contro la violenza
e la frode, la compassione è una ragione anch'essa. E se non fossero
stute che quelle prime angosce d' una moglie e d'una madre, quella
rivelazione d' un casi nuovo spavento, e d' un così nuovo cordoglio
a bambine che vedevano metter le mani addosso al loro padre , al
fratello, legarli, trattarli come scellerati; sarebbe un carico terrìbile
contro coloro, i quali non avevano dalla giustizia il dovere, e nem-
meno dalla legge il permesso di venire a ciò.
Che, anche per procedere alla cattura, ci volevano naluralmenlc
degl'indizi. E qui non c'era né fama, né fuga, né querela d'un offeso,
né accusa di persona degna di fede , né deposìzion di testimoni ;
non e' era alcun corpo di delitto ; non e' era altro ehe il detto d' un
supposto complice. E perchè un detto (ale, ehe non aveva per sé valor
dì sorte alcuna, potesse dare a) giudice la facoltà di procedere, eran
necessarie molte condizioni. Più d'una essenziale, avremo occasion di
vedere che non fu osservala; e si potrebbe faciluijente dimostrarlo di
molt' altre. Ma non ce n' è bisogno ; perchè , quand' anche fossero
state adempite tutte a un puntino , e' era in questo caso una circo-
stanza che rendeva l' accusa radicalmente e insanabilmente nulla :
r essere slata' fatta in conseguenza d' una prom^sa d' impunità. « A
chi rivela per la speranza dell'impunità, o concessa dalla legge, o
promessa dal giudice, non sì crede nulla contro i nominati, n dice il
Farìnaacì '. E il Bossi : u si può opporre al testimonio che quel
che ha detto, l'abbia dello per essergli stala promessa l' impunità . . .
mentre un tcsLìmonio deve parlar sinceramente , e non per la sj»e-
ranza d' un vantaggio ... E questo vale anche ne" casi in cui , per
altre ragioni , si può fare eccezione alla regola che esclude il com-
plice dall' allcstare . . . perché colui die allesfa per una promessa
d'impunità, si chiama corrotto, e non gli si crede. ' » Ed era dot-
trina non conli'adetla.
Mentre si preparavano a visitare ogni cosa, il Mora disse all'au-
I QuE«l. XLUI, 101. V. SuniRiarium.
> TracUl. var., til. De opposi 11 od i bus coiiira teslus;
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DELLA C01.0>nA IKFAUE.
(lilore: Oh F. S. veda! so che è venuta per quell'unguento; f. S.
lo veda là; et aponto quelvaaelttM l'haueuo apparecchialo per dniio
\
al Commissario^ ma non è venuto a pigliarlo ; io, gratia a Dio, no»
ho fallato. V. S. veda per tutto; io non ho (tillato: può sparagnare
di farmi tener iegato. Credeva l' infelice che il suo realo fosso d'aver
composto e spaccialo quello specifico senza licenza.
Frugan per tulio; ripassati vasi, vaselli, ampolle, alberelli, barulloli.
(I barbieri, a quel tempo, esercitavan la bassa chirurgia; e di li a fare
anche un po' il medico, e un po' lo speziale, non c'era clie un passo. )
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Due tose parvero sospcUc; e, chiedendo scusa ai lettore, siam co-
slrelli a parlarne, perchè il sospetto manireslalo da coloro, nell'allo
della visita , Tu quello che diede poi al povero sventurato un' indica-
zioiic, un mezzo per potersi accusare ne' lormenli. E del resto c'è
hi lulla questa storia qualcosa di più forle che lo schifo.
In toinpo (li pciìlc, era naturale che un uomo, il quale doveva trat-
tar con molle persone, e principalmente con ammalali, stesse, per
quaiilo era )>ossihile, segregato dalla famigliale il difcusor del Padilla
fa ques-la osservazione do\c, come \edremo or ora, 0|)pone al processo
la mancanza d'un corpo di delitto. La )iestc medesima poi aveva di-
minuilo in quella desolala popolazione ilhisogno della pulizia, ch'era
già poco. Si truvaron [ktcìù in una stnnzina dietro la bottega , dun
rasa slercore liumano piena, dice il processo. Uti hirro se ne mara-
viglia, e (a tuUi era lecito di parlar contro gli uniori) fa osservare
che disopra vi è il condotto. II Mora rispose no donno ^«i da basio,
et non rado di «o/ira.
La seconda cosa fu che in im cortiletto si vide un foitie/h con
dentro murata una caldura di rame, nella quale si è troitalo den-
tro de/l'acqua torbida, in fondo della quale si è trouato una materia
viscosa gialla et bianca, la quale, gettata al muro, fattone la proua,
si atfaccaua. Il Mora disse : l'è smoglio (ranno) : e il processo noia
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DELLA COLOKìNA IKFAME. SOS
clic lo disse con molla msislenxa : cosa che la vedere quanto essi
maslrnssero di Ifo^arci niiitlero. Ma come niui s' arriscliiaroiio di far
tanto a confidenza con qiu'l veleno cosi potente e cosi inislenoso?
Bisogn» dire elie il furore soffogasse la paura, che pure era una delle
sue ragioni.
Tra le carte poi si trovò una ricetta, che l'auditore diede in mano
al Srora, perche spiegasse cos'era. Questo la slraceió, perchè, in quella
confusione , I' a^■c^■a presa per la ricetta dello specìfico, i pezzi furon
raccolti subilo; ma \cdrenio come questo miserabile accidente fu poi
fatto valere contro qucll' infelice.
Nell'estratto del processo non si trova quanle persone fossero ar-
restate insieme con lui. Il Ri|>amonti dice che menaron via Intta la
genie di casa e di bottega; giovani, garzoni, moglie, figli; e anrlie
parenti, se ce n'era li '.
Neil' uscir da quella casa , nella quale non doveva più rimelter
piede, da quella casa elie doveva esser demolita da' fondanieniì, e dar
)u<^o a un monumenlo d'infamia, il Mora disse: io non ho fallala,
et gè ho fallato, che sij cnitìgalo,- ma da quello Elettnario m fitoì,
* Rt »l ijiiì cO[i<angiiin<.'i eracit, pag. ut.
„GoogIe
IO non Iti} fatto ultro; peiòj se hauessi fallato i
maiido vèisericordia.
qualche e
Fri esaminato il giorno medissimo , e interrogalo principalinenlc
sul ranno die gli avevan trovato Ìii casa , e sulle sue relazioni col
commissario. Intorno al primo. rispoM-: xignorej io fio» to niente,
et l'hanno fatto far le donne,- che ne dimandano conto da loro, che
lo diranno; et sapetto tanto io che quel gmoglio vi fosse, quanto che
mi credessi d'esser oggi condotto prigione.
Intorno al conimissurio, raccontò del vasetto d'unguento die doveva
dargli, e ne specificò gì' ingredienti ; altre relazioni con lui, disse «li
non averne avute, se non che, circa un anno prima, quello era ve-
nuto a casa sua, a chiedergli un servizio del suo mestiere.
Subito dopo fu esaminato il figliuolo; e fu allora cbe quel povero
ragazzo ripetè la sciocca ciarla del vasetto e della penna, clie abbiam
rirerita da principio. Del resto, l'esame fu inconcludente; e il Verri
osserva , in una postilla , cbe » si doveva interrogare il figlio del
barbiere su quel ranno, e vedere da quanto tempo si trovava nella
caldaia , come fatto , a die uso ; e allora si sarebbe chiarito meglio
Digitizf^riiiyGoOgle
DELLA COLONNA INFAUE. HOT
l'affore. Ma, » soggiunge, « temevano di non trovarlo reo. » E quesla
veramente è la cbia^'e di tutto.
Interrogarono però su quel particolare la povera moglie del Mora,
la quale alle varie domande rispose che aveva fatto il bucalo dieci o
dodici giorni avanti; che ogni volta riponeva del ranno per certi
usi dì chirurgia; che per questo gliene avevan trovato in casa; ma
che quella non era sialo adoprato, non èssendocene stato bisogno.
Si fece esaminare quel raimo da due lavandaie, e da tre medici.
Quelle dissero ch'era ranno, ina alterato; questi, che non era ranno;
le une e gli altri, perchè il fondo appiccicava e faceva le fila. " In
una bottega d'un barbiere, " dice il Verri, « dove si saranno lavati
de' lini sporchi e dalle piaghe e da' cerotti , qual cosa pili naturale
die il trovarsi un sedimento viscido, grasso, giallo, dopo farti giorni
il' estate? " «
Ma in ultimo, da quelle visite non risultava una scoperta ; risul-
tava soltanto una contradizione. E il difensore del Padilla ne de-
duce, con troppo evidente ragione , eiie « dalla lettura dell' istesso
processo offensìuo , non si vede constare dd corpo del delitto ; re-
quisito e preambolo necessario , acciò si venga a Reato*, atto tanto
pregi udiciale, e danno irreparabile. » E osserva che, tanto più era ne-
cessario, in quanto I' cITetlo che st voleva attribuire a un delitto , il
■ oss. Siv.
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morir tante persone, aveva la sua causa naiurale. « Per i quali giù-
dilli incerti, » dice, « quatilo fosse necessario venire all' ei^ierlenza,
Io rieereatiano le maligne costellalioni , e li proooslici de' lUaUheffia-
tici, quali nell'anno 1630 altro non concludeuano cbc peste, e linai-
mente il \'cder tante città insigni della Lomltardia, et Italia rimanere
desolate, e dalla petite distrutte, in quali non si seolirno p«isteri, oè
timori di oiito. » Anche 1' errore vien qui in aiuto della verìtii : kt
quale però non n'aveva bisogno. E fa male il vedere oome quest'uo-
mo, dopo aver fatto e qucsla e altre osservazioni, ugualmente atte a
dimostrar chimerico il delitto medesimo, dopo avere attribuito alla
forza de' tormenti le deposizioni che accusavano il suo clienle, dica in
un luogo queste strane parole: «conuien confessare, che per malignità
de' detti nominati, et altri complici, con animo ancor di sualiglare le
case, e far guadagni, come il detto barbiere, al fol. 104, disse, si mo-
uessero a tanto delitto contro la propria Patria, n
Nella leltera d'informazione al governatore, il capitano di giustizia
parla di questa circostanza cosi : « Il barbiero è preso, in casa di cui si
sono trouate alcune misture, per giudicio de periti, molto sospette. » So-
s|H.-llc!É una parola con cui il giudice comincia, ma con cui non fini-
sce, se non suo malgrado, e dopo aver tentati tulli i mezzi per arri-
^a^e alla eertezza. E se ognuno non sapesse, o non indovinasse quelli
eh' erano in uso anche allora , e che si sarebbero potuti adoprarc ,
quando si fosse veramente |)ensato a chiarii'si sulla qualità xelenosa di
quella |>orcheria, l'uomo che presiedeva al processo ce l'avrebbe follo
sa|>ere. In quell'altra lettera rammentala poco sQpra, con la quale il
tribunale della Sanità aveva informalo il governatore di (|uel grande
imbi-attamenlo del 18 di maggio, si parlava pure d' un esperimento
fatto sopra de' cani , « per accertarsi se tali onluosità erano pesti-
Icnliali o no. » Ma allora non avevan nelle mani nessun uomo sul
quale potessero fare l' esperimento della tortura , e contro il quale le
turile gridassero : tolte I
Prima pei-ò di mettere alle strette (I Mora, tollero aver dal com-
missario più chiare e precise notizie; e il lettore dira che ce n'era bi-
st^no. Lo fecero dunque venire, e gli domandarono se ciò che aveva
deposto era vero, e se non si rammentava d'alli'O. Onferiiiò il primo
detto, ma non trovò nulla da aggiungerci.
Allora gli dissero che ha mollo dell' inuermiuile che ti-a lai et
detto barbiero non sia passata altra tìegotiatione di quella che ha
,y Google
DELLA COLONNA INFAIIE. MB
tlepoitOj trottando» di negotio tanto grausj il quale non ti commette
a pertotu per eieguirlo, te non con grande et confidente negotiatioHe,
et non olio f^ita, come lai depone.
L' osaerTasioDe era giusta , ma veniva tardi. Perdù noD fati» idla
prima, qaando i[ Piazza depose la coaa in que' ternuni? Perchè una
cosa tale chiamarla verità? Che avessero il senso del verisimile cosi
ottuso, cosi lento, da volerci im giorno intero per accoi^ersi che lì non
c'era? Essi? TutL' altro. L'avevan delicatissimo, anzi troppo ddicato.
Non eran que' medesimi che avevan trovalo, e immediatamente, cose
inverisimili che il Piazza non avesse sentito parlare dell' imbrattamento
di via della Vetra, e non sapesse il nome de' deputati d'una parroc-
chia? E perchè in nn caso cosi sofistici, in un altro cosi correnti?
U perchè lo sapevan loro , e Chi sa tutto ; quello che possiamo
vedere anche noi è che trovaron l' ioverisimìglianza, qaando poteva
essere un pretesto alla tortura del Piazza ; non la trovarono quando
sarebbe stata un ostacolo troppo maniresto alla caltnra del Mora.
Abbiam visto, è vero, che la deposizion del primo, come radicai-
niente nulla, non poteva dar loro alcun diritto di venire a ciò. Ma
poiché volevano a ogni modo servirsoie , bisognava almeno conser-
varla intatta. Se gli avessero dette la prima volta quelle parole:
ha molto dell' inueritimile j se lui non avesse sciolta la difficoltà, met-
tendo il faLto in forma meno strana, e senza conlradire al già detto
(cosa da sperarsi poco); si sarebbero trovati al bivio, o di dover la-
sciare stare il Mora, o di carcerarlo dopo avere essi medesimi prote-
stato, per dir così, anticipatamente contro un tal atto.
L' osservatone fu accompagnata da un avvertimento terribile.
Et perciò te non ti ritoluerà di dire interamente la verità, come ha
promeitOy te gli protetta che non te gli temard l'impunità prometta,
ogni volta che ti trovi diminula la tuddetto tua eonfeithne, et non
intiera di tutta quello è postato tra di lui et il tuddetto Barbiero, et
per il contrario, dicendo la verità te gli teruarà l'impunità promesta.
E qui si vede, come avevamo accennato sopra, cosa potè servire
ai giudici il DOD ricorrere al governatore per quell'impunità. Concessa
da questo, con autorità r^ia e riservata , cm un atto solenne, e da
inserirsi nel processo, non si poteva ritirarla con quella disinvoltura.
Le parole dette da nn auditore si potevano annullare con altre parole.
Si noti che l' impunità per il Baruello fu chiesta al governatore
il 8 di settembre, cioè dopo il supplizio del Piazza, del Mora, e di
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qualche altro infelice. Sì poteva allora mettersi ai rischio di lasciarne
scappar qualcheduno: la fiera aveva mangialo, e i suoi ruggiti non
dovevan più esser così impazienti e imperiosi.
A qudl' avvertimento , il coounissario dovette, poiché slava fermo
nel suo sciagurato proposito, agiuzar l' ingegno quanto poteva, ma
non seppe faf altro che ripeter la storia di prima. Dirò a V. S. : dvx
&\ apatiti che mi daue l'onto, era il detto Barbiero tul corto di Parta
TicinsK, con tre d'altri in compagnia; et vedendomi panare^ mi
diate: Commiuario, ho un onfo da daruij io gli ditti: volete dorme/o
ade«w? fui Ali dine di nOj et all'hora non mt ditte l'effetto che do-
tieua fare il detto ontoj ma quando me lo diede poij mi ditte ch'era
onta da ongere le muraglie, per far morire la getUej né io gli di-
mandai $e lo haueva prouato. Se non che la prima volta aveva dello:
lui non mi ditte niente; m'itnagino bene che detto onto fatte velenato;
la seconda : mi dt'iM eh' era per far morire la gente. Ma senza farsi
caso d' una tal oontradizione , gli domandano chi erano quelli che
eraru) con detto BarbierOj et come erano veitili.
Citi fossero, non lo sa ; sospetta die dovessero essere vicioi del
Mora ; come fossero vestiti, non se ne ranunenta ; solo mantiene ehe
é vero lutto ciò che ha deposto contro di lui. Interrogato se è
pronto a sostenerglielo in faccia, risponde di si. È messo alla tor-
tura, per purgar l' infamia , e perchè possa fare indìzio contro quel-
f infelice.
I tempi ddla tortura sono, grazie al cielo, abbastanza lontani, perdiè
queste formole richiedano spiegazione. Una legge romana prescriveva
che u la leslimouianza d' un Radiatore o di persona simile, niHi va-
lesse senza i tormenti *. n La giurisprudenza aveva poi determinate, sotto
il titolo d'infami , le persone alle quali questa regola dovesse appli-
carsi; e il reo, confesso o convinto, entrava in quella categorìa. Ecco
dunque in che maniera ìntondevuio che la tortura pui^jasse l' infa-
mia. Come inlame, dicevano, il complice non merita fede; ma quando
afTcrmi una cosa contro un suo interesse forte, vivo, presente, si può
credere che la verità sia quella che lo sforzi ad aflèrmare. Se dunque,
dopo che un reo s'è fatto accusatore d'altri, gli s" intima, o di ritrattar
l'accusa, o di sottoporsi ai tormenti, e lui persiste nell'accusa; se,
ridotta la minaccia ad effetto, persiste anclie ne' tormraiti, il suo detto
' Uig. Lib, XXII, tir. V, De lestibu«; I. 91, t.
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DELLA COLONICA I^FAUE. SII
diventa credilnle : la tortura ba purgato l' intamia, restituendo a quel
detto l'aulorìlà cbe non poteva avere dal carattere della persona.
E perchè dunque non avevan fatta confermare al Piazza ne' tor-
menti la prìnia deposizione? Fu anche questo per non mettere a ci-
mento quella deposizione, così insofficienle, ma così necessaria alla
cattura del Mora? Certo una tale omissione rendeva questa ancor più
illegale: giacché era bensi ammesso che l'accusa dell' infome, non
confermata ne' tormenti, potesse dar luogo, come qualunque altro più
difettoso indizio, a prendere informazioni, ma non a procedere contro
la persona '. E riguardo alla consuetudine del foro milanese, ecco
quel cbe attesta il Glaro in forma generalissima : « Affinchè il detto
del complice faccia fede, è necessario cbe sia confermato ne' lonbenti,
per^, essendo lui in&me a cagion del suo proprio delitto, non può
essere ammesso come testimonio, senza tortura; e cosi si pratica da
noi: et ila apud nos servatur *.
Era dunque legale almeno la tortura data al commissario in que-
st' ultimo costituto? No, certamente: era iniqua, andie secondo le
leggi , poidiè gliela davano per convalidare un' accusa die non po-
teva diventar valida con nessun mezzo , a cagion deH' impunità da
cui era slata promossa. E si veda come gli avesse avvertiti a pro-
posito il Iwo Bossi. K Essendo la tortura un male irreparabile, si
badi bene di non farla soffrire in vano a un reo in casi simili, cioè
quando non ci siano altre presunnooi o indizi del delitto '. »
Ma che? facevan dunque contro la legge, a dai^lìela, e a non dar-
gliela? Sicuro; e qual maraviglia cbe chi s'è messo in una strada
Msa, arrivi a due che non son buone, né 1' una né l' altra?
Del resto, è facile indovinare che la tortura datagli per fai^li ri-
trattare un'accusa, non dovette esser cosi efficace come quella datagli
per isforzarlo ad accusarsi. Infatti , non eMiero questa volta a scri-
vere esdamazioni , a registrare urli né gemiti : sostenne tranquil-
lamente la sua depoeiiione.
Gli domandaron due volte perchè non l' avesse fatta ne' primi costituti.
Si vede cbe non potevan levarsi dalla testa il dubbio, e dal cuore
il rimorso che quella sdocca storia fosse un' ispn^zion dell' impunità.
I V. Farioaccl, Quiul. XL1U, III, I».
a Op. cH. Qiuut. XXI, is.
S Op. di. UL De indlclla et conildertllonibda ante (orturim; lui.
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Rispose: fu per l'impedimento deff o^tta che ho detto che haueiu be-
uata. Avrebbero certamente desiderato qualcosa dì più omdadente 3
ma bisf^nava contentarsi. Avevan trascurati, che dico? schivati, esdusi
tutti! mezzi, cbe potevan condurre alta scopata ddb verità; ddle due
contrarie conclusioni che potevan risaltare dalla rìco^, n' avevan vo-
luta una, e adoprato, prima un mezEO, poi un allro, .per ottenerìa a
qualunque costo: potevan pretendere di trovarci quella soddis&ziooe
che può dar la verità sinceramente cercata ? Spegnai il liHoe è un
mezzo opportunissimo pò* non veder la cosa die non piace, ma bob
per veder quella cbe si desidera.
Calalo didla fune, e mentre lo slegavano, il commissario disse : Si-
gnore, pi voglio un puoco pentar «ino a dimani, et dirò poi quello
tt auantaggio, che mi ricorderò, tanto contro di lui, quanto if altri.
Mentre poi io rieonducevano in carcere, si fennò, dicendo: ho non
«o che da dire ; e nominò come gente amica del Mora , e pochi di
buono, quel Barudlo, e due /brMon*, Girolamo e Gaspare M^ia-
vacca, padre e figlio.
Cosà lo sciagurato cercava di supplir ciA numero ddle vìttime alla
mancanza delle prove. Ma coloro die l'avevano interrogato, potevano
non accorgaci cbe qnell' a^pungen era una prova di più die ntm
aveva che rispondere? Eran loro ohe gli avevan diieslo delle eireo-
stanze che rendessero verisimile il fatto; e dii propone la dlfieirttà,
non lì può dir che non la veda. Qudle nuove denunzie in aria, 0
que' tentativi dì denunzie volevan dire apertamente: voi altri preten-
dete ch'io vi renda chiaro un fatto; come é possibile, se il fitto non
è 7 Ma, in ultimo, quel che vi preme è d'aver delle persone da con-
dannare : persone ve ne do ; a voi tocca a cavarne qud cbe vi
bisogna. Con qualcbeduno vi riusdrà: v* è pur riuscito con me;
Di que* tre nominati dal Piazza, e d'atri die, andando avanti, fhron
nominati con ugual fondamento, e condannati con ugnai deoreiza,
non faremo menzione, se non in quanto potrà esser necessario alla
storia di lui e del Mora (i quali, per essere i primi caduti in quelle
mani, furcHio riguardati sempre come i prinupalì autori dd dditto);
0 in quanto ne esca qualcosa d^na di particolare osservazione. Omet-
tiamo pure in questo luogo , come foremo ritrove, de' fatti secondari
* Arrollnl di forbici per tigllar r oro SUIo. L' «Merci nna profettloBe a pwle
per quel)' industria «Mondarla, (■ vedere come Oorlua ancora la principale.
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DELLA C0L0M1A WFAUE. ais
e incidenli, per venir subilo al eeooodo esame del Mora ; die fu Ìq
quel giorno medesimo.
In mezzo a varie domande, sul suo specifico, sul rumo, su certe
lucertole che aveva fatto prender da de* ragazzi , per comporoe un
medicamento di qae' tempi ( domande alle quali soddisTece come un
□omo cbe non ha nulla da nasctmdere né da inventare ), |ji metton lì
ì pezzi dì quella carta che aveva stracciata nell' allo della visita. La
ricoTMico j disse , per quella Krittura che io itraxxiai inauertenta-
mente j et ti potranno li pegsetti congregar iniieme, per veder la con-
ttrunzdj et mi verrd ancora a memoria da chi mi Jt; itata data.
PassiU'oa poi a fargli un' iatern^puiooe di questa sorte: in che
modOj non hauendo più che tanta amicitia con il detto Commiatario
chiamato Gulielmo Piazza, come ha detto nel precedente tuo etame,
etto Conaiiuario con tanta libertà gli ricercò il auddetU) va» di pre-
tervatiuo; et lui ConttitutOt con tanta libertà et preatexxa, ti offerte
di' darglielo, et Fititerpellò di andarlo a pigliare, come nelfaltro tuo
etame ha depotto.
Ecco clic (orna in campo la misura sbatta della verisimiglianza.
Quando il Piazza asserì per la prima volta, che il barbiere, tuo amico
di bon di e bon anno, con quella medesima libertà e prestesza, gli aveva
offerto un vasetto per far morire la gente, non gli fecero diIBcoItà;
[a fanno a chi asserisce che si trattava d' un rimedio. Eppure , si de-
vono naturalmente usar meno riguardi nel cercare un complice ne-
cessario a una contravvenzion leggiera , e per una cosa in sé ooe-
slissima, che a cercarlo, senza necessità, |>er un atlenlalo pericoloso
quanto esecrabile : e non è questa una scoperta die si sia fatta in
questi due ultimi secoli. Non era 1' uomo del secento che ragionava
cosi alla rovescia : «^ l' uomo della passione. H Mora rispose : tb Jo
(ed per Vincereste.
Gli domandano poi se conosce quelli che il Piazza aveva nominati;
risponde che li conosce, ma non è loro amico, perchè son certa gente
da lasciarli fare il fatto tuo. Gli domandano se sa chi avesse fatto
queir imbrattamento di tutta la città ; risponde di no. Se sa da
chi il commissario abbia avuto l' unguento per unger le muraglie :
risponde ancora di no.
Gli domandau Analmente: te ta che periona alcuna, con offerta
de danari, habbi ricercato il detto Commissario ad ontar le muragli
della Fedra de' Cittadini, et che per così fare, li Aai6t poi dato yn
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nasetto di vetro con dentro tal onto. Rispose, chinando la testa, e ab-
bassando la voce (flectens caput, et aubmiua voce): non so niente.
Forse soltanto allora cominciava a vedere a die strano e orribil
One potesse riuscire quel rigirio di domande. E chi sa in che ma-
niera sarà slata fatta questa da coloro, che, incerti, volere o non
volere, della loro scoperta, tanto più dovevano accennar di saper-
ne, e mostrarsi anticipatamente forti contro le n^ative che preve-
devano. 1 visi e gli atti che facevan loro, non li notavano. Andaron
dunque avanti a domandargli direttamente: te lui Constituto ha ri-
cercato il tuddetto Gulielmo Piazza Commissario della Sanità ad
ongere le muraglie li a tomo alla f^edra de' Cittadini, et per cosi
fare te gli ha dato un vasetto di vetro con dentro t- onto che doueua
adoperare; con prometta di dargli ancora una quantità de danari.
Esdamò, più che non rispose: .S'i^nor no! maidè ' noi no in eter-
no! far io quette cote? Son parole che può dire un colpevole, quanto
un innocente; ma non nella stessa maniera.
* Antica InlcrietloD M^laneie, eorrltpondente «1 toMuio madti, «partlcclU
unU dagli anllchl, alla proveniale, » dice l> CniKa. Sig:nlflcava in orìgine mio
Dio; ed era una delle laDle forinole di glurameolv, entrale per abaso nel discorso
ordinarlo. Ma In questo caso quel Nome non sarebtM sialo nomJDala in vane.
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DBLLA COLONNA WFAME. SIS
Gli fu replicato, che eota dirà pot quando dal tuddetto Gultelmo
Piazza Commiuario della Sanità, gli »arà queita verità toitenuta in
faccia.
Dì nuovo questa veritàt Non eonoscevan la cosa che per la depo-
ùuone d'un supposto complice; a questo avevan detto essi medesimi,
il giorno medesimo, che, come la raccontava lui, kaueua molto delFin'
uerisimUej lui non ci aveva saputo aggiungere neppure un' ombra di
verjsimiglìanza , se la contradizione non ne dà ; e al Mora dicevano
francamente: quetta verilà! Era, ripeto, rozzezza de' tempi? era bar-
barie delle leggi? era ignoranza? era superstizione? O era una di
quelle vtdle cbe l' iniquità si smentisce da sé?
11 Mora rispose: quando mi dirà questo in faccia, dirò che è un
infame, et che non pvò dire questo, perchè non ha mai parlato con
me di tal casa, et guardimi Dio!
Si fa venire il Piazza, e, alla presenza del Mora, gli si domanda,
tutto di seguito, se è vero questo e questo e questo; tuUo ciò die
ha deposto. Risponde: Signor si, che è vero. Il povero Mora grida: oA
Dio misericordia! non n trouarà mai questo.
Il commissario: io sono a questi termini, per sostentami voi.
Il Mora: non si trouarà maij non prouarete mai d' esser stato a
casa mia.
n commissario : non fossi mai stato in casa vostra, come vi son
statoj che sono a quetìi termini per voi.
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Il Mora: non ti trowrà mai che nate «tato a casa mia.
Dopo di ciò, furoD rimandati, ogDuno nel suo carcere.
Il capitano di giustizia, nella lettera al governatore, più v<dte
citata, rende conto di quel confronto in qneBli termini: ull Piaxza
animosamente gii Ila sostenuto in faccia, esser vero ch'egli riceuè
da lui tale unguento, con le drcostanze del lu(^ e del tempo. » Lo
Spinola dovette credere die il Piazza avesse speciBeate queste cireo-
stanze, contradittorìamente col Mora; e tutto quel sostenere animo-
samenle si riduceva in realtà a on Signor n, che è vero.
La lettera Onisce con queste parole: « Si vanno fecendo altre dili-
genze per scoprire altri complici, o muidanti. Fratanto bo v(4uto
che quello che passa fosse inteso da V. E., alla quale humilmente
bado le mani, et auguro prospero flne delle soe imprese." Pndn-
bilmente ne furono scritte altre, che sono perdute. In quanto alfim*
prese, l'augurio andò a vólo. Lo Spinola, non ricevendo rinforzi, e
(^sperando ormai di prender Casale, s'ammalò, anche di paauoae,
verso ti principio di settembre, e morì il ss, mancando sull' ultimo
all' illustre soprannome di prenditor di città, acquistato orile Fian-
dre, e dicendo (in ispagnolo): m'han levato l'onore. Gli avevao fatto
peggio, ctA dargli un posto a cui erano annesse tante obblÌga»oni, delle
quali pare che a lui ne premesse solamente una: e probabilmeole
non gliel avevan dato che per questa.
D giorno dopo il confronto, il commissario chiese d'esser sentilo;
e, introdotto, disse: «i/ Barbiero ha detto ch'io non sono mai ttato
a caso fua; perciò F". S. esamini Batdauar LittOj che xta nella casa
delFj^ntianOt nella Contrada di S. Bernardino^ et Stefano Bnzzio,
che fa il tintore, et sta nel portone per contro S. Sgottino, presto
S. Ambrogio, li quali n>m) informati eh' io sono stato nella casa et
bottega di detto Barbiero.
Era venuto a fare una lai dichiarazione, di suo proprio impulso?
O era un suggerimento fattogli dare da' giudici? D primo sarebbe
strano, e 1" esito lo farà vedere; del secondo e' era un motivo fortis-
simo. Volevano un pretesto per mettere il Mora alla tortura; e tra le
cose cbe, Socoado l'opinione di molti dottori, potevan àBre all'ae-
cosa del complice quei valore che non aveva da sé, e reoderia indizio
sufficiente alla tortura del nominato , una era che tra loro ci fosse
amiciita. Non però un' amicizia, una conoscenza qualunque; perdiè,
« a intenderìa così » dice il Farinacci, <• ogni accusa d' un colI^>lice
Diiìitizf^riiiyGoOgle
DELLA COLONNA INFAIIE. 8IT
farebbe indizio, essendo troppo facile che il nominante conosca il
nominalo in qualche maniera; ma bensì un pralicarsi stretto e fre-
quente, e tale da render verisimile che Ira loro si sta potuto concertare
il delitto *. n Per questo avevan domandato da principio al commis-
sario, »e detto Barbiero è amko dì lui Cotutttuto. Ma il lettore si
rammenlu della risposta che n'ebbero: amko sì, buon dì buon anno.
V intimazione minacciosa fattagli poi , non aveva prodotto niente di
più; e quello die avevan cercato come un mezzo, era diventato un
ostacolo. É vero che non era, né poteva diventar mai im metto
legittimo né legale, e ctie l'amicizia più intima e più provata non
avrebbe potuto dar valore a un'accusa resa insanabilmente nulla
dalla promessa d' impunità. Ma a questa difficoltà , come a tante
altre che non risultavano materialmente dal processo, ci passavan
sopra: quella, l'avevan messa in evidenza essi medesimi con le loro
domande ; e bisognava veder di levarla. Nel processo son riferiti di-
scorsi di carcerieri, di birri e di carcerati per altri delitti, messi in
compagnia di quegl' infelici , per cavar loro qualcosa di bocca. E
quindi più che probabile che abbiano, con uno di questi mezzi, fallo
dire al commissario, che la sua salvezza poteva dipendere dalle prove
die desse della sua amicizia col Mora; e che lo sciagurato, per non
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dir che non n' aveva, sìa ricorso a quel partito, al quale non avrebbe
mai pensato da sé. Perchè, quale ass^piamento potesse fare sulla te-
slìmoDÌanza de^ due che aveva diali, si vede dalle loro deposiaoai.
Baldassare Lilla , interrogato «e ha mm visto il Piassa m cani o tn
bottéga del Moroj risponde: mgtwr, no. Stefano Buxzi, iolerrogaCo «e
ta che tra il detto Piazza et Barbierù vi jhu» alcuna amiàtia, ri-
sponde: pnò estere che «tono amid, et che si tatutatteroj ma questo
non lo saprei mai dire a V. S. Interrogalo di nuovo se sa che il
detto Piazza sia mai stato in casa o bottega del detto Barbiero , ri-
sponde : non lo saprei mai dire a V. S.
Vollero p(M senlìre un altro testimonio, per veridcare tina eìreo-
stanza asserita dal Piazza nella sua deposizione ; cioè che un certo
Matteo Volpi s'era trovato presente, quando il barbiere gli aveva
dello: ho poi da dami un non so che. Questo Volpi, internato su
di ciò, non solo risponde di non ne saper nulla, ma, redarguilo^
aggiunge risolulamenle: to giurarò che non ho mai insto che si siano
parlati insieme.
U giorno seguente, so di giugno, fu sottomesso il Mora a un
nuovo esame; e non s' indovinerebbe mai come lo prindpiassero.
Che dica per guai causa lui ComtitutOj nelF altro suo esame,
mentre fu confrontato con Gulielnw Piazza Commissario della Sa-
nitdj ha negalo a pena hauer cognitione di luij dicendo che mai fu
in casa sua, cosa però che in contrario gli fu sosUnuta in faccia^ et
pure, nel primo suo esame mostra iT hauere pwna sua cognitione,
cosa che ancor depongono altri nel processo formato,' il che ancora si
conosce per vero dalla prontezza sua in offerirli, et apparecchiarli il
vaso di preseniatiuo, deposto nel suo precedente esame.
Risponde : è ben vero che detto Commissario passa da li spesso
dalla mia bottega,- ma non ha prattica di casa mia, né di me.
Replicano: che non solo è contrario al suo primo esame, ma an-
cora alla depotitione d' altri teslimonìj. . . .
Qni è superflua qualunque osservazione.
Non osaron però di metlerìo alla tortura sulla deposizion del
Piazza, ma che fecero? ricorsero all'espediente degl' inverisimili; e,
cosa da non credersi , uno fu il negar che faceva d' avere amicizia
col Piazza , e che questo praUcasse in casa sua ; mentre asseriva
d'avergli promesso il |u«servalivo! L'altro che non rendesse un
conto soddisfacente del perdic aveva fotta in pezzi qudla scrittura.
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DELL! COLONNA IHPAMB. SI*
Che il Mora seguitava a dire d" averio folto senza badarci , e non
credendo die una tal cosa potesse importare alla giustisia; o che
temesse, povero infelice! d'aggravarsi confessando che l'aveva fatto
per trafugar la prova d'una contravvenzione, o che infatti non
sapesse ben render conto a sé stesso di ciò che aveva fatto in
que* primi momenti di confusione e di spavento. Ma sìa come si sia,
que' pezzi gli avevano: e se credevano che in qodla scrittura ci
potesse esser qualche indizio del delitto, potevan rimetterla insieme,
e leggerla come prima: ii Mora stesso ^el aveva suggerito. Anzi,
chi mai crederà che non l'avessero già fatto?
Inlimaron dunque al Mora, con minaccia della tortura, che dicesse
la verità su que' due punti. Rispose: gid ho detto quello che patta
intomo alla tcritturaj et puole il Committario tUr quello che voUj
perchè dke un' infamità, perchè io rum gli ho dato niente.
Credeva (e non doveva crederlo?) che questa fosse in ultimo la
verità che volevan da lui; ma no signore; gli dicono che non le gli
ricerca quella particolarità, perchè sopra di essa non l' interroga, né
ti vole per adetto altra verità da lui, che di lapere il fine perchè ha
tcarpalo (stracciato) la detta icriltura, et perchè ha negato et neghi
che il detto Committario ita ttato alta bottega lua, moitrando quasi
di non hauer cognitione di lui.
Non si troverebbe, m'immagino, cosà focilmenle un altro esempio
d'un cosi sfrontatamente bugiardo rispetto alle formalità legali. Es-
sendo troppo manifestamente mancante il diritto d' ordinar la tortura
per l' Of^^etto principale , anzi unico , dell' accusa , volevano far con-
stare ch'era ptr altro. Ma il mantello dell'iniquità è corto; e non si
può tirarlo per ricoprire una parte, senza scoprirne un'altra. Compa-
riva cosi di più, che non avevano, per venire a quella violenza, altro
che due iniquissìmi pretesti: uno dichiarato tale in fatto da loro me-
desimi, col non voler chiarirsi di ciò che contenesse )a scrittura;
l'altro, dimostrato tale, e peggio, dalle testioionianze con cui avevan
tentato di farlo diventare indizio legale.
Ma si vuol di più ? Quand' anche i testimoni avessero pienamente
confermato il secondo detto del Piazza su quella dreostanza partico-
lare e accessoria ; quaod' anche non ci fosse stata di mezzo 1* impu-
nità ; la deposizion di costui non poteva più somministrare nessun
indizio legale. « H complice che varia e si conlradiee nelle sue de-
posizioni , essendo perciò anche spergiuro , non può fere , contro i
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nominali , ndizio alia tortura .... anzi nemmeno all' inquUiuone ....
e quesla si |>uó dire dottrina comunemente rkevula dai dottori *. »
li Mora fu messo alia tortura!
L' infelice non aveva la robustezza del suo oiiluiiu latore. Per qual-
che tc'iiipu però, il dolore non gli tirò fuori altro che grida couipas*
sionevuli, e proteste d'aver della la verità. Oh Dio mio! non Ao co-
guitione dì colui, nv Ito mai kauuto pratica con lai ^ et per quello
non posio dire . ... et per questo dice la bugia che sia praticato in
casa mia , ne che sia mai slato nella mia bottega. San morto ! mise-
ìicordiat mio Signore! misericordia! Ho stracciata la scritturai "*■
dendo fosse la ricetta del mio elettuario .... perchè voleuo il guada-
gno io solamente.
Questa non è causa aufficientei gli dissero. Supplicò d'esser lascialo
giù , che direbbe la verit» ! Fu lascialo giù, e disse: La verità è che
il Commissario non ha pratica alcuna meco. Fu ricomincialo e accrc-
sciulu il tormento : alle spieiate istanze degli esaminatori , l' infelice
l'isjiondeva: F. S. veda quello che vole che dica, lo dirò: la risposta
di Pilota a chi lo faceva tormentare, per ordine d'Alessandro il
' Farinacci, Quesl. XLllli l»lt, ise.
,y Google
DELLA COLONNA INFAME, tll
grande, u it quale stava ascollando por anch'esso dietro ad un
arazto *:» die quid me velti dieere'; e la nsposta di cbi sa qtiant'ailrì
infelici.
Finalmente, potendo più lo spasimo che il ribrezzo di cdunniar
sé slesso, che il pensiero del suppUuo, disse: ho dato un va$etto
pieno di bruttOj cioè sterco J acciò inAnttasse le muraglie j al Com-
mitsario. V. S. mi ìatzi giìi , che dirò la veritd.
Cosi eran riusciti a far confennare al Mora le congetture del birro,
come al Piazza l' immaginazioni della donnicciola; ma in questo se-
condo caso con una tortura illegale,' come nel primo con un' illegale
impunità. L'armi eran presC' dall'arsenale della giurisprudenza; ma i
colpi eran dati ad arbitrio, e a tradimento.
Vedendo che il dolore produGeva 1' elTetto che avevan tanto sospi-
rato, niHi esau4firon la supplica dell'infelice, di Atrio almeno cessar
subito. Gr intimarono che cominci a dire.
Disse: era ttereo kumanOt imojazso (ranno; ed ecco l'effetto di
quella visita ddla caldaia , cominciala con tanto apparato , e troncata
con tanta perfidia); perchè me h domandò /ut., cioè il Commttsario j
per imbrattare le caiej et di quella materia che eice dalla bocca dei
morti^ che aon tui carri. E nemmen questo era un suo ritrovato. In
un esame posteriore, interrogato doue ha imparato tal tua compou-
tione, rispose: diceuano cosi in barbaria, che ti adoperava di quella
materia che esce dalla bocca de' morti et io m' ingegnai ad ag-
giongerui la lisciuta et il sterco. Avrebbe potuto rispondere: da' miei
assassini, ho impai-alo; da voi altri e dal pubblico.
Ala e" è qui qualche altra cosa di molto strano. Come mai usci
fuori con una confessione che non gli avevan richiesta, che avevano
anzi esclusa da quell'esame, dicendogli che non te gli ricerca questa
particolarità, perchè sopra di essa non s' interroga? Poicliè il dolore
lo strascinava a mentire , par naturale che la bugia dovesse stare al-
meno ne' limiti delle domande. Poteva dire d'essere amico intrinseco
del commissario; poteva inventar qualche motivo colpevole, a^rs'
vonle , ddl' avere stracciata la scrittura; ma pcrcbé andar più in là
di quello che lo spingevano? Forse, mentre era sopraffotto dallo spa-
simo, gli andavan suj^rendo altri mezzi per farlo finire? gli foeevano
I Plutarco, Vita d' AlosMadro; (radoilone del Pompet.
g Q. Curili, VI, 11.
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altre iaterrogazioni , cbe noo furooo scrìtte nel processo 7 Se fosse
cosi , potremmo essera inganoati noi a dir che avevano ingannato
il governatore col lasciargli credere che il Piazta fosse stato inter-
rogato sul ddilto. Ma se allora non abbiam messo in campo il so-
spetto che la bngia fosse nel processo, piuttosto che nella lettera, fu
perchè i felli non ce ne davano un motivo bastante. Ora è la di£B-
coltà d' ammettere un fatto stranissimo , die ci sforza quasi a fare
una supposizione atroce, in aggiunta di tante atrocità evidenti. G
troviam , dico, tra il credere che il Mora s' accusasse, senxa esserne
interrogi^, d'un delitto orrìbile, die non aveva commesso, che do-
veva procacciai^! i una morte spaventosa , e il congetturar che co-
loro, mentre riconoscevan col fotlo di non avere un titolo suQìdente
di tormentalo per fergli confessar quel delitto, profittassero della tor-
tura dat^i con un altro pretesto, per cavargli di bocca una tal
confessione. Veda il lettore qud che gli pare di dovere sce^iere.
L* intwn^torio che succedette alla tortura fu, dalla parte d^ giu-
did , com' era stato quello del commissario dopo la promessa d' im-
punità, un misto 0, per dir me^io, un contrasto d'insensatezza e
d' astuzia , un moltiplicar domande senza fondamento, e un ometter
r indagini più evidentemente indicate dalla causa, più imperiosamente
prescrìtte dalla giurisprudenza.
Posto il prìndpio che " nessuno commette un delitto senza ca-
gione; n riconosciuto il Cstlo che « molti deboli d'animo avevan con-
fessalo delitti che poi, dopo la condanna, e al momento del suppli-
zio , avevan protestato di non aver commessi, e s' era trovato infalli,
quando non era più tempo, che non gli avevan commessi , » la giu-
risprudenza aveva stabilito che u la confessione non avesse valore ,
se non c'era espressa la cagione del dditto, e se questa cagione non
era verisimile e grave, in proporzion del delitto medeamo *. " Ora,
r infelicissimo Mora, ridotto a improvvisar nuove favole, per confer-
mar qudla che doveva condurlo a un atroce supplizio, disse, in quel-
l' interrogatorio , che la bava de' morti di peste l'aveva avuta dal
commissario, che questo gli aveva proposto il delitto, e che il motivo
del fare e ddl' accettare una proposta simile era cbe , ammalandosi,
eon quel mezzo , molle persone , avrebbero guadagnalo molto tutt' e
due : uno , nel suo posto di commissario ; l' altro , con lo spaccio dd
* Farinacci, Quent. L, si; LXXXI, 40; LH, iSO, ISI.
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DELLA COLONNA INFAHE. Sis
preservaUvo. Non domanderemo al lettore se , tra l' enormità e i pe-
ricoli d'un tal delitto, e l'imporlanza di tali guadagni (ai quali, del
resto, gli aiuti della natura non raancavau dì certo), ci fosse propor-
ùooe. Ma se credesse che que' giudici, per esser del secento, ce la
trovassero, e che una tal cagione paresse loro verisìniile, li sentirà
eaà medesimi dir di no, in un altro esame.
Ma e' «^ di più : e* era contro la cagione addotta dal Mora una
difficoltà più positiva , più materiale, se non più forte. U lettore può
rammentarsi che il commissario, accusando sé slesso, aveva addotta
anche lui la «^one da cui era stato mosso al delitto; cioè che il bar-
biere gli aveva detto : ungete .... et poi venete da nUj che hauerete
una mano, o come disse nel costituto seguente, una fruona mano de
danari. Ecco dunque due cagioni d' un solo delitto: due cagioni,
non solo diverse , ma opposte e incompatibili. È I' uomo stesso
cbe , secondo ima confessione , offre largamente danari per avere un
complice; secondo l'altra, acconsente al delitto per la speranza d'un
miserabile guadagno. Dimentichiamo quel che s' è visto fm qui: come
sian venute fuori quelle due cagioni , eoo che mezzi si siano avute
quelle due confessioni; prendiam le cose al punto dove sono arrivale.
Cosa facevano, trovandosi a un tal punto, de' giudici ai quali la pas-
sione non avesse pervertita, offuscata, istupidita la coscienza? Sì spa-
ventavano d'essere andati (foss'anche senza colpa) tanto avanti; si con-
solavano di non essere almeno andati fino all'ultimo, all'irreparabile
affatto ; si fermavano all' inciampo fortunato che gli aveva trattenuti
dal precipizio ; s' attaccavano a quella difGcoltà , volevano scioglier
quel nodo ; qui adopravan tutta 1' arte , tutta l' insistenza , tutti i ri-
giri dell' interrogazioni ; qui ricorrevano ai confronti ; non facevano
un passo prima d' aver trovalo (ed era forse cosa difficile?) quat de'
due mentisse , o se forse mentissero tutt' e due. I nostri esaminatori,
avuta quella risposta del Mora : perchè lui hauerebbe guadagnato a«-
Mij poiché li aarian ammalate delle persone aasat, et io haueret gua-
dagnato ataai con il mio elettuario , passarono ad altro.
Dopo ciò, basterà, se non è anche troppo, il toccar di fuga, e in
parte, il rimanente di qud costituto.
Interrogalo , se vi tono altri complici di questo negotio , risponde :
«t saranno U suoi compagni del Piazza^ i quali non so chi siano. Gli
si protesta che non è vtritimile che non lo sappi. Al suono di quella
parola, terribile foriera della tortura, l' infelice afferma subito, nella
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fonna più positiva: sono li Foretari et il BanuUo:qìieì\ì die gli erano
siali nominati e cosi indicali, nel costituto antecedente.
Dice che il veleno Io teneva nel fornello, cioè dove loro s' erano
immaginati che potesse essere; dice come lo componeva, e conclude:
bultauo via il rtito nella Fedra. Non possiam tenerci qui di non Ira-
scrivere una postilla del Verri. « E non avrebbe gettato nella Vetra
il resto, dopo la prigionia dd Piazza! »
Risponde a caso ad altre domande che gli fanno su circostanze (]i
luogo, di tempo e di cose simili, come se si trattasse d'un folto
dilaro e provato in sostanza , u non ci mancassero che delle parlieo-
larìtà; e Analmente, è messo di nuovo alla tortura, affinchè la sua de-
posizione potessevaler contro i nominati, e segnatamente contro il
commissario. AJ quale avevan data la tortura per convalidare una d(^-
posizione opposta a questa in . punti essenziali ! Qui non potremmo
allegar testi di leggi, né 0|rànioni di dottori; perchè in verità la giu-
risprudenza non aveva preveduto un caso «mile.
La confessione fatta nella tortura non valeva, se non era ratificata
senza tortura, e in un altro luogo , di dove non si potesse vedere
l'orrìbile strumento, 'e non nello stesso giorno. Eran ritrovati della
scienza, per rendere, se fosse sialo possibile, spontanea una confes-
sione forzata, e soddisfare interne al buon senso, il quale diceva
troppo chiaro che la parola estorta dal dolore non può meritar fede,
e alia lefj^ romana che consacrava la tortura. An» la ragione dì
quelle precauzioni, la ricavavano gì' interpreti dalla legge medesima,
cioè da quelle strane parole : « La tortura è cosa fragile e pericfdosa
e soggetta a ingannare; giacchi molti, per forza d'animo 0 di corpo,
curan cosi poco i tormenti, che non st può, con un tal mezzo, aver
da loro la verità; altri sono cosi intelleranti del dolore, che dieon
qualunque fatsitA, [Muttoslo che sopportare i tormenti *. i Dico: strane
parole, in una legge che manteneva la tortura; e per intendere come
non ne cavasse altra conseguenza , se non che « ai tormenti non si
deve creder sempre, » bisogna rammentarsi che quella legge era fatta
in origine per gli schiavi, i quali, nell'abiezione e nella perversità
* Rei t»X (quiBSUo) frsgllia et periculoM, et qua verltatem fallai. Nam pieriqiie ,
palientla slve durllia tormetilonini, ita lormenla conlemnunl, ut eiprimi eia verità»
nullo modo posgii, alll tanta sunt impallentia, ut quovis menlirl quain patrtormenla
velini. Mg., Llb, XLTiH, Ut. xvni, t. i, ».
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DELLA COLONKA l%FA]IE. SS»
del gentilesimo, poterono esser con»deralÌ come cose e non persone,
e sui quali si c^ede^a quindi lecito qualunque esperimento, a segno
che si tormentavano per iscoprire j delitti de^i altri. De' nuovi inte-
ressi di nuovi legislatori la fecero poi applicare anche alle persone
libere; e la forza dell' autorità la fece durar tanti secoli più del gen-
tilesimo: esempio non raro, ma notabile, di quanto una legge, avviala
che sia, possa estendersi al di là de) suo principio, e sopravvivergli.
Per adempir dunque una (ale formalità, chiamarono il Mora a un
nuovo esame, il giorno seguente. Ma siccome in tutto dovevan metter
qualcosa d'insidioso, d' avvantaggtoso, di suggestivo, cosi, in vece di
domandargli se intendeva di ratificar la sua confessione, gli doman-
«brono se ha c&sa alcuna d' aggiongere alt esame et confezione tìia,
che fece hìerì , doppo che fu ammesso di lonnentare. Escludevano il
dubbio: la giurisprudenza voleva che la confessione della tortura fosse
rimessa in questione; essi la davan per ferma, e cliiede^an soltanh)
che fosse accresciuta.
Ma in queir ore ( direm noi di riposo ? ) il sentimento dell' inno-
cenza, l'orror del supplìzio, il pensiero della moglie, de' figli, avevan
forse data al povero Mora la speranza d' esser più forte contro nuovi
tormenti; e rispose : Signor no, che non ho cosa ^aggiongerui, el ho
più pretto cosa da sminvire. Dovettero pure domandargli, che cosa ha
da sminuire. RÌ8|>ose più apertanlente , e come prendendo coraggio :
quetl' tmguento che ho detto, non ne ho fatto minga (mica), et quello
che ho detto, l'ho detto per i tormenti. Gli miiincciaron subito la
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rinnovazion della tortura; e ciò (lasciando da parte tulle l'altre vio-
lente irregolarità) senza aver messe in chiaro le contradizioni Ira lui
e il commissario, cioè senza poter dire essi medesimi se quella nuo^'a
lortura gliel avrebbero data sulla sua confessione, o sulla dcposizioii
dell'altro; se come a complice, o come a reo principale ; se per \m
delitto commesso ad ialigazionc altrui, o del quale era sialo l' isliip-
lore; se per un delitto cHe lui aveva voluto pagar geoerosaroenlc ,
0 dal quale aveva speralo un miserabile guadagno.
■ A quella minaccia, rispose ancora: replico che quello cht dissi hitri
non è vero niente, et lo dissi per li tormenti. Poi riprese: r. S. mi .
lasci un puoco dire un' Jue Maria , et poi farò quello che il Sigiwre
me iiispirarài e si mise in ginocchio davanti a un'immagine del Cro-
cifisso, cioè di Quello che doveva un giorno giudicare i suoi giudici.
Alzatoci d0|>o qualche momento, e stiiuuluto a coulcrmar la sua con-
fessione, disse : t'n conscienxa mia, non è vero niente. Condotto subilo
nella stanza della lortura, e legalo, con quella crudele aggiunta del
canapo , l' infelicissimo disse : T. S. non mi stij a dar più tormenti,
che la verità che ho deiìoslo, la voglio mantenere. Slegato e ricondollo
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DELLA COLONNA I^FA.UE.
neJla stanza dell' esame, disse di nuovo: non è vero niente. Di auovo
alla tortura , dove dì nuovo .disse quello che volevano ; e avendogli
il dolore consumalo Ano all' ultimo quel poco resto dì coraggio, man-
li-niie il suo dello, si dichiarò pronto a ratificar la sua confessione;
non voleva nt^iumetio die gliela leggessero. A <|uei>l(> non acconaeu-
tirono : scrupolosi nel!' osservai-e una formalitìi ormai inconcludente,
mentre viotavan le prescrizioni più importanti e più positive. Lelloglì
l'esame, disse: è la verità tutto.
Dopo di ciò, |)ers6veranli net metodo di non proseguir le ricerdie,
di non affrontar le difficollà, se non dopo i tormenti (ciò che la legge
niede^nia aveva creduto di dover vietare espressamente, ciò olie Dio*
cleziano e Massimiano avevan voluto impedii-e!*) pensaron finalmente
a domandargli se non aveva a^'Uto altro fine che di guadagnar con
la vendita del suo elcttuario. Rispose: che sappia mi, quanto a me,
non ho altro fine.
Che mppia mi! Chi, se non lui, poteva sapere cosa fosse passato
nel suo interno? Eppure quelle cosi strane parole erano adattale alla,
circostanza : lo sventuralo non avi-elibe potuto trovarne altre che
significassero meglio a che segno a^'eva , in quel momento, abdicato ,
" Nel rescrillo cil»lo sopra, alta pkg. 76«.
„Google
per dir cosi, sé inedesìmo, e acconsenliva a aCTermare, a negare, a
sapere quello soltanlo , e tutlo quello eb» fosse piaciuto a edoro die
diiiponevan della tortura.
Vanno avanti, e gli dicono: ebe ha molto dell' inueriaimiie che,
(o/oniente per hauer occnsione it CommitMario di lauorare attai, et
lui Constilulo di vendere it luo eletluario habbiiw procurato, con firn-
brattaviento delle porte, la detìrutHoiie et morte della gente ^ perciò
dica a che fine, et per che rispetto si tono mossi loro davi a così fare,
per i(R interesse cosi legiero. '
Ora \ii:fi Tuori quest'iRvei-isioiìgliauza? Gli avevan dunque mina*-
(liata e data a più ripreso la tortura per fargli ratificare una confe»-
sione ili verisimile! L'osservazione era giusta, ma veniva tardi, direnxt
aiiclic qui ; giacché il rinnovarsi dellc'circoslanze medesime, ci sforza
quasi a usar le medesime parole. Come non s'oraiiu accorti che ci fosse
inverisimigliaiiza nella deposizione del Piazza, se non quando eUtero,
su quella deposizione, carcerato il Mora j cosi ora non s'accorgono
die ci sia in\'crÌ!>iinigliaiiza nella coiircssion di questo , se non dopo
avergli estorta una ralilicazioiie clic, in mano loro, diventa un mezzo
suOkientc per cundantiarlo. Vogliam supporre che realmente non se
n'accorgessero die in questo momento? Come spiegheremo allora,
come qualìficherumu il ritener valida una tal confessione , dopo una
tale osservazione? Forse ÌI IVlora diede una risposta più soddisfacente
die non fosse stata quella del Piazza? La risposta del Mora fu que-
sta: M i7 Ctìmmisiarù} non lo sa luij io non lo soj et bisogna che liù
lo sappia , et da lui V. S. lo saprai per essere stato lui l'iauealore.
E si vede die questo rovesciarsi 1' uno sull' altro la colpa prìndpale,
non era tanto per diminuire ognuno la sua , quanto per sottrarsi al-
l' impegno di spiegar còse die non erano spiegabili.
E do|>o una risposta simile, gì' intimarono che per hauer lui Coh-
stituto fatto la suddetta compoiitione et unguento j di concerto del
detto Commissaria , et a lui doppo dato per ontare le muraglie delle
case, nel modo et firma da lui Constitutoet dal detto Commissario,
deposto, a fìtte di far moiire la gente, sicome il detto Commissario ha
confessato d" hauere per tal fìne eseguito , esso Constituto si fa rea
W hauer procurato in tal modo la morte della gente, et c/w per hauer
coti fatto, sij incorso nelle pene imposte dalle leggi a chi procura et
tenta di così fare.
Ricapitoliamo. I giudici dicono al Mora : come è possìbile che vi
■yGoQgle
DELLA COLOANA IKFAUE. «1^
siale determinali a commeltere un tal delillo, per uq lai interesse?
n Mora risponde: il commissario lo deve sapere, per sé, e per me:
domandatene a lui. Li rimette a un altro, per la spiegazione d' un
fatto dell'animo suo, perchè possan cbiarirsi eome un motivo sia
stato succiente a produrre in lui una deliberazioDe. E a qual altro ?
A UDO che non ammetteva un tal motivo, poiché attribuiva il delido
a luti' altra cagione. E i giudici trovano die la difiìcoltà è sciolta,
che il delitto confessato dal Mora è diventato verisimile; tanto che
ne lo costituiscono reo.
Non poteva esser V ignoranza quella clie faceva loro vedere ìnve-
risimigliaDza in un tal motivo; non era' la giurisprudenza quella che
li portava a fare un (al conto delle condizioni trovate e imposte dalla
giurisprudenza.
impunità e la tortura avevaii prodotto due storie ;
e benché questo bastasse a tali giudici per proferir
j due condanne, vedremo ora come lavorassero e riu-
à scissero, per quanto era pos»bile, a rifonder le due
storie in una sola. Vedremo poi , in ultimo, come
mostrassero, col fatto, d'esser persuasi essi mede-
simi, anche dì questa.
11 senato confermò e estese la decisione de' suoi delegati. « Sentilo
,y Google
ciò che risultava dalla conressìone di Giangiacomo Mora, riscontrale
le cose anhicedciiU , considerato ogni cosa, n meno l'esserci, per un
solo delitto, due autori prìncijìali diversi, due diverse cagioni, due
diversi ordini di fatti, «ordinò clic il Mura suddetto.... Tosse di
nuovo Interrogalo diligeiilissimanicnte, però senza tortura, per fargli
spiegar meglio le cose confessate, e ricavar da lui gli altri autori,
mandanti , complici del delitto; e clic dopo l' esame fosse costituito
reo, con la narrativa del fatto, d'aver comjwsto l'unguento mortì-
fero, e datolo a Guglielmo Piazza; e gli fosse assegnalo il lerraiiic
dì Ire giorni |ter far le sue difese. E in quanto al Piazza, fosse inter-
rogalo se aveva altro da aggiungere alla sua confessione, la quale si
trovava muncaiite; e, non n'avendo, fosse costituito reo d'avere
sparso r unguento suddetto, e assegnatogli il medesimo termine per
le difese." Cioè: vedete di cavar dall'uno e dall'altro quello elie si
|)otrà: a ogni modo, siun coslitiitti rei, ognuno sulla sua confes*
sione, bencliè siano due confessioni contrarie.
Comìneìarun dal Piazza, e iti quel giorno medesimo.Du aggiungere,
lui non aveva nulla, e non sapeva die ii'avevan loro; e forse, ac-
cusando un innocente, non aveva preveduto clic ^i creava un acca-
!^atoi-e. Gli domandano |)ercliè non lia deposto d'aver dato al barbiere
della bava d'appestali, per comporre l'unguento, Noa gli ho dato
niente, ris|)onde; come se quelli clic gli aveVan ci-cdula la bugia, do*
vesserò credergli anclic la vei-ità. Dopo un andirivieni d'altre inter-
rogazioni, gli protestano chej per non hauer detta la verità intera,
come hauea promessOj tion può né deue godere della impunità che
te gli era proìneisa. Allora dice subito : Signore, è vero che il sud-
detto Barbieiv mi ricercò a portargli quella materia, et io glie h
portaij per fare il deflo onta. Sperava, con l'ammetter tutto, di ri-
pescar la sua ini|)uiiità. Poi, o per farsi sempre più inerito , o per
guadagnar lem|>o, soggiunse die i danari promessigli dal barbiere
dovc\an venire da una persona gratide, e ctie 1' aveva saputo dal
barbiere medesimo, ma senza potergli mai cavar di bocca citi fosse.
Non aveva avuto tempo d' inventarla.
Ne domandarono al Mora, il giorno dopo; e probabiliueute il
poverino l'avrebbe Inventala luì, come avrebbe potuto, se fosse
stato messo alta tortura. Ma, come abbìam visto, il senato l'aveva
esclusa per quella volta, affine, si vede, di render meno sfrontata-
mente estorta la nuova ratificazione che volevano della soa eonfe»-
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DELLA COLONNA INFAIIE. B3I
sione aniecedenle. Perciò, interrogalo te lui Contliliito fu il primo
a ricercare il detto Commissario — et gli promise quantità de da-
tiarij rispose: Signor no,- e dotte vole y. S. che pigli mi (io) questa
quantità de daiiari? Polevano inratli rammeii tarsi che, nella minutis-
sima visita fallagli in casa quando l'arrestarono, il leforo che gli
a\evan (rovaio , era un baslotto ( una ciotola ) , con dentro cinque
parpagliote (dodici soldi e mezzo). Domandalo della persona gran-
de, rispose; /^. .S", non vole già se non la verità, e la verità io l' ho
detta quando sono stato (oi-mealato, et ho detto anche d' auaataggio.
Ne' due estratti non è fallo menzione clie abbia raltfìcaUi la con-
fessione aniecedenle; se, come è da (M-edere, glielo fecero fare, quelle
parole erano una protesta, della quale lui forse non conosceva la
forza; ma essi la dovevan conoscere. E del rimanente, da Bartolo,
anzi dalla Glossa, fino al Farinacci, era siala, ed era sempre dottrina
comune, e come assioma della giurisprudenza, che « la confessione
(Ma ne' lornienti die fossero dati senza indizi legillimi , rimaneva
nulla e invalida , quand" aiiclie fosse poi ratificata mille volle senza
lormcnli : edam quod millies sponte sii ratificata '. n
Dopo di ciò, fu a luì e al Piazza pubblicato, come allora si diceva,
il processo (cioè comunicali gli alti), e dato il Ichnine di due giorni
a far le loro difese : e non si \ede pi-rclié uno di meno di quello
che aveva decretato il senato. Fu all'uno e all'altro assegnalo un
difensore d' ulìzio : quello assegnalo al Mora se ne scusò. Il Veni
* Farinacci, Quiesl. XXXVII, I IO.
,y Google
attribuisce, per congettura, quel rifiato a una cagione che pur troppo
non è strana in quel complesso di cose, u II Turore, » dice, « era
giunto al segno, che si credeva un'azione cattiva e disonorante ti
difender questa disgraziata vittima '. n Ma nell'estratto stampato,
che il Verri non doveva aver visto, è registrala la cagion ^'era, forse
non meno strana, e, da una parte, anche più trista. « Lo stesso giorno,
due di luglio, il notaio Mauri, chiamato a difendere il detto Mora,
disse: io no» posso accettare questo carico, perchè, prima sono No-
tavo criminale, a chi non conuiene accettar patrocinij, et poi anche
perché non sono né Procuratore^ né jiuocato; anatrò bene a par-
larli, per darli gusto (per fargli piacere), ma non accetterò i7 patro-
cinio. A un uomo condotto ormai appiè del supplizio (e dì qual
supplizio! e in qual maniera!), a un uomo privo d'aderenze, come
di lumi, e che non poteva aver soccorso se non da loro, o per mezzo
loro, davano per difensore uno che mancava delle qualità necessarie
a un tal incarico, e n' aveva delle incompatibili ! Con lanla legge-
rezza procedevano! mettiam pure che non c'entrasse malizia. E toc-
cava a un subalterno a richiamarli all'osservanza delle regole più
note, e più sacrosante!
Tomaio, disse: sono stato dal Mora, il quale mi lutiietto liberamente
che non tut fallato, et che quello che ha detto, l' ha detto per i tormenti;
! I
„GoogIe
DELLA COLONNA INFAME. 83s
el perchè gii ho dttta liberamente che non voleuo né poleuo soetener
queibt carico di difenderlo, mi ha dello che almeno ti Sig. Preti-
dente lij iervita (si degni) di' prouederli d'un diffemore, et che non
voglia permettere che habbi da morire indiffeso. Di tali favori, e con
tali parole, l' innocenza supplicava l'ingiustizia! Gliene nominarono
inatti un altro.
Quello assegnalo al Piazza, « comparve e chiese a voce che gli
fiisse fatto vedere il processo del suo cliente; e avutolo. Io lesse. «
Era questo il comodo die davano alle difese? Non sempre, poidié
l'avvocato del Padilla, che divenne, come or ora vedremo, il concreto
della persona grande buttala là in astratto e in aria, ebbe a sua
disposizione il processo medesimo, tanto da farne copiar quella buona
parie cbe è venula per quel mezzo a nostra notizia.
Sullo spirar del termine, i due sventurati chiesero una proroga:
«il senato concesse loro tulio il giorno seguente, e non più: et non
ttltra. « Le difese del Padilla furon presentate in tre volte: una parie
il 34 di luglio I6S1; la quale «fu ammessa senza pregiudìzio della
facoltà di presentar più tardi il rimanente;» l'altra il (8 d'aprile 163S;
*e l'ultima il 10 di maggio dell'anno medesimo: era all.ora arrestato da
circa due anni. Lentezza dolorosa davvero, per un innocente; ma,
paragonata alla precipitazione usala col Piazza e ed Mora, per i
quali non fa lungo die il supplizio, una tal lentezza è una parzia-
lità mostruosa.
Quella nuova invenzione del Piazza sospese però il supplizio per
alcuni giorni, pieni di bugiarde speranze, ma insieme. di nuove cru-
deli torture, e di nuove funeste calunnie. L'auditore della Sanità fu
incaricato di ricevere, in gran segreto, e senza presenza di notaio,
una nuova deposizione di costui; e questa volta fu lui che promosse
l'abboccamento, per mèzzo del suo. difensore, facendo intendere che
aveva qualcosa dì più da rivelare intorno alla periona grande. Pensò
proliabilmente che, se gli riusciva di tirare in quella relè, cosi cliiusa
alla fuga, così larga all'entrala, un pesce grosso; questo per uscirne,
ci farebbe un tal rotto, che ne potrebbero scappar fuori anche i
piccoli. E siccome, tra le molte e varie congellure cfa' eran girate per
le bocche della gente., intorno agli autori dì quel funesto imbratta-
mento del 18 di maggio (che la violenza del giudizio fu dovuta
in gran parte all' irrilazrone , allo spavento , alla persuasione pro-
dotta da quello: e quanto i veri autori di esso furon più colpevoli
,y Google
di quello che conoscessero loro medesimi!), s'irà anche detto die
fossero ufìziali spagnoli , cosi Io sciagurato inventore trovò anche qui
qualcosa da atlaccarsi. L' esser poi il Padilla figliuolo dd comandante
do) castello, e l'aver quindi un protetlor naturale, che, per aiutarlo,
avrebbe potuto disturbare il processo, To probabilmente ciò che
mosse il Piazza a nominar lui piuttosto che un altro: se pure non
era il solo ulìtiale spagnolo che conoscesse, anche di nome. Dopo
l'abboccamento, fu chiamalo a confermar giudizialmente fa sua nuova
deposizione. Neil' altra aveva detto che il barbiere non gli aveva
voluto nominar la persona grande. Ora veniva a sostenere il con-
trario; e per diminuire, in qualche maniera, la contradizione, disse
che non gliel' aveva nominala stjbilo. Finalmente mi disse doppò il
spalio di quattro o cinque giorni, che questo capo grosso era un
tale di Ptidiglia, il cui nome non mi raccordo, benckè me lo dissen-
so bene, et mi raccordo precisamente che disse esser figliolo del Sig.
Castellano nel Castello di Milano. Danari, però, non solo non disse
d'averne ricevuti dal barbiere, ma protestò di non saper nemmeno
se questo n' avesse a^uti dal Padilla.
Fu fatta sottoscrìvere al Piazxa questa deposizione, e spedito*
subilo I' auditore della Sanità a comunicarla al governatore , come
Digit,zsdr,yG00«^IC
DBtXA COLOHNA MFAHE. SSB
riferisce il processo; e sicurameDle a domandargli se consentirebbe,
occorrendo, a consegnare alt' autorilà civile it Padiila, eh' era capi-
Uno di cavalleria, e si trovava allora all'esercito, nel Monferrato.
Tornato 1' auditore , e fatta subito confermar dì nuovo la deposi-
zione al Piazza, s'andò di nuovo addosso all'infelice Mora. Il quale,
all' istanze per farjjli dire che lui aveva promesso danari al commÌs<
sario, e confidatogli che aveva una persona grande, e dettogli final-
mente eiii fosse, rispose: rum si trouarà mai in etemo: te io lo aa-
peui, lo direi, in coMcienza mia. Si viene a un nuo\'0 confronto, e si
d(Mnanda al Piazza , se è vero che il Mora gli ha promesso danari ,
dichiarando che tutto ciò focena d'ordiiie et coinmissiene del Padiglia,
pgtiolo del signor Castellano di Milano. D difensor del Padiila osserva,
CQD gran ragione, che, « sotto pretesto di (U)nfronto,n tecero cosico-
Doseere al Mora •< quello che si desideraua dicesse. » Infatti, senza
questo, o altro simil mezzo, non sarebbero cerlamenle riusciti a fargli
buttar fuori quel pcrsonaf^io. La tortura poteva bensì renderlo bu-
giardo, ma non indovino,
Il Piazza sostenne quel cbe aveva deposto. E voi volete dir questo?
esclamò il Mora. Sì che lo voglio dire, che è la verità, replicò lo
sventurato impudente: et h»io a quello mal termine per voi, et
sapete bene che mi^dicette questo sopra t' uschto della vostra bottega.
Il Mora, cbe aveva forse sperato di poter, con l'aiuto del difensore,
mettere in ehiaro la sua innocenza, e ora prevedeva che nuove tor-
ture gli avrebbero estorta una nuova confessione, non ebbe nemmeno
la forza d' opporre un' altra volta la verità alla bugia. Disse soltanto:
patientiat per amor di voi, morirò.
Infatti, rimandato subilo il Piazza, intimano a lui, che dica hormai
la veritàj e appena ha risposto: Signore, la verità l'ho detta; gli
minacciano la tortura : il che si farà sempre senza pregiìiditio di
quello che è conuilto, et confesso, et non altrimenti. Era una formola
solila; ma 1' averla adoprata in questo caso fa vedere fino a che se-
gno la smania di condannare gli avesse privati della facoltà di riflet-
tere. Come mai la confessione d'avere indotto il Piazza al delitto con
la promessa de' danari che si avrebbero dal Padiila, poteva nou (ar
pregiudizio alla confessione d' essersi lasciato indurre al. delitto dal
Piazza, per la speranza di guadagnar col preservativo?
Messo alla tortura, confermò subito lutto quello che aveva detto
il commissario; ma non bastando questo ai giudici, disse che inlatti il
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Padilla gli aveva proposto di fare un ontione da ongere le Porte et
Cadenazzi , promessigli danari quanti ne volesse , daliglienc quaDtl
n' aveva voluti.
Noi altri, die non abbiamo, ne timor d'unzioni, né furore contro
untori, uè altri furiosi da soddisfare, vediamo chiaramente , e senza
fatica, come sia venuta, e da che sia stala mossa una tal confessione.
Ma, se ce ne fosse bisogno n'abbiamo anelie la dichiarazione dì chi l'a-
veva fatta. Tra le molte lestimonianze che il difensor del Padilla potè
raccogliere, c'è quella d'un capitano Sebastiano Gorini, che si trovava,
in quel tempo (non si sa per qua! cagione) nelle stesse carceri, e
che parlava spesso con un servitore dell'auditor della Sanità, slato
messo per guardia a quell'infelice. Depone cosi: « mi disse detto
scruilore, sendo se non f;appena) all' bora stato detto Barbiere rìme-
liato dall' esame: V. S. non sa che il Barbiere m' ha detto adesso
adesso, che nell'esame che ha fatto, ha dato fuori {buttato fuori) il
Sig. Don Gioannì figliolo del Sig. Castellano? Et io, ciò sentendo,
restai stupito, et li dissi : è vero questo? Et esso seruilore mi re-
plicò che era vero; ma che era anche vero che lui prolestaua di non
raccordarsi di non hauer forsi mai parlato con alcuno spagnuolo , et
che se li hauessero mostrato detto Sig. Don Gioanni, non l'haurebbe
né anche conosciuto. Et soggiongendo, essio seruitore, disse: io li dissi
perchè dunque lo baueua dato fuori ? et lui disse che l' haueua dato
fuori per ìiauerlo sentito nominare là , et che perciò rispondeua a
tutlo quello che senliua, o die li veniua così in bocca. » Questo valse
(e ne sia ringraziato il cielo) a favor del Padilla; ma l'ogliam noi credere
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DELLA COLONNA INFAUE. «17
che ì giudid, i quali avevao messo, 0 lascialo meltere per guardia
al Mora un servitore di quell' auditor cosi atUvo, così investigatore,
non ri$a])essero , se non tanto tempo dopo , e acddentalmente da un
testimonio, quelle parche cosi verisimili, dette senza speranza, un mo-
mento dopo quelle così strane che gli aveva estorte il dolore?
E perchè, tra tante cose' dell' altro mondo, parve strana andie ai
giudici quella relazione tra il barbier milanese e il cavaliere spagno-
loj e don\andarono chi e' era stato <U mezzo , alla prima disse cb' era
stato un» de' luoi , fatto e vestito txaà e cosi Ma incalzato a nomi-
narlo, disse: Don fHetro di Saragoza. Questo atmeno era un perso-
naggio immaginario.
Ne furon poi fatte (dopo il supplizio del Mora, s' intende) le più
minute e ostinate ricerche. S'interrogarono soldati e ufiuali, com-
preso il comandante stesso del castello, don Francesco de Vai^as,
succeduto allora al padre del Padilla: nessuno l'aveva mai sentito no-
minare. Se non che si trovò finalmente, nelle carceri del podestà, un
Pietro Verdeno, naiivo di Saragozza, accusalo di furio. Costui, esa-
minato, disse che in quel tempo era a Napoli; messo alla tortura,
sostenne il suo detto; e non si parlò pili di Don Pietro di Saragozza.
Sempre incalzato da nuove domande , il Mora aggiunse che lui
aveva poi fililo la proposta al commissario, il quale aveva anche lui
avuto danari per questo, da non so chi. E certo non lo sapeva; ma
vollero saperlo i giudici. Lo sventurato, rimesso alla tortura, nominò
pur troppo una persona reale, un Giulio Sanguinetli, banchiere: «il
primo venuto in mente all'uomo che inventava per lo spasimo *. »
il Piazza che aveva sempre detto di non aver ricevuto danari,
interrogato di nuovo, disse subito di si. (li lettore si ramAicnterà,
forse meglio de' giudici , ette , quando, visitaron la casa di costui ,
danari gliene trovaron meno che al- Mora, cioè punto.) Disse dunque
d'averne avuti da un banchiere; e non avendoci i giudici nominalo
il Sanguinelti , ne nominò lui un altro : GirolaDW Turoone. E questo
e quello e vari loro ageiHi furono arrestati, esaminati, messi alla
tortura; ma, stando fermi a negare, furon fioidmentc rilasciati.
Il 11 di luglio, furono al Piazza e al Mora. comunicati gli alti
posteriori alla ripresa del processo , e dato un nuovo termiae di
due giorni a far le loro difese. L' uno e l' altro scelsero questa volta
* quorum capila.... flnfteDli inler dolores gemituaque occurrere. Liv. XXIV, u.
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un difensore, col consìglio probabilmente di quelli ch'erano siali loro
assegnati d' ufisio. Il ss dello stesso mese, fu arrestalo il PadiUa;
cioè, come è atleslato nelle sue difese, gli fu detto dal' commusario
generale della cavalleria, che, per ordine dello Spinola, dovesse an-
dare a costituirsi prigioniero nel castello di Pomate; come fece. H
padre, e sì rileva dalle ditese medesime, fece istanza, per mexzo del
suo iuogoleneole , e del suo segretario, perchè sì sospendesse l'ese-
cuzione della sentenza contro il Piazia e il Mora, fin die fossero stati
confrontati con don Giovanni. Gli fu fatto rispondere u die non si
poteua sospendere, perché il popolo esdamaua...» eccola nominato
una volta quel civium ardor prava jubentium; la sola volta che si
poteva senza confessare una vergognosa e atroce defer«ua, gtacdtè
si trattava dell' raecuzìon d'un gìudìao, non dei giudìzio medesimo.
Ma comindava allora soltanto a esclamare, il pentolo? o ^lora sol-
tanto cominciavano i giudid a far conto ddle sue grida?... «ma che
in ogni caso il signor Don Francesco non si pigliasse fastidio, perefaè
gente in&me, com'erano questi duoi, non poteuano col suo detto
pregiudicare alla reputatione del signor Don Giovanni. » E il detto
d'ognuno di que' due infami valse contro l'altro! E i giudid l'a-
vevan tante volle chiamalo ventai E nella sentenza medesima decre-
tarono die, dopo l'intimazion di essa, fossero l'uno e l'altro tormentati
di nuovo su dò che riguardava i complid! E le loro deposzi<Hii
promossero torture, e quindi confessioni, e quindi supplizi; e se non
basta, anche supplizi sensa confessioni!
« Et cosi , « condude la deposizione del s^sretarìo suddetto ,
,y Google
DELLA COLONNA INFAME.
u lornassimo dal signor Castellano, et li facessimo Ja rclalione di
(juanl'era passato; el lui non disse altro, ma restò mortifìcalo; la
qiial morlilìcalione fu tale, elie fra .pochi giorni se ne morse, n
Quell'infernale sentenza portava che, messi sur un carro, fossero
condotti al luogo del supplizio; tanagliati con ferro rovente, per la
strada; tagliala loro la mano destra, davanti alla bottega del Mora;
spezzale l'ossa con la rota, e in quella intrecciati vìvi, e alzati da
terra; dopo sei ore, scannati; bruciali i cadaveri, e le ceneri buttate
nel (lume; demolila la casa del Mora; sullo spazio di quella, eretta
una colonna che si chiamasse infame; proibito in perpetuo di rifab-
bricare in quel luogo. E se qualcosa potesse accrescer l'orrore, lo
sdegno , la compassione , sarebbe il veder que' disgraziati , dopo
r intimazione d' nna tal sentenza, confermare, anzi allargare le loro
confessioni, e per la forza delle cagioni medesime che gliele avevano
estorte. La speranza non ancora estinta di sfuggir la morie, e una
tal morìe, la violenza di tormenti, che quella mostruosa sentenza
d.y Google
làrebbe quasi cliianiar leggieri, ma presenti e evitabili, li Tecero, e
ripeter le menzogne di prima, e nominar nuove persone. Cosi, con
la loro impunità, e con la loro tortura, riusdvan qae' giudici, non
solo a fare atrocemente morir degl'innocenti, ma, per quanto dipen-
deva da loro, a farli morir colpevoli.
Nelle difese del Padilla, si trovano, ed è un sollievo, le proteste
che fecero della loro e dell' altrui innocenza, appena furono affatto
certi di dover morire, e di non dover più rìsjwndere. Quel capitano
citato poco fa, depose che, trovandosi vicino alla cappella dov'o'a
slato messo il Piazza, lo sentì che « slrepilaua, et diceua che moriua
al torto, et che era slato assassinalo sotto promessa, » e riflulaVa il mi-
nistero di due cappuccini venuti per disporlo a morir cristianamente.
u Et in quanto a me, n soggiunge, « m' accorgei che lui liaueua
speranza che si douesse retrattare la sua causa.... et andai dal detto
Commissario, pensando di far allo di carità col persuaderlo a disporsi
a ben morire in gratia di Dio; come in eHètto posso dire die mi
riusd; poiché li Padri non toccorono il punto che toccai io, qual fu
che l'accerlai di non bauer mai visto, né sentito dire che il Senato
relratlasse cause simili, dopo seguila la condanna... Finalmente tanto
dis«, che s'acquietò... et doppo che fu acquietato, diede alcuni
sospiri, et poi disse come haueua dato fuori indebitamente molli
,y Google
DELLA COLO.NM INFAJIE.
innocenti.» Tanto lui, quanto il Mora, fecero poi stendere dai reli-
giosi che 0\ assistevano una ritrattasion formale di tutte l' accuse
che la speranza o il dolore gli avevano estorte. L'uno e l'altro soppor-
tarono quei lungo supplizio , quella serie e varietà di supplizi , con
una forza che, in uomini vinti tante volle dal timor della morte e
dal dolore; in uomini i quali morivan vittime, non di qualche gran
causa, ma d'un miserabile accidente, d'un errore sciocco, di facili
e basse frodi; Jn uomini che, diventando infami, rimanevano oscuri,
e all' esecrazion pubblica non avevan da opporre altro che il senti-
mento d' un' innocenza volgare, non creduta, rinnegata tante volle da
loro DiedesJmi; in uomini (fa male il pensarci, ma si può egli jion
pensarci?) che avevano una famiglia, moglie, figliuoli, non si sa-
prebbe intendere, se non si sapesse che fu rassegnazione: quel dono
che, nell'ingiustizia degli uomini, fo veder la giustizia di Dio, e nelle
pene, qualunque »ano, la caparra, non solo del perdono, ma del
premio. L' uno e l' altro non cessaron di dire, fino all'ultimo, fin sulla
rota, che accettava» la morte in pena de' peccati che avevan commessi
davvero. Accettar quello che non si potrebbe rifiutare! parole che
possono parer prive di senso a chi nelle cose guardi soltanto l' cOetto
materiale; ma parole d' un senso chiaro e profondo per chi considera,
0 senza considerare intende, che ciò che in una deliberazione può
esser più diffìcile, ed è più importante, la persuasion della menfe,
e il piegarsi della volontà, è ugualmente dllGcile, ugualmente impor-
tante, sìa che l'effetto dipenda da esso, o no; nel consenso, come
nella scelta
Quelle proteste potevano atterrire la coscienza de' giudici ; potevano
,y Google
irritaria. Essi rìuseiron pur troppo a farle smentire in parie, nel modo
che sarebbe sialo il più decisivo, se non fosse sUto il più iliosorio;
cioè col far che accusassero sé medesimi, molti che da quelle pro-
teste erano stati cosi autorevolmente scolpati. Di quasi' altri processi
tocctiereiDo soltanto, come abbiam dello, qualcosa, e soltanto d'al-
cuni, per venire a quello del Padilla; doè a quello che, come per
l'importanza del reato è il principale, cosi, per la forma e per l'o-
silo, è la pielra del paragone per tulli gli allri.
VI.
due arrotini, sciaguratamente nominali dal Piazza ,
e poi dal Mora, erano stati imprigionali Gno dal
S7 di giugno; ma non furon mai confrontati, ne
con r uno né con l'altro, e neppure esaminati, prima
dell' csecuEÌone della sentenza, che fu il primo d'a-
gosto. L'undici fu esaminato il padre; il giorno dopo,
messo alla tortura, col solito pretesto di contradìzioni e d'inverìsimi-
glianze, confessò, cioè inventò una storia, alterando, come ÌI Piazza,
un fallo vero. Fecero l'uno e l'altro come que' ragni, che attaccano i
capi del loro (ilo a qualcosa di solido, e poi lavoran per aria. Gli avevan
troi'ala un' ampolla d' un sonnifero datogli , anzi composto in casa
sua, dal Raruello suo amico; disse ch'era un onto per fare c/u mo-
reuero la gente; un estrall'o di rospi e di serpi, con certe poluerc
che io non eo che potuere siano. Oltre il Baruello, nominò «une com-
plice qualche altra persona dì comune conosceoza, e per cape il Pa-
dilla. Avrebbero ì giudici volulo attaccar questa storia a quella de' due
che avevano assassinati, e far per ciò dire a costui, che aveva rice-
vuto da loro onto et danari. Se avesse negato semplicemente, ave-
van la tortura; ma la prevenne con questa sii^olare risposta: Signor
no, che non è vero; ma $e mi date li tormenti perchè io neghi que-
sta particolarità , sarò forzato a dire che è pero, benché non sij.
Non potevan più, senza farsi troppo apcrlamenle beffe della giustizia
e dell'umanità, adoprar come esperimento un mezzo del quale eran
così solennemente av\'eptili che l' effetto sarebbe cerio.
Fu condannato a quel medesimo supplizio; dopo l'intimazion della
sentenza, torturato, accusò un nuovo banchiere, e altri; in cappella,
e sul patibolo, ritrattò ogni cosa.
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DELLA COLONNA INFAUE. S43
Se di questo disgraziato, jl Piazza e il Mora avessero detto sola*
meote di' era un poco di buono, si vede da vari fatti die saltan
fuori nel proeesso, che non l'avrebbero calunniato. Caiunniaroa però
andie in questo, il suo figliuolo Gaspare; del quale è bensì riferito
un fallo, ma è riferito da lui, e in tali momenli, e con tal sentimen-
to, che ne risulta eome una prova dell'innocenza e della rettitudine
di tutta la sua vita. Ne' tormenti, in faccia alla morte, le sue parole
furon tutte meglio che da uom forte; furon da martire. Non avendo
potuto renderlo calunniator di sé stesso, né d'altri, lo coodannarono
(non si vede eoo quali pretesti) come eonvialo; e dopo l'inlimasion
della sentenza, l' interrogarono, come al solito, se aveva altri delitti,
e chi erano i suoi compagni in quello per ctu era stato condannalo.
Alla prima domanda rispose: io non ho fatto né quetto^ni altri de-
littij et moro perchè una volta diedi d'un pugno topra d'un occhio
ad unOj mosso dalla collera. Alla seconda: io non ho alcuni compa-
gnij perchè attendeub a far li fatti miei; et te non l'ho fatto, non ho
neanche haauto compagni. Minacciatagli la tortura, disse: F.S. facci
quello che vole , che non dirò mai quello che non ho fatto, né mai
condannare l'anima mia; et è molto meglio che patisca tre o quattro
hore de tormenti, che andar nell'inferno a patii'e eternamente. Messo
alla tortura, esclamò nel primo momento: ah, Signore! non ho fatto
niente: sono assassinalo. Poi soggiunse : guelfi tormenti forniranno pre-
ttoj et al mondo di là bisogna starai sempre. Furono accresciute le tor-
ture, di grado in grado, fino all' ultimo, e con le torture, l'istanze
di dir la verità. Sempre rispose: l'ho già detta; voglio tatuar Fani'
ma. Dico che non voglio grauar la conicienza mia: non ho fatto niente.
Non si può qui far a meno di non pensare clic se gli stessi sen-
timenti avessero data al Piazza la stessa costanza j il povero Mora
sarebbe rimasto tranquillo nella sua bottega, tra la sua famiglia; e,
al pari di lui, questo giovine ancor più degno d'ammirazione, che di
eCMiipassione , e lant' altri innocenti non avrebbero nemmen potuto
immaginarsi che spaventosa sorte sfuggivano. Lui medesimo, chi sa?
Certo per condannarlo, non confesso, e su que' soli indizi, e quando,
non essendoci altre confessioni, il delitto stesso non era die una con-
gettura , bisognava violare più s\-elalamentc , più arditamente , ogni
principio di giustizia, ogni prescrizion di legge. A ogni modo, non
potevano condannarlo a un più mostruoso supplizio ; non potevano
almeno farglielo solTrire in compagnia d'uno, guardando il quale
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do%'esse dire ogni momento a sé stesso: V bo condotto qui jo. Di Unii
orrori fu cagione la debolezza... che dico? rMcanimento, la per6dia
di coloro che, riguardando come una caiamilà, come una sconfitta, il
non trovar colpevoli, tentarono quella debolezza con una promessa
illegale e frodolenfa.
Abbiamo citato sopra l'alto solenne con cui una promessa simile
fu fatta al Baruello, e abbiamo anche accennato dì voler far vedere il
conto diverso che i giudici ne facevano. Per ciò principalmente rac-
coaterem qui io succinto la storia anche di questo meschino. Accusato
in aria, come s'è visto, prima dal Piazza d'essere un compagno del
Mora, p(M dal Mora d' essere un compagno del Piazza; p(^ dall' uno
e dall'altro d'aver ricevuto danari per isparger l'unguento composto
dal Mora con certe porcherie e peggio (e prima avevan protestato di
non saper questo); poi dal Migliavacca, d'averne composto uno lìii,
con altre peggio che porcherie; costituito reo di tutte queste cose,
come se ne ^cessero una, negò e sostenne bravamente i twmcnli.
Mentre pendeva la sua causa,- un prete (che fu uo altro de' testi-
moni fallì citar dal Padilla), pregato da uh parente di questo Ba-
ruello, lo raccomandò a un Bacale del senato; il quale venne pd a
dirgli che il suo raccomandato era sentenziato a morte, con tutta
quell'aggiunta di carniflcine; ma insieme, che u il sraiato s'acconten-
taua di proocurarli da S. E. l' impunità ». E incaricò il prete che
andasse a trovarlo, e vedesse di persuaderlo a dir la verità : « poidiè
il Senato voi sapere i) fondamento di questo negocio, e pensa dì sa-
perlo da luì. » Dopo averlo condannato! e dopo quelle esecuzioni!
Il Baruello, sentita la crudele notizia, e la proposizione, disse: «la-
ranno poi di me come hanno fatto del Omimissarìo? » Avendogli il
prete detto che la promessa gli pareva sincera, cominciò una storia:
che un tale (il quale era morto)',raveva condotto dal barbiere; e questo,
alzalo un telo del parato della stanza, die nascondeva un uscio, l'a-
veva introdotto in una gran sala, dov'eran molte persone a sedere,
tra le qudi il Padilla. Al prete, che non aveva l' impegno di trovar de'
rei, parvero cose strane; sicché l'interruppe, avvertendolo che ba-
dasse di non perdere il corpo e l'anima insieme; e se n'andò. Il Ba-
ruello accettò l'impunità, corresse la storia; e comparso l'undici di
settembre davanti ai giudici, raccontò loro che un maestro dì sdierma
(vivo pur troppo) gli aveva dello esserci una buona occasione di
diventar ricchi, facendo un servizio al Padilla; e l'aveva poi condotto
,y Google
DELLA COLONNA IKFAllE. «iv
sulla piazza del castello, dov" era arrivato il Padilla medesimo eoa
altri , e l' aveva subilo invitalo ad essere uno di quelli che ungevano
sotto i suoi ordini, per vendicar gì' insulti falli a don Gonzalo de
Cordova, nella sua partenza da Milano; e gli aveva dato danari, e un
vasetto di quel!' unto micidiale. Dire che in questa storia , della quale
qui accennìam soltanto il principio, ci fossero delle cose inverisimili,
non sarebbe parlar propriamente: era tutto un monte di stravaganze,
come il lettore ha potuto vedere da questo solo saggio. Dell' inveri*
sìmiglianze però ce ne trovarono anche i giudici e, per di più, delle
conlradizioni : per ciò, dopo varie interrogazioni, seguite da risposte
che imbrogliavan la cosa sempre più, gli dissero, che si eipiicki me-
glio, perchè n possa cauar cosa accertala da quello che dice. Allora ,
o fosse un suo ritrovato per uscir d' impiccio in qualunque maniera ,
o fosse un vero accesso di frenesia, che ce n'era abbastanza cagioni,
si mise a tremare, a storcersi, a gridare: aiuto! a voltolarsi per terra.
a volersi nascondere sotto una tavola. Fu esorcizzato, acquietalo,
stimolato a dire; e cominciò un'altra storta, nella quale fece entrare
iDcantatort e circoli e parole magiche e il diavolo, eh' egli aveva rico-
nosciuto per padriHie. Per noi basta 1' osservare cb'eran cose nuove;
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e cbe, tra l'altre, rilrallò quello cfae aveva detto del vendicar l' fa-
giurìa fotta a don Gonzalo, e asserì in vece dte il fine del Padilla
era di farsi padrone di Mìl»io; e a lui prometteva di tarlo uno de'
primi. Dopo varie interrogasìoni , fu chiuso I' esame, se pure merita
un tal nome ; e dopo quello, n' ebbe tre allrì ; ne* quali, essendogli
detto clie il tal suo asserto non era verisimile, che il tal altro non
era credibile, o rispose che infatti, la prima volta, non aveva detta la
verità, o diede una spiegazione qualunque ; e venendogli almen cio-
que volte buttata in faccia la deposizione del Migliavacca, in cui era
accasato d' aver dato unguento da spargere ad altrettante persone
delle quìtii, nella sua, non aveva parlato, rispose sempre che non
era vero; e sempre i giudici passarono ad altro. Il lettore che si
rammenta come, alla prima inverisimiglianza che credettero bene di
trovar nella deposizione del Piazza, lo minacciarono di levargli l' im-
punità; come alla prima agfpunta che fece a quella deposizione, al
primo fatto allegato dal Mora contro di lui, e da luì negato, gliela
levarono in elTctto, per non hauer detta la verità intera, come kaueua
prometso,- vedrà ancor più, se ce n' è bistro, quanto servisse a
coloro l'aver voluto piuttosto, fare una giunteria al governatoro,
che chiedergli una facoltà, 1' aver fatta ima promessa in parole e di
parole a quel Piazza, che doveva esser le primìzie del sacriflzio
offerto al furor popolare, e al loro.
Vogliam dir forse che sarebbe slata cosa giusta il mantener
quell'impunità? Dio liberi! sarebbe come dire che colui aveva de-
posto un fatto vero. Vogliam dir soltanto cbe fu violentemente ritira-
ta,- com'era stala illegalmente promessa; e che questo fu il mezzo di
quello. Del resto, non possiamo se non ripetere cbe non potevan for
nulla <U giusto nella strada che avevan presa, fuorché tornare indie-
tro, fin ch'erano a tempo. Quell'impunità (lasciando da parte la man-
canza de' poteri) non avevano avuto il diritto dì venderla al Piazza,
come il ladro non ha il diritto di dar la vita al viandante: ha il dovere
di lasciargliela. Era un ingiusto supplimento a un' ingiusta tortura:
I' una e l'altra volute, pensate, studiate dai giudici, piuttosto che
far quello ch'era prescritto, non dico dalla ragione, dalla giustizia,
dalla carità, ma lialla legge: verificare il fallo, faeenddo spiegare
alle due accusatrìci, se pur la loro era accusa e non piuttosto con-
gettura; lasciandolo spiegare all' imputato, se pur sì poteva dire im-
putato; mettendo questo a confironto con quelle.
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DELLA COLONNA INFAME. B4T
L'esito dell' iiupunilà promessa al Barudio non si pot^ vedere,
perchè costui morì di peste il 18 di ^Itembre, cioè il giorno dopo
un confronto sostenuto impudentemente contro quel maestro dì sclier-
ma, Carlo Vedano. Ma quando sentì avvicinarsi la sua fine, disse a
un carceralo che l'assisteva, e che fu un altro de' testimoni fatti
citar dal Padilla: « fatemi a piacere di dire al Sig. Podestà, che tutti
qudlì che 1)0 incolpati gli ho incolpati al torto; et non è vero ch'io
habbi chiapato danari dal figliuolo del Sig. Castellano.... io ho da
morire di questa infermità: prego quelli che ho incolpali al torlo mi
perdonino; et di gratia ditelo a! Sig. Podestà, se io ho d'andar saluo.
Et io subito, •> soggiunge il testimonio, « andai a referìreal Sig. Po-
destà quello die il Baruello m' baueua detto. •
Questa rìtratlauone potè valere per il Padilla; ma il Vedano, il
quale non era (In allora stato nominato che dal solo Baruello, fu atro-
cemente tormentato, quel giorno medesimo. Seppe resistere; e fu la-
sciato slare ( in prigione , s' intende ) fino alla metà di gennaio
dell' anno seguente. Era, tra que' meschini, il solo che conoscesse
davvero il Padilla, per aver tirato due volte di spada con luì, in
castello; e si vede che questa circostanza fu quella che suggerì al Ba*
ruello dì dargli una parte nella sua favola. Non 1' aveva però accu-
sato d'aver composto, né sparso, né distribuito unguenti mortiferi;
ma solamente d' essere stalo di mezzo tra lui e il Padilla. Non pote-
van quindi i giudici condannar come convinto un tale imputato, senza
pregiudicar la causa di que) signore; e questo fu probabilmente quello
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cbe lo salvi. Non fu interrogato di nuovo, se non dopo il primo esame
del Padilla ; e l' assoluzioo di qtiesto tirò dietro la sua.
Il Padilla, dal castello di PizugbettoDe, dov'era slato trasTerito, fu
condotto a Milano il io <U gennaio del lesi, e messo nelle carceri
del capitano di gìusltzia. Fu esaminato quel giorno medesimo; e se ci
rosse bisogno d' una prova di fatto per esser certi clie ancbe que'
giudici potevano interrogar senza frodi, senza menzogne, senza vio-
lenze, non trovare inverisimiglianee dove non ce n'era, contentarsi
di risposte ragionevoli, ammettere, anche in una causa d' unzioni ve-
nefiche, che un accusato potesse dir la verità, anche dicendo di no, si
vedrebbe da questo esame, e dagli altri due che furon fatti al Padilla.
I soli elle avessero deposto d' essersi abboccati eoa lui , il Mora
e il Baruello, avevano anche indicali i tempi; il primo all' incirca ,
il secondo più precisamente. Domandiu'on dunque i giudici al Pa-
dilla, quando fosse andato al campo: indicò il giorno; di dove
fosse partito per andarci : da Milano; se a Milano fosse mai tomaio
in quell'intervallo: una<volta sola, e c'era rimasto un giorno solo,
che specificò ugualmente. Non concordava con nessuna dell'epoche in-
ventate dai due disgraziati. Allora gli dicono, senza minacce, con buona
maniera, che ti metta a memoria se non si trovò ig Milano ndl tal
tempo, nel tal altro; risponde ogni volta di no, rapportandosi sem-
pre alla sua prima risposta. Vengono alle persone, e ai lu<^hi. Se
aveva conosciuto un Fontana bombardiere: era il suocero del Vedano,
e il Baruello I' aveva nominato come uno di quelli che s' eran trovali
al primo abboccamento. Risponde di sì. Se conosceva il Vedano: di
sì ugualmente. Se sa dove sia la Vetra de' Cittadini e 1' osteria de'
sei ladri: era li che il Mora aveva detto esser venuto il Padilla, con-
dotto da don Pietro di Saragozza, a fargli la proposta d' avvelenar
Milano. Rispose che non conosceva né la strada, né l' osteria, neppur
di nome. Gli domandano di don Pietro di Saragozza: questo non solo
non lo conosceva, ma era impossibile che io conoscesse. Gli doman-
dano di certi due, vestili alla francese; d' un ccrt' altro, vestito da
l>rele: gente che il Eìaruello aveva detto esser venuti col Padilla al-
l' abboccamento sulla piazza del castello. Non sa di chi gli si parli.
Nel secondo esame, che fu l'ultimo di gennaio, gli domandan del
Mora, dd Migliavacca, del Baruello, d'abboccamenti avuti con loro,
di danari dati, di promesse fatte; ma senza parlargli ancora della
trama a cui tutlo questo si riferiva. Risponde che non ha mai avuto
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DELLA COLWNA 1KFAUE, b40
die far con costoro, che non gli ha niai Demmen sentili muninare; re-
plica che non era a Milano in que' diversi Icmpt.
Dopo più di Ire mesi, consumati in ricerche dalle quali, come
doveva essere, non si cavò il minimo costrutto, ìl senato decretò
che il Padìlla fosse costituito reo con la narrativa del latlo, pubbli-:
catogli il processo, e datogli un termine alle difese. In esecuzione di
quest'ordine, fu chiamato ad un nuovo ed ultimo esame, il sa di
maggio. Dopo varie domande espresse, su tutti i capi d'accusa, alle
quali rispose sempre un no, e per lo più asciutto, vennero alla nar-
rativa del fatto, cioè gli spiattellarono quella pazza novella, anzi
quelle due. La prima, che liu costituto aveva detto al barbiere Mora,
eicjno alt hottaria detta delti sei ladri j che facesse un ontione.... et
che douetse prender la detta ontione^ et atidar a bordegare (impia-
strare); e che, in ricompensa, gli aveva dato molle doppie; e don
Pietro di Saragozza, per suo ordine, aveva poi mandato il detto bar-
biere a riscotere altri danari dai tali e tali- banchieri. Ma questa è
ragionevole in paragon dell' altra : che eua Sig.'' Constiluto aveva fatto
chiamar sulla piazza del castello Stefono Baruello, gli aveva dello:
buon giorno, 4%.'' Baruelloj è molto tempo eke desiderano parlar
con voij e, dopo qualche altro complimento, gli aveva dato ^enli-
cinque ducatonì veneziani, e un vaso d'unguento, dicendogli ch'era
di quello che si faceva in Milano, ma che non era perfetto, e bisognava
prendere delti ghezzi et zatli (de' ramarri e de' rospi) et del vino btan-
r.o, e metter lutto in una pentola, et farla bollire a cuocio a concio
( adagino adagino ) , accio questi animati postino morire arrabbiati.
Che un prete, guai viene nominato per Francese dal detto Baruello^
e era venuto in compagnia del costituto, aveva fatto comparire utio
in forma d'huomo, in habilo di Pantalone, e fattolo al Baruello rreo-
noscere per suo signore; e, scomparso che fu, il Baruello aveva do-
mandalo al costitute ehi era colui, e quello gli aveva risposto ch'era
il diavolo; e che, un'altra volta, lui costituto aveva dati al Baruello
degli altri danari, e promessogli di farlo lenente della sua compagnia,
se r avesse servilo bene.
A questo punto, il Verri (tanto un intento sistematico può far tra-
vedere anche i più nobili ingegni, e an<Ae dopo che hanno veduto)
conclude cosi : « Tale è la serie del fatto deposto contro il Tiglio del
castellano, la quale, sebbene smentita da tutte le altre persone esa-
minate ( trattine i tre disgraziati Mora , Piazza e Baruello , che alla
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violenza dolla lorliira sacrificarono ogni verilù), servì di base a un
vergognosissimo ri-alo '. " Ora, il lei loie sa, e il Verri medesimo
racconta clic, di questi tre, due furo» mossi a mentire dalle lusjitglie
dell'impunità, non dalla violenza àeWSi tortura.
Sentila quel)' indcgnjssima lilastrocca, il Padilla disse: di tulli quesli
huotnini che F. S. mi ha Hotninalo, io non conoteo altro che il Fontana
et il Tegnotte (era un soprannome del Vedano) ; et tutto quello che F. S.
Zia detto che si legge in Processo per bocca di costoro, è la maggior
falsità et mentita che si trouasse mai ai mondo; né è da credere dui
un Cauagliero par mio haueisej uè trattato, né pensato attione tanto
infame come è questa; el prego Dio et $ua Santa Madre, te queste cose
sono vere, che mi confondano adesso; et sfìero in Dio che farò cono-
scere la falsità di i/xeiti huoniiui, et die sarà palese al mondo tutto.
<jli replicarono, per forniulità e senza ìnsbtenzu, elte si l'isolvesse
di dir la veritìi; e gì' intimarono il decreto del senato clie lo cosli-
(ui\a reo d' aver coiiqtosto e distribuito unguento \'enefìeo, e assol-
dalo de' complici. Io mi merauiglio mollo, riprese, che il Senato sii
venuto a resolultione cosi grande, vedendosi et trowindosi che questa è
• Ois. §. V, in lliiv.
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DELLA COLO^^A IKtAUE. «ai
«no mera' impotlura et falsità, fatta non solo a me, ma alla Giiutitta
ùteiM. G}me uà hu4ymo di mia qualità, che ho npeio la vita in xeruilio
di Sita Maettàt ia diffem di ffuesto Hata, nato da huomini che hanno
fatto tiitegio, haueuo io da fare, né da pensar cosa che a loro, né a
me portaste tanta nota et infamia? et tomo a dire che questo è falso,
et è la ptìt grande impostara che ad huamo sij mai'Stala falla.
Fa piacere il seotir i'ianoceiiEa sdegnata parlare un tal linguaggio;
ma fa orrore il raiumeutarai l' innocenza, davanti a quegli uomini
slessi, spavenlala, confusa, di:>perala, bugiarda, calunniatricc; l'in-
nocenza imperterrita, costante, veridica, e condannala ugualmente.
Il Padilla fu assolto , non si sa quando per 1' appunto , ma sicura-
mente più d'un anno dopo, poiché l'ultime sue difese furono pre-
senlalc nel maggio dot lesa. E, certo, 1' assolverlo non fu grazia;
ma i giudici, s' avvidero che, con questo, dichiaravano essi medesimi
tOgiiule tutte le loro condanne? giacché non crederei che ee ne
fliuM» stale altre, dopo quell'assoluzione. Riconoscendo che il Padilla
non aveva punto dato danari per [Kigar le sognate unzioni, si rammcn-
laron degli nomini che avcvan condannati per aver ricevuto danari
da lui, per questo motivo? Si rammentarono d'aver detto al Mora die
una tal elione ha più del i?ensiMÌle che non è per hauer occa-
sione di vendere, lui CoiMiluto il tuo elettuario^ et il Commissario
d'hautr iw)do di più lauorare? Si rammentarono che, nell'esame
seguente, persìstendo lui a negarla, gli avevan dello c/te si troua
pure essere la verità? Che avendola negala ancora, nel eoufronlo col
Piazza, gli avevan dala hi tortura, i»crchè la. confessasse, e un'altra
tortura, perchè la confessione estorla dalla priuia di\'enlasse \alida?
Che, d'allora in poi, tutto il processo era camminalo su quella sup-
posizione? Ch' era slata espressa, solliiilcsa in lulle le loro interro-
gazioni, confermala in tutte le risposte, come la cagione finalmente
scoperta e riconosciuta, come la vera, I' unica cagiun del delitto deF
Piazza, dei Mora, e poi degli altri condannati? Che la grida pubbli-
cala, pochi giorni d0|M) U supplizio di que' due |irinii, dal gran
cancelliere, col parer del senato, li diceva "arriuati a stalo tale
d'empietà, dì tradir per danari la propria Palria? n E vedendo
Gnalawnte avanir quella cagione ( giacche nel processo non »' era
niai fatto menzione d' altri danari che di quelli del Padilla ), pen*
saroQO che del delitto non rimanevano altri argomenti clic con-
fessioni, oltcnule Della maniera che loro sapevano^ e ritrattate Ira i
.yGoogIc
sacrameDli e la morte? confeasicHir, prima io eonlradisìon Ira loro, e
ormai scoperte in eoDtradizion col tallo? Assolvendo insomma, come
innocente, il capo, conobbero che avevaa condannati, come complid,
degl' innocenti?
Tutt' altro, almeno per quel che comparve io pubUieo: il monn-
menlo e la sentenza rimasero ; i padri di famiglia die la sentena
aveva condannali, rimasero infami; i figli che aveva resi co» atro-
cemente orfani, rimasero legalmente spogliali. E in quanto a qoeUo
che sia passato nel cuor de' giudici , chi può saliere a qaaU nuovi
argomenti ^a capace di resistere un inganno, volontario, e già aggunr*
rito contro l'evidenza? E dico un inganno divenuto più caro e prezioso
che mai; giacché, se prima il riconoscerli innocenti era per que' giu-
dici un perder l'occasione di condannare, ormai sarebbe stalo m
trovarsi terribilmente colpevoli ; e le frodi, le violazioni della legge,
che sapevano à' aver commesse , ma che voleva» creder giusUfiotc
dalla scoperta di così empi e funeri malfattori, non solo sarebbero
ricomparse nel loro nudo e laido aspetto di frodi e di violazioni della
legge, ma sarcbbei'o comparse come produttrici d' un orrendo aastS"
sìnìo. Un inganno fìnalmcnlc, mantenuto e fwliGcalo da uu' autorità
sempre potente, benché spesso fallace, e in quel caso stranamente il-
Insorìa, poiché in gran parie non era fondala die su quella de' giudìd
medesimi': voglio dire 1' autorità del pubblico che lì prodamava sa-
pienti, zelanti, (orli, vendicatori e difensori della patria.
La colonna infame fu atterrata nd 177S; nd 1803, fu sullo spazio
rifabbricala una casa ; e in queir occasione, fu anche demolilo il ca-
valcavia , di dove Caterina Rosa,
l/inrernil óva che alla velellfl slam ",
intonò il grido della carnilldiia : sicché non e' è {hù nulla che ram-
menti, né lo spaventoso effetto, né la miserabile causa. Allo sboooo
di via della Vetra sul corso di porta Tidnese , la casa die fa can-
tonata, a sinistra di chi guarda dal eorso medesimo, occupa lo spaiìo
dov'era quella del povero Mora
Vediamo ora, se il lettore' ha la bontà di seguirci in quest'ultima
ricerae, come un giudìzio temerario di colei, dopo aver tanto potuto
cui tribunali, abbia, per loro mezzo, regnato anche ne' libri.
* Curo, (rad. dell' F.nclile, tib. VU.
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DELLi COLONNA INrAHB.
ra i moUi scrillori conleiii|)oranet all' avvenimento,
^ scegliamo il solo che non sia oscuro, e che non n'ab-
' bia parlalo a seconda affatto della credenza comune ,
, Giuseppe Ripamonti, già tante volte cllato. E ci par
' che possa essere un esempio curioso della lirannia die
un' opinion dominante esercita spesso sulla parola di
quelli di cui non ha potuto assoggettar la mente. Non solo non nega
espressamente la reità di quegi' infelici (né , fino al Verri, d fu chi lo
facesse in uno scritto destinato al pubblico); ma pare più d' una volta
che la voglia espressamente affermare; giacché, parlando del primo
iiiierrogalorio dd Piazza , chiama " malizia « la sua , e « avvedu-
tezza « quella de' giudici; dice che, "cou le molte conlradizioni, pale-
sava il delitto, nell'atto die %'oleva negarlo;» del Mora dice parimenti,
che, « fin che potè reggere alla tortura , negava, al solito di tutti i
rei, e che finalmente raccontò la cosa com' era : expoiuit omnia cum
fide. r> E nello stesso tempo , cerca di fare intendere il contrario ,
accennando, timidamente e di fuga, qualche dubbio sulle circostanze
più importanti; dirìgendo, con una parola, la riflession de) lettore al
punto giusto; mettendo in lioeca a qualche iaiputalo parole pili alle
a dimostrar la sua innocenza, di quelle che aveva sapute trovar lui
medesimo; mostrando finalmente quella compassione che non sì prova
se non per gl'innocenti. Parlando della caldaia trovata in casa del
Mora, dice: » fece principalmente grand' impressione una cosa forse
innocente e acddentale, del resto schifosa, e die poteva parer qual-
cosa di quello che si cercava. » Parlando del primo confronto , dice
elK il Mora « invocava la giustizia di Dìo contro una frode, conti-o
una maligna invenzione , contro un' insidia nella quale si poteva far
cadere qualunque innocente, n Lo chiama « sventurato padre di fami-
glia, che, senza saperlo, portava eu queir infausto capo l' infamia e ta
rovipa sua e de* suoi. » Tulle le riflessioni che abbiamo esposte jmkhi
fa, e quelle dì più chesiposson fare, sulla contradizion manifesta tra
l' assoluzìon del Padilla , e la condanna degli altri , il Ripamonti le
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accenna con un vocabolo: « gli untori furon punìlj àò non ostante: un-
ctores puniti tamea. i Quanto non dice quell'avverbio, o congiunzione
che sia! E agigiungc: •• la città sarebbe riniuslu inorridita di quella
mostruosità di suppliti , se tutto non fosse parso meno del delillo. n
Ma il lu<^o dove fo intender più cliiaramente il suo seDliniento, è
dove prol^ta di non volerlo dire. Dopo aver raccontalo vari casi di
IHtrsune cadute in sospetto d'untori, senza cbe ne seguissero processi,
" mi trovo, » dice, " a un passo diffìcile e pericoloso, a dover di-
chiarare se, oltre quelli cosi a torto predi per untori, io creda die
d siano stali untori davvero ... Né la difìicoltà nasce dall' incortezu
della eoaa, ma dal non essermi lasciata la libertà di far quello cbe
pur si pretende da ogni scrittore, cioè eli' esprima i suoi veri senti-
menti. Cile scio dicessi die non ci furono untori, che senza ragione
bi va a iininagiaar malizia degli uomini in ciò che fu punizion di,Dio,
si griderebbe subito che la storia ù empia, die l'autore non rispetta
lui giudizio solenne. Tanto l'opinioo contraria è radicata uelle menti.
Diiìitizf^riiiy Google
DELLA COLONNA I^FAME. «bb
e la plebe credula ai solilo, e la nobillà superba son pronti a difen-
derla) come quello che possano aver di più caro e di più sacro. Met-
tersi in guerra con tanti, sarebbe un'impresa dura e inutile; e i>er ciò,
senza negare, né afTcrmare, né pender più da una parte che dall'altra,
mi ristringerò a riferir l'opinioni altrui*. « Chi domandasse se non sa-
rebbe slata cosa più ragionevole, come più facile, il non parlarne af-
fatlo, sappia che il Ripamonti era isloriografo della città ; cioè uno di
quegli uomini, ai quali, in qualche caso, può esser comagdatp e proi-
bito di scriver la storia.
Un altro isloriografo , ma in un campo più vasto. Balista Nani ,
veneziano, che in questo caso non poteva esser condotto dà nessun
riguardo a dire il falso, fu condotto a crederlo dall'autorità d'un'iscrl-
zionc e d'un monumento. « Se ben veramente, » dice , u l' imma^-
nazione de' popoli, alterata dullo spavento, molte cose si flgurava, ad
ogni modo il delitto fu scoperto e punito , stando ancora in Milano
r iscrizioni e le memorie degli edifici abbattuti , dove que' mostri si
' Pag. :
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congregavano *. " Chi, non conoscendo allro di «quello scridore, pren-
desse questo ragionamento per misura del suo giudizio, s'ingannerebbe
di molto. In varie ambascerie imporlanli , e in varie caridic dome-
sliche, aveva avuto campo di conoscer gli uomini e le cose; e dà
prova nella sua storia d'esserci non volgarmente riuseilo. Ma j giu-
dizi criminali, e la povera gente, quand'è poca, non sì riguardano
come materia propriamente della storia; sicché, non c'è da maravi-
gliarsi ctie, occorrendo al Nani di parlare incidentemente di quel bllo,
non ci guardasse tanto per la minuta. Se alcuno gli avesse citata un'
altra colonna, e un'altra iscrizione di Milano, come prova d'une scon-
fitta ricevuta da' veneziani ( sconfìtta tanto vera, quanto il delitto di
que' mostri) , certo il Nani si sarebbe messo a ridere.
Fa. più maraviglia e più dispiacere il trovar lo slesso argomento e
gli stessi improperi , io uno scritto d' un nomo mollo più celebre , e
con gran ragione. Il Muratori, nel u Trattato del governo della peste, «
dopo avere accennato diverse storie di quel genere, «ma nessun ca-
so, n dice, u è più rinomato di quel di Milano, ove nel contagio del
1630, furono prese parecchie persone, che confessarono un si enorme
delitto, e furono aspramente giustiziate. Ne esiste tuttavia (e l'ho
' ^ani, HlsIorFa vcnelu; parie 1, llli. vni. Venezia, LovUa, ITIO, pag. (:s.
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DELLA COL0^NA IKFAUC. BUI
veduta anch'io) la Tunesta memoria nella Colonna infitine posta ov' era
la casa (li quegli inumani carnefici. Il perchè grande alteozion ci vuole
affinchè non si rinnovassero più simili esecrande scene. » E quello
che , non to^e il dispiacere , ma lo muta, è il *veder die la persua-
sione del Muratori non era cosi risoluta come queste sue parole. Che,
venendo poi a discorrere (e si vede che è ciò che gli preme dav-
véro) de^ mali orrìbili che posson nascere dai figurarsi e dal credere
(ali cose sensa fondamento , dice: « si giunge ad iippri(^onar delle
pelane, e per forza di tormenti a cavar loro di bocca la confession
di delitti ch'eglino tane non avranno mai commesso, con far poi dì
loro un miserabile scempio sopra i pubblici patìboli. » Non par egli
che voglia alludere ai nostri disgrasiatì? E quello che lo fa creder di
pia, è che attacca subito con quelle parole che abbiam gi& citate nello
scritto antecedente, e che, per esser poche, trascrìviam qui di nuovo :
« Ho trovato gente savia in Milano, che aveva buone relazioni dai
loro maggiori , e non era mollo persuasa che fosse vero il fotto di
qu^H unti velenosi, i quali si. dissero sparsi per quella citti , e fe-
cero tanto strepito nella peste del leso *. « Non si può, dico, fare a
meno di non sospettare che il Muratori credesse piuttosto scioodie
fovole quelle che chiama « esearande scene, » e (ciò che è più grave)
innocenti assassinali quelli che chiama « inumani carnefici. « Sarebbe
uno di que'casi tristi e non rari, in cui uomini tult' altro che indi-
nati a mentire, volendo levar la forza a qualdie errore pernicioso,
e temendo di far peggio col combatterlo di fronte, hanno creduto
bene di dir prima la bugia , per poter poi insinuare la verilji.
Dopo il Muratori, troviamo uno scrittore più rinomato di lui come
storico , e (ciò che in un fatto di questa sorte parrebbe dover ren-
dere il suo giudizio più degno d' osservazione di qualunque altro )
storico giureconsulto, e, come dice di sé medesimo, « più giurecon-
sulto che politico ", •• Pietro Giannone. Noi però non riferiremo
qoesto giudizio, perchè è troppo poco che l' abbiam riferito ; è quello
del Nani che il lettore ha veduto poco ta, e che il Giannone ha co-
piato, parola per parola, citando questa volta il suo autore appiè di
pagina ".
I tib. I, up. X.
■ Istoria Civile, e(e. Introduiione.
8 Ittorla Civile, IJb. XxXV'i ^P- *
Dighzodo.GoO^'^Ie
Dico: questa volta; perchè il copiarlo die ba fatto senza eitario,
è cosa degna d'esser notata, se, come eredo, non \o fu ancora *. Il
racconto, per esempio, della sollevazione delta Catalogna, e della rìv(du-
zione del Portogallo, nd 1640, è, nella storia del Giannone, frascriUo da
quella del Nani, per più di sette pagine in 4.**, con poehissiine omissioDi,
0 aggiunte, o varìasioni, la più considembile delle quali è d'avo* diviso
in capitoli e in capoversi un testo elte nello scrìtto originale andava
tulio di seguilo f . Ma chi mai s'iftimagiQerebbe che l'avvocato napole-
lano, dovendo raccontare altre sollevazioni, non di Barcellona, né di
Lisbona, ma quella di Palermo, del 1647, e qudla di Napoli, contempo-
ranea e più celebre, per la singolarità e per rimporlansa degli avveni-
menti, e per Masaniello, non trovasse da far meglio, né da tar più die
di prendere, non i materiali, ma la cosa beli' e fatta, dall'opera del cava-
liere e procurator di san Marco 7 Chi l' anderebbe a pensare soprat-
tutto dopo aver lette le parole con le quali il Giannone entra in quel
racconto ? e son queste: u Gli avveninmiti infelici di queste rivolu-
zioni sono stali descritti da più autori: alcuni gli vollero br credere
portentosi , e fuor del corso della natura : altri con troppo sottili
minuzie distraendo i leggitori, non ne fecero rettamente concepire le
vere cagioni, i disegni, il proseguimento, ed il fine: noi pò- ciò, se-
guendo gli scrittori fiù seri e prudenti , gli ridurremo alla )or giu-
sta e naturai positura. » Eppure ognuno può vedere, tacendo ilcon-
fronto, eome, subito itopo queste sue parole, il Gtannone melta mano
a quelle del Nani *, frammisctHandoci ogni tanto, e specialmeata sul
principio, qualcheduna delle sue, facendo qua e U qualdie camlùa-
mento, alte vdte per necessità, e nella stessa mauìera che uno, il qual
compri biancberia usala, leva il segno dell'antico padrone, e ci mette il
suo. Così, dove il veneziano dice: «ip quel regno,» il napoletano so-
stituisce: H in questo regna; • dove il contemporaneo dice che vi
1 II rabronl(VIlK Italonim, etc., Petras lannonlua) efta rome MrìltOrl dal quii
Il dannane « ha preao 1 paul Interi, Invece di ricorrere al documeatl origtnaU, e
■enia conreiMrìo ichiettameDle , Il Cosiamo, Il Summonte, Il Parrìno, e priDCipal-
menle 11 Bufllerh). n Uà par diMclle che da quesL' ulllnw (che nOD abblan potuto
Iromr chi ala) prendi più che dal CoslaDio, del quale , « Se al principio risponde
li One e II meiiD, » deve avere intarsiala meni, a dir poco, la storia nella waj e
piò che dal Parrtao, del quale dovremo dir qualcosa or ora.
a Giannone, Ist. Clv. lib. XXXVI, cap. V. e II primo capoverso det VI. — Dui,
Hist Ven. parie I, lib. XI, pag. om-sti dell' edlilone diala.
s Giannone, lib. XXXVli, op. n, ni e iV. — Nani, parie li, lib. IV, ptg. I4«>iit.
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DELLA COLOKNA INFAME. ti»
B restano I« fazioot quasi che intiere , « il postero , che vi « resta-
vano ancora le reliquie dell'antiche razioni.» É vero che, oltre que-
ste piccole aggiuole o variazioni, si trovano anche in qael lungliis-
sìmo squarcio, come pezzi messi a riinendo, alcuni brani più estesi,
che non son del Nani. Ma, cosa veramente da non credersi, son presi
da un altro quasi tutti, e quasi parola per parola: è roba di Domenico
Parrìno *, scrittore (alla rovescia di malt' altri) oscuro, ma letto mollo,
e fora' anehe più di quello che sperava lui medesimo, se, in Italia
e Taori , è ietta quanto lodata la « Storta civile del regno di Napoli, »
cbe porta il nome di Pietro Giannone. Che , senza allontanarci da
que' due periodi di storia de' quali s' è fatto qot menzione, se, dopo
le sollevazioni catalana e portt^hese, il Giannone, trascrìve dal Nani
la cadala del favorito Olivares, trascrive poi dal Parrìno il richiamo
del duca di Medina viceré di Napoli , che ne fu la conseguenza , e 1
ritrovali di questo per cedere il più tardi che fosse possibile il posto
al successore Enriquez de Cabrerà. Dal Parrino ugualmente, in gran
parte, il governo di questo^ e poi dull' uno e dall'altro, a intarsiatura,
il governo del duca d" Arcos, per lutto quel tempo che precedette le
sollevauoni di Palermo e di Napoli , e come abbiam detto , il pro-
gresso e la fine di queste, sotto il go^'crno di D. Giovanni d'Austria,
e del conte d'Oùatle. Poi dal Parrino solo, sempre a lunghi pezu, o
a pezzettini frequenti, la spedinone di quel viceré contro Piombino e
Portolongone; poi il tentativo del duca di Guisa contro Napoli; poi la
* Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del regno di HapoU , eie. Na-
poli , 18». tom. S,'; Duca d' Arcos. Il leilo del Naai corre , con pochissimi e
minull cimblaoienli, come abbiam detto, per selle capoversi del Giannone, 1' ul-
timo de' quali lemlna con le parole: x Si richiedevano, e per lopplire allrove , e
per dJIeadér II regno, grandissime provvisioni. » E lì entra il Parrino con le parole:
« Il viceré duca d'Arcos, trovandosi angustiato dalia necetilli dot danaro, » e via <
via, paucU ntutalii, al solilo, per due capoversi , e per mezM circa li seguente.
Dopo , rllorna 11 Nani , e va avanll , prima solo, per un bel petio , poi alternalo ,
e, per dir cosi, a scacchi, col Parrino. E e't Ano de' periodi, messi Insieme bene o
male, ma con pezzi dell'uno e dell' altro. Eccone un esempio: <• Così In un mo-
uienlo s' esUnse queir Incendio che minacciava l'eccidio al regno ; e ciò che ap-
portò maggior maraviglia. Tu la subila molaiione deglf animi, che dalle uccisioni,
da' rancori e dagli odj passarono immantinente a planll di lenerejta , ed a teneri
abbraedamenli, senza dlslinilone d'anilci, o d'inimici: (Parrino, lom. II, pag. 4»)
hiorcbè alcuni pochi. I quali guidali dalla mala cosclenia, si •ottnuero colla fuga,
(util gli altri resUlulli a' loro mestieri, maledicendo le confusioni passate , abbrac-
ciarono con giubilo la quiete presente. •< (Nani, parte II, tlb. IV, pag. iht dell'eàli.
clL) Giannone, llb. xxxvil, cap. IV, secondo capoverso.
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peste dui ietto. Poi dal Nani la pace de' Pirenei, e dal Parrino una
piccola appendice dove sono accennali, gli effetti di essa nel regno
di Napoli *.
Voltaire, parlando, nel « Secolo di Luigi XIV, » de' tribunali istituiti
da quei re, in Metz e in Brìsac, dopo la pace di Niinega, per deci-
dere delle sue proprie pretensioni sopra territori di stati vicini, no-
mina, io una nota, il Giannone con gran lode, com'era da aspettarsi,
ma per brgli una <»'itica. Ecco la traduzione di quella nota: <■ Gianooae,
cosi celebre per la sua utile storia di Napoli, dice che questi Iribu-
oali erano stabiliti a Tournai. Sbaglia irequeotemente negli af&rì cbe
non son del suo paese. Dice, per esempio, che, a Nimega, Luigi XIV fece
la pace con la Svezia; e in vece questa era sua alleata '. n Ma, lasciando
da parte la lode, Ja critica, in questo caso, non è dovuta ai Giannone,
I V. GiMDDue, lib. XXXVI, «ap. VI, e ulllnio} tutto 11 HI*. XXXVII, ebe bt seUe
catriloUì e il preambolo del tib. seg. — Nani, parte I, lib. XII, pag. tsb ; parìe II ,
lib. ni; IV; Vili. ~ Parrino (. il, pag. ise e seg., t. Ili, pag. i e sef.
fl Siede de UuÌ9 XIV; thap. XVII, PbIx de Hyswlck, noi. e.
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DELLA COLONNA INFAME. 8SI
il quale, come in tanl' altri casi, DOn fece nemmeD la fatica di sba-
gliare. È vero che nel libro dell' uomo « così celebre , » si leggono
queste parole: «-Segui poscia la pace fra la Francia, la Svezia, l'impe-
rio e l'imperadore; * (nelle quali, del rimanente, non saprei se non ci
sia ambiguità [unttoslo die errore); e quest'altre: » Aprirono poscia, »
i francesi, «due tribunali, l'uno in Touroay, e l' altro in Metz; ed ar-
rogandosi una ^urisdizione non mai udita nel mondo sopra i prìncipi
lor vicini, fecero non solamente aggiudicare alla Francia, con titolo
di dipendenze , tutto il paese che saltò loro in capriccio ne' confini
della Fiandra e dell'Imperio, ma se ne posero in via di fatto ìn pos-
sessione, costringendo gli abitanti a riconoscere il re Cristianissimo
per sovrano, prescrivendo termini, ed esercitando tutti quegli atti dì
signoria che sono solili i principi di praticare co' sudditi, n Ma son
parole dì «luel povero ignorato Parrìno ', e non già stralciate da quel
suo pezzo di storia, ma portale via insieme con esso : che spesso il
Giannone, in vece di slar li a cogliere un frutto qua e uno là, leva
l'albero addirittura, e lo trapianta nel suo giardino. Tutta, si può
dire, la reiazion della pace di Nimega è presa dal ParrJno; come in
gran parte, e con molte omissioni , ma con poche aggiunte, il vice-
regno in Napoli del marchese de los Veles, nel tempo del quale quella
pace fu conclusa , e eoi quale il Parrìno chiude la sua opera , e il
Giannone il penultimo tibru della sua. E probabilmente (stavo per dir
di certo), clii sì divertisse a farne il confronto intero, per tutto il
periodo antecedente della dominazione spagnola in Niipoli, con la
quale comincia il lavoro del Parrino, troverebbe per tultu, quello clic
noi abbiam trovato in varie parti, e, se non m'inganno, senza veder
mai cilalo il nome di quel tanto saccheggialo scrittore *. Cosi dal
Sarpi , senza citarlo pmito, prende il .Giannone molli brani , e tutta
l'orditura d'una sua digressione =>; come mi- fu fatto osservare da
una dotta e gentile persona. E chi sa quali àllri furti non osservati
di costui potrebbe scoprire chi ne facesse ricerea; ma quel tanto die
I dannane, Ub. XXXIX, cap. ultimo, pag. 461 e las del I. IV, Napoli , Niccolo
Naso, 1193. — Parrtoo, U HI, pag. imi e bst.
1 Fu poi c[li1o spesso ippiè di pagina la qualclie ediiione lalla dopo la morie
dei GiaoDoaei ma il lettore che dod ne «a altro, deve liumaglnBrsi che ala eilalo
come teiUmonlo de' Tatti, non come autore del leilo.
3 Sarpi, Discorso deli' orlfine , atc. deli' OIOiId dell' Irniulslsione ; Opere varie,
Uelmslat (Venezia) t. I , pag. 340. — tilaimoDe, IsL Civ. ilb. XV, cap. ultimo.'
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abbiain veduto d'ao tal prendere da altri scrillori, non dico la soelta
e l'ordine de' fatti, Don dice i giudizi, l'osservazioni, Io spirilo, ma
le pagine, i capitoli, i libri, è sìoaramenle, in uà autor famoso e lo-
dato, quel che si dice un fenomeno. Sia stata , o sterilità , o pigriua
di mente, fu certamente rara, come fu raro il coraggio; nu unica la
felicità di restare , am^e con tutto ciò { Un che resta ) , un gran-
d' uomo. E questa circostanza , insieme con 1' occasione cbe ce oe
dava l'argomento, ci faccia perdonare dal benigno lettore una digres-
sione, lunga, per dir la verità, in una parte accessoria d'un pic-
colo scritta
Chi non conosce il frammento del Parinì sulla coIoana infame? Ma chi
non si maravigUereUie di non vederne fatta menzione in questo luogo ?
Ecco dunque i pochi ver^i dì qu(;l fiaminciito, ne' quali il cclcbit;
poeta fa pur troppo eco alla moltitudine e all' iscrizione :
Diiìitizf^diiyGoOgle
DELLA COLONNA 1NFAHB. MS
' Quando, Ira fili caie e io tneiao a poche
l\oTÌiie, i' vidi igDobil fnaua aprirsi.
Quivi romita aoa colonna sorge
In fra l'erbe iafeconde e i mmì e il leiEo,
Or'' aotn mai non penetra , però cb' indi
Geoio propiiio all' insubre cìtlade
Ognao rimore, allo gridando; langi,
O buoni cittadJD, limgi , che ti suolo
Miserabile infame non *' Infelli *.
Era questa veramenle l' opinion del Parini 1 Non si sa ; e l' averla
espressa, cosi affet^atìvatnente bensì, ma in versi, non ne sarebbe
un argomento; perchè allora era maasimB ricevuta cbe i poeti aves-
sero il privilegio di profltlar di tutte le credenze, o vere, o foise, le
quali fossero alle a produrre un' impressione, o forte, o piacevole. II
privilegio! Mantenere e riscaldar gli nomini nell'errore, un privile-
gio ! Ma a questo si rispondeva che un tal inconveniente non poteva
nascere, percìié i poeti, nessun credeva che dicessero davvero. Non
c'è da replicare: solo può parere strano che i poeti fossero coDlenli
del permesso e del motivo.
Venne finalmente Pietro Verri, il primo, dopo cento quaranta-
seti' anni , che vide e disse chi erano stali i veri carnefici , il primo
che richiese per degi' innocenti cosi barbaramente trucidati , e cosi
stolidamente abborrìti, una compassione, tanto più dovuta, quanto
più larda. Ma che? le eui « Oss^vazioni, » .scrìtte nel 1777, non
furon pubblicate die nel 1804, con altre sue opere, edile e inedile,
nella raccolta degli «Scrittori chtssieì italiani, d'economia politica.»
E 1" editore rende ragione di questo ritardo, nelle i Notizie » pre-
messe all'opere suddette, a Si credette,» dice, «dw T estimazione
del senato potesse reslar macchiata dall'antica infamia. " Effetto comu-
nissimo, a qae' tempi', dello spirito di corpo, per H quale, ognuno,
piutlosto che concedere che i suoi predecessori avessero Dallato, di-
ceva suoi anche gli spropositi che non aveva fatti. Ora un tale q»rlto
non troverebbe 1' occasione d'estendere tanto od passato, giacdiè, in
quasi tulio il conUnente d' Europa , i corpi son di data recente, meno
pochi , meno uno soprattutto , il quale, non essendo stato istituito
.yGóogle
•g( STORIA DKLLA COLONNA IHFAUE.
dagli uoiuìdì, non può essere né abolito, né surrogalo. Oltre di ciò,
questo spirito è combatluto e indebolito più cbe mai dallo sfurilo d'in-
dividualità : r io si crede froppo ricco per accattar dal noi. E in questa
parte, è un rimedio; Dio d liberi di dire : in tutto.
A ogni Diodo , Pietro Verri non era uomo da sacrificare a un
rignardo di quella sorte la manifestazione d' una verità resa idipor-
tanto dal eredito io cui era l'errore,. e più ancora dal fine a cui in-
tendeva di farla servire; ma e' era una circoslanza per cui il riguardo
diveniva giusto. Il padre dell' illustre scrittore era presidente del
senato. Cosi è avvenuto più volte, che anche le buone ragioni abbìan
dato aiuto alle cattive, e che, per la forza dell' une e dell'altre, ana
verità, dopo aver tardato un bel pezzo a nascere, abbia dovuto ri-
manere per uo altro pezzo nascosta.
Digitizf^riiiyGODgle
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